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Lezione n°18 del 16/05/2017

Materia: Immunologia
Appunti di: Elisa Brambilla
Argomenti: fattori scatenanti dell'autoimmunità, auto-anticorpi e patologie correlate,
artrite reumatoide e sindrome da antifosfolipidi

Il professor Sozzani avvisa che la lezione di oggi sarà svolta dalla reumatologa e professoressa Andreoli,
che incontreremo anche al quinto anno. Il fine di questa lezione è capire come i concetti affrontati nel corso
del semestre siano applicabili all'ambito clinico, soffermandoci in particolare sul significato diagnostico
della presenza di alcune molecole, gli auto-anticorpi, in un paziente. Il professore infatti, specifica che
sapere la patogenesi delle malattie e il funzionamento del sistema immunitario serve per capire l'azione dei
farmaci, i pathway molecolari che essi vanno a colpire e, di conseguenza, anche le terapie più afficaci per
contrastare le manifestazioni di una patologia autoimmune.

MALATTIE AUTOIMMUNI SISTEMICHE E AUTO-


ANTICORPI: PARADIGMI DELLA PERDITA DI
TOLLERANZA IMMUNOLOGICA
L'immunologia è strettamente collegata alle altre discipline mediche, tanto che i primi farmaci biologici, gli
anti-TNF, sono stati gli introdotti inizialmente in reumatologia, per poi diffondersi anche in molti altri ambiti
specialistici, tra cui la dermatologia. Tali farmaci sono stati utilizzati per la terapia di patologie autoimmuni,
che possono colpire molteplici organi e apparati.

L'autoimmunità è l'errore che il sistema immunitario compie riconoscendo le cellule self come bersaglio.
Queste patologie hanno una base multifattoriale, infatti ognuno di noi può avere una certa quota di
aggressione verso il self, ma come abbiamo appreso studiando i meccanismi della tolleranza centrale e
periferica, i linfociti che potenzialmente possono riconoscere ed attaccare il self dovrebbero essere
selezionati ed eliminati. Questo meccanismo che conserva solo le cellule tolleranti verso il self talvolta può
essere deficitario e le malattie autoimmuni ne sono un chiaro esempio.
Una delle cause alla base di tali patologie è un terreno genetico predisponente. Perché allora le malattie
autoimmuni non sono congenite? Innanzitutto la predisposizione genetica è poligenica e complessa, infatti
sono coinvolti molti geni codificanti per varie proteine, ognuna con differenti funzioni, quindi, a seconda
della combinazione delle alterazioni del genoma del singolo individuo si produce un certo fenotipo malattia.
Inoltre la patologia è imprevedibile, essendo latente può emergere nel corso della vita in relazione a fattori
ambientali scatenanti, che attivano il terreno genetico predisposto. L'insieme di questi fattori agisce
sull'immunoregolazione, inducendo una disfunzione dei meccanismi immunologici e il manifestarsi dei
sintomi della malattia. Riassumendo, le malattie autoimmuni sono influenzate da:
• Predisposizione genetica
- Genetica: geni HLA e non-HLA
- Epigenetica: influenza il fenotipo malattia e la risposta ai farmaci somministrati. Tali processi sono oggetto
di studio della farmacogenomica.

• Fattori ambientali (sono molteplici)


- Agenti infettivi: sono il target del sistema immunitario, ma agiscono come arma a doppio taglio, infatti in
presenza di un sistema immunitario alterato, possono essere lo stimolo per l'insorgenza di malattie
autoimmuni
- Microbioma: è il sistema di microorganismi che vive sulla superficie e all'interno del nostro corpo, negli
ultimi anni lo studio di tale sistema è al centro dell'attenzione di molti ricercatori. Il microbioma è la stazione
di interscambio tra i vari sistemi del nostro organismo, infatti quest'insieme di germi è in stretta connessione
col sistema immunitario. Uno stile di vita errato, come una dieta sbilanciata o l'uso cronico di farmaci, causa
una disbiosi, cioè un'alterazione del microbioma. Anche fattori genetici o legati al sesso dell'individuo
contribuiscono a tale equilibrio. Di conseguenza, anche il sistema immunitario, strettamente correlato al
microbioma, risente di queste alterazioni, specialmente a livello intestinale.

