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Nel secolo scorso, nella seconda metà degli anni ’30, Edmund Husserl tiene
alcuni cicli di conferenze tra Vienna e Praga; la pubblicazione del testo che
raccoglie i manoscritti in cui il fenomenologo raccoglie i temi di discussione
sono pubblicati postumi, nel 1959, con il titolo di Die Krisis der europäischen
Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie (ed. it. La crisi delle
scienze europee e la fenomenologia trascendentale). Interessante, però, è
soffermarsi sul titolo della conferenza tenuta nella capitale austriaca il 7
maggio 1935: La filosofia nella crisi dell’umanità europea.
Se l’umanità (europea) è veramente in crisi, perché un filosofo che è sempre
stato impegnato in difficoltà teoretico-metafisiche dovrebbe sentire l’urgenza
di affrontare questo problema che, tutto sommato, potremmo definire politico?
La risposta si trova nell’introduzione di questa stessa opera. Leggiamo, infatti,
che
vale a dire che nessuno può esercitare la propria razionalità di essere umano
se tenta di escludersi dalla rete di relazioni intersoggettive che costituiscono la
società umana, poiché è solo l’esser parte di quest’ultima che lo definisce
come animale razionale. Le radici di questa antropologia sono antiche, e
possiamo trovarle già nell’Aristotele della Politica, che sostiene che
Chi non può entrare a far parte di una comunità o chi non ha bisogno di
nulla, bastando a se stesso, non è parte di una città, ma o una belva o un
dio2,
2
3
4
5
Oggi questacome
espressioneallora,
sulla scorta essere
del significato«funzionari
Uso https://plato.stanford.edu/entries/collective-intentionality/
Cfr.
Ibidem. attribuitole da dell’umanità» vuolIndire
e https://isosonline.org/Info-on-social-ontology.
John Rawls in Political Liberalism (1993). confrontarsi
quest’opera, con
l’autore cerca di risolvere
la questione della compatibilità tra pluralismo e stabilità sociale posto già nel suo grande libro precedente, A Theory of Justice (1971). La soluzione
l’idea
viene cheda Rawls
individuata la socialità
nel consenso persia la caratteristica
intersezione (overlapping consensus), cioèspecifica e costitutiva
una forma di legittimazione dell’animale
di una società ben ordinata in cui
i cittadini aderiscono a una concezione politica liberale pur partendo da visioni comprensive differenti, poiché in ogni “visione del mondo” sarebbe
umano,
possibile trovareedelle
mettere in Illuce
ragioni per farlo. consensosecondo quali
ai principi liberali modalità
ed egualitari e politica
della giustizia in base a daquali
che risulta forme
questa ricerca di
sarebbe,
pertanto, di tipo morale, e non frutto di un compromesso superficiale e prudenziale, ossia un puro e semplice modus vivendi.
legittimazione questo vivere insieme (sia istituzionale che informale) sia
possibile e realizzabile alla luce principi razionali condivisibili a partire da un
consenso che non sia un passivo modus vivendi6, ma frutto di una critica
permanente che abbia come proprio obiettivo il continuo aggiustamento della
democrazia considerata non solo come forma di governo, ma come forma di
vita tesa a garantire che tutti gli esseri umani possano esprimersi in quanto
decisori dotati di ragione e fare la loro parte all’interno del gruppo-umanità.
Nel presente lavoro, cercherò di delineare all’interno della storia della filosofia
occidentale una linea di pensiero (fatta anche di discontinuità e confronti
serrati) che collega autori contemporanei influenti dell’ontologia sociale e della
teoria critica e comunicativa con capisaldi della tradizione filosofica,
accomunati, a mio avviso, dalla considerazione del dubbio come motore della
prassi democratica, al fine di far emergere spunti e punti di criticità di un
ambito tanto controverso in un contesto mondiale che ogni giorno deve
fronteggiare urgenze come la globalizzazione, l’immigrazione, il pluralismo
sociale, la distribuzione delle risorse, la svolta tecnologica
dell’ipercomunicazione pervasiva e la questione ambientale.
1.1. Searle
Guardando al panorama filosofico contemporaneo, non c’è dubbio sulla
centralità del campo di ricerca dell’ontologia sociale. Essa si definisce come
«the field of philosophy that investigates the nature of the social world and how
it works»7: le analisi di ontologia sociale coprono vasti ambiti del mondo
umano, che vanno dalla questione basilare della costituzione della società ad
entità complesse come il denaro, le leggi e gli Stati.
