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Vivere lAdozione

con il Corpo e con la Mente


A cura di
Ordine degli Psicologi del Piemonte Network Professionale
della Provincia di Novara

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Edizioni MErcurio
La tematica delladozione e soprattutto del post
adozione accomuna i numerosi contributi pre-
sentati in questo libro. Viene cos offerto al lettore
un panorama delle ricerche pi recenti che si sono
sviluppate in questo ambito, oltre a numerose espe-
rienze pratiche.
Nella prima parte del libro, sono raccolti i contributi,
rivisti ed ampliati per ledizione cartacea e digitale, pre-
sentati al seminario dal titolo Vivere ladozione con il
corpo e con la mente del 24 Maggio 2014, organizza-
to dal Comune di Novara e sostenuto dallOrdine degli
Psicologi, Punto Informativo della Provincia di Novara,
dallquipe sovrazonale per le adozioni nazionali e in-
ternazionali della provincia di Novara di cui il Comune
capofila proprio Novara.
Nella seconda parte del libro, vengono proposti i contri-
buti di altri psicologi e psicoterapeuti afferenti al Punto In-
formativo di Novara che, operanti sul territorio novarese,
in ambito pubblico o privato, hanno potuto offrire nuovi
e originali punti di vista ad integrazione della prima parte.

23,00
Vivere l'Adozione
con il Corpo
e con la Mente

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Edizioni Mercurio
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KOINS

KOINS unassociazione - costituita ai sensi degli articoli 36 e segg. del Codice civile della Costituzione
della Repubblica Italiana - operante nei settori culturale, artistico e cultural-ricreativo.
LAssociazione ha come fine la diffusione della cultura umanistica e scientifica nella societ, sentita come
componente insostituibile di conoscenza e progresso della persona umana, sviluppata attraverso lesperienza
della lettura, della scrittura e del dialogo avendo come riferimento i diversi campi del sapere umano (dalla
letteratura, alla filosofia e alla psicologia, dalla politica alla riflessione storica e a tutte le scienze in generale),
in modo da contribuire ad una possibile crescita di ciascun soggetto umano con un forte senso dei valori e
dellagire per il bene comune in interazione col senso della propria vita.

Via San Quintino n 44 - 10121 Torino


Network Professionale della Provincia di Novara:
Via dei Mille n 14 - 28100 Novara
Sito: www.ordinepsicologi.piemonte.it

Illustrazione in copertina: Raffaella Castagna


e-mail: raf.castagna@virgilio.it
Sito: www.raffaellacastagna.it

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Edizioni Mercurio

EM-Edizioni Mercurio un marchio registrato


Numero concessione: 1403985
Il marchio dato in licenza duso gratutito allAssociazione Culturale Koins

Copyrigth 2016 Edizioni Mercurio-Koins


Vercelli - Via G. Mameli 3

ISBN 978-88-98269-20-4
e-mail: edizioni.mercurio@em-koinos.it
Sito: www.em-koinos.it

Tutti i diritti riservati.


Sommario

Premessa p. 11
Giuliana Ziliotto
Responsabile Ordine degli Psicologi del Piemonte
Network Professionale della Provincia di Novara

PARTE PRIMA

1. Agire di prevenzione. Strumenti di intervento per rafforzare


il legame: dai gruppi post-adozione ai laboratori espressivi
Fabiola De Paoli (a c. di) p. 15
1.1 Il primo seme progettuale: i bisogni delle famiglie (F. De Paoli) p. 16
1.2 Quali basi biologiche ha l'attaccamento? (A. Ogliari) p. 18
1.3 Un territorio ancora sconosciuto nell'ambito della trasmissione
intergenerazionale dell'attaccamento (A. Ogliari) p. 19
1.4 Il secondo seme progettuale: gioco e legami (F. De Paoli) p. 22
1.5 Modello arte terapeutico ad indirizzo psicodinamico (M. Della
Cagnoletta, A. Zavettieri) p. 26
1.6 Conclusioni (F. De Paoli) p. 31

2. Verso nuove appartenenze: il contributo dell'EMDR alla


famiglia adottiva
Paola Piola p. 37
2.1 La genitorialit adottiva p. 37
2.2 Il bambino "in guerra" p. 40
2.3 Le conoscenze come risorsa indispensabile p. 41
2.4 Il trauma interno all'identit p. 42
2.5 La felicit possibile p. 45
2.6 Il contributo della terapia con EMDR p. 46
2.7 L'EMDR nei bambini e negli adolescenti p. 49

3. Scuola e adozione p. 55
3.1 Insieme a scuola: costruire appartenenze sicure (R. Pasquale) p. 55
3.2 Le dinamiche emotive sottese al processo di apprendimento/inse-
gnamento (R. Pasquale) p. 57
6

3.3 Disturbi e difficolt di apprendimento del bambino adottivo (M.


Bono) p. 61
3.4 Una risorsa preziosa: il tutor dell'apprendimento (F. De Paoli, R.
Accornero, C. Zaninetti, L. Cazzanti) p. 65
Insegnanti e madri adottive (C. Mocchi, G. Tiraboschi) p. 69

4. Adolescenza e adozione
Anna Stroppa, Marta Casonato p. 73
4.1 Compiti di sviluppo e adolescenza: incontro tra passato e futuro
(A. Stroppa) p. 73
4.2 Nella rete alla ricerca delle origini (M. Casonato) p. 84

5. Quanti rami... " il mio albero genealogico". Il raggiungimento


dell'equilibrio famigliare all'interno di sistemi e dinamiche complessi
Barbara Di Virgilio p. 93
5.1 Famiglie adottive: il valore e la gestione della relazione tra fratelli p. 93
5.2 Fratrie e affratellamenti p. 94
5.3 Conclusioni p. 103

6. La valenza educativa ed affettiva dell'idrochinesiologia famigliare-


Anna Pigatto p. 107
6.1 Un progetto per la genitorialit adottiva p. 107
6.2 I significati dell'acqua p. 108
6.3 Il valore dell'esperienza vissuta: la narrazione dei genitori p. 110
6.4 Conclusioni p. 113

7. Quando le parole "contano": il senso dell'adozione


Gruppo ANFAA Novara-Piem. Orientale p. 115
7.1 I bambini non si tolgono p. 116
7.2 Bambini abbandonati p. 116
7.3 I figli adottati sono figli veri p. 117
7.4 Le parole per dirlo p. 117
7

SECONDA PARTE

8. Riconoscersi nell'incontro: dalle ferite traumatiche a nuovi


equilibrismi
Alessia Pecoraro, Claudia Rampi p. 121
8.1 Stili di attaccamento nei bambini adottivi p. 121
8.2 Costruzioni disfunzionali del legame bambino-caregiver, i distur-
bi dell'attaccamento nel bambino adottivo p. 124
8.3 Itinerari di sviluppo traumatici: la disorganizzazione del legame di
attaccamento p. 126
8.4 Il dirottamento nel corpo nei traumi con la T gigante p. 127
8.5 Resilienza nelle relazioni tra sistemi sregolati p. 130
8.6 Risorsarsi: come, dove, quando p. 134

9. La famiglia adottiva come base sicura nel processo di elaborazione


e mentalizzazione della storia adottiva
Laura Pisoni p. 141
9.1 Funzione riflessiva e mentalizzazione p. 142
9.2 Comunicazione aperta e narrazione emotiva p. 143
9.3 Aspetti teorici e operativi attraverso l'esperienza clinica: il caso di
Rosy p.145

10. Figli d'altrove: aspetti psicologici, etnici e culturali dell'adozione


internazionale
Luz Cardenas, Fulvia Pitto p. 153
10.1 Dall'accoglienza allo sviluppo di un'identit multietnica p. 155
10.2 Atteggiamenti dei genitori adottivi: tra assimilazione e accultura-
zione p.157
10.3 Riconosce e suparare le difficolt di inserimento nel nuovo con-
testo di vita p. 159
10.4 Peculiarit identitarie dell'adolescenza dei figli adottati di origine
straniera p. 161
10.5 Il legame adottivo nelle relazioni familiari e l'affermazione dell'i-
dentit etnica dell'adolescente in adozione internazionale: potenziali-
t e rischi p. 162
10.6 La convivenza e le prospettive per i figli d'altrove in contesti
sempre pi caratterizzati da multietnicit p. 164
8

11. Lingue madri: l'incontro tra la lingua d'origine e la lingua d'adozione


Elena Caniato p. 167
11.1 L'impatto del bambino adottivo con la barriera linguistica p. 167
11.2 L'apprendimento della nuova lingua p. 170
11.3 Il difficile dialogo tra lingua madre e lingua di adozione p. 175

Conclusioni. Dal contenitore indifferenziato al gruppo contenitivo


Giuliana Ziliotto p. 179

Profili biografici p. 183


Alessandro Lombardo
Igor Graziato
Giovanna Verde
Ordine Psicologi del Piemonte

Salutiamo con viva soddisfazione luscita di questa pubblicazione che rac-


chiude il lavoro e la riflessione dei colleghi del Punto Informativo della
provincia di Novara dellOrdine degli Psicologi del Piemonte su un tema
delicato come quello delladozione. I contributi presenti sono il frutto del-
la competenza, della passione e dellesperienza di professionisti che, attra-
verso un linguaggio fruibile, comprensibile e nel contempo adeguato sul
piano tecnico, sono riusciti nel difficile compito di realizzare un testo ac-
cessibile ai genitori, agli operatori e a chi interessato al tema.
La figura dello psicologo allinterno dei percorsi di adozione una ga-
ranzia di efficacia dellintervento rispetto alla presa in carico delle compo-
nenti emotive, relazionali e di costruzione dei legami di attaccamento. La
portata dellintervento aumenta esponenzialmente qualora tali componenti
vengano trattate in rete con altri professionisti e con gli stessi genitori.
un encomiabile lavoro che dimostra quanto sia importante impegnar-
si trasversalmente e in rete per poter valorizzare la nostra professione con
la finalit di favorire, tutelare e preservare la salute e il benessere delle
persone.
Dr.ssa Eliana Balducci, funzionario assistente sociale
Dr.ssa Paola Bossetti, assistente sociale
Comune di Novara
Assessorato ai Servizi sociali - Servizi sociali e Politiche della casa

Il sostegno post adozione nel territorio dellEquipe sovrazonale per le


adozioni nazionali e internazionali della provincia di Novara

Lattivazione di forme di sostegno alle famiglie adottive stata promossa


e sostenuta con forza da parte della Regione Piemonte che, con le Delibe-
re di Giunta n. 27-2549 del 26/3/2001, n. 90-4331 del 13/11/2006 e n. 17-
8729 del 5/5/2008, ha formalizzato la costituzione delle quipe sovrazona-
li in tutta la Regione, dando precise indicazioni alle stesse con specifiche
Linee di indirizzo.
Tali atti normativi regionali hanno sottolineato la complessit dellarea
di intervento, fornendo alle quipe anche specifici finanziamenti da desti-
nare alle varie fasi di intervento - da quella informativa/formativa a quella
del sostegno post adottivo.
I finanziamenti regionali si sono interrotti nel 2011, ma le attivit che si
erano ormai radicate nel territorio sono comunque proseguite, con diverse
modalit organizzative.
In tale cornice lquipe sovrazonale di Novara - costituita dal Comu-
ne di Novara, dal Consorzio Ovest Ticino, dal CISA 24, dal Consorzio
CISAS di Castelletto sopra Ticino, dal Comune di Arona, dal Consor-
zio CISS di Borgomanero in collaborazione con lASL di Novara - ha
progettato e realizzato diverse iniziative, tra le quali il Progetto Grup-
pi di Sostegno ed il Progetto Piccoli in Acqua che sono diventati un
punto di forza nellarea del sostegno post adozione per le tante fami-
glie residenti nel territorio dellintera quipe. Accanto ad essi stata av-
viata anche unattivit di sensibilizzazione allinterno delle istituzioni
scolastiche.
Gli obiettivi inizialmente individuati sostenere le famiglie adotti-
ve, favorire le relazioni tra le famiglie, prevenire il fenomeno delle crisi
adottive e dei fallimento adottivi, promuovere una cultura di solidariet
12

sociale mantengono continuit nel corso degli anni, condivisi appieno


tra operatori e famiglie.
I progetti hanno da un lato permesso di offrire alle famiglie un servizio
strutturato e specializzato, dallaltro favorito laprirsi del territorio al tema
dellaccoglienza adottiva.
Lesperienza di quasi dieci anni di attivit ci ha permesso di accogliere
le famiglie, rafforzandole nei punti di forza, sostenendole nei momenti di
difficolt, leggendone i bisogni con sguardi professionali diversi.

La crescente complessit delle situazioni dorigine - grave trascura-


tezza, maltrattamento fisico e psicologico, abusi sessuali, patologia delle
cure, gravi problematiche sanitarie, fratrie - pu generare nei bambini stati
di sofferenza psicologica e molteplici fragilit, che se non adeguatamente
affrontate potrebbero comportare compromissioni non recuperabili in or-
dine al benessere psicologico del bambino stesso.
Distacco emotivo, evitamento, freddezza, affetto stereotipato, ferite
psicologiche, bassa autostima, auto svalutazione, colpevolizzazione, in-
sicurezza, aggressivit, rabbia, incapacit a instaurare nuovi legami, sono
solo alcune delle caratteristiche che i bambini portano con s, e le famiglie
adottive, chiamate ad accoglierle insieme al bambino, devono essere aiu-
tate ad affrontarle con gli adeguati supporti.
Alladozione possiamo attribuire anche un significato terapeutico, per
cui il sistema famiglia rappresenta il luogo in cui sanare le ferite, supe-
rare le sofferenze, crescere in un rinnovato equilibrio. Ci rende neces-
sario potenziare gli interventi a favore delle famiglie in unottica preva-
lentemente preventiva, per ridurre i rischi di crisi e successivi fallimenti
adottivi.
In linea con questo approccio lUfficio Adozioni del Comune di Novara
in quanto Ente capofila dellquipe sovrazonale ha promosso la costru-
zione di una rete di competenze, allinterno della quale i diversi aspetti
del variegato mondo adottivo possono essere adeguatamente individuati,
affrontati e decodificati.
Il Seminario realizzato nel mese di maggio 2014 stato un momento
importante, che ha dato forza e vigore alla rete di operatori che, sul nostro
territorio, accompagna le famiglie adottive sollecitando riflessioni positive
di crescita.
Premessa

La tematica delladozione e soprattutto del post adozione accomuna i nu-


merosi contributi presentati in questo libro. Viene cos offerto al lettore un
panorama delle ricerche pi recenti che si sono sviluppate in questo ambi-
to, oltre a numerose esperienze pratiche.
Il libro diviso in due parti.
Nella prima parte sono raccolti i contributi, rivisti ed ampliati per l'edi-
zione cartacea e digitale, presentati al seminario dal titolo Vivere lado-
zione con il corpo e con la mente del 24 Maggio 2014, organizzato dal
Comune di Novara e sostenuto dall'Ordine degli Psicologi, Punto Infor-
mativo della Provincia di Novara, dall quipe sovrazonale per le adozio-
ni nazionali e internazionali della provincia di Novara di cui il Comune
capofila proprio Novara, ospitando lassociazione ANFAA, come realt
storica nel territorio novarese.
Tale seminario, rivolto in particolare ai genitori, si proponeva di allar-
gare la prospettiva sul tema della adozione e post-adozione, attraverso un
confronto con professionisti operanti all'interno della rete formale ed in-
formale che si occupa sul territorio di questo delicato ambito.
Il tema del seminario rimandava alle difficolt nella costruzione di una
identit solida e bene integrata per bambini che, prima di essere adottati,
hanno avuto, spesso fin dalla nascita, carenze o ipostimolazioni sul piano
delle cure fisiche e primarie.
Queste carenze hanno inciso spesso profondamente nella costruzione
del proprio S corporeo, primo nucleo della identit, con ricadute sulle
capacit di contenimento delle emozioni e la costruzione dei legami di
attaccamento.
I vari interventi presentati hanno messo in luce come frequentemente
questi punti pi profondi e meno visibili di un bambino adottato, si mani-
festino invece sul piano relazionale, emotivo, e molto spesso sul piano co-
gnitivo, rendendo l'esperienza scolastica un percorso ad ostacoli che pu
mettere a dura prova sia il bambino che la famiglia.
Vi sono inoltre fasi della crescita, tipica quella adolescenziale con la
rimessa in moto proprio di una ridefinizione del delicato rapporto cor-
po mente, in cui la condizione di essere figli adottivi pu complicare il
14

raggiungimento della definitiva identit, anche con una rischiosa ricerca


delle proprie origini attraverso internet e social network .
Alcuni interventi del seminario si sono invece focalizzati proprio su al-
cune modalit terapeutiche, dall all'arte terapia come intervento preventi-
vo per la costruzione di un legame solido e sicuro, allEMDR per la riela-
borazione dei traumi, fino allesperienza educativa in acqua a sostegno e
potenziamento delle cure primarie.
Nella seconda parte del libro, vengono proposti i contributi di altri psi-
cologi e psicoterapeuti afferenti al Punto Informativo di Novara che, ope-
ranti sul territorio novarese, in ambito pubblico o privato, hanno potuto
offrire nuovi e originali punti di vista ad integrazione della prima parte.
Viene sottolineato come la famiglia adottiva sia luogo dove, grazie an-
che all'aiuto di esperti, pu avvenire il ripristino dellequilibrio tra risorse
e reazioni traumatiche, in particolare nei casi di traumi designati con la T
gigante, pesanti ferite ai legami di attaccamento.
Nel passaggio da un modello adottivo fondato sul segreto delle origini
ad un nuovo modello adottivo fondato sul recupero del passato, viene me-
glio precisato, attraverso una esemplificazione clinica, il ruolo della nuova
famiglia nel processo di elaborazione e mentalizzazione della propria sto-
ria adottiva.
Un'attenzione particolare viene poi rivolta al campo delle adozioni in-
ternazionali. cos sottolineata la fondamentale differenza fra il promuo-
vere, nella nuova famiglia, un processo di acculturazione che sostiene nel
bambino lo sviluppo di una identit multietnica, a protezione da una pe-
ricolosa scissione tra il passato il presente, e l'assimilazione passiva della
nuova cultura di appartenenza.
Sempre seguendo questa linea di pensiero viene preso in considerazio-
ne il difficile dialogo fra la lingua madre e la lingua di adozione evitando il
rischio di una censura della vecchia lingua e di una forzatura della seconda
lingua, arrivando alla suggestiva immagine della gemmazione.
Nonostante la complessit dei temi e di alcuni concetti espressi, tutti i
colleghi si sono impegnati a portare il loro contributo con chiarezza e sem-
plicit espositiva, ritenendo che le persone all'interno della rete, operatori
e genitori, debbano arrivare ad un linguaggio comune e questo, necessaria-
mente, deve essere semplice e comprensibile.

Giuliana Ziliotto
Responsabile Ordine degli Psicologi del Piemonte
Punto informativo della Provincia di Novara - Network professionale
PARTE PRIMA
Capitolo 1

Agire di prevenzione
Strumenti di intervento per rafforzare il legame: dai gruppi
post-adozione ai laboratori espressivi

a cura di Fabiola De Paoli

Vivendo in modo creativo


ci si rende conto del fatto che ogni cosa
che facciamo aumenta il senso di essere vivi,
di essere noi stessi, insostituibili e unici.

Donald D. Winnicott

La costruzione dellarticolo segue landamento e lo sviluppo di un pensie-


ro nato qualche anno fa, con la conduzione di gruppi di genitori adottivi e
sfociato nelle proposte di laboratori espressivi.
La complessit dellesperienza adottiva richiede la messa in gioco di
pi sguardi, che implicano lintegrazione di orientamenti teorici differenti.
In questo articolo si intrecciano, ci auguriamo in maniera armonica e sin-
tetica, il modello Arte terapeutico ad orientamento psicodinamico, alcuni
elementi di ricerca sulla teoria sugli stili di attaccamento e qualche spunto
per la costruzione di un setting flessibile, disponibile ad andare in contro ai
bisogni specifici del sistema famigliare.
La narrazione del percorso a mia cura, verr accompagnata dal contri-
buto della prof.ssa Anna Ogliari che ha partecipato come relatore al se-
minario vivere ladozione con il corpo e con la mente, per poi lasciare
spazio ad esperti del settore Arte Terapeutico, che solo successivamente,
hanno accettato di condividere questo spazio di riflessione e portare con-
tributi essenziali per una lettura specialistica dei percorsi profondi e tra-
sformativi del processo creativo.
Divenire genitore adottivo significa: mettersi a disposizione di una sto-
ria di abbandono, garantire uno sguardo realistico al bambino, offrire uno
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spazio per lintegrazione della storia, rispettare le domande, fornire rispo-


ste chiare, autentiche e rassicuranti e mettere a disposizione un corpo nella
relazione, come mediatore simbolico e base di appoggio per il recupero
dellesperienze mancate e per un rilancio, pi solido e sicuro, nel mondo.

1.1 Il primo seme progettuale: i bisogni delle famiglie (Fabiola De Paoli)


Il primo seme progettuale nasce nel 2007 a partire da una consulenza spe-
cialistica per lEquipe Sovrazonale per le Adozioni Nazionali e Internazio-
nali della provincia di Novara area sud.
La richiesta degli operatori dellquipe era di fornire sostegno alle fa-
miglie adottive nel periodo del post - adozione, individuato come momen-
to delicato e decisivo per la strutturazione dei legami. Gli obiettivi sottesi
erano: sostenere le famiglie adottive, prevenire e accogliere i momenti di
crisi e fornire strumenti relazionali a favore della relazione genitoriale.
Il progetto rientrava nelle azioni regionali di prevenzione dei rischi di
fallimento adottivo.

I bisogni emersi durante gli incontri con i genitori:


bisogno di sostegno attraverso una rete solidale di pari e di professionisti
bisogno di favorire la costruzione dei legami
bisogno di decodificare le emozioni, i pensieri e le azioni
bisogno di recuperare le esperienze mancate

Il tema del rischio di cesura della storia rimasto nel tempo un elemen-
to fondante di molti incontri, infatti chiudere con il contesto relazionale di
provenienza comporta psicologicamente una scissione con la parte del S
legata alla storia fondativa, generando caos e sofferenza, e dallesamina
delle coppie profondamente in crisi, questo elemento rimane costantemen-
te una criticit.
I dati di alcune ricerche nazionali e internazionali sui fallimenti adottivi.
Da un'indagine della Commissione per le Adozioni Internazionali del
2003, risulta che il 2,5% dei bambini vengono restituiti.
Da una ricerca del 2000 della Regione Veneto evidenzia che il 12,3%
dei bambini presenti in comunit sono il risultato di fallimenti adottivi e
nella Regione Campania tale percentuale del 11,5%.
19

Da ricerche pi recenti presso il Servizio Famiglia Veneto svolte nel


2012 risulta che 3 copie adottive su 100 falliscono.
interessante individuare le caratteristiche delle famiglie adottive
esposte al fallimento, per comprenderne meglio il funzionamento e agi-
re di prevenzione. Le coppie si presentano nella relazione con modalit
molto rigide, pongono delle aspettative molto alte e non riconoscono il
bambino reale. Attraversano il percorso adottivo tendenzialmente in so-
litudine, non avendo a disposizione reti amicali e professionali di suppor-
to. Come ultima caratteristica emerge che let del bambino al momento
delladozione, incida sui tempi di recupero dellesperienze infantili, prima
dellingresso in preadolescenza. La complessit del tema adottivo ci pone
di fronte ad alcuni quesiti su come intervenire a supporto della famiglia, su
quali siano le caratteristiche degli attori coinvolti e sul tipo di intervento
terapeutico.
Le ricerche di Palacios e Coll del 2005 fanno riflettere sulla complessit
dello sistema famigliare adottivo e considerare alcuni fattori per progettare
un percorso di sostegno o psicoterapia.

I fattori sono collegati e interconnessi tra loro, e vengono individuati con:


Le caratteristiche del bambino adottato
Le caratteristiche dei genitori adottivi
Le caratteristiche dellintervento professionale

Tra i fattori protettivi, troviamo:


La solidit dei legami con le figure di riferimento
Il periodo di permanenza in famiglia

Nellattivit di conduzione di gruppi, laggancio teorico alle teorie su-


gli stili di attaccamento stato un passaggio naturale, supportato anche dai
pi recenti studi delle neuroscienze a sostegno dellunit psicosomatica
delle esperienze.
A tal proposito risulta opportuno il contributo specialistico da parte del-
la prof.ssa Anna Ogliari.
20

1.2 Quali basi biologiche ha lattaccamento? (Anna Ogliari)


Negli ultimi anni le neuroscienze hanno dato un forte contributo scienti-
fico di quelle che fino ad oggi restavano solo teorie e ipotesi. Nuove tec-
niche come la PET (Tomografia a Emissione di Positroni) o la Risonanza
Magnetica Funzionale (REM) che permettono di visualizzare quelle aree
del cervello che si attivano durante le diverse attivit motorie, cognitive ed
emotive, hanno portato a comprendere in maniera pi approfondita come
le varie esperienze che un bambino vive, influenzino la struttura del suo
cervello. Risulta confermato gi da diverso tempo che uno stile di attac-
camento ed educativo improntato allascolto, allaccoglienza empatica, al
dialogo e alla disponibilit affettiva, permette di sviluppare nel bambino la
capacit di modulare e gestire emozioni come la rabbia, la frustrazione, la
tristezza, la noia e il dolore.
Uno dei contributi fondamentali che le neuroscienze hanno dato alla
psicologia evolutiva stato proprio quello di aver dimostrato che i due
modelli educazionali improntati alleducazione emotiva o allanalfabeti-
smo emotivo, influenzano larchitettura cerebrale dei bambini. Pi preci-
samente, la PET e la REM dimostrano che lo sperimentare uno scambio
relazionale improntato sullaccoglienza, sulla fiducia, sulla condivisione e
sullempatia con lobiettivo di raggiungere una sintonizzazione emotiva,
comporta da una parte una diminuzione dellattivit dei lobi frontali (pre-
posti alla produzione del cortisolo, ormone dello stress, i quali vengono
attivati ogni qual volta venga percepito nellambiente un pericolo o, pi in
generale, una situazione che richieda un alto livello di vigilanza) e dallal-
tra unaumentata attivit dei lobi parietali che producono invece ossitoci-
na -anche detto ormone del benessere-, serotonina neurotrasmettitore
coinvolto nella modulazione del tono dellumore- insieme a oppioidi na-
turali che hanno il compito di alleviare la percezione del dolore. Quindi,
se lo stile educativo dei genitori improntato allascolto, allaccoglienza
e al sostegno, il bambino sperimenter frequentemente lo stato di benes-
sere dovuto allattivazione dei lobi parietali, stimolando la costruzione di
maggiori connessioni sinaptiche in questarea del cervello e diminuendo
costantemente la produzione di cortisolo.
Al contrario, di fronte a uno stile educazionale basato sulla critica e sul
giudizio, lasciando il bambino solo nelle sue difficolt, si assister a una
costante attivazione dei lobi frontali con una conseguente iper-produzione
dei livelli di cortisolo e quindi dei livelli di stress esperiti. Il cervello di un
bambino in et precoce, non sar in grado di reggere tali livelli di cortisolo
21

nemmeno dal punto di vista della chimica cerebrale, cui conseguir lin-
staurazione della tendenza a rispondere in maniera aggressiva allambien-
te circostante, con una scarsa creazione di connessioni sinaptiche tra il
cervello inferiore che comanda la risposta impulsiva e superiore
ovvero la parte riflessiva.
Questo dimostrerebbe che i bambini cresciuti secondo luno o laltro
stile di attaccamento ed educazionale, non si comportano in maniera ade-
guata (o inadeguata) solo per il fatto di aver direttamente appreso dai geni-
tori particolari modalit comportamentali, ma perch negli anni il loro cer-
vello si strutturato in maniera tale da produrre con maggiore probabilit
stili di risposta di un tipo o di un altro (Massoli, 2014).

1.3 Un territorio ancora sconosciuto nellambito della trasmissione in-


tergenerazionale dellattaccamento (Anna Ogliari)
La metanalisi di Marinus H. van IJezendoorn and Femmine Juffer (2005),
svolta su pi di 270 ricerche che includono pi di 230000 bambini adottati
e non adottati e i loro genitori ha evidenziato che:
il 55% dei bambini adottivi ha un attaccamento insicuro rispetto al
38% del campione dei bambini non adottati;
il 33% dei bambini adottati ha attaccamenti disorganizzati, rispetto
al 14% dei non adottati.

Le ricerche riscontrano che una madre con uno stile di attaccamento


sicuro tender ad avere un bambino anchesso sicuro, cos come una ma-
dre con attaccamento evitante avr un bambino con il medesimo stile di
attaccamento; non appare invece confermata lassociazione tra lo stile di
attaccamento Coinvolto della madre e quello Ambivalente del bambino.
Gli autori interpretano le similitudini riscontrate tra lo stile di attaccamen-
to materno e la qualit dellattaccamento del bambino nei confronti della
madre, come lespressione di una continuit nelle caratteristiche qualitati-
ve dei modelli operativi interni dellattaccamento delladulto che vengono
riproposte al bambino attraverso i comportamenti di cura della madre: in
particolare la sensibilit e la responsivit.
Tali costrutti descrivono due aspetti fondamentali del caregiving:
la sensibilit con cui la madre in grado di leggere accuratamente i se-
gnali del bambino nella loro unicit, adattandosi flessibilmente a essi;
22

la responsivit, riguarda la capacit delladulto di rispondere ai se-


gnali in modo appropriato al momento, alla situazione e allo sta-
dio evolutivo in cui il piccolo si trova (George, Solomon, 2002).
Nellinsieme, tuttavia, questi studi seguono un principio di tra-
smissione diretta della rappresentazione materna dellattaccamento
nellinfanzia che di fatto oggi appare superato da una serie di rifles-
sioni teoriche e di verifiche empiriche che relativizzano la conti-
nuit della trasmissione intergenerazionale dellattaccamento.

Molti studi hanno indagato la continuit dei modelli di attaccamento


nellinfanzia e i comportamenti adattativi o disadattativi associati ad essi.
Gli studi effettuati hanno indagato ladattamento e il funzionamento psi-
cosociale durante lo sviluppo in relazione allattaccamento e hanno evi-
denziato che lattaccamento sicuro ad un anno di et correlato ad unaf-
fettivit positiva e alla capacit di persistere nelle situazioni di problem
solving, a due e tre anni ad una maggiore fiducia in s stessi e un miglior
adattamento nella scuola materna, a quattro e cinque anni ad una minore
dipendenza, maggiore competenza e abilit nella risoluzione dei conflit-
ti (Kochanska, 2001). Le strategie comportamentali ed emozionali asso-
ciate ai modelli di attaccamento insicuro costituiscono invece un minor
adattamento per lo sviluppo, sebbene vi siano basse correlazioni tra at-
taccamento insicuro ed esiti psicopatologici in et prescolare e scolare,
eccezion fatta per i campioni ad alto rischio psicosociale, come ad esem-
pio per i bambini allontanati da casa o adottivi. La condizione di rischio
psicosociale contribuisce a creare fattori predisponenti per lo sviluppo di
un attaccamento insicuro, e a funzionare come ulteriori fattori di rischio
(Lyons-Ruth et al., 1990). Gli esiti degli studi clinici sono eterogenei: nel
Minnesota Parent-Child Project (Egeland e Sroufe, 1981) risulta una si-
gnificativa correlazione tra attaccamento insicuro nellinfanzia e sintomi
clinici in et scolare, tra cui conflitti con i pari, variabilit del tono dellu-
more, aggressivit e sintomi esternalizzanti (Erickson, Sroufe e Egeland,
1985); gli studi di Lyons-Ruth (1987, 1990) riportano dati significativi in
cui la depressione materna, associata a un attaccamento insicuro-disorga-
nizzato, predisporrebbe a comportamenti ostili e disturbi esternalizzanti in
et scolare, mentre associata a un attaccamento insicuro-evitante sfocereb-
be in sintomatologie internalizzanti; infine la ricerche di Greenberg (1993)
mostrano unassociazione tra attaccamento insicuro-evitante o insicuro-
disorganizzato e disturbi della condotta. Mentre un attaccamento sicuro
23

rappresenterebbe un importante fattore protettivo per lo sviluppo. Si pu


concludere che da un punto di vista teorico le strategie di attaccamento
insicuro predispongano a disturbi esternalizzanti (aggressivit, compor-
tamenti delinquenziali) e internalizzanti (ritiro sociale, ansia) mentre non
sono indicati esiti specifici associati a particolari tipi di insicurezza.
dunque possibile ritenere che lattaccamento insicuro rappresenti un
fattore importante ma aspecifico per laumento del rischio di numerose
forme di psicopatologia in campioni in cui siano presenti altri fattori di
rischio.
Tali risultati suggeriscono lesistenza di un territorio ancora scono-
sciuto nellambito della trasmissione intergenerazionale dellattaccamen-
to che van IJzendoorn (1995) definisce the transmission gap, indicando
come solo una parte della corrispondenza tra lo stile di attaccamento ma-
terno e quello del bambino sia spiegabile in base agli aspetti rappresentati-
vi e ai comportamenti di accudimento messi in atto dal caregiver, e come
il processo completo della trasmissione intergenerazionale dellattacca-
mento rimanga in gran parte non spiegato (van IJzendoorn, Bakermans-
Kranenburg, 2005). Un tentativo di superamento di tale impasse teorica
ed empirica viene proposto da van IJzendoorn e Bakermans-Kranenburg
(1997) attraverso una prospettiva contestuale della trasmissione intergene-
razionale al cui interno sinseriscono dei fattori che potrebbero funzionare
da mediatori nel processo di trasmissione tra adulto e bambino.
Fattori che funzionano come mediatori del processo di trasmissione:
la presenza di esperienze di attaccamento successive e alternative a
quelle infantili
il supporto familiare e sociale reale e/o percepito dal genitore
la qualit della relazione di coppia
le condizioni pi generali entro le quali si verifica laccudimento
dei bambini
le caratteristiche del bambino
24

1.4 Il secondo seme progettuale: gioco e legami (Fabiola De Paoli)


Lo spunto di riflessione tratto dagli studi di Van Ijzendoorn e Bakermans-
Kranenburg (1997) citato dalla Prof.ssa Anna Ogliari, che richiama la pos-
sibilit di esperienze di attaccamento successive e alternative, genera li-
dea di un setting mamma - bambino e successivamente famigliare in una
dimensione di gioco, di profondit e di confidenza per rafforzare il legame.
Un luogo, un tempo per parlare dellincontro, di ci che accaduto
prima e di come progettare il futuro insieme. A parlare sono le mani, gli
sguardi, i suoni e i corpi che si incontrano al di l della parola, o, per me-
glio dire, prima della parola e della narrazione, esattamente come accade
psicologicamente nella relazione primaria.
Uno spazio silenzioso, accogliente, profondo e trasformativo che favo-
risce i legami e consolida la presenza sia dei genitori sia del bambino. Ci
che colpisce da subito lutilizzo dello spazio, la vicinanza e la distanza,
le modalit di contatto e di relazione.
Palpabile il ritmo che il bambino porta naturalmente nella relazione
che aiuta concretamente i genitori nellascolto di un nuovo tempo, che
non appartiene a loro, ma fonte di esperienza, emozioni e cognizioni del
bambino allinterno del nuovo nucleo famigliare.
proprio da questa esperienza concreta che si producono momenti di
sintonizzazione affettiva profonda, dove il bambino reale pu esprimersi
ed essere accolto.

BOX 1

Testimonianza: esperienza ritmo e relazione


T. incontra i suoi genitori qualche mese dopo la nascita e fa esperienza
di laboratorio a 5 anni.
Lesperienza laboratoriale con mia figlia ha avuto inizio nel contesto
di un gruppo di tre bambine accompagnate dalle rispettive madri. Un
gruppo omogeneo per et ma diverso per esperienza adottiva (nazio-
nale-internazionale) e bagaglio familiare. Da una parte questi incon-
tri di gruppo sono stati loccasione per scoprire una nuova dimensione
della relazione madre-figlia, dallaltra lopportunit di crescere insie-
me; noi genitori siamo cos presi dal nostro dovere di educare i figli e
di formarli nel modo migliore da non renderci conto che molto spesso
25

sono proprio loro a formarci ed ad arricchirci con la loro energia. Mia


figlia sempre stata molto silenziosa e riflessiva, guarda con attenzione
tutto intorno a s ed agisce ponderando ogni cosa con estrema lentez-
za. Dietro i suoi gesti misurati, attenti cera un ritmo lentissimo che mi
metteva in grande disagio: mentre le altre bambine sceglievano i mate-
riali e li utilizzavano con disinvoltura ed energia, dimostravano il loro
entusiasmo per la costruzione del loro prodotto e riuscivano anche a
costruire una breve narrazione del loro lavoro, lei si alzava dal tappeto
con lentezza, scrutava i materiali a disposizione, li prendeva in mano
e li confrontava. Ritornava da me e poi ricominciava il viaggio alla ri-
cerca dei materiali. Sempre in silenzio, senza un sorriso, un ammicca-
mento, un cenno di richiesta. A volte si fermava e con le forbici taglia-
va in parti minitissime fogli colorati. Sempre concentrata e in silenzio.
Io avrei voluto concretizzare, dare una forma al suo pensiero, al suo
muoversi avanti e indietro. Mi aspettavo che mettesse insieme i pezzi
e ne ricavasse qualcosa. Qualsiasi cosa. Avevo fretta di concludere: in
fondo dare una forma alle cose ci tranquillizza molto, ci solleva dalle
nostre inquietudini. Invece non era cos. Avrei voluto affrettare le cose,
suggerendo i materiali, il modo di comporli insieme ma entrare dentro
quel silenzio era faticosissimo. Questo suo modo di agire rispondeva ad
un ritmo interiore un goccia a goccia -nel quale io come mamma
sentivo un dolore infinito, unangoscia di interrogativi difficili da risol-
vere. A casa erano da poco cominciate le domande sul suo passato. La
sofferenza per quel vuoto si era trasformata in questo ritmo. Almeno
questo cos mi sembrava. Il passaggio dallesperienza di gruppo alle-
sperienza in esclusiva stata la soluzione migliore per risolvere questa
difficolt. Abbiamo cominciato cos un lungo viaggio di incontro per
me e mia figlia attraverso la ricostruzione della sua storia. Dalluovo
al pulcino che nasce allincontro con i grandi occhi della mamma che
laiutano a crescere e a volare.
Abbiamo viaggiato insieme - io e la mia bambina- partendo da due
ritmi diversi: io sempre un po ansiosa di arrivare ad una meta rassi-
curante, lei sempre lenta e silenziosa ma disponibile, questa volta, a
cercare aiuto fuori di s, a farmi entrare nel suo doloroso cammino, a
permettermi di toccare questo dolore, farlo mio e cos alleggerirla di
tutto quel peso.
Il momento pi emozionante stato quando il suo pulcino solo e
26

smarrito costruito con tanta cura su un foglio - ha permesso allaltro


uccellino la mamma- che io avevo realizzato su un altro supporto, di
accostarsi a lui. stato il momento in cui si schiuso un mondo nuovo.
Da l, volta per volta, il ritmo cambiato: mia figlia ha cominciato
ad utilizzare i materiali a disposizione con fantasia e grande piacere,
a ricostruire i pezzi della sua vita attraverso un disegno preciso nella
sua mente a volte difficile da comprendere per me ma a cui sono
invitata a partecipare ogni volta, a dare il mio contributo. Ho imparato
a rispettare i suoi silenzi, a non forzare le conclusioni ma anche a
capire come intervenire nelle sue difficolt. diventato pi facile anche
parlare della sua mamma del Vitenam, del suo passato, del suo arrivo
fin nelle mie braccia e in quelle del pap. Ogni tappa infatti di questo
viaggio, che prosegue con successo ed per mia figlia un appuntamnento
importante, si conclude con un gesto di grande distensione ed affetto:
una capriola, un sospiro di sollievo, un lungo abbraccio caldo.

BOX 2

Tra complessit e flessibilit


R. et 9 anni. Arriva in famiglia a 7 dopo un'esperienza presso una fa-
miglia affidataria.
Durante i primi incontri, chiedo alla R. : perch non parli con i tuoi
genitori della tua storia?, la risposta fu chiara: non capirebbero e
poi ho paura di farli soffrire.
La paura di non essere compresa, di essere stato la causa dellab-
bandono e di essere nuovamente esposta al rischio, impediva a R. la
narrazione e la possibilit di integrazione tra passato e presente. Le-
spressione che la bambina port dopo diverse sedute con la mamma
adottiva e che mi fece pensare di proseguire in questa direzione, fu:
ma tu sei la mia mamma per sempre?; proprio il concetto di tempo
definito e rassicurante che consent a R. di esprimere il desiderio di una
definizione del legame. Poi R. fece una richiesta: possiamo far entra-
re anche il pap? , la sua richesta fu accolta da tutti e la presenza del
pap ag da protezione per sentirsi maggiormente al sicuro. La cosa
che mi colp che la sintonizzazione profonda avveniva attraverso un
27

canto che il pap improvvissava e veniva seguito da R. e dalla mam-


ma. I genitori erano parte di un coro e la bimba possedeva come dote
una gran voce, non cerano parole, ma solo suoni che si intrecciava-
no uno allaltro.
Durante la produzione famigliare, R. espresse il desiderio di scrivere
una lettera al giudice, che i genitori avrebbero dovuto incontrare per la
sentenza definitiva.

Caro Giudice, vorrei tanto stringerti la mano e farti i complimenti


per la scelta, perch mamma e pap mi fanno troppo ridere e sono trop-
po felice che tu mi farai rimanere con loro per sempre. Spero di cono-
scerti presto!

In accodo con i servizi la richiesta di R. venne accolta e la bambina


and accompagnata dai suoi genitori a conoscere il Giudice. Un mo-
mento preparato con cura ma che apriva la possibilit di un ritorno dei
vissuti rispetto ai genitori biologici.
Infatti qualche settimana dopo questo incontro, R. cominci a par-
lare della mamma e del pap biologici e della nostalgia che sentiva
in alcuni momenti. Finalmente era giunto il momento di recuperare le
emozioni legate al passato e questa richiesta venne fatta sia alla mam-
ma che al pap e venne accolta e contenuta, ma soprattutto compresa.

Un approccio complesso che richiama due livelli di lettura, ingenuamente


definibili come orizzontale, quando coinvolge gli aspetti relazionali e di
scambio verbali e non verbali tra i soggetti del sistema ed uno verticale e
profondo collegato al prodotto che il processo creativo rende visibile, toc-
cabile e narrabile. Profondamente consapevole della necessit di un contri-
buto specialistico in merito al secondo aspetto, ho richiesto sia per questo
articolo, sia per il lavoro svolto, laiuto di esperti di ARTE TERAPIA ad
indirizzo psicodinamico, che mi hanno fatto riflettere sulla flessibilit di
una presenza o assenza del genitore in seduta in funzione dei bisogni del
bambino, dellet, della storia e degli obiettivi terapeutici e ponendomi di
fronte alla necessit di approfondire le fasi del processo creativo e di qui
il contributo di Mimma Della Cagnoletta e la seconda collaborazione con
Angelica Zavetieri. E anche per questa apertura di sguardi le ringrazio
vivamente.
28

1.5 Modello Arte Terapeutico ad indirizzo psicodinamico (Mimma Della


Cagnoletta e Angelica Zavettieri)
Il metodo
Larte terapia fonda il suo principio metodologico sul parallelo tra il pro-
cesso di crescita e il processo creativo (Della Cagnoletta,2010), in base a
tre considerazioni:
larea relazionale che li coinvolge ( non c possibilit di cresce-
re senza essere in relazione, ogni opera artistica ha bisogno di un
fruitore)
le particolare natura delle fasi da percorrere ( qualsiasi sia la teoria
psicologica di riferimento, levoluzione del bambino avviene attra-
verso tappe, cos come la creazione di un oggetto artistico)
il significato dellesperienza, ovvero incontrare la realt(Winnicott,
1971), in un interscambio tra dentro e fuori di noi, tra lesperienza
come vissuto e lesperienza come conoscenza e acquisizione di ca-
pacit che determinano il crescere del bambino cos come la nascita
di un prodotto artistico.

Entrare in relazione e fare esperienza sono processi fondanti nello svi-


luppo umano e in arte terapia avvengono attraverso le diverse componenti
del processo creativo: la sperimentazione sensoriale, il lasciare tracce e il
nominare o raccontare.
Nonostante costituiscano passaggi di uno sviluppo e di conseguenza lul-
tima di esse, il nominare o raccontare, sia il risultato di processi di matu-
razione e il presupposto delle pi alte capacit umane, le tappe precedenti
rappresentano momenti di esperienza significativa durante la vita non solo
del bambino, ma pure dellindividuo adulto. Ognuna di esse ha le sue fun-
zioni e sostiene il passaggio alle altre, ognuna di esse racchiude compo-
nenti essenziali per il funzionamento complesso di ogni individuo. In arte
terapia, le tre componenti sono presenti potenzialmente in ogni atto creati-
vo e vengono cos denominate ( Della Cagnoletta, 2006, 2010):
Modalit a Concentrazione Corporea - Sperimentazione sensoriale
Modalit a Risoluzione Formale - Lasciare una traccia, creare una
forma
Modalit a Narrazione Simbolica - Nominare, raccontare
29

Le tre Modalit hanno obiettivi specifici, manifestazioni proprie e deter-


minano unesperienza particolare come si vede dal seguente schema:

Concentrazione Corporea: tatto,contenimento e ritmo


Obiettivo: percepire la continuit ed integrit dellinvolucro corporeo
Caratteristiche dellesperienza: sensoriale, asimbolica, autoreferente
Produzione artistica: gioco sensoriale non rappresentativo, materiali liqui-
di o malleabili, acqua, colori a dita, creta, colla,farina, ecc.

