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GIOVANNI PLATANIA

COSTELLAZIONI E MITI

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E-BOOKS BIBLIOPOLIS

1
GIOVANNI PLATANIA

COSTELLAZIONI E MITI

BIBLIOPOLIS
Propriet letteraria riservata

Copyright 2008
by Bibliopolis, edizioni di filosofia e scienze
Napoli, Via Arangio Ruiz 83
http://www.bibliopolis.biz e-mail: info@bibliopolis.biz
INDICE

Prefazione 9

Prima Parte

Tra astronomia e mitologia. Brevi linee generali 15


La Mesopotamia 17
I Maya 25
I Cinesi 29
Gli Egizi 31
Altre Cosmogonie 35
I Greci 41
Astronomia in Grecia 95
L'Astronomia in altri popoli 103
Conclusioni 105

Seconda Parte

Introduzione 109
Orsa Maggiore 111
Orsa Minore 133
Orione 143
Cassiopea, Andromeda, Cefeo 165
Perseo 189
Pegaso 205
Aquila 219
Auriga 233
Boote 243
Cane Maggiore 251
Cane Minore 261
Chioma di Berenice 265
Cigno 285
Corona Boreale 301
Drago 323
Eracle 333
Pleiadi 351
Iadi 361
Serpente 369
Idra 381
Lira, Delfino 391
Ofiuco 409

Costellazioni Zodiacali

Ariete 423
Toro 451
Gemelli 469
Cancro 483
Leone 493
Vergine 509
Bilancia 531
Scorpione 541
Sagittario 555
Capricorno 567
Acquario 579
Pesci 591

Altre Immagini 605


Bibliografia 635
PREFAZIONE

Con questo lavoro ho inteso ricostruire i nessi fra la mito-


logia e le costellazioni, evidenziando i modi in cui, per potersi
orientare con le stelle e riuscire a riconoscerle, il mondo antico
cominci a riunirle in gruppi - le costellazioni - ai quali associ
i suoi miti, le sue leggende ed i suoi di.

Il lavoro diviso in due parti, sostanzialmente differenti


per lunghezza che per contenuto.

Nella prima parte ho trattato delle civilt dove sembra sia


nata l'astronomia e lo studio delle costellazioni: la Mesopota-
mia, l'Egitto, la Grecia. Ho appena accennato alle civilt maia,
inca ed azteca, a quella cinese ed ad alcune antiche civilt afri-
cane.
Particolare interesse ho attribuito alla civilt greca, di cui
ho narrato la cosmogonia e la nascita degli di e degli uomini.
Per gli avvenimenti descritti, ho usato una linea differente
dall'approccio di Baricco nel suo Omero, Iliade. Nella sua af-
fascinante trasposizione dice:

Per quanto i gesti divini tramandino l'incommensurabile che


spesso si affaccia nella vita, l'Iliade mostra un'ostinazione
sorprendente a cercare, comunque, una logica degli eventi che
abbia l'uomo come ultimo artefice. Se quindi si tolgono gli di da
quel testo, quel che resta non tanto un mondo orfano ed
inspiegabile, quanto un'umanissima storia in cui gli uomini
vivono il proprio destino come potrebbero leggere un linguaggio
cifrato di cui conoscono, quasi integralmente, il codice.

Io, invece, ho focalizzato la mia attenzione quasi esclusiva-


mente sulle leggende, in particolare quelle greche, di cui sento
profondamente il fascino, legate in varie forme alla cosmogo-
nia, che hanno per protagonisti gli dei.
10 PREFAZIONE

L'astronomia nell'antica Grecia stata poi trattata con


qualche dettaglio storico per me interessante, e, in effetti, ho
trattato tutto il periodo in cui ha un senso citare l'astronomia
senza l'uso di tecniche moderne quali il telescopio.

La seconda parte riguarda le costellazioni, ma non tutte le


costellazioni esistenti oggi.
Mi sono interessato solo delle principali, ed in particolare
di quelle visibili ai tempi ed alle latitudini dell'antica Grecia e
dell'Egitto, oltre che, naturalmente, alle costellazioni zodiaca-
li.
La scelta dell'emisfero Nord era ovviamente obbligata dal
fatto che per quelle dell'emisfero Sud non esistono miti ad es-
se collegate, perch sono state inventate molto tempo dopo
delle prime.
Nell'analisi delle costellazioni, ho mostrato all'inizio le im-
magini della costellazione stessa, poi alcuni oggetti interessanti
presenti, quali nebulose, ammassi stellari, galassie ed ammassi
di galassie. Ho descritto inoltre alcune caratteristiche delle
stelle delle costellazioni.
Sono poi passato al racconto di alcuni dei miti collegati,
prima di tutto i miti greci, e poi altri miti di altre regioni della
terra.

Bench strettamente correlate, le due parti sono relativa-


mente autonome: per questo motivo, molti dei miti raccontati
nella prima parte sono ripresi in modo esaustivo anche nella
seconda, per consentire al lettore interessato ad una specifica
costellazione, ed ai miti ad essa collegati, di poter cogliere
nessi e suggestioni mitologiche senza fastidiosi rinvii alla pri-
ma parte.
Parte dei miti appartengo a pi costellazioni, e qualche
volta parecchie costellazioni descrivono un solo mito.

Questo lavoro stato realizzato grazie all'aiuto dei molti li-


bri trovati e/o consigliatimi da amici e studiosi di Storia delle
Religioni, archeologi, storici e fisici che ho avuto la possibilit
di incontrare nella mia carriera di astrofisico.
11

Fondamentale stato l'uso di Internet, di cui ho indicato i


siti utilizzati nella bibliografia, e da cui ho tratto tutte le imma-
gini.
Un ringraziamento particolare va alla professoressa Silvana
von Arx per l'aiuto, di metodo e di merito, datomi in tutto
questo periodo di tempo. Senza il suo aiuto il lavoro non sa-
rebbe potuto, non solo terminare, ma anche soltanto iniziare.
Voglio ringraziare anche mia sorella Margherita per aver ri-
letto tutto il lavoro e per avermi dato utilissimi consigli e sug-
gerimenti riguardo tutta la stesura dello stesso.

GIOVANNI PLATANIA
PARTE PRIMA
14 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 15

1. TRA ASTRONOMIA E MITOLOGIA. BREVI LINEE GENERALI

Per potersi orientare con le stelle occorre riuscire a ricono-


scerle, ed questa la ragione per cui si cominci a riunirle in
gruppi - le costellazioni - alle quali gli antichi hanno associato
i loro miti, le loro leggende ed i loro di.

Trasformare un insieme di punti in un diagramma dello


spazio per evocare i personaggi e le cose di una storia un
grande aiuto per la memoria: in un'epoca di trasmissione orale
questo era non solo particolarmente utile, ma anche necessa-
rio. Scriveva Arato (315, 245 a.C.):

qualcuno degli uomini che non esistono pi le osserv [le


stelle] e pens di chiamarle tutte con un nome dopo aver
assegnato loro figure definite.
Infatti, non avrebbe potuto dire il nome di tutte n conoscerlo,
se le avesse considerate una per una.

Per questo egli ritenne opportuno formare gruppi di stelle,
affinch, poste in fila l'una accanto all'altra, definissero delle
figure. E subito le costellazioni ebbero il loro nome, e ora una
stella, sorgendo, non desta pi sorpresa, ma esse appaiono
raggruppate in figure riconoscibili.

Alcune costellazioni, o gruppi di stelle (Orione, le Pleiadi,


le Iadi, l'Orsa Maggiore, Sirio) sono citate gi nell'Iliade, ma
sembra addirittura che fin dal paleolitico (40/50 000 anni fa)
l'uomo guardasse al cielo come ad un immenso palcoscenico
in cui prendevano forma le storie delle divinit. Ne abbiamo
dimostrazione dal culto della Grande Orsa da parte di popoli
che abitavano al di qua e al di l dello stretto di Bering, che al
tempo dell'ultima glaciazione univa, con i suoi ghiacci, Ameri-
ca ed Asia.
Le civilt del passato, dall'America all'Estremo Oriente,
hanno immaginato nelle forme delle costellazioni, di ed eroi,
16 GIOVANNI PLATANIA

potenze cosmiche o semplicemente strumenti e segni trascen-


denti la nostra volont. Cos avvenne in Mesopotamia, dove si
cominci a studiare sistematicamente il cielo inventando
molte delle costellazioni che sarebbero poi state adottate in
Occidente.
La necessit di ordine e di controllo dello spazio celeste si
poteva soddisfare solo delimitando porzioni di cielo e dando
loro dei nomi che suscitassero un senso di sicurezza e di pro-
tezione.
Molti dei nomi attribuiti alle costellazioni sono riferibili ai
Babilonesi (Toro, Gemelli, Sagittario, Scorpione). Quanto
riportato nel poema Phaenomena (Apparenze) da Arato in ter-
mini astronomici corrispondeva infatti pressoch fedelmente
agli astri che si potevano osservare nel cielo alle latitudini di
Babilonia intorno al 2100 a.C.; inoltre stato rinvenuto nella
zona un elenco con tutte le costellazioni collocate nel cielo,
quali noi le conosciamo oggi, con poche differenze.

Un discorso importante sarebbe a questo punto da fare ri-


guardo al significato dei nomi tramandatoci dagli antichi Egi-
ziani e Greci, ma ci porterebbe fuori dal nostro obbiettivo.

Sembra che gi nel Paleolitico Superiore, attorno a 40 000


anni addietro (www.wikipedia.org), l'uomo avesse dato vita ad
un sistema di 25 costellazioni, ripartite in tre gruppi, ricondu-
cibili metaforicamente alle tre dimensioni con cui tutti i popo-
li, da sempre, hanno rappresentato il mondo: il Paradiso, la
Terra e gli Inferi.
Al primo gruppo appartenevano costellazioni riferite al
mondo superiore, ovvero dominato da creature aeree. Queste
costellazioni avevano la maggiore altezza sull'orizzonte.
Il secondo gruppo erano quelle che raggiungevano un'al-
tezza media sull'orizzonte, in realt le costellazioni zodiacali. Il
terzo, invece, conteneva costellazioni relative al mondo infe-
riore, dominato da creature acquatiche, che si trovano colloca-
te per la maggior parte del tempo sotto l'orizzonte.
COSTELLAZIONI E MITI 17

2. LA MESOPOTAMIA

La Mesopotamia era il nome con cui dai Greci era indicata


la regione asiatica compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate. In
quella regione si svilupparono le civilt sumera, assira e babi-
lonese. Spesso ci si riferisce sbrigativamente a quei popoli con
il termine i Babilonesi. opportuno invece tenere presente
che si tratt di tre diverse civilizzazioni, spesso in contrasto tra
loro, pur dotate di caratteri abbastanza simili.
La pi antica civilt
ad affermarsi fu quella
sumera, nelle pianure
meridionali tra i due fiu-
mi. Il nome Sumer, attri-
buito alla regione stessa,
data probabilmente dal-
l'inizio del III millennio
a.C. Lo stesso nome fu
dato anche alla capitale.
All'incirca tra il VI e il
IV millennio a.C. i precedenti primitivi insediamenti fortificati
si trasformarono in vere e proprie citt. Le prime citt sumere
furono Uruk, Adab, Eridu, Isin, Kish, Kullab, Lagash, Larsa,
Nippur e Ur.
Nei testi mesopotamici, Sumer il nome che indica la Ba-
bilonia meridionale, in contrapposizione ad Akkad, che la
Babilonia settentrionale.

Il re di stirpe semitica Sargon I il Grande (2335 - 2279 ca.


a.C.) conquist l'intera regione trasferendo la capitale da Su-
mer ad Akkad. I due gruppi etnici si integrarono fino a forma-
re un unico gruppo etnico e linguistico, che divenne noto con
il nome di Accadi. L'impero stesso acquis il nome composto
di Sumer e Accad.
La dinastia accadica dur circa un secolo. In seguito si eb-
18 GIOVANNI PLATANIA

bero numerose invasioni, intervallate da periodi di ripristino


della sovranit accadica.
All'inizio del II millennio a.C. i territori sumeri furono
progressivamente invasi da nomadi di stirpi semitiche.

L'Assiria fu il nome
della regione situata a
sud dell'attuale confine
tra Turchia e Irak, ma li-
mitatamente alle alte val-
late di Tigri ed Eufrate.
Era gi popolata nel Pa-
leolitico, tuttavia non vi
si ebbero comunit agri-
cole sedentarie fino al
6500a.C.
Nel III millennio a.C. la civilt sumerica fece sentire il suo
influsso anche sull'Assiria, che, dal 2300 a.C. circa fece parte
del regno di Sumer e Akkad. All'inizio del II millennio a.C.,
con il crollo del regno di Sumer e Akkad, anche l'Assiria fu
soggetta a ripetute invasioni. Intorno al 1810 a.C. il re assiro
Shamshiadad I (1813 - 1780) riusc nondimeno ad estendere i
suoi domini fino al Mediterraneo.
Sempre all'inizio del II millennio a. C., dopo la caduta del-
la terza dinastia sumerica, si stabil in Babilonia, una dinastia
Amorrea che, con il suo sesto re, Hammurabi, si afferm sul
regno di Babilonia nel 1760 a.C., ponendo termine al regno di
Sumer e Akkad, e formando un impero che si estendeva dal
Golfo Persico al Mediterraneo. Durante il regno di Hammu-
rabi, il dio Marduk, protettore di Babilonia, venne venerato in
tutta la Mesopotamia. Hammurabi fu anche un grande legisla-
tore: il Codice di Hammurabi (stele del Louvre), uno dei pi
famosi documenti giuridici dell'antichit a noi pervenuti.
Ma a partire dai successori del figlio di Hammurabi, il re-
gno babilonese sub un serio declino. Si ebbero moti di indi-
pendenza da parte di alcune importanti citt babilonesi e i
Cassiti invasero per la prima volta il paese.
Dalla met del dodicesimo secolo fino alla met dell'ottavo
COSTELLAZIONI E MITI 19

secolo a.C. si ebbero una serie di dinastie non notevoli. A que-


sto periodo si fa risalire la serie pi antica dei cosiddetti astro-
labi rettangolari. Verso la fine di quest'epoca gli scribi inco-
minciarono a tenere un'accurata registrazioni di eclissi, a cicli
di diciotto anni.
Il regno di Nabonassar (747 - 733) ha, tuttavia, una grande
importanza per l'astronomia perch alcuni astronomi greci
(diversi secoli dopo) attinsero da questo periodo una gran
messe di dati astronomici che presentavano un alto grado di
precisione.
A partire dal 900 a.C. circa Babilonia cadde sotto l'influen-
za militare e politica del regno di Assiria.

Gli storici fanno riferimento a questo periodo (da circa il


900 a.C. fino all'inizio della dinastia caldea) con il termine di
periodo assiro. L'influenza assira giunse al culmine nel 728
a.C. quando l'Assiria assunse il controllo diretto sul regno di
Babilonia. Come spesso avviene, i conquistatori militari subi-
rono l'influenza della cultura dei conquistati. L'esempio pi
evidente di questa attitudine si ebbe con il re assiro Assurba-
nipal che fece realizzare una sterminata raccolta di testi babi-
lonesi ed assiri sistemandoli in quella che divenne la Biblioteca
di Ninive, scoperta da archeologi inglesi nel 1853. Assurbani-
pal fece anche, tra l'altro, ricostruire il tempio di Esangila in
Babilonia.
In seguito, gli Assiri, lanciatisi in ambiziose campagne mili-
tari, subirono il collasso del loro impero con sorprendente ra-
pidit.
La prima dinastia caldea (detta anche neo-babilonese),
venne fondata nel 625 a.C. dal re Nabopolassar. Durante le di-
nastie caldee la cultura ebbe un nuovo impulso, con beneficio
anche per l'astronomia. A partire da questo periodo datano i
pi antichi diari astronomici che ci sono pervenuti. Questa
astronomia ebbe grande importanza perch ai dati prodotti
durante questo periodo attinsero in un periodo posteriore
astronomi greci. Scrittori greci e romani usarono in seguito il
termine di caldei per indicare astronomi e astrologi di origi-
ne mesopotamica.
20 GIOVANNI PLATANIA

Nel 539 a.C. il regno di Babilonia fu conquistato da Ciro il


Grande, re dei Persiani.
Una generazione dopo, nel 480 - 479 a.C., i Persiani furo-
no sconfitti per mare e per terra dai Greci, e da allora ebbe
inizio la decadenza del regno di Persia.

Durante il periodo persiano si ebbero grandi progressi nel-


l'astronomia babilonese. Il vecchio sistema di riferimento delle
costellazioni zodiacali fu sostituito dall'introduzione dei segni
zodiacali, come caselle di 30 di ampiezza. Nel V secolo a.C. si
ebbe anche l'adozione del ciclo calendariale di 19 anni che i
Greci attribuirono poi all'ateniese Metone. Tale ciclo corri-
sponde a 253 rivoluzioni sinodiche lunari (una rivoluzione si-
nodica lunare l'intervallo di tempo tra due congiunzioni suc-
cessive tra Luna e Sole), dopo le quali le eclissi si ripetono alle
stesse date.
Nel 331 a.C. l'impero babilonese fu conquistato da Ales-
sandro il Grande. Dopo la sua morte a Babilonia, nel 323 a.C.
si ebbe un periodo di guerre per la successione ad Alessandro.
Da questa fase emersero due regni di grande importanza: il
primo fu il regno d'Egitto, sotto la dinastia macedone di Tolo-
meo I. L'altro fu dinastia di Seleuco I, re di Siria, fondatore
della dinastia seleucide.
Il regno di Tolomeo I si protrasse dalla fine del IV secolo
fino alla fine del I secolo a.C. L'ultima dei sovrani macedoni
fu la regina Cleopatra. Nel regno d'Egitto l'astronomia greca
raggiunse la massima espressione.
L'altro grande regno che emerse dopo la morte di Alessan-
dro, regno che si estendeva dai confini d'Egitto ai confini del-
l'India (comprendente quindi anche la Persia e la Mesopota-
mia), fu quello del re Seleuco I.
Seleuco I ne aveva posto la capitale nella nuova citt di Se-
leucia, e ci segn la definitiva decadenza di Babilonia. Men-
tre l'impero seleucide non seppe garantire la stessa coesione
politica e sociale che riusc invece all'impero d'Egitto, l'astro-
nomia sviluppata nel regno seleucide fu invece importante
quanto quella alessandrina. Fu elaborata una teoria planetaria
matematica che consentiva un ottimo grado di precisione nelle
COSTELLAZIONI E MITI 21

previsioni. Il periodo seleucide fu importante anche per il gra-


do notevole di contatti che si ebbero tra astronomi greci e se-
leucidi. La dinastia seleucide riusc a sopravvivere in Siria fino
al 64 a.C., quando cadde per la conquista romana.

L'uso che Ipparco fece di dati tratti da osservazioni babilo-


nesi ampiamente attestato. Alcuni hanno suggerito addirittu-
ra che Ipparco abbia soggiornato in Mesopotamia per appren-
dere i metodi astronomici dei Babilonesi. Altri invece hanno
suggerito che i continui riferimenti ad astronomi caldei in
opere di autori greci e romani, indichino che dovette esistere
nell'antichit un vero e proprio manuale di astronomia babilo-
nese. Infine, altri sono propensi a credere che ci siano stati de-
gli astronomi babilonesi che siano emigrati in Grecia, portan-
do con loro i propri testi e trasmettendo le proprie conoscen-
ze ai Greci. difficile in ogni caso pensare che non ci debba
essere stato del tutto un certo scambio di informazioni, anche
di carattere astronomico, tra le due culture, anche prima delle
guerre persiane.

Gli scopi e i metodi dell'astronomia babilonese furono


molto diversi da quelli dell'astronomia greca. In particolare, i
Babilonesi non mostrarono mai interesse per lo sviluppo di in-
dagini finalizzate alla comprensione della meccanica del co-
smo nel suo complesso. Lo scopo della loro astronomia, per
quanto si sa, fu quello del calcolo aritmetico delle epoche e
delle posizioni di particolari fenomeni astronomici, come i
pleniluni e i noviluni, le eclissi, le epoche di prima e ultima vi-
sibilit dei pianeti, per finalit prettamente astrologiche.
L'Enuma Elish un poema epico babilonese sulla creazio-
ne, che raggiunse la sua forma definitiva intorno al 1500 a.C.
(le parole del titolo sono la traduzione delle prime parole del
testo Quando al di sopra...). Descrive la nascita degli di
con la progressiva conquista del potere supremo da parte di
Marduk-Zeus, che in seguito cre il mondo. Nel poema sono
contenuti anche espliciti riferimenti alla suddivisione del cielo
nelle tre Vie ed altri dati di carattere astronomico, che riguar-
dano la suddivisione dell'anno in mesi a ciascuno dei quali era
22 GIOVANNI PLATANIA

associata una stella (G. de Santillana, H. von Dechend: Il


mulino di Amleto. Abb. Sant).
L'interesse dei Babilonesi per i pianeti fu nella fase iniziale
molto maggiore di quello manifestato dai Greci, probabilmen-
te perch presso i primi gli di associati ai pianeti giocavano
un ruolo maggiore nella religione. Gi nel codice MUL.APIN
(circa 650 a.C.) si ha un compendio di informazioni sui moti
planetari, naturalmente in forma ancora confusa (Sant.).
Ora, gli astronomi babilonesi avevano osservato che Mer-
curio e Venere accompagnavano sempre il Sole scostandosi
da lui di poco, Mercurio di una trentina di gradi, Venere di
circa 45. Ci li port a concludere che i periodi tropici (inter-
vallo di tempo tra due passaggi dei pianeti in un determinato
punto) dei due pianeti inferiori si potevano ritenere esatta-
mente di un anno (appunto come quello del Sole).

Le nostre conoscenze sulle teorie astronomiche Babilonesi


derivano da un complesso di circa 300 tavolette, la maggior
parte delle quali ci pervenne da due siti: Babilonia e Uruk.
Quasi tutto il materiale di Babilonia venne portato alla luce
nel secolo XIX da scavatori locali, che lo vendettero a rappre-
sentanti del British Museum. Parte del materiale proveniente
da Uruk il risultato di scavi tedeschi, condotti negli anni
1912 - 1913. Il materiale di Uruk suddiviso nei musei di
Istanbul, Berlino, Parigi, Chicago e Bagdad. La datazione di
queste tavolette va dal 300 a.C. fino al 50 d.C.
Gli astronomi di Uruk sembrano essere stati molto attivi
all'incirca tra il 220 e il 160 a.C. Invece la maggior parte delle
tavolette di Babilonia appartengono al periodo tra il 170 e il
50 a.C. Ricordiamo che Plinio, nella Storia naturale dice che vi
erano tre scuole di astronomia babilonesi: Babilonia, Uruk e
Sippar. Finora non si avuta alcuna evidenza di ritrovamenti
di carattere astronomico a Sippar.

Le costellazioni che noi conosciamo sono tramandate dalla


tradizione greca classica, ma in realt si pensa che esse siano
molto pi antiche e provenienti originariamente, appunto,
dalla Mesopotamia.
COSTELLAZIONI E MITI 23

Quasi certamente dobbiamo ai Caldei il raggruppamento


delle stelle nelle 12 costellazioni zodiacali.
Bench non abbiano mai raggiunto i progressi fatti pi tar-
di dai greci in campo astronomico, i Caldei li precedettero in
alcune importanti scoperte. Erano in grado, infatti, di predire,
con una certa approssimazione, i moti diretti e retrogradi dei
pianeti, le loro congiunzioni e, soprattutto, erano gi capaci di
calcolare i tempi delle eclissi di Luna.

Nell'astronomia babilonese possiamo distinguere due pe-


riodi: il pi antico, che va dal 4000 a.C. fino alla catastrofe di
Ninive (607 a.C.), e quello relativamente pi moderno che ar-
riva fino al periodo della nascita di Cristo.
Il cielo, per i Babilonesi, era suddiviso in tre parti. La pri-
ma parte il cielo settentrionale, la Strada di Enlin, dio del-
l'aria e delle forze della natura. Poi c' la fascia zodiacale, che
era la Strada di Anu, il padre di tutti gli di. Infine la parte
meridionale che la Strada di Ea (Sant.).
Il primo catalogo stellare babilonese fu scritto su tavolette
circolari risalenti circa al 1100 a.C.
Del primo periodo, come gi detto, si sa pochissimo, solo
che si tratta di nozioni inerenti al culto religioso ed astrologi-
co. Fra le tavolette di argilla ritrovate negli scavi archeologici
ne sono state rinvenute alcune raffiguranti il cielo stellato su
cui erano tracciate le figure di qualche costellazione. Allora il
calendario babilonese era regolato dal novilunio, con 12 mesi
lunari in un anno solare ed un tredicesimo mese in aggiunta di
tanto in tanto, quando lo si riteneva opportuno. Un calendario
luni-solare, quindi, ulteriormente suddiviso in periodi pi bre-
vi corrispondenti alle nostre settimane. L'istante del tramonto
del Sole segnava l'inizio del giorno costituito da dodici inter-
valli detti Kaspu.

Il secondo periodo porta ad un computo pi esatto del


tempo, indispensabile per migliorare la qualit delle osserva-
zioni astronomiche. , infatti, di questo periodo la prima sud-
divisione del cerchio in 360 gradi, come conseguenza del cam-
mino percorso dal Sole nel cielo. La maggiore precisione porta
24 GIOVANNI PLATANIA

ad osservazioni sistematiche e fondate sul calcolo di fenomeni


celesti come le eclissi, la prima delle quali stata registrata dai
caldei il 19 marzo 721 a.C.. Questa ed altre osservazioni di
eclissi lunari vengono usate ancor oggi per i calcoli sul moto
della luna. A tale proposito ai caldei si attribuisce la scoperta
del Ciclo di Saros, una successione di 223 lunazioni secon-
do la quale, ritornando la Luna nella stessa posizione rispetto
ai suoi nodi, al suo perigeo e al Sole, si ripetono nello stesso
ordine le eclissi del ciclo precedente.
Nel periodo attorno al 750 a.C. i babilonesi divisero la
Strada di Anu in 12 segni di uguale grandezza.
Per quel che riguardava i pianeti, i Caldei eseguirono os-
servazioni dei loro moti tra le stelle, studiandone in dettaglio
le stazioni e le retrogradazioni lungo quella che essi chiamava-
no via del Sole, il nostro Zodiaco. In antiche tavolette si tro-
vano spesso menzionati i cinque pianeti visibili ad occhio nu-
do, posizionati rispetto alla Luna, alle stelle o al Sole.
Pur essendo le loro osservazioni esclusivamente rivolte a
previsioni astrologiche, ai caldei va il gran merito di non esser-
si basati solamente sulla loro fantasia, ma su osservazioni cele-
sti sistematiche ed accurate, estese per un gran numero di anni
alla ricerca di una certa periodicit per ogni fenomeno. Essi
comunque non arrivarono mai alla conoscenza della geometria
e della trigonometria, che forse li avrebbe portati a soluzioni
pi rigorose dei vari problemi astronomici.

Attorno al 500 a.C. la cultura babilonese entra in contatto


con la cultura greca e le costellazioni dello zodiaco mesopota-
mico, una volta mescolate con la tradizione greca, danno origi-
ne alle mappe del cielo che noi abbiamo ereditato.
COSTELLAZIONI E MITI 25

3. I MAYA

Dalle iscrizioni rinvenute su monumenti dell'America cen-


trale, possiamo dedurre che alcune popolazioni del Messico,
quali i Maya, sviluppatisi dal II millennio a.C., raggiunsero, tre
millenni dopo, attorno al 900 d.C., un grado di civilt e cultu-
ra paragonabile a quello dei Babilonesi, degli Assiri e degli
Egiziani.
Per queste popolazioni centroamericane l'astronomia era
una scienza particolarmente coltivata. Dopo le ultime scoperte
archeologiche in questo settore all'Universit del Maryland
stato persino creato un centro di archeoastronomia ove astro-
nomi e archeologi lavorano in stretta collaborazione.
Pur non essendo a conoscenza della forma della terra, i
Maya conoscevano le cause delle eclissi, sapevano usare lo
gnomone e sapevano calcolare i momenti dei solstizi e degli
equinozi. A tale proposito si visto come molte delle loro co-
struzioni siano orientate secondo questi punti di fondamentale
importanza per l'astronomia di posizione. Alla base di tali co-
noscenze sta sicuramente il loro progresso in campo matema-
tico: conoscevano, infatti, lo zero ed adottavano la numerazio-
ne posizionale.
I cicli, il ripetersi dei fenomeni astronomici, avevano assun-
to presso i Maya un significato talmente importante che il loro
calendario, ad uso civile e religioso, era esclusivamente basato
sui fenomeni celesti. Esso utilizzava alternativamente l'anno
solare e l'anno di Venere, determinato dalla rivoluzione sino-
dica del pianeta. Questo pianeta era, tra l'altro, divinizzato
perch rappresentava uno dei loro di pi importanti: il ser-
pente piumato Quetzalcoatl.
Anche il Sole e la Luna erano, naturalmente, divinizzati a
tal punto che, presso questi popoli, la superstizione religiosa si
mescolava con le osservazioni astronomiche. Conoscevano
molto bene e seguivano i moti dei cinque pianeti visibili ad oc-
chio nudo e sapevano gi che la Via Lattea era nient'altro che
26 GIOVANNI PLATANIA

un grande ammasso di stelle. In particolare considerazione


erano tenuti dai Maya i punti ove il cerchio mediano della Via
Lattea incontrava la nostra eclittica: era, infatti, rispetto a que-
sti punti, che ricavavano, infatti, i tempi dei fenomeni astrono-
mici, in particolar modo per quel che riguardava i pianeti.
Da alcuni ritrovamenti archeologici nella zona di Palenque,
in Messico, si evince che i Maya avessero, gi cinque secoli
prima di Cristo, adottato un anno formato da 365,242 giorni
(il suo valore odierno di 365,2422 giorni!). Questi erano
compresi in 18 mesi di 20 giorni ciascuno pi un breve mese
addizionale di 5 giorni. Ogni mese aveva un suo nome ed in
esso i giorni erano contati da 0 a 19. Questo computo del tem-
po cos evoluto che in nessun'altra parte della Terra se ne
pu trovare uno altrettanto avanzato fino all'inizio dell'era
moderna.
Fra i vari complessi archeologici, rinvenuti in quella zona,
ve ne sono alcuni veramente singolari che non potevano servi-
re, vista la loro costruzione e collocazione, che per le osserva-
zioni astronomiche. Citiamo, ad esempio, i templi-osservatori
della citt Maya di Uaxactun, dai quali si potevano mirare,
con opportuni punti di riferimento, i luoghi del sorgere e del
tramontare del Sole nei giorni di equinozio e di solstizio. La
torre di Palenque un vero e proprio osservatorio, dalle cui fi-
nestrelle opportunamente collocate si potevano scorgere, negli
istanti del loro sorgere e tramontare, il Sole, la Luna ed il pia-
neta Venere. Ed ancora il Castillio a Chice`n Itza`, il Cara-
cul dalla classica forma a cupola di osservatorio astronomico.

Anche i Maya avevano diviso il cielo in costellazioni.


Importante era il gruppo delle Pleiadi, che essi chiamavano
Tzab, cio i sonagli del serpente. L'Orsa Minore era chia-
mata Yah Balcui Xaman, vale a dire quelle che ruotano attor-
no al Nord, mentre la stella Polare era spesso rappresentata,
nelle iscrizioni, dall'immagine del dio C, una divinit non an-
cora meglio identificata, dalle sembianze scimmiesche. Questa
stella era chiamata Chimal Ek, cio astro del nord o stella
scudo.
I Maya conoscevano anche la costellazione dello Scorpio-
COSTELLAZIONI E MITI 27

ne, che era chiamata Zinaam Ek, la stella scorpione.


Le pi importanti figure cosmiche, soprattutto per il loro
significato mitico, erano le costellazioni Meheu Ek e Ac Ek,
corrispondenti pressappoco ai Gemelli ed ad Orione.
Nella costellazione di Orione, importanti erano le stelle
della cintura rappresentate da una tartaruga, mentre Rigel,
Saiph e le stelle che per noi sono la spada e le gambe, indica-
vano rispettivamente le pietre e le fiamme del focolare sacro. I
Gemelli erano forse rappresentati dalle immagini di due maiali
selvatici.
La Via Lattea, per i Maya, parte dall'orizzonte sud, cio dal
regno degli inferi, e si estende fino alle regioni del nord, ove
vive l'uccello sacro Vacub Caquix, identificato con l'Orsa
Maggiore, chiamata l'albero della vita.
28 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 29

4. I CINESI

L'antica astronomia cinese famosa in tutto il mondo per


l'accuratissima registrazione e la costanza nel tempo delle os-
servazioni celesti; osservazioni talmente precise da costituire
probabilmente la migliore cronaca astronomica dal 2000 a.C.
fino ai nostri giorni.
Di solito abitudine attribuire ai Cinesi grandi ed impor-
tanti conoscenze astronomiche prima ancora del secondo mil-
lennio prima di Cristo, anche se non esiste a tale proposito al-
cun documento o reperto archeologico che provi il loro effet-
tivo progresso prima di tale data.
I loro studi sui moti della Luna e del Sole, compiuti grazie
ad un osservatorio astronomico fatto costruire nel 2608 a.C.
dall'imperatore Hoang-Ti, avevano come scopo principale
quello di elaborare e correggere l'allora carente calendario.
Fra le discipline scientifiche, l'astronomia ha da sempre
avuto un ruolo di primissimo piano. Ci era dovuto al fatto
che i cinesi consideravano l'imperatore una creatura divina
che era al potere per volere del cielo e, di conseguenza, tutti i
fenomeni che si verificavano sulla volta celeste avevano un evi-
dente riscontro sulla Terra, sulle attivit umane e soprattutto
sul comportamento e le decisioni dell'imperatore.
Per questo gli astronomi della corte reale erano responsa-
bili direttamente, con la loro stessa vita, dell'esattezza delle
previsioni delle eclissi o di altri importanti fenomeni celesti
tanto legati alla vita dell'imperatore e della nazione.
Per dare maggiore importanza alla connessione esistente
tra imperatore e avvenimenti celesti, ogni nuovo regnante, ap-
pena salito al trono, era solito cambiare immediatamente in-
nanzitutto la sede dell'osservatorio astronomico imperiale,
portandolo vicino al palazzo della propria citt e, in seguito,
anche le regole che costituivano le basi per la compilazione
del calendario, lasciandovi cos impressa l'impronta del pro-
prio passaggio.
30 GIOVANNI PLATANIA

Come nella maggior parte delle popolazioni antiche, il ca-


lendario cinese era per lo pi un calendario luni-solare rivedu-
to e corretto di dinastia in dinastia.
A parte le osservazioni dei moti della Luna e del Sole, gli
astri pi brillanti del cielo e quindi anche i pi facili da segui-
re, gli astronomi cinesi rivolgevano particolare attenzione ad
avvenimenti come l'apparizione di una cometa, l'esplosione di
una nova (vedi, ad esempio, quella del 1054, cos ben de-
scritta nelle cronache cinesi e che ha dato origine alla famosa
nebulosa del Granchio nella costellazione del Toro), le con-
giunzioni planetarie ed ovviamente le eclissi di Sole e di Luna.
La ripartizione del cielo, come possibile immaginare, era
fatta in modo completamente diverso da quello occidentale,
con piccole costellazioni (circa 250) la pi famosa delle quali
conosciuta anche da noi col nome di costellazione del Drago-
ne (il Drago), divenuta in Cina talmente importante (anche
per la sua vicinanza al polo nord celeste e per il fatto che anti-
camente conteneva la stella polare) da diventare simbolo na-
zionale.
Gli scarsi contatti fra il lontano Oriente e l'Europa, soprat-
tutto per le enormi difficolt di viaggio per raggiungere terre
cos lontane, portarono la due culture ad incontrarsi molto
tardi e ad aumentare il mito di un popolo misterioso e saggio,
capace di grandi invenzioni e che era gi a conoscenza, 6000 e
pi anni prima della nascita di Cristo, dei pi grandi segreti
scientifici.
COSTELLAZIONI E MITI 31

5. GLI EGIZI

All'inizio dell'estate le piogge equatoriali raggiungono le


sorgenti del Nilo bianco e lo scioglimento delle nevi sulle
montagne dell'Abissinia riempie il Nilo azzurro: in questo mo-
do enormi quantit d'acqua fluiscono verso Nord fino a sfo-
ciare nel Mar Mediterraneo e durante i mesi successivi allaga-
no e fertilizzano l'intero Egitto.
La lenta e progressiva trasformazione in deserto delle zone
limitrofe all'invaso del Nilo permise la concentrazione della vi-
ta umana proprio lungo le fertili rive del fiume. In epoca neo-
litica, si potevano gi contare due popolazioni ben distinte,
provenienti da altrettante zone diverse: un primo gruppo di
razza africana, proveniente dal centro dell'Africa, ed un se-
condo di razza mediterranea, dal Nord dell'Africa, cio dalle
regioni che oggi chiamiamo mediorientali. Si formarono cos
due gruppi di civilt: uno si ferm nel Nord del paese, sul
Delta e l cre il primo agglomerato urbano, Merimda. L'altro
gruppo si stabil nel sud, con capoluogo a Tasa. Il popolo egi-
ziano, dunque, era scisso in due gi fin da questa remota epo-
ca, e nonostante la successiva unificazione del paese, soprav-
visse quell'impronta di divisione del territorio in hesep, spe-
cie di macroregioni formate da popolazioni vicine: l'alto Egit-
to ne aveva 22, quello basso 20 (F. A. Mella: L'Egitto dei fa-
raoni).

Questa era l'alba della civilt egiziana, quei tempi che essi
avrebbero chiamato i tempi del dio, quelli in cui sul trono
d'Egitto sedeva il re Osiride, come si pu leggere nei Testi
delle piramidi. Osiride, secondo la leggenda, avrebbe fuso i
due gruppi, ma l'unificazione non sarebbe stata di lunga dura-
ta: bisogner giungere al 3200 a.C. perch si possa parlare pi
propriamente di Storia Egiziana. La storia inizia con il re Nar-
mer, che alcuni vogliono identificare nel mitico re Menes, a
cui si deve la grande impresa dell'unione dei due regni, dopo
32 GIOVANNI PLATANIA

la quale ebbe inizio la prima delle 31 dinastie che si avvicenda-


rono sul trono egiziano fino al 332 a.C, anno della conquista
dell'Egitto da parte di Alessandro Magno. Quest'ultimo, di-
chiarato figlio di Ra, fond la nuova citt di Alessandria che
diventer in breve la capitale culturale del mondo antico. Alla
sua morte ebbe inizio la dinastia dei 15 re Tolomeo, che diede
il via al processo di ellenizzazione del paese.

Molto prima della costruzione delle piramidi, un'antica po-


polazione costru elaborate strutture allineate col Sole e le stel-
le. Megaliti ed anelli di pietra furono eretti circa 7000 anni fa
nella parte meridionale del deserto del Sahara; essi sono i pi
antichi allineamenti finora scoperti ed assomigliano ai megaliti
di Stonehenge e di altre zone europee che furono costruiti
1000 anni dopo. Questo sito si trova nel deserto della Nubia
vicino Nabta.

Secondo gli Egizi, in principio esisteva solo il Caos (Nun),


identificato con l'oceano primordiale in cui viveva Atum, che
sorse dall'acqua ed inizi a splendere sotto forma del Sole
(Ra). Ra gener due figli: Shu, dio dell'aria, e Tefnet, dea del-
l'umidit; da questi nacquero Geb, dio della Terra e Nut, dea
del cielo. I due nacquero uniti strettamente, ma il padre li se-
par sollevando in alto Nut, affinch formasse l'arco del fir-
mamento, e lasci Geb sdraiato sulla schiena cos che diven-
tasse la Terra; Shu rimase poi tra loro perch circolasse Aria
tra Cielo e Terra. Da Tefnet e Shu nacquero Osiride e Seth, e
dalla loro unione nacquero Iside, Neftis ed Horus.
Ra si era stancato di regnare sulla Terra e decise di salire in
cielo; Nun, per aiutarlo, chiam Nut e la trasform in una
mucca, Ra sal sulla sua groppa ma quando Nut si rizz sulle
zampe posteriori si spavent e Shu la sostenne; da allora il cie-
lo viene rappresentato come sostenuto dalla Vacca celeste sot-
to il cui ventre splendono le stelle e che viene attraversato dal-
la barca di Ra nel suo percorso da oriente ad occidente.

Quando un uomo moriva, una piuma di Ma'at, l'ordine co-


smico, simbolo di verit e di giustizia, veniva posta su uno dei
COSTELLAZIONI E MITI 33

piatti di una bilancia usata per pesare il cuore del defunto, du-
rante il giudizio nell'aldil al cospetto di Osiride, dio dei mor-
ti. Se il cuore pesava pi della piuma, l'anima del defunto era
divorata da un mostro con la testa di coccodrillo, altrimenti
era accolta nei Campi di Pace. A tale cerimonia partecipava-
no, oltre alla dea Ma'at, il dio Thot e il dio Anubi, quest'ulti-
mo preposto all'aiuto del defunto.

La pi importante rappresentazione delle costellazioni egi-


zie resta il soffitto del tempio di Hathor a Dendera, con il suo
zodiaco circolare. Risale a pochi decenni prima di Cristo e
mostra chiaramente l'influenza della cultura assiro - babilone-
se filtrata attraverso i Greci. In esso sono disposte le 12 costel-
lazioni zodiacali, che hanno molto probabilmente la loro na-
scita sulle rive del Tigri e dell'Eufrate, circondate dalle costel-
lazioni egizie, e risulta essere la mappa pi completa di tutto il
cielo antico.

Zodiaco di Dendera
34 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 35

6. ALTRE COSMOGONIE

Boscimani

I Boscimani, popolazione dell'Africa meridionale, ritengo-


no che la notte non porti freddo solo per loro, ma anche per il
Sole, descritto come un vecchio dormiglione che vive solitario
in una capanna isolata. Cos, per proteggersi dal freddo, il vec-
chio si tira addosso la sua coperta per stare caldo, ma la coper-
ta vecchia quanto lui ed piena di buchi. per questo che
l'oscurit della notte rotta dalla luce che filtra attraverso i
buchi della coperta, le stelle.
Per i Boscimani, la Luna una divinit maschile creata da
Kaggen, la figura centrale della loro mitologia, che combina in
un unico personaggio un uomo, un mago ed un semidio. Una
notte, per poter vedere al buio, lanci in cielo un suo sandalo
e questo divenne la Luna.
Kaggen anche il creatore dell'eland, una grossa antilope
africana, molto pregiata come selvaggina ma anche, nella con-
siderazione popolare, dotata di poteri magici e sovente pre-
sente nelle pitture e nelle incisioni su roccia.
La Luna piena cos perch le cresciuto un grosso sto-
maco. Allora illumina la Terra, mentre la gente dorme. Quan-
do per il Sole esce all'alba, cos pieno d'invidia che la colpi-
sce con i suoi raggi, che sono coltelli affilati. Cos ogni mattina
taglia via piccoli pezzi dal suo corpo, finch non ne rimane
una sottilissima striscia, la spina dorsale. Da quel piccolo osso
comincia di nuovo a riacquistare la sua vecchia forma fino a
tornare a sconfiggere la notte. Allora il Sole, geloso, l'aggredi-
sce di nuovo e ricomincia il ciclo. Quando la Luna crescente
porta nell'incavo tra i due corni gli spiriti dei morti e le nubi
che a volte la coprono sono in effetti i capelli dei trapassati.
Nella visione cosmogonica boscimana non c' separazione
tra uomo e natura. Dall'intima unione con tutto ci che lo cir-
conda, nasce nell'uomo quella conoscenza profonda delle leg-
36 GIOVANNI PLATANIA

gi che governano il cosmo nelle sue manifestazioni sensibili


che ancora oggi ci affascina e avvince, perch stata in gran
parte perduta nella nostra civilt.
I Bantu prima e gli europei dopo hanno proceduto ad un
sistematico sterminio dei Boscimani considerati pericolosi
animali. La maggior parte dei gruppi originari sono scompar-
si o ridotti a poche decine di individui: attualmente i Boscima-
ni sono nel complesso circa 85000 individui, sull'orlo dell'e-
stinzione culturale. A tutt'oggi anche i nuovi governi africani
non hanno fatto nulla per salvaguardare la sopravvivenza di
questo popolo, anzi! Il loro territorio diventato luogo di ri-
cerca di risorse naturali, effettuate senza tener conto delle
conseguenze che ci potr avere su tale minoranza: costretti
ad abbandonare la terra ed a trasferirsi nelle citt, che consi-
derano luoghi di morte, i Boscimani sono spesso vittime di
malnutrizione e malattie mortali, oltre che di droghe ed alcool.

Il Sole, la Luna e le Stelle occupano un posto preminente


nella cosmogonia dei Boscimani. Non sono entit astratte ed
esterne al contesto in cui vivono, ma sono creature reali, che
in un'altra epoca erano loro stesse uomini e cacciatori e vaga-
vano sulla terra in cerca di selvaggina ed avevano la facolt di
parlare. Nonostante ora risiedano nel cielo, non vengono per-
cepite come distanti e separate, ma piuttosto come parte inte-
grante della stessa famiglia, e come tali vengono trattate con
gentilezza e benevolenza.

Popolazioni Sud-africane

Sulla riva occidentale del lago Turkana, in Kenia, presen-


te un sito, chiamato Namoratunga, eretto nel 300 a.C. dalla
trib dei Borana, dove 19 colonne in pietra sono allineate con
gli azimut della levata di alcune stelle o gruppi di stelle: Alde-
baran, Bellatrix, Saiph, Sirio, Pleiadi, Cintura di Orione,
Triangolo. Nel corso di met dell'anno i mesi sono identificati
con la levata di tali stelle in congiunzione con il novilunio; le
stelle o i gruppi di stelle appaiono successivamente in questo
ordine: Triangolo, Pleiadi, Aldebaran, Bellatrix, Cintura di
COSTELLAZIONI E MITI 37

Orione, Saiph, Sirio. Nella seconda met dell'anno si usa solo


il Triangolo, a cominciare da quando sorge in congiunzione
con la Luna al plenilunio. I mesi seguenti sono identificati at-
traverso la relazione del Triangolo con le fasi della Luna calan-
te. Il calendario che ne deriva, divide un anno di 354 giorni in
12 mesi.

I simboli usati dalle trib di tutta l'Africa per rappresenta-


re oggetti celesti comprendono un cerchio con una croce per
il Sole, un cerchio con un punto per la Luna piena ed una cro-
ce celtica per la luce.

Per una popolazione dello Zambesi, la Luna aveva aspetta-


to che il Sole apparisse dall'altra parte della terra e poi gli ave-
va rubato una parte del suo fuoco. Adirato da questo furto, il
Sole aveva gettato fango sul volto della Luna, cosicch questa
era rimasta coperta di macchie scure. Colma d'odio e di desi-
derio di vendetta, la Luna schizza di fango il Sole, che in con-
seguenza di ci smette di risplendere per varie ore (la notte) o
per pochi minuti (le eclissi).

In un canto di una trib sudafricana si trova un concetto


che ben di rado si trova in comunit antiche:
Ti venerer e girer attorno a te, come fa la Terra con
il Sole

Maori

Le leggende maori si presentano molto simili alle leggende


greche ed egizie, riguardo alla creazione del mondo.
Nella religione maori, Taatoa (l'intimo dell'essere interio-
re) rappresenta l'essere supremo, il capostipite di tutte le di-
vinit, il padrone dell'universo, ed il suo nome pu essere solo
sussurrato. Dalla sua unione con Feii-Feii-Maiterai derivano la
notte ed il crepuscolo, la luce del giorno (entit maschile, Ran-
gi) e la terra (entit femminile, Papa).
In seguito regnarono le tenebre perch Rangi, il cielo, era
strettamente unito a Papa, la terra. I figli, sebbene fossero di-
38 GIOVANNI PLATANIA

venuti molto numerosi, non conoscevano la differenza tra luce


e tenebre poich erano rimasti nascosti nel grembo dei propri
genitori. Cos decisero di separarli, ma nonostante gli sforzi
non ci riuscirono finch non prov Tane-Mahuta, il dio degli
alberi, che facendo leva fra di loro, sollev il Cielo sopra la
Terra. Cos il popolo usc e divenne visibile. I figli rappresen-
tano i dodici di della natura di grado pi elevato, noti com-
plessivamente come Atua. Di questi fanno parte Tangaroa, do-
minatore del mare e dei pesci e capostipite dei capi; Tane-
Mahuta, il signore dei boschi, degli alberi e degli insetti; Tu,
colui che instabile, signore della guerra; Rongo, il dio della
pace e delle piante coltivate; Haumia, signore delle piante sel-
vatiche; Tawhiri, divinit del vento e delle forze della natura.
Le divinit locali come Hina, dea della Luna, dell'aria e del
mare e Atea, dea dello spazio, costituiscono gli Aku. Taaroa si
un anche con la dea dell'aria Ohina e diede vita alle nuvole
rosse, all'arcobaleno e al chiaro di Luna.

Nella mitologia hawaiana il dio del cielo Lono, che an-


che il dio dell'agricoltura, della fertilit e della pace, ed in que-
sta veste legato alle Pleiadi. Il periodo dell'anno a lui dedica-
to il mahahiki, che durava circa quattro mesi ed era annun-
ciato dal sorgere annuale delle Pleiadi al tramonto. In questo
periodo Lono ritornava e portava con s le piogge fertilizzanti
dell'inverno, mentre tutte le normali attivit umane erano so-
spese per potersi dedicare a sport, giochi, canti e danze hula.
Alcune di queste ultime, simboleggiando una copulazione co-
smica, avevano lo scopo di eccitare il dio affinch fertilizzasse
la terra.
Il Sole fu concepito un giorno in cui sua madre si trovava
in un giardino presso il mare quando vide un grande pesce
che si trastullava nell'acqua bassa. Attratta dallo splendore
delle sue squame, entr in acqua e si mise a giocare con lui. Il
pesce era in realt un dio. Qualche tempo dopo la gamba del-
la donna, contro cui esso si era strofinato, cominci a gonfiarsi
e a dolere, e quando il marito incise il rigonfiamento ne balz
fuori un bambino, Dudugera. Crescendo, l'aggressivit di Du-
dugera incuteva timore negli altri ragazzi, che avevano paura
COSTELLAZIONI E MITI 39

di giocare con lui, e suscitava una tale avversione che venne


gravemente minacciato. La madre, per metterlo al sicuro, de-
cise allora di inviarlo a suo padre. Scese dunque al mare ed il
dio pesce comparve, prese in bocca suo figlio e si allontan
verso oriente. Prima di essere portato via, Dudugera racco-
mand alla madre di rifugiarsi all'ombra di una grande roccia
perch egli stava per diventare il Sole, flagello dell'umanit.
Sua madre ed i suoi parenti seguirono il consiglio e dal loro ri-
paro videro il calore del Sole aumentare e distruggere a poco a
poco le piante, gli animali e gli uomini. Mossa a piet da quel-
lo spettacolo, la madre di Dudugera decise di fare qualcosa.
Un mattino, al sorgere del Sole, gli gett della calce sul viso: in
cielo si formarono cos delle nubi che da allora proteggono la
terra dall'effetto nefasto del calore del Sole.

Nareau, divinit creatrice degli abitanti delle isole Gilbert,


nel Pacifico settentrionale, all'inizio del tempo era solo. Cos,
impastando sabbia ed acqua, cre due esseri primordiali, ma-
schio (Na Atibu) e femmina (Nei Teurez). Nareau chiese loro
di aggiungere al Creato l'umanit e poi se ne and in cielo.
Sfortunatamente sorse una lite tra i due, che si concluse con
l'uccisione e lo smembramento del componente maschile della
coppia. Il suo occhio destro venne gettato nel cielo d'oriente e
divenne il Sole; l'occhio sinistro fu lanciato nel cielo d'occi-
dente e divenne la Luna; il cervello and a formare le stelle, la
carne e le ossa divennero isole ed alberi.
40 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 41

7. I GRECI

In astronomia hanno rilevanza soprattutto quei miti con


cui gli antichi cercavano di dare una spiegazione a fenomeni
naturali pi grandi di loro ed in gran parte incomprensibili. Il
discorso astronomico - mitologico cos frutto di un intreccio
di credenze popolari e superstizioni e di un timido approccio
scientifico alla conoscenza del cielo.

A ci si aggiunse anche l'esigenza di poter navigare la notte


con l'aiuto di quelle figure mitiche cui, per altri versi, ci si ri-
volgeva anche nella vita quotidiana. Fu cos che si posero in
cielo, e non in maniera casuale, eroi e dei che accompagnava-
no la quotidianit dell'uomo.

Tentativi di raggruppare le stelle, risalgono, come si visto,


circa al 6000 a.C. Ritrovamenti nella valle dell'Eufrate indica-
no come i popoli di quella terra individuavano gi in cielo le
costellazioni del Leone, del Toro e dello Scorpione.
Cominciarono cos, come abbiamo gi detto, i Sumeri ed i
Babilonesi e seguirono a ruota gli Egizi, ma soltanto i Greci
compilarono i primi cataloghi stellari.
Inoltre ricordiamo che, prima dei Greci, le costellazioni
non erano associate a grandi miti ma semplicemente ad anima-
li, magari mostruosi o molto possenti e potenti, oppure ad og-
getti d'uso pi o meno comune.
A datare dal V secolo a.C. invece, le costellazioni iniziaro-
no ad essere associate a miti ed Eratostene, nel suo
Cataterismi, complet la mitologizzazione del cielo: in que-
sta fase che si compie la fusione tra astronomia e mitologia.

Il pi completo catalogo astronomico rimase a lungo quel-


lo redatto da Tolomeo che, attorno al 150 d.C., catalog 1022
stelle raggruppandole in 48 costellazioni. Il suo Almagesto re-
sta ancor oggi, riguardo all'emisfero boreale, la base moderna
42 GIOVANNI PLATANIA

della classificazione delle costellazioni.


Tolomeo diede forma compiuta a tutte le informazioni
giunte fino a lui, con un'opera sistematica. Fra le fonti cui at-
tinse va ricordata quella che senz'altro la principale: il Cata-
logo redatto da Ipparco di Nicea (II secolo a.C.) che era un
compendio delle cognizioni dell'epoca.

Anche la letteratura dell'epoca non era da meno: riferi-


menti alle costellazioni si trovano nell'Iliade di Omero, ne Le
Opere e i Giorni e nella Teogonia di Esiodo; Eudosso, nei trat-
tati Enoptron (Specchio) e Phaenomena (Apparenze), andati
perduti e di cui abbiamo notizia nell'opera di Arato (315-245
a.C.) dallo stesso titolo Phaenomena, fornisce la prima testi-
monianza concreta di un sistema organizzato di costellazioni
greche, sulla base delle acquisizioni raggiunte dai sacerdoti
egizi.

Altra fusione importante creata dal mondo greco, quella


dei miti e la tragedia, che per, passando dalla tradizione orale
ai testi scritti, trasforma, ma non del tutto, quanto era una del-
le caratteristiche dei miti stessi: la mancanza di fossilizzazione
del mito stesso, la perdita delle sue quasi illimitate capacit di
adattamento sia di colui che lo racconta che di chi lo ascolta.
La drammatizzazione degli episodi mitici porta qualcosa di
fondamentalmente nuovo: l'umanizzazione del mondo mitico,
il divenire di di ed eroi partecipi come simili alle vicende
umane. (F. Graf: Il Mito in Grecia)

La Creazione.

Esistono dei miti pre-ellenici della creazione, riportati, in


parte, da Plinio nella sua Storia Naturale e da Apollonio Rodio
nelle Argonautiche, in cui si racconta che Eurinome (vagante
in ampi spazi), dea di tutte le cose, emerse nuda dal Caos e
non trov nulla di solido per posarvi i piedi; divise allora il
mare dal cielo ed intrecci una danza sulle onde. Pens di ini-
ziare l'opera di creazione quando si accorse del Vento che tur-
binava alle sue spalle: si volt e sfreg il Vento tra le mani. Su-
COSTELLAZIONI E MITI 43

bito apparve il serpente Ofione che, acceso dal desiderio di


Eurinome che danzava con ritmo sempre pi selvaggio, la av-
volse tra le sue spire e si accoppi con lei. Cos Eurinome ri-
mase incinta. Prese la forma di una colomba e, a tempo debi-
to, depose l'Uovo Universale. Per ordine della Dea, Ofione si
arrotol sette volte attorno all'uovo, finch questo non si
schiuse. Nacquero cos tutte le cose esistenti, figlie di Eurino-
me: il Sole, la Luna, i pianeti, le stelle, la Terra con i suoi mon-
ti, con i suoi fiumi, con i suoi alberi e con le erbe e le creature
viventi.
Eurinome ed Ofione si stabilirono sul Monte Olimpo, ma
ben presto Ofione irrit la dea perch si vantava di essere il
creatore dell'Universo. Eurinome allora lo colp sulla bocca
con un calcio, gli spezz tutti i denti e lo releg nelle buie ca-
verne sotterranee. La dea poi cre le sette potenze planetarie e
mise a capo di ciascuna di esse un Titano ed una Titanide: Tia
ed Iperione al Sole, Febe ed Atlante alla Luna, Dione e Crio al
pianeta Marte, Meti e Ceo a Mercurio, Temi ed Eurimedonte
a Giove, Teti ed Oceano a Venere, Rea e Crono al pianeta Sa-
turno. Il primo uomo fu Pelasgo, capostipite dei Pelasgi; egli
emerse dal suolo dell'Arcadia, subito seguito da altri uomini ai
quali insegn come fabbricare capanne e come nutrirsi di
ghiande (Robert Graves: I Miti Greci. Abb. Miti).

Esiste anche un mito, collegato ai miti olimpici, in cui Cro-


no e Rea si impadroniscono del potere e fanno precipitare Eu-
rinome ed Ofione nel Tartaro.

La Nascita degli Di.

Esiodo, ne Le Opere e i Giorni racconta che cinque diffe-


renti epoche si sono succedute dall'origine degli di: l'et del-
l'oro, dell'argento, del bronzo, degli eroi e l'attuale et del fer-
ro.
All'inizio era l'Et dell'Oro, nel periodo in cui Crono re-
gnava in cielo. Gli uomini, liberi da affanni, al riparo dalle fa-
tiche e dalla miseria, non conoscevano la vecchiaia, ma tra-
scorrevano i giorni sempre giovani, tra banchetti e feste e poi,
44 GIOVANNI PLATANIA

giunto il tempo di morire, si addormentavano dolcemente.


Non lavoravano e tutti i beni appartenevano loro spontanea-
mente, la terra produceva abbondante raccolto ed essi viveva-
no in pace.
I romani, che identificavano Crono con Saturno, ponevano
l'Et dell'Oro al tempo in cui questo dio regnava sull'Italia,
che allora si chiamava Ausonia. Gli dei vivevano in intimit
con i mortali, le porte non erano ancora state inventate, poi-
ch il furto non esisteva e gli uomini non avevano niente da
nascondere. Ci si nutriva esclusivamente di legumi e di frutta,
poich nessuno pensava ad uccidere. Saturno introdusse l'uso
del falcetto ed insegn agli uomini ad utilizzare meglio la ferti-
lit spontanea del suolo.
Gli uomini, per, non potevano riprodursi perch non era
nata ancora la donna, e quindi si estinsero (Rosa Agizza: Miti e
Leggende dell'Antica Grecia. Abb. Agizza).

Poi, dopo che la terra copr questa stirpe, essi sono demoni,
per il volere di Zeus grande, sulla terra; custodi degli uomini
mortali, della giustizia hanno cura e delle azioni malvagie, vestiti
di nebbia, sparsi ovunque per la terra, datori di ricchezza
(Esiodo: Le Opere e i Giorni. Abb. Op)

e vivono nel Giardino degli Asfodeli.


Zeus allora propose agli immortali di creare la successiva
stirpe umana, quella dell'Et dell'Argento. Zeus ridusse la du-
rata della primavera e divise l'anno nelle quattro stagioni, si
cominciarono a costruire le case con le porte e si cominci a
lavorare ed arare i campi.
Pur sempre fortunati nei loro privilegi, questi uomini non
compresero n apprezzarono i favori di cui godevano. Immuni
dalla vecchiaia, ma non dalla follia, si uccidevano a vicenda.
Irato, tra l'altro, per la loro mancata venerazione degli Immor-
tali, Zeus li distrusse, adoperandosi a creare una terza razza
umana (Agizza).
Questa, l'Et del Bronzo, fu d'indole pi crudele, pi
proclive all'orrore delle armi, ma non scellerata (Op). Questi
uomini erano carnivori ed amavano la guerra, compiacendosi
COSTELLAZIONI E MITI 45

dell'orrore e delle uccisioni gratuite. Avevano una forza gigan-


tesca, ma furono ugualmente precipitati nell'abisso del Tartaro
(Agizza).
La quarta fu una stirpe migliore di quella del bronzo, quel-
la dell'Et degli eroi. Stirpe semidivina, furono Semidei e fu-
rono uccisi dalla guerra malvagia. Alcuni a Tebe, altri a
Troia, in genere in battaglie. Ma poi lontano dagli uomini
dando loro vitto e dimora il padre Zeus Cronide della terra li
pose ai confini (Op). Infatti, dopo la morte, era loro riservato
un posto nell'Isola dei Beati, dove regnava Crono e dove go-
devano degli onori dovuti agli esseri divini (Agizza).

L'ultima fu quella ingrata del Ferro. E subito, in quest'epoca


di natura peggiore, irruppe ogni empiet; si persero lealt,
sincerit e pudore, e al posto loro prevalsero frodi ed inganni,
insidie, violenza e smania infame di possedere [... ]vinta giace la
piet, e la vergine Astrea, ultima degli dei, lascia la Terra madida
di sangue.
(Ovidio: Metamorfosi. Abb Met. (I. vv. 125, 150)).

Infatti gli dei, che prima vivevano con gli uomini, li abban-
donarono e si ritirarono sul Monte Olimpo.

Gli uomini, che erano stati creati da Prometeo, in questo


periodo vivevano la guerra come loro regola, anzi era un'os-
sessione dei vecchi, che mandano i giovani a combatterla.
(Baricco: Omero, Iliade).

Esiodo, nella Teogonia, espone una teoria cosmogonica in


cui racconta come dal Caos, uno spazio tenebroso in cui esi-
steva solo materia indistinta ed indifferenziata, il Vuoto Pri-
mordiale, al tempo in cui l'Ordine non era stato ancora impo-
sto agli elementi del mondo, ebbero origine divinit primor-
diali, personificazione delle forze della natura, e la cui nascita
determin il passaggio dal Caos al Cosmo, cio all'universo or-
dinato.
Il Caos gener Erebo, Nyx ed Eros, cio le Tenebre Infer-
nali, la Notte e la forza attrattiva che spinge gli elementi a
46 GIOVANNI PLATANIA

combinarsi.
La Notte non fu mai limitata, nella sua potenza, dagli altri
immortali. Fu lei che consigli a Zeus di ubriacare Crono e
poi di fissarlo, legato, all'Etere, e cos Zeus riusc a sconfiggere
Crono. Dei suoi figli, Hypnos e Tanatos, il primo era il deside-
rato liberatore dalle ansie della giornata, mentre l'altro era
l'implacabile ministro che realizzava il Fato, essendo ogni
mortale, fin dalla nascita, soggetto ad un destino affidatogli
dalle Moire, che sono anche loro figlie della Notte.
Il potere delle Moire consisteva nella loro facolt decisio-
nale, che neanche Zeus poteva contrastare.
Erano la personificazione del destino di ciascuno.

Da Notte nacquero anche Emera (il Giorno) ed Etere (il


Cielo superiore), che lei concep ad Erebo unita in amore
(Esiodo: Teogonia. (Abb. Teo), v. 125).

Eros l'energia decisiva nella creazione dell'Universo.


Un mito, riferito da Apuleio nelle sue Metamorfosi, narra
che la mortale Psiche aveva due sorelle, e tutte e tre erano
molto belle, ma Psiche era tanto bella che venivano da tutte le
parti per ammirarla. Laddove le sorelle avevano trovato mari-
to, nessuno voleva sposare Psiche, perch la sua bellezza face-
va paura ai fidanzati.
Era cos bella che aveva suscitato la gelosia di Afrodite.
Questa ordin ad Eros di darle un amante mostruoso, ma,
quando il dio la vide, rimase estasiato dalla sua bellezza e volle
averla per s. Ci riusc attraverso il trucco di un oracolo, cui
un giorno il padre si rivolse e che gli rispose di preparare la fi-
glia come per un matrimonio e di esporla su di una roccia do-
ve un mostro orribile sarebbe venuto a prenderne possesso. I
suoi genitori furono disperati, tuttavia agghindarono la giova-
ne e, in mezzo ad un corteo funebre, la portarono fino in cima
alla montagna indicata dall'oracolo, poi la lasciarono sola e si
ritirarono nel loro palazzo.
Psiche, da sola, si lamentava quando si sent rapire dal
Vento e sollevare in aria. Il Vento la sostenne dolcemente
mentre ella giungeva al fondo d'una valle profonda e si posava
COSTELLAZIONI E MITI 47

su un prato di erba tenera, dove, stremata da tante emozioni,


si addorment profondamente.
Quando si svegli, si trov nel giardino di un magnifico
palazzo, interamente di marmo. Penetr nelle stanze che si
aprivano dinanzi a lei e qui fu accolta da voci che la guidarono
e le rivelarono di essere altrettante schiave al suo servizio.
Dopo una giornata trascorsa tra stupori e meraviglia, la se-
ra Psiche avvert vicino a lei una presenza: era il marito di cui
aveva parlato l'oracolo, che ella non vide ma che non le sem-
br cos mostruoso come temeva. Suo marito non le disse chi
fosse e l'avvert che non era concesso che lei potesse vederlo,
altrimenti lo avrebbe perduto per sempre. Questa esistenza si
protrasse per alcune settimane: di giorno, Psiche era sola nel
suo palazzo pieno di voci, di notte, era raggiunta dal suo spo-
so. Era felicissima.
Ma un giorno cominci a desiderare la propria famiglia ed
a rimpiangere il padre e la madre, che la credevano certamen-
te morta. Chiese allora al marito il permesso di tornare presso
di loro per un po' di tempo. Dopo molte preghiere, e bench
le fosse mostrato il pericolo presentato da questa assenza, Psi-
che fin per spuntarla. Il Vento la trasport di nuovo fino alla
sommit della roccia dove era stata esposta e, di qui, ella non
ebbe alcuna difficolt a far ritorno a casa.
Le furono fatte grandi feste e le sorelle sposate vennero a
trovarla. Quando la videro cos felice e ricevettero i regali
ch'ella aveva loro portato, concepirono una grande gelosia. Si
ingegnarono a far sorgere il dubbio nella sua mente, e finirono
col farle confessare ch'ella non aveva mai visto il marito. Alla
fine la convinsero a nascondere una lampada, di notte, e, alla
sua luce, mentre egli avrebbe dormito, a scoprire l'aspetto di
colui che amava.
Psiche ritorn al palazzo, fece come le era stato consigliato
e scopr, addormentato vicino a s, un bell'adolescente. Molto
emozionata per la sua scoperta, lasci colare su di lui una goc-
cia d'olio bollente, tanto la sua mano tremava nel sollevare la
lampada.
Bruciato dall'olio, Eros (poich era lui il mostro crudele di
cui aveva parlato l'oracolo) si svegli e, conformemente alla
48 GIOVANNI PLATANIA

minaccia fatta a Psiche, fugg immediatamente per non torna-


re pi.
Non pi protetta da Eros, la povera Psiche si mise ad erra-
re per il mondo, dove la insegu la collera di Afrodite, indi-
gnata per la sua bellezza.
Nessuna divinit acconsentiva ad accoglierla ed infine fu
presa da Afrodite stessa, la quale la rinchiuse nel suo palazzo,
la torment in mille modi e le impose vari incarichi. Dovette
mondare semi, raccogliere lana di montoni selvatici, infine di-
scendere agli Inferi, dove dovette chiedere a Persefone una
boccetta d'acqua di Giovinezza, che peraltro le era vietato
aprire. Sfortunatamente, sulla via del ritorno, Psiche apr la
boccetta e cadde addormentata di un sonno profondo.
Frattanto, Eros era disperato, perch non poteva dimenti-
care Psiche. Quando la vide addormentata di un sonno magi-
co, vol verso di lei, la svegli con una puntura delle sue frec-
ce e, risalendo all'Olimpo, chiese il permesso a Zeus di sposa-
re quella mortale. Zeus gliel'accord ben volentieri e Psiche si
riconcili anche con Afrodite.

Sempre dal Caos, nacque Gea, la Madre Terra, e che da so-


la, senza l'aiuto di alcun elemento maschile, gener Urano, le
Montagne e Ponto.

Gea poi giacque con Urano e nacquero non pi le semplici


potenze elementari, ma i primi di: i Titani e le Titanidi.
I sei Titani erano Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto e
Crono; le sei Titanidi erano Teia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe
e Teti.

Oceano si un con Teti ed ebbe, tra gli altri figli, Eurinome,


che ovviamente non la stessa dea di cui si parlato a propo-
sito dei miti pre-ellenici.

Febe si un con Ceo e gli diede i figli Latona, Ortigia ed


Asteria. Fond l'oracolo di Delfi e lo regal ad Apollo, suo ni-
pote, figlio di Latona.
COSTELLAZIONI E MITI 49

Poi, sempre da Gea ed Urano, nacquero i Ciclopi, giganti


con un occhio solo, Arge (la Folgore), Sterope (il Lampo) e
Bronte (il Tuono), ed infine gli Ecatonchiri, esseri con cento
braccia e cinquanta teste ciascuno, giganteschi e violenti, che
si chiamavano Cotto, Briareo e Gige.

Urano fu generato da Gea per esigenze di accoppiamento e


di generare e non ebbe altra attivit che quella sessuale. Egli,
probabilmente per questo, odi fin dall'inizio tutti i suoi figli e
li costrinse a non vedere la luce ed a restare sepolti nelle
profondit delle viscere della Madre Terra.
Gea, afflitta dal peso opprimente e dalla proibizione ai
suoi figli di vedere la luce, decise di liberarli e chiese loro di
vendicarsi del padre, ma nessuno acconsent, tranne il pi gio-
vane, Crono, che le rispose: Madre, sar io, lo prometto, che
compir questa opera, ch d'un padre esecrabile cura non ho,
sia pur mio, che per primo comp opere infami (Teo. vv. 170
sgg.).
Gea gli consegn allora una grande falce d'acciaio affilatis-
simo e, quando Urano venne, portando la Notte, e desidero-
so d'amore incombette e si stese dovunque, Crono gli tagli i
genitali afferrandoglieli con la mano sinistra (che da quel gior-
no fu sempre la mano del malaugurio) e li gett dietro di s,
nel mar Egeo.

Dallo sperma e dal sangue caduto dalla ferita, Gea fu di


nuovo fecondata e cos nacquero le Erinni, Aletto, Tisifone e
Megera, forze primitive, che non riconoscevano l'autorit de-
gli di della giovane generazione. Anche Zeus doveva ubbidire
alle loro decisioni. Avevano corpi alati, capelli intrecciati di
serpenti ed avevano in mano torce e fruste. Quando s'impa-
dronivano di una vittima, la facevano impazzire, torturandola
in ogni modo possibile. Vivevano nell'oscurit degli inferi, nel-
l'Erebo.

Anche i Giganti e le ninfe dei frassini, chiamate Melie, nac-


quero dalla nuova fecondazione di Gea.
In seguito, dalla spuma del mare che era attorno al mem-
50 GIOVANNI PLATANIA

bro immortale di Urano, trasportato dai flutti fino a Cipro,


nacque Afrodite, la donna nata dalle onde, o anche la don-
na nata dallo sperma del dio (Miti).
proprio dall'evirazione di Urano che inizia la misurabi-
lit del tempo, rappresentata, nel Timeo di Platone, dall'obli-
quit dell'eclittica, cio dell'inclinazione dell'eclittica rispetto
all'equatore, evento catastrofico avvenuto come conseguenza
di quella evirazione (Sant).

Afrodite fu sposa di Efesto, il dio fabbro zoppo. Infatti


Efesto nacque cos gracile che sua madre Era, disgustata, lo
gett gi dalla vetta dell'Olimpo. Egli per sopravvisse perch
cadde in mare e fu recuperato da Teti e dalla figlia Eurinome,
che lo tennero in una grotta sottomarina dove Efesto install
la sua prima fucina e ricompens le sue ospiti fabbricando per
loro ogni sorta di oggetti utili ed ornamentali. Quando Era vi-
de una spilla, fabbricata da Efesto, sulla veste di Teti, riport
subito il figlio sull'Olimpo, dove prepar per lui una splendi-
da fucina ed inoltre combin le sue nozze con Afrodite.
Efesto, dopo la riconciliazione con Era, os rimproverare
Zeus per averla appesa al cielo quando si era ribellata, e Zeus
lo scagli gi dall'Olimpo una seconda volta. Precipit, questa
volta, un giorno intero, e cadde sull'isola di Lemno, fratturan-
dosi entrambe le gambe, e quindi rimase zoppo per l'eternit.
Ma Afrodite amava Ares, il dio dal membro eretto, l'impe-
tuoso e ubriacone dio della guerra. I due amanti furono sor-
presi dal Sole, che rifer l'avventura ad Efesto, il quale prepar
una trappola: una rete magica, che solo lui poteva manovrare.
Una notte in cui i due amanti erano uniti nel letto di Efesto,
questi richiuse la rete su di loro e chiam a guardare tutti gli
altri dei, che furono molto divertiti dalla scena. Pregato da Po-
seidone, Efesto acconsent a ritirare la rete, a patto che gli fos-
se restituita la preziosa dote che aveva dovuto pagare a Zeus,
padre adottivo della sposa.
Ritirata la rete, Afrodite fugg piena di vergogna a Pafo,
dove recuper la propria verginit bagnandosi nel mare, ed
Ares ritorn in Tracia. Da quest'amore nacquero Antero, Dei-
mos, Fobos ed Armonia. Alla fine Efesto rinunci al risarci-
COSTELLAZIONI E MITI 51

mento, perch era pazzamente innamorato di Afrodite e non


aveva intenzione di divorziare da lei (Miti).
Figlio di Afrodite fu anche Enea, nato da lei e da Anchise,
e quindi Afrodite fu l'origine della Gens Julia, del mondo
Romano.

Dopo la mutilazione di Urano, Gea si un al figlio Ponto e


gener con lui cinque divinit marine: Nereo, Taumante, For-
ci, Ceto ed Euribie.
Nereo aveva il dono delle metamorfosi e lo regal anche a
Proteo ed a tutte le divinit marine.
Da Nereo e Doride, figlia di Oceano, nacquero le Nereidi.
Queste Nereidi, che personificano le onde del mare, sono
molte, a volte cinquanta, a volte addirittura cento, e non han-
no alcuna parte individuale nelle leggende, a parte Teti (da
non confondere con la Titanide Teti), che fu la madre di
Achille, il pi veloce.
L'altra Nereide che si distingue Anfitrite, che Poseidone
rap e poi spos (v. Delfino).
Nereo e Doride ebbero anche un figlio maschio, Nerite,
giovane bellissimo, amato da Afrodite al tempo in cui ella vi-
veva ancora in mare. Allorch la dea vol verso l'Olimpo, Ne-
rite si rifiut di seguirla bench ella gli avesse dato le ali. Ar-
rabbiata ed indignata, la dea lo trasform in un mollusco, in-
capace di muoversi attaccato alla roccia, e diede le ali ad Eros,
che accett di essere suo compagno.
Nereo collabor al fallimento della congiura degli di
Olimpici contro Zeus, coinvolgendo gli Ecatonchiri.

Ceto gener, unita al fratello Forci, le Graie, le Vecchie


Donne. Esse non sono mai state giovani, ma sono nate vec-
chie, e si chiamano Enio, Pefredo e Dino. Avevano tutte e tre
solamente un occhio ed un dente che si prestavano a turno.
Vivevano nell'estremo occidente, nel paese della notte, dove il
Sole non sorge mai.

Anche le Gorgoni, Steno, Euriale e Medusa, quest'ultima


mortale, e uccisa da Perseo, erano figlie di Ceto e Forci. Mo-
52 GIOVANNI PLATANIA

rendo, Medusa gener, dal suo sangue, il cavallo alato Pegaso


ed il grosso Crisaore, nato con la spada d'oro in mano, da cui
nacquero, unito alla figlia di Oceano, Calliroe, il gigante trice-
falo Gerione, che fu ucciso da Eracle, ed Echidna, mostro col
corpo di donna, ma che terminava con una coda di serpente.
Echidna, unita con Tifone, gener tra gli altri Cerbero, il
cane di Ade, l'Idra di Lerna, uccisa da Eracle e Chimera dalle
tre teste, uccisa da Bellerofonte. Poi, giacendo col figlio Orto,
gener la Sfinge ed il Leone Nemeo, ucciso da Eracle.

Rea, figlia di Urano e Gea, quindi una Titanide, si un al


fratello Crono, con il quale divise la sovranit del mondo e ne
ebbe sei figli: Estia, Demetra, Era, Ade, Poseidone e Zeus.
Per Crono, istruito da un oracolo dei genitori, divorava
tutti i propri figli man mano che nascevano, poich sapeva che
uno di loro doveva spodestarlo.
Rea era furibonda per questo comportamento e, incinta di
Zeus, su consiglio dei suoi genitori Urano e Gea, fugg a Licto,
nell'isola di Creta, per partorire prendendolo con le sue ma-
ni, in un antro scosceso, sotto i recessi della terra divina, nel
monte Egeo, coperto di folta foresta. (Teo. vv 482-484).
Nascose il piccolo Zeus e diede da divorare a Crono una
pietra avvolta in pannolini.
Zeus fu affidato ad Adrastea ed Io, figlie di Melisseo ed
Amaltea; quest'ultima, talvolta presentata come capretta, fu
nutrice amorevole per lui e per il fratellastro Pan, ed in segui-
to, alla sua morte, Zeus stesso ne recuper la pelle costruendo
l'egida che lo avrebbe aiutato nella lotta contro i Titani e im-
mortal tra le stelle la sua immagine come costellazione del
Capricorno.
Avendole rotto un corno giocando, per scusarsi promise
che da quel corno sarebbero usciti tutti i cibi e le bevande de-
siderati: il Corno dell'Abbondanza o Cornucopia. (Agizza).
Zeus aveva una culla dorata che era appesa ai rami di un
albero affinch Crono non potesse trovare suo figlio n in cie-
lo n in terra n in mare. Accanto alla culla, montavano la
guardia armata i Cureti, figli di Rea, e battevano le spade con-
tro gli scudi e gridavano per coprire i vagiti del piccolo, per-
COSTELLAZIONI E MITI 53

ch Crono non potesse udire nemmeno da lontano. (Miti).

Col passare del tempo, tuttavia, Crono cominci a sospet-


tare la verit e si mise ad inseguire Zeus, che trasform se stes-
so in Serpente e le nutrici in Orse: ecco perch ci sono in cielo
le costellazioni del Serpente (Drago) e delle Orse.
Zeus crebbe tra i pastori fino a quando, divenuto adulto,
non si rivolse alla Titanide Meti, dea dell'intelligenza, che gli
consigli di affidarsi a Rea per poter ricevere l'incarico di cop-
piere di Crono ed usare ci con lo scopo di togliergli il potere.
Rea lo aiut fornendogli anche l'emetico da mescolare alle be-
vande del padre Crono dai torti pensieri, che bevve ignaro
la droga e risput fuori i suoi figli. Per prima vomit la pietra
che aveva mangiato per ultima, che Zeus pose a Pito, a mera-
viglia dei mortali (pare che si tratti di un meteorite). Poi balza-
rono fuori, illesi, i fratelli e le sorelle di Zeus e, in segno di gra-
titudine, gli chiesero di guidarli in una guerra contro i Titani,
che si erano scelti il gigantesco Atlante come capo. (Miti).
Crono era legato fortemente al potere e si accinse alla resi-
stenza contro i suoi figli, i quali furono subito pronti alla bat-
taglia assieme anche ai Titani Iperione, Teti, Temi e Mnemosi-
ne che lottarono al fianco di Zeus, mentre Oceano assunse un
atteggiamento pressoch neutrale.
La lotta fu dura e dopo dieci anni Zeus si rivolse per consi-
glio a Gea che gli rivel che il segreto della vittoria era nella li-
berazione delle altre due serie di figli di Crono, i Ciclopi e gli
Ecatonchiri. Zeus scese subito nel Tartaro e scarcer i nuovi e
necessari alleati. I Ciclopi, riconoscenti, offrirono a Zeus la
folgore, il lampo ed il tuono; Ade ebbe l'elmo che rendeva in-
visibile chi lo indossava, e Poseidone ebbe il Tridente. Gli
Ecatonchiri Cotto, Briareo e Gige rappresentavano la sotto-
missione delle antiche forze primordiali al nuovo, futuro re-
gno. La resistenza dei Titani richiese ancora l'intervento di
Zeus che, dall'alto dell'Olimpo, inizi a bruciare ogni cosa col
fulmine, fino a raggiungere i Titani che non poterono pi por-
re alcun ostacolo alla forza devastante degli Ecatonchiri. Il
colpo di grazia fu inferto dalle tremende urla demoniache del
dio Pan che li disperse selvaggiamente.
54 GIOVANNI PLATANIA

Alla fine il figlio Ade, col suo elmo, si introdusse segreta-


mente nella dimora del padre Crono per rubargli le armi e,
mentre il secondo figlio Poseidone lo minacciava con tridente,
arma regalatagli dai Ciclopi, l'ultimo figlio, Zeus lo colp con
la folgore. Crono ed i Titani sconfitti, ad eccezione di Atlante,
furono esiliati nel Tartaro sotto la sorveglianza degli Ecaton-
chiri. Ad Atlante, come loro capo, fu riservata una punizione
esemplare: doveva sostenere sulle sue spalle il peso del cielo.
Le Titanidi, invece, furono risparmiate per intercessione di
Meti e di Rea. (Agizza, Miti).
Ricordiamo che il Tartaro la regione del mondo pi
profonda, posta al di sotto degli stessi Inferi. Fra questi ed il
Tartaro vi la stessa distanza che fra il Cielo e la Terra.

In seguito, in memoria dell'Et dell'Oro, Crono fu perdo-


nato, liberato dalle catene e, riconciliato con Zeus, prese di-
mora nell'Isola dei Beati, all'estremo occidente del mondo.
Pi tardi, nell'Et del Ferro, gli uomini erano diventati cos
malvagi che Crono fu riaccettato da Zeus sull'Olimpo.

Esiodo descrive nel dettaglio (Teo. 626-735), tutte le fasi


della guerra, durata dieci anni.