Uno dei maggiori poli d’interesse dell’ontologia sociale è costituito dai gruppi
sociali, e tutti i problemi ad essi connessi: esistono? Se esistono, come si
creano? Che statuto hanno? Quali sono le proprietà dei loro membri? Possono
agire in qualche modo?8
Gran parte degli esponenti di rilievo della social ontology ha provato a dare
risposta a questi interrogativi, arrivando anche a conclusioni tra loro non
compatibili o per lo meno di difficile armonizzazione. Risulterà pertanto utile
scegliere come punto di partenza il pensiero del “padre fondatore”
dell’ontologia sociale, John Searle (Denver 1932 - ). Allievo di Austin a Oxford e
continuatore innovativo della sua teoria degli speech acts, dalla fine degli anni
cinquanta è professore all'Università di Berkeley in California.
6
7
8
Searle
Searle
Cfr.
Tale
Ivi,
Ivi, p.
ivi
normatività
pp.
P. 3. di
cura
adatta
29.
33.
34.
John
p. Ad
33.R.,
30-31
presupposizioni
(cioè S(p) Lucia,
s’interroga
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Di “Credo
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soddisfacimento
mondo-a-mente,Reality,
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esempio
statisulle
nel casomodalità
intenzionali.dei desideri
Cfr. Searle in cui
e l’autoreferenzialità
(2010) glicausale
pp. 36-39. esseri umani
(cfr. tabella conciliano
2.1 dell’intenzionalità
a p. 47 op.cit.).
una realtà creata mentalmente (e che dunque comporta il suo sostegno al
realismo degli stati mentali) con un mondo che «consiste interamente di
particelle fisiche in campi di forza»9, ponendosi pertanto come obiettivo lo
stabilire in che modo quest’ultima sia costituita in quanto oggettività.
Allo stesso modo, nell’opera successiva, Making the Social World. The
Structure of Human Civilization (2010), Searle prende le mosse dalla
rilevazione della necessità di «una nuova branca della filosofia, che potremmo
chiamare “filosofia della società”»10 che renda conto del modo in cui viviamo
socialmente, ma sempre rispettando i “fatti di base” della teoria atomica della
materia e della teoria della biologia evoluzionistica e senza postulare una
tradizionale scissione tra mondo coscienziale e mondo fisico, e anzi
riconducendo tutti i fenomeni (fisici e coscienziali) a un solo e unico mondo. Su
quest’ultimo, gli esseri umani intervengono tramite una proprietà della mente
che, in dipendenza dagli stati neurali, le permette di rapportarsi con l’esterno
del suo interno. Searle la chiama – riprendendo attraverso Brentano la teoria
dell’intentio di matrice scolastica – ‘intenzionalità’, cioè «la capacità della
mente di essere diretta verso, o di essere a proposito di, oggetti e stati di cose
del mondo in modo indipendente da se stessa»11.
Non tutti gli stati mentali sono intenzionali, poiché gli stati intenzionali sono
sempre «a proposito di qualcosa»12: per precisare questo punto, è utile rilevare
l’isomorfismo che vige tra atti linguistici e stati intenzionali 13. Come negli atti
linguistici ( F(p) ) si distingue una forza illocutiva F e un contenuto
proposizionale p, gli stati mentali ( S(p) ) sono dire che sono, per così dire,
riempiti da un contenuto proposizionale p (“Credo che pioverà”, “Ho paura che
pioverà”, “Mi piacerebbe che piovesse”…) che possiamo distinguere dal tipo di
stato (modo psicologico) S che abbiamo (credenza, paura, desiderio…).
Inoltre, gli stati intenzionali hanno una direzione di adattamento o, con la
nuova terminologia che Searle introduce rispetto alle opere precedenti, «
“responsabilità” per l’adattamento»14: con questa espressione, l’autore si
riferisce al tipo di relazione che lo stato mentale istituisce tra la mente e il suo
oggetto, e che contiene una normatività intrinseca 15 che ci permette di
stabilirne le «condizioni di soddisfacimento»16.
