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8,9)
La citazione di Paolo – «Si è fatto povero per voi, perché voi diventaste
ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9) – è centrale nel pensiero di
Francesco, nel suo stile di vita, nei suoi gesti e nel suo modo di governare.
Paolo trae spunto da un atteggiamento solidale – le chiese della Macedonia
hanno organizzato una colletta per aiutare quella di Corinto – per far vedere
che lì risiede l’essenza del cristianesimo. L’apostolo rimarca che si è trattato di
una grazia data loro dal Signore: infatti nella grande prova della tribolazione la
loro gioia sovrabbondante e la loro estrema povertà hanno sovrabbondato nella
ricchezza della loro generosità (2 Cor 8,2). Fa notare che «hanno dato al di là
dei loro mezzi» (8,4) e «si sono offerti se stessi» (8,5).
Ci concentreremo sulla luce che le frasi di Paolo e quella del Santo Padre
apportano al tema della riforma della Chiesa.
L’impronta di povertà che, fin dal primo momento, Francesco sta imprimendo
nella vita della Chiesa ha il proprio fondamento cristologico in questo modo di
essere del Signore.
1 «Nella vita consacrata la povertà è sia un “muro” che una “madre”. È un “muro” perché
protegge la vita consacrata, è una “madre” perché la aiuta a crescere e la conduce nel giusto
tutta la Chiesa). Muro perché protegge contro gli attacchi del demonio, e madre
perché permette al Signore di agire fecondamente nella piccolezza dei suoi
servitori. Ai professi della Compagnia sant’Ignazio fa promettere di «non far
nulla per alterare quello che nelle Costituzioni riguarda la povertà, se non per
renderla, piuttosto, in qualche modo più stretta» (Costituzioni, n. 553). Per un
gesuita le possibilità di «riformare» la propria vita o quella della Compagnia si
orientano sempre verso la maggior povertà ed «essere umiliato in tutto con
Cristo»2.
3 A. HURTADO S.I. s. «Lettera al p. Arturo Gaete», Santiago del Cile, gennaio 1952, in Cartas e
Informes del Padre Alberto Hurtado S.I., Santiago de Chile, Ediciones Universidad Católica de
Chile, 2013, 315-316.
4 In Laudato si’, per esempio, quando i temi ecologici suscettibili di molte opinioni teoriche
contrapposte vengono messi in relazione con la vita dei poveri di oggi, acquistano drammatico
realismo e urgenza (Cfr D. Fares, «Povertà e fragilità del Pianeta», Civ Catt 3961, 11 luglio
2015, 35-49).
5 J. M. BERGOGLIO, Nel cuore di ogni padre. Alle radici della mia spiritualità, Rizzoli, Milano
2014, pp. 111-112.
della Chiesa si trasforma in un territorio di battaglia attorno a «questioni
disputate» che costituiscono una sorta di «ricchezza del negativo», della
lagnanza e della protesta. Francesco definisce tutto ciò come un tipo di
gnosticismo, un cristianesimo illuminista ed elitario che non segue il
camminare paziente del popolo fedele di Dio.
Da parte del Signore, farsi povero per arricchirci con la sua povertà non è un
risultato – come potrebbe suggerire l’espressione «si è fatto povero» –, ma il
dinamismo proprio del suo modo quotidiano di amarci. Il motivo e il desiderio –
«per farci diventare ricchi» – dà un carattere dinamico al «farsi povero». Ogni
volta che il Signore vuole «darci e comunicarci quello che ha, o di quello che ha
o può» (ES 231), come dice sant’Ignazio nella Contemplazione per giungere ad
amare, lo fa in un modo che segue la via dell’«abbassarsi e impoverirsi». Lo
vediamo in tutta la vita di Gesù, ma in modo speciale nella sua maniera di farsi
incontro alla comunità come risorto povero, con l’aspetto di un uomo qualsiasi,
che chiede asilo a Emmaus e domanda «qualcosa da mangiare» sulla sponda
del lago. Nel «farsi povero» di Gesù non c’è misura se non quella di dare tutto,
fino alla propria vita sulla croce, per rimanere sotto la forma del rinnovato
impoverirsi in ogni Eucarestia e nel perdono instancabile dei nostri peccati,
come dice il papa.