Estia, dea del focolare, era la prima figlia di Crono e Rea.


Bench corteggiata da Apollo e Poseidone, ottenne da Zeus di
conservare eternamente la sua verginit. Inoltre Zeus le con-
cesse onori eccezionali: avrebbe ricevuto un culto in tutte le
case degli uomini e nei templi di tutti gli di.

A reggere il Tartaro fu posto Ade con la moglie Persefone


e lo spietato cane Cerbero.
Sempre nel Tartaro dimora la terribile Stige, prima figlia di
Oceano, il fiume che forma i confini occidentali del Tartaro
stesso; ha come affluenti l'Acheronte, il Flegetonte, il Cocito,
l'Averno ed il Lete. Il cane con tre teste, Cerbero, monta la
guardia sulla sponda opposta dello Stige, pronto a divorare i
viventi che cerchino di entrare, o le ombre che cerchino di
fuggire.
COSTELLAZIONI E MITI 55

Nella prima zona del Tartaro si trova la Prateria degli


Asfodeli, dove sono le anime della maggioranza degli Eroi,
quelli meno illustri. Oltre la prateria si trovano l'Erebo ed il
palazzo di Ade e Persefone. L accanto, le ombre appena di-
scese vengono giudicate da Minosse, Radamanto e Sarpedone
(alcuni dicono che il terzo giudice sia Eaco). Al termine di
ogni giudizio le ombre vengono indirizzate lungo una di tre
strade: la prima conduce alla Prateria degli Asfodeli, dove si
riuniscono coloro che non furono n virtuosi n malvagi; la se-
conda al campo di punizione del Tartaro, destinata ai malvagi
e la terza ai Campi Elisi, destinati ai virtuosi e su cui regna
Crono e la vita simile a quella dell'Et dell'Oro.

Una delle ministre di Ade fu Echidna, figlia di Ceto e


Forci, che aveva un volto femminile ed il corpo di serpente.
Echidna, con Tifone, gener Chimera, Argo, Orto e Cerbero.
Sempre nel Tartaro vivevano le Kere, dee della morte, le
tre Erinni Aletto, Tisifone e Megera, dee della vendetta che
punivano i crimini di sangue, e le tre Parche Lachesi, Cloto ed
Atropo, intente a filare il destino di uomini e dei.

I Giganti erano furibondi, perch Zeus aveva confinato nel


Tartaro i loro fratelli Titani. Essi, che erano nati da Gea, fe-
condata dallo sperma di Urano quando era stato evirato da
Crono, complottarono per dare l'assalto all'Olimpo. Comin-
ciarono col buttare massi e tizzoni ardenti verso l'alto, e gli
olimpi si trovarono in difficolt. La dea Era profetizz che i
Giganti non sarebbero mai stati uccisi da un dio, ma solo da
un mortale che vestiva pelle di leone, e che anche costui non
sarebbe riuscito nell'intento se non avesse trovato, prima dei
Giganti stessi, una certa erba che rendeva invulnerabili (il no-
me di quest'erba sconosciuto) e cresceva in un luogo segreto
sulla terra. Zeus si consigli con Atena e la mand ad informa-
re Eracle della situazione; poi proib ad Eos, a Selene ed al So-
le di brillare per qualche tempo e, alla debole luce delle stelle,
Eracle trov l'erba magica, e la port in cielo. Zeus pot allora
cominciare la battaglia (la Gigantomachia). Eracle scocc la
prima freccia contro Alcioneo, il capo dei Giganti, che cadde
56 GIOVANNI PLATANIA

al suolo e subito si rialz, poich quella era la terra dove era


nato. Eracle, allora, su consiglio di Atena, si caric Alcioneo
sulle spalle e lo port oltre il confine della Tracia, eliminando-
lo poi a colpi di clava.
La battaglia fu molto dura, anche con un tentativo di vio-
lenza ad Era da parte di Porfirione, che fu fermato, prima da
Zeus con un fulmine e poi da una freccia mortale di Eracle.
In particolare fu dura per Eracle, che si dovette assumere
l'onere di vibrare tutti i colpi mortali ai Giganti. La battaglia
finale si svolse a Cuma, presso Napoli, dove Eracle e gli Olim-
pici ebbero finalmente la meglio.
Gea, allora, per vendicare la morte dei suoi figli, giacque
con Tartaro e gener il pi giovane dei suoi figli: Tifone (o Ti-
feo), il mostro pi grande che mai vedesse la luce del sole, l'ul-
tima grande rappresentazione del primigenio disordine cosmi-
co. Era met uomo e met belva e superava tutti gli altri figli
di Gea per forza e per statura. Dalla cintola in gi era circon-
dato da serpenti ed aveva il corpo alato e gli occhi che lancia-
vano fiamme. Allorch gli dei videro questo essere attaccare il
Cielo, fuggirono fino in Egitto e si nascosero nel deserto, dove
assunsero forme animalesche: Apollo divent un nibbio, Er-
mes un ibis, Ares un pesce, Dioniso un caprone, Efesto un
bue ecc.
Soltanto Atena e Zeus resistettero al mostro: Zeus gli sca-
gli da lontano dei fulmini e, lottando corpo a corpo, l'abbatt
con la sua falce d'acciaio. La lotta si svolse su monte Casio, ai
confini fra l'Egitto e l'Arabia Petrea. Tifone, il quale era sol-
tanto ferito, riusc ad avere il sopravvento, e strappando la fal-
ce al dio, gli tagli i tendini delle braccia e delle gambe e lo ca-
ric indifeso sulle proprie spalle portandolo fino in Cilicia,
dove lo rinchiuse in una caverna, nascose i tendini ed i musco-
li in una pelle d'orso e li affid alla custodia della dragonessa
Delfine.
Ermes e Pan sottrassero i tendini e li rimisero al loro posto
nel corpo di Zeus, che recuper subito le proprie forze e, risa-
lendo al Cielo su di un carro trainato da cavalli alati, si mise a
colpire il mostro col fulmine. Tifone fugg sul monte Nisa, in
Tracia, poi sul monte Emo (dal sangue che col dalle sue feri-
COSTELLAZIONI E MITI 57

te) ed infine in Sicilia, dove Zeus gli lanci addosso il monte


Etna. Le fiamme che nascono dall'Etna sono quelle che il mo-
stro vomita (Agizza, Miti).

L'Olimpo era cos finalmente libero dai residui del Caos ed


era nelle mani sicure del Cosmo.

Etna, il cui nome divenne quello del vulcano, era una ninfa
siciliana, figlia di Urano e Gea, e fu mediatrice nella contesa
tra Demetra ed Efesto per il possesso della Sicilia.

Crono ebbe anche, come figlio, il Centauro Chirone, avuto


dall'Oceanina Filira.
Per generarlo, Crono aveva assunto la forma di un cavallo,
perch questa si rifiut a Crono e si trasform in giumenta per
sfuggirgli, ma il dio assunse la forma di un cavallo e la vio-
lent.
Chirone nacque sul monte Pelio, in Tessaglia, dove sua ma-
dre si stabil con lui in una grotta.
Chirone era quindi un immortale met uomo e met caval-
lo.
Fu Chirone a dare a Peleo il consiglio di sposare Teti, inse-
gnandogli come obbligarla a questo matrimonio impedendole
di trasformarsi. Peleo affid a lui il figlio Achille. Chirone, che
era al fianco di Eracle quando vi fu il massacro dei Centauri,
fu da lui ferito accidentalmente. Prometeo, figlio di Giapeto,
lo liber dal problema di essere immortale, cedendogli il suo
diritto alla morte.
E cos Chirone pot trovare riposo.

Zeus e Poseidone si erano disputati la mano di Teti, ma Te-


mi predisse loro che il figlio di Teti sarebbe stato, in virt del
fato, pi potente del padre. Subito le due divinit abbandona-
rono il corteggiamento e si pens di farla sposare ad un morta-
le, per il quale il compimento di tale profezia non avrebbe
rappresentato alcun inconveniente.
Gli di risolsero di darle Peleo come marito, ma lei si ri-
fiut. Poich era una dea marina, aveva il dono di assumere
58 GIOVANNI PLATANIA

tutte le forme che voleva. Ed us tale dono per sfuggire a Pe-


leo. Si trasform ripetutamente ma Peleo, istruito da Chirone,
la trattenne solidamente, ed alla fine la spos.

Il titano Giapeto spos Climene, figlia di Oceano e Teti,


che gli gener Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo.
Prometeo , secondo alcuni, colui che ha creato i primi uo-
mini, modellandoli con la creta. Per Esiodo, invece, solo il
benefattore dell'umanit, e non il suo creatore.
Comunque, a favore degli uomini, Prometeo aveva ingan-
nato Zeus due volte. La prima volta a Mecone, durante un sa-
crificio, aveva diviso un bue in due parti: da una parte aveva
messo sotto la pelle la carne e le viscere, dall'altra parte aveva
disposto le ossa spolpate della carne e le aveva ricoperte di
grasso bianco. Poi aveva detto a Zeus di scegliere la sua parte;
il resto doveva andare agli uomini. Zeus scelse il grasso bianco
e, quando scopr che non nascondeva che ossa, fu invaso da
grande rancore contro Prometeo e contro i mortali che erano
stati favoriti da quell'inganno. Cos, per punirli, decise di non
inviare pi loro il fuoco. Allora Prometeo li soccorse per la se-
conda volta: sottrasse semi di fuoco alla ruota del Sole e li
port nascosti in una canna sulla terra.
Zeus pun sia i mortali che Prometeo.
Contro i mortali mand Pandora, la prima donna. Essa fu
dotata dagli dei di tutte le qualit, ma Ermes mise nel suo cuo-
re la menzogna e la furbizia.
Zeus la destinava alla punizione della razza umana, alla
quale Prometeo aveva appena dato il fuoco divino (Teo).
La invi ad Epimeteo, fratello di Prometeo, il quale, di-
menticando il consiglio del fratello di non accettare alcun re-
galo da Zeus, ne fece la propria moglie. Con lei aveva manda-
to un vaso che conteneva tutti i mali, ed era chiuso da un co-
perchio che impediva al contenuto di uscire. Zeus aveva anche
avvertito di non aprirlo. Pandora invece, divorata dalla curio-
sit, apr il vaso e tutti i mali si riversarono sull'umanit. Solo
la Speranza non pot uscire poich Pandora aveva richiuso il
coperchio.
Anche Prometeo fu punito: fu incatenato sul Caucaso e
COSTELLAZIONI E MITI 59

un'aquila, nata da Echidna e da Tifone, di giorno gli divorava


il fegato, che di notte ricresceva. Ma Eracle, passando nella re-
gione del Caucaso, trafisse con una freccia l'aquila e liber
Prometeo.
Prometeo stesso spieg a suo figlio Deucalione come sal-
varsi dal diluvio con cui Zeus meditava di annientare la stirpe
umana e che egli aveva saputo prevedere.

La madre di Zeus, Rea, prevedendo i guai che la sua lussu-


ria avrebbero provocato, gli proib di sposarsi ma il dio, infu-
riato, la violent. Cominci cos la sua lunga serie di avventure
amorose.
La prima sposa di Zeus fu Meti, che gli gener Atena. In
realt le cose andarono in maniera un po' diversa dal normale.
Alcuni mesi prima che Meti partorisse, Zeus inghiott la stessa
Meti, dietro consiglio di Urano e Gea, che gli rivelarono che,
se Meti avesse avuto una figlia, questa avrebbe poi avuto un fi-
glio che avrebbe tolto a Zeus il comando del cielo. Alcuni me-
si dopo, Zeus fu afflitto da indicibili dolori e si struggeva do-
lente per il male che l'opprimeva. Il concilio degli di, riunito-
si d'emergenza, rimase impietrito dalla costernazione, mentre
nessun sedativo divino valeva a calmare il tormento che tortu-
rava Zeus. L'intuito di Ermes riusc a porre fine alle doglie di-
vine: egli si rec a chiamare Efesto e lo indusse ad aprirgli una
fessura nel cranio con un colpo d'ascia, e cos dalla sua testa
usc una giovane in armi: la dea Atena. Il suo primo vagito fu
un grido di guerra cos acuto e tonante da far scuotere Cielo e
Terra.
Eterna vergine, fu educata da Tritone ed ebbe come com-
pagna di giochi Pallade, la figlia dello stesso Tritone. Un gior-
no Pallade stava per colpire Atena con la lancia ma Zeus, ti-
moroso per le sorti della figlia, la ripar con l'egida. Terroriz-
zata alla vista della corazza magica, Pallade non riusc ad evita-
re il colpo mortale dell'avversaria. Angosciata per la morte
della compagna, Atena ne assunse il nome, e fu per sempre
Pallade Atena. (Agizza).

La seconda sposa di Zeus fu Temi, figlia di Urano e Gea,


60 GIOVANNI PLATANIA

da cui gener prima le Ore: Eunomie, Dike (v. Bilancia) ed Ei-


rene.
Dopo di loro Temi gener le Moire Cloto, Lachesi ed
Atropo. Esse, per ogni mortale, regolavano la durata della vita
dalla nascita alla morte, con l'aiuto di un filo che una filava, la
seconda avvolgeva e la terza tagliava allorch la vita corrispon-
dente era terminata.

Zeus ebbe anche tre figlie dall'oceanina Eurinome, Aglaia,


Eufrosine e Talia.
Poi gener, con Demetra, Persefone, sposata da Ade che
l'aveva rapita e le aveva dato da mangiare un chicco di melo-
grano, ed il mangiare qualcosa nel regno degli Inferi impediva
a chiunque di ritornare a stare definitivamente nel regno dei
Viventi.
In seguito Zeus am Mnemosine e ne nacquero le nove
Muse: Calliope, musa della poesia epica; Clio, della storia;
Erato, della poesia d'amore; Euterpe, della musica; Melpome-
ne, della tragedia; Polimnia, del canto sacro; Talia, della com-
media; Tersicore, della danza ed Urania, dell'astronomia.

Con Latona, figlia di Febe e del Titano Ceo, gener Apollo


ed Artemide.
Secondo una leggenda, Era aveva giurato che Latona non
avrebbe potuto partorire in nessun luogo sul quale brillassero
i raggi del sole. Per ordine di Zeus, Borea port allora la gio-
vane donna da Poseidone, il quale, sollevando i flutti del ma-
re, form una specie di volta liquida, e, cos riparata dal sole,
Latona pot dare alla luce i suoi due figli. I dolori del parto
durarono nove giorni e tutte le dee accorsero ad assisterla,
tranne Era ed Illizia. Infine Iride, promettendole una collana
di ambra e d'oro lunga nove cubiti, convinse quest'ultima ad
andare ad assistere Latona, che cos pot partorire. Poi, con i
due neonati, Latona si sarebbe fermata vicino ad una sorgen-
te, per lavare i figli, ma alcuni pastori le impedirono l'accesso
e lei li trasform in rane.
Latona fu molto amata dai suoi figli. Per lei uccisero i figli
e le figlie di Niobe, figlia di Tantalo, la quale afferm un gior-
COSTELLAZIONI E MITI 61

no di essere superiore a Latona, che non aveva che un figlio ed


una figlia, mentre lei invece di figli ne aveva venti: per vendi-
carsi Apollo uccise i figli di Niobe ed Artemide le figlie, tutti a
colpi di frecce. Si salvarono solo un maschio ed una femmina.
I figli di Latona uccisero anche il gigante Tizio, il quale
aveva cercato di violentarla.
Apollo, alla nascita uccise a Delfi il serpente Pitone perch
l'aveva minacciata.
Pitone era figlio di Gea ed un oracolo aveva affermato che
sarebbe morto per mano di un figlio di Latona.
Tre giorni dopo la sua nascita, Apollo uccise Pitone, ne rin-
chiuse le ceneri e fond, in suo onore, dei giochi funebri, i
Giochi Pitici (v. Acquario).

L'ultima sposa di Zeus fu Era.


Era, figlia di Crono e Rea, nacque nell'isola di Samo, e
Zeus era suo fratello e la corteggi in Argolide, dapprima sen-
za successo. Allora egli si trasform in un cuculo infreddolito
che Era riscald teneramente sul proprio seno. Zeus riassunse
subito il suo vero aspetto e la violent, cos Era fu costretta a
sposarlo. Trascorsero la prima notte di nozze a Samo, e fu una
notte che dur trecento anni. Ne nacquero i figli Ares, Efesto
ed Ebe.

Ma questi non furono gli unici figli di Zeus. Tra gli altri da
Maia, figlia di Atlante, ebbe Ermes, messaggero degli dei; con
Semele, figlia di Cadmo, ebbe Dioniso, che spos Arianna, fi-
glia di Minosse (v. Toro e Corona Boreale) ; con Alcmena ge-
ner il forte Eracle, che spos Ebe.
Il matrimonio tra Zeus ed Era non fu tra i pi pacifici: si
azzuffavano di continuo, finch un giorno, su richiesta di Era,
Poseidone, Apollo e tutti gli altri dei dell'Olimpo, ad eccezio-
ne di Estia, lo circondarono all'improvviso mentre dormiva e
lo legarono al letto con corde di cuoio, annodate cento volte,
cosicch non si potesse muovere. Mentre festeggiavano la loro
vittoria, e gi cominciavano a discutere su chi dovesse succe-
dere a Zeus, la nereide Teti, prevedendo una guerra civile sul-
l'Olimpo, and a chiamare l'Ecatonchiro Briareo che rapida-
62 GIOVANNI PLATANIA

mente sciolse tutti i nodi con le sue cento mani, e liber il suo
padrone. Zeus, appena liberato, appese Era al cielo con due
bracciali d'oro ai polsi e le leg un'incudine ad ogni caviglia.
Zeus infine decise di liberarla se tutti avessero giurato di non
ribellarsi mai pi, e ciascuno obbed a malincuore.
Apollo e Poseidone furono puniti costringendoli a servire
il re Laomedonte, per il quale costruirono le mura di Troia,
ma Zeus perdon tutti gli altri, perch avevano agito istigati
dai primi (Miti).

Laomedonte, figlio di Ilo e di Euridice, fu uno dei primi re


di Troia. Per costruire le mura della citt fu aiutato, appunto,
da Apollo e Poseidone e dal mortale Eaco, ma alla fine del la-
voro rifiut di pagare il salario agli di: non volle dargli i ca-
valli divini che possedeva e che aveva promesso, allora Eracle
arriv alla testa di un esercito, prese Troia, aiutato da Telamo-
ne, ed uccise Laomedonte e tutti i suoi figli, tranne Priamo.

Zeus sedusse anche Antiope, figlia di Nitteo il Tebano, e si


un a lei sotto forma di satiro; ne ebbe due gemelli, Anfione e
Zeto nati ad Eleutri in Beozia.
Temendo la collera del padre, Antiope si rifugi presso il
re Sicione, che acconsent a sposarla. Ma lo zio di Antiope, Li-
co, sconfisse ed uccise Sicione in una sanguinosa battaglia e la
riport, vedova, a Tebe. Antiope sub per molti anni ogni sor-
ta di maltrattamenti da parte della zia Dirce, ma alla fine riusc
a fuggire e ripar nella capanna dove vivevano i figli Anfione e
Zeto. Essi la scambiarono per una schiava fuggiasca e rifiuta-
rono di darle asilo. Dirce allora si precipit su Antiope in pre-
da alla frenesia bacchica e la trascin via. I gemelli, avvertiti
da un mandriano dell'accaduto e riconosciuta la madre, si lan-
ciarono subito all'inseguimento, salvarono Antiope e legarono
Dirce per i capelli alle corna di un toro, che la uccise in pochi
minuti.

Demetra e Giasone generarono Pluto, che colui che egli


incontra per caso e in cui si imbatte lo fa ricco e lo adorna di
molta opulenza (Teo. vv. 973-974).
COSTELLAZIONI E MITI 63

Zeus stesso lo avrebbe accecato, per impedirgli di ricom-


pensare le persone dabbene e costringerlo cos a favorire i cat-
tivi.

Infine furono generati gli ultimi eroi: Teti ebbe da Peleo


Achille, mentre Afrodite, unita ad Anchise, gener, sulle cime
del monte Ida, l'eroe troiano Enea, progenitore del mondo
Romano.

Ovviamente, anche per Helios, Il Sole, ci sono miti e leg-


gende nelle teogonie di tutti i popoli.
Nella tradizione greca, il Sole si distingue da buona parte
delle altre divinit perch appartiene alla generazione dei Tita-
ni, ed perci anteriore agli di Olimpici.
Discende da Urano e Gea, figlio di Iperione e Teia e fra-
tello di Eos, l'Aurora e di Selene, la Luna. Ha come moglie
Perseide, una delle figlie di Oceano e Teti, e parecchi figli, co-
me la maga Circe, Eete, re della Colchide, Pasifae, che fu mo-
glie di Minosse, Perse, che spodest il fratello Eete e fu ucciso
egli stesso dalla propria nipote, Medea.
Inoltre, il Sole si un a varie altre donne: la ninfa Rodo, dal-
la quale ebbe sette figli, gli Eliadi, Climene, una delle sorelle
di sua moglie Perseide, la quale gli diede figlie, anch'esse chia-
mate Eliadi, e Leucotoe, figlia di Orcamo e di Eurinome.

Helios ha la testa circondata di raggi dorati e percorre il


cielo su un carro di fuoco trainato da quattro cavalli chiamati
Piroide, Eoo, Etone e Flegone. Ogni mattina si slancia dal suo
palazzo in Oriente, nella Colchide, su una strada stretta che
taglia il cielo a met. Cammina tutto il giorno e giunge all'O-
ceano dove i cavalli, affaticati, si bagnano. Si riposa in un pa-
lazzo d'oro nelle Isole dei Beati dove si adagia, con cocchio e
cavalli, in un enorme cocchio alato forgiato da Efesto e, dor-
mendo in una comoda cabina, ricondotto al suo palazzo in
Oriente, da dove ricomincia il suo eterno percorso.
Il Sole una divinit un po' particolare. Non partecip alle
lotte per la conquista del potere, ma anzi, come Oceano, con-
templ distaccato sia la Titanomachia che la Gigantomachia.
64 GIOVANNI PLATANIA

Quando Zeus provvide alla spartizione territoriale fra gli


immortali, dimentic di assegnare una quota al Sole, che era
assente alla divina assemblea.
Notato il grave errore, Zeus se ne rammaric e decise di
annullare la distribuzione avvenuta per rifarne un'altra. Il Sole
cortesemente ringrazi, ma per amore di tranquillit si oppose
a qualsiasi fastidioso sconvolgimento (Agizza).
Aveva notato una nuova isola a Sud dell'Asia Minore e si
accontent volentieri di quella: Rodi.
Zeus chiam la Moira Lachesi a testimone e promise che
l'isola sarebbe appartenuta ad Helios, che ne prese possesso
con la ninfa Roda, da cui ebbe sette figli ed una figlia. I sette
figli governarono sull'isola e divennero famosi astronomi; la
loro sorella Elettriona mor vergine e fu onorata come semi-
dea. I Rodi costruirono in suo onore il Colosso, alto settanta
cubiti.

Il Sole, per, non pu vendicare personalmente le offese,


ad esempio quelle arrecatigli dai compagni di Ulisse che ucci-
sero e mangiarono una parte delle sue mandrie nella Trinacria,
per cui dovette chiedere riparazione a Zeus ed agli di, minac-
ciando di ritirarsi sottoterra qualora gli fosse stato rifiutato il
castigo dei colpevoli.
considerato l'occhio del mondo, colui che vede tutto, ed
in questa veste guar la cecit di Orione. Egli per primo vide
l'adulterio di Afrodite, moglie di Efesto, con Ares. Narra Ovi-
dio (Met. IV, 169 sgg.) che Efesto allora fabbric una catena
sottilissima e praticamente invisibile.

Quando la moglie e l'amante si unirono sul letto per amarsi,


sorpresi dal marchingegno preparato con propriet nuovissime
dal marito, rimasero intrappolati nell'atto dell'amplesso. Il dio di
Lemno allora spalanc di colpo la porta d'avorio e fece entrare
gli altri di: i due giacevano avvinti in posa vergognosa, e
qualcuno dei numi meno severo s'augur di essere svergognato
cos. Scoppiarono a ridere gli di e in tutto il cielo questa storia
pass di bocca in bocca per anni
(Met. IV, 182-189).
COSTELLAZIONI E MITI 65

Quando il Sole si innamor di Leucotoe, abbandon Cli-


zia, ma questa svel al padre di Leucotoe gli amori della figlia,
che per punizione fu rinchiusa in una fossa profonda, dove
mor.
Il Sole, che aveva preso l'aspetto della madre Eurinome, fi-
glia di Oceano e di Teti, entr nelle stanze di Leucotoe e, do-
po aver fatto uscire le ancelle, le si svel e le dichiar il suo
amore

e la vergine, bench atterrita da quella visione inattesa, vinta


dal fulgore del dio, sub la violenza senza un lamento.
S'ingelosisce Clizia (il suo amore per il Sole era sfrenato) e in un
accesso d'ira contro la rivale divulga la tresca, rivelandola al
padre. Furibondo e pieno di collera, malgrado Leucotoe lo
scongiurasse e, tendendo le mani verso la luce del Sole, dicesse:
Mi ha violentato, io non volevo!, lui allora la seppell in una
fossa, coprendone il tumulo di macigni. Con i suoi raggi lo
perfor il figlio di Iperone, offrendoti una via che ti permettesse
di estrarre il volto sepolto, ma tu ormai, ninfa, pi in grado non
eri di sollevare il capo schiacciato dal peso della terra e giacevi,
corpo senza vita.
(Met. IV, 235-244).

Clizia anche fu punita, poich il Sole non torn pi a ve-


derla. Si consum d'amore, giacque sulla nuda terra a capo
nudo coi capelli scomposti e si trasform in eliotropo (gira-
sole), il fiore che volge sempre il volto verso il Sole, come se
cercasse di vedere il suo antico amante.

Il dio del fiume Asopo, figlio di Oceano e Teti, spos Me-


tope, figlia del fiume Ladone, da cui ebbe due figli e venti fi-
glie. Esse furono quasi tutte rapite e violentate da Zeus, Posei-
done ed Apollo, e quando spar anche la pi giovane, Egina,
Asopo ne and alla ricerca. A Corinto seppe, da Sisifo, che il
colpevole era, ancora una volta, Zeus; lo trov, infatti, che fa-
ceva l'amore con Egina in un bosco. Zeus fuggi tra i cespugli e
si trasform in una roccia finch Asopo non si fu allontanato;
poi risal sull'Olimpo, da dove scagli le sue folgori contro il
dio del fiume. Asopo, da allora, si muove a fatica per via delle
66 GIOVANNI PLATANIA

ferite riportate.
Zeus port Egina nell'isola di Enopia dove si giacque con
lei in tutti i modi possibili, finch Era non scopr che Egina
aveva generato a Zeus un figlio chiamato Eaco, e mossa dalla
collera decise di sterminare gli abitanti di Enopia.
Eaco, divenuto re dell'isola, ne aveva cambiato il nome in
Egina e vi regnava indisturbato, quando Era invi due grossi
flagelli: avvelen l'acqua con un serpente che vi depose mi-
gliaia di uova, e fece scatenare una terribile calura.
Ben presto migliaia di serpenti strisciarono per i campi e
contaminarono l'acqua di tutti gli altri fiumi e cominci anche
la carestia, Ogni appello a Zeus fu vano. Ben pochi restarono
in vita. Eaco supplico allora Zeus di ripopolare l'isola deserta.
Zeus rispose alle preghiere di Eaco con un lampo seguito da
un tuono, concedendogli tanti sudditi quante erano le formi-
che che trasportavano chicchi di grano presso una quercia l
accanto; mentre Eaco pregava, un fremito pass tra foglie,
sebbene non soffiasse un alito di vento. Quella notte, in so-
gno, vide una pioggia di formiche cadere dai rami della quer-
cia e subito balzare dal suolo trasformate in uomini. Quando
si dest ud la voce di suo figlio Telamone che lo chiamava
perch venisse a vedere una schiera di uomini che si avvicina-
va al palazzo: appena li vide, Eaco riconobbe i volti degli uo-
mini che gli erano apparsi in sogno. Inoltre i serpenti erano
spariti e la pioggia cadeva abbondante dal cielo. Eaco rese
grazie a Zeus e divise la citt e le terre circostanti tra il nuovo
popolo, che chiam Mirmidoni, cio formiche. Questi
Mirmidoni seguirono poi il figlio di Peleo nel suo esilio e com-
batterono a Troia accanto ad Achille ed a Patroclo.

Eaco spos poi Endide di Megara, figlia di Scirone, da cui


ebbe due figli, Telamone e Peleo.
Ebbe grande fama per la sua piet e fu tenuto in cos gran-
de onore che merit di essere scelto per rivolgere a Zeus una
solenne preghiera a nome di tutti i Greci durante un periodo
di sterilit che colpiva i campi del paese.
Apollo e Poseidone presero con loro Eaco quando edifica-
rono le mura di Troia, ben sapendo che, se un mortale non
COSTELLAZIONI E MITI 67

avesse partecipato a quel lavoro, la citt sarebbe stata inespu-


gnabile ed i suoi abitanti avrebbero potuto sfidare gli di.
Quando Eaco mor, divenne uno dei tre giudici del Tarta-
ro, con gli altri figli di Zeus, Minosse e Radamanto (altri dico-
no che il terzo giudice fosse Sarpedone e non Eaco). (Miti).

Achille era figlio di Peleo e di Teti e nacque nella citt di


Ftia, in Tessaglia. Egli fu chiamato cos da Chirone, suo tuto-
re, mentre prima si chiamava Ligirone.
Peleo era figlio di Eaco e di Endide.

Eaco aveva tre figli. Oltre Telamone e Peleo, anche Foco,


che era figlio della nereide Psamate, che si era inutilmente tra-
sformata, come potevano fare la maggior parte delle divinit
marine e fluviali, in foca per sfuggire all'amplesso di Eaco.
Foco era il prediletto di Eaco e la sua eccellenza nei giochi
atletici faceva ingelosire Telamone e Peleo. Per amor di pace,
dunque, Foco guid un gruppo di emigranti di Egina in un
paese che chiam Focide.
L si alle con Iaseo e spos Asteria, figlia di Deione e di
Diomeda, che, attraverso il nonno Suto, discendeva da Deuca-
lione.
Un giorno Eaco mand a chiamare Foco, forse per lasciagli
il regno dell'isola; ma, incoraggiati dalla loro madre Endide,
Telamone e Peleo lo uccisero al suo ritorno. In particole fu Te-
lamone che uccise Foco lanciandogli sulla testa un disco du-
rante i loro esercizi fisici. Insieme nascosero il corpo in un bo-
sco, dove Eaco poi lo ritrov e volle vendicarsi esiliando gli al-
tri due figli.
Telamone si rifugi nell'isola di Salamina, dove regnava Ci-
creo, figlio di Poseidone e di Salamina, figlia di Asopo. Si rac-
conta che Cicreo allev un serpente che, scacciato da Eurilo-
co, cominci ad uccidere uomini e donne ed a devastare l'isola
di Salamina. Allora Cicreo lo uccise e divenne in seguito uno
degli eroi tutelari di Salamina.
Durante la battaglia navale di Salamina, infatti, un serpen-
te apparve tra le navi, e l'oracolo di Delfi rivel che era l'incar-
nazione di Cicreo, corso ad aiutare i Greci ed a predire la loro
68 GIOVANNI PLATANIA

vittoria.
Telamone invi di l in patria un messaggero perch pro-
clamasse la sua innocenza. Eaco, per, gli proib di rimettere
piede ad Egina, pur permettendogli di dire le proprie ragioni
dal mare. Non prest fede all'eloquente arringa di difesa di
Telamone, n volle credere che la morte di Foco fosse acci-
dentale. Telamone ritorn dunque a Salamina dove spos la fi-
glia del re, Glauce, e succedette a Cicreo. Alla morte di Glau-
ce, Telamone spos Peribea di Atene, nipote di Pelope, che gli
gener il grande Aiace. Peribea, prima di sposare Telamone,
aveva fatto parte del tributo inviato a Minosse da Egeo. Mi-
nosse se ne sarebbe innamorato, con grande collera di Teseo,
il quale avrebbe impedito a Minosse di violentare la ragazza.
(v. Corona Boreale).
Peleo, invece, si rifugi alla corte di Attore, re di Ftia, e fu
purificato del suo delitto dal suo stesso figlio adottivo Eurizio-
ne. Attore gli diede in sposa sua figlia Polimela e la terza parte
del regno in dote.
Un giorno Eurizione, che regnava su un altro terzo del re-
gno, port con s Peleo per cacciare il cinghiale Caledonio,
ma Peleo lo colp incidentalmente con la lancia ed Eurizione
mor. Peleo fugg ad Iolco, dove fu purificato di nuovo, questa
volta da Acasto, figlio di Pelia e di Anassibia e nuovo re di Iol-
co.
La moglie di Acasto, Cretide, cerc di sedurre Peleo e,
quando vide respinte le sue profferte amorose, disse a Polime-
la che Peleo intendeva abbandonarla per sposare la sua figlia
Sterope. Polimela credette alla menzogna di Cretide e si im-
picc. Cretide, allora si rec da Acasto e accus Peleo di aver
cercato di violentarla. Acasto sfid allora Peleo ad una gara di
caccia sul monte Pelio; ma Peleo possedeva una spada magica,
forgiata da Dedalo e regalatagli dagli dei, che aveva la virt di
assicurare al suo proprietario la vittoria in battaglia ed in cac-
cia. Alla fine della caccia vinse lui, mostrando le lingue tagliate
degli animali uccisi.
Pelia e Neleo, entrambi figli di Poseidone e di Tiro, si di-
sputarono il potere di Iolco, e Neleo fu cacciato dal fratello e
si rifugi in Messenia, a Pilo.
COSTELLAZIONI E MITI 69

Pelia, frattanto, spos Anassibia e ne ebbe un figlio, Aca-


sto, e quattro figlie, Pisidice, Pelopia, Ippotoe ed Alcesti, la
pi bella e la pi pia di tutte. Fu la sola che non partecip al-
l'uccisione di Pelia, allorch Medea, con i suoi inganni ed i
suoi sortilegi, fece in modo che questi fosse massacrato dalle
proprie figlie. (v. Ariete).

Eretteo, figlio di Pandione, re di Atene, e di Zeusippe, ave-


va come fratello Buto. Alla morte di Pandione, Eretteo ebbe il
potere regale di Atene, mentre Buto divenne il sacerdote dei
due di protettori della citt, Atena e Poseidone. Eretteo spo-
s Prassitea, da cui ebbe molti figli: i maschi erano Cercope,
Pandoro, Metione, Alcone, Orneo, Tespio ed Eupalamo,
mentre le femmine erano Protogenia, Pandora, Procri, Creu-
sa, Ctonia, Orizia e Merope.
Durante una guerra fra Ateniesi ed Eleusini, questi ultimi
avevano come alleato Eumolpo, figlio di Poseidone e di Chio-
ne.
Eretteo chiese all'oracolo di Delfi come avrebbe potuto ri-
portare la vittoria, e l'oracolo gli rispose che avrebbe dovuto
sacrificare una delle sue figlie. Di ritorno ad Atene, egli sacri-
fic Ctonia, ma le sorelle della vittima, le quali avevano giura-
to di non sopravviverle, si uccisero anch'esse.
Eretteo e gli Ateniesi furono vittoriosi ed Eumolpo fu ucci-
so in battaglia, ma Poseidone, irritato per la morte del figlio,
ottenne che Zeus uccidesse Eretteo con un colpo di fulmine.

Dedalo, figlio di Metione, nipote di Eretteo, e di Alcippe,


il tipo dell'artista universale: architetto, scultore ed inventore
di mezzi meccanici. Lavorava ad Atene, dove aveva come allie-
vo suo nipote, figlio della sorella Perdice, Talo, che era abilis-
simo, tanto che Dedalo ne divenne geloso. Un giorno Talo,
ispirandosi alla mascella di un serpente, invent la sega, Deda-
lo lo gett dall'alto dell'acropoli. Il delitto fu scoperto e Deda-
lo fu trascinato davanti all'Aeropago, che lo condann all'esi-
lio. Fugg a Creta, dove divenne architetto e scultore di Mi-
nosse, per il quale egli costru il Labirinto dove rinchiudere il
Minotauro (v. Toro).
70 GIOVANNI PLATANIA

Fu Minosse stesso che, poi, lo rinchiuse nel suo Labirinto


assieme al figlio Icaro, per l'aiuto che aveva dato a Teseo nel-
l'uccisione del Minotauro. Ma Dedalo si fabbric delle ali che
attacc con la cera ed altrettanto fece per il figlio. Entrambi
volarono via. Prima di partire, Dedalo aveva raccomandato ad
Icaro di non volare troppo basso n troppo alto, ma Icaro,
pieno di orgoglio, non ascolt i consigli del padre e sal in cie-
lo tanto vicino al Sole che la cera si sciolse ed Icaro precipit
in mare.
Dedalo poi giunse sano e salvo a Cuma, dove innalz due
colonne, una in memoria del figlio e l'altra dedicata ad Apollo.
Minosse l'insegu in tutti i paesi, mentre egli si nascondeva
in Sicilia, vicino l'odierna Agrigento, da re Cocalo.
Allorch Minosse si present per cercarlo, Cocalo lo na-
scose, ma Minosse ricorse all'astuzia: offriva ovunque passasse
una conchiglia di chiocciola ed un filo, promettendo una ri-
compensa a chi avesse saputo far passare il filo attraverso le
spirali della conchiglia. Nessuno trovava la soluzione del pro-
blema, e Cocalo, tentato, propose la difficolt a Dedalo, che
attacc il filo ad una formica e spinse l'insetto in quel nuovo
labirinto.
Quando Cocalo riport, trionfante, la conchiglia infilata a
Minosse, questi cap che Dedalo, l'uomo ingegnoso per eccel-
lenza, era nei paraggi, e non ebbe nessuna difficolt a farlo
confessare a Cocalo. Questi dovette allora promettere di con-
segnargli Dedalo. Ma, per salvare il suo ospite, Cocalo inca-
ric le figlie di affogare Minosse nel bagno con acqua bollente.
Una volta che Minosse fu ucciso dalle figlie di re Cocalo,
Dedalo costru numerosi edifici, come ringraziamento verso
l'ospite.

Tornando a Peleo, questi, dopo il banchetto celebrativo,


ubriaco, cadde in un sonno profondo ed Acasto gli rub la
spada magica che nascose sotto un mucchio di letame di vac-
ca. Peleo, al risveglio, si trov solo, disarmato e circondato da
Centauri che erano sul punto di ucciderlo.
Il loro re, Chirone, tuttavia, non soltanto gli salv la vita,
ma indovin dove era sepolta la spada e gliela restitu.
COSTELLAZIONI E MITI 71

Frattanto, per consiglio di Temi, Zeus decise che Peleo do-


veva sposare la Nereide Teti. Chirone, per, aveva previsto
che Teti avrebbe a tutta prima sdegnato quelle nozze con un
mortale e, seguendo le sue istruzioni, Peleo si nascose sulla
spiaggia di un'isoletta della Tessaglia, dove Teti si recava spes-
so, cavalcando nuda un delfino.
Non appena Teti si fu addormentata, Peleo le balz addos-
so. La lotta fu silenziosa e selvaggia. Teti si trasform successi-
vamente in fuoco, acqua, leone e serpente, ma Peleo se l'a-
spettava e non allent la presa, nemmeno quando Teti divenne
un'enorme seppia e gli schizz addosso una nube d'inchiostro.
Peleo, bench ustionato, ferito, coperto lividi e di appiccicoso
inchiostro di seppia, non si lasci respingere; ed infine Teti ce-
dette: giacquero stretti in un appassionato abbraccio e fecero
l'amore per tre giorni.
Le nozze furono celebrate dinanzi alla grotta di Chirone,
sul monte Pelio, ed anche gli di parteciparono al banchetto.

Eris, dea della discordia, una delle forze primordiali, era


anche lo spirito dell'emulazione, messa nel mondo come
molla per i vari mestieri.
Essa, che non era stata invitata, decise di far nascere una
baruffa tra gli di e, mentre Era, Afrodite ed Atena conversa-
vano amichevolmente, lasci cadere una mela d'oro ai loro
piedi. Peleo la raccolse e lesse perplesso ci che vi stava scritto
sopra: Alla pi bella. Quella mela, come vedremo, fu una
delle cause della guerra di Troia.

In seguito Peleo ritorn ad Iolco, dove Zeus permise all'e-


sercito di formiche trasformate in guerrieri, che egli stesso
aveva inviato al padre Eaco, di seguirlo, ed ecco perch egli
divenne noto come re dei Mirmidoni. Conquist la citt, ucci-
se Acasto e Cretide ed invit i Mirmidoni ad entrare in citt
tra i resti sanguinanti dei loro corpi smembrati.
Teti, nel frattempo, aveva bruciato le parti mortali di tutti i
sei figli avuti da Peleo per renderli immortali come lei, e li fece
salire uno dopo l'altro all'Olimpo. Ma Peleo riusc a strappar-
le il settimo quando gi essa aveva reso immortale il suo cor-
72 GIOVANNI PLATANIA

po, salvo il tallone. Irritata per l'intrusione del marito, Teti si


conged da lui e ritorn alla sua dimora marina, chiamando
Achille suo figlio, poich non aveva posato le labbra sul suo
seno.
Peleo affid Achille a Chirone, che dissotterr Damiso, il
pi veloce di tutti i Giganti, sotterrato a Pallene, e gli prese
l'osso della caviglia per sostituire quella del bambino. Il desti-
no dimostr in seguito che questa era stata una mossa sbaglia-
ta. (Miti).

Mida, figlio della dea Ida e di un Satiro, fu un uomo aman-


te dei piaceri. Era re della Frigia, crebbe sotto la tutela di Or-
feo, e piant un famoso giardino di rose.
Egli succedette al trono che era stato di Gordio, il quale
aveva consacrato a Zeus il suo carro unitamente al giogo dei
buoi, che egli aveva annodato al timone in un modo particola-
re. Un oracolo dichiar allora che chiunque fosse stato capace
di sciogliere quel nodo sarebbe divenuto signore dell'intera
Asia. Alessandro il Macedone sfrontatamente tagli il nodo
con la sua spada.
Un giorno il vecchio satiro Sileno, un tempo pedagogo di
Dioniso, si addorment ubriaco nel giardino delle rose di Mi-
da. I giardinieri lo inghirlandarono di fiori e lo condussero di-
nanzi al re. Il re, riconosciutolo, attese che si svegliasse e gli
chiese di parlargli e d'insegnargli la saggezza.
Sileno inizi a raccontare la strana storia di due citt favo-
lose ma profondamente dissimili fra loro, situate al di fuori del
mondo. Una era Eusebe, citt pacifica ed onesta, i cui abitanti
vivevano felici e spensierati, accogliendo la morte con il sorri-
so sulle labbra. L'altra era Machimo, citt feroce e guerriera, i
cui abitanti nascevano gi armati, e si dilettavano degli intrighi
e dei combattimenti.
Questi due popoli regnavano su grandi domini ed erano
molto ricchi. Possedevano tanto oro ed argento che questi me-
talli preziosi erano per loro quello che per noi il ferro.
Un giorno questi due popoli decisero di visitare il paese
degli Iperborei, situato all'estremo nord, ed organizzarono
una grande spedizione, di almeno dieci milioni di uomini. Essi
COSTELLAZIONI E MITI 73

affrontarono il lungo viaggio attraverso l'Oceano, per raggiun-


gere il miraggio di quel magnifico paese del vecchio mondo.
Ma, una volta giunti dagli Iperborei, fu tanta la loro delu-
sione nel constatarne il misero tenore di vita, che essi ritorna-
rono in patria, rivalutando la loro abituale esistenza. (Agizza).
Dopo la nascita di Apollo, Zeus gli ordin di andare a Del-
fi, ma questi si rec prima presso gli Iperborei, dove rimase
per qualche tempo; soltanto dopo fece il suo solenne ingresso
a Delfi. Ogni diciannove anni, periodo in capo al quale gli
astri hanno compiuto una rivoluzione completa e sono sulla
stessa posizione, si reca di nuovo presso gli Iperborei e qui,
ogni notte, fra l'equinozio di primavera ed il sorgere delle
Pleiadi, lo si sente cantare i propri inni, accompagnandosi con
la Lira.
Il loro territorio ha un clima molto dolce, felicemente tem-
perato ed il suolo produce due raccolti l'anno. Gli abitanti
hanno costumi gentili, vivono all'aria aperta, nel campi e nei
boschi sacri e sono estremamente longevi. Allorch i vecchi
hanno abbastanza goduto della vita, si precipitano in mare
dall'alto di una scogliera, contenti, con la testa coronata di fio-
ri e trovano una morte felice in mezzo ai flutti.
Per questo modo di vita, che gli abitanti di Eusebe e Ma-
chino considerarono troppo misero, questi se ne tornarono
delusi alla propria vita abituale.

Tra gli altri prodigi, Sileno raccont di un gorgo vorticoso


che nessuno poteva mai superare. Due corsi d'acqua vi scorre-
vano vicino e gli alberi che crescevano sulle rive del primo
portavano frutti che facevano piangere e gemere chi li mangia-
va, mentre gli alberi che crescevano sulle rive del secondo fiu-
me recavano frutti che ridonavano la giovinezza ai vecchi: an-
zi, procedendo a ritroso attraverso la maturit, l'adolescenza e
l'infanzia, divenivano neonati ed infine sparivano!
Mida, deliziato dalla fantasia di Sileno, lo trattenne per cin-
que giorni e cinque notti e poi ordin ad una guida di scortar-
lo fino alla sua dimora. Dioniso, che si era assai preoccupato
per la sorte di Sileno, mand a chiedere a Mida quale ricom-
pensa desiderasse, ed il re chiese di poter avere la capacit di
74 GIOVANNI PLATANIA

trasformare in oro tutto ci che avrebbe toccato. Inizialmente


si sent l'uomo pi felice del mondo, godendo con incosciente
ingenuit dell'aureo luccichio che lo circondava. Ma quando
si accorse che anche il cibo e le bevande che portava alla boc-
ca si trasformavano in oro, comprese che sarebbe ben presto
morto di fame e sete. Scongiur allora Dioniso di liberarlo da
quell'incantesimo. Il dio lo accontent e gli ordin di purifi-
carsi nel fiume Pattolo. Dopo essersi lavato, Mida fu salvo e
lasci nel fiume le numerose pagliuzze d'oro che lo ricopriva-
no. (Agizza) (Miti).
In un'altra versione della storia, Mida era andato a visitare
una provincia lontana del suo regno e si trov sperduto in un
deserto. Non c'era neppure una goccia d'acqua per dissetarsi
e per far bere il suo seguito. Gea, impietosita, fece scaturire
una sorgente, ma successe che questa fonte, invece che acqua,
versava un flutto d'oro. Mida implor allora Dioniso, il quale
trasform la fonte d'oro in una fontana zampillante, che prese
il nome di Fonte di Mida.

Non potevamo dimenticare, in questo breve racconto lega-


to alla teogonia greca, uno degli avvenimenti cruciali della mi-
tologia, la guerra di Troia, generata dal fatto che la Grande
Madre Terra, Gea, era troppo gravata dall'enorme aumento
della popolazione terrestre e, non riuscendo a sostenerne il
peso, ne chiedeva la riduzione. Il concilio divino accolse le
proteste dell'antica ava, e la accontent: l'umanit sarebbe sta-
ta assottigliata da una violenta e lunghissima guerra.
Zeus si mise subito all'opera per compiere il suo divino di-
segno. Innanzitutto concep la bellissima Elena, ignaro stru-
mento per la distruzione dell'umanit. Sotto forma di cigno,
egli si era unito a Nemesi, dea della vendetta.
importante notare che Nemesi rappresenta una conce-
zione fondamentale dello spirito ellenico: tutto ci che si in-
nalza al si sopra della sua condizione, nel bene e nel male, si
espone a rappresaglia degli di, perch tende a sconvolgere
l'ordine del mondo, a mettere l'equilibrio universale in perico-
lo, e, a questo titolo, deve essere castigato, se si vuole che tutto
l'Universo resti quello che . Cos Creso, troppo fortunato per
COSTELLAZIONI E MITI 75

le sue ricchezze e la sua potenza, coinvolto dalla Nemesi nel-


la spedizione contro Ciro, che finisce per comportare la sua
rovina.

L'uovo prodotto dall'unione di Nemesi con Zeus fu raccol-


to con amore da Leda, regina di Sparta, e portato a corte.
Quando ne nacque Elena, perfino Tindaro, sposo di Leda, fu
cos sorpreso e catturato dalle sue meravigliose fattezze, che
l'allev con affetto ed interesse paterno.
Nel frattempo Zeus studiava l'occasione propizia per susci-
tare l'immane guerra che avrebbe coinvolto uomini e di.
La saggia Temi gli sugger di approfittare dell'occasione
delle nozze di Peleo e Teti per suscitare un dissidio fra le dee
presenti. Eris, dea della discordia, per ordine del re dell'Olim-
po, gett tra i partecipanti una mela d'oro del Giardino delle
Esperidi, come dono alla pi bella presente al banchetto nu-
ziale. Si origin cos una gara fra Era, Atena ed Afrodite. La
disputa inizi nella grotta di Chirone e termin sul monte Ida,
dove il mortale Paride, figlio del re di Troia, Priamo, dovette
decidere a chi assegnare il pomo d'oro, dando cos l'avvio al-
l'estinzione della stirpe degli eroi ed alla distruzione di Troia.

Per quanto riguarda la fondazione di Troia, ci sono in ve-


rit molte leggende, ma la pi nota quella ateniese, che narra
di Teucro, figlio di Scamandro e della ninfa Idea. Teucro emi-
gr da Atene nella Frigia, e Dardano, figlio di Zeus e della fi-
glia di Atlante, Elettra, un giorno, dopo un diluvio, approd
su una zattera alla riva asiatica di fronte a Samotracia, dove re-
gnava Teucro, che lo ricevette ospitalmente e gli diede una
parte del suo regno insieme alla figlia Batieia alla condizione
che Dardano lo aiutasse a sottomettere alcune trib vicine.

Ricordiamo che Foscolo, nei Sepolcri, cos narra la morte


terrena di Elettra:

Ed oggi nella Troade inseminata


Eterno splende a' peregrini un loco
Eterno per la ninfa a cui fu sposo
76 GIOVANNI PLATANIA

Giove, ed a Giove di Dardano figlio


Onde fur Troia e Assaraco e i cinquanta
Talami e il regno della Giulia gente.
Per che quando Elettra ud la Parca
Che lei dalle vitali aure del giorno
Chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove
Mand il voto supremo: E se, diceva,
A te fur care le mie chiome e il viso
E le dolci vigilie, e non mi assente
Premio miglior la volont de' fati
La morte amica almen guarda dal cielo
Onde d'Elettra tua resti la fama.
Cos orando moriva. E ne gemea
L'Olimpio; e l'immortal capo accennando
Piovea dai crini ambrosia sulla Ninfa,
E fe' sacro quel corpo e la sua tomba.

Alla morte di Teucro, Dardano gli succedette e chiam tut-


to il paese Dardania.
Da Batieia ebbe tre figli: Ilo, Erittonio e Zacinto, ed una fi-
glia, Idea.
Secondo una tradizione, Dardano avrebbe sottratto la sta-
tua di Pallade, chiamata Palladio, conservata in Arcadia, e l'a-
vrebbe portata a Troia.

Vari miti, sia greci che romani, sono nati attorno a questa
statua, di tre cubiti, circa un metro e mezzo (un cubito pari
0.45 m), fatta costruire da Atena, che avrebbe accidentalmen-
te ucciso la sua amica Pallade.
La dea Atena fu allevata, durante l'infanzia, dal dio Trito-
ne, il quale aveva una figlia chiamata Pallade. Mentre le due
bambine si esercitavano nell'arte della guerra e Pallade stava
per colpire Atena, Zeus ebbe paura per la figlia ed interpose la
sua egida davanti a Pallade, la quale si spavent e non pot
parare il colpo che le vibrava Atena. Pallade cadde ferita a
morte, ed Atena, sconvolta, modell una statua a somiglianza
della compagna e le tribut onori come ad una divinit.
Un giorno Zeus tent di violentare Elettra, ma la giovane si
COSTELLAZIONI E MITI 77

rifugi presso quella statua divina e Zeus, incollerito, avrebbe


scagliato il Palladio dall'alto del cielo sulla terra. La statua, ca-
duta nella Troade, sarebbe stata considerata un segno di ap-
provazione alla fondazione della citt di Troia da parte degli
di, e fu conservata in un tempio nella citt. Il Palladio aveva
la virt di garantire l'integrit della citt che lo possedeva e gli
tributava un culto.

Un'altra leggenda racconta che Ilo, il primo dei figli di


Dardano, si era recato in Frigia per partecipare a dei giochi, in
cui vinse la gara di lotta. Per questo ebbe in dono una vacca e
gli fu consigliato da un oracolo di fondare una citt l dove la
vacca si fosse sdraiata. Ilo segu l'animale e lo vide sdraiarsi
sulla collina di Ate. L fond la citt di Ilio.
Tracciato il solco che segnava i confini della citt, Ilo preg
Zeus perch gli desse un segno, ed il mattino seguente trov
dinanzi alla sua tenda un oggetto di legno, per met sepolto
nella terra e coperto di erbacce: era il Palladio, un simulacro
senza gambe alto tre cubiti, fatto da Atena in memoria della
sua compagna morta, Pallade. Apollo consigli ad Ilo di aver
cura del Palladio, ed Ilo innalz sulla cittadella un tempio che
ospitasse il simulacro.
Ilo poi spos Euridice, figlia di Adrasto, che gli gener
Laomedonte e Temista. Laomedonte decise di erigere le mura
di Troia ed ebbe tanta fortuna da poter godere dell'aiuto di
Apollo e Poseidone.

Priamo ricostru Troia sulle antiche fondamenta e spos


Arisbe, figlia del veggente Merope. Quando ella gli ebbe gene-
rato Esaco, Priamo la marit ad Irtaco.
La seconda moglie di Priamo fu Ecuba, figlia di Dimante,
re della Frigia, e della ninfa Eunoe. Essa gener a Priamo di-
ciannove dei suoi cinquanta figli, gli altri essendo figli di con-
cubine.
Il loro primo figlio fu Ettore, che spos Andromaca, figlia
del re di Tebe, Eezione. Dopo la morte di Ettore, Andromaca
tocc in sorte a Neottolemo, figlio di Achille, a cui diede an-
che un figlio, Molosso, che nacque a Ftia.
78 GIOVANNI PLATANIA

Ma Ermione, che aveva sposato Neottolemo e non poteva


avere figli, era gelosa di questo bambino. Perseguit Andro-
maca e Molosso ed era sul punto di ucciderli allorch l'inter-
vento di Peleo li salv entrambi.
Alla morte di Neottolemo per mano di Oreste, Andromaca
and in sposa ad Eleno, fratello di Ettore, di cui si parler tra
poco.
Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, giunse, assie-
me alla sorella Ifigenia, in Aulide quando quest'ultima avreb-
be dovuto essere offerta in sacrificio ad Artemide. Infatti l'in-
dovino Calcante aveva detto che la collera di Artemide contro
Agamennone si sarebbe placata solo col sacrificio della figlia
Ifigenia. Agamennone la fece venire da Micene con il pretesto
di fidanzarla ad Achille, e la fece offrire sull'altare di Artemi-
de, ma la dea all'ultimo momento ebbe piet della giovane e la
sostitu con una cerbiatta.

Il cieco Tiresia era il veggente pi famoso in Grecia a quei


tempi. Alcuni raccontano che Atena, dopo aver accecato Tire-
sia perch l'aveva vista nuda mentre faceva il bagno in una
fonte, si lasci commuovere dalle lacrime della madre di lui e,
preso il serpente Erittonio dalla sua egida, gli ordin di lavar-
gli le orecchie affinch egli potesse intendere il linguaggio pro-
fetico degli uccelli.
Un altro mito racconta invece che Tiresia vide un giorno
due serpenti nell'atto di accoppiarsi. Quando i serpenti lo at-
taccarono, egli li colp col suo bastone, uccidendo la femmina.
Subito fu trasformato in donna e divenne una celebre prosti-
tuta. Sette anni dopo gli capit di assistere alla stessa scena
nello stesso luogo ed allora riacquist la sua virilit uccidendo
il serpente maschio.
Nel frattempo Era rimprover a Zeus le sue molte infe-
delt e Zeus si difese replicando che, quando egli divideva il
suo letto, Era ne traeva il pi grande godimento, perch le
donne assaporano, nell'atto sessuale, un piacere molto mag-
giore. Che assurdit! grid Era accade esattamente il con-
trario e tu lo sai!. Tiresia fu convocato per por fine alla di-
scussione in base alla sua esperienza personale, e rispose: Se
COSTELLAZIONI E MITI 79

in dieci parti dividiamo il piacere d'amore, tre volte tre vanno


alla donna e una sola all'uomo. Era fu cos esasperata dal
sogghigno di trionfo di Zeus che accec Tiresia, ma Zeus lo ri-
compens con il dono della chiaroveggenza ed una vita che si
sarebbe prolungata per sette generazioni.
Tiresia fece il suo ingresso alla corte di re Edipo e rivel ad
Edipo stesso la volont degli di: la pestilenza che decimava il
suo regno sarebbe cessata solo se uno degli uomini Sparti, gli
uomini che erano sorti dalla terra quando Cadmo aveva semi-
nato i denti di serpente, fosse morto per il bene della citt.
Meneceo, il padre di Giocasta, la moglie di Edipo, subito si
gett gi dalle mura e tutta Tebe elogi il suo spirito di sacrifi-
cio. Tiresia annunci che Meneceo aveva fatto bene e la pesti-
lenza ora sarebbe finita, ma che gli di tuttavia avevano in
mente un altro degli uomini Sparti, uno della terza generazio-
ne, che uccise suo padre e spos sua madre: Sappi, o Gioca-
sta, che egli tuo marito, Edipo!
Dapprima nessuno volle credere a Tiresia, ma le sue parole
ebbero presto conferma da una lettera di Peribea da Corinto.
Peribea scrisse che l'improvvisa morte di re Polibio l'autoriz-
zava a rivelare in quali circostanze era stato adottato Edipo, e
lo fece con i pi minuti particolari. Giocasta allora si impicc
per la vergogna e per il dolore, mentre Edipo si accec con
uno spillo tolto dalle vesti della regina (Miti).

Eteocle e Polinice erano figli di Edipo. Tra i due fratelli scoppi


una forte rivalit per assicurarsi il potere su Tebe. Questa rivalit pro-
voc la guerra dei Sette contro Tebe e la spedizione di Adrasto contro
la citt. All'origine di questa rivalit, esisteva una triplice maledizione
del loro padre.
Quando Edipo si fu accecato, i suoi figli, invece di aver piet di lui,
l'insultarono. Polinice gli serv, malgrado l'espresso divieto che gli era
stato fatto, la tavola d'argento di Cadmo insieme alla sua coppa d'oro.
Era questo un modo di prenderlo in giro e di ricordargli la sua ori-
gine, insieme al suo delitto. Era un modo di prenderlo in giro e di ri-
cordargli la sua origine, insieme al suo delitto.
Quando se ne accorse, Edipo li maledisse entrambi, predicendo lo-
ro che non avrebbero potuto vivere in pace n sulla terra n in morte.
80 GIOVANNI PLATANIA

Pi tardi, durante un sacrificio, i due fratelli inviarono al


loro padre, invece di un buon pezzo, le ossa della coscia della
vittima. Edipo, adirato, gett violentemente le ossa a terra e
pronunci contro di loro una seconda imprecazione. Predisse
loro che si sarebbero uccisi reciprocamente.
La terza maledizione, infine, fu pronunciata da Edipo
quando i suoi figli lo rinchiusero in una prigione oscura per
farlo dimenticare, e gli rifiutarono gli onori che gli erano do-
vuti. Predisse loro che si sarebbero divisi la sua eredit, armi
alla mano.
Rimasti i soli padroni di Tebe, Eteocle e Polinice decisero
di spartirsi il potere. Avrebbero regnato alternativamente
ognuno per un anno. Eteocle regn per primo ed in capo ad
un anno, si rifiut di dare il potere al fratello. Cacciato cos
dalla patria, Polinice giunse ad Argo, portando con s il man-
to e la collana di Armonia. La collana era d'oro, fabbricata da
Efesto ed in origine era stata donata da Zeus alla sorella di
Cadmo, Europa; essa conferiva irresistibile fascino a chi la
possedeva.
Anche il manto di Atena conferiva dignit divina a chi lo
indossasse, e questi oggetti saranno fondamentali nella storia
di Calliroe ed Alcmeone, che racconteremo fra breve.

In quel tempo Adrasto regnava ad Argo e Polinice si pre-


sent al suo palazzo in una notte di tempesta, contemporanea-
mente a Tideo, figlio di Eneo e di Peribea, il quale era fuggito
da Calidone per aver ucciso lo zio Alcatoo. I due eroi si batte-
rono nel cortile del palazzo ed il rumore attir Adrasto, il qua-
le li separ, li accolse e diede loro le sue due figlie in spose.
Cos Polinice spos Argia ed Adrasto gli promise che lo avreb-
be aiutato a riconquistare il regno, mentre Tideo fu purificato
dallo stesso Adrasto e spos l'altra sua figlia Deipile.
Per mantenere la sua promessa, Adrasto riun i capi argivi,
Capaneo, Ippomedonte, Anfiarao il veggente e l'arcade Parte-
nopeo, invitandoli a prendere le armi ed a marciare verso Te-
be insieme ad egli stesso, a Tideo ed a Polinice.
Nel corso della loro marcia attraversarono Nemea, dove
regnava Licurgo. Gli chiesero il permesso di abbeverare le
COSTELLAZIONI E MITI 81

truppe nelle sue terre e Licurgo acconsent. La schiava Ipsipile


li guid alla sorgente pi vicina. Ipsipile era stata una princi-
pessa di Lemno, ma quando le donne di Lemno giurarono di
uccidere tutti i loro uomini per vendicarsi di un oltraggio, essa
salv la vita a suo padre Toante. Fu perci venduta come
schiava (v. Ariete) ed ora, in Nemea, era bambinaia del figlio
di Licurgo, Ofelte. Pos a terra il bambino per un momento
mentre guidava l'armata argiva alla sorgente e subito un ser-
pente si avvinghi alle membra di Ofelte e lo uccise con un
morso. Adrasto ed i suoi uomini ritornarono dalla sorgente
troppo tardi e non poterono fare altro che uccidere il serpente
e seppellire il bambino.
Quando Anfiarao li avvert che quello era un segno di ma-
laugurio, i Sette istituirono i Giochi Nemei in onore del fan-
ciullo, e ciascuno dei capi ebbe la soddisfazione di vincere una
delle sette prove.
Giunto sul monte Cicerone, Adrasto invi Tideo come suo
araldo ai Tebani, con la richiesta che Eteocle rinunciasse al
trono in favore di Polinice, ma tale richiesta fu respinta. Tideo
allora sfid i capi tebani a duello, l'uno dopo l'altro, ed emer-
se vittorioso da ogni scontro. Allora i Tebani non osarono pi
farsi avanti e gli argivi si avvicinarono alle mura della citt e
ciascuno dei campioni si piazz dinanzi ad una delle sette por-
te.
Eteocle seppe allora da Tiresia, il veggente, che i Tebani sa-
rebbero stati vittoriosi se un principe di sangue reale si fosse
volontariamente offerto in sacrificio ad Ares. Fu allora che
Meneceo, figlio di Creonte, si uccise dinanzi alle porte. Appe-
na Capaneo appoggi una scala alle mura e cominci a salirvi,
Zeus lo colp al capo con un fulmine. I Tebani ripresero corag-
gio, fecero una furibonda sortita, uccisero tre dei sette cam-
pioni ed uno dei loro, che si chiamava Melanippo, fer Tideo
al ventre.
Atena nutriva grande affetto per Tideo, e mossa da piet,
mentre egli giaceva a terra morente, si affrett a chiedere a
Zeus un filtro miracoloso che subito l'avrebbe rimesso in pie-
di.
Ma Anfiarao odiava Tideo perch aveva spinto gli Argivi
82 GIOVANNI PLATANIA

alla guerra e, essendo uomo dall'ingegno pronto, si avvicin di


corsa a Melanippo, gli tagli la testa e la porse a Tideo invitan-
dolo a mangiarne il cervello. Tideo lo fece, nel momento in cui
Atena arrivava con il filtro; disgustata da quello che aveva vi-
sto, rovesci a terra il filtro e fugg.
Polinice, per evitare un'ulteriore strage, si offr di stabilire
la successione al trono in un duello con Eteocle. Eteocle ac-
cett la sfida e nel corso del duello i due contendenti si feriro-
no mortalmente a vicenda.
Creonte, loro zio, assunse allora il comando dell'esercito
tebano e mise in rotta gli Argivi.
Anfiarao fuggi sul cocchio e stava per essere colpito alle
spalle da un suo inseguitore tebano quando Zeus spacc la
terra con una folgore ed Anfiarao spar col carro, ed ora regna
vivo tra i morti.

Vedendo che la battaglia era perduta, Adrasto mont il suo


cavallo alato Arione e si diede alla fuga; ma allorch in seguito
ud che Creonte non voleva concedere sepoltura ai nemici
morti, si rec ad Atene come supplice e persuase Teseo a mar-
ciare contro Tebe per punire l'empiet di Creonte. Teseo si
impadron della citt con un attacco a sorpresa, fece prigionie-
ro Creonte ed affid i cadaveri dei morti guerrieri ai loro pa-
renti che innalzarono un grande rogo funebre.
I figli dei sette eroi caduti dinanzi a Tebe giurarono di ven-
dicare i loro padri. Essi sono noti come gli Epigoni. L'oracolo
di Delfi promise loro la vittoria se Alcmeone, figlio di Anfia-
rao, avesse assunto il comando. Ma egli non provava desiderio
di attaccare Tebe e si accalor a discutere dell'opportunit di
quella guerra col fratello Anficolo. Poich i fratelli non riusci-
vano ad accordarsi se combattere contro Tebe, rimisero la de-
cisione alla loro madre Erifile. Tersandro, figlio di Polinice,
vedendo cosi ripetersi una situazione a lui familiare, segu l'e-
sempio di suo padre: corruppe Erifile con un magico manto
che Atena aveva donato alla sua ava Armonia in occasione del-
le nozze, cos come Afrodite le aveva donato la collana. Erifile
decise per la guerra ed Alcmeone assunse di malavoglia il co-
mando.
COSTELLAZIONI E MITI 83

In una battaglia davanti alle mura di Tebe, gli Epigoni per-


dettero Egialeo, figlio di Adrasto, ed il veggente Tiresia pre-
disse allora ai Tebani che la loro citt sarebbe stata distrutta: le
mura avrebbero resistito finch l'ultimo dei sette antichi eroi
fosse rimasto in vita. Adrasto, l'unico superstite, sarebbe mor-
to di dolore alla notizia della fine di Egialeo. Era dunque op-
portuno che i Tebani fuggissero dalla citt quella notte stessa.
Col favore delle tenebre, i Tebani fuggirono a Nord por-
tando con s le mogli, i figli, le armi e poche suppellettili e,
quando si furono allontanati abbastanza, si fermarono e fon-
darono la citt di Estiea.
All'alba Tiresia, che era andato con loro, si disset alla fon-
te Tilfussa ed all'improvviso spir.
Anche Adrasto, come previsto da Tiresia, ebbe la notizia
della fine di Egialeo e mor per il dolore. Gli Argivi rasero al
suolo le mura di Tebe.
Tornati a casa, Alcmeone spos Calliroe e si stabil su di
una terra formata di recente dal limo del fiume Acheloo.

Un anno dopo Calliroe, che temeva di perdere la sua bel-


lezza, rifiut di accogliere Alcmeone nel suo letto finch egli
non le donasse la collana ed il manto di Armonia. Alcmeone
allora torn a Psofide e, ingannando Tegeo, convinse Arsinoe
a consegnargli la corona e la veste. Stava per impossessarsene
quando uno dei servi raccont la verit sulla richiesta di Calli-
roe. Tegeo si infuri a tal punto che ordin al suoi figli di ten-
dere un'imboscata ad Alcmeone e di ucciderlo appena fosse
uscito dal palazzo.
Arsinoe assistette all'assassinio da una finestra e, ignara
della doppiezza di Alcmeone, a gran voce rimprover il padre
ed i fratelli poich avevano violato le leggi dell'ospitalit e l'a-
vevano resa vedova. Tegeo la supplic di starlo ad ascoltare
finch le avesse spiegato tutto, ma Arsinoe si tapp le orecchie
ed augur che morte violenta cogliesse lui ed i suoi fratelli pri-
ma della nuova luna. Per ripicca Tegeo la chiuse in una cassa,
la mand in dono come schiava al re di Nemea e disse ai suoi
figli di portare la collana ed il manto al tempio di Apollo Del-
fico, che avrebbe provveduto affinch non causassero altri
84 GIOVANNI PLATANIA

danni.
I figli di Tegeo gli ubbidirono, ma frattanto Calliroe, infor-
mata di quanto era successo a Psofide, preg perch i bambini
che essa aveva avuto da Alcmeone diventassero adulti in un
giorno e vendicassero la morte del padre.
Zeus ascolt le sue suppliche ed i fanciulli sbocciarono al-
l'improvviso nella virilit, afferrarono le armi e si recarono a
Nemea dove i figli di Tegeo avevano interrotto il loro viaggio
di ritorno da Delfi, nella speranza di indurre Arsinoe a ritrat-
tare la sua maledizione.
Cercarono di dirle la verit sul conto di Alcmeone, ma ella
non volle ascoltare neppure loro. Ed i figli di Calliroe li sor-
presero e li uccisero; poi, affrettandosi verso Psofide, uccisero
anche Tegeo prima che la nuova luna fosse apparsa nel cielo.
Nessun re o dio in Grecia acconsent a purificarli dei loro
crimini, ed essi viaggiarono verso occidente fino all'Epiro e
colonizzarono l'Acarnania, che fu chiamata cos dal nome del
maggiore dei due fratelli, Acarnano.
Il manto e la collana furono deposti a Delfi. (Miti)

Dopo l'assassinio d'Agamennone, tornato in patria, da par-


te di Egisto e Clitennestra, Oreste sfugg al massacro grazie al-
l'altra sorella, Elettra, che lo port di nascosto da Strofio, in
Focide, e lo allev insieme a Pilade.
Quando fu adulto, Oreste ricevette da Apollo l'ordine di
vendicare la morte del padre uccidendo Egisto e Clitennestra.
Oreste si fece passare per un viaggiatore a cui Strofio aveva
dato l'incarico di annunciare la morte di Oreste, veniva dalla
Focide ed andava ad Argo. Clitennestra si abbandon alla
gioia e mand a chiamare Egisto che era assente. Appena arri-
vato al palazzo, quest'ultimo cadde sotto i colpi di Oreste. Cli-
tennestra, udendo il grido che egli emise morendo, accorse e
trov il figlio con la spada sguainata ed insanguinata. Lo sup-
plic di risparmiarla, gli mostr il seno che lo aveva nutrito ed
Oreste era sul punto di cedere, ma Pilade gli ricord il caratte-
re sacro della sua vendetta. Allora egli la uccise.
Come assassino della propria madre, fu perseguitato dalle
Erinni, che lo portarono davanti all'Areopago dove fu assolto
COSTELLAZIONI E MITI 85

poich Atena, la quale presiedeva il tribunale, un il suo voto a


quello di coloro che volevano l'assoluzione.
Atena, con abilit di argomentazioni, era riuscita a portare
le furiose Erinni a non essere di conseguenza in collera contro
Atene, ma a stabilirsi nella citt come dee della fortuna, Eu-
menidi (F. Graf: Il Mito in Grecia).
Oreste, dopo l'assoluzione, and in Tauride con Pilade, ma
l fu fatto prigioniero, perch gli abitanti avevano l'usanza di
catturare tutti gli stranieri allo scopo di sacrificarli alla loro
dea.
La sacerdotessa li fece slegare e li interrog sulla loro pa-
tria e ben presto li riconobbe, perch era Ifigenia, la sorella di
Oreste, che avrebbe dovuto essere stata sacrificata dal padre
Agamennone.
Ifigenia decise aiutarli a fuggire e s'imbarc con loro sulla
nave portando con s la statua di Artemide. Poseidone, tutta-
via, scagli la nave sulla costa ed il re Toante era sul punto
d'impadronirsene allorch un'apparizione di Atena gli ingiun-
se di cessare l'inseguimento.
Cos Oreste ed i suoi potettero approdarono in Attica.
Oreste regn ad Argo, dove torn solo dopo aver rapito
Ermione, che spos e da cui ebbe un figlio, Tisameno, ed an-
che a Sparta, come successore di Menelao, e vi mor molto
vecchio, a novant'anni.

Tra i figli minori di Ecuba vi erano i gemelli Cassandra ed


Eleno, che avevano il dono della profezia.
Quando erano da poco nati i gemelli Cassandra ed Eleno,
Priamo ed Ecuba diedero una festa nel tempio di Apollo, ap-
pena fuori dalle mura di Troia. La sera essi ritornarono dimen-
ticando i bimbi, che passarono la notte nel santuario. L'indo-
mani mattina, quando si and a ricercarli, furono trovati ad-
dormentati con due serpenti che posavano la lingua sui loro
organi genitali. Alle grida dei genitori spaventati, gli animali si
ritirarono in mezzo agli allori sacri che si trovavano in quel
luogo. I bambini, in seguito, rivelarono doni profetici, tra-
smessi loro dai serpenti.
86 GIOVANNI PLATANIA

Un'altra leggenda interessante racconta diversamente il


modo in cui Cassandra ebbe il dono: un giorno si addorment
nel tempio di Apollo ed Apollo stesso, apparsole all'improvvi-
so, promise di istruirla nell'arte della profezia se avesse accon-
sentito a giacersi con lui. Cassandra, dopo aver accettato il suo
dono, rifiut di tener fede ai patti; Apollo allora le chiese un
solo bacio e, mentre Cassandra lo baciava le sput nella bocca
per far s che nessuno credesse mai a ci che essa avrebbe pro-
fetizzato.

Eleno invece interpretava il futuro dal volo degli uccelli e


dai segni esterni. Egli ebbe il dono da Apollo, perch era il
suo favorito.
Quando, dopo alcuni anni di prudente e saggio governo,
Priamo ebbe ridonato a Troia la ricchezza e la potenza di un
tempo, convoc il consiglio per discutere il caso di sua sorella
Esione che Telamone, figlio di Eaco, aveva rapita e portata
con s in Grecia.
Esione, figlia di Laomedonte, spos Telamone, che ebbe
da lei il figlio Teucro.
Bench Priamo fosse incline a ricorrere alla forza, il consi-
glio volle che prima si tentasse di risolvere la questione pacifi-
camente. Il cognato di Priamo, Antenore, e suo cugino Anchi-
se andarono dunque in Grecia e presentarono le proposte dei
Troiani ai Greci riuniti nel palazzo di Telamone; ma, fra risate
di scherno fu loro risposto che tornassero pure a casa e badas-
sero agli affari propri. Questo incidente fu la prima causa
umana della guerra di Troia, di cui gi Cassandra prediceva la
disastrosa fine.
Inoltre la prima distruzione della citt non avvenne a con-
clusione della guerra tra Greci e Troiani. Infatti, le mura di
Troia erano state costruite da Apollo, Poseidone e dal mortale
Eaco.
Quando tali mura stavano per finire di essere costruite, tre
serpenti si slanciarono sulle mura stesse. Due, che si avvicina-
rono alla parte costruita dagli di, caddero morti, ma il terzo
riusc ad oltrepassare la parte costruita dal mortale. Apollo in-
terpret cos il presagio: Troia sarebbe stata presa due volte, la
COSTELLAZIONI E MITI 87

prima da un discendente di Eaco (in effetti fu Eracle, assieme


a Telamone e Peleo) e la seconda ancora da un discendente di
Eaco, ma alcune generazioni pi tardi (e questa volta fu Neot-
tolemo, pronipote di Eaco e figlio di Achille).

La scelta di Zeus, che Paride, ultimo figlio di Priamo ed


Ecuba, dovesse essere lo strumento dell'attuazione della divi-
na volont e della distruzione di Troia, era avvenuta gi prima
della sua nascita. Mentre era incinta, sua madre Ecuba aveva
sognato di partorire una fiaccola che avrebbe arso Troia. Sbi-
gottita da quell'incubo, ella si era confidata col suo sposo,
Priamo, che consult Esaco, suo figlio veggente, il quale lo av-
vis di uccidere il nascituro, che sarebbe stato la rovina del ge-
nere umano. Ma il re di Troia non ebbe il coraggio di commet-
tere l'infanticidio e pens di disfarsi del neonato affidandolo
al pastore Agelao, con l'ingrato compito di sopprimerlo. Il pa-
store prefer abbandonare il piccolo Alessandro sui monti.
Allattato per cinque giorni da un'orsa, poi raccolto ed alle-
vato poi dallo stesso Agelao che lo ritrov vivo, il principe
troiano, che aveva assunto il nome di Paride, divenne un affa-
scinante guerriero, dotato di grande prestanza fisica e di viva
intelligenza.
Egli aveva fama di uomo saggio e, per questo, Zeus gli in-
vi Ermes con le tre dee perch decidesse quale fosse la pi
bella. Paride fu dapprima riluttante: non si sentiva in grado di
poter giudicare le fattezze degli immortali, n si sentiva al si-
curo dalle reazioni delle perdenti. Le dee e lo stesso Ermes si
adoperarono a rassicurarlo, promettendogli di accettare il suo
giudizio come insindacabile e di astenersi da eventuali vendet-
te. Paride esamin singolarmente le tre dee, nude, e ciascuna
di loro volle influenzarlo offrendogli un dono in cambio della
vittoria. Era, che fu la prima ad essere giudicata, gli propose di
diventare ricchissimo padrone dell'Asia mentre Atena gli offr
la saggezza e l'invincibilit in guerra. Afrodite, per, fu la pre-
scelta, colei che dapprima lo aveva affascinato con la sua pro-
rompente bellezza e poi si era riservata il pomo d'oro, pro-
spettandogli le nozze con Elena.
Con questo giudizio si attir l'odio insanabile di Era ed
88 GIOVANNI PLATANIA

Atena, che si allontanarono a braccetto complottando la di-


struzione di Troia.
Mitografi scettici hanno affermato talvolta che Paride fu in
questa faccenda la vittima di un raggiro di tre campagnole, de-
siderose di provare la loro bellezza.

Bionda, delicata e terribilmente seducente, Elena, diventa-


ta adulta, era stata contesa da tutti i capi della Grecia, ponen-
do notevoli problemi di scelta al suo padre mortale Tindaro.
Questi era veramente disorientato dal prestigio dei preten-
denti e dalla ricchezza dei doni offerti. Era presente anche
Ulisse che, consapevole di non avere la ricchezza necessaria
per competere con i suoi rivali in amore, propose un patto a
Tindaro.
Egli lo avrebbe consigliato nella scelta del futuro sposo di
Elena, in cambio dell'aiuto a sposare Penelope, figlia di Icaro.
Tindaro accett ed il figlio di Laerte gli spieg il suo piano. Il
re di Sparta avrebbe dovuto esigere da tutti gli aspiranti alla
mano di Elena, il solenne giuramento di difendere e protegge-
re il futuro sposo prescelto, chiunque egli fosse. Cos fu fatto
ed Elena scelse come suo sposo Menelao, fratello di Agamen-
none.
Per riscuotere il premio promessogli da Afrodite, Paride,
ormai riconosciuto dal re Priamo come figlio legittimo con la
nota dichiarazione Perisca pure Troia, ma non il mio bel fi-
glio, si rec prima ad Amiclea, ospite di Tindaro e poi a
Sparta con la scusa di incontrare Menelao, che lo accolse con
piacere e gli dedic nove giorni di festeggiamenti. Paride gi si
struggeva d'amore e di desiderio per la bella sposa dell'ospite
allorch, un'improvvisa partenza del poco attento Menelao
sembr favorire i suoi progetti: part per Creta, per i funerali
di Catreo, uno dei figli di Minosse, ucciso dal suo stesso figlio
Alatemene.
Menelao affid ad Elena la cura degli ospiti, ordinandole
di tenerli a Sparta per tutto il tempo che avessero voluto rima-
nerci. Ben presto Paride si fece amare da lei con grandi regali
e col suo fascino. Fu aiutato nella sua conquista dal fasto
orientale di cui era circondato e dalla propria bellezza, accre-
COSTELLAZIONI E MITI 89

sciuta anche dalla volont di Afrodite, sua protettrice.


Elena fece l'amore con lui, riun tutti i tesori che pot e,
abbandonata la propria figlia Ermione, di nove anni, fugg con
lui la sera stessa dell'allontanamento del marito. Alcuni mito-
grafi dicono che lo stesso Tindaro, in assenza di Menelao, ac-
cord a Paride la mano di Elena.
Durante il viaggio di ritorno a Troia, la nave di Paride fu
spinta da una tempesta, suscitata da Era, fino in Fenicia, a Si-
done, citt che Paride conquist e saccheggi.
Comunque i due adulteri raggiunsero Troia, accompagnati
da cinque ancelle tra cui Etra, figlia di Pitteo, re di Trezene e
madre di Teseo, Tisadia e Piritoo. Etra fu corteggiata da Belle-
rofonte, ma Pitteo, come vedremo (v. Corona Boreale), la die-
de poi in sposa ad Egeo.

I cittadini di Troia accolsero con calore ed entusiasmo la


bella regina, ma Era, che stava aspettando il momento favore-
vole per vendicarsi di Paride, subito invi Iris ad avvertire
Menelao. Questi, sorpreso ed irato, corse dal fratello Agamen-
none per organizzare la spedizione contro Troia, dopo aver in-
vano richiesto la restituzione della sposa.

Esiste anche un'altra versione della leggenda, secondo la


quale Ermes rap Elena per ordine di Zeus e la affid a re Pro-
teo d'Egitto; frattanto un fantasma di Elena, fabbricato da Era
con una nuvola, fu mandato a Troia con Paride, al solo scopo
di provocare la guerra.
Achille, che non aveva conosciuto Elena, concep il deside-
rio di conoscerla e le dee Teti ed Afrodite prepararono fra loro
un incontro, poco prima della morte stessa di Achille, ed essi
fecero l'amore per lungo tempo. Successivamente i due si spo-
sarono e vissero eternamente nell'Isola Bianca, nel Mar Nero,
alla foce del Danubio.
In realt i mitografi raccontano che Elena ebbe cinque
mariti: Teseo, Menelao, Paride, Achille e Deifobo, un altro
figlio di Priamo, che Elena spos dopo la morte di Paride.
Parteciparono all'impresa contro Troia i pi valorosi guer-
rieri greci, coloro che, come antichi pretendenti di Elena, ave-
90 GIOVANNI PLATANIA

vano giurato fedelt e protezione al suo sposo.