Un particolare stato intenzionale è quello dell’intenzione nel senso comune del
termine, cioè il proponimento di raggiungere un fine, di fare qualcosa. Searle
distingue due categorie logiche a proposito di questi stati: le intenzioni
9
10
11
12
13
14
15
16
precedenti
Ivi, p.
Ibidem.
p.40.
p.44.
41. o piani (plans), che si formano prima dell’azione (ma non sono
necessari a tutte le azioni, per cui si può anche agire d’istinto, senza alcun
proponimento a guidarci), e le intenzioni-in-azione, cioè quelle intenzioni che
accompagnano l’azione in quanto sue componenti e che l’autore assimila alla
portata di senso del “provare” (to try): quando intendo compiere un’azione,
provo a svolgerla: «se l’azione è eseguita con successo, l’intenzione-in-azione
causa il movimento corporeo»17, altrimenti il mio tentativo non è riuscito. A
questo proposito, occorre considerare in che modo l’autore spieghi la struttura
delle «azioni complesse nelle quali si fa qualcosa compiendo qualcos’altro» 18,
come nel caso del voto per alzata di mano:
Queste non sono due azioni separate – alzare la mano e votare – sono
piuttosto due livelli di descrizione di due differenti aspetti di un’unica
azione. Alzare la mano destra in questa circostanza costituisce il votare.
Io voto con (by way of) l’alzare la mano.
Un altro tipo di azione complessa si ha quando qualcuno intenzionalmente
fa qualcosa che causa il succedere di qualcos’altro. Per esempio, quando
sparo un colpo di pistola per mezzo (by means of) della pressione sul
grilletto19.
Si deve fare uno sforzo continuo. Così, vi sono almeno tre cesure o,
piuttosto, tre parti di un’unica cesura continua nell’azione intenzionale
tra i fenomeni intenzionale in ogni singola fase e la continuazione fino alla
fase successiva: la cesura tra ragioni e decisione (la formazione di
17
18
19
20
la un’intenzione
Ivi, p. 54.
Riporto
Ibidem. 50. definizione della Stanford precedente), la «This
Encyclopedia of Philosophy: cesura traintroduced
doctrine was decisione e messa
as a methodological inthe social
precept for attosciences by
Max Weber, most importantly in the first chapter of Economy and Society (1922). It amounts to the claim that social phenomena must be explained by
showing how dell’azione (intenzione-in-azione)
they result from individual actions, which in turn must bee,explained
per le azioni
through complesse,
reference la cesura
to the intentional states tra
that motivate the individual
actors» (cfr. https://plato.stanford.edu/entries/methodological-individualism/ ).
messa in atto dell’azione e la sua continuazione fino al suo
completamento. In filosofia c’è un nome tradizionale per questa cesura:
“libero arbitrio”21.
La “cesura” divisa in più parti a cui si riferisce Searle come “libero arbitrio” è
lo spazio in cui si esercita la razionalità dell’individuo, il momento del vaglio
critico. È l’ambito del dubbio e della determinazione dei mezzi per conseguire
l’azione. La libertà davanti a cui ci si trova al momento di prendere una scelta
pone non pochi problemi, soprattutto se facciamo riferimento a situazioni in cui
non agiamo da soli, ma come parte di un gruppo. Infatti, è importante notare
che «mentre si può ordinare a qualcuno di fare qualcosa, non si può ordinare a
qualcuno di avere un’intenzione precedente» 22: anche all’interno di un gruppo i
cooperatori non possono, a parere dell’autore, causare individualmente le
intenzioni degli altri partecipanti, il che costituirà un’ulteriore “spaccatura”
che risulterà colmabile solo attraverso la credenza che gli altri abbiamo
intenzione di collaborare.
Per rendere conto della portata di tali difficoltà, occorre introdurre la nozione
d’intenzionalità collettiva (we-intentionality). Essa racchiuderebbe tutte le
«forme d’intenzionalità alla prima persona plurale» 23, e sarebbe la stessa
capacità della mente di orientarsi verso qualcosa, ma avendo un “noi” come
soggetto che intende compiere tale azione o che crede in tale cosa.