Modalit a Risoluzione Formale: dar forma e struttura


Obiettivo: dar ordine al caos, dividere e separare, organizzare
Caratteristiche dellesperienza: concreta (equazione simbolica-Segal, 1957),
interesse per il materiale e per le sue caratteristiche e potenzialit,utilizzo
funzionale dei materiali artistici e del terapeuta
Produzione artistica: forme e progetti, composizioni astratte, copie dal vero,
riproduzioni, griglie e strutture

Narrazione Simbolica: raccontare, collegare, dare significato


Obiettivo:trovare una forma attraverso cui narrare di s e dei propri vissuti
Caratteristiche dellesperienza: simbolica, in relazione o alla ricerca di una
relazione con laltro,con i materiali artistici, con la propria creazione, inte-
ressati agli aspetti comunicativi dellopera
Produzione artistica: oggetti compiuti, curati e narranti,tecnicamente ade-
guati o alla ricerca di uno stile personale

In ogni modalit larte terapeuta ha una funzione differente. Nella prima,


deve sostenere e rinforzare lesperienza, dare limiti e contenimento. Nella
seconda, deve aiutare a tenere insieme i pezzi, a definire, ed essere di uso
funzionale per sostenere le capacit strutturanti e organizzanti del bambino,
ove deficitarie o mancanti. Nella terza deve accogliere le comunicazioni ver-
bali e non verbali, sostenere i collegamenti, rinforzare la curiosit e la ricer-
ca di senso narrativo, aiutare a costruire collegamenti fra le diverse esperien-
ze. Attraverso il processo creativo, il bambino ha la possibilit di esprimere
e comunicare il suo stato emotivo, anche quando non accessibile attraverso
le parole, permettendo cos allarte terapeuta di entrare in contatto e valutare
gli aspetti relativi allo sviluppo e ai sui eventuali disagi psicologici.
Ogni prodotto artistico racchiude un mondo emotivo ricco e variegato,
30

soggettivo ed unico: comprendere il suo significato simbolico non luni-


co obiettivo di un arte terapeuta. Ad esso si aggiunge il sostegno dato alle-
sperienza sensoriale, alla sperimentazione tattile e visiva ( ma a volte pure
uditiva ed olfattiva), e al godimento estetico, perch la soddisfazione data
da un bel lavoro una gratificazione che rinforza lautostima e le capacit
relazionali di ogni bambino.

Arte terapia con bambini adottati


Come abbiamo affermato, ogni processo di crescita psico-corporea ha
come ingrediente fondamentale la qualit della relazione, ma con i bambi-
ni adottati la relazione interpersonale spesso compromessa da esperienze
pregresse difficili o traumatiche. Il medium artistico utilizzato in arte te-
rapia, pu dunque essere un tramite per la relazione, quasi come se costi-
tuisse un terreno neutro, e quindi pi sicuro. Mentre disegna o manipola il
pongo, il bambino trova un suo modo per esprimersi e comunicare, senza
sentirsi impaurito o minacciato da richieste verbali.
Lavorando in modalit a Concentrazione Corporea, richiama memorie
corporee primarie che lo mettono in contatto con passate esperienze che
vengono contenute e proiettate allesterno grazie ai materiali artistici che
le veicolano. Questa modalit costituisce non solo il modo di fare espe-
rienza di base del bambino, ma la base fondante su cui costruire tutte le al-
tre abilit, ovvero, come dice Damasio (1995), il corpo offre un riferimen-
to di base alla mente. Nella modalit a Risoluzione Formale, il bambino
padroneggia le sue paure, organizza i suoi vissuti e impara a differenziare
ci che appartiene al passato, dalla realt del presente. Grazie alla stratifi-
cazione delle esperienze, dalle memorie corporee e dalle esperienze senso-
riali, che costituiscono le fondamenta della casa (Wright,1991) si pu pro-
cedere alla capacit simbolica, che permette al bambino di raccontare e di
dare un significato al suo lavoro, entrando cos nella modalit a Narrazione
Simbolica. Per il bambino, lattivit artistica funziona come contenitore
delle memorie del passato, a volte senza parole, una muta presenza, per-
turbante perch piena di emozioni innominabili, di fatti irraccontabili. La
natura stessa dellatto creativo gli permette un ruolo attivo, di colui che fa
e decide, che rinforza assertivit e vitalit, e promuove autostima: in una
parola, latto creativo consolida la capacit di resilienza. Se da una parte
importante creare e sostenere nuovi legami, dallaltra necessario aiutare
il bambino a separarsi e a diventare autonomo. Unione e separazione sono
31

infatti tappe del processo evolutivo e sono anche momenti del processo
creativo (Robbins, 1989), che permettono una immersione in ci che si sta
eseguendo, un totale assorbimento, ed una successiva presa di distanza,
quando il prodotto terminato e lo si osserva, ce ne si distanzia, lo si rega-
la. Gli ingredienti del processo creativo aiutano pertanto lo sviluppo delle
due linee parallele dellattaccamento e della separazione, temi fondamen-
tali per il bambino e ancor pi difficili per quello adottato.

Larte terapia in gruppo


Lattivit di gruppo in arte terapia permette di attivare e coinvolgere di-
verse aree dello sviluppo psico-affettivo. Si attraversano momenti di pre-
sentazione di s, di rispecchiamento, di riconoscimento, di comunicazione
e di collaborazione con laltro, interessando cos larea relazionale, larea
affettiva e larea cognitiva. Nel momento del contatto con i materiali e della
produzione delle immagini o degli oggetti sono attivate maggiormente la-
rea percettiva e larea motoria. Nel momento di rielaborazione collettiva che
conclude ogni laboratorio, vengono portati ad un livello di maggiore consa-
pevolezza i vissuti emersi durante lesperienza. Questo avviene sollecitando
la condivisione dellesperienza stessa e favorendo una sua intellettualizza-
zione, anche attraverso la possibilit di parlarne, coinvolgendo nuovamente
larea cognitiva e quelle affettiva e relazionale. Tutto ci non significa che
ogni partecipante debba per forza verbalizzare, ma piuttosto rappresenta il
modo di avviare un processo personale partendo dai modi e dai tempi di
ciascuno costituendo un comune rituale di apertura e di chiusura capace
di conservare e suggerire la presenza contemporanea di tracce di percorso
personale (Belfiore, 1998). La presenza ritualizzata di un momento in cui
sia possibile semplicemente mostrare ci che si realizzato ed eventualmen-
te parlarne offre lopportunit per cui ciascuno pu rispecchiare la propria
attivit in quella degli altri. Questa quella che viene definita funzione spec-
chio del gruppo. Grazie ad essa viene suggerita una riflessione sulla conti-
nuit tra i propri lavori e quelli degli altri e viene permessa una percezione
di tale continuit come una caratteristica di tutte le immagini prodotte da
ciascuno nel corso del tempo (Belfiore,1998). Una seconda funzione che
si attiva la funzione schermo. Questa permette allimmagine realizzata di
costituirsi come un elemento su cui vengono proiettati contenuti personali
(Belfiore,1998). La proiezione, peraltro, non attivata soltanto dalla propria
immagine, ma anche dalle immagini prodotte dagli altri membri del gruppo,
32

su cui ognuno pu proiettare significati propri, ampliando cos la significati-


vit di ciascuna immagine e rinforzandone il valore simbolico che permette
a ciascuno di appropriarsene. importante inoltre porre lattenzione sugli
aspetti regressivi che vengono proiettati nei lavori artistici, impulsi primitivi
raramente o mai elaborati, che tuttavia possono essere contenuti dal gruppo
stesso, proprio per la loro natura non verbale, e servono, nei gruppi di bam-
bini portatori di storie di abbandono e lutto, ad evacuare aspetti negativi e a
far spazio per quelli positivi,che sostengono la possibilit di costruire o ri-
costruire elementi mancanti delle relazioni primarie. Un ulteriore funzione
che si attiva nel gruppo in un setting di arte terapia, e che ci appare partico-
larmente significativa in un contesto di adozione, la funzione legame. Essa
si riferisce al ciclo vitale di una relazione, duale o di gruppo. Ogni legame
viene avvertito nel momento in cui si progetta la separazione. la consa-
pevolezza della possibilit di separarsi ci che d valore allistituirsi del le-
game affettivo. Se la possibilit di separazione non viene percepita allora
possibile soltanto una regressione fusionale in cui perdere ogni traccia della
propria identit, oppure una frammentazione di s nellincapacit di rico-
noscersi e di sentirsi riconosciuto. Di fatto, la funzione legame propria di
qualsiasi dinamica relazionale focalizzata su un progetto evolutivo, sia esso
educativo, terapeutico o genitoriale. La funzione del conduttore come garan-
te della conservazione delle immagini/oggetti e della loro continuit fra un
incontro e laltro permette la sperimentazione della possibilit di separarsi
da una parte di s e della possibilit di ricongiungersi ad essa ritrovandola
intatta e mantenendo altres anche la possibilit di modificarla. Lattivarsi e
levolversi della funzione legame nei gruppi di arte terapia riguarda in pri-
mo luogo la relazione di ciascuno con i propri prodotti, che nascendo da s
vengono vissuti come rappresentanti simbolici del bambino in quanto figlio;
inoltre viene coinvolta la relazione di ciascuno con i prodotti degli altri, sim-
bolicamente rappresentanti i fratelli, e la relazione di ciascuno con gli altri
partecipanti al gruppo, nei cui confronti si attiva nuovamente il codice del-
la fratellanza; infine la funzione legame, come in qualsiasi altro gruppo, ri-
guarda le relazioni fra ciascuno e il conduttore del gruppo rispetto al quale si
attiva il codice del bambino nei confronti del genitore che accoglie e regola
( Fornari, 1976; Bion,1962 ). Ci che caratterizza la specificit del gruppo in
un setting di arte terapia che oltre il viversi come pari con gli altri parteci-
panti -fratelli e come figlio nei confronti del conduttore-madre e padre (For-
nari,1976 )viene rinforzato il viversi come genitore di ci che nasce da s
che pu essere amato, respinto, rifiutato Ci permette al bambino adottato
33

di identificarsi con il genitore che accoglie, ma anche con il genitore che ri-
fiuta, che si perde, che non si sente adeguato, che ha bisogno di aiuto, che
non riconosce ci che nasce da lui perch non come me lo immaginavo.
Lesperienza in un gruppo di arte terapia permette quindi di fare esperienza
per rappresentare e simbolizzare aspetti significativi dei propri vissuti e di
rendere cos visibili e riconoscibili nuove sfumature e possibilit latenti, ri-
mandando a quella funzione dellarte come presentificazione di un oggetto
desiderato o temuto.
In particolare se lattivazione della funzione specchio ha a che vedere
con i processi di costruzione e riconoscimento di una propria identit per-
sonale continua nel tempo, la funzione schermo permette lesperienza di
essere visti, rinforzando le possibilit di rispecchiamento di s nellal-
tro e dellaltro in s sollecitando i differenti aspetti del processo di costru-
zione dellidentit personale identificare-essere identificato-identificarsi
(De Mijolla, 2004). Ma soprattutto lattivazione della funzione legame
che permette di sperimentare la possibilit che le relazioni affettive fra s e
ci che da s proviene possono evolversi e modificarsi nel tempo anzich
interrompersi con un lutto abbandonico.

1.6 Conclusioni (Fabiola De Paoli)


Pensando alladozione e alle modalit relazionali che i bambini portano
spontaneamente dalle esperienze abbandoniche, diventa ancora pi impor-
tante che i genitori adottivi si preparino profondamente al loro arrivo, che
imparino a ri-prendere il filo della loro storia di figli, di coppia e a rielabo-
rare i vissuti dolorosi di perdita.
Il tema della promozione della sensibilit e della responsivit trattato
dalla Prof.ssa Anna Ogliari richiama il delicato cammino della ricostruzio-
ne e integrazione della storia.
La base sicura da cui parte il bambino data da una rappresentazione
della relazione con figura di attaccamento, generata da una presenza fisica
e psicologica costante e rassicurante.
Sentirsi compresi per conoscere la verit, diventa indispensabile per il
bambino e per la sua identit in sviluppo. Il difficile compito dei genitori
quello di trovare una forma buona alle domande che si arricchiscono di
dettagli di pari passo con lo sviluppo del pensiero.
La condizione affinch il bambino possa porsi spontaneamente nella
narrazione rimane sempre il legame fiducioso proposto dai genitori. solo
34

dove c lo spazio per potersi affidare e fidare che nasce il desiderio di sco-
prire le proprie origini e riposizionarsi nel mondo.
Il momento della separazione che promuove la capacit di simbolizza-
zione e la nascita del pensiero, va preparato con cura con i bambini e le
famiglie adottive.
Il simbolo usato non per negare, ma per superare la perdita (Segal 1957).
Recuperare spazi di aggancio al corpo e occasioni di temporanee re-
gressione, garantisce al bambino di percepire concretamente la presenza
della figura di attaccamento, di riceverne il nutrimento necessario per con-
sentire la simbolizzazione e al pensiero di spiccare il volo al momento
della separazione, sicuri di poter atterrare dopo aver fatto esperienza nel
mondo.
La prospettiva che esistano dei fattori che possano funzionare da me-
diatori nel processo di trasmissione dello stile di attaccamento il motore
che ha generato lo studio riportato nellarticolo. La presenza di esperien-
ze di attaccamento successive, il supporto famigliare e sociale, la qualit
della relazione di coppia e le caratteristiche del bambino sono gli indica-
tori che generano speranza nel recupero e nellintegrazione delle espe-
rienze passate per un futuro pi solido e sicuro. Dallesperienza degli in-
contri con le coppie in attesa, promossa sempre dallEquipe Sovrazonale
per le Adozioni Nazionali e Internazionali, emerge chiaramente il biso-
gno di esser accompagnati allincontro e di essere aiutati a sostenere il
tempodellattesa con contributi sia di specialisti che di genitori adot-
tivi, per vivere questo momento come un tempo prezioso per prepararsi
allincontro.
Riflettendo sui tempi di attesa, e pensando a lungo con i genitori tutors,
siamo arrivati alla conclusione che la genitorialit adottiva o biologica ci
impone come adulti a rispettare lattesa dellaltro, durante tutto il corso
della vita. Attendere larrivo solo linizio di un percorso sospeso, che i
figli ci impongono nel loro sviluppo personale e che se rispettato, garantir
la loro crescita sana e armonica.
Con questo concludo ringraziando la dott.ssa Giuliana Ziliotto referen-
te del Punto Informativo dellOrdine degli Psicologi del Piemonte provin-
cia di Novara, per aver accolto e sostenuto lidea di un libro a pi voci.
Per la stesura dellarticolo gli specialisti:Professoressa Mimma Della
Cagnoletta, Professoressa Anna Ogliari, Dott.ssa Angelica Zavettieri
Per questi anni di esperienza: le famiglie dei gruppi post-adozione e in
35

particolare le famiglie: Pescosolido, Fornarelli e Verzaro per le loro testi-


monianze, la mamma/maestra Cristina Mocchi Fontaneto per il suo impe-
gno costante e generoso in ambito scolastico.
Ed infine un ringraziamento speciale allEquipe Sovrazonale per le
Adozioni Nazionali e Internazionali della provincia di Novara, in parti-
colar modo alla Dott.ssa Paola Bossetti, per la fiducia dimostrata in questi
anni di lavoro e allAssociazione Attivalamente e.. il corpo per aver ac-
colto al suo interno la progettualit di questo ultimo anno.

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Capitolo 2

Verso nuove appartenenze:


il contributo dellemdr
alla famiglia adottiva
Paola Piola

2.1 La genitorialit adottiva


La genitorialit adottiva un percorso lungo e spesso molto faticoso; na-
sce, nella maggioranza dei casi, da sogni e speranze deluse circa la possi-
bilit di poter generare un figlio proprio, conosce la frustrazione e il dolore
della mancanza, prima di accostarsi alla formulazione di un modo nuovo e
diverso di diventare genitore.
Nella gravidanza adottiva, come in quella biologica, i futuri genitori en-
trano in contatto con lattesa, che ha per una dimensione temporale non
definita ed una scansione diversa, non i periodici controlli sulla salute del
feto, ma le fasi del percorso adottivo ( selezione, abbinamento, conoscen-
za, sino alla decisione finale).
Il tempo dellattesa pu essere lungo e, nonostante la comprensione,
a livello cognitivo, della delicatezza e complessit delliter e la fiducia
spesso instaurata negli operatori che, a vario titolo, lo gestiscono, i futu-
ri genitori adottivi sperimentano spesso vissuti dimpotenza nei confronti
di un processo cos importante per la loro vita che sentono di non poter
controllare.
Essere genitori, naturali o adottivi, pu implicare anche dolorose scel-
te che possono essere vissute, se non elaborate, come pesanti rifiuti nei
confronti di un bambino percepito come difficile, per condizioni di salute
e/o di storia, con pesanti ricadute sulla stima di s, per non aver saputo in-
tegrarlo nella propria esistenza.
Esiste inoltre la possibilit, come pu essere avvenuto per la capacit
di procreare, che un ulteriore esito negativo possa innescare o rafforzare,
in un coniuge e/o in entrambi, vissuti di inadeguatezza personale, con la
40

strutturazione o il rafforzamento di schemi cognitivi disfunzionali ineren-


ti le proprie capacit (Area della Responsabilit: Non vado bene come
sono) che, se non elaborati, possono incidere sulla Personalit del sogget-
to, minandone il funzionamento.
Anche in virt di queste criticit, ma soprattutto per consentire lini-
zio di nuovi indispensabili attaccamenti, occorre perfezionare le strategie
operative insite nel percorso adottivo ed implementare nuove competenze
cliniche.
Le conoscenze sul funzionamento dinamico della nostra mente, incre-
mentate dagli studi delle neuroscienze e dagli sviluppi delle metodiche di
neuroimmagine, ci presentano oggi il cervello come una struttura conti-
nuamente plasmabile nel corso della nostra esistenza. La mente, come sot-
tolinea Siegel, o meglio la nostra mente emerge dalle attivit del cervel-
lo; nuove cellule nervose e nuovi connessioni determinano le modalit con
cui i processi mentali sono creati, e sono proprio le esperienze che plasma-
no continuamente questi collegamenti e quindi, di conseguenza, plasmano
la mente.
Le relazioni interpersonali e i processi riflessivi favoriscono il continuo
sviluppo del cervello.
Ne scaturisce un approccio dinamico, attivo, un punto di vista nei con-
fronti della nostra vita continuamente aperto alla possibilit di utili cam-
biamenti e che aumenta, incredibilmente, le potenzialit del ruolo genito-
riale nel promuovere il proprio benessere ed, in modo particolare, quello
dei figli.
In questa prospettiva, il percorso adottivo pu rappresentare, per i futu-
ri genitori anche una nuova occasione di crescita personale.
Potenziando ed affinando contesti di ascolto e confronto, finalizzati ad una
pi consapevole conoscenza di s, come soggetto con storia, e dellAltro,
sia il coniuge o limmaginario figlio adottivo, la coppia pu pervenire
infatti ad una pi profonda consapevolezza delle proprie caratteristiche e
capacit e confrontarle con quelle richieste nel ruolo genitoriale adottivo;
mi piace pensare anche alla possibilit che, in questa prospettiva, la coppia
possa pervenire autonomamente ad una interruzione, anche temporanea,
del progetto previsto (autoselezione).
Il processo di riflessione dei coniugi sulla propria biografia, sulle di-
namiche attinenti la loro relazione, come nel lavoro psicoterapeutico, au-
menta e potenzia quindi la consapevolezza, che la competenza alla base
della nostra capacit di costruire relazioni significative.
41

La nostra mente, infatti, in un continuo divenire ed la memoria (im-


plicita ed esplicita), con la genesi di nuove connessioni neuronali, il pro-
cesso di collegamento tra essa e le esperienze della vita.
Quando si pensa ai requisiti richiesti ad un genitore adottivo, dobbiamo
ricordarci sempre che non stiamo cercando un ipotetica coppia che abbia
attraversato la vita senza aver vissuto esperienze dolorose o anche trauma-
tiche: non ne troveremmo. La vita, infatti, non risparmia nessuno.
Quello che sar utile ricercare e sollecitare nei genitori adottivi, come
in quelli biologici, la presenza di eventuali esperienze interne, in parti-
colare infantili, nella propria biografia, collegabili a questioni del passato
non risolte, che possono tornare, con modalit diverse e spesso inconsa-
pevoli, nel presente (pensieri intrusivi, sensazioni somatiche, iperarousel,
ecc.) condizionando cos in modo negativo la relazione con il figlio.
Le competenze emozionali, inoltre, sono alla base di una comunicazio-
ne efficace, saperle riconoscere nel bambino, sin dalle prime fasi del suo
sviluppo, ed interpretarle in un contesto relazionale empatico, crea un col-
legamento tra la mente delladulto e quella, in formazione, del bambino:
una sorta di arteria ombelicale che alimenta i processi di crescita della sua
mente, facilita lemergere di un s autonomo e lo sviluppo di capacit fles-
sibili di autoregolazione.
Le neuroscienze con lidentificazione dei neuroni a specchio, pongo-
no la base per la comprensione, anche strutturale, della capacit degli es-
sere umani di capire gli stati interni dellAltro, un probabile adattamento
della specie umana nel corso dellevoluzione. come se il nostro cervel-
lo, nel tempo, abbia per necessit, sviluppato competenze relazionali indi-
spensabili soprattutto alla continuazione della specie.
Quando si parla oggi di neurobiologia interpersonale sintende rife-
rirsi alla comprensione delle connessioni esistenti tra i processi alla base
dello sviluppo della mente e le relazioni interpersonali che li plasmano, in
primis i legami di attaccamento.
Le relazioni con i genitori sono, in questa accezione, un continuo stimo-
lo per la crescita della mente del bambino e questo processo, pur avendo
una maggior incisivit formativa in et evolutiva, data loriginaria imma-
turit del cervello, permane, nel corso della vita; le relazione interperso-
nali, infatti, in particolare quelle significative, continuano a creare nuove
connessioni cerebrali modellandone lassetto.
Questo radicale cambiamento di prospettiva, delinea lidea di un cer-
vello duttile, plasmabile alle esperienze e alleducazione; in questa acce-
zione nel processo di crescita c poco di innato e molto di appreso.
42

La genitorialit adottiva prende quindi un nuovo importante slancio


poich, come affermano Daniel Siegel e Mary Hartzell, deve essere con-
siderata a tutti gli effetti biologica: perch le esperienze familiari a cui
danno origine plasmano la struttura biologica del cervello del bambino.
Questa possibilit pu consentire al bambino adottato di strutturare
nuove appartenenze indispensabili per la sua vita, ma non di fatto cos
facile e naturale che possa crearsi una risonanza emotiva tra la sua mente
e quella dei nuovi genitori.

2.2 Il bambino "in guerra"


I bambini che oggi giungono allo stato di adozione hanno spesso vissuto
esperienze altamente traumatiche, quali labuso sessuale, il maltrattamen-
to fisico e psicologico o la trascuratezza; ferite dellanima inferte proprio
da quelle figure, i caregiver naturali, che avrebbero dovuto avere di loro
cura e tutela e promuoverne lo sviluppo. A volte, inoltre prima di giungere
nella famiglia adottiva questi bambini hanno trascorso periodi in strutture
comunitarie o anche in famiglia affidatarie; secondo i criteri del DSM-IV
spesso soffrono di un disturbo reattivo dellattaccamento.
Il comportamento dei bambini con ESI (Esperienze Sfavorevoli Infan-
tili), pu risultare incomprensibile e di difficile gestione e questo avviene
perch nelle loro menti non sussistono gli stessi presupposti neurobiolo-
gici innescati da attaccamenti sicuri. La gratificazione dei bisogni primari,
infatti, d al bambino un appagamento psicofisico che, nella costanza della
relazione, lo dispone ad unapertura alla fiducia nei confronti delle figure
genitoriali e successivamente nei confronti del mondo.
Una relazione significativa, o meglio, LA RELAZIONE che nutre,
rassicura, protegge, rinforza, favorisce nel piccolo, in un contesto rela-
zionale privilegiato e sicuro, la conoscenza e padronanza delle proprie
emozioni.
Come sottolinea A.M. Leeds: la Teoria dellAttaccamento essenzial-
mente una teoria sulla regolazione.le emozioni sono lespressone diretta
di ordine pi elevato della bioregolazione degli organismi complessi (Da-
masio 1998) e lattaccamento pu quindi essere definito come una diadica
regolazione dellemozione (Sroufe,1996).
Nellattaccamento di tipo disorganizzato, frequente nelle vittime di
ESI, il bambino vive esperienze di comunicazione in cui il comportamen-
to del genitore caotico, eccessivo, fonte di paura, allarme e confusione;
43

in questo contesto relazionale paralizzato e sperimenta quello che Siegel


chiama il Paradosso Biologico poich il suo sistema innato di attacca-
mento lo porterebbe a ricercare sicurezza e protezione proprio da chi gli
incute paura e terrore.
Mary Main e Erik Hesse parlano di paura senza soluzione e la per-
manenza prolungata in una condizione di questo tipo, per un soggetto in
et evolutiva, provoca alterazioni nelle funzioni della mente preposte alla
regolazione delle emozioni e delle situazioni di stress.
Gli schemi cognitivi (MOI) precoci che il bambino con disturbo dellat-
taccamento pu sviluppare secondo Debra Wesselman, dellAttachement
and Trauma Center of Nebraska, riflettono la percezione caotica e disor-
ganizzata in cui sta vivendo e ci fanno comprendere le strategie di adatta-
mento sviluppate: non sicuro amare o fidarsi; non sicuro provare sen-
timenti; devo esercitare il massimo controllo; sono vulnerabile; non c
nessuno che possa aiutarmi; sono completamente solo; non appartengo a
nessuno; sono insignificante; non sono abbastanza buono; il mondo un
luogo pericoloso; accadranno delle brutte cose; non posso ottenere ci di
cui ho bisogno; se non mi vedono o non mi sentono scomparir; se non ti
vedo o non ti sento,tu scomparirai; devo prendermi cura di me, altrimen-
ti morir; le mamme sono cattive, le mamme ti lasciano, le mamme sono
crudeli e ti fanno del male.
Questi dolorosi vissuti, esiti di esperienze traumatiche, diventano per il bam-
bino una strategia per vivere, meccanismi difensivi del tempo di guerra, svi-
luppati e mantenuti perch, comunque, gli hanno permesso la sopravvivenza.
Ed cos che questo bambino andr ad incontrare i nuovi genitori, in-
compiuto rispetto allattaccamento e difeso, armato.
La relazione con i genitori adottivi si struttura a partire da questi pre-
supposti e la visione del mondo del bambino congrua alla propria dram-
matica esperienza di vita; la premessa per una nuova reale nascita dipende-
r dalla possibilit di costruire il circolo della fiducia con i nuovi genitori
adottivi.

2.3 La Conoscenza come risorsa indispensabile.


Per il bambino adottivo si tratta quindi di poter interiorizzare attaccamenti
significativi che non ha e che sono indispensabili per poter affrontare una
vita, che, nel frattempo, continua a scorrere includendo nuove risorse ma
anche altri eventi potenzialmente traumatici.
44

Dal momento in cui, guardando la sua foto, la mente dei genitori si di-
spone allinclusione di quel bambino come figlio proprio, questo delicato
processo va sostenuto. Occorre, infatti, fornire ai genitori adottivi cono-
scenze utili a favorire quella che si prevede una non facile e scontata sin-
tonizzazione con il figlio.
Diversamente dal passato, nel nostro paese la storia del bambino un
elemento costitutivo fondamentale della scelta adottiva; il doloroso per-
corso alla base della decisione del suo stato di adottabilit, lesito del
progetto di tutela e cura di servizi sociali e sanitari, ed istituzioni giudizia-
rie che, nel tempo, hanno affinato strategie operative e metodiche cliniche.
Le informazioni disponibili possono essere, quindi, particolarmente
dettagliate e devono essere fornite includendo i vissuti del bambino; ma
occorrer anche includere e discutere chiaramente con i futuri genitori,
come sottolineano G.C. Keck e R.M. Kupecky, anche ipotesi sui danni su-
biti anche se, come specificano gli autori, tutto questo non sar sufficiente
a dare previsioni certe circa il futuro del bambino e il suo inserimento o
meno nel nucleo familiare.
La relazione tra terapeuta e genitori si fonda quindi sui presupposti
impliciti al percorso psicoterapeutico (competenza, ascolto empatico, fi-
ducia, trasparenza, flessibilit, ecc.) e su una forte alleanza terapeutica
(coterapeuti). Ed proprio in virt di questo far squadra che i genitori
adottivi potranno reggere, finita la luna di miele, lo sconforto di trovarsi di
fronte ad un figlio spesso incomprensibile ed essere guidati nella progres-
siva decodificazione del suo comportamento, arrivando cos finalmente ai
suoi bisogni reali, nascosti.
Tale percorso necessita, da parte dei nuovi genitori di ulteriori
acquisizioni.

2.4 Il trauma interno allidentit


Nei bambini che giungono alladozione le esperienze traumatiche, le ferite
dellanima, sono ripetute, croniche e pi insidiose, perch, come abbiamo
detto, spesso inferte dai caregiver o, comunque, frutto di una loro incapa-
cit nel contrastarle.
Parlando di esperienze simili non ci riferiamo quindi ad unaltra serie
di evenienze sfavorevoli e potenzialmente traumatiche che si possono ve-
rificare nellinfanzia (incidenti, lutti, malattie, ecc) ma ad un sistema di
attaccamento traumatico che permea lo sviluppo psicofisico del bambino.
45

Lesperienza traumatica normale un evento che soverchia le nor-


mali difese e le strategie della persona per affrontare gli avvenimenti della
vita; che blocca il sistema innato in ognuno di noi, fisiologicamente orien-
tato ad elaborare le informazioni in unottica di autoguarigione, interfe-
rendo con i meccanismi di registrazione ed immagazzinamento dei ricordi
inerenti levento.
In questo caso la risoluzione del disagio consister, secondo la teoria
dellAIP (Adaptive Information Processing Schapiro, 1995) nella rie-
laborazione adattiva che avviene a livello neurofisiologico; questo pro-
cesso ha un suo percorso entro il quale la presenza di una sintomatologia
post-traumatica (sintomi di intrusione, evitamento ed eccitazione) rientra
nel percorso di elaborazione. La capacit di pervenire alla risoluzione del
disagio di un bambino dipender da molti fattori: la gravit dellevento, il
grado di esposizione e durata, la presenza di traumi pregressi, let e la re-
azione genitoriale.
Le esposizioni traumatiche, dirette e indirette, dei figli, infatti, coinvol-
gono e generano sofferenza nelle figure genitoriali e la capacit di rielabo-
razione del bambino passa spesso dalla possibilit delle stesse di superare
limpatto traumatico, ristabilendo cos la propria funzione protettiva (Fer-
nadez, Maslovaric, Piola, Zambon, 2014)
La risoluzione del trauma in et evolutiva si collega sempre quindi ai
fattori di rischio e di protezione, primo il contesto relazionale di accudi-
mento (Scheeringa, 2004); la mancata rielaborazione pu comportare, nel
tempo e sotto la spinta di attivatori, la comparsa nel bambino di una sin-
tomatologia (disturbi della condotta, disturbi oppositivi, ADHD; disturbi
del sonno, ecc.) collegabile al trauma originario, spesso, anche diagnosti-
camente, non identificata (PTSD).
Nel caso del bambino adottivo ci troviamo di fronte ad un trauma in-
terno allidentitche, come ricorda Marinella Malacrea, ha un effetto
pervasivo e permanente a carico dei processi di regolazione psicologici e
biologici del bambino, dando luogo a reazioni pi complesse e nefaste del
disturbo post-traumatico da stress.
Il funzionamento psichico e fisico del bambino alterato da questa pro-
lungata esposizione traumatica primaria e le moderne metodiche diagno-
stiche possono constatarne gli esiti nelle alterazioni in varie aree cerebrali
e a livello del sistema nervoso simpatico e parasimpatico.
Questo bambino sembra aver sviluppato un sistema di adattamento in
cui lo stress post-traumatico diviene un meccanismo di sopravvivenza
46

consolidato nel tempo; le esperienze traumatiche e le difese funzionali a


contrastarle sono per tanto ancora in atto nel presente.
I cambiamenti avvenuti nella sua vita (la protezione, la cura, la succes-
siva adozione) e le attuali risorse familiari e personali, spesso non sembra-
no sufficienti a favorire un cambiamento adattivo, il bambino non riesce
ancora ad utilizzarle come tali ed i ricordi traumatici continuano a rimane-
re isolati, non integrati e quindi, sotto la spinta di attivatori (trigger) poten-
zialmente ed anche inconsapevolmente attivi.
Il condizionamento delle esperienze traumatiche vissute spesso so-
verchiante. Quando poi le emozioni sono troppo intense ed insopportabili,
per poterle tollerare, vengono frammentate e disintegrate; come avviene
per i ricordi, questo meccanismo di difesa pu essere una concausa della
dissociazione che potrebbe essere considerata, quindi, una conseguenza
della incapacit di regolazione emotiva.(Anna Rita Verardo)
Nonostante il trascorrere del tempo, la prospettiva traumatica interiorizzata
da quel piccino maltrattato permane ed alla base del mantenimento di
schemi cognitivi a cui abbiamo accennato (MOI).
Le emozioni stimolate da fattori scatenanti del presente influiscono sul
suo comportamento e sulle sue convinzioni negative; le circostanze attuali
finiscono con rinforzare la scarsa stima personale e la strutturazione di un
s deficitario e carico di disvalore.
Di fatto cosa succede nel presente?
Accade che eventi del quotidiano, stressanti ma anche non necessaria-
mente intensi, quali ad esempio lespressione severa sul volto delladul-
to o qualche divieto materno, possano attivare cognizioni negative, senti-
menti, emozioni accumulate dallesperienza traumatica passata.
In virt di questa stratificazione la reazione del presente pu apparire
troppo intensa, spropositata, incongrua; come se il bambino fosse colpito
su un nervo scoperto, un punto nevralgico che sollecita una risposta
eccessiva in tutte le sue componenti: emozioni, sentimenti, vissuti e
comportamenti.
Mentre le nuove appartenenze si predispongono quindi ad accoglierlo
e amarlo, il bambino sembra rispondere con agiti che lo fanno apparire in-
comprensibile, imprevedibile, incontrollabile e manipolatore; la manife-
stazione violenta di alcune emozioni, in particolare, della rabbia lo fa sem-
brare, purtroppo, anche cattivo.
Il contesto familiare pu essere messo, quindi, a dura prova ed anche
altri ambiti significativi e normalizzanti, come la scuola, possono entrare
47

con loro in un pericoloso circolo vizioso che rischia di convalidare e po-


tenziare i vissuti traumatici alla base del comportamento del bambino, au-
mentando il senso di solitudine ed esclusione (MOI).

2.5 La felicit possibile


Questi bambini feriti dentro, saranno quindi figli complessi e difficili, ma
i progressi delle metodiche e delle prese in carico terapeutiche ci induco-
no a nuove speranze. Possiamo oggi pensare ad una guarigione o quanto
meno ad un miglioramento importante nella loro qualit di vita e del nu-
cleo familiare adottivo.
Occorre per che i nuovi genitori non siano lasciati soli, alle prese con
un ruolo cos arduo; le istituzioni devono rilanciare un affiancamento ope-
rativo sempre pi competente e strutturato in grado di stabilire con loro
unalleanza terapeutica, finalizzata alla promozione di ulteriori competen-
ze genitoriali non generiche ma specifiche per il figlio.
La riflessione sulla conoscenza della storia pregressa del bambino, sulla
consapevolezza del suo funzionamento e dellimpatto, anche traumatico,
di questi aspetti su di s come genitori , pu porre gli adottivi in una pro-
spettiva diversa, consentendogli tempestivamente di archiviare strategie
educative destinate a fallire fondate sul controllo, il distacco, le punizioni,
i divieti e le privazioni, con grande probabilit gi sperimentate dal bam-
bino in passato.
la ricerca alle vie di accesso alla mente di quel figlio, forse abbastan-
za grande, ma ancora cos piccolo dentro, che dobbiamo attivare nei ge-
nitori: ed questa parte piccola che essi devono raggiungere ed accudire.
I bisogni del figlio adottivo dovranno essere colti senza confrontarli con
quelli dei coetanei, poich ci che stiamo ricercando un allineamento
a partire dalla sua et emotiva, non cronologica; per questo sar utile
iniziare stabilendo il contatto oculare, promuovendo la vicinanza fisica,
sollecitando collegamenti olfattivi, esperienze corporee e di movimento
insieme.
Andr promossa la sicurezza e la protezione perch sono aspetti centra-
li della relazione del bambino con i nuovi genitori, scaturiscono da espe-
rienze che hanno questi requisiti di base e dovranno lentamente essere in-
teriorizzati perch indispensabili al suo benessere.
Andr ripresa e potenziata la cura.
La centralit attiva del bambino, non si discosta da quella implicita in
48

ogni psicoterapia ma necessita nei casi in oggetto, di maggiori cautele ed


attenzioni ed il potenziamento di alcuni aspetti. Per prima cosa dobbiamo
considerare la comprensibile difficolt del bambino a investire nella tera-
pia; ci pu avvenire per svariati motivi, tra i quali le precedenti esperien-
ze collegate al doloroso ed indispensabile iter culminato nella protezione e
quindi nelladozione, la sfiducia ancora dominante nella visione di s e del
mondo, lidea di essere considerato sempre e solo un problema.
La ripresa del percorso di cura deve pertanto collegarsi, seguendo la li-
nea del tempo del bambino, con i precedenti interventi, dando loro la con-
tinuit indispensabile per valorizzarli ma, soprattutto, sintonizzarsi sulle
problematiche che il bambino sente come attuali.
partendo dai problemi di oggi che il bambino potr trovare, infatti, la
motivazione necessaria per questo nuovo intervento, finalizzato a restituir-
gli stabilit , controllo e padronanza.
Lalleanza terapeutica dovr fondarsi sulla fiducia, il rispetto e la tra-
sparenza, requisiti indispensabili per poter procedere allelaborazione del
materiale traumatico .
Il terapeuta chiamato ad operare su due fronti: interlocutore privi-
legiato del bambino, ma anche dei genitori adottivi poich, favorendo il
legame di attaccamento, si creeranno gli ancoraggi indispensabili allela-
borazione dei traumi.
indispensabile la totale assonanza con i genitori adottivi ed il contesto
familiare allargato circa la necessit del lavoro terapeutico; nel percorso
ci saranno infatti conquiste ma anche perturbazioni che saranno utili alla
comprensione delle esperienze traumatiche vissute dal bambino, modifi-
cazioni che non andranno lette e considerate come peggioramenti, ma im-
portanti esiti transitori attestanti lavvio del processo di rielaborazione nel
quale il bambino deve essere sostenuto e rassicurato.

2.6 Il contributo della terapia con EMDR


EMDR un acronimo per Eye Movement Desensitization and Reproces-
sing (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso Movimenti Oculari)
un metodo di psicoterapia individuale di recente sviluppo.
Come avvenuto per altre scoperte scientifiche, lEMDR parte da unin-
tuizione della dottoressa Francine Shapiro che, nel 1987, pone le basi
per un modello psicoterapeutico strutturato integrato finalizzato alla cura
delle esperienze traumatiche altamente stressanti, che include aspetti e
49

componenti di altre psicoterapie (psicodinamica, cognitivo-comportamen-


tale, sistemica, ecc.).
Il modello EMDR si fonda sullAdaptive Information Processing (Pro-
cesso Adattivo dellInformazione, Shapiro, 1995), di cui abbiamo gi ac-
cennato, secondo il quale esperienze altamente disturbanti possono arriva-
re a soverchiare il sistema adattivo (sistema fisiologicamente orientato alla
salute) non consentendogli di fare i collegamenti interni, neurofisiologici,
necessari per giungere ad una risoluzione propria di tali esperienze. Se-
condo questa prospettiva, ricordiamo, la patologia subentrerebbe quando
questo sistema innato si blocca e levento traumatico rimane isolato dal
resto della rete neuronale della persona, non integrandosi al sistema innato
che spinge, ognuno di noi, verso lautoguarigione.
Il ricordo traumatico rimane in una condizione di sospensione ed isola-
mento e mentre la vita della persona scorre, levento non invecchiae non
si modifica, rimanendo immagazzinato nel cervello con le stesse sensazio-
ni, emozioni e vissuti provati in quelloccasione. Non essendo stato inte-
grato, come gi ricordato, il ricordo rimane attivo ed ognuno di noi, nella
nostra quotidianit, ha potuto constatare come si possa provare dolori ed
emozioni relativi ad un evento del passato ancora cos intensi oggi.
Lapplicazione del metodo EMDR stimola e riattiva le capacit innate e
naturali di elaborazione dellinformazione, in modo da disattivare lespe-
rienza traumatica trasformandola in modo adattivo, che sostanzialmente si-
gnifica pervenire ad utilizzo costruttivo di essa (crescita-post-traumatica).
Lintuizione di Francine Shapiro stata sicuramente, in origine, quella
di identificare nei movimenti oculari, simili a quelli del sonno REM, i pro-
motori dellelaborazione adattiva, ma, come lei stessa sottolinea: lEMDR,
anche se trae il suo nome da essi, un modello psicoterapeutico integrato
di cui i movimenti oculari, o le stimolazioni tattili o acustiche sono com-
ponenti fondamentali ma non esclusive.
Vediamolo, brevemente, pi da vicino.
Il terapeuta, in fase anamnestica, identifica le esperienze traumatiche
collegabili con le problematiche attuali della persona, che non sono iden-
tificabili solo nei traumi che oggettivamente riteniamo tali (lutti, incidenti,
catastrofi naturali, abusi sessuali, ecc.) ma che includono, come abbiamo
visto, anche ricordi emotivamente traumatici legati alla famiglia dorigine,
agli stili di attaccamento con la creazione nel soggetto di schemi cognitivi
disfunzionali che cronicizzano, negativamente il suo comportamento.
Linclusione di questi aspetti nellEMDR stata il frutto della
50

progressiva evoluzione del modello terapeutico, continuamente alimenta-


to dagli sviluppi delle neuroscienze.
Se dovessimo utilizzare una metafora per spiegare, sommariamente, gli
aspetti procedurali del modello, possiamo pensare ad una spedizione in
cui, in condizioni di sicurezza create dalla relazione terapeutica, il pazien-
te ritorna a recuperare materiali smarriti, tempo fa, in un luogo impervio e
pericoloso la cui perdita lo condiziona ancora oggi.
Il terapeuta invita il paziente, stimolando in lui la consapevolezza di es-
sere cronologicamente lontano dellevento traumatico, a ricercare:
lImmagine o meglio limmagine che corrisponde al momento pi
brutto del ricordo (Target);
la Cognizione Negativa su di s oggi, praticamente le convin-
zioni autosvalutative del paziente in rapporto a questo evento nel
presente;
la Cognizione Positiva, che rappresenta ci che il paziente vorrebbe
pensare di positivo su di s pensando allimmagine (o allevento);
la VOC: viene richiesto al paziente di valutare la veridicit della
Cognizione Positiva, in una scala da 1 a 7, dove 1 significa che la
sente completamente falsa e 7 completamente vera;
le Emozioni del paziente associate allevento target.
il SUDS (Scala delle Unit di Disturbo Soggettivo): viene richiesto
al paziente di valutare il disagio relativo allevento, in una scala da
0 a 10, dove 0 non disturbante e 10 il peggior disturbo ora.
le Sensazioni Fisiche ovvero di notare dove il paziente localizza il
disturbo sul corpo.

Non questo il contesto per approfondire le fasi del trattamento EMDR


ma ho voluto riportare lAssestment (Fase 3 su 8 previste dal Protocollo
EMDR) per far comprendere come lobiettivo sia quello di individuare la
parte pi disturbante dellevento e di stabilire un collegamento tra la co-
scienza e il luogo nel quale linformazione immagazzinata nel cervello,
con tutte le componenti cognitive, emotive, sensitive e corporee.
partendo da un target (ricordo) cos delineato, dalla sua configurazio-
ne in tutte le sue sfaccettature neurofisiologiche, che il terapeuta, attraver-
so la stimolazione bilaterale (doppia focalizzazione dellattenzione) potr
aiutare la mente del paziente a procedere nel processo di elaborazione del
51

ricordo, sempre monitorato dal decrescere del SUDS sino a 0; questo per-
corso, tuttavia, potr, nelle situazioni pi complesse, non essere cos line-
are, per la presenza di blocchi e/o lemergere di altre memorie traumatiche
che necessiteranno di essere comprese nel piano terapeutico.

2.7 LEMDR nei bambini e negli adolescenti


LEMDR un modello terapeutico relativamente recente; nel tempo si
sono sviluppate ricerche parallele a livello scientifico sui meccanismi alla
base del suo funzionamento, e anche sugli esiti neurofisiologici prodotti
dalla cura.
La promozione al benessere dei pazienti, ci sospinge oggi a potenziare
e affinare il modello nei vari ambiti in cui si manifesta la sofferenza delle
persone nella mente e nel corpo.
Luso dellEMDR nei bambini e negli adolescenti si dimostrato parti-
colarmente efficace, pu agire pi rapidamente rispetto agli adulti, il trat-
tamento dei ricordi traumatici pu influire su unampia gamma di com-
portamenti e non interferisce con altri approcci (Ricky Greenwald, 1999).
Anna Rita Verardo nel corso di seminari e pubblicazioni afferma come
sia bene seguire il principio della minima creativit e modificare il proto-
collo standard solo quando veramente necessario poich, a partire dai
9 a 12 anni, se non hanno subito grossi traumi, sono in grado di seguirlo.
Nei bambini adottati, di cui stiamo parlando, pi che di sostanziali mo-
dificazioni al protocollo si tratter per il terapeuta di avere a disposizio-
ne un ampio repertorio tecnico che comprende aspetti clinici impliciti in
qualsiasi terapia infantile, cui abbiamo gi accennato, e di possedere una
maggior flessibilit nel piano terapeutico (pi tempo per la fase di prepara-
zione, inclusione costante del gioco, sedute pi lunghe, ecc.). Ricordiamo
sempre che, per raggiungere lobiettivo concordato, dovremo continua-
mente sostenere e motivare i nostri giovani pazienti, poich arrivare al tra-
guardo significher attraversare un mare tempestoso dovendo lavorare
su materiale potenzialmente molto disturbante.
Non mi stancher mai di richiamare limportanza dellalleanza con i
genitori adottivi e la loro indispensabile prossimit e conoscenza del per-
corso di cura intrapreso; infatti oltre alla messa a dura prova delle loro
competenze genitoriali, occorrer sollecitare ulteriormente la loro capacit
relazionale nel sorreggere il figlio anche nelle situazioni di disagio, in pos-
sibile aumento nel corso dellelaborazione tra una seduta e laltra.
52

Prima di usare lEMDR per elaborare le esperienze traumatiche, secon-


do il piano terapeutico con EMDR, occorrer quindi dedicare tempo alla
stabilizzazione del bambino o delladolescente. Korn e Leeds (2002) evi-
denziano 10 indicatori per prolungare la fase di preparazione: distorsioni
dei modelli operativi interiorizzati, non essere in grado di nominare e de-
scrivere le emozioni, essere spesso sopraffatti dallemotivit e non in gra-
do di identificare le cause scatenanti, non avere strategie di contenimento
del disagio, non poter fare racconti coerenti di quanto hanno vissuto, aver
scarso controllo degli impulsi, ecc.
Lo Sviluppo delle Risorse elettivo per attivare e potenziare risposte
adattive; ad esempio nellArea della Padronanza: (Terapeuta) L. pensa ad
un momento in cui ti si sei sentita brava, capace, intelligente... racconta-
mi... pensa a questo momento pensalo nella tua mente (BLS)...concentrati,
pensa a dove lo senti nel corpo questo essere una bambina brava, capace,
intelligente... concentrati su questo (BLS)...
La stimolazione bilaterale, BLS (elettiva), o forme alternative, quali i
tamburellamenti sulle mani e suoni, con brevi set da un minimo di quattro
ad un massimo di sei, faciliter linstallazione della risorsa la cui funzione
sostanzialmente quella di aiutare il bambino a cambiare la visione di s;
se possibile si pu trovare una Parola Chiave o una Convinzione Positiva
da installare con BLS, per rinforzarla.
Nel processo di stabilizzazione lattaccamento ai nuovi genitori assume
unimportanza determinante per il bambino, potendo realmente diventare
La Relazione, quella che gli pu fornire gli indispensabili ancoraggi uti-
li alla vita e alla rielaborazione futura dei traumi del passato.
Debora Wesselman ci guida in questo proponendo la creazione e raf-
forzamento di esperienze di vicinanza per il bambino ed il genitore e ci
suggerisce una serie di esercizi da insegnare ai genitori adottivi per coc-
colare il bambino durante gli esercizi per il potenziamento delle risorse.
Vediamo alcune strategie terapeutiche molto efficaci che danno slancio
al percorso terapeutico rafforzando non solo il giovane paziente ma, anche
i genitori ed il team terapeutico:
Allinizio di ogni seduta:
Mamma/pap cosa vi ha reso orgogliosi di L. questa settimana? (BLS).
Mamma/pap parlate di L., di quello che vi piace di lei e di quello che
vi piace fare con lei (BLS).
Insegnare a mamma/pap a raccontare i sentimenti provati dai
53

genitori alladozione (BLS).