La guerra, tremenda e distruttiva, dur dieci anni, deci-
mando le eroiche forze di ambo i fronti.
Anche Achille fu ucciso da Paride con una freccia che lo
fer nel suo unico punto vulnerabile, il tallone. Ma la freccia fu
guidata nella sua corsa da Apollo.
Infine c'era un'altra leggenda sulla morte di Achille. Que-
sti, innamorato di Polissena, la figlia di Priamo ed Ecuba, era
disposto a tradire i Greci per amore della giovane ed a com-
battere al fianco dei Troiani, ma fu attirato in un'imboscata da
Paride nel tempio di Apollo e qui fu ucciso.

Paride, spinto dal fratello Ettore, aveva sfidato Menelao, a


sua volta spinto da Agamennone ad accettare la sfida, in un
duello dal quale dovevano essere decise le sorti della guerra,
che ormai durava da nove anni, e cos tutti avrebbero visto
morire la guerra, e l'arroganza di chi la vuole, e la follia di chi
la combatte. (Baricco).
Ma quest'episodio non riusc a por fine alla guerra perch
Paride, preso dalla paura fugg dopo i primi colpi, e si rifugi
nelle sale del palazzo di Priamo.

Gli unici abitanti di Troia che avevano continuato ad invei-


re contro i Greci furono Cassandra, che aveva il dono della
profezia e la maledizione di con essere creduta e che sarebbe
stata rapita e stuprata da Aiace Oileo che la strapp dal suo ri-
fugio presso l'altare di Atena, e Laocoonte, che invitava i suoi
concittadini a non accogliere dentro le mura di Troia il cavallo
di legno apparentemente lasciato dagli Achei agli di.
Quando presero Troia, Cassandra fu strappata, da Aiace,
dalla statua di Atena, facendola vacillare rivolgendo gli occhi
al cielo.
I Greci, davanti a questo sacrilegio, erano pronti a lapidare
Aiace, ma egli si salv rifugiandosi presso l'altare della dea po-
co prima offesa.
Cassandra fu poi data ad Agamennone e gli dette due ge-
melli, Teledamo e Pelope; fu uccisa poi dalla moglie di Aga-
mennone assieme a quest'ultimo.
COSTELLAZIONI E MITI 91

Laocoonte era un sacerdote di Apollo, che attir su di s la


collera del dio, unendosi alla moglie Antiope davanti alla sua
statua.
Quando i Greci finsero di imbarcarsi, lasciando il cavallo
di legno sulla riva, i Troiani incaricarono Laocoonte di offrire
un sacrificio a Poseidone chiedendogli di accumulare le tem-
peste sulla rotta della flotta nemica. Ma Laocoonte, da parte
sua, grid:

[...] O ciechi, o folli, o sfortunati! Ai nemici, ai Greci


voi credete? A loro credete voi, che siano partiti. E sar mai
che doni
siano i loro doni, e non piuttosto inganni? Cos vi noto
Ulisse?
O in questo legno sono i Greci rinchiusi, o questa macchina
contro le nostre mura [...]
Quand'ecco che da Tnedo (m'agghiaccio a raccontarlo)
Due serpenti immani venir si vedon parimenti a lito.
Ondeggiando coi dorsi onde maggiori delle marine allor
tranquille e quete.
[...] e gli angui s'affilar direttamente a Laocoonte, e pria di
due suoi pargoletti figli
le tenerelle membra ambo avvinghiando, se fero crudo e
miserabil pasto.
Virgilio: Eneide II. vv. 74 segg.

Il gemello di Cassandra, Eleno, interpretava il futuro dal


volo degli uccelli e dai segni esterni. Egli ebbe il dono da
Apollo, perch era il suo favorito. Ora Calcante, l'indovino
dei Greci, aveva annunciato che soltanto Eleno poteva rivelare
le condizioni alle quali la citt di Troia avrebbe potuto essere
conquistata. Ulisse riusc ad impadronirsi di Eleno e, un po'
con la forza, un po' con la corruzione, riusc a farsi predire l'o-
racolo. Troia sarebbe stata conquistata a patto che Neottole-
mo, figlio di Achille, avesse combattuto con i Greci, i Greci
stessi si fossero impadroniti delle ossa di Pelope, e se il Palla-
dio, la statua miracolosa che era caduta dal cielo, fosse stata
sottratta ai Troiani. Infine, sarebbe stato proprio lui a consi-
92 GIOVANNI PLATANIA

gliare di utilizzare un cavallo di legno per introdurre i guerrie-


ri all'interno delle mura.
Tutto ci, unito all'atteggiamento contrario di Eleno al ra-
pimento di Elena e l'aver impedito ai Troiani di abbandonare
il cadavere di Achille agli uccelli, gli valsero di aver salva la vi-
ta dopo la conquista della citt.
Neottolemo, figlio di Achille e Deidamia, fu generato
quando Achille era stato nascosto dalla madre nell'harem di
Licomede e nacque dopo la partenza del padre per la guerra
di Troia. Tutto l'esercito greco ritrov in Neottolemo un nuo-
vo Achille quando questi mor.
Durante il combattimento decisivo, Neottolemo fece preci-
pitare il piccolo Astianatte dall'alto di una torre, e, nel bottino
di guerra, ottenne Andromaca, vedova di Ettore, ed in memo-
ria di suo padre Achille, gli offr in sacrificio Polissena, che
immol sulla sua tomba.
Dalla sua unione con Andromaca nacquero tre figli, Mo-
losso, Pielo e Pergamo.
Oreste, a Delfi, uccise Neottolemo per due motivi: per
vendicare Ermione tradita, e perch Neottolemo gli aveva ra-
pito la stessa Ermione quando era la sua fidanzata.

L'unico che si salv dalla distruzione di Troia fu Enea, fi-


glio di Anchise e della dea Afrodite.

Enea era il pi valoroso dei troiani, inferiore soltanto ad


Ettore. La sua complessa figura univa ad un'eccezionale abi-
lit nelle arti marziali, una profonda adesione ai valori pi puri
della pietas umana. Quando Afrodite aveva fatto l'amore
con l'affascinante pastore troiano Anchise, era rimasta incinta
di Enea. Il bambino fu poi affidato alle ninfe del monte Ida,
affinch lo allevassero.
Anchise, ubriaco, si era vantato del suo rapporto con la
dea, suscitando l'ira di Zeus che lo pun rendendolo storpio.
Lasciato il suo amante troiano, Afrodite continu a sorve-
gliare il figlio con costante amore e la sua vigile presenza pro-
tettiva caratterizz sempre le numerose avventure di Enea.
Enea approv il ratto di Elena ed il rifiuto troiano di resti-
COSTELLAZIONI E MITI 93

tuirla a Menelao. Fu per solo un disastroso saccheggio di


Achille a spingerlo alla battaglia in qualit di capo dei discen-
denti di Dardano. Lo scontro con Achille avvenne sul monte
Ida e si risolse con l'intervento di Poseidone che salv Enea.
L'appoggio incondizionato degli di venne confermato da altri
numerosi interventi in suo favore. Quando fu ferito da Dio-
mede, Afrodite scese a salvarlo, ma fu anche lei ferita ed in lo-
ro soccorso dovette intervenire Apollo che trascin Enea lon-
tano dal campo di battaglia, avvolgendolo in una nube.

In un secondo scontro con Achille, vicino al cadavere di


Patroclo, Enea stava di nuovo per avere la peggio, ma anche
questa volta si ripet l'aiuto divino nella persona del dio Po-
seidone, che lo nascose in una nuvola. Fu quell'occasione che
Poseidone dichiar solennemente l'alto destino a cui era stato
eletto Enea che, insieme ai suoi discendenti, avrebbe domina-
to sui troiani, mentre la stirpe di Priamo, invisa agli di, sareb-
be stata dispersa.

Mentre Troia era preda del saccheggio Acheo, Enea part


con il padre Anchise sulle spalle ed il figlioletto Ascanio per
mano. Alla vista di quel mirabile esempio di amore filiale e pa-
terno, Agamennone si commosse ed ordin che fosse concessa
l'incolumit al degno nemico.
Egli raccolse i pochi fuggiaschi Troiani e part dalla costa
Troade, per volont divina, verso occidente, in cerca di una
nuova patria, forse portando con s il vero Palladio.
Si diresse, tra molte vicissitudini, verso l'Italia meridionale,
dove l'accoglienza riservatagli non fu delle migliori. In seguito
arriv in Sicilia, dove fu colpito dalla morte del vecchio An-
chise, che fu seppellito sul Monte Erice. Quando la flotta ri-
prese il largo, una violenta tempesta la spinse sulle coste afri-
cane. La regina dei Cartaginesi, Didone, li accolse con grande
ospitalit e fu subito colpita dalla personalit di Enea. Si inna-
mor perdutamente dell'eroe ed inizi a trascorrere gran parte
del suo tempo insieme a lui. Durante una battuta di caccia,
una violenta pioggia li spinse a trovare rifugio in una grotta.
Qui, con la complicit di Era ed Afrodite, i due divennero
94 GIOVANNI PLATANIA

amanti. Per Didone questo rapporto assunse tutte le connota-


zioni di un grande amore, ma Zeus volle che il destino si at-
tuasse ed ordin ad Enea l'immediata partenza e la rottura
della sua relazione con Didone. Quest'ultima, alla notizia della
partenza dell'amato, fece allestire un'enorme pira sul punto
pi alto della citt e, mentre la flotta troiana si allontanava, si
gett tra le fiamme del rogo funebre.
Enea riprese il viaggio e, seguendo gli ordini divini, si rec
di nuovo in Italia. In una breve sosta in Sicilia, egli vi abban-
don gli anziani troiani ormai stanchi del viaggio e desiderosi
di una vecchiaia tranquilla. Sbarc poi a Cuma, dove incontr
la Sibilla, che gli concesse di scendere in Averno, per poter ri-
vedere il padre Anchise, il quale gli illustr il glorioso futuro
che il Fato riservava alla loro stirpe.
Lasciati gli Inferi, Enea riprese il suo cammino in direzione
del Lazio, dove sbarc alle foci del Tevere, meta del suo viag-
gio. Fu accolto cordialmente da Latino, re di Laurento, che gli
diede in sposa la figlia Lavinia. Turno, re dei Rutuli, cui era
stata in precedenza promessa in sposa la fanciulla, non grad la
decisione di Latino, considerandola un indegno tradimento.
La guerra che segu impegn Enea a ricercarsi degli alleati. Si
schierarono al suo fianco Evandro, re di Pallantea, e Tarconte,
re degli Etruschi. La battaglia fu difficile, ed il suo esito incer-
to, fino a quando i due grandi antagonisti, Turno ed Enea,
non si scontrarono in un famosissimo e violento duello, in cui
Turno vi trov la morte. Enea cominci cos ad attuare il suo
compito di fondare una nuova citt per i discendenti di Troia.
COSTELLAZIONI E MITI 95

8. ASTRONOMIA IN GRECIA

Parlare di astronomia presso gli antichi Greci vuol dire


percorrere alcune delle tappe fondamentali di questa scienza.

Il primo astronomo a noi noto fu Talete di Mileto (624 -


546 a.C.) che, dopo essersi recato in Mesopotamia per studia-
re con i matematici caldei, predisse un'eclissi totale di Sole,
che si verific puntualmente nel maggio 585 a.C., interrom-
pendo la guerra in corso tra Lidi e Medi. Studi la sfera cele-
ste e le antiche costellazioni ed introdusse quella dell'Orsa
Maggiore che, prima di lui, era nota come il Grande Carro.

Della scuola di Talete fece parte anche Anassimandro, che,


completando gli studi del predecessore, fu il primo a fare delle
osservazioni celesti utilizzando strumenti come lo gnomone
(pare da lui stesso inventato).
Intorno al V secolo a.C. nacque la scuola fondata da Pita-
gora, nel centro della cultura mondiale di quel tempo, la Ma-
gna Grecia, ed in particolare a Crotone. A questa scuola si at-
tribuiscono le prime idee sui moti, di rotazione e di rivoluzio-
ne, della Terra. Un passo importante che pone il nostro piane-
ta fra i corpi celesti (pianeti), anche se ancora al centro dell'U-
niverso.

Di questa scuola era Filolao, che verso la fine del V secolo


a.C., ipotizz una prima struttura dell'Universo, con un fuoco
centrale, ed i pianeti, Sole compreso, ruotanti intorno ad esso.
Un sistema, quello di Filolao, che resister fino a che non
verr sostituito dalle nuove concezioni aristoteliche.

Nel frattempo, per, fra il 429 ed il 347 a.C. appare una fi-
gura che lascer una notevole traccia del suo passaggio: Plato-
ne. Tra le allusioni astronomiche ritrovate nei suoi scritti, che
sono pi che altro a carattere mistico-poetico, si possono, ad
96 GIOVANNI PLATANIA

esempio, rintracciare i primi accenni ad epicicli e deferenti, ai


moti della Luna e dei pianeti ed alla materia che componeva le
stelle.
Conviene, a questo punto, cercare di capire perch epicicli
e deferenti erano importanti nella costruzione del sistema geo-
centrico, per interpretare i moti planetari ed in particolare i
loro moti retrogradi.
I pianeti, come Platone descriver nel Timeo, devono ne-
cessariamente muoversi uniformemente lungo orbite perfetta-
mente circolari attorno alla Terra, ma ci non riesce a giustifi-
care completamente il loro moto, visto che spesso hanno dei
rallentamenti ed anche delle inversioni di moto (moto retro-
grado: questa la ragione per cui vennero chiamati pianeti
cio erranti).
Fu inventato allora da Ipparco un nuovo sistema geo-
centrico che prevedeva il moto, sempre circolare uniforme,
ma non sul deferente, circonferenza attorno alla Terra, bens
su di un epiciclo, piccola circonferenza con centro sul defe-
rente e percorsa dal pianeta sempre di moto uniforme. Ci
poteva giustificare anche i moti rallentati e retrogradi: bastava
aggiustare opportunamente i raggi sia degli epicicli che dei de-
ferenti che la velocit con cui il pianeta ruotava sull'epiciclo.
Platone, infatti, descrive nel Timeo, l'Universo:

...Egli [Dio] lo fece tondo e sferico, in modo che vi fosse


sempre la medesima distanza fra il centro ed estremit...e gli
assegn un movimento, proprio della sua forma, quello dei sette
moti. Dunque fece che esso girasse uniformemente,
circolarmente, senza mutare mai di luogo...; e cos stabil questo
spazio celeste rotondo e moventesi in rotondo.

Quello di Platone era dunque un sistema geocentrico, a


sfere concentriche, che fu in seguito perfezionato da Eudosso
e a cui Aristotele, per altro suo discepolo e amico, attinger in
gran parte.

E la prima descrizione sistematica delle costellazioni risale


proprio ad Eudosso di Cnido (408 - 355), che costru il primo
COSTELLAZIONI E MITI 97

osservatorio astronomico greco di cui ci giunta notizia. Qua-


si tutti i suoi scritti sono andati perduti, ma ne conosciamo i
contenuti grazie al poema Fenomeni di Arato.
Fu Eudosso che per primo tent di risolvere, da valente
geometra qual'era, in modo meccanico il problema dei movi-
menti irregolari (stazionari e retrogradi) dei pianeti. Per tenta-
re di dare risposta alle sue teorie, egli si rec a studiare addi-
rittura in Egitto dove i sacerdoti custodivano un'innumerevole
serie di cronache su antiche osservazioni celesti. Riusc nel suo
intento, dotando il sistema planetario di una serie di sfere mo-
trici (in tutto 27) le quali contenevano i poli delle sfere dei
pianeti, in modo che questi ultimi potessero muoversi nel cie-
lo indipendentemente gli uni dagli altri e tracciare nel cielo le
traiettorie da noi osservate e solo apparentemente irregolari.

Il sistema di universo costruito da Eudosso e perfezionato


da Callippo qualche anno pi tardi con l'aggiunta di alcune
sfere per Mercurio, Venere, Marte e per la Luna ed il Sole,
diede lo spunto ad Aristotele per parlare di astronomia. Egli,
infatti, a dispetto degli anni in cui le sue teorie rimasero valide
per tutti o quasi, non da considerare un vero e proprio
astronomo.
Aristotele aveva diviso il cosmo in due parti: la prima per-
fetta e incorruttibile, quella oltre la Luna, costituita da sfere
concentriche ove erano incastonati i pianeti e le stelle; l'altra,
sublunare, costituita dal mondo caotico e corruttibile, formata
da quattro sfere (Terra, Acqua, Aria e Fuoco) in cui l'ordine
era solo una tendenza per ogni cosa. Di l dalla pi esterna di
queste sfere concentriche, quelle delle stelle fisse, Aristotele
collocava il motore di tutto l'Universo, che trasmetteva il
moto con una serie di sfere di collegamento per un totale di
55: un sistema geocentrico che resister per ben 18 secoli, fino
alla teoria copernicana che, per, ammettendo ancora per i
pianeti solo orbite circolari, aveva ancora bisogno di epicicli e
deferenti, anzi ne necessitava di qualcuno in pi della teoria
geocentrica tolemaica (II sec d.C.).
Prima di Copernico, per, alcuni filosofi avevano gi tenta-
to di ipotizzare un Universo costruito con un sistema eliocen-
98 GIOVANNI PLATANIA

trico, mettendo cos la Terra a ruotare intorno al Sole e ponen-


dola quindi fra i pianeti. Fra questi, degni di nota, troviamo
Aristarco di Samo (310-230 a.C.), appartenente alla scuola
alessandrina, che aveva teorizzato non solo un sistema eliocen-
trico, ma aveva trovato anche una spiegazione al fenomeno
delle stagioni, attribuendolo alla diversa inclinazione dell'asse
della Terra rispetto allo Zodiaco e quindi rispetto al piano del-
l'eclittica. Sembra, inoltre, che egli avesse gi idea della natura
stellare del Sole e della distanza infinitamente grande delle
stelle.
Aristarco espose per primo una teoria eliocentrica secondo
la quale le stelle fisse ed il Sole restavano immobili. Intorno al
Sole orbitavano i pianeti fra cui la Terra, intorno a cui girava a
sua volta la Luna. La sua ipotesi non ebbe molta fortuna: l'a-
stronomo venne accusato di delitto contro la religione per
aver turbato il riposo di Estia, il fuoco divino racchiuso nel-
la Terra; la visione geocentrica del cosmo continu a regnare
fino all'epoca moderna.
Aristarco tent anche una misura della distanza fra la Terra
ed il Sole, circa nel 270 a.C.
Egli sapeva che quando la Luna in quadratura, cio
quando dalla Terra si vede met superficie della Luna illumi-
nata dal Sole e l'altra met al buio, le direzioni Sole-Luna e
Luna-Terra determinano un angolo retto. Perci in quel mo-
mento i tre corpi celesti formano in cielo un triangolo rettan-
golo, del quale possibile misurare l'angolo compreso tra le
visuali dirette dalla Terra rispettivamente al Sole e alla Luna.
Aristarco valut quell'angolo 87 e, in base a questo valore, di-
chiar che il Sole doveva essere circa 20 volte pi lontano dal-
la Terra di quanto non fosse la Luna. In realt il Sole 400
volte pi lontano della Luna, ma per arrivare a questo risulta-
to egli avrebbe dovuto stimare con precisione l'angolo com-
preso tra le direzioni Terra-Luna e Terra-Sole che non di
87, ma di 8951', una misura impossibile da ottenere con gli
strumenti disponibili a quel tempo.
Il modello eliocentrico di Aristarco fu condannato dalla
cultura del suo tempo e ignorato nei secoli successivi.
Eratostene di Cirene (276 ca - 194 ca a.C.), che il faraone
COSTELLAZIONI E MITI 99

Tolomeo Evergete aveva chiamato ad Alessandria d'Egitto per


dirigerne la biblioteca, il centro culturale pi grande e famoso
dell'antichit, comp uno studio approfondito del cielo, giun-
gendo a calcolare anche la circonferenza massima della Terra
in 250 mila stadi, poco meno di 40 mila chilometri: una misu-
ra sostanzialmente esatta.
La misura fu compiuta quando, nel 240 a.C. ad Eratostene
capit di leggere, su un papiro, che a Siene (l'attuale Assuan),
il 21 giugno (il giorno pi lungo dell'anno), si verificava un fe-
nomeno strano: il Sole, a mezzogiorno, si portava esattamente
a perpendicolo sopra la testa degli abitanti del luogo, e quindi
lo si poteva vedere, ad esempio, riflesso sul fondo dei pozzi.
Egli si chiese per quale motivo quel fenomeno non accadeva
anche ad Alessandria, e concluse che ci doveva dipendere dal
fatto che la Terra era sferica. Su una Terra piatta, infatti, i rag-
gi del Sole, arrivando da grande distanza tutti paralleli tra lo-
ro, avrebbero dovuto formare sulla superficie terrestre lo stes-
so angolo. Poich ci non avveniva, la Terra doveva essere sfe-
rica; anzi egli intu che proprio dalla differenza dell'inclinazio-
ne dei raggi del Sole fra Siene ed Alessandria, si sarebbe potu-
to risalire al valore del raggio di curvatura della Terra. Misur
quindi l'angolo che i raggi del Sole formavano con la verticale
ad Alessandria a mezzogiorno del 21 giugno, quando a Siene
cadevano perpendicolari al suolo, e constat che quell'angolo
era un cinquantesimo dell'angolo giro. L'ampiezza di que-
st'angolo, come facile dimostrare, corrisponde a quella tra i
due raggi che, dal centro della terra, passano per Alessandria e
Siene. Ora, se l'angolo fra le due localit misurato al centro
della Terra un cinquantesimo dell'angolo giro, anche la di-
stanza fra le stesse due citt doveva essere un cinquantesimo
di tutta la circonferenza terrestre. La distanza tra le due citt
era valutata in 5000 stadi; pertanto, moltiplicando 50 per
5000, Eratostene ricav che la circonferenza terrestre doveva
misurare 250 000 stadi. Questo valore, riportato alle unit di
misura attuali, corrisponde a 39 675 km: una lunghezza molto
prossima a quella misurata attualmente con metodi molto pi
precisi.
Il primo vero astronomo di quel periodo fu per Ipparco
100 GIOVANNI PLATANIA

di Nicea (194-120 a.C.), scopritore anche della precessione


degli equinozi. Confrontando le sue osservazioni con quelle
dei suoi predecessori, egli scopr degli spostamenti di lieve en-
tit che potevano essere rilevati solo con osservazioni fatte a
distanza di molto tempo le une dalle altre e che espose nella
sua celebre opera Spostamenti dei punti dei solstizi e degli equi-
nozi.
La precessione degli equinozi un lento anticipo dell'i-
stante in cui avvengono gli equinozi, pari a circa 50 secondi
d'arco l'anno (un periodo di 26 000 anni e di ampiezza di
2327'), dovuto alla lenta rotazione dell'asse della Terra in
senso contrario a quello di rotazione della Terra stessa, gene-
rato dall'attrazione combinata del Sole e della Luna.
Di notevole importanza anche il suo Nuovo catalogo stella-
re ove erano catalogate oltre 1 000 stelle, con le coordinate
corrette per la precessione e suddivise in sei classi (grandezze)
a seconda della loro luminosit. Ipparco fu spinto alla compi-
lazione di questo catalogo dall'apparizione di una stella nuo-
va nel 134 a.C..
Le osservazioni astronomiche fatte da Ipparco per deter-
minare l'entit della precessione lo portarono a determinare
anche le lievi differenze fra anno siderale (misurato col transi-
to delle stelle al meridiano) ed anno tropico (misurato col pas-
saggio del Sole nel punto equinoziale di primavera).
Ad Alessandria, Ipparco di Nicea fiss per la prima volta
una suddivisione delle stelle in luminosit, espresse in sei ma-
gnitudini (o grandezza). Le stelle pi luminose venivano clas-
sificate di magnitudine 1, le meno luminose di magnitudine 6.
Con il perfezionamento della scala di magnitudini, alcune stel-
le molto luminose finirono per trovarsi con luminosit supe-
riore a quella necessaria per essere classificate di prima gran-
dezza. A queste stelle vennero assegnati valori di magnitudine
zero o anche negativi. Inoltre, misurando con strumenti preci-
si la luminosit di ogni stella, si giunti ad attribuire anche va-
lori decimali, come m = 2.8.
Per quel che riguarda i pianeti, Ipparco, cerc di determi-
nare, con la maggiore precisione possibile, i loro tempi di rivo-
luzione, senza peraltro costruire un vero e proprio sistema.
COSTELLAZIONI E MITI 101

Negli anni che seguirono la morte di Ipparco non vi da regi-


strare alcun progresso di una certa rilevanza nelle scienze
astronomiche, n nomi di una certa rilevanza.

Tutte queste definizioni sono oggi rese pi precise. Gli


astronomi definiscono Magnitudine assoluta M di una stella
la sua luminosit intrinseca, e magnitudine apparente m,
quella che si misurava otticamente ed oggi si misura con meto-
di fotografici molto sofisticati. La relazione che lega M ed m ,
a parte correzioni dovute ai vari assorbimenti interstellari, di
cui qui inutile parlare:

M = m + 5 - 5 log d

in cui d la distanza della stella, ed in generale dell'ogget-


to (galassia, nube, QSO...), da noi.

Per ritrovare un risveglio dell'astronomia bisogna arrivare


a Tolomeo (sec. II d.C.).
Claudio Tolomeo nacque ad Alessandria d'Egitto e fu l'ul-
timo rappresentante dell'antica astronomia greca. Visse nel II
secolo d.C. e, secondo la tradizione, svolse la sua attivit di
astronomo nei pressi della sua citt natale. Il merito principale
di Tolomeo fu quello di aver raccolto tutto lo scibile astrono-
mico, quale era ai suoi tempi, dopo i grandi progressi dovuti
ad Ipparco, e, coordinato ed arricchito con le sue esperienze,
di averlo esposto nella sua opera principale, l'Almagesto.
Il titolo originale di quest'opera, che rimasta come testo
fondamentale astronomico fino a tutto il medio evo, era Al
Magistri, che in arabo significa Grande Composizione da cui il
titolo a noi conosciuto Almagesto. In esso Tolomeo aveva
esposto un sistema del mondo, oggi noto come sistema tole-
maico anche se non si trattava completamente di farina del
suo sacco, che poneva la Terra al centro dell'universo ed i pia-
neti, compresi il Sole e la Luna, ruotanti intorno ad essa col siste-
ma degli epicicli e dei deferenti. In questo sistema Tolomeo nega-
va anche la rotazione della Terra intorno al proprio asse, essendo il
movimento diurno proprio della sfera celeste. Nell'Almagesto, pri-
102 GIOVANNI PLATANIA

ma di avere a che fare col suddetto sistema, a dimostrare la com-


piutezza dell'opera, il lettore si viene a trovare davanti a capitoli
che trattano di coordinate celesti, di trigonometria piana e sferica,
di dimensioni della Terra, di eclissi di Sole e di Luna, di strumenti
di osservazione e, a completamento, di un catalogo completo delle
posizioni di ben 1022 stelle.
L'Almagesto di Tolomeo, come abbiamo gi detto, fu conside-
rato per parecchi secoli come il Libro dell'astronomia. Questo
perch i metodi matematici e geometrici di cui Tolomeo si serv lo
fecero preferire alle opere simili di quel tempo. Inoltre, per la sua
completezza, ebbe una rapida ed ampia diffusione. L'Almagesto
fu tradotto infatti una prima volta in latino da Boezio (traduzione
mai giunta a noi). Pi importante invece la traduzione in arabo,
per ordine del califfo Al Manum nell'827, traduzione che si diffu-
se in Europa e che fu ritradotta in latino, assai prima che si sco-
prisse l'originale in greco, a Napoli nel 1230.
Per tornare al sistema costruito da Tolomeo ed esposto negli
ultimi cinque libri, o capitoli, dell'Almagesto, bisogna riconoscere
che si tratta di un sistema piuttosto complicato, che per risponde
con una buona approssimazione alle posizioni dedotte col calcolo
matematico. Le irregolarit dei moti dei pianeti, del Sole e della
Luna erano facilmente spiegabili mettendo la Terra non esatta-
mente al centro delle orbite planetarie, ma leggermente decentra-
ta. Era in tal modo evidente che a questo fatto era possibile anche
attribuire la diversa velocit del Sole nel cielo e soprattutto, l'alter-
narsi delle stagioni.
Di questo sistema Dante Alighieri fece l'impalcatura del suo
Paradiso. Ma non solo. Esso continu ad essere insegnato nelle
scuole del tempo anche dopo le innovazioni di Copernico, Keple-
ro e Galileo fin quasi ai primi del settecento.
Con Tolomeo finisce la storia dell'astronomia greca fatta di po-
che osservazioni, ma arricchita dalla matematica e dalla geometria
che assumeranno una sempre maggiore importanza nell'aiutare
questa scienza a progredire ed a perfezionarsi.
COSTELLAZIONI E MITI 103

9. L'ASTRONOMIA DI ALTRI POPOLI

Il centro della ricerca astronomica divenne dapprima Da-


masco, attorno al V secolo, dove regnavano i califfi Omayyadi,
e poi Bagdad, fondata dai califfi Abbasidi, i quali attirarono i
maggiori astronomi del tempo e fecero tradurre la Sintassi
Astronomica di Tolomeo, che da quel momento si chiam Al-
magesto.

Nel XIII secolo, re Alfonso X di Castiglia, detto El Sabio,


compil, insieme con numerosi ricercatori, che aveva raccolto
intorno alla sua corte, le Tavole Alfonsine, uno studio illustra-
to del cielo stellato che sarebbe stato uno dei testi pi letti in
Europa. Fu allora che i lunghi nomi arabi delle stelle furono
contratti ed europeizzati in un'unica parola.

L'ultimo catalogo stellare elaborato prima dell'invenzione


del telescopio fu quello di Tycho Brahe (1546-1601), le Tavole
Rudolfine (in onore dell'Imperatore Rodolfo II), di circa 800
stelle; fu redatto tra il 1576 ed il 1579.

Ovviamente anche la cristianit ha voluto entrare in tutto


ci cercando di liberare il cielo dagli antichi dei. Julius Schiller
present, nel 1627, una serie di mappe incise nel Coelum stel-
latum christianorum. Ad esempio i dodici segni zodiacali era-
no diventati gli apostoli, Boote si era trasformato in San Silve-
stro, la Chioma di Berenice nel Flagello di Cristo, la superba
Cassiopea in Santa Maria Maddalena, la Nave Argo nell'Arca
di No, lo sfavillante Orione nell'umile San Giuseppe, il Can-
cro in San Giovanni Evangelista.
Ma la proposta non venne presa in considerazione neanche
dai papi e cardinali romani, che continuarono a far affrescare i
loro palazzi con le immagini astrali classiche.
L'atlante stellare dell'astronomo tedesco Johann Elert Bo-
de (1747 - 1826) fu il primo a rappresentare tutte le stelle visi-
104 GIOVANNI PLATANIA

bili ad occhio nudo, cio fino alla sesta magnitudine. Egli ne


catalog 17 000. Fu l'ultimo grande atlante classico ed anche
quello che segn la fine delle mappe stellari figurate.

L'Unione Astronomica Internazionale ha redatto, nel


1922, l'elenco ufficiale delle 88 costellazioni ed i limiti estensi-
vi di ciascuna, ad opera dell'astronomo belga Eugne Delpon-
te (1882 - 1955), usando come delimitatori gli archi di Meri-
diani e Paralleli celesti nelle vicinanze di ciascuna costellazio-
ne. L'opera fu pubblicata nel 1930 col titolo Dlimitation
Scientifique des Costellations, ed oggi il trattato ufficiale sul-
l'argomento.
COSTELLAZIONI E MITI 105

10. CONCLUSIONI

Tutti i giardini delle delizie dell'antichit originariamente


erano governati da deit femminili e, per combattere questo
matriarcato quei giardini vennero usurpati dagli di solari ma-
schili. Era (Giunone) era la dea del giardino fiorito e Signora
del Melograno prima dell'arrivo di Zeus, di cui divent moglie
rassegnata ma non troppo.
I miti della caduta, presenti in quasi tutte le storie primor-
diali, costrinsero l'uomo a disprezzare la donna per tutti i mali
derivati da lei ed a pretendere che lavorasse ai suoi ordini, ad
escluderla dagli uffici religiosi ed a vietarle di occuparsi di
problemi morali. In tutto questo furono aiutati da Esiodo che,
nella sua Teogonia ci rappresenta la donna degli umani come
una punizione di Zeus.
Adamo, nel mito cristiano, sempre impacciato nel suo
ruolo di favorito da Dio, anche dopo la caduta. Diventato il
primo patriarca non sa decidere da solo, mentre Eva sembra
essere molto pi a suo agio nel mistero della nuova realt. Si
accoppia con Samaele (il Serpente), poi se ne va da sola verso
occidente fino all'Oceano, dove si costruisce una capanna e
solo quando arrivano le doglie per il figlio che ha concepito
chiede al Sole e alla Luna di chiamare Adamo perch venga ad
aiutarla nel parto.
Nasce un bellissimo bambino ed Eva ne riconosce imme-
diatamente l'origine divina.
Egli figlio del drago e lo chiama Caino, che significa ste-
lo perch appena nato, il bambino si era alzato in piedi per
andare a prendere uno stelo che aveva poi donato ad Eva.
106 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 107

PARTE SECONDA
108 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 109

INTRODUZIONE

In questa seconda parte tratteremo delle costellazioni pi


importanti dal punto di vista del collegamento con i miti. Il
modo migliore di cominciare ci sembrato quello di partire
da una costellazione molto nota e facilmente individuabile
quale l'Orsa Maggiore, che, oltre ad essere una costellazione
circumpolare, cio una costellazione che alle nostre latitudini
non tramonta mai, anche sede degli allineamenti necessari
per raggiungere buona parte delle altre, comprese quelle zo-
diacali, cio quelle dodici costellazioni (in realt ne sono tredi-
ci, ma se ne contano solo dodici perch pi facile dividere la
fascia zodiacale in dodici parti di 30 gradi di ampiezza) che
fanno la parte del leone specialmente in astrologia, che peral-
tro a noi non interesser in questo lavoro.
110 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 111

ORSA MAGGIORE

L'Orsa Maggiore
112 GIOVANNI PLATANIA

L'Orsa Maggiore con pi dettagli


COSTELLAZIONI E MITI 113

Galassia M51 con una Supernova


114 GIOVANNI PLATANIA

Galassie M81 ed M82


COSTELLAZIONI E MITI 115

Galassia M101
116 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa planetaria Gufo


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Galassia M108 con Supernova


118 GIOVANNI PLATANIA

Allineamenti stellari dall'Orsa Maggiore


COSTELLAZIONI E MITI 119

Rappresentazione di Hevelius
120 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 121

Costellazione circumpolare, ovvero costellazione che non


tramonta mai alle latitudini del Mediterraneo.

Le stelle pi luminose della costellazione sono:


Alfa Dubhe, il dorso dell'Orsa, ed ha m = 1.8.
Beta Merak, il fianco ha m = 2.4.
Gamma Fegda, la coscia, con m = 2.
Delta Megrez, la radice della coda, con m = 3.
La prima stella della coda la Epsilon, Alioth, il cavallo
nero, di m = 2; la seconda la Zeta, Mizar, stella doppia visua-
le (stelle che sembrano vicine solo per ragioni prospettiche; le
loro distanze da noi sono d = 88 anni luce e d =20 anni luce,
quindi non c' alcun legame gravitazionale) con m = 2.5 e m
= 4.5, e la terza Eta, con m = 1.8, Benetnasch, ex polare
nota anche come Alkaid.

La pi interessante Mizar, posta al centro della barra del


timone: accanto ad essa si pu scorgere una stella di quarta
magnitudine, chiamata Alcor, il piccolo cavaliere. Strana-
mente gli antichi non la citano; il primo a ricordarla il persia-
no Al-Sufi che, nel 950 d.C. indic come test di buona acutez-
za visiva la capacit di vederla.
Dubhe una stella tripla.
Mizar forma con Alcor una doppia solo visuale perch le
stelle sono lontanissime tra loro, e tra esse non esiste alcun le-
game fisico.
D'altra parte Mizar anche una stella doppia (circa il 50%
delle stelle che possiamo osservare sono doppie o multiple)
spettroscopica, nel senso che E. C. Pickering la scopr dop-
pia in seguito all'analisi spettroscopica della struttura della
stella nel 1889.
In realt Mizar un sistema quintuplo di stelle.

L'Orsa Maggiore contiene anche parecchie galassie, come


la M51, nella quale stata anche fotografata una supernova.
122 GIOVANNI PLATANIA

L'Orsa Maggiore definita in tre parti essenziali. Le prime


due formano il Grande Carro, a sua volta formato dal timone,
quattro stelle disposte a quadrilatero, e dalla barra del timone,
costituito da altre tre stelle ad arco. La terza formata da nu-
merose altre stelle meno luminose, molte delle quali non sono
visibili ad occhio nudo.

Le sette stelle pi luminose dell'Orsa Maggiore, che forma-


no il Grande Carro, sono il punto di riferimento obbligato
in tutti gli allineamenti stellari sulla sfera celeste, almeno per
quanto riguarda le latitudini nord.

La costellazione fu introdotta da Talete, che le dette il no-


me di Grande Carro perch, avendola conosciuta quando
era in Mesopotamia, ne riport il nome babilonese.

Le mitologie, ovviamente, fanno riferimento a stelle note


nell'antichit, quando non vi erano ausili tecnologici; d'altra
parte la mancanza dell'inquinamento atmosferico permetteva,
molto meglio di oggi, di osservare il cielo notturno ed anche
di distinguere i colori delle stelle, tanto che l'antica classifica-
zione stellare basata sul colore quasi equivalente a quella
odierna, basata sulle temperature superficiali, misurate con
tecniche estremamente sofisticate.

Dall' Orsa Maggiore derivano i vocaboli Artico (dal gre-


co Arctos, cio Orso) e Settentrione (dal latino Septem
Triones, cio i Sette Buoi, che formano il Grande Carro).

Nella Grecia arcaica queste stelle erano associate alla


Ruota di Issione, che simboleggiava il movimento circolare
delle stelle intorno al polo.
Issione fu condannato da Zeus a restare legato ad una ruo-
ta che girava incessantemente, come punizione dei suoi reite-
rati tradimenti, terrestri e celesti.
Issione, figlio di Flegia, era re della Tessaglia e regnava sui
Lapiti. Spos Dia, figlia del re Deioneo. Quando chiese la gio-
vane in moglie, fece a Deioneo grandi promesse, ma allorch
COSTELLAZIONI E MITI 123

quest'ultimo, dopo il matrimonio, gli richiese i regali pattuiti,


Issione lo fece precipitare a tradimento in una fossa piena di
carboni ardenti.
Si rese cos colpevole di spergiuro e di omicidio ai danni di
un membro della sua famiglia, ci che nessuno prima di lui
aveva osato commettere. L'orrore suscitato da questo delitto
fu tale che nessuno acconsent a purificare Issione, conforme-
mente all'usanza.
Soltanto Zeus, che si comportava altrettanto male quando
voleva giacersi con una donna, ebbe piet di lui e lo purific,
liberandolo cos dalla follia che lo aveva colpito in seguito al
suo crimine. Issione per mostr un'estrema ingratitudine nei
riguardi del suo benefattore: os tentare violenza sessuale ver-
so Era, moglie di Zeus.
Zeus, allora, modell una nuvola che rassomigliava alla dea
ed Issione si un a questo fantasma con cui gener un figlio,
Centauro, padre dei Centauri.
Davanti a questo nuovo sacrilegio, Zeus decise di punire
Issione. Lo leg ad una ruota infuocata, che girava incessante-
mente e lo lanci in tal modo attraverso il cielo. Ma, poich
quando lo aveva purificato, Zeus gli aveva fatto assaggiare
l'ambrosia che rende immortali, Issione dovette subire il casti-
go senza la speranza che un giorno finisse.

I miti greci successivi sull'Orsa Maggiore si presentano in


due forme principali, ognuna delle quali ha diverse versioni.
Una ci tramandata da Ovidio nelle Metamorfosi.
Ovidio racconta che Callisto, figlia di Licaone, re di Arca-
dia, faceva parte della scorta di Artemide, di cui divenne la fa-
vorita. Artemide le chiese di fare voto di castit.
Zeus, che aveva notato Callisto fra tutte, se ne innamor,
ma non potendo esternare direttamente il suo sentimento,
prese le sembianze di Artemide, avvicin Callisto e la sedusse.
Quando Artemide si accorse che Callisto aspettava un fi-
glio per opera di Zeus, la cacci dalla sua corte per cui la gio-
vane fu costretta a vagare per i boschi dove partor il figlio al
quale dette il nome di Arturo.
Era, la sposa di Zeus, infuriata per l'accaduto, condann
124 GIOVANNI PLATANIA

Callisto ad essere trasformata in un'orsa. Arturo, spaventato


da quell'orsa, fugg via e venne allevato da una famiglia di cac-
ciatori; crescendo divenne un giovane tanto bello quanto abile
nella caccia.
Un giorno, durante una battuta di caccia, mentre si prepa-
rava a scoccare dal suo arco il dardo per colpire un'orsa, la be-
stia alz lo sguardo verso l'arciere ed incontr i suoi occhi; Ar-
turo fu colto da un indugio avvertendo un fluido amoroso in-
tercorrere fra lui e l'orsa Callisto. Zeus, dall'Olimpo, not
quegli sguardi che si cercavano, ferm la mano del giovane
prima che commettesse un matricidio e trasport i due in cie-
lo. Da allora, Arturo (nella costellazione di Boote) e l'Orsa
(Maggiore) si contemplano eternamente e ruotano insieme in-
torno alla stella Polare. Ma l'ira di Era non si era placata e nel
vedere Callisto piantata in cielo come costellazione, non po-
tendo opporsi completamente al volere del suo consorte, la
condann a non potersi mai bagnare nelle acque del mare del-
l'emisfero boreale. Infatti l'Orsa Maggiore non scende mai
sotto l'orizzonte nel nostro emisfero.

Cos Ovidio racconta la storia:


(Zeus Giove nella lingua Latina, Era Giunone, figlia di
Saturno (Crono) e quindi Saturnia, ed Artemide Diana, so-
rella di Apollo (Ermes), chiamata anche Cinzia, perch nata
sulle pendici del monte Cinzio, dell'isola di Delo, mentre la
vergine di Nonacre Callisto ed Arcade Arturo).

E mentre [Zeus] va e viene di continuo, colpito da una


vergine di Nonacre e la passione che concepisce gli divampa in
petto [...]. Alto era il sole, ormai giunto oltre la met del suo
cammino, quando lei entr in un bosco inviolato dal tempo dei
tempi: qui dalla sua spalla depone la faretra, allenta la tensione
dell'arco, e si sdraia sul tappeto erboso del suolo, appoggiando il
capo reclinato sulla faretra dipinta. Come Giove la vide cos
stanca e indifesa, si disse: Di questa tresca certo mia moglie non
sapr nulla, ed anche se venisse a saperla, vale, vale bene una
diatriba!. Subito assunse l'aspetto e il portamento di Diana,
dicendo: O vergine che compagna mi sei fra le compagne, su
quali monti hai cacciato?. Dal prato balza la fanciulla e:
COSTELLAZIONI E MITI 125

Benvenuta, dea, risponde, che, anche se mi sente, per me sei


pi grande di Giove!. Sorride lui, divertito nel sentirsi preferito
a se stesso, e la bacia con impeto sulla bocca, con troppo impeto,
come non s'addice a una vergine. E mentre lei si accinge a
raccontare in quale bosco ha cacciato, la cinge in un amplesso e
nel violarla si rivela. Lei si ribella, s, per quanto almeno pu fare
una donna (o se tu l'avessi vista, Saturnia, saresti pi
comprensiva!); si ribella, s, ma quale fanciulla o chi altro mai
potrebbe vincere il sommo Giove? In cielo ritorna vincitore
Giove, mentre lei ora odia quei boschi e quegli alberi che sanno;
e fuggendo di l quasi si scorda di raccogliere la faretra con le sue
frecce e l'arco appeso a un ramo. Ed ecco che mentre, fiera della
selvaggina uccisa, s'inoltra col suo sguito fra i gorghi del
Mnalo, la dea di Ditte la scorge e, riconoscendola, la chiama.
Quella al suo nome fugge, temendo sul momento che in lei si
nasconda Giove; ma poi, quando vede che al suo fianco
compaiono le ninfe, si rende conto che non c' inganno e si
unisce a loro []. Per il nono mese rinasceva in cielo la falce
della Luna, quando a caccia la dea, spossata dalla vampa del
fratello, trov un bosco freschissimo, dal quale mormorando, fra
granelli di sabbia impazziti, zampillava a valle un ruscello. Il
posto le piacque, e con la punta del piede saggi l'acqua; anche
questa le piacque e allora disse: Qui non ci vede nessuno:
immergiamoci nude in queste limpide correnti. La fanciulla di
Parrasia arross. Tutte si tolgono le vesti: lei sola prende tempo,
ma mentre indugia viene spogliata e, quando nuda, il suo corpo
mette in luce la colpa.
Smarrita lei si affanna a nascondere il ventre con le mani: Via
di qui! le grida Cinzia; non profanare questa fonte sacra! e le
impone di abbandonare il suo sguito. Da tempo la moglie del
gran Tonante era al corrente della cosa, ma aveva rimandato di
trarne vendetta alla giusta occasione. Ormai non c'era pi motivo
d'attendere: alla rivale (altro colpo inferto a Giunone) gi nato
un bambino: rcade. Appena a ci volse, puntando gli occhi, il
cuore esasperato: Mancava solo questo, svergognata, si sfog,
che tu restassi incinta, che partorendo rendessi nota a tutti
l'offesa e testimoniassi l'indegna azione del mio Giove! Non
potrai sfuggirmi: ti toglier questa figura di cui tanto ti compiaci,
sfacciata, e per la quale piaci a mio marito!. Disse e,
affrontandola, l'afferr davanti per i capelli e la gett bocconi a
terra. Lei tendeva le braccia implorando: ma ecco che pian piano
126 GIOVANNI PLATANIA

le braccia si coprono di peli neri; le mani si curvano e, crescendo


in artigli adunchi, fungono da piedi; il viso, che aveva un tempo
incantato Giove, si deforma in fauci mostruose. E perch non
piegasse nessuno con suppliche e preghiere, le tolto l'uso della
parola: dalla sua gola rauca esce solo un ringhio di rabbia
minacciosa, che incute paura []. Ed ecco apparire, sul punto
di compiere quindici anni, Arcade, nipote di Licaone, che nulla
sapeva della madre. Mentre insegue la selvaggina, sceglie gli
anfratti pi adatti e circonda con maglie di rete i boschi
dell'Erimanto, s'imbatte in sua madre. Quando lo vede, lei
s'arresta come se lo riconoscesse; ma Arcade, all'oscuro di tutto,
di fronte a quegli occhi che immobili lo fissavano senza sosta,
s'impaurisce ed arretra; quando poi lei accenna ad avvicinarsi,
l per trafiggerle il petto con un dardo micidiale. Ma
l'Onnipotente l'imped: rimovendoli entrambi, rimosse il delitto,
e sollevatili in aria con un turbine di vento, li pose in cielo
facendone due costellazioni contigue.
Scoppi d'ira Giunone, quando la rivale sfavill nel
firmamento, e discesa nel mare, s'accost all'argentea Teti e al
vecchio Oceano, che incutevano rispetto a tutti gli dei, e quando
le chiesero ragione della visita: Vi domandate perch io, regina
degli dei, sbott, dalle sedi celesti qui venga? Un'altra sta in
cielo al posto mio! Che io menta, se voi, quando la notte avr
oscurato il mondo, non vedrete, a mia offesa, stelle appena
assunte agli onori del cielo, nel punto pi alto, l, dove l'ultimo
cerchio, il pi breve, circonda l'estremit dell'asse celeste. E chi
vi sar mai che si trattenga dall'offendere Giunone e tremi
d'averla offesa, se premio, io sola, chi vorrei punire? Oh che gran
cosa ho fatto! Che straordinaria autorit la mia! Non la volevo
pi donna: diventata una dea! Cos io infliggo ai colpevoli le
pene, cos immenso il potere mio! [] Ma voi, se avvertite
l'affronto subito da chi avete allevato, respingete dai vostri
gorghi azzurri le sette stelle dell'Orsa, bandite una costellazione
accolta in cielo a prezzo di uno stupro, cos che un'adultera non
s'immerga in acque pure! Gli dei del mare acconsentirono.
(Metamorfosi. II. vv. 417-531)

Secondo un'altra versione, Callisto, inseguita dal figlio


ignaro, si sarebbe rifugiata nel tempio di Zeus e, siccome l'ac-
cesso ad esso era vietato a chiunque, pena la morte, Zeus stes-
COSTELLAZIONI E MITI 127

so li afferr e li port in cielo per evitare loro la punizione.


Un'altra versione ancora racconta che sarebbe stato Zeus a
mutare Callisto in orsa, per farla sfuggire alla moglie gelosa,
anche se quest'ultima la riconobbe e la fece uccidere da Arte-
mide, convincendola che si trattava di un comune animale sel-
vaggio.
L'addolorato Zeus quindi colloc in cielo la sua immagine
come la costellazione dell'Orsa Maggiore.
Arturo, il figlio, conosciuta la vicenda e straziato dal dolo-
re, chiese a Zeus di essere trasferito anch'egli sulla sfera cele-
ste per stare insieme a sua madre.
Zeus, commosso da un cos grande amore di figlio, lo ac-
content e lo trasform nella stella Arturo della costellazione
di Boote.

La seconda interpretazione ci stata tramandata da Arato:


l'Orsa Maggiore rappresenterebbe Adrastea, che insieme ad Ida
(l'Orsa Minore) furono le nutrici di Zeus. Circolava la profezia
che Crono, il pi potente dio di allora, marito di Rea, avrebbe
perso il suo trono per mano di suo figlio. Perci lo stesso Crono
ingoiava tutti i suoi figli appena nati, per paura che la profezia si
avverasse. Rea, sul punto di dare alla luce Zeus, si nascose e die-
de al marito una pietra avvolta nelle fasce. Poi lo nascose in una
grotta del monte Ditte a Creta, affidandolo, assieme al suo fratel-
lo di latte Pan, alle cure di Adrastea, Ida (note anche come Elice
e Cinosura) ed Amaltea, la capretta che lo allattava. Di guardia
alla grotta erano i Cureti, pronti a far baccano con spade e scudi
per coprire il pianto del bambino. Zeus crebbe, e Crono, quan-
do cap che era vivo, si mise alla sua caccia. Zeus, per salvarsi,
trasform se stesso in serpente (la costellazione del Drago) e le
sue nutrici nelle Orse (v. anche Prima Parte). In ogni caso, alla fi-
ne Zeus rovesci Crono e lo costrinse a rigurgitare i bambini che
aveva inghiottito. Questi bimbi divennero i condottieri dei gio-
vani di che, in una guerra durata dieci anni abbatterono la su-
premazia dei Titani ed assunsero il dominio del mondo. Alla fine
della guerra, Zeus (v. Prima Parte), in segno di riconoscenza,
pose le sue nutrici in cielo, Adrastea come Orsa Maggiore ed Ida
come Orsa Minore.
128 GIOVANNI PLATANIA

Un piccolo mistero sono le dimensioni delle code, di solito


corte in un orso. Thomas Hood, astronomo inglese della fine
del cinquecento, non trovando altra giustificazione, sugger
che Zeus, nel lanciare le orse in cielo le prese per la coda, che
per lo strattone si allungarono.

Le stelle dell'Orsa sono state associate col Carro di vari


eroi leggendari e divinit. Per i Gallesi si tratta del carro di re
Art, per i Germani, del dio Thor, per i vichinghi di Odino.

Gli americani vi riconoscono un mestolo e gli inglesi un


aratro.

Anche i popoli indiani degli USA avevano leggende su


queste stelle: per i Navahos l'Orsa era il Primo uomo, o il
Freddo uomo del Nord e Cassiopea la Prima donna. Si trova-
no l'uno di fronte all'altra con al centro il Fuoco del focolare:
la Stella Polare. Essi mai si allontanano da questa parte del
cielo e nessuna costellazione si avvicina per interferire nella lo-
ro vita quotidiana. Questa sistemazione delle costellazioni sta-
bilisce una legge che dura fino ai giorni nostri: Solo una cop-
pia pu vivere nella stessa tenda.

Una storia di diverso sapore, ma non meno carica di fanta-


sia e di fascino, lega la mitologia del popolo degli Irochesi (in-
diani del Nord America) alle sette stelle dell'Orsa Maggiore:
quattro di esse, quelle del carro, rappresentano una grande or-
sa mentre le altre tre, quelle del timone, sono tre coraggiosi
cacciatori che la inseguono su per le montagne. Il pi vicino
all'animale l'arciere, il secondo trasporta sulle spalle una
grossa pentola (Mizar e la compagna Alcor) il terzo pi arre-
trato perch si sofferma a raccogliere la legna per il fuoco.
In primavera, a sera non inoltrata, guardando verso est, si
vedono i tre cacciatori che inseguono l'orsa che fugge verso le
montagne e, quando arriva la calda estate, la caccia continua
sulla cima delle montagne dove la temperatura pi fresca -
infatti le sette stelle sono alte nel cielo.
Alla fine dell'estate, sul far dell'autunno, i tre cacciatori fi-
COSTELLAZIONI E MITI 129

nalmente trovano il momento propizio per sorprendere ed uc-


cidere l'orsa: si appostano ai piedi della montagna e l'arciere
scocca la freccia e ferisce l'animale.
La ferita grande e la poveretta perde molto sangue che
cola sulle foglie degli alberi tingendole di rosso.
Giunge il freddo e l'orsa e i suoi inseguitori si rifugiano
nelle caverne per trascorrere l'inverno: le sette stelle sono bas-
se sull'orizzonte.
Alla fine dell'inverno, quando torna la primavera, l'orsa si
sveglia dal letargo che ha favorito il rimarginarsi della ferita
mentre i tre cacciatori hanno avuto il tempo di riprendersi
dalla umiliazione di aver soltanto ferito l'animale. L'orsa esce
dalla tana per riprendere la sua vita ed i tre cacciatori tornano
ad inseguirla.

Gli indiani Shoshoni tramandano invece una leggenda che


ha come protagonista un grizzly.
Il grande orso un giorno sal un'alta montagna per andare
a caccia nel cielo. Mentre ascendeva la vetta, la neve si attacc
al pelo delle zampe: quando cominci ad attraversare la volta
celeste, i cristalli si staccarono poco alla volta dando origine
alla Via Lattea.

Gli Egiziani vi vedevano un ippopotamo, che rappresenta-


va Horus, ma anche l'imbarcazione che portava il dio Osiride
sul Nilo.
In un'altra rappresentazione egizia, l'Orsa Maggiore una
zampa di toro (C. Gallo: L'Astronomia Egizia).
Nello zodiaco egiziano, inciso nella pietra e scoperto nel
tempio di Iside a Dendera, il Grande Carro simboleggiava il
Dio Seth.

Anche il Giappone ha una leggenda connessa all'Orsa


Maggiore.
Sull'isola di Hokkaido vivono gli Ainu. Fra questa etnia era
diffuso il culto dell'orso, considerato il dio dei monti Kim Un
Kamui.
Un antico rituale prevedeva il sacrificio dell'animale affin-
130 GIOVANNI PLATANIA

ch il suo spirito fosse liberato dal corpo per salire in cielo, in


qualit di messaggero celeste e ambasciatore degli Ainu.

I popoli dei deserti mediorientali adombrarono nelle quat-


tro stelle, che formano i vertici del Grande Carro, la Grande
Bara (la Piccola Bara era l'Orsa Minore), seguita dalle tre
stelle successive del timone, le quali, per completare la scena
funebre, diventavano le lamentatici ossia le donne prezzola-
te con l'incarico di spargere lacrime e lamenti dietro il feretro.

In realt, l'Orsa Maggiore era gi conosciuta dall'uomo


dell'et neolitica, poich ne sono stati trovati disegni su con-
chiglie e ricci marini fossili.

I fenici chiamavano Dub questa costellazione, e Dubhe fu


chiamata dagli arabi la sua stella pi luminosa.

I Sumeri la chiamavano il lungo carro, o vi scorgevano


scorgeva un aratro.

Per i Celti rappresentava un cinghiale, riprodotto anche sul


dorso delle loro monete.

Anche gli Eschimesi della Groenlandia hanno un mito col-


legato all'Orsa Maggiore.
Una volta, il figlio di un'eschimese mor lasciando la madre
nella disperazione pi profonda. Quando non riusc pi a sop-
portare il dolore, la donna scapp dal suo villaggio. Presto
raggiunse una casa che aveva pelli d'orso appese nell'atrio.
La madre entr e scopr che gli abitanti della casa erano in
realt orsi sotto forma umana. Malgrado questo la donna si
ferm presso di loro per un certo tempo. Dopo un po', la don-
na cominci a sentire nostalgia di casa e disse alla grande orsa
che avrebbe voluto tornare tra la sua gente. La grande orsa,
temendo che gli uomini sarebbero venuti ad uccidere lei ed i
suoi cuccioli, le chiese di non parlare a nessuno di loro.
Quando la donna ritorn al suo villaggio, aveva una gran
voglia di raccontare cosa aveva visto e dove era stata. Resistet-
COSTELLAZIONI E MITI 131

te pi che pot, ma alla fine il desiderio di parlare ebbe il so-


pravvento, e disse a suo marito degli orsi.
Non aveva ancora finito di parlare, che l'uomo chiam a
raccolta i compaesani e con loro usc per uccidere gli orsi.
L'orsa li vide arrivare, e riusc ad eluderli abbastanza a lun-
go per trovare la casa della donna ed ucciderla, ma i cani si ac-
corsero dell'orsa e la circondarono.
Improvvisamente tutti i cani e l'orsa cominciarono a brilla-
re ed a salire in cielo. Cos nacque Qilugtussat, la costellazione
che somiglia ad un branco di cani che tengono a bada un orso.

Un mito azteco racconta che Quetzalcoatl era gentile e ge-


neroso, ma suo fratello Tezcatlipoca era uno stregone attacca-
brighe che provocava ogni sorta di guai al genere umano.
Spesso prendeva l'aspetto di un giaguaro, e sotto questa forma
una volta i suoi nemici gli lanciarono contro una porta ed egli
perse una gamba. Da quel momento fu obbligato a camminare
con un bastone. Una volta egli cerc di distruggere le buone
azioni di Quetzacoatl e ci fece arrabbiare moltissimo il fratel-
lo, che lo trasform prima in un giaguaro e poi in un buratti-
no, finch lo colloc in cielo, dove non avrebbe pi potuto far
male a nessuno. (Stelle).
132 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 133

ORSA MINORE

L'Orsa Minore si raggiunge dall'Orsa Maggiore


134 GIOVANNI PLATANIA

L'Orsa Minore e la Stella Polare


COSTELLAZIONI E MITI 135

Precessione degli Equinozi


136 GIOVANNI PLATANIA

Cerchio della Precessione degli Equinozi


COSTELLAZIONI E MITI 137

La Polare in una nota foto


138 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 139

Anche l'Orsa Minore una costellazione circumpolare.

Sono stati i Fenici i primi a notare l'immobilit della Pola-


re, che la Alfa, chiamata Al Gady (il capro) ed ha m = 2.1.
La stella Kochab, la Beta, con m = 2, detta Stella del
nord perch stata l'ultima polare precedente l'attuale, at-
torno al 1200 a.C. Gli astronomi arabi la chiamano Kochab,
cio piolo del mulino, e chiamano Fas arrahha, foro del
piolo del mulino le stelle dell'Orsa Minore che circondano il
Polo Nord, perch rappresentano come un foro in cui gira
l'asse del mulino, dal momento che l'asse dell'equatore si tro-
va in quella zona (Sant.).

A causa della precessione degli equinozi, nel 2102 la di-


stanza tra la stella polare ed il polo nord celeste sar al mini-
mo. Da l in avanti la distanza andr aumentando.
La prossima polare sar Aldebaran, attorno all'anno 7000,
poi sar il turno di Deneb, attorno al 10000, e quindi di Vega
nel 14000, come possibile vedere nelle foto precedenti.

La Polare una variabile che oscilla di poco intorno alla


magnitudine 2 ( D m = 0.2m) con un periodo di circa 4 giorni.
Inoltre, le variazioni nella velocit radiale indicano la presenza
di una terza stella invisibile, che ruota attorno alla Polare con
un periodo di 30,5 anni.

da notare che l'altezza della Polare sull'orizzonte ugua-


le alla latitudine del luogo da cui la si osserva.

Il filosofo Talete, attorno al 600 a.C., parl per primo del-


l'Orsa Minore, introducendo questa figura nel mondo occi-
dentale dal vicino oriente.

Nell'antichit, il mito dell'Orsa minore era quasi sempre


legato a quello dell'Orsa Maggiore.
140 GIOVANNI PLATANIA

Callisto, figlia di Licaone, re dell'Arcadia, colp Zeus per la


sua bellezza. Zeus stesso l'aveva resa incinta di Arcade.
Era, gelosa moglie di Zeus, decise di tramutarla in orsa. Ma
un giorno il figlio di Callisto, Arcade (o Arktos, rappresentato
dalla stella Arturo, nella costellazione Boote), durante una
battuta di caccia, s'imbatt nella madre, trasformata in orsa, e,
non riconoscendola, la colp a morte. Fu grazie all'intervento
di Zeus che anche Arcade fu trasformato in costellazione:
l'Orsa Minore o, per altri mitografi, Boote (v. peraltro Orsa
Maggiore).

Pietro Apiano (1495-1552) attribu alle stelle dell'Orsa Mi-


nore una rilevanza mitologica separata dall'Orsa Maggiore, ve-
dendovi nelle sue stelle principali le Esperidi, ninfe figlie di
Atlante e di sua nipote Espero: Egle, Espera, Aretusa, Estia,
Eritea, Esperusa ed Esperia. Esse rappresentavano le onde
dell'oceano o i colori del tramonto. In un meraviglioso giardi-
no all'estremo occidente del mondo, sul monte Atlante, esse
curavano l'albero delle mele d'oro, donato ad Era dalla dea
Gea per le sue regali nozze con il supremo Zeus.
Il re d'Egitto, Busiride, loro vicino, aveva mandato briganti
a razziare il loro gregge ed a rapire le giovani. Allorch Eracle
giunse nel paese, uccise i briganti, sottrasse loro il bottino, li-
ber le Esperidi e le restitu ad Atlante.
Questi, come ricompensa, consegn all'eroe i pomi d'oro
che era venuto a cercare (v. Eracle).
Ed inoltre gli insegn l'astronomia, giacch Atlante con-
siderato il primo astronomo.

Secondo un'altra leggenda greca, l'Orsa Minore sarebbe il


cane di Boote, e per questa ragione la stella polare ebbe il no-
me di Cinosura, coda del cane.

La mitologia classica identifica anche la ninfa Ida con l'Or-


sa Minore ed Adrastea con la Maggiore.
(v. Orsa Maggiore).

I pellirosse, invece, narrano di un gruppo di guerrieri che


COSTELLAZIONI E MITI 141

si erano smarriti nella foresta e stavano per perdere le speran-


ze di ritrovare l'accampamento quando comparve una fanciul-
la che indic loro la costellazione dell'Orsa Minore e racco-
mandandosi di seguire la direzione della stella polare; difatti,
orientandosi secondo quella stella, riuscirono a ritrovare la via
del ritorno.

Meno felicemente, la mitologia araba vede nell'Orsa Mino-


re una piccola bara e nella stella polare un assassino condan-
nato all'immobilit per scontare i suoi delitti, specialmente
quello compiuto contro un nobile guerriero che poi fu sepolto
nella grande bara rappresentata dall'Orsa Maggiore.

I cinesi ravvisavano nelle stelle della costellazione la dea


Tou Mu, protettrice dei naviganti.

I mongoli chiamarono l'Orsa Minore la costellazione del-


la calamita avendo scoperto che l'ago della bussola si orienta-
va sempre verso quella direzione.

Gli antichi egizi videro, invece, in quelle stelle uno sciacal-


lo.

I vichinghi furono i primi a vedere nelle stelle dell'Orsa


Minore un piccolo carro.
142 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 143

ORIONE

Orione
144 GIOVANNI PLATANIA

Orione con maggiori dettagli


COSTELLAZIONI E MITI 145
146 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa Testa di Cavallo


COSTELLAZIONI E MITI 147

Nebulosa di Orione
148 GIOVANNI PLATANIA

Nebulose NGC2024 e IC434


COSTELLAZIONI E MITI 149

Nebulosa di Orione in altre frequenze


150 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa L'uomo che corre


COSTELLAZIONI E MITI 151
152 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 153

Questa una notissima costellazione invernale. Anche le


sue stelle sono molto note.

Alfa Betelgeuse, la spalla orientale del gigante; una


stella a luminosit variabile con m = 1 e variabilit D m = 0.3
in poco pi di cinque anni.
Non la stella pi luminosa della costellazione, che la
Beta, cio Rigel. Vicina a Betelgeuse, c' Bellatrix, la spalla
occidentale, nota anche come stella dell'amazzone, che ha
m = 1.6.
Le stelle ai vertici del lato opposto del quadrilatero sono
Rigel che, con m = 0.1, la sesta stella tra le pi splendenti del
firmamento e la quarta del cielo boreale; in ogni caso , come
gi detto, la pi luminosa della costellazione ed Beta, il gi-
nocchio occidentale: una stella doppia.
L'altro ginocchio Saiph, con m = 2.2.
Le stelle della cintura sono, da oriente, Alnitak (m = 1.8),
Alnilam (m = 1.7) e Mintaka (m = 2.2).
Studiando lo spettro di Mintaka, nel 1904 l'astronomo
Hartmann, rilev la presenza di righe di assorbimento e le giu-
stific ritenendo che la luce emessa dalle stelle attraversasse,
prima di raggiungere la terra, considerevoli masse di materia
interstellare diffusa.

Betelgeuse, con Sirio del Cane Maggiore e Procione del


Cane Minore, forma il Triangolo Invernale.

La Grande Nebulosa di Orione uno degli oggetti pi famosi


del cielo. una gigantesca nube di idrogeno, con qualche impu-
rit dovuta ad elio, carbonio ed altri pochi elementi, ed visibile
anche ad occhio nudo. Al suo interno sono visibili, con il telesco-
pio, numerose stelle in formazione, circondate da dischi di materia
da cui potranno anche svilupparsi sistemi planetari.
Nella mitologia greca vi sono parecchie storie collegate a que-
sta costellazione.
154 GIOVANNI PLATANIA

Orione era un cacciatore, figlio di Euriale e di Poseidone


(oppure, come vedremo, di Irieo).
Spos dapprima Side, donna cos bella e fiera della propria
bellezza che os rivaleggiare con Era, che per punizione la fe-
ce precipitare nel Tartaro.
Allora Orione si rec a Chio, dove si innamor di Merope,
la figlia del re Enoprione, che non lo volle come genero.
Infine fu Eos che si innamor di lui, lo rapi e lo trasport a
Delo e lo am da Dea.

Una versione del mito narra che Orione si era innamorato


delle Pleiadi, le bellissime sette sorelle e le amava intensamen-
te tutte, contemporaneamente e le inseguiva senza sosta tanto
che esse furono costrette a rivolgersi a Zeus, che le sottrasse
all'attenzione del cacciatore portandole in cielo.
Orione, allora, per sfogare la sua collera, prese a cacciare
ogni animale presente sulla terra, anche quelli prediletti da
Artemide, la dea dalla caccia: ella, indignata, cre allora lo
scorpione e lo mand contro Orione.
Questi, viste le piccole dimensioni dell'animale, non consi-
der la pericolosit dell'attacco, e quindi fu punto mortalmen-
te.
Come esempio per gli uomini, i due protagonisti della sto-
ria furono portati in cielo ed Orione si trov, dunque, di nuo-
vo ad insidiare le Pleiadi. Queste si lamentarono nuovamente
con Zeus della cosa poco piacevole. Zeus, allora, mise le sette
fanciulle sotto la protezione di un possente Toro (v. Toro).
Affinch Orione fosse ricordato, non certo per l'innata
crudele violenza ma per l'impareggiabile bravura di cacciato-
re, lo trasform nella bellissima costellazione che ne porta il
nome, non dimenticando di porre anche in cielo i due cani, Si-
rio e Procione, nelle costellazioni del Cane Maggiore e del Ca-
ne Minore, che in vita gli furono fedeli compagni.

Un altro mito racconta di un vecchio contadino tebano,


Irieo, vedovo e senza figli, che aveva il culto dell'ospitalit.
Zeus, Ermes e Poseidone, scesi dall'Olimpo per indagare sulle
vicende umane, giunsero a Tebe. Qui come fuggiaschi stranie-
COSTELLAZIONI E MITI 155

ri attraversarono la campagna di Irieo, che incontrarono men-


tre il vecchio era intento ai lavori dei campi. Accolti amorevol-
mente come ospiti, Irieo onor la loro presenza con cortesia,
lealt e generosit: uccise l'unico bue che gli era rimasto e pre-
par un pranzo regale.
Soddisfatti dell'accoglienza, i divini ospiti domandarono al
vecchio che cosa desiderasse dalla vita. Irieo rispose che il suo
pi grande desiderio era quello di avere un figlio, senza per
dover prendere moglie, perch era ormai divenuto impotente.
Gli di invitarono allora a portar loro la pelle del bue che ave-
vano mangiato, la fecondarono con le loro urine e ordinarono
di sotterrarla e di tirarla fuori dopo nove mesi. Grazie a Gea e
all'urina nacque un bambino bellissimo che Irieo chiam
Urione, in ricordo della sua origine: col tempo la U di Urio-
ne si trasformata in O, cio Orione. Orione quindi an-
che figlio di tre di e della Madre Terra.

In un'altra leggenda si racconta che Orione era figlio di


Poseidone e di Euriale, figlia del re Minosse di Creta, avve-
nente fanciulla cretese sedotta dallo stesso dio.
Orione, in seguito, si rec all'isola di Chio, il cui re Eno-
prione, figlio di Dioniso, gli dette il compito di uccidere le
belve che devastavano le terre del suo reame, divoravano uo-
mini e greggi e distruggevano villaggi, promettendogli in cam-
bio la mano di sua figlia Merope.
Egli esegu il suo compito, donando ogni sera alla figlia di
Enoprione le pelli degli animali uccisi. Quando ebbe termina-
to la sua fatica, reclam Merope in moglie, ma Enoprione ri-
fiut dicendo che belve erano state viste ancora vagare sulle
colline: in realt non voleva dargliela perch era anch'egli in-
namorato della figlia.
Invitato a partecipare ad un banchetto a corte, Orione, pur
non avido di vino, si ubriac e violent Merope.
Enoprione, senza curarsi dell'ira che avrebbe potuto scate-
nare negli di, invoc suo padre Dioniso che incaric i Satiri
di offrire altro vino ad Orione, finch il giovane cadde addor-
mentato. Allora Enoprione lo fece accecare e lo gett sulla ri-
va del mare, disattendendo al sacro concetto dell'ospitalit.
156 GIOVANNI PLATANIA

Orione, disperato, si rec a Lemno nelle officine di Efesto,


che gli assegn una guida, Cedalione, un nano che Orione si
port sulle spalle perch lo conducesse ai confini del mondo,
nell'isola dove dimorava Helios, il solo che potesse rendergli
la vista.
Helios non soltanto guar il giovane, ma affascinato dalla
sua bellezza, se ne innamor; e cos accadde anche per Eos,
sorella di Helios, che sedusse Orione, lo rap e lo condusse a
Delo.
Dopo aver visitato Delo in compagnia di Eos, Orione ri-
torn a Chio per vendicarsi di Enoprione, ma non riusc a tro-
varlo sull'isola, perch egli si era nascosto in una caverna sot-
terranea preparata per lui da Efesto. Salpato per Creta, dove
pensava che Enoprione si fosse rifugiato per invocare l'aiuto
del nonno Minosse, Orione si imbatt in Artemide, che nutri-
va come lui una grande passione per la caccia. La dea lo in-
dusse a rinunciare ai suoi propositi di vendetta ed a recarsi a
cacciare in sua compagnia.
Ma Apollo, fratello di Artemide, geloso della sorella che
trascurava persino il compito di illuminare il cielo notturno, e
sapendo che Orione non aveva rifiutato di giacersi con Eos
nell'isola sacra di Delo, si rec da Artemide e la indusse a sca-
tenare contro di lui la furia di un velenosissimo scorpione.
Orione si difese dapprima con le frecce, poi con la spada, ma,
resosi conto che lo scorpione era invulnerabile, si tuff in ma-
re e nuot verso Delo, dove sperava che Eos l'avrebbe aiutato
e protetto.
Apollo allora sfid Artemide chiedendole di colpire con la
freccia quello che sembrava un piccolo punto fra le onde. Arte-
mide accett la sfida e colp il bersaglio, ma solo pi tardi sco-
pr di aver ucciso il suo amato Orione. Invoc Asclepio, figlio di
Apollo, perch ridonasse la vita al giovane. Ma Asclepio mor
prima che si potesse mettere all'opera.
Zeus, impietosito, trasform Orione in costellazione, ponen-
dolo in cielo insieme ai suoi cani Sirio e Procione (v. Cane Mag-
giore e Cane Minore) ed eternamente inseguito dallo Scorpione
(v. Scorpione); la sua ombra discese nel Giardino degli Asfo-
deli. (Miti, Agizza).
COSTELLAZIONI E MITI 157

Per gli Egizi, la costellazione era chiamata Sahu, ed era ri-


tenuta l'incarnazione di Osiride, il dio dell'oltretomba, ed in
particolare l'anima di Osiride, la principale divinit maschi-
le: sembra che le piramidi della piana di Giza, risalenti alla IV
dinastia, abbiano, rispetto al Nilo, la medesima posizione delle
stelle della cintura della costellazione rispetto alla Via Lattea.
Nel soffitto della tomba di Senmut, Orione e Sirio sono
raffigurati sulla loro barca. Di Orione sono riprodotte le tre
stelle della cintura ed accanto a loro una figura tondeggiante
che identificabile con la nebulosa.
Orione anche rappresentato, sui coperchi di alcuni sarco-
fagi, come un dio che ha uno scettro nella mano sinistra ed
una croce ansata, simbolo della vita, nella mano destra (C.
Galli: L'astronomia egizia).
notevole la particolare disposizione delle tre piramidi
principali. Le due pi grandi, quella di Cheope e quella di
Chefren, sono perfettamente allineate tra loro. Diversamente,
la piramide di Micerino spostata rispetto alle altre due, oltre
ad essere la pi piccola delle tre. Se ora si osserva la costella-
zione di Orione, si nota che le tre stelle della cintura sono di-
sposte esattamente come le tre piramidi di Giza, compreso il
fatto che la terza stella, Mintaka, ha una luminosit minore ri-
spetto alle altre due.
Dunque la piana di Giza potrebbe essere la riproduzione
di quella regione celeste, compresa la Via Lattea, rappresenta-
ta dal Nilo.

Il dio egizio Osiride governava due regni: quello del cielo e


quello dell'oltretomba, e nelle bende che avvolgevano la
mummia indossava la bianca corona d'Egitto, che , in prati-
ca, quasi la costellazione che noi chiamiamo Toro. Sotto la co-
stellazione di Orione c' la costellazione del trono di Osiride.
La leggenda di Osiride, il sovrano del regno dei morti e
compagno di Iside, nasce con Thot, che introdusse tutte le arti
e le scienze in Egitto, compresa l'Astronomia e l'arte dei gero-
glifici.
In seguito il faraone diventer una incarnazione del dio e,
dopo la sua morte, l'anima di Osiride.
158 GIOVANNI PLATANIA

Osiride era un mitico re, dio degli abitatori del Nilo. So-
vrano benefico, indusse i suoi selvaggi sudditi a vivere in pace,
ad abbandonare l'avventurosa vita nomade, a non sbranarsi a
vicenda. Insegn loro a coltivare la vite ed ad ottenere il vino,
a coltivare l'orzo ed ad ottenere la birra. Iside, sua sorella e
sua sposa, guariva le malattie. I due di inventarono la civilt e
cos l'Egitto si trov nell'et dell'oro.
Compagno ed amico di Osiride, Thot era il dio delle scien-
ze, cui spett il compito di insegnare agli Egizi a leggere e scri-
vere. Osiride volle portare la sua benefica missione anche nel
resto del mondo e, durante la sua assenza lasci la reggenza
del trono ad Iside. Ma ecco che il fratello Seth, escluso dal tro-
no perch figlio cadetto, cominci subito a tramare per usur-
parglielo: la vigile Iside riusc per a stroncare ogni manovra.
Osiride torn dal viaggio felicemente concluso in compagnia
di Thot e di Anubi, dio dei morti. Seth per ord un tranello:
organizz una grande festa in onore del fratello e durante il
banchetto mostr agli ospiti un magnifico scrigno finemente
istoriato e tempestato di gemme e, scherzando, proclam che
ne avrebbe fatto dono a chi, entrandovi, lo avrebbe occupato
esattamente con il proprio corpo (l'aveva fatto costruire su mi-
sura per Osiride, che aveva una statura gigantesca).
Ognuno dei commensali ci prov, ma risultava sempre
troppo piccolo. Alla fine fu la volta del re, la cui statura si atta-
gli a pennello allo scrigno.
Seth, fulmineo, con i suoi complici rinserr il coperchio, lo
sigill col piombo fuso e gett lo scrigno nel Nilo. Gli di, at-
territi, presero forme di animali per sfuggire ad una simile sor-
te.
Iside, disperata, si strapp le vesti e con l'aiuto di Thot riu-
sc a fuggire e part alla ricerca della salma dello sposo per
dargli almeno degna sepoltura. Era scortata da sette velenosis-
simi scorpioni. Giunse esausta alla citt di Pa-sin, ma, lacera e
sfinita com'era, non trov ospitalit: una donna, che si chia-
mava Usa, le chiuse ostentatamente la porta in faccia.
I sette scorpioni si consultarono tra loro sul modo di ven-
dicare l'affronto alla dea e, uno ad uno, avvicinandosi al loro
capo, Tefen, iniettarono nella sua coda tutto il proprio veleno.
COSTELLAZIONI E MITI 159

Tefen, introdottosi nella casa della poco cortese Usa e tro-


vato il suo bambino, lo punsero: la potenza del veleno era tale
che la casa prese fuoco.
Intanto, una misericordiosa ed umile contadina, Taha, im-
pietosita da quel volto impietrito dal dolore, accolse Iside
spontaneamente; l'altra non trov una sola goccia d'acqua per
spegnere l'incendio e disperata, col bambino morente fra le
braccia, vagava in cerca di aiuto, ma nessuno le rispondeva.
Fu Iside stessa che ebbe piet di lei: impart al veleno l'or-
dine di non agire e il bimbo guar subito, mentre una pioggia
miracolosa spegneva l'incendio.
L'ira del cielo si era placata; Usa, pentita, cap di trovarsi
di fronte ad un essere soprannaturale ed offr doni ad Iside,
implorandone il perdono.
Iside riprese a vagabondare tra le infinite insidie che gli
spiriti maligni, al servizio di Seth, tessevano sulla sua via. Pres-
so Tanis seppe, da alcuni bimbi, che la cassa, sul filo della cor-
rente di quel ramo del Nilo, aveva raggiunto il mare aperto.
Disperata, giunse a Biblo. Proprio qui tempo prima era ap-
prodata la bara tra i rami di un cespuglio che, al contatto col
corpo divino, si era trasformato in una splendida acacia che
aveva rinserrato lo scrigno nel proprio tronco.
Un giorno il re di Biblo, vedendo lo stupendo albero, or-
din che si tagliasse per farne una colonna del suo palazzo.
Iside, giunta in citt, tutte le notti si trasformava in rondine e
svolazzava intorno alla colonna, lanciando strida strazianti, ma
nessuno le faceva caso.
Alla fine decise di agire: un giorno si sedette presso la fon-
te, e quando le ancelle della regina vennero ad attingere ac-
qua, prese a conversare, poi a pettinarle, ad offrire profumi,
con loro grande gioia.
Anche la regina volle conoscere la straniera che, in brevis-
simo tempo, entr nelle sue grazie e fu nominata governante
del principino. Ogni notte, per, ripreso il suo aspetto di ron-
dine, non cessava il suo pianto.
La regina, una sera, volendo sincerarsi che il bambino dor-
misse, entr nella sua camera e trov uno spettacolo racca-
pricciante: la culla del figlioletto era circondata da alte fiamme
160 GIOVANNI PLATANIA

e, ai piedi del letto, sette minacciosi scorpioni facevano la


guardia.
Atterrita, url, accorsero le guardie, accorse il re e la stessa
Iside, al cui cenno le fiamme si spensero d'incanto.
La dea svel la propria natura, e disse alla regina che, rico-
noscente per l'ospitalit aveva deciso di rendere il principe im-
mortale, e, per questa ragione, ogni notte lo immergeva nelle
fiamme purificatrici. Ma purtroppo ora l'incanto era rotto.
La regina ne fu profondamente rattristata e il re, onorato
d'aver dato accoglienza ad una dea, le offr tutto ci che lei
volesse. Iside, naturalmente, chiese la grande colonna e lei
stessa ne trasse lo scrigno e riemp il tronco di profumi, lo av-
volse in bende odorose e lo lasci al re e al suo popolo come
suo ricordo e preziosa reliquia.
Ripresa la via del ritorno scortata da due figli del re, non
seppe resistere a lungo: ordin alla carovana di fermarsi e apr
la cassa. All'apparire del volto del marito le sue urla di dolore
riempirono l'aria in modo tale che uno dei figli del re usc di
senno. Peggiore sorte tocc all'altro: Iside s'era chinata lacri-
mando sul viso di Osiride, e l'ignaro ragazzo la osservava incu-
riosito; la dea, accortasene, gli lanci una tale occhiata che il
poveretto cadde fulminato.
Rimasta sola, Iside tent di tutto, us invano tutte le possi-
bile formule magiche per richiamare in vita lo sposo, e, tra-
sformatasi in falco e agitando su di lui le ali per cercare di ri-
dargli il soffio della vita, miracolosamente rimase fecondata.
Giunta in Egitto, nascose la bara in un luogo presso Buto,
tra le inestricabili paludi del Delta per proteggerla dai perico-
li.
Ma per caso Seth, andando una notte a caccia al chiaro di
luna, la trov. Quando l'apr e vide la salma del fratello, in
preda al pi scatenato furore, la fece a brandelli, tagliandola in
quattordici parti che sparpagli per tutto l'Egitto. L'infelice
Iside, al nuovo scempio, ricominci la pietosa ricerca dei ma-
cabri resti e dopo immense fatiche riusc a ricomporli tutti,
tranne il membro virile divorato da un ossirinco (una specie di
storione del Nilo). Sui luoghi dove i resti furono trovati, sorse-
ro cappelle e poi templi ai quali si compivano pellegrinaggi
COSTELLAZIONI E MITI 161

chiamati della ricerca di Osiride.