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Nell'intestino c'è una grande quantità di cellule immunitarie, basti pensare alla presenza delle placche del
Peyer e del MALT, quindi una disfunzione a livello dell'organo, se non curata, può trasformarsi in una
malattia sistemica.
Da numerosi studi è emerso che tutti i malati autoimmuni sistemici hanno una flora intestinale alterata, essa
ha favorito l'insorgenza della malattia interagendo col sistema immunitario in modo sia diretto che indiretto.
Per ripristinare il microbioma e migliorare le condizioni dei pazienti di sta studiando il trapianto fecale,
terapia che finora ha portato ad ottimi risultati.
- Fumo: contiene migliaia di sostanze tossiche e cancerogene ed è tra i fattori scatenanti di molte patologie
- Esposizione al sole: i raggi UV danneggiano la cute generando la necrosi massiva delle cellule epiteliali,
con conseguente formazione di detriti cellulari. Questi residui, se non vengono rimossi correttamente dal
sistema immunitario, possono dar luogo a malattie autoimmunitarie rivolte contro gli antigeni nucleari
presenti nei detriti. Per questo motivo i pazienti colpiti da tali patologie devono evitare di esporsi al sole.
Uno degli effetti collaterali della non esposizione alla luce, però, è il calo di vitamina D, dotata di proprietà
immunoregolatorie. L'80% della vitamina D si forma nella cute, sotto l'azione degli UVB (e non degli UVA,
quindi le lampade sono inutili, sono usate solo a scopo estetico)
- Droghe
- Dieta e fattori nutrizionali (ad esempio la vitamina D)
- Esposizione occupazionale: sostanze inerti depositate nei polmoni stimolano cronicamente il sistema
immunitario, causandone alterazioni
- Farmaci: possono generare una stimolazione anomala del sistema immunitario

Tutte queste componenti ambientali arrivano alle APC (Antigen presenting cells) e subiscono il processo
dell'epitope spreading, in questo modo fanno sì che si attivino i linfociti T o B autoreattivi, responsabili delle
malattie autoimmuni sistemiche o organo-specifiche. Le patologie sistemiche hanno un possibile
coinvolgimento di tutti gli organi e apparati e liberano dei marcatori circolanti nel sangue, che consistono in
autoanticorpi. La loro presenza è indice di una risposta immunitaria verso gli antigeni del self. Le malattie
autoimmunitarie organo-specifiche sono invece molto più frequenti, alcuni esempi sono: celiachia, tiroidite
autoimmune, malattie infiammatorie intestinali (la cui frequenza sta aumentando) e malattie neurologiche
come la sclerosi multipla.
L'autoimmunità è presente trasversalmente in tutti i campi della medicina, specialmente in reumatologia, che
si occupa delle malattie sistemiche e più imprevedibili. Comprenderne l'origine non serve solo per elaborare
una terapia, ma anche per attuare una prevenzione primaria, ad esempio tenendo sotto controllo i fattori
ambientali che ne stimolano l'insorgenza. La molecular mimicry di microorganismi e xenobiotici ha un ruolo
fondamentale, infatti è la somiglianza con una proteina del sistema del self a disorientaree indurre in errore il
sistema immunitario.
Tra i fattori che stimolano le manifestazioni autoimmunitarie ci sono gli adiuvanti e a tal proposito sono
emersi diversi dibattiti, infatti tali sostanze sono contenute anche nei vaccini e sono molto potenti, ma è bene
ricordare che non oscurano mai i benefici portati dalla vaccinazione, la quale garantisce protezione verso
malattie severe o mortali, soprattutto in caso di pazienti immunodepressi.