Insegnare la visualizzazione della corda magica, che collega il cuo-
re del bambino a quello della mamma, e rafforzare limmagine, i
sentimenti e le sensazioni con BLS.
Sviluppare le risorse per il sentimento di appartenenza, facilitare
lentrata in contatto con il bambino interiore ferito, ecc.

In unottica di autoefficacia allora, altri strumenti quali la linea del tem-


po e la narrazione da parte dei genitori adottivi della biografia del bam-
bino, incrementeranno ulteriormente la sua conoscenza e coscienza della
propria storia, soddisfacendo quel bisogno di continuit intrinseco in ogni
essere umano.
Proporre al bambino una vita precedente caratterizzata esclusivamente
da privazioni e traumi, e una nuova attuale positiva da cui ripartire, scor-
dando il passato, non solo non una versione credibile alla luce di come
in realt sta vivendo il bambino oggi (funzionamento e memorie traumati-
che) ma potenzia anche la scissione dal s, con la frammentazione di parti,
che invece dobbiamo integrare.
Entrando in contatto con minori vittime di esperienze traumatiche fa-
miliari o comunque esposti alla violenza esterna per mancanza di prote-
zione e tutela nel nucleo di appartenenza, mi sono spesso chiesta su quali
flebili, a volte impercettibili risorse si siano aggrappati, traendo da essi le-
nergia vitale grazie la quale comunque sono sopravvissuti.
Queste figure, siano stati nonni apparsi fugacemente, in poche ma po-
sitive occasioni o la maestra entrata empaticamente in contatto con la sof-
ferenza del bambino o leducatore a cui, per primo si timorosamente e
confusamente affidato, sono risorse privilegiate che, una volta identificate,
riconosciute come tali ed installate con EMDR , lo aiuteranno anche a svi-
luppare una visione pi completa di ogni fase della sua vita che compren-
de, in ogni epoca della stessa, elementi negativi ma anche positivi.
La vita per tutti una sola, e come i nostri destini si sono, incredibil-
mente incrociati con le persone che amiamo trasformandole in parti costi-
tutive di noi stessi cos oggi, come terapeuti, abbiamo la fantastica oppor-
tunit di affiancarci alla famiglia adottiva favorendone, come sistema, il
suo sviluppo adattivo.
In questo pezzo di strada con il nucleo familiare adottivo, lEMDR
fornisce un grande contributo prevedendo la possibilit di rinsaldare i
54

nuovi legami di appartenenza e di lavorare sulle esperienze traumatiche


del passato che interferiscono sugli stessi, bloccando lo sviluppo della
nuova famiglia.

Bibliografia
Siegel D. J. (2001), La mente relazionale. Neurobiologia dellesperienza in-
terpersonale, Cortina, Milano.

Siegel D. J., Hartzell M. (2005), Errori da non ripetere, Cortina, Milano.

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ced EMDR Workshop, Milano.

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55

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dellEMDR con Bambini ed Adolescenti, Associazione per lEMDR in Italia,
Milano.

Verardo A., Onofri A. (settembre 2011), Traumi da non ripetere, bambini sin-
tomatici, autobiografia del genitore, approccio EMDR, relazione al Congres-
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D.,.Potter A.E. (febbraio 2013, N.25) Rivista di Psicoterapia EMDR.
Capitolo 3

Scuola e adozione
Raffaella Pasquale, Marisa Bono

3.1 Insieme a scuola: costruire appartenenze sicure


Per il bambino ladozione un processo complesso e doloroso. Comporta la
rielaborazione di lutti e separazioni e lo impegna a una ri-costruzione di le-
gami e di appartenenze non solo familiari ma anche sociali e culturali. Solo
in questo modo il bambino adottato potr costruire la sua identit e assolvere
al proprio compito di sviluppo nella accezione di Palmonari (1997), che
troverete ampiamente descritti nel capitolo ADOLESCENZA E ADOZIO-
NE, a cura di Anna Stroppa.
Tutta la societ deve rispondere al profondo bisogno esistenziale del
bambino adottato di ri-collocarsi in contesti relazionali che favoriscano i
processi di crescita non solo come individuo ma anche come cittadino, ap-
partenete alla sua Comunit. La scuola , insieme alla famiglia, una delle
Istituzioni pi significative della nostra societ in merito a ci che defini-
remmo un processo di affiliazione sociale, in continuit con lidea che in
una societ civile tutte le Istituzioni dovrebbero accogliere il cittadino con
una responsabilit simile alla responsabilit genitoriale.
La scuola riveste un ruolo importante fin dal primo ingresso del bam-
bino. un contesto maggiormente formalizzato rispetto alla famiglia, con
regole e tempi precisi da imparare e rispettare. Ci si confronta con gli al-
tri, ci si misura, e si anche valutati: tutte operazioni mentali che andran-
no non solo a costruire la rappresentazione di s lungo la linea del vado
bene, non vado bene, sono adeguato non sono adeguato, sono accettato
non sono accettato, ma anche a determinare il modo in cui il bambino si
rappresenta lalterit e come costruisce la fiducia in se stesso e negli altri,
sia adulti sia coetanei.
Nella esperienza scolastica, tuttavia, non si veicolano esclusivamen-
te contenuti disciplinari e contenutistici, ma anche valori, competenze
58

relazionali, saperi sociali non solo individuali ma di gruppo. Per svolgere


appieno il suo mandato lIstituzione Scuola non pu essere lasciata sola.
C bisogno di una interazione forte tra scuola e famiglia, dove entram-
be devono saper creare un legame aperto e sincero che possa diventare
costruttivo.
Per fare questo le insegnanti debbono possedere competenze relaziona-
li e saper leggere il comportamento e le modalit relazionali degli alunni
nel nostro caso in particolare dei bambini adottivi e delle loro famiglie,
e riconoscere le paure e le difficolt che emergono dal confronto con i pari
tanto nel bambino quanto nella famiglia adottiva.
Le famiglie adottive dovranno fare i conti con limmagine ideale del
loro bambino, ma anche con la rappresentazione interna del loro essere
bravi genitori. Infatti proprio nel confronto con il reale e con i limiti
che questo ci impone che ciascuno di noi deve sapere gestire la frustrazio-
ne derivante dallo scarto tra ideale e reale e tra desiderio e realt. Troppo
frequentemente assistiamo, nel nostro lavoro quotidiano con le famiglie e
con le scuole, allemergere di un pensiero riduttivo di tipo lineare: Sono
un bravo genitore se ho un bravo bambino o un bravo allievo. Questo
pensiero, non cogliendo la ricchezza sottesa alla complessit delle relazio-
ni, determina delle aspettative onnipotenti a cui il bambino non riuscir ad
adattarsi, innescando cos meccanismi patologici che andranno ad alimen-
tare la costruzione di un falso s, scarsa autostima, opposizioni rabbiose,
o rinuncia alluso del ragionamento e del pensiero, apatia e disinteresse.
Lobiettivo primario della scuola quello di accompagnare il bambino
al successo scolastico e formativo. Per fare questo necessario costruire
una rete protettiva e di sostegno costituita anche da altre figure profes-
sionali presenti sul territorio. importante sottolineare che lintervento a
favore dellintegrazione del bambino nella scuola e nel sociale deve esse-
re concepito come il frutto di una serie di azioni complesse e di una cul-
tura dellagire collegate ai valori etici del rispetto dei diritti, della tutela,
dellaccoglienza, della accettazione delle diversit e dellinclusione.
Investire in nuove risorse e progettualit diventa indispensabile. La-
nalisi e lo studio dei processi di apprendimento messi in campo da ogni
singolo bambino diverr la base su cui costruire un progetto individua-
lizzato che sia connesso con le dinamiche di apprendimento della classe,
in unottica di inclusione. Ri-uscire a scuola rimanda in un certo senso
alla nascita, al momento in cui simbolicamente il bambino mette fuo-
ri la testa, lottando per venire al mondo intellettualmente e socialmente.
59

Riuscire significa potersi costruire un adeguato s cognitivo, avere una


rappresentazione valorizzata di se stessi che consentir di affrontare le fru-
strazione e le difficolt future, ma anche di acquisire la capacit di capire
e agire sul mondo esterno e sul proprio mondo interno attraverso la pos-
sibilit di tollerare le proprie fragilit senza spaventarsi. Tutto questo
possibile in un contesto sociale che richiama al senso della comunit e che
evidenzia e valorizza i legami di appartenenza.

3.2 Le dinamiche emotive sottese al processo di


apprendimento-insegnamento
Andare a scuola un evento importante nella nostra societ. Non solo per
il bambino ma anche per la famiglia. un momento carico di molte aspet-
tative. Queste aspettative sono condivise dalla scuola, dalla famiglia, dal
contesto sociale. Devo andare a scuola perch devo imparare a leggere
e a fare i numeri, Devo andare a scuola perch obbligatorio. Queste
sono le frasi che dicono i bambini quando sono chiamati a spiegare perch
c la scuola, lo fanno gi da molto piccoli, sui tre o quattro anni. Hanno
una prefigurazione di quello che accadr loro. Vedono i pi grandi, fratelli,
vicini, cuginetti. Ascoltano i racconti dei genitori. Hanno delle aspettati-
ve e dei timori. Il timore maggiore quello di essere messi in condizione
di svolgere compiti che non sanno affrontare. Hanno paura di deludere, di
non essere allaltezza. Questo vale per i bambini cresciuti allinterno del-
la nostra cultura: immaginiamo come deve essere pi difficile per i bam-
bini che provengono da contesti culturali molto lontani dai nostri, dove
gli apprendimenti avvengono tramite contesti informali e non organizzati.
Come si rappresentano questo luogo? Che aspettative hanno?
Questa breve riflessione ci fa subito cogliere come landare a scuola,
l imparare, siano carichi di valenze emotive. Questo si discosta dallidea
tutta positivista dellapprendimento come un processo lineare che ha una
direzione univoca tra chi sa e chi ancora non sa, e dove la trasmissione del
sapere avviene per item dal pi semplice al complesso, su un terreno ver-
gine tutto da coltivare, fatto di menti vuote da riempire. In questa ipotesi
basta dare i giusti input per aver poi gli stessi output, che nella scuola sono
rappresentati dallacquisizione di determinate competenze.
Al di sotto del rapporto visibile tra docente e allievo c una dimen-
sione implicita molto complessa. La relazione docente-discente ricalca le
modalit e gli stili di attaccamento che hanno caratterizzato la relazione
60

primaria tra madre e bambino. Questo fatto assume una valenza ancora
pi forte quando si parla di bambini adottati, che quindi si trovano a dover
affrontare un fallimento della relazione primaria. Anche il nostro rappor-
to con il sapere risente dello stile di attaccamento caratterizzante le prime
esperienze di vita. Determina come impariamo, come ricordiamo, come
utilizziamo il nostro sapere. evidente che per poter insegnare necessa-
rio creare una relazione, un contesto narrativo fra soggetti che si ricono-
scono e che si sentono riconosciuti. La costruzione del contesto narrativo
comporta il riconoscimento e laccoglienza della storia biografica dei sog-
getti, per far si che nellincontro si crei un tessuto di relazione vero, che
crei una storia significativa tra i soggetti.

Il vero apprendimento avviene nellincontro, dove si fa esperienza


dellaltro. Questo riconduce il corpo al centro dellesperienza scolastica;
non solo il corpo, ma i corpi che si parlano e manifestano piacere, dispia-
cere, fatica, tranquillit, tormento Siamo ormai lontani dalla dicotomia
mente-corpo, razionalit contrapposta a emotivit o a irrazionalit. Di se-
guito riportiamo i riferimenti teorici che hanno permesso il superamento di
queste posizioni e le ricadute di queste nuove idee sul modo di concepire
il processo di apprendimento.
La mente relazionale D. J. Siegel, spiega come la mente si forma nel-
la interazione tra processi neurobiologici e relazioni interpersonali. Sono i
rapporti con gli altri e con le figure che si prendono cura del bambino nei
primi anni di vita che favoriscono o inibiscono lorganizzazione dei circu-
iti neurali, la loro capacit di attivarsi in risposta agli stimoli e che permet-
tono lespressione del progetto geneticamente determinato delle strutture
cerebrali. La mente, cio quello che il cervello fa, si sviluppa da queste in-
terazioni determinando il modo in cui per tutta la vita entriamo in contatto
con il mondo e con noi stessi. In questa ottica lapprendimento il proces-
so continuo di acquisizione di informazioni e di costruzione di senso che
organizza la nostra mente e che condiziona, in un percorso che si ripete
continuamente, il modo stesso di acquisire ed elaborare informazioni.
La teoria dellEmbodied Cognition, o della Cognizione Incarnata, ci
dice che le esperienze ricavate dal corpo giocano un ruolo essenziale per
lo sviluppo della mente, ovvero per lo sviluppo cognitivo. I nostri proces-
si cognitivi dipendono dallinterazione tra la mente e il nostro corpo. Si
sostiene che la cognizione incarnata (embodied) quando dipende anche
da caratteristiche di tipo corporeo: in particolare dal sistema percettivo e
61

motorio. In altre parole, il modo in cui giudichiamo, ragioniamo, pensia-


mo, costruiamo concetti, parliamo, ecc. dipende anche dal modo in cui
percepiamo, dalle azioni che compiamo e dalle interazioni che il nostro
corpo intrattiene con lambiente circostante. Se ci chiediamo che cosa
caratterizzi lesperienza umana nella costruzione della mente e della co-
noscenza si possono riconoscere due caratteristiche distintive: lappren-
dimento un processo cognitivo e affettivo, ed relazionale. Noi oggi
sappiamo che ogni processo di conoscenza caratterizzato da ampi spazi
di opacit. Non c una luce senza ombra nella conoscenza. Sappiamo che
ogni pensiero, come diceva Wilfred Bion, sostenuto da unemozione.
Non esiste un pensiero solo razionale e lineare che sia depurato dai proces-
si emotivi, perch semplicemente non esisterebbe un pensiero.
Spesso noi crediamo che il pensiero sia non in rapporto con le esperien-
ze corporee. Per fare un esempio, nella tradizionale filosofia della mente
si sosteneva che le rappresentazioni mentali fossero strutture quasi-lingui-
stiche aventi propriet di combinazione simili a quelle delle parole in un
enunciato. Di queste rappresentazioni mentali si diceva quindi che fossero
astratte, simboliche, amodali. Ci che emerso invece da recenti studi di
ricercatori come Lawrence Barsalou che la cognizione umana basata su
rappresentazioni mentali che includono informazioni provenienti da diffe-
renti modalit sensoriali e motorie.
Infatti, quando ad esempio la rappresentazione mentale di CANE at-
tivata, si riattivano anche aree del cervello dedicate alla percezione o al
movimento: insomma, come se per comprendere la parola cane o per
ragionare sui cani o per pensare ai cani noi simulassimo lesperienza con-
creta di un cane.
A partire da queste teorizzazioni immaginiamo le difficolt che pu in-
contrare un bambino nel suo percorso di apprendimento se allorigine del-
la sua vita le esperienze di relazione, le esperienze corporee, le esperienze
motorie sono state carenti o confuse.
Ap-prendere, significa prendere qualcosa che fuori di me e farlo
mio, appropriarmene, ma cosa pu succedere se io temo, in base alle espe-
rienza passate che quello che c fuori cattivo e mi pu far male? Lo ac-
cetter o me ne difender?
Per poter nascere, il nostro pensiero ha bisogno di distanza e di separazio-
ne. Ci deve essere distanza perch si formi un pensiero. Bion dice: non
seno, uguale a pensiero. Se pensiamo allorigine della parola intelligenza
vediamo che essa deriva dal latino intelligre che secondo alcuni sarebbe
62

una contrazione di legre (leggere) con la preposizione nter (tra): nter-


legre significherebbe cio stabilire correlazioni tra elementi. Ma per poter
legare insieme degli elementi devo poterli percepire come separati.
Ma come pu fare questo un bambino per cui la separazione stata una
catastrofe? Come pu tollerare di percepire gli oggetti come separati?
Condizione per legare insieme che due oggetti un attimo prima si-
ano separati nella mente e un attimo dopo formino una nuova unit. Una
volta che essi sono accoppiati, noi arriviamo a percepire e a comprende-
re qualcosa che prima non conoscevamo. Questo comporta che dobbia-
mo tollerare la confusione e la frammentazione per poi attivare funzioni
intelligenti. Questo stato di incertezza genera spesso stati ansiosi e, nei
bambini con disturbi nellattaccamento, causa difficolt di apprendimento.
Lapprendere e il conoscere mobilitano, come abbiamo gi detto, memorie
antiche collegate al mettere dentro. Mettere dentro qualcosa di cui ho
bisogno ma che non posseggo, che possiede un altro da me. Questo pu
fare vivere forti sentimenti di invidia: ecco che allora i bambini, per di-
fendersi da questo sentimento, possono non riconoscere lautorit dellin-
segnante, oppure possono negare lerrore, rifiutare la correzione fino ad
allontanarsi dallesperienza dellapprendimento perch sentita come dolo-
rosa. Essi possono anche staccarsi emotivamente dallapprendimento per-
ch il nuovo, il non famigliare vissuto come pericoloso, come pericolosa
pu essere percepita anche la persona che lo sta offrendo.
Se riusciamo a vedere la complessit sottesa al processo di insegnamento-
apprendimento possiamo cercare di capire cosa si pu fare per sostenerlo.
Affinch nasca e si formi il pensiero e quindi sia possibile lapprendi-
mento occorrono alcuni requisiti: che siano implicate almeno due persone
e che ci sia una carica affettiva in entrambi, che vi sia una buona esperien-
za di distanza, che il bambino possa tollerare la sofferenza mentale sotte-
sa alla separazione e che, come abbiamo gi detto, si crei una storia e una
trama narrativa tra due persone .
Una gran parte della responsabilit sar a carico delle insegnanti, che
dovranno individuare i punti di forza e di fragilit dello stile di apprendi-
mento di ognuno, e dovranno usare la propria emotivit per comprendere
davvero cosa sta avvenendo nella relazione. La mente dellinsegnante, i
suoi sentimenti e i suoi vissuti dovranno essere lo strumento principe per
poter orientare le azioni di contenimento alle frustrazioni, alle delusioni,
alla fatica, testimoniando anche il piacere per il sapere e la soddisfazione
di riuscire anche se con fatica.
63

Anche i genitori possono fare molto per aiutare i bambini. Trovare il


giusto modo di stare tra i banchi di scuola non un processo naturale,
una conquista. La scuola ha dei setting definiti: bisogna sapere ascoltare,
stare seduti a lungo, non avere timore del nuovo e delladulto, non avere
paura dei propri errori e delle proprie fragilit. Se i genitori riescono a tra-
smettere fiducia nei confronti della scuola e delle insegnanti, se tollerano
assieme ai loro figli le cadute o gli andamenti spesso altalenanti nei risul-
tati, se li sostengono attraverso dosi di fiducia e di stima, allora le difficolt
possono essere affrontate. Troppo spesso vediamo genitori che si sostitui-
scono ai figli, che li obbligano a ore di studio e che lasciano trasparire tutta
la loro amarezza per gli scarsi risultati. Diventano cos genitori-insegnanti,
ma insegnanti normativi e rigidi, mentre i bambini si trasformano in alun-
ni e figli deludenti. Oppure, al contrario, la scuola viene accusata di non
saper comprendere le difficolt; si creano cos situazioni di conflitto che
spesso sfociano in spostamenti di scuola e di classe, facendo cos ri-speri-
mentare ai bambini situazioni di separazione di distacco traumatici.
Molte buone esperienze esistono gi e ci possono essere di aiuto, cos
come la nuova legge sullaccoglienza dei bambini adottivi nella scuola, la
cultura che si sta diffondendo rispetto allinclusione, i progetti individua-
lizzati tesi a dare risposta ai bisogni educativi speciali, che si sono rivelati
strumenti indispensabili per il sostegno al successo scolastico.

3.3 Disturbi e difficolta di apprendimento del bambino adottivo


La tematica delle difficolt scolastiche nei bambini adottivi piuttosto
ricorrente.
In questi ultimi anni abbiamo cercato attraverso i servizi offerti dalla
nostra Associazione Attivalamente e. . . il corpo1 di trattare i disturbi e le

1
Associazione di promozione sociale "Attivalamente... e il corpo" che offre consulenze a
genitori e a scuole sulle tematiche delle difficolt dell'apprendimento, nonch diagnosi
e azioni abilitative e riabilitative per il sostegno scolastico e formativo. Tra i gruppi la-
voro di diagnosi, progettazione, formazione, tutoring da quest'ultimo anno si inserito
il gruppo di lavoro Adozione. Il gruppo costituito da professionisti con formazioni dif-
ferenti: Medici, Psicologi, tutors, logopedisti, psicomotricisti, arte terapeuti che insieme
ai referenti dellarticolo, promuovono la ricerca, la formazione e la cultura delladozio-
ne. Inoltre realizzano interventi integrati, finalizzati al benessere globale e scolastico dei
bambini e delle famiglie. Sito: http://www.ilbandolodellamatassa.org/.Facebook: - pagi-
na: il bandolo della matassa; - gruppo chiuso: iniziative in rete-post adozione novara.
64

difficolt di apprendimento cercando di vedere tutta la complessit sottesa,


spesso negata da approcci tecnicistici e riduttivi.
Il primo compito che ci siamo date quello di tenere insieme gli
aspetti cognitivi con quelli emotivi ed affettivi, la storia individuale e
famigliare di ognuno, la storia scolastica e le dinamiche in atto nel con-
testo classe.
Per fare questo ci avvaliamo dellintervento di figure professionali con
differenti formazioni (psicologi clinici con formazione psicodinamica,
psicologi con formazione sistemica, psicologi con formazione specifica in
disturbi dellapprendimento, logopediste, psicomotriciste, neuropsichiatra
infantile, optometristi , pedagogisti...) che collaborano e dialogano al fine
di vedere il bambino sotto punti di vista diversi.
I bambini adottivi che di solito i bambini che arrivano alla nostra As-
sociazione con la richiesta di una valutazione degli apprendimenti hanno
lacune pregresse e difficolt un po in tutti gli ambiti disciplinari, indipen-
dentemente che trattasi di una adozione internazionale o nazionale.
Nella nostra esperienza clinica ci sembra possibile affermare che i casi
di vero disturbo specifico sono una piccolissima percentuale (2%) rispetto
al numero di bambini che giungono in consultazione per difficolt scola-
stiche. Molto rari sono anche i casi di vero ritardo mentale(Q.I <70)

La valutazione va affrontata con un approccio multidisciplinare consa-


pevoli che stiamo lavorando in un ambito di complessit dove si interse-
cano fattori diversi.
La visione di un solo specialista, come dicevamo, pu rivelarsi ridut-
tiva e non permette di stendere un completo profilo funzionale che co-
stituisce il punto di partenza per costruire il progetto di intervento e di
potenziamento.
Dopo aver fatto una valutazione complessiva sugli aspetti emotivo-
relazionali, tramite colloquio alla famiglia, osservazioni di sedute gioco
e somministrazione di test proiettivi, per aver un quadro di valutazione
obiettivo ed oggettivo orientiamo la valutazione su tre aree:
area cognitiva
area linguistica
area degli apprendimenti

Per il profilo cognitivo di norma somministriamo spesso sia la WISC IV


65

che le Matrici di Raven per avere un quadro sia sulle competenze verbali
che non verbali.
Chiaramente quando il bambino in Italia da poco tempo e le cono-
scenze della lingua sono limitate si opta per altre scale cognitive adatte per
bambini di madrelingua diversa dallitaliano come la scala KABC II.
Rispetto alle valutazione degli apprendimenti utilizziamo le classiche
prove per i DSA:
prova AC-MT lettura e comprensione di brano
prova di dettato e composizione del testo della batteria BVSCO
prove 2-3 e 4-5 della batteria DDE
prove di calcolo della AC-MT

Nei casi di adozioni internazionali pu sempre essere utile una valutazione


del linguaggio sia recettivo che espressivo ( Peabody- TVL 6-12..) anche
se dalle famiglie ci viene comunicato che il bambino conosce ormai bene
la lingua italiana; in linea generale i bambini stranieri adottivi o non, an-
che se possono sembrare molto competenti nella lingua italiana spesso lo
sono solo a livello informale: quando vengono fatte loro richieste pi
complesse di uso della lingua che coinvolgono la componente semantica
si trovano spesso in difficolt.
A livello clinico e scolastico quindi importante tenere alta lattenzione
anche con quei bambini che sembrano avere una buona conoscenza delli-
taliano perch spesso superficiale e insufficiente per rispondere alle ri-
chieste scolastiche.
In linea generale le problematiche pi frequenti e comuni sia agli alun-
ni di scuola primaria e secondaria di primo grado provenienti da adozioni
nazionali che internazionali sono:
la difficolt nella comprensione del testo (testo di antologia, testo
da studiare, testo del problema)
la difficolt nella produzione/ rielaborazione del testo
scritto(riassunto, tema)
la difficolt nell automatizzazione degli algoritmi di divisioni e
moltiplicazioni
la poca competenza nelluso di concetti spazio-temporali: spes-
so difficile far localizzare nello spazio e nel tempo anche eventi
66

personali e legati all esperienza diretta.


la mancata organizzazione visuo-spaziale associata spesso a distur-
bi della coordinazione motoria e/o della velocit visuo-motoria.
Quasi tutti i bambini hanno pessime impugnature dello strumento
grafico.
tempi di attenzione e concentrazione limitati.

Nei bambini adottivi alla base delle difficolt di apprendimento vi anche una
fragilit di molti prerequisiti di base dell apprendimento (anche se frequenta-
no gi gli ultimi anni della scuola primaria o addirittura la scuola medie), che
per vicissitudini legate alla loro storia non hanno avuto modo di svilupparsi
adeguatamente. Sarebbe utile poter somministrare a tutti le prove di prerequi-
sito PRCR II in modo da conoscere subito i punti di forza e debolezza.
Lavorando in unottica di ricerca azione, stiamo raccogliendo dati per
potere fare delle inferenze e correlazioni tra esperienza vissute e difficolt
di apprendimento. Siamo allinizio ma dei dati sono gi significativi. Dall
analisi degli scooring delle prove degli apprendimenti abbiamo rilevato
alcune caratteristiche neuropsicologiche comuni a bambini provenienti da
stesse zone; chiaramente il nostro campione troppo piccolo per risultare
statisticamente significativo ma le osservazione potrebbe meritare una ri-
flessione ed un approfondimento.
Parecchi bambini dei paesi dellest e della Russia, precocemente istitu-
zionalizzati e spesso costretti a passare lungo tempo in luoghi poco illumi-
nati e nella stessa posizione hanno mostrato limitate competenze visuospa-
ziali, mancate prassie fini, scarsa coordinazione occhio-mano ma buone
competenze a livello percettivo uditivo come compensazione delle scarse
stimolazioni visive. In un paio di casi stato necessario richiedere una
consulenza optometrica per importanti difficolt a livello visuo-motorio
e di escursione del campo visivo tali da compromettere la copiatura dalla
lavagna e la velocit esecutiva nella scrittura.
Nei bambini provenienti dal Burkina Faso abbiamo riscontrato frequen-
ti difficolt ad apprendere il meccanismo della letto-scrittura, ad automa-
tizzare la conversione fonema-grafema e difficolt con il calcolo.
Questi bambini hanno spesso alti quozienti intellettivi (in modo parti-
colare le femmine) e in prima istanza possono far pensare a DSA. In realt
si visto che con una adeguata stimolazione dei prerequisiti della letto-
scrittura e con tecniche di insegnamento ad alto valore di immagine e in
67

cui prevale il canale visuo-percettivo, nell arco di un anno, sono in grado


di recuperare le lacune.
rarissimo rilevare problemi di disgrafia nei bambini che hanno fre-
quentato almeno il primo anno di scuola in Burkina: la cura del corsivo e
del gesto grafico tale da favorire una automatizzazione migliore di quella
dei coetanei italiani.
Tra le adozioni nazionali sono giunti alla nostra attenzione prevalente-
mente bambini inseriti in istituto molto precocemente e giunti alle fami-
glie adottive poco prima dell inizio della prima elementare o alla fine del-
la prima classe elementare.
Negli adottivi italiani prevalgono scarsi risultati nella comprensione del
testo e in matematica.
Abbiamo visto per che mettendo a disposizione strumenti compensa-
tivi per il calcolo (linea del 20, linea del 100, tavola pitagorica..) in breve
apprendono a operare con i numeri.
Riteniamo significativo riportare anche la nostra esperienza sullimpor-
tanza del setting in cui effettuare le prove degli apprendimenti. Nel nostro
protocollo operativo prassi che le valutazioni psicodinamiche e degli ap-
prendimenti siano effettuate da due psicologi diversi e in due STANZE
con caratteristiche diverse.
Lo stesso principio dei due psicologi viene utilizzato anche nelle valu-
tazioni dei bambini adottivi con la differenza che per le valutazioni degli
apprendimenti si utilizza la stessa stanza in cui il bambino segue il percorso
psicoterapeutico post-adozioni in quanto lo riconosce come luogo sicuro.
Unattenzione viene anche data al momento della giornata in cui ven-
gono eseguiti i test. Abbiamo osservato che dopo una lunga giornata scola-
stica le prove danno valori bassi, i bambini sono stanchi e le loro capacit
adattive ridotte. Sembra scontato ma nella realt non lo .
I risultati che stiamo raggiungendo ci spronano a proseguire in questo
approccio multidisciplinare che permettere di vedere e di trattare la com-
plessit insita nei processi che danno luogo allapprendimento e alladatta-
mento al contesto formale in cui questo avviene: la scuola.

3.4 Una risorsa preziosa: il tutor dellapprendimento (Fabiola De Paoli


Roberta Accornero Cecilia Zaninetti Lara Cazzanti)
Alla luce delle esperienze narrate dalla dott.ssa Marisa Bono rispetto
alle valutazioni sullapprendimento, nellultimo anno nata la necessit
di un servizio abilitativo e riabilitativo rivolto ai bambini adottivi e alle
68

loro famiglie. Dagli incontri con il gruppo di lavoro, abbiamo riscon-


trato la necessit di scegliere tutor con formazione psicologica e abili-
tati alla professione, condizione necessaria a fronteggiare la complessi-
t del tema adottivo e assolutamente basilare rispetto alle possibilit di
apprendimento.
Linserimento della figura del tutor non pu prescindere dalla presa
in carico globale del nucleo famigliare, in quanto le connessioni tra area
emotivo-relazionale e cognitiva risultano intrecciate in un unico conteni-
tore che il risultato del profondo bisogno di costruzione di un nuovo le-
game di attaccamento, pi solido e sicuro.
In alcuni situazioni lintervento del tutor risultato assolutamente ne-
cessario nella fasi di ricostruzione del legame, per non inficiare di valuta-
zioni (tipiche del contesto scolastico) il nuovo legame che ha bisogno solo
di cure, attenzioni e sospensione del giudizio.
La figura del tutor inserita flessibilmente in vari contesti e in partico-
lare nella relazione tra scuola-famiglia e minore. Lintervento di tipo do-
miciliare, luogo neutro o scolastico.

BOX 1

Testimonianza di Roberta Accornero tutor dellapprendimento

Tu sai mantenere i segreti?


Ho conosciuto S. qualche mese fa. arrivata con il suo zaino pesante
e lo sguardo rivolto verso il basso. Gli incontri si aprivano, spesso, con
le indicazioni della mamma sul materiale da trattare durante il nostro
lavoro insieme. La famiglia ha lavorato molto sulla costruzione del le-
game spostando lattenzione dagli aspetti scolastici e riposizionandosi
come figure di attaccamento sufficiente buone, lasciando a me il compi-
to potenziare larea dellapprendimento e permettendomi di rafforzare
lautostima e il senso di efficacia della bambina.
Grazie allintervento integrato, anche lo spazio scuola risultato meno
ansiogeno, condizione che ha permesso alla bambina di sentirsi libera
di esprimere tutte le sue potenzialit.
Avendo ben in mente i punti forza e di criticit della bambina, ho co-
struito insieme a lei, un metodo di studio efficace centrato sulla sempli-
cit di schemi mentali ed esperienze concrete che hanno consentito a S.
69

di accedere pi facilmente allastrazione.


Attraverso il metodo di studio si costruita la relazione e la risposta
migliore stata la trasformazione del suo sguardo, che da basso di-
ventato vivo, acceso e motivato.
I risultati positivi a scuola hanno rinforzato il nostro lavoro scolastico
ma anche il modo di stare nella relazione con laltro, fino a creare dei
momenti di profonda intimit, dove S. mi ha chiesto esplicitamente tu
sai mantenere i segreti . Il luogo dei segreti stato il modo in cui S.
ha aperto in s la possibilit di raccontare la sua storia, sottraendosi
alla paura del giudizio e per la prima volta concedendosi una possibili-
t di fiducia verso ladulto.
In questo caso la mia presenza come tutor stata importante per crea-
re un ponte con le insegnanti che mostravano scarsa conoscenza delle
problematiche di apprendimento e poca comprensione delle dinamiche
relazionali ed emotive di S. Il lavoro con loro stato quello di creare
una comunicazione costante e una linea di lavoro comune per miglio-
rare gli apprendimenti anche a scuola, rinforzare la sua integrazione in
classe e fortificare la sua autostima.

BOX 2

Testimonianza di Cecilia Zaninetti tutor dellapprendimento

"Giochiamo a nascondino?"
Incontro M. un pomeriggio di febbraio. Sar la sua tutor a scuola d'ora
in poi, ma prima voglio conoscerlo a casa, protetto dalle mura domesti-
che e dall'affetto di mamma e pap.
Appena mi vede entrare dalla porta si nasconde e si fa attendere prima di
farsi vedere. Capisco fin da subito che bisogna imparare con pazienza ad
"aspettare" e rispettare i suoi ritmi, cosa che mamma e pap fanno ormai
naturalmente.
Dopo qualche minuto spunta una testolina e lo vedo per la pri-
ma volta: due occhi vispi, ma pieni di domande, un ciuffo biondo
oro e un corpicino magro e alto, fragile, ma forte nello stesso tempo.
Lui piano piano si avvicina a me e lentamente provo ad entrare in relazione.
70

La cosa che pi ricordo di quel pomeriggio il suo "Giochiamo a na-


scondino?", non chiesto a parole, ma con gesti e sguardi.
Giochiamo a nascondino anche con la mamma; M. si fa cercare, vuo-
le essere trovato, incontrato, "raccolto" e alla fine aiutato. Io compaio e
scompaio dalla sua vista, come se tutte le volte fosse un nuovo incontro,
un tassello in pi per creare la base della nostra relazione. Mi scruta, mi
studia e vedo tante domande nella sua testa: "Chi sar? Potr fidarmi?
Mi far del male?".
Nei seguenti pomeriggi a casa di M. inizio a conoscere un bambino pieno
di energia, sempre in movimento, ma forse ancora immerso nel suo trau-
ma, spaventato, "a pezzi", come a pezzi vuole rendere tutto ci che trova
sul suo cammino. Ha un passato frammentato e io dovr riuscire a rima-
nere intera ai suoi occhi per poterlo aiutare.
Poi inizia l'avventura a scuola. Il gioco del nascondino conti-
nua, con nuovi nascondigli fatti da cattedra e banchi, ma sem-
pre con la fantasia di nascondersi e la gioia di farsi trovare.
Trovo subito un clima accogliente e una buona collaborazione con l'inse-
gnante che permette sia a me che a M. di non sentirci fuori posto.
Lui piano piano, a piccoli passi, tra incomprensioni e difficolt, ini-
zia a fidarsi. I suoi occhi cercano i miei e li trovano dandogli la pos-
sibilit di specchiarsi, trovare sostegno, comprensione e contenimento.
Gli elementi tramatici a scuola riemergono e impariamo ad accoglierli,
gestirli e contenerli, nonostante la forte angoscia che generano.
Nei mesi successivi M. inizia a manifestare meno comportamenti "distrut-
tivi", va a scuola pi volentieri e apprende con meno fatica. E gli effetti
positivi si notano anche nel rapporto con mamma e pap: finalmente sol-
levati dal ruolo di insegnanti, sono liberi di buttarsi nel loro vero compi-
to, quello di essere una "base sicura".
Ormai quasi un anno che tre volte a settimana passo alcune ore davanti
al banco di M., pronta a sostenerlo, stimolarlo, contenerlo, tranquilliz-
zarlo e aiutarlo ad apprendere, tutti compiti del tutor a scuola. molto
pi di un sostegno all'apprendimento, creare un legame di fiducia, un
rifugio sicuro a cui potersi affidare.
L'ho conosciuto fragile e senza fiducia, impaurito e segna-
to dal suo passato e ripenso a lui oggi come a un bambino pie-
no di voglia di vivere, curioso ed entusiasta. Grazie al percor-
so terapeutico fatto insieme alla famiglia e alla collaborazione di
71

tante figure professionali insieme il trauma del passato non scom-


parso, ma piano piano sta iniziando ad essere elaborato e affrontato.
Forse M. giocher ancora per molto tempo a nascondino con chiunque
di nuovo entrer nella sua cerchia pi ristretta, ma quando si far trovare
sar un'esperienza straordinaria, il suo modo per dire che ti meriti la sua
fiducia e che disposto a incontrarti e tenerti accanto nel suo cammino.

Insegnanti e madri adottive


Cristina Mocchi (referente gruppo mamme e scuola - gruppi post adozione Associa-
zione Attiva la mente e il corpo)

Giuse Tiraboschi (referente Anfaa sezione di Novara e Piemonte Orientale - adozione e scuola)

La scuola italiana continua a registrare un incremento costante della fre-


quenza di alunni con situazioni personali a familiari complesse e deve
accogliere le diversita dando loro un significato e un valore.in questa
prospettiva,
I bambini e i ragazzi adottati sono da considerare una risorsa e le loro storie of-
frono loccasione di ragionare sui concetti importanti di famiglia e accoglienza.
Quando tra famiglie adottive si parla dei rapporti scuola-famiglia la mag-
gior parte delle volte emerge un vissuto conflittuale o quantomeno ven-
gono rilevate alcune mancanze che rendono la permanenza a scuola dei
bambini difficoltosa.
Come mamme e come insegnanti, partecipando ai gruppi del post ado-
zione e alle attivit dellANFAA, ci siamo chieste in che modo si potreb-
be lavorare per facilitare linserimento e la frequenza scolastica dei nostri
bambini.
Negli ultimi anni c stato un grande lavoro in questo senso da parte del-
le associazioni familiari, soprattutto da parte del CARE (il Coordinamento
delle Associazioni Familiari), che dal 2011 fa parte Tavolo di Lavoro del
Miur, la cui attivit finalizzata alla individuazione e redazione di norme
e/o direttive nazionali attinenti le pi adeguate modalit di accoglienza
scolastica dei numerosi allievi adottati o in affidamento etero-familiare.
Nellambito di questo contesto nel 2013 ha firmato il Protocollo dIn-
tesa con il MIUR col fine di Agevolare linserimento, lintegrazione e il
72

benessere scolastico degli studenti adottati che ha portato alla firma da


parte del Ministro Stefania Giannini delle Linee di indirizzo per favorire
il diritto allo studio degli alunni adottati elaborate da Livia Botta, Mar-
co Chistolini, Cinzia Fabrocini e Anna Guerrieri, pubblicate nel dicembre
2014 ed inserite nel decreto di riforma scolastica del giugno 2015.
Grazie a questo lavoro per la prima volta ladozione entrata ufficial-
mente in una legge che riguarda la scuola.
Partendo dal lavoro del CARE e dalla lettura dei Protocolli di intesa
elaborati in molte citt dItalia, anche noi a Novara abbiamo deciso di in-
contrarci e fare qualcosa.
Ci siamo rese conto di quanto spesso la scuola non abbia gli strumenti o le
conoscenze adeguate per affrontare temi quali adozione o affidamento e ci sia-
mo domandate quale potrebbe essere la soluzione migliore per rispondere
alle esigenze delle famiglie trovando la giusta sinergia tra scuola e famiglia.
Facendo riferimento alla circolare ministeriale riguardante i BES (Bi-
sogni Efucativi Speciali) ci siamo chieste se e quando i bambini adottati
possono essere considerati bambini con bisogni speciali.
Sicuramente ci sono dei momenti del percorso scolastico che richiedo-
no un adeguamento della didattica ed una attenzione particolare per ga-
rantire una adeguata risposta ai bisogni dei nostri figli (ad esempio tutta
la parte del programma di storia che prevede la trattazione della storia
personale).
Spesso poi, la scuola non preparata e si rischiano incomprensioni o
vissuti di non accoglienza che rischiano di minare il rapporto scuola/
famiglia.
Ci siamo chieste allora quali sono i punti deboli della scuola, sui qua-
li potremmo cercare di intervenire e abbiamo individuato i seguenti:
accoglienza e inserimento
passaggi tra un ordine di scuola e laltro
trattazione delle tematiche relative alla storia personale
letture e testi presentati nei libri di testo
crisi adolescenziali e identit

Abbiamo rilevato la necessit di fornire alle scuole strumenti necessari a


gestire nel migliore dei modi le problematiche che di volta in volta si pos-
sono presentare.
73

La nostra proposta stata quella di individuare allinterno di ogni isti-


tuzione scolastica la figura del Referente per ladozione che si collochi
allinterno del GLI (gruppo di lavoro per linclusione che deve essere
costituito ogni anno nelle scuole per garantire la giusta inclusione di tutti
gli alunni con Bisogni educativi speciali) e che svolga una funzione di
intermediario tra la famiglia e la scuola per tutte le problematiche le-
gate all adozione.
Abbiamo steso un protocollo di intesa che abbia come finalit la co-
noscenza e la condivisione delle Linee Guida operative per la scuola re-
lativamente ai temi delladozione per favorire una migliore accoglienza e
inserimento dei bambini e ragazzi adottati, precisando ruoli e modalit di
integrazione tra gli Enti proponenti.
Gli obiettivi di tale accordo sono i seguenti:
Favorire il coordinamento tra servizi, famiglie e scuola
Costruire un patrimonio culturale condiviso fra operatori, insegnan-
ti e famiglie relativamente alle tematiche specifiche delladozione
Creare una rete di servizi per le famiglie adottive
Far s che lequipe di lavoro possa divenire, a livello locale, un pun-
to di riferimento sulle tematiche delladozione per i docenti e le
scuole
Definire modalit di accoglienza del bambino durante linserimento
scolastico
Sviluppare strategie didattiche ed educative che favoriscano un po-
sitivo percorso relazionale e di apprendimento, con particolare cura
e attenzione nei momenti di passaggio tra cicli scolastici
Garantire nel tempo il supporto e il monitoraggio per il benessere
del bambino a scuola
Individuare insegnanti referenti in ogni scuola sulle tematiche spe-
cifiche delladozione
Promuovere incontri informativi con gli insegnanti referenti e i Di-
rigenti scolastici durante linserimento e la frequenza scolastica
Facilitare, quando necessario, per ogni bambino adottato una perso-
nalizzazione della didattica nella prospettiva di una presa in carico
globale ed inclusiva di tutti gli alunni, come si evince anche dalla
C.M. n8 del 6 marzo 2013, la quale estende il campo di intervento
74

e di responsabilit di tutta la comunit educante allintera area dei


Bisogni Educativi Speciali (BES).

Il lavoro da fare sicuramente molto, ma solo credendoci fermamente sar


possibile raggiungere i risultati. sperati!
Capitolo 4

Adolescenza e adozione
Anna Stroppa, Marta Casonato

4.1 Compiti di sviluppo e adolescenza: incontro tra passato e futuro


(Anna Stroppa)
Nel fondamentale e complesso processo di costruzione del legame affet-
tivo e del senso di appartenenza reciproco tra ladottato ed i suoi genitori,
il sopraggiungere delladolescenza, preannunciata dai primi segnali di svi-
luppo puberale in preadolescenza, rischia di compromettere equilibri per-
sonali e famigliari faticosamente raggiunti mettendo tutto in discussione.
Esplorando questa fase cruciale del ciclo di vita dei ragazzi e delle ra-
gazze adottati importante ricordare che non tutte le difficolt psicolo-
giche, comportamentali e relazionali osservabili negli adolescenti sono
determinate dalla condizione adottiva, ma risultano tipiche del periodo
evolutivo in cui si trovano.
vero per che la condizione di essere figli adottivi complica lado-
lescenza: alcuni compiti di sviluppo che ladolescente deve affrontare e
superare per approdare alla maturit, infatti, riguardano tematiche stretta-
mente intrecciate con la sua storia di vita e con quella della sua famiglia.
Ladolescenza mette alla prova il percorso adottivo. Perci importante
essere cauti e non semplificare alcune manifestazioni come tipiche della-
dolescenza: ci che appare come difficolt pu nascondere sofferenze e
malesseri molto pi profondi che devono essere raccolti, ascoltati, capiti.
Ladolescenza, epoca di transizione tra passato e futuro, tra fanciullez-
ze ed et adulta, appare come un percorso che lindividuo intraprende,
superando vari passaggi e affrontando numerosi cambiamenti (di tipo fi-
sico, cognitivo, affettivo e relazionale), necessari alla costruzione della
sua identit. La costruzione dellidentit appare come obiettivo specifico
delladolescenza (Erikson, 1968), il risultato finale di un processo costel-
lato da una serie di compiti evolutivi di base il cui inizio coincide con la
76

comparsa dei primissimi segni di maturazione puberale (a partire dalla


preadolescenza 9/10 anni circa) e il cui termine si pone oltre la conclu-
sione dello sviluppo corporeo.