Ma ci stupisce ancora di più il terzo elemento della frase di Paolo: il fatto che ci
faccia ricchi «con quella povertà»7. Distinguiamo quale povertà sta designando
la frase: non una povertà qualsiasi, bensì quella dotata del dinamismo che si
adegua a ciò che rende ricco l’altro. La ricchezza di Cristo non ci viene dunque
donata e comunicata come se fosse una cosa, bensì un dinamismo a cui
possiamo associarci, per entrarvi e parteciparne. Il comandamento del Signore,
6 FRANCESCO, Incontro con i vescovi responsabili del Celam, 28 luglio 2013.
Non ci intriga la gioia indescrivibile che quei piccoli gesti di spoliazione di papa
Francesco generano quasi in tutti? (E non dico tutti, ma «quasi tutti» perché c’è
sempre un qualche Giuda che si lamenta amareggiato quando vede qualcuno
che rompe l’ampolla del profumo). Le persone intuiscono che non si tratta di
gesti di ascetismo personale, ma di gesti che arricchiscono il popolo di Dio,
impersonato in ciascuno di coloro davanti ai quali il papa si abbassa a lavare i
piedi, per esempio, o perde tempo a chiamarli per telefono. Tutti i giorni il papa
arricchisce la Chiesa con i suoi gesti di abbassamento per amore, che stanno
diventando sempre più «spogli», per così dire, e non vanno sui giornali come
quando aveva rinunciato alle scarpe rosse o aveva scelto di rimanere ad
abitare nella stanza provvisoria di Santa Marta. Bisogna saperli leggere in
piccoli particolari: la maniera, per esempio, di chiedere preghiere per sé dopo
la prima messa a Cuba: «vi prego» – e ha lasciato cadere le braccia –, «come
un mendicante, di pregare per me». Nella stessa direzione vanno le sue
richieste ai giornalisti: «per favore, interpretatelo bene, tenendo presente il
contesto». Francesco «impoverisce» un linguaggio papale che, volendo essere
infallibile in ogni frase, era diventato comprensibile soltanto agli specialisti, per
entrare in dialogo con le persone, fiducioso nel fatto che chi ha buona volontà
«salverà le affermazioni del prossimo», come consiglia sant’Ignazio. Dietro lo
schietto «questo papa lo capisco» che dicono le persone semplici si nasconde
l’esperienza di essere stati «arricchiti».
Cade qui a proposito una delle interpretazioni che il Santo Padre ha dato di
questo versetto di Paolo, nel suo messaggio per la Quaresima 2014, dove ha
rilevato che in quella frase c’è lo stile e la logica di Dio, il modo di amarci di
Gesù con «questa sua “ricca povertà” e “povera ricchezza”», che sono «come
quelle di un bambino che si sente amato dai genitori». Diceva papa Francesco:
«Ci colpisce che l’Apostolo dica che siamo stati liberati non per mezzo della
ricchezza di Cristo, ma per mezzo della sua povertà. Eppure san Paolo conosce
bene le “impenetrabili ricchezze di Cristo” (Ef 3,8), “erede di tutte le cose” (Eb
1,2)». «Non si tratta di un gioco di parole», continua il papa, «di un’espressione
ad effetto! È invece una sintesi della logica di Dio, la logica dell’amore, la logica
dell’Incarnazione e della Croce. Dio non ha fatto cadere su di noi la salvezza
dall’alto, come l’elemosina di chi dà parte del proprio superfluo con pietismo
filantropico. Non è questo l’amore di Cristo! Quando Gesù scende nelle acque
del Giordano e si fa battezzare da Giovanni il Battista, non lo fa perché ha
bisogno di penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente»8.
Che cosa desideriamo mostrare con questo? Che questo sapersi situare
trascende qualsiasi struttura, per quanto alcune siano più d’aiuto rispetto ad
altre. Situarsi è un atteggiamento relazionale e importa che il luogo e il modo
prescelti prudentemente in ogni «situazione», per l’appunto, lascino scorgere
l’atteggiamento di fondo.
Dal «farsi poveri per arricchire con questa povertà», visto come proprio del
Vangelo, dalla sua dinamica d’inculturazione, fluiranno le riflessioni sulla
riforma della Chiesa che dovrà essere «riforma delle chiese», impoverendo
strutture astratte e rafforzando quelle di ogni diocesi e parrocchia concreta. Il
mettersi di cui il papa parla ai vescovi è un «mettersi inculturato» e si traduce,
per ogni pastore (sacerdote, vescovo o papa) nel suo legame indissolubile col
suo gregge, scansando la tentazione dei ministeri astratti, dei vescovi senza
popolo10.