AUTOANTICORPI
Si è cercato di studiare come i singoli fattori endogeni ed esogeni interferiscano sull'equilibrio tra tolleranza
immunologica ed autoimmunità, ma essendo condizioni multifattoriali e poligeniche è difficile individuare
precisamente un solo fattore scatenante della malattia o il motivo per cui un paziente si è ammalato. Per
riuscirci è indispensabile conoscere i meccanismi della tolleranza e la patogenesi della malattia .
A tal proposito, nella pratica clinica si possono individuare nei pazienti dei segni e sintomi, spia di una
condizione patologica, ma non è facile ipotizzare una diagnosi solo sulla base di tali criteri, ad esempio
l'infiammazione articolare non è specifica di una sola malattia, ma abbiamo bisogno della presenza di un
autoanticorpo, che è un prodotto specifico, per capire che si tratta di una sindrome autoimmune.
L'autoanticorpo infatti ci indica che il sistema immunitario ha reagito contro una protena/antigene self.
Talvolta ci sono autoanticorpi attivi anche in individui sani, non è necessariamente la loro presenza che ci
consente la diagnosi, bisogna considerare anche di che tipo di autoanticorpo si tratta, alcuni sono specifici
per un sottotipo di malattia, perciò ci aiutano ad identificare gli apparati più a rischio. Possiamo inoltre
analizzare dei marcatori prognostici, indice del rischio associato ad una malattia e dotati di valore predittivo:
trovare anticorpi positivi può essere il preludio di una malattia che si manifesterà anni dopo.

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Una condizione particolare di cui bisogna tener conto è la gravidanza, soprattutto se c'è traccia di anticorpi
antifosfolipidi, strettamente correlati all'alto rischio di trombosi.
A partire dal secondo trimestre la placenta ha trasportatori attivi per gli anticorpi, essi riescono a riconoscere
la porzione Fc delle IgG e trasportarle al feto, che acquisisce così l'immunità della madre (immunità passiva).
Il bambino infatti nasce senza un sistema immunitario e per proteggersi durante i primi mesi di vita, prima
dello sviluppo di un'immunità propria, sfrutta gli anticorpi materni acquisiti.
Più la madre è protetta dalle infezioni, e quindi dotata di IgG specifiche, più il bambino sarà tutelato, perciò è
importante che la donna in gravidanza sia vaccinata contro rosolia ed influenza . L'immunità passiva è
fondamentale. I trasportatoti della placenta, però, non distinguono anticorpi buoni e cattivi, infatti se la
madre ha IgG contro il self sono comunque trasmesse al figlio, nonostante gli autoanticorpi siano mediatori
di meccanismi malattia.

Trovato l'autoanticorpo responsabile di una


patologia, si può elaborare un metodo per
contrastarla. A tal proposito la professoressa mostra
uno studio pubblicato sul New England Journal of
Medicine.
Lo studio è stato condotto su una sieroteca, una
biobanca molto estesa, contentente campioni di
siero di numerosi individui. Alcuni di questi nel
corso degli anni hanno manifestato il Lupus, ed il
loro siero è stato recuperato dalla banca per
analizzarne gli autoanticorpi. I risultati hanno
mostrato che prima dell'insorgenza del Lupus gli
autoanticorpi erano già positivi, generando una
sorta di autoimmunità fisiologica e benigna,
prontamente tamponata. Col passare del tempo e
con l'aumentare di fattori ambientali stimolatori sul
terreno genetico predisponente, è aumentato il
livello di risposta verso il self, non più in grado di
essere tamponata, e sono comparsi i primi sintomi
della patologia. Riassumendo:
1^ fase: Immunità normale
2^ fase: Immunità benigna/naturale: comparsa
degli autoanticorpi positivi, ma senza segni e
sintomi (la risposta contro il self è prontamente
tamponata)
3^ fase: Autoimmunità patogenica: l'azione di
fattori ambientali e genetici diventa preponderante
4^ fase: Segni e sintomi conclamati della malattia