4.1.1 I compiti di sviluppo


La nozione di compiti di sviluppo permette di leggere con criterio omo-
geneo la complessit e la diversit degli eventi che caratterizzano lado-
lescenza (Havinghurst, 1952, 1953; Palmonari, 2001; E. Confalonieri e I.
G. Gavazzi, 2002). A partire da aree di sviluppo comuni possibile quin-
di osservare quegli aspetti che tendono a discostarsi da un processo atte-
so, distinguendo manifestazioni inaspettate, problematiche o devianti che
possono segnalare possibili crisi nel percorso di crescita.
Un compito di sviluppo un compito che si presenta in un determi-
nato periodo di vita di un individuo e la cui buona risoluzione conduce
alla felicit e al successo nellaffrontare problemi successivi, mentre il
fallimento di fronte ad esso conduce allinfelicit, alla disapprovazione da
parte della societ e a difficolt di fronte ai compiti che si presenteranno
in seguito. (Havinghurst, 1953)
I compiti di sviluppo appaiono dunque come problemi da risolvere,
questioni critiche, sfide evolutive che ladolescente incontra nel suo cam-
mino verso let adulta, fortemente influenzati non solo da aspetti costitu-
zionali e personali dellindividuo, ma anche dal contesto sociale e cultu-
rale in cui inserito. Alcuni compiti sono universali e costanti, altri sono
culturalmente definiti.
Secondo Palmonari (1997) I compiti di sviluppo non sono, in una so-
ciet complessa e pluralista come la nostra, difficolt che esistono per
ogni adolescente, sempre uguali e inevitabili. Si definiscono nel rapporto
fra lindividuo, la sua appartenenza sociale e lambiente in cui inseri-
to: in certe condizioni sono numerosi ma possono essere affrontati senza
drammi, in altre appaiono particolarmente difficili, creando frustrazioni,
angoscia, senso di impotenza che portano irrequietezza, aggressivit e, al
limite, apatia. Tutti gli adolescenti comunque devono affrontarne per di-
venire adulti e le energie che tale impegno richiede sono assai elevate.
Riprender alcuni di questi compiti di sviluppo soffermandomi in par-
ticolare su quegli aspetti che maggiormente possono entrare in risonanza
con il vissuto dei giovani adottati: le vicende personali infatti (e non mi
riferisco solo alle situazioni di abbandono, ma anche a tutti quegli eventi
77

che possono incidere in maniera negativa sul benessere psicofisico dellin-


dividuo durante linfanzialutti, malattie, separazioni, traumi) possono
rendere particolarmente faticoso il processo di costruzione di unidentit
sufficientemente sicura e stabile e di conseguenza minare la capacit di
proiettarsi nel futuro1.
I principali compiti che ladolescente deve affrontare e superare a causa
dei processi di cambiamento (a livello fisico, cognitivo e sociale) che ca-
ratterizzano la sua et sono molteplici e si possono suddividere in quattro
aree tematiche, non separate, ma in continuit ed interconnesse.
Compiti legati allo sviluppo corporeo e sessuale
Compiti conseguenti allo sviluppo cognitivo e allacquisizione del
pensiero ipotetico-deduttivo
Compiti relativi allampliamento della sfera sociale e relazionale e
allo sviluppo affettivo
Compiti attinenti la costruzione della propria identit e del senso di
continuit

4.1.2 Compiti legati allo sviluppo corporeo e sessuale


La trasformazione fisica, e lo sviluppo corporeo che ne consegue, rappre-
senta la spinta di avvio al percorso di crescita in preadolescenza, ponen-
dosi dal punto di vista cronologico come il primo dei cambiamenti osser-
vabili, significativo per la sua rapidit e molteplicit (riguarda mutazioni a
livello dei vari tessuti e levoluzione sessuale) e per le profonde ripercus-
sioni intrapsichiche. Un insieme di variazioni corporee, strutturali e fisio-
logiche, pongono ladolescente di fronte al compito evolutivo di accettare
il proprio corpo e di riorganizzare la propria identit fisica. In questa fase
evolutiva compare anche il compito di conoscere e integrare la propria ses-
sualit e, successivamente, quello di definire la propria identit di genere.
Pietropolli Charmet (2000) utilizza il concetto di mentalizzazione del
corpo ponendo laccento sullintensit delle emozioni e dei vissuti che

1
Per motivi espositivi i vari compiti evolutivi in adolescenza verranno brevemente de-
scritti negli aspetti pi salienti. Si rimanda a G. Pietropolli Charmet (2000) e E. Con-
falonieri, I. G. Gavazzi (2002) per una trattazione pi completa.
78

accompagnano ladolescente nel rappresentarsi mentalmente il proprio


corpo, nellaccettarlo e prenderne possesso, riuscendo ad abitarlo senza
ambivalenze.
Ed ecco presentarsi per ladolescente adottato un primo compito sup-
plementare, pi specifico: elaborare la mancanza di riferimenti somatici
in cui rispecchiarsi. Il suo corpo si trasforma assumendo sempre pi con-
notati adulti e le domande A chi assomiglio?, Come diventer? nella
maggioranza dei casi non possono avere risposta.
Il corpo in trasformazione, riflesso nello specchio, diventa ora lespres-
sione piena di un patrimonio genetico estraneo, per non dire straniero,
come estraneo pu diventare il corpo delladolescente per i suoi genitori
che si ritrovano in casa un giovane uomo o una giovane donna mentre vor-
rebbero ancora tempo per i giochi e per le coccole.
Nel caso di adozioni internazionali, dove la diversit somatica con i fa-
migliari evidente, pu aumentare nelladolescente il sentimento di smar-
rimento in funzione alla necessit di avere un modello di riferimento che
lo aiuti a rappresentarsi nel presente ed immaginarsi nel futuro. Le diffe-
renze somatiche, etnicamente connotate, possono rappresentare per lado-
lescente adottato una condizione critica, non solo allinterno del proprio
nucleo famigliare, ma pi frequentemente nel mondo esterno, nel gruppo
di pari e nella societ allargata. La possibilit di incontrare pregiudizi e
discriminazioni, di essere etichettato come appartenente ad una certa ca-
tegoria si presenta come un severo ostacolo alla strutturazione di identi-
ficazioni sufficientemente solide per sostenere unadeguata sicurezza per-
sonale, ben sapendo che per molti figli adottivi il problema dellautostima
rilevante. Nelladozione di fratelli o comunque di bambini provenienti
dalla stessa area geografica mantenuta, in parte, la possibilit di trovare
un altro volto, un altro corpo in cui rispecchiarsi e riconoscersi, aiutando a
ridimensionare il sentimento di solitudine genetica, ma per questi ado-
lescenti comunque comune lesperienza di sentirsi sospesi nella duplice
appartenenza (questi ed altri aspetti delladozione internazionale in adole-
scenza vengono ben descritti nellarticolo presente nella seconda parte del
libro Figli daltrove: aspetti psicologici, etnici e culturali delladozione
internazionale L. Cardenas, F. Pitto).
Il corpo delladolescente ci ripropone la dicotomia origine-appartenen-
za. Accettare il proprio corpo non riguarda solo il piacersi esteticamente o
sentirsi bene nella propria pelle, ma pensare il corpo e riconoscerlo in tutte
le sue manifestazioni, sessualit compresa, per renderlo parte integrante
79

della propria identit. Nell adottato il corpo ricorda, il corpo cera gi pri-
ma di tutto, prima di nascere era nel grembo della donna che lo ha gene-
rato, prima di sentire, pensare, ricordare. Il corpo diventa testimone bio-
logico di unesistenza che deve accettare la non coincidenza tra chi lo ha
messo al mondo e chi lo ha cresciuto ed amato.
Anche la maturazione sessuale pu rappresentare una condizione di
particolare criticit .
piuttosto frequente osservare una precocit nello sviluppo puberale,
soprattutto nelle bambine proveniente da Paesi emergenti, che si presenta
con lo sviluppo del seno, poi con la comparsa del ciclo mestruale ed infi-
ne con il rallentamento della crescita della statura. Questo fenomeno, de-
terminato da un insieme di fattori che concorrono ad un globale migliora-
mento della qualit di vita (non solo nutrizionale ed igienico-sanitaria, ma
soprattutto psicologico) spesso pu provocare sofferenza e tensioni nella
bambina, che deve adattarsi ad una maturazione fisica precoce in mancan-
za di una corrispondente capacit di pensiero e di elaborazione attesa qual-
che anno pi in la. Lo sviluppo fisico anticipato, in questo caso, sembra
rubare del tempo prezioso a genitori e figli: si hanno pochi anni a dispo-
sizione per condividere il periodo dellinfanzia, epoca fondamentale per
la formazione ed il consolidamento del legame di attaccamento. La com-
parsa di questi cambiamenti puberali potrebbe attivare nella bambina il ti-
more dellabbandono, proprio perch sente di non essere pi la piccola
desiderata dai suoi genitori pur avendo ancora immenso bisogno di calore
e contenimento famigliare, mentre per gli adulti si potrebbe verificare una
certa delusione rispetto allidea di aver accolto una bambina e ritrovarsi
nel giro di pochi anni con una figlia adolescente.
La sessualit delladolescente pu diventare tumultuosa, disordinata,
con la ricerca a volte di situazioni pericolose. A seconda delle storie perso-
nali i comportamenti provocatori o disfunzionali possono rivelare la pre-
senza di vissuti disarmonici ed ambivalenti rispetto al proprio corpo, di
nuclei traumatici spesso legati ad abusi subiti nellinfanzia, oppure espri-
mono la ricerca, attraverso lagito, di dimostrazioni damore per negare la
paura di un nuovo abbandono. E poi ci sono le gravidanze precoci che as-
sumono un significato specifico che possiamo collegare non solo al com-
pito evolutivo dellacquisizione dellidentit di genere, ma anche alle te-
matiche delladozione, della procreazione/sterilit, della costruzione del
senso di appartenenza. Per molte ragazze adottate diventare madre pu
rappresentare loccasione di ritrovare una somiglianza in un altro essere
80

umano, rispecchiarsi nel volto del proprio figlio e poter fondare un proprio
nucleo dorigine. La ricerca di identit pu passare dunque anche attraver-
so lesperienza della maternit, dove la possibilit di riconoscersi in una
dimensione chiara, quello di madre, sembra rappresentare inconsapevol-
mente la soluzione per raggiungere un maggiore senso di completezza e
di continuit. Se la gravidanza in adolescenza pu assumere diverse moti-
vazioni (segnale dallarme, rito diniziazione, garanzia di status, bisogno
di identit ed accidentale) come descritto da Le Van (1998)2, sicuramente
rappresenta un evento particolarmente a rischio per il percorso evolutivo
della ragazza se non adeguatamente supportata e gestita.

4.1.3 Compiti conseguenti allo sviluppo cognitivo


Il secondo fondamentale compito di sviluppo delladolescente avviene a li-
vello cognitivo ed osservabile nel passaggio dal pensiero concreto (quan-
do ancora le favole aiutavano, per esempio, a rappresentare la propria storia
personale) a quello ipotetico-deduttivo che offre allindividuo la possibilit di
rappresentarsi il mondo (la sua famiglia, la scuola, la societ, ecc.) non solo
come , ma anche come potrebbe essere. Si presenta una nuova consapevo-
lezza cognitiva ed emotiva che coinvolge il s delladolescente ed il proprio
ambiente sociale. 3
Questa nuova capacit di pensiero, che pu riflettere e fare collegamenti
ed ipotesi, proiettarsi nel futuro ed aderire a sistemi di valori o criticarli rap-
presenta di fatto lo strumento che stimola ed accompagna i figli adolescenti
nel processo di elaborazione della propria vicenda personale e famigliare.
Nelladolescente la motivazione ad interrogarsi su di s proviene dalla per-
cezione di tutti i cambiamenti che sta sperimentando. Aumenta la consape-
volezza dei significati, si sviluppano miti e fantasie sulle proprie origini e sui
motivi che hanno portato alladozione, si cercano spiegazioni ed informazio-
ni che per lo pi non sembrano soddisfare la sete di conoscenza. Sofferenze
e dolore mentale per queste attivit cognitive sono particolarmente intensi.
Le abilit metacognitive (che si traducono nella capacit di riflettere sul

2
Cit. in E. Confalonieri, I. G. Gavazzi (2002) pag.51.
3
Si fa riferimento allopera di Jean Piaget (1896-1980) come modello pi completo del-
lo sviluppo cognitivo in infanzia ed adolescenza.
81

proprio stesso pensiero e sulle proprie emozioni) portano ladolescente a


percorrere nuove strade nellelaborazione della propria autobiografia. La
ricerca4 mostra che se nellinfanzia il bambino appare oggettivista rite-
nendo vero tutto il sapere, crescendo compare un certo relativismo che
assegna pari dignit a tutte le verit. Solo pi tardi, nella tarda adolescen-
za, matura la consapevolezza che in presenza di una pluralit di prospetti-
ve si possono selezionare, sulla base del ragionamento e della raccolta di
dati significativi, quelle pi solide e valide. Da qui il bisogno di reperire
informazioni pi specifiche e dettagliate sulle proprie origini, per costruire
la propria ipotesi, ricostruire la propria storia, alternando pensiero logico-
scientifico e pensiero narrativo.
Va sottolineato come durante ladolescenza avvenga comunque quel
fisiologico processo di definizione del proprio S che comporta luso di
meccanismi di interpretazione della propria storia di vita, e ci allo scopo
di assolvere limportante compito di sviluppo che consiste nella costruzio-
ne dellidentit personale. Luso del pensiero narrativo risulta pertanto
particolarmente importante proprio in tale fase del ciclo di vita (Aleni Se-
stito, 2004), consentendo di dare senso allesistenza attraverso il ricordo
e il racconto di storie riguardanti lesperienza personale. (E. Confalo-
nieri, I. G. Gavazzi, 2002).
In adolescenza dunque, risulta evidente il valore della narrazione quale
sforzo interpretativo per attribuire forma e significato alla propria espe-
rienza. Ci pu avvenire in maniera pi o meno consapevole, con tempi e
modalit che variano da individuo a individuo, in base anche al coinvol-
gimento famigliare in questa ricostruzione. evidente per che nei casi in
cui si disponga di poche informazioni, prevarr un lavoro mentali di tipo
narrativo, utile nel tentativo di colmare le lacune e le incongruenze per la
rielaborazione di una storia il pi possibile coerente e dotata di senso.
Sullimportanza dellesperienza narrativa, come ricerca di significato,
molto stato scritto da Bruner (1986, 1990). Per questo autore la narrazio-
ne promuove lorganizzazione dellesperienza: essa connette una serie di
eventi, vissuti, ricordi e affetti che isolatamente sembrano privi di signifi-
cato, ma il cui senso pu essere recuperato dal modo in cui vengono cuciti
in una trama o fabula. Il racconto permette di legare fatti straordinari ed

4
E. Confalonieri, I. G. Gavazzi (2002), pag. 74.
82

ordinari nella vita dellindividuo in una sequenza di episodi, reali o imma-


ginarie che siano, attribuendo intenzionalit e legittimit agli avvenimen-
ti anche pi eccezionali. Nel presente si ricostruisce il passato, ed alla
luce del presente che ladolescente adottato pu guardare alla sua vicen-
da esistenziale attribuendo un senso che non immutabile, ma aperto ad
inedite interpretazioni man mano che il suo percorso di crescita lo porter
a raccogliere nuove visioni su di s ed il modo circostante. In questo sen-
so, esperienze positive e riparative continuative favoriscono certamente la
possibilit di rileggere il proprio passato con lenti resilienti, capaci cio
di mitigare limpatto di eventi traumatici nella vita delladottato in termini
di vissuti e significati.
Allopposto si pu assistere ad un ritiro dellattivit mentale, alla rinun-
cia della ricerca: troppo faticoso, troppo doloroso. E allora il pensiero si
impoverisce, la mente congela tutti i movimenti interni, meglio non pen-
sare, meglio non cercare risposte: si mettono a tacere le domande e le fan-
tasie, le emozioni pi vitali sono soffocate, il pensiero lavora ad un regime
minimo, la capacit di apprendere si deteriora, si ripresentano le difficolt
scolastiche perch pensare doloroso, pensare fa paura. Per questi ragazzi
e ragazze affettivit ed apprendimento sono strettamente intrecciati e gli
esiti traumatici delle loro vicende personali si possono osservare diffusa-
mente a scuola. (Per un approfondimento rispetto alla tematica dellap-
prendimento rimando allarticolo presente in questa prima parte del libro
Adozione e scuola di R. Pasquale).

4.1.4 Compiti relativi allampliamento della sfera sociale e relazionale


In adolescenza si verificano importanti trasformazioni nelle relazioni con
gli adulti e con i coetanei con un esito che possiamo definire di nascita
sociale (G. Pietropolli Charmet, 2000). Nel rapporto con i genitori osser-
viamo un graduale processo di emancipazione per conquistare una sempre
maggiore autonomia ed indipendenza: ladolescente deve prendere le di-
stanze (psicologicamente e fisicamente) dai suoi riferimenti infantili, rine-
goziando regole e ruoli, in un dinamismo di separazione-individuazione
non esente, soprattutto nella prima fase, da ambivalenze. Ladolescente
infatti, sente sempre pi pressante la spinta ad esplorare il mondo ester-
no, a costruire legami affettivi extrafamigliari che gli permettano di misu-
rarsi al di fuori di un ambiente protetto, ma ci pu provocare sentimenti
confusi, se non di colpa nei confronti dei genitori, soprattutto se questi
83

ultimi faticano a far emergere il proprio figlio da una dimensione infantile


e di dipendenza. Lesigenza di inserimento sociale si realizza allinterno
del gruppo di pari, dimensione allargata con funzione di incubatore, pale-
stra sociale che favorisce lesercizio di vari comportamenti e atteggiamen-
ti lontani dal controllo genitoriale. La ricerca e lappartenenza a diversi
gruppi di aggregazione (scuola, sport, tempo libero, ecc..), lesperienza
amicale di tipo eterosessuale e l innamoramento (formazione di una cop-
pia) permettono il superamento di alcuni compiti di sviluppo contribuendo
in maniera determinante alla costruzione dellidentit personale.
Tale processo di separazione risulta spesso doloroso e difficoltoso per
entrambi i protagonisti, ladolescente ed i suoi genitori: lequilibrio fami-
gliare compromesso ed necessario rinegoziare ruoli e responsabilit,
modalit di comunicazione e di espressione dellaffettivit, aspettative re-
ciproche e risposte ai bisogni individuali.
Nelle famiglie adottive la spinta verso lautonomia pu rivelare speci-
fiche problematiche: il figlio adottivo, rispetto a quello biologico, nel suo
processo di allontanamento si impegna in un duplice lavoro poich deve
riuscire a separarsi dei genitori adottivi, ma anche dallimmagine, dalla
presenza fantasmatica o fantasticata, di quelli biologici.
Il compito di separazione, caratteristico di questa tappa evolutiva, e il
raggiungimento della propria autonomia, diventano faticosi per questi ra-
gazzi perch rievocano il drammatico strappo, la lacerazione originaria.
(G. Fava Viziello, A. Simonelli, 2004).
Inoltre importante che ladolescente disponga di quella base sicu-
ra, costrutto psichico di sicurezza e stabilit interna che si definisce nel
tempo a partire da esperienze relazionali e di accudimento sufficientemen-
te adeguate, che gli permetta di prendere le distanze dai riferimenti ge-
nitoriali senza essere sopraffatto da vissuti di impotenza e solitudine, ed
agevoli lesplorazione del mondo esterno. Nel caso delle adozioni alcune
condizioni ( traumi, ripetute esperienze di abbandono, adozioni di bambi-
ni grandicelli e preadolescenti) complicano lo sviluppo di un senso di
sicurezza e fiducia adeguatamente solido, rendendo difficile e turbolento il
passaggio in questa fase evolutiva. Frequentemente gli adottati giungono
in famiglia in et prescolare e scolare (a seconda dellet di adozione) ed
il tempo a disposizione per costruire un legame di attaccamento sicuro con
i genitori risulta ridotto rispetto ai figli biologici. Molti di loro approdano
alladolescenza dopo pochi anni di vita in famiglia e se da un lato anco-
ra molto forte la ricerca di affetto e contenimento, per altri versi la spinta
84

biologica li porta a superare linfanzia e a vivere esperienze che li proiet-


tano fuori dal nucleo. Dibattuti tra due forze, da un lato la tematica delle
origini, dallaltro lattrazione verso le figure genitoriali attuali, gli adole-
scenti adottati sembrano prediligere soprattutto scambi con pochi coetanei
fidati, preferendo una relazione stretta ed esclusiva con lamico/a del cuo-
re. Il gruppo di coetanei pu essere vissuto come eccessivamente critico
e giudicante, oppure al contrario in alcuni casi viene percepito come un
ambiente neutrale e rassicurante, dove mettersi in gioco nel presente e spe-
rimentare vari modi di essere e di relazionarsi senza pressioni. Come gi
descritto nel paragrafo dedicato allo sviluppo corporeo, per ladottato con
caratteristiche somatiche che lo distinguono dai suoi genitori, etnicamente
connotate, lesito del confronto con i pari e con la societ in generale rap-
presenta un aspetto saliente nella strutturazione di un senso di identit pi
o meno stabile.

4.1.5 Compiti attinenti la costruzione della propria identit e del senso di


continuit
La costruzione della propria identit costituisce il compito finale al cui
successo concorrono tutti gli altri compiti illustrati. lesito finale di un
percorso tormentato e discontinuo, segnato da momenti di crisi e di suc-
cesso. E per i ragazzi e le ragazze adottate costituisce una sfida ancora pi
impegnativa, poich viene loro richiesto di incontrare il passato per inte-
grarlo nella propria storia presente come trampolino verso il futuro.
In letteratura emerge da pi parti il ruolo fondamentale giocato dai genitori
adottivi nellaccompagnare il figlio adolescente in questo percorso, che
non pu intraprendere da solo.
Per ladottato la costruzione dellidentit richiama necessariamente le-
sperienza del distacco e della discontinuit, ed il modo in cui i genitori
riescono a partecipare a questo processo pu determinarne lesito. Non si
tratta solo per gli adulti di favorire il reciproco distacco senza provocare
fratture irreparabili, ma di accettare di essere coinvolti nella ridefinizione
della sua storia, nella costruzione della verit narrabile.
Considerando inoltre le ampie possibilit messe a disposizione da inter-
net e social network in termini di facilit con cui possibile reperire infor-
mazioni e contattare persone distanti, il coinvolgimento dei genitori risul-
ta ancora pi necessario, al fine di scongiurare che il ragazzo o la ragazza
provveda da solo a ricercare on line informazioni sulle proprie origini.
85

(largomento viene ben illustrato nellarticolo di M. Casonato Nella rete


alla ricerca delle origini, come approfondimento specifico alla tematica
adolescenziale)
Mai come in questa fase il ragazzo si interroga sulla propria identit,
e tali interrogativi lo pongono di fronte sia al passato che al futuro. ()
Se i genitori sono poco disponibili ad affrontarli, ladolescente si sente in
balia degli eventi perch privo di appoggio, e quindi tende a rivolgersi al
passato per cercare un punto di riferimento. () Riaffiorano laggressivi-
t e le provocazioni, la sfiducia in s stesso.(G. Fava Viziello, A. Simo-
nelli, 2004).
In questo faticoso processo si possono verificare blocchi e crisi dove il
malessere delladolescente, se non un vero proprio disagio, pu manife-
starsi su pi livelli: difficolt scolastiche e comportamenti oppositivi, bu-
gie e furti, fino ad arrivare ad agiti pi eclatanti come fughe, scenate vio-
lente, autolesionismo e azioni anticonservative. Per alcuni si assiste ad un
ritiro depressivo, un ripiegamento su se stessi con lesclusione del mondo
circostante, per compiacere i genitori ed arginare la paura di essere nuo-
vamente respinti, perch la realt esterna spaventa e sembra porre sfide
inarrivabili per chi si sente ancora profondamente insicuro e di scarso va-
lore. Fino a giungere a quelle situazioni relazionali cos deteriorate da non
trovare altra soluzione se non nellinterruzione del legame, come esito del
fallimento adottivo.
Dunque per ladottato il sopraggiungere delladolescenza comporta un
carico di lavoro emotivo e cognitivo straordinario il cui esito dipende da
numerose variabili in gioco, a partire dalle esperienze traumatiche vissute
e dalle capacit riparative e resilienti disponibili nel nuovo nucleo fami-
gliare e nellambiente sociale pi allargato. Da pi parti inoltre si rintrac-
cia, quale condizione favorevole allo sviluppo di unidentit sufficiente-
mente coesa e strutturata, la possibilit di disporre di una narrazione che
riesca a comprendere e spiegare la condizione adottiva, e che sia capace di
dotare di senso e significato le vicende esistenziali dei soggetti coinvolti,
figli e genitori adottivi.
Per le famiglie importante poter contare su un sistema di supporto
sociale capace di fornire sostegno nei momenti di disorientamento e crisi,
per affrontare le emozioni e le sfide che si presentano in questa fondamen-
tale tappa evolutiva. Con queste finalit ANFAA, sezione di Novara e del
Piemonte Orientale, ha predisposto nel 2015 il progetto In Crescita con
lobiettivo di accompagnare genitori e figli, a seconda delle necessit, in
86

un percorso di consultazione psicologica utile per comprendere ed appro-


fondire gli aspetti psicologici e motivazionali che possono rappresentare
motivo di disagio individuale e famigliare, ma anche pensato per esplorare
e sviluppare le risorse ed i punti di forza. Il progetto destinato a famiglie
adottive e affidatarie della Provincia di Novara stato patrocinato dal Co-
mune di Novara ed ha potuto contare sul contributo economico del Centro
Servizi per il Territorio e della Fondazione della Comunit del Novarese.
Ladolescenza funge da amplificatore delle tensioni gi presenti ed
eventualmente non risolte, e potrebbe risultare pi lunga e delicata per gli
adottivi, non pi bambini e non ancora adulti, alla ricerca di un senso per
le loro esistenze complesse, un senso che permetta di integrare le due vite,
quella precedente e quella successiva alladozione.

4.2 Nella rete alla ricerca delle origini (Marta Casonato)


4.2.1 Il bisogno di trovare risposte
In adolescenza i compiti evolutivi legati all'identit si fanno pregnanti per
tutti i ragazzi, e come ben evidenziato da Anna Stroppa, per i ragazzi adot-
tati la costruzione identitaria diviene il crocevia di tutti i compiti evolutivi
tipici di questa fascia di et. Gi negli anni Ottanta stato evidenziato che
proprio in pre-adolescenza, attorno agli 11 anni, che l'adottato inizia per
la prima volta a interrogarsi profondamente sul significato dell'adozione
(Brodzinsky, 1984).
Domande quali chi sono io?, Da dove vengo? raggiungono a questet
un significato diverso, e portano il ragazzo a cercare risposte pi esaustive
e profonde rispetto alla propria storia (Bimmel, Juffer, van IJzendoorn, &
Bakermans-Kranenburg, 2003). Il bisogno di sapere diffuso e legittimo:
un ampio studio che ha intervistato dei giovani adulti adottati a livello in-
ternazionale, ha mostrato che il 64% era interessato alle proprie origini e
che linteresse non indice dello stato di benessere del ragazzo, n della
riuscita delladozione. Questo desiderio di conoscere, che si fa forte in
adolescenza, si mantiene stabile nel tempo, subendo alcune accelerazioni
in caso di fattori esterni scatenanti che pongono ladottato in una condi-
zione di particolare sensibilit (Tieman, van der Ende, & Verhulst, 2008),
come il divorzio dei genitori o linizio di una relazione sentimentale.
Questo bisogno di conoscere degli adolescenti percepito anche dai
genitori adottivi, i quali notano che le domande di ragazzi e ragazze
87

iniziano a farsi pi pressanti su aspetti specifici della propria storia, alla


presenza di eventuali fratelli o sorelle, alle fattezze dei genitori biolo-
gici, e soprattutto alle condizioni di vita di queste persone nel qui ed
ora. Per quanto ladottato sia stato accompagnato dalla narrazione adot-
tiva, infatti, scaturir in lui il bisogno di sapere cos successo, nel
frattempo?.
Ma ladolescenza anche il momento in cui la comunicazione genitori-
figlio cambia registro e diviene talvolta pi macchinosa, perch i ragazzi
sentono il bisogno di autonomia e quindi tendono a mantenere alcune ri-
flessioni fra s e s, o a condividerle coi pari piuttosto che con i genitori.
Capita dunque che, proprio nel momento in cui i giovani adottati vorreb-
bero saperne di pi, si sentano meno capaci di porre liberamente le pro-
prie domande ai genitori adottivi (Fursland, 2015).
Considerato il grande ricorso che i giovani fanno ad internet per trova-
re risposte veloci ed immediate, facile capire quanto sia probabile che si
rivolgano proprio al web nel tentativo di soddisfare queste loro curiosit.
Gli adolescenti di oggi, infatti, sono nativi digitali, cio sono cresciuti
utilizzando strumenti tecnologici e si sono approcciati al web, direttamen-
te o accompagnati, fin da piccoli. Abituati come sono ad usare i linguag-
gi informatici, trovano con facilit le informazioni che cercano in quella
moltitudine di notizie offerta da internet. Essi, inoltre, utilizzano i social
network per stringere relazioni, per comunicare come si sentono e cosa
pensano, per mostrare cosa fanno. Questo utilizzo facilitato dal fatto che
oggigiorno hanno a disposizione molti dispositivi per connettersi a inter-
net e sono spesso online: non serve pi essere davanti al computer di casa
per connettersi al web, ci si pu connettere da uno smartphone, in qualun-
que momento (Aroldi, 2013).

4.2.2 Comunicare online


Agli occhi dei ragazzi, utilizzare Facebook o Google per trovare infor-
mazioni sulla propria famiglia di origine appare facile, immediato e so-
prattutto apparentemente impersonale. Possono agire da soli, senza dover
confessare ad una terza persona questo loro desiderio di sapere, aggirando
facilmente la presenza delladulto, sia esso operatore o genitore adottivo.
Insomma, usare internet per trovare i propri genitori biologici sembra faci-
le come bere un bicchier dacqua, e i ragazzi sono ignari dei rischi ad esso
connessi finch non li sperimentano in prima persona (Fursland, 2015).
88

A prescindere dalla condizione adottiva, la diffusione delle informa-


zioni sul web porta con s alcuni pericoli: bisognerebbe prestare attenzio-
ne a non rivelare troppe informazioni personali e a non sbilanciarsi con
gli sconosciuti, per evitare rischi quali il furto di identit, ladescamento
o il cyberbullismo. Per i ragazzi adottati, a ci si aggiunge il fatto che la
comunicazione online porta con s delle insidie specifiche: anche le sem-
plici comunicazioni via chat o via messaggi istantanei possono divenire
rischiose per un ragazzino adottivo alla ricerca di risposte. Nel web, in-
fatti, si comunica in modo differente dal mondo reale, mettendo a nudo le
proprie emozioni, abbassando la guardia e scrivendo cose che di persona
non si riuscirebbero a dire. I ragazzi possono incorrere in fraintendimenti,
aspettative elevate, lunghe attese o al contrario in contatti troppo rapidi,
inaspettati e impetuosi.
Limpulso ad agire tipico delladolescenza trova nel web un terreno fer-
tile, ma limmediatezza delle comunicazioni online pu mettere in dif-
ficolt il ragazzo, che non ha lo spazio per riflettere sul contenuto delle
comunicazioni in arrivo e in partenza, n per fare i conti con le proprie
emozioni. Il risultato che ladolescente si trova in bala di un vortice di
informazioni e di emozioni che, da solo, non sa gestire.
Chiedere aiuto alla famiglia adottiva difficile, perch spesso gli ado-
lescenti ricorrono ad internet senza comunicarlo ai genitori, e questo rende
poi complessa la condivisione delle difficolt che stanno attraversando e la
richiesta di supporto, perch ci implicherebbe il confessare di aver fatto
qualcosa di nascosto.

4.2.3 Chi cerca? Cosa si trova?


Internet consente ad ognuno dei soggetti del triangolo adottivo di inizia-
re un contatto. Spesso sono i ragazzi a cercarlo, soprattutto con fratelli e
sorelle. Altre volte, sono i membri della famiglia biologica (madri, fratel-
li, nonni) a mettersi in contatto con i ragazzini adottati, che magari non lo
avrebbero desiderato. Infine, ci sono molti genitori adottivi che cercano
informazioni sulla famiglia biologica per essere preparati a rispondere alle
domande del proprio figlio, o per sapere cosa aspettarsi in caso di un con-
tatto inaspettato (Fursland, 2015).
La tipologia di contatto e la vicinanza che ne consegue variano in base
alla modalit comunicativa scelta. Ci sono persone che monitorano i pro-
fili Facebook di genitori o fratelli senza dover nemmeno richiedere loro
89

lamicizia, perch questi profili sono aperti, ossia visibili ad ogni iscritto
al social network. Altre persone richiedono unamicizia senza voler avvia-
re una comunicazione, ma semplicemente monitorando il profilo altrui.
Altri, infine, avviano uno scambio di e-mail e messaggi che spesso sfocia
nello scambio del numero di telefono, poi in un contatto vocale e infine in
un vero e proprio incontro.
Ma quali informazioni si trovano su internet? Occorre innanzitutto fare
una premessa. In queste pagine si fa riferimento soprattutto a Facebook,
un sito che conta un numero impressionante di iscritti (un miliardo e 500
mila utenti attivi) e di utilizzatori che si connettono quotidianamente per
aggiornare il proprio profilo o per monitorare quelli altrui (solo in Italia,
gli utenti che lo usano ogni giorno sono 16 milioni)5. A differenza di altri
social network, Facebook richiede nome e cognome al momento delli-
scrizione e ci fa s i contenuti condivisi in questa vetrina virtuale sia-
no associati alla propria identit anagrafica, che nelladozione costituisce
uninformazione sensibile. Insomma, il profilo Facebook ci permette di
conoscere una persona a partire dalla foto identificativa, che pu mostrarci
il suo volto e i suoi interessi, ma ci racconta molto altro ancora: dai luo-
ghi frequentati agli amici, dagli interessi alla cadenza con la quale ci si
connette.
Fotografie e pensieri che si possono trovare online costituiscono conte-
nuti potenzialmente delicati e sensibili, e il fatto che siano sotto gli occhi
di tutti pu esporre ladottato alla ricerca delle proprie origini a veri e pro-
pri turbamenti. Le informazioni contenute su di un profilo social, inoltre,
appartengono a quella che lidentit virtuale di una persona, e possono
riflettere unimmagine non proprio reale e veritiera. Accade sovente che
ladottato, posto di fronte a queste immagini, si costruisca una rappresen-
tazione idealizzata dellaltro, non comprendendone o sottovalutandone gli
aspetti di criticit.
Laddove la ricerca sui social network non porta risultati (perch chi si
cerca non raggiungibile, o perch non se ne consoce il nome), si pu co-
munque ricorrere ai siti che pubblicano gli appelli di genitori biologici alla
ricerca dei figli, o viceversa di figli adottivi alla ricerca della propria madre
o dei fratelli di nascita. Questa modalit, utilizzata maggiormente dagli

5
Cfr. www.statista.com.
90

adulti e le parole che si ritrovano in questi appelli rendono lidea del senso
di impotenza e solitudine vissuto da queste persone, come evidenziato da
una recente rassegna esplorativa sul tema (Bertetti, 2013).

4.2.4 Il fenomeno
Purtroppo, in assenza di dati italiani, si pu soltanto ipotizzare la reale
portata di questo fenomeno nel nostro contesto. Gli studi condotti nei pa-
esi anglosassoni ritraggono uno scenario davvero molto esteso: sopra i 13
anni, un ragazzo adottato su 3 stabilisce un contatto online con la famiglia
biologica. Nonostante nel Regno Unito il contatto con la famiglia di origi-
ne venga raramente interrotto (per tramite degli operatori le due famiglie
si scambiano informazioni, di solito su base annuale), molti adolescenti
sentono il bisogno di aggirare gli operatori e di cercare un contatto diretto
attraverso il web (Greenhow, Hackett, Jones, Meins, & Bell, 2014).
Appare dunque evidente che i genitori adottivi devono essere preparati
a questo: fra i loro compiti genitoriali, ormai necessaria la comprensione
degli strumenti tecnologici utilizzati dai figli, e una sufficiente competenza
nel loro utilizzo. Lo studio gi citato ha evidenziato che pi della met dei
genitori adottivi (il 61%) usa internet per cercare informazioni sulla fami-
glia biologica, quasi per anticipare e conoscere quanto potrebbero trova-
re i propri figli. Questi comportamenti potrebbero scaturire dallansia che
molti genitori provano rispetto a queste forme di comunicazione: il 78%
degli adottanti afferma di essere intimorito dai contatti virtuali (Greenhow
et al., 2014) ed un altro studio riporta che i genitori provano disagio e sen-
tono di perdere il controllo quando i figli adottivi accettano contatti non
ricercati con i fratelli biologici (MacDonald & Mcsherry, 2013).
E nel contesto italiano? La diffusione di questo fenomeno evidenziata
dalle crescenti segnalazioni di operatori e famiglie che si trovano a gesti-
re gli effetti di un contatto su internet, che sembra avvenire soprattutto fra
fratelli. Anche ladozione internazionale non immune da questo fenome-
no e si sono registrati casi di ragazzini che si sono messi in contatto con
i membri della propria famiglia di nascita, di quella affidataria, o ancora
con altri compagni di istituto, ma anche casi di madri biologiche che sono
riuscite a risalire allindirizzo della famiglia adottiva. Basandosi sullespe-
rienza di altri paesi si pu affermare che, laddove non prevista alcuna
forma di contatto con la famiglia biologica, la possibilit che i ragazzi cer-
chino online superiore a quella dei contesti in cui vengono accompagnati
91

a cercare risposte ai loro interrogativi. Inoltre, considerato che spesso i


legami con la famiglia biologica vengono interrotti a causa delle grandi
difficolt manifestate dal nucleo originario, il contatto inaspettato con uno
dei suoi membri pu ovviamente sfociare in situazioni di rischio (Neil,
Beek, & Ward, 2013).

4.2.5 Conclusioni
Il bisogno di conoscere le proprie origini e di sapere cosa successo alla
propria famiglia di nascita legittimo e molto diffuso, e aiuta ladottato a
costruire la propria identit e a superare il vissuto di separazione. In ado-
lescenza questo bisogno si fa particolarmente pregnante e spinge buona
parte dei ragazzi adottati a soddisfare la propria curiosit attraverso la tec-
nologia informatica, cos diffusa e di facile utilizzo.
Internet costituisce per una complessa combinazione di opportunit e
di rischi, proprio per le caratteristiche comunicative che incarna: imme-
diatezza e rapidit sostengono gli agiti degli adolescenti e lasciano poco
spazio al pensiero e allelaborazione delle emozioni, componenti fonda-
mentali di un percorso di ricerca delle proprie origini. Per queste ragioni i
genitori e gli operatori dovrebbero favorire e rafforzare, fin dallinfanzia,
un clima di apertura comunicativa, per non essere colti alla sprovvista con
lavvento delladolescenza, che inevitabilmente porta con s un desiderio
di agire in autonomia (Casonato, 2016).
Per prima in Italia, lAgenzia Regionale per le Adozioni Internazionali
ha organizzato un convegno sul tema, che ha visto esperti e protagonisti
adottivi di professionalit e provenienze molto variegate confrontarsi su
questi aspetti. Durante il convegno, intitolato Connessioni: leg@mi adot-
tivi ai tempi di internet, stata ribadita da pi voci la necessit un accom-
pagnamento a tutti gli attori di questo percorso (ragazzi, genitori adottivi
e famiglia biologica), che ad oggi non ancora previsto o non sufficien-
temente aggiornato sui rischi e le potenzialit insite nella rete. Genitori e
operatori devono infatti imparare a conoscere i linguaggi comunicativi del
web per poter comprendere cosa pu offrire ai ragazzi e per poterli accom-
pagnare al meglio nel loro percorso, riconoscendone le opportunit e al
contempo limitandone i rischi.
92

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Capitolo 5

Quanti rami...
" il mio albero genealogico"
Il raggiungimento dellequilibrio famigliare
allinterno di sistemi e dinamiche complessi

Barbara Di Virgilio

5.1 Famiglie adottive: il valore emotivo e la gestione della relazione tra


fratelli
Spesso si parla delle famiglie adottive in termini di nuclei speciali. Si tratta
di genitori che, mettendo in gioco risorse speciali, costruiscono una fami-
glia che va al di l dei canoni tradizionali. Questo comporta laccettazione
di condizioni non usuali, a cui consegue la necessit di rielaborare, per se
stessi e per i propri figli, una modalit di essere famiglia che si differenzia
dalle altre.
Un aspetto importante, in cui spesso nelle famiglie adottive si riscon-
trano differenze rispetto a quelle tradizionali, riguarda la modalit e il tipo
di relazione esistente tra fratelli. Distinguiamo i fratelli naturali, che pur
avendo un comune substrato biologico non sempre convivono, e quelli ac-
quisiti, che in termini di legge divengono fratelli a tutti gli effetti, condivi-
dono il cognome, convivono e fanno parte della stessa famiglia. In questo
caso si fa riferimento al termine affratellamento.
Ad oggi non esistono linee guida operative riguardo la collocazione
delle fratrie. Le decisioni spettano al Tribunale per i Minorenni, il cui
obiettivo individuare la soluzione che tuteli il miglior interesse di ogni
bambino come individuo.
Di fronte a due o pi fratelli da collocare, vengono effettuate attente con-
siderazioni per valutare la tipologia di collocazione pi adatta. Questa cor-
risponde spesso ad ununica famiglia se si ritiene che la scelta coincida con
linteresse di ogni singolo bambino, congiuntamente alla disponibilit di cop-
pie ritenute idonee e che abbiano espresso la volont di accogliere pi fratelli.
96

Pur non potendo contare su certezze riguardo la scelta migliore, esisto-


no diverse variabili da tenere in considerazione. In generale, poter mante-
nere viva la relazione tra fratelli viene ritenuta una risorsa, a meno che non
vengano individuate delle criticit.
Nel prossimo paragrafo verranno trattate le pi comuni tipologie di re-
lazioni tra fratelli e affratellamento in adozione.
Nella descrizione delle dinamiche emotive relazionali, verr presa in
considerazione ununica variabile alla volta (es. due fratelli naturali che
vengono adottati da due differenti famiglie), ma bene tenere presente che
si verificano numerosi casi in cui pi variabili si intrecciano. Pensiamo alla
situazione in cui due fratelli biologici vengono separati e allinterno di una
delle due famiglie, o in entrambe, nasce o viene adottato un bambino. In
questi casi presente sia il fratello naturale che quello acquisito, che costi-
tuiscono il nucleo familiare.

5.2 Fratrie e affratellamenti


Le varie combinazioni possibili che verranno poi esaminate singolar-
mente, sono le seguenti. Verranno anche riportate situazioni reali, a titolo
esemplificativo. Ovviamente, nel rispetto delle normative sulla privacy, i
nomi dei bambini sono stati modificati.
Fratelli biologici adottati congiuntamente
Fratelli biologici collocati presso differenti nuclei familiari
Fratelli biologici con diverse tipologie di collocazione
Adozione in successione
Nascita di figli dopo la prima adozione
Adozione di un bambino in presenza di figli biologici

Fratelli biologici adottati congiuntamente


Fratelli e sorelle hanno spesso pochi anni di differenza tra loro, condivi-
dono importanti tappe evolutive, sperimentano insieme il significato delle
relazioni tra pari e le prime forme di protezione. In particolare, in situa-
zioni di degrado, accade che la relazione tra fratelli assuma un significato
particolarmente importante rispetto al legame di attaccamento. Spesso in
97

tali situazioni i genitori non rappresentano buone figure di attaccamento e


i fratelli maggiori diventano importanti punti di riferimento, svolgendo le
cosiddette funzioni vicarianti.
In generale si cerca di favorire il senso di continuit, mantenendo lu-
nione tra i fratelli. Quindi, quando la relazione stretta non sembra costi-
tuire criticit, i fratelli vengono affidati alla stessa famiglia, dove possono
continuare insieme il loro processo di crescita.
Oltre ad agevolare il senso di continuit ed evitare un eventuale trauma
legato allinterruzione del legame tra fratelli, da tenere in considerazione
che la loro unione pu costituire una risorsa reciproca, sul piano emotivo e
affettivo, nelladattamento al nuovo contesto.
Invece, una criticit tipica e frequente delladozione di pi fratelli da
parte di ununica famiglia rappresentata dalla concreta difficolt, da par-
te della famiglia adottiva, a prestare attenzioni selettive ad ognuno dei
bambini, che hanno bisogni specifici sul piano psicologico, evolutivo, af-
fettivo e cognitivo. Le difficolt in generale si presentano fin dallinizio e
spesso questa fase rappresenta lo step pi delicato e laborioso.

Luca, Luigi e Tommaso, rispettivamente per uno, tre e sei anni, hanno
vissuto con i genitori biologici: padre alcolista e madre obbligata a pro-
stituirsi. Una volta abbandonati hanno vissuto per tre anni in un istituto
peruviano, vivendo in tre settori differenti. Condividevano esclusivamente
il momento dei pasti e nessuno di loro era mai andato a scuola, nemmeno
il maggiore che aveva nove anni quando, nel 2012, sono stati adottati da
ununica famiglia italiana.
Ci che inizialmente ha caratterizzato la vita di questa numerosa fa-
miglia stato il senso di dover essere sempre presenti per tutti e tre, in
maniera totalizzante. Tre et, caratteri e bisogni differenti. Lunione dei
tre fratelli si concretizzava coalizzandosi contro la madre. Nel tempo sono
diventati molto gelosi delle attenzioni di entrambi i genitori, che per loro
non risultavano mai sufficienti.

Fratelli biologici collocati presso differenti nuclei familiari


Quando si presuppone che la separazione dei fratelli sia funzionale ad un
miglior inserimento e a una migliore qualit di vita, vengono individuate
pi famiglie, al fine di poter assegnare ad ogni bambino una coppia di ge-
nitori tutta per s.
98

Questa scelta comporta sia vantaggi che criticit. Abbiamo visto che la
decisione di mantenere uniti i fratelli nella stessa famiglia contiene punti
di forza ma anche punti di debolezza. Dividere la fratria la scelta com-
plementare: si vanno a colmare le difficolt legate al bisogno di attenzioni
specifiche e si agevola in parte il processo di attaccamento, ma la separa-
zione di per s pu andare a costituire un trauma.
Al fine di sfruttare i punti di forza e ridurre al minimo le criticit, quan-
do possibile, viene prescritto alle famiglie dei fratelli di mantenere co-
munque viva la relazione tra loro. Questo aspetto, molto importante per i
ragazzi, costituisce un delicato elemento sia per i fratelli stessi che per la
relazione che si deve inevitabilmente costruire e mantenere tra le due fa-
miglie. Utilizzando alcuni esempi andremo a far luce principalmente su
due aspetti:
Il bisogno dei bambini di avere genitori totalmente per s;
Il coinvolgimento delle famiglie.

