in copertina:
IDOLO FEMMINILE IN lARDITE DEL VI MILLENNIO A.C.
(Museum fii r Vor- und Friihgeschichte, Berlin)
LA GRANDE MADRE
SCENARI DA UN MONDO MITICO
ECIG
edizioni culturali internazionali �renova
Indice
XIII La Dea Madre nella religi one del padre ..................... ...... .. .... 255
7
"Antiquam exquirite matrem!"
Ricercate l'antica madre!
VIRGILIO
Il
PREFAZIONE
12
PREFAZIONE
13
CAPITOLO l
15
CAPITOLO I
rivela che, ai tempi di Eschilo, il potere della Grande Dea era già ve
nuto meno. Le divinità maschili avevano già strappato lo scettro alla
cosmogonica madre universale che un tempo, quale personificazione
della forza creatrice della natura, regnava nel segno della luna, le cui
fasi, come le maree in cui si rifletteva l'eterno ritmo dei corsi e ricor
si, del ciclo della morte e del rinnovamento, obbedivano alla Grande
Madre della religione primordiale.
Eschilo, il wande tragico che aveva partecipato a due battaglie de
cisive contro i Persiani, a quella di Maratona del 490 a.C. e, dieci an
ni dopo, alla battaglia navale di Salamina, aveva quasi settant'anni
quando nel 458 a. C., un anno prima della sua morte, l' Orestea venne
rappresentata per la prima volta.
I cittadini che si radunarono nel sacro recinto di Dioniso ai piedi
del roccioso pendio dell'Acropoli per assistere alla tragedia del famo
so drammaturgo, nell'anfiteatro allestito ancora con panche di le
gno, furono testimoni di un decisivo cambiamento nella generale
concezione del mondo e della religione. Lungo la schiena degli spet
tatori deve essere corso un brivido mentre, in un inquietante dialogo
dell'uomo con la divinità e con un incomprensibile destino, si consu
mavano gli orridi avvenimenti di questa trilogia: l'uxoricidio di Cli
tennestra nell'Agamennone, il matricidio di Oreste nelle Coefore e il
processo nelle Eumenidi che, sotto la presidenza di Pallade Atena, si
conclude con l'assoluzione del matricida, fatto impensabile nei tem
pi antichi e ancor oggi piuttosto inquietante.
Ovviamente gli spettatori erano solo uomini, nella patriarcale Ate
ne, "culla della democrazia", le donne avevano pochi diritti, diversa
mente da quanto avveniva a Sparta, dove invece godevano di grande
libertà. La loro vita si svolgeva entro i confini del gineceo, la parte lo
ro riservata di quella casa su cui comandava l'uomo. Sarebbe trascor
so solo un secolo e poi Aristotele (384-322 a.C) avrebbe dichiarato la
donna "inferiore" e "uomo mal riuscito". Bisogna quindi supporre
che le donne non partecipassero in alcun modo alla citata rappresen
tazione ateniese, neppure in veste di attrici. I ruoli femminili erano
sostenuti da uomini, per lo più omosessuali che indossavano panni
muliebri. Questo però non toglie attualità alla nostra pièce.
Là si svolsero avvenimenti rivoluzionari, ma soprattutto tragici per
la Dea Terra anticamente onorata, per Gea, la madre universale che
all'inizio del dramma viene invocata "prima tra tutti gli dèi". In veste
di difensore di Oreste che, in quanto matricida, secondo l'antico rito
matriarcale viene cacciato e maledetto dalle Erinni, si presenta Apol
lo. Anche Clitennestra aveva ucciso il marito, ma l'ucciso non era suo
consanguineo. Così disquisiscono le accusatrici, dee della vendetta e
figlie della Notte. In definitiva Agamennone aveva pur sacrificato la
16
UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE
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CAPITOLO I
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UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE
* Qui ed ogni volta che verrà fatto un riferimento biblico mi discosterò, non
nel testo, ma semplicemente nel riferimento, da quello dell'autore che segue una
Bibbia protestante. Ogni qual volta tra il testo della Bibbia in italiano, ed. Paoli
ne, e il testo tedesco ho riscontrato discordanze ho preferito tradurre alla lettera
la versione tedesca onde consentire la massima comprensione dell'opera dell'au
tore (N.d.T).