Questa definizione, però, non basta ad esaurire il senso della we-
intentionality:anche prendendola per buona e scartando la possibilità di
teorizzazione di una mente di gruppo poiché non supportata da alcun fatto di
base, non si capirebbe come una pluralità di persone possa causare
autoreferenzialmente un’azione collettiva (e quindi muovere diversi corpi)
tramite un’intenzione-del-noi alla stessa stregua di come un singolo individuo
causa la sua azione attraverso la sua stessa intenzione ad agire, soprattutto se
abbiamo assunto come principio-guida l’inviolabilità del fatto di base per cui
l’intenzionalità risiede in un determinato cervello ed è causata da precisi stati
neuronali. Searle si scontra pertanto con le difficoltà derivanti dall’aderire a
una posizione d’ individualismo metodologico24, per cui «il pensiero è tanto
naturale quanto lo è il digerire» 25, ma di essere anche assertore
dell’irriducibilità del “noi” all’ “io”.
Egli argomenta che generalmente la posizione riduttivista è invece accettata
dai teorici dell’ontologia sociale, che per schivare lo spettro della mente di
gruppo attuerebbero una forma di riduzione per cui «tutti gli enunciati nella
forma del “noi intendiamo” fatti da tre persone qualsiasi A, B e C si debbano
21
22
23
24
25
ridurre
Cfr.
Ivi p.
Cfr.
Un
Ivi, esempio
ivi
p.
p.63.
Searle
59.
60.
61.
p.66.John
Phenomenon”,
mezzo (by means
aR.,of)“io,
controverso
Searle propone
Creare
in Midwest
ilcome
potrebbe
la spinta
come
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Studies
essere
esempi
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A,
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in Philosophy,
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di relazione
ed.cit.
del camminare
pp.60-61.
e il rilascio della
piùJane “io,
causale nell’intenzionalità
15,1990,
frizione
insieme
pp. 1-14.
proposto
dell’altro oha
come
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Gilbert,
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al di là dei
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da Gilbert, concertoA,in cui
che evocano Bun’idea
unepianista
C»
forte26 . obblighi
ediun Questa
violinista, con (operazione,
e vincoli,
bychiedere al proprio per
way of) l’esecuzione
compagno
delle loro parti,
di passeggiata
fanno un duetto.
di rallentare un po’ sia accompagnata da buone ragioni.
Searle, non è richiesta per rendere conto di una we-intention, perché nessuno
tra i fatti base sembra contraddire che sia possibile avere delle intenzioni-del-
noi, seppur sempre accompagnate da I-intentions affinché questa intenzione
possa effettivamente muovere i singoli corpi. Il «controesempio generale
contro tutti i tentativi [a me] noti di ridurre l’intenzionalità collettiva
all’intenzionalità individuale»27 che fornisce Searle è quello dei laureati della
Harvard Business School28. Per semplicità, mi limiterò a indicare che la
differenza tra i due esempi è che se nel primo i laureati decidono di mettere in
pratica la teoria della mano invisibile di Smith per fare del bene all’umanità
ognuno indipendentemente dall’altro, senza alcuna cooperazione, nel secondo
caso i laureati giurano di agire nel modo più egoistico possibile con un patto
solenne che li vincola gli uni agli altri sia per le modalità di questa azione
(egoismo secondo la teorizzazione smithiana) che per il fine (provare ad aiutare
l’umanità):
C’è una differenza enorme tra i due casi poiché nel secondo c’è un
obbligo assunto da ogni singolo individuo. Nel primo caso, gli individui
non fanno alcun patto o promessa per agire in questo modo. Se qualcuno
cambia idea, questa persona è libera di mollare in qualsiasi momento e
andare a fare volontariato. Invece, nel secondo caso, c’è una promessa
solenne (demand) fatta da ognuno a tutti gli altri29,
promessa che crea delle aspettative e degli obblighi che i laureati dovranno
rispettare e che, a seconda della natura del patto, potrebbe anche mettere gli
altri nelle condizioni di chiedere ragione 30 per un eventuale abbandono
dell’intenzione-del-noi. Questo è un alto livello di cooperazione, ma ne esistono
anche di meno forti che non fanno capo ad alcuna promessa, ad esempio la
«forma prelinguistica di intenzionalità collettiva»31 che ci permette di
scambiare domande e attenderci delle risposte sensate in una contesto
conversazionale.