Ricomposto il corpo, Iside chiam a s la diletta sorella
Neftis (incolpevole sposa del malvagio Seth), Thot e Anubi. E
con la scienza ereditata da Osiride, tutti insieme si prodigaro-
no per rendere a Osiride la vita. Anubi imbalsam il corpo e
confezion cos la prima mummia, che fu fasciata e ricoperta
di talismani. Sui muri del sepolcro, ad Abido, furono incise le
formule magiche di rito. Accanto al sarcofago fu posta una
statua del tutto somigliante al defunto.
Osiride cos resuscit, ma non pot regnare pi su questa
terra e divenne Re del "Sito che oltre l'Orizzonte occidentale",
che trasform da luogo cupo e triste in una landa ubertosa e
ricca di messi. Compiuto il rito della sepoltura, Iside torn a
nascondersi nelle paludi per proteggere se stessa e soprattutto
il nascituro dalle vendette di Seth.
Quando nacque il figlio Horo, la madre lo protesse con
tutto l'amore, invoc su di lui l'aiuto di tutti gli di, poi gli in-
segn la scienza e lo educ nel culto del padre.
Horo crebbe come il sole nascente, il suo occhio destro era
il sole, quello sinistro la luna ed egli stesso era un grande falco
luminoso che solcava i cieli.
Quando fu abbastanza grande, Osiride torn una volta sul-
la terra per farne un soldato.
Horo, radunati tutti i fedeli del re tradito, part alla ricerca
di Seth per vendicare il padre.
Lo trov ed ingaggi con lui una tremenda battaglia che
dur tre giorni e tre notti; Seth e i suoi si trasformarono nei
pi terribili e imprendibili animali per cercare di sfuggire alla
sconfitta: Horo mutil Seth, ma questi di trasform in un
enorme maiale nero e ingoi l'occhio sinistro di Horo: la luna
cess cos di splendere, l'umanit era attonita.
Alla fine Seth stava per soccombere, quando Iside comin-
ci ad intromettersi, a supplicare il figlio perch il massacro
avesse termine: dopo tutto, Seth era suo fratello e marito della
sorella Neftis.
Horo, in uno scatto d'ira, taglio la testa alla madre ma
Thot la guar subito ponendole, al posto della sua, una testa di
mucca.
162 GIOVANNI PLATANIA

La battaglia riprese e dur all'infinito senza vincitori n


vinti. S'intromise allora con autorit Thot, che guar Seth ma
gli impose di restituire l'occhio a Horo. La luna torn cos a
risplendere. Intervennero allora anche gli altri di e posero la
questione al giudizio di Thot. Fu un processo fiume che dur
ottant'anni. Seth accus Horo di non essere figlio di Osiride,
poich era nato troppo tempo dopo la morte del vantato pa-
dre. Horo controbatt tacciando Seth di malafede; e alla fine il
Divino Tribunale sentenzi che Horo avesse il regno del Basso
Egitto e Seth quello dell'Alto Egitto.

Un mito ci stato tramandato anche dai pellerossa Iroche-


si. Racconta che molto tempo fa, viveva un uomo ormai trop-
po vecchio e debole per andare a caccia o lavorare. Era diven-
tato un peso per la sua famiglia ed un reietto per gli altri. Egli
sapeva che i suoi giorni sulla terra stavano finendo, cos, con
grande fatica, si arrampic su un'alta montagna con la gerla
sulle spalle ed il bastone in mano. Quando raggiunse la cima,
il vecchio cominci a cantare il suo canto di morte, pregando
che il suo viaggio spirituale continuasse anche dopo la vita ter-
rena.
La sua voce giunse anche gi, nel villaggio, dove la gente
smise ogni attivit per osservare la figura solitaria in cima alla
montagna. Mentre tutti guardavano, il vecchio cominci a sali-
re lentamente in aria.
E mentre saliva, la sua voce si faceva sempre pi flebile.
Presto non si riusc pi a sentirla. Cos egli prese posto tra le
stelle, dove visibile ancora oggi come il Vecchio: la costella-
zione che corrisponde al nostro Orione.
Il Vecchio non mor, ma assunse un ruolo nuovo. Recu-
per la sua forza e la sua potenza ed ora conduce il sole attra-
verso il cielo d'estate. Egli sa quanto sia importante il sole, co-
s lo porta in alto, fornendo luce e vita ai campi ed alle genti.
Ma quando iniziano a soffiare i venti invernali, i muscoli
del vecchio cominciano a dolere sotto lo sforzo, cos egli passa
la sua gerla al figlio. Come molti giovani, il figlio del vecchio
cerca di lavorare il meno possibile, e quindi tiene basso il cor-
so del sole, rendendo i giorni brevi e freddi. In questo periodo
COSTELLAZIONI E MITI 163

il vecchio visibile di notte come la Luna: la gerla in cui porta


il sole buia e vuota. Ma in primavera egli riprender il sole e
lo porter ancora in alto, regalando di nuovo calore e lunghe
giornate. (Stelle).

Esiste anche un altro mito del popolo degli indiani d'Ame-


rica Tewa che racconta che nei tempi antichi esso si affidava
ad un grande e saggio guerriero di nome Lunga Fascia. Una
volta, durante un brutto periodo, la gente chiam in aiuto
Lunga Fascia.
Egli li condusse lungo il Sentiero Infinito: la Via Lattea.
Dopo un po', essi cominciarono a sentirsi stanchi ed a la-
mentarsi. Lunga Fascia si ferm vicino a due stelle brillanti, i
Gemelli, e chiese alla gente di seguirlo senza lamentele o di
andarsene.
I Tewa chiamarono il luogo dove si erano fermati Posto
della Decisione e decisero di seguire Lunga Fascia.
Ma dopo un periodo di tempo che a loro parve un'eternit,
ricominciarono a lamentarsi ed a dubitare dell'abilit di Lun-
ga Fascia. Si fermarono ancora, ed il grande guerriero si tolse
il copricapo.
La gente chiam quel luogo il Posto del Dubbio. Dopo
che Lunga Fascia ebbe fatto un sogno illuminante, condusse il
suo popolo nella Terra di Mezzo, la patria definitiva.
Lunga Fascia vive ancora l, nelle stelle di Orione. Il suo
copricapo visibile nel gruppo delle Pleiadi (Stelle).

I Babilonesi e gli Ind associavano la costellazione di Orio-


ne alle bufere invernali.

Secondo i Maia, le stelle di Orione e dei Gemelli formava-


no il Citalthachtli, ossia il campo da gioco per la palla.

Per gli Incas raffiguravano i bastoncini da strofinare per


accendere il fuoco.

Questa costellazione, poich ha la forma simile ad una fi-


gura umana, stata identificata da molti popoli come un eroe,
164 GIOVANNI PLATANIA

spesso un guerriero o un cacciatore. Ad esempio i Sumeri la


associarono a Gilgamesh, re di Uruk ed eroe epico.
COSTELLAZIONI E MITI 165

CASSIOPEA, ANDROMEDA, CEFEO

Costellazioni circumpolari
166 GIOVANNI PLATANIA

Cassiopea
COSTELLAZIONI E MITI 167

Andromeda
168 GIOVANNI PLATANIA

Cefeo
COSTELLAZIONI E MITI 169

Galassia di Andromeda
170 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa a Bolla in Cassiopea


COSTELLAZIONI E MITI 171

Galassia NGC6946 in Cefeo


172 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa NGC7023 in Andromeda


COSTELLAZIONI E MITI 173

Residuo di supernova in Cassiopea: Cas A.


174 GIOVANNI PLATANIA

Galassia attiva M82 in Cassiopea


COSTELLAZIONI E MITI 175

NGC 147 in Cassiopea


176 GIOVANNI PLATANIA

NGC 185 in Cassiopea


COSTELLAZIONI E MITI 177

Nebulosa Boomerang in Andromeda


178 GIOVANNI PLATANIA

Galassia NGC 891 di profilo in Andromeda


COSTELLAZIONI E MITI 179

NGC 7023 in Cefeo


180 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 181

Hevelius
182 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 183

Andromeda, Cassiopea e Cefeo sono costellazioni circum-


polari.

La stella Alfa di Andromeda Alpheratz, la testa di Andro-


meda, che costituisce anche uno dei vertici del quadrato di
Pegaso ed di magnitudine 2. Coincide con la delta di Pega-
so, anche nota come Sirrah, l'ombelico del cavallo
Beta Mirak e Gamma Almak, anche loro con m = 2.

Caratteristica in questa costellazione la grande galassia a


spirale M 31, la galassia di Andromeda, uno dei corpi celesti
pi famosi di tutto il cielo, con la quale la nostra galassia, la
Via Lattea, ed alcune galassie irregolari pi piccole tra cui le
Maffei I e Maffei II e la Piccola e la Grande Nube di Magella-
no, formano il Gruppo Locale, ammasso di galassie gravita-
zionalmente legate.

Riguardo a Cassiopea, Alfa Schedar, il seno, stella dop-


pia con m = 2.2 e m = 9.
Beta Caph, la mano con m = 2.2.
Gamma Taih, con m variabile tra 1.6 e 3, all'intersezione
tra le due V.
Delta Ruchbah, il ginocchio, con m = 2.7 ed Epsilon
Segin, con m = 5, stella doppia con il periodo di rotazione di
480 anni, il pi lungo che si conosca.

In Cassiopea, nel 1572, apparve la stella di Tycho Brahe,


oggi ritenuta una supernova. Brahe la descrisse nel libro De
Nova stella. la ragione per cui alle Nove si d questo nome,
per quella oggi si conosce come supernova.
Nella stessa costellazione vi anche il residuo di un'altra
supernova contenente la radiosorgente nota come Cas A.

In Cefeo, Alfa Alderamin, la spalla destra, con m = 2.4;


ad essa spett il ruolo di polare circa duecento secoli fa.
184 GIOVANNI PLATANIA

Beta Alfirk, il gregge, variabile tra le magnitudini 3.2 e


3.3 in 4 ore.
Gamma Alrai, in arabo il pastore.
Delta il prototipo delle stelle variabili chiamate Cefei-
di: la loro luminosit varia in maniera regolare, con un perio-
do che legato alla loro magnitudine assoluta. Per questa ra-
gione, tramite la loro misura possibile calcolare la distanza di
ammassi e galassie: infatti conoscendo M ed m di una stella di
una galassia o di un ammasso stellare possibile ricavarne la
distanza, come abbiamo detto precedentemente: M = m + 5 -
5 log d.
Delta varia la magnitudine tra 3.5 e 4.4 in 5.4 giorni.

La costellazione di Cassiopea corrisponde alla Casyapi sn-


scrita, seduta con un fiore di loto nella mano, ovvero alla regi-
na del Caucaso Chasiapati, ed anche alla dea Kasseba, rappre-
sentata dai Fenici come patrona della prosperit, seduta con
un fascio di spighe tra le braccia.
Poich nei manoscritti arabi Cassiopea era indicata come
la donna seduta e i latini la chiamavano Solium (trono, seg-
gio), si pu notare un unico filo conduttore che ha collegato
popoli tanto lontani nel tempo e nello spazio.

Per gli Egiziani, la costellazione di Cassiopea rappresenta-


va il faraone Cheope.

Quella di Andromeda una costellazione molto antica, gi


documentata presso le civilt mesopotamiche.
In una carta araba del X secolo essa appare come una fan-
ciulla con le braccia alzate che viene aggredita dal mostro ma-
rino, mentre popoli arabi pi antichi la raffigurarono come
una foca legata con una lunga catena ad uno dei Pesci sotto-
stanti.

Queste costellazioni sono raggruppate perch si riferiscono


alla stessa leggenda greca.

Si tramanda che a Poseidone, figlio di Crono e Rea, fratello


COSTELLAZIONI E MITI 185

di Zeus, dio del cielo, nella spartizione dei poteri successiva


alla vittoria nella Titanomachia, era toccato il regno del mare.
Si innamor di Alia, figlia di Ponto e di Gea e sorella dei
Telchini, che erano esseri anfibi, met marini e met terrestri,
ed erano cos ostili e violenti da proibire, senza alcuna ragio-
ne, alla giovane Afrodite in viaggio verso Cipro, di sbarcare a
Rodi, la loro isola. Afrodite li pun duramente facendoli im-
pazzire, tanto che violentarono la madre: Poseidone li fece in-
ghiottire dalla terra.
Sposa di Poseidone fu Anfitrite, figlia di Nereo e Doride,
quindi una delle Nereidi.
Poseidone ebbe, come Zeus, molti amori adulterini. Ad
esempio si innamor di Scilla, figlia di Forco ed Ecate, che
Anfitrite, per gelosia, trasform in una cagna con sei teste e
dodici zampe.
Sotto forma di cavallo, violent Demetra, in lutto per la
scomparsa di Persefone.
Si trasform nel dio del fiume Epigeo per violentare la bel-
lissima Tiro, figlia di Salmoneo, re di Tessaglia, che era inna-
morata, non ricambiata, dello stesso Epigeo.
Anche Pelope, figlio di Tantalo e della Pleiade Dione, non
sfugg alle brame sessuali di Poseidone. Tantalo, che riusc a
costruirsi la fama di giusto e magnanimo re della Libia, era
onorato dagli di. Una volta aveva invitato gli di ad un ban-
chetto sul monte Sibilo, ma not che non aveva cibo sufficien-
te per tutti.
Allora uccise il figlio Pelope e ne serv le carni agli di.
Alcuni mitografi sostengono che Tantalo in questo modo
aveva voluto mettere alla prova la chiaroveggenza degli di,
ma tutti gli di riconobbero la carne servita loro e nessuno ne
mangi, fuorch Demetra che, affamata, divor una spalla pri-
ma di accorgersi di cosa si trattava.
Gli di lo punirono con la fame e la sete eterne: immerso
nell'acqua fino al collo, non poteva bere, poich il liquido fug-
giva ogni volta che lui cercava bagnarsi la bocca, ed un ramo
carico di frutti sovrastava la sua testa, ma, se alzava un brac-
cio, il ramo risaliva bruscamente al di fuori della sua portata.
Le membra di Pelope furono ricomposte e gli fu permesso di rivivere.
186 GIOVANNI PLATANIA

Una leggenda vuole che, dall'osso della spalla di Pelope


fosse stato intagliato il Palladio, e che questo fosse stato sot-
tratto a Sparta da Paride insieme ad Elena (v. Prima Parte).

Altro figlio mortale di Poseidone, fu Teseo, che Etra, figlia


del re di Trezene Pitteo, gener dopo una notte in cui aveva
fatto l'amore con Egeo prima e con Poseidone dopo.
Quest'ultimo concesse la paternit del bambino ad Egeo.
Altri figli di Poseidone furono oliremo, acerrimo nemico
di Ulisse, Antifate, feroce omicida, Anteo, re di Cirene, Ami-
co, re della Bitinia, che affrontava in un combattimento a pu-
gni gli stranieri che passavano sulla sua terra. Sconfitto da Pol-
luce, fu costretto a giurare di desistere dal suo modo di opera-
re.
L'unico figlio immortale di Poseidone fu Tifone, figlio di
Anfitrite. Comunque, ricordiamo che Tifone anche, e forse
con pi ragione, considerato figlio di Gea e Tartaro (v. peral-
tro Prima Parte).
Poseidone aveva fatto nascere il primo cavallo percuoten-
do la terra con il tridente, per cui era detto il domatore dei
cavalli. Istitu anche le corse con i cocchi.
Suo regno fu Atlantide, al di l delle Colonne d'Ercole, che
gli abitanti resero fertile con enormi lavori d'irrigazione e l'a-
vevano fornita di monumentali opere architettoniche. Zeus
sommerse il paese, perch gli abitanti, che avevano come re
Atlante, figlio di Poseidone, erano diventati avidi e crudeli.
Egli condann Atlante a portare il Cielo sulle spalle per l'eter-
nit (v. peraltro Prima Parte).

Cassiopea era moglie di Cefeo, re di Giaffa e madre di An-


dromeda. La vanit era il difetto pi grande della meravigliosa
regina di Etiopia Cassiopea, la quale, non accontentandosi di
essere bellissima, volle perfino competere con le Nereidi, se-
ducenti creature marine, che non accettarono di buon grado
la sfida. Cos si rivolsero a Poseidone, loro tutore e dio del
mare, affinch intimorisse Cassiopea.
Il dio, allora, invi verso le coste di Giaffa un orribile mo-
stro, Ceto, la Balena (da cui cetaceo), con l'ordine di provo-
COSTELLAZIONI E MITI 187

care un'onda immensa tale da sommergere mezza Palestina.


Cefeo, per salvare il suo regno, consult l'oracolo di Ammone.
L'oracolo gli disse che l'unica soluzione era quella di sacri-
ficare al mostro sua figlia Andromeda. Con il dolore nel cuo-
re, il re ordin di incatenare la sfortunata principessa agli sco-
gli davanti a Giaffa in attesa del sacrificio. Ma proprio quando
Ceto stava per afferrare la povera fanciulla, ecco che Perseo,
ritornato dall'impresa contro Medusa, lo uccise con facilit li-
berando contemporaneamente Andromeda dal mostro e Giaf-
fa dalla distruzione. (v. Perseo).
In cambio Perseo chiese di sposare la giovane. I genitori
cedettero a tale richiesta senza per molta convinzione.
Per punire Cassiopea della sua vanit, Poseidone l'assunse
in cielo imponendole, tuttavia, una posizione ridicola e inde-
corosa: seduta sul suo trono ma con la testa in gi e le ginoc-
chia in alto.
Ovidio, nelle Metamorfosi, narra che Perseo vide An-
dromeda, ma se non fosse stato che una leggera brezza le agi-
tava i capelli e tiepido pianto le stillava dagli occhi l'avrebbe
scambiata per una statua marmorea e incantato dalla vista
di tanta bellezza, per poco non dimentic di battere le ali.
Atterr e si inform del nome della ragazza e del perch fosse
cos legata. Andromeda per la timidezza si sarebbe nascosta
il volto con le mani, se non fosse stata legata (Met. IV, 678
segg.), tuttavia prese a dare le informazioni richieste.
Non aveva ancora finito che comparve il mostro dalle on-
de. Le grida di terrore della fanciulla fecero accorrere Cefeo e
Cassiopea in lutto che, invece di portare aiuto, cominciarono a
disperarsi.
Allora Perseo, dopo essersi debitamente presentato, si offr
di salvare la fanciulla a patto che diventasse sua moglie. Se io
la chiedessi in sposa, io, Perseo, figlio di Giove e di colei che
fra le sbarre Giove rese madre fecondandola con l'oro, io, Per-
seo, che ho vinto la Gorgone dalla chioma di serpi e spazio
senza timore nel cielo con un battito d'ali, sarei certo preferito
a tutti come genero. Ma ancora un merito, se mi assistono gli
di, cercher di aggiungere a tanto prestigio. Facciamo un
patto: che sia mia, se la salvo col mio valore! (Met. IV, 697
188 GIOVANNI PLATANIA

sgg.). I genitori acconsentirono, perch la promessa fatta a Fi-


neo, fratello di Cefeo, del matrimonio con Andromeda non
era considerata pi valida, dopo che questi aveva accettato che
Andromeda stessa fosse sacrificata.

Il seguito della storia raccontato nella costellazione di


Perseo.

Un'altra leggenda narra che Cefeo, re della Fenicia, aveva


una figlia molto bella, Andromeda, corteggiata da Fenice,
eponimo della Fenicia, e dallo zio Fineo, fratello di Cefeo. Do-
po molti tentennamenti, Cefeo decise di dare la figlia a Fenice,
senza per che suo fratello potesse offendersi per essere stato
rifiutato; cos simul un rapimento. Andromeda sarebbe stata
rapita su un isolotto dove aveva l'abitudine di sacrificare ad
Afrodite. Cos fece Fenice e sal su una nave chiamata La Bale-
na. Ma Andromeda, che ignorava che era soltanto una messa
in scena destinata ad ingannare lo zio, gridava e chiamava aiu-
to. Ora, per caso, Perseo, figlio di Danae, passava di l. Vide
la giovane in procinto di essere rapita e, al primo sguardo, se
ne innamor. Si slanci, mise a soqquadro la nave, lasci i ma-
rinai pietrificati con l'aiuto della testa di Medusa e port via
Andromeda, che spos; dopodich, regn tranquillamente ad
Argo.
COSTELLAZIONI E MITI 189

PERSEO

Perseo
190 GIOVANNI PLATANIA

Perseo con dettagli


COSTELLAZIONI E MITI 191

Nebulosa NGC1275
192 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa NGC1499 California


COSTELLAZIONI E MITI 193

Hevelius
194 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 195

Costellazione autunnale.

Alfa, o Algenib, il fianco, con m = 1.8, nota anche co-


me Mirphak, il gomito. Da notare che Algenib anche il
nome di una stella di Pegaso.
Beta Algol, la stella del diavolo: una variabile scelta
come prototipo delle variabili ad eclisse. Durante il periodo di
variabilit, di 2,87 giorni, la magnitudine varia da 2.1 a 3.5. La
possibilit di osservazione di questa variabilit viene dal con-
fronto con la Epsilon, quasi sullo stesso parallelo.
Perseo immaginato mentre tiene in mano la testa della
Medusa, di cui un occhio raffigurato dalla stella Algol.
Gamma una stella doppia con m = 3.

In Perseo anche situato il punto radiante di una delle


maggiori piogge meteoriche che si verificano ogni anno nel
periodo tra il 25 luglio ed il 17 agosto: le Perseidi, e che nelle
notti del 10, 11 e 12 agosto raggiungono la loro manifestazio-
ne massima.

Il regno di Argo, antica citt della Grecia centrale, situata


nel Peloponneso, vicino a Corinto, risale all'et del bronzo ed
considerato il centro urbano pi antico della Grecia e la pi
importante fucina per la creazione di leggende mitologiche.
Re di questa citt era Acrisio, il cui nome significava uo-
mo delle alture. Era figlio di Abante, re di Argo e della ninfa
Aglaia. Egli governava felicemente il suo regno coadiuvato
dalla moglie Euridice dalla quale ebbe una bellissima figlia:
Danae.
Acrisio era marito di Euridice, figlia di Lacedemone e di
Sparto. Aveva un gemello, Preto, con cui si scontrava fin da
prima della nascita, perch riviveva in essi l'odio reciproco dei
loro antenati Egitto e Danao.
Quando giunsero alla divisione dell'eredit paterna, lo
scontro fu inevitabile. Abante chiese loro di regnare alternati-
196 GIOVANNI PLATANIA

vamente sull'Argolide, ma inutilmente, perch i loro rapporti


si erano ancor pi inaspriti: Preto aveva violentato Danae, la
figlia di Acrisio, e quest'ultimo aveva rifiutato di abdicare in
favore del fratello alla scadenza prevista.
Preto si rivolse ad Iobate, re di Licia, per avere armi e
guerrieri ed ottenne anche in sposa Antea, figlia del re Licio.
Attacc il fratello, rivendicando i propri diritti, ma la lunga
battaglia fu vana e si concluse senza vincitori. I due fratelli
convennero, sebbene a malincuore, di dividersi il regno: Acri-
sio ebbe Argo, mentre a Preto spett Tirinto. (Agizza) (Miti).
Acrisio, avendo saputo da un oracolo che sua figlia Danae
avrebbe avuto un figlio che lo avrebbe ucciso, escogit un
espediente per eludere il fato: fece rinchiudere la vergine as-
sieme ad una ancella in una prigione inaccessibile affinch
nessuno potesse avvicinarla. La prigione di Danae era vera-
mente inviolabile, ma non per Zeus che, innamoratosi della
bellissima fanciulla, volle unirsi a lei e per far ci si tramut in
una sottile polvere d'oro che filtrando attraverso gli spiragli e
le fessure del carcere, si deposit sulla ignara creatura e la fe-
cond.
Da questa unione nacque un meraviglioso fanciullo: Per-
seo.
Dopo parecchi mesi trascorsi da Danae nella prigione col
bambino e la propria nutrice, il re Acrisio, un giorno, ud un
grido del bimbo. Non credendo che la figlia fosse stata sedotta
da Zeus, ma pensando che fosse Preto il padre del bambino,
Acrisio uccise la nutrice come sua complice. Non avendo il
coraggio di uccidere anche la figlia ed il piccolo, li gett in
mare in una cassa di legno.
La cassa arriv sulla spiaggia di Serifo, apparentemente in
maniera fortuita.
La navigazione ispir un carme al poeta greco Simonide di
Ceo (VI sec. a.C.). Del componimento rimane un frammento,
appunto il Lamento di Danae, che costituisce una delle pa-
gine pi commosse e poetiche della lirica greca. La donna,
consapevole del pericolo, presa da angoscia per la sorte pro-
pria e del figlioletto, che, invece, bimbo ignaro di tutto, conti-
nua a dormire tra le sue braccia.
COSTELLAZIONI E MITI 197

Lamento di Danae

Quando nell'arca regale l'impeto del vento


e l'acqua agitata la trascinarono al largo,
Danae con sgomento, piangendo,
distese amorosa le mani su Perseo e disse: O figlio,
qual pena soffro!
Il tuo cuore non sa; e profondamente tu dormi
cos raccolto in questa notte senza luce di cielo,
nel buio del legno serrato da chiodi di rame.

E l'onda lunga dell'acqua che passa sul tuo capo, non odi;
n il rombo dell'aria: nella rossa vestina di lana,
giaci reclinato al sonno del tuo bel viso.

Se tu sapessi ci che da temere,


il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce.
Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete abbia il mare;
ed il male senza fine, riposi.
Un mutamento avvenga ad un tuo gesto, Zeus padre;
e qualunque parola temeraria
io urli, perdonami, la ragione m'abbandona.

L'avventura ebbe in ogni modo una conclusione felice.


Zeus, invocato da Danae, intervenne facendo approdare l'arca
sulla spiaggia di Serifo, dove il re Polidecto, figlio di Magnete
e di una naide, salv i due naufraghi.
Danae era oggetto dei desideri di Polidecto, che cercava in
tutti i modi di convincerla a sposarlo, ma lei, il cui unico pen-
siero era il figlio Perseo, non ricambiava il suo amore ed allev
il figlio in un tempio di Atena.
Fu cos che Polidecto decise di allontanare Perseo dalla
sua vita e con l'inganno lo convinse a portargli la testa della
Gorgone Medusa. In realt Polidecto sperava che l'impresa
fosse fatale per il giovane perch mai nessun mortale era riu-
scito in simile impresa.
Medusa, una delle tre Gorgoni, era un tempo tra le donne
198 GIOVANNI PLATANIA

pi belle.
Figlia di Forci e Ceto, era mortale, a differenza delle sorelle
Euriale e Steno. Abitava con loro nell'estremo occidente, non
lontano dal giardino delle Esperidi.
L'unico dio che non aveva temuto la Gorgone era stato Po-
seidone, che l'aveva resa incinta di Pegaso, il cavallo alato, e di
Crisaore.
Medusa era stata resa madre nel tempio di Atena che, inor-
ridita dell'affronto subito, aveva trasformato la fanciulla in un
orribile mostro: aveva trasformato le mani in pezzi di bronzo;
aveva fatto comparire delle ali d'oro e ricoperto il corpo di
scaglie; i denti erano diventati simili alle zanne di un cinghiale,
i capelli erano stati trasformati in serpenti ed al suo sguardo
aveva dato la capacit di trasformare in pietra tutto ci che
guardasse.
L'impresa di Perseo non era facile, ma accorsero in suo
aiuto Atena, che non aveva mitigato il suo risentimento verso
la Gorgone, ed Ermes.
Gli donarono, la prima uno scudo lucente e ben levigato,
attraverso il quale guardare riflessa la Gorgone ed evitare cos
di essere pietrificato dallo sguardo; il secondo l'antica spada
dei Titani, a forma di falce, con cui decapitarla poich le sue
squame erano pi dure del ferro.
I due di suggerirono anche di farsi donare dalle ninfe Sti-
gie i calzari alati per volare veloce nel regno di Medusa, l'elmo
di Ade che rendeva invisibile chi lo portasse ed una sacca ma-
gica nella quale riporre la testa di Medusa, una volta tagliata.
Infatti i suoi poteri non sarebbero venuti meno con la morte
ed i suoi occhi sarebbero stati ancora in grado di pietrificare
chiunque la guardasse.
Nessuno per sapeva dove vivevano le ninfe Stigie, tranne
le sorelle delle Gorgoni, le tre Graie, dal corpo di cigno ed
che avevano un occhio solo ed un dente solo in comune. Per-
seo raggiunse il monte Atlante, dove le Graie sedevano sui lo-
ro troni, e cogliendole di sorpresa strapp loro l'occhio ed il
dente mentre una delle sorelle li porgeva all'altra, n accon-
sent a restituirli prima di aver saputo dove vivessero le ninfe
Stigie.
COSTELLAZIONI E MITI 199

Forte dei consigli e delle armi, Perseo si avvicin a Medusa


durante il suo sonno, nel paesaggio desolato di uomini ed ani-
mali che il suo sguardo aveva pietrificato, camminando all'in-
dietro e guardandola riflessa nello scudo lucente.
Non appena le fu vicino vibr il colpo mortale che tagli di
netto la testa della Gorgone mentre i serpenti tentavano in tut-
ti i modi di avvolgerlo nelle loro spire.
Presa la testa, la ripose immediatamente nella bisaccia
mentre dal sangue che sgorgava copioso nacque, con sua sor-
presa, Pegaso, il magico cavallo alato che divenne il fedele
compagno di Perseo, ed il gigante Crisaore, che alla nascita
brandiva una spada d'oro. (Miti).
Questo sangue aveva propriet magiche. Quello che era
colato dalla vena sinistra era un veleno mortale, mentre quello
colato dalla vena destra era un rimedio capace di resuscitare i
morti (v. Ofiuco).
Inoltre, un solo ricciolo dei suoi capelli, mostrato ad un
esercito assalitore, aveva il potere di sconfiggerlo.
Le sorelle della vittima cercarono in tutti i modi di inse-
guirlo ma grazie all'elmo di Ade che lo rendeva invisibile ed al
magico cavallo volante Pegaso, riusc a sfuggire, volando via
pi veloce del pensiero da quell'isola tetra e nefasta. Approd
per riposare nella regione dell'Esperia, dove regnava il titano
Atlante, figlio di Giapeto e quindi nipote di Urano e Gea.
Costui viveva nel giardino delle Esperidi, posto ai confini
occidentali del mondo, dove cresceva l'albero dalle mele d'o-
ro, regalato da Gea ad Era, nel giorno delle sue nozze con
Zeus, albero che era custodito da un drago e dalle Esperidi.
Atlante era molto sospettoso e diffidente nei confronti de-
gli estranei in conseguenza di una profezia di Temi, secondo la
quale il suo regno sarebbe stato distrutto da uno dei figli di
Zeus.
Perseo (che non sapeva della profezia) gli rivel la sua ori-
gine divina e, nell'apprenderla, Atlante cerc di ucciderlo.
Il giovane, sorpreso dalla sua reazione, fu costretto a difen-
dersi in una lotta impari contro il titano, fino a che, aperta la
bisaccia dove teneva la testa di Medusa, pose fine al combatti-
mento giacch Atlante inizi a pietrificarsi trasformandosi in
200 GIOVANNI PLATANIA

un'alta montagna, e tutto il cielo con le sue innumerevoli


stelle poggi su di lui (Met. 661-662).
Perseo riprese il suo volo verso casa, percorrendo una zona
di terra arida e desolata della Libia, senza accorgersi che alcu-
ne gocce di sangue fuoriuscivano dalla bisaccia che conteneva
la testa di Medusa e che, cadendo nel terreno, davano origine
a tanti serpenti velenosi i quali in seguito avrebbero popolato
per sempre il deserto.
Tornando, giunse in vista della terra degli Etiopi, dove vi-
de, incatenata ad un masso, una fanciulla, Andromeda, che era
l per colpa della madre, che aveva osato sfidare le dee (v. Cas-
siopea).
Si mostr deciso a salvarla, purch i genitori acconsentisse-
ro a dargliela in moglie. Avendo loro accettato, Perseo ingag-
gi una furiosa lotta con il mostro Borea, che alla fine fu vinta,
e pose sopra il suo corpo la testa della Medusa.
Delle ninfe curiose rubarono un po' del sangue che fuoriu-
sciva dalla testa di Medusa e che, a contatto dell'acqua mari-
na, trasformava i ramoscelli in coralli. Da quel momento i fon-
dali marini furono allietati dalla presenza di questi straordinari
echinodermi.
Mentre tutti erano al banchetto nuziale tra Perseo ed An-
dromeda, fece ingresso nella sala Fineo, fratello del re Cefeo, e
quindi zio, ed ex promesso sposo di Andromeda. Questi la re-
clamava pur avendone perso il diritto nel momento in cui ave-
va lasciato che la stessa andasse in sacrificio al mostro. Nella
sala nuziale si scaten una cruenta lotta.
Fineo, dopo aver giurato su lealt e giustizia, sugli di ospi-
ti, Atena ed Ati, che tutto accadeva contro il suo volere, con
l'aiuto di molti alleati inizi a combattere contro Perseo.
La battaglia coinvolse tutti i presenti, tra cui molti guerrieri
ed eroi, e stava per essere vinta da Fineo e dalla moltitudine
dei nemici di Perseo, quando questi, decise di farsi aiutare dal
nemico: apr la sacca magica e mostr la testa di Medusa che,
ancora una volta, port la morte, pietrificando uno ad uno i
compagni di Fineo.
Solo allora questi si pent dell'iniqua battaglia e supplic
Perseo di nascondere la testa di Medusa, ma Perseo, non im-
COSTELLAZIONI E MITI 201

pietosito, pietrific anche lui.


Perseo ed Andromeda decisero di lasciare la terra degli
Etiopi per ritornare a Serifo, da Danae dove arrivarono appe-
na in tempo per salvarla dalla morte alla quale il re Polidecto,
dopo aver tentato di violentarla, l'aveva condannata perch
continuava a non ricambiare il suo amore.
Il re, che non credeva nella morte di Medusa, fu messo di
fronte alla testa e fu pietrificato all'istante.
Morto Polidecto, Danae e Perseo potevano finalmente far
ritorno alla loro terra natale, Argo, per riconciliarsi con il re
Acrisio, verso il quale gli anni avevano ormai cancellato il ri-
sentimento.
Perseo, riconsegnati i calzari e l'elmo alle ninfe, la spada ad
Ermes e la testa di Medusa ad Atena, che la pose come trofeo
in mezzo al suo scudo, e mentre il magico Pegaso volava via
verso l'Olimpo, con la madre ed Andromeda salpava alla volta
di Argo.
Acrisio, saputo dell'arrivo del nipote Perseo e di sua figlia,
per paura dell'antica profezia, fugg via dal suo regno e ripar
a Larissa in Tessaglia.
Perseo fu invitato a partecipare a delle gare sportive pro-
prio a Larissa. Durante il lancio del disco, la potenza impressa
da Perseo all'attrezzo lo mand oltre gli spalti, a colpire uno
sfortunato spettatore che altri non era che re Acrisio che si era
mischiato alla folla.
Scoperta la triste fine toccata al nonno al quale Perseo, no-
nostante tutto, non portava rancore, il giovane, triste e sfidu-
ciato abbandon quella regione scambiando il regno di Argo
(che ereditava dal nonno) con quello di Tirinto, del cugino
Megapente, figlio di Preto, dove regn in pace e con saggezza
fino alla fine dei suoi giorni, fond, tra l'altro, il regno di Mi-
cene, cos chiamata perch una volta Perseo, tormentato dalla
sete, not un meraviglioso ruscello, sgorgato magicamente da
un fungo (mycos) . Perseo ed Andromeda ebbero molti figli
tra cui Alceo, progenitore del grande Eracle e Perse, caposti-
pite dei Persiani.
Ebbero anche una figlia, Gorgofone, che fu la prima don-
na greca a risposarsi dopo la morte del marito Periere, perch,
202 GIOVANNI PLATANIA

fino a quel momento, le vedove non dovevano conoscere altre


unioni, anzi molto spesso si uccidevano sulla tomba dei loro
mariti. Il suo secondo marito fu Ebalo, re di Sparta e discen-
dente di Lacedemone. Ebbe da Periere due figli, Afareo e
Leucippo, e due da Ebalo, Icario e Tindaro, che poi sposer
Leda da cui nacquero Castore, Polluce, Clitennestra ed Elena,
futura causa della guerra di Troia (v. Prima Parte).
Icario e Tindaro avevano anche un altro fratellastro, Ippo-
coonte, che il loro padre aveva avuto prima da una ninfa chia-
mata Batia. Periere, aiutato da suo figlio, scacci da Sparta
Icario e Tindaro, che si rifugiarono a Pleurone, presso Tesio,
dove rimasero finch Eracle non ebbe ucciso Ippocoonte ed i
suoi figli.
Tindaro fece allora ritorno a Sparta, dove riprese il potere,
mentre Icario restava in Acarnania dove spos Policasta, figlia
di Ligeo. Ne ebbe tre figli, Alizeo, Leucadio e Penelope. Ica-
rio pose sua figlia come premio in una corsa che egli istitu fra
i pretendenti che chiedevano la sua mano. Ulisse fu il vincito-
re, ma sembra che lo zio Tindaro favorisse questa vittoria, per
l'accordo preso con Ulisse per il buon consiglio che costui gli
aveva dato, invitando a legare ad un giuramento i pretendenti
alla mano di Elena, nella speranza di evitare qualsiasi contesta-
zione una volta che ella avesse scelto il marito. Cos Ulisse
spos Penelope (v. peraltro Capricorno).
Alla morte di Perseo, la dea Atena, per onorare la sua glo-
ria, lo trasform in una costellazione cui pose accanto la sua
amata Andromeda e la madre Cassiopea la cui vanit aveva
fatto s che i due giovani si incontrassero.

Un'altra versione della leggenda racconta invece che Poli-


decto riusc a sposare Danae ed allev Perseo nel tempio di
Atena.
Alcuni anni dopo, Acrisio seppe che la figlia ed il nipote
erano ancora in vita e salp per Serifo, deciso ad uccidere Per-
seo con le proprie mani. Polidecto intervenne e fece loro giu-
rare solennemente di non attentare mai l'uno alla vita dell'al-
tro. Tuttavia si alz una tempesta e mentre la nave di Acrisio
era in secco sulla spiaggia, Polidecto mor.
COSTELLAZIONI E MITI 203

Durante i giochi funebri in suo onore, Perseo lanci un di-


sco che per accidente colp Acrisio al capo e lo uccise.
Perseo raggiunse poi Argo ed avanz le sue pretese al tro-
no, ma Preto l'aveva preceduto, usurpando il potere, e Perseo
lo trasform in pietra. Egli riusc a regnare su tutta l'Argolide,
finch Megapente non lo uccise vendicando la morte del pa-
dre. (Miti).

La figura di Perseo fu tanto celebre nell'antichit che l'ulti-


mo re della dinastia di Alessandro il Macedone, regnante nel
II secolo a.C., si vantava di discendere direttamente dalla sua
stirpe, ne aveva adottato il nome e si fece raffigurare con i suoi
attributi nelle monete.

Un'altra leggenda oppone Perseo a Dioniso. Perseo, infatti,


si sarebbe opposto vittoriosamente all'introduzione del culto
di Dioniso ad Argo. Proprio allora Dioniso avrebbe terminato
la sua vita terrena e, dopo essersi riconciliato con Era, avrebbe
preso posto nell'Olimpo.

I romani raccontano, invece, che Perseo e Danae, gettati in


mare da Acrisio, sarebbero approdati sulle coste del Lazio. Il
re Pilunno avrebbe sposato Danae e con lei avrebbe fondato
la citt di Ardea. Da questo matrimonio nacque Turno, re dei
Rutili.
204 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 205

PEGASO

Pegaso
206 GIOVANNI PLATANIA

Pegaso
COSTELLAZIONI E MITI 207

Ammassi globulari NGC869 ed NGC884


208 GIOVANNI PLATANIA

NGC7331 in ammasso di galassie


COSTELLAZIONI E MITI 209

dal Quintetto di Stephan...


210 GIOVANNI PLATANIA

dal Quartetto di Stephan


COSTELLAZIONI E MITI 211

Hevelius
212 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 213

Costellazione autunnale.

Alfa Markab, la sella, con m = 2.5.


Beta Scheab, lagamba, variabile con m che assume i va-
lori limite 2.2 e 2.8.
Gamma Algenib che appartiene anche alla costellazione
dei Pesci, ha m = 2.8, e varia di luminosit tra m = 2.8 ed m =
2.9 in circa tre ore e mezza.
Delta coincide con Sirrah, la Alfa di Andromeda, che in
quella costellazione si chiama Alpheratz ed ha m = 2. Queste
stelle formano il quadrato di Pegaso.
Epsilon Enif, il naso, anch'essa variabile tra m = 0.7 e
m = 3.5; quindi al massimo di luminosit molto pi brillante
della Alfa.

Fuori dalla portata dei telescopi amatoriali, in questa co-


stellazione c' il Quintetto di Stephan, formato da cinque
galassie di magnitudine 14, quattro delle quali interagiscono
gravitazionalmente fra loro: la quinta, NGC 7320, appare vici-
na alle altre, ma invece molto pi prossima a noi. Per questa
ragione oggi si chiama Quartetto di Stephan.

La costellazione contiene anche un grande ammasso di ga-


lassie.

Pegaso, secondo l'etimologia fenicia del nome della costel-


lazione, potrebbe avere il significato di polena, la figura uma-
na o animale che ornava la prua delle navi, e ci spiegherebbe
perch del cavallo si rappresentasse nel cielo sempre solo la
parte anteriore.

Secondo Esiodo, Pegaso nacque, assieme a Crisaore, dal


sangue scaturito dalla testa troncata della Medusa, che era sta-
ta ingravidata da Poseidone, e fu poi uccisa da Perseo.
Crisaore nacque brandendo una spada d'oro. Si accoppi
214 GIOVANNI PLATANIA

con Calliroe, figlia di Oceano e Teti, che gli gener Gerione, il


gigante dai tre corpi, ed Echidna, che si sarebbe unita con
Tifone.

Pegaso, allevato dalle muse, era un meraviglioso cavallo,


bianchissimo, dalle grandi ali di cigno, che cavalcava con
eguale agilit le vie della terra e quelle dell'aria.
Venne il tempo in cui Pegaso decise di allontanarsi dalle
muse, ma prima volle ringraziarle per quello che avevano fatto
per lui: con lo zoccolo colp una roccia del monte Elicona e ne
nacque una fonte, Ippocrene o Sorgente del Cavallo.
Poseidone, dio del mare ma anche dei cavalli, don Pegaso
a Bellerofonte, altro figlio suo, che aveva per padre umano
Glauco, figlio di Sisifo, e per madre Eurinome.
Gli fece questo dono perch riuscisse ad uccidere la Chi-
mera, mostruoso animale tricefalo, il cui alito di fiamme pro-
curava la morte a chi ne era investito.
Sisifo era uno degli abitanti primordiali della terra, ed era
il pi astuto ed intelligente fra gli uomini. Era figlio di Eolo ed
aveva fondato Corinto e sposato la pleiade Merope, figlia di
Atlante. Suo vicino era Autolico, figlio di Ermes, che aveva
ereditato dal dio padre l'inclinazione al furto e la capacit di
trasformare la refurtiva: le bestie bianche diventavano nere,
quelle cornute perdevano le corna, e cos via. Sisifo aveva una
bellissima mandria e cerc di tutelarsi incidendo all'interno
degli zoccoli delle sue bestie un segno di riconoscimento.
Quando Autolico gliele rub, non si rese conto delle tracce
lasciate dal bestiame. E cos Sisifo pot denunciarlo ai vicini.
Mentre fra i vicini si accendeva la disputa per il colpevole
scoperto, Sisifo entr nella casa di Autolico e ne violent la fi-
glia Anticlea, moglie di Laerte. Anticlea partor Ulisse, la cui
indole astuta derivava da quella paterna. Autolico dette anche
ad Ulisse un elmo di cuoio che questi port nella sua spedizio-
ne notturna con Diomede contro Troia.
Non fu, per, la sua scaltrezza ad essergli imputata come
colpa, ma piuttosto l'essere riuscito ad ingannare gli di.
Quando Zeus rap Egina, figlia del dio fluviale Asopo, Sisifo,
dalla sua acropoli, vide tutto.
COSTELLAZIONI E MITI 215

Asopo, figlio di Oceano e Teti, giunse a Corinto in cerca


della figlia e si diresse da Sisifo. In cambio delle informazioni
volute, il padre di Egina gli fece sgorgare una fonte sull'acro-
poli, e Sisifo gli raccont tutto ci che era accaduto.
Sfuggito miseramente alla collera di Asopo, Zeus bram
vendetta ed invi a Sisifo il dio della morte, Tanatos.
Ma Sisifo riusc a vederlo in tempo e lo chiuse nei ceppi a
lui destinati, avendolo pregato di mostrargli come funzionava-
no. Tanatos rimase cos prigioniero nella casa di Sisifo, crean-
do una situazione gravissima perch nessuno poteva morire,
neanche decapitato.
Intervenne Ares, che liber Tanatos ed imprigion Sisifo,
ma questi, prima di scendere nell'Ade, ordin a sua moglie
Merope di non rendergli gli onori funebri.
Una volta in Averno, pot cos raggirare Persefone, regina
dell'Ade, lamentandosi dell'empiet della sua sposa e suscitan-
do la compassione e l'indignazione della dea che lo rimand
fra i vivi, affinch provvedesse di persona ai suoi funerali.
Aveva cos vinto per due volte il suo destino di morte, an-
che se non erano che vittorie temporanee.
Tornato sulla terra, Sisifo evit di tornare negli inferi, e vis-
se fino a tarda et. Ma, quando mor veramente e giunse defi-
nitivamente nel Tartaro, gli di inferi gli imposero una pena
esemplare: doveva eternamente rotolare un enorme masso fi-
no alla sommit di un monte, ma quando stava per raggiunge-
re la cima, una Furia alata gli buttava gi il masso che, caden-
do, travolgeva l'eroe. Sisifo, allora, coperto di sudore e di pol-
vere, ricominciava l'inutile e gravosa fatica.
Merope, vergognandosi di essere l'unica Pleiade con un
marito nell'Oltretomba e per giunta criminale, abbandon le
sue sei sorelle nel cielo notturno e nessuno la vide mai pi.
(Agizza, Miti).

Tornando a Bellerofonte, la mitografia racconta che egli


uccise involontariamente il fratello Bellero, tiranno di Corinto
e da allora, quasi per non dimenticare la sua colpa, scelse il
nuovo nome Bellerofonte ovvero uccisore di Bellero.
A causa della morte del fratello, Bellerofonte si rifugi
216 GIOVANNI PLATANIA

presso Preto, re di Argo.


Il re Preto aveva tre figlie, Lisippa, Ifinoe ed Ifianassa che,
per offese di Preto a Zeus, furono colpite da pazzia. Melampo,
famoso mago, figlio di Minia e nipote di Creso, si offr di cura-
re le tre invasate, purch Preto lo ricompensasse con un terzo
del suo regno.
Melampo, l'uomo dai piedi neri, era chiamato cos perch
sua madre, appena nato, lo aveva posto all'ombra, ma, inav-
vertitamente, aveva lasciato i piedi esposti al sole. Aveva acqui-
sito il dono della divinazione perch, trovato un serpente mor-
to, gli aveva celebrato i funerali su un rogo; i figli dell'animale,
riconoscenti, purificarono le sue orecchie con la lingua, per
cui egli cap da quel momento il linguaggio degli uccelli e, in
genere quello di tutti gli animali.
Preto rifiut perch il prezzo gli sembrava troppo alto, e
Melampo si ritir, ma la pazzia si diffuse tra le donne argive e
molte di loro uccisero i propri figli, abbandonarono le case e
fuggirono sulle montagne per unirsi alle figlie di Preto. Questi
allora mand a chiamare in gran fretta Melampo che, per,
questa volta gli chiese di pi: voleva un terzo del regno per s
ed un altro terzo per suo fratello Biante.
Questa volta Preto acconsent e le donne furono inseguite
da Melampo assieme ai giovani pi vigorosi di Argo, sulle
montagne con grandi grida e violenze orgiastiche. Ifinoe mor
per consunzione, ma le altre guarirono e furono purificate in
un pozzo sacro.
Melampo e Briante sposarono poi Lisippa ed Ifianassa.
In seguito Antea, la moglie del re Preto, si innamor del
giovane Bellerofonte, che per gratitudine e rispetto al sovrano
rifiut le profferte della regina: essa, offesa dal rifiuto, nella
sua ira, accus Bellerofonte di aver cercato di violentarla.
Preto credette alle accuse, ma per onorare l'ospitalit non
os mettere a morte il giovane, che fu inviato presso il re di
Licia, Iobate, padre di Stenebea, con una missiva in cui comu-
nica al suocero che Bellerofonte aveva tentato di violentare
Stenebea e pertanto meritava la morte. Iobate, dal canto suo,
parimenti restio ad uccidere un ospite, volle vendicare l'offesa
meditando di raggiungere lo scopo facendo compiere all'ospi-
COSTELLAZIONI E MITI 217

te imprese pericolose, dalle quali Bellerofonte non sarebbe


dovuto tornare vivo. Come prima impresa gli chiese di uccide-
re la Chimera.
Simile ad un drago, la Chimera era un mostro con la testa
di leone, il corpo di cavallo, la coda di serpente.
Di origine divina, faceva parte di una famiglia di mostri.
Era figlia di Tifone, drago dalle cento teste, e di Echidna, per
met donna e per met serpente. I fratelli erano il drago Cer-
bero ed il leone Nemeo, le sorelle, la Sfinge e l'Idra di Lerna.
Bellerofonte, con l'aiuto di Atena, dom il cavallo alato Pe-
gaso, e dall'alto del cielo si diresse a picco sul drago, infilzan-
done le fauci con una lunga asta a punta di ferro tagliente, la
picca, e la Chimera colpita a morte, stramazz al suolo.
Dopo la strepitosa vittoria Bellerofonte ritorn da Iobate
che subito lo invi a combattere prima contro la vicina popo-
lazione dei Solimi, che sconfisse, e poi contro le Amazzoni: l'e-
roe con l'aiuto del suo cavallo alato sconfisse anche le bellico-
se donne guerriere della Cappadocia colpendole con lancio di
pietre dall'alto.
Iobate credette di farla finita affidando ad un gruppo di
suoi valorosi e fidati soldati lidi il compito di uccidere Belle-
rofonte in un agguato accuratamente preparato: l'eroe si dife-
se audacemente dall'assalto improvviso dei soldati e ne usc
vincitore solo dopo aver ucciso tutti i suoi aggressori.
Stanco di questa ingiustificata persecuzione, Bellerofonte
preg, ed ottenne, da Poseidone di allagare la pianura del fiu-
me Xanto.
Mentre Bellerofonte avanzava a piedi verso il palazzo di Io-
bate, le acque lo seguivano nel suo cammino. Pur di indurre
Bellerofonte a fermarsi, le donne xantie rialzarono le sottane
fino alla cintura e si offrirono al suo piacere incondizionata-
mente. Timido ed imbarazzato dalle profferte, egli ritorn sui
suoi passi, evitando l'inondazione.
E Iobate, finalmente, cominci a dubitare dell'infamante
accusa ascritta al giovane ed a credere che fosse prediletto da-
gli di.
Volle sapere la verit, e per ottenerla gli mostr la lettera di
Preto. Cos Bellerofonte gli raccont la storia.
218 GIOVANNI PLATANIA

Iobate, allora, consapevole della rettitudine morale del gio-


vane, oramai acclamato eroe alla corte del vecchio re, accon-
sent alle nozze della bella figlia Filonoe con Bellerofonte e lo
nomin suo erede al trono di Licia. (Agizza).
Da Filonoe, Bellerofonte ebbe due figli, Isandro ed Ippol-
co, e una figlia, Laudamia, che gener con Zeus l'eroe Sarpe-
done.
Bellerofonte torn in Licia deciso a vendicarsi delle calun-
nie di cui era stato vittima, ma Preto guadagn tempo e con-
sent ad Antea di fuggire sul cavallo alato di Bellerofonte, Pe-
gaso.
Durante la fuga, Antea fu disarcionata da Pegaso, cadde in
mare e mor. Il suo corpo fu raccolto da pescatori e riportato a
Tirinto.
Bellerofonte pens, forse, che allora tutto gli era possibile e
volle addirittura tentare, cavalcando Pegaso, la scalata all'O-
limpo.
Zeus pun la superbia del temerario eroe, accecandolo; e
contro Pegaso invi un tafano che gli si attacc alla coscia. In
preda ad un folle delirio, Pegaso disarcion lo sconsiderato
cavaliere che, pur precipitando al suolo, ebbe salva la vita, che
concluse, per, in miseria poich, per volere di Zeus, il Fato
gli aveva tenuto in serbo un'amara vecchiaia: vagare per la
Terra fuggiasco e vagabondo. Quanto a Pegaso, non appena
si sent liberato del suo cavaliere, ascese maestosamente in cie-
lo per fissarsi in eterno tra le stelle accanto ad Andromeda e
Perseo.
COSTELLAZIONI E MITI 219

AQUILA

Aquila
220 GIOVANNI PLATANIA

Aquila
COSTELLAZIONI E MITI 221

Una rappresentazione dell'Aquila


222 GIOVANNI PLATANIA

L'Ammasso globulare NGC6749


COSTELLAZIONI E MITI 223

L'ammasso aperto M16


224 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 225

Costellazione visibile in estate.

La stella pi brillante della costellazione Altair (m = 0.8),


che significa Aquila Volante. Questa stella rappresenta uno
dei vertici del cosiddetto Triangolo Estivo, completato da
Vega (della Lira) e Deneb (del Cigno).
Vicino ad Altair ci sono due stelle abbastanza brillanti: Al-
shain (m = 3.5) e Tarazed (m = 2.7).
La stella Eta dell'Aquila una cefeide, con m che varia tra
3.5 e 4.4 in circa 7 giorni; con un poco di pazienza quindi
possibile osservare anche ad occhio nudo la sua variabilit, in
confronto con le stelle vicine, la beta e la teta.

Nella costellazione si trovano, oltre che galassie, anche


molti ammassi globulari ed ammassi aperti: si tratta di ammas-
si stellari di differente et e numero di stelle. Gli ammassi glo-
bulari sono le prime formazioni stellari che hanno origine du-
rante la formazione di una galassia. Si tratta quindi di stelle
molto vecchie, estremamente utili nello studio dell'evoluzione
stellare. Un ammasso globulare pu contenere fino ad un mi-
lione di stelle. Questi ammassi formano un alone, il cui bari-
centro indica in centro galattico.
Gli ammassi aperti, invece, sono formazioni stellari molto
recenti, anzi, in qualche caso (come ad esempio nell'ammas-
so delle Pleiadi), possibile vederne alcune ancora in forma-
zione. Un ammasso aperto contiene da poche centinaia ad al-
cune migliaia di stelle, e, in una galassia a spirale come la Via
Lattea o Andromeda, giacciono tutte nei bracci della spirale.

La mitologia greca ricca di riferimenti a questo uccello


collocato fra le costellazioni per varie cause.
Il pi noto il mito narrato da Ovidio secondo il quale
Zeus si era innamorato di Ganimede, un affascinante giovane
che ebbe i suoi natali in Frigia.
Figlio di Troo, Ganimede, che non sapeva far altro che
226 GIOVANNI PLATANIA

portare a pascolo le pecore, contarle, suonare il flauto, fu visto


da Zeus che rest colpito dalla sua bellezza.
Deciso a sedurlo ad ogni costo, anche ricorrendo al rapi-
mento, il sommo dio prese l'aspetto di un'aquila, animale a lui
sacro per la sua magnificenza, per la sua velocit e perch, se-
condo una leggenda, era l'unico essere vivente in grado di fis-
sare direttamente il Sole senza subirne alcun danno.
Per tali motivi all'aquila era affidato l'incarico e il vanto di
recare i fulmini che il dio scagliava contro chi lo faceva adirare
o lo offendeva.
Con quelle sembianze, quindi, Zeus si lanci in un maesto-
so volo verso il giovane, lo afferr saldamente per le spalle con
i suoi poderosi artigli e librandosi elegantemente verso i cieli
pi alti lo trasport nella sua dimora sull'Olimpo dove lo no-
min coppiere degli dei. Tale compito era gi svolto con molta
eleganza dalla giovane Ebe, prediletta da Giunone; questa nel
vedere che la sua protetta era stata sostituita dal bel Ganime-
de, si adir ma non potendo opporsi alla volont del suo auto-
revole consorte, fin per rassegnarsi.
Secondo alcuni mitologi, Zeus diede ad una vera aquila di
rapire il giovane che venne poi immortalato nella costellazione
dell'Acquario (v. Acquario), mentre l'Aquila ne ebbe una tutta
per s.
Altri mitologi sostengono che la costellazione dell'Aquila si
trovi vicino a quella della Freccia - che rappresenta il dardo di
Eros, l'autore dell'innamoramento di Zeus - affinch la custo-
disca perennemente.

Un ulteriore mito racconta che Zeus, mentre si preparava


per combattere contro Crono, suo padre, per conquistare la
supremazia fra gli dei, fu visitato da un'aquila, animale a lui
sacro, che gli fece una premonizione favorevole alla sua causa:
difatti sua fu la vittoria nella battaglia.
Per esprimere all'uccello la sua riconoscenza, Zeus lo tra-
sform in costellazione trasportandolo fra gli astri.

Un mito diverso raccontato da Igino: Ermes si era inna-


morato di Afrodite, ma la dea gli dimostrava solo indifferenza.
COSTELLAZIONI E MITI 227

Il profondo sconforto di Ermes turbava perfino Zeus, suo pa-


dre, che decide di aiutarlo. Poich aveva notato che Afrodite
era solita bagnarsi nelle acque del fiume Acheloo, Zeus vi
mand un aquila perch rubasse una scarpa della dea e la
portasse ad Ermes, che viveva in Egitto.
Uscita dall'acqua, la dea non trov la scarpa, la cerc inu-
tilmente e pur di trovarla, decise di mettersi in viaggio: rag-
giunse l'Egitto e qui, in una localit dove Ermes era ad atten-
derla, ricevette la sua scarpa ed in cambio concesse se stessa.
Appagato nel suo desiderio, Ermes premi l'aquila che egli
stesso trasfer sulla sfera celeste, trasformandola in costellazio-
ne.

Sempre secondo Igino, l'Aquila potrebbe anche rappresen-


tare Merope, re dell'isola di Cos, da non confondere con l'o-
monima Pleiade. Merope aveva sposato una ninfa seguace di
Artemide: Etemea. Ma questa spesso dimenticava di compiere
i dovuti sacrifici in onore della dea.
Artemide, allora, pun l'empia ninfa trafiggendola con una
freccia e, mentre era agonizzante, la port nell'Ade.
Merope, distrutto dal dolore, si uccise: Zeus, mosso a com-
passione per l'insano gesto compiuto per immenso amore, lo
assunse in cielo trasformandolo in costellazione.

In un'altra versione del mito, sempre riferita da Igino, si


associa la costellazione dell'Aquila con quella del Cigno.
Zeus si era invaghito della dea Nemesi, ma quest'ultima
non era affatto disposta a concedersi a lui. Cos Zeus si tra-
sform in un cigno e diede istruzioni alla dea Afrodite affin-
ch fingesse di inseguirlo sotto forma di un'aquila. Nemesi
cadde nel tranello: impietosita, diede riparo al cigno in fuga e
si ritrov tra le braccia di Zeus. Per ricordare questo trucco
amoroso, Zeus pose tra le stelle le figure del Cigno e dell'A-
quila.

Sculture ellenistiche rappresentano un altro mito: l'Aquila


fissata tra le stelle nell'atto di divorare il fegato di Prometeo,
legato alla rupe del Caucaso.
228 GIOVANNI PLATANIA

Prometeo, figlio del titano Giapeto e dell'oceanina Clime-


ne, giusto e saggio; suoi fratelli sono Epimeteo, Atlante e
Menezio.
La famiglia dei Titani, cui appartiene Prometeo, si era
schierata contro Zeus e gli di dell'Olimpo che volevano de-
tronizzare Crono. Ne nacque una guerra, la Titanomachia, che
dur dieci anni e fu vinta da Zeus, che inflisse severe punizio-
ni agli sconfitti: tra questi, Atlante fu condannato a reggere
sulle proprie spalle il peso dell'intero globo celeste (v. Prima
Parte).
Atlante possedeva una terra al di l delle colonne d'Ercole,
che il suo popolo coltivava e su cui aveva costruito palazzi e
templi: Atlantide. Un giorno, per, gli abitanti del luogo si la-
sciarono vincere dall'avidit e dalla crudelt e Zeus li pun sca-
tenando un diluvio che allag l'intera Atlantide. Atlante e Me-
nezio scamparono al disastro e, per vendetta, si allearono con
Crono nella guerra contro Zeus ma furono sconfitti.
Prometeo, che era pi saggio di Atlante ed aveva parteci-
pato alla guerra dei Titani a fianco di Zeus, inducendo anche
Epimeteo ad imitare il suo esempio, ricevette il premio dell'ac-
cesso libero al divino palazzo, posto sotto la vetta dell'Olim-
po. un grande riconoscimento alla fedelt e un onore con-
cesso soltanto a pochi.

Prometeo era, in verit, il pi intelligente della sua razza.


Atena gli insegn l'architettura, l'astronomia, la matematica,
l'arte di lavorare i metalli ed altre cose utilissime, che egli a
sua volta insegn ai mortali.
Era il tempo in cui gli uomini erano ammessi alla presenza
degli di e partecipavano anche ai loro banchetti. Un giorno
venne portato un enorme bue, di cui met destinata a Zeus e
l'altra met agli uomini; Zeus diede l'incarico a Prometeo di
procedere all'equa spartizione.
Prometeo, nell'assolvere l'incarico, decise di ascoltare la
voce del cuore e nel dividere il bue esattamente in due, rin-
chiuse le carni migliori nella parte che prepar meno accurata-
mente. Zeus scelse per s la met dell'animale preparata con
pi cura, ma che conteneva carni meno pregiate. Gli uomini
COSTELLAZIONI E MITI 229

gioirono dell'inganno perpetrato contro Zeus, che, avveduto-


sene, scaten la propria ira sull'umanit privandola del fuoco,
simbolo della vita. Prometeo giudic eccessivo il castigo inflit-
to agli uomini e decise di rubare il fuoco dall'Olimpo per ri-
portarlo sulla Terra.
Lo cerc nell'Olimpo e trovatolo nel Carro del Sole, ne
prese alcune scintille, le nascose in un giunco, e giunto sulla
Terra, le restitu agli uomini che, felici, durante la notte prepa-
rarono altari ed accesero fuochi per festeggiare la vita ritrova-
ta.
Zeus se ne avvide e, comprendendo di essere stato ingan-
nato, liber da ogni freno la propria ira che rivolse contro
Prometeo e l'umanit.
Ordin a Bia (dea delle passioni violente), ad Efesto (dio
della metallurgia e delle arti meccaniche) ed a Cratos (divinit
della forza e del potere) di rapire Prometeo, di incatenarlo su
una vetta del gelido Caucaso con lacci di acciaio e conficcargli
nell'addome una massiccia colonna. Il castigo, per, non era
ancora finito: Zeus gli mand contro l'Aquila, figlia di Echid-
na e di Tifone, la quale durante il giorno gli divorava il fegato
che, per, durante la notte gli si rigenerava.
Il castigo era quindi eterno.
Quanto all'umanit, Zeus la pun con il flagello di Pando-
ra.
Pandora fu la prima donna comparsa sulla Terra, creata da
Efesto ed Atena, aiutati da tutti gli di, per ordine di Zeus.
Ognuno la orn di una qualit: la bellezza, la grazia, l'abilit
manuale, la persuasione ecc.
Ma Ermes mise nel suo cuore la menzogna e la furbizia.
Pandora ricevette l'incarico da Zeus di consegnare a Pro-
meteo un vaso chiuso contenente tutti mali, con la raccoman-
dazione di non aprirlo, ma lei, incuriosita, si affrett a solleva-
re il coperchio e all'istante tutti i mali si diffusero nel mondo.
Infatti, il vaso era pieno degli spiriti della malattia, della care-
stia, dell'odio che, una volta fuori, da allora affliggono l'uma-
nit.
Ma, nel momento in cui Pandora rimette il coperchio al
proprio posto, all'interno resta ancora la Speranza. La Spe-
230 GIOVANNI PLATANIA

ranza di ci che dovr accadere, non ha fatto in tempo ad


uscire fuori.
Trascorsi trent'anni, giunse all'orecchio di Zeus una voce
divina che lo mosse a piet verso Prometeo.
Era la voce di Chirone che, nella guerra contro i Centauri,
colpito involontariamente da una freccia mortale scagliata da
Eracle, invocava Zeus di concedergli la morte in cambio della
propria immortalit.
Chirone fu il pi saggio e il pi sapiente dei Centauri.
Nacque sul monte Pelio, in Tessaglia ed era figlio di Crono
e di Filira, una figlia di Oceano.
Per generarlo, Crono si era unito a Filira sotto la forma di
un cavallo, perch lei, rifiutandolo, si era trasformata in giu-
menta per sfuggirgli, ma il dio assunse la forma di un cavallo e
la violent.
La madre insegn a Chirone ad allevare i bambini che gli
venivano affidati, come Achille, Asclepio e Giasone.
Protesse in particolar modo Peleo, padre di Achille, duran-
te le sue peripezie alla corte di Acasto, difendendolo dalla
brutalit degli altri centauri, gli dette il consiglio di sposare
Teti e gli insegn come obbligarla al matrimonio. Lei non vo-
leva sposarlo e per sfuggirgli cominci a trasformarsi in tutti
gli animali marini: Chirone gli consigli come usare una rete!
Cos Peleo, dopo che si fu separato dalla moglie, affid a lui il
figlio Achille.
Per un fatale errore, Chirone, ferito gravemente da una
freccia di Eracle durante il massacro dei Centauri, che lo ve-
deva accanto ad Eracle stesso, soffriva moltissimo. Sebbene lo
desiderasse, non poteva morire perch era immortale.

Da parte sua Eracle chiese a Zeus l'immortalit di Chirone


e la salvezza di Prometeo.
Zeus ascolt quella voce e, volendo procurare onori ed im-
mortalit al figlio Eracle, lo incaric di liberare Prometeo, an-
che perch nel frattempo il Titano gli aveva predetto perico-
li minaccianti il suo regno: Zeus si era innamorato di Teti e
voleva sposarla.
Le Parche predirono che dal matrimonio sarebbe nato un
COSTELLAZIONI E MITI 231

figlio che avrebbe usurpato il potere di Zeus.


Prometeo, dotato di facolt divinatorie, avvert Zeus del
pericolo che stava correndo: memore del padre Crono, Zeus
rinunci a Teti ed il suo trono fu salvo.
Eracle allora uccise l'Aquila, sciolse il Titano dalla roccia e
l'introdusse nel mondo degli uomini e nel regno degli immor-
tali: Prometeo redento dall'ira di Zeus pot accedere di nuovo
liberamente al palazzo degli di (v. anche Prima Parte).
Col consenso di Zeus ebbe cos luogo uno scambio. Pro-
meteo, nato mortale, offr a Chirone il suo diritto a morire; in
cambio prese l'immortalit del pi vecchio ed illustre tra i
centauri.

Un'altra leggenda ancora narra che il vaso di Pandora non


rinchiudesse i mali ma i beni, e che fosse stato portato ad Epime-
teo come dono di nozze, da parte di Zeus. Aprendolo per la sua
curiosit, Pandora lasci che i beni volassero via e se ne ritornas-
sero alle dimore divine invece di restare fra gli uomini. In tal mo-
do gli uomini furono afflitti da tutti i mali; solo la Speranza, per
consolazione, rimase tra loro.

Tolomeo riporta nell'Almagesto per questa costellazione il


nome di Antinoo, un giovane che era stato grande favorito pres-
so l'imperatore Adriano e che era annegato nel Nilo nel 131
d.C..

La costellazione molto antica: la sua figura ricorre anche in


una pietra di origine mesopotamica risalente al 1200 a.C. che
rappresenta i cieli e che fu rinvenuta nella valle dell'Eufrate.

Anche gli Arabi videro in queste stelle la figura del rapace e


chiamarono la costellazione Al Nasr al Tair, cio l'aquila volan-
te, da cui il nome di Altair per la stella principale.

Una scoperta che lascia affascinati, ma anche un po' perples-


si, che nell'edificazione della citt di Aquila sarebbe possibile
ipotizzare la somiglianza tra la disposizione delle chiese della
citt e le stelle della costellazione.
232 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 233

AURIGA
234 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 235

M36, M37 ed M38. Tripletta di ammassi aperti


236 GIOVANNI PLATANIA

AE Aurigae. Stella fuggitiva


COSTELLAZIONI E MITI 237

Via Lattea e Auriga


238 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 239

Costellazione invernale.

La stella pi nota dell'Auriga Alfa, Capella, m = 0.1;


una stella doppia ed la sesta stella in luminosit della volta
celeste.
Beta Menkalinan; una variabile ad eclisse che ha m =
1.9.
Anche Epsilon una variabile ad eclisse.

La stella AE dell'Auriga , con 53 Eri e mi-Columbae, un


insieme di stelle chiamate da Zwicky, nel 1957, fuggitive dalla
costellazione di Orione. Hanno tutte moti propri molto ele-
vati, con velocit attorno ai 130 km/s. In particolare AE Aur si
trova per caso a passare vicino ad una nebulosa che illumina
di luce riflessa.

Una leggenda narra che molti di, Titani e Giganti avreb-


bero volentieri sposato Atena, figlia di Zeus, ma essa rifiut
tutte le proposte. Un giorno si rec nella fucina di Efesto, che
all'improvviso cerc di violentarla. Efesto, che di solito non si
comportava in modo tanto grossolano, era vittima di uno
scherzo di Poseidone, che l'aveva informato che Atena stava
dirigendosi verso la fucina, col consenso di Zeus, sperando
che Efesto facesse l'amore con lei. Quando Atena si divincol
da Efesto, questi eiacul sulla sua coscia, un po' al di sopra del
ginocchio. La dea si ripul dallo sperma con della lana, che
gett via disgustata. La lana cadde al suolo presso Atene e ca-
sualmente fecond Gea.
Ribellandosi all'idea di avere un figlio che Efesto avrebbe
voluto generare ad Atena, Gea rifiut ogni responsabilit per
la sua educazione. Atena, allora, prese sotto la sua protezione
il bimbo appena nato, lo chiam Erittonio e, per evitare che
Poseidone ridesse del successo della sua burla grossolana, lo
cel in un cesto che affid ad Aglauro, figlia maggiore del re
di Atene, Cecrope, raccomandando di averne cura.
240 GIOVANNI PLATANIA

C'era per il problema che sia Cecrope che Erittonio erano


met uomo e met serpente.
Una sera, mentre Aglauro tornava a casa con le sorelle Erse
e Pandroso, portando a turno la cesta sul capo, Ermes offr
dell'oro ad Aglauro perch gli permettesse di introdursi nella
stanza di Erse, di cui era innamorato.
Aglauro si tenne l'oro di Ermes ma non fece nulla per me-
ritarselo, poich Atena l'aveva resa gelosa dei successi di Erse.
Ermes, allora, entr furibondo nella casa, trasform Aglau-
ro in pietra e violent ripetutamente Erse, che gli gener an-
che un figlio, Cefalo.
In seguito Erse volle vedere cosa si celasse nel paniere di
Aglauro e ne sollev il coperchio. Scorgendo un fanciullo con
una coda di serpente in luogo delle gambe, lanci un urlo di
terrore e si gett gi dall'Acropoli.
La notizia fu riportata ad Atena da un corvo ed ella ne fu
cos addolorata che mut le penne del corvo da bianche a nere
(Miti).
Erittonio fu allevato da Atena, anche dea della sapienza, e
fu addestrato dalla dea stessa nella guida di bighe e cocchi ti-
rati da impetuosi cavalli: divenne cos abile da meritarsi l'ap-
pellativo di re cocchiere, quando divent re di Atene. Gli si
attribuisce generalmente l'invenzione della quadriga e l'intro-
duzione in Attica dell'uso del denaro.

Dai cartografi dell'antichit raffigurato come l'Auriga che


porta un bastone in mano e la capretta sulle spalle: la capretta
Amaltea, che nutr Zeus quando, ancora piccolo, viveva tra i
pastori sul monte Ida.

Nella cosmogonia Crono, padre di Zeus, ricordato non


solo per essere stato tiranno che divorava i propri figli appena
nati e per aver imprigionato i fratelli nelle viscere del Tartaro,
ma anche per essere stato il padre dei tre sovrani del mondo:
Zeus (del cielo), Poseidone (del mare), Ade (degli inferi).
inoltre ricordato come il dio dell'et dell'oro, inventore dell'a-
gricoltura e costruttore di citt.
Crono divorava i propri figli appena nati, perch aveva sa-
COSTELLAZIONI E MITI 241

puto da Gea ed Urano, suoi genitori, che sarebbe stato detro-


nizzato da un figlio. Rea, incinta di Zeus, volendo salvare il na-
scituro dalla voracit di Crono, fugg a Creta e l nacque Zeus,
subito affidato al re Erittonio, che, quasi volando sul proprio
cocchio, raggiunge il monte Ida, dove nascose il piccolo tra i
pastori per preservarlo da sicura morte.
Qui Adrastea ed Io, figlie del re di Creta Melisseo, lo nutri-
vano, in compagnia del suo fratellastro Pan, con il latte della
capra Amaltea, figlia di Helios (il Sole), con il miele dell'ape
Panacride e con il nettare portato ogni giorno da un'aquila;
da parte loro i Cureti, sacerdoti della dea Rea, proteggevano il
piccolo nascondendone i vagiti, e quindi la sua presenza sull'i-
sola, con danze orgiastiche durante le quali suonavano stru-
menti riproducenti assordanti rumori.
Intanto Rea, per ingannare Crono, gli present un bimbo
che era in realt una pietra avvolta in pannolini, che venne di-
vorato puntualmente e con tanta avidit dall'affamato sposo
che non si accorse affatto della sostituzione. Zeus, divenuto re
degli dei, non dimentic Erittonio, il suo salvatore n i pastori
che lo avevano allevato n la capretta che lo aveva nutrito: li
immortala tutti ponendoli insieme nella regione celeste tra il
Toro e Perseo.
Il firmamento si arricchisce cos di un'altra costellazione,
l'Auriga.

Riguardo al mito dell'Auriga esistono varie altre versioni


che concordano su un unico punto: sarebbe il mortale o l'eroe
(forse Erittonio, re di Atene), figlio di una divinit (in questo
caso Efesto, il fabbro degli dei), che per primo seppe aggioga-
re i cavalli ad una quadriga terrestre, imitando il Carro del So-
le.

Gli Assiri rappresentavano con un carro questa costellazio-


ne.
242 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 243

BOOTE, IL BIFOLCO

Bootes
244 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 245
246 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 247

Boote una costellazione del cielo primaverile.

Alfa Arturo, con m = -0.05: la quarta stella pi brillante


in cielo ed inoltre uno degli astri con moto proprio maggio-
re, superiore a 2' l'anno. Pu essere trovata prolungando l'ar-
co della coda dell'Orsa Maggiore.
Epsilon si chiama Pulcherrima; una doppia con le
componenti di magnitudine 2.6 e 4.9.

In questa costellazione possibile vedere uno degli sciami


meteorici pi ricchi dell'anno: le Quadrantidi, visibili in gen-
naio, che ricordano la vecchia costellazione del Quadrante
Murale, ora caduto in disuso.

Mitologicamente, questa costellazione legata all'Orsa


Maggiore; infatti rappresenta un pastore (o bifolco o bovaro)
che spinge avanti i buoi alzando il braccio per incitarli nel
cammino: gli antichi vedevano nelle sette stelle pi luminose
dell'Orsa Maggiore i buoi e dietro il bifolco che li incalzava.
Dunque il bovaro era un guardiano: infatti era il guardiano
dell'Orsa e questo anche il significato del nome della stella
principale della costellazione, Arturo.
Secondo una variante del mito, Boote costituirebbe la rap-
presentazione celeste di Arturo, figlio di Zeus e di Callisto
che, tramutata in orsa da Artemide (o da Era) , fu poi traspor-
tata in cielo da Zeus: l'Orsa Maggiore (v. Orsa Maggiore).

Una leggenda, narrata da Eratostene, spiega che un giorno


Zeus fu invitato a pranzo dal padre di Callisto, Licaone. Que-
sti non era convinto che il suo ospite fosse davvero il sommo
nume, per cui lo mise alla prova: uccise Arturo, lo fece a pezzi
e lo serv a tavola come pranzo per vedere se Zeus se ne sareb-
be accorto.
Naturalmente Zeus intu il tranello: strangol i figli del
malvagio re e trasform lui stesso in lupo.
248 GIOVANNI PLATANIA

Gea allora intervenne in tempo per salvare il figlio pi gio-


vane, Nittimo, che gli succedette nel regno.
Poi, con amorevole premura, raccolse i brani dell'adorato
figlio e li ricompose. Arturo rinacque, cos, a seconda vita e di-
vent un possente cacciatore; come gi raccontato nel mito
dell'Orsa Maggiore, egli s'imbatt in una grossa orsa e, non ri-
conoscendo in essa sua madre Callisto, stava per ucciderla
quando Zeus intervenne e ferm la mano del giovane evitando
l'orribile, ma inconsapevole, scelleratezza. Port poi i due in
cielo trasformando Arturo (Boote) nel custode di sua madre,
l'Orsa Maggiore.

Esiodo suggerisce come seminare nel modo migliore per


ottenere raccolti abbondanti ne Le opere e i giorni: quando
poi Zeus [far comparire] l'astro Arturo [] questo il tempo
migliore.

Virgilio, nelle Georgiche, ricorda al contadino di dissodare


il terreno quando all'alba la stella si trova sull'orizzonte:
Ma sar sufficiente un'aratura in superficie
Al sorgere di Arturo, anche se la terra dovesse essere
infeconda
Libro I. VV. 67-68

Un altro mito in Igino ne l'Astronomia.


Demetra aveva avuto Persefone dal fratello Zeus, ma in se-
guito non era rimasta insensibile alle attenzioni di un mortale,
Giasone: a costui affida i suoi misteri e gli insegna l'arte della
semina. L'amore della dea per Giasone scatena l'ira degli di,
che non approvano quell'unione e Zeus colpisce Giasone con
un fulmine.
Dall'amore di Giasone, Demetra ha due figli, Pluto e Filo-
melo: il primo, dio delle ricchezze; il secondo, inventore del-
l'aratro.
I due fratelli crebbero in un conflitto che si protrarr nel
tempo fin oltre la maturit: Pluto, ricco, non aiuta Filomelo,
povero. La povert non scoraggia Filomelo che, non senza sa-
crifici, compra due buoi e, primo fra gli uomini, costruisce un
COSTELLAZIONI E MITI 249

aratro con il quale lavora la terra: vivr dignitosamente del suo


faticoso lavoro.
Cos Demetra, dea della fertilit della terra, pu gioire per
l'invenzione del figlio e lo premia donandogli l'immortalit: lo
incastona sulla volta celeste trasformando lui agricoltore nella
costellazione Boote o Bifolco e cio Contadino.

Un'ulteriore leggenda, anche questa narrata da Igino, raffi-


gura Boote come l'agricoltore Icario: costui era particolarmen-
te devoto al culto di Dioniso, e per questo il dio gli aveva dato
in dono alcune piante di vite insieme alle regole necessarie per
produrre il vino. Icario ricav da queste piante divine un li-
quore ineffabile del quale andava molto fiero e ne offriva vo-
lentieri l'assaggio ai suoi amici. Un giorno ne offr ad alcuni
pastori che erano a guardia del gregge che pascolava vicino ai
suoi poderi e questi, data la prelibatezza del nettare, ne bevve-
ro in quantit; ma, un po' per la quantit bevuta, un po' per-
ch non erano abituati a berne ed un po' perch trascurarono
di tagliarlo con l'acqua, si ubriacarono, cominciarono a vedere
doppio e poi si addormentarono profondamente.
Di l a poco giunsero i pastori che dovevano dar loro il
cambio per la sorveglianza del gregge e vedendoli stesi a terra
immobili, si convinsero che erano stati avvelenati; incolparono
allora Icario di quel misfatto; lo uccisero per vendicare i loro
amici e lo seppellirono sotto un pino, quindi fuggirono.
Alla tragedia aveva assistito Mera, la cagna di Icario; la be-
stia corse, ululando, verso la casa dove era affaccendata Erigo-
ne, la figlia di Icario e la condusse presso l'albero ove il pove-
ro contadino era sepolto, scavando il terreno con le zampe.
Erigone, disperata per tale evento, si impicc all'albero
stesso pregando perch le figlie di Atene subissero il suo stes-
so destino finch Icario non fosse stato vendicato. Gli di udi-
rono la sua preghiera mentre i pastori fuggirono, e ben presto
molte fanciulle ateniesi furono trovate impiccate ad alcuni pini
e l'oracolo delfico spieg che era stata Erigone ad esigere le
loro vite.
I pastori colpevoli furono subito ritrovati ed impiccati e si
istitu la festa della vendemmia, durante la quale si versano li-
250 GIOVANNI PLATANIA

bagioni ad Icario ed a Erigone, e le fanciulle si dondolano su


corde appese ai rami degli alberi, appoggiando i piedi su un'a-
sticella: ecco come fu inventata l'altalena.
Gli dei si commossero e trasformarono Icario in Boote,
Erigone nella costellazione della Vergine e Mera nella stella
Procione, della costellazione del Cane Minore.