Oltre al Lupus eritematoso sistemico (LES) esiste anche il Lupus neonatale, quest'ultimo consiste in lesioni
eritematose che ricordano quelle del lupus di individui adulti, infatti il bambino sfoga sulla pelle gli anticorpi
della madre. Il lupus neonatale è una condizione benigna che si risolve in pochi mesi, durante i quali il
bambino smaltisce gli anticorpi materni e ne produce di suoi. Non necessita quindi di trattamento. Ciò che
bisogna accertarsi è che non si tratti di un'altra patologia, il blocco cardiaco congenito, che porta alla
necessità di impiantare un pacemaker alla nascita. Tale patologia a differenza della precedente è permanente
e interessa al massimo l'1% delle gravidanze con anticorpi anti-RO/SSA. Nel blocco cardiaco congenito il
tessuto di conduzione atrio-ventricolare è attaccato da meccanismi immunologici e viene distrutto.
I responsabili sono proprio gli anti-RO/SSA, essi attraversano la placenta e si legano ai cardiomiociti fetali in
corso in apoptosi (il cuore è plastico, in formazione, quindi ha cellule che muoiono e sono sostituite).
L'opsonizzazione dei cardiomiociti da parte degli anticorpi materni fa sì che i fagociti li indirizzino verso un
percorso proinfiammatorio, con produzione di citochine. Tra queste ricordiamo il TGFβ, che attiva i
fibroblasti generando una smisurata produzione di collagene. Questo accumulo porta a fibrosi del miocardio
e in seguito al blocco atrio-ventricolare, solo in rarissimi casi si manifesta la condizione più rara e mortale, la
fibromatosi endocardica.

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É necessario specificare che le citochine pro-infiammatorie si dividono in citochine responsabili del
rimodellamento e citochine puramente infiammatorie. In condizioni normali il rimodellamento è benigno, fa
parte della fase di risoluzione delle infiammazioni, che consiste nel riparo tissutale. In altri casi il
rimodellamento modifica il tessuto danneggiandolo permanentemente e la predisposizione genetica gioca,
anche in questo caso, un ruolo fondamentale.

La professoressa ora ci illustrerà due modelli patologici (artrite reumatoide e sindrome anti-fosfolipidi), nei
quali l'identificazione dell'autoanticorpo ha portato alla comprensione della patogenesi malattia e ad
un'ipotesi di cura.

ARTRITE REUMATOIDE

L'artrite reumatoide non è una malattia rara (colpisce 0.5-2% della popolazione), è cronica e simmetrica,
colpisce prevalentemente le articolazioni periferiche di mani e piedi, e causa la distruzione della struttura
delle articolazioni. La zona sinoviale diventa un concentrato infiammatorio che erode, oltre all'articolazione,
le ossa subcondrali e la zona circostante, di conseguenza le articolazioni si saldano in anchilosi, portando a
malformazioni e disabilità.
La diagnosi precoce permette di agire in un periodo detto “finestra di opportunità”: se si inizia la terapia
nelle prime settimane di esordio, quando l'infiammazione lavora attivamente, l'artrite si spegne senza causare
danni. Se invece non viene trattata adeguatamente,il progredire della malattia comporta dislocazioni e
deformità articolari che limitano i movimenti dei pazienti fino alla completa inabilità, perciò è importante
fare una diagnosi precoce per mettere in atto fin da subito un trattamento efficace, infatti ormai abbiamo
disposizione diversi farmaci molto efficaci. Sono pochi i casi di pazienti refrattari alle terapie.
Anche se clinicamente ne apprezziamo i segni, è necessario confermare in laboratorio la presenza di
un'infiammazione sistemica, si indagano:
• Indici di infiammazione sistemica
-VES (velocità di eritrosedimentazione) elevata
-PCR (proteina C reattiva) elevata: è una proteina di fase acuta, chiaro indice di infiammazione
-piastrinosi e leucocitosi: un quadro simile può manifestarsi anche in periodi post-infezione.

• Autoanticorpi: sono quelli che confermano la diagnosi artrite, li troviamo nel 70-80% dei casi (i
restanti sono artriti sieronegative o altre patologie non autoimmuni). Gli autoanticorpi si divisono in:
-Autoanticorpi associati all'artrite reumatoide (AR): come ad esempio il fattore reumatoide
-Autoanticorpi specifici per l'AR: tra cui gli anticorpi anti-citrullina

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Il fattore reumatoide è un autoanticorpo piuttosto vecchio e la sua presenza non è necessariamente indice di
artrite reumatoide, infatti non è esclusivo di tale patologia. Si tratta di un autoanticorpo diretto contro la
porzione cristallizabile delle delle IgG: è un anticorpo contro un anticorpo. Di solito il fattore reumatoide più
frequente, che troviamo anche nei referti, è IgM, dotata di struttura pentamerica, ma possiamo testarlo anche
per IgG e IgA.