Come individualmente riusciamo a compiere azioni, allo stesso modo riusciamo
a fare qualcosa anche collettivamente, sia istituendo relazioni causali sia
relazioni costitutive. Nella vita quotidiana gli esempi sono innumerevoli 32, ma
in ognuno di essi ciò che va tenuto presente è che
Dire che l’intenzionalità è collettiva è dire che ogni agente deve assumere
che gli altri membri del gruppo stiano facendo la loro parte. […] Vuol dire
26
27
28
29
30
31
32
Per Johnche
Ivi,dovere
Ibidem.
Searle
p. 71.
66. diR., Laognuno
cronaca
Creare
costruzione
preciso
il mondo
chedeve
della
sociale,
nel realtà assumere
paragrafo
ed.cit. p. 6.ed. cit. p. che
sociale,
“L’IMPOSIZIONE 38. DIgli altri abbiano
FUNZIONE” (Searle John R.,un’intenzione-in-azione
Creare il mondo sociale, ed.cit. pp.74-76), Searle
si occupa in generale delle funzioni agentive, cioè quelle che impongono agli oggetti una funzione quando vengono usati per uno scopo, abilità
comune anche che hafamiglie
a certe lo stesso
di animali scopo,
non umani. In laquesta
stessa
sede mi“B collettiva”,
concentro mentre
solo su quelle di la allontanarmi
status per non singolatroppo A può dagli argomenti
in esame. 33
essere differente perché ogni persona può eseguire solo la sua azione A .
33
34
35
36
37
38
Ibidem.
Ivi, p. 72.
p.73.
8.
75.
73. I poteri deontici hanno una caratteristica unica, non comune e forse
sconosciuta nel regno animale: una volta riconosciuti, ci forniscono
ragioni per l’azione che sono indipendenti dalle nostre preferenze o dai
nostri desideri39,
39
40
41
42
43
44
indifferenza,
Cfr.
Tuomela
Ibidem.
Ivi,
Faccio
Emergenza:
p.
pp.82.notare
quest’opera
Searle
in his 1875
4-5.
op.
Raimo,
cit.,
«A
ha inteso
chevariety
dove
Social
Problems
verranno
Tuomela
la sua
da
prudenza
Tuomela
of
Ontology.
theorists
dà ainfatti
ofposizione
me
pp.Collective
Lifetradotte
have
9-10
and Mind.
nelda2015:
qui
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utilizza addirittura
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dell’op.
Intentionality
l’espressione
Weinmight
cit. una
« avanti.
We can
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roughly
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«seconda
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and Groupnatura»
d’individualismo
for
characterize
Agents,
their per
the core the
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Oxford
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consists
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riferirsiQual
45University
ever
meaning
al mondo è ilNew
since Press,
George
delle
che grado
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appare
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Henry
York
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almeno
Lewes
2013.diLe responsabilità
sociali.
gave
predicates
discostarsi
citazioni
it a philosophical
(properties
that refer
daltratte
modo
or substances)
dainsense
cui
to individuals’
‘arise’
che
psychological
out of morepotrebbe
or (broadly) attribuirsi
fundamental physical
entities properties
and yet are ofathequest’ultima
‘novel’
kind that
or ‘irreducible’
do not involve,categoria?
withor respect
presuppose,
to them». O,Cfr.per
irreducibile socialrendere
Stanford
groups, or groupancora
Encyclopedya properties».
of Philosophypiù
Se
intendiamo come proprietà di un gruppo la capacità dei
(https://plato.stanford.edu/entries/properties-emergent/ ) suoi membri di avere un’intenzione collettiva, allora Tuomela dovrebbe rivedere questa
evidente
definizione alla lucel’urgenza di affrontare questo tipo di discussioni: qual è la
di Creare il mondo sociale.
responsabilità che noi cittadini dell’Unione Europea abbiamo nei confronti
delle politiche inumane recentemente attuate per quanto riguarda
l’accoglienza (mancata) dei migranti o la crisi ambientale e climatica?
1.2. Tuomela
La posizione di Tuomela è molto vicina a quella di Searle 50, poiché anche lui
ritiene che non sia possibile ridurre tutti gli stati mentali collettivi espressi
nella forma del we-mode, secondo la sua terminologia, a stati mentali
individuali I-mode, ma che questi ultimi abbiano priorità ontologica (per il
principio per cui tutte le intenzionalità risiedono in un cervello) e che
costituiscano la condizione di esistenza del we-thinking e we-acting, così come
delle we-intentions: questi stati we-mode, però, una volta emersi51, saranno
irriducibili alle singole intenzionalità I-mode. Né l’individualismo né il
collettivismo, dunque, sono sufficienti a descrivere tutta la realtà, ma
45
46
47
48
49
50
51
adeguatamente
Ivi,
Cfr.