In coppie o gruppi di fratelli, spesso il maggiore si prende cura degli al-


tri, assumendo un ruolo genitoriale vicariante. In questi casi si ritiene che
i bambini abbiano bisogno di essere collocati presso famiglie differenti.
Attraverso ladozione il ruolo di ognuno dei fratelli destinato a cambiare,
in quanto lequilibrio prima efficace per la sopravvivenza pu e deve
essere rivoluzionato.

Teo e Arianna sono due fratelli e nonostante i tentativi della madre di te-
nerli con s sono stati dati in adozione. Hanno due anni di differenza e
hanno vissuto insieme la relazione con la madre. I ruoli per erano ben di-
stinti: Arianna, un po pi grande, si sobbarcava nonostante la tenera et
parte di responsabilit per s e per il fratello minore, verso il quale aveva
un atteggiamento protettivo.

La decisione stata quella di collocare i due bambini, che allora avevano


quattro e sei anni, presso due famiglie distinte, con lindicazione di man-
tenere i rapporti tra loro. Il bisogno di ognuno dei bambini era trovare due
genitori totalmente per s, con i quali costruire la nuova famiglia nella
quale inserirsi con il ruolo di figli, mettendo da parte i vecchi schemi che,
pur essendo stati efficaci in passato, non lo sarebbero stati nella nuova
condizione.
99

In situazioni come questa la separazione dei due fratelli viene effettuata


anche per agevolare il processo dinserimento. La separazione, per quanto
spiacevole, aiuta entrambi a entrare nella nuova famiglia, costruendo un
nuovo legame, senza interferenze e senza listinto che in generale porte-
rebbe il figlio maggiore a interpretare costantemente il ruolo protettivo nei
confronti del minore, il quale a sua volta continuerebbe a mantenere come
punto di riferimento il fratello. Il rischio che si crei un sistema rigido in
cui ai bambini risulterebbe difficile accettare dai genitori affetto, cure e
attenzioni.

Arianna, apparentemente senza alcuna fatica, ha abbandonato il suo vec-


chio ruolo, per porsi nella relazione con i genitori adottivi da figlia, re-
cuperando le parti della bambina a cui aveva dovuto precedentemente
rinunciare. Inoltre, secondo i genitori, la sua tranquillit si accresceva
vedendo che anche Teo aveva una famiglia in grado di provvedere a lui
e sapendo che avrebbe potuto frequentarlo senza particolari limitazioni.
A distanza di qualche anno tra Teo e Arianna si strutturata una diffe-
rente modalit nel vivere la loro relazione. Arianna soddisfatta, anche
se attualmente vede il fratello con meno frequenza. Teo, invece, esprime il
desiderio di coinvolgere maggiormente la sorella nella sua quotidianit,
ma la percepisce un po distante.

frequente che i fratelli percepiscano in modo differente il desiderio di


cadenzare gli incontri tra loro. importante che i genitori comprendano se
la distanza o leccessiva vicinanza che uno dei due richiede legata a dif-
ficolt che andrebbero affrontate o, come nel caso della relazione tra Teo
e Arianna, dipenda dallet, dagli impegni e dagli interessi diversi. Questi
elementi regolano a livello quantitativo le relazioni tra le persone, ma non
interferiscono sulla qualit della relazione che, come nel loro caso, rimane
connotata da un profondo affetto ed destinata a mantenersi nel tempo.
Un altro fattore rilevante da tenere in considerazione che, al fine di
adempiere allindicazione di mantenere attiva la relazione tra i fratelli, si
viene a creare una condizione piuttosto particolare: si attiva una relazione
tra coppie di sconosciuti, in quanto genitori di fratelli.
Alle famiglie spetta un compito che apparentemente presenta delle am-
bivalenze: lobiettivo di creare e instaurare un nuovo nucleo familiare con
il bambino adottato, andando nel tempo a colmare e bonificare quanto ac-
caduto nel passato, potrebbe essere ostacolato dal fatto di mantenere attiva
100

una relazione importante con sorelle o fratelli, che talvolta riattiva reazioni
emotive e comportamentali appartenenti al passato.
Normalmente ogni famiglia, sulla base di vari elementi, tra cui le pro-
prie caratteristiche, let dei bambini, le richieste e gli stati danimo degli
stessi, gestisce la frequenza, lintensit e la durata delle frequentazioni con
le altre famiglie.
Infatti, anche se sono i fratelli ad avere bisogno di mantenere attiva la
relazione, sono i genitori ad attivarsi per organizzare gli incontri, soprat-
tutto per i figli in tenera et. Non detto per che i nuclei familiari perce-
piscano la stessa necessit di frequentazione. Talvolta gli incontri vengono
vissuti come un dovere o con timore e il tentativo di diradarli potrebbe es-
sere finalizzato a proteggere il figlio.

Nicolas ora ha dieci anni, vive con sua madre e suo padre da quando ne
aveva cinque. Dalla nascita ha vissuto in istituto con la mamma della
pancia e il fratello maggiore Daniel, poi la madre andata via e sono ri-
masti insieme nella struttura fino alla loro adozione. Dalla nascita fino ai
suoi cinque anni, lunica relazione che ha avuto una continuit affettiva
stata quella con suo fratello, il suo fratellone, che ora ha quattordici anni.

La famiglia di Nicolas ha colto fin dallinizio il senso che aveva per il loro
figlio il fratello maggiore: un punto di riferimento, un ragazzo simile a lui
tramite il quale poteva immaginare se stesso qualche anno dopo e, nel tem-
po, lunica fonte di informazione su alcuni aspetti del loro passato, quindi
un potenziale confronto su una ricostruzione importante che pu comin-
ciare ad essere in grado di elaborare. La possibilit di avere un fratello con
cui affrontare ed elaborare aspetti del passato pu costituire un punto di
forza.

La famiglia del fratello di Nicolas, per sembra che non viva nello stes-
so modo questa opportunit. Mantiene una distanza emotiva e rimanda
gli incontri che vengono proposti costantemente dai genitori di Nicolas, i
quali non trovano una spiegazione razionale a questo atteggiamento. Per-
ch evitare di agevolare il legame fraterno che risulta lunico ponte tra il
passato, il presente e un futuro in cui i due fratelli potranno costituire una
risorsa reciproca? Anche alle richieste di confronto sullargomento la re-
azione da parte dellaltra coppia evasiva e non sembra possibile giunge-
re a un accordo comune.
101

Daltro canto, la famiglia di Daniel, come accade in numerose situazioni


simili, possibile che percepisca la relazione costante con il fratello come
una potenziale minaccia, un elemento appartenente ad un passato criti-
co che potrebbe interferire negativamente con il presente e il futuro del
ragazzo.

Daniel non manifesta emozioni, non parla del suo passato e mantiene un
atteggiamento di indifferenza nei confronti di ci che accade intorno a lui.

In presenza di condizioni emotivamente stressanti il nostro organismo met-


te in atto dei sani meccanismi di difesa che ci supportano. Questa reazione
allo stress non dovrebbe durare nel tempo, utile per le emergenze. Nei casi
in cui tali condizioni siano costanti, si struttura una sorta di armatura che
protegge e non consente di percepire totalmente la criticit della realt cir-
costante. Si viene a creare una sorta di anestesia emotiva, assolutamente
utile per sopravvivere in situazioni di forte disagio. In tal modo probabile
per che nel tempo si strutturi lincapacit di sentire le emozioni.
Spesso i bambini che sono stati adottati non percepiscono e non mani-
festano le emozioni. La percezione delle emozioni rappresenta, in genera-
le, il primo passo per poterle manifestare ed elaborare.
Risulta fondamentale aiutare questi ragazzi a sperimentare progressiva-
mente la possibilit di percepire piccole emozioni che creano svariati stati
danimo. importante che comprendano e sperimentino che ci che gli
servito in passato ora non pi utile, anzi, larmatura emotiva li priva di
percepire anche le emozioni positive. Il comportamento protettivo da parte
di alcuni genitori rispetto alle difficolt dei figli, non sempre porta a buoni
risultati, spesso tende a rendere ancora pi incapaci i ragazzi di gestire tali
situazioni.

Probabilmente, i genitori di Daniel con le migliori intenzioni, cercano


di proteggere il figlio da scossoni emotivi che potrebbero derivare dalle
eventuali domande del fratello.

Teniamo sempre presente che ogni situazione ha caratteristiche assoluta-


mente uniche, ma in generale evitare per paura una relazione o una situa-
zione che potrebbe rappresentare un punto di forza non pu che nuocere.
Con questo non intendo certamente dire di affrontare ogni situazione, sen-
za limiti, ma cerchiamo di individuare la giusta misura.
102

Fratelli biologici con diverse tipologie di collocamento


Come accennato nelle pagine precedenti, non detto che le situazioni dei
fratelli naturali vengano gestite in modo omogeneo.
In Etiopia dodici anni fa Alberto stato consegnato dalla propria ma-
dre agli zii che abitavano in un villaggio piuttosto distante dal loro e che
avevano migliori possibilit di sopravvivenza. Essendo un maschio aveva
maggiori diritti rispetto alle due sorelle minori che invece sono rimaste in-
sieme alla madre e al padre. I due genitori si sono per ammalati e prima di
morire hanno affidato anche Eleonora e Anna agli zii. Questi, non poten-
do provvedere ai tre bambini, li hanno affidati ad un Istituto, dove le due
femmine sono state collocate in un settore e il maschio in un altro. Le due
sorelle condividono un passato ed anche in Istituto sono insieme, Eleonora
si prende un po cura di Anna, combattono insieme per avere una brandina
su cui dormire e qualcosa da mangiare.
Nellarco di poco tempo viene individuata una famiglia idonea allado-
zione dei fratelli.
Finalmente, arriva il momento di conoscere i genitori ed essere affidati
a loro, ma Eleonora non viene pi affiancata alla sua sorellina, la allonta-
nano e compare il fratello, quasi sconosciuto, con il quale viene portata in
Italia dai nuovi genitori.
Sembra impossibile capire quale sia la sorte di Anna, le uniche notizie
che sono riusciti a reperire i genitori, pronti ad avviare le pratiche per la
terza adozione, fanno riferimento a una malattia, probabilmente la stessa
che ha tolto la vita ai genitori e non sembra proprio possibile intervenire in
suo aiuto. A questo punto Eleonora sviluppa tutti i sintomi della crisi del
sopravvissuto. Lei con due genitori, un fratello, una casa, il cibo, ligiene,
la possibilit di studiare e sua sorella, forse malata, ancora in quel terribile
posto che lei ricorda come se appartenesse a un altro mondo.
Eleonora ha dovuto imparare a gestire il profondo dolore che laccom-
pagnava in qualsiasi momento della giornata, soprattutto nei momenti di
benessere. Ora il ricordo comunque presente e doloroso, ma per lei
possibile apprezzare la sua vita e godersela giorno dopo giorno.

Adozione in successione
Si tratta di figli adottati in tempi diversi, in assenza di legami biologi-
ci. In termini procedurali e formali la seconda adozione rappresenta
103

unesperienza conosciuta e gi vissuta, ma in termini emotivi e relazionali


costituisce a tutti gli effetti unesperienza unica e imprevedibile.
da tener presente che la scelta della seconda adozione dei genitori
e non del figlio.
Si tratta di destabilizzare un equilibrio raggiunto con la prima adozione,
per ridefinirlo e trovarne uno nuovo. Inquadrando la situazione dal punto
di vista del minore sono essenzialmente due le variabili da considerare:
se linserimento del fratellino crea disagi al bambino o ai bambini
gi esistenti;
se la presenza del primogenito costituisce un fattore neutro, di pro-
tezione o di criticit per il nuovo arrivato.

buona prassi che la coppia attenda almeno un periodo temporale di mi-


nimo due anni prima di presentare disponibilit per una seconda adozione.

Ettore stato adottato a pochi giorni di et. Un sereno inserimento di un


neonato non riconosciuto alla nascita, in territorio nazionale. La vita di
famiglia molto naturale, lui cresce consapevole della sua storia e accet-
ta con entusiasmo lidea di una seconda adozione da parte della sua fami-
glia. Dopo una lunga ed estenuante attesa, finalmente la sorellina ha un
volto, un nome e limmaginario lascia il posto alla realt, sia per Ettore
che per i genitori. Dopo un lungo soggiorno, al rientro dalla Polonia sono
in quattro: c Celeste con loro. Ha due anni e mezzo, pi grande rispet-
to alle aspettative dei genitori. Non parla italiano, ma ha delle idee molto
strutturate, come in fondo lei. Ha le sue abitudini e i suoi schemi rigi-
di, che hanno rappresentato le sue sicurezze fino a quel giorno. In questi
schemi non previsto bere acqua, nemmeno nutrirsi di cibo non zucchera-
to e tantomeno ricevere attenzioni e affetto da parte di adulti. La relazione
con i bambini risulta per lei pi facile, ha maggior fiducia nei suoi simili,
cos come racconta la madre: loro sono diventati fratelli da subito. Co-
struisce fin dallinizio un legame con il fratello ed proprio grazie a lui
che gradualmente impara a fidarsi dei genitori, a lasciare che loro si pren-
dano cura di lei e a farsi amare. Ettore si sente utile, viene riconosciuto a
tutti gli effetti come fratello maggiore. Ha avuto qualche piccolo cedimen-
to, brevi momenti di regressione e gelosia che, accettati e gestiti, si sono
risolti efficacemente.
104

Nascita di figli dopo la prima adozione


In alcune famiglie, a volte in modo totalmente inaspettato, dopo aver adot-
tato arriva una gravidanza. Sembra che le gelosie e il vissuto di diversit
da parte del figlio adottivo siano in generale inferiori rispetto alle situazio-
ni in cui ladozione avviene successivamente alla nascita del figlio natura-
le. Il bambino fa gi parte del nucleo familiare, arrivato prima lui e poi
partecipa allevoluzione del fratello.

Piero stato adottato a quaranta giorni e dopo due anni in cui regnava
in casa come figlio unico, i genitori lhanno informato dellarrivo di una
sorellina. Seguire da vicino la gravidanza della madre e soprattutto poter
parlare liberamente con i genitori di quanto stava accadendo, facendo
chiari riferimenti anche alla sua nascita, gli ha dato modo di comprendere
e iniziare a elaborare precocemente la sua storia. Questo stato reso pos-
sibile essenzialmente grazie alla disponibilit e allapertura da parte dei
genitori che hanno gestito e soprattutto accettato i primi momenti di crisi.

Adozione di un bambino in presenza di figli biologici


La famiglia con figli biologici per certi aspetti pu costituire una risorsa.
Innanzitutto il bambino adottato non fa la parte del primogenito con geni-
tori inesperti. Inoltre il lungo iter adottivo non si va a sommare al possi-
bile stato emotivo negativo della coppia che arriva alladozione dopo nu-
merosi fallimenti legati a svariati tentativi di procreazione.
In generale, le famiglie con figli biologici che decidono di adottare un
altro figlio, possono ottenere ladozione esclusivamente se sono in con-
dizioni di tranquillit, in assenza di tensioni familiari e situazioni proble-
matiche. Ci significa che stanno sperimentando una condizione familiare
gratificante, con figli adeguati.
Una famiglia unita ed equilibrata pu rappresentare unottima risorsa,
senza dubbio linserimento di un altro bambino crea importanti ripercus-
sioni su questo equilibrio. Le aspettative dei genitori hanno un ruolo deter-
minante: se latteggiamento rigido e ci si attende che il bambino adottato
si uniformi al sistema si possono creare difficolt importanti, che potreb-
bero determinare il fallimento adottivo.
fondamentale tenere presente che ogni individuo ha caratteristiche
distinte e ogni persona unica e irripetibile.
105

Giorgia, etiope, stata adottata a cinque anni da una famiglia con due fi-
glie biologiche. Dopo il suo arrivo, nato un altro figlio. Una bella fami-
glia con quattro figli: 2 femmine grandi, studiose ed equilibrate; Giorgia,
ribelle e con la pelle scura; e il pi piccolo, a cui vengono rivolte infinite
attenzioni.

Il vissuto di Giorgia di essere diversa, si presenta in modo diverso, non


allaltezza delle due sorelle maggiori ed ha interessi che non coincido-
no con quelli a cui abituata la famiglia. Con le migliori intenzioni i ge-
nitori cercano di trattare tutti i figli allo stesso modo (in questa famiglia
nessuno diverso), ma in realt, negando unevidente differenza, come
se chiedessero a Giorgia di uniformarsi al gruppo di fratelli, cosa per lei
impossibile. In questo modo viene a mancare laccettazione della diversit
e lei lo percepisce come rifiuto della sua essenza. adolescente, ha tante
risorse che non riesce a mettere in gioco perch si focalizza su quelle che
le servirebbero per emulare le sorelle, collezionando fallimenti. Lunico
modo per aiutare Giorgia sostenerla nel processo di sviluppo della sua
identit e non pretendere che si adatti ad un sistema familiare con obiettivi
predefiniti e rigidamente strutturati.

5.3 Conclusioni
Come abbiamo visto le possibili variabili in gioco sono tante e comples-
se. Le considerazioni generali esposte e la disamina di alcuni casi possono
aiutare a meglio orientarsi nel ricco e variegato mondo delle adozioni.
Unultima considerazione riguarda limpatto del mondo esterno sulla
diversit.
Alcune reazioni, nonostante la buona fede di chi le mette in pratica,
potrebbero essere fonte di tensione per la famiglia e, soprattutto, per i
bambini. Per questo motivo ritengo utile spendere due parole su questo
argomento.
Bisogna considerare che il cervello, che programmato per elaborare
le tantissime informazioni in entrata in modo logico e economico, procede
riunendo in categorie le informazioni in arrivo. Categorizzare significa far
rientrare in ununica classe informazioni diverse, accomunate da alcune
variabili. Quindi diventa inevitabile generalizzare rifacendosi a categorie
standard di normalit e linearit.Questo riduce la massa di informazioni
in entrata e permette una lettura della realt pi agevole e dinamica, ma
106

risultano ovviamente penalizzate le categorie non lineari, in quanto lin-


formazione non viene contestualizzata ma fa riferimento a generalizza-
zioni. Le situazioni familiari miste o complesse, cio quelle che non
rispondono al classico concetto di famiglia composta da mamma, pap,
figli naturali, possono diventare oggetto di ambiguit o imbarazzo, a causa
della modalit del cervello di elaborare le informazioni.

Anche a scuola, quando ad esempio si prepara qualche lavoretto per la fe-


sta del pap, della mamma, o si predispone lalbero genealogico, o altro,
tutto programmato per rispondere ai criteri della famiglia tipo. Il bam-
bino adottato potrebbe chiedere dov lo spazio che prevede due mam-
me..... Dobbiamo quindi essere preparati ad affrontare situazioni di que-
sto tipo e, se possibile, prevenire il disagio.
Prima di tutto la sorpresa o il disguido vanno accettati dai genitori, che
eviteranno di irritarsi ogni volta che succede qualcosa di questo tipo, ricor-
dandosi che dipende, in grossa parte, non da cattiva volont dellaltro, ma
dalla modalit che il cervello ha di elaborare le informazioni (a maggior
ragione in una societ frenetica come la nostra, dove tutto si fa correndo e
quindi si perdono facilmente le sfumature).
Poi bene valutare di tanto in tanto con gli operatori che si occupano
dei bambini, se sono previste attivit che toccano il tema della famiglia e
se in queste attivit stato previsto uno spazio per le situazioni non lineari,
con il dovuto rispetto per la loro professionalit che senzaltro gi li avr
indirizzati a prevedere le possibili diversit.

Ovviamente il dialogo con i bambini sar sempre aperto e flessibile e, nel-


le situazioni disagevoli, li si aiuter a esternare le proprie emozioni, spie-
gando anche la buona fede degli interlocutori, spostando quindi levento
sul piano esterno e non valutandolo come azione diretta al bambino.
Infine una bella dose di ironia aiuta sempre, genitori e bambini.
107

Bibliografia
Bagdadi M. P., Chi la mia vera mamma? Come superare turbamenti e diffi-
colt nella relazione tra genitori e figli adottivi, Franco Angeli, 2002.

Fernandez I., Maslovaric G., Galvagni M. V., Traumi psicologici, ferite della-
nima. Il contributo della terapia con EMDR, Liguori, 2011.

Nardone G., Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Problemi e soluzioni per il ci-
clo di vita. Ponte alle grazie, 2012.

Shapiro F., EMDR Desensibilizzazione e rielaborazione attraverso movimenti


oculari, Mc Graw-Hill, 2000.

Vadilonga F., Curare ladozione. Modelli di sostegno e presa in carico della


crisi adottiva, Raffaello Cortina, 2010.

Verardo A.R., Russo R., Tu non ci sei pi e io mi sento gi, Associazione


EMDR Italia, 2006.

Verardo A.R., La giusta distanza. Il giocolibro per ladozione, Associazione


EMDR Italia, 2014.
Capitolo 6

La valenza educativa e affettiva


dellidrochinesiologia famigliare
Anna Pigatto

6.1 Un progetto per la genitorialit adottiva


Da alcuni anni nato a Novara un progetto che si rivolge ai genitori adot-
tivi nei primi mesi che seguono lingresso del bambino nella nuova fa-
miglia. Questo progetto, che si aggiunge ai percorsi dei gruppi post ado-
zione gi operativi a Novara, nasce dalla collaborazione con lEquipe
sovrazonale per le Adozioni Nazionali e Internazionali della provincia
novarese con lintento di accompagnare la famiglia adottiva nel delicato
ruolo educativo. Siamo consapevoli che il raggiungimento di un nuovo
equilibrio nelle relazioni famigliari richiede per radicarsi pazienza, de-
dizione e gratuit; nello stesso tempo il processo di attaccamento, in un
momento in cui il legame affettivo con il bambino adottato ancora mol-
to fragile, comporta per il genitore la ricerca di un contatto con la propria
dimensione istintiva e mette in gioco trasformazioni affettive profonde.
Per consentire ad un bambino di ri-sperimentare gradualmente quella che
Bowlby definisce fiducia di base, necessario che i genitori vengano
in contatto con il bisogno di protezione, di vicinanza e di tenerezza del
bambino e che il bambino stesso riviva le tappe evolutive precoci di re-
lazione in unesperienza condivisa di gioco corporeo; se lesperienza
affettiva si fonda sul sentire, allinterno di una relazione famigliare le-
ducazione allaffettivit ha necessit di integrarsi con uneducazione al
sentire capace di valorizzare lesperienza dei sensi. La peculiarit di que-
sto progetto sta nella scelta di utilizzare lacqua come esperienza signi-
ficativa sotto il profilo relazionale e affettivo, in un contesto accogliente
e di particolare intimit. Il Centro Inacqua, con i suoi ambienti dedicati
ai servizi per la prima infanzia, offre un percorso educativo in uno spazio
particolarmente ricco di stimoli, in un ambiente a misura di bambino: una
110

vasca di piccole dimensioni, con lacqua calda, un luogo per crescere in-
sieme ed essere accompagnati alle prime esperienze di gioco interattivo,
con mamma e pap e con il gruppo di coetanei. Offrire ai genitori lop-
portunit di condividere esperienze ludiche con il proprio bambino in un
contesto in cui lacqua facilita la relazione perch consente di comunicare
attraverso il corpo le proprie emozioni e di esprimersi con spontaneit,
consapevolezza, si rivelato un adeguato e importante sostegno alla fa-
miglia adottiva.

6.2 I significati dellacqua


Perch la scelta dellacqua? Se parliamo di acqua si apre per ognuno
di noi un mondo di significati, di cui ne testimone ogni cultura. Sap-
piamo che se entriamo in contatto con lelemento acqua, il nostro corpo
immerso fa esperienza di un movimento libero, rallentato, quindi pen-
siamo allacqua come un mezzo che regala sensazioni corporee di pia-
cere e di leggerezza. Questa esperienza alimenta la capacit di ascolto
del proprio corpo, facilita nel bambino la capacit di autoregolazione
del movimento; il movimento che per il bambino identit, nellacqua
contenuto, rallentato e percepito poich lacqua tocca il proprio cor-
po e nella resistenza che oppone al movimento restituisce al bambino
le dimensione della forza e della velocit. L'esperienza del gioco in ac-
qua, quindi, arricchisce il bagaglio percettivo e amplia il livello di con-
sapevolezza emotiva. Quando lesperienza in acqua viene guidata da
un operatore che osserva, accoglie e trasforma, diventa per il bambino
occasione di crescita, di recupero e di cambiamento nella sua globalit,
quindi sostiene i processi di apprendimento poich il luogo che fa-
vorisce lesperienza. Il contesto peculiare dellacqua si rivela un aiuto
efficace soprattutto nella ricostruzione di un legame affettivo ancora
fragile perch sviluppa sentimenti di fiducia e di sicurezza del bambi-
no nei confronti del genitore adottivo, in quanto privilegia il contatto
fisico. Accompagnare un bambino nel percorso di crescita non implica
sollevarlo dalle fatiche o dalle sofferenze che la vita gli ha posto sul
cammino, ma piuttosto sostenerlo in un equilibrio necessariamente in-
certo; se faticoso stare con i bambini perch bisogna abbassarsi, in-
clinarsi, farsi piccoli, lacqua aiuta a mettersi al loro livello. Il processo
di costruzione del ruolo genitoriale passa anche attraverso lesperienza
di un ritorno allio infantile che sembra essere la base del percorso di
111

identificazione con il proprio bambino; lacqua facilita questo lavoro


mentale perch il corpo viene a trovarsi in un ambiente di regressione e
quindi viene invitato ad abbandonarsi piuttosto che a dominare.
Immergersi in acqua non solo unesperienza corporea ma anche
relazionale e affettiva poich lacqua non solo un mezzo ma anche
fattore di relazione in quanto ci mette in relazione con noi stessi, con il
nostro corpo e con laltro. Lacqua ci accompagna ad un confine oltre il
quale si apre lincontro con laltro: facciamo lesperienza del lasciarci
andare affidandoci allaltro, di ascoltare e ascoltarsi fermandosi con
gli occhi a due passi dal cuore. Possiamo attribuire allacqua il signi-
ficato simbolico di grande madre per essere capace di contenere la
vita, perch ci accoglie facendoci spazio. Lacqua ci riconduce alle-
sperienza di un abbraccio viscerale ci accompagna alla riscoperta
di un movimento lento, ritmato dal nostro respiro; un ritmo che va
riscoperto, re-imparato, un ritmo che abbiamo gi ascoltato nellespe-
rienza della vita intrauterina. La nostra pelle conserva memoria del tie-
pido calore del liquido amniotico che ci avvolgeva, di suoni e rumori
ovattati; immergersi nellacqua calda significa rievocare emozioni e
sensazioni nate nel grembo materno, come per il neonato, perch ci
sentiamo contenuti, sostenuti e protetti, per questo lacqua insieme
rifugio e nutrice, conforto, culla. Immersi in essa ci sentiamo tuttu-
no con il calore rassicurante e conosciuto dellacqua.
La storia che ci porta il bambino adottivo pu includere esperienze di
traumi e perdite, di privazioni affettive in cui, spesso, nei primi mesi
di vita mancato il contenimento corporeo. Ci di cui ha innanzitutto
bisogno il neonato lessere tenuto in braccio, lessere portato. Portare
vuol dire molte cose: la capacit di accogliere di comprendere, la
capacit di essere accanto e di consolare, sentirsi accolti e contenuti,
sfiorarsi con lo sguardo stare bene insieme. Anche lacqua come
un abbraccio ci conduce dolcemente allabbandono perch ci sono
mani che accolgono, mani che sentono, mani che rassicurano. per
questo che il contatto corporeo un atto di comunicazione pieno di
significato, in quanto il linguaggio della pelle che media le emozioni
e se abbiamo tutti un forte bisogno di toccare ed essere toccati, di
protezione e consolazione lo ancor di pi per un bambino; permettere
al bambino di crescere e di staccarsi, prima di tutto permettergli di
attaccarsi e di essere piccolo.
112

6.3 Il valore dellesperienza vissuta: la narrazione dei genitori.


Allacqua possiamo anche attribuire il significato di contenitore privilegia-
to di emozioni perch ci avvicina allaltro regalandoci sensazioni comuni.
Raccontarsi chiede un tempo quieto che ha il sapore dellaver cura di s, la
narrazione uno strumento che arricchisce di senso e di nuova consapevo-
lezza tutto ci che siamo, che facciamo, che aiuta a vivere pi profondamen-
te le esperienze della propria vita, cos i genitori coinvolti nel progetto hanno
raccontato lesperienza dellacqua vissuta con i loro bambini.

Esser stata in acqua qualche giorno prima, senza di lui, sentirmi cullata
mi ha permesso di immaginare come si sta nella pancia della mamma e
come lui, forse, non ha potuto vivere serenamente tale fase della vita; cer-
to sono solo sensazioni, forse nemmeno emozioni, senzaltro non cognizio-
ni, ma Ale se le porta dentro, difficile descrivere cose che non hanno un
nome, che non hanno confini, ma tra mamma e figlio certe cose passano.
Lesperienza in acqua con Ale stata toccante, rilassante, stata une-
sperienza di vicinanza emotiva, di intimit, di serenit e di tranquillit
unesperienza correttiva che mi ha riempito di gioia; ero felice di esse-
re l con lui, di sentirmi la sua mamma e di recuperare un po dellespe-
rienza che non abbiamo potuto vivere insieme lesperienza della pan-
cia. Ci sono stati dei momenti in cui i confini tra me e Ale iniziavano a
svanire, altri momenti, in cui la mia insicurezza ha trovato sostegno dalla
presenza in acqua delloperatrice. Un grazie di cuore per questa esperien-
za che culla la mia relazione con Ale. Mamma di Alessandro (3 anni)

Ecco le nostre emozioni, i nostri dubbi, le nostre paure, ma soprattutto la


gioia che questi momenti in acqua ci hanno regalato. Da quando abbiamo
iniziato a partecipare, prima agli incontri individuali e successivamente a
quelli di gruppo, mio marito, pi introverso, pi chiuso, pi timoroso di ri-
manere solo con G., perch per molti pap i bimbi piccoli spaventano,
ha iniziato a prendersi carico di incombenze, responsabilit che prima
svolgevo io, la mamma, questo ha fatto si che il suo rapporto con G. si sia
consolidato ulteriormente. Affrontare le paure dellacqua, delle immer-
sioni, imparare le modalit per tenere e rassicurare la nostra bambina ha
rafforzato e consolidato il nostro rapporto genitoriale, ma soprattutto ha
reso, a nostro avviso, G. molto pi serena; ora ci sentiamo pi spontanei e
tranquilli, soprattutto in grado di trasmettere questa sicurezza anche alla
nostra piccola G. Mamma di G. (6 mesi )
113

stato molto suggestivo, la musica, le luci soffuse ci hanno permesso di


entrare con dolcezza in acqua. Thuy estremamente rilassata si lasciava
cullare e abbracciare. stata una bellissima coccola, unesperienza spe-
ciale, unica con mia figlia ho avuto un momento in cui avrei voluto pian-
gere non so dire il perch ma dentro di me si smuoveva qualcosa di molto
forte. Sono uscita dallacqua con dispiacere, avrei voluto avere pi tem-
po, magari per piangere ma con la sensazione di avere vissuto una cosa
molto bella e per diversi giorni mi rimasta dentro ho vissuto unespe-
rienza speciale, unica, con mia figlia. Nellesperienza in acqua con tutta
la famiglia prendi coscienza che non sei sola. Ti senti sostenuta, nel tuo
ruolo, dal marito e poi tutti insieme ci ritroviamo uniti in un bellissimo
grande abbraccio, che bella sensazione! Loperatrice che ci accompagna
in acqua un punto forza perch sa sostenere, guidare, ci facilita nella re-
lazione. Mamma di Thuy (12 mesi)

Lacqua mi ha fatto sentire come un punto di riferimento per la mia bam-


bina. Sicuramente questa esperienza stata un prezioso strumento per co-
noscersi; giocare in acqua insieme ha facilitato linstaurarsi di una mag-
giore complicit ed intesa. Nel primo incontro di gruppo liniziale timore
e soggezione di noi mamme ha lasciato il posto a sensazioni di agio e
tranquillit. Per i nostri bambini liniziale diffidenza e timore in acqua ha
fatto si che scattasse subito la ricerca fiduciosa della nostra presenza e
del nostro aiuto. stato bello poter condividere le esperienze in acqua e
osservare come venivano vissute dalle altre mamme e dagli altri bambini,
questo ci ha fatte sentire meno sole in quei primi mesi di maternit. Mam-
ma di Nadine ( 2 anni)

Il primo incontro in acqua ha suscitato emozioni di allegria, felicit pro-


fonda, una sensazione di piacere puro e divertimento, incredulit nellas-
saporate una condivisione familiare cos esclusiva di grande accoglienza
e intimit. Lesperienza in acqua con gli aspetti giocosi fatti di ritualit e
armonia ci ha fatto vivere momenti di serenit, una sensazione di calore,
libert e benessere. Una magia di coccole e abbandono totale degli sche-
mi utilizzati nel quotidiano ci ha consentito di lasciar spazio alla creativi-
t. Abbiamo potuto cos sperimentare i vissuti di ognuno di noi ricondu-
cendoli ad un ancora pi profonda presa di coscienza dellimportanza e
dellunione della nostra famiglia; A. ha iniziato ad affidarsi completamen-
te a noi, migliorata la relazione con la figura paterna, ora ha maggior
114

fiducia in se stessa. Consideriamo davvero un privilegio e unopportunit


preziosa il poter condividere un momento cos esclusivo, solo nostro e a
suo modo unico. Mamma di A. (3 anni)

Essere tutti e tre in acqua, vicini, mi sento frastornata, come in un ambien-


te ovattato e lontano dalla realt, sar il calore dellacqua, latmosfera
intima; ti guardo e ti vedo contenta, quasi euforica. Lemozione di S.
forte, come per altro la nostra: ti tieni stretta al collo di mamma e pap,
come al solito sei bella vivace e tendi a controllare tutto, cerchi di fare
come vuoi tu, non ti abbandoni volentieri alle coccole dellacqua. Piano
piano ti rilassi. Sar per lemozione di questa prima esperienza o per la
tensione di godermi appieno ogni tua reazione, so che stiamo vivendo un
momento unico: il contatto sulla pelle con mia figlia, tanto attesa e ora
qui tra le mie braccia! Lemozione di un contatto primitivo naturale privo
di ragionamenti e di razionalit ma che deve essere costruito un po alla
volta. Nella mente e negli occhi di S. ben chiaro un altro volto di madre,
quella della pancia, che non sono io ma sicuramente lacqua aiuta lin-
staurarsi di un rapporto di fiducia e di abbandono nei miei confronti, la
mamma del cuore, aiuta a sentirci tutti e tre insieme in sintonia. Giocare
insieme in acqua accelera il percorso di avvicinamento e di costruzione di
un rapporto stabile e forte, crea unione tra noi. Ringraziamo loperatrice
per la delicatezza, lincoraggiamento e la professionalit dietro la quale
si nasconde un valore aggiunto personale enorme. Genitori di S. (3 anni )

Lincontro, in istituto, avvenuto come per gioco e con il pap c stato


legame immediato, ma con me purtroppo, non stato amore a prima vista;
Jozef non si limitava soltanto a escludere il contatto fisico, ma addirittura
evitava di incrociare il mio sguardo. Tutto questo durato circa tre mesi.
E qui entrato in gioco il ruolo fondamentale dellacqua che con il suo
benefico cullare, rilassa e soprattutto favorisce il contatto fisico. Con il
gioco impostato dalloperatrice il contatto avvenuto in maniera del tutto
spontanea e si di volta in volta intensificato, fino a raggiungere lobbiet-
tivo finale che quello di portare Jozef a fidarsi completamente della sua
mamma adottiva. Ed vero infatti che ad ogni incontro in acqua la sua
richiesta di coccole aumentata in maniera esponenziale ora si sta in-
staurando un rapporto davvero speciale. Mamma di Jozef ( 6 anni)
115

6.4 Conclusioni
C una circolarit virtuosa tra il prendersi cura di s (e della propria vita
emotiva) e laver cura degli altri (e della loro vita emotiva). Forse anche
questo il senso di questo percorso esperienziale e affettivo che chiede ai
genitori di aver cura della vita emotiva. Se impariamo a restare in con-
tatto con la nostra esperienza profonda, anche corporea ed emozionale,
diventeremo progressivamente pi sensibili, pi empatici, pi capaci di
decentramento emotivo (il compito primario delleducatore secondo Win-
nicott), cio capaci di intuire lesperienza vissuta dellaltro e comprender-
la adeguatamente per sintonizzarsi su di essa e agire di conseguenza. Un
grazie a Paola Bossetti che ha creduto a questo progetto attivandosi con i
servizi sociali territoriali di competenza per sostenerne il finanziamento.
La mia riconoscenza va anche ai genitori che danno valore a questo pro-
getto e lo arricchiscono di significati.

Bibliografia
Argyle M., Il corpo ed il suo linguaggio, Zanichelli, Bologna, 1988.

Bowbly J., Una base sicura, Raffaello Cortina, Milano, 1989.

Contini M.G., Per una pedagogia delle emozioni, RCS Libri, Milano, 1997.

De Monticelli R., Lordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Mi-
lano, 2003.

Ferrucci P., I bambini ci insegnano, Mondadori, Milano, 1997.

GAMELLI I., Pedagogia del corpo, Meltemi, Milano, 2001.

Greenspan S.I., Benderly B.L., Lintelligenza del cuore. Le emozioni e lo svi-


luppo della mente, Mondadori, Milano, 1997.

Lorenzetti M.L., Il corpo gioco, Franco Angeli, Milano, 1984.

Montagu A., Il linguaggio della pelle. Il senso del tatto nello sviluppo fisico e
comportamentale del bambino, Verdechiaro Edizioni, 1971.

Prini P., Il corpo che siamo, SEI, Torino, 1991.


116

Rossi B., Leducazione di sentimenti. Prendersi cura di s, prendersi cura de-


gli altri, Unicopli, Milano, 2004.

Stern D., Le prime relazioni sociali: il bambino e la madre, Armando, Roma,


1979.

Terrile P. e Conti P., Figli che trasformano. La nascita della relazione nella
famiglia adottiva. Strumenti di lavoro psico-sociale ed educativo, F. Angeli,
2014.

Winnicott D., Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma, 1970.


Capitolo 7

Quando le parole contano: il senso


delladozione
a cura del gruppo di lavoro ANFAA
sezione di Novara e Piemonte Orientale

Nei corsi di formazione predisposti nei diversi anni sia per genitori che
per insegnanti si spesso parlato di autostima in quanto coinvolge gran-
di e piccoli in riferimento al concetto di s. A questo riguardo ci siamo
interrogati sia come genitori adottivi che insegnanti sul linguaggio usa-
to in alcuni contesti che coinvolgono sia la scuola che la societ, come
concorsi per la scuola (es. adotta un bosco) o le iniziative promosse da
Enti pubblici e privati per stimolare linteresse (e i contributi) dei cittadini
verso monumenti e simili (adotta una piazza, un vigneto, una panchina,
ecc). Il linguaggio usato in questi contesti non certamente appropria-
to e non sicuramente di aiuto rispetto allautostima di una bambino nato
in adozione.
Come associazione facciamo un lavoro ad ampio raggio con insegnanti,
educatori, famiglie, per far s che i nostri bambini stiano bene a scuola
oltre che per far loro superare le difficolt ed i vuoti dellambiente in cui
hanno vissuto prima di diventare nostri figli, nati dal cuore. Infatti, lado-
zione latto sociale e giuridico in base al quale i bambini diventano figli
a tutti gli effetti di genitori che non li hanno procreati e, parallelamente, i
genitori diventano padre e madre di un figlio non nato da loro.
Siamo entrati nella loro vita a piccoli passi perch i bambini adottati,
anche quando hanno una piccola storia alle spalle, avvertono lambiente
che sta loro intorno con una grande profondit in quanto avendo vissuto
il trauma dellallontanamento da una situazione particolarmente difficile
non hanno sperimentato il senso di fiducia.
Occorre, infatti, tenere presente che luso di questo o quel vocabolo
pu avere ripercussioni anche devastanti sulla vita delle persone coinvolte.
118

Inoltre, com noto, le parole hanno tutte un significato con profondi ri-
flessi sul piano sociale e istituzionale.
Ecco le proposte, che i lettori sono invitati ad arricchire nei settori di
loro interesse.

7.1 I bambini non si tolgono.


I bambini adottati (ma lo stesso si potrebbe dire per quelli affidati) non
sono stati tolti ai loro genitori dai giudici minorili o dagli assistenti sociali:
essi, invece, con i loro provvedimenti, li hanno sottratti ad una vita di pri-
vazioni che spesso li hanno segnati anche duramente.
Non usiamo pi questo verbo quando si parla di bambini allontanati dal
loro nucleo familiare: un dovere delle istituzioni tutelarli e proteggerli.

7.2 Bambini abbandonati.


La donna che decide, per motivi anche drammatici, di non diventare la
madre del piccolo che ha partorito non riconoscendolo come figlio, com-
pie una scelta responsabile che merita il rispetto di tutti: quel piccolo non
abbandonato bens consegnato alle istituzioni perch venga inserito al pi
presto a una famiglia.
Un bambino che nasce in adozione ha subito un distacco le cui ca-
ratteristiche variano da caso a caso. un bambino che deve affrontare un
grosso cambiamento come la rottura dei legami affettivi precedenti, inol-
tre si deve adattare ad una realt nuova rappresentata dai nuovi genitori.
Ladozione dei minori in situazione di privazione di assistenza da par-
te dei genitori dorigine va, pertanto, considerata una seconda nascita che
non annulla la prima, ma che non conserva con essa alcun legame giuridi-
co. Non si pu e non si deve pensare di cancellare i ricordi relativi alla
storia personale del bambino; occorre invece, aiutare questi bambini, so-
prattutto se adottati grandicelli, a rimarginare le ferite subite. In quasi
tutti i casi i genitori adottivi devono fare i conti con bambini e ragazzi che
hanno bisogno di rassicurazione, valorizzazione e conferme. (dal Con-
vegno europeo "Per unetica delladozione e dellaffidamento" promosso
dalla Confdration Europeenne Enfance, Adoption, Accueil Coordina-
mento europeo di associazioni di famiglie adottive e affidatarie tenu-
tosi a Toledo nellottobre 2002 e dal Convegno nazionale "Per unetica
119

delladozione dalla parte dei bambini" organizzato dallANFAA e altri in


collaborazione con lIstituto degli Innocenti, tenutosi a Firenze nel marzo
2003)

7.3 I figli adottati sono figli veri.


Il rapporto che unisce figli e genitori adottivi fondato sulla conoscenza
reciproca, su legami affettivi costruiti giorno dopo giorno, in modo non
sempre facile e lineare, ma forte ed autentico. Siamo diventati i loro geni-
tori veri conquistandoci giorno dopo giorno un posto nel loro cuore. Sia-
mo i loro genitori, senza nulla togliere a quelli che hanno dato loro la vita
e non sono riusciti a fare loro da madre e padre.
quindi ora di smettere di usare il termine veri riferito ai genitori do-
rigine. Non dimentichiamo che ladozione di un bambino richiede sempre
preparazione e consapevolezza da parte dei genitori: le complesse dinamiche
interpersonali che si attivano e si mettono in gioco chiedono ai genitori adot-
tivi di attivare risorse rilevanti sia sul piano personale sia sul piano di coppia.
Sarebbe meglio lavorare tutti per essere considerati genitori e figli, senza
aggettivi. I bambini e i ragazzi in adozione sono figli, punto e basta. Aggiun-
gere la parola ADOTTATI dice gi qualcosa che non necessario dire.

7.4 Le parole per dirlo.


In campo sociale e, nel particolare, in ambito scolastico, ladozione va
considerata un valore Una riflessione sui principi etici delladozione pre-
suppone un approfondimento sul reale significato della genitorialit e della
filiazione, sul valore fondante dei legami affettivi, reciprocamente forma-
tivi, che si creano tra genitori e figli, rispetto alla trasmissione di dati bio-
logici. (cit. tratta dai Convegni sopraindicati).
Il figlio va informato subito della sua situazione di nato in adozione (di
figlio del cuore).
Ladozione una verit narrabile non una rivelazione, lorigine
adottiva scoperta per caso dal figlio pu essere causa di gravi traumi. Que-
sto per non deve essere confuso con il diritto allaccesso da parte della-
dottato allidentit dei genitori biologici.
Sono ormai molti i convegni, i libri, i testi, le proposte per parla-
re a scuola e in famiglia di accoglienza e di adozione, nel particolare
120

segnaliamo questo link:


http://www.anfaa.it/famiglia-come-diritto/adozione/adozione-e-scuola/
Nel sito della nostra sezione importante lo SpaziO Scuola:
http://www.anfaa.it/Novara/2014/01/29/sos-scuola/
e consigliamo anche il settore dei media: http://www.anfaa.it/Novara/
media-2/

7.5 Sostegno a distanza.


scorretto utilizzare la denominazione adozione a distanza per indicare
iniziative dirette a supportare progetti nei confronti di bambini e dei loro
familiari nei Paesi del sud del mondo.
Ladozione l'atto sociale e giuridico in base al quale i bambini di-
ventano figli a tutti gli effetti di genitori che non li hanno procreati e, pa-
rallelamente, i genitori diventano padre e madre di un figlio non nato da
loro. Pertanto utilizzare la denominazione adozione a distanza in questo
contesto comporta connotazioni riduttive per l'adozione. Analoghe consi-
derazioni negative valgono le varie "adozioni" fasulle propagandate con-
tinuamente da giornali e media (adotta un nonno, un delfino, un cane, una
strada, un monumento).
Proprio perch lesperienza delladozione alla fine quella di una fa-
miglia sociale, aperta agli altri e alle diversit, il nostro impegno continua
ad essere quello di farne conoscere e apprezzare il valore, anche lavorando
affinch i protagonisti di queste storie siano felici.