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CAPITOLO I
spettare tra me e voi, cioè la tua discendenza dopo di te ... ogni ma
schio tra voi sia circonciso ...
Voi circonciderete il prepuzio della vostra carne. E questo sarà il
segno del patto tra me e voi" (Genesi 17, l 0- 1 1) .
Come Apollo nell 'opera eschilea disconosce alla donna la mater
nità biologica, dato che non la vede come genitrice del figlio, ma co
me ospite e nutrice del seme del suo fecondatore, così Jahwe consi
dera Sara, la moglie di Abramo, e tutte le altre donne della sua stirpe
semplici riceventi della forza paterna e solo in virtù di questa loro
proprietà le benedice. Evidentemente però, all 'epoca, il popolo di
Israele richiedeva anche altre divinità. Aveva nostalgia di dèi sensibil
mente percepibili, di dèi che si potessero vedere e "che vadano in
nanzi a noi" (Esodo 32, 1) . Un unico dio trascendente del quale, pe
na la maledizione, non si dovevano fare immagini, era difficile da
comprendere. Così gli Ebrei che Mosè aveva appena tratti in salvo
dall'Egitto guidandoli verso Israele, con gli orecchini delle mogli,
delle figlie e dei figli fusero un vitello d'oro cui recarono olocausti e
sacrifici di ringraziamento e attorno al quale danzarono con grida di
giubilo. Ma quel "vitello d'oro" è connesso al Baal palestinese, a sua
volta successore di Dumuzi, e fra tello e sposo della Dea Madre
Anath. Nota pure col nome di Asherat o Astarte, ella destava Baal a
nuova vita quando, nel ritmo ciclico del dio infero Mot al cui potere
lo strappava, veniva ucciso. Simile a un sustrato mitico, questo anti
chissimo tema del periodo arcaico delle religioni naturali è il fonda
mento del culto della Grande Madre e Dea della Fertilità. Nella Me
sopotamia ricca di miti, la famosa terra dei due fiumi sita tra Tigri ed
Eufrate che dicono fosse sede del Paradiso Terrestre, Anath, dea del
l'amore e della morte, fu una delle dee che succedettero ad Ishtar e
ad Inanna. Dopo che Baal, suo sposo-fratello ed amante l'ebbe fe
condata quale "toro celeste", venne detta anche "vacca celeste". La
danza attorno al vitello d'oro, quindi, era connessa alla venerazione
della Grande Madre, contro la quale il Dio dell 'Antico Testamento
combattè una strenua lotta.
Jahwe, che dal monte Sinai aveva osservato queste pratiche ac
compagnate da libertà sessuali, si irritò talmente che Mosè, in quel
mentre al suo cospetto, lo pregò di avere pietà del suo popolo: "Ri
cordati di Abramo, Isacco ed Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te
stesso dicendo: moltiplicherò la vostra progenie come le stelle del
cielo, e darò alla vostra progenie tutto questo paese come ho promes
so, che lo possiederà in eterno." (Esodo 32, 13) .
Placato per breve tempo, Jahwe si incollerisce di nuovo. Alla fine,
per bocca di Mosè ordina a coloro che gli sono rimasti fedeli: "Cia
scuno di voi si cinga la spada al fianco, vada in giro per il campo da
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UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE
"Si può essere padre anche senza madre. È accanto a noi presente,
Un testimonio, la figlia dell'olimpio Zeus,
Che non è stata nutrita nelle tenebre di un grembo,
Ma quale dea saprebbe creare un simile germoglio?
E quanto al resto, o Pallade, ti dico
Che voglio elevare la tua città, il tuo popolo"Y1
21
CAPITOLO!