Il fattore reumatoide è testato con metodiche di agglutinazione, la prima utilizzata fu la Waaler-Rose, essa
sfruttava la reazione tra globuli rossi di montone decorati con IgG di coniglio e siero del paziente, contenente
le IgM pentameriche. Quando l' IgM si legava all'IgG di coniglio si creava un immunocomplesso,
responsabile dell'agglutinazione delle emazie di montone. In seguito le emazie di montone sono state
sostituite da particelle di lattice sulle quali erano state poste IgG umane. La provetta contenente
agglutinazione è poi sottoposta ad analisi semi-quantitativa per determinare le concentrazioni dell'
autoanticorpo nel siero. Il Latex test si è dimostrato più sensibile rispetto all'agglutinazione usata in
precedenza. Va sottolineato però che tali metodiche funzionano solo con IgM, infatti IgA e IgG sono testate
con l'ELISA.
Il cambiamento fisico dovuto alla reazione è visibile anche ad occhio nudo, infatti il fattore reumatoide è
testato in nefelometria e sfrutta l'effetto Tyndall degli immunocomplessi responsabili dell'opalescenza della
provetta. L'opalescenza è indice della formazione di un complesso tra fattore reumatoide e porzione Fc delle
IgM. La nefelometria è una metodica ottica di microanalisi che permette di dosare e calcolare le sostanze
finemente disperse in provetta. E' una tecnica molto complessa e serve uno specialista per interpretare i
risultati e capire di cosa sia indice la presenza del fattore reumatoide.
La difficoltà diagnostica è anche legata al fatto che il 70-80% di pazienti colpiti da artrite reumatoide
manifesta il fattore, ma quest'ultimo è presente anche in:
-Crioglobulinemia (95% dei casi manifesta il fattore reumatoide): spesso associata a infezioni croniche da
epatite C
-Sindrome di Sjogren (>90%): malattia autoimmune caratterizzata da una forte attivazione policlonale dei
linfociti B e grande produzione di autoanticorpi, tra cui il fattore reumatoide
-LES o Lupus eritematoso sistemico (20%)

I fattore reumatoide è possibile trovarlo anche in malatti infettivi o soggetto sani, soprattutto se anziani.
Quindi, dietro ad una autoanticorpo positivo, c'è tutta una varietà di condizioni di cui bisogna tener conto
prima di dare diagnosi affrettate, infatti la presenza dell'autoanticorpo non fa diagnosi di malattia, devono
manifestarsi anche i segni clinici.
Finchè non si hanno terapie preventive efficaci ed accettabili per i pazienti, conviene rimandare la cura e
tenere sotto controllo il paziente fino al manifestarsi dei primi sintomi. Infatti, una persona sana difficilmente
accetta di farsi curare, sopportando gli effetti collaterali, per prevenire una patologia che potrebbe, forse,
manifestarsi parecchi anni dopo.

Un altro sistema di anticorpi che aiuta nella diagnosi di artrite reumatoide è diretto verso le proteine
citrullinate. Gli studi di immunologia si sono sviluppati grazie all'immunofluorescenza indiretta, metodo più
facile e maggiormente disponibile, infatti già negli anni '60 si osservò la positività degli anti-perinuclear
factor (grani cheratoialini presenti nelle cellule mucosali umane) e la loro reazione con il siero del paziente.
Analogamente, si analizzò lo strato corneo dell'epitelio dell'esofago di ratto con anti-keratin antibodies ed è
stato così scoperto che l'antigene riconosciuto da tali anticorpi era la filagrina.
La filagrina è presente in grandi quantità nelle cellule epiteliali, soprattutto in epiteli cheratoialini, cornei e si
è visto che la pro-filagrina, quando viene clivata a filagrina, ha la possibilità di subire modificazioni post-
traduzionali. Tali alterazioni fanno sì che i residui di arginina, sotto l'effetto della PAD (Peptidilarginina
deiminasi) diventino residui di citrullina, l'epitopo citrullina formatosi è poi riconosciuto dagli anticorpi
anti-citrullina.
La situazione però è più complessa di come l'abbiamo descritta, infatti la PAD è un enzima che ha isoforme
diverse, ognuna con espressione e risultati differenti. Inoltre, più si è andati avanti a studiare la
citrullinazione come meccanismo necessario per indurre la produzione autoanticorpi, più si è visto che non è
un fenomeno specifico per l'artrite reumatoide, ma è un meccanismo coinvolto in infiammazione
generalizzata, apoptosi, autofagia, netosi, e c'è anche una quota di citrullinazione nelle proteine modificate e
processate fisiologicamente.