LANFAA unassociazione di volontariato formata da famiglie adottive e affi-


datarie e figli adottivi e affidati.
Scopo: dare una famiglia, moralmente e materialmente uguale a quella
naturale, ai bambini che ne sono privi, attraverso varie attivit: promozione,
studio giuridico ed istituzionale per il miglioramento delle leggi vigenti, verifica
dellapplicazione delle leggi da parte degli organi preposti, formazione, ecc.
Tutela i minori, affinch vivano nella propria famiglia con interventi di sostegno
forniti dai servizi pubblici e, quando non possibile, malgrado i supporti socio-
economici, in una famiglia affidataria o adottiva, secondo le situazioni.
Attivit: informazione/formazione e sostegno per coppie e famiglie sia in
relazione alladozione che allaffido, laboratori, corsi per insegnanti, il tutto con
la consulenza e la partecipazione psicopedagogica di esperte che collaborano
nei diversi settori dellattivit: alcune di loro hanno anche esperienza diretta di
adozione o di affidamento familiare.
PARTE SECONDA
Capitolo 8

Riconoscersi nell'incontro:
dalle ferite traumatiche a nuovi equilibrismi

Alessia Pecoraro, Claudia Rampi

8.1 Stili di attaccamento nei bambini adottivi.


Linteresse per il legame di attaccamento si sviluppato a partire dagli
anni 50, quando Bowlby si occupato dello studio dello sviluppo affetti-
vo e relazionale di bambini rimasti orfani ed affidati ad istituzioni. Queste
osservazioni hanno consentito di riconoscere che il bisogno di relazione
un bisogno umano primario. Una necessit che guida il processo di strut-
turazione di un senso di s coeso e stabile nel tempo. Lo specifico tipo di
legame che si instaura con chi si prende cura del bambino viene chiamato
legame di attaccamento e determinale modalit attraverso le quali il bam-
bino si relazioner col mondo che lo circonda e le sue future capacit di
adattamento. Il neonato nasce con un bisogno innato di protezione e ac-
cudimento, da cui deriva la sua stessa sopravvivenza. Stimolerebbe lac-
cudimento da parte dei genitori attraverso il pianto e la richiesta di aiuto.
Una mamma sensibile e responsiva dovrebbe essere in grado di rispon-
dere in modo adeguato alle richieste di aiuto del piccolo, attraverso gli
abbracci, le coccole, le rassicurazioni. Cos facendo accresce nel bambino
la sicurezza e la fiducia in se stesso e nel mondo. Competenze genitoriali
adeguate consistono dunque nella capacit di sostenere, stimolare, inco-
raggiare, rassicurare il bambino, ogni qualvolta lui dimostra di averne bi-
sogno. Non sintonizzarsi sui bisogni del bambino costituisce una difficolt
allinterno del legame, imponendo ad esempio il proprio aiuto quando il
bambino non lo richiede, non rispondendo alle sue richieste dincoraggia-
mento o di sostegno, essendo imprevedibili o eccessivamente distaccati
nei suoi confronti. Si generano cos vissuti di insicurezza allinterno della
relazione. Come sostiene Grazia Attili la capacit di esplorare lambiente
fisico e sociale, di adattarsi al meglio e di instaurare relazioni positive con
124

gli altri funzione dellavere esperito, fin dalla nascita, una figura di at-
taccamento disponibile ad accorrere con prontezza in caso di malessere
fisico o emotivo (Attili, 2010). Il bambino, nel corso della sua vita, ela-
borer aspettative e previsioni su come ladulto reagir nei suoi confronti,
e queste si tradurranno in rappresentazioni mentali (Modelli Operativi
Interni) sulle quali lui costruir le sue credenze e i suoi comportamenti, e
in schemi attraverso cui egli tender a interpretare la realt. Nelle storie di
adozione queste caratteristiche ottimali di accudimento si possono avere
quando i bambini, poco dopo la nascita, giungono nella famiglia adottiva.
In questi casi ladulto base sicura rapidamente accessibile per il bambi-
no, sia fisicamente che emotivamente. Se ladozione avviene oltre lan-
no di et del bambino, le esperienze relazionali avute con gli adulti che
si sono presi cura di lui fino a quel momento hanno gi contribuito alla
formazione di un certo tipo di stile di attaccamento. Le osservazioni nel-
la Strange Situation di Mary Ainsworth negli anni 60 hanno permesso di
identificare differenti tipologie di stile di attaccamento.
Il bambino con attaccamento sicuro certo della possibilit di avere
accanto, in caso di bisogno, una persona in grado di sostenerlo e aiutarlo,
crescer con la certezza di essere degno di essere amato e sar in grado di
esplorare lambiente circostante, di costruire relazioni sane, di comuni-
care le sue emozioni in modo adeguato, e di raggiungere un buon livello
di autostima. Il bambino con attaccamento insicuro-evitante non piange
al momento della separazione e tende ad evitare la figura di attaccamen-
to al momento del ricongiungimento. Questi bambini adottano la strate-
gia di economizzare al massimo lattivit del sistema di attaccamento e di
esprimere poco i propri bisogni per evitare risposte negative o inefficaci
da parte della figura di accudimento. Questo pattern, secondo Ainsworth,
spesso presente allinterno di relazioni ove la figura di accudimento con-
trassegnata da intrusivit, rifiuto e svalutazione delle richieste di accudi-
mento. Quando i bisogni del bambino vengono sistematicamente ignorati,
come pu capitare in contesti di protratta istituzionalizzazione, e gli ven-
gono fatte richieste precoci, anche implicite, di autonomia, il bambino cre-
scer con la sensazione di non essere degno di amore e di dovercela fare
da solo. Le emozioni verranno allontanate e non riconosciute. Saranno
bambini che tenderanno a isolarsi o a essere eccessivamente aggressivi, ad
avere poche amicizie o tante ma superficiali. Il bambino con attaccamento
insicuro ambivalente protesta in modo inconsolabile alla separazione e al
ricongiungimento langoscia non cessa. Inibito nel gioco, il bambino tende
125

ad alternare rabbia ed accondiscendenza verso una figura di attaccamento


percepita come imprevedibile. Secondo Bowlby il comportamento dat-
taccamento in questi soggetti abnormemente attivo. Il comportamento
delladulto potrebbe essere imprevedibile e incostante, egli talvolta accu-
disce e risponde ai bisogni del bambino e altre volte ignora le sue richie-
ste, oppure ipercontrollante e intrusivo. Il bambino in questo caso tender
a enfatizzare ed esagerare la manifestazione delle emozioni di paura, an-
sia rabbia, ad avere bisogno costantemente dellattenzione di un adulto
dal quale non riesce a separarsi, o essere eccessivamente compiacente. Si
tratta di bambini e adulti che tenderanno ad aver bisogno di mantenere il
controllo nella relazione per la paura che laltro scompaia o si allontani.
Alla Strange Situation si osservato il comportamento anomalo di al-
cuni bambini, caratterizzato da una serie di agiti incoerenti e paradossali,
(freezing, stereotipie, rigidit, vigilanza, iperallerta) apparentemente afina-
listici. Questo ha portato alla definizione di una nuova situazione relazio-
nale in cui si assisteva alla disorganizzazione dellAttaccamento (Main,
Solomon, 1990). Quando la figura di accudimento viene percepita come
pericolosa o minacciosa, il bambino sviluppa un atteggiamento ostile e in-
congruente nei confronti del mondo esterno, non si fida di nessuno, pu
essere contradditorio e incostante nei suoi comportamenti. Lattaccamento
diviene disorganizzato. il caso per esempio di tanti bambini gravemente
maltrattati o abusati che possono essere allontanati dalla famiglia dorigi-
ne e poi adottati. Secondo Liotti si pu ipotizzare che lesperienza di es-
sere accudito da un genitore spaventato/spaventante si riflette in una ten-
denza a costruire rappresentazioni di S-con-laltro nellattaccamento che
sono molteplici e rispettivamente incompatibili, mutando continuamente
fra polarit rappresentative drammatiche del salvatore, del persecuto-
re e della vittima.
Sviluppare un attaccamento sicuro si configura come un importante fat-
tore di protezione nel corso della crescita. Fonagy ci ricorda che nellat-
taccamento sicuro il bambino diviene capace di regolare i suoi stati interni
dolorosi. Se nella relazione bambino caregiver lo stato affettivo del bam-
bino viene rispecchiato adeguatamente lintensit della sofferenza diminu-
isce grazie proprio allintervento delladulto. Il bambino sicuro si sente si-
curo pensando allo stato mentale del caregiver. La capacit di mentalizzare
affonda le sue radici proprio in questa funzione riflessiva che consente ai
bambini di concepire le credenze altrui, sensazioni, atteggiamenti, deside-
ri, speranze, conoscenze, immaginazione, pretese, piani (Fonagy, 2001).
126

La cornice di riferimento della teoria dellattaccamento ci aiuta a capire


come i bambini adottati, soprattutto se arrivati alladozione gi grandicelli,
hanno spesso sperimentato figure di accudimento inadeguate, maltrattan-
ti, cambiamenti fra i vari caregivers, abbandono, talvolta abusi e possono
facilmente presentare modalit di attaccamento insicure o disorganizzate.
Tutto ci pu mettere in difficolt i genitori, che possono sentirsi inade-
guati e incapaci di rispondere in modo appropriato alle provocazioni o al
comportamento dei figli.
I comportamenti che i bambini adottati possono presentare sono vari.
Molti esprimono una autosufficienza esagerata perch hanno dovuto im-
parare a farcela da soli, e una volta giunti nel nuovo contesto adottivo de-
vono imparare a fidarsi dei genitori. Invischiati nellinsicurezza, con una
profonda mancanza di autostima. Altri cercano di contenere autonoma-
mente i propri vissuti emotivi, perch quando erano piccoli si cullavano da
soli, non piangevano, non si lamentavano. Possono essere eccessivamen-
te dipendenti dalladulto, oppure non riuscire a differenziare il comporta-
mento con i genitori adottivi e gli estranei. Se le ferite dellattaccamento
sono riconducibili a possibili traumi, abusi o maltrattamenti, ci pu essere
una grande diffidenza e ostilit che permane anche nel tempo, o atteggia-
menti eccessivamente aggressivi.

8.2 Costruzioni disfunzionali del legame bambino caregiver, i disturbi


dellattaccamento nel bambino adottivo.
Gli studi iniziati da Bowlby sulla deprivazione di cure materne e labbando-
no continuano tuttora, ponendo un grande rilievo anche sugli effetti sullo
sviluppo cognitivo e neurologico. Quando il neonato non pu contare sulle
risposte attente della madre e un ambiente prevedibile, come pu accadere
degli istituti, lo sviluppo pu subire un arresto. Se i bisogni fisici o affettivi
del bambino vengono ignorati o rifiutati, il bambino devier la sua energia
dallo sviluppo e dal gioco verso la propria protezione, la propria sopravvi-
venza o il semplice soddisfacimento dei propri bisogni (Rygaard, 1998),
far fatica a adattarsi ai cambiamenti ambientali e reagir in maniera aggres-
siva di fronte a ci che percepisce come una minaccia. I neonati che si tro-
vano a vivere per lunghi periodi in istituzioni vanno incontro ad un vissuto
di profonda instabilit. Possono non essere adeguate le cure e la vicinanza
fisica indispensabili per il corretto sviluppo del sistema nervoso centrale,
cos come la stimolazione sensoriale precoce, indispensabile per lo sviluppo
127

motorio. Le ricerche ci dicono che se il neonato non sufficientemente sti-


molato i ritmi di base corporali sono instabili, causano ipo o iperattivit, di-
sordini nellalimentazione e fatica nel stabilizzare gli stati emotivi. Si pu
assistere a delle distorsioni nel legame di attaccamento, con comportamenti
paradossali e rifiuto del contatto oculare. Il bambino pu alternare repentini
cambiamenti di atteggiamento, cercare la vicinanza delladulto e pio subi-
to dopo fuggire, oppure vivere profonde crisi di collera. Ci avviene perch
vive un conflitto interno tra bisogno di cure e paura del rifiuto e della sepa-
razione (Strepparava, Iacchia, 2012). Per questi bambini le separazioni sono
vissute con grande disagio, come abbandoni o rifiuti. Assumono un atteggia-
mento pauroso e ritirato per evitare la separazione o colpevolizzano ladulto
ogni volta che dirige la propria attenzione ad altri. Alcuni bambini sembrano
adattarsi con estrema facilit alle diverse situazioni, e alla nuova famiglia
adottiva. Adattarsi per significa chiudersi del tutto, creando un falso s
(Newton Verrier, 2007). In questi casi lesperienza dellabbandono ha la-
sciato in loro la convinzione di dover essere bambini bravi, buoni, per non
essere nuovamente abbandonati. Costantemente in cerca di approvazione,
accondiscendenti, incapaci di mostrare le loro emozioni. In altri casi il timo-
re dellabbandono spinge a chiudersi ed isolarsi, facendo di tutto per essere
allontanati, anche se il desiderio proprio lopposto. I bambini che sono sta-
ti esposti ad abbandono e abusi e che arrivano alladozione gi grandi, come
abbiamo visto sopra, mostrano spesso un attaccamento disorganizzato asso-
ciato a problemi affettivi e relazionali.
Per tutte queste ragioni i bambini adottati possono sviluppare disturbi
dellAttaccamento. Nel DSM-5 si parla di due disturbi distinti: Disturbo Re-
attivo dellAttaccamento e Disturbo da Disinibizione nellIngaggio Sociale.
Entrambi sono il risultato di abbandono sociale o altre situazioni che limita-
no la possibilit di un bambino di formare dei legami selettivi. Nella storia
del bambino adottato questi elementi possono essere presenti. In alcuni casi
il piccolo incapace di dare inizio a interazioni sociali efficaci o di rispon-
dere in modo adeguato al livello di sviluppo. Con risposte inibite, iper vigili,
altamente ambivalenti e contraddittorie. Il bambino pu rispondere a co-
loro che se ne prendono cura con un misto di avvicinamento, evitamento e
resistenza alle tenerezze, o pu mostrare unattenzione pi fredda (Crismi,
2004). Nella disinibizione dellingaggio sociale, bambini che provengono
da una lunga deprivazione in istituti, possono manifestare legami diffusi che
si caratterizzano per una socievolezza indiscriminata e una notevole incapa-
cit di mostrare attaccamenti adeguatamente selettivi.
128

8.3 Itinerari di sviluppo traumatici: la disorganizzazione del legame di


Attaccamento
I bambini che vengono adottati spesso provengono da storie molto dif-
ficili, caratterizzate da traumi, abusi, maltrattamento o isolamento. Sono
bambini che hanno avuto uno sviluppo traumatico (Liotti, Farina, 2011).
In alcuni casi questi bambini hanno un Disturbo Post Traumatico da Stress
(PTSD), ma pi spesso il loro disagio non riconducibile al PTSD vero e
proprio, in queste situazioni si preferisce parlare di Disturbo Post Trauma-
tico da Stress Complesso. Quando parliamo di bambini occorre chiedersi
cosa sia definibile come evento traumatico psicologicamente. Attualmente
sappiamo che un evento traumatico pu generare alterazioni del funzio-
namento psicologico e neurobiologico nel bambino, subito dopo levento,
sia nel corso di tutta la vita. Lesposizione a traumi precoci quali maltrat-
tamenti, violenza intra familiare, perdita di un genitore portano facilmente
alla comparsa di disturbi da internalizzazione (depressione, ansia) e di-
sturbi da esternalizzazione (disturbi del comportamento, iperattivit) nei
bambini. Van der Kolk (2005) ha evidenziato come la diagnosi di PTSD,
nei bambini, sia possibile a fronte di una storia di accudimento sufficiente-
mente adeguata a seguito di singoli episodi traumatici. Nei bambini in cui
si assiste a traumi ripetuti, relazionali ed ambientali, che mancano di un at-
taccamento sicuro, lintero sviluppo neurologico, fisiologico, cognitivo,
a risultare danneggiato. Sarebbe pi opportuno parlare quindi di Disturbo
Traumatico dello Sviluppo o come preferisce Schore di trauma relazionale
precoce (2010).
Usando come modello teorico di riferimento i sistemi motivazionali
(Liotti, 1994) possiamo definire traumatico tutto ci che nega i valori evo-
luzionistici in modo durevole e incontrollabile. Normalmente un trauma
psicologico attiva il sistema di difesa. Dopo lesposizione al trauma, il si-
stema di difesa viene inibito dal sistema dellattaccamento. Ma se il sistema
dellattaccamento non opera in modo adeguato, perch insicuro o disorga-
nizzato, questo passaggio mentale non possibile. Il sistema dellattacca-
mento, come abbiamo visto sopra, ci fa cercare la vicinanza protettiva di
qualcuno a fronte di un pericolo. Di fronte ad un pericolo possiamo anche
agire allinterno del sistema di difesa, attaccando o fuggendo. In situazioni
normali questi sistemi funzionano in sinergia. Purtroppo quando il legame
tra bambino e caregiver disorganizzato, la situazione si complica, i due
sistemi entrano in conflitto, creando una paura senza sbocco. Nellattac-
camento disorganizzato il modello operativo interno rappresenta la figura
129

di attaccamento contemporaneamente vulnerabile/minacciosa/protettiva,


costituisce per il bambino sia la fonte della paura sia il mezzo per fron-
teggiarla. Il bambino si rappresenta contemporaneamente come salvatore/
persecutore/vittima della figura di attaccamento e nello stesso tempo sal-
vato da essa. il triangolo drammatico dellattaccamento disorganizzato
(Liotti 1994). La mente del bambino non riesce a gestire questa situazione
e si assiste ad una frammentazione delle rappresentazioni di s con laltro.
I bambini nei primi anni di vita reagiscono a questa situazione, mettendo
in atto due possibili strategie: la strategia controllante-punitiva, in cui il
sistema agonistico si attiva al posto di quello dellattaccamento (nei mo-
menti di sofferenza, di bisogno, lindividuo aggredisce), oppure la strate-
gia controllante accudente, che genera forme di accudimento invertito in
cui il piccolo si prende cura delladulto (Liotti, Farina 2010). Esperienze
protratte di questo genere portano a vissuti di impotenza, senso di vuoto,
sentimenti di colpa, vergogna. Sono bambini che fanno molta fatica a fi-
darsi degli altri. Interagiscono con il mondo con ostilit e rabbia. In alcuni
casi le memorie traumatiche possono restare dissociate a lungo nella men-
te e ritornare con forza in modo del tutto inaspettato. Possono comparire
fenomeni dissociativi; senso di alienazione, irrealt, distacco dalla realt.
Difficolt nella regolazione delle emozioni (Liotti, Farina 2010).
I genitori adottivi devono essere consapevoli che i comportamenti del
bambino sono le uniche risposte sensate che lui ha saputo trovare per so-
pravvivere. Si troveranno di frequente di fronte a risposte primitive di at-
tacco, fuga, congelamento. I bambini adottivi che sono passati attraver-
so esperienze traumatiche tendono ad essere iposensibili/iperesponsivi o
alla ricerca di stimolazioni sensoriali. I genitori adottivi possono aiutare
il bambino a regolare i suoi stati disregolati. Monitorando le sue risposte
corporee e colmando il deficit metacognitivo causato dalle sue relazioni
precoci. I genitori si troveranno ad interagire con un bambino fortemente
influenzato nei sui comportamenti dai precedenti attaccamenti, ma potran-
no anche divenire loccasione per nuove esperienze relazionali, che con-
sentano di superare le ferite del passato.

8.4 Il dirottamento nel corpo nei traumi con la T gigante


Nella letteratura si distinguono i t piccoli, situazioni stressanti sequenziali
con possibile effetto cumulativo, dai T grandi, eventi traumatici con durata
limitata nel tempo caratterizzati dallimprevisto e dallintensit. Nei primi
130

le ferite riguardano lintegrit emotiva, il concetto di s e le aspettative sul


funzionamento del mondo, nei secondi leso il senso di sicurezza fisica
oppure in pericolo la sopravvivenza di s o di altri.
Con T giganti ci si vuole qui riferire ai traumi avvenuti nella primissi-
ma infanzia: il termine gigante ben richiama ed evoca come gli occhi di
un bambino guardano le situazioni che gi gli adulti percepiscono come
grandi. Gigante di per s qualcosa di spaventoso, perch veramente
troppo: proporzionalmente enormi sono il peso e linfluenza che i traumi
vissuti nel periodo infantile hanno e avranno nella vita di chi ne stato
coinvolto.
Non tutti gli eventi oggettivamente spaventosi producono unesperien-
za traumatica, il trauma risiede nel corpo e non nellevento (Levine, 2014).
Lesito traumatico sembra determinato dallattivazione, prodotta da une-
sperienza, che la mente non in grado di regolare e dalla perdita di speran-
za di ricevere protezione. Tra le aggravanti che rendono il trauma gigante
c, quindi, il fatto che il soggetto non viene assistito; il trauma non trova
un ambiente capace di accoglierlo, di contenerlo e di riconoscerlo (Borgo-
gno, 2007) e ne possono conseguire effetti gravi, soprattutto quando chi
lo subisce nel pieno sviluppo della personalit, andando a minare tutte
quelle capacit di autoregolazione psicobiologica, di adattamento allam-
biente interpersonale, di costruzione dellimmagine di s [...] nella regola-
zione delle emozioni (Farina, Liotti, 2011).
Nel periodo successivo ad un trauma si pu sviluppare una sintomato-
logia che a volte risulta transitoria, mentre in altri casi pervade la vita an-
che a distanza di molto tempo. La disregolazione degli stati emozionali e
di arousal uno dei segni distintivi di avvenuta traumatizzazione. Taglia-
vini (2011) definisce larousal come la possibilit e la modalit dellor-
ganismo di essere reattivo rispetto a stimoli di varia natura, modificando
parametri [...] come la frequenza cardiaca, il ritmo respiratorio, la vaso-
dilatazione e la vasocostrizione, la motilit intestinale, ecc. Larousal,
ovvero una condizione di attivazione del sistema nervoso, disregolato pu
guidare lelaborazione di una persona traumatizzata anche molti anni dopo
levento traumatico, intensificando le emozioni, producendo vortici di
pensieri e interpretando erroneamente i segnali provenienti dallambiente
come se fossero quelli del trauma passato. La situazione nella quale la fi-
siologia disregolata prende il sopravvento, a scapito delle funzioni cogni-
tive che non riescono a regolare efficacemente larousal, definita dirot-
tamento bottom up. possibile modulare gli stati di arousal dedicando
131

loro una specifica attenzione, attraverso approcci terapeutici specifici cen-


trati sul corpo, quali il Somatic Experiencing (P. Levine) o la Sensorimotor
Therapy (P. Ogden).
Una delle grandi sfide che comporta il lavoro sulle ferite inflitte dai T
giganti il coinvolgimento delle memorie implicite inconsce. Nella riatti-
vazione della memoria implicita di un aspetto non elaborato del trauma, la
mente distingue lo spazio del tempo presente dallo spazio temporale in cui
avvenne il trauma. Purtroppo, per, come se il corpo non differenziasse i
due contesti temporali e ritornasse immediatamente nellesperienza come
se stesse accadendo nel presente. Lelaborazione diventa cos veloce da
rendere impossibile per il bambino distinguere con chiarezza e lucidit il
passato, il presente e il futuro e, di conseguenza, si pu trovare a fare o a
dire cose che assolutamente non vorrebbe n fare n dire.
Il bambino, durante il dirottamento bottom up, pur comprendendo
cognitivamente che il genitore l con lui, pu comunque continuare a
sentirsi nel corpo profondamente isolato. Il mantenimento di uno spazio
psicofisiologico interno di apertura e di fiducia pu essere facilitato da
un buon supporto relazionale. Il bambino deve sapere che il caregiver
l con lui, che questa volta non sar da solo. Deve sapere che il genitore
disponibile ad accompagnarlo in qualsiasi esperienza difficile da affronta-
re, rendendola pi gestibile e che adesso sar diverso. A questo fine ne-
cessario utilizzare un linguaggio esplicito, anche quando i contenuti della
comunicazione appaiono gi ovvi. Per il genitore pu essere scontata la
propria presenza, ma il dire pi e pi volte Io sono qui con te, pu per-
mettere al bambino di uscire lentamente dallisolamento. Il tono di voce
deve essere melodioso e la velocit delleloquio deve essere notevolmen-
te rallentata: i tempi del corpo sono pi lunghi di quelli delle parole e, tra
laltro, parlare troppo velocemente farebbe arrivare al bambino il messag-
gio che anche per il genitore faticoso sostenere quel disagio.
A volte il bambino pu dirci che non ne vuole nemmeno parlare, espri-
mendoci la sua difficolt ad entrare in quella esperienza cos dolorosa.
essenziale accompagnare il bambino attraverso il tempo facilitando lac-
cesso alle memorie esplicite e un mezzo pu essere quello di aiutare il
bambino a riconnettersi con le sensazioni (ad esempio lolfatto, ludito,
ecc.) in modo che il materiale mnesico possa emergere nella memoria
esplicita, attraverso tempi molto rallentati e a piccole dosi, per evitare la
difesa e la chiusura totale. Si pu proporgli con molta gentilezza e delica-
tezza di entrarci solo un pochino, mantenendo un grande ponte solido sul
132

presente che pu essere anche una risorsa fisica alla quale ancorarsi per
non essere trascinato totalmente via, offrendo una doppia focalizzazione,
un piede nel passato e uno nel presente. Tra laltro, proprio F. Shapiro uti-
lizza questa espressione nel descrivere lEMDR (Eye Movement Desensi-
tization and Reprocessing), un approccio metodologico per il trattamento
di disagio emotivo e stress legati a eventi traumatici, riconosciuto come
uno tra i pi evidence based.
Arrivare insieme a queste consapevolezze equivale a legittimare il bam-
bino nelle sue emozioni e sensazioni fisiche cos difficili, a normalizzare
il fatto che queste siano ancora presenti in lui anche se ora la situazione
molto diversa, a dargli il tempo di comprendere profondamente quanto
accaduto nella sua esperienza e dare a questo pezzo della sua vita la giusta
collocazione. Solo dopo aver fatto questo il bambino sar veramente libe-
ramente di vivere appieno la sua vita attuale senza avvertire catene che lo
riportano periodicamente nel passato.
La capacit di pensare se stessi e gli altri come dotati di una mente,
la nuova possibilit di sintonizzazione emotiva del caregiver con gli stati
emotivi del bambino potr favorire e supportare la capacit di mentalizza-
zione che potr finalmente consentire di leggere e regolare quelle difficili
emozioni. Dopo averlo rassicurato molte volte, e solo quando il corpo ha
dato dei segnali di rilassamento e di apertura, possibile chiedergli anche
Cosa accade nel tuo corpo adesso in una situazione in cui non sei pi
solo?, per dargli la possibilit di esperire sensazioni nuove e piacevoli, di
collegare quelle sensazioni a uno stato e contesto relazionale favorevole.

8.5 Resilienza nelle relazioni tra sistemi sregolati


La paura influenza tutti gli aspetti della nostra vita, anche il modo in cui
respiriamo. La paura della perdita, della punizione, delle critiche e del
giudizio, del rifiuto, della solitudine e dellabbandono, la paura legata alla
sopravvivenza, la paura di esporsi e dellumiliazione ..[...]. arriviamo a co-
noscere la nostra paura attraverso le sensazioni che proviamo nel corpo e
sentendo come ci determina i nostri pensieri e le nostre azioni (Krishna-
nanda, 2009). Potrebbe essere utile ricordarsi tutte le cose pi terribili ac-
cadute nella vita e che ognuno sopravvissuto a qualcosa, ma la pi grande
sfida riprendersi la vita. E difficile aiutare qualcuno a riprendersi la vita
usando solo le parole; la rinascita invece possibile quando lesperienza
correttiva coinvolge consapevolmente anche la fisiologia e le emozioni.
133

Per una persona con ripetuti traumi durante linfanzia, la guarigione


sar pi difficile e la ricerca ci mostra che quando una persona stata umi-
liata pi volte gli effetti di queste esperienze sono gli stessi di una grande
paura. La fisiologia ha una risposta molto simile rispetto alla vergogna o
alla paura (Levine, 2014); nella chiusura completa dorsale vagale, il con-
seguente collasso del corpo mette in evidenza in ogni singola sua parte la
presenza di una minaccia percepita.
La prima strategia una risposta vagale ventrale, un coinvolgimento
sociale, cercare una persona che ci fa sentire al sicuro . Ad esempio, un
bambino che si fa male e ha lesperienza di un caregiver che lo accudisce
e lo calma, da adulto, quando si far male, sapr come prendersi cura di
s ed auto calmarsi, perch ha appreso che quel comportamento regola il
sistema. Quando ad esempio si risponde con un si, per o con un si,
ma non si sta corrispondendo al sistema di coinvolgimento sociale altrui
e questo potrebbe far sprofondare il bambino nuovamente nella disrego-
lazione. Se si attiva il sistema nervoso simpatico con le risposte di lotta e
fuga, le stesse potrebbero essere immediatamente inibite dal freno para-
simpatico; osservando la filogenesi, la risposta vagale dorsale, utile per la
sopravvivenza legata allimmobilit funzionale per le prede, porta lessere
umano allisolamento.
Nella situazione post traumatica gli ostacoli principali allelaborazione
delle informazioni sono larousal e la dissociazione. Possiamo immagina-
re una finestra di tolleranza (Siegel, 1999) allinterno della quale collo-
cabile una zona di di agio per la persona, un arousal che oscilla in modo
naturale e che consente il coinvolgimento sociale e linterazione sicura
con lambiente esterno. Sopra al limite superiore la persona non in grado
di contenere lattivazione: la zona in cui si attivano le risposte di lotta
o fuga , mentre al di sotto del limite inferiore della finestra di tolleranza,
la persona avvertir apatia e si pu entrare nellimmobilizzazione. Ripren-
dendo il contributo di Pat Ogden si sottolinea limportanza di bilanciare
elaborazione e contenimento, mantenendo lattivazione emotiva e fisiolo-
gica ai margini della finestra di tolleranza al fine di sperimentare la pos-
sibilit di regolare larousal senza che si riattualizzi il trauma nella rela-
zione. Vi un accordo generale nella letteratura sul tema, al di l della
specificit dei singoli contributi, nel delineare modelli di trattamento pen-
sati in modo da incrementare la mentalizzazione e favorire lintegrazione
fra mente e corpo che il trauma sembra aver compromesso.
134

P. Ogden, 2010

Nelle situazioni post T gigante capitano spesso eventi dissociativi. Il care-


giver pu capire che il bambino sta andando nel mondo della dissociazio-
ne, ad esempio quando inizia a parlare in un modo che non pare avere un
verso senso, se lascia molte pause, se inizia una frase e la lascia a met, se
si sente congelato quasi da non potersi muovere, se dice che sente molto
freddo, se ha dei giramenti di testa, se ha espressione di vaghezza negli oc-
chi, se ha peggioramento dell udito. Addirittura potrebbe perdere la voce,
sentire paura ma non riuscire ad esprimere cosa prova con la voce. Questi
sono tutti segnali che indicano che il bambino sta facendo i conti con sti-
moli eccessivi esterni percepiti come minacciosi o con una esperienza in-
terna sopraffacente.
Anche se la dissociazione sembra uno stato apparentemente calmo, in
realt il bambino molto attivato. Pu essere utile ridurre la quantit di
stimoli, interagire con modi pi lenti e dare molto supporto. sempre utile
introdurre alcuni elementi di curiosit e di esplorazione al fine di far di-
ventare il bambino pi consapevole. A volte pu accadere anche al care-
giver di sentire che si sta dissociando come reazione a quello che sta capi-
tando al bambino: pur non essendo utile, difficile contrastarlo perch
una normale reazione. molto importante imparare delle pratiche di auto-
regolazione in quanto il bambino con alle spalle dei T giganti indurr quasi
inevitabilmente nel caregiver delle situazioni di arousal sregolato o delle
esperienze dissociative. Peraltro, anche gli adulti in cui siano presenti que-
stioni non risolte possono avere comportamenti che confondono e spa-
ventano i bambini. Un adulto che fonte di allarme genera nel bambino
esperienze conflittuali perch il bambino non riesce a comprendere il sen-
so delle azioni delladulto, non essendoci un reale pericolo nellambiente.
A volte accade che un certo comportamento del bambino vada a toccare
135

qualcosa nelle tematiche irrisolte del genitore e che questo sviluppi una
situazione di evitamento: il genitore potrebbe sentirsi molto separato dal
suo bambino e forse scoprire che lo sta anche giudicando un po. Uno
dei due equilibristi (caregiver o bambino) pu far accadere lesperienza
di cui non veramente consapevole allesterno, non comprendendo che
dentro di s, e la evoca nella relazione. Oppure uno dei due equilibristi
(caregiver o bambino) potrebbe trovarsi incastrato in una relazione ambi-
valente nella quale vuole piacere a tutti i costi, per la paura che laltro lo
abbandoni. A volte tutti e due sono impauriti o hanno le loro problemati-
che. I bambini hanno un forte bisogno di connessione e vanno a cercarla
con un alto livello di attivazione con il conseguente crearsi di una situa-
zione complicata.
Dato che il nostro cervello continua ad acquisire nuove informazioni e
a costruire nuove realt finch il nostro corpo si sente al sicuro (Van Der
Kolk, 2003), ovvero finch allinterno della finestra di tolleranza, la pri-
ma regola quella di creare situazioni ambientali che a livello fisiologico
facciano sentire il bambino al sicuro. Il supporto che si pu dare consiste
nellaiutare il bambino a stare abbastanza a lungo nelle esperienze positi-
ve, offrendogli un contenitore sicuro. Il genitore quindi deve prima ancora
sviluppare lui stesso la capacit di essere presente per poter poi accompa-
gnare il figlio attraverso questo processo di integrazione. Alcune ricerche
sostengono che nessuno capace di trasformare lesperienza traumatica
senza avere accanto qualcuno che sia amorevole.
Sarebbe importante avere memoria di qualcuno che stato veramente
amorevole prima dei cinque anni, perch questo potr consentire pi facil-
mente linclusione successiva dellamorevolezza. Purtroppo alcuni bam-
bini hanno vissuto circostanze veramente estreme, nelle quali lesperienza
dellamorevolezza non si radicata adeguatamente. possibile comunque
anche in tempi successivi supportarne lo sviluppo, attraverso lesplora-
zione di immagini creative, probabilmente molto diverse dalle esperienze
reali vissute, ma tali da poter riscrivere la storia affinch il sistema possa
rilassarsi e aprirsi a ricevere qualcosa di diverso.
Ci significa creare nuovi percorsi neuronali perch nel periodo critico
non cera niente di veramente sicuro: il sistema si pu autoregolare acce-
dendo alla creativit che servir a creare nuove vie da percorrere. Non
importante riaprire il quadro esatto di quello che accaduto, ma far emer-
gere linformazione che registrata creando delle pause creative che pos-
sano portare un po di sollievo.
136

Essere presenti in uno stile di attaccamento sicuro con i bambini favo-


risce un processo di guarigione. Il miglior modo per sentirsi al sicuro per
gli esseri umani attraverso la relazione interpersonale. Lessere umano
in una costante ricerca di sintonizzazione, qualsiasi cosa stia facendo. La
domanda interiore : Sei con me senza giudizio, senza secondi fini, senza
avere gi in mente tutte le cose che mi vuoi far fare?

8.6 Risorsarsi: come, dove, quando


Krishnananda (2009) racconta che allinizio del suo tirocinio in psichia-
tria, not una donna che strisciava per terra e le chiese cosa stesse facendo.
Lei sollev la testa per guardarlo e rispose molto sinceramente e onesta-
mente Faccio quello che posso. Lo psichiatra afferma quel giorno mi
diede una grande lezione. Qualsiasi esperienza pu essere un insegna-
mento e diventare una nuova risorsa per lesistenza di ogni essere umano.
Le possibilit di trovare risorse adeguate che possano sostenere le per-
sone coinvolte nelladozione sono molte di pi di quanto non si creda. Il
riferimento non alle risorse istituzionali, o almeno non solo a quelle, la
cui accessibilit molto variabile a seconda della differenti realt territo-
riali. piuttosto una sorta di mappatura di quelle che sono tutte le risorse
possibili alle quali magari non si mai pensato, per poi ovviamente lascia-
re al lettore la considerazione sullopportunit e la valenza della propria
scelta personale.
Le risorse sono fondamentali per riportare lattivazione allinterno del-
la finestra di tolleranza, sono capacit, competenze, oggetti, relazioni e
servizi che offrono un supporto per mantenere la sicurezza, il senso del s,
il collegamento con, e la differenziazione dagli altri, indipendentemente
da quanto avviene nellambiente (Ogden et al 2006) e consentono a una
persona di creare una distanza tra lo stress ambientale e il disagio persona-
le (Van Der Kolk, 2003). Inoltre offrono quella fortificazione utile a preve-
nire eventuali riedizioni di comportamenti sostenuti da un arousal sregola-
to soprattutto nelle persone che hanno subito eventi traumatici, nelle quali
spesso le risorse sono sopraffatte e la capacit di elaborare nuove informa-
zioni risulta compromessa.
Al momento del trauma o subito dopo, lindividuo mette in atto delle
risorse che garantiscono la sopravvivenza, ma spesso non riesce ad acce-
dere a tutte le risorse possibili e potenziali. Laddove ad esempio il ricono-
scimento dei propri bisogni e la richiesta di un sostegno esterno non siano
137

risultati essere strategie vincenti, lindividuo potrebbe imparare abitudini e


schemi comportamentali che, pur essendo adattivi allambiente, risultano
dannosi per lindividuo stesso. Da ci ne potrebbero derivare convinzioni
limitanti che varrebbe la pena esplorare e mettere in discussione.
Le risorse infantili sono quantitativamente inferiori a quelle di un adul-
to e ne logica conseguenza che limpatto di un trauma su un bambino
pi devastante. La disponibilit e il potenziamento delle risorse influenza
la resilienza del bambino nel poter tollerare le difficolt. Anche per poter
ripensare a esperienze o ricordi faticosi e stressanti, senza sregolare nuo-
vamente il sistema nervoso e tutti i sistemi correlati, ma anzi integrando e
metabolizzando ci che appartiene al passato e dandogli la giusta colloca-
zione nellarchivio temporale corretto, veramente molto utile la presenza
di risorse che consentano di rivivere oggi in sicurezza quello che apparte-
neneva a un contesto incerto o insicuro. Quando, dunque, il ricordo trau-
matico sopraffacente e la disregolazione traumatica nel presente ha un
peso superiore alle risorse, diventa fondamentale ripristinare lequilibrio
tra risorse e reazioni traumatiche, affinch larousal ne risulti modulato e
la finestra di tolleranza espansa.
La prima azione per favorire il ripristino della capacit di regolazione
del sistema offrire quelle risorse che allepoca erano venute a mancare.
Le risorse possono essere top down o bottom up, tese quindi a sfruttare le
capacit cognitive per ricordarsi che qui ora non vi alcun pericolo, oppu-
re bottom up, quando ad esempio attraverso la respirazione si riporta la-
rousal a un livello di integrabilit. Un pronto soccorso facile e immediato
far abbassare la respirazione nella pancia per diminuire lattivazione o
farla alzare nel petto per aumentarla.
Un individuo pu avere delle risorse intatte e utilizzabili oppure alcu-
ne risorse possono non essersi mai sviluppate nelle fasi appropriate dello
sviluppo a causa di fattori genetici o relazionali o, infine, il loro sviluppo
pu essersi interrotto, appunto, a causa di situazioni traumatiche. Anche se
nel periodo traumatico spesso sono mobilitate alcune risorse utili per resi-
stere e per far fronte alla criticit (le cosiddette risorse di sopravivenza),
in un periodo successivo quando i fattori stressanti non sono pi presenti
nellambiente opportuno cercare di contattare e utilizzare un altro tipo di
risorse, quelle creative, che migliorando la qualit della vita e dellespe-
rienza interiore, favoriscono la capacit di integrazione e il collegamento
con se stessi e con gli altri. Si distinguono le risorse interne, insite nella
persona come ad esempio la capacit di definire confini sani e di esperire
138

una presenza somatica, da quelle esterne alla persone, come ad esempio


quelle sociali, comunitarie, famigliari.
Oltre a queste macroaree, si possono individuare molte categorie di ri-
sorse. Quelle psicologiche hanno a che fare con il senso del s, interna-
mente, mentre esternamente riguardano la capacit di farsi aiutare. Le ri-
sorse spirituali si riferiscono allunione con la propria essenza, ma anche
alla partecipazione ad attivit meditative o di preghiera. Quelle relazionali
interne permettono di definire dei confini sani senza perdere il proprio sen-
so del s, mentre esternamente consentono di avviare relazioni amicali e
intime. Le risorse somatiche offrono salute, sensazione di radicamento, al-
lineamento. Quelle emotive mettono in contatto con una completa gamma
di emozioni senza sentirsi bloccati da esse. Intellettualmente si pu avere
la capacit di pensare con chiarezza e affrontare studi e corsi. Le risorse
materiali creano sicurezza finanziaria e oggetti utili che danno beneficio.
Le risorse creative e artistiche si riferiscono alla capacit di accedere ai
propri processi creativi interiori attraverso poesia, danza, musica, arti visi-
ve o fruire e condividere tali attivit.
La qualit della vita delle persone condizionata anche dalle risorse
disponibili ed essenziale abituarsi a sviluppare risorse che consentano
alternative nuove. Il riequilibrio attraverso lesperienza e la validazione di
nuove risorse prima assenti fornir una valido terreno per una riorganiz-
zazione emotiva, somatica, comportamentale e cognitiva. Le risorse che
emergeranno durante la nuova esperienza familiare vanno verbalizzate, ri-
conosciute e validate. Al bambino dar sicuramente beneficio sapere che il
genitore ha notato i suoi punti di forza e lo aiuter ad arrivare a riconoscere
risorse che non sapeva di avere. Anche un nuovo inquadramento delle ri-
sorse di sopravvivenza, come ad esempio la sottomissione, come elementi
che aiutano normalmente le persone a fronteggiare le esperienze difficili,
favorir il bambino a considerarle come competenze di quel periodo cri-
tico passato e non come punti di debolezza. E il posto sicuro offerto dal
nuovo nucleo familiare da considerarsi una risorsa, unesperienza attuale
che riscriver il futuro del bambino.
Per dedicare ancora un breve spazio ad alcuni esempi, si citano le possi-
bilit che offrono alcune risorse somatiche come ad esempio il radicamen-
to. possibile gestire la regolazione focalizzando lattenzione sul sentire
il suolo attraverso la pianta del piede, oppure, sdraiandosi sul ventre, attra-
verso la pancia o seduti, attraverso il pavimento pelvico. Anche il peso del
corpo al quale si pu dedicare attenzione mentre si cammina, unottima
139

pratica potenziata dallosservazione del proprio respiro. La difesa e il ri-


spetto dei propri e altrui confini e la giusta distanza, quella che va bene
a entrambi, sono altri esempi sui quali ci si pu esercitare. Pat Ogden de-
dica nel libro Il trauma e il corpo un intero capitolo ad esperimenti uti-
li a sviluppare risorse. Siegel e numerosi altri autori si sono occupati di
Mindfulness, unottima pratica di consapevolezza che supporta i genitori
ad essere supportivi e il monaco vietnamita Thich Nhat Hanh offre, nel
suo libro Semi di felicit, molti spunti per far praticare la consapevolez-
za ai bambini. Larte terapia, di cui ci si occupa anche in questo libro, un
altro strumento risorsante molto affine ai bambini, la cui efficacia ampia-
mente riconosciuta.

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Capitolo 9

La famiglia adottiva come base sicura


nel processo di elaborazione e mentalizzazione
della storia adottiva

Laura Pisoni

Negli ultimi anni in atto limportante passaggio da un modello adottivo


fondato sul segreto delle origini a un modello adottivo fondato sul recupe-
ro del passato, dove la storia del bambino non inizia nel momento in cui
incontra la famiglia adottiva ma al momento della nascita. Un modello
quindi basato sulla continuit dove, bambino, genitori biologici e genitori
adottivi sono connessi lungo un continuum temporale che va dal passato
al futuro (Vadilonga, 2010). quindi importante che la storia del bambino
prima delladozione venga recuperata e rimanga accessibile, comunicabi-
le, durante tutto il periodo adottivo.
Lesperienza adottiva a seconda delle persone acquisisce diversi signi-
ficati, tuttavia certo che un adottivo far i conti con questo evento della
sua vita per sempre.
Per questo importante avere ben chiara la dimensione processuale
delladozione in quanto non si caratterizza solo come evento puntuale, ma
anche, e soprattutto, come percorso di costruzione di relazioni e gestio-
ne di temi complessi che si propongono e ripropongono lungo tutto lar-
co della vita (Brodzinsky, 2005). In questo capitolo, con il prezioso aiu-
to di unesemplificazione clinica, si cercher di approfondire lesperienza
del bambino allinterno della famiglia adottiva, focalizzando lattenzio-
ne sulla possibilit di attivare nei genitori un atteggiamento riflessivo per
sostenere la funzione riflessiva nei bambini, attraverso lattitudine a una
comunicazione aperta sulladozione e la disposizione ad un adeguato ri-
specchiamento emotivo.
144

9.1 Funzione riflessiva e mentalizzazione


Il concetto di funzione riflessiva sviluppato da Peter Fonagy e Mary Target
(Fonagy e Target, 1997) si riferisce alla capacit di interpretare il proprio
comportamento e quello altrui in termini dipotetici stati mentali, cio in
relazione a pensieri, affetti, desideri, bisogni e intenzioni. Il costrutto rap-
presenta loperazionalizzazione a scopo di ricerca del concetto di men-
talizzazione, con il quale si indica la capacit di rappresentarsi gli stati
mentali propri e altrui e di comprendere il comportamento interpersonale
in termini psicologici. La mentalizzazione costituisce una capacit umana
di base, fondamentale per la regolazione degli affetti e per la formazione
dei rapporti interpersonali.
La funzione riflessiva alla base dellempatia e permette di andare al di l
dellatteggiamento esteriore per arrivare a cogliere lo stato psicologico che
ha motivato un determinato comportamento. In assenza di questa funzione
il proprio comportamento e quello degli altri rimangono poco significativi.
Fonagy e colleghi sostengono che il pieno sviluppo della mentalizzazio-
ne dipenda dallinterazione del bambino con menti pi mature e sensibili,
portando alcune prove che collegano la mentalizzazione con la qualit del-
le relazioni di attaccamento. Non solo pi probabile che genitori con una
elevata capacit riflessiva promuovano un attaccamento sicuro nei propri
figli, ma anche che lattaccamento sicuro possa rappresentare un precursore
fondamentale di una solida capacit riflessiva (Fonagy et al., 2002).
Ladozione, sempre, anche quando i bambini arrivano in famiglia molto
piccoli, porta con s lesperienza di perdita, evento ad alta valenza traumati-
ca, che accompagner lindividuo per il resto della vita. A maggior ragione
questo accade quando i bambini arrivano in adozione in et superiore ai cin-
que anni e spesso hanno alle spalle diverse esperienze potenzialmente trau-
matiche. Tali esperienze possono produrre gravi e invalidanti conseguenze
sul piano fisico e psicologico (Vadilonga, 2010), possono impedire lo svi-
luppo di un senso di s come individuo di valore (Bertetti et al., 2003) e pos-
sono ostacolare lo sviluppo delle capacit di riflessione e mentalizzazione.
La carenza di queste funzioni nei bambini sembra legata al fallimento
della funzione riflessiva genitoriale e alla disfunzione del sistema relazio-
nale familiare. La disorganizzazione delle relazioni familiari e la carente
funzione riflessiva genitoriale sembrano costituire una minaccia per il s
psicologico. Lattuale letteratura sul trauma infantile converge nellindivi-
duare nella mentalizzazione del trauma e nella possibilit di verbalizzarlo
i presupposti per la sua cura, che consiste nel poter affrontare lentamente
145

i propri vissuti di impotenza e stigmatizzazione, superare il senso di col-


pa, abbandonando le modalit relazionali disfunzionali sviluppate come
difesa della sofferenza (Vadilonga, 2010). riconosciuto ormai che nelle
situazioni di abbandono e di trauma, se manca la capacit di rappresentare
le idee, il bambino costretto ad accettare le implicazioni del rifiuto dei
genitori e a sviluppare unimmagine negativa di s.
Ladozione, in questottica, rappresenta una grande risorsa per questi
bambini per sperimentare quello che a loro mancato: la possibilit di
usufruire caregivers in grado di contenerli nella propria mente e di rappre-
sentarsi i loro comportamenti in termini di stati mentali. Ci permette al
bambino di riordinare il suo mondo interno, ricostruendo le vicende rela-
zionali vissute, dando un posto alle emozioni provate, e spiegare le ragioni
dei genitori biologici, proteggendolo dal rischio di auto riferire a s quanto
accaduto. Svolgere una funzione elaborativa, favorendo le capacit rifles-
sive del bambino, presuppone per i genitori adottivi di apprendere a sinto-
nizzarsi con lo stato della mente del bambino, che comporta la percezione
dei segnali provenienti dal bambino, linterpretazione del significato dei
gesti, la disponibilit a rispondere (Vadilonga, 2010).
Tuttavia, se i genitori adottivi, a loro volta, hanno sperimentato carenze
di accudimento nel rapporto con i propri genitori, manifesteranno anches-
si una specifica difficolt a pensare a s e agli altri in termini di stati men-
tali, manifesteranno problemi nellespressione e nel controllo delle emo-
zioni e risulteranno pi vulnerabili alle esperienze traumatiche.
I genitori adottivi che hanno stati della mente insicuri o irrisolti rispet-
to allattaccamento, probabile che siano meno sensibili, abbiano minori
capacit di sintonizzarsi affettivamente col bambino, poich i bisogni e i
comportamenti di attaccamento del bambino possono attivare in loro an-
sie, difese, perdite non risolte e vecchi traumi nei confronti dei quali non vi
stata sufficiente elaborazione. Prendersi cura di un piccolo e interfacciar-
si con i traumi da lui vissuti pu fungere da riattivatore post traumatico
di esperienze passate irrisolte (Vadilonga, 2010).