Impoverire il ricettacolo
Dato che a farci ricchi è «la povertà» del Signore, il Vangelo che Egli ci invia ad
annunciare, i sacramenti che ci ha raccomandato e le strutture ecclesiali di
governo e di gestione devono condividere questo stile e questo modo di
situarsi del Signore. Non devono acquisire il carattere di «ricchezze» di cui, per
esempio, l’integrità vada conservata attraverso un’eccessiva preoccupazione di
evitare una contaminazione formale. Quando il Signore dice che ciò che
contamina l’uomo non viene da fuori ma dall’interno del suo cuore e dichiara
puri tutti i cibi, questo «fuori» e questi «cibi» non sono soltanto cose o un luogo
spazialmente definito, bensì parlano di un dinamismo dello Spirito che entra in
ogni vita così come gli viene incontro, come dice il papa, e la trasforma
progressivamente dall’interno. Lo Spirito scompiglia anche le tradizioni (la
circoncisione) e l’ordine temporale degli avvenimenti, come quando Cornelio e
la sua famiglia ricevono lo Spirito e poi vengono battezzati.
Il ricettacolo della misericordia, diceva il papa poco tempo fa, è il peccato. Sì, il
ricettacolo dell’infinita Misericordia di Dio è la povertà, la fragilità del vaso di
10 Per questo motivo renderà i vescovi più protagonisti circa questioni, per esempio, come
quelle di nullità matrimoniale, impoverendo i processi amministrativi e la moltiplicazione degli
interventi (cfr FRANCESCO, motu proprio Mitis et misericors Iersu, 8 settembre 2015).
argilla, la malattia dei malati e il peccato dei peccatori. Il Signore ci ha amati da
peccatori.
Questa dinamica del farsi poveri per ricevere e per dare non può fermarsi a
prodotti confezionati12, ovvero quelli che la Chiesa amministra, come a dire:
l’amore del Signore è infinito ma non posso dartelo se non in questo stampo
perfetto nel quale mi è stato affidato. Il Signore non ci si è dato in alcuno
stampo perfetto, ma nel suo corpo donato e nel suo sangue sparso. Dandone
un segno, Maria ruppe l’ampolla del profumo e il suo aroma profumò tutta la
casa.
Farsi poveri – fino a farsi peccato – per darsi non è un’eccezione alla regola che
può talora verificarsi e soltanto qualche volta, bensì è il modo proprio di darsi
per salvarci – nella povertà della carne a per la povertà della carne – che il
Signore esercita di continuo.
12 Nel trattare il tema della grazia il cardinale Müller ha fatto vedere il pericolo di limitare la
grazia a un «effetto creato» e lasciare da parte l’«autodonazione di Dio». Il fondamento
pneumatologico garantisce il primato dell’autodonazione e dell’autocomunicazione di Dio
(gratia increata) rispetto agli effetti creati della grazia nell’uomo. Sotto il profilo ecclesiale e
sotto quello sacramentale la grazia accade nello spazio storico ed escatologico del regno di Dio
che s’inizia in virtù dell’incarnazione di Dio in suo Figlio e con l’invio dello Spirito Santo ai cuori
degli uomini (cfr Rm 5,5) (cfr G. L. MÜLLER, Dogmatica Cattolica, Cinisello Balsamo, San Paolo,
1999, cap 12 III 12).
il papa ha toccato quel tema e ci si è soffermato mettendo molta enfasi in
quello che diceva, tanto che le sue parole mi sono rimaste impresse: «Non c’è
niente da riorientare. Si tratta di vedere bene dov’è il centro13, d’incentrarsi su
Cristo. Tutto ciò che non ha il centro in Cristo è disorientamento. Se ci
incentriamo su Cristo, lo Spirito Santo conduce la Chiesa come vuole. Ed è
quanto in effetti fa. La Chiesa va bene. Nella Chiesa c’è tanta santità! Tante
persone sante…».
Lo diceva a noi gesuiti nelle due messe celebrate al Gesù: «Se il Dio delle
sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta». L’immagine che il Santo
Padre ha in mente è quella dei primi compagni di Ignazio, Saverio e Favre:
«Favre prova il desiderio di “lasciare che Cristo occupi il centro del cuore”
(Memorie spirituali, 68). Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le
periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere
geografiche tanto che si diceva di lui: “pare che sia nato per non stare fermo da
nessuna parte” […] a [realizzare] tutte queste “pazzie” apostoliche»14.
13 «Cristo è al centro, Cristo è il centro. […] Oltre ad essere centro della creazione e centro
della riconciliazione, Cristo è centro del popolo di Dio. […] In Lui noi siamo uno; un solo popolo
uniti a Lui, condividiamo un solo cammino, un solo destino. Solamente in Lui, in Lui come
centro, abbiamo l’identità come popolo. […] e anche il centro della storia di ogni uomo. […]
Quando Gesù è al centro, anche i momenti più bui della nostra esistenza si illuminano, e ci dà
speranza, come avviene per il buon ladrone» (FRANCESCO, Messa a conclusione dell’Anno della
fede, 24 novembre 2013).
15 «Lo stemma di noi gesuiti è un monogramma, l’acronimo di “Iesus Hominum Salvator” (IHS).