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Il fatto che la citrullinazione faccia parte di tutti questi meccanismi, indica che è coinvolta in molte malattie
autoimmunitarie. Anche gli anticorpi anti-citrullina saranno dunque presenti in vari meccanismi
patologici.

Attualmente i ricercatori si stanno concentrando sulla comprensione delle modificazioni di queste proteine,
sulla formazione di neoepitopi e sul loro riconoscimento da parte del sistema immunitario.
Anti-CCP (Anti peptide ciclico citrullinato) è il capostipite della famiglia degli anticorpi anticitrullina ed è
stato scoperto dallo scienziato olandese Venrooij. Egli notò che la filagrina estratta dall'epidermide umana
non era un substrato adatto per il test ELISA, la resa non era ottimale, perciò per ovviare a questo problema
generò dei peptidi sintetici di circa 20 amminoacidi, ricavati direttamente dall'epitopo utile a scopo
diagnostico del gene della filagrina.
Inizialmente creò un peptide lineare, ma anch'esso aveva una scarsa resa nel test poichè non era ben
riconosciuto dagli anticorpi, perciò pensò di ciclizzarlo mettendo a ponte sul peptide due residui di cisteina,
che permettevano alla citrullina di essere esposta in maniera corretta. Gli anticorpi per il CCP sono molto
specifici, si trovano quasi esclusivamente nell'artrire reumatoide e sono entrati in uso nella pratica clinica
dagli anni 2000, quindi permettono una diagnosi molto più sicura di artrite reumatoide, rispetto al solo
fattore reumatoide.

Il quadro globale resta comunque complicato perché le modifiche post-traslazionali sono molteplici, ad
esempio può avvenire anche una carbamilazione. Gli AMPA sono anticorpi specifici verso proteine
modificate, sappiamo infatti che durante un'infiammazione cronica si modificano delle proteine verso le
quali sono indirizzati degli anticorpi specifici, questo nell'artrite è favorito anche da un terreno genetico
predisponente, tra cui il gene HLA – DRB1.
Uno dei polimorfismi specifici dell'artrite reumatoide è lo SHARED epitope, chi lo possiede e fuma ha un
rischio nettamente aumentato di manifestare artrite reumatoide positiva per anticorpi anticitrullina. Terreno
genetico predisponente e fumo inducono infatti una maggior citrullinazione delle proteine, di conseguenza si
ha una massiva disponibilità di epitopo/Ag e il sistema immunitario, già alterato, va a processare l'antigene e
produrre anticorpi, alimentando così i meccanismi di infiammazione e autoimmunità, fino a giungere ad
un'artrite clinicamente evidente.
Anche la periodontite, oltre al fumo, è una fattore peggiorativo della malattia e può causarerefrettarietà aalle
terapie.

SINDROME DA ANTICORPI ANTIFOSFOLIPIDI (aPL)