9.2 Comunicazione aperta e narrazione emotiva


Brodzinsky (2005) afferma che per la salute psicologica di un bambino in
adozione primaria la creazione di un dialogo familiare aperto, onesto,
emotivamente sintonico sui temi correlati alladozione, ma non solo, an-
che su tutto ci che impatti la vita del bambino e della famiglia. Per lautore
146

questo uno dei fattori critici relativi alla variabilit delladattamento adot-
tivo per i bambini e per i loro genitori. Fondamentale la possibilit che le-
splorazione dei temi adottivi avvenga tra i membri della famiglia in termini
di processo comunicativo che coinvolga genitori e figli sui temi pregnanti
della storia del bambino. Questo atteggiamento riflessivo molto importan-
te per trasformare la storia avversa del bambino in informazioni che siano
supportive per lautostima e la crescita psicologica (Dallos, 2006, 2007).
Aiutare il figlio adottivo a raccontare le sue esperienze precedenti, ri-
cordare la sua storia, tenendo presente linevitabile dolore che questo com-
porta, non un compito facile per i genitori, ma narrare la propria autobio-
grafia sentendosi compresi e rispecchiati pu portare a un cambiamento
importante. I modelli operativi interni possono riorganizzarsi attraverso la
riattivazione di quelle emozioni che le modalit di accudimento delle fi-
gure di attaccamento avevano bloccato, e attraverso la possibilit di dare
nuovi significati agli eventi del passato (Attili, 2010). Avere la possibilit
di riconoscere dentro di s e di esprimere quelle emozioni di disperazione
o di rabbia, riconoscere il proprio bisogno di accudimento, pu portare a
una regolazione della rabbia, a una modifica delle strategie distorte mes-
se in atto per ottenere attenzione e a una ridefinizione del s. Attraverso
la ricostruzione della propria storia, rispecchiato dai genitori adottivi, il
bambino pu elaborare nuovi schemi e rappresentazioni di s pi adeguati
alla nuova situazione di vita (Attili, 2010). Poter sperimentare che possi-
bile ricordare, esprimere dubbi e paure relative al proprio passato e ancor
di pi sperimentare che queste possono essere comprese ed accolte dagli
adulti di riferimento, costituisce unesperienza estremamente importante
e di grande valenza terapeutica per il figlio adottivo. Da parte della fami-
glia adottiva, accogliere quel frammento di vita del figlio, che seppur non
vissuto insieme costituisce un capitolo fondamentale della sua vita, con-
tribuisce a creare quel senso di appartenenza reciproca che nelladozione
rappresenta un risultato da conseguire nel tempo ed uno degli indicatori
prognostici del positivo adattamento psicosociale del minore.
Nelle famiglie adottive la buona comunicazione, la capacit di spie-
gare, porsi domande e dare risposte, proprie della sicurezza dellattacca-
mento, di vitale importanza per sostenere lelaborazione dei traumi del
bambino e per favorire la progressiva costruzione di unidentit stabile. Le
ricerche sullo stato mentale dellattaccamento negli adulti e sulla funzione
riflessiva dimostrano che gli individui sicuri possiedono tutte queste fon-
damentali competenze (Fonagy, et al., 2002; Fonagy, Steele et al., 1997).
147

9.3 Aspetti teorici e operativi attraverso lesperienza clinica: il caso di


Rosy
Rosy, adottata in Ucraina allet di cinque anni, ha sempre manifestato at-
teggiamenti oppositivi verso i genitori adottivi, ma quando Rosy ha dieci
anni la situazione peggiora e i genitori decidono di chiedere aiuto non riu-
scendo pi a gestire le reazioni aggressive della figlia. Il centro specialisti-
co a cui si rivolgono attua una presa in carico delle crisi adottive attraverso
una metodologia che coniuga il modello sistemico relazionale con i contri-
buti della teoria dellattaccamento e offre interventi basati sullidea che la
famiglia adottiva rappresenti il contesto elettivo nel quale il bambino pu
raggiungere un personale benessere.
I genitori sono molto spaventati dalla situazione e segnalano reazioni
eccessive di rabbia, imprevedibili, verso di loro, caratterizzate anche da
lancio di oggetti, minacce con coltelli e azioni molto pericolose che posso-
no durare pochi minuti, ma anche ore. Nella loro richiesta daiuto laccen-
to posto sul modificare il comportamento di Rosy, tanto che la famiglia si
gi rivolta ad altri specialisti ponendo quesiti valutativi rivolti allaccer-
tamento di capacit cognitive, disturbi neurologici, eventuali tare eredi-
tarie, non ricevendo, a loro dire, risposte soddisfacenti.
Nei primi incontri con i genitori non si raccoglie molto della storia di
Rosy, forte la loro convinzione che il passato passato. Non c mai
stato un racconto a Rosy della sua storia, ritenendola, a cinque anni, gran-
de abbastanza per ricordare. Alla richiesta di Rosy sul perch dellabban-
dono hanno risposto: come facciamo a saperlo, in fondo non ti hanno
lasciata in mezzo ad una strada. Ricordano listituto dove lhanno cono-
sciuta e pensano che Rosy si sentisse sicura l: stava bene, aveva le ami-
che, era bello, era curata.
Rosy al primo colloquio si presenta cos: Io sono stata adottata e da
cinque anni vivo con i miei genitori. Non bello essere adottata, diver-
so nascere da una mamma che essere adottati. Si arrabbia anche solo a
sentire la parola adottata, solo lei la pu dire. Parla dellistituto, che lei
chiama collegio: Non per niente bello stare in un collegio! L mi hanno
detto che mia mamma non aveva la sicurezza di tenermi. Cerano tante
mamme, che non avevano il desiderio di tenere i figli, e cerano le tate che
non mi davano mai un bacio, dovevo fare i capricci per avere un bacio.
Quando sono arrivati mamma e pap italiani io pensavo che fosse-
ro dei signori che dovevano fare delle cose, poi ho visto le valige, le mie
cose, i documenti, io non volevo andarmene dallUcraina. Vorrei tanto
148

incontrare mia mamma, ma la vorrei uccidere per quello che mi ha fatto,


le tirerei tanto i capelli per quello che ha fatto al cuore, si, a volte imma-
gino che mia mamma questa sia mia mamma, e per questo le faccio male.
Quando mi sento male non mi funziona pi il cuore, non riesco pi a capi-
re niente. Io abbracciavo mia mamma, lei mi accompagnava a fare dei
giri, per poi se ne andata. Altre mamme lasciavano i figli l, per veni-
vano ogni giorno a trovarli, la mia no! Vorrei chiedere a mia mamma per-
ch ha fatto questa cosa. Poteva andare a scuola per farsi insegnare a fare
la mamma. Stava con me, non tutti i giorni, ma almeno non mi lasciava.
[] Non posso parlare di queste cose a mamma L perch non mi fido an-
cora, non sono ancora sicura di raccontare queste cose, se poi le racconto
mi sento male. Se faccio qualcosa di male si arrabbia subito. Lei, che tu
vedi cos brava, a casa cattiva. Un giorno quando parlavamo della mia
mamma, mi ha detto che sono una zingara, mi sono sentita uccisa. Io con
la mamma non parlo, per le dico tante parolacce, di ogni tipo, e le tiro i
capelli, cosi lei capisce come sto.
chiaro come Rosy e i suoi genitori non siano sintonizzati tra loro.
Rosy ancora molto concentrata sul passato, i genitori sono invece alla ri-
cerca di migliorare il presente e il futuro, non pensando che le reazioni di
Rosy possano avere qualche collegamento con le sue esperienze passate e
con le dinamiche familiari in atto. Nei pensieri di Rosy c una domanda
ricorrente che non ha ancora trovato accoglienza: Mia mamma mi sem-
pre venuta a trovare, poi non lha pi fatto, perch?. La famiglia adottiva
ha attivato risposte che cercano di spiegare il comportamento della ma-
dre, bonificandolo: Non ti ha lasciata da sola, ma in un istituto che ti ha
curata fino alladozione. Tali risposte non permettono a Rosy di sentirsi
accolta nella sua sofferenza e chiudono la comunicazione su questo argo-
mento. Anche la convinzione che Rosy rimpianga listituto e per questa
ragione arrabbiata con loro che lhanno portata via, ha forse permesso ai
genitori di darsi una spiegazione sul comportamento di Rosy, ma allo stes-
so tempo ha bloccato la possibilit di rispecchiare i veri vissuti della figlia
e comprendere ci che era il suo reale sentimento dabbandono.
La mancanza di un dialogo aperto e di sintonizzazione emotiva sicu-
ramente un aspetto centrale in questa situazione. I genitori sembrano in
grande difficolt ad aiutare Rosy a elaborare e a riparare quanto accaduto,
non riuscendo ad accedere al collegamento fra le esperienze traumatiche
di Rosy e la sofferenza di oggi: Dopo cinque anni non si pu essere an-
cora l a parlare del passato. dominante lidea che i comportamenti di
149

Rosy siano causati da problemi neurologici, caratteriali o abbiano unori-


gine genetica, nella sua natura, noi tutti abbiamo ereditato dai nostri
genitori ad essere in un certo modo, ne sono convinta.
possibile che i genitori non riuscendo a leggere e a dare un senso ai
comportamenti di Rosy alla luce della storia della figlia e nella loro origine
post-traumatica, abbiano attribuito e rimandato a Rosy qualit negative di
cattiveria, ingestibilit, malattia.
Nel corso degli incontri emergono, inoltre, importanti fattori di rischio
nella storia dei genitori. Il padre G, ultimo di nove figli rimasto orfano di
padre allet di due anni e a sei stato inserito in collegio con forti vissuti
di abbandono. La madre L, ultima di sette figlie, ricorda ancora con mol-
to trasporto il lutto del padre per la morte improvvisa dello zio quando lei
era ancora molto piccola. chiaro come le storie individuali di entrambi
hanno sicuramente avuto un peso sulle modalit di accudimento attuali e
sulle modalit relazionali instaurate con la figlia. Ci che sta accadendo in
Rosy legato ai sentimenti di perdita e abbandono che non hanno trovato
spazio di espressione ed elaborazione, e le difficolt dei genitori su questi
temi potrebbero essere legate alla loro esperienza di vita e ai modelli men-
tali che di conseguenza si sono strutturati. probabile che la sofferenza
di Rosy comunicata e agita in modo dirompente riattivi in loro sofferenze
non elaborate.
Ogni esperienza quotidiana che riattiva in Rosy lesperienza di rifiuto
o la possibilit di perdere qualcuno, scatena in lei una forte angoscia che
la porta a reagire in modo violento e aggressivo, non avendo mai avuto la
possibilit di ripercorrere, narrare, rielaborare la sua storia di abbandono
e non trovando adeguato contenimento da parte dei genitori: Non posso
parlare, mamma non capirebbe, lei mi dice solo che non devo fare queste
cose. Nessuno a casa mi dice, come stai Rosy?.
Se in generale i genitori che ignorano o fraintendono i bisogni dei loro
figli li espongono ad esperienze di natura traumatica, quando questo si ri-
pete nella famiglia adottiva, si amplifica la possibilit che le esperienze
traumatiche pregresse influenzino lo sviluppo psicologico e favoriscano la
manifestazione di successivi disturbi psicologici, comportamentali e fisici.
Diventa importante in questi casi affrontare la situazione in una prospettiva
che connetta la specifica esperienza del bambino adottato con le caratteri-
stiche relazionali e la storia personale dei genitori adottivi e consenta di an-
dare a vedere in che modo lincontro con quella specifica coppia di genitori
possa contribuire a riparare o viceversa amplificare le difficolt iniziali.
150

Di fronte a un comportamento problematico, un genitore incapace di ri-


flettere sullo stato mentale del figlio pu restituirgli unimmagine estrema-
mente negativa, pu arrivare a considerarlo anche indemoniato e rivolger-
si al guaritore, allesorcista prima ancora che allo psicologo. Quando un
bambino o un adolescente avverte che tutte le immagini di S restituitegli
dagli adulti sono negative sperimenta un dolore lacerante. Un comporta-
mento aggressivo patologico nei bambini e negli adulti pu infatti manife-
starsi come conseguenza di un fraintendimento degli stati mentali e di una
confusione dei linguaggi. (Baldoni, 2007). Unadeguata mentalizzazione,
oltre a favorire una manifestazione adeguata delle proprie emozioni, per-
mette di considerare il comportamento altrui come espressione di uno sta-
to mentale specifico (un momento di rabbia, un fraintendimento). In que-
sto modo un atteggiamento di rifiuto o un atto di violenza non portano
necessariamente a una visione negativa del S o della relazione con laltro.
Nella presa in carico di questa famiglia stato necessario ridefinire il
problema attuale aprendo uno spazio di riflessione con i genitori, sia sulla
loro storia sia aiutandoli a fare ipotesi sugli stati mentali della figlia, co-
minciando a ipotizzare collegamenti con la sua storia e con le dinamiche
familiari attuali, cercando cos modalit pi efficaci da mettere in atto. La
famiglia adottiva sar il perno dellintervento.
Una prima fase di lavoro ha coinvolto prevalentemente i genitori adot-
tivi, i formati degli interventi sono stati sia individuali sia di coppia fina-
lizzati ad ottenere nei genitori una maggiore consapevolezza sui propri
modelli operativi interni e come quei modelli possono aver influenzato le
interazioni con la figlia. La possibilit di aiutare i genitori in questa com-
prensione dipende fortemente dalla capacit di riflessione del genitore e
lincremento della funzione riflessiva stessa diventata in questo caso un
obiettivo prioritario dellintervento. Il terapeuta, svolgendo egli stesso una
funzione riflessiva verso il genitore, trasmette che sta riflettendo su di lui,
considerandolo in termini di stati mentali. Il genitore, rispecchiandosi nel
pensiero del terapeuta, pu riconoscere i propri processi mentali raggiun-
gendo un maggiore livello di consapevolezza e sviluppando a propria vol-
ta una migliore capacit riflessiva.
Tra le tecniche, spesso utilizzate a questo scopo, risultato particolar-
mente efficace il Video-Feedback (Cassibba e van Ijzendoorn, 2005), che
si realizza attraverso la registrazione delle sedute, nei diversi formati pre-
visti, e la successiva selezione, da parte del terapeuta, delle parti signifi-
cative per lo scopo clinico. La visione di questi filmati, alla presenza dei
151

genitori, ha un impatto emotivo molto forte. pi facile in questo modo


mostrare le connessioni tra le modalit relazionali osservate e il disagio
del figlio e stimolare cos, con laiuto delle riflessioni degli operatori, una
maggior sintonizzazione emotiva e una possibilit di mentalizzazione.
Questo tipo di lavoro con la famiglia di Rosy, aiuta a fare nuove connes-
sioni alternative a quelle in atto, cercando nuovi modi per entrare in rela-
zione con la figlia, provando a mettersi nella mente dellaltro. Attraverso
riformulazioni e nuove ipotesi si aiutano i genitori a comprendere il com-
portamento della figlia come bisogno di vicinanza e sostegno e a collegar-
lo con lo stato mentale in cui si trova, frutto della sua storia.
Sempre per favorire la mentalizzazione e la funzione riflessiva, nel-
lo svolgersi del percorso terapeutico si sono utilizzati anche altri due
strumenti, le domande dellAdult Attachment Interview, (George et al.,
1984/1996), e il Separation Anxiety Test (versione modificata di Gra-
zia Attili, 2001), poich mettono la persona nelle condizioni di riflette-
re sui propri stati mentali, sul proprio comportamento, sulle espressio-
ni dei modelli operativi interni e comportano gi di per s conseguenze
terapeutiche.
Attraverso i colloqui e le tecniche descritte, si ripercorre con i genitori
sia la loro storia individuale, sia la storia di Rosy, in gran parte narrata pro-
prio dalla figlia nei primi incontri individuali. In molti momenti la mamma
si commuove nellascoltare le parole della figlia, ed esprime i suoi senti-
menti verso la mamma biologica: ha partorito una bambina, lha tenuta
con lei 3 anni, con tutta la comprensione che uno pu avere, non ha avuto
un attimo di umanit, poteva fare una scelta diversa. In questo modo la
mamma si colloca in una posizione molto diversa dalliniziale spiegazione
e bonifica dellabbandono. Il sentimento che ora la mamma prova verso la
mamma biologica in sintonia con la rabbia e il dolore che Rosy stessa
prova. I genitori accedono allipotesi che Rosy sta esprimendo una soffe-
renza che non riesce a dire a parole, e che importante lavorare affinch
possa verbalizzare le sue emozioni anche con loro.
Mamma: Una sera mi ha chiesto come si chiamava la sua mamma,
lei non lo ricordava, non laveva pi ricordato, io per non ne avevo pi
parlato e lei non ha pi chiesto. stato un errore, ora lo capiamo. Col
tempo i genitori fanno delle ipotesi sui pensieri di Rosy: Forse Rosy pen-
sa ancora alla sua vita l, ed sempre tesa, pensa che stata abbandona-
ta, lhanno messa in affido e non lhanno voluta, poi siamo arrivati noi e
labbiamo portata via, lei aspettava la sua mamma.
152

Cominciano a comprendere che Rosy ha nascosto i suoi pensieri e non


ha espresso le sue emozioni perch non si costruito un legame di fiducia
e uno spazio per esprimerli. Si creata unerrata interpretazione, loro han-
no pensato che a Rosy non interessasse pi sapere e parlare dei cinque anni
in Ucraina, proprio perch non ha pi fatto domande. Si rendono conto in-
vece che Rosy ha molti ricordi a cui pensa continuamente, sempre sin-
tonizzata sul suo passato e non ha difficolt a parlarne se non in famiglia.
Non sentendosi in una relazione sicura che favorisse la riparazione e la
rielaborazione della sua storia, possibile che Rosy abbia confermato nel-
la sua mente lidea che degli adulti non ci si possa fidare perch non dispo-
nibili a dare protezione e possono abbandonare. Nellincontro con i geni-
tori adottivi Rosy ha messo in atto le strategie che aveva imparato nel suo
pezzo di vita precedente, e si legata a loro nei modi che aveva a disposi-
zione. Nella narrazione di Rosy emerge in tutta la sua intensit la rabbia e
la sofferenza verso la mamma che lha abbandonata, chiaro come questi
vissuti ed i pensieri ad essi collegati occupino la mente nella quotidianit,
e non trovando contenimento esplodano. Rosy stessa dice mi si ferma il
cuore, non capisco pi niente.
Solo dopo un lungo lavoro di approfondimento della storia personale e
del contesto di crescita dei genitori, che non ha favorito in loro lo sviluppo
di una capacit di riflessione ed elaborazione, stato possibile accede al
formato familiare, con lobiettivo di ripercorrere insieme la storia di Rosy,
non solo nei fatti, ma nel vissuto, rispecchiandola nelle sue emozioni di
dolore, considerando le strategie messe in atto come le uniche possibili e
appropriate nella situazione in cui si trovava.
Nella conduzione dellintervento familiare rimane sempre fondamen-
tale il costrutto base sicura, si aiutano i membri della famiglia a porsi in
relazione tra loro per comprendere come e perch non riescano a trovare o
ad offrire sicurezza luno allaltro (Attili, 2007) e si promuove la capacit
dei singoli di mettere in atto comportamenti diversi da quelli fino a quel
momento messi in atto. La modifica dei modelli operativi interni possi-
bile attraverso la relazione col terapeuta che si pone come base sicura per
ciascuno dei membri della famiglia.
Proprio come lattaccamento sicuro promuove la mentalizzazione nella
prima relazione madre-bambino, cos un clima di attaccamento sicuro pro-
muover la mentalizzazione in psicoterapia (Allen, 2006).
153

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Capitolo 10

Figli daltrove:
aspetti psicologici, etnici e culturali
delladozione internazionale
Luz Cardenas, Fulvia Pitto

Ladozione di bambini con cittadinanza diversa da quella degli adottandi


ha assunto una dimensione sempre pi crescente in tutti i Paesi europei e
americani industrializzati. I dati indicano, per il periodo dal 2001 al 20131,
che 39.702 minori hanno fatto ingresso in Italia in seguito alladozione.
La questione si connota come un fenomeno sociale rilevante. Anche nei
paesi di provenienza dei bambini adottati ci si sta interrogando rispetto
alle implicanze delle adozioni internazionali. Ad esempio ricerche svolte
presso lUniversit Maggiore San Marcos di Lima (Escobar, 2009) stan-
no mettendo in evidenza con sempre maggiore forza il bisogno dei figli di
ricercare le proprie origini. In alcuni paesi con note storie di violenza col-
lettiva sono in atto azioni per la ricerca dei figli dati in adozione in modo
illegittimo(Giannasi,2009)

I minori di origine straniera adottati costituiscono un gruppo con peculia-


rit proprie: sono cittadini italiani, inseriti pienamente nel tessuto sociale,
ma sono nati in Paesi lontani. Sono persone che quando erano bambini in
et pi o meno precoce hanno dovuto lasciare, per motivi diversi, il luogo
in cui sono nati per essere inseriti in una nuova famiglia, in un nuovo Paese
e hanno dovuto avviarsi verso una costruzione identitaria pi complessa.

1
Fonte Commissione per le adozioni internazionali citato in Psicologia Sociale vol
IX,n.2,maggio agosto 2014
156

Lidentit nasce e si struttura nella trama delle relazioni che vanno da


quelle familiari a quelli sociali, fornendo il senso di continuit della pro-
pria storia, tra passato, presente e futuro. Essa per sua natura dinamica ed
assume significati e valenze specifiche nelle diverse fasce di et.
La dimensione etnica dellidentit(Mancini,2007),ampiamente studia-
ta allinterno delle tematiche inerenti lidentit sociale e la migrazione, si
riferisce allidentificazione e allappartenenza al proprio gruppo etnico, a
pensieri e sentimenti rispetto al sentirsene parte; si configura come dimen-
sione cruciale nei processi di costruzione del s e di conseguenza costitui-
sce uno degli aspetti rilevanti dellautostima.
Essa si determina a partire da intrecci di esperienze ed istanze che sfug-
gono ad unanalisi sistematica e non pu essere ricondotta ad un solo ca-
rattere o ad una sola essenza. Come ci ricorda Beneduce essa il prodotto
misto di auto- ed etero-percezioni alla cui forma contribuisce il mutevole
gioco di variabili che la comunit considerata o il singolo individuo eleg-
gono a loro tratti distintivi o si vedono attribuiti dagli altri (Beneduce,
1998).Quindi non considerare la complessit della questione equivarreb-
be ad un annientamento dellidentit reale dellindividuo per cui, come ci
ricorda Georges Devereux disfunzionale e persino catastrofico ridurre
qualcuno ad una sola dimensione (Devereux, 1985).
Un adeguato sviluppo della molteplicit degli aspetti che caratterizza-
no lidentit , dunque, fondamentale per la costruzione di una personalit
matura, sicura e ben integrata, capace di far fronte ai rischi delleventuale
disagio prodotto da interazioni sociali connotate da pregiudizi e discrimi-
nazioni (Castle et al., 2011).

Ma, per i figli daltrove la definizione di s dal punto di vista etnico


molto difficile e faticosa, ed in gran parte influenzata dai valori e dai si-
gnificati che essi attribuiscono alla loro appartenenza originaria(culturale,
etnica, somatica) influenzata, a sua volta, dai pregiudizi provenienti dal
nuovo contesto familiare e sociale.

I genitori adottivi quindi hanno un ruolo nevralgico nei processi di iden-


tificazione e di socializzazione del figlio, elementi fondanti il processo di
costruzione dellidentit. Ai sentimenti e alle aspettative rispetto alla loro
riuscita come genitori si aggiunge in modo eclatante la delicata questio-
ne dellidentit etnica del figlio. A questo riguardo non sempre essi conta-
no su chiavi di lettura che consentono loro di affrontare con consapevolez-
za questi aspetti specifici e complessi.
157

10.1 Dallaccoglienza allo sviluppo di unidentit multietnica


Adottare un bambino straniero ben diverso che adottare un bambino ita-
liano e il successo di un buon inserimento dipende anche dalla capacit de-
gli adulti che si occuperanno di lui di aiutarlo nel processo di integrazione
del suo patrimonio culturale originale con quello della nuova famiglia e
del contesto in cui essa vive.
Certamente vero che, con il trascorrere degli anni, si realizza un di-
stanziamento dalla cultura dorigine e il bambino prima e ladulto poi ten-
de a fare propria la cultura del Paese ospite.
Tuttavia non va dimenticato che egli ha vissuto, in particolare se adot-
tato non nei primissimi anni di vita, in un diverso contesto dal quale ha as-
sunto un bagaglio culturale che non pu essere ignorato.
Accogliere un bambino straniero adottato rappresenta dunque una sfida
per i nuovi genitori, un compito delicato e complesso che richiede innanzi-
tutto il riconoscimento della peculiarit della doppia, se non molteplice, ap-
partenenza, lontano da qualsiasi pretesa di assimilazione al nuovo contesto.
Ne consegue limportanza di accompagnarlo verso la costruzione di uni-
dentit complessa, multietnica che possa tenere assieme le pluriappartenenze.
A titolo esemplificativo, senza alcuna pretesa di esaustivit e consape-
voli del dibattito culturale in atto2, presentiamo gli studi riportati da Gre-
co e Rosnati(2008)in riferimento al modello di Baden e Stewart (Baden e
Stuart, 2000)secondo il quale possono essere individuate quattro diverse
tipologie di identit etnica nei bambini e nei ragazzi adottati che si vengo-
no a strutturare a seconda del diverso atteggiamento manifestato dai geni-
tori adottivi nei loro confronti. Si parla dunque di:
a) Identit etnica assimilata: si riferisce alla totale negazione della pro-
pria appartenenza culturale e alla contemporanea assunzione esclusiva
della cultura dei genitori adottivi.

2
Il concetto di etnia un concetto polisemico su cui in atto un vivace dibattito cultura-
le. Nel presente articolo assumeremo questa definizione nella consapevolezza dei limi-
ti delle denominazioni quando si cerca di riferirsi a questioni dinamiche e di multipli
significati. Sebbene il termine venga percepito nel linguaggio comune come indicante
un gruppo omogeneo (per cultura, religione, lingua ecc...) molti antropologi e storici
hanno rilevato il carattere arbitrario e costruito delle appartenenze etniche (Jean-Loup
Amselle Linvenzione delletnia, 2008)
158

b) Identit etnica separata: si riferisce ad un attaccamento tenace alla


propria etnicit associato ad un rifiuto, pi o meno pronunciato, della
cultura ospite.
c) Identit etnica duale: il riferimento alla dual identity definita da
Rupert Brown. Essa deriva dalla valorizzazione in egual misura di en-
trambe le appartenenza culturali.
d) Identit etnica sospesa: si tratta di una modalit difensiva che porta
il soggetto a non identificarsi con nessun gruppo etnico n culturale, ma
a considerarsi parte di una categoria sovraordinata spesso inconsistente.
Tipica laffermazione secondo cui tutte le razze sono uguali.

Secondo Brown (Brown, 1995) dunque fondamentale che i soggetti


adottati possano sviluppare una dual identity ovvero unidentit che pos-
sa integrare plurime appartenenze e che possa avviare un vero processo di
acculturazione piuttosto che orientarsi verso unassimilazione che porta ad
abbandonare la propria identit culturale e ad assumere in toto il patrimo-
nio culturale del Paese ospite.
Affinch questo avvenga per necessario che i genitori adottivi valo-
rizzino il pi possibile le origini del figlio. DellAntonio (1994) sottolinea
infatti come il bambino si manifesta nella misura in cui percepisce nei ge-
nitori un autentico interesse per ci che si riferisce alla sua storia.
Non si tratta di assumere forzatamente un atteggiamento fasullo e di
finto interesse ma di avvicinarsi autenticamente al bambino e alle sue ori-
gini elaborando, seppur con fatica, i propri pregiudizi nei confronti della
diversit culturale ed etnica e maturando la reale convinzione di una pari
dignit e valore tra culture. Se cos non fosse, la condizione che si verrebbe
a creare potrebbe rivelarsi molto destabilizzante per il bambino adottato.
Immaginiamo quali pensieri potrebbero instillarsi nella sua mente se,
ad esempio, percepisse che i suoi nuovi genitori, secondo una visione pu-
ramente etnocentrica, considerassero la cultura occidentale superiore a tut-
te le altre, e dunque, presumibilmente, anche a quella a cui lui appartiene,
cos come se essi manifestassero tendenze discriminatorie nei confronti
degli stranieri immigrati nel nostro Paese, potenzialmente provenienti da-
gli stessi luoghi da cui arriva il loro figlio.
Talvolta i genitori che non hanno raggiunto questa consapevolezza pos-
sono sviluppare meccanismi di difesa tali per cui essi arrivano addirittura
a negare o a cancellare ogni tratto del bambino che richiama loro la sua
159

diversa provenienza. La differenza somatica , ad esempio, una peculiarit


che pu invece essere vissuta dai genitori come una criticit.
Questo un aspetto che viene spesso sottovalutato e poco approfondito
nei percorsi di idoneit alladozione, perch si d per scontato che chi de-
sidera adottare un bambino di colore non possa avere pregiudizi nei con-
fronti della cultura a cui egli appartiene.

10.2 Atteggiamenti dei genitori adottivi: tra assimilazione e


acculturazione.
Talvolta i genitori adottivi richiedono al bambino appena arrivato di assu-
mere in breve tempo stili di vita e valori appartenenti alla loro cultura e
che, come tali, sono diversi da quelli a cui il bambino ha fatto riferimento
fino ad allora.
I genitori lo accolgono con tutte le buone intenzioni di farlo sentire a
proprio agio, amato e voluto, ma proprio perch essi desiderano sentirlo
come figlio ed anche perch desiderano che gli altri lo accettino come
tale tendono a renderlo, nel pi breve tempo possibile, simile ai coetanei
italiani, lasciandosi letteralmente alle spalle, quel bagaglio di abitudini e
valori che lo rendono diverso e che sembra rendere ancor pi evidente la
sua origine.
Tale comportamento tende ad amplificarsi se nel loro contesto quotidia-
no si riscontrano marcati pregiudizi o manifestazioni di intolleranza verso
le persone straniere e/o di colore; i genitori possono cercare di minimiz-
zare agli occhi del bambino, ma anche a se stessi, quelle caratteristiche
somatiche che denotano la sua appartenenza ad una origine diversa dalla
loro.
Alcuni genitori, non sapendo come affrontare la situazione, cercano di
procrastinare il pi possibile la loro risposta alle domande del bambino
circa le sue differenze, anche negando levidenza dei fatti. Emblematico
il caso della mamma adottiva che dice di evitare che il figlio di due anni
si soffermi troppo davanti agli specchi affinch non si accorga troppo pre-
sto della sua differenza, in quanto non sarebbe ancora in grado di capirne i
motivi(DellAntonio,1994).
Altre volte i genitori adottivi sono particolarmente attenti a come gli al-
tri percepiscono il bambino, pronti ad intervenire per negare, disconferma-
re, minimizzare eventuali apprezzamenti negativi o allusioni non piacevoli
alla sua origine e al suo colore.
160

Il messaggio proveniente dai nuovi genitori pu essere allora ambiguo


se non addirittura contraddittorio: essi vogliono bene al loro figlio, ma non
tanto per quello che un bambino straniero e/o di colore quanto piutto-
sto come potenziale bambino e adulto occidentale. Egli cio acquista valo-
re nella misura in cui assume la nuova identit culturale, proprio come se
dovesse semplicemente cambiarsi dabito. Come accennato prima, liden-
tit non un vestito che si indossa a piacimento, unappartenenza, fles-
sibile perch non stabilita una volta per tutte, in evoluzione durante tutta
la vita, e frutto di un continuo processo di negoziazione che integra fattori
individuali, interpersonali, sociali, passati, presenti e futuri.

I bambini stranieri adottati, in una situazione in cui viene disconfermata


la loro appartenenza culturale, si possono trovare a dover gestire la loro
identit in una situazione di completa solitudine, senza poter contare su un
aiuto realmente empatico.
Viene da s che un atteggiamento simile da parte dei genitori pu in-
cidere seriamente sullo sviluppo psicologico del bambino, sulla relazione
che essi instaurano con lui e sulle sue capacit di inserirsi nel nuovo con-
testo di vita.
Il bambino intuisce che i suoi nuovi genitori desiderano differenziarlo
dagli adulti stranieri della loro societ che considerano persone margina-
lizzate, se non addirittura inferiori; allo stesso tempo egli non pu fare a
meno di notare che, crescendo, lui sar sempre pi simile a queste persone
che non ai suoi genitori. Di conseguenza per il bambino lunica via per-
corribile per assecondare le richieste, della nuova famiglia, risulta essere
quella dellassimilazione passiva della nuova cultura con il rischio di arri-
vare al rifiuto della propria origine.
Si pu venire a creare in lui un conflitto, portatore di ansia e di un sen-
so di inadeguatezza, che egli fatica a gestire, soprattutto perch sente che
nessuno pu aiutarlo e capirlo.
Pu cominciare a temere che, crescendo, i nuovi genitori lo potrebbero
abbandonare perch diverso da quello che loro si aspettavano. Lessere
abbandonato un timore che accomuna i bambini adottati, e nei bambini
stranieri ancor pi presente proprio per la loro diversit.
Tale atteggiamento ambivalente dei genitori crea nel bambino adottato
confusione e insicurezza sulla propria capacit di corrispondere alle loro
aspettative: egli si creer unimmagine di s incompleta e mancante di una
parte importante, rifiutata perch ritenuta inadeguata e sar sempre alla ri-
cerca di conferme sul valore della propria persona.
161

Quello che si richiede, dunque, ai nuovi genitori di avviare e promuo-


vere nel loro figlio un vero processo di acculturazione, piuttosto che di
assimilazione passiva della nuova cultura. Si tratta di lavorare a doppio
senso ovvero di trovare un giusto mezzo tra le due culture di appartenen-
za e di lasciare che entrambe possano accogliere aspetti dellaltra cultura e
cedere i propri in un equilibrio dinamico che permetta al bambino adottato
di vivere serenamente la propria duplicit.

10.3 Riconoscere e superare le difficolt di inserimento nel nuovo con-


testo di vita.
Oltre alla questione dellidentit appare di fondamentale importanza la
consapevolezza da parte dei nuovi genitori delle difficolt che il bambino
potrebbe incontrare nellinserirsi in un contesto del tutto nuovo e scono-
sciuto. Si richiede loro una certa competenza empatica che possa loro per-
mettere di sintonizzarsi sui bisogni del bambino e sulle sue fragilit, per
meglio comprenderlo ad aiutarlo.
Innanzitutto utile tenere presente che il rapporto che il bambino in-
staura con i nuovi genitori fortemente influenzato dal contesto di vita in
cui egli ha vissuto prima delladozione. Non soltanto perch la sua crescita
stata contraddistinta, il pi delle volte, da una mancanza di protezione
familiare, ma anche perch egli pu essere cresciuto in un ambiente svan-
taggiato dal punto di vista socio-culturale, oppure caratterizzato da eventi
sociali traumatici protratti nel tempo che hanno reso difficoltosa la funzio-
ne educativa.
In un tale contesto i bambini, non avendo mai o poco sperimentato la
disponibilit delladulto, possono sviluppare precocemente un comporta-
mento di autonomia ed autosufficienza. Di conseguenza i loro modi di
percepire il mondo circostante, di rapportarsi ad esso, le loro aspettative
nei confronti delladulto possono risultare anche molto diversi da quelli
dei loro coetanei italiani. Cos a loro vengono a mancare, molto pi che ai
bambini di stessa origine dellambiente adottivo, gli strumenti per preve-
dere le reazioni dei nuovi genitori ai loro comportamenti.
I genitori tenderanno ad accudire il loro bambino, ad occuparsi e a pre-
occuparsi di lui, mentre egli vivr queste attenzioni come intrusive, ec-
cessive e inadeguate e reagir ad esse con comportamenti reattivi e op-
positivi, oppure adeguandosi passivamente alle nuove richieste oppure
ancora esprimendo unambivalenza difficilmente comprensibile oltre che
162

accettabile. Di rimando, anche i genitori, se non adeguatamente preparati


a gestire tali problematiche, non saranno in grado di comprendere la sua
diffidenza e la sua resistenza.
Difficolt di integrazione al nuovo contesto possono comparire anche
in rapporto alle differenze a volte notevoli nella concezione del bambino e
nel modo di prendersene cura nel paese adottivo e nel paese dorigine. Ma
se diverso il modo di accudire un bambino, diverso sar anche il modo
che il bambino avr di chiedere laccudimento.
Non raro infatti che i modi del bambino adottato di rapportarsi alla
realt, di interagire con gli adulti e di ottenere da loro appoggio, siano di-
versi da quelli che gli adulti si attendono da lui e che stanno alla base delle
loro richieste nei suoi confronti.
Difficolt di inserimento possono derivare anche da fattori culturali.
Le abitudini di vita, il modo di relazionarsi con laltro, la percezione del
proprio ruolo e di quello degli altri possono essere molto diversi rispetto a
quelli del Paese daccoglienza.
Infine vi possono essere altri fattori che rendono difficoltoso tale adat-
tamento perch collegati ad un cambiamento improvviso e marcato di al-
cuni riferimenti per il bambino tali da determinare in lui un totale senso
di estraneit: la mancata comprensione del linguaggio utilizzato dai suoi
nuovi genitori, la grande diversit che il bambino riscontra nellambien-
te naturale, ma anche urbanistico, la presenza nel nuovo mondo di valori,
norme di comportamento, stili e abitudini di vita spesso molto diversi da
quelli del suo Paese dorigine.
Daltro canto ci pu anche essere la situazione in cui i bambini adottati
sono cresciuti in un ambiente di estrema povert e disagio socio-economi-
co, che ha reso necessaria ladozione, ma non carente dal punto di vista
affettivo e relazionale.
In questo caso ladozione per loro occasione di rottura di legami
significativi e di conseguenza possono essere pi marcate, al momento
dellinserimento nel nuovo nucleo familiare, le reazioni di lutto comunque
presenti nelle adozioni.
Pi intensi possono essere anche i timori di perdere i nuovi genitori
perch essi possono essere vissuti ormai come unici adulti a cui fare rife-
rimento e perch la frequente imprevedibilit del distacco da un contesto
di cui non veniva percepita linadeguatezza, data la situazione generale di
precariet infantile, fa loro temere che essa possa ripetersi senza preavviso
e senza motivo, anche nel presente.
163

Al fine, dunque, di evitare che si crei un legame disfunzionale tra ge-


nitori adottivi e bambino adottato fatto di aspettative insoddisfatte e di ri-
chieste inadeguate, fondamentale che si avvii quel processo di metissage
creativo (Moro, 2005)tra il proprio patrimonio culturale e quello del Paese
daccoglienza. Una condizione tale per cui il bambino adottato possa sen-
tirsi legittimato dai suoi stessi genitori a sviluppare unidentit meticcia,
complessa e completa del suo passato e del suo presente.

10.4 Peculiarit identitarie delladolescenza dei figli adottati di origine


straniera
Il bambino adottato come gi accennato prima, condivide con il bambino
immigrato il processo di migrazione: labbandono della propria terra do-
rigine, della propria lingua, delle proprie abitudini, del proprio involucro
culturale (Marie Rose Moro, 2001) e linserimento in un nuovo contesto.
Il bambino immigrato in genere attraversa questo processo con il suo nu-
cleo familiare ed esposto sia alla trasmissione culturale del suo entoura-
ge familiare che allapprendimento del nuovo contesto. Il bambino adotta-
to invece vive da solo questo processo ed esposto quasi esclusivamente
ai nuovi apprendimenti acquisendo velocemente il bagaglio culturale del
nuovo contesto dappartenenza, perdendo altrettanto velocemente, o non
acquisendo affatto riferimenti della sua cultura di provenienza. Ma una
volta cresciuto sente la propria diversit e dualit sviluppano talvolta una
sorta di tensione rispetto alla conoscenza delle sue origini e allintegrazio-
ne dei suoi mondi

I figli stranieri adottati fanno parte a pieno titolo di un in group, essendo


italiani a tutti gli effetti, e di un out group, reso evidente in tanti casi dalla
differenza somatica che li accomuna a gruppi sociali fortemente discrimi-
nati e ritenuti problematici. La loro italianit li accomuna alla maggio-
ranza culturale e vengono ad essa assimilati, mentre la loro diversit li ac-
comuna ad una minoranza che non li include. Essi si trovano cos a vivere
una situazione paradossale, con tutte le implicazioni che ci comporta ri-
spetto allimmagine di s.
Negli adolescenti adottati la ricerca dellidentit si acuisce. Prima o
dopo arriva a chiedersi chi sono? e tale interrogativo lo pone di fronte al
suo futuro ma anche al suo passato, alla ricerca di punti di riferimento del-
la sua identit. In alcuni casi questa ricerca diventa un bisogno impellente,
164

oggi facilitata dalle banche dati genetiche e dalla rete internet. Tutto ci ri-
manda alle origini, alla propria storia, ai genitori biologici, alle ragioni del
distacco e/o dell abbandono.
Nelle famiglie adottive spesso con ladolescenza del figlio emergono
problemi relazionali, talvolta anche drammatici. La crisi coinvolge sia il
ragazzo, soprattutto quando in famiglia sono stati accantonati i problemi
relativi alla separazione dai genitori naturali, attraverso mistificazioni del-
la verit e segreti, sia i genitori, che vivono con preoccupazione i naturali
tentativi di allontanamento del figlio. Ladolescenza richiede che la fami-
glia sia in grado di rimettere in discussione i propri modelli educativi.
Il ragazzo quindi deve passare per un successivo processo di ri-accultu-
razione (Ferrari et al., 2014) o di ri-appropriazione (conoscenza e interio-
rizzazione) della sua birth culture, che diventa a posteriori la sua secon-
da cultura. Questa riappropriazione avviene allinterno del contesto in cui
ora vive e fa parte dellintegrazione degli aspetti culturali ed etnici della
sua identit. Ma per introiettare i due modelli di riferimento dovr contare
necessariamente sulla condivisione e mediazione allinterno della realt
familiare. Tale processo, per lo pi scelto, include lincontro e lincastro
di due background e mette in evidenza forme e livelli dintegrazione e di
identificazione con i due riferimenti culturali. Questo aspetto stato rile-
vato in due forme polarizzate in occasioni di incontri professionali perso-
nali da una delle autrici del presente articolo (di origine peruviana) con due
giovane adottate anche loro di origine peruviane; la prima era desiderosa
di stabilire un contatto mostrandosi molto interessata a conoscere partico-
larit culturali, mentre la seconda con cui si doveva lavorare appunto sulla
tematica dellintegrazione dei bambini, ha mantenuto un atteggiamento di-
staccato dicendo che lei di queste questioni non si mai interessata.

10.5 Il legame adottivo nelle relazioni familiari e laffermazione delli-


dentit etnica delladolescente in adozione internazionale: potenzialit
e rischi
I genitori adottivi costituiscono la principale fonte di influenza per i figli
rispetto alla trasmissione e allintegrazione di valori e forme di relazioni
sociali. Questo avviene attraverso le strategie di socializzazione cultura-
le ossia tutte quelle opportunit che i genitori adottivi offrono ai loro figli
affinch possano acquisire identificazioni positive associate a riferimenti
culturali delle sue origine: lingua, letteratura, cibo, storia, tradizioni, ecc.
165

Si tratta quindi di educare il figlio ad una cultura che non la loro, che non
gli appartiene. Tutto ci implica anche per i genitori adottivi un processo
di conoscenza, di apprendimento e di condivisione di aspetti nuovi.
Inoltre, questo processo di socializzazione culturale, sviluppando co-
noscenze e consapevolezze rispetto alla differenza culturale, conferisce ai
ragazzi lacquisizione di una forma mentis aperta e cosmopolita, che gli
permette di sviluppare strategie (copying) per contenere, proteggersi e af-
frontare eventuali episodi di intolleranza e di discriminazione.
Un contesto familiare che riconosce limportanza del processo di ri-
acquisizione del bagaglio culturale dorigine del proprio figlio aiuter la
sua ricerca.
Se il ragazzo ha sviluppato una adeguata identificazione nazionale che
si traduce in sentimenti di identificazione e inclusione questa sar la base
solida su cui potr includere per potenza e non per sottrazione la sua ori-
gine culturale altra.
Dagli studi condotti da Ferrari e Rosnati (Ferrari, Rosnati, 2006) risul-
terebbero alcune tipologie di legame tra genitori e figli adottati:
a)Famiglie che hanno sviluppato forme di legame in cui ci sono un ri-
conoscimento e una valorizzazione delle differenze, producendo una
sorta di Integrazione biculturale: i figli crescono in un contesto in cui
sperimentano modelli e atteggiamenti che implicano riconoscimento,
accettazione e valorizzazione di entrambi i background culturali.
b)Famiglie in cui le differenze sono state negate o misconosciute, assi-
milando il figlio solo alla propria cultura e trascurando quella del figlio.
Questo atteggiamento potrebbe portare ladottato a non riconoscere e a
rifiutare la propria origine e tutto quello a ci associato, creando conflit-
ti identitari difficile da risolvere.
c)Famiglie il cui legame caratterizzato da uneccessiva insistenza sul-
la differenza, esaltando i background culturali altri, che a volte pu
sconfinare da parte dei genitori adottivi in un movimento inconscio di
distanziamento dalla propria cultura occidentale: ladottato pu non es-
sere aiutato a differenziare e a riconoscere i modelli positivi della cul-
tura del Paese darrivo.
d) Famiglie il cui legame caratterizzato da ideologie filantropiche,
in cui si valorizza la razza umana o una societ senza colore, sen-
za porre particolare attenzione alle differenze, proponendo modelli
positivi a prescindere, misconoscendo le dinamiche sociali basate su
166

appartenenze etniche e culturale. Questa strategia pu ostacolare li-


dentificazione del figlio in uno specifico contesto culturale.