Una notevole utilizzazione della costellazione di Boote si


riferisce ad un fatto storico.
Quando dovettero progettare la Fiera Mondiale del 1933,
la Century of Progress Exposition di Chicago, gli organizza-
tori cominciarono a studiare un sistema per enfatizzarne l'a-
pertura.
Si accorsero che un'altra Fiera Mondiale, la World's Co-
lumbian Exposition del 1893, era stata tenuta a Chicago.
I promotori della Fiera del 1933 decisero che sarebbe stata
una buona idea avere un tedoforo che abbracciasse il perio-
do tra la precedente Fiera Mondiale di Chicago e la loro. Con
spirito d'iniziativa si rivolsero all'astronomia per trovare una
soluzione.
All'epoca si credeva che la stella Arturo fosse distante dalla
Terra 40 anni-luce, in altre parole la luce di Arturo impiegava
40 anni a raggiungere la Terra. (in realt si trova a solo 37 an-
ni-luce dalla Terra).
I promotori si dissero che la luce prodotta da Arturo nel
1893, durante la Fiera Mondiale precedente, era appunto la
fiaccola di cui avevano bisogno: quella luce sarebbe arrivata
sulla Terra proprio nel periodo della Century of Progress Ex-
position.
Gli astronomi usarono un piccolo telescopio, tipo quello
costruito da Galileo, per focalizzare la luce di Arturo su di una
fotocellula, un meccanismo allora nuovo. Il 2 ottobre 1933, un
po' della luce di Arturo termin il suo lungo viaggio verso la
Terra passando attraverso le storiche lenti di Galileo, dentro la
nuova fotocellula che accese i grandi fari che segnalavano l'a-
pertura dell'Exposition.
Cos la luce di una stella lontana colleg due eventi ed
inaugur la mostra. (Stelle).
COSTELLAZIONI E MITI 251

CANE MAGGIORE

Cane Maggiore
252 GIOVANNI PLATANIA

Galassia doppia
COSTELLAZIONI E MITI 253

Ammasso Globulare M4
254 GIOVANNI PLATANIA

Foto di Sirio e Cucciolo (Sirio B)


COSTELLAZIONI E MITI 255

Hevelius
256 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 257

Costellazione invernale.

Il Cane Maggiore, pur essendo una costellazione totalmen-


te australe, visibile anche da tutte le zone temperate. La sua
stella pi luminosa, Sirio, la bellissima, nota a tutti e pu
facilmente essere individuata sia verso sud-est nella direzione
del prolungamento della cintura di Orione, sia procedendo
nella direzione delle tre stelle Megrez e Merak dell'Orsa Mag-
giore e Polluce dei Gemelli.
Sirio, con m = -1.4, la pi luminosa del cielo; anche al
secondo posto tra le stelle pi vicine al Sole, con una distanza
d = 9 anni luce. superata, in vicinanza, solo da Proxima, la
Alfa del Centauro.
una stella doppia. La compagna, Sirio B, nota come
Cucciolo ed una Nana Bianca, stella molto densa, giunta
alla fine dell'evoluzione stellare e, data la sua piccola massa,
circa uguale a quella del Sole, non pu fare altro che perdere
il suo calore e lentamente spegnersi.
Il suo periodo di rivoluzione di circa 50 anni. Fu vista nel
1862 dall'astronomo americano Alvan Clark, ma era stata sco-
perta trent'anni prima teoricamente da Bessel, con lo studio
delle perturbazioni che il piccolo satellite esercitava sull'or-
bita di Sirio.
La stella beta Mirzam, con m = 2. Gamma Wezen, con
m = 1.8.

Venti secoli fa, Sirio sorgeva contemporaneamente al Sole,


allora in transito nella costellazione del Cancro: erano i giorni
caldi di Luglio, giorni che portano ancora oggi l'appellativo di
canicolari ovvero giorni del cane.

Sirio, con Procione del Cane Minore e Betelgeuse di Orio-


ne, forma un grande triangolo equilatero noto come Triango-
lo Invernale.
258 GIOVANNI PLATANIA

Secondo alcune leggende, il Cane Maggiore rappresenta


uno dei due cani del cacciatore Orione, Lelapo.
Lelapo era un cane eccezionale, fedele compagno di Orio-
ne. Prima di legarsi al leggendario personaggio, l'animale ave-
va avuto molti altri padroni; la pi amata era Pocri, la sfortu-
nata moglie di Cefalo.
Narra il mito che Lelapo, per la sua lealt e destrezza, fu
scelto da Zeus per fare la guardia ad Europa, la bellissima fan-
ciulla da lui stesso rapita e resa sua amante; questa in seguito,
lo regal a suo figlio Minosse, re di Creta.
Un giorno Minosse si ammal gravemente e la sua malattia
non riusciva ad essere guarita da nessun medico, tanto che si
cominciavano a fare i preparativi per i suoi funerali, quand'ec-
co che si present una donna, Pocri, che in poco tempo riusc
a restituire al re la piena salute. Furono indette grandi feste,
furono attribuiti grandi onori alla guaritrice e le fu dato in do-
no da Minosse, a titolo di riconoscenza, il cane Lelapo e un
giavellotto che aveva la virt di non fallire mai il colpo.
Questo dono, molto gradito, si rivel fatalmente avverso
alla sventurata Pocri. Durante una battuta di caccia, suo mari-
to Cefalo, scambiandola per un cerbiatto dietro un rovo, la
fer mortalmente proprio con quell'arma.
Dopo la morte della diletta compagna, Cefalo, rimasto solo
col fedele Lelapo, si rec a Tebe per cacciare un'inafferrabile e
pericolosissima volpe che razziava abilmente pollai ed ovili
nelle campagne presso la citt. Cefalo incit Lelapo contro la
volpe, sicuro che la velocit e l'abilit nella caccia del suo cane
gli avrebbero fatto avere ben presto la meglio sulla predatrice,
ma la furbizia e l'agilit della bestia la salvarono sempre anche
se tallonata e quasi raggiunta dall'inseguitore.
La caccia si protrasse per lungo tempo, tanto che Zeus in
persona, vista l'equivalenza di doti dei due animali, per non
prolungare ancora di pi l'inseguimento, li trasform in pietre
e poi li port in cielo come costellazioni: Cane Maggiore e
Volpetta.

Un'altra leggenda narra di Cefalo, figlio di Deione e di-


scendente di Deucalione attraverso il padre Eolo. La madre
COSTELLAZIONI E MITI 259

Diomeda, figlia di Suto e Creusa.


Creusa, figlia di Eretteo e di Prassitea, quando era appena
giovinetta si offr, con le sorelle, come volontaria vittima espia-
toria, per la patria, durante la guerra contro Eumolpo, ma fu
salvata per la giovane et. Divenuta adulta, fu violentata da
Apollo in una grotta dell'acropoli di Atene, e gli dette un fi-
glio, Ione, che abbandon nello stesso luogo dove era stata
sorpresa dal dio. Ione fu poi portato da Ermes a Delfi ed alle-
vato nel tempio.
Creusa spos Suto, che si era rifugiato ad Atene perch ac-
cusato di furto dai fratelli. Suto fu proclamato arbitro della
successione al trono dopo la morte del padre Eretteo e di-
chiar che il suo cognato pi anziano, Cercope Secondo, era il
legittimo erede, ma la sua decisione non fu approvata dal po-
polo e Suto, condannato all'esilio, fugg in Acaia, dove alcuni
anni dopo mor (Miti).
Cefalo era cos bello che Eos, l'Aurora, si innamor di lui e
lo rap e con lui gener Fetonte che sarebbe stato rapito appe-
na fanciullo da Afrodite, affinch custodisse i suoi templi pi
sacri.
Procri amava molto Cefalo e quest'amore era ricambiato,
ma un giorno Cefalo cominci a dubitare della fedelt della
moglie. Infatti Procri, a Creta, fu sedotta da Minosse, che le
regal un cane da caccia che non mancava mai la preda ed un
giavellotto che non mancava mai il bersaglio.
Cefalo decise di metterla alla prova e si travest da Pteleone
con l'aiuto Eos: senza farsi riconoscere, s'introdusse in casa
sua, mentre lei lo credeva assente, e le offr dei regali sempre
pi preziosi, se ella avesse acconsentito a concedersi a lui.
La giovane resistette a lungo, ma alla fine fu tentata e ce-
dette. Allora Cefalo si fece riconoscere e Procri, in preda alla
vergogna ed all'ira, fugg sulla montagna. Qui Cefalo, pieno di
rimorsi, l'insegu e finirono col riconciliarsi, ammettendo
ognuno i propri torti.
Procri divent gelosa, perch vedeva spesso il marito anda-
re a caccia e si chiedeva se le ninfe dei boschi non lo tentasse-
ro. Interrog un servitore che l'accompagnava e questi le ri-
spose che, dopo la caccia, il marito si fermava ed invocava una
260 GIOVANNI PLATANIA

misteriosa Brezza, chiedendole di venire a rinfrescare il suo


ardore.
Procri, gelosa, decise di sorprendere gli amori colpevoli di
Cefalo.
Lo segu a caccia, ma Cefalo, udendo muovere la macchia,
lanci nella sua direzione il giavellotto infallibile. Procri fu fe-
rita a morte ma, prima di morire, comprese il suo errore: Cefa-
lo le era stato sempre fedele e la brezza che invocava non era
che il vento.
Accusato d'omicidio davanti all'Aeropago, Cefalo fu giudi-
cato colpevole e condannato all'esilio. Abbandon l'Attica e
raggiunse Anfitrione che accompagn nella spedizione contro
i Tafi.
Dopo la loro vittoria, l'isola di Cefalonia prese questo no-
me da Cefalo.
Qui egli spos Lisippa, dalla quale ebbe quattro figli, epo-
nimi delle quattro trib di Cefalonia.

In un'altra versione del mito, il Cane Maggiore identifica-


to con Mera, la fedele cagna di Icario che venne poi tramutata
da Zeus nella costellazione di Boote.

Presso gli Egizi il sorgere eliaco di Sirio, cio il primo apparire


dell'astro nella luce del crepuscolo mattutino, serviva agli astronomi
dell'epoca per stabilire l'inizio del nuovo anno agricolo, quando ave-
va inizio l'esondazione del Nilo.
Gli Egizi veneravano nella stella, da loro chiamata Sopdet, la pre-
senza benefica del dio Sothis, insieme a quella del Nilo (Sihor) ed a
quella di un cane premuroso, e tutta la costellazione era dedicata al
dio Anubi che veniva rappresentato appunto con la testa di cane.

Quasi sempre, nel passato, la costellazione del Cane Maggiore


stato identificato con la stella Sirio, tanto che per i Fenici questa stella
era chiamata l'abbaiante, ed anche i Caldei, gli Accadi, i Babilone-
si, i Persiani e gli antichi Cinesi vedevano in essa un dio con sembian-
ze di cane.
Il nome Sirio pu anche derivare dal vocabolo il Risplendente,
in sanscrito Surya, in greco Seir, ed in arabo al-Shi'ra.
COSTELLAZIONI E MITI 261

CANE MINORE

Cane Minore
262 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 263

Costellazione invernale.

La stella Alfa Procione, che simboleggia il secondo cane


di Orione, ed ha m = 0.4: l'ottava, dopo Capella, nell'Auriga,
Rigel in Orione e poche altre. una binaria, con periodo di
circa 41 anni, ed ha un compagno, Procione B, che una Na-
na Bianca.
La beta si chiama Gomeisa, ed legata ad un'antica leg-
genda Araba.

Procione, con Sirio del Cane Maggiore e Betelgeuse di


Orione, forma il cosiddetto Triangolo Invernale.

La leggenda araba racconta che due sorelle, Al Ghumaisa


(Gomeisa) ed Al Shira (Sirio, del Cane Maggiore) vivevano su
una delle rive del grande fiume stellare, la Via Lattea; il giova-
ne Al Jauzah (Orione) su quella opposta. Innamoratesi del
giovane, le sorelle decisero di raggiungerlo, ma solo Al Shira
riusc ad attraversare la Via Lattea: da qui i nomi di Al Shira,
che significa colei che passata, e Al Ghumaisa, colei che
piange.

Secondo una leggenda greca, questa costellazione si identi-


fica con uno dei cani del cacciatore Atteone, che, durante una
battuta di caccia, pass presso una fonte nella quale la dea Ar-
temide stava facendo il bagno. Questa, infuriata per essere sta-
ta sorpresa nella sua nudit, anche se involontariamente, tra-
sform Atteone in cervo ed incit i suoi stessi cani a sbranarlo.

Un'altra leggenda greca collegata al culto del dio Dioni-


so. Un uomo, di nome Icaro (non il figlio di Dedalo ed alcu-
ni lo chiamano Icario), aveva imparato da lui l'arte del vino.
Lo fece bere ad alcuni pastori, che caddero ubriachi; ma altri
pastori, che li avevano raggiunti, sospettando che Icaro avesse
cercato di avvelenarli, lo uccisero. Il fedele cane Mera corse al-
264 GIOVANNI PLATANIA

lora dalla figlia di Icaro e la condusse al cadavere del padre.


Presa dalla disperazione, la fanciulla si uccise, ed anche il cane
si lasci morire. La piet degli di port in cielo il cane sotto
forma di costellazione, ma anche Icaro avrebbe avuto un po-
sto sulla volta celeste, nella costellazione di Boote. (v. Boote).
COSTELLAZIONI E MITI 265

CHIOMA DI BERENICE
266 GIOVANNI PLATANIA

Henri Chatelain
COSTELLAZIONI E MITI 267
268 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 269
270 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 271
272 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 273

M100 nella Chioma di Berenice


274 GIOVANNI PLATANIA

NGC 4341 vista dal telescopio Hubble


COSTELLAZIONI E MITI 275

Costellazione primaverile.

Alfa e Beta hanno circa la stessa luminosit con m = 4.3,


ma la pi luminosa la beta.

Questa costellazione contiene anche il polo nord galattico.

La costellazione divide, con la costellazione della Vergine,


l'ammasso di galassie pi ricco che possibile vedere con i te-
lescopi terrestri: l'ammasso Chioma-Vergine.

Berenice personaggio storico: figlia di Magas, re di Cire-


ne, sposa di Tolomeo III Evergete, figlio di Tolomeo Filadelfo.
Quest'ultimo noto per aver fatto tradurre ed assemblare gli
episodi della Tor, i primi cinque libri della Bibbia attribuiti
dalla tradizione a Mos, che narrano la storia del popolo d'I-
sraele dalle origini fino alla Terra Promessa.
Ad Alessandria, divenuta la citt con la pi grande comu-
nit ebraica, Tolomeo promosse la traduzione in greco del
Vecchio Testamento. Alla morte di Tolomeo Filadelfo, il figlio
Tolomeo III Evergete divenne faraone. Pochi giorni dopo le
nozze con Berenice, Tolomeo part in guerra contro Seleuco
II, re di Siria, e Berenice promise solennemente che avrebbe
offerto agli di la sua bellissima chioma biondo-ambra, se To-
lomeo fosse tornato illeso. Il desiderio della regina fu esaudito:
Tolomeo torn indenne e vittorioso. Berenice allora si rec al
tempio di Iside per sciogliere il voto: offrire agli di la sua
splendida capigliatura tanto celebrata in Egitto ed oltre i con-
fini.
Dopo qualche giorno la chioma della regina scomparve dal
tempio. L'atto sacrilego suscit scalpore nella popolazione in-
credula, arrec dolore alla regina, accese l'ira nell'animo del
faraone, fece gridare vendetta ai soldati pronti a punire il re-
sponsabile che con quel gesto aveva offeso gli di, i sovrani, il
popolo. Cos l'astronomo e matematico di corte, l'alessandri-
276 GIOVANNI PLATANIA

no Conone, gi di gran fama, nella speranza di riportare sere-


nit nella vita dei sovrani, asser che gli di, innamoratisi della
chioma, non aveva esitato a prelevarla dal tempio per trasfor-
marla in costellazione, perch tutti gli uomini potessero ammi-
rarla per l'eternit.
E, certo di rendere felici i sovrani, l'astronomo addit loro
nel distretto sidereo tra l'Orsa Maggiore, Boote, Vergine e
Leone, un delicato, esteso ed indefinito sciame di stelle, tenue-
mente brillante: la chioma della regina, ormai costellazione
Chioma di Berenice.

Il poeta lirico greco Callimaco dedic alla Chioma di Bere-


nice una famosa lirica, della quale Catullo fece una traduzione
in latino, la cui versione in italiano questa:

Chi scrut dell'immenso firmamento


tutte le luci e apprese delle stelle
albe e tramonti e come il fiammeggiante
lume del sole rapido si oscuri
e in tempi fissi le costellazioni
vengano meno e come il dolce Amore
tra le rocce del Latmo di nascosto
spinga lontano Trivia, dirottandola
dal suo giro nell'aria, quel Conone
nel chiarore celeste vide me,
una ciocca recisa dalla chioma
di Berenice, fulgida splendente,
che, tendendo le braccia levigate,
ella promise a molte dee, nel tempo
in cui, accresciuto dalle nuove nozze,
il re si era recato a devastare
le terre degli Assiri. Con s aveva
dolci le tracce del notturno assalto
condotto alla conquista della vergine.
Hanno davvero un odio per l'amore
le nuove spose, oppure falso il fiume
di lacrimette, sparso sulla soglia
della stanza nuziale, a render vana
COSTELLAZIONI E MITI 277

la letizia del padre e della madre?


Cos mi favoriscano gli di,
non sono vere lacrime: l'ho appreso
dal pianto intenso della mia regina,
quando il nuovo marito era sul fronte
di sinistre battaglie. O non piangevi,
rimasta sola, il letto abbandonato,
ma piuttosto il distacco doloroso
da un amato fratello? Quanto in fondo
fin nelle fibre invase da tristezza
l'ansia ti consum! Come la mente
per la totale angoscia venne meno
e i sensi ti mancarono! Ma pure
avevo conosciuto il tuo coraggio
da quando eri bambina., O non ricordi
l'azione ben condotta - nessun altro
ne avrebbe con pi forza l'ardimento -
con cui ottenesti per marito un re?
Ma che tristi parole hai pronunziate
allora, alla partenza dello sposo!
Per Giove, quanto spesso con la mano
sfregasti gli occhi! Qual il grande dio
che ti mut? E gli amanti perch mai
non vogliono restare separati
dal corpo amato? E allora agli di tutti
mi promettesti per il dolce sposo
- ed il sangue di toro non mancava -
se ottenesse il ritorno. In breve tempo
egli aggiunse ai confini dell'Egitto
la conquista dell'Asia. Ed io per questo,
resa al consesso dei celesti, sciolgo,
con un'offerta nuova, un voto antico.
Regina, a malincuore dal tuo capo,
a malincuore, mi staccai. Lo giuro
su te e sul capo tuo. Chi giura il falso
abbia la giusta pena. Ma col ferro
chi pu stare alla pari? Anche quel monte,
il pi alto di quanti sulla terra
278 GIOVANNI PLATANIA

travalichi passando il luminoso


figlio di Thia, venne abbattuto, quando
dettero vita i Medi a un nuovo mare
e in mezzo all'Athos navig su flotta
la giovent dei barbari. Se al ferro
cedono cose tali, dei capelli
cosa faranno mai? Tutta la razza
possa andare, per Giove, alla malora
dei Clibi e di quanti sotto terra
per primi ricercarono la vena
e la tempra forgiarono del ferro!
Piangevano il mio caso le sorelle
della chioma, staccate poco prima,
quando il gemello dell'etiope Mmnone
si present da me, cavallo alato
della Locrese Arsinoe, aprendo l'aria
col moto oscillatorio delle penne.
E, portandomi via, pass tra le ombre
del cielo in volo e dentro il casto grembo
di Venere mi pose. A questo scopo
aveva delegato il servo suo
la greca Zefiritide, abitante
sui lidi di Canpo. Qui la dea,
- perch non solo la corona d'oro
dalle tempie di Arianna avesse posto
nel vario lume del divino cielo,
ma vi mandassi luce anch'io, la spoglia
offerta in dono da una testa bionda, -
mi pose, tra le antiche, stella nuova
che si accostava al tempio degli di
umida un poco d'acqua. Della Vergine
e del fiero Leone tocco gli astri,
nei pressi di Callisto Licaonia
volgo al tramonto, dirigendo il corso
dinanzi al lento Boote, che si immerge
nell'Oceano profondo, a stento tardi.
Ma sebbene mi calchino di notte
i passi degli di, mentre la luce
COSTELLAZIONI E MITI 279

alla candida Tethi mi riporta


(mi sia lecito dirlo con tua pace,
Vergine di Ramnunte, non potrei
coprire il vero per nessun timore
e non svelare in pieno il mio pensiero,
neppure a costo d'esser fatta a pezzi
dalle parole ostili delle stelle),
non mi d tanta gioia questo stato,
quanto mi cruccia l'essere lontana,
esser lontana dalla mia padrona
e dal suo capo. Ed io, priva con lei
d'ogni profumo, finch fu fanciulla,
molte semplici essenze con lei bevvi.
Ora voi che la fiaccola congiunse
nel giorno atteso, non abbandonate
ai concordi mariti il vostro corpo,
tolta la veste e denudato il seno,
prima di offrire a me dall'alabastro,
dall'alabastro vostro lieti doni.
La polvere leggera beva invano
le male offerte delle impure adultere:
non chiedo doni alle persone indegne.
Abiti sempre, spose, la concordia,
sempre l'amore senza interruzione
dentro le vostre case. Tu, regina,
quando, guardando le costellazioni,
nelle feste farai propizia Venere,
non lasciare che resti io che son tua
senza offerte di unguenti, ma piuttosto
onorami con doni sontuosi.
Magari rovinassero le stelle!
Vorrei tornare chioma di regina:
presso l'Acquario splenda pure Orione!

Questa fu in seguito ripresa da Ugo Foscolo, che la tradus-


se come:
280 GIOVANNI PLATANIA

Quei che spi del mondo ampio le faci


Tutte quante, e scopr quando ogni stella
Nasca in cielo o tramonti, e del veloce
Sole come il candor fiammeo si oscuri,
Come a certe stagion cedano gli astri,
E come Amore sotto a' Latmii sassi
Dolcemente contien Trivia di furto
E la richiama dall'areo giro,
Quel Conon vide fra' celesti raggi
Me del Berenico vertice chioma
Chiaro fulgente. A molti ella de' Numi
Me, supplicando con le terse braccia,
Promise, quando il re, pel nuovo imene
Beato pi, partia, gli Assiri campi
Devastando, e sen ga con li vestigi,
Dolci vestigi di notturna rissa
La qual pugn per le virginee spoglie.
Alle vergini spose in odio forse.
Venere? Forse a' genitor la gioia
Froderanno per false lagrimette
Di che bagnan del talamo le soglie
Dirottamente? Esse non veri allora,
Se me giovin gli Dei, gemono guai.
Ben di ci mi assenn la mia regina
Col suo molto lamento allor che seppe
Vlto a bieche battaglie il nuovo sposo:
E tu piangesti allora il freddo letto
Abbandonata, e del fratel tuo caro
II lagrimoso dipartir piangevi.
Ahi! tutte si rodean l'egre midolle
Per l'amorosa cura; il cuore tutto
Tremava; e i sensi abbandon la mente.
La donzelletta non se' tu ch'io vidi
Magnanima? Lo gran fatto oblasti,
Tal che niun de' pi forti os cotanto,
Per premio tu n'hai le regie nozze?
Deh che piet nelle parole tue
Quando il marito accomiatavi! Oh quanto
COSTELLAZIONI E MITI 281

Pianto tergeano le tue rosee dita


Agli occhi tuoi! Te s gran Dio cangiava?
Dal caro corpo dipartir gli amanti
Non sanno mai? Tu quai voti non festi,
Propizando con taurino sangue,
Per lo dolce marito agli Immortali
S'ei ritornasse! N gran tempo volse
Ch'ei dot della vinta Asia l'Egitto.
Per questi fatti de' Celesti al coro
Sacrata, io sciolgo con novello ufficio
I primi voti. A forza io mi partia,
Regina, a forza; e te giuro e il tuo capo;
Paghinlo i Dei se alcun invan ti giura;
Ma chi presume pareggiarsi al ferro?
E quel monte croll, di cui null'altra
Pi alta vetta dall'eteree strade
La splendida di Thia progenie passa,
Quando i Medi affrettaro ignoto mare
E con le navi per lo mezzo Athos
Nuot la giovent barbara. Tanto
Al ferro cede! or che poriano i crini?
Tutta, per Dio! de' Calibi la razza
Pra, e le vene a sviscerar sotterra
E chi a foggiar del ferro la durezza
A principio studi. - Piangean le chiome
Sorelle mie da me dianzi disgiunte
I nostri fati, allor che appresentosse,
Rompendo l'aer con l'ondeggiar de' vanni,
Dell'Etope Mennone il gemello
Destrier d'Arsinoe Locrense alivolo:
Ei me per l'ombre eteree alto levando
Vola, e sul grembo di Venere casto
Mi posa: ch'ella il suo ministro (grata
Abitatrice del Canopio lito)
Zefiritide stessa avea mandato
Perch fissa fra' cerchi ampli del cielo
La del capo d'Arianna aurea corona
Sola non fosse. E noi risplenderemo
282 GIOVANNI PLATANIA

Spoglie devote della bionda testa.


Onde salita a' templi de' Celesti
Rugiadosa per l'onde, io dalla Diva
Fui posto fra gli antichi astro novello.
Per che della Vergine, e del fero
Leon toccando i rai, presso Callisto
Licaonide, piego all'occidente
Duce del tardo Boote cui l'alta
Fonte dell'Oceno a pena lava.
Ma la notte perch degli Immortali
Mi premano i vestigi, e l'aurea luce
Indi a Tethy canuta mi rimeni,
(E con tua pace, o Vergine Rannusia,
Il pur dir: non per temenza fia
Che il ver mi taccia, e non dispieghi intero
Lo secreto del cor; n se le stelle
Mi strazin tutte con amari motti),
Non di tanto vo lieta ch'io non gema
D'esser lontana dalla donna mia,
Lontana sempre! Allor quando con ella
Vergini fummo, io d'ogni unguento intatta,
Assai tesoro mi bevea di mirra.
O voi, cui teda nuzal congiunge
Nel sospirato di, n la discinta
Veste conceda mai nude le mamme,
N agli unanimi sposi il caro corpo
Abbandonate, se non versa prima
L'onice a me giocondi libamenti;
L'onice vostro, voi che desate
Di casto letto i dritti: ah di colei
Che s all'impuro adultero commette,
Beva le male offerte irrita polve!
Ch nullo dono dagli indegni io merco.-
Sia cos la concordia, e sia l'amore
Ospite assiduo delle vostre sedi.
Tu volgendo, regina, al cielo i lumi
Allor che placherai ne' d solenni
Venere diva, d'odorati unguenti
COSTELLAZIONI E MITI 283

Lei non lasciar digiuna, e tua mi torna


Con liberali doni. A che le stelle
Me riterranno? O! regia chioma io sia,
E ad Idrocoo vicin arda Orone.
Foscolo: Le Poesie.

Secondo gli Egizi, questo gruppo di stelle era formato dai


chicchi di grano sfuggiti dal fascio tenuto in mano dalla dea
Iside, raffigurato nella costellazione della Vergine
284 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 285

CIGNO
286 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 287

Nebulosa M 17
288 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa Velo NGC 6992 nel Cigno


COSTELLAZIONI E MITI 289

Nebulosa del Pellicano nel Cigno


290 GIOVANNI PLATANIA

Nebulose Nord America


COSTELLAZIONI E MITI 291

Hevelius
292 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 293

Costellazione estiva, il Cigno chiamato anche Croce del


Nord.
.
Alfa Deneb, dall'arabo Dhanab al Dajajah cio la coda
dell'uccello femminaed ha m = 1.2.
Beta Albireo, il becco, con m = 3.1.
Gamma, Sadr, il petto, con m = 2.2, la stella centrale
della croce.
Epsilon Gienah, l'ala, con m = 2.5
Interessante la stella doppia 61 Cygni, (m = 5.5), la prima
di cui fu determinata la distanza col metodo della parallasse
(Bessel 1838): d = 11 a.l. (10.3 a.l. il valore calcolato di re-
cente).

Vi appartengono anche Cygnus A, la prima radiosorgente


extragalattica scoperta nel 1944-46, e la sorgente di raggi X,
Cygnus X1, scoperta all'inizio degli anni Settanta.

All'altezza di Deneb, la Via Lattea si biforca in due rami; il


primo si dirige verso l'Aquila, il secondo verso il Toro. La
biforcazione determinata da nubi oscure di gas e polveri.

Deneb, Vega della Lira ed Altair dell'Aquila, costituiscono


il Triangolo Estivo.

Uno dei molti miti legati alla costellazione del Cigno


quello di Orfeo, il celebre musicista dell'antichit che fu ucci-
so dalle sacerdotesse di Dioniso e dopo la sua morte fu tra-
sformato in cigno e posto in cielo accanto alla sua Lira.

Orfeo figlio di Eagro, re della Tracia e della Musa Callio-


pe. Quando non gli si accorda l'onore di essere l'inventore
della lira, gli si attribuisce l'aumento del numero delle corde,
che in principio sarebbero state soltanto sette, ma che diventa-
rono per opera sua nove a causa del numero delle muse.
294 GIOVANNI PLATANIA

Egli partecip alla spedizione degli Argonauti (v. Ariete),


dove svolse la mansione di capovoga, cio di colui che d la
cadenza hai rematori e calma i flutti col canto.
Quando la giovane sposa di Orfeo, Euridice, mor, morsa
al tallone da un serpente (v. Lira), per sfuggire ad Aristeo, fi-
glio di Apollo e della ninfa Cirene, che voleva violentarla, Or-
feo non esit a scendere fino allo Stige e a rivolgersi agli di
degli inferi, Ade e Proserpina, chiedendo loro, in nome di
Eros, che gli restituissero Euridice, almeno fino a quando il
destino non avesse compiuto il tempo stabilito per lei. Gli di
degli inferi acconsentirono, con l'ordine, per, di non volgere
indietro lo sguardo, finch non fossero usciti dall'Ade. Erano
quasi usciti quando Orfeo si volt e subito Euridice ritorn
nell'Ade. Morendo di nuovo, ella non ebbe per Orfeo parole
di rimprovero, ma per l'ultima volta gli dice addio. Orfeo ri-
mase impietrito per la doppia morte della moglie ed invano
scongiur Caronte di traghettarlo di nuovo, restando l sette
giorni, accasciato sulla riva, senza cibo. Poi, sconsolato, fece
ritorno tra gli umani.
Si narrava altres che Orfeo, non volendo avere pi alcun
rapporto con le donne, si circondasse di giovani uomini ed
avesse anche inventato la pederastia.
Orfeo, al ritorno dagli inferi, istitu i Misteri Orfici, fondati
sulle esperienze nell'altro mondo, ma proib di ammettervi le
donne. Gli uomini si riunivano con lui in una casa sbarrata, la-
sciando le armi davanti alla porta. Una notte le donne della
Tracia, istigate dalle Menadi, si impadronirono delle armi, e,
quando gli uomini uscirono, uccisero Orfeo con i suoi seguaci,
poi dilaniarono Orfeo e gettarono i pezzi del suo cadavere in
un fiume, che li trasport in mare. La testa, con le labbra che
ancora cantavano, giunsero a Lesbo, e gli abitanti, per volere
di Apollo, tributarono al poeta onori funebri e gli eressero una
tomba.
Orfeo scese cos un'altra volta nell'oltretomba e ritrov
Euridice. Abbracciati passeggiano insieme: a volte accanto, a
volte lei davanti e lui dietro; altre volte invece Orfeo che la
precede e, ormai senza paura, si volge a guardare la sua Euri-
dice. (Met. XI. 64, 66).
COSTELLAZIONI E MITI 295

Troviamo altri miti riguardanti la morte di Orfeo. Uno di


questi riguarda una disputa tra Afrodite e Persefone.
Afrodite aveva dovuto, per ordine di Zeus, sottomettersi
all'arbitrato di Calliope riguardo a chi, tra lei e Persefone, do-
vesse tenere il piccolo Adone, nato dalla relazione di Mirra, fi-
glia del re di Siria Teia, con il padre, di cui innamorata.
La madre di Mirra, Cencri, aveva offeso Afrodite sostenen-
do che la figlia era pi bella di lei e, per punire questo sbaglio,
la dea aveva ispirato a Mirra l'amore criminale.

Ovidio fa dire a Mirra:

Dove mi porta l'indole? Cosa sto facendo? O dei, piet


filiale, vincoli sacri dei parenti, vi supplico: impedite questa
empiet, opponendovi al mio crimine, ammesso che sia un
crimine, ma non pare che il rispetto condanni quest'unione. Gli
animali si accoppiano senza pensarci e non si ritiene turpe che
una giovenca si faccia montare dal padre; il cavallo sposa la figlia,
il capro si unisce alle capre che ha generato e la stessa femmina
degli uccelli concepisce da chi l'ha concepita. Felici loro, che
possono farlo! Gli scrupoli umani hanno creato leggi perfide e
principi astiosi vietano ci che natura ammette. Eppure si
racconta che vi siano genti tra cui la madre si accoppia al figlio,
la figlia al padre, e l'affetto tra i coniugi cresce per questo
sommarsi d'amore. Misera me, che non ho avuto in sorte di
nascere l, ma dove non ho pace. Una continua ossessione,
perch? Via, via, sogni proibiti! Teia degno, s, d'essere amato,
ma come padre. Se non fossi dunque la figlia, potrei giacere
accanto a lui; ora invece, poich lui mio, mio non pu essere:
nasce da questo legame la mia sventura. Se fossi di un altro, sarei
pi libera. Vorrei andarmene da qui, lasciare il suolo della patria,
per sottrarmi all'infamia, ma l'ardore del mio male mi trattiene,
perch con tutto il mio amore io possa guardare Teia, toccarlo,
parlargli e baciarlo, se altro non mi concesso. Perch? Oseresti,
vergine empia, sperare forse di pi? Ti rendi conto quante leggi e
norme tu sovverti? Vuoi essere rivale di tua madre e amante di
tuo padre? Esser chiamata sorella di tuo figlio e madre di tuo
fratello? Non hai timore delle Furie con le chiome nere di
serpenti, che appaiono a chi in colpa e con torce crudeli si
avventano contro gli occhi e il viso? Ma, visto che il tuo corpo
296 GIOVANNI PLATANIA

ancora puro, non concepire empiet con la mente e non violare


con un amplesso vietato le leggi che ha imposto natura. Se anche
lo volessi, la realt lo vieta, perch lui pio, virtuoso. Oh, come
vorrei che il mio stesso furore vibrasse in lui!
(Met. X. 320, 355).

Mirra si sfoga cos con se stessa, e, combattuta tra il dovere


ed il desiderio, decide di impiccarsi. Ma la vecchia nutrice la
salva ed alla fine decide di aiutarla nel suo desiderio. Approfit-
tando delle feste in onore di Demetra, in cui per nove giorni si
fa divieto alle mogli di aver rapporti con i mariti, ed approfit-
tando anche dell'ubriachezza di Teia, la nutrice porta Mirra
nell'oscurit al letto di Teia. E le notti successive l'evento si ri-
pete.
Ma alla dodicesima notte Teia si accorse dell'inganno della
figlia e la insegu armato di coltello per ucciderla.
Mirra chiese allora aiuto agli dei, che, impietositi, la tra-
sformarono nell'albero della mirra. Dieci mesi dopo la cortec-
cia dell'albero si spacc e ne usc un bambino, che ricevette il
nome di Adone. Afrodite, commossa dalla bellezza del neona-
to, lo raccolse e lo affid segretamente a Persefone perch lo
allevasse. Quest'ultima, a sua volta, si invagh del bel bambino
e non volle restituirlo ad Afrodite. Ne nacque un contrasto tra
le dee, e la Musa Calliope, in nome di Zeus, decise che Adone
avrebbe vissuto un terzo dell'anno con Afrodite, un terzo con
Persefone ed un terzo dove voleva lui. Adone pass sempre
due terzi dell'anno con Persefone ed uno solo con Afrodite.
Afrodite si era molto adirata per questa decisione e, non po-
tendo vendicarsi con Calliope, aveva ispirato alle donne della
Tracia l'odio per Adone.
Poi incit contro di lui un cinghiale che, nel corso di una
caccia, lo uccise.

Zeus trasform Orfeo nella costellazione del Cigno e vi po-


se accanto la costellazione della Lira.

Un altro mito narra che Zeus che, per sedurre la riluttante


Nemesi, ordin ad Afrodite di trasformarsi in Aquila, mentre
COSTELLAZIONI E MITI 297

egli si sarebbe tramutato, appunto, in Cigno. Fingendo di


sfuggire agli attacchi dell'aquila, il cigno si rifugi tra le brac-
cia di Nemesi che, invece di mandarlo via, lo abbracci inte-
nerita; il volatile era cos docile e tranquillo che Nemesi si ad-
dorment tenendolo tra le braccia. Mentre dormiva senza al-
cun timore, il dio abus di lei e poi vol via: gli uomini, ve-
dendo il magnifico cigno volteggiare altissimo nel cielo, cre-
dettero che questo uccello vivesse nel firmamento e Zeus, per
non far scoprire loro la verit, decise di porre in cielo la sua fi-
gura alata, assieme a quella del suo complice, l'Aquila (v.
Aquila).

Un ulteriore mito ha ancora Zeus come protagonista ed il


pi noto. Il dio si trasform in cigno per conquistare Leda, la
regina di Sparta, moglie di Tindaro. Da questa unione nacque-
ro due gemelli: Castore e Polluce. Polluce il gemello immor-
tale e fu concepito dall'unione di Zeus e Leda; mentre Casto-
re, il gemello mortale, fu concepito da Leda la stessa notte con
suo marito Tindaro. Castore fu ucciso, forse, durante la guerra
di Troia, ma Polluce, che aveva deciso di accettare l'immorta-
lit solo a patto che il fratello ne fosse partecipe, lo ricord a
Zeus, che stabil che per l'eternit essi potessero vivere un
giorno agli inferi ed un giorno fra gli dei dell'Olimpo. (v. Ge-
melli)
Altra versione del mito narra che furono due bimbe ad es-
sere partorite da Leda: Elena e sua sorella Clitennestra. Elena
(che sar la causa della guerra di Troia) era la figlia di Zeus, e
quindi immortale, e Clitennestra la figlia del mortale Tindaro.
Leda dette a Tindaro anche un'altra figlia Timandra, che spo-
s Echemo, re dell'Arcadia.
Ma si raccontava anche che Elena fosse figlia di Zeus e di
Nemesi. La dea aveva cercato di sottrarsi alle profferte d'amo-
re di Zeus e si era trasformata in oca per sfuggirgli. Zeus si era
subito mutato in cigno e si era unito con lei. Nemesi aveva poi
fatto un uovo, che aveva abbandonato e che era stato trovato
da un pastore e portato a Leda, che l'aveva posto gelosamente
in un cofanetto. Ne usc fuori Elena, che Leda fece passare
per sua figlia, poich era una bambina bellissima.
298 GIOVANNI PLATANIA

Per i Romani il Cigno era Cicno, re dei Liguri, l'amico di


Fetonte che si impadron del carro solare e provoc distruzio-
ni in cielo ed in terra. Zeus, per punirlo, anneg Fetonte nel
fiume Po ( questa una delle attribuzioni che gli antichi dette-
ro all'Eridano, il fiume nato da Teti ed Oceano; un'altra fu il
Rodano) e Cicno tent inutilmente di salvarlo. Zeus commos-
so dal gesto lo colloc in cielo.
La leggenda di Fetonte abbastanza nota.
Era figlio del Sole e della ninfa oceanina Climene, ma fu al-
levato dalla madre senza che egli sapesse chi fosse suo padre.
Divenuto adolescente, la madre gli rivel chi era il padre. Cli-
mene fissando la luce del sole, disse: per questo fulgore
splendido di raggi abbaglianti che ci vede e ci ascolta, io ti giu-
ro, figliolo, che tu sei nato da questo Sole che contempli e che
regola la vita in terra. Se ci che dico menzogna, mai pi mi
consenta di guardarlo e sia questa luce l'ultima per i miei oc-
chi! (Met. I. 768 sgg).
Fetonte si rec allora alla dimora del Sole, che sedeva su
un trono sfolgorante di smeraldi e con a lato il Giorno, il Me-
se, l'Anno, i Secoli e le Ore, disposte ad uguale distanza fra lo-
ro; la Primavera incoronata di fiori, l'Estate nuda che portava
ghirlande di spighe, l'Autunno imbrattato di mosto e l'Invero
gelido con i bianchi capelli increspati (Met. II).
Il Sole dice a Fetonte che veramente suo figlio, e perch
tu non abbia dubbi, chiedimi quello che vuoi: da me l'avrai;
ed alla mia promessa sia testimone quella palude misteriosa su
cui giurano gli dei (Met. II. 44, 46).
Appena tacque, Fetonte chiese al padre il permesso di la-
sciargli guidare il suo carro. Dopo molte esitazioni, il Sole ac-
consent, ma gli fece mille raccomandazioni. Fetonte part e
cominci a seguire la rotta tracciata sulla volta celeste, ma ben
presto fu spaventato dall'altezza alla quale si trovava. La vista
degli animali raffiguranti i segni dello zodiaco gli fece paura
ed abbandon la rotta che gli era stata tracciata. Discese trop-
po in basso, e rischi di appiccare il fuoco alla Terra. A questo
punto Gea, con i capelli in fiamme e cosparsa di cenere per il
fumo, invoc l'aiuto di Zeus che, chiamati a testimone gli dei,
e per primo il Sole, constat che se non fosse intervenuto, tut-
COSTELLAZIONI E MITI 299

to si sarebbe fatalmente estinto; colp allora con un fulmine


l'auriga, sbalzandolo dal cocchio e dalla vita. Fetonte, con
fiamme che gli divorano i capelli, precipit, lasciando nell'aria
una lunga scia, nel fiume Eridano. Le sue sorelle, le lidi, gli
resero gli onori funebri e sulla lapide incidsero i versi: Qui gia-
ce Fetonte, auriga del cocchio del padre; e se non seppe guidarlo,
pure egli cadde in una grande impresa. Esse lo piansero tanto
che furono trasformate in pioppi. A questo prodigio assistette
Cicno, legato a Fetonte da grande affetto, che riemp di la-
menti le correnti dell'Eridano, quando la voce gli si affievol,
sotto candide piume scomparvero i capelli, sporgendo dal pet-
to si protese il collo, una membrana congiunse le dita rossicce,
due ali vestirono i fianchi ed un becco smussato sostitu la sua
bocca. E Cicno diventa un insolito uccello che, memore dei
fulmini scagliati con crudelt da Zeus, diffida di lui e del cielo:
cerca gli stagni, i laghi aperti e, detestando il fuoco, sceglie co-
me dimora i fiumi, che sono l'opposto delle fiamme (Met. II,
367-380).

Un'altra storia racconta di Cicno, figlio di Poseidone e di


Calice, che partecip ai giochi dati in onore di Paride, figlio
minore di Priamo ed Ecuba, prima della guerra di Troia.
Paride era ritenuto morto, avendo avuto Priamo la profezia
della distruzione di Troia a causa sua. Ma Ecuba, invece di uc-
cidere il bambino, lo fece esporre sul monte Ida, e Paride fu
allevato da alcuni pastori, che lo chiamarono Alessandro, pri-
ma di tornare a Troia.
Un giorno alcuni servitori di Priamo andarono a cercare,
nella mandria custodita da Paride, un toro per il quale egli
aveva un attaccamento particolare. Sapendo che l'animale era
destinato ad essere il premio dei giochi funebri istituiti in me-
moria del figlio di Priamo, che si riteneva morto in tenera et
e che altri non era che lui stesso, Paride segu i servitori, ben
deciso a prendere parte anch'egli a quei giochi ed a riconqui-
stare il suo animale favorito. E, in effetti, riport la vittoria in
tutte le gare, contro i propri fratelli, i quali non sapevano chi
fosse. Irritato, uno di loro, Deifobo, brand la spada contro di
lui tentando di ucciderlo. Paride cerc allora rifugio presso la
300 GIOVANNI PLATANIA

statua di Zeus, ma Cassandra lo riconobbe e Priamo, felice di


ritrovare quel figlio che credeva morto, lo accolse e gli restitu
il posto che apparteneva nella casa reale. (v. Prima Parte).

Un'altra storia racconta che Cicno, figlio di Poseidone e di


Calice, durante la guerra di Troia era alleato dei Troiani e cor-
se in loro aiuto con una flotta durante lo sbarco dei Greci. Im-
ped per lungo tempo ai nemici di avanzare, fino a che non si
scontr con Achille.
Data la sua origine divina, Cicno era invulnerabile e quindi
Achille, per aver ragione di lui, dovette colpirlo al volto con il
pomo della spada e ricacciarlo indietro a colpi di scudo, fino a
che Cicno, indietreggiando, inciamp in una pietra e cadde.
Allora Achille lo schiacci sotto di s, ma Cicno, per inter-
vento del padre, fu trasformato in cigno ed incastonato tra le
stelle.

Un'ulteriore leggenda racconta di Cicno, figlio di Apollo e


di Tiria, che viveva in Etolia. Era molto bello ma capriccioso e
duro, tanto che scoraggi tutti i suoi amici ed innamorati. Di
tutti quelli che gli facevano la corte, uno solo fin col restare:
Filio. Cicno gli impose allora una serie di prove, una pi fati-
cosa dell'altra, e Filio le super tutte, grazie anche all'aiuto di
Eracle. Alla fine, si stanc ed abbandon Cicno, il quale, diso-
norato e tutto solo, si butt in un lago insieme alla madre.
Apollo, per piet, lo trasform in Cigno e lo trasfer in cie-
lo.

In Mesopotamia era chiamato l'uccello della foresta. Fu


ribattezzato il Cigno da Eratostene. Per gli Arabi era
un'Aquila volante o anche l'uccello femmina.

Per i primi cristiani era ovviamente la croce di Cristo.


COSTELLAZIONI E MITI 301

CORONA BOREALE
302 GIOVANNI PLATANIA

Corona Boreale vicino a Boote


COSTELLAZIONI E MITI 303
304 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 305
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COSTELLAZIONI E MITI 307
308 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 309
310 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 311

Costellazione primaverile.

Alfa, con m = 2.2, Gemma, la stella pi luminosa della


costellazione.
Beta si chiama Nusakan.
Strano il comportamento della stella tau, normalmente
invisibile ad occhio nudo con m = 10; per essa soggetta ad
improvvise esplosioni, che la portano fino a m = 2, rivaleg-
giando con Gemma. Queste esplosioni sembra riguardino solo
gli strati superficiali della stella. Fu vista per la prima volta
nella notte tra il 12 ed il 13 maggio 1866 da M. Birmingham
che la osserv con m = 2, e qualche giorno dopo con m = 1;
raggiunta tale luminosit occorsero appena otto giorni perch
ritornasse a m = 10.

Anche la piccola Corona Boreale contiene molte galassie,


alcune delle quali appartengono ad ammassi.

Egeo, re di Atene, non riusciva a darsi pace per la


mancanza di un erede maschio dalle sue nozze, prima
con Melite, figlia di Oplete e poi con Calciope, figlia di
Ressenore.
In seguito si innamor di Etra, figlia del re di Trezene Pit-
teo, ex promessa sposa di Bellerofonte. Egeo aveva consultato
l'oracolo di Delfi avendone una risposta oscura: non slegare,
tu, il pi eccellente degli uomini, la bocca che sporge dall'otre
di vino prima di essere giunto alla sommit della citt di Ate-
ne.
Pitteo, figlio di Pelope, l'uomo pi saggio e colto del suo
tempo, grande oratore ed eccellente indovino, che aveva ac-
colto Egeo a Trezene, udendo l'oracolo, seppe interpretarlo e
si affrett ad ubriacare Egeo, che giacque con Etra e dopo
aver fatto l'amore cadde in un sonno profondo.
Dopo l'amplesso, la fanciulla si alz, si diresse verso l'isola
di Sferia e, quella stessa notte, fece l'amore anche con Posei-
312 GIOVANNI PLATANIA

done, che lasci ad Egeo la paternit del figlio che sarebbe na-
to.
Grazie a questo stratagemma, Pitteo divent nonno
di Teseo.
La mattina dopo, Etra dormiva al fianco di Egeo. Questi la
preg di tenere nascosto il bambino che sarebbe nato, per evi-
targli inutili rischi. Le consigli di educarlo severamente e le
lasci la sua spada ed i suoi sandali, coprendoli con un'enor-
me pietra: una volta cresciuto, il ragazzo avrebbe potuto solle-
vare la roccia e presentarsi ad Atene, con quei segnali di rico-
noscimento.
Etra partor, ed il bambino fu accolto con amore da Pitteo:
era nato Teseo, e precocemente mostr il coraggio che l'avreb-
be caratterizzato, potendosi vantare di avere anche un dio, Po-
seidone, per genitore.
Compiuti poi i sedici anni, Teseo decise di tornare dal pa-
dre mortale Egeo. Si rec al santuario di Delfi, per propiziarsi
l'aiuto di Apollo e per consacrargli la sua prima chioma virile,
e, indirizzato dalla madre, raggiunse il posto dove suo padre
aveva nascosto spada e sandali. Scost senza difficolt la pie-
tra, ne prese gli oggetti paterni che essa nascondeva, e s'appre-
st ad incamminarsi in direzione di Atene.
Durante il viaggio ebbe parecchie avventure, scontrandosi
con i personaggi che rendevano pericoloso il viaggio via terra
da Trezene ad Atene.
Incontr ed uccise Perirfete, lo zoppo che gli sbarrava la
strada. Egli soleva uccidere i viandanti con un'enorme mazza
di bronzo. Teseo gli stapp la mazza dalle mani e lo percosse a
morte e poi la port sempre con s.
Nel punto pi stretto dell'istmo di Corinto viveva Sini, fi-
glio di Polipemone e di Silea, figlia di Corinto. Era noto come
il Piziocante, ossia colui che piega i pini, poich aveva
tanta forza da piegare la cima di un pino finch toccasse terra.
Spesso si rivolgeva agli ignari passanti perch lo aiutassero, ma
all'improvviso mollava la presa e, mentre l'albero scattava di
nuovo verso l'alto, chi si era prestato ad aiutare Sini faceva un
volo in aria e rimaneva ucciso precipitando a terra. Teseo lott
con Sini, lo vinse e fece a lui ci che egli aveva fatto agli altri.
COSTELLAZIONI E MITI 313

Lungo la strada costiera verso Atene, alcune rocce scoscese


ed a picco sul mare erano il rifugio del bandito Scirone. Sciro-
ne soleva sedersi su una roccia e costringeva i passanti a lavar-
gli i piedi; quando essi avevano finito di lavarglieli, con un cal-
cio li scaraventava in mare dove una gigantesca testuggine li
divorava. Teseo si rifiut di lavare i piedi a Scirone, lo sollev
dalla roccia e lo butt in mare.
Si imbatt poi nell'arcade Cercione, figlio di Poseidone,
che soleva sfidare i passanti a battersi con lui e poi li stritolava
tra le sue braccia possenti. Teseo lo afferr per le ginocchia e
lo scaravent a terra dove istantaneamente mor. Egli faceva
pi affidamento sulla sua abilit che sulla sua forza poich
aveva codificato l'arte della lotta libera, di cui nessuno fino a
quel giorno aveva compreso l'importanza.
Raggiunta Coridallo, in Attica, Teseo uccise il feroce Poli-
pemone, padre di Sinni, che era soprannominato Procuste, il
tenditore, perch faceva scegliere ai suoi ospiti il letto su
cui riposare, ma mentre un letto era troppo piccolo, l'altro in-
vece era enorme, e Procuste era pronto a tagliare loro le estre-
mit o a stirare loro le membra, affinch i loro corpi assumes-
sero le dimensioni del letto scelto. Teseo uccise anche questo
brigante servendosi degli stessi strumenti che egli aveva inven-
tato.
Ebbe anche un'avventura amorosa con Perigine, figlia di
Sinni, da cui nacque Melanippo. Poi abbandon Perigine,
dandola in sposa a Deioneo, per riprendere il viaggio verso
Atene. (Miti).
Egeo, intanto, aveva sposato Medea ed era nato il figlio
Medo. Medea, saputo del prossimo arrivo del potente eroe,
convinse Egeo dei danni che poteva apportare alla pace del
paese.
Teseo arriv alla reggia, dove si sarebbe tenuto un banchet-
to in suo onore. Il re non lo riconobbe e, ormai in balia di Me-
dea, si apprestava ad offrirgli una coppa di vino avvelenata.
Nel frattempo era stato servito a tavola un grosso bue arrostito
e Teseo, per essere riconosciuto dal padre, estrasse la spada
con l'impugnatura d'avorio, per tagliate la carne. Immediata-
mente Egeo not le vecchie incisioni sull'elsa dell'arma, rove-
314 GIOVANNI PLATANIA

sci la letale coppa e fu sommerso da una gioia incredibile,


per il ritrovato figlio che aveva rischiato di perdere. Medea ri-
conobbe la sconfitta e fugg col figlio Medo, per evitare la ven-
detta di Teseo.
Una tempesta aveva fatto affondare la nave con cui i due
erano fuggiti ed aveva gettato Medo sulla costa del regno del
suo prozio, Perse. Quest'ultimo era stato avvertito da un ora-
colo di diffidare dei discendenti di Eete, come era Medo.
Medo era a conoscenza di questo particolare e, condotto
davanti a Perse da alcuni soldati che lo avevano arrestato, dis-
se al re di essere Ippote, figlio del re di Tebe, Creonte, e di ri-
cercare Medea per punirla di aver ucciso Creonte e Creusa.
Perse non gli credette e, aspettando un supplemento d'in-
dagine, lo fece imprigionare. A questo punto, una carestia
s'abbatt sul paese. E Medea, arrivando da Perse sul suo carro
trainato da draghi, sostenne presso lo zio di essere una sacer-
dotessa di Artemide giunta per liberare il paese dalla carestia
che lo prostrava.
Il re, senza sospettare, le disse che teneva prigioniero Ippo-
te, figlio del re di Tebe. Medea gli chiese che le fosse conse-
gnato e, quando lo vide, riconobbe il proprio figlio. Lo prese
allora in disparte e gli consegn un'arma con cui Medo uccise
Perse.
Intanto Pallante, figlio di Pandione, sperava che, alla morte
di Egeo, potesse prendere il potere sull'Attica, perch aveva
cinquanta figli, con i rispettivi eserciti. I Pallantidi si divisero
in due schiere: una, capeggiata dallo stesso Pallante, aggred la
citt di Atene da un lato mentre l'altra era in agguato a Gar-
getto, dal lato opposto. Teseo, avvertito da Leo, un arciere di
Pallante, stermin prima i Pallantidi appostati a Garretto, poi
mise in fuga tutti gli altri.
Teseo cattur anche il toro di Maratona che, secondo un
oracolo, doveva essere catturato senz'armi.
Il toro era stato portato da Eracle e, lasciato libero, aveva
mietuto centinaia di vittime umane. Teseo afferr il toro per le
corna, costringendolo ad inginocchiarsi, poi tenendolo per le
narici, lo obblig a seguirlo fino ad Atene, dove lo sacrific ad
Apollo.
COSTELLAZIONI E MITI 315

Androgeo, figlio di Minosse e di Pasifae, si era intanto re-


cato ad Atene per prendere parte ai giochi annuali della citt,
e vinse tutte le gare. Egeo per sapeva che egli era amico dei
Pallantidi e temendo che potesse indurre suo padre Minosse
ad appoggiarli, cospir con i Megaresi per tendergli un'imbo-
scata nei pressi di Enoe, sulla strada per Tebe. Androgeo si di-
fese valorosamente, ma fu ucciso nel corso di un'accanita bat-
taglia.
Per vendicare la morte di Androgeo, Minosse, re di Creta,
mosse guerra ad Atene. Sia per la potenza numerica della flot-
ta, sia perch la citt aggredita era gi indebolita dalla peste e
dalla carestia inviate da Zeus su richiesta di vendetta dello
stesso Minosse, i Cretesi riportarono una schiacciante vittoria.
Gli Ateniesi furono costretti a pagare un pesante tributo uma-
no: ogni nove anni, sette giovani e sette fanciulle ateniesi era-
no inviati a Creta e divorati dal Minotauro.
Per liberare la patria dal macabro tributo, Teseo part con
la sua nave alla volta di Creta.
Figlio di Pasifae, figlia di Helios, il Minotauro era stato ge-
nerato dalla passione della madre per il toro che Poseidone
aveva inviato a Minosse.
Il Toro di Cnosso aveva la brutta abitudine di cibarsi di
carne umana, ed anche per arginarne la violenza Minosse ave-
va incaricato il famoso architetto Dedalo di costruire un labi-
rinto impenetrabile (v. Toro). Rinchiuso il Minotauro nel labi-
rinto, Minosse provvedeva a cibarlo di prigionieri di guerra, di
criminali e degli inermi giovani ateniesi.
Teseo, prima di partire alla volta di Creta, chiese al padre
delle vele bianche da inalberare al ritorno per segnalare la vit-
toriosa riuscita dell'impresa. Infatti nei viaggi precedenti, ed
anche quella volta, le vele della nave che andava a Creta erano
nere.
Quando la nave giunse a Creta, Minosse si rec al porto
per contare le vittime e si innamor di una delle vergini ate-
niesi, il cui nome era Peribea, futura moglie di Telamone e
madre di Aiace di Salamina. L'avrebbe violentata sul posto se
Teseo non fosse insorto, dichiarando che era suo compito, co-
me figlio di Poseidone, di difendere le vergini dall'oltraggio
316 GIOVANNI PLATANIA

dei tiranni. Minosse, allora, gett in mare l'anello d'oro che


portava al dito e gli chiese, se era figlio di Poseidone, di recu-
perarglielo; intanto chiese a Zeus di far vedere che era suo fi-
glio. Zeus invi subito una folgore. Teseo allora si gett dalla
nave che ancora navigava e fu accolto da alcuni delfini che lo
condussero al palazzo delle Nereidi, che trovarono l'anello e
lo consegnarono al fratello mortale.
La dimensione della gioia dei fanciulli ateniesi, quando ri-
videro Teseo, si pot solo paragonare a quella dello sgomento
che invece prov Minosse.
Alla reggia di Cnosso una piacevole sorpresa doveva allie-
tare Teseo: l'amore di Peribea e Ferebea, due delle vergini ate-
niesi, che lo invitarono a giacersi con loro e non furono re-
spinte, e quello della bella Arianna, figlia di Minosse e Pasifae.
Poich a Creta usa che anche le donne assistano ai giochi,
Arianna, presente, rimase attonita davanti all'apparizione di
Teseo ed ammir attonita la sua bravura, quando uno dopo
l'altro super tutti gli avversari (Plutarco, Vita di Teseo).
Spinta dall'amore, offr il suo aiuto all'eroe, che, desideroso
di affrontare il mostro feroce aspirava ad avere la morte oppu-
re il premio glorioso.
Arianna accompagn Teseo nel labirinto, facendogli, se-
condo alcuni mitografi, luce col suo diadema, regalatole da
Dedalo e fabbricato da Efesto con oro e rubini indiani dispo-
sti a forma di rose. Secondo altri, don, su suggerimento di
Dedalo, all'eroe un gomitolo di filo, spiegandogli come avreb-
be dovuto utilizzarlo per uscire dal labirinto. Egli doveva apri-
re la porta d'ingresso ed assicurare allo stipite un capo del filo;
il gomitolo si sarebbe poi srotolato fino alla camera segreta
dove si trovava il Minotauro. Teseo segu il consiglio di Arian-
na e, sorpreso il Minotauro addormentato, lo uccise e lo sacri-
fic al padre Poseidone. Arrotolando poi il filo, di nuovo, in
un gomitolo, raggiunse la porta d'ingresso.
Quindi rap la fanciulla, che doveva fuggire dall'ira di Mi-
nosse, promettendole le nozze ad Atene. Durante il viaggio, i
due giovani, uniti dal giuramento d'amore, furono separati dal
Fato.
L'infuriare improvviso di una tempesta fece approdare la
COSTELLAZIONI E MITI 317

nave sull'isola di Nasso: qui Teseo sbarc con Arianna che,


stanca, chiese di riposare nel bosco vicino alla spiaggia. Quan-
do si svegli, vide la nave di Teseo che si allontanava dalla ri-
va.
Ci piace ricordare che nella frase italiana Piantare in as-
so, asso una corruzione della parola Nasso, indicante
l'isola sulla cui spiaggia fu abbandonata Arianna.
Arianna non rest a lungo col suo dolore. Presto arriv
Dioniso, con la sua corte di Satiri e Baccanti, e le regal una
corona luminosa. Egli era comparso in sogno a Teseo, minac-
ciandolo se non gli avesse ceduto la principessa cretese. Il dio
port aiuto ed abbracci, e, per immortalarla con una costella-
zione le tolse dalla fronte il diadema e lo scagli in cielo
(Met. VIII 177-179). Poi la port con s nel paese degli di,
perch Zeus le aveva concesso l'immunit dalla morte e dalla
vecchiaia. Arianna fu l'unica vera compagna di Dioniso. La
corona fu immortalata in cielo da Dioniso, nella costellazione
della Corona Boreale. (Miti, Agizza).
Teseo avrebbe dovuto cambiare le vele sulla via del ritorno,
ma se ne dimentic. Egeo, il quale spiava il suo ritorno sulla
riva, scorse le vele nere e, credendo che il figlio fosse perito,
svenne e precipit nel mare, che assunse da allora il nome di
Mar Egeo.
Teseo divenne re dell'Attica e si propose di unificare le do-
dici comunit locali nello stato di Atene. I capi delle varie bor-
gate erano abbastanza diffidenti del progetto, ma Teseo, con
un'insospettata abilit diplomatica, riusc a convincerli.
Abol la monarchia, istituendo una democrazia federativa
di cui egli manteneva il potere di comandante in capo e giudi-
ce supremo.
La sua riforma fu l'origine dello splendore di Atene.
Volle che ogni anno si celebrasse il Giorno della Federa-
zione in onore di Atena e della pace. Ai giochi Ateniesi die-
de il nome di Panatenee, poich tutta l'Attica poteva parte-
ciparvi. Fu anche il primo ateniese ad introdurre l'uso della
moneta, coniata con l'immagine di un toro. Costitu una divi-
sione della societ in tre classi: gli Eupatridi, la classe domi-
nante formata da giudici e sacerdoti; i Georgi, che erano la
318 GIOVANNI PLATANIA

fascia economicamente produttiva, formata da contadini e pa-


stori, ed infine i Demiurghi, cio i medici, gli artisti e gli ar-
tigiani di ogni tipo (Miti, Agizza).

Qualche tempo dopo, Teseo si rec, con l'amico Piritoo, fi-


glio di Zeus e di Dia, moglie di Issione, nel paese delle Amaz-
zoni.
L'amicizia tra Teseo e Piritoo aveva origine dalla decisione
di Piritoo di mettere alla prova Teseo, sottraendogli alcune
mandrie nella regione di Maratona. I due giovani s'incontraro-
no, ma furono sedotti dalla reciproca bellezza e spontanea-
mente, mentre sembrava che dovessero iniziare a combattere,
Piritoo offr a Teseo riparazione per gli animali sottratti e si
proclam suo schiavo. Punto dall'emulazione, Teseo rifiut
l'offerta e dichiar di dimenticare il passato. Da allora, i due
eroi compirono insieme tutte le loro imprese.
Le Amazzoni, rallegrate dall'arrivo di cos aitanti guerrieri,
non si opposero ad essi con la violenza.
La loro regina, Antiope, volle anche offrire dei doni a Te-
seo, ma, appena salita sulla nave, fu subito rapita e portata ad
Atene. Orizia, sorella di Antiope, assedi allora la citt con un
potente esercito di Amazzoni. Solo dopo quattro mesi di dura
lotta, esse furono piegate e chiesero la pace, stipulando un de-
coroso armistizio.
Piritoo aveva nel frattempo sposato l'Amazzone Ippoda-
mia, figlia di Bute, ed al loro matrimonio erano intervenuti an-
che i Centauri, parenti della sposa. Questi, eccitati dal vino,
tentarono di violentare Ippodamia e di rapire le donne pre-
senti. Si scaten cos una lotta violenta fra Centauri e Lapiti,
compatrioti di Piritoo, durante la quale molti Centauri furono
uccisi.
Antiope aveva generato un figlio, Ippolito, a Teseo che, al-
leato con Deucalione, re di Creta, stava per sposarne la sorella
Fedra. L'irruzione di Antiope durante il banchetto nuziale e le
sue minacce di uccidere i partecipanti, risolsero Teseo ed i
suoi compagni a chiudere le porte della sala del banchetto ed
ad eliminarla.
Dopo le nozze con Fedra, Teseo mand il figlio Ippolito da
COSTELLAZIONI E MITI 319

Pitteo, che lo adott come suo erede al trono di Trezene, per


evitare conflitti di interesse riguardo al potere su Atene, con
Acamante e Demoofonte, figli di Fedra.
Ippolito aveva ereditato dalla madre Antiope una profonda
devozione per Artemide. Afrodite, che consider ci un tradi-
mento verso di lei, fece in modo che Fedra si innamorasse per-
dutamente di lui. La sua passione la spinse a confessare il pro-
prio amore ad Ippolito che, inorridito da quelle proposte, la
rifiut disprezzandola. In preda alla follia, Fedra si strapp i
vestiti, accusando Ippolito di averla violentata e si impicc ad
una trave del soffitto, lasciando a Teseo un biglietto in cui ac-
cusava Ippolito dell'orrendo crimine. Teseo maledisse il figlio
e preg Poseidone perch morisse in quello stesso giorno. Po-
co dopo, sulla strada per Epidauro, un maremoto sommerse
Ippolito, le sue redini si impigliarono nei rami di un albero e
lui and a sbattere prima contro il tronco dell'albero, poi con-
tro le pietre ed infine fu calpestato a morte dai suoi cavalli. Al-
cuni mitografi sostengono che gli dei ne posero l'immagine fra
gli astri come costellazione dell'Auriga (v. Auriga).
Teseo, con la collaborazione di Piritoo, rap Elena, sorella
dei Dioscuri, mentre eseguiva una danza rituale nel tempio di
Artemide.
I due compagni decisero di tirare Elena a sorte, e colui che
sarebbe stato favorito avrebbe aiutato l'altro a conquistare
Persefone. Teseo ottenne Elena, ma, poich lei non era ancora
in et da marito, la lasci in custodia a sua madre Etra, nella
citt di Afidna. Poi part alla conquista di Persefone.
I due amici consultarono l'oracolo di Zeus, che diede in ri-
sposta: Perch non scendete nel Tartaro per chiedere che
Persefone, moglie di Ade, diventi la sposa di Piritoo? Essa la
pi nobile delle mie figlie. Teseo allib quando Piritoo, che
aveva preso sul serio quel consiglio, gli chiese di tener fede al
giuramento; ma non os rifiutarsi di partire ed insieme disce-
sero nel Tartaro. Ade ascolt con calma la loro richiesta e, si-
mulando cordialit ospitale, li invit a sedersi. Senza sospetta-
re nulla, essi presero posto sulla Sedia dell'Oblio, che divenne
subito carne della loro carne, ed essi non avrebbero pi potu-
to alzarsi senza subire una mutilazione. Per quattro anni Teseo
320 GIOVANNI PLATANIA

e Piritoo subirono il supplizio di essere attorniati da serpenti


sibilanti, fustigati dalle Moire e dilaniati dai denti del cane
Cerbero, mentre Ade li osservava sogghignando.
Eracle scese nell'Ade per catturare Cerbero e li riconobbe
mentre gli tendevano le mani, invocando silenziosamente il
suo aiuto. Persefone concesse ad Eracle di liberare i due im-
prudenti, se gli fosse stato possibile. Eracle afferr Teseo per
le mani e tir, finch, con uno strappo lacerante, Teseo fu libe-
rato, ma buona parte della sua carne rimase attaccata al sedile:
ecco perch i discendenti ateniesi di Teseo hanno le natiche
minuscole. Eracle afferr anche le mani di Piritoo, ma la terra
trem minacciosamente e l'eroe desistette. Cos mor il pi
grande amico di Teseo.
Durante l'assenza di Teseo, i fratelli di Elena, Castore e
Polluce (v. Gemelli), invasero l'Attica e cominciarono col re-
clamare pacificamente la sorella presso il popolo di Atene.
I Dioscuri avevano riunito un esercito di Lacedemoni e di
Arcadi, ma gli Ateniesi risposero che Elena non era nella loro
citt, e che essi non sapevano affatto dove si trovasse, e i Dio-
scuri allora cominciarono a devastare l'Attica, finch gli abi-
tanti di Decelea, che non approvavano il ratto di Elena da par-
te di Teseo, li guidarono ad Afidna, dove essi ritrovarono la
sorella. Essi rasero al suolo Afidna, ma i Decelei furono esen-
tati dalle tasse ed ebbero diritto ai posti d'onore durante le fe-
ste Spartane.
Inoltre i Dioscuri richiamarono dall'esilio Menestreo, figlio
di Peteo, che era stato esiliato da Egeo, e lo elessero reggente
ad Atene.
I Dioscuri divennero cittadini onorari di Atene e riportaro-
no a Sparta Elena con la madre di Teseo Etra e la sorella di Pi-
ritoo come ancella. Elena, nel frattempo era rimasta incinta di
Teseo, e sulla via del ritorno, diede alla luce una bimba, Ifige-
nia.
Teseo fece uscire segretamente dalla citt i suoi figli, che ri-
pararono in Eubea presso Elpenore, figlio di Calcodonte e,
dopo aver maledetto Atene dall'alto del monte Gargetto,
salp per Creta, dove Deucalione aveva promesso di dargli
asilo.
COSTELLAZIONI E MITI 321

La nave di Teseo, spinta da tempesta, approd nell'isola di


Sciro dove il re Licomede, bench grande amico di Mene-
streo, gli fece una splendida accoglienza, degna della sua fama
e del suo lignaggio. Teseo, che aveva ereditato delle terre in
Sciro, chiese il permesso di stabilirsi nell'isola, ma Licomede,
che da molto tempo considerava quelle terre come sue, col
pretesto di mostrargli dove giungessero i loro confini, lo guid
su un alto promontorio e di l lo fece precipitare in mare, di-
cendo poi a tutti che vi era caduto incidentalmente, mentre
passeggiava dopo cena con il cervello annebbiato dal vino
(Miti).
Menestreo, oramai signore incontrastato di Atene, fu uno
dei pretendenti di Elena e guid l'esercito Ateniese a Troia,
dove ebbe fama di grande stratega; ma mor in battaglia. Gli
succedettero i figli di Teseo.
322 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 323

DRAGO
324 GIOVANNI PLATANIA

Drago
COSTELLAZIONI E MITI 325

Nebulosa Planetaria NGC 6543 vista da Hubble


326 GIOVANNI PLATANIA

Galassia NGC 5866


COSTELLAZIONI E MITI 327
328 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 329

Costellazione circumpolare.

Il Drago contiene il polo nord dell'eclittica, cio il centro


della circonferenza descritta dal polo celeste in 26000 anni e
dovuta al moto di precessione dell'asse di rotazione terrestre.

Alfa, o Thuban, il Drago, con m = 3.7, non tra le pi bril-


lanti della costellazione. Attorno al 2700 a.C. era la polare, in
particolare per l'antico Egitto, e nel 2830 a.C. distava dal polo
nord celeste solo 10'; tra circa 21000 anni sar di nuovo la po-
lare.
La pi luminosa invece Gamma, o Etamin (la testa del
Drago), con m = 2.2; cercando di misurarne la parallasse, si
scopr l'aberrazione della luce, prima prova diretta del moto
orbitale della Terra.
Anche Beta, Alwaid, con m = 2.8, pi luminosa di Alfa.

Secondo la mitografia, il Drago rappresenta il feroce Lado-


ne, con cento teste, custode dei frutti d'oro di un melo, dono
di nozze di Gea ad Era.
Gea piant l'albero delle mele d'oro nel proprio giardino e
concesse ad Atlante il permesso di libero pascolo per le greggi
e le mandrie di propriet del titano, in cambio dell'impegno di
custodire il melo dai frutti d'oro.
Temi, la prima moglie di Zeus, mise in guardia Atlante: il
tuo albero sar spogliato dei pomi d'oro da un figlio Zeus.
Atlante, preoccupato della predizione della dea, affid l'albe-
ro dalle mele d'oro alle proprie figlie, le Esperidi, ninfe di po-
nente, che abitavano nel meraviglioso giardino, noto come il
giardino delle Esperidi, ai piedi del monte Atlante.
Le Esperidi erano Espera, Egle ed Eriteide, figlie di Atlan-
te e della Notte. Esse cantavano in coro presso fonti sorgive
che diffondevano ambrosia.

Un altro mito sulle Esperidi racconta che erano sette figlie


330 GIOVANNI PLATANIA

di Atlante e di Esperide, sua nipote. Possedevano grandi greg-


gi di montoni ed il re d'Egitto, Busiride, loro vicino, aveva
mandato dei briganti a razziare il loro gregge ed a rapire le
giovani. Eracle giunse nel paese, uccise i briganti, sottrasse lo-
ro il bottino, liber le Esperidi e le restitu ad Atlante. Questi,
come ricompensa, gli insegn l'astronomia.
Le fanciulle, attratte dalla bellezza delle mele d'oro, ne col-
sero tre ed Era, contrariata, ordin al drago Ladone di avvol-
gersi attorno all'albero e di non permettere ad alcuno di avvi-
cinarsi.
Eracle ignorava il luogo dove si trovavano le mele d'oro e
perci arriv al Giardino delle Esperidi dopo un lungo pere-
grinare: attravers l'Illiria, raggiunse il fiume Eridano e qui af-
front e vinse il dio del mare profondo, Nereo.
Nereo, figlio di Gea e Ponto, ebbe come moglie Doride, fi-
glia di Oceano, e con lei gener le Nereidi. Aveva il potere di
trasformarsi in qualunque specie di animale e di essere, ma
Eracle riusc a bloccarlo ed a farsi dare le informazioni volute
sul Giardino delle Esperidi.
Nereo inoltre gli consigli anche di non cogliere i pomi
con le proprie mani ma farle cogliere ad Atlante, ormai con-
dannato a reggere eternamente la sfera terrestre sulle spalle.
Giunto al giardino, Eracle chiese ad Atlante di cogliere i
frutti d'oro del melo sacro ad Era promettendo in cambio di
sostituirsi a lui per un'ora nel sorreggere il globo terrestre. Pur
di avere un breve riposo Atlante accett ma temeva il drago
Ladone e cos Eracle uccise il drago colpendolo con una frec-
cia imbevuta del sangue velenoso dell'Idra di Lerna, la cui uc-
cisione era stata una delle sue fatiche: ora Atlante era tranquil-
lo e pot offrire il proprio aiuto all'eroe tebano.
Eracle si sostitu ad Atlante che, finalmente libero dal peso
del globo, prese le tre mele d'oro, quelle che le figlie avevano
gi raccolto in precedenza, le mostr ad Eracle e, venendo
meno ai patti, gli disse che sarebbe stato lui stesso a portarle
ad Euristeo; lo rassicur, per, nello stesso tempo, che avreb-
be ripreso il proprio posto ed il proprio peso al ritorno dalla
consegna.
Euristeo era il sovrano, fratello di Eracle, che si era inva-
COSTELLAZIONI E MITI 331

ghito delle mele d'oro del giardino delle Esperidi e che aveva
imposto ad Eracle di compiere le dodici fatiche, di cui una era
l'uccisione del Drago Ladone.
Eracle, memore dei consigli di Nereo, non reag alla provo-
cazione di Atlante, anzi fingendo di essere d'accordo, chiese al
titano di reggere solo per alcuni minuti il globo, perch potes-
se meglio fasciarsi il capo e sopportare cos pi agevolmente
l'enorme peso durante la sua assenza. Atlante, ingannato dalla
naturalezza di comportamento di Eracle, pose a terra le tre
mele d'oro e riprese sulle proprie spalle la sfera terrestre. Ed
Eracle salut beffardamente il titano, prese le tre mele d'oro e
si allontan.
Il drago Ladone fu trasformato da Era in costellazione per-
ch gli uomini, ammirandola alta nel cielo, avrebbero ricorda-
to il terribile animale non per la sua mostruosit, ma quale
esempio di fedelt e di ubbidienza.

Un altro mito racconta che Eracle, per appagare l'ultimo


desiderio di Euristeo e compiere l'ultima fatica, discese nel re-
gno dei morti per catturare Cerbero e condurlo alla presenza
del sovrano cui doveva ubbidienza per volere di Zeus.
L'Ade diviso in tre zone: la prima, l'Erebo, il regno della
notte e della Morte, la seconda, il Tartaro, che accoglie le ani-
me malvagie, l'ultima, i Campi Elisi, dove pace e delizia ralle-
grano le anime dei buoni.
All'Erebo si entra da larghe porte ma non consentito
uscirne: le porte sono custodite da Cerbero, mostruoso anima-
le, met cane e met Drago che, con tre bavose teste, latra di
continuo e strazia di morsi chiunque tenti di fuggire.
Eracle, accompagnato da Hermes, ottenne da Ade, re del-
l'oltretomba, il consenso di lottare contro il cane a tre teste,
purch lo affrontasse senz'armi. E cos Eracle lo assal con la
sola forza delle mani: afferrate e tramortite le tre teste, inca-
ten il mostruoso animale che, ormai innocuo, fu trascinato
fuori dall'Erebo e condotto alla reggia di Euristeo ed a lui
consegnato.
Il tiranno, impressionato da quell'orribile bestia che, pur
incatenata, cercava di assalire e dilaniare i presenti, ebbe pau-
332 GIOVANNI PLATANIA

ra ed ordin all'eroe tebano di riportarla nell'Ade (v. Eracle).


Gli antichi erano convinti che il ricordo del trionfo della
forza del bene sulle tenebre del male del Drago-Cerbero veni-
va perpetuato nella disposizione delle stelle della costellazione
Drago, non lontana da quella di Ercole, ed erano sicuri che
l'eroe tebano anche da lass sarebbe stato sempre pronto ad
intervenire per abbatterlo in caso di necessit.

Un altro mito ancora racconta che il Drago era uno dei


mostri che lottarono con i Titani, i vecchi di, nella guerra co-
smica nella quale gli dei olimpici soppiantarono i Titani stessi
nel governo dell'Universo. Verso la fine della guerra, la dea
Atena si trov di fronte al Drago. Essa lo afferr per la coda e
lo scagli tra le stelle. Il Drago colp la volta celeste e si attor-
cigli con le sue spire intorno al centro di rotazione del cielo.
Si congel sul posto e non pot districare le sue spire, cos
continua tuttora a girare intorno al polo.

I Sumeri consideravano il Drago come il mostro femminile


Tiamat, simbolo del caos primordiale, che fu sconfitta da Mar-
duk in un epico duello alla fine del quale Tiamat fu tagliata in
due pezzi, una met divenne la costellazione del Drago e l'al-
tra la costellazione dell'Idra.

Il fatto che le stelle del Drago non tramontassero mai, ma


occupassero anche una grande zona centrale tra le costellazio-
ni circumpolari, faceva di questa creatura il vero simbolo del-
l'eternit, della consapevolezza e della vigilanza.
COSTELLAZIONI E MITI 333

ERACLE

Eracle
334 GIOVANNI PLATANIA

Eracle
COSTELLAZIONI E MITI 335

Ammasso Globulare M13 in Eracle


336 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 337

Costellazione estiva.

Dal nome latino di Eracle, Ercole, deriva il nome della


citt campana di Ercolano, sede di famosissimi scavi archeolo-
gici.

Alfa si chiama Ras Algethi, in Arabo il capo del ginoc-


chio; sia doppia che variabile, con m compreso tra 3 e 4, in
modo irregolare.
Beta Rutilico, zappa, stella doppia con m = 3.5.
Le altre stelle a cui attribuito un nome sono Lambda,
Masym, il polso con m = 4.8; Delta, Sarin, con m = 3; Kap-
pa, Mirkaf, il gomito, con m = 5; Omega, Cujam, la clava,
con m = 4.

Zeus scelse Alcmena, la bella e saggia figlia di Elettione, re


di Micene, per generare un figlio tanto forte da essere la gloria
degli uomini e da impedire lo sterminio degli uomini e degli
di.
Alcmena discendeva dirattamente da Perseo ed il re degli
di desiderava quel figlio che voleva artefice di memorabili
vittorie su mostri giganteschi che uccidevano uomini ed ani-
mali, che devastavano terre coltivate ed opulenti villaggi.
Zeus conquist Alcmena con un malizioso raggiro: prese
l'aspetto del marito Anfitrione, che le aveva annunciato il suo
ritorno da una guerra vittoriosa.
La giovane sposa, senza sospettare l'inganno, accolse Zeus-
Anfitrione con grande slancio d'amore per una notte che Zeus
stesso fece durare per tre. Ermes, per ordine di Zeus, aveva in-
dotto Helios a non uscire ed al Sonno di intorpidire le menti
degli uomini affinch non si accorgessero di quanto stava suc-
cedendo.
Contrariamente a quanto era accaduto per i suoi preceden-
ti amori mortali, da Niobe in poi, Zeus non violent brusca-
mente Alcmena, ma si prese la briga di assumere le sembianze
338 GIOVANNI PLATANIA

di Anfitrione e di sedurla con parole affettuose e carezze.