La sindrome da anticorpi antifosfolipidi è una malattia autoimmunitaria rara e scoperta recentemente, è
responsabile di trombosi, ictus, embolie e problemi gravidici. Altri effetti più rari della malattia sono
l'alterazione di valvole cardiache o la piastrinopenia. La sindrome colpisce solitamente pazienti in giovane
età ed ha un impatto molto rilevante, come si può notare dal seguente caso clinico.
La paziente è senza anamnesi remota, non ha mai manifestato patologie relazionabili a malattie autoimmuni
ed ha avuto:
-aborto spontaneo a 9 settimane (a 26 anni d'età)
-morte endouterina a 24 settimane (28 anni)
-aborto spontaneo a 8 settimane (34 anni)
Viene quindi sottoposta ad analisi apposite che mostrano la presenza di anticorpi antifosfolipidi. I test
utilizzati per testare tali anticorpi sono: LAC (lupus anticoagulant), CL (anticardiolipina) e Antiβ2
glicoproteina I. Non avendo altre malattie autoimmuni, le è stata diagnosticata la sindrome da antifosfolipidi
primaria.
-morte endouterina al 6 mese (36 anni) nonostante la somministrazione di eparina
-embolia polmonare, come profilassi delle trombosi le viene somministrato l'anticoagulante
-attacco ischemico transitorio acuto (37 anni), per evitare altri episodi di ictus è stato aumentato il grado di
anticoagulazione, nonostante l'effetto antitrombotico possa sconfinare nel rischio emorragico .
La trombosi è un evento multifattoriale, non vanno testate solo eventuali trombofilie congenite, ma bisogna
testare anche la presenza di fattori indicatori di patologie autoimmuni influenti sulla coagulazione. Alcuni
fattori di rischio sono rimovibili, ad esempio sospendendo contraccettivi orali e fumo, altri necessitano della
valutazione di un reumatologo per stimarne il livello di influenza e pericolosità.

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L'antigene riconosciuto dagli anticorpi antifosfolipidi (aPL) è la β2glicoproteina-I, dotata di una struttura a
5 domini con residui glicosilati posizionati centralmente. Dal punto di vista molecolare è una proteina ben
caratterizzata, ma si sta ancora studiando la sua funzione. L'antigene grazie al dominio quinto interagisce con
i fosfolipidi di membrana, si tratta infatti di una proteina cationica, gli aPL ne riconoscono diverse porzioni:
il dominio 1,che protrude verso lo spazio extracellulare,
ed il dominio 4 e 5, più vicini alla cellula.
La β2glicoproteina-I è abbondante in circolo e si è conservata nell'evoluzione, ciò indica che ha funzioni
importanti anche se non ancora comprese appieno, infatti alcuni individui hanno bassi livelli circolanti di β2
e sono comunque persone sane. In vitro si è visto che è connessa ai meccanismi di emostasi, ma una delle
ipotesi più gettonate è che faccia parte dell'immunità innata nel ruolo di scavenging protein, legando ad
esempio i residui apoptotici e aiutando a gestire le prime fasi di difesa contro le infezioni.
Il problema, che porta alla sindrome da antifosfolipidi, è il suo intimo contatto con l'endotelio, il quale ha
diversi recettori per la proteina, come TLR 2 e 4 (Toll Like receptor). La β2 circola in forma circolare e
quando si apre a S o J aderisce col dominio 4-5 alle membrane plasmatiche. Protrudendo, al dominio 1 si
legano autoanticorpi che dimerizzano e parte la cascata di trasduzione del segnale intracellulare che stimola i
meccanismi proinfiammatori e procoagulanti.
L'anticorpo di per sè non causa necessariamente trombosi e per spiegare ciò è stata elaborata la teoria dei
two hits. La presenza di anticorpi è uno stato trombofilico necessario per avere la manifestazione clinica, ma
non sufficiente, deve esserci un secondo fattore (hit) che renda proinfiammatorio l'intimo rapporto della β2
con l'endotelio. Questo secondo hit è dato da tutte le condizioni di rallentamento sanguigno, tra cui stasi
venosa, immobilizzazione protratta, gravidanza (coagulazione incrementata fisiologicamente), interventi
chirurgici, ed in generale tutti quei fattori perturbanti sull'endotelio, come il fumo di sigaretta. Dove c'è
endotelio attivato, gli anticorpi possono ancorarsi.