[…] E questo porta noi gesuiti e tutta la Compagnia ad essere “decentrati”, ad avere davanti il
“Cristo sempre maggiore”, il “Deus semper maior, l'“intimior intimo meo”, che ci porta
continuamente fuori da noi stessi, ci porta ad una certa kenosis, ad “uscire dal proprio amore,
volere e interesse” (EE, 189)» (FRANCESCO, Messa nella chiesa del Gesù, 31 luglio 2014).
16 Ibid.
incentrarsi sull’azione concreta di misericordia che è sotto gli occhi e si può
realizzare qui e ora, quello stesso pensiero diventa straordinariamente creativo
ed è capace di esprimere vere e proprie opere d’arte, come vediamo nelle
istituzioni fondate dai santi.
Nel linguaggio interpersonale dell’amore risulta chiaro che colui che, nel
contesto di una relazione – di amicizia, di coppia, familiare o sociale – «si fa
povero» di qualcosa che possedeva come «proprio», e inoltre si spoglia dal
farne un «tesoro geloso», si arricchisce possedendolo in comune. L’amore
rivela che, in realtà, non c’è nulla che non sia comune.
La riforma degli atteggiamenti, che sintetizzano quel che siamo per carattere,
quel che ci è stato dato per grazia e la pratica di un modo di vivere scelto e
coltivato nel corso della vita, trova la sua fonte negli Esercizi spirituali, i quali
mirano a una riforma di vita che ci incentri sempre più su Cristo.
Può tornarci utile, dato che la parola «riforma» è storicamente connotata dalla
riforma protestante e dalla controriforma cattolica, situarci brevemente
nell’epoca di sant’Ignazio e guardare il suo compagno san Pietro Favre con gli
occhi di un gesuita contemporaneo, Michel de Certeau.
Tre anni dopo Favre proporrà a Lainez un metodo riguardo alla maniera di
comportarsi con i fratelli separati per riportarli alla fede cattolica. È un metodo
che segue il percorso inverso (rispetto a quello della defezione) e Favre
pronuncia una frase per noi suggestiva: «Il loro male non risiede né in primo
luogo né principalmente nell’intelligenza, ma nei piedi e nelle mani dell’anima
e del corpo. È necessario cominciare da quelli per poi venire a ciò che può
risvegliare in loro buoni sentimenti, e infine giungere, subito dopo, a quanto
attiene la rettitudine della fede»19
Favre racconta nelle sue Memorie spirituali che «notai allora e presi a sentire
come dei cristiani si allontanavano dalla Chiesa. Prima cominciavano a divenire
tiepidi nelle opere e nelle pratiche che rispondono alle grazie e ai doni diversi
fatti da Dio (MS, 218)»20.
Favre nota ciò che accade nel cuore di chi lascia la Chiesa e mira a quel cuore
per provocarne il ritorno. Non si cura degli effetti derivanti dalle dispute morali
e dalle giustificazioni teologiche. E trova la fonte del problema nel lasciare
«così sfuggire i doni effusi dallo Spirito», nel non riconoscere come un dono
18 Per quello che segue cfr. PIERRE FAVRE, s., Mémorial, Traduit et commenté par Michel de
Certeau, s.j., Paris, Desclée, 1960, p 70 ss. Per le citazione proprie di Favre cfr. PIETRO FAVRE,
Memorie spirituali, Milano, La Civiltá Cattolica - Corriere della Sera, 2014 (MS).
19 Ibid.
20 Ibid.
dello Spirito le grazie concrete che ciascuno ha ricevuto e che ci sono state
date per praticarle.
La chiave della visione di Favre, che de Certeau dice mistica, sta nel
«riconoscere che quanto si va praticando è grazia dello Spirito». Ciò si oppone
al pensiero idealista secondo cui lo Spirito dà doni ideali, dei quali nessuno è
mai all’altezza, e quel che di fatto ciascuno pratica è una sorta di frutto diluito,
più da parte propria tramite i difetti che dallo Spirito. Coloro che praticano
poco, sentono che quanto fanno è poco, più peccato od omissione che merito.
Quanti si concentrano sugli adempimenti pensano che sia per merito loro. Si
pensa alla grazia come bisognosa di «uno stampo ideale» in cui dev’essere
riversata. E tutta la discussione teologica gira attorno a questo stampo ideale,
mentre nella realtà l’amore di Dio si riversa nei nostri cuori nel momento in cui
pratichiamo il bene. Le pratiche e le opere concrete che un cristiano compie
sono grazia dello Spirito. I frutti delle pratiche traboccano dal «vaso d’argilla»
attraverso cui vengono compiuti.