Alcmena godette delle gioie coniugali col suo supposto
marito per trentasei ore e ne nacquero due gemelli, Euristeo
ed Eracle. Euristeo era figlio di Anfitrione ed Eracle figlio di
Zeus. Infatti Alcmena, durante questa notte di due giorni, si
un anche al vero Anfitrione
Anfitrione scopr l'involontaria infedelt di Alcmena e vol-
le punirla: decise di bruciarla su una pira, ma Zeus fece cadere
un acquazzone che ne spense le fiamme. Di fronte a questo av-
venimento, Anfitrione perdon Alcmena.
Nel momento in cui Eracle stava per nascere, Era archi-
tett, per gelosia, un inganno contro Zeus.
Zeus aveva, infatti, dichiarato che il discendente di Perseo
che stava per nascere, avrebbe regnato su Micene.
Era, gelosa, convinse Illizia, la dea dei parti, figlia proprio
di Zeus ed Era, a ritardare la nascita di Eracle ed ad affrettare
quella di Euristeo, che era soltanto al settimo mese dal conce-
pimento. Euristeo nacque per primo e benefici della promes-
sa fatta da Zeus.
Dopo il parto Alcmena, temendo l'ira di Era, abbandon
Eracle fuori le mura di Tebe in un luogo impervio.
Eracle era destinato a morte sicura, ma lo salv l'intervento
tempestivo di Zeus, che chiese aiuto ad Atena che, con un
pretesto, convinse Era a passeggiare con lei. La condusse fuori
le mura di Tebe e proprio l le addit, mostrandosi sorpresa, il
piccino verso cui si diresse precipitosamente.
Si chin, lo prese tra le braccia, ed inneggiando alla bellez-
za del piccolo, disprezz la madre snaturata che l'aveva ha ab-
bandonato e chiese ad Era di allattarlo, porgendoglielo tenera-
mente. La regina degli di si denud il petto ed il piccino, af-
famato, lo afferr con tale forza che il divino latte fuoriusc dal
seno di Era e come un getto raggiunse il firmamento: nacque
cos la Via Lattea.
La dea nutr il piccino che acquist l'immortalit, perch
nutrito con il latte della regina dell'Olimpo, e che chiam Era-
cle ovvero gloria di Era.
Quando Era scopr chi era il piccino, si sent tradita e volle
vendicarsi. Piena d'ira invi presso la culla in cui era stato
COSTELLAZIONI E MITI 339

adagiato Eracle, due grossi serpenti perch lo uccidessero. Per


nulla spaventato il piccolo Eracle soffoc i due serpenti con le
proprie manine.
Vari maestri lo educarono nell'arte della guerra, in cui riu-
sc ottimamente. Inoltre fu educato da Anfitrione alla giuda
del cocchio, da Castore alle armi, da Autolico alla lotta, da
Eurito al tiro con l'arco, da Eumolpo alla musica e da Chirone
alle lettere ed alle scienze.
Egli, per contro, non era per niente incline allo studio della
musica e delle lettere: rimproverato e picchiato dal maestro di
scrittura, Lino, si infuri a tal punto che gli spacc la testa con
una pesante cetra, uccidendolo.
Accusato di assassinio, il giovane Eracle avanz a sua di-
scolpa la legge di Radamanto sulla legittima difesa contro un
aggressore.
Fu prosciolto dall'accusa ma Anfitrione lo confin in una
sua tenuta di campagna, dove visse, irrobustendo il fisico, fino
ai diciotto anni, quando decise di affrontare un feroce leone
che viveva sul monte Cicerone e che tanti danni aveva fatto al
bestiame di Anfitrione ed a quello del suo vicino, il re Tespio.
Quest'ultimo aveva sposato Megamede e ne aveva avuto
cinquanta figlie. Preoccupato che avessero compagni inadatti
alla loro regalit, egli le aveva fatte giacere con Eracle, da cui
sperava rimanessero ingravidate.
Eracle dorm nella reggia di Tespio per cinquanta notti di
seguito, convinto di dormire sempre con la stessa donna, men-
tre le cinquanta sorelle si scambiavano a turno. Da questi in-
contri nacquero i cinquanta Tespiadi, figli dell'eroe.
Mentre di notte era occupato a letto con le figlie di Tespio,
Eracle di giorno continuava la caccia al tremendo leone.
Finalmente lo trov e lo uccise colpendolo con una clava
ricavata dal tronco di un albero sradicato, poi ne us la pelle
come trofeo.
Eracle lott anche al fianco dei giovani tebani, in una guer-
ra vittoriosa contro i Mini e spos Megara, figlia del re di Te-
be, Creonte, dalla quale ebbe numerosi figli.
Quando Eracle era partito per gli Inferi a cercare Cerbero
per conto di Euristeo (v. dopo), nella citt di Tebe giunse Lico
340 GIOVANNI PLATANIA

per detronizzare Creonte e metterlo a morte. Era quasi sul


punto di uccidere Megara ed i suoi figli, quando Eracle ri-
torn e cominci con l'uccidere Lico; ma Era, irata per l'eroi-
smo di Eracle, lo colp d'improvvisa follia: uccise i suoi figli e
la loro madre, per poi recarsi, pentito, presso l'oracolo di Del-
fi, per sapere come espiare le sue colpe.
La Pizia gli consigli di recarsi a Tirinto, dove regnava Eu-
risteo, gemello di Eracle, del quale doveva divenire suddito
con l'obbligo di servirlo per dodici anni e riscattare cos la
propria libert. Lietissimo di sentirsi protetto da un cos gran-
de eroe, il sovrano, col trascorrere del tempo, incominci per
ad averne timore.
Euristeo lo allontan dalla corte, sospettoso che un giorno
lo avrebbe destituito, e gli impose di compiere le dodici fati-
che, una per ogni anno di sudditanza.
Le dodici fatiche simboleggiano le sofferenze che ogni uo-
mo deve saper affrontare per potersi conquistare un'esistenza
libera. (Agizza).

Le dodici fatiche sono:


1. Il leone di Nemea
2. L'Idra di Lerna
3. La cerva di Cerinea
4. Il cinghiale di Erimanto
5. Gli uccelli del lago Stinfalo
6. Le stalle di Augia
7. Il toro di Creta
8. Le cavalle di Diomede
9. Il cinto della regina delle Amazzoni
10. I buoi di Gerione
11. Il cane Cerbero
12. I pomi d'oro del giardino delle Esperidi

La prima fatica l'uccisione del leone di Nemea. Il feroce


animale dalla pelle invulnerabile figlio di Artemide. Alla sua
nascita la madre rimase inorridita e lo gett sulla Terra, dove
cadde vicino Nemea, nell'Argolide. Si insedi in una grotta
con due uscite. La belva era invulnerabile e non poteva essere
COSTELLAZIONI E MITI 341

uccisa n con frecce n con colpi di clava, ma Eracle con la


forza delle proprie mani la soffoc e dalla fulva pelle del leo-
ne, ucciso e scuoiato con un suo stesso artiglio, ricav la tuni-
ca invulnerabile che avrebbe indossato per tutta la vita. Egli
torn poi a Micene portando l'enorme carcassa del leone ad
Euristeo che fu cos impaurito che gli proib di entrare a pa-
lazzo con le sue prede future.

La seconda fatica fu quella di distruggere l'Idra di Lerna,


un mostro con molte teste, che Era aveva posto all'ingresso
del regno di Ade. L'Idra, un serpente d'acqua, se ne stava in
agguato in una palude vicino alla citt di Lerna, divorando gli
incauti passanti. Eracle si ciment col mostro, ma non appena
tagli una delle sue teste altre due ne spuntarono al suo posto.
A rendere le cose pi difficili, un grosso granchio sbuc dalla
palude e lo attacc ai piedi. Adirato, l'eroe schiacci il gran-
chio e chiam in soccorso Iolao, suo nipote e suo cocchiere,
che bruci il moncone di ciascuna testa del mostro man mano
che il suo padrone la mozzava, per evitare che ne crescesse
un'altra. La testa centrale, invulnerabile, fu schiacciata con un
masso. Eracle sventr l'Idra ed affond le sue frecce in quel
sangue velenoso, un'azione che alla fine fu la causa della sua
distruzione.

La fatica seguente, la terza, fu la cattura della cerva di Ceri-


nea, monte tra l'Arcadia e l'Acaia, che aveva corna e zoccoli
d'oro ed era sacra ad Artemide: per questo doveva essere cat-
turata viva. Eracle le diede la caccia per un anno, inseguendo-
la per monti e foreste finch, presso il fiume Ladone, ai confi-
ni del Giardino delle Esperidi, la raggiunse e la cattur con
una rete. Le leg insieme le zampe e se la caric sulle spalle
per portarla a Micene. Per strada incontr Apollo ed Artemi-
de, irata per i maltrattamenti alla bestia a lei consacrata, e do-
vette fare le sue scuse ai suoi fratelli, figli di Latona, adducen-
do come attenuante il fatto che l'impresa non era stata una sua
iniziativa, ma eseguita su ordine di Euristeo.

La quarta fu la cattura del ferocissimo cinghiale di nome


342 GIOVANNI PLATANIA

Calidonio, che infestava e recava danno nelle regioni vicine ad


Erimanto. Eracle doveva catturlo vivo, cos come aveva fatto
per la cerva di Cerinea.
Mentre si trovava sulla via del compimento di quest'impre-
sa, era stato ospitato dal centauro Folo, figlio di Sileno, che gli
aveva offerto del vino, il cui odore aveva attirato altri centauri;
ne era nata una zuffa durante la quale Eracle ne aveva uccisi
alcuni ed altri li aveva ricacciati a Capo Malea, dove era la ca-
verna del centauro Chirone.
Eracle uccise, involontariamente, anche lui, poi cerc di
soccorrerlo e di curare la ferita della freccia, ma il veleno del-
l'Idra che ne ricopriva la punta fu implacabile. Chirone, che
non riusciva a guarire e non poteva morire, prefer rinunciare
all'immortalit, pur di porre fine al suo dolore.
Ci fu anche una seconda vittima innocente: Folo. Folo stes-
so estrasse da un cadavere una delle frecce e la guardava sba-
lordito, quando gli cadde di mano e lo colp ad un piede, ucci-
dendolo. Eracle allora riprese la caccia al cinghiale di Eriman-
to e cominci a lanciare alte grida per stanarlo. Quando l'ebbe
catturato se lo caric sulle spalle e lo port ad Euristeo che, al-
la vista del cinghiale vivo, si nascose impaurito in un orcio di
bronzo.

La fatica seguente, la quinta, lo port presso il lago di Stin-


falo, nell'Arcadia, dove disperse uno stormo di uccelli con ar-
tigli, becco e piume di bronzo, che scagliavano come frecce e
saccheggiavano di tutto, nutrendosi anche di carne umana.
Pare che fossero stati addestrati da Ares stesso.
Ne uccise alcuni con le armi di cui disponeva e gli altri li
scacci spaventandoli con alcuni sonagli di bronzo, opera di
Efesto, che gli erano stati donati da Atena. I volatili riuscirono
a farla franca fuggendo nel Mar Nero, dove in seguito attacca-
rono Giasone e gli Argonauti.

La sesta consistette nella pulizia delle stalle di Augia, re de-


gli Epei nell'Elide e figlio di Elios. Queste stalle contenevano
il pi ricco allevamento del mondo, con animali immuni da
malattie e con un'incredibile fertilit, ma erano piene del leta-
COSTELLAZIONI E MITI 343

me accumulatosi da anni. Eracle concluse col re un affare: in


cambio della pulitura delle stalle, il re gli avrebbe dato un de-
cimo del suo bestiame. Egli riusc nell'impresa deviando il
corso di due fiumi, l'Alfeo ed il Peneo. Le acque lavarono le
stalle, gli ovili e la vallata.
Augia, sostenendo di essere stato ingannato, non tenne fe-
de al patto e band Eracle dall'Elide. Euristeo volle inoltre in-
validare la prova, accusando Eracle di aver agito per interesse
economico.

Poi Eracle salp alla volta di Creta per catturare un toro


che lanciava fiamme dalla bocca e che stava devastando quel
territorio. Il toro era stato regalato da Poseidone a Minosse
perch ne facesse un sacrificio votivo: egli, grazie all'apparizio-
ne di questo toro, era diventato re di Micene, per non volle
pi sacrificarlo (v. Toro).
Eracle riusc a catturarlo ed a riportarlo vivo a Micene. Eu-
risteo lo consacr ad Era e lo lasci libero. L'animale provoc
lutti e danni in tutto il Peloponneso, finch a Maratona fu uc-
ciso da Teseo, che lo sacrific ad Apollo.

Come ottava fatica Eracle port ad Euristeo le cavalle di-


voratrici di carne umana del re Diomede di Tracia, figlio di
Ares e di Pirene.
Diomede stesso forniva loro il cibo con l'uccisione di tutti
gli stranieri che passavano per la sua terra. Eracle, avendo
bloccato i servi che avevano la cura delle bestie, le leg e diede
loro in pasto lo stesso Diomede, per punirlo delle sue sangui-
narie malefatte. Le giumente, ormai placata la fame, furono fa-
cilmente addomesticate, catturate e portate vive al re Euristeo,
il quale le consacr ad Era.

La nona fu la conquista della cintura di Ippolita, regina


delle amazzoni, che era stata un dono di Ares per simboleggia-
re il potere, ma era desiderata da Admeta, figlia di Euristeo.
Ippolita avrebbe acconsentito volentieri a dare la sua cintura
ad Eracle, ma Era, gelosa dell'eroe, suscit una sedizione fra le
amazzoni ed Eracle dovette uccidere Ippolita.
344 GIOVANNI PLATANIA

Egli si era recato a Temiscira, la citt delle amazzoni, ac-


compagnato da altri eroi quali Teseo, Peleo, Telamone. Teseo
rap Antiope e per vendetta le amazzoni marciarono su Atene,
ma furono sconfitte dagli uomini di Teseo.
Secondo un'altra leggenda, Eracle ottenne la cintura, ma
non uccise Ippolita, bens la diede in sposa a Teseo (v. Corona
Boreale).

La decima fu rubare il bestiame di Gerione, un mostro con


tre corpi che governava l'isola di Eritea, lontano ad occidente.
I buoi erano custoditi da un gigantesco pastore, Eurizone e da
un cane bicipite che si chiamava Orto.
Bebrice era il re che regnava sulle popolazioni indigene
nella regione di Narbona, in quella zona che oggi chiamiamo
Francia. Eracle attravers il paese ed alla corte di Bebrice si
ubriac e violent Pirene, la figlia di Bebrice, la quale partor
un serpente. Spaventata, Pirene scapp sulle montagne, dove
fu dilaniata dalle bestie feroci. Quando Eracle ritorn dalla
spedizione, ne ritrov il corpo al quale tribut onori funebri
ed in suo ricordo chiam quelle montagne Pirenei.
Veleggiando sul carro del Sole verso occidente, Eracle
giunse a Tartasso, ai limiti del mondo noto.
Eracle eresse le colonne dello stretto di Gibilterra, che da
lui presero il nome di colonne d'Eracle (Ercole). Uccise i
guardiani e port via i buoi; trafisse anche Gerione con una
sola freccia che trapass tutti e tre i suoi corpi entrando da un
fianco e poi port il bestiame in Grecia. Mentre costeggiava la
Liguria, a sud della Francia, fu attaccato da forze locali, guida-
te dai briganti Alchione e Dercino, figli di Poseidone, tanto
numerose da farlo restare a corto di frecce. Buttatosi in ginoc-
chio, supplic Zeus di aiutarlo, e Zeus fece piovere pietre sulla
pianura. Eracle le afferr e le lanci contro i suoi assalitori,
sgominandoli.
Poi si rec lungo il Tevere dove Caco, figlio di Efesto, volle
rubargli i buoi, che trascin per la coda, cosicch le tracce
sembravano dirigersi fuori dalla caverna e non verso di essa.
Quando Eracle si accorse del furto, part alla ricerca dei suoi
buoi, e sarebbe stato ingannato dallo stratagemma di Caco se
COSTELLAZIONI E MITI 345

non fosse stato informato da Caca, la sorella di Caco. Si accese


la lotta tra Eracle e Caco, che aveva tre teste e soffiava fuoco
da tre bocche. Ma Eracle, con la sua mazza, non tard a so-
praffarlo ed ucciderlo. Il re Evandro, che regnava allora a Pal-
lanteo (la futura Roma), lo ringrazi per aver liberato il paese
da un devastatore come Caco e gli predisse, tramite la madre
Carmenta, che il Cielo lo avrebbe ricompensato dandogli ono-
ri divini.
Dopo ulteriori avventure, Eracle torn in patria e conse-
gn i buoi ad Euristeo che li sacrific tutti ad Era.

Quando Eracle ritorn dall'ultima delle sue imprese, che


doveva essere effettivamente l'ultima, Euristeo si rifiut di re-
stituirgli la libert perch era stato aiutato ad uccidere l'Idra e
perch aveva tentato di ricavare profitto dalla pulitura delle
stalle. Di conseguenza gli diede altri due compiti, pi difficili
di tutti i precedenti.

Il primo fu quello di rubare le mele d'oro dal giardino di


Era sulle pendici del monte Atlante. L'albero dai frutti d'oro
era un dono della Madre Terra, Gea, ad Era in occasione delle
sue nozze con Zeus. Era mise le Esperidi, figlie di Atlante, a
guardia dell'albero, ma esse rubarono alcuni di quei frutti. E
cos adesso c'era il drago Ladone, figlio di Echidna, attorci-
gliato attorno all'albero per evitare ulteriori furtarelli. Dopo
un viaggio eroico, durante il quale liber Prometeo dalle sue
catene, Eracle giunse nel giardino delle Esperidi in cui cresce-
vano le mele d'oro. L vicino c'era Atlante, che teneva i cieli
sulle spalle. Eracle liquid Ladone con frecce avvelenate nel
sangue dell'Idra di Lerna, anch'essa figlia di Echidna, ed Era
pose il Drago in cielo come costellazione. Eracle era stato am-
monito da Prometeo di non raccogliere lui le mele, cos chiese
ad Atlante di prendergliele mentre egli stesso sosteneva tem-
poraneamente i cieli. Poi ripose in fretta quel peso sulle spalle
di Atlante e si port via il tesoro (v. peraltro Drago).
I pomi, per, dopo poco tempo furono riportati da Atena
al loro posto, dove sarebbero rimasti per sempre, perch a
nessun mortale era concesso il possesso di quei frutti che da-
346 GIOVANNI PLATANIA

vano al loro proprietario la conoscenza degli arcani e la perce-


zione del bene e del male.

La dodicesima fatica fu la pi spaventosa di tutte. Lo port


di fronte al cancello del Mondo dell'Oltretomba per catturare
Cerbero, il cane da guardia a tre teste. Eracle fu aiutato, per
ordine di Zeus, da Ermes ed Atena, che gli permisero di giun-
gere alle porte dell'Ade, dove ebbe molti incontri ed avventu-
re: l'uccisione della gorgone Medusa, la liberazione di Teseo,
la zuffa col pastore di Ade, Menenzio.
Ade voleva impedirgli in tutti i modi l'accesso al proprio
regno e cerc di fermarlo sull'ingresso, ma Eracle lo fer con
una freccia alla spalla ed Ade dovette essere riportato in gran
fretta sull'Olimpo, dove fu guarito da Peano che gli applic
un balsamo meraviglioso che in breve cicatrizz la ferita.
Ade gli permise allora di catturare Cerbero, ma senza fare
uso delle armi; permetteva all'eroe di portare il mostruoso ani-
male verso la luce, con l'impegno che lo restituisse subito al
regno al quale per sempre doveva appartenere. Cerbero aveva
la coda di drago e la schiena ricoperta di serpenti, ma Eracle,
protetto dalla coda e dai serpenti dalla pelle del Leone di Ne-
mea, lott contro Cerbero a mani nude e trascin il cane pri-
gioniero ad Euristeo, che rimase sbigottito perch non imma-
ginava di rivederlo vivo. Eracle poi lo riport indietro. Ades-
so, dopo che tutte le fatiche erano state compiute, il re non
aveva altra scelta che restituire all'eroe la libert.

Al ritorno dalla sua ultima fatica, Eracle ripudi la moglie


Megara, che aveva vissuto il grave dolore di vedere i propri fi-
gli uccisi dal loro stesso padre in preda del demone della follia
Lissa, e la diede in sposa al nipote Iolao (v Prima Parte).
Per una lite col fratello Apollo, interrotta da un fulmine
Zeus, Eracle fu condannato a servire per tre anni la regina di
Lidia, Onfale, figlia di Giordano e moglie di Tmolo, figlio di
Ares. Tmolo fu ucciso da un toro scatenatogli contro da Arte-
mide per aver violentato la sua devota Arippe. Onfale, rimasta
vedova, regn sulla Lidia e riusc a dare un equilibrio interno
al paese. Eracle divenne il suo amante e ne ricevette tre figli:
COSTELLAZIONI E MITI 347

Lamo, Agelao e Laomedonte. Una notte i due amanti, per gio-


co, si erano scambiate le vesti e si erano addormentati in giaci-
gli separati in una grotta.
Il dio Pan, innamoratosi perdutamente di Onfale, entr
nell'oscura caverna e, ingannato dalle vesti femminili, si sdrai
accanto ed Eracle che, con un poderoso calcio, lo scaravent
lontano. Onfale accese delle torce per smascherare l'intruso, e
quando la grotta s'illumin rivel il figlio di Ermes ferito e do-
lorante. Onfale ed Eracle scoppiarono in una fragorosa ed ir-
resistibile risata, che mise in fuga Pan. Per vendicarsi, Pan ini-
zi a raccontare fasulle inclinazioni lascive sul conto di Eracle.
(Agizza).

Allo scadere dei tre anni di servaggio, Eracle si conged da


Onfale, ritorn in patria e spos Deianira, figlia di Eneo, re
dell'Etolia, e di Altea.
In realt il padre di Deianira era il dio Dioniso, che si era
invaghito di Altea, ed Eneo, che se era accorto, gli prest la
moglie. In cambio Eneo ebbe da Dioniso in regalo la vite ed il
modo per coltivarla e trarne il vino. Anche Meleagro non fi-
glio di Eneo, ma di Ares. D'altra parte Eneo ebbe da Altea nu-
merosi figli e figlie, tra cui Deianira.
Altea ebbe, dopo sette giorni dalla nascita del figlio, la pre-
dizione dalle Moire, le Fate del Destino, che il figlio sarebbe
morto se il tizzone che bruciava allora sul focolare si fosse
consumato interamente; subito Altea prese il tizzone, lo spen-
se e lo nascose in un cofanetto.
Ora successe che Meleagro, durante una battuta di caccia,
uccidesse i suoi zii, i fratelli di Altea, a causa di un diverbio
per la spartizione di un cinghiale.
Irritata, Altea gett nel fuoco il tizzone al quale era legata
la vita del figlio. Meleagro mor all'istante ed Altea, per la di-
sperazione, si impicc.
Le figlie di Eneo, per la disperazione, furono trasformate
in galline faraone, ma, su preghiera di Dioniso, Deianira e sua
sorella Gorga riacquistarono la forma umana.
Deianira, inoltre, sapeva guidare un carro e conosceva l'ar-
te della guerra.
348 GIOVANNI PLATANIA

Acheloo, figlio di Oceano e Teti, era il dio-fiume dell'Eto-


lia ed aveva il dono della metamorfosi, vale a dire poteva rive-
stire la forma che preferiva. Chiese la mano di Deianira, che in
realt non ci teneva molto ad avere un marito con un dono
per lei tanto scomodo. Quando anche Eracle la chiese in mo-
glie, ella accett immediatamente.
Tuttavia Eracle dovette lottare con Acheloo, che non si ras-
segn facilmente a lasciarsi soppiantare. Vi fu un combatti-
mento tra i due pretendenti, e se Eracle us tutta la sua forza,
Acheloo us tutti i suoi poteri. Quando alla fine si tramut in
toro, Eracle gli strapp un corno, ed allora Acheloo si consi-
der vinto e si arrese. Gli cedette il diritto di sposare Deianira,
ed il corno divenne la Cornucopia (v. peraltro Capricorno).
D'altra parte il carattere di Acheloo non doveva essere
molto facile. Mentre un giorno quattro ninfe del paese faceva-
no facevano sacrifici sulle rive dell'Acheloo, dimenticarono,
fra gli di invocati, quello del fiume. Incollerito, questi gonfi
le sue acque e le trascin nel mare, dove esse diventarono
quattro delle isole Echinadi. La quinta isola del gruppo, Peri-
mele, era una ragazza che il dio aveva amato e che aveva sver-
ginato. Il padre di Perimele, Ippodamante, irritato contro la
figlia, la gett nel fiume nel momento in cui la giovane stava
per mettere al mondo il bambino che sarebbe nato da quella
violenza. Su preghiera di Acheloo, la fanciulla fu trasformata
in isola da Poseidone.
Intanto Eracle e Deianira erano insieme in viaggio ed arri-
varono presso le rapide del fiume in piena Eveno, nel punto in
cui il centauro Nesso, figlio di Issione, traghettava i passeggeri
sull'altra sponda. Eracle lo attravers a nuoto, e lasci che
Nesso portasse Deianira dall'altra parte. Il centauro, ammalia-
to dalla bellezza della giovane, cerc di violentarla, ed Eracle
lo colp con una delle sue frecce intrise nel veleno dell'Idra. Il
centauro morente offr a Deianira la propria veste intrisa del
suo sangue, come filtro d'amore.
Tornando un giorno a casa, Eracle partecip ad una gara
con l'arco e ne fu vincitore; lo sconfitto era il re Eurito, impa-
reggiabile arciere, la cui bellissima figlia Iole fu presa d'amore
per Eracle. Purtroppo voci raggiungono Deianira: la vita sere-
COSTELLAZIONI E MITI 349

na della fedele consorte fu sconvolta. Deianira non voleva per-


dere Eracle che amava e pur tra mille pensieri la coglie il ricor-
do del dono ricevuto da Nesso. Naturalmente quel dono na-
scondeva la terribile vendetta per un amore non ricambiato.
Intanto Eracle stava per tornare a casa e Deianira, avutane no-
tizia, affid la veste, intrisa del sangue di Nesso, al fedele servo
Lica, e ignara gli disse: Vai incontro al mio sposo, portagli que-
sta veste e che la indossi per amor mio, in segno della sua fe-
delt. Il servo, che incontr Eracle mentre celebra un sacrifi-
cio di ringraziamento agli di per il ritorno a casa, consegn la
veste al suo padrone che, felice, la indoss. Il veleno contenu-
to nella veste intrisa di sangue si sciolse e si sparse sul corpo
dell'eroe, provocandogli dolori acuti e lancinanti. Eracle tent
di strapparsi di dosso la veste, che ormai aderiva completa-
mente alla sua pelle e con il suo gesto rimase come scuoiato.
L'atroce dolore lo indusse a porre fine alla propria vita: si lan-
ci sul rogo propiziatorio che aveva preparato, sul monte Eta,
per onorare gli di e preg Zeus, invocando per s la morte.
Allorch Deianira riconobbe la vera natura del preteso fil-
tro d'amore, si uccise.
In punto di morte, Eracle chiese al figlio Illo di sposare Io-
le, che era stata sua concubina, perch nessun altro uomo po-
tesse possederla, dopo che aveva giaciuto con lui. E la madre
di Eracle, Alcmena, racconta ad Iole come avesse partorito il
figlio: nell'imminenza del parto, straziata da sette giorni e sette
notti di doglie, invocava Lucina, la dea che favorisce i parti.
Questa arriv ma, istigata in precedenza da Era, si sistem sul-
l'altare e, accavallando le gambe ed intrecciando le dita, prima
differ il parto, poi lo blocc del tutto. Per fortuna un'ancella,
Galanti, intu che per colpa di Era stava accadendo qualcosa,
vide la dea appostata sull'ara, che con le dita intrecciate tene-
va le braccia intorno alle ginocchia, e le disse: chiunque tu
sia, rallegrati con la mia padrona; Alcmena di Argo ha partori-
to: esaudito ha la puerpera i suoi voti. Balz in piedi la dea
dei parti sbigottita e disgiunse le mani: sciolto il nodo, io par-
torisco.(Met. IX, 310, 315)
La dea, per vendetta trasform Galanti in donnola.
Zeus comunque ascolt le invocazioni di Eracle: dopo che
350 GIOVANNI PLATANIA

il fuoco aveva distrutto quanto di umano c'era in lui, lo avvol-


se in una nuvola e con un cocchio trainato da quattro cavalli
bianchi lo trasport in cielo, trasformandolo in costellazione.

La sua figura nel cielo appare rovesciata, in posizione ingi-


nocchiata, stringendo con una mano la clava e con un piede
che schiaccia la testa del Drago.

Morto Eracle, Euristeo fece cacciare Alcmena da Corinto e


pretese che gli Ateniesi espellessero i discendenti di Eracle.
Gli Ateniesi rifiutarono e, nella guerra che segu, Euristeo fu
ucciso. Portarono la sua testa ad Alcmena, che ne strapp gli
occhi. Poi si trasfer a Tebe insieme ai discendenti di Eracle, e
vi mor molto vecchia. Quando fu morta, Zeus mand Ermes
a cercare il suo corpo per trasportarlo nelle Isole dei Beati, do-
ve essa spos Radamanto.

Nel cielo cristianizzato la costellazione di Eracle era asso-


ciata ai re Magi.
COSTELLAZIONI E MITI 351

PLEIADI
352 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 353

Merope nella nebulosa IC 349 delle Pleiadi


354 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 355

Questo l'ammasso aperto pi brillante e famoso di tutto


il cielo, citato in ogni tempo. Si trova nella costellazione del
Toro.
Ad occhio nudo si possono distinguere nove stelle: Alcio-
ne, la stella Eta, che nell'antichit non aveva nome ma la pi
brillante, Celano, Electra, Taygeta, Maia, Asterope, Merope,
Atlante e Pleione. La stella meno luminosa, e quindi meno fa-
cilmente visibile Merope.
Queste sono stelle chesi stanno formando. Pleione, ad
esempio, una stella con un inviluppo esteso che emette anelli
di gas ad intervalli regolari, la cui luminosit fluttua impreve-
dibilmente. Dell'ammasso fanno parte circa 250 stelle.

Sull'isola di Chio, Orione, ubriaco, tent di fare violenza a


Merope, ma Zeus la salv e mut le sette sorelle in colombe
(peleiades), collocandole in cielo.
Il gesto di Orione suscit l'ira del re di Chio, Enoprione,
che lo pun facendolo accecare. Costretto ad allontanarsi, si
diresse a Lemno, dove Efesto, impietosito, lo affid al suo
maestro Cedalione che lo condusse sul monte dell'isola, dove
Eos gli restituisce la vista (v. Eracle).

Le Pleiadi, secondo un'altra narrazione, sono sempre figlie


di Atlante e sono nate sul monte Silene, in Arcadia. Sono nin-
fe dei boschi al seguito di Artemide, e sono trasformate in stel-
le da Zeus, impietosito dal loro grande dolore per la fatica del
padre, che sorreggeva il mondo sulle spalle.

Ed ancora una diversa tradizione racconta che le Pleiadi


testimoniano la divinizzazione di Atlante e della sua sposa
Pleione trasformati dagli dei in stelle insieme alle loro figlie. Il
mito vede tutte le stelle del gruppo dotate inizialmente di
uguale luminosit; poi, gli dei decidono di variare lo splen-
dore di ciascuna stella e ognuna di esse ora si distingue per
una propria luminosit commisurata alla bellezza ed ai meriti
356 GIOVANNI PLATANIA

acquisiti in vita. Ad esempio Merope la meno luminosa per-


ch fu la sola a sposare un mortale, Sisifo, di cui si vergogn, e
per questa ragione divenne meno lucente delle altre

Un'altra leggenda narra che le Pleiadi avessero cinque so-


relle, chiamate Iadi, dal nome del fratello Iante. Quando que-
sti venne ucciso, durante una caccia, da un leone, le cinque so-
relle, sopraffatte da un'infinita tristezza, ne morirono. Poich
la morte del fratello le aveva cos gravemente sconvolte, furo-
no definite Iadi per ricordare il fratello (v. Iadi).
Quanto alle altre dieci, esse meditarono sulla sorte delle lo-
ro sorelle tanto che sette di loro si suicidarono.

Un'ulteriore leggenda narra che Merope era la figlia di del


re di Arcadia Cipselo e che spos il figlio di Eracle Cresfonte.
In realt Cipselo l'aveva data in sposa a Cresfonte per assicu-
rarsi l'alleanza degli Eraclidi e conservare il suo regno. Infatti i
figli di Eracle, rimasti senza la protezione del padre e temendo
l'odio di Euristeo, si rifugiarono presso il re di Trachis, Ceice,
il quale si era sempre mostrato ben disposto verso Eracle. Ma
Euristeo pretese che li cacciasse da Trachis. Ceice, temendo
Euristeo, li respinse sostenendo di non essere abbastanza po-
tente da poterli nascondere presso di s. Andarono allora ad
Atene, dove Teseo accett di proteggerli contro Euristeo, che
per dichiar guerra agli ateniesi. Nella guerra che consegu,
Euristeo fu ucciso da Iolao e gli Eraclidi furono liberi. Allor-
ch si avvicinarono alle frontiere dell'Arcadia, re Cipselo invi
degli ambasciatori con dei regali e accadde che questi amba-
sciatori incontrassero i soldati di Cresfonte, mentre questi ulti-
mi avevano appena comprato viveri dai contadini dei paraggi
e stavano consumando il pasto. Invitarono gli Arcadi ad unirsi
al banchetto, durante il quale si accese una disputa. Gli Arca-
di fecero presente che era cosa non conveniente il venire a di-
sputa con i propri ospiti e gli Eraclidi conclusero un patto con
gli Arcadi promettendo di risparmiare il paese. Re Cipselo
diede anche sua figlia Merope in moglie a Cresfonte.
Cresfonte fu in seguito assassinato da uno degli Eraclidi,
Polifonte, che aveva anche ucciso i due figli maggiori di Cre-
COSTELLAZIONI E MITI 357

sfonte ed aveva sposato la sua vedova Merope, contro il volere


di quest'ultima. Merope era riuscita a salvare il figlio pi gio-
vane, Epito, mandandolo in Etolia, presso alcuni ospiti. Ella si
manteneva in contatto con lui attraverso un vecchio e fedele
servitore, che faceva segretamente il viaggio.
Polifonte sapeva che il giovane Epito non era morto; que-
sto lo inquietava, e lo faceva ricercare per evitare che si pre-
sentasse un giorno, in veste di vendicatore, per fare i conti con
lui. Aveva anche offerto una ricca ricompensa a chiunque
avesse ucciso Epito.
Questi, intanto, era cresciuto ed aveva ideato il piano per
vendicare i fratelli ed il padre. Prendendo il nome di Telefon-
te, and a trovare il re e gli chiese la ricompensa assicurandolo
di aver ucciso Epito. Il re non gli credette sulla parola, ma gli
chiese di restare un per un po' di tempo presso di lui, in qua-
lit di ospite, mentre egli avrebbe condotto un'indagine.
Durante questo tempo, Merope aveva ricevuto la visita del
servitore che fungeva da intermediario col figlio, ed il vecchio
l'aveva avvertita che questi era sparito misteriosamente da al-
cuni giorni. Merope allora credette che lo straniero fosse real-
mente l'uccisore del figlio, e penetr di notte nella sua camera
per ucciderlo. Aveva gi sollevato il pugnale su di lui quando il
vecchio, sopraggiungendo, ferm il suo braccio, riconoscendo
nel preteso assassino proprio il figlio di Merope.
Questi si mise allora d'accordo con la madre per trovare il
modo di uccidere Polifonte. Merope port un gran lutto, il
pi ostentatamente possibile e Polifonte non dubit pi che
suo figlio fosse veramente morto. Inoltre Merope, che fino ad
allora si era mostrata ostile a Polifonte, si avvicin a lui, come
se avesse perduto ogni speranza e si fosse rassegnata alla sua
sorte. Il re si sent in obbligo di celebrare un sacrificio di rin-
graziamento, al quale invit lo pseudo-Telefonte come ospite
d'onore, chiedendogli d'immolare la vittima. Ma, sull'altare,
invece di colpire la vittima, il giovane colp Polifonte e ven-
dic con un sol colpo il padre, i fratelli e la lunga violenza fat-
ta subire alla madre. Poi non fece alcuna fatica a farsi ricono-
scere come re.
Un'altra leggenda ancora narra che, al momento della ca-
358 GIOVANNI PLATANIA

duta di Troia, la pleiade Elettra, dalla quale discendeva la stir-


pe dei re Troiani, abbandon, disperata, la compagnia delle
sorelle, e fu trasformata in cometa.

Gli antichi astronomi hanno raffigurato queste Pleiadi


staccate dal Toro.

Gli Arabi chiamarono l'ammasso delle Pleiadi la Folla


(Ath-thuayya), concordante con il vocabolo pleiade nel suo
significato di moltitudine.

Gli hawaiani le collegano a Lono, dio dell'agricoltura e


della fertilit: il sorgere delle Pleiadi segnava l'inizio di un pe-
riodo di quattro mesi dedicato al dio, portatore delle piogge
invernali, momento di fecondazione della terra.

I contadini ed i naviganti di quasi tutti i tempi vi vedevano


una chioccia con i suoi pulcini, e venivano chiamate le galli-
nelle, il grappolo ed in altri modi simili.

Un mito degli indiani della trib del Kiowa narra che sette
ragazzine uscirono giocando dal loro villaggio. Si divertivano e
non si accorsero che si stavano allontanando troppo. Un grup-
po di orsi le vide e cominci a dar loro la caccia; le piccole
erano ormai troppo lontane per tornare al villaggio e troppo
lente per sfuggire agli orsi, tutto quello che poterono fare fu
arrampicarsi in cima ad un piccolo masso, pregando la roccia
di salvarle.
Le ragazzine erano buone di cuore e lo spirito della roccia
ud le loro preghiere. Improvvisamente il masso cominci a
crescere, portando le sette bambine in cielo. Gli orsi corsero
verso la roccia ed iniziarono ad arrampicarsi; i loro artigli
affondavano nel sasso, lasciando graffi sempre pi profondi a
mano a mano che il masso cresceva e loro non riuscirono a
raggiungere le sette ragazzine. La roccia crebbe altissima e
quando si ferm le bambine furono trasformate in stelle. (Stel-
le).
Esiste anche un mito Maya che racconta che i gemelli cele-
COSTELLAZIONI E MITI 359

sti Hun-Apu e Xbalanque erano in lite con il perfido gigante


Zipacna. Un giorno, i gemelli domandarono aiuto ad altri gio-
vani per scavare una buca profonda che, dissero a Zipacna, sa-
rebbe servita per le fondamenta di una casa molto robusta e
sicura, ma pareva che non riuscissero a scavare oltre, cos chie-
sero a Zipacna di entrare nella buca per scavare pi in profon-
dit. Non appena il gigante ne raggiunse il fondo, Hun-Apu,
Xbalanque e tutti gli altri cominciarono a gettargli sassi, terra
ed anche tronchi d'albero. Il gigante rimase immobile mentre
la buca si riempiva sopra i lui. I fratelli ed i collaboratori, pen-
sando che Zipacna fosse morto, portarono a termine la casa:
ma egli non era morto, era soltanto in attesa.
Zipacna aspett finch la casa fu completata e tutti si furo-
no riuniti per festeggiare. Improvvisamente il gigante si alz
dalla buca con tanta furia che la casa, i gemelli e tutti i loro
amici furono scagliati in cielo, dove si bloccarono contro la
volta celeste e furono trasformati nel piccolo gruppo di stelle.

Gli aborigeni australiani ricordano invece che un uomo, di


nome Wurrunna, mentre camminava capit nell'accampamen-
to di sette giovani donne. Si ferm un poco con loro e, essen-
do scapolo, decise che era giunto il momento di prendere mo-
glie: aveva in mente di catturare due delle donne e di portarse-
le con s. Wurrunna attese finch le giovani non ebbero preso
i loro bastoni da scavo per andare a dissotterrare le patate dol-
ci.
Quando le ragazze si fermarono per mangiare le patate
dolci che avevano trovato, Wurrunna rub due bastoni. Finito
di mangiare, le cinque che avevano ancora il bastone prosegui-
rono, ma le due rimaste senza restarono indietro per cercarli;
Wurrunna salt fuori dal suo nascondiglio e cattur le due
giovani.
Le settimane passavano e pareva che le ragazze rapite aves-
sero accettato la loro sorte di mogli di Wurrunna. Un giorno
l'uomo ordin loro di raccogliere legna per il fuoco da certi al-
beri che si trovavano vicino all'accampamento; le mogli disse-
ro a Wurrunna che se fossero andate per legna, lui non le
avrebbe pi riviste. Il marito rispose che non avrebbero potu-
360 GIOVANNI PLATANIA

to scappare, e chiese di eseguire il suo ordine; allora le due ra-


gazze presero le loro asce di pietra e si accinsero a tagliare gli
alberi. Appena piantate le asce nei tronchi, questi cominciaro-
no a crescere, portando le donne con loro. Wurrunna non riu-
sciva a raggiungerle e le sue due mogli non avevano intenzione
di scendere. Poco dopo gli alberi erano arrivati al cielo e le
due ragazze ritrovarono le cinque amiche che erano gi l. Si
erano riunite per vivere per sempre in cielo come il gruppo di
stelle che gli aborigeni Daen chiamano Maya-mayi (Stelle).
COSTELLAZIONI E MITI 361

IADI
362 GIOVANNI PLATANIA

L'ammasso aperto delle Iadi


COSTELLAZIONI E MITI 363

Le Iadi sono un ammasso stellare aperto nella costellazione


del Toro, come le Pleiadi, e sono visibili in inverno.

Nei miti greci erano individuate come figlie di Atlante e di


una ninfa Oceanina.

Un mito racconta che Semele, figlia di Cadmo re di Tebe,


amata da Zeus, d alla luce Dioniso, dio del vino e dell'estasi.
Cadmo, figlio di Agenore e Telefassa, insieme alla madre
salp dalla Libia in direzione dell'isola di Rodi, alla ricerca
della sorella Europa, rapita da Zeus trasformatosi in un toro
(v. Toro).
Agenore lo aveva spedito alla sua ricerca proibendogli di
ripresentarsi davanti a lui senza la giovane.
Ben presto Cadmo si accorse che la ricerca era vana, e de-
cise di vivere in Tracia, dove lui e la madre furono accolti fa-
vorevolmente dagli abitanti.
Telefassa vi mor e fu sepolta da Cadmo in un luogo dove
sorse un tempio in suo onore.
Quando Cadmo chiese all'oracolo di Delfi dove potesse
trovare Europa, l'oracolo gli consigli di rinunciare alla ricer-
ca, di seguire invece una vacca e fondare una citt nel punto
dove l'animale si fosse accasciato, vinto dalla stanchezza.
La vacca si accasci al suolo nel punto dove ora sorge la
citt di Tebe. Atena gli sugger allora di attingere acqua alla
fonte di Ares, ma Cadmo non sapeva che la fonte era custodi-
ta da un serpente, che morsic ed uccise quasi tutti i suoi
compagni.
Cadmo allora uccise il serpente schiacciandogli il cranio
con una pietra, e poi sacrific la vacca ad Atena, che gli or-
din di seminare per terra i denti del serpente; subito balzaro-
no dal suolo gli Uomini Sparti (col significato di uomini
seminati), completamente armati e minacciosi.
Cadmo allora gett una pietra tra loro ed essi cominciaro-
no ad azzuffarsi e ad uccidersi: ne rimasero solo cinque, che
364 GIOVANNI PLATANIA

gli offrirono i loro servigi.


Tuttavia Cadmo dovette prima espiare la colpa dell'ucci-
sione del serpente, e per otto anni serv Ares come schiavo.
Una volta assolto il suo dovere, divenne re di Tebe e, con
l'aiuto degli Sparti edific l'acropoli e poi spos la dea Armo-
nia, figlia di Afrodite ed Ares.
Durante lo sfarzoso banchetto nuziale, in cui erano presen-
ti tutti gli di, Demetra fece l'amore con Giasone, in un cam-
po arato tre volte, al fine di assicurare fecondit e ricchezza
agli sposi e le Muse allietarono i partecipanti con musiche e
melodie.
Ebbero anche molti doni, tra cui, per Armonia, una colla-
na d'oro opera di Efesto.
Cadmo ed Armonia vissero felici, ma la loro vecchiaia fu
colpita da vari lutti delle figlie. La figlia Semele mor folgorata
dal suo amante Zeus, Autonoe fu costretta a raccogliere i resti
del figlio Atteone dilaniato dai cani per l'ira di Artemide, Aga-
ve decapit il figlio Penteo in preda a delirio bacchico ed infi-
ne Ino, dopo aver follemente ucciso i figli di Atamante, si
gett il mare.
Cadmo ed Armonia, ormai vecchi, furono trasformati da
Zeus in neri serpenti maculati d'azzurro e furono mandati nel-
le Isole dei Beati. (Agizza, Miti).

Un approfondimento del mito racconta che Era sdegnata


perch ha saputo che Semele in attesa di un bambino da
Zeus, e affila la lingua:

Che mai ne ho ricavato, dice, tutte le volte che ho litigato?


Colpirla, questo devo; s, la distrugger, quanto vero che mi
chiamo Giunone [Era] la suprema, che ho diritto d'impugnare
uno scettro sfavillante di gemme, che sono regina, moglie e
sorella di Giove [Zeus], sua sorella, certo. Si accontenta di
un'avventura, penso, di poco conto l'offesa al nostro amore.
No, incinta! Questo mi mancava! Che col suo ventre pregno la
colpa rivelasse, cercando grazie a Giove d'essere madre, ci che a
stento mi toccato, tanto confida nella sua bellezza! Far che
l'inganni: non sono figlia di Saturno, se nelle acque dello Stige
non finir travolta proprio dal suo Giove!
COSTELLAZIONI E MITI 365

(Met. III, 261, 272)


Si reca da Semele, non prima di aver assunto l'aspetto di
una vecchia, incanutendo le tempie, solcando la pelle di rughe
e trascinando con passo tremante le membra incurvate; rende
senile anche la voce e si presenta come Beroe di Epidauro, la
nutrice di Semele in persona. Cos attacca discorso, e quando
dopo lunghe chiacchiere si arriva a nominare Zeus, si mostra
sospettosa perch troppi uomini sono entrati in letti onesti,
spacciandosi per dei.
e non basta che per te sia Giove: ti dia una prova del suo
amore, se vero amore; chiedigli che, grande e splendido co-
me l'accoglie l'eccelsa Giunone, grande e splendido cos ti
stringa a s, assumendo prima le sue insegne!. (ivi, 283-286).
Semele, infatti, chiede a Zeus un dono senza spiegargli pri-
ma cosa chieder e Zeus le risponde nulla ti rifiuter; e per-
ch tu pi mi creda, sia testimone la divinit del fiume inferna-
le, un dio che anche agli dei incute paura!.
Lieta ed eccitata, sul punto di perdersi per compiacenza
dell'amante, Semele chiede: Come ti abbraccia la figlia di Sa-
turno, quando vi disponete ai giochi d'amore, cos concediti a
me! (ivi, 293-295). Zeus avrebbe voluto tapparle la bocca,
ma ormai aveva parlato. Una donna mortale non pu soppor-
tare un assalto celeste e cos le fiamme sprigionate dal suo lu-
minoso aspetto divorano ed inceneriscono Semele, ma non il
frutto del loro amore che Zeus stesso salva: raccoglie il bambi-
no dalle ceneri di Semele, se lo cuce in una coscia e lo riporta
alla luce al tempo giusto della nascita. Il bimbo chiamato
Dioniso e viene consegnato ad Hermes perch lo affidi alle cu-
re delle Iadi, ninfe delle fonti e delle paludi e figlie di Atlante
e di Pleione, la sua prima moglie. Esse sono Ambrosia, Eudo-
ra, Esile, Coronide, Dione, Polisso, Feo.
Le Iadi allevano amorevolmente il fanciullo sul monte Ni-
sa, in Asia, dove esse abitano in una grotta tappezzata di viti
vergini. Per salvare Dioniso dalla vendetta di Era, le ninfe lo
affidano alla protezione della dea Teti, loro nonna, che, un
tempo, durante la guerra dei Titani, aveva allevato con grande
cura la stessa Era. Zeus, per riconoscenza, trasforma le belle
figlie di Pleione in ammasso stellare, dopo averle fatte ringio-
366 GIOVANNI PLATANIA

vanire da Medea, e pone l'ammasso vicino alla costellazione


del Toro, il cui occhio corrusco, Aldebaran, ne consente un
agevole riconoscimento sulla volta celeste.
Il piccolo Dioniso, come vedremo il dio nato due volte,
fu affidato ad Ermes, il quale lo diede, perch lo allevasse, al
re Atamante, figlio di Eolo, ed alla sua seconda moglie Ino,
che era sorella di Semele. Ermes prescrisse loro di rivestire il
piccolo con abiti femminili, per sviare la gelosia di Era.
Questa, per, non si lasci ingannare e fece impazzire Ata-
mante che uccise il figlio Learco.
Ino, affranta dalla sciagura, si gett in mare insieme all'al-
tro figlioletto Melicete, dall'alto di una rupe.
Ma Zeus non permise che discendesse nell'Ade: la rese im-
mortale, ed ella divenne Leucotea, la patrona dei naviganti in
pericolo. Infatti le divinit marine la trasformarono in una Ne-
reide, mentre il bambino diventava il piccolo dio Palemone.
Leucotea aveva un culto anche a Roma, dove l'11 giugno, il
giorno dei Matralia, era celebrata come Mater Matuta, rito a
cui erano ammesse solo le donne sposate una sola volta ed il
cui marito era ancora vivo.
Ovidio racconta che Leucotea aveva incontrato le Baccanti
che celebravano i riti Dionisiaci nel bosco sacro a Semele, ma,
istigate da Era, le Baccanti si erano scagliate su di lei ed aveva-
no tentato di usarle violenza. Messo in guardia dalle sue grida,
Eracle, che si trovava proprio nelle vicinanze, era accorso e
l'aveva liberata.
Poi l'aveva affidata a Carmenta, madre di Evandro, che
aveva il dono della profezia, e che le annunci che a Roma le
sarebbe stato tributato un culto, assieme al figlio Palemone (v.
Eracle ed i buoi di Gerione).
Diventato adulto Dioniso scopr l'uso della la vite e dell'u-
va per ottenere il vino. Ma la gelosia di Era era ancora viva, e
tale sarebbe stata per tutta la sua esistenza. Ancora fanciullo,
mentre era intento a giocare, lo sorpresero i Titani, istigati da
Era, e lo assalirono. Dopo averlo squartato e tagliato in pezzi,
lo arrostirono. Zeus si accorse dell'accaduto e fulmin i Titani
incenerendoli.
Atena era stata presente all'uccisione del bambino e ne
COSTELLAZIONI E MITI 367

aveva salvato il cuore, nascondendolo in una cesta. Da quel-


l'organo rinacque Dioniso, che fu detto allora Trigonos, vale
a dire nato tre volte.
Era, per, lo riconobbe e lo fece impazzire: il dio err at-
traverso l'Egitto, dove offr il vino al re Proteo, e per la Siria
per poi giungere in Frigia, dove fu accolto dalla dea Cibele,
che lo purific e l'inizi ai riti del suo culto.
Dioniso giunse in Tracia con le sue nutrici, ma Licurgo, re
di quella regione, lo scacci, provocandogli una tale paura che
egli si butt in mare, dove fu raccolto da Teti. Zeus allora pun
Licurgo accecandolo.
In un'altra versione del mito, Dioniso, adulto, volle attra-
versare la Tracia per combattere gli Indiani, Licurgo gli rifiut
il passaggio e cattur le Baccanti che accompagnavano il dio
assieme ai Satiri. Lo stesso Dioniso si rifugi in mare presso
Teti, ma le Baccanti furono miracolosamente liberate dai loro
lacci e Licurgo fu colpito da pazzia: credendo che il padre
Driante fosse un ceppo di vite, Licurgo lo colp con l'accetta e
l'uccise. Una volta compiuto il delitto, rinsav, ma la terra di-
venne sterile ed un oracolo indic agli abitanti del paese che il
solo modo di restituire la fecondit alla terra era quello di
squartare Licurgo. Questo avvenne sul monte Pangeo, dove i
suoi sudditi lo attaccarono a quattro cavalli che, spinti in dire-
zioni diverse, lo ridussero a brandelli.
Dioniso poi conquist l'India e raggiunse la Beozia, paese
d'origine della madre. Si rec ancora a Tebe, ad Argo, a Nas-
so, dove impose i suoi riti. A questo punto, la potenza di Dio-
niso fu riconosciuta da tutti, e il dio pot risalire in cielo, aven-
do compiuto la sua missione sulla terra e stabilito dappertutto
il dominio del suo culto.

Secondo un altro mito, le Iadi erano sette sorelle, figlie di


Atlante e Pleione e sorelle delle Pleiadi.
Esse avevano anche un fratello, Iante, di cui si innamor il
cacciatore Orione. Ma Orione si innamor anche, contempo-
raneamente, delle Iadi. Iante era anch'egli un cacciatore, ma
un giorno che cacciava in Libia, fu ucciso da un leone. Le sue
sorelle Iadi piansero tanto la morte del loro unico fratello, che
368 GIOVANNI PLATANIA

gli di, non solo per compassione benevola ma anche per ri-
cordare il loro grande affetto fraterno, le mutarono in stelle.

Euripide cita le Iadi nella tragedia Ione: Creusa, figlia


del re di Atene, Eretteo, amata da Apollo. Ha un figlio, Io-
ne, che abbandona appena nato. Hermes salva il bambino e lo
porta a Delfi, affidandolo ai sacerdoti del tempio di Apollo. (v.
Cane Maggiore).
Creusa, in seguito, sposa Suto, ma l'unione non sar allieta-
ta da figli: decidono di recarsi al tempio di Delfi per interroga-
re l'oracolo se in avvenire avrebbero avuto figli. L'oracolo, at-
traverso il sacerdote del tempio, risponde: Adottate come fi-
glio il primo ragazzo che incontrate fuori del tempio e ne avrete
di vostri. Suto incontra Ione e lo presenta come figlio alla
sua sposa; sospettando Creusa che Ione sia figlio di Suto e di
una sua amante, tenta di ucciderlo durante un rito. L'interven-
to degli di, per, fa s che Creusa riconosca in Ione il proprio
figlio che aveva abbandonato. Un servo di Creusa descrive,
nella tragedia, la scena istoriata sul sacro drappo con cui ha
adornato l'altare presso il quale i coniugi si preparano ad in-
nalzare preci ed offrire sacrifici agli di prima di interrogare
l'oracolo:
in cima l'orbe della luna piena dardeggiava solcando a
mezzo il mese, e c'erano le Iadi, il pi chiaro segno pei mari-
nai,
perch per i greci il sorgere delle Iadi annunciava la stagio-
ne delle piogge: Iadi, infatti significa pioggia.
COSTELLAZIONI E MITI 369

SERPENTE

Serpente
370 GIOVANNI PLATANIA

Serpente
COSTELLAZIONI E MITI 371

Ammasso Globulare M12


372 GIOVANNI PLATANIA

Ammasso globulare M5
COSTELLAZIONI E MITI 373

Nebulosa M16 Nebulosa Regina ed Ammasso M5


374 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa oscura nel Serpente


COSTELLAZIONI E MITI 375

Hevelius
376 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 377

Costellazione estiva.

La costellazione del Serpente ha una particolarit che la di-


stingue da tutte le altre: pur essendo un'unica costellazione,
divisa in due porzioni distinte, separate dall'Ofiuco: ad ovest
si trova la testa del serpente, Serpens Caput, la parte pi gran-
de ed evidente; ad est si trova la coda, Serpens Cauda.

Alfa Unuk, il collo del Serpente, con m = 2.7.


Beta ha m = 3.5 e Delta ha m = 3.8. Queste stelle fanno
parte della testa.
Nella coda notevole Teta, con m = 4.1.

interessante la Nebulosa diffusa M16, nota come Nebu-


losa Regina, che avvolge completamente l'ammasso stellare
M5.

Nella costellazione apparve, il 9 ottobre 1604, una nova,


che fu studiata attentamente da Keplero nella sua pubblicazio-
ne De Stella Nova in Pede Serpentarii del 1605. In realt era
una supernova che, per alcune settimane divenne luminosa co-
me Giove che, con m = -2.5, l'oggetto pi brillante del cielo.

La mitologia scorse nella costellazione del Serpente il terri-


bile rettile che uccise Laocoonte, sacerdote del tempio di Po-
seidone alla fine della guerra di Troia.
il serpente cantato da Vigilio nel Libro II dell'Eneide (v.
Prima Parte).

Il soldato greco Prilide, ispirato da Atena, propose che i


greci avrebbero potuto entrare in Troia servendosi di un caval-
lo di legno. Una volta ottenuto il consenso all'idea, il focese di
Parnasso, Epeo, figlio di Panopeo, si offr di costruirne uno,
purch ci fosse stata la direzione di Atena.
In seguito per Ulisse rivendic tutto il merito di quello
378 GIOVANNI PLATANIA

stratagemma.
Epeo costru un enorme cavallo di legno di faggio, vuoto
all'interno, con una porticina mascherata in un fianco ed una
scritta a lettere cubitali sull'altro, dove si diceva che il cavallo
era consacrato ad Atena: in segno di gratitudine anticipata per
un felice ritorno in patria, i Greci dedicano questa offerta alla
dea.
Ulisse indusse i pi valorosi tra i Greci a raggiungere la
porticina con una scala a corda ed ad introdursi completa-
mente armati nel ventre del cavallo. Anche Epeo si un al
gruppo formato da Menelao, Ulisse, Diomede ed una ventina
di altri.
Diomede, durante il ritorno da Troia, approd in Italia me-
ridionale, dove fond la citt di Metaponto, ed in seguito
quella di Pisa, cos chiamata dall'omonima citt dell'Elide.
Al calar della notte i Greci rimasti al campo con Agamen-
none diedero fuoco alle tende, spinsero le navi in mare e rima-
sero in attesa al largo di Tenedo fino alla sera seguente. All'al-
ba del giorno seguente le sentinelle troiane riferirono che l'ac-
campamento greco era ridotto in cenere e che i greci erano
partiti, lasciandosi alle spalle un enorme cavallo di legno.
Su consiglio di Priamo, il cavallo fu fatto entrare nella citt
attraverso una breccia nelle mura della citt, che fu subito rin-
chiusa.
Scoppi una violenta discussione quando Cassandra, che
aveva avuto da Apollo sia il dono della profezia sia la punizio-
ne di non essere mai creduta (v. Prima Parte), annunci che il
cavallo conteneva uomini armati, e le sue parole furono confer-
mate dal veggente Laocoonte, figlio di Antenore.
Gridando o sciocchi, non fidatevi mai dei greci, e tanto meno
dei loro doni (Timeo Danaos etiam dona ferentes) egli scagli la
sua lancia che si conficc vibrando nel ventre del cavallo, men-
tre all'interno echeggi un clangore di armi. Si alzarono grida
tutt'intorno, che chiedevano di bruciare il cavallo, mentre i
partigiani di Priamo invitavano alla calma.
I Troiani, per, furono anche persuasi dal greco Sinone che,
presentatosi al loro campo come perseguitato dai compagni
d'armi, fece loro credere che i nemici fossero davvero partiti.
COSTELLAZIONI E MITI 379

Il vecchio sacerdote di Poseidone, Laocoonte, gridava mi-


naccioso di non toccare l'apparentemente innocuo cavallo e di
non credere alle parole ingannevoli di Sinone, che frattanto
era stato benevolmente accolto dai Troiani. Nessuno volle
ascoltarlo.
Uscirono subito fuori dal mare due enormi serpenti, Por-
cete e Caribea che, balzando sulla spiaggia, si avventarono
contro Laocoonte e i suoi due figli, Antifate e Timbreo, avvol-
gendoli strettamente nelle proprie spire fino ad ucciderli.
I serpenti poi salirono alla cittadella, e mentre uno di essi si
accovacciava ai piedi del tempio di Atena, l'altro si rifugi die-
tro la sua egida.
La morte di Laocoonte e dei suoi figli, sembrando ai Troia-
ni una giusta punizione di Poseidone, protettore di Troia, fece
cadere ogni dubbio sul pericolo che si celava nel cavallo, rive-
latosi alla fine strumento di distruzione e di morte per la citt.
(Miti).
Zeus accett la richiesta di Atena e pose l'immagine del
Serpente nel cielo.
380 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 381

IDRA, COPPA E CORVO

Costellazione dell'Idra
382 GIOVANNI PLATANIA

Galassia M83 nell'Idra


COSTELLAZIONI E MITI 383

Ammasso di Galassie AAT 116


384 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 385

Costellazioni primaverili.

L'Idra la pi estesa tra tutte le costellazioni.

Alfa, Alphard detta la solitaria, perch scintilla entro


una plaga di firmamento povero di stelle brillanti; ha m = 3.8.
rintracciabile sulla congiungente Castore - Polluce.
Beta ha m = 4.4.
Ni la pi luminosa ed ha m = 3.

L'Idra contiene anche un ricchissimo ammasso di Galassie,


AAT 116.

La Coppa ed il Corvo non contengono oggetti particolar-


mente significativi.

Il mito relativo a questa costellazione viene trattato da Era-


tostene ne I Catasterismi (raccolta di 42 racconti mitologici
legati ad altrettante costellazioni). In esso si racconta che il
corvo era un animale sacro al dio; infatti si tramanda che
quando la Gea aveva inviato Tifone, un mostro orrendo che
aveva concepito con Tartaro, re degli inferi, contro gli di del-
l'Olimpo per sterminarli in quanto colpevoli di aver sconfitto i
Titani, suoi figli, Apollo, per scampare al massacro, si era tra-
mutato proprio in un corvo.
Un giorno Apollo decise di compiere un sacrificio in onore
di Zeus ed a tal fine diede incarico al corvo di volare verso una
fonte d'acqua purissima per attingerne una tazza necessaria
per realizzarlo. Durante il tragitto, il corvo scorse un albero di
fico carico di frutti prelibati ma ancora non maturi al punto
giusto per gustarli; non seppe reggere alla tentazione e si
ferm su un ramo dell'albero per attendere che i fichi diven-
tassero dolci per mangiarne a volont. Trascorsero cos alcuni
giorni e Apollo, non vedendo tornare l'uccello con l'acqua,
dovette andare di persona a prenderla, adirandosi contro il
386 GIOVANNI PLATANIA

suo inaffidabile aiutante. Quando il corvo, rimpinzatosi a do-


vere di frutti, si ricord dell'incarico che gli era stato affidato,
escogit una scusa per giustificare la sua inadempienza: af-
ferr fra gli artigli un serpente (l'Idra) e torn da Apollo rac-
contandogli di aver dovuto combattere contro quel serpente
che non voleva fargli attingere l'acqua; ma Apollo vedendo il
becco dell'uccello tinto del colore vermiglio della polpa del fi-
co, intu l'imbroglio che l'animale stava tentando di compiere
ai suoi danni e quindi, sdegnato non solo per la disobbedienza
ma anche per il tentativo di inganno, condann l'uccello ad
una punizione: la perenne sofferenza della sete. A tal fine lo
port in cielo assieme alla tazza colma d'acqua ed al serpente
ponendo per quest'ultimo fra la coppa e il corvo in modo
che l'uccello non potesse dissetarsi.

Secondo un altro mito, la costellazione della Coppa rap-


presenta l'otre di bronzo nel quale i due giganteschi figli di
Poseidone e di Ifimeda, Oto ed Efialte, imprigionarono Ares.
I due enormi gemelli, ad appena nove anni erano gi alti di-
ciassette metri; per dimostrare la loro possanza, decisero di
raggiungere l'Olimpo per combattere gli dei e per farlo so-
vrapposero il monte Pelio al monte Ossa, in Tessaglia.
Essi, ritenendo che Ares fosse il mandante dell'uccisione di
Adone, figlio dell'unione incestuosa fra Cinira, re di Cipro e
sua figlia Mirra, catturarono il dio sorprendendolo di soppiat-
to, lo incatenarono e poi lo rinchiusero, per oltre tredici mesi,
nell'otre di bronzo finch Ermes, con uno stratagemma, non
riusc a liberarlo. Appena in libert, il bellicoso Ares, colmo di
furore per l'oltraggio subito, cerc i due fratelli e, incurante
del fatto che fossero poco pi che bambini, li uccise entrambi;
poi, a monito della vicenda, pose fra gli astri il cofano in cui
era rimasto per tanto tempo rinchiuso, come Coppa.

Esiste un ulteriore mito, che racconta di Re Belo, che re-


gnava nella Tebaide ed era figlio di Libia e di Poseidone; sua
moglie Anchinoe, figlia del Nilo, gli gener i gemelli Egitto e
Danao ed un terzo figlio, Cefeo.
Egitto ebbe in sorte il regno di Arabia, ma conquist anche
COSTELLAZIONI E MITI 387

la terra dei Melampodi e la chiam Egitto dal proprio nome.


Da varie donne libiche, arabe, fenicie e tebane ebbe in totale
cinquanta figli.
Danao, d'altro canto, inviato a governare la Libia, ebbe an-
ch'egli cinquanta figlie, le Danaidi, da madri diverse.
Alla morte di Belo, i gemelli litigarono per l'eredit ma
Egitto, dimostrandosi conciliante, propose un matrimonio di
massa tra i suoi cinquanta figli e le cinquanta figlie di Danao.
Un oracolo, per, avvert Danao che Egitto aveva in animo
di uccidere tutte le Danaidi, e quindi si prepar a fuggire dalla
Libia.
Quando giunse in Argolide, vi regnava il re Gelanore che
gli cedette il regno dopo una lunga disputa oratoria davanti al
popolo di Argo, che termin con un prodigio: un lupo usc
dalla foresta e si precipit su di una mandria che passava da-
vanti alla citt.
Il lupo balz sul toro, uccidendolo. Gli Argivi furono col-
piti dall'analogia fra questo lupo, venuto dalla solitudine, lon-
tano dagli uomini, e Danao. Videro in questo prodigio l'effet-
to della volont degli di, e scelsero Danao come re.
Il paese soffriva di una prolungata siccit, poich Poseido-
ne, irritato per il verdetto di Inaco, che assegnava quella zona
ad Era, aveva prosciugato tutti i fiumi e tutti i torrenti. Danao
mand le sue figlie in cerca d'acqua, con l'ordine di placare
l'ira del nonno con ogni mezzo possibile.
Una delle Danaidi, Amimone, figlia di Danao ed Europa,
stava per essere violentata da un Satiro, ma Poseidone, invoca-
to dalla ragazza, si precipit sul Satiro con il suo tridente. Il
Satiro, chinandosi, schiv il colpo ed il tridente si conficc in
una roccia. Poseidone stesso ricevette quello che era stato ri-
fiutato al Satiro, ed Amimone fu ben lieta di portare a compi-
mento in modo cos piacevole la missione affidatale dal padre.
Saputo infatti che Amimone cercava l'acqua, il dio le disse
di estrarre il tridente dalla roccia, e dai tre buchi lasciati dalle
punte subito sgorgarono tre zampilli.
Questa fonte, ora detta Amimone, la sorgente del fiume
Lerna, e non si prosciuga mai, nemmeno durante la grande ca-
lura estiva.
388 GIOVANNI PLATANIA

Danao divenne un re cos potente che tutti i Pelasgi della


Grecia presero il nome di Danai.
Una delle Danaidi, Ipermestra, spos Linceo, figlio di Egit-
to, ma Danao voleva sposare le altre sue figlie il pi presto
possibile e quindi indisse una gara di corsa: il vincitore avreb-
be avuto il diritto di prima scelta, e cos via fino all'ultimo ar-
rivato. Tutti i discendenti da questi connubi avrebbero avuto
il titolo di Danai.
Egitto, nel frattempo, mand i suoi figli ad Argo, ordinan-
do loro di non tornare in patria prima di aver punito Danao e
tutta la sua famiglia per le vicende legate all'eredit di Belo.
Appena giunti, essi pregarono Danao di tornare sulla sua deci-
sione e concedere loro in spose le sue figlie, ben decisi, natu-
ralmente, ad ucciderle la notte delle nozze. Danao rifiut ed i
figli di Egitto strinsero allora d'assedio Argo. Danao si rese
ben presto conto che avrebbe dovuto arrendersi per sete e
promise di acconsentire al matrimonio purch levassero l'asse-
dio. Si stabil la data delle nozze e Danao si affid alla sorte
per la scelta dei mariti, estraendo tessere da un elmo.
Durante la festa nuziale, Danao consegn segretamente al-
le figlie dei lunghi spilloni che esse dovevano celare nei loro
capelli; a mezzanotte ciascuna di esse trafisse il cuore al pro-
prio sposo. Soltanto uno sopravvisse: su consiglio di Artemi-
de, Ipermestra salv la vita di Linceo che aveva rispettato la
sua verginit, su consiglio di Afrodite, e lo aiut a fuggire nella
citt di Lincea.
Danao seppe che Ipermestra aveva disubbidito ai suoi or-
dini e la port in tribunale affinch fosse condannata a morte,
ma i giudici la assolsero.
Pi tardi, Linceo si riconcili col suocero e rest sposato a
Ipermestra, succedette a Danao sul trono di Argo ed ebbe un
figlio, Abante, padre di Acrisio e di Preto
Le assassine tagliarono le teste degli uomini, che furono se-
polte a Lerna. I loro corpi ebbero solenni esequie ad Argo, ma
bench Atena ed Ermes avessero purificato le Danaidi col per-
messo di Zeus, i Giudici dei Morti le condannarono a portare
in eterno degli orci d'acqua bucherellati come setacci.
Tutti i discendenti da questi connubi ebbero il nome di
COSTELLAZIONI E MITI 389

Danai, in sostituzione del precedente nome di Pelasgi.


Linceo, in seguito, uccise Danao per vendicate i fratelli.
(Miti).

Il mito pi noto racconta che presso la fonte di Amimone


nacque la mostruosa Idra, che messa a guardia del confine
tra il regno dei morti e il nostro mondo. Era figlia di Tifone ed
Echidna, la dea serpente, e sorella di Cerbero.
Allevata da Era, l'Idra emanava fetori che rendevano l'aria
irrespirabile e per di pi quando usciva dal lago devastava i
campi coltivati, divorava uomini e greggi, distruggeva villaggi
e campagne. Eracle, aiutato dal nipote Iolao, affront il mo-
stro e cerc di ucciderlo con le proprie armi: la clava e le frec-
ce. Ma grande fu il suo stupore nel costatare che al posto di
ogni testa troncata ne rinascevano due pi terribili. Desidero-
so di liberare la citt dall'incubo del mostro, Eracle bruci un
bosco vicino al lago e con grandi tronchi in fiamme affront in
un furioso combattimento il feroce serpente: distrusse col fuo-
co tutte le teste e tagli via per ultima, con un netto e potente
colpo di clava, la testa immortale, la sotterr e vi pose sopra
un macigno non rimovibile da forza umana. Nel sangue nero
del mostro morente Eracle immerse le punte delle proprie
frecce, perch le ferite da esse prodotte provocassero piaghe
mortali ad eventuali maldestri avventurieri (v. Eracle).

L'Idra e il Leone, vicine nel cielo, ricordano l'una all'altra,


il male che hanno fatto sulla terra: la vendetta voluta Zeus.
390 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 391

LIRA, DELFINO

Lira
392 GIOVANNI PLATANIA

Lira
COSTELLAZIONI E MITI 393
394 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 395

Delfino
396 GIOVANNI PLATANIA

Ammasso Globulare nella Lira


COSTELLAZIONI E MITI 397

Nebulosa planetaria NGC 6905 in Delfino


398 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa Planetaria NGC 6905 in Delfino


COSTELLAZIONI E MITI 399

Nebulosa ad anello in varie frequenze


400 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 401

Costellazioni visibili in estate.

Alfa Vega, m = 0, che tra circa 12 000 anni sar la Polare.


Il suo nome significa aquila del deserto. Gli Arabi identifi-
carono la costellazione in un'aquila ad ali chiuse, Al Nasr al
Waki. Da quest'ultima parola deriver il nome di Vega.
La osserviamo vicino al vertice settentrionale destro del
rombo che forma la parte pi luminosa della costellazione. Ve-
ga la quinta per luminosit dell'emisfero boreale.
Beta Sheliak, in arabo arpa, con m = 3.5, una doppia,
di cui la componente principale anche una variabile ad eclis-
se, che oscilla regolarmente tra m = 3.3 e m = 4.3.
La pi interessante le Epsilon, con m = 5. A occhio nudo
si vede che questa stella formata da due astri vicinissimi. Un
telescopio da una decina di centimetri mostra che le due stelle
sono a loro volta doppie. Queste variabili sono il prototipo
delle variabili di tipo RR Lyrae, con periodi di circa un giorno.

Nella costellazione della Lira situato l'Apice Solare, quel


punto della sfera celeste verso cui il Sole si dirige nel suo moto
all'interno dei moti delle stelle pi vicine, quelle che fanno
parte del braccio di Orione della nostra Galassia.

Vega, con Deneb (del Cigno) ed Altair (dell'Aquila), costi-


tuisce il Triangolo Estivo.

Alfa e Beta del Delfino hanno due nomi curiosi: Sualocin e


Rotanev.
Tali nomi vennero attribuiti loro nel 1814 dall'astronomo
italiano Niccol Cacciatore: leggendoli al contrario, essi diven-
tano Nicolaus Venator, ossia la traduzione latina di Niccol
Cacciatore (1770-1841), allievo e assistente di Giuseppe Piazzi
all'Osservatorio astronomico di Palermo, e dal 1826 direttore
dello stesso. Si tratta dell'unico uomo che riuscito a dare il
proprio nome a delle stelle.
402 GIOVANNI PLATANIA

La Lira lo strumento inventato da Ermes e suonato da


Orfeo.
Ermes, figlio di Zeus e Maia, la pi bella tra le sette sorelle
Pleiadi, appena nato, salt gi dalla culla, dove era stato ada-
giato dalla madre, trov una tartaruga, la uccise, ne svuot il
guscio sul quale fiss sette corde (sette in onore delle Pleiadi)
preparate con intestini di animali sacrificati agli dei: aveva co-
struito la Lira.
Orfeo, figlio della Musa Calliope e di Eagro, re di Tracia,
con il suo canto affascinava uomini, animali, piante e pietre.
Us la Lira, a cui diede nove corde, in onore del numero
delle muse.
Egli si un agli Argonauti e, con la sua dolce musica, copr
il canto delle sirene, che cercarono, inutilmente, di distogliere
gli eroi dalla loro impresa.
Durante una tempesta, calm i membri dell'equipaggio e
plac i flutti col suo canto (v. Ariete).

In uno dei miti relativi alla Lira si racconta che Aristeo, fi-
glio di Apollo e di Cirene, nacque in Libia e fu affidato da
Apollo stesso alla bisnonna Gea.
Cirene era una ninfa, figlia di Ipseo, re dei Lapiti, che la
naiade Creusa, a sua volta figlia di Oceano e di Gea, aveva
avuto dal dio-fiume Peneo. Un giorno Cirene attacc disarma-
ta un leone e lo dom. Apollo la vide mentre stava compiendo
quell'impresa e se ne innamor. La rapi nel suo carro d'oro e
la port nella regione della Libia.
Qui si un a lei in un palazzo d'oro e le dette il dominio di
una parte della regione, il paese di Cirene.
Inoltre, poich un leone stava devastando la Libia, il re Eu-
ripilo, figlio di Poseidone, promise una parte del regno a chi
lo avesse ucciso. Cos Cirene combatt di nuovo con un leone
e di nuovo lo sconfisse.
Cirene ebbe da Apollo un figlio, Aristeo, che fu allevato
dalle Ore e da Gea.
Quando Aristeo raggiunse la maturit, spos utonome, da
cui ebbe un figlio, Atteone ed una figlia, Macride, la futura
nutrice di Dioniso.
COSTELLAZIONI E MITI 403

In seguito Euridice, la sposa di Orfeo, mentre passeggiava


con le Naiadi, fu inseguita da Aristeo, che si era invaghito di
lei e voleva violentarla.
Euridice fugg lungo il greto del fiume e, nella corsa, non
vide una vipera acquattata nell'erba che la morse e la uccise.
Inconsolabile per la perdita, Orfeo esprimeva il suo dolore
col canto commovendo e turbando, infine, anche i mostri in-
fernali: la ruota di Issione smette di girare, la pietra di Sisifo
resta in equilibrio da sola, Tantalo dimentica di avere fame e
sete, le Danaidi non si preoccupano pi di riempire la loro
botte forata e le Furie per la prima volta piangono.
Gli di degli inferi, Ade e Persefone, vinti dalla potenza del
canto e dall'amore, concessero ad Euridice di ritornare sulla
Terra col suo sposo. Questi, per, doveva rispettare la norma
imposta da Persefone: non avrebbe dovuto voltarsi a guardare
la donna finch non fossero giunti alla luce del sole. Ermes li
avrebbe accompagnati per verificare che il patto fosse rispetta-
to. I tre si avviarono, Orfeo quasi riemerso alla luce del gior-
no, quando, preso da subitanea passione, sopraffatto dai
sensi o forse pregato dalla stessa Euridice, si volt a guardar-
la.
Infranto il patto, Euridice mor una seconda volta e torn
tra le ombre dei morti, questa volta irrimediabilmente. Orfeo,
disperato, continu per sette mesi a piangere per la sposa per-
duta ed a commuovere col suo canto tigri e querce.

Quando Dioniso giunse in Tracia, tra le donne dei Ciconi,


Orfeo, dopo un lungo viaggio in Egitto, trascur di onorarlo,
iniziando invece i suoi fedeli a condannare i sacrifici umani ed
affermando che il Sole era il pi grande di tutti gli dei.
(Il culto del Sole come padre di tutte le cose, e quindi co-
me Dio unico, pare fosse stato portato nell'Egeo Settentriona-
le dai sacerdoti egiziani profughi del culto monoteistico di
Akhenaton nel quattordicesimo secolo a.C. e si innest poi
sui culti locali. Ecco perch la leggenda parla di un viaggio di
Orfeo in Egitto).
Irritato, Dioniso incaric le Menadi di far vendetta.
Le Menadi erano delle Baccanti divine al seguito di Dioni-
404 GIOVANNI PLATANIA

so e personificavano gli spiriti orgiastici della Natura.


Esse raggiunsero Orfeo in Macedonia ed attesero che i ma-
riti, seguaci di Orfeo, fossero entrati nel tempio, lasciando
fuori le armi di cui si impadronirono, irruppero nel recinto sa-
cro, uccisero tutti gli uomini e, irritate per il rifiuto che Orfeo
opponeva a qualsiasi nuovo amore: mai pi Venere, mai pi
nozze piegarono il suo animo (Virgilio, Georgiche, IV, 516),
le donne lo dilaniarono e staccarono la testa dal busto che, ca-
duta nel fiume Ebro, continuava a cantare Euridice. La testa
giunse fino al mare e fu portata dalle onde all'isola di Lesbo.
Zeus, mosso da piet colloc Orfeo nella costellazione del
Cigno ed inoltre la sua cetra fu immortalata nella costellazione
della Lira.
Le Muse, piangenti, raccolsero le membra e le seppellirono
ai piedi del Monte Olimpo, dove il canto degli usignoli ora
pi dolce che in qualsiasi altra parte del mondo.
Orfeo condannava la promiscuit delle Menadi e predicava
l'amore omosessuale, attirandosi cos l'ostilit di Afrodite oltre
a quella di Dioniso. I Traci sopravvissuti all'eccidio decisero di
tatuare le loro mogli per punirle ed evitare che in futuro ucci-
dessero i sacerdoti. (Miti).
L'anima stessa di Orfeo fu trasportata nei Campi Elisi, do-
ve, rivestita di una lunga veste bianca, continua i canti per i
Beati.

Secondo una diversa versione, la Lira da ricondurre al


mito di Arione. Questi, musico di Lesbo, figlio di Poseidone e
della ninfa Onea, maestro nell'arte di suonare la lira, aveva ot-
tenuto dal suo padrone Periandro, tiranno di Corinto, il per-
messo di percorrere la Magna Grecia e la Sicilia, per arricchir-
si col suo canto. Quando volle tornare in patria, i marinai del-
la nave su cui era imbarcato ordirono un complotto per ucci-
derlo e derubarlo dei suoi guadagni. Gli apparve, per, in so-
gno Apollo che lo avvert del pericolo e gli promise il suo aiu-
to. Quando i marinai lo aggredirono, Arione chiese, ed otten-
ne, che gli accordassero di cantare un'ultima volta; al suono
della sua voce, un branco di delfini accorse verso la nave.
Questi animali erano cari ad Apollo ed, infatti, il loro nome
COSTELLAZIONI E MITI 405

deriva da Delfi, dove si trovava il principale santuario del dio.


Arione, fidando nell'aiuto promesso, si tuff e fu raccolto da
un delfino, che lo condusse illeso a riva.
Giunto in salvo, Arione dedic un ex-voto ad Apollo e
torn alla nativa Corinto, dove raccont la sua avventura al
suo padrone. Quando la nave raggiunse la citt, il Tiranno
chiese ai marinai cosa ne fosse stato di Arione, e quelli lo dis-
sero perito durante il viaggio. A quel punto Arione si mostr
ed i colpevoli furono messi a morte. In ricordo di quell'even-
to, Apollo trasform sia la Lira di Arione che il Delfino in co-
stellazioni.

La mitografia registra anche che Arione, approdato poi


nell'Italia meridionale, vi fonda la citt di Taras (Taranto).

Invece, secondo un altro mito, Taras il figlio di Poseidone


e della ninfa Satirea. Proveniente dal Peloponneso, Taras sbar-
ca sulle coste dell'Italia meridionale affacciate sul mar Ionio e
l il padre fa apparire un delfino che guizza dalle onde: il se-
gno che il dio del mare vuole che sorga una citt e Taras fonda
Taranto. Nel secolo VIII a.C. giungeranno a Taranto gli Spar-
tani i quali la trasformeranno in un importante centro della
Magna Grecia.

Ci viene riportato da Eratostene che la costellazione rap-


presentasse il Delfino che riusc a riportare la Nereide Anfitri-
te a Poseidone.
Poseidone era il dio del mare, e abitava in un magnifico pa-
lazzo sott'acqua, al largo delle coste dell'isola Eubea.
Quando Zeus, Poseidone ed Ade, dopo aver deposto il lo-
ro padre Crono, estrassero a sorte chi dovesse essere signore
del cielo, del mare e dell'oltretomba, mentre la terra sarebbe
stata dominio di tutti, a Zeus tocc il cielo, ad Ade l'oltretom-
ba ed a Poseidone il mare. Poseidone, che era pari a suo fra-
tello Zeus per dignit ed aveva un carattere cupo e litigioso,
subito si accinse a costruire un palazzo subacqueo. Nelle sue
stalle spaziose albergavano bianchi cavalli con zoccoli di bron-
zo e criniere d'oro, ed un aureo cocchio al cui apparire subito
406 GIOVANNI PLATANIA

cessavano le tempeste, mentre mostri marini emergevano dalle


onde e gli facevano da scorta.
Il suo palazzo sembrava per vuoto senza una moglie, e fu
cos che decise di trovarsene una; inizi a corteggiare la Nerei-
de Teti, ma quando seppe che, secondo una profezia, il figlio
nato da lei sarebbe stato pi famoso di suo padre, rinunci a
sposarla e lasci che si unisse al mortale Peleo.
Pos allora gli occhi su Anfitrite, un'altra Nereide, la quale
fugg dai rozzi approcci del dio e si rifugi sul monte Atlante.
Tra i vari messaggeri che Poseidone volle utilizzare mand an-
che un delfino, il quale con modi gentili e lusinghieri, riusc a
convincere la Nereide ed a portarla al dio il quale la spos.
Anfitrite aveva cos la stessa funzione di Era rispetto a Zeus e
di Persefone rispetto ad Ade. In segno di gratitudine Poseido-
ne pose il Delfino in cielo.
Anfitrite diede a Poseidone tre figli: Tritone, Roda e Bente-
sicima. Poseidone per fece molto soffrire la moglie intrec-
ciando amori con dee, ninfe e donne mortali.