La questione proposta in questi termini, pur aiutandoci a riconoscerne la


specificit, apre ancora una volta interrogativi rispetto alle modalit di
produzione di conoscenza su fenomeni complessi come il legame tra ge-
nitori e figli di origine straniera, in cui sono innumerabili le variabili che
contribuiscono a dare forme alle loro storie e in cui la dimensione affettiva
con tutte le sue dinamiche e sfaccettature ha una sostanziale rilevanza dan-
do genesi a forme di legame inedite e originali.

10.6 La convivenza e le prospettive per i figli daltrove in contesti sem-


pre pi caratterizzati da multietnicit.
L infermiera del reparto polacca, i miei vicini di casa sono rumeni, il
pizzaiolo egiziano, il mio capo giapponese e la psicologa peruvia-
na. Frasi quotidianamente pronunciate che attirano la nostra attenzio-
ne. Il multiculturalismo caratterizza oggi la convivenza quotidiana nelle
citt plurali. Negli spazi comuni si sperimenta la presenza diffusa di per-
sone le cui geografie sono ancora sconosciute e vaghe. Ma cosa sta suc-
cedendo in termini di convivenza nei luoghi diventati di fatto meticci, e
cosa rappresenta questa trasformazione per i figli adottati?
Che implicanze ha per loro vivere in una societ multiculturale, in cui
la differenza a volte carica di problematicit, pregiudizi e stereotipi.
Che effetto ha sul loro processo di ri-acculturazione frequentare luoghi
caratterizzati da interculturalit come ad esempio una classe composta da
ragazzi di varie culture e quindi anche potenzialmente provenienti da luo-
ghi delle sue origini?
Che impatto ha su di loro lincontro con esperienze dinterazione socia-
le fortemente comunicative e connotate da significati in cui viene sempre
richiamata la loro diversit?
Matteo, un ragazzo di Milano di origine togolese, riferendosi al difficile
cammino di ricostruzione della sua identit, dice testualmente:

Per iniziare a scoprire questa identit che ora si mostra come un mosai-
co armonioso, ma la cui composizione si percepisce che ha richiesto pa-
zienza, impegno e anche una buona dose di allenamento per saltare oltre
gli imbarazzismi(Kossi, 2002)una parola che la felice sintesi di un
167

sentimento negato, ma molto diffuso. Il sentimento di chi non vuol sentire


parlare di razzismo, di chi vuole sentirsi buono, ma che nel fondo si nutre
di pregiudizi. Quelli che davanti a una chiesa fanno versare in automati-
co un obolo nelle mani di un ragazzo di colore, senza curarsi che lui non
labbia chiesto e si trovi l solo perch aspetta gli amici. Quelli che allun-
gano il passo, quando per strada a chiedere uninformazione un ragazzo
di colore. Quelli che sono fuori luogo anche quando lintenzione di fare
un complimento: -Ma come parli bene litaliano!

Lintegrazione interculturale passa anche dal riconoscimento della plurali-


t, dal prestare attenzione alle molteplici forme del multiculturalismo quo-
tidiano. Occorre prestare attenzione a quel che accade negli ambiti relazio-
nali, nei luoghi dove si materializzano le pratiche culturali.
In contesti ormai caratterizzati da glocalizzazione e de-territorializza-
zione, le occasioni di incontro offerte durante linfanzia e ladolescenza
ai figli daltrove devono moltiplicarsi, diversificandosi per luoghi e per
situazioni, mescolando linguaggi, abitudini, comportamenti; le conoscen-
ze devono legarsi al passato e al tempo stesso aprirsi ai molti nostri presen-
ti; gli ambienti, percorsi a livello reale e a livello simbolico, devono essere
molteplici e fluidi, preparando i ragazzi ad appartenere a loro stessi, alle
loro origini, alla comunit locale, ma anche, soprattutto, al mondo.

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Capitolo 11

Lingue madri:
lincontro tra la lingua dorigine
e la lingua dadozione
Elena Caniato

11.1 Limpatto del bambino adottivo con la barriera linguistica


Comunicare uno dei bisogni primari avvertiti da chi si trasferisce in un
Paese straniero: una condizione indispensabile per garantire la sopravvi-
venza fisica ma anche quella sociale e psicologica. Al momento dellarrivo
nel nuovo Paese i bambini adottati, conoscendo solo la loro lingua madre,
si trovano di fronte ad unenorme barriera che devono trovare il modo di
abbattere al pi presto.
La situazione di monolinguismo nella lingua materna la condizione
pi diffusa fra i bambini che arrivano in famiglia dopo unadozione inter-
nazionale. Prima del suo inserimento il bambino ha imparato a comuni-
care esclusivamente con la lingua madre che rappresenta per lui il tramite
grazie al quale avvenuta la prima socializzazione e si realizzato il pri-
mo contatto con la sua cultura dappartenenza.
Spesso la famiglia adottiva si prepara ad accogliere il bambino anche
imparando qualche frase della sua lingua. Questo un accorgimento fun-
zionale a superare lemergenza del primo impatto ma non pu essere riso-
lutiva: generalmente i genitori adottivi conoscono la seconda lingua solo a
livello strumentale, senza disporre di riferimenti affettivi, in modo rigido
e povero di sfumature e il bambino rischia di non poter trovare le parole
giuste per esprimere emozioni, sentimenti e stati danimo. Acquisire al pi
presto un codice comune una condizione imprescindibile perch il bam-
bino si possa sentire veramente accolto.
I problemi linguistici che i bambini adottivi devono affrontare sono for-
temente condizionati dal momento in cui essi prendono contatto con il nuo-
vo codice. Favaro (Demetrio, Favaro, 1997) descrive le diverse situazioni
170

in cui i bambini stranieri si possono trovare e le ripercussioni che si verifi-


cano sulla loro competenza linguistica. possibile rileggere le sue indica-
zioni adattandole alla particolare condizione dei bambini adottati.
I bambini stranieri che si inseriscono nel primo anno di vita sono, ov-
viamente, i pi avvantaggiati perch lo sviluppo della nuova lingua avvie-
ne in modo perfettamente naturale.
I bambini che si inseriscono prima dellet scolare si adattano al nuovo
idioma con una certa facilit perch le situazioni linguistiche che condivi-
dono con i compagni della scuola dellinfanzia sono legate allesperienza
concreta e alloralit perci essi hanno lopportunit di familiarizzare con
gli aspetti pi semplici della lingua mentre le competenze linguistiche pi
complesse saranno acquisite in futuro, nel pieno rispetto del naturale svi-
luppo cognitivo.
Se logico, in questi casi, aspettarsi un buono sviluppo della nuova
lingua diverso il destino della prima. Spesso per questa, disinvestita af-
fettivamente e non alimentata dalle interazioni sociali, si verifica una sorta
di amnesia. Si sviluppa in questo caso un bilinguismo sottrattivo in cui la
nuova lingua toglie spazio alla prima fino a causarne labbandono. Eppure
a questa et la nuova lingua potrebbe andare semplicemente a sovrapporsi
a quella materna e il bambino potrebbe sviluppare un bilinguismo additivo
in cui laffiancamento del nuovo idioma non danneggia quello originale
che potrebbe continuare ad essere utilizzato. Le variabili che determinano
luno o laltro esito del bilinguismo dipendono dallatteggiamento della
famiglia e degli insegnanti nei confronti delle due lingue e anche dal vis-
suto del bambino: sentimenti di vergogna per la propria diversit possono
spingere il bambino a maturare un desiderio di mimetismo e a rinnegare
la lingua che prova della sua differenza. Nel caso del bambino adottivo i
ricordi traumatici della prima infanzia legati, molto spesso, a situazione di
abbandono, di deprivazione affettiva e di inserimento in orfanatrofio pos-
sono indurre il bambino a ripudiare completamente la propria lingua do-
rigine per tuffarsi pienamente in quella dadozione.
Quando i bambini stranieri si inseriscono nella scuola primaria, le diffi-
colt di apprendere la nuova lingua si fanno pi consistenti perch il livel-
lo di competenza raggiunto dai coetanei autoctoni gi elevato e il bam-
bino proveniente da un Paese straniero si trova a dover colmare in breve
tempo lacune molto profonde. I bambini adottivi, diversamente da quelli
provenienti da una famiglia migrante, possono godere di una condizione
di vantaggio rispetto allacquisizione della L2 perch i genitori adottivi
171

sono pienamente competenti nelluso della lingua che il bambino sta ac-
quisendo e quindi lo possono supportare e sostenere nellapprendimento.
Non va dimenticato, inoltre, che il bagaglio linguistico di cui il bambino
adottato in et scolare dispone in L1 pi consistente, soprattutto se egli
ha avuto la possibilit di imparare a leggere e a scrivere nelle scuole del
Paese dorigine. Questa condizione, dal punto di vista linguistico, rappre-
senta una risorsa perch luso della lingua madre, in questo casi, ha discre-
te possibilit di essere mantenuto, seppure in forma latente.
Pur essendo una condizione molto remota si pu contemplare la possi-
bilit che un giovane straniero viva il suo primo inserimento nella famiglia
italiana in et pi matura. In questo caso le sue difficolt nel recuperare le
competenze linguistiche in L2 saranno ancora maggiori ma la consape-
volezza sviluppata nelluso della sua lingua madre lo cautelano maggior-
mente dal rischio di perdita del primo codici linguistico. In questo caso
la scelta di tipo consapevole e volontario: ci che il ragazzo pensa della
sua lingua madre e delle esperienze da lui vissute nel Paese di provenien-
za determineranno la sopravvivenza del vecchio codice e luso che di esso
verr fatto.

Favaro (2002) illustra come impadronirsi di una seconda lingua sia un per-
corso molto pi complesso rispetto allimparare una lingua straniera come
comunemente avviene nel contesto scolastico. Le differenze tra lingua se-
conda e lingua straniera si possono scorgere sia nelle modalit di appren-
dimento che negli obiettivi che lapprendente si prefigge.
Le modalit, i ritmi e le condizioni di apprendimento di una seconda
lingua sono diversi da quelli di un percorso di apprendimento di una lin-
gua straniera. Il bambino non italofono che impara la nuova lingua in Italia
si trova in una situazione di apprendimento misto: impara la seconda lin-
gua a scuola in maniera esplicita e intenzionale, come avviene per le lin-
gue straniere, ma nello stesso tempo, come accaduto per la lingua madre,
attraverso un processo implicito e inconscio, a casa si realizza lacquisi-
zione spontanea del nuovo codice e lappropriazione di input che proven-
gono dallambiente e dagli altri.
Lobiettivo che si prefigge chi apprende una lingua seconda non pu
essere solo quello dello sviluppo di una soddisfacente competenza comu-
nicativa e della conoscenza pi o meno approfondita delle principali strut-
ture linguistiche come avviene nel caso di una qualunque lingua stranie-
ra. Ladottato che apprende la lingua del Paese in cui si inserisce deve
172

apprendere ben altro perch essa, dora in poi, sar la lingua in cui avver-
ranno tutte le comunicazioni, sar la lingua della quotidianit, dello studio,
prima, e del lavoro poi e sar, sopra ogni cosa, la lingua degli affetti e delle
emozioni. Il bambino perci dovr abituarsi ad usare la nuova lingua in
molti modi, dovr conoscere le differenze tra la lingua colloquiale e quella
formale, dovr saperla utilizzare in situazioni concrete ma anche per argo-
mentazioni decontestualizzate, dovr imparare a coglierne le sfumature e
a padroneggiare la ricchezza lessicale che pu offrire.
Per tutte queste ragioni il percorso che il bambino adottivo compie allin-
terno del panorama linguistico in cui si sta inoltrando irto di difficolt e
richiede grande attenzione e competenza da parte di chi lo accompagna.

11.2 Lapprendimento della nuova lingua


Le prime ipotesi sullacquisizione della lingua sono state elaborate, attor-
no agli anni50, in base al modello comportamentista. Il bambino imita ci
che sente e se riceve una risposta positiva dallambiente incoraggiato a
fornire in altre circostanze la stessa risposta (Skinner, 1957). Lacquisizio-
ne della seconda lingua, secondo questa impostazione teorica, avviene con
un meccanismo puramente additivo che prevede lintroiezione di nuove
regole e strutture mediante il meccanismo dellimitazione e rinforzo.
Le posizioni sostenute dai comportamentisti furono criticate dalla scuo-
la innatista secondo cui lapprendimento di una lingua consiste in un pro-
cesso creativo sostenuto da un dispositivo innato per lacquisizione lingui-
stica. Cos come il bambino sviluppa le funzioni biologiche in base ad un
codice programmato, altrettanto si pu pensare avvenga per lacquisizione
della competenza linguistica che procede in base ai principi di una Gram-
matica Universale (Chomsky, 1969)
Le teorie ambientaliste hanno messo in evidenza il ruolo dellambiente
e la rilevanza di fattori psico-sociali nella fase di acquisizione di una lin-
gua seconda. La qualit della relazione tra nativi e non si ripercuote im-
mediatamente sullacquisizione linguistica: quanto pi il nuovo arrivato
si sentir accettato dalla societ tanto pi facile per lui sar inserirsi nella
nuova comunit linguistica (Shumann, 1978).
Il filone funzionalista sottolinea come i fattori ambientali interagisca-
no con quelli mentali e cognitivi, questa prospettiva mette in evidenza an-
che il ruolo della funzionalit comunicativa delle strutture linguistiche: se-
condo questo filone di ricerca gli apprendenti procedono nellacquisizione
173

della lingua imparando ad associare le strutture pi frequentemente utiliz-


zate nella lingua alla funzione che esse svolgono. (Slobin, 1971).

Il dibattito teorico non ha permesso di individuare quale di queste pro-


spettive sia maggiormente attendibile. Finora nessun modello stato inte-
ramente confermato o smentito dai dati. Sembra ragionevole attingere da
pi teorie considerandole come prospettive complementari che mettono
in evidenza facce diverse di un fenomeno complesso quale quello dellac-
quisizione linguistica. Un tentativo di operare questo tipo di sintesi si pu
individuare nella formulazione del modello olodinamico di Titone (1996)
secondo cui lattivit linguistica e lapprendimento di una lingua poggia-
no su una struttura stratificata che comprende il livello tattico, responsa-
bile delle abilit linguistiche di base (ascoltare, parlare, leggere, scrivere),
il livello strategico delle operazioni strettamente cognitive (comprendere
analizzare, programmare messaggi, costruire regole grammaticali) e il li-
vello ego-dinamico della coscienza di s che influenza latteggiamento, la
motivazione e il processo decisionale del parlante.

Se lapprendimento di ogni lingua presuppone un livello alto di comples-


sit naturale pensare che imparare una seconda lingua sia un compito
ancora pi complesso. Nigris (1996) descrive il raggiungimento di questo
obiettivo attraverso un percorso di sviluppo di diverse competenze:
Acquisizione del livello fonetico-fonologico della nuova lingua: ca-
pacit di riprodurre i suoni tipici di una lingua e di replicare le curve
intonative della nuova lingua
Acquisizione degli aspetti morfosintattici: capacit di combinare le
parole in modo corretto allinterno delle frasi
Acquisizione del livello semantico-lessicale: conoscenza del signi-
ficato delle parole
Padronanza delle competenze testuali: capacit di comprendere e
produrre testi di tipo diverso che siano formalmente coesi e chiari
nella trasmissione del significato
Assunzione delle competenze pragmatico-comunicative: uso con-
sapevole della lingua per agire sulla realt secondo le proprie inten-
zioni comunicative
Uso sociale-funzionale della lingua: padronanza della lingua per
gestire rapporti interpersonali.
174

Il bambino che apprende una seconda lingua passa necessariamente attra-


verso un percorso evolutivo che comprende diverse tappe: vi una prima
fase di silenzio pi o meno lunga in cui lapprendente concentrato esclu-
sivamente sullascolto, egli tenta di comprendere i messaggi che ritiene
pi importanti, inizia a familiarizzare con i suoni e con i tratti sovraseg-
mentali del nuovo codice come il ritmo e lintonazione, cerca di decodi-
ficare i gesti e il nuovo linguaggio del corpo. Seguono i primi tentativi di
produrre un messaggio in L2. In questa fase il messaggio ancora forte-
mente disturbato, dal punto di vista fonologico, dalle interferenze con la
L1, il parlante ha scarsissime conoscenze sulla grammatica e sulla sintassi
della nuova lingua ma per comunicare e raggiungere il suo scopo si aiu-
ta con il linguaggio non verbale. I primi tentativi di comunicazione sono
formati da parole singole, progressivamente il bambino espander la sua
competenza lessicale e potr fare affidamento su parole chiave che vengo-
no giustapposte le une alle altre, senza preoccuparsi delle variazioni mor-
fologiche. La presa di coscienza degli aspetti morfologici e sintattici della
lingua avviene in un momento successivo e in maniera progressiva: quan-
do il bambino inizia ad interiorizzare una regola tender poi ad applicarla
anche in altri contesti. Con il procedere dellapprendimento la lingua del
parlante si avvicina sempre di pi al modello utilizzato dai nativi nei con-
testi informali e si assiste ad una progressiva complessificazione del siste-
ma a partire da alcune forme basiche usate pi frequentemente.
Per mettere bene in evidenza la complessit delle competenze linguisti-
che che lo straniero deve raggiungere per lavorare alla pari con i compagni
autoctoni pu essere utile prendere in considerazione la distinzione che
Cummins (1989) propone tra:
Basic interpersonal comunication skills (BICS) competenze neces-
sarie per interagire nella quotidianit
Cognitive academic language proficiency (CALP) competenze ne-
cessarie per svolgere compiti complessi come studiare diverse di-
scipline e utilizzare linguaggi specifici e settoriali

La difficolt di raggiungere questi obiettivi aumentata dal fatto che il


bambino straniero deve farvi fronte quasi contemporaneamente, al con-
trario dei nativi che, invece, hanno avuto anni di tempo per sviluppare le
competenze di base e sono arrivati a scuola pronti a confrontarsi con gli
aspetti pi complessi della lingua.
175

Negli ultimi anni la ricerca si concentrata sullo studio delle cosiddette


inter-lingue. Con questo termine, introdotto per la prima volta da Selinker
(1972), si intendono tutte le forme di comunicazione imperfette che usa-
no coloro che stanno imparando una lingua seconda: queste lingue sono
caratterizzate da frequenti errori e da lacune rispetto alla lingua parlata dai
nativi ma analizzandole si possono individuare le regole che le supporta-
no, frutto delle ipotesi che gli stranieri elaborano sulla lingua che stanno
apprendendo. Le inter-lingue sono, dunque, in costante evoluzione, sog-
gette alle correzioni che gli stessi apprendisti effettuano in base alle loro
osservazioni, ricavate dal confronto che essi operano con la lingua usata
dai nativi. Il concetto di interlingua assegna allerrore un interessante si-
gnificato: esso il risultato di un tentativo di applicare la regola che attiva-
mente il soggetto sta cercando di desumere. Sembra che in ciascuna lingua
siano rintracciabili specifiche caratteristiche facilmente individuate dagli
apprendenti. Essi iniziano a costruire la loro interlingua proprio a partire
da queste prime acquisizioni, piuttosto che in base alle regole gi apprese
per la L1. comunque innegabile che questultima eserciti una certa in-
fluenza sul processo di acquisizione della nuova lingua. Questo influsso
interlinguistico non si realizza in modo meccanico ma come riferimento
per orientarsi nellesplorazione del nuovo codice e incide sulla velocit di
acquisizione della lingua pi che sulle modalit con cui si apprende. Lin-
fluenza della lingua madre sulla seconda lingua pu avvenire a tutti i li-
velli dellinterlingua ma le probabilit che il transfert si verifichi seguono
una scala decrescente che parte dalla fonologia per arrivare al lessico, alla
sintassi e per ultima alla morfologia. I fenomeni di transfert sono possibi-
li, per, solo se la distanza tipologica tra L1 e L2 ridotta. Al contrario,
quando la distanza tipologica tra le lingue eccessiva, questo pu ritardare
lacquisizione della L2.

Come in ogni forma di apprendimento, anche per l'acquisizione della lin-


gua seconda, giocano un ruolo molto forte i fattori affettivi che agiscono
sulla motivazione. Lapproccio con una nuova lingua pu essere investi-
to di emozioni positive o negative in base a come il nuovo arrivato vive
questa esperienza e ai suoi progetti futuri. A riguardo Schumann (1978)
suggerisce di prendere in considerazione la permeabilit dellego cio il
grado di flessibilit che si percepisce dei propri confini tra s e gli altri.
Rispetto a questo fattore incide molto la variabile dellet: bambini e ra-
gazzi, con una personalit ancora in formazione dimostrano di avere una
176

permeabilit maggiore rispetto a giovani e adulti che invece hanno gi svi-


luppato confini pi stabili rispetto al mondo esterno.
Il fattore et, del resto, anche connesso alla plasticit neurologica: se
lacquisizione della lingua dipende dal processo di lateralizzazione degli
emisferi cerebrali allora, una volta completato questo processo, lacquisi-
zione della lingua non pi ottimale. Linfluenza dello sviluppo neuronale
gioca a sfavore soprattutto dellefficienza in ambito fonologico e morfolo-
gico. Favaro (2002) riferisce che alcuni studi hanno ipotizzato lesistenza
di una fase critica per lacquisizione della lingua compresa tra gli 8 e i 12
anni. In questo caso la brusca interruzione dello sviluppo della L1 tende a
ripercuotersi sulla L2 il cui apprendimento tarda a consolidarsi, i bambini
che vengono esposti alla seconda lingua in questo periodo corrono il ri-
schio di sviluppare un semilinguismo che non consente loro di essere pie-
namente competenti n usando la L1 n usando la L2.
Altri tratti individuali che sono stati correlati positivamente con lac-
quisizione della L2 sono la stima di s, lestroversione, un buon grado di
tolleranza dellansia e dellimperfezione e una certa disponibilit ad as-
sumere dei rischi. Tra le teorie che aiutano a comprendere linfluenza di
fattori psicologici sullo sviluppo della competenza linguistica non si pu
tralasciare il concetto di filtro affettivo di Krashen (1982) che seleziona i
dati in entrata, influenza la velocit di acquisizione della competenza lin-
guistica e condiziona la produzione linguistica, determinando il passaggio
da una modalit informale orientata alla comunicazione ad unespressione
pi attenta alla correttezza formale e viceversa.
Questultima ipotesi di Krashen ci introduce in unaltra tipologia di fat-
tori che condizionano lacquisizione della lingua: i fattori cognitivi. Le
strategie di processazione del linguaggio e di organizzazione delle infor-
mazioni, come quelle suggerite dalla teoria del monitor (Krashen, 1982),
sono fortemente implicate nel determinare la capacit di apprendimento.
La capacit di ragionare in astratto e lassunzione di competenze metalin-
guistiche permette di affrontare meglio lapproccio ad una nuova lingua
grazie alla possibilit di utilizzare le regole grammaticali apprese per la
L1 per orientarsi nel primo impatto con la L2. Anche dal punto di vista
cognitivo sono stati individuati dei fattori individuali che possono condi-
zionare lapprendimento. Un soggetto che adotta preferibilmente un ap-
proccio globale si dimostra dipendente dal campo, si rivela interessato agli
interlocutori ed competente dal punto di vista pragmatico mentre chi
predilige un approccio analitico e si dimostra indipendente dal contesto
177

pi efficiente nellapprendimento. Alcuni apprendenti sono pi attenti


alla correttezza grammaticale mentre altri sono pi attenti alla relazione
comunicativa. Viste le implicazioni dello sviluppo cognitivo sullappren-
dimento di una nuova lingua risulta evidente che la qualit del percorso
scolastico compiuto nellepoca precedente allarrivo in Italia dal bambi-
no adottivo sia un elemento significativo. Il bambino straniero che arriva
con una scolarit coerente con la propria et anagrafica avr sviluppato
delle competenze, delle abilit e dei saperi relativi alla lingua dorigine, e
non solo, che potranno essergli molto utili per lapprendimento della L2,
il bambino sotto scolarizzato o addirittura non scolarizzato non disporr,
invece, di questo patrimonio.

11.3 Il difficile dialogo tra lingua madre e lingua di adozione


Individuate le difficolt da affrontare nellapproccio alla nuova lingua re-
sta da interrogarsi sul che fare della lingua dorigine una volta acquisita
quella dadozione.
Il sistema scolastico italiano, in cui il bambino adottato si inserisce,
monolingue e tende a stigmatizzare le commistioni e la mescolanza dei
codici come errori mentre potrebbero essere interpretate come modalit
di trasmissione di informazioni specifiche, segni di intimit, espressione
di emozioni e sentimenti. Per questo motivo generalmente nel contesto
scolastico e in qualche caso anche in quello familiare la maggior parte
dei bambini stranieri viene incoraggiata ad utilizzare come unico codice
la lingua italiana. Contrariamente a ci che avviene in Italia la condizio-
ne di bilinguismo o plurilinguismo la pi diffusa nel mondo. Dagli anni
sessanta questa condizione stata rivalutata dalla comunit scientifica che
ha iniziato a considerare il bilinguismo come un arricchimento. A questo
riguardo Renzo Titone afferma la possibilit che ha il bilingue di apertu-
ra mentale e affettiva, sul piano sociale culturale letterario politico, ecc.,
dovrebbero , come fondato argomentare, sviluppare in lui una persona-
lit pi ricca, pi libera, pi equilibrata e integrata.. (Titone, 1972) Gli
individui bilingui dimostrano di avere abilit metalinguistiche superiori e
comprendono pi agevolmente il punto di vista degli altri, sono in grado
di sviluppare pi facilmente un pensiero divergente e creativo e di com-
piere ragionamenti astratti. La frequentazione di una persona bilingue in
contesto scolastico (mediatore culturale) o extra scolastico, che gestisce
con successo i due codici linguistici, costituisce un modello positivo per il
178

bambino che comprende come lapprendimento di una nuova lingua non


deve essere vissuto come una minaccia alla propria identit o come motivo
di sradicamento dalla propria cultura dorigine. Tutte queste considerazio-
ni valgono anche per i bambini adottivi, la loro storia particolare spinge ad
analizzare con maggior profondit le implicazioni affettive connesse alla
questione linguistica.
Le implicazioni di tipo affettivo e culturale nellapprendimento da parte
di un bambino adottivo della sua seconda lingua sono molto pi profonde e
dense di quelle che animano lapprendimento di una qualunque lingua stra-
niera. Per i bambini adottivi spesso la lingua del Paese ospitante si carica di
significati positivi, li attira perch permette di entrare nel gruppo, di abitare
un nuovo mondo ricco di potenzialit, di sentirsi pienamente parte della fa-
miglia in cui arrivano. Ma abbandonarsi ad essa senza curarsi della lingua
che ci si lasca alle spalle non facile e, probabilmente, neppure opportuno.

Apprendere una lingua significa anche interiorizzare dei comportamenti,


dei valori e dei riferimenti impliciti, dei modi di essere, di pensare e di rap-
presentare il mondo. Possedere il nuovo codice, entrare a far parte della
nuova comunit linguistica significa condividere con essa le metafore e i
riferimenti culturali. Per dirla con Bateson (1972) ogni comunit lingui-
stica condivide unecologia della mente che permette a ciascuno di inter-
pretare il contesto a partire da significati impliciti condivisi. La lingua so-
stiene alla base i meccanismi del sistema di pensiero, apprenderne unaltra
ed esserne immersi in maniera cos massiccia comporta uno spaesamento
anche cognitivo, davvero notevole.
Imparare una seconda lingua significa abitare la nuova lingua: i suo-
ni e il ritmo, i riferimenti espliciti e impliciti, le radici e la memoria nelle
quali essa fonda e lidea del mondo che propone. Naturalmente, non in
maniera passiva, ma vivificando il percorso di appropriazione della L2
con i propri riferimenti, suoni, significati con il mondo personale interio-
rizzato attraverso le parole della L1. (Favaro, 2002)

Questa riflessione di Favaro tocca un punto assai problematico: il rapporto


tra nuova lingua e lingua madre. Per effetto di un atteggiamento di rifiuto
elaborato dal bambino stesso si assiste sovente a fenomeni di amnesia, di
rifiuto della lingua madre. Un tale atteggiamento mette in crisi il legame
inscindibile tra lingua madre e costruzione dellidentit. Cos si esprime
De Mauro a questo riguardo:
179

Una lingua, voglio dire la lingua materna in cui siamo nati e abbiamo
imparato a orientarci nel mondo, non un guanto, uno strumento usa e
getta. Essa innerva la nostra vita psicologica, i nostri ricordi, associazio-
ni, schemi mentali. Essa apre le vie al consentire con gli altri e le altre che
la parlano ed dunque la trama della nostra vita sociale e di relazione, la
trama, invisibile e forte, dellidentit personale e di gruppo (De Mauro,
1996)

quindi essenziale incoraggiare il bambino a non rinnegare la lingua do-


rigine, importate che questa venga coltivata in modo autentico incorag-
giando il bambino a conoscere le proprie origini culturali senza che questa
curiosit venga vissuta come un tradimento nei confronti della cultura in
cui il bambino si inserito, magari sfruttando le potenzialit della societ
multietnica in cui siamo immersi, stringendo legami di amicizia tra la nuo-
va famiglia ed altre famiglie provenienti dallo stesso Paese da cui proviene
il bambino, in modo che la vecchia lingua possa sopravvivere o addirittura
crescere insieme al nuovo idioma evitando, cos, che luso della prima lin-
gua venga censurata per forzare lo sviluppo della seconda, invece di atten-
derne una nascita per gemmazione.

Bibliografia
Bateson G., Steps to an ecology of mind, San Francisco, Chandler Publishing
Co., 1972.

Chomsky N., The acquisition of syntax in children from 5 to 10, Cambridge,


Mit Press, 1969.

Cummins J., Empowering minority students, Sacramento, California Associa-


tion for Bilingual Education, 1989.

De Mauro T., Introduzione ai libri bilingui della collana I Mappamondi in


De Lourdes Jesus M., Racordai, Roma, Sinnos Editrice, 1996.

Demetrio D., Favaro G., Bambini stranieri a scuola - Accoglienza e didattica


interculturale nella scuola dellinfanzia e nella scuola elementare, Firenze,
La Nuova Italia, 1997.
180

Favaro G., Insegnare litaliano agli alunni stranieri, Milano, La Nuova Italia,
2002.

Krashen S.D., Principles and practice in second language acquisition, Ox-


ford, Pergamon Press, 1982.

Nigris E. (ed.), Educazione interculturale, Milano, Bruno Mondadori, 1996.

Schumann J., The pidginization process: a model for second language acqui-
sition, Rowley Mass., Newbury House, 1978.

Selinker L., Interlanguage, in International Review of Applied Linguistics


10, 3, 1972, pp. 209-231.

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Slobin D. I., Psycholinguistics, Glenview, Scott Foresman & C., 1971.

Titone R. (ed), La personalit bilingue, Milano, Studi Bompiani, 1996.

Titone R., Bilinguismo precoce ed educazione bilingue, Roma, Armando Edi-


tore, 1972.
Conclusioni
Dal contenitore indifferenziato
al gruppo contenitivo
Giuliana Ziliotto

scritto molto poeticamente nel Talmud: Una madre come una sorgen-
te di montagna che nutre lalbero alle sue radici, ma una donna che diventa
madre del bimbo partorito da unaltra donna come lacqua che evapora
fino a diventare nuvola e viaggia per lunghe distanze per nutrire un albero
solo nel deserto.
Ma all'incontro quella madre e quel bambino non arrivano soli: ciascu-
no si porta dentro legami sociali, familiari, affettivi, legami solidi o precari
o falliti, vicende di vita che, avendo lasciato una traccia indelebile nellor-
ganizzazione del proprio mondo interno, influenzeranno il nuovo incontro,
la possibilit di nutrire e di essere nutriti.
A quell'incontro ciascuno si porta dentro, una matassa aggrovigliata,
nodi difficili da sbrogliare, complessit disorientanti spesso, queste s, vis-
sute in solitudine.
Un bambino adottato non ha semplicemente dentro di s vuoti di cure
fisiche, vuoti relazionali ed emotivi da riempire. Non una tabula rasa, un
bambino inesistente da ricostruire.
Frequentemente ha dentro di s frammenti di esperienze passate tra-
scorsi in istituti o in famiglie spezzate, esperienze che hanno portato a una
difficolt nella costruzione dei legami di attaccamento.
Una mancanza di fiducia di base, legami di attaccamento insicuri, o di-
sorganizzati, non permettono al bambino di poter assorbire dall'ambien-
te e dalla nuova famiglia quel nutrimento necessario ad una sua crescita
armonica.
Anche un genitore del resto pu aver vissuto profonde frustrazioni che
lo portano, contemporaneamente desiderante e ferito, al nuovo incontro.
Cos dopo il faticoso percorso verso l'adozione, dopo le indecisioni, i
182

dubbi, le incertezze, la scelta, le valutazioni, le pratiche, in alcuni casi i


viaggi, arriva il momento del temuto e desiderato incontro che aprir nuo-
vi orizzonti e nuove esplorazioni.
La nuova realt post adottiva pu riparare, sanare o almeno lenire le fe-
rite del passato?
Un bambino passa cos, nel post adozione, da un contenitore pi o meno
affettivo, indifferenziato, ad un gruppo familiare pi contenitivo dove vie-
ne, forse per la prima volta, riconosciuto il suo valore e il valore degli
adulti che si occupano di lui, ora non pi intercambiabili, come poteva av-
venire invece negli istituti o comunit infantili precedentemente ospitanti.
Anche ladulto, diventato genitore, in alcuni casi per la prima volta, tro-
va nuovi riconoscimenti e responsabilit sia sul piano pratico che affettivo.
Il gruppo familiare, con il nuovo arrivo, deve riposizionare, al suo
interno i ruoli, ritrovando una nuova integrazione e coesione. Contempo-
raneamente la nuova famiglia si apre al sociale.
Possiamo , a ben vedere, ricorrere allimmagine della matrioska: il
bambino adottato entra in un nuovo, diverso contenitore familiare che, a
sua volta, contenuto dalla comunit sociale pi ampia. Il bambino vive
nella nuova famiglia ed entra in nuovi gruppi scolastici, sportivi, ricreati-
vi; la famiglia adottante entra in nuove reti istituzionali o amicali.
Dallottica duale madre-figlio si pu cos passare a quella gruppale ,
bambino-famiglia- comunit.
Il gruppo familiare diventa uno spazio affettivo e trasformativo tra il
mondo interno individuale e il sociale, un luogo privilegiato per mettere in
atto processi di apprendimento emotivo, a promuovere il cambiamento e
quindi anche a lenire, se non riparare, ferite antiche.
Le funzioni emotive della nuova famiglia potranno incidere fortemente
sulla formazione del carattere del nuovo figlio nella misura in cui riusci-
ranno a rendergli tollerabile e a modulare il suo disagio.
La nuova famiglia potr generare amore, creando un clima di fiducia e
di sicurezza, potr infondere speranza creando un clima di ottimismo, po-
tr aiutare ad usare il pensiero per affrontare disagi e difficolt anzich gli
agiti e gli evitamenti.
Ma, come ogni gruppo, talvolta anche la famiglia potr attraversare
momenti di difficolt e diventare poco incisiva nel modulare i propri di-
sagi emotivi e di conseguenza anche quelli del nuovo figlio. I momenti di
frustrazione potrebbero portare la famiglia ad un uso di funzioni emotive
meno costruttive. Si potrebbe cos respirare nel gruppo familiare un clima
183

di pessimismo, di insicurezza, di panico che potrebbe anche portare a bu-


gie, non detti, alla formazione di capri espiatori.
Quando il gruppo familiare si trova in difficolt nel modulare, in modo
tollerabile, la propria sofferenza e quella del nuovo figlio, sperimenta sen-
timenti anche di dolorosa solitudine.
Ricerche recenti hanno evidenziato come molti fallimenti post adottivi
dipendano proprio dalla mancanza di reti amicali e professionali di sup-
porto al momento del nuovo incontro.
Anche il gruppo familiare deve, a sua volta, trovare un contenimento
nelle situazioni di difficolt.
La comunit di appartenenza diventa fondamentale per fornire un sup-
porto istituzionale, professionale o amicale al gruppo familiare.
Le caratteristiche della comunit diventano rilevanti: una comunit
che sa essere tollerante, sostenente, una comunit che non punta subito il
dito su quei membri che non interpretano subito bene il ruolo loro asse-
gnato, potr essere di grande aiuto.
Fanno parte della comunit, in questo caso, listituzione scolastica, le
organizzazioni che si occupano di attivit sportive, artistiche e del tempo
libero, e anche la rete di professionisti che operano, privatamente o nei
servizi pubblici, nellambito del benessere fisico e psicologico.
Questo libro ha evidenziato che ladozione, e soprattutto il post adozio-
ne, sono temi complessi, dalle multiformi sfaccettature e variabili, attorno
ai quali molte discipline psicologiche, mediche e pedagogiche sono chia-
mate ad operare.
In particolare all'interno della stessa psicologia diventa un'area di com-
petenza multidisciplinare: vari settori della psicologia si devono interfac-
ciare ed integrare.
La comunit degli psicologi dunque deve saper fare la sua parte.
Professionisti che si occupano di psicologia dell'et evolutiva, psicolo-
gia scolastica, psicologia dell'apprendimento, psicotraumatologia, psico-
logia sociale, psicologia gruppale, etnopsicologia, psicoterapia individua-
le, di gruppo e familiare, devono saper collaborare.
Non sempre una soluzione efficace pu essere elaborata in un ambito
cos complesso da un unico specialista.
Un gruppo di psicologi e psicoterapeuti, con competenze trasversali,
prendendo in considerazione contemporaneamente le diverse angolature
della situazione, pu organizzare un intervento sinergico, affrontando pi
efficacemente la complessit.
184

Anche gli psicologi dunque devono sapersi porre in rete per costruire un
vero e proprio gruppo di lavoro, un team efficiente ed efficace di supporto
a quei gruppi familiari che, con generosit, hanno scelto di aiutare e nutrire
quellalbero solo nel deserto.
Autori

Marisa Bono, pedagogista, psicologa perfezionata in psicopatologia


dell'apprendimento, docente di scuola primaria. Componente del direttivo
AIRIPA (Associazione Italiana in psicopatologia dell'Apprendimento) re-
gione Piemonte. Autrice di numerosi articoli sui temi del DSA e della DI-
SPRASSIA. Curatrice per la versione italiana del libro Il bambino dispras-
sico Ed. Erickson, Presidente Associazione Attivalamentee il Corpo,

Elena Caniato, psicologa, specializzanda in psicoterapia espressiva e arte


terapia. Si occupa, in ambito scolastico, dell'inserimento dei bambini stra-
nieri sia per quanto riguarda l'apprendimento dell'italiano come L2, sia per
quanto riguarda la valorizzazione della loro cultura d'origine.

Luz Crdenas, psicologa, specializzata in psico-sociologia svolge inter-


venti individuali su tematiche inerenti i processi di transculturazione e di
cambiamento. A livello collettivo, si occupa di conduzione di gruppi, di
formazione e di consulenza in Italia e allestero. Svolge interventi nell'am-
bito della progettazione sociale presso servizi alla persona in contesti edu-
cativi, socio-assistenziali, sanitari e di volontariato.

Marta Casonato, psicologa, ha conseguito il dottorato di ricerca presso


le Universit di Torino e di Losanna con una tesi sullattaccamento nelle
famiglie adottive. Autrice di pubblicazioni internazionali, collabora con
lAgenzia Regionale Adozioni Internazionali, per la quale stata respon-
sabile scientifico del convegno nazionale Connessioni: leg@mi adottivi
ai tempi di internet.

Fabiola De Paoli, psicologa-psicoterapeuta, dal 2007 consulente Equipe


Sovrazonale per le Adozioni Nazionali e Internazioni della Provincia di
Novara-area sud, Referente gruppo adozione-associazione Attivalamen-
te... e il corpo, co-autrice del libro Il bambino Creativo (2011) Edizioni
RED e, in questa stessa collana, del libro Attivit Fisica e sport come ele-
menti di educazione e formazione dei giovani (2014).
186

Mimma Della Cagnoletta, psicologa, psicoanalista, formatasi come arte


terapeuta (Master of Professional Studies in Art Therapy and Creative De-
velopment) al Pratt Institute di New York con A. Robbins, co-fondatrice
e presidente dell'Associazione Art Therapy Italiana, direttore della For-
mazione Avanzata, formatrice e supervisore clinico, docente universitario,
responsabile del Coordinamento Clinico sullAdozione di Art Therapy
Italiana.

Barbara Di Virgilio, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in Psico-


terapia Breve Strategica, terapeuta EMDR. Esercita la libera professione
in Provincia di Novara e Varese. Ha maturato particolare esperienza negli
ambiti delladozione e della tutela allinfanzia. Consulente e formatrice
per Scuole, Associazioni e Servizi del territorio dellEquipe Sovrazonale
per le adozioni nazionali e internazionali della Provincia di Novara, Zona
Nord.

Anna Ogliari: Universit Vita Salute San Raffaele. Professore Associa-


to di Psicologia Clinica
Aree di Ricerca: Psicologia dello sviluppo normale e patologico con parti-
colare attenzione allinterazione tra elementi ambientali e genetici nellin-
fluenzare le manifestazioni psicopatologiche.

Raffaella Pasquale, pedagogista, psicologa e psicoterapeuta ad orienta-


mento psicoanalitico. Promuove e gestisce percorsi formativi sia per in-
segnanti che per psicologi,. Vice Presidente Associazione Attivalamente
e il Corpo.

Alessia Pecoraro, psicologa e psicoterapeuta Practitioner EMDR; specia-


lista in Psicoterapia Cognitiva dellinfanzia e delladolescenza-Attacca-
mento e Sviluppo. Esercita la libera professione nelle Province del VCO,
Novara e Varese. Membro del GdL di Psicologia dellemergenza e Psico-
traumatologia del P.I. di Novara dellO.P.P.

Anna Pigatto, idrochinesiologa certificata. Referente del servizio Idrochi-


nesiologia percorso nascita, Centro Inacqua Alcarotti, Novara. Referente
del progetto "Idrochinesiologia come sostegno alla genitorialit adottiva"
in collaborazione con Equipe sovrazonale per le Adozioni Nazionali e In-
ternazioni per la Provincia di Novara - area sud.
187

Paola Piola, psicologa e psicoterapeuta, svolge lattivit professiona-


le presso il suo studio di Vercelli. Laureata presso le Universit di Tori-
no e Padova si formata negli orientamenti psicoterapeutici Sistemico e
EMDR. stata Dirigente psicologo nei Sevizi per linfanzia dellAsl di
Vercelli e referente dellEquipe multidisciplinare per labuso allinfanzia.
specializzata in Psicologia dello Sport e Supervisore in terapia EMDR.

Laura Pisoni, psicologa e psicoterapeuta familiare. Lavora da molti anni


come psicologa in ambito sociale e scolastico, in particolare presso il Ser-
vizio di psicologia scolastica per Azienda Sociale consortile del castanese.
Collabora con diverse strutture del privato sociale, occupandosi in partico-
lare della presa in carico di situazioni complesse e dinterventi rivolti alle
famiglie adottive a rischio di fallimento adottivo.

Fulvia Pitto, psicologa, specializzata in psicoterapia psicoanalitica delle-


t evolutiva con una formazione specifica in psicologia transculturale. Ap-
profondisce le tematiche riguardanti la migrazione partecipando a progetti
ed iniziative territoriali e dedicando particolare attenzione agli aspetti le-
gati alla gravidanza, alla maternit e alle pratiche di accudimento in con-
testo migratorio.

Claudia Rampi, psicologa e psicoterapeuta, esperta in psicotraumatolo-


gia. Practitioner Somatic Experiencing e EMDR, Sensorimotor Psycho-
therapist liv. I. Assistente nei training di Somatic e Sensorimotor. Respon-
sabile del Gdl di Psicologia dellEmergenza e Psicotraumatologia del P.I.
di Novara dellO.P.P. Referente del gruppo di Mindfulness Essere Pace
Novara. Collabora con ANFAA.

Anna Stroppa, psicologa e psicoterapeuta, terapeuta EMDR, da pi di 15


anni collabora con ANFAA, sezione di Novara e del Piemonte Orientale.
Svolge attivit clinica e di consulenza in ambito pubblico e privato, ope-
rando principalmente nell'area della psicologia dell'et evolutiva, scolasti-
ca e della psicotraumatologia. Coordinatrice P.I. di Novara, Ordine degli
Psicologi del Piemonte.

Angelica Zavettieri, arte terapeuta, diploma in Arte Terapia presso il Cor-


so Quadriennale di Art Therapy Italiana, Postgraduate Diploma in Art
Psychotherapy del Goldsmiths College University of London, Docente e
188

Supervisore in formazione presso Art Therapy Italiana, iscritta Apiart (As-


sociazione Professionale Italiana Arte Terapeuti), autrice di diverse pub-
blicazioni nel campo dellarte terapia.

Giuliana Ziliotto, psicologa, psicoterapeuta individuale e di gruppo.


S.S.v.d.O. Psicologa Clincia A.O.U. Maggiore della Carit. Docente di
psicologia dello sviluppo e in Psicoterapia di Gruppo nelle Scuole di Spe-
cializzazione in Psicoterapia COIRAG e AREA G. Docente di Psicologia
Clinica e Psicologia dello sviluppo alle lauree sanitarie dellUniversit del
Piemonte Orientale.
Collana di Psicologia "Legami in Rete"

Giuliana Ziliotto (a cura di), Il lavoro di gruppo. Una risorsa per


listituzione, 2011

Ordine degli Psicologi del Piemonte - Punto informativo di Novara (a cura


di), Attivit Fisica e Sport come elementi di educazione e formazione dei
giovani, 2014

Mirella Garda, Carla Ortona, Tiziana Tauselli, Francisca Vairo Scaramuzza,


L'infranto, 2015
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Febbraio 2016

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