A parità di anticorpi aPL persistenti e di fattori di rischio, perchè si hanno trombosi solo in alcuni pazienti?
È stato condotto uno studio su 370 soggetti con anticorpi antifosfolipidi stabilmente positivi e, dopo un
follow up di 5 anni, 30 hanno manifestato un evento trombotico.
I ricercatori hanno ipotizzato che gli anticorpi antiβ2 potessero avere caratteristiche diverse e hanno
ricominciato a studiarli, in particolare durante la gravidanza. Le ricerche si sono focalizzate sulla
trasmissione degli anticorpi al feto durante il passaggio transplacentare, osservando dopo 12-24 mesi quanti
degli anticorpi positivi presenti nella madre erano passati al bambino. I risultati hanno mostrato che alla
nascita il neonato li possedeva, dopodichè come previsto scomparivano gradualmente, ad eccezione di
antiβ2GPI (anti β2 glicoproteina prima).
Il 63% dei bambini ad 1 anno di età presentava ancora gli anticorpi antiβ2, e non si trattava più di quelli
materni, perché dopo 12-24 mesi, il bambino ha un proprio sistema immunitario, inoltre il 68% delle mamme
di questi bambini non avevano mai avuto tali anticorpi. Da dove hanno preso allora questi antiβ2?
Queste glicoproteine sono ubiquitarie nel cibo di origine animale, quindi incontrando gli antigeni per la
prima volta durante lo svezzamento potrebbe essersi sviluppata una prima immunità. Una transitoria risposta
verso la β2 glicoproteina I è possibile, ma analizzando nelle stesse condizioni anche altri bambini che non
hanno parenti con malattie autoimmuni, si è visto che l'anticorpo era comunque presente. Allora, escludendo
l'ipotesi di un terreno genetico predisponente, è stato scoperto che tali anticorpi sono diversi da quelli
presenti nella sindrome da antifosfolipidi ed è stata indagata la loro fine specificità: anticorpi contro il
dominio 1 sono patogenetici, mentre gli anticorpi anti dominio 4-5 sono benigni.
Infatti dalle analisi è emerso che l'antiβ2 è presente in tutti i gruppi sia di bambini che di adulti, è invece
differente la distribuzione di anticorpi antidominio-1, che si manifestano solo in pazienti adulti malati. I
bambini sani che mostravano la presenza di antiβ2 invece avevano in circolo gli antidominio-4 e 5.

Va considerato però, che i bambini non hanno ancora tutti i fattori di rischio cardiovascolare di un adulto, di
conseguenza nella fase successiva dello studio sono stati confrontati gli adulti clinicamente malati con altri
adulti portatori sani di anticorpi antifosfolipidi. Ciò ha confermato l'ipotesi iniziale: gli anticorpi
antidominio-1 segregano nei malati che manifestano la sindrome autoimmune, i pazienti asintomatici hanno
invece prevalentemente anticorpi antidominio-4 e 5, dotati di potenziale patogenetico inferiore.
Grazie alla comprensione di tali meccanismi è stato possibile ideare una terapia basata sull'inibizione del
legame dell'anticorpo tramite una proteina sintetica che mima il dominio 1. Questo fa sì che la
dimerizzazione delle due β2 non avvenga, di conseguenza non parte la cascata del segnale responsabile della
trombosi .

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In alternativa si può utilizzare un piccolo anticorpo, privo della porzione che fissa il complemento
(generatrice di infiammazione), che scalza l'antidominio-1, o ancora, l'assunzione orale di domini-1 sembra
indurre e stimolare le cellule dendritiche tollerogeniche, generando una diminuzione nel tempo del titolo di
anticorpi antiβ2 circolanti. Queste terapie sono ancora in fase sperimentale, ma finora hanno dato buoni
risultati.
Sono stati sviluppati anche metodi inibitori nei confronti del dominio 4 e 5: bloccando il legame con gli
anticorpi grazie al peptide TIFI, che mima dominio 5, si è riusciti ad evitare l'effetto inibitorio degli anticorpi
antifosfolipidi sullo sviluppo dell'endometrio.

La comprensione degli anticorpi è quindi importante non solo in ambito immunologico, ma anche per curare
patologie autoimmuni che si possono incontrare in altre discipline mediche. Campo clinico e di ricerca sono
strettamente interconnessi ed entrambi si alimentano,e l'interazione tra specialità diverse è fondamentale per
garantire il miglior trattamento e gestione del paziente.

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