Secondo un'altra tradizione mitica, nel piccolo gruppo di


stelle che forma il Delfino, vi raffigurato Tritone, l'unico fi-
glio immortale di Anfitrite e Poseidone, posto in cielo da Zeus
per averlo aiutato nella guerra contro i Titani. I Titani, figli di
Urano e Gea, erano pieni di invidia per la potenza di Zeus,
che aveva usurpato il trono a Crono, suo padre, che, a sua vol-
ta, lo aveva usurpato al proprio fratello Urano, che lo aveva
ereditato per diritto di successione, quale primogenito. Mostri
giganteschi e spaventosi, dalle innumerevoli braccia, insorsero
contro Zeus ed il suo regno: il pi terribile fu Tifone, spirito
degli uragani; la sua testa toccava le nubi pi alte.
Per la lotta tra i Titani e gli dei dell'Olimpo, la Terra era
piombata in un disordine enorme: non era difficile vedere
montagne franate e paesaggi cambiare d'aspetto; le rocce stac-
cate dai Titani furono lanciate come proiettili e se cadevano in
mare, formavano addirittura isole. Zeus, che guidava gli di
nella lotta, consigliato da Gea, scese nelle viscere della Terra a
liberare i tre giganti che Crono, in una guerra precedente, vi
aveva fatto imprigionare: Briareo, Cotto e Gige, mostri dalle
COSTELLAZIONI E MITI 407

cento braccia e dalle cinquanta teste. Sceso ancora pi gi,


raggiunse il profondo Tartaro e vi liber i Ciclopi con i quali
strinse un patto di alleanza ed i giganti monocoli lo ripagarono
della libert, creando per lui la nuova micidiale arma: la folgo-
re. Con i Giganti, i Ciclopi e la folgore, le forze degli di furo-
no accresciute ed i Titani vinti, grazie anche all'aiuto di Trito-
ne, dio delle acque marine e figlio di Poseidone. Tritone, met
uomo e met pesce, si schier al fianco di Zeus, a capo di uno
stuolo di mostri marini, tutti armati di conchiglie sonore (v.
Prima Parte).
I Titani ribelli sconfitti furono fatti incatenare da Zeus al-
l'interno dei fianchi ardenti dell'Etna; Zeus, per, non di-
mentic l'aiuto ricevuto da Tritone, e, ad immortale ricordo
della sua fedelt, lo pose nel firmamento con i suoi mostri ma-
rini, dando cos forma alla costellazione del Delfino.

I Cinesi, invece, associarono Vega ad una storia d'amore:


rappresenterebbe una tessitrice, Tanabata, che un fiume (la
Via Lattea) separa dal suo fidanzato Hikoboshi, un pastore
identificato con la stella Altair (nella costellazione dell'Aqui-
la). Distratti entrambi dai loro sogni da innamorati, trascura-
vano i propri doveri e gli di, gelosi del loro amore, li condan-
narono ad espiare una pena eterna, trasformandoli in astri, s
fulgenti, ma lontani l'uno dall'altro. da allora che gli uomini
ammirano la Tessitrice in Vega ed il Pastorello in Altair (in
Aquila): i due astri sono osservati sulle sponde opposte del
grande fiume siderale, la Via Lattea. A Hikoboshi fu concesso
di attraversare il fiume una notte all'anno, il settimo giorno del
settimo mese.
408 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 409

OFIUCO

Ofiuco
410 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 411

Ammasso Globulare M9
412 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa Planetaria Piccolo Fantasma


COSTELLAZIONI E MITI 413

Nebulosa planetaria NGC 6572


414 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 415

Costellazione estiva.

L'Ofiuco una delle costellazioni pi vaste della volta cele-


ste. Pur essendo attraversata dall'eclittica, non fa parte delle
costellazioni zodiacali. In realt era parte di una costellazione
ancora pi grande, il Serpentario, successivamente smembrata
in Ofiuco e Serpente dall'IAU nel 1930.

Ma perch la costellazione di Ofiuco non mai stata con-


templata fra le costellazioni zodiacali? Furono gli astrologi e
non gli astronomi ad ignorarla: considerando per comodit so-
lo 12 costellazioni zodiacali, si poteva abbinare ognuna di esse
ad un mese dell'anno. Fu l'astronoma inglese Jacqueline Mit-
ton della Royal Astronomical Society a sollevare la questione
della tredicesima costellazione, nel 1995. In realt, anche la
suddivisione in segni zodiacali corrispondenti ad un mese
dell'anno un'approssimazione, perch le costellazioni reali
non coprono esattamente ciascuna un dodicesimo di fascia zo-
diacale, bens hanno estensioni diverse fra loro.

Alfa, m = 2.1, si chiama Ras Alhague, la testa dell'incanta-


tore di serpenti.
Beta Cebalrai, cane del pastore, con m = 2.8.
Rho, m = 5.3, costituita da quattro stelle separabili con
piccoli strumenti.
Osservabile con piccoli telescopi o con un binocolo la
stella di Barnard: con m = 9.5, la seconda stella pi vicina al
Sole ed la stella dotata del maggiore moto proprio che si co-
nosca. Si sposta di 10,29 secondi d'arco l'anno.

Questa costellazione rappresentata da un uomo che strin-


ge con la mano destra la coda di un serpente e con la mano si-
nistra la testa del rettile che gli si avvolto attorno alla vita
(Ofiuco significa colui che tiene il serpente) ed associata a
vari personaggi della mitologia greca. Pi comunemente Ofiu-
416 GIOVANNI PLATANIA

co viene riconosciuto in Asclepio, dio della medicina, figlio di


Apollo e Coronide, principessa dei Lapti.
Coronide, figlia di Flegia, re dei Lapiti, amante di Apollo,
ebbe una relazione con uno straniero mortale, Ischi, perch
temeva che il dio si sarebbe stancato di lei, quando avesse per-
duto la giovinezza. Divenne quindi l'amante anche di Ischi
mentre era ancora unita con Apollo.
Apollo, informato del tradimento da un corvo, si vendic
dell'offesa prima sul corvo, colpevole di non aveva accecato
Ischi a colpi di becco quando il giovane si era avvicinato a Co-
ronide: per questa maledizione le penne del corvo divennero
nere e tali rimasero in tutti i suoi discendenti.
Apollo si dolse poi con la sorella Artemide dell'offesa rice-
vuta, ed Artemide lo vendic scagliando un'intera faretra di
frecce contro Coronide, che, in punto di morte su di una pira
funebre gli rivel di essere in attesa di un suo figlio. Apollo,
pentito, riusc a salvare il bambino, Asclepio, che lo stesso dio
affid a Chirone, il pi noto fra i centauri per cultura e saggez-
za, che lo allev sul monte Pelio e lo educ. Flegia, accecato
dall'ira per l'uccisione della figlia, si rec al tempio di Delfo,
sacro ad Apollo, e nel suo furore ardente lo distrusse: Apollo
reag, colpendo Flegia con le sue frecce mortali. (Miti).

Secondo un'altra versione della leggenda, Flegia, grande


saccheggiatore, era arrivato ad Epidauro, nel Peloponneso,
per rendersi conto delle ricchezze che conteneva e studiare i
modi di impadronirsene. Era accompagnato dalla figlia Coro-
nide, la quale, durante il viaggio, era stata sedotta da Apollo
ed aveva segretamente messo al mondo un figlio nel territorio
di Epidauro, ai piedi di una montagna chiamata Mirtio, e l lo
aveva abbandonato. Una capra venne ad allattare il bambino
ed un cane a custodirlo. Il pastore Arestanate, al quale appar-
tenevano la capra ed il cane, trov il bambino e fu stupito per
lo splendore che lo circondava. Comprese che doveva esservi
un mistero e non os raccogliere il bambino. Questi prosegu
da solo il suo destino divino.

Asclepio venne educato ed istruito all'arte medica e fu gui-


COSTELLAZIONI E MITI 417

dato dallo stesso Chirone nella professione in cui consegu


sorprendenti risultati ricavandone grande popolarit. Asclepio
si dedic con amorevole passione allo studio della medicina,
scienza che derivava direttamente da Apollo.
Il dio, anche patrono della medicina e guaritore egli stesso,
gli permetteva di preparare composizioni miracolose di erbe
mediche. Asclepio quindi guar molti uomini da gravi malat-
tie, strappandoli da sicura morte. Giunse persino a scoprire il
modo per sconfiggere la morte stessa utilizzando il sangue co-
lato dalle vene della Gorgone. Prendendo il sangue della vena
sinistra, che era benefico, aveva restituito la vita a molti morti,
tra cui Capaneo, Licurgo, Glauco, figlio di Minosse, ed Ippo-
lito, figlio di Teseo.
Per questa ragione Ade, fratello di Zeus e dio del regno dei
defunti, vedendo spopolarsi gli Inferi, preg il re degli di
di fermare quel giovane mortale, che aveva ormai acquisito il
potere di un dio. Zeus indag e, ingelosito dalla gi vasta e
tuttavia crescente notoriet di Asclepio, colp il medico, riva-
le della morte, con un fulmine, uccidendolo. Apollo, a sua
volta vendic il figlio, colpendo con le sue frecce mortali i Ci-
clopi, che avevano preparato la folgore per Zeus.
In seguito, per, Zeus ridon la vita ad Asclepio e si
ademp cos una profezia fatta da Evippa, figlia di Chirone, e
cio che Asclepio darebbe divenuto dio, sarebbe morto ed
avrebbe poi riassunto la propria divinit, rinnovando cos due
volte il proprio destino.
Gli antichi, memori del miracoli operati dalla medicina
di Asclepio, ne posero l'immagine nella costellazione dell'O-
fiuco, rappresentata dalla nobile figura del medico ai cui piedi
era un serpente, l'animale a lui sacro e simbolo tradizionale
della medicina e della forza vitale che ringiovanisce.
Asclepio aveva avuto da Epione, figlia di Merope, due figli,
Macaone e Podalirio.
Il primo figura tra i pretendenti di Elena e, a questo titolo,
partecip alla guerra di Troia con un contingente di trenta na-
vi. A Troia Macaone ed il fratello Podalirio si consacrarono al-
la medicina. A Macaone si attribuiscono le guarigioni delle fe-
rite di Telefo e di Menelao, quest'ultimo colpito da una freccia
418 GIOVANNI PLATANIA

di Pandoro.
Egli stesso fu ferito da Paride e fu portato nella tenda di
Nestore, dove fu curato da Ecamede, la prigioniera presa da
Achille a Tenedo e poi assegnata a Nestore.
Macaone anche nella lista dei guerrieri rinchiusi nel ca-
vallo di legno.

L'Ofiuco, o meglio il serpente colui che fu protagonista


di due delle pi note guarigioni operate da Asclepio: quella di
Glauco e quella di Ippolito, e che diede origine al mito stesso
di Asclepio.
Glauco, figlio di Minosse e di Pasifae, anneg in una giara
di miele, mentre inseguiva un topo.
I Cureti spiegarono a Minosse che un uomo avrebbe potu-
to restituire la vita a Glauco: colui che avesse saputo descrive-
re meglio il colore di una vacca delle sue mandrie, che cambia-
va di colore tre volte al giorno.
Essa, da bianca diventava rossa, poi nera e l'indomani rico-
minciava lo stesso ciclo. Minosse riun tutti gli uomini pi abi-
li di Creta e chiese loro di descrivere il colore della vacca me-
ravigliosa. Uno solo, Asclepio, vi riusc. Egli rispose che quella
vacca aveva il colore della mora, che un frutto che comincia
con l'essere bianco, poi rosso e, giunto a maturazione, com-
pletamente nero.
Minosse giudic che Asclepio avesse superato la difficolt
e gli chiese di restituire la vita a Glauco.
Asclepio con la sua arte medica tent di riportarlo in vita.
Improvvisamente un serpente assal il medico, che si difese
colpendolo con un pesante legno e lo uccise. Sopraggiunse al-
lora un altro piccolo serpente che portava in bocca un'erba
che pose sulla testa del serpente ucciso, riportandolo prodi-
giosamente in vita. I due rettili, strisciando uno a fianco del-
l'altro, si allontanarono lasciando l l'erba miracolosa, che
Asclepio poi utilizz per strappare Glauco alla morte. Da allo-
ra il serpente ritenuto sotto la protezione del dio della medi-
cina e immortalato fra gli astri.
E come Glauco, anche Ippolito salvato da Asclepio.
Ippolito era figlio di Teseo, re di Atene, e di Antiope, regi-
COSTELLAZIONI E MITI 419

na delle Amazzoni, popolo femminile guerriero contro cui Te-


seo aveva combattuto e vinto (v. Corona Boreale).
Ma Afrodite, invidiosa della castit di Ippolito, che, devoto
ad Artemide e tutto dedito alla caccia, viveva in castit ed era
incurante dell'amore secondo le rigide regole della dea, pun il
giovane principe inducendo Fedra ad innamorarsi di lui .
Fedra lott inutilmente contro se stessa per celare il pro-
prio sentimento, ma alla fine si ridusse a rivelare la propria ar-
dente passione al giovane, che non accett le sue profferte d'a-
more. Fedra, respinta, tramut il proprio amore in odio: nella
sua ira, nella sua gelosia, nel suo furore lo accus calunniosa-
mente presso Teseo di aver tentato di sedurla.
Teseo credette alla sua sposa, maled il figlio, lo cacci dal-
la reggia ed invoc sul figlio prediletto la vendetta di Poseido-
ne: la morte.
Ippolito, costretto dal padre a lasciare Atene, abbandon
la citt. Mont sul suo cocchio, che guidava lungo una strada
fiancheggiata dal mare e riccamente adorna di alberi di ulivo
(prezioso dono della dea Atena alla citt di Atene, il cui nome
deriva da quello della dea donatrice). Un boato improvviso e
forte proveniente dal mare gener onde altissime che proietta-
rono sulla strada un mostro, alla cui vista i cavalli impazzirono
e si lanciarono in una corsa cieca senza freni: il cocchio urt
violentemente contro un albero d'ulivo e Ippolito vi trov la
morte.
Fedra, regina infelice, appresa la luttuosa notizia, in preda
alla disperazione confess la propria colpa e, attestata l'inno-
cenza del giovane, si impicc.
Artemide affid alle cure di Asclepio il corpo senza vita di
Ippolito; ed ancora un rettile a portare al dio della medicina
l'erba miracolosa che salver il giovane.
Ritornato in vita, Ippolito condotto da Artemide nel bo-
sco a lei sacro di Ariccia e qui dalla stessa dea unito alla nin-
fa Egeria.

Secondo un altro mito, l'Ofiuco era Carnabone, re dei Ge-


ti, che vivevano in Tracia, ed aveva accolto nel suo regno Trit-
tolemo che, al servizio di Demetra, percorreva la Terra su un
420 GIOVANNI PLATANIA

carro trainato da due draghi, per insegnare agli uomini la col-


tivazione del grano.
Un giorno Carnabone decise di eliminare Trittolemo consi-
derandolo pericoloso per il suo regno. Ordin di uccidere uno
dei suoi draghi in modo da impedirgli di fuggire col carro. Ma
Demetra, che vegliava su Trittolemo, accorse nel momento in
cui il suo protetto stava per essere ucciso e, dopo averlo siste-
mato sul carro al quale aveva attaccato un nuovo drago, con-
fin il re tra gli astri infliggendogli la pena eterna di tenere fra
le mani un drago.

Secondo un'altra interpretazione, preferita da Igino, nel-


l'Ofiuco sarebbe rappresentato Eracle mentre, sulle rive del
fiume Sagaris, stava uccidendo un serpente che massacrava gli
abitanti e devastava i campi coltivati. Per ricompensa Onfale,
regina di quel paese, lo rimand ad Argo carico di doni men-
tre Zeus lo incastonava nel cielo.

In un ulteriore mito l'Ofiuco era Triopa, re di Tessaglia.


Egli un giorno decise di demolire il tempio di Demetra perch
gli servivano le pietre per completare il suo palazzo. Per pu-
nirlo del sacrilegio la dea gli inflisse la pena di soffrire eterna-
mente la fame; alla fine della vita lo obblig ad affrontare un
drago che lo uccise. L'incaston infine nel firmamento con un
drago che lo stringe eternamente nelle sue spire.

Secondo il poeta alessandrino Polizelo di Rodi, Ofiuco sa-


rebbe stato Forbante, l'eroe tessalo della stirpe dei Lapiti, pa-
dre dell'argonauta Tifi, che, spinto da una tempesta, approd
nell'isola dove un enorme drago, che aveva ucciso centinaia di
abitanti, aveva costretto i sopravvissuti a fuggire lontano dalla
patria. Forbante non esit a massacrare il mostro insieme con
tutte le belve che lo circondavano. Apollo decise allora di pre-
miarlo per l'eternit sistemandolo in cielo nelle sembianze di
un uccisore di draghi.
COSTELLAZIONI E MITI 421

COSTELLAZIONI ZODIACALI
422 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 423

ARIETE, NAVE ARGO

Ariete
424 GIOVANNI PLATANIA

Nave Argo
COSTELLAZIONI E MITI 425

Ariete
426 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 427

Nave Argo
428 GIOVANNI PLATANIA

NGC772 in Ariete
COSTELLAZIONI E MITI 429

NGC 697 in Ariete


430 GIOVANNI PLATANIA

NGC 972 in Ariete


COSTELLAZIONI E MITI 431

NGC 1156 in Ariete


432 GIOVANNI PLATANIA

Eta Carinae in Nave Argo


COSTELLAZIONI E MITI 433

Nebulosa NGC 3372 in Carena (Nave Argo)


434 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 435

Costellazione autunnale.

La costellazione della Nave Argo compariva nelle 48 co-


stellazioni dell'Almagesto di Tolomeo; data la sua enorme
estensione, nel XVIII secolo l'abate de Lacaille la smembr ed
utilizz le stelle dell'albero per creare la costellazione della
Bussola. Nel 1877 l'astronomo Gould propose che le tre parti
che rimanevano si considerassero separate. Nel 1930 la I.A.U.
(Unione Astronomica Internazionale) decret che la costella-
zione fosse esclusa ed al suo posto ne furono inserite tre: la
Carena, la Poppa e la Vela.

La stella alfa dell'Ariete si chiama Hamal, la testa del mon-


tone, ed ha m = 2.
Beta Sheratan, il segno, con m = 2.7.
Gamma Mesarthim, in ebraico il ministro, ha m = 4.6.
Delta Botein, in arabo la pancia, ed ha anch'essa m =
4.6.
Molto interessante la piccola stella 53Ari, perch possie-
de un moto proprio molto elevato e per questa ragione detta
Stella Fuggitiva. Sono anche chiamate cos la stella mi-Co-
lumbae e la stella AE Aurigae.
Queste tre stelle hanno un punto radiante comune nella
Nebulosa di Orione.

La stella pi interessante della costellazione della Carena


(cio della Nave Argo) la Eta: questa, nel passato, aveva una
luminosit molto maggiore dell'attuale, m = 6, e nel 1843 ha
raggiunto anche m = -0.8.
In realt una stella instabile che d origine a vari fenome-
ni esplosivi ed circondata da una vasta regione di idrogeno
ionizzato, materiale che la stella stessa emette.

La Nave Argo rappresentava la mitica imbarcazione su cui


Giasone raggiunse la Colchide per conquistare il Vello d'Oro
436 GIOVANNI PLATANIA

assieme agli argonauti. Questa leggenda anche rappresentata


nella costellazione dell'Ariete.

Atamante, re di Orcomeno, in Beozia, figlio di Eolo, dio


dei venti, e di Enarete, spos la dea delle nubi Nefele con
grandi festeggiamenti. La loro unione fu allietata da due figli,
Frisso e Leucone, e da una figlia, Elle.
Stancatosi di Nefele, per il disprezzo che gli dimostrava,
Atamante l'abbandon e si un con Ino, figlia di Cadmo e di
Armonia, con cui gener Learco e Melicete.
Ino, nipote di Afrodite, donna mortale e gelosa dei figlia-
stri, vedendo in loro una minaccia per la propria discendenza,
ord un piano: di nascosto incendi i magazzini dove era con-
servato il grano per la semina, cosicch, senza raccolto, il po-
polo fu ridotto alla fame; corruppe poi il messaggero inviato
da re Atamante presso l'oracolo di Delfi, affinch riferisse che,
per la ripresa delle colture, era necessario sacrificare il princi-
pe Frisso.
Questi era gi sull'altare del sacrificio quando Nefele, ac-
cortasi della congiura di Ino, intervenne a favore dei propri fi-
gli, donando loro un Ariete Volante con la pelliccia d'oro, do-
tato di intelligenza e di parola.
Frisso ed Elle, per sottrarsi alla matrigna, balzarono in sella
all'ariete e fuggirono, dirigendosi verso la lontana Colchide
(l'attuale Georgia), il giardino segreto degli dei. Durante il
viaggio, mal reggendo gli scatti di velocit dell'ariete, Elle cad-
de e sprofond nel braccio di mare tra l'Europa e l'Asia che fu
chiamato Ellesponto ovvero Mare di Elle (antico nome dello
stretto dei Dardanelli sulle cui sponde tremila anni fa sorgeva
la citt di Troia) a ricordo della sfortunata fanciulla.
Frisso termin il viaggio e nella Colchide sacrific l'Ariete
d'oro a Zeus, protettore dei fuggitivi. Dopo l'atto sacrificale,
depose la preziosa pelliccia nel bosco di Ares, custodito da un
terribile drago, che non dormiva mai. Zeus accett benevol-
mente il ringraziamento di Frisso e collocher poi nel firma-
mento il vello d'oro come costellazione dell'Ariete.
Il re della Colchide, Eete, affascinato da quella meraviglio-
sa pelle d'oro, concesse di buon grado ospitalit a Frisso e cal-
COSTELLAZIONI E MITI 437

deggi il suo matrimonio con la figlia Calciope nella speranza


di ricevere in regalo il vello d'oro.
Egli espresse il desiderio di avere il vello d'oro, ma questo
desiderio, pi volte manifestato, non trov accoglimento pres-
so Frisso per cui Eete, preso da cieco furore, uccise Frisso
pensando che con la sua morte anche il drago che custodiva il
mantello concludesse il suo compito e lo lasciasse libero di im-
possessarsene; ci non accadde ed il vello d'oro rimase sospe-
so all'albero fin quando Giasone e gli Argonauti non riusciro-
no, dopo lunghe peripezie, ad impadronirsene.
Ino, in seguito, persuase Atamante ad accogliere il piccolo
Dioniso e ad allevarlo insieme ai loro figli, Learco e Melicete;
ma Era, incollerita perch avevano accolto e protetto il figlio
adulterino di Zeus, Eracle, si rivolse ad una delle tre Erinni,
Tisifone, perch la aiutasse nella vendetta. Questa accett e si
rec alla casa di Atamante ed Ino, strapp due serpenti dai
suoi capelli e li scagli verso i coniugi; soffiando i loro miasmi
su Ino ed il suo sposo, i serpenti non ferirono i corpi: solo le
loro menti furono colpite.
I due coniugi impazzirono, e dopo aver assassinato i loro
figli, si uccisero.
Afrodite, turbata dall'ingiusta disgrazia della nipote, invo-
ca la piet delle divinit marine che acconsentono alle preghie-
re e trasformano Ino nella Nereide Leucotea ed il piccolo fi-
glio nel dio Palemone (v. Iadi).
Era consider un affronto la loro trasformazione in divinit
e si vendic trasformando a sua volta le compagne di Ino, al-
cune in pietre ed altre in uccelli.
Atamante, bandito dalla Beozia e ormai senza figli perch
l'unico superstite, Leucone, era morto di malattia, chiese all'o-
racolo di Delfi dove potesse stabilirsi, e gli fu risposto: l do-
ve le bestie da preda ti inviteranno a cena.
Vagando verso il nord, senza bere n mangiare, Atamante
si imbatt in un branco di lupi che divoravano alcune pecore.
I lupi fuggirono al suo appressarsi, ed Atamante ed i suoi affa-
mati compagni mangiarono le carni rimaste.
Allora Atamante si ramment dell'oracolo e, avendo adot-
tato Aliarto e Coronea, i suoi nipoti corinzi, fond la citt di
438 GIOVANNI PLATANIA

Alo, e la regione fu chiamata Atamania.


Qui Atamante spos Temisto ed ebbe una nuova famiglia.
(Miti).

In una versione diversa del mito si omette il matrimonio


con Nefele, ed Atamante solo marito di Ino. Questa un gior-
no usc a caccia e non fece pi ritorno. Un lembo di tunica
macchiato di sangue convinse Atamante che Ino era stata di-
vorata dalle bestie feroci, ma in verit, attaccata da una lince,
era stata improvvisamente colta dalla frenesia bacchica.
Strangolata la lince, la scuoi con le unghie e con i denti e
fugg indossandone la pelle per partecipare ad una lunga orgia
sul monte Parnaso.
Atamante, trascorso il periodo di lutto prescritto, spos
Temisto, che gli gener due gemelli. In seguito seppe che Ino
era ancora viva e subito ordin che fosse condotta a palazzo,
la install nella camera dei bambini e disse a Temisto che sa-
rebbe stata la nutrice dei figli. Temisto, subito avvertita dalle
ancelle, visit la camera dei bambini e, fingendo di non sapere
chi Ino fosse in realt, le disse di preparare vesti di lana bianca
per i suoi figli e vesti a lutto, di lana nera, per i figli della de-
funta Ino.
Temisto ordin poi alle guardie di irrompere nella camera
dei bambini e di uccidere i due gemelli che indossavano vesti
nere, risparmiando gli altri due. Ino, per, aveva capito la tra-
ma di Temisto e fece indossare le vesti bianche ai propri figli e
quelle nere ai figli della rivale. I gemelli di Temisto furono cos
uccisi e, all'udire quella notizia Atamante impazz: colp Lear-
co con una freccia scambiandolo per un cervo, mentre Ino
fugg con Melicete e poi si gett in mare divenendo entrambi
immortali, seguendo il destino raccontato nella precedente
versione del mito (Miti).

Anche la leggenda di Giasone legata alla costellazione


dell'Ariete, della Nave Argo ed alla prima navigazione dei
Greci in regioni lontane.

Giasone era figlio di Esone e Polimede, signori di Iolco,


COSTELLAZIONI E MITI 439

che ebbero un figlio chiamato Diomede. Pelia avrebbe ucciso


il bambino, se Polimede non avesse indotto le sue ancelle a
piangere sul corpicino del figlio, come se fosse nato morto,
per poi portarlo fuori citt, sul monte Pelio. Col fu allevato
dal centauro Chirone e, compiuti i venti anni, chiese allo zio
Pelia, figlio di Poseidone e di Tiro, la restituzione della Signo-
ria di Iolco, antica citt della Tessaglia, governata un tempo da
Atamante, poi passata al fratello Creteo, al quale successe Eso-
ne, a sua volta esautorato dal fratellastro Pelia.
Quando Pelia lo vide, si spavent perch indossava una
pelle di leopardo, impugnava due lance ed aveva un piede
scalzo: l'oracolo gli aveva predetto di stare attento all'eroe con
un solo calzare; gli chiese allora il nome suo e di suo padre. Il
giovane rispose che Chirone, suo padre adottivo, lo chiamava
Giasone, ma egli in realt era Diomede, figlio di Esone, e ri-
vendicava il regno di Iolco. Alle richieste di Giasone, Pelia si
dichiar disponibile alla restituzione del regno a patto, per,
che Giasone riportasse ad Iolco il Vello d'Oro, che era appeso
ad un albero nel bosco sacro di Ares nella Colchide, sorveglia-
to da un drago che non dormiva mai.
Giasone fece allora costruire una nave a cinquanta remi
che, dal nome del costruttore, fu chiamata Argo, nome che si-
gnifica anche rapido. Costruita nella baia di Pegase in Tes-
saglia, con i pini del monte Pelio e sotto la guida di Atena, la
Nave Argo aveva il dono della parola, perch la dea fece collo-
care sotto la chiglia un frammento di quercia parlante, sacra a
Zeus. Giasone radun molti eroi, tutti devoti e quindi protetti
da Era.
I nomi degli Argonauti sono:
Acasto, figlio del re Pelia
Admeto, figlio di Fere
Anceo il Grande di Tegeo, figlio di Poseidone
Anceo il Piccolo, il Lelego di Samo
Anfiarao, il veggente agrivo
Argo di Tespi, costruttore della Nave Argo
Ascalafo di Orcomeno, figlio di Ares
Asterio, figlio di Comete, un Pelopide
Atalanta di Calidone, vergine cacciatrice
440 GIOVANNI PLATANIA

Attore, figlio di Dione il Focese


Augia, figlio del re Forbante di Elide
Bute di Atene, apicultore
Calaide, l'alato figlio di Borea
Canto, l'Eubeo
Castore, il lottatore Spartano, uno dei Dioscuri
Cefeo, figlio dell'arcade Aleo
Ceneo il Lapita, che un tempo fu donna
Corono il Lapita, di Girtone in Tessaglia
Echione, figlio di Ermes, l'araldo
Eracle di Tirinto, l'uomo pi forte che sia mai esistito,
ora un Dio
Ergino di Mileto
Eufemo di Tenaro, il nuotatore
Eurialo, figlio di Mecisteo, uno degli Epigoni
Euridamante il Dolopio, del lago Siniade
Falero, l'arciere ateniese
Fano, il figlio cretese di Dioniso
Giasone, capo della spedizione
Ida, figlio di Afareo di Messene
Idmone l'Argivo, figlio di Apollo
Ificle, figlio di Testio l'Etolo
Ifito, fratello di re Euristeo di Micene
Ila il Driope, assistente di Eracle
Laerte, figlio di Acrisio l'Argivo
Linceo, la scolta, fratello di Ida
Melampo di Pilo, figlio di Poseidone
Meleagro di Calidone
Mopso, il Lapita
Nauplio l'argivo, figlio di Poseidone, famoso
navigatore
Oileo il Locrese, fratello di Aiace
Orfeo, il poeta Tracio
Palemone, figlio di Efesto, un Etolo
Peante, figlio di Taumaco il Magnesio
Peleo il Mirmidone
Penelo, figlio di Ippalcino, il Beota
Perclimeno di Pilo, il mutevole figlio di Poseidone
COSTELLAZIONI E MITI 441

Polluce, il pugile spartano, uno dei Dioscuri


Polifemo, figlio di Elato, l'Arcade
Stafilo, fratello di Fano
Tifide, il timoniere, di Sife, in Beozia
Zete, fratello di Calaide
e mai prima d'allora, cos nobile compagnia si era imbar-
cata su una nave.
Eracle, dopo la cattura del cinghiale Erimanzio, fu invitato
all'unanimit ad assumere il comando della Nave Argo, ma
declin l'incarico, preferendo obbedire agli ordini di Giasone
che, bench novizio, aveva preparato la spedizione. Al suono
della lira di Orfeo, salparono alle prime luci dell'alba e si di-
ressero verso Lemno.
Circa un anno prima, gli uomini di Lemno avevano litigato
con le loro mogli, lagnandosi perch puzzavano. Infatti le
donne di Lemno avevano trascurato il culto della dea Afrodite
ed erano state punite dalla dea, la quale aveva inflitto loro un
odore nauseante. I mariti, non sopportando l'odore delle loro
donne, le avevano lasciate e si erano scelte come concubine al-
cune fanciulle della Tracia catturate nel corso di scorrerie. Per
vendicarsi, le donne di Lemno assassinarono tutti gli uomini,
giovani e vecchi. L'unico uomo che si salv fu il re Toante che
la figlia Ipsipile salv in segreto, spingendolo in mare su una
barca senza remi (v. Prima Parte).
Ipsipile era la nipote di Dioniso e di Arianna e, attraverso
la madre Mirina, discendente da Eolo.
Mirina era anche lei un'amazzone che, con un esercito di
tremila amazzoni che combattevano a piedi e di ventimila a
cavallo, conquist dapprima il territorio di una citt di Atlan-
tide chiamata Cerne. Poi conquist la citt stessa e port i
bambini e le donne come prigionieri, mentre uccise tutti gli
uomini validi.
Gli altri Atlantidi, spaventati, capitolarono subito. Mirina
li tratt allora generosamente, stipul con loro un trattato, co-
stru una citt al posto di quella che aveva distrutto, che
chiam Mirina e la diede ai prigionieri e a tutti quelli che vol-
lero venirvi ad abitare.
Pi tardi conquist la maggior parte della Libia e poi pass
442 GIOVANNI PLATANIA

in Egitto, all'epoca in cui vi regnava Horus, figlio di Iside, con


cui concluse un trattato di amicizia. In seguito attravers la
Frigia e raggiunse la regione di Caico, termine della sua spedi-
zione. Alla fine Mirina fu uccisa da re Mopso, un Trace caccia-
to dalla sua patria ad opera di re Licurgo.
Quando l'Argo apparve al largo dell'isola, le donne di
Lemno la credettero una nave nemica della Tracia e, indossate
le armi dei loro mariti defunti, si precipitarono sulla spiaggia
per respingere il temuto attacco.
Tuttavia l'eloquente Echione, sbarcato come araldo di Gia-
sone, plac i loro animi.
Ipsipile, convocato il consiglio, propose di offrire cibo e vi-
no agli Argonauti, senza tuttavia ammetterli nella citt di Miri-
na, per paura che fosse scoperto il massacro degli uomini di
Lemno. Polissea, la vecchia nutrice di Ipsipile, disse allora
che, senza uomini, la razza dei Lemni si sarebbe presto estinta,
e propose che le donne si offrissero agli Argonauti, per dare
vita ad una nuova e solida stirpe. Il consiglio di Polissea, ov-
viamente disinteressato, fu acclamato a gran voce, e gli Argo-
nauti entrarono nella citt di Mirina. Ipsipile, inoltre disse a
Giasone che il trono di Lemno poteva essere suo, bastava che
lo chiedesse.
Pur accettando con gratitudine l'offerta, Giasone rispose
che, prima di stabilirsi nella fertile Lemno, egli doveva conqui-
stare il Vello d'Oro. Ipsipile, per, riusc facilmente ad indurre
gli Argonauti a ritardare la partenza, poich ognuno di loro
era circondato da belle e giovani donne smaniose di giacersi
con lui. Ipsipile stessa volle Giasone tutto per s e lo intratten-
ne regalmente ed amorevolmente nel palazzo dove gli concep
i gemelli Euneo e Toante il Giovane.
Euneo divenne in seguito re di Lemno e forn ai Greci il vi-
no durante la guerra di Troia.
Molti altri bambini furono generati in tale occasione anche
dagli altri Argonauti, e se non fosse stato per Eracle che era ri-
masto di guardia all'Argo e che, alla fine, spazientitosi, ri-
chiam al dovere i suoi compagni, forse il Vello d'Oro non
avrebbe mai lasciato la Colchide.
Cos gli Argonauti proseguirono il loro viaggio.
COSTELLAZIONI E MITI 443

Pi tardi, dopo la partenza degli Argonauti, le Lemnie ven-


nero a sapere che la loro regina aveva risparmiato il padre e
vollero farla morire per quello che esse consideravano un tra-
dimento. Ma Ipsipile fugg di nascosto di notte e fu rapita da
pirati i quali, dopo averla pi volte violentata, la vendettero
come schiava a Licurgo, re di Nemea.
Qui, al servizio di Licurgo e di sua moglie Euridice, ebbe
l'incarico di badare al loro figlio Ofelte. Una volta ella abban-
don per un momento la sorveglianza del bambino, che fu
soffocato da un serpente. Euridice e Licurgo volevano metter-
la a morte, ma sopraggiunsero i due figli di Ipsipile, Euneo e
Toante il giovane, che cercavano la madre.
La riconobbero grazie ad un ramoscello di vite dorato, che
era un dono fatto da Dioniso al loro nonno Toante. Cos Ipsi-
pile pot tornare a Lemno.
Durante il viaggio degli Argonauti, Eracle lanci una sfida
ai suoi compagni per vedere chi potesse vogare pi a lungo.
Dopo molte ore di fatica, alleviata solo dal suono della Lira di
Orfeo, soltanto Eracle, Giasone ed i Dioscuri continuarono a
vogare di lena: i loro compagni si erano dichiarati battuti.
Poi anche Castore e Polluce desistettero ed alla foce del
fiume Chio, nella Misia, Giasone svenne e subito dopo il remo
di Eracle si spezz. L'eroe si guard attorno con rabbia e di-
sgusto, ed i suoi compagni, infilati di nuovo i remi nei fori,
spinsero la Nave sulla spiaggia presso la riva del fiume. Poco
dopo dissero ad Eracle che il suo scudiero, Ila, si era allonta-
nato per attingere acqua dalla vicina fonte di Pege, e non ave-
va fatto ritorno; Polifemo aveva gi iniziato le ricerche. Ila era
stato l'amante di Eracle da molto tempo ed Eracle si inoltr
nel bosco per cercarlo; ben presto incontr Polifemo, che gli
disse di aver udito Ila invocare aiuto, ma, alla fonte Pegea,
aveva trovato solo l'anfora per l'acqua e non c'erano tracce di
lotta. In realt Driopa e le sue sorelle, Ninfe di Pege, si erano
innamorate di Ila e lo avevano condotto con loro in una grotta
sotterranea.
All'alba del giorno dopo ci fu un vento favorevole, e Gia-
sone diede l'ordine di partire, lasciando Eracle, Polifemo ed
Ila alla loro sorte, nonostante le proteste di alcuni Argonauti,
444 GIOVANNI PLATANIA

che dicevano che Giasone avesse abbandonato Eracle per ven-


dicarsi della sua vittoria nella gara di remi.
Eracle, d'altra parte, non avendo trovato pi Ila, riprese le
sue fatiche.
La Nave Argo tocc l'isola di Bebrico, nel Mar di Marma-
ra, dove regnava l'arrogante re Amico, figlio di Poseidone, che
si vantava di essere un gran pugile ed usava sfidare gli stranieri
che invariabilmente erano sconfitti; ma se rifiutavano di bat-
tersi, li buttava in mare dall'alto di una roccia. Polluce subito
si fece avanti e, alla fine di un duro combattimento uccise
Amico e gli Argonauti si difesero vittoriosamente dalla reazio-
ne aggressiva dei Bebrici e saccheggiarono il palazzo reale (v.
Gemelli).
Per placare Poseidone, padre di Amico, Giasone offr allo-
ra in olocausto venti tori fulvi che facevano parte del bottino.
Ripresero il mare ed approdarono a Salmidesso nella Tra-
cia orientale, dove regnava Fineo, figlio di Agenore ( un Fi-
neo diverso da quello citato nella leggenda di Andromeda).
Egli era stato accecato dagli dei perch profetizzava il futu-
ro con troppa esattezza, ed inoltre un paio di Arpie non gli da-
vano tregua: queste creature alate, figlie di Taumante e dell'O-
ceanina Elettra, entravano nel palazzo all'ora dei pasti e ruba-
vano cibo alla tavola del re, insozzando il poco che rimaneva,
cos che tutto fosse immangiabile.
Fineo stava facendo preparare un banchetto per gli Argo-
nauti e subito le Arpie piombarono sulle tavole. Calaide e Ze-
te, gli alati figli di Borea, si levarono con le spade in mano ed
inseguirono le Arpie nell'aria facendole fuggire lontano, ma
non furono uccise perch Ermes avvert Calaide e Zete che
erano le serve di Zeus.
Fineo comunque, in segno di ringraziamento, spieg a Gia-
sone come navigare sul Bosforo, e gli predisse esattamente
quali venti, quale ospitalit e quale sorte l'avrebbero atteso
lungo la rotta per la Colchide, e gli raccomand di sacrificare
ad Afrodite una volta giunto col. Aveva inoltre messo in guar-
dia gli Argonauti contro il pericolo delle rocce Simplegadi
che, perennemente avvolte dalla nebbia marina, insidiavano le
navi dirette al Bosforo: quando un vascello cercava di passarvi
COSTELLAZIONI E MITI 445

in mezzo, queste rocce si stringevano l'una all'altra e lo fracas-


savano.
Eufemo allora liber una colomba perch volasse dinanzi
all'Argo e, non appena le rocce ebbero mozzato le penne alla
coda dell'uccello, per poi separarsi di nuovo, gli Argonauti si
inoltrarono nello stretto passaggio vogando a tutta forza, aiu-
tati da Atena e dal suono incoraggiante della lira di Orfeo, e
persero soltanto l'ornamento di poppa, ma entrarono nel Mar
Nero sani e salvi. Da quel giorno le rocce rimasero ferme ai
due lati dello stretto.
Dopo aver visitato nell'isola di Tinia, la citt di Mariandine
dove morirono il timoniere Tifide ed il veggente Idmone, visi-
tarono Sinope, in Paflagonia, dove Giasone reclut i fratelli
Deileone, Autolico e Flogio di Tricca, la Nave Argo oltrepass
poi veleggiando il paese delle Amazzoni, il paese dei Calibi ed
il paese dei Mesineci per giungere nei pressi dell'isola di Ares;
qui raccolsero quattro naufraghi: la principessa Calciope, mo-
glie di Frisso, con i suoi tre figli. Giasone, conosciute l'identit
e la storia dei naufraghi, intu che il re Eete aveva voluto sba-
razzarsi dei nipoti e della loro madre.
Argeo, il maggiore tra i fratelli, si offr di accompagnare
Giasone alla reggia: qui l'eroe avrebbe chiesto al re il permes-
so di impadronirsi del vello d'oro, custodito nel giardino del
campo di Ares.
Il campo era sorvegliato da una coppia di tori, i guardiani
del campo di Ares; il giardino dove si trovava il vello d'oro era
protetto da un terribile e vigile animale: il drago di Ares.
Alla reggia Giasone incontr il re Eete, la regina Idia, il
principe Aspirto e la principessa Medea, che, complici Afrodi-
te ed Eros, si innamor dell'eroe greco.
Medea, disobbedendo alla volont del re, si offr di aiutare
Giasone nella conquista del vello d'oro.
Abile maga, dopo aver fornito a Giasone, a condizione che
egli la portasse in Grecia come sua moglie, delle erbe incanta-
te per abbattere i due feroci guardiani del campo di Ares, i
terribili tori dagli zoccoli di bronzo e dall'alito di fuoco, Me-
dea seppe addormentare anche il drago che era a guardia del
giardino di Ares, aspergendo gli occhi del terribile animale
446 GIOVANNI PLATANIA

con un ramoscello di ginepro intriso di un unguento fatato.


Il drago non dormiva mai, era irto di creste, aveva tre lin-
gue e denti adunchi. Giasone gli spruzz addosso l'unguento
dell'erba soporifera, come gli aveva detto Medea, e recit per
tre volte la formula che immerge nel sonno: il sonno scese su
quegli occhi che non avevano mai dormito.
Il re Eete, tuttavia, non aveva intenzione di cedere il Vello
e rinneg il patto concluso, minacciando di dar fuoco all'Argo
e di massacrare l'equipaggio.
Medea allora guid Giasone ed alcuni suoi compagni al re-
cinto sacro di Ares, dove era appeso il Vello, che Giasone pre-
se e si affrett, con Medea, verso l'Argo che, attraverso il Bo-
sforo, donde era venuta, super l'Ellesponto senza difficolt
perch i Troiani non potevano pi opporsi al suo passaggio.
Infatti Eracle, al suo ritorno dalla Misia, aveva radunato
una flotta di sei navi con cui sorprese e distrusse la flotta troia-
na, poi si apr un varco fino a Troia a colpi di clava e chiese al
re Laomedonte le cavalle divoratrici di uomini di re Diomede,
che gliele aveva affidate qualche anno prima. Quando Laome-
donte neg di averne mai sentito parlare, Eracle lo uccise con
tutti i suoi figli, salvo il piccolo Priamo, che nomin re in sua
vece.
Il matrimonio tra Giasone e Medea non fu celebrato in
Colchide, ma fu rimandato finch la nave non si ferm presso
il re dei Feaci, Alcinoo, e la moglie Arete. Alcinoo aveva infat-
ti deciso di restituire Medea agli inviati di Eete, che la richie-
devano per punirla del suo delitto, ma solo se ella non fosse
stata pi vergine. Arete avvert di nascosto Medea della deci-
sione del re, e Giasone giacque con lei per salvarla, nella grot-
ta di Macride, a Corf.

Infine la Nave Argo fece ritorno ad Iolco, ma tra coloro


che aspettavano Giasone per i festeggiamenti mancava Esone,
stremato dalla vecchiaia ed ormai alle soglie della morte.
Giasone allora chiese piangendo alla sposa Medea di to-
gliere degli anni dalla sua vita ed aggiungerli a quella del pa-
dre.
Medea, caduta in ginocchio sulla dura terra, invoc:
COSTELLAZIONI E MITI 447

O Notte, fedele custode di misteri; astri d'oro, che a fianco


della luna vi alternate ai bagliori del giorno; e tu Ecate tricipite,
che della mia impresa sei conscia e porgi aiuto agli incantesimi e
all'arte dei maghi; o Terra, che ai maghi procuri erbe prodigiose;
e voi brezze, venti e monti, voi fiumi e laghi, di dei boschi, di
tutti della notte, voi tutti assistetemi! [...] Ora occorrono filtri,
perch la vita di un vecchio si rinnovi e recuperi la giovent,
tornando a fiorire. E voi me li darete.
(Met. VII, 192-217).

Un cocchio scese dal cielo e l'aspettava, perch Medea era


nipote del Sole. Ella sal sul cocchio e scese sui monti Pelio,
Pinto e Olimpo, prese le erbe necessarie e dopo nove giorni
fece ritorno.
Poi, invocando Ade e Proserpina, ordin che il corpo di
Esone fosse portato all'aperto e lasciato solo con lei.
Ed Esone, alla fine ringiovanito, si guard sbalordito e ri-
cord di essere stato cos solo quarant'anni prima.
Anche Dioniso vide quest'inverosimile prodigio e compre-
se di poter restituire alle proprie nutrici la giovinezza.
Giasone consegn il Vello d'Oro a Pelia, che per rifiut
di restituire il trono di Iolco al nipote. E allora Medea, con un
sortilegio legato alla possibilit del ringiovanimento, fece ucci-
dere il vecchio Pelia dalle sue stesse figlie.
Infatti ella convinse le figlie di Pelia di essere capace di far-
lo ringiovanire facendolo bollire in una pozione magica di cui
ella possedeva il segreto. Sotto i loro occhi, squart un vecchio
ariete, ne gett i pezzi in un grande paiolo che aveva posto sul
fuoco e, di l ad un momento, ne usc un agnello tutto sano e
gioioso.
Convinte da questo esempio della sua arte, le figlie di Pelia
fecero in tal modo a pezzi il loro padre e lo gettarono in un
paiolo procurato da Medea, ma Pelia non ne usc mai.
Non fu per Giasone a succedergli nel governo della citt,
fu invece Acasto, il figlio di Pelia, il sovrano ucciso, che, una
volta re, giur di vendicare l'assassinio del padre. Temendo la
collera del nuovo re, Giasone e Medea fuggirono in Beozia,
dove, nel tempio dedicato a Zeus, il giovane eroe gli depose
448 GIOVANNI PLATANIA

l'aureo trofeo ai piedi quale ringraziamento della protezione


celeste.
Dopo il rito, i due fuggitivi raggiunsero Corinto: qui Gia-
sone, sicuro di ottenere protezione ed ospitalit, port in sec-
ca la Nave Argo, che dedic a Poseidone.
A Corinto, Medea, in quanto figlia di Eete, che una volta
aveva regnato su quella citt, avanz diritti sul trono, in quel-
l'epoca vacante. I Corinzi, pur accettando Giasone come re,
non riconobbero Medea come loro regina, perch maga, e
perci Medea lasci Giasone, si rifugi ad Atene, ivi spos il
re Egeo, ricorrendo a vari incantesimi.
Giasone si un con Creusa, figlia del re Creonte.
Medea, saputo del matrimonio, invi come dono di nozze
alla sposa un magnifico abito nuziale, naturalmente stregato.
La giovane principessa lo indoss e fu subito presa da atroci
dolori, la veste nuziale si incendi e Creusa mor; tutta la reg-
gia si incendi, e nell'incendio mor anche Creonte. Medea uc-
cise i propri figli nel tempio di Era e poi fugg ad Atene sul
suo carro alato. Qui riusc a sposare Egeo e ne ebbe un figlio,
Medo, che in seguito, con l'aiuto della madre, avrebbe ucciso
il re Perse e regnato al suo posto.
Medea, infatti, non mor mai, ma divenne immortale e vis-
se nei Campi Elisi.
Giasone, intanto, rimasto solo, inizi a vagare di terra in
terra senza meta n pace. Ormai vecchio, volle rivedere la na-
ve che l'aveva portato alla conquista del Vello d'Oro. Raggiun-
se la spiaggia dell'istmo di Corinto, dove la Nave Argo era in
secca da anni, vi sal a bordo, e gli balenarono alla mente le
imprese che lo avevano reso famoso, rivide non senza emozio-
ne le ombre dei suoi compagni, li sent vicini. All'improvviso
la Nave Argo cadde in pezzi e Giasone fu sotterrato dai rotta-
mi e vi trov la morte.
La Nave Argo fu trasferita dagli dei sulla volta celeste.

Un altro mito classico riconduce la costellazione dell'Arie-


te alla capretta Amaltea, che allatt Zeus poppante sul monte
Ida a Creta. Zeus, divenuto signore degli di, dot le corna
della capra della capacit di donare al suo possessore qualun-
COSTELLAZIONI E MITI 449

que cosa desiderasse (ulteriore mito della Cornucopia; v. pe-


raltro Prima Parte, Eracle e Capricorno).

L'interpretazione pi comune in Egitto che la costellazio-


ne dell'Ariete rappresenti il dio Ra.
Presso gli antichi Egizi nella costellazione Ariete fu anche
rappresentata la Fenice; il leggendario uccello che risorgeva
perennemente dalle proprie ceneri. Questo perch a quel tem-
po nell'Ariete si trovava l'equinozio di primavera, quindi esso
era il primo segno zodiacale incontrato dal Sole nel suo cam-
mino annuale e rappresentava la periodica rinascita della vita.
L'aspetto della Fenice quello di un'aquila di grandi di-
mensioni ed il suo piumaggio ornato dei colori pi belli,
rosso fuoco, blu chiaro, porpora ed oro: infinitamente pi
bella del pavone pi splendido.
Quest'uccello l'unico della sua specie e, perci, non pu
riprodursi come gli altri animali: quando sente arrivare la fine
della sua esistenza, raduna piante aromatiche, incenso, amomo
e ne forma una specie di nido. A questo punto appicca il fuo-
co a quel rogo profumato e dalle ceneri nasce una nuova Feni-
ce che, raccogliendo le ceneri della madre, le rinchiude in un
tronco di mirra cavo che porta via fino alla citt Eliopoli, nel-
l'Egitto settentrionale e lo depone sull'altare del Sole perch
sia bruciato dai sacerdoti. Poi riparte per l'Etiopia, dove vive
nutrendosi di perle d'incenso fino al termine della propria vi-
ta.

Dagli Assiri la costellazione era conosciuta come l'Altare


per il sacrificio di un Ariete compiuto per celebrare l'equino-
zio.

Per gli Arabi era una pecora e per i Cinesi era un Cane.
450 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 451

TORO

Costellazione del Toro


452 GIOVANNI PLATANIA

Toro
COSTELLAZIONI E MITI 453

Le Pleiadi
454 GIOVANNI PLATANIA

Le Pleiadi
COSTELLAZIONI E MITI 455

Le Iadi
456 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 457

Nebulosa del Granchio


458 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa del Granchio in un'altra frequenza


COSTELLAZIONI E MITI 459

Costellazione invernale.

La costellazione era gi nota ai Caldei che vi identificavano


la parte anteriore di un toro che emerge dalle le onde.
Alfa ha m = 1 e si chiama Aldebaran, che significa la se-
guente, nel senso che segue gli ammassi delle Iadi e delle
Pleiadi.
Beta Al Nath ed uno dei corni del Toro, con m = 1.7. Si
trova quasi nell'anticentro galattico, cio nel punto diretta-
mente opposto al centro galattico, che nel Sagittario.
Epsilon Ain, occhio sinistro, con m = 3.6.
Tra Beta ed Epsilon possibile osservare le Tauridi, sciame
diurno di meteoriti del mese di giugno. C' anche uno sciame
notturno in novembre dovuto all'altra intersezione dell'orbita
della cometa con l'orbita terrestre.
La Zeta, con m = 3, era, per i cinesi, Tien Kwan, la porta
del cielo.

Fonti cinesi attestano che, vicino alla Zeta, apparve, nel


1054, una nuova stella.
Oggi sappiamo che era una supernova di cui testimonian-
za la nebulosa del Granchio (Crab Nebula), che raggiunse
m = -5, luminosit analoga a quella di Venere al suo massimo
splendore; oggi ha m = 8.4. Circa al centro della nebulosa c'
una pulsar, che emette segnali regolari di trenta impulsi al se-
condo, sia nelle frequenze radio che in quelle visibili, nelle X e
nelle gamma.
La pulsar una stella di neutroni che ruota attorno ad un
asse diverso da quello magnetico e le sue fasce di Van Allen
fungono da acceleratori di elettroni che, sulla Terra, danno
origine alle aurore boreali, e nella Crab Nebula , al fenomeno,
appunto, di pulsar.

Igino, ne l'Astronomia, racconta:


460 GIOVANNI PLATANIA

Il Toro raffigurato solo a met rivolto verso il punto in cui


sorgono le costellazioni, sembra cominci a piegare le ginocchia
verso terra ed ha la testa orientata nella stessa direzione. Le sue
ginocchia sono separate dal resto del corpo dal Circolo
Equinoziale. Il corno sinistro si congiunge con il piede destro
dell'Auriga. Tra il margine del suo corpo e la coda dell'Ariete, vi
sono sette stelle che da noi vengono chiamate Vergilie e dai
Greci Pleiadi. Esso tramonta e sorge all'indietro. Ha una stella su
ogni corno, ma quella di sinistra pi splendente, una su ciascun
occhio, una in mezzo alla fronte, una nei due punti in cui
fuoriescono le corna. Queste sette stelle vengono definite Iadi,
per quanto qualcuno neghi come le ultime due che abbiamo
elencato, siano stelle e cos le Iadi sarebbero in tutto cinque.
Inoltre ha una stella sul ginocchio anteriore sinistro, una sopra lo
zoccolo, una sul ginocchio destro e tre sulla schiena, ultima delle
quali pi splendente delle altre; infine una stella si trova sul
petto. In totale, oltre alle Vergilie, diciotto.

Nella costellazione del Toro sono contenuti due meravi-


gliosi ammassi stellari: le Iadi e le Pleiadi anche essi legati alla
mitologia greca (v. Iadi e Pleiadi).

Le Iadi erano sette ninfe sorelle, figlie di Atlante e di Etra,


una ninfa Oceanina, divinit minore del mare. Narra la leg-
genda che le sette sorelle avevano trovato, in una grotta sul
monte Niso, un neonato bellissimo e credendolo abbandonato
lo presero fra loro curandolo e vezzeggiandolo. Zeus, un gior-
no, si manifest alle sette ninfe e confid loro che quel fan-
ciullo, dal nome Dioniso, era figlio suo e di Semele e che lo
aveva nascosto nella grotta dove lo avevano trovato per sot-
trarlo alle furie di sua moglie Era.
Per ricompensare la generosit delle Iadi, Zeus le assunse
in cielo e le tramut in sette meravigliose stelle che posizion a
forma di V sul muso del Toro che la raffigurazione astrale di
Zeus stesso.

Una seconda versione del mito, vuole che le sette giovani


fossero sorelle del cacciatore Laoonte che trov la morte per
opera di un cinghiale durante una battuta di caccia. Per il do-
COSTELLAZIONI E MITI 461

lore, le fanciulle si tolsero la vita e per questo atto d'amore fra-


terno furono assunte in cielo col nome di Iadi, dal verbo greco
yein (piovere) perch comparivano in coincidenza delle piog-
ge di primavera.

Anche le Pleiadi erano sette sorelle, figlie di Atlante e


Pleione. Tutte, le bellissime creature, avevano sposato delle di-
vinit, meno che una: Metope che aveva sposato il mortale Si-
sifo. Per questo, quando furono assunte in cielo per la loro
saggezza, le sei sorelle spose di immortali ebbero una lumino-
sit superiore a quella di Merope che per la vergogna della sua
inferiorit si nasconde agli uomini: infatti, sei delle Pleiadi so-
no visibili ad occhio nudo mentre la settima si manifesta solo a
chi possiede una vista acuta.

Uno dei miti greci sulla costellazione del Toro racconta co-
me Zeus, vista la straordinaria bellezza di Europa, il cui nome
significa colei che ha grandi occhi, figlia di Telefassa e di
Agenore re di Fenicia, si fosse invaghito di lei. Per rapirla as-
sunse l'aspetto di un toro e si mescol alle mandrie di Ageno-
re.
La ragazza, che giocava ignara sulla spiaggia di Sidone, fu
attratta dal maestoso toro bianco che pascolava tranquillo.
Dapprima spaventata, prese coraggio nel vederlo mansueto,
forte e vivace, non aggressivo e che emanava odore di zaffera-
no. Al suo avvicinarsi, il toro si inginocchi davanti a lei e la
fanciulla gli sal sulla schiena per intrecciargli una ghirlanda di
fiori intorno alle corna.

Allora il dio dalla terra asciutta della riva, senza parere,


comincia ad imprimere le sue mentite orme nelle prime onde,
poi procede oltre e in mezzo alle acque del mare si porta via la
sua preda. Lei terrorizzatasi volge a guardare la riva ormai
lontana: la destra cinge un corno, la sinistra s'afferra alla groppa;
palpitando al vento si gonfiano le vesti.
(Met. II, 870-875)
A Creta, Zeus riprese il suo aspetto e la violent, sotto un
meraviglioso platano che, in ricordo di tale rapporto, da quel
462 GIOVANNI PLATANIA

giorno conserva il privilegio di non perdere mai le sue foglie


palmate.
Europa gener a Zeus tre figli: Minosse, Radamanto e Sar-
pedone.
Minosse divenne poi re dell'isola (vedi Corona Boreale) e
fece costruire il palazzo di Cnosso dove si tenevano giochi di
abilit con i tori. Radamanto, il fratello Sarpedone e Minosse
divennero i tre giudici inflessibili del tribunale di Averno, per
essere stati in vita re giusti e prudenti (altri per dicono che il
terzo giudice fosse Eaco, insieme a Minosse e Radamanto).
Zeus fece in seguito ad Europa tre regali: Talo, l'essere di
bronzo che aveva il compito di proteggere Creta, impedendo
agli stranieri di penetrarvi senza l'autorizzazione di Minosse.
Gli altri doni furono un cane che non poteva lasciarsi sfuggire
alcuna preda ed un giavellotto da caccia che non falliva mai il
bersaglio.
Dopo questa avventura con Zeus, Europa spos Asterio, re
di Creta, ma dalle loro nozze non nacquero figli. Asterio allora
adott i figli di Zeus ed Europa e li nomin suoi eredi.
Minosse, mentre era re di Creta, fece innamorare di s Scil-
la, figlia di Niso, re di Megara, citt in guerra con Creta. La
giovane, spinta dall'amore, rub al padre le chiavi della citt e,
nottetempo, le port a Minosse.
Di fronte a questo Minosse si ritrasse e rispose:

Che gli dei, o infamia del nostro tempo, ti bandiscano dal


loro mondo e a te si neghino la terra e il mare! Non tollerer che
un mostro come te metta piede a Creta che la culla di Giove e il
mondo mio!
(Met. VIII, 97-99)
E dopo aver imposto ai nemici, che si erano arresi, le con-
dizioni che ritenne pi giuste, ordin ai suoi guerrieri di tor-
nare a Creta.
Quando Scilla vide le navi che partivano, grid

Dove fuggi, abbandonando chi ti ha soccorso? Alla mia


patria, a mio padre io ti ho preferito! Dove fuggi, rinnegato, tu
che hai vinto solo per colpa e merito mio? Non il dono che ti ho
COSTELLAZIONI E MITI 463

dato o il mio amore ti hanno commosso, neppure il pensiero che


tutte le mie speranze in te erano riposte! Dove vuoi che vada cos
reietta? In patria? Giace sconfitta; ma se anche non lo fosse, mi
preclusa, perch ho tradito! Tornare al cospetto di mio padre,
che io ti ho consegnato? I cittadini mi odiano, e con ragione; i
vicini temono il mio esempio: tutto il mondo mi sono preclusa,
perch solo Creta mi si potesse aprire. Ma se anche questa tu mi
vieti e, ingrato, m'abbandoni, tua madre non stata certo
Europa, ma la Sirte inospitale, le tigri dell'Armenia o Cariddi
flagellata dall'Austro. E non sei figlio di Giove; da una chimera
di toro tua madre non fu rapita: la storia della tua nascita una
favola. A generarti fu un toro, s, ma un toro vero, feroce, e non
certo innamorato di una giovenca! O Niso, padre mio,
puniscimi! E voi mura che ho tradito, godete, godete della mia
sventura! L'ammetto, non merito che la morte. Ma almeno mi
sopprima chi ha subito veramente la mia empiet. Perch tu, che
grazie alla mia colpa hai vinto, pretendi di punirla? Per mio
padre e la patria questa un delitto, per te una grazia. Davvero ti
degna compagna chi ti ha tradito con un toro in calore,
abbindolato da un simulacro di legno, e nel ventre si portata un
feto mostruoso! Ma alle tue orecchie giunge la mia voce? O i
venti, come spingono le tue navi, se la portano via, priva di senso
per quell'ingrato che sei? Ormai, no, non incredibile che
Pasifae ti abbia preferito un toro: ben maggiore la tua ferocia.
Sventurata me! Comanda ai suoi di affrettarsi, l'onda sollevata
dai remi scroscia, e con me la mia terra svanisce ai tuoi occhi. Ma
non ti servir; invano cerchi di scordare i meriti miei! Se anche
non vuoi, io ti inseguir: avvinghiata all'ansa della poppa, lungo
il mare mi far trascinare!
(Met. VIII, 108, 142)
E si gett in acqua finche non raggiunse le navi e si ag-
grapp alla chiglia della nave del re cretese. La vide suo padre,
che era stato trasformato in aquila, e si slanci per straziarla
col becco, ma Scilla, impaurita, moll la presa della poppa e
mentre stava cadendo in acqua fu trasformata in un uccello
detto Ciris (un airone).
Il toro fu collocato in cielo da Zeus perch fosse ricordato
per sempre il suo amore per Europa.

Secondo un altro mito, invece, Zeus cerc di ripagare Io,


464 GIOVANNI PLATANIA

quando la trasform in giovenca, collocando il suo corpo tra


le stelle in modo che la parte anteriore restasse visibile come
quella di un toro ed il resto rimanesse nell'ombra.
Io era sacerdotessa del tempio di Era, figlia di Inaro, re di
Argo e dio dei fiumi; Zeus, innamoratosi di lei, ogni volta che
andava a trovarla, avvolgeva Argo in una nube dorata. Era,
per, scopr la tresca e Zeus fece appena in tempo a trasfor-
mare Io in una bianca giovenca. Era, tuttavia, non paga, chiese
in regalo l'animale e lo condusse a Micene, custodito dal mo-
stro Argo dai cento occhi, che non dormiva mai. Zeus chiese
ad Ermes di liberare Io: l'astuto messaggero riusc a far addor-
mentare Argo alla melodia del suo flauto magico, cosicch
pot decapitarlo e liberare la giovenca.
Ma Era, alla quale nulla era sfuggito, mand un terribile ta-
fano a pungere la giovenca la quale, resa folle dalle punture
dell'insetto, percorse tutta la Grecia, oltrepassando anche lo
stretto del Bosforo, che significa appunto guado della gio-
venca, finch ai piedi del Caucaso trov Prometeo che le pre-
disse una prole divina: ella in Egitto avrebbe partorito Epafo,
figlio di Zeus, riacquistando le sue sembianze umane. Ma
Zeus, sapendo che Era odiava questo figlio e lo perseguitava,
lo affid ai Cureti con il compito di nasconderlo. Questi lo na-
scosero cos bene che Io non pot ritrovarlo. Zeus allora ucci-
se i Cureti ed Io si rimise alla ricerca del figlio. Venne a sapere
che era allevato dalla moglie del re di Biblo, in Siria, vi and e
lo riport con s in Egitto, dove egli poi regn, succedendo al
padre adottivo Telegono, e spos Menfi, da cui ebbe una fi-
glia, Libia, che diede il nome al paese vicino all'Egitto.

In un'ulteriore versione del mito la costellazione del Toro


si identificherebbe con il bianco toro amato da Pasifae, moglie
di Minosse, dalla cui unione sarebbe nato il mostruoso Mino-
tauro.
Pasifae era una donna estremamente gelosa ed aveva fa-
colt stregonesche simili a quelle di sua sorella Circe e di sua
nipote Medea, figlia di Eete. Per impedir a suo marito Minos-
se di unirsi ad altre donne al di fuori di lei, l'avrebbe colpito
con una maledizione consistente nel far morire tutte le donne
COSTELLAZIONI E MITI 465

da lui amate, divorate da serpenti che egli emetteva con il suo


sperma. Minosse fu poi guarito da questa maledizione solo da
Procri.

Quando i tre figli di Zeus divennero adulti, litigarono per


amore di un bellissimo giovane chiamato Mileto, figlio di
Apollo e della Ninfa Aria. Poich Mileto mostrava di predili-
gere Sarpedone, Minosse lo scacci da Creta ed egli salp con
una grande flotta alla volta dell'Asia Minore, dove fond la
citt ed il regno di Mileto. Qui spos la figlia del dio Eurito,
Idotea, dalla quale ebbe Cauno e Bibli.
Minosse, per, sospett che Mileto volesse impadronirsi
del regno di Creta, ma per non suscitare l'ira di Apollo, si li-
mit a rimproverare il giovane.
Per regnare da solo su Creta, consacr un altare a Poseido-
ne e, fatti i preparativi per un sacrificio, gli chiese di far uscire
un toro dal mare, per dimostrare ai fratelli che egli avrebbe
dovuto avere il potere tutto per s. In cambio avrebbe sacrifi-
cato il toro a Poseidone; ma una volta che fu uscito dal mare
un toro di un candore abbagliante, Minosse non volle pi sa-
crificarlo perch era molto bello e voleva conservarne la razza.
Le pretese di Minosse al trono furono accettate da tutti i
cretesi all'infuori di Sarpedone, il quale non si era rassegnato
alla perdita di Mileto e dichiar che, secondo il volere di Aste-
rio, il regno avrebbe dovuto essere diviso tra i suoi eredi. Cos
Sarpedone fu allora scacciato da Creta per ordine di Minosse
e si rifugi in Cilicia, nell'Asia Minore, dove si alle con il re
Cilice contro i Mili, li sopraffece e divenne loro re. Zeus gli
concesse il privilegio di vivere per tre generazioni e, quando
infine mor, il regno fu chiamato Licia, dal nome del suo suc-
cessore, Lico, che si era rifugiato presso di lui dopo che Egeo
l'ebbe scacciato da Atene.
Frattanto Minosse aveva sposato Pasifae, figlia di Elios e di
Perseide.
Poseidone per, per vendicarsi dell'affronto fattogli da Mi-
nosse, che non aveva sacrificato come promesso, il toro, fece s
che Pasifae si innamorasse del toro.
Ella confid la sua insana passione a Dedalo, il famoso ar-
466 GIOVANNI PLATANIA

chitetto ateniese, che le promise il suo aiuto. Costru, infatti,


una vacca di legno ricoperta con una pelle di vacca e, montata
su quattro ruota abilmente celate negli zoccoli, la spinse in un
prato dove il toro di Poseidone stava pascolando tra le vacche
di Minosse. Dedalo mostr a Pasifae come introdursi nella
vacca di legno attraverso uno sportello scorrevole sistemando
le gambe nelle zampe posteriori, e poi approfitt della situa-
zione egli stesso, violentando in quella posizione Pasifae, che
non poteva far altro che accettare, peraltro con gran piacere, il
gesto.
Il toro bianco, poi, trotterell verso la finta vacca e la
mont. Cos Pasifae pot doppiamente soddisfare il proprio
desiderio e da quell'immondo adulterio (Met.) nacque il Mi-
notauro, mostro met uomo, dalla vita in gi, e met toro, dal-
la vita in su.
Minosse consult un oracolo per sapere come potesse evi-
tare lo scandalo e nascondere il mostruoso figlio di Pasifae. La
risposta fu di chiedere a Dedalo di costruire un nascondiglio a
Cnosso. Egli si rivolse quindi a Dedalo, che costru un immen-
so edificio, il Labirinto, composto di un tale intrico di sale e
corridoi che era impossibile a chiunque di ritrovare la strada
per uscirne.
Radamanto, intanto, pi saggio di Sarpedone, rimase a
Creta e visse in pace con Minosse, che gli diede un terzo del
regno di Asterio. Famoso per la sua equanimit nel far rispet-
tare le leggi ed inflessibile nel punire i trasgressori, egli legi-
fer sia per i Cretesi sia per gli isolani dell'Asia Minore, molti
dei quali adottarono spontaneamente il suo codice. Ogni nove
anni, egli si recava nella grotta di Zeus e ne riportava delle
nuove leggi: tale pratica fu poi seguita anche da suo fratello
Minosse.
Radamanto dovette poi fuggire in Beozia perch aveva uc-
ciso un suo parente, e visse col in esilio, ad Ecalea, dove spo-
s Alcmena, la madre di Eracle, dopo la morte di Anfitrione.

Il toro stato venerato per la forza e la fertilit ed pre-


sente nei cicli mitologici di numerose culture.
COSTELLAZIONI E MITI 467

In epoca romana, nel Toro si identificava Bacco, il dio del


vino: durante le feste in suo onore, fanciulle danzanti, rappre-
sentanti le Iadi e le Pleiadi, accompagnavano un toro ornato
di fiori.

Gli egizi vi vedevano il bue sacro Api.

Gli Arabi consideravano la stella Aldebaran l'occhio del


Toro.

I Persiani vi vedevano il dio Mitra, divinit della luce e del-


la giustizia. Il mito narra dell'uccisione da parte di Mitra del
toro Geush Urvan, dal sangue del quale sarebbero nati tutti
gli esseri viventi. In altre versioni, l'uccisione del Toro raffigu-
rava la precessione degli equinozi, e Mitra, identificato con la
costellazione di Perseo, metteva in movimento l'intero univer-
so, uccidendo il Toro e spingendo la Terra verso la costellazio-
ne dell'Ariete all'equinozio di primavera. Tracce di questi miti
legati al dio Mitra vi sono anche presso scrittori latini, in
quanto il culto di Mitra era assai diffuso ai tempi dell'impero
romano.

I Celti celebravano la festa dei tori quando il Sole entrava


in questa costellazione.

Vi sono testimonianze del culto del Toro anche negli Stati


Uniti, dove, per, era identificato con il Tapiro, che popolava
le foreste americane.
468 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 469

GEMELLI

Gemelli
470 GIOVANNI PLATANIA

Gemelli
COSTELLAZIONI E MITI 471

Nebulosa Eskimo vista da Hubble


472 GIOVANNI PLATANIA

Residuo di supernova
COSTELLAZIONI E MITI 473

M35 Ammasso aperto


474 GIOVANNI PLATANIA

Ammasso Globulare M35


COSTELLAZIONI E MITI 475

Si distinguono le due figure umane


476 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 477

Costellazione invernale.

Castore con m = 1.6, la stella Alfa, ma non la pi lumi-


nosa della costellazione, che invece Beta, Polluce, con m =
1.2.
Castore un sistema stellare sestuplo.
Fu Piazzi che rilev per primo, nel 1792, che Beta pi lu-
minosa di Alfa.
Gamma Alhema, con m = 2.
Zeta si chiama Mekbuda; una variabile con m compresa
tra 3.7 e 4.2 ed un periodo di 10 giorni.

Zeus, innamoratosi della ninfa Leda, principessa d'Etolia e


figlia di Tesio, si trasform in un candido cigno e la sedusse: la
ninfa gener due gemelli, Castore e Polluce, detti Dioscuri (fi-
gli di Zeus).
Una versione del mito racconta che Leda, dopo la notte
d'amore con Zeus, giacque anche con il suo sposo Tindaro, re
di Sparta, e rimase incinta di entrambi (v. Perseo). Quando
dovette partorire, si rec sull'isola disabitata di Pephnos, e l
nacquero due coppie di gemelli: Polluce ed Elena da Zeus e
Castore e Clitennestra da Tindaro.
I nati dagli amori degli di con i mortali avevano destini
umani, ma il Fato decise diversamente per uno dei Dioscuri:
Castore, abilissimo domatore di cavalli, era mortale ma Pollu-
ce, invincibile pugile e cavallerizzo, era immortale.
Sempre insieme parteciparono a numerose imprese e ne
uscirono ininterrottamente vincitori. Presero parte anche alla
spedizione degli Argonauti: durante il viaggio (v. Ariete), la
Nave Argo approd a Bbrico, in Bitinia e qui Polluce af-
front l'imbattuto pugile Amico, figlio di Poseidone e re dei
Bbrici. Appassionato di lotta, il re sfidava ogni straniero che
passasse attraverso i suoi possedimenti: dopo il combattimen-
to, l'avversario, puntualmente sconfitto, era ucciso.
In seguito alla vittoria Polluce acquist grande fama, giac-
478 GIOVANNI PLATANIA

ch inflisse al famoso pugile l'umiliazione della prima sconfit-


ta, e come vincitore impose al re di giurare solennemente che
non avrebbe ucciso pi i suoi avversari sconfitti nella lotta.
Tindaro ed il fratello Icario avevano due fratellastri, Afareo
e Leucippo, figli della stessa madre Gorgofone, figlia di Per-
seo e di Andromeda, e del suo primo marito morto Periere.
Ida e Linceo erano fidanzati alle due figlie di Leucippo,
Febe ed Ilaria.
Castore e Polluce furono invitati alle nozze, ma rapirono le
ragazze di cui si erano invaghiti, violando la legge dell'ospita-
lit. Ne segu una cruenta lotta: Linceo trov la morte per ma-
no di Polluce, Ida uccise Castore e Zeus, spettatore dall'Olim-
po, lo vendic colpendo Ida con un fulmine.

Questa non la sola versione del mito conosciuta. In un'al-


tra i Dioscuri rapirono le due fanciulle, ma ebbero da loro dei
figli.
Con Ida e Linceo, temporaneamente riappacificati, orga-
nizzarono una spedizione destinata a rapire bestiame in Arca-
dia. Mentre tornavano tutti e quattro col bottino, essi litigaro-
no per la spartizione: Ida fece in quattro parti un bue e stabil
che colui che, per primo, avesse terminato di mangiare il pro-
prio quarto, avrebbe scelto i propri animali.
Ida termin prima degli altri ed aiut Linceo a finire il pro-
prio quarto, cosicch i due Afareidi ottennero i capi migliori,
a discapito di Castore e Polluce. Questi ultimi, avendo seguito
i cugini per protestare contro la loro disonest, non riuscirono
a trovarli: erano infatti andati sul monte Taigeto per rendere
un sacrificio a Poseidone; allora si impadronirono del loro be-
stiame e si nascosero nel cavo di una quercia per attendere il
ritorno dei due rivali. Linceo, per, li aveva scorti dalla vetta
del Taigeto ed Ida, precipitatosi gi dalla montagna, scagli la
sua lancia contro l'albero e trafisse Castore. Quando Polluce
usc fuori per vendicare il fratello, Ida strapp dal sepolcro di
Afareo la pietra tombale scolpita e gliela scagli addosso. Ben-
ch ferito, Polluce riusc ad uccidere Linceo con la sua lancia.
A questo punto Zeus intervenne in favore del figlio e colp Ida
con una folgore.
COSTELLAZIONI E MITI 479

Polluce, che non poteva sopportare di separarsi dal fratel-


lo, preg allora a Zeus di farlo morire con lui; ma Polluce era
immortale: le sue implorazioni commossero Zeus che lo
esaud e trasform i due gemelli in stelle vicine ad immortale
ricordo del sovrumano amore che li aveva tenuti uniti nella lo-
ro breve ma intensa vita.

Esiste un'ulteriore versione del mito che racconta che Zeus


propose al figlio Polluce due alternative: vivere da solo sull'O-
limpo con gli altri immorali, oppure vivere con il gemello un
giorno sull'Olimpo ed uno nell'Ade. Polluce, senza esitazione,
scelse la seconda possibilit e da allora i due gemelli apparten-
gono un giorno alla luce ed un giorno all'ombra.

Un'altra versione ancora racconta che durante una festa of-


ferta a Sparta dai Dioscuri ad Enea e Paride, che facevano vi-
sita a Menelao, con lo scopo segreto di rapire Elena, i figli di
Afareo, riscaldati dal vino, rimproverarono ai loro cugini Ca-
store e Polluce di aver sposato le loro mogli senza aver prima
pagato ad Afareo la dote d'uso. Castore e Polluce, insultati, ri-
sposero, e la discussione degner in battaglia terminata come
nell'altra versione.
Dopo che i Dioscuri furono divinizzati, Tindaro chiam
Menelao a Sparta e gli affid il suo regno. (Miti).

La venerazione per i Gemelli era molto diffusa, soprattutto


presso i marinai: un segno della loro presenza sulle navi erano
considerate quelle luci che lampeggiavano improvvise sulle ci-
me degli alberi delle navi durante i temporali, fenomeno elet-
trico ora chiamato fuoco di sant'Elmo, ma che anche Plu-
tarco chiamava luce dei Dioscuri.

Quasi tutti i popoli dell'antichit videro nelle stelle Castore


e Polluce le teste di due figure umane appaiate, salvo gli Arabi
che vi scorsero invece due pavoni.

Per i Fenici ed i Caldei erano due caprette ed in Egitto era-


no chiamate le due piante.
480 GIOVANNI PLATANIA

In Cina, le due stelle rappresentavano due fiumi con ac-


que rombanti ed incarnano anche il concetto cinese di Yin
ed Yang: la contrastante dualit della vita.

I Romani li assimilarono ai leggendari fondatori della citt


di Roma, Romolo e Remo.

In una leggenda tramandataci dalla trib indiana dei Pie-


di Neri, medicina si riferisce al potere spirituale e magico.
La medicina forte o grande era favorevole a chi la posse-
deva; praticare una medicina cattiva era come tirarsi addos-
so una catastrofe, o disubbidire ai propri principi spirituali.
Una volta, ad un uomo di nome Corvo Scaltro apparve in
sogno un corvo. L'animale profetizz che la moglie gli avreb-
be dato due figli: uno sarebbe diventato saggio e degno di fi-
ducia, mentre l'altro sarebbe stato disubbidiente. Il corvo lo
avvert anche che un giorno, mentre sua moglie fosse stata so-
la, si sarebbe presentato uno straniero che avrebbe tentato di
ucciderla. Non molto tempo dopo il sogno, Corvo Scaltro
part per la caccia. Quando torn, scopr che il suo incubo si
era avverato. La moglie era morta ed i due neonati erano rima-
sti soli in casa. In cerca di vendetta, egli segu le tracce dello
straniero e lo trov. Stava quasi per ucciderlo, quando costui
gli disse: Ti restituir tua moglie. Corvo Scaltro all'inizio
non gli credette, ma desiderava tanto riavere la moglie che la-
sci andare lo straniero e torn a casa. L trov i due bambini
che piangevano per la fame; da solo non poteva prendersene
cura, cos ne mise uno su una roccia, pregandola di occuparse-
ne lei. Affid l'altro ad un amico castoro perch lo allevasse.
Quando i bambini ebbero all'incirca sei anni, Corvo Scal-
tro volle riprenderli con s. Li trov in un bosco e, dopo averli
convinti che egli era il padre, li riport a casa. Chiam uno
Roccia e l'altro Castoro. Celebrarono una cerimonia con le os-
sa della madre morta, che a quel punto ritorn in vita come
aveva promesso lo straniero. Roccia e Castoro da allora vissero
con i loro genitori come tutti i bambini, tranne per il fatto che
entrambi possedevano la medicina forte. Roccia disubbidiva a
COSTELLAZIONI E MITI 481

suo padre e spesso convinceva Castoro a fare altrettanto. Una


volta tir una freccia all'Uccello del Mattino, il quale possede-
va la medicina grande. Quando la freccia di Roccia lo colp,
esso cadde sul ramo di un albero. Roccia cerc di raggiunger-
lo, ma ogni volta che si avvicinava l'uccello saliva un po' pi in
alto. Castoro, restato a terra, non riusciva pi a vedere il fra-
tello che era scomparso in cielo. Era cos spaventato e pieno di
vergogna che decise di non tornare a casa ad affrontare Corvo
Scaltro, si sedette sotto un albero e pianse. Dopo un po' una
vecchia ud il ragazzo e lo port a casa sua. L Castoro crebbe,
si spos e divenne il capo del suo popolo.
Egli era buono e beneamato, ma un giorno fu obbligato a
lasciare la sua gente: aveva detto alla moglie di non bruciare
pi l'artemisia nel fuoco perch secondo lui quella era cattiva
medicina. Qualche tempo dopo la donna se ne scord e bru-
ci l'artemisia. Castoro non poteva pi vivere in quella casa,
cos prese il suo mantello di bisonte bianco e and a cercare
suo fratello Roccia. La medicina di Castoro era ormai forte, e
cos trov Roccia tra i rami alti dell'albero. In quella postazio-
ne elevata, essi divennero stelle ed ora vivono per sempre nel
cielo: sono i nostri Gemelli (Stelle).
482 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 483

CANCRO
484 GIOVANNI PLATANIA

Cancro
COSTELLAZIONI E MITI 485

Ammasso Aperto Presepe


486 GIOVANNI PLATANIA

Ammasso Globulare M67


COSTELLAZIONI E MITI 487

Sistema binario formato da due Nane Bianche


488 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 489

Costellazione primaverile.

La piccola costellazione del Cancro la meno brillante tra


quelle zodiacali.

La stella pi luminosa di questa costellazione la Beta, Al-


tarf, con m = 4.3.
Alfa, con m = 4.3, di magnitudine minore nelle successi-
ve cifre decimali e si chiama Acubens.
Le due stelle gamma e delta sono l'Asellus Australis e l'A-
sellus Borealis e sono quelle legate alla seconda versione del
mito.

Igino, ne l'Astronomia, narra che, mentre Eracle intento


a combattere nell'Argolide contro l'Idra di Lerna, un granchio
esce da una palude vicina al lago di Lerna e cerca di mordere
l'eroe tebano che rabbiosamente lo calpesta e lo riduce in mil-
le piccoli pezzi. La dea Era, nemica di Eracle perch figlio di
Zeus e di Alcmena, raccoglie i resti del granchio e li colloca
nel firmamento tra il Cane Maggiore ed i Gemelli, trasforman-
doli nella costellazione del Cancro.