Cfr.p.
Rousseau
Ivi,
Tuomela,
Ibidem.
Tuomela,
p.
p.97.
op.47.
13.
47.
26.
che esiste
Milano
group
Cfr.
cit.
agent
Cfr.
op.
Jean-Jacques,
Tuomela
2017.
pp.
con
cit.
op.
anche
94-95.
soltanto
with
Tuomela
P.80.
p.
cit.aggiunge
94.
which
con
p. 93.
Du
Searle
perchéthey
2013,integrati
contrat
anche
2015,
noi come
p. 22:
pensiamo
questo
social,
p.«If
49:aèou
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group
che esiste
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«L’immaginazione
compatibile
principes
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is regarded
richiede
du
con
droit
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una
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san spiegare
politique,
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itentional
un ruolo
certo grado
itin
communitarian
1762.
nella
group
Ed.
nostra
agent, ittoto
Il contratto
its d’immaginazione».
view».
teoria
is based il itsmondo
dell’ontologia
sociale
on trad.
members’
sociale sociale.
da J. Bertolazzi,
regarding
poiché la creazione
and Questo
Feltrinelli
constructing
diEditore,
una realtà
goals, views, and norms as their own and, so to speak, living up to the group,
it as a
punto
when functioningdi asvista, chepartloof their
group members, stessoneutral deautore
facto authoritydefinisce «collettivismo
to act. They function as if they were limbs ofdebole»
a collective body, , è un
52 to adopt an
apt metaphore».
collettivismo concettuale , che vede i gruppi come 53
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
Ciò
Ivi,
Rousseau, che
p.p.6.24.
Searle
Tuomela,
Ivi,
Ibidem. Johnop.
R.,
op. Rousseau
cit.
Creare
cit.p.p.6.97il designa
. mondo sociale, come volontà particolare, cioè quella a difendere i
ed. cit. p. 60.
propri interessi privati, è per Tuomela l’I-mode, cioè «il senso più debole
dell’intenzionalità collettiva»63, che richiede semplicemente che «gli agenti
abbiano una disposizione con lo stesso contenuto e che credano
reciprocamente di averlo»64: ogni individuo ha dei propri scopi e obiettivi, e
crede che anche gli altri abbiano i loro; nonostante questa credenza reciproca,
non c’è alcuna messa in comune di tali fini, non c’è alcuna azione a favore del
gruppo, per cui siamo di fronte a quello che potremmo definire un
atteggiamento egoistico e privo d’intenzionalità collettiva o, per richiamare
l’esempio searleano, a un atteggiamento analogo a quello del primo caso dei
laureati della Harvard Business School65.
La mera somma delle volontà particolari è per Rousseau la volontà di tutti, con
la precisazione che «togliete da queste stesse volontà il più e il meno che si
annullano reciprocamente, resta, come somma delle differenze, la volontà
generale»66: così si specifica che essendo parte di una volontà generale, al di là
delle piccole o grandi differenze tra i cittadini, esiste un “fondo” di principî a
cui tutti aderirebbero e che sono appunto alla base del loro vivere in comune.
Tuomela sembra accostare, seppur con le dovute cautele, la sua concezione
dell’I-mode pro-group a questa volontà di tutti: questo tipo debole
d’intenzionalità collettiva « consiste nel funzionare come una persona “privata”
ma almeno in parte per il gruppo quando è in un contesto di gruppo» 67, e
potrebbe essere espresso linguisticamente come«“Io farò la mia parte per la
nostra azione congiunta X”»68, ma senza una piena adesione alle ragioni di
gruppo, cioè quelle motivazioni per l’azione che emergono dall’intesa dei
membri del gruppo e che, dunque, non sono riducibili alle semplici ragioni
individuali, ma acquistano autoritarietà dal loro essere in concettualmente in
direzione top-down (dal livello del gruppo a quello dei singoli membri), anche
se ontologicamente esse sono bottom-up.
Tuomela scrive che gli I-moder pro groups non hanno «la piena “togetherness-
we” che soddisfi la collectivity condition ed esprima l’identificazione sociale dei
membri con il gruppo a cui ci si riferisce» 69: partecipano all’azione collettiva,
ma lo fanno anche per motivazioni personali, senza sentirsi vincolati alla
soddisfazione di tutti i membri del gruppo al compimento dell’azione. Occorre
notare che per Searle questa sarebbe una condizione di soddisfacimento
sufficiente per l’intenzionalità collettiva: faccio la mia parte credendo che gli
altri faranno la loro, per cui il secondo caso dei laureati della Business School
sarebbe forse assimilabile a questo atteggiamento nei confronti del gruppo.
63
64
65
66
67
68
69
Tuomela,
Ibidem.
p. invece, intende la collectivity condition in un senso ancora più forte:
Ivi, p.86.
p.42.
40.
85.
27.
43.
71
72
73
74
75
76
decisioni
Ibidem.
Ivi, p.63.
p.65.
p. 40.
62.
73.
74. che gli altri membri devono rispettare o per lo meno «accettare» 77
(con la precisazione che è sempre possibile cambiare idea e abbandonare il
gruppo previa approvazione degli altri partecipanti).
Essere we-moder all’interno di un gruppo significa «essere sulla stessa
barca»78, cioè condividere obiettivi, successi e insuccessi, ma anche essere
legati da un principio di solidarietà per cui si è «tutti per uno, uno per tutti» 79,
pensare in termini di collettività e creare le condizioni affinché il gruppo
continui ad esistere e a rimodularsi ogni qual volta se ne presenti la necessità.
In queste condizioni, pur non essendo se non concettualmente un solo corpo, è
possibile avere un’intenzione collettiva. Tuomela recepisce la formulazione
searleana dell’intenzionalità sia per quanto riguarda l’autoreferenzialità
causale (scrive che «serve a iniziare, controllare e guidare l’azione» 80), sia per
quanto riguarda l’aspetto fallibilistico del “provare”, sia, infine, per la
suddivisione interna tra intenzione precedente e intenzione-in-azione.
Traslando questa descrizione sull’intenzione collettiva, Tuomela afferma che
essa connette tutti i we-thinking e i we-intending dei membri del gruppo come
fosse un «ponte concettuale e metafisico»81 e che
77
78
79
80
81
82
83
84
Ivi, p. 18.
Searle,
Bratman
Bratman,78. qualche
Creare
Michael
op. cit.
il mondo
p.E.,341. modo
“Shared
sociale, una
Cooperative
ed. cit. parte
p. 69.
Activity” formalizzata
in The o Vol.
Philosophical Review, “fetta”
101, Issuedell’intenzione collettiva
2, pp. 327-341, Cornell University 1992.
dei partecipanti85.
Non mi pare che una concezione del genere possa condurre a gruppi totalitari,
e anzi trovo che Tuomela riesca a cogliere una delle principali urgenze della
nostra attualità, cioè quella di educare 86 sin dalla prima infanzia alla
cooperazione e alla condivisione di idee come strumento per arrivare a
produrre soluzioni innovative in grado di tenere testa alle grandi sfide dei
nostri tempi; nonostante questo, la teorizzazione dei gruppi agenti che egli
fornisce potrà senz’altro apparire molto forte a rigidi sostenitori di posizioni
individualistiche e neoliberali.
D’altronde, il richiamo al coordinamento interpersonale è un punto di
discontinuità con la teorizzazione searliana, che non sembra prevedere, se non
a livello di planning, la possibilità d’ingerenza da parte dei partner dell’azione
nella realizzazione di quest’ultima: Tuomela, invece, sostiene che una
collaborazione nel senso forte del termine vada mantenuta anche per
l’intenzione-in-azione, che consideriamo seguendo anche Searle come una
componente dell’azione stessa. Se, per fare un esempio pratico, Searle scrive
che nel gioco del football87 l’uomo della linea offensiva non ha bisogno di
sapere di quanti passi si muoverà il quarterback prima di far partire il
passaggio, ma che farà il suo compito credendo che gli altri abbiano queste
aspettative su di lui, Tuomela potrebbe rispondere che nulla vieta al giocatore
di urlare ai compagni quale schema (già pensato e provato mille volte durante
gli allenamenti) stia pensando di applicare in modo che tutti possano disporsi
in campo nelle corrette posizioni e, come un organismo ben funzionante,
permettere al quarterback possa correre a fare meta, cioè fare in modo che
possa concretizzare l’obiettivo di tutta la squadra con la conseguente
soddisfazione collettiva.