Esiste anche una seconda leggenda. La dea Era aveva sapu-


to che Dioniso era figlio di Zeus e Semele. Per suo ordine, i
Titani se ne impadronirono, lo uccisero e poi ne bollirono i re-
sti in un calderone, mentre un albero di melograno sorgeva
dal suolo inzuppato del suo sangue. Ma la nonna Rea accorse
in suo aiuto e gli ridon la vita. Zeus lo affid allora a Persefo-
ne che lo condusse dal re di Orcomeno, Atamante e da sua
moglie Ino, e convinse quest'ultima ad allevare Dioniso negli
alloggi delle donne, travestito da fanciulla. Ma Era non si la-
sci trarre in inganno e pun la coppia regale con la pazzia, co-
sicch Atamante uccise suo figlio Learco scambiandolo per un
cervo (v. peraltro Ariete).
Allora, su istruzioni di Zeus, Ermes trasform temporanea-
490 GIOVANNI PLATANIA

mente Dioniso in un capretto e lo port sul monte Nisa, in


Elicona, dove le ninfe lo celarono in una grotta e lo nutrirono
di miele. Zeus, in segno di gratitudine, pose la loro immagine
tra gli astri, come ammasso delle Iadi (v. Iadi).
Era per riconobbe ugualmente in lui il figlio di Zeus e,
per vendicare l'offesa arrecatale dal consorte pun il giovane
facendolo impazzire. Dioniso and vagando per mondo con il
suo amico-educatore, il satiro Sileno (figlio del dio Pan e di
una ninfa), saggio e meditativo anche se quasi sempre ubriaco.
Si rec nell'Epiro per sapere dall'oracolo del tempio di Dodo-
na, dedicato a Zeus suo padre, come guarire. Durante il viag-
gio, i due giunsero sulla riva di un'estesa palude che non pote-
va essere attraversata a piedi. Fortunatamente trovarono due
asinelli e, grazie a loro, raggiunsero la riva opposta, dove si
trovava il tempio. L Dioniso guar dalla pazzia e, felice, ri-
compens i due asinelli, incastonandoli nel cielo ad immortale
ricordo della sua guarigione.
In seguito Dioniso ritorn in Europa passando dalla Frigia,
dove sua nonna Rea lo purific per i molti delitti commessi
durante la sua pazzia.
A Nasso incontr la bella Arianna, che Teseo aveva abban-
donata, e la spos senza indugio. Ne ebbe sei figli e pose tra le
stelle la corona nuziale di Arianna (v. Corona Boreale).
Da Nasso il dio si rec ad Argo dove Perseo gli aveva op-
posto resistenza uccidendo molti suoi seguaci: Dioniso lo pun
facendo impazzire le donne argive, che cominciarono a divo-
rare crudi i loro bambini. Perseo si affrett ad ammettere la
propria colpa e plac Dioniso erigendogli un tempio. Infine,
affermato il suo culto in tutto il mondo, Dioniso ascese al cielo
ed ora siede alla destra di Zeus come uno dei Dodici Grandi.
Dioniso poi discese nel Tartaro passando da Lerna e, do-
nandole del mirto, indusse Persefone a liberare la madre Se-
mele. Semele sal con Dioniso nel tempio di Artemide a Treze-
ne, ma per non ingelosire le altre ombre dei morti, Dioniso le
cambi il nome e la present agli di olimpici come Dione.
Zeus mise a sua disposizione un alloggio ed Era si chiuse in un
indispettito ma rassegnato silenzio.
Un'altra leggenda racconta che queste stelle rappresentano
COSTELLAZIONI E MITI 491

gli asini che aiutarono Zeus nella lotta contro i Titani.


Zeus radun tutti gli dei per combattere i Titani; agli di si
aggregano le divinit delle acque fecondanti, i Sileni, che face-
vano parte della corte di Dioniso. I Sileni accorsero numerosi
e tutti in sella ai loro asini affrontarono i Titani. Stavano per
raggiungere i nemici disposti a schiera, quando gli asini, spa-
ventati dall'aspetto mostruoso dei Titani, ragliarono simulta-
neamente. Quel ragliare unico ed incontrollato, emesso quasi
per annunciare l'ingresso sul campo di battaglia di un animale
terrificante e sconosciuto, atterr i Titani che, non conoscendo
gli asini, si dettero ad una precipitosa fuga. Dioniso premi
quegli asini e li immortal trasferendoli in cielo.

Da quest'ultima interpretazione deriva anche il nome di


Mangiatoia o Presepe dato all'ammasso aperto di stelle
visibile ad occhio nudo al centro della costellazione.

Nella costellazione cadeva, ai tempi degli antichi greci, il


solstizio d'estate. Il 21 Giugno, il Sole in posizione verticale
a mezzogiorno: per questo ancora oggi il Tropico del Cancro
porta questo nome.

Presso gli Egizi la costellazione rappresentava Khepri, lo


scarabeo, il dio dell'alba, della fertilit e quindi della vita e
della rinascita; era l'aspetto mattutino del Sole, che era Khepri
al mattino, Ra a mezzogiorno ed Atum la sera.
Khepri era chiamato lo scarabeo del cuore perch, scol-
pito in pietra, veniva posto sulla mummia all'altezza del cuore.
Egli nacque autocreandosi dalla propria stessa sostanza, si
accoppi con la propria ombra e diede alla luce Shu, l'aria, e
Tefnut, l'umidit. Dall'unione di Shu e Tefnut nacquero Geb,
la Terra e Nut, il cielo. Essi, a loro volta generarono Osiride,
Iside, Seth e Nefti.

Presso alcuni popoli dell'India la costellazione rappresen-


tava una colomba.

I Cinesi ritenevano che nell'ammasso del Presepe si trovas-


492 GIOVANNI PLATANIA

sero i corpi abbandonati dai morti all'atto di entrare in cielo, e


chiamavano la costellazione la Porta dell'Uomo.

Plinio il Vecchio menziona questo ammasso come indicato-


re attendibile del tempo meteorologico a seconda della sua vi-
sibilit pi o meno distinta.

Per gli Arabi, il Cancro era la bocca del vicino Leone.

interessante ricordare che un sacerdote caldeo del IV se-


colo a. C. naturalizzato greco, asseriva che la Terra sarebbe
stata sommersa dal diluvio quando tutti i pianeti fossero stati
in congiunzione nel Cancro. L'occasione si presentata nel
giugno del 1895...

Per i cristiani rappresentava San Giovanni Evangelista.


COSTELLAZIONI E MITI 493

LEONE
494 GIOVANNI PLATANIA

Leone
COSTELLAZIONI E MITI 495

Galassie M65, M66 ed NGC3628


496 GIOVANNI PLATANIA

Galassia M65 in Leone


COSTELLAZIONI E MITI 497

Galassia M 66
498 GIOVANNI PLATANIA

M95
COSTELLAZIONI E MITI 499

M96
500 GIOVANNI PLATANIA

NGC 2903
COSTELLAZIONI E MITI 501

NGC 3521
502 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 503

Costellazione di primavera.

La Alfa del Leone Regolo con m = 1.4. In latino significa


piccolo re; tale nome dovuto al fatto che questa stella,
quasi sull'eclittica, vede passare la Luna ed i pianeti nelle sue
vicinanze, quasi a rendere ad essi omaggio. Tale interpretazio-
ne fu data da Tolomeo.
Beta Denebola, la coda del Leone, con m = 2.1.
Gamma, o Algieba, la criniera del Leone, una doppia e
le due componenti hanno m = 2.4 ed m = 3.6.
Lambda, con m = 4.3, Al Tarf, cio occhiata.
Delta, con m = 2.5, la fascia del Leone, chiamata Al
Thar al Asad.

Nella costellazione, il 17 novembre, appaiono le Leonidi,


sciame meteorico tra i pi noti.

Circa duemila anni fa, a causa della precessione degli equi-


nozi, il Sole entrava nella costellazione del Leone esattamente
un mese dopo il solstizio d'estate: era il periodo del grande
caldo, del Solleone. Questa familiare espressione continua
ad indicare l'epoca del grande caldo della fine di Luglio, seb-
bene il Sole non sia pi nella costellazione del Leone ma in
quella dei Gemelli.

Mitologicamente il Leone ha una storia breve ma comples-


sa, legata alla variet di versioni circa l'origine di questa confi-
gurazione astrale.

Un mito la riconduce ad Eracle e ad una delle sue leggen-


darie fatiche.
Nel racconto si legge che il Leone era nato dall'unione di
Tifone, un gigantesco mostro che lambiva con la testa il firma-
mento e con le braccia aperte arrivava ai limiti estremi dell'o-
riente e dell'occidente, e di Echidna un essere met donna e
504 GIOVANNI PLATANIA

met serpente.
Un'altra narrazione, invece, afferma che Echidna avrebbe
generato il Leone unendosi con il cane Orto.

Una diversa versione attribuisce a Selene la procreazione


del Leone: ella lo gener con un terribile sobbalzo che lo fece
schizzare via dal suo ventre e lo proiett sulla Terra, presso
Nemea, sul monte Treto, proprio davanti ad uno dei due in-
gressi di una grotta; lo lasci in quel posto perch facesse
scempio degli abitanti del luogo che si erano resi inadempienti
ad un sacrificio a lei precedentemente promesso.
Qualcuno racconta, invece, che Selene cre il Leone ser-
vendosi della spuma del mare che era rinchiusa in una grossa
teca e che Iride, usando la propria cintura come guinzaglio, lo
guid tra i monti Nemei fino alla caverna con le due aperture
e qui lo lasci perch vendicasse l'onta che Selene aveva subi-
to dalle genti del luogo.

Nel profondo dirupo, detto Nemeo, tra i monti dell'Argo-


lide, viveva il gigantesco e feroce Leone, che rendeva inospitali
quei boschi montani. La belva, nota con lo stesso nome del di-
rupo in cui si rifugiava per riposarsi dalle faticose scorribande
diurne, terrorizzava cacciatori e chiunque attraversasse quei
luoghi. Ai pastori, per, riservava un trattamento speciale: la
feroce bestia piombava nei loro greggi di pecore, le calpestava
e le sbranava.
Eracle fu incaricato dal re Euristeo, suo fratello, di uccide-
re il Leone Nemeo (v. Eracle). Si arm di clava e frecce e gli
mosse contro. Ci furono i primi assalti durante i quali Eracle
si rese conto che il terribile animale non poteva essere abbat-
tuto n da colpi di clava n da frecce.
Il fantastico animale era invulnerabile: nessuna arma, di
qualsiasi materiale fatta, riusciva a graffiare anche minima-
mente la sua pelle per cui ogni tentativo di reazione da parte
di chiunque falliva e il malcapitato finiva inesorabilmente nelle
fauci della fiera.
Eracle, allora, dopo aver chiuso una delle due aperture del-
la grotta del Leone con un immenso masso per impedire alla
COSTELLAZIONI E MITI 505

fiera di fuggire, ingaggi con essa una lotta corpo a corpo e


riusc finalmente a sorprenderla cingendole il collo con le sue
poderose braccia. Il mostro si divincolava e dava possenti
strattoni per liberarsi dalla presa di Eracle che continuava a
stringere sempre pi forte il suo collo fino a che il Leone si ac-
casci in un poderoso rantolo morendo soffocato. Eracle allo-
ra, usando gli stessi artigli dell'animale, gli tolse la pelle e lo
decapit; us poi il teschio come elmo e il vello come mantel-
lo.
Gli dei, impressionati dalla forza sovrumana e dall'indoma-
bilit di Eracle, immortalarono l'impresa del mitico eroe teba-
no nel firmamento dove incastonarono il Leone Nemeo.

Intorno al IV millennio a.C., la figura del Leone fu associa-


ta al Sole del solstizio d'estate, impetuoso ed ardente come la
regale belva che Eratostene ed Igino sostengono fosse posta in
cielo perch il re degli animali.

Non si sa con certezza chi abbia legato la figura del Leone


alla costellazione che ne porta il nome: c' chi attribuisce que-
sto legame ai Sumeri, altri invece agli Egizi.

I mitologi e astronomi egiziani, comunque, non furono del


tutto estranei ad un qualsivoglia accostamento Leone - gruppo
stellare; essi, infatti furono attratti da un singolare fenomeno: i
Leoni del deserto, per sfuggire alla siccit si spostavano in
massa nella valle del Nilo proprio nei giorni del solstizio d'e-
state quando il fiume saliva al massimo livello fino a straripare
spargendo sui campi il benefico limo e quindi donando l'ab-
bondanza dei raccolti.
L'associazione dell'animale con la benefica acqua del fiu-
me ispir gli scultori a riprodurne la testa sulle cateratte che
regolavano l'apertura e la chiusura dei canali d'irrigazione del-
la vallata. Ed il simbolo fu riprodotto anche nelle fontane do-
ve l'acqua usciva da una bocca leonina. Questa sacralit dell'a-
nimale indusse gli antichi sacerdoti che sovrintendevano alle
opere sacre a progettare i canali e le condotte delle fontane sa-
cre a forma di leone e per la stessa motivazione, ancora oggi
506 GIOVANNI PLATANIA

nelle campagne, per propiziarsi un raccolto abbondante, si fa


una libagione con vino che sgorga dai tini attraverso rubinetti
a forma di leone.
Nell'elaborazione teologica degli Egizi, il leone assunse il
significato allegorico della discesa del Nume triforme in
Horo, cio nel Sole divino che era nutrimento cosmico e face-
va straripare il Nilo con le sue benefiche conseguenze.

Gli antichi Arabi, avevano raffigurato nel cielo un immen-


so leone comprendendo varie costellazioni: iniziava con gli
astri dei Gemelli, continuava col Cancro, l'attuale Leone e la
Vergine per concludersi con la Bilancia mentre a nord com-
prendeva l'Orsa maggiore e a sud l'Idra. A quell'immensa raf-
figurazione avevano dato il nome di Assad: il Leone.

Un'altra versione del mito, probabilmente di origine babi-


lonese, ripresa poi nella classicit greco-latina, ricollega la co-
stellazione alla storia di Piramo e Tisbe. Essi erano due inna-
morati, contrastati dai rispettivi genitori. I giovani erano soliti
parlarsi grazie ad una sottile fessura nel muro che divideva le
loro due case, ed incontrarsi di nascosto in luoghi fuori mano.
Uno di questi posti era la tomba di Nino, dove cresceva una
pianta di gelso, dai candidi frutti, che si specchiava in una fon-
te. Un giorno Tisbe giunse per prima e sedette sotto la pianta
di gelso, in attesa di Piramo, ma vide una leonessa, con le fau-
ci schiumanti di sangue per la strage di un armento, avvicinar-
si alla vicina fonte. Nel vederla, Tisbe si diede alla fuga, per-
dendo il suo velo dalle spalle. La belva, placata la sete, mentre
tornava nel bosco, trov per caso abbandonato a terra il velo e
lo stracci con le fauci sporche di sangue. Piramo, giunto sul
luogo dell'appuntamento, scorse per prima cosa le orme della
belva, e poi il noto velo macchiato di sangue; pens subito che
la sua adorata fosse stata sbranata, e, disperato, per l'insop-
portabile dolore, si trafisse con la sua spada, macchiando di
sangue le bacche di gelso. Pi tardi, quando Tisbe torn alla
tomba di Nino, sgomenta alla vista del cadavere dell'amato, si
trafisse anch'essa con la medesima arma. Da allora Piramo fu
innalzato in cielo nella costellazione del Leone, ed i frutti del
COSTELLAZIONI E MITI 507

gelso diventarono di colore rosso vivo per tutto il sangue ver-


sato. Le ceneri dei due amanti furono riunite nella stessa urna.

Anche nella mitologia sumerica si riscontra una versione


del tutto analoga a quest'ultima: il mostro ucciso Khumba-
ba; l'uccisore Gilgamesh, l'eroe mesopotamico che vive mille
avventure nell'impossibile sforzo di conquistare l'immortalit.
508 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 509

VERGINE

Vergine
510 GIOVANNI PLATANIA

Vergine
COSTELLAZIONI E MITI 511

Quasar 3C273
512 GIOVANNI PLATANIA

3C273
COSTELLAZIONI E MITI 513

3C273
514 GIOVANNI PLATANIA

Galassia ellittica M60 e spirale barrata NGC 4647


COSTELLAZIONI E MITI 515

Galassia spirale M90


516 GIOVANNI PLATANIA

Galassia Ellittica M87


COSTELLAZIONI E MITI 517

Galassia Sombrero M104


518 GIOVANNI PLATANIA

Ammasso galattico
COSTELLAZIONI E MITI 519

Ammasso della Vergine


520 GIOVANNI PLATANIA

Ammasso Chioma-Vergine
COSTELLAZIONI E MITI 521

Vergine
522 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 523

Costellazione di primavera.

Alfa, o Spica (m = 1.2) una variabile ad eclisse con un pe-


riodo di 4 giorni.
Beta Zavijava, in arabo angolo, ha m = 3.8.
Gamma Porrima, con m = 2.8; una stella doppia con
periodo di circa 170 anni.
Epsilon Vindemiatrix, che al suo sorgere indicava ai ro-
mani il tempo migliore per la vendemmia;
ha m = 2.8.

Nella costellazione della Vergine osserviamo il primo


Quasar (Oggetto Quasi Stellare) scoperto, 3C273.
Annoverato tra i corpi celesti pi splendenti dell'universo,
ha una magnitudine apparente m = 12.5 ed una magnitudine
assoluta M = -25; questo ci dice che la sua distanza di circa
due miliardi di anni luce: in realt una galassia in formazione
agli inizi stessi della formazione delle galassie.

La costellazione della Vergine contiene anche uno degli


ammassi di galassie pi ricco che si possa trovare: l'ammasso
Chioma-Vergine, in parte contenuto nella Chioma di Berenice.

una costellazione del cielo primaverile e raffigura la figlia


di Giove e Temi, Dike, la giustizia, anch'essa venerata come la
dea dei magistrati.
Alcuni mitologi, invece, sostengono che Dike sia nata dal-
l'amore di Astreo, il cielo stellato, l'antico padre delle stelle, e
di Eos, l'Aurora (alcuni dicono che la madre fosse Temi) ed
per questo che essa viene citata anche col nome di Astrea. La
sua immagine unita al famoso mito delle et degli di.
Nella prima et, quella pi felice, l'et dell'Oro, era signore
dell'universo Crono e in quella beatitudine Dike svolgeva il
suo ruolo di dea dell'onest ed imparzialit con semplicit e
gioia: gli uomini vivevano in pace, in una perenne primavera,
524 GIOVANNI PLATANIA

che spontaneamente donava loro il cibo e tutte le cose di cui


necessitavano; essi, quindi, non conoscevano il dolore, la fati-
ca, la sofferenza, la guerra e dunque gioivano della loro esi-
stenza e ringraziavano e veneravano, per questo, le divinit
che li guidavano con tanto amore e generosit.
Racconta Arato nei Fenomeni che Dike radunando gli an-
ziani in piazza o su una larga via, cantava piena di ardore le
leggi regolatrici del popolo.
Ma Zeus priv Crono del suo potere per cui anche sulla
Terra ebbe inizio il secondo periodo: l'et dell'argento e que-
sto comport alcuni cambiamenti. Zeus, infatti, volle intro-
durre la periodicit delle stagioni e ci ruppe l'incantesimo
dell'eterna mite primavera che dovette lasciare il posto alla ca-
lura dell'estate ed ai rigori dell'inverno; inoltre si insediarono
la discordia ed il disinteresse nei confronti degli di. Dike, con
rammarico e rimpianto verso la precedente et, cerc rifugio
sulle pi alte montagne per allontanarsi dal degrado dell'uma-
nit.
La corruzione, la violenza ed il crimine furono al centro
delle successive et: quella del bronzo e quella del ferro. Gli
uomini divennero sempre pi malvagi, costruirono le prime
armi e cominciarono a cibarsi della carne di quei buoi che ave-
vano arato i loro campi.
Ormai anche l'esigua porzione di moralit che restava negli
uomini aveva finito per essere completamente guastata dal
susseguirsi di guerre, soprusi, violenze e malattie. Dike, non
riuscendo pi a porre rimedio a tanta perversione, disgustata
ed afflitta, lasci definitivamente la Terra e fugg in cielo dove
si tramut in una costellazione (v. Prima Parte).

Un altro mito ci dice che la Vergine simboleggia Demetra,


la dea delle messi, dell'abbondanza terrestre, che insegn agli
uomini a costruire l'aratro ed ad arare i campi: connessa con
la maternit e con la fertilit della Terra. Prima di lei l'uomo
era nomade, viveva di tuberi, piante e frutta; con lei si civi-
lizz, divise le terre, le dissod, fond le citt.
Demetra, figlia di Crono e Rea, fu amata da Zeus, suo fra-
tello e gli gener una figlia: Proserpina. La fanciulla e le sue
COSTELLAZIONI E MITI 525

amiche erano solite recarsi sulle sponde del lago Pergo (vicino
ad Enna, in Sicilia), dove si divertivano raccogliendo fiori.
Ade era uscito dal suo regno per controllare le fondamenta
della Sicilia a partire dal monte Erice, perch Tifone, il titano
che aveva osato aspirare alle sedi degli di olimpici, si agitava
dibattendosi per rialzarsi e sopra il capo aveva l'Etna da cui
erutta lava e vomita fiamme (Met. V, 341), vide Proserpina e
se ne invagh subito, e col consenso di Zeus, la rap e su un
cocchio nero trainato da cavalli neri la port negli Inferi. Tut-
to si svolse con la rapidit di un fulmine.
Intanto Ciane, la ninfa amica di Proserpina, invano aveva
osato opporsi al rapimento: Genero di Cerere (Demetra) non
puoi essere, se lei non acconsente: chiederla tu dovevi, non ra-
pirla. (Met. V, 415 sgg.). Addolorata pianse tanto da tramu-
tarsi in fonte.
Intanto Demetra, non vedendo tornare la figlia, la cerc
per monti e valli, di notte di giorno, senza mai mangiare o be-
re.
Cerc aiuto presso l'Orsa Maggiore: essa era sempre pre-
sente in cielo e poteva osservare tutto ci che accadeva sulla
Terra e quindi essere al corrente di ogni evento. L'Orsa, per,
non pot aiutare la dea in quanto Persefone era scomparsa du-
rante il giorno, quando l'Orsa era impegnata altrove (l'Orsa
era allora da altre parti del cielo).
La dea era sfinita dalla fatica e dalla sete quando vide una
capanna di paglia. Al suo bussare ne esce una vecchia che,
vedendola implorare un sorso d'acqua, le porse una bevanda
dolce insaporita con orzo tostato. Mentre beveva quel dono,
un ragazzo sfacciato e insolente le si ferm davanti, scoppi a
ridere e la chiam ingorda. Si offese la dea e, senza terminare
di bere, gli gett in faccia, mentre parla, il liquido con l'or-
zo(ivi), mutando il suo corpo in quello costellato di chiazze
di un geco.
Nella sua disperazione priv la Terra della fertilit, partico-
larmente dei cereali, che aveva donato agli uomini in segno di
affetto. Oramai stanca ed avvilita, incontr la nereide Aretusa,
da cui apprese che Proserpina era sposa di Ade e quindi po-
tente signora del regno dei morti.
526 GIOVANNI PLATANIA

Scossa dal dolore, Demetra vol verso Zeus su un cocchio


aggiogato a due serpenti alati e gli chiese di usare il suo potere
perch la figlia ritornasse da lei nel mondo dei vivi, minaccian-
do, altrimenti, di aggravare il suo castigo gi in atto, colpendo
questa volta l'intera Terra con un inverno cos rigido da ster-
minare tutta l'umanit.
Zeus, temendo la potenza di Demetra, per placarne l'ira,
chiese al fratello Ade di restituire Proserpina alla madre, e lo
inform del terribile castigo che l'irata dea avrebbe inflitto al-
l'umanit in caso di un suo rifiuto. Il dio degli inferi si dispe-
rava: ormai amava Proserpina e non voleva perderla; tuttavia
doveva ubbidire a Zeus. Ade le chiese allora con triste dolcez-
za se desiderasse tornare sulla Terra e lei gli rispose di s. Pur
incapace di provare sentimenti di piet, Ade, con parole tene-
re e consolanti, soggiunse non pretendo che resti qui con me,
ti lascio andare da tua madre.
Stupita dell'amore che Ade le manifestava, gli chiese se le
volesse veramente bene. La risposta di Ade fu si e continu
sono certo che anche tu me ne vorrai un giorno, quando mi
conoscerai meglio (ivi) e le propose di trascorrere sei mesi
sulla terra e sei mesi negli Inferi.
Intanto Demetra, instancabile, continuava ad andare pere-
grinando per le vie del mondo alla ricerca disperata della fi-
glia. Consigliata da Helios, si rec in Grecia, ad Eleusi, dove si
present, sotto le mentite spoglie di una vecchia pellegrina, al
re Celeo ed alla regina Metanira: qui trov grazia agli occhi
dei sovrani. L'accoglienza fu benevola ed in particolare Meta-
nira rivolse alla sconosciuta parole degne di umana regalit.
La risposta della vecchia Demetra fu ricca di gratitudine.
Per l'intervento di Zeus, Proserpina risal sulla Terra, si
rec ad Eleusi dove incontr la madre: entrambe felici cele-
brarono riti di ringraziamento nel tempio della citt.
Da allora, in autunno, il popolo di Eleusi ricordava i Mi-
steri di Eleusi per onorare Demetra e Proserpina: Demetra,
donatrice del grano; Proserpina, propiziatrice della fertilit
della Terra per il suo ritorno dall'Ade.

Il mito di Proserpina racconta poeticamente l'alternarsi


COSTELLAZIONI E MITI 527

delle stagioni. Proserpina, contesa tra lo sposo e la madre,


quando trascorre i sei mesi negli Inferi, induce in Demetra la
disperazione e pertanto sulla Terra regnano l'autunno e l'in-
verno. Quando torna dalla madre la predispone al sorriso e
cos la natura, diventando gioiosa come il cuore della dea, ma-
nifesta la sua allegria con la primavera e l'estate.

Nella Vergine furono adombrate anche la dea Artemide e


la Sibilla Cumana nell'atto di discendere agli Inferi.

Eudosso, a sua volta, vi rappresent la dea Astrea, mentre


risaliva sull'Olimpo, dopo aver donato ai mortali la bilancia
della Giustizia.

Da sempre la figura disegnata da queste stelle quella di


una donna che tiene in mano una spiga di grano, la stella Spi-
ca. Questa figura femminile governava il raccolto dell'orzo e
del grano e, a qualunque latitudine, possibile ritrovarla nelle
culture agricole.
L'universalit di tale concetto fa riferimento al periodo del-
la nascita dell'agricoltura, attorno al 6000 a.C., quando i rudi-
menti dell'agricoltura si affermavano nella storia dell'uomo
con la rivoluzione neolitica.
Nelle prime descrizioni appare come una dea. Era Kanya,
madre di Krishna in India, Nana, la dea della vita e della natu-
ra presso i Sumeri, specialmente nella citt di Uruk in Meso-
potamia, Ishtar, dea della vegetazione, a Babilonia, e la sasso-
ne Eostre, da cui deriva Easter, la parola inglese per Pasqua.
Prima dell'idea del dio creatore maschio, esisteva lei, la Gran-
de Madre Terra, creatrice di tutto, simbolo della legge e del
potere della procreazione.

Secondo una tradizione egizia, la costellazione della Vergi-


ne rappresenta Iside, sorella e moglie di Osiride, che combatt
per ricostruire il corpo di Osiride, al fianco del figlio Horo,
quando Seth lo dilani (Vedi Orione). lei, con fasci di grano
maturo fra le braccia, nell'atto di spargere a piene mani chic-
chi di frumento per questa vasta zona di cielo, immenso cam-
528 GIOVANNI PLATANIA

po seminato: la Via Lattea.


Il tempio fatto costruire da Tolomeo III ad Assuan dedi-
cato alla figura guerriera di Iside, che si ripromette di rendere
tranquillo l'Egitto per il figlio Horo. Solo tra il 530 ed il 540, i
Blemmi, popolazione nomade del sud-est dell'Egitto, tra il Ni-
lo ed il Mar Rosso, convertita al cristianesimo, ottennero, da
parte di Giustiniano, la chiusura del tempio di Iside sull'isola
di File.
Ma il culto di Iside suscit un notevole interesse anche al
di fuori dei confini dell'Egitto, diffondendosi in ogni parte del
mondo Mediterraneo nel corso del periodo romano ed eserci-
tando una duratura influenza sull'arte e la letteratura. Per
quanto riguarda l'Egitto di possono notare cose abbastanza
notevoli. Ad esempio nella citt di Kerkeosiris, con 1500 abi-
tanti, nel II secolo a.C., vi erano tredici templi dedicati a divi-
nit egizie e di questi ben due erano dedicati al culto di Iside,
anche se tre lo erano a Toth.

Iside era rappresentata anche come una dea nera (la Luna),
con in braccio Horus bambino.
Nel bassorilievo di Dendera, nella posizione della costella-
zione della Vergine, appaiono due figure

femminili, una in piedi con in mano una spiga di grano e


COSTELLAZIONI E MITI 529

l'altra seduta con un bambino in braccio.


La stella Spica era inoltre legata al culto di Min, dio arcaico
della fertilit solitamente rappresentato come un uomo dal
membro eretto ed un copricapo con due lunghe piume. Nel
corso delle celebrazioni a lui dedicate, i sacerdoti portavano in
processione piante sacre e il faraone gli offriva il primo fascio
di grano. Successivamente il suo culto fu integrato al culto di
Horus, il cui tempio a Tebe era orientato verso Spica.

Nel racconto di uno dei miti babilonesi, nella Vergine


rappresentata Ishtar; la dea si innamor di Tammuz, un giova-
ne che fu ferito mortalmente da un cinghiale durante il solsti-
zio estivo. Ishtar, inconsolabile per la perdita prematura del
suo amante, era discesa nel regno dei morti per convincere
Ereshkigal, sua sorella e regina degli inferi, a restituirle Tam-
muz, ma, in risposta, venne incatenata. Durante la sua prigio-
nia, sulla Terra il mondo vegetale smise di procreare mettendo
in pericolo la vita di uomini e animali, finch intervenne Ea, il
signore degli di, che ordin a Ereshkigal la liberazione di Ish-
tar e di Tammuz.
In seguito Ishtar venne considerata prevalentemente la dea
dell'amore, che non poteva essere soddisfatta nemmeno da
centoventi amanti: era la dea dell'amore che attira l'uomo ver-
so la donna ed in onore della quale si praticava la sacra prosti-
tuzione.

I nomadi del deserto chiamavano Spica al Simak al Azal,


la solitaria indifesa, contrapposta ad Arturo, il solitario arma-
to.

I primi cristiani la identificarono, ovviamente, con Maria.


530 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 531

BILANCIA
532 GIOVANNI PLATANIA

Bilancia
COSTELLAZIONI E MITI 533

Ammasso Globulare NGC 5897


534 GIOVANNI PLATANIA

Galassia irregolare 5792


COSTELLAZIONI E MITI 535

Hevelius
536 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 537

una costellazione visibile in primavera.

Alfa, di nome Zuben el Genubi, nota come la chela meri-


dionale dello Scorpione, una stella doppia con m1 = 5.2 e
m2 = 2.8, ma non la stella pi brillante della costellazione.
Lo invece Beta o Zuben el Schamali, la chela settentriona-
le dello Scorpione, con m = 2.6.
Questi nomi ci ricordano che nel passato la costellazione
non esisteva, perch era compresa nello Scorpione.
Delta una variabile ad eclisse e l'oscillazione avviene tra
le magnitudini 4.9 e 5.9 in circa 2.3 giorni.
Le stelle Alfa e Beta individuano i piatti in equilibrio dello
strumento.

Conosciuta fin dai Sumeri come Bilancia del cielo, fu


chiamata dai Greci Chele dello Scorpione, di cui la conside-
ravano una continuazione; fu anche identificata con Mochis,
l'inventore dei pesi e delle misure.

Considerata successivamente costellazione autonoma, la


Bilancia divenne simbolo del concetto di equilibrio, anche in
considerazione del fatto che circa 2000 anni fa il Sole, entran-
do in essa, indicava l'equinozio autunnale: stessa durata del
giorno e della notte.

Questa l'unica costellazione zodiacale che rappresenta un


oggetto inanimato, mentre tutte le altre si riferiscono a perso-
ne o animali. Come si accennava prima, stata ricavata, in un
momento successivo, dalla costellazione dello Scorpione al
quale furono tagliate le chele appunto per formarla. Del-
l'antica unione dei due gruppi stellari rimane la testimonianza
data dal nome delle due stelle principali della bilancia: quella
pi brillante, Beta Librae, situata su uno dei due bracci, si
chiama Zuben el Genubi che in arabo significa la chela a
sud, mentre Alfa Librae, sull'altro braccio, si chiama Zuben
538 GIOVANNI PLATANIA

el Schamali cio la chela a nord.

Per i Romani questa costellazione era molto importante,


perch secondo la leggenda Roma era stata fondata proprio
mentre la Luna transitava in quella porzione di cielo.

Nella mitologia greca, una volta accettata l'esistenza della


Bilancia, essa stata anche legata ad alcune leggende.

Una legata al mito di Dioniso, che decise di far conoscere


agli uomini il vino e ne port loro in dono una quantit. La
prima tappa fu Atene dove fu ospitato da Icario; qui si inna-
mor di sua figlia Erigone dalla quale ebbe anche un figlio,
Stfilo.
Nonostante questa nuova paternit, Dioniso decise di pro-
seguire il viaggio per far partecipi anche gli altri uomini del
suo dono, il vino. Part quindi da Atene, ma per riconoscenza
lasci ad Icario un grosso otre contenente un vino speciale
tratto da viti sacre. Icario, orgoglioso di quel nettare particola-
re, volle farne assaporare una coppa ai suoi pastori come se-
gno della sua stima e come ringraziamento per i loro servigi;
costoro ne bevvero, ma alterati dalle propriet inebrianti del
vino, credendo che lo stato di ebbrezza che li aveva colti fosse
opera di un avvelenamento, uccisero il loro ospite e fuggirono
via dalla casa. Erigone, tornata dagli svaghi per i campi col fi-
glioletto Stfilo, trov il cadavere del padre e si disper a tal
punto che, dopo aver chiesto a Dioniso vendetta per l'accadu-
to, si tolse a sua volta la vita impiccandosi ad un albero. Dioni-
so, impietosito, accolse la sua preghiera e affinch non restasse
sola in quella disperazione, sconvolse la mente delle fanciulle
ateniesi che una dopo l'altra si impiccarono. Gli Ateniesi, per
far cessare questi ingiusti quanto inutili suicidi, consultarono
l'oracolo di Delfi, che rispose che la follia delle fanciulle sa-
rebbe terminata allorquando fossero stati puniti gli assassini di
Icario. Ricercati e giustiziati i pastori che compirono il triste
gesto, la maledizione cess e ad Atene furono istituiti grandi
festeggiamenti in onore di Erigone durante i quali, per ricor-
dare la sua terribile morte, le fanciulle della citt si dondolava-
COSTELLAZIONI E MITI 539

no appese ai rami degli alberi. Successivamente le fanciulle


vennero sostituite da piccole maschere di cera o di terracotta.

La costellazione della Bilancia fu immaginata, invece, dai


Romani per celebrare la giustizia di Augusto nei confronti de-
gli uccisori di Cesare. Alcuni, per, adombrarono nella costel-
lazione lo stesso Giulio Cesare nell'atto di sorreggere i piatti
della bilancia, simboleggiante saggezza e giustizia.
Cesare, infatti, considerato da Ovidio (Met. XV. 745 sgg.)
un personaggio

eccelso in guerra, eccelso in pace, non tanto per guerre


trionfali, per opere compiute in patria o la fulminea gloria che ne
ottenne, ma in grazia della sua progenie fu mutato in nuovo
astro, in stella cometa. Fra le gesta di Cesare nessuna infatti
maggiore dell'essere stato padre di Ottaviano. Aver domato i
Britanni circondati dal mare, aver spinto a vittoria le navi nelle
sette foci del Nilo dove cresce il papiro, aver soggiogato al
popolo di Quirino i Numidi ribelli, Giuba re del Cinipe e il
Ponto arrogante per la fama dei Mitridati, aver meritato tanti
trionfi ed averne celebrati alcuni, tutto ci vale forse di pi
dell'aver generato un uomo cos grande? Dandogli il governo del
mondo, o celesti, avete pi che favorito il genere umano. Ma
perch Augusto non fosse disceso da stirpe mortale, Cesare dio
doveva essere fatto .

Quando Venere, madre di Enea, e quindi progenitrice di


Dardano e della Giulia Gente (Foscolo, I Sepolcri), si ac-
corse dell'insidia che si stava tramando con l'attentato a Cesa-
re, si rivolse agli altri di per cercare di evitarlo. Lo stesso Gio-
ve, per, le mostra il futuro deciso dalle Parche: il tempo dato
a Cesare finito, e il figlio Ottaviano Augusto non solo vendi-
cher l'assassinio del padre, ma, aiutato dagli stessi di, giun-
ger ad ottenere la pace nel mondo, a regolare la vita civile, ad
emanare leggi giustissime. E Cesare stesso sar posto in cie-
lo, anche in attesa di Augusto.
Nelle Bucoliche (IV 4-10), Virgilio scrive che:

giunta l'ultima et dell'oracolo cumano:


540 GIOVANNI PLATANIA

nasce di nuovo il grande ordine dei secoli.


Gi torna la Vergine e torna il regno di Saturno,
gi la novella prole discende dall'alto del cielo.
Tu, casta Lucina, proteggi il bambino nascituro
con cui cesser la generazione del ferro e in tutto il mondo
sorger quella dell'oro: gi regna il tuo Apollo ,

Il divino fanciullo, su cui molto si discusso, porter l'im-


pero della pace e della prosperit. Augusto, nel sesto libro del-
l'Eneide, sar predestinato allo stesso compito.

Ecco l'uomo, ecco questo che spesso ti senti promettere,


l'Augusto Cesare, il figlio di Dio, che aprir
di nuovo [...] il secolo d'oro
(Eneide, VI 791-793)

Virgilio abbraccia quindi la tesi che vede le et dell'uomo


come periodi di tempo che ciclicamente ritornano.

L'idea di equilibrio diviene, per i Romani, ideale di giusti-


zia: i piatti della Bilancia sono retti da Dike, dea della giustizia
associata alla vicina costellazione della Vergine.
COSTELLAZIONI E MITI 541

SCORPIONE
542 GIOVANNI PLATANIA

Scorpione
COSTELLAZIONI E MITI 543

Nebulosa Planetaria NGC6337


544 GIOVANNI PLATANIA

Ammasso Globulare M4
COSTELLAZIONI E MITI 545

Nebulosa M6
546 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa NGC6302
COSTELLAZIONI E MITI 547

Nebulosa NGC 6334


548 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 549

Costellazione zodiacale estiva.

La stella Alfa Antares, cio rivale di Marte (Ares in gre-


co), a causa del suo colore rosso; ha m = 1.
Nelle sue vicinanze ci sono Sigma, con m = 3, e Tau, con m
= 2.8. Beta Akrab, con m = 2.6 e Delta, Dschubba, con m =
2.3 verso nord-ovest. Verso sud-est si vedono Mi, con m = 4,
Teta, Sargas o il Feritore, con m = 1.8 e Ni, di nome Lesati,
con m = 2.7.

Nella costellazione dello Scorpione ci sono molti ammassi


stellari e nebulose.

Gli antichi greci videro nella costellazione dello Scorpione


l'animale dal pungiglione velenoso che uccise Orione.

Come gi accennato (v. Orione), Artemide, figlia di Zeus e


Latona, mentre da sola percorreva i monti dell'Arcadia, incon-
tr Orione ed invit il bellissimo e gigantesco giovane, che fa-
ceva parte della sua corte, a cacciare in sua compagnia.
Apollo, gemello di Artemide, nutriva rancore e gelosia per
Orione che, amato anche da Eos (l'Aurora), l'aveva sedotta.
Da allora Eos arrossisce ogni mattina a causa della violenza
subita. Eos, dea dell'Aurora, sorella di Helios (Sole) e di Sele-
ne (Luna), aveva il compito di precedere il Sole con il suo coc-
chio tirato da due agili, vivaci, scalpitanti cavalli, Lampo e Fe-
tonte.
In realt Eos non ha molte ragioni di arrossire, perch la
sua vita costellata di amori.
Oltre che di Orione, s'innamor di Cefalo e di Titono da
cui ebbe due figli, Emazione e Memnone. Quest'ultimo regn
sugli Etiopi e mor a Troia combattendo contro Achille.
Eos aveva ottenuto da Zeus che Titono diventasse immor-
tale, ma aveva omesso di chiedere per lui l'eterna giovinezza.
Cos Titono, invecchiando, fu prostrato da infermit ed alla fi-
550 GIOVANNI PLATANIA

ne perse l'aspetto umano e divent una cicala tutta rinsecchi-


ta.
Apollo, tremendo nelle sue vendette, si rec da Gea, la
Madre Terra e le parl del cacciatore Orione come dell'uomo
che sterminava tutti gli animali che incontrava, solo per gusto
di uccidere: lo present arrogante, tracotante e disumano. Al-
lora Gea, sdegnata per tanta malvagit, si vendic inviando
contro il cacciatore uno scorpione invulnerabile in grado di
iniettare col suo pungiglione un veleno mortale. Lo Scorpione
si scaten contro Orione che si difese con frecce e spada, ma
subito si rese conto che il piccolo, apparentemente innocuo,
animale era invulnerabile. Orione intu il pericolo mortale che
stava correndo e cerc la salvezza tuffandosi nel mare: a nuoto
intendeva raggiungere l'isola di Delo e l chiedere protezione
ad Eos, in nome del loro passato amore.
Intanto Apollo indic ad Artemide quel nuotatore che, con
forti e potenti bracciate, fuggiva lontano dicendole che era
Candaone, il giovane malvagio che aveva appena sedotto la
sua sacerdotessa Opide: la sfid allora a colpirlo con una sola
freccia. La dea, sicura di riuscire vincitrice, accett la sfida e
scocc la freccia mortale che colp il giovane; si tuff in mare,
lo raggiunse e subito avvert un brivido di orrore: scorse, nel
volto senza vita di quel giovane, il cacciatore Orione, che am-
mirava e proteggeva.
Artemide, piena d'ira, volle vendicarsi; accus il fratello di
averla ingannata, ma Apollo le ribatt di aver detto la verit
circa il nome del giovane: Candaone era il nome con cui Orio-
ne era conosciuto in Beozia.
Artemide non si dette per vinta e tent di salvare Orione
invocando l'aiuto di Asclepio: la dea gli chiese di restituire la
vita al giovane ed Asclepio era gi pronto ad esaudire la pre-
ghiera della dea quando Zeus, timoroso della fama acquistata
dal medico, ormai rivale della morte, colp Asclepio con la fol-
gore, sua arma micidiale. Artemide, allora, trasfer Orione sul-
la sfera celeste e lo immortal trasformandolo nella pi bella
costellazione del cielo; e per ricordare agli uomini quali conse-
guenze nefaste pu produrre l'inganno, fiss sul firmamento
anche lo Scorpione, l'aggressivo inseguitore di Orione (v.
COSTELLAZIONI E MITI 551

Orione).
Ancora oggi l'inseguimento continua e si perpetuer nei se-
coli, poich la rotazione apparente della sfera celeste ci mostra
che quando Orione tramonta, lo Scorpione sorge.

In origine, lo Scorpione includeva anche la Bilancia, che


solo successivamente stata considerata una costellazione a s
stante.

A testimonianza della sua antichissima notoriet siderale, la


costellazione dello Scorpione compare nello Zodiaco di Den-
dera.

Anche gli Arabi vi scorsero l'immagine del terribile anima-


le, mentre per gli Ebrei si trattava di Dan, emblema tribale
rappresentato da un basilisco incoronato.

I Cinesi, invece, la definirono la costellazione del Drago


Azzurro.

Nelle terre della Mesopotamia la ritroviamo raffigurata su


alcuni sigilli sotto l'aspetto di un essere mostruoso, met uo-
mo e met scorpione.

Nella tradizione Maori, la costellazione dello Scorpione


rappresenta l'amo da pesca utilizzato dal leggendario eroe
Maui. Maui era un dio truffaldino, che non valeva molto come
pescatore. I fratelli lo irridevano quando si lasciava scappare
una grossa preda. Maui, per, si vendicava convincendoli con
l'inganno a lasciar andare i pesci che avevano preso all'amo.
Gli antenati di Maui gli avevano dato un amo magico, che lui
sapeva dovesse per essere usato solo per motivi importanti, e
perci non lo utilizzava mai per la pesca quotidiana.
Un giorno, i fratelli di Maui tornarono da una giornata di
pesca con un bottino molto scarso, e Maui si vant che avreb-
be potuto fare assai meglio di loro. L'indomani, i fratelli lo
portarono con la loro canoa in una zona molto pescosa e lo
canzonavano per la sua incapacit come pescatore. Maui,
552 GIOVANNI PLATANIA

stufo di essere preso in giro, decise che era il momento di rea-


gire: leg l'amo magico alla lenza e gli mise come esca l'ala di
un uccello sacro a sua madre, la dea Hina.
Lanci quindi la lenza il pi lontano possibile, ben al di l
dell'orizzonte e l'amo tocc l'acqua e scese in profondit. Non
era passato molto tempo quando Maui si accorse di aver cat-
turato qualcosa di grosso: la superficie del mare cominci a
sollevarsi, mentre onde gigantesche si infrangevano sopra la
canoa. Maui chiese ai fratelli, che se stavano cercando di evita-
re che la canoa si capovolgesse, di aiutarlo a trascinare a bor-
do l'enorme pesce; per due interi giorni si diedero da fare per
mantenere tesa la lenza, ed alla fine il pesce gigante usc dal-
l'acqua, spaventandoli tutti.
Maui avvert i fratelli di non guardarsi indietro, perch al-
trimenti avrebbero perso pesce e canoa. Ma non si trattava di
un pesce comune: era pi grande di un'isola. Per un solo atti-
mo uno dei fratelli si volt a guardarlo: ne fu cos terrorizzato
che lasci allentare la lenza, spezzandola. Il pesce gigante
fugg e si and a scontrare contro la terraferma. Si form cos
la catena di isole delle Hawaii. L'amo magico fu scagliato in
cielo e l si blocc nella costellazione dello Scorpione. (Stelle).

Un mito di Tahiti racconta che un ragazzo di nome Pipiri


aveva una sorella, Rehua. Una notte, dopo che i ragazzi furono
andati a dormire, i genitori uscirono a pescare alla luce delle
torce. Dopo aver catturato un buon bottino, tornarono e co-
minciarono ad arrostire qualche pesce per fare uno spuntino.
L'odore del pesce arrosto svegli i ragazzi, i quali per, essen-
do beneducati, attesero a letto finch non fossero stati chiama-
ti. La madre voleva farlo, mentre il padre riteneva che sarebbe
stato meglio se avessero continuato a dormire. Perci disse al-
la moglie di non svegliarli. I fratelli udirono la conversazione
dei genitori e restarono delusi di non poter partecipare al pa-
sto; con lo stomaco che brontolava e feriti nei sentimenti, essi
decisero di fuggire e scivolarono via senza far rumore. Quan-
do i genitori ebbero finito, la madre and a controllarli, si ac-
corse che mancavano e, dopo aver avvertito il padre, iniziaro-
no le ricerche chiamandoli a gran voce. I ragazzi sentivano i ri-
COSTELLAZIONI E MITI 553

chiami, ma non volevano tornare perch erano arrabbiati e de-


lusi, anzi si fecero dare un passaggio da un cervo volante che li
port in alto nel cielo: divennero cosi le ultime due stelle del-
l'uncino dell'amo di Maui, nella costellazione dello Scorpione.
Il cervo volante divent la stella Antares. (Stelle).
554 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 555

SAGITTARIO

Sagittario
556 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 557

Sagittario
558 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa M17, Omega


COSTELLAZIONI E MITI 559

Nebulose M8, Laguna ed M20, Trifide


560 GIOVANNI PLATANIA

Galassia M105
COSTELLAZIONI E MITI 561

Ammasso globulare M22


562 GIOVANNI PLATANIA

Nova del 2005


COSTELLAZIONI E MITI 563

Nebulosa M24
564 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 565

Questa una costellazione zodiacale estiva.

immersa nella regione centrale della Via Lattea. In parti-


colare, nella direzione della radiosorgente Sgr A, c' il centro
galattico, individuato come il baricentro dell'insieme degli am-
massi globulari della nostra Galassia.

Alfa nota come Al Rami, l'Arciere o Rukbat, il ginoc-


chio, ma non la pi brillante della costellazione: ha m = 4.1.
Beta, Urkab, il tendine dell'arciere, una doppia appa-
rente ed ha m = 4.2.
Anche Gamma una doppia apparente; una delle sue
componenti una variabile di periodo 7.5 giorni, che oscilla
tra le magnitudini 4.3 e 5.1; l'altra, Nash, la punta della frec-
cia, ha m = 3.
La pi brillante della costellazione Epsilon, Kaus Austra-
le, che significa in arabo l'arco inferiore, con m = 1.8.
Note sono anche Sigma, Nunki, con m = 2.1 e Zeta, Shau-
la, l'Ascella, con m = 2.7.

Nel Sagittario sono visibili molti oggetti come nebulose,


galassie, nove ed altri (Sgr A).

Un mito racconta che nella costellazione del Sagittario


eternato il satiro Croto, figlio del dio Pan e di Eufemia, nutri-
ce delle Muse.
I Satiri, raffigurati dal mito come creature grottesche, so-
no uomini con orecchie, coda, piedi e corna di capra. I loro
attributi sono il tirso, il flauto e degli otri pieni di vino. Sono
dispettosi, impudenti, rozzi e selvatici; non sanno fare altro
che infastidire le ninfe, intimorire i pastori e disperdere le loro
greggi. E Croto satiro, abile cavaliere, cacciatore impareggia-
bile ed anche inventore dell'arco. Noto per la sua destrezza
d'arciere a cavallo, sa scoccare le frecce con micidiale precisio-
ne anche all'indietro mentre cavalca. Ma passa anche giornate
566 GIOVANNI PLATANIA

per i campi e le colline del monte Elicona, dove vive con le


Muse. Con vera maestria scova selvaggina: cervi, gazzelle e ca-
pre.
Croto conosce a fondo l'arte della caccia: si tiene nascosto
dietro un cespuglio o segue le tracce della preda; si avvicina ad
essa di soppiatto con la freccia affilata e gi pronta ad essere
lanciata dall'arco, la coglie di sorpresa, l'abbatte, se la carica
poi sulle spalle: il suo dono alle Muse.
Croto il preferito delle Muse, a tal punto estimatrici entu-
siaste della sua diligenza e del suo ingegno da chiedere a Zeus,
loro padre, di incastonarlo sul firmamento, perch gli uomini
ricordino che diligenza, ingegno e rispetto sono doni preziosi.
Zeus le accontenta, anzi fa di pi; sintetizza in una sola imma-
gine le qualit di Croto: gli attribuisce gambe da cavallo, per-
ch un ottimo cavaliere, gli disegna la coda, perch un sati-
ro e gli pone nelle mani arco e frecce, perch abile nella cac-
cia.

C' un altro racconto mitologico che associa questa costel-


lazione a Chirone, il saggio centauro che fu tutore di Giasone,
di Achille e di molti altri: fu Chirone stesso ad introdurre la
costellazione del Sagittario per guidare gli Argonauti nella lo-
ro ricerca del Vello d'Oro. Insegn ad Asclepio l'arte della
medicina. Fu anche il tutore di Eracle, e proprio quest'ultimo
ne caus la morte ferendolo per errore con una freccia duran-
te lo scontro con l'Idra (v. Eracle).
Chirone inoltre citato spesso in queste pagine, essendo
tutore di molti eroi (v. ad esempio Ofiuco, Aquila ed Ariete,
oltre alla Prima Parte).

Altre testimonianze sulla costellazione del Sagittario le tro-


viamo presso gli Ebrei, i Babilonesi, gli Arabi.
Presso gli Ebrei la costellazione del Sagittario ricordava il
simbolo tribale dell'arco di Manasseh, ai Babilonesi richiama-
va il re gigante della guerra, agli Arabi evocava una mandria di
struzzi all'abbeveratoio insieme al loro custode
COSTELLAZIONI E MITI 567

CAPRICORNO
568 GIOVANNI PLATANIA

Capricorno
COSTELLAZIONI E MITI 569

Galassia NGC 6907


570 GIOVANNI PLATANIA

Galassia spirale NGC 6907


COSTELLAZIONI E MITI 571

Hevelius
572 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 573

Costellazione autunnale.

La stella pi luminosa della costellazione Delta, con m =


2.9, chiamata Deneb Algedi, cio la coda della capra. una
variabile ad eclisse che, con un periodo di poco pi di un gior-
no, muta la magnitudine tra 2.8 e 3.1.
Alfa Algedi (che significa capra), sistema doppio con
m = 4.2 ed m = 3.6, troppo distanti tra loro per essere gravi-
tazionalmente legate. Entrambe sono a loro volta doppie.
Anche Beta, Dabih, con m = 3.1, una stella doppia.

I miti della costellazione del Capricorno pi noti sono


quelli legati al dio Pan, figlio di Ermes e di Driope (o, secondo
alcuni di Penelope), e sono molto antichi: Eudosso cita la co-
stellazione nel IV sec. a.C., ma gi i Caldei ne parlavano e la
disegnavano sotto forma di Capra.
La giovane Driope, figlia unica del re Driope, fu vista da
Apollo che, invaghitosi di lei, si trasform in tartaruga. Driope
stava giocando con le Amadriadi, ninfe degli alberi, e comin-
ci a lanciare la tartaruga come una palla e poi la accolse sulle
sue ginocchia. Subito il dio si trasform in un serpente e la
violent. Spaventata, Driope torn a casa e non disse niente ai
genitori. Poi spos Andremone, figlio di Ossilo e non tard a
dare alla luce un figlio, Anfisso.
Un giorno le Amadriadi, sue antiche compagne, per amici-
zia la rapirono e ne fecero una di loro. Nel luogo del rapimen-
to s'innalz un grande pioppo e scatur una sorgente.
Pan era un dio campestre dalle sembianze di capra e con
un carattere allegro e dissoluto. Molte sono le gesta amatorie
del nume e quella a cui si fa riferimento in questa storia il
tentativo di adescamento della bella ninfa Siringa, seguace di
Afrodite.
Pan volle conquistare l'amore della fanciulla ma questa,
quando vide il suo corteggiatore con il capo adornato da un
paio di corna piuttosto vistose e con il resto del corpo simile a
574 GIOVANNI PLATANIA

quello di una capra con i piedi forniti di zoccoli poderosi, spa-


ventata fugg dirigendosi nei pressi di una palude ai piedi del
monte Liceo e giunse fino alle sponde del fiume Ladone; ve-
dendosi raggiunta da Pan che la inseguiva galoppando, invoc
le Naiadi affinch la salvassero da quell'amante non desidera-
to.
Le Naiadi erano le ninfe acquatiche, di grande longevit
ma mortali.
(Si racconta che la Naiade Aretusa un giorno, in Elide, in-
contr Alfeo, dio del fiume nel quale si stava bagnando, ed il
dio voleva violentarla. Ella supplic Artemide, di cui era com-
pagna, e questa la circond con una nuvola e la tramut in
una fonte. Gea allora si spalanc per evitare che il dio mesco-
lasse le proprie acque a quelle della fonte Aretusa e riuscisse
cos ad unirsi a lei sotto questa nuova forma. Guidata da Arte-
mide, Aretusa percorse vie sotterranee e giunse nell'isola di
Ortigia, in Sicilia presso Siracusa, dove pot sgorgare libera-
mente.)
Le Naiadi prontamente tramutarono Siringa in un fascio di
canne palustri e Pan, che pensava di aver raggiunto la ninfa,
nel momento in cui l'abbracci si trov a stringere una fascina
di verghe che mosse dal vento mandavano una strana, sedu-
cente melodia campestre.
Pan, questa volta, non era mosso da puro senso di conqui-
sta, ma provava vero amore per quella giovane che invece non
aveva voluto saperne dei suoi sentimenti: allora sia per tenere
sempre vicino a s una parte dell'amata, sia perch affascinato
da quella musica che gli ricordava il suo regno formato da
campi, poggi, corsi d'acqua e boschi profumati, tagli quelle
canne in parti di diversa lunghezza; le leg assieme ricavando-
ne uno strumento musicale a fiato che emetteva un suono deli-
cato ed armonioso; chiam quel piccolo strumento musicale
Siringa, come quella fanciulla che gli aveva rapito il cuore.
Pan ebbe il suo maggior successo amoroso nel sedurre Se-
lene, e ci riusc mascherando il pelo del suo corpo di capra
sotto un mantello bianco. Selene non lo riconobbe ed accon-
sent a salirgli in groppa: poi lasci che egli godesse di lei a suo
piacimento.
COSTELLAZIONI E MITI 575

Ma l'assunzione di Pan fra gli astri conseguenza di una


sua eroica impresa compiuta in favore di Zeus.
Nella lotta che gli di dell'Olimpo combatterono contro i
Titani per la supremazia del potere celeste, alla vittoria degli
di, per vendetta Gea gener un orrendo essere, Tifone, che
istig contro gli di stessi.
Zeus, incitato da Atena, affront il mostro, gli scagli con-
tro i suoi fulmini divini stordendolo, poi lo colp con un fal-
cetto di diamante. Tifone sembrava ormai vinto, ma quando
Zeus gli si avvicin per dargli il colpo di grazia, con un balzo
improvviso atterr il dio, con lo stesso falcetto gli recise i ten-
dini delle mani e dei piedi e li affid alla sorella Dlfine affin-
ch ne facesse la guardia; poi trascin il nume nell'antro di
Corico, in Cilicia, incatenandolo.
Pan, che aveva seguito tutto non visto, per portare aiuto a
Zeus, fece un improvviso balzo urlando davanti a Dlfine che,
presa dal panico, fugg lasciando incustoditi i tendini di
Zeus. Ermes, prontamente, li recuper, li restitu a Zeus e lo
liber dalle catene: immediatamente il dio affront Tifone e
sorprendendolo lo fer, quindi lo seppell sotto il vulcano Etna
che, da quella volta, cominci ad eruttare lava, cenere e lapilli
con soffi e boati indescrivibili.
Zeus volle esternare la sua riconoscenza a Pan e lo port
fra le stelle conservandogli l'aspetto di capro ma con la parte
inferiore del corpo a forma di pesce: ci perch il Capricorno
insieme ad altre costellazioni acquatiche come l'Acquario, i
Pesci, la Balena, l'Idra e la Nave Argo, si mostrava agli antichi
greci nelle prossimit del mare.

I poeti ed i sacerdoti latini raccontano che gli di si erano


radunati in Egitto quando apparve loro l'acerrimo nemico, il
gigante Tifone. Impauriti, tutti cercarono di mimetizzarsi as-
sumendo le forme degli animali pi frequenti nella regione:
Ermes si trasform in ibis, Apollo in gru, Artemide in gatto e
cos via. Pan si immerse fino alla cintola nel Nilo, assumendo
l'aspetto di caprone per la parte emergente del corpo e la for-
ma di pesce per la parte sommersa.
Zeus, una volta sconfitto Tifone, ammirato per questa tra-
576 GIOVANNI PLATANIA

sformazione, disegn nel cielo il Capricorno.

Secondo un altro mito, Ermes si innamor della ninfa Pe-


nelope, moglie di Ulisse, e ne nacque Pan, il dio dei boschi,
del pascoli e dei pastori.
Quando la bella Penelope vide il figlio appena nato rimase
inorridita perch era di aspetto animalesco: aveva il corpo co-
perto da ruvido pelo, i denti simili a zanne, i piedi come zoc-
coli di capra e due corna sulla fronte, ma Ermes lo avvolse in
una pelle di lepre e lo port sull'Olimpo; lo pose presso Zeus
e mostr il figlio agli altri di, e tutti, vedendolo, furono con-
tentissimi. Gli diedero il nome di Pan, poich rallegrava il
cuore di tutti.

Altra tradizione, ma sembrato opportuno nasconderla


per quanto possibile, narra che Penelope, la moglie di Ulisse,
voleva che tutti i Proci fossero suoi amanti, a turno o a gruppi,
e che il prodotto di queste unioni multiple fosse stato il dio
Pan. Pan sarebbe nato durante l'assenza di Ulisse, e questi, al
suo ritorno, afflitto nel ritrovare la moglie infedele, sarebbe ri-
partito per nuove avventure.

Pan crebbe consapevole del suo aspetto orripilante che


provocava disagio, turbamento, paura e scelse di vivere isolato
nelle lontane selve del monte Mnalo, in Arcadia, anche se in
compagnia delle ninfe, splendide fanciulle: le ninfe erano divi-
nit simboleggianti le forze della Natura nei suoi molteplici
aspetti e cos le Nereidi vivevano lungo i fiumi, le Naiadi vici-
no alle fonti, le Oreadi sui monti, le Aldeidi nei boschi
Le 50 Nereidi, gentili e benefiche assistenti della dea del
mare Teti, sono sirene, figlie della ninfa Doride e di Nereo, un
Titano marino con il potere della metamorfosi.
Le leggiadre fanciulle, tuttavia, si tenevano lontano da Pan,
gi noto per le sue imprese erotiche con ninfe e baccanti, an-
che perch impaurite dal suo rozzo comportamento.
Pan una divinit dotata di una attivit sessuale notevole.
Insegue ninfe e giovani ragazzi con uguale passione. Aveva an-
che fama, quando la ricerca amorosa non aveva dato frutti, di
COSTELLAZIONI E MITI 577

cercare da solo la propria soddisfazione.

Ancora un altro mito collega tutta la costellazione del Ca-


pricorno, invece che una sola stella, Capella della costellazione
dell'Auriga, alla capra Amaltea, che allatt Zeus appena nato,
prima che diventasse Signore dell'Universo (v. Prima Parte).
Zeus non solo immortal la capra, ma prese anche in prestito
una delle sue corna e la diede alle figlie di Melisseo: il corno
divenne cos la Cornucopia, o corno dell'abbondanza, che tra-
boccava di cibo e bevande non appena lo si desiderasse (Miti,
v. peraltro Eracle ed Ariete).

Nell'antichit il solstizio invernale cadeva in questo segno,


per cui ancora oggi si d il nome di Tropico del Capricorno al
parallelo che segna la rinascita dell'estate.
578 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 579

ACQUARIO
580 GIOVANNI PLATANIA

Acquario
COSTELLAZIONI E MITI 581

Ammasso Globulare M2
582 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa Planetaria NGC 7009 Saturno


COSTELLAZIONI E MITI 583

Nebulosa Planetaria NGC 7293 Elica


584 GIOVANNI PLATANIA

Hevelius
COSTELLAZIONI E MITI 585

Costellazione autunnale.

La stella pi brillante della costellazione Beta, nota anche


come Sadal Suud, ossia la pi fortunata delle fortunate, con
m = 2.9.
Alfa ha m = 3 e si chiama Sadal Melik, cio la stella fortu-
nata del re.
Zeta una stella doppia con m = 4.3 e 4.5, con le due com-
ponenti che ruotano una attorno all'altra in circa 850 anni e
oggi si vedono separate di 2'.

Nella costellazione dell'Acquario alcuni antichi vedevano il


giovane Ganimede, figlio di Troo (che diede il proprio nome
alla citt di Troia) e di Calliroe.
Egli era il pi bello dei fanciulli viventi e Zeus, quando lo
vide mentre pascolava le mandrie del padre, fu cos colpito
che si tramut in Aquila e lo rap dalla pianura di Troia per
portarlo in cielo e farne il suo compagno di letto ed il suo cop-
piere personale. Ermes, in seguito, don a Troo, da parte di
Zeus, un tralcio di vite d'oro fatto da Efesto e due splendidi
cavalli, per compensarlo della perdita del figlio (per questa
versione del mito, anche l'Aquila fu messa tra le stelle come
costellazione).
Era, la moglie di Zeus, consider quel ratto come un insul-
to fatto a lei stessa ed alla sua figlia Ebe, che fino a quel giorno
era stata coppiera degli di; ma riusc soltanto ad irritare Zeus,
che pose tra gli astri l'immagine di Ganimede, facendone la
costellazione dell'Acquario.
Il mito di Zeus e Ganimede fu molto popolare in Grecia
ed a Roma, perch offriva una giustifica-zione all'amore di un
uomo adulto per un giovanetto ed in generale all'amore omo-
sessuale; fu ripreso anche da Platone e, col diffondersi della
sua filosofia, la donna greca, che prima aveva il predominio
nella vita intellettuale, si trasform in una lavoratrice domesti-
586 GIOVANNI PLATANIA

ca non pagata ed in una procreatrice di figli. (Miti) (v. anche


Capricorno).

Un altro mito vede nella costellazione Deucalione, figlio di


Prometeo e re di Ftia, in Tessaglia, capostipite della risorta
specie umana, dopo il diluvio, il castigo che Zeus inflisse all'u-
manit per distruggerla.
Zeus, resosi conto della cattiveria degli uomini dell'et del
bronzo, pensava al diluvio quale castigo per punire l'umanit.
Prometeo seppe dallo stesso Zeus quello che stava per avveni-
re e si rec in Tessaglia per avvertire suo figlio Deucalione del-
l'imminente sciagura che si sarebbe abbattuta sulla Terra.
Deucalione si costru un'arca per cercare la salvezza insieme
alla moglie Pirra ed anche a Pandora, come racconta una ver-
sione del mito.
Prometeo, senza il divino consenso di Zeus, aveva creato
l'uomo col fango, cui Atena aveva infuso forza, astuzia, ambi-
zione, cattiveria. E Zeus, col preciso intento di punire Prome-
teo, colp gli uomini: ordin ad Efesto, il fabbro degli di, di
creare la donna,

con le mani operando, per compiacere a Zeus padre [], e


gli uomini mortali come videro l'alto inganno, senza scampo per
gli uomini, da lei infatti viene la stirpe delle donne. Di lei infatti
la stirpe nefasta e la razza delle donne, che, sciagura grande per i
mortali, fra gli uomini hanno dimora
(Teo. vv 589 sgg.)

La prima donna, plasmata con l'argilla e l'acqua, fu dun-


que Pandora, e piacque molto agli di, che le diedero bellezza,
astuzia, ingegno, capacit di mentire e di curiosare, ma anche
gioielli, abiti eleganti, fiori.
Zeus l'aveva destinata alla punizione della razza umana, al-
la quale Prometeo aveva appena dato il fuoco divino: fu un re-
galo a tutti gli uomini per la loro sventura.
Zeus le affid l'incarico particolare di consegnare a Prome-
teo un vaso chiuso ricolmo di tutti i mali, rinchiuso da un co-
perchio, che impediva al contenuto di scappare fuori.
COSTELLAZIONI E MITI 587

Prometeo, per, assennato e prudente, sospettava inganni


da parte di Zeus e rifiut di accettarlo, ma Pandora, divorata
dalla curiosit, apr il vaso e tutti i mali si riversarono sull'u-
manit.
Secondo un altro mito, il vaso non conteneva i mali ma i
beni e che fosse stato portato ad Epimeteo, l'imprudente,
oppure colui che riflette in ritardo, da Pandora. Apertolo
sconsideratamente, Pandora lasci che i beni volassero via e se
ne ritornassero alle dimore divine invece di restare fra gli uo-
mini. In tal modo gli uomini furono affitti da tutti i mali; solo
la Speranza, povera consolazione, rimase tra loro.
La collera di Zeus fu senza limiti: scaten gli elementi della
Natura. Per nove giorni e nove notti il mondo rest in preda
ad acquazzoni torrenziali che, ovunque, cancellarono ogni
traccia di vita. Si salvarono solo Deucalione e Pirra, avvertiti
da Prometeo.
Al decimo giorno la barca della salvezza dei due super-
stiti approd presso la terra della Focide, dove sorge il monte
Parnaso, sacro ad Apollo, a Dioniso ed alle Muse, l'unico pun-
to non sommerso. Qui Deucalione e sua moglie offrirono sa-
crifici in onore di Zeus che, commosso dalla religiosit dei co-
niugi, promise di esaudire uno dei loro desideri. Deucalione e
Pirra lo pregarono accoratamente di ripopolare la Terra. Zeus
li consigli allora di recarsi al tempio della dea Temi, personi-
ficazione delle leggi eterne e naturali dell'Universo, per ascol-
tarne l'oracolo.
Interrogata da Deucalione, la dea rispose che dovevano ve-
larsi il capo, sciogliere le vesti, camminare fianco a fianco e,
senza voltarsi indietro, gettare alle spalle le ossa dell'Antica
Madre. I sovrani meditarono a lungo e compresero che, non
avendo essi la stessa madre, ed inoltre essendo ambedue mor-
te, le ossa dell'Antica Madre non erano altro se non le pie-
tre della Terra, le ossa di Gea.
Camminando fianco a fianco e coperti di veli, come aveva
ordinato l'oracolo, gettarono pietre alle loro spalle: a mano a
mano che queste cadevano, gli uomini e le donne rinascevano
dal fango del diluvio e si gener cos la nuova umanit che
ripopol il mondo. Dai sassi scagliati dall'uomo nacquero gli
588 GIOVANNI PLATANIA

uomini, da quelli scagliati da Pirra, le donne. Gli animali li ge-


ner spontaneamente la terra

e pur non volendo, gener anche te, Pitone smisurato, serpente


mai visto prima, terrore delle nuove genti, tanto era lo spazio su cui ti di-
stendevi gi dal monte. Febo lo seppell di frecce e svuot quasi la fa-
retra per ucciderlo, facendogli sprizzare veleno dalle nere ferite. E per-
ch il tempo non potesse annullare la fama dell'impresa, istitu la cele-
brazione solenne delle gare chiamate Ptiche, dal nome del serpente vin-
to
(Met. I, vv 438 sgg)

Il maggiore dei figli di Deucalione fu Elleno, padre di tutti


i Greci.
Elleno spos la ninfa Orseide, dalla quale ebbe tre figli,
Doro, Suto ed Eolo
Il pi giovane dei figli di Elleno, Doro, emigr dalla Tessa-
glia sul monte Parnaso, dove fond la prima comunit di Do-
ri. Poi regn a Ftia, in Tessaglia.
Il secondo figlio, Suto, and ad Atene e l spos Creusa, fi-
glia di Eretteo, e da lei ebbe Ione ed Acheo. Apollo, per, si
era giaciuto segretamente con Creusa, ed il figlio Ione era suo.
L'altro figlio di Elleno fu Eolo, che regnava su Magnesia,
in Tessaglia e spos Enarete, figlia di Deimaco. Da questo ma-
trimonio nacquero sette figli e cinque figlie, l'ultima delle qua-
li Arne, che Poseidone sedusse non appena divent donna:
da questa violenza nacquero due figli, Eolo e Beoto. Zeus ave-
va imprigionato i venti nell'isola di Lipari, perch temeva che,
se non fossero rimasti sotto controllo, avrebbero potuto, un
giorno, spazzar via la terra ed il mare, ed Eolo, per volont di
Era, si incaric di custodirli.
E cos i pi famosi popoli ellenici, e cio gli Ioni, gli Eoli,
gli Achei ed i Dori, discendono tutti da Elleno. (Miti).
Tra gli scampati al diluvio ci furono anche gli abitanti di
Parnasso, citt fondata da Parnaso, figlio di Poseidone e della
ninfa Cleodora. Essi riuscirono a sfuggire al diluvio, rifugian-
dosi sulla cima del loro monte.
La prima donna che viene alla vita, Pandora, detta Proto-
COSTELLAZIONI E MITI 589

genia, colei che nasce per prima. Zeus appena la vide se ne in-
namor e la port sull'Olimpo per sottrarla agli sguardi degli
uomini, indegni di guardare una cos rara bellezza.
Zeus volle premiare il progenitore del genere umano, Deu-
calione, per la sua religiosit: lo trasform nella costellazione
dell'Acquario.

Un'altra leggenda immagina l'Acquario come Zeus stesso


che versa l'acqua vitale sulla Terra, dai cui rivoli nascer il fiu-
me celeste Eridano.
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PESCI
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Pesci
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Galassia spirale M74


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Hevelius
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COSTELLAZIONI E MITI 601

Questa una costellazione autunnale.

La stella pi luminosa della costellazione Eta, con m =


3.6.
Alfa Al Rischa, la corda; una stella doppia con m1 =
4.3 e m2 = 5.2, separate da meno di 2''. Negli atlanti storici
essa appare a met del nastro che unisce le code dei due pesci
celesti.
Beta Fun al Samakah, in Arabo bocca del pesce, con m
= 5.

Oggi la costellazione contiene il nodo ascendente dell'eclit-


tica, quello che era, ed chiamato primo punto d'Ariete, dove
il Sole sorge all'inizio della primavera, quando la sua declina-
zione si annulla e la durata del giorno uguale a quella della
notte.

La costellazione ricca di galassie, come possibile vedere


dalle figure.

Questa costellazione legata ad un mito antichissimo, mol-


to verosimilmente trasmesso ai Greci dai Babilonesi; difatti
ogni riferimento mitologico ambientato nelle regioni dell'A-
sia occidentale e precisamente sulle rive del fiume Eufrate, si-
to abitato, appunto, dall'antichissimo popolo babilonese, che
tramand nel mondo la sua civilt e la sua cultura.
Per spiegare l'origine del nome del fiume Eufrate, esiste
anche una leggenda. Un uomo, chiamato Eufrate, aveva un fi-
glio di nome Assurta. Un giorno, trovando il figlio addormen-
tato accanto alla madre, lo scambi per un estraneo e lo ucci-
se. Riconoscendo poi il suo errore, si butt, disperato, nel fiu-
me Medo che, in seguito a quest'avventura, porta il nome di
Eufrate.

Il mito legato alla costellazione, invece, narra della lotta fra


602 GIOVANNI PLATANIA

gli di e i Titani, figli di Urano e Gea, per la supremazia del


potere celeste.
Nel terribile scontro (v. Prima Parte), gli di riportarono la
vittoria sui Titani e Zeus li confin per l'eternit nella regione
pi orrenda e profonda del regno dei morti, il Tartaro, dal no-
me del suo signore; qui i condannati erano soggetti a terribili
supplizi e indicibili torture e non era pi possibile tornare alla
libert. Gea, per vendicare il crudele destino dei suoi figli, si
un con lo stesso Tartaro e gener Tifone, un tremendo mostro
che incit contro i regnanti dell'Olimpo. Quest'essere era do-
tato di cento teste di drago e dagli occhi di ciascuna di queste
eruttava fiamme; dalle sue cento bocche saettava lingue nere e
viscide ed emetteva suoni agghiaccianti simili a muggiti di
buoi infernali o ruggiti di belve fameliche; lanciava sibili assor-
danti e talvolta gli uscivano dalle gole suoni e lamenti com-
prensibili solo agli di contro i quali erano diretti.
Pan mise in guardia i Numi della nefasta presenza di Tifo-
ne; fra questi Afrodite e suo figlio Eros furono colti da grande
spavento e da angoscia per cui fuggirono dall'Olimpo e si rifu-
giarono fra i folti canneti che prosperavano sugli argini del fiu-
me Eufrate, sperando di non essere scorti dai duecento occhi
della nefanda creatura. I due, tremanti di terrore, spiavano fra
i giunchi le mosse dell'orrendo mostro quando una folata di
vento scompigli le canne e fece gemere i rami dei salici pro-
ducendo uno strano suono che fu scambiato per un verso di
gaudio emesso dal maligno per averli rinvenuti. Colta dal pa-
nico, Afrodite afferr il figlio e supplicando le ninfe dell'Eu-
frate affinch assistessero lei e il piccolo Eros, si gett in acqua
per sfuggire all'imminente pericolo. Immediatamente due
grossi pesci risalirono dalle profondit delle acque del fiume,
ospitarono sulle loro groppe i due di e veloci come il fulmine
li portarono finalmente al riparo da ogni rischio. Scampato il
pericolo, Afrodite preg Zeus affinch premiasse i due pesci
per l'aiuto che avevano dato a lei e al piccolo Eros; Zeus ac-
colse la preghiera e li immortal fra gli astri.

Secondo una versione differente del mito, Afrodite ed Eros


appena scesi in acqua si tramutarono essi stessi in pesci e si
COSTELLAZIONI E MITI 603

nascosero nelle profondit limacciose del fiume e negli anfratti


del suo alveo per sfuggire alla ricerca dell'odioso Tifone. Per
tale ragione, secondo un racconto di Igino, il popolo dei Babi-
lonesi che viveva lungo le rive del fiume, si asteneva dal pesca-
re e dal cibarsi dei molti pesci che popolavano quelle acque.

Anche un altro mito, ancora tramandato da Igino, collega


Afrodite con i pesci: un uovo cadde tra i flutti del fiume Eu-
frate e alcune creature acquatiche prontamente lo raccolsero e
lo depositarono delicatamente fra le soffici erbe sulla riva; qui
lo custodirono e lo protessero dai predatori. Successivamente
l'uovo si schiuse e venne alla luce la stessa Afrodite. La dea,
per ricordare e celebrare i suoi salvatori, cre la costellazione
dei pesci.

Infine, Eratostene sostiene che i due pesci che si occuparo-


no di portare in salvo Afrodite ed Eros erano figli del Pesce
Australe, anch'esso ospitato fra le configurazioni astrali.

In Babilonia, Oannes, portavoce della Divina Saggezza,


aveva la forma di pesce ed usciva ogni giorno dal mare per tra-
smettere agli umani i divini insegnamenti.

Per gli Egiziani i Pesci erano collegati al mare in cui si get-


tava il Nilo, mentre, nella parte nord della costellazione, vede-
vano una cerva inseguita da due cani.
604 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 605

ALTRE IMMAGINI

In quest'ultima parte presenteremo altre immagini di og-


getti siderali e non appartenenti alle costellazioni prima di-
scusse.

Cominciamo con la galassia M77 nella costellazione della


Balena.

Galassia di Seyfert M77

una galassia di Seyfert, con un nucleo molto denso di


stelle e che emette una grande quantit di energia in onde ra-
dio. Nello spettro del nucleo sono anche presenti righe di
emissione, a conferma dell'energia rilasciata.
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Nella costellazione dei Cani da Caccia vi la galassia dop-


pia M51.

Galassia doppia M51


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Nella costellazione del Centauro, che non stata inserita


perch riferita al centauro Chirone, di cui si parlato abbon-
dantemente, sono presenti la galassia ellittica NGC 5128, con
una forte componente di nubi oscure e controparte radio nella
radiosorgente Cen A. e la Omega Cen, visibile, con apparenze
diverse, sia nel visibile che nell'ultravioletto.

NGC 5128 - Cen A


608 GIOVANNI PLATANIA

presente anche la Omega Cen, visibile, con apparenze


diverse, sia nella luce visibile che nell'ultravioletto.
COSTELLAZIONI E MITI 609

Nella costellazione del Pesce Dorato, meglio nota come


Dorado, nell'emisfero sud, possibile vedere la Grande Nube
di Magellano e la Nebulosa Tarantola (la Piccola Nube di Ma-
gellano sar visibile poi nella costellazione del Tucano).

Grande Nube di Magellano


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Nebulosa Tarantola NGC 2070 in Dorado


COSTELLAZIONI E MITI 611

Nella costellazione del Triangolo, nell'emisfero nord ma


non legato a miti bens solo alla perfezione del triangolo (sem-
bra un triangolo ottenuto dividendo in due un triangolo equi-
latero), presente la bella galassia M33, visibile anche in altre
frequenze:

M33 nel Triangolo


612 GIOVANNI PLATANIA

M33 nel Triangolo, anche in ultravioletto


COSTELLAZIONI E MITI 613

Nella costellazione dello Scultore, anche questa nell'emi-


sfero sud, presente un importante ammasso di galassie, in
cui la galassia pi luminosa NGC 253.

NGC 253 nello Scultore


614 GIOVANNI PLATANIA

Nella costellazione dell'Unicorno sono visibili parecchi og-


getti interessanti: la nebulosa Rosetta, NGC 2237, con al cen-
tro l'ammasso aperto di stelle giovani NGC 2244, fucina di
stelle, e la nebulosa Cono, che presenta al centro un altro am-
masso aperto.

Nebulosa Rosetta, NGC 223 in Unicorno


COSTELLAZIONI E MITI 615

Ammasso aperto NGC 2244 nella Rosetta


616 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa Cono con ammasso


COSTELLAZIONI E MITI 617

Nella costellazione del Tucano visibile una stella, la


47Tuc, che, con uno strumento abbastanza potente si risolve
in un ammasso aperto in cui sono visibili stelle in formazione.
anche visibile la Piccola Nube di Magellano.

Ammasso aperto 47Tucane


618 GIOVANNI PLATANIA

Piccola Nube di Magellano


COSTELLAZIONI E MITI 619

Nella costellazione dell'Eridano, una delle pi lunghe del


firmamento e visibile principalmente dall'emisfero sud, ci so-
no oggetti molto interessanti.

Galassia spirale NGC 1300 vista da Hubble


620 GIOVANNI PLATANIA

Nebulosa planetaria NGC 1535 in Eridano


COSTELLAZIONI E MITI 621

Spirale NGC 1232 in Eridano


622 GIOVANNI PLATANIA

Nella costellazione della Fornace, uno degli esempi di co-


stellazioni visibili solo dall'emisfero sud e quindi non collegate
a miti ma solo ad oggetti in uso nel mondo scientifico (la for-
nace chimica era appunto uno di questi, introdotta come co-
stellazione intorno al 1750 dall'abate de Lacaille), vi un am-
masso di galassie molto interessante.

Galassia ellittica NGC 1360 in Fornace


COSTELLAZIONI E MITI 623

Spirale barrata NGC 1365 in Fornace


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Ellittica NGC 1399 in varie frequenze sovrapposte, in Fornace


COSTELLAZIONI E MITI 625

NGC 1316 vista da Hubble in Fornace


626 GIOVANNI PLATANIA

Nella costellazione della Lepre, visibile sempre nell'emisfe-


ro sud, presente la bellissima nebulosa planetaria IC 41,
chiamata, dalla forma, nebulosa dello Spirografo, in cui mol-
to ben visibile la stella madre al centro.

Nebulosa IC 41 Spirografo nella Lepre


COSTELLAZIONI E MITI 627

Ed ecco una coppia di galassie note come Gli Occhi

Coppia di galassie NGC 4438 Gli Occhi


628 GIOVANNI PLATANIA

Mostriamo qui alcune supernove in galassie anche gi vi-


ste.
COSTELLAZIONI E MITI 629

Supernova in NGC 2403


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Supernova in NGC 3877


COSTELLAZIONI E MITI 631

Supernova in M96
632 GIOVANNI PLATANIA

Supernova in IC 694 nella Lira


COSTELLAZIONI E MITI 633

Infine mostriamo come si presenterebbe la nostra galassia,


la Via Lattea, vista di faccia, con segnata la posizione del Sole.

La Via Lattea
634 GIOVANNI PLATANIA
COSTELLAZIONI E MITI 635

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636 GIOVANNI PLATANIA

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Tutte le foto sono files presi da Internet.

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