1.3. Bratman
Le analisi di Tuomela e Searle che abbiamo partono dall’assunto che la
riducibilità concettuale della we-intentionality sia, da un lato impossibile,
dall’altro non necessario. Di diverso avviso è Michael Bratman (1945- ), che in
Shared Cooperative Activity88 (1992) proclama che il suo account della SCA ha
«uno spirito diffusamente individualistico; perciò prova a capire cosa sia
distintivo della SCA in termini di atteggiamenti e azioni degli individui
coinvolti»89. Certo, se è possibile effettuare riduzioni su gruppi che constano di
due o tre elementi, non si è in grado di dire fino a che punto questo metodo di
analisi sarebbe potuto risultare adatto a rendere conto dell’attività di
un’istituzione o di uno Stato, ma le considerazioni di Bratman sulle SCA di un
85
86
87
88
89
paio
Ivi,
Ivi,p.
Ibidem. di individui
p.328.
pp.331-332.
p.332.
330. risultano utili per approfondire ulteriormente la descrizione
del mondo sociale.
Iniziamo da una difficoltà già riscontrata in Searle. Si dia il caso che due agenti
abbiano entrambi una qualche ragione che li spinge ad avere un’intenzione a
favore di un’azione da fare insieme. Bratman sostiene che
Anche Bratman, quindi, si scontra con il dato biologico per cui non è possibile
che un corpo venga mosso se non dall’intenzionalità che superviene dal suo
cervello. Tuttavia, le azioni e le restrizioni sono a a suo parere 91 sottoposte a
vincoli diversi e, come anche Searle e Tuomela, Bratman accetta la scansione
interna all’intenzionalità (intenzioni-precedenti o piani, intenzioni-in-azione e
azione), e ammette che almeno nella dimensione delle «future-directed
intentions in quanto elementi di piani parziali» 92 sia possibile che un individuo
pianifichi una joint action con un altro: in questo senso, una delle
caratteristiche che Bratman elenca tra quelle della SCA è «l’impegno a favore
della joint activity»93, vale a dire un interesse ad agire cooperativamente e
almeno un senso (quello del planning) in cui è possibile una tale attività.
Ad accompagnare l’intenzione della joint activity, però, possono esserci dei
subplans, cioè delle intenzioni che sono personali e hanno a che fare con i
mezzi con cui si vuole realizzare l’attività congiunta: « Ciò potrebbe
suggerire che la SCA richieda accordo nei subplans degli agenti. Ma questo è troppo
forte»94. Per Bratman, infatti, ci sono dei subplans che semplicemente non
possono coesistere, perché
91
92
93
94
95
96
(anche
Tuomela,
Cfr.
Ivi, p.
Bratman
337.op.
Bratman, formato
op.cit.
p.
cit.335.
p.
p.48.
328. da due elementi minimi) che rispetti i subplans dei suoi membri
significa anche concedere a questi ultimi lo spazio necessario per mettere in
dubbio e ridiscutere le loro “intenzioni di partenza” sulla base della nuova
condizione che li vede parti di un gruppo. Trovo, in questo senso, molto più
convincente la posizione di Tuomela, il quale sostiene che
Aristotele, Politica, ed. it. a cura di C. A. Viano, Rizzoli Libri S.p.A/ BUR Rizzoli,
Torino 2017.
Bratman Michael E., “Shared Cooperative Activity” in The Philosophical Review, Vol. 101, Issue 2,
pp. 327-341, Cornell University 1992.
Schmid Hans Bernard, Being well together. Aristotle on joint activity, plural
self-awareness, and common sense, Proceedings of the 37th International
Wittgenstein Symposium, Berlin, De Gruytier.
Searle John R., The Construction of Social Reality, 1995. Ed. it. La costruzione
della realtà sociale, trad. da A. Bosco, Einaudi editore, Torino 2006.
Searle John R., Making the Social World. The Structure of Human Civilization,
2010. Ed. it. Creare il mondo sociale. La struttura della civiltà umana a cura di
P. Di Lucia, trad. da G. Feis, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015.