22
UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE
23
CAPITOLO II
"Vedi, la tua preghiera è giunta sino a me, Lucio, io ti sono apparsa, io, la
Madre della creazione, Cellula Germinale della successione delle generazio
ni, somma Divinità, Regina degli spiriti, Signora del cielo e Quintessenza de
gli dei e delle dee, al cui cenno obbediscono il più alto dei cieli radiosi, l'a
zione benefica del mare e il compianto silenzio infero; un'Entità dalle molte
forme, onorata con varie usanze e con diversi nomi da tutto l'orbe terrestre".
"Colà, gli antichi frigi mi chiamano Madre degli dèi di Pessino, qui gli in
digeni attici Minerva cecropia, là i cipri circondati dal mare, Venere di Pafo,
i cretesi armati di frecce, Diana dittinica, i siculi che parlano tre lingue, Pro
serpina stigia e gli antichi eleusini, Cerere attea! Altri mi chiamano Giunone,
altri Bellona, questi Ecate, quelli Tanusia e gli etiopi di ambedue le terre sa
lutati dai primi raggi del sole che sorge e gli Egizi, famosi per la loro anti
chissima saggezza che mi venerano con usanze particolari, mi chiamano col
mio vero nome: regina Iside!".nl
25
CAPITOLO Il
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26
METAMORFOSI DEL MITO
nero erette statue mentre era ancora in vita, e sui contorniati, le mo
nete commemorative di tarda epoca imperiale, di bronzo e simili a
medaglie, venne incisa la sua immagine. Visse tra il 125 e il 180 d. C.,
originario di Madaura in Numidia, la provincia nordafricana dell' im
pero romano che due secoli dopo, a Tagaste, diede i natali ad Aure
lio Agostino, il grande padre della Chiesa, il "padre dell 'occidente
cristiano" che spesso definisce Apuleio un mago. Di fatto, nel 158 il
poeta dovette difendersi dall 'accusa di magia. Come Virgilio, il gran
de mago della parola, anch'egli con la sua potenza linguistica aveva
suscitato la diffidenza dei suoi superstiziosi contemporanei. Merita
notare quanto sia minuzioso e istruito Apuleio, che s'intendeva an
che di scienze, storia e filosofia - è di suo pugno un importante tratta
to su Platone - nel descrivere il culto di Iside. Tuttavia il suo modello
letterario era Ovidio, nella cui opera poetica troviamo la Grande Ma
dre ancora viva sotto le spoglie della dea egiziana. Lo scrittore della
libera Ars amatoria, l'antico manuale dell'arte d'amare, all'inizio del
l'era cristiana aveva scritto anche le Metamorfosi, una delle opere più
famose della letteratura mondiale. In una di quelle 250 storie di tra
sformazioni, Iside aiuta una coppia che arde di amore senza speranza
a raggiungere la piena felicità. Si tratta di un'antica trasformazione
sessuale: la bionda Iante di Festo a Creta è amata e ricambia con non
minore ardore Ifi, che con suo dolore è nata donna. Iside la trasfor
ma in uomo. Mentre avviene il miracolo tremano le porte del tempio
e l'altare della dea, che si manifesta con "la falce lunare e spighe di
giallo oro splendente" per diadema.
In altra occasione la "Santa Madre degli dèi" salva le navi in fiam
me dei troiani. Ordina ai Titani dei venti di strappare le gomene di
lino intrecciato della flotta e di portare le navi in alto mare per tra
sformarle colà in divinità naturali dell'elemento liquido. Ogni scafo
di nave si muta quindi "in corpo vivente, in una bella testa si trasfor
ma ogni poppa, in dita di piedi e gambe di nuotatori i remi. Ciò che
già prima erano restano i fianchi, ma la chiglia che si trova al centro
e sotto la nave, serve solo, tramutata, come spina dorsale. Le gomene
diventano capelli fluttuanti, alberi delle vele, braccia. Verdeazzurro,
come prima, resta il colore di coloro che hanno subìto la trasforma
zione che, ninfe marine, giocano con impeto fanciullesco tra le onde
un tempo temute".
Non scordando i pericoli del mare in tempesta sorreggono "spes
so con le loro mani le navi sballottate in qua e in là".
I racconti fantasiosi sono interessanti, non da ultimo perché in es
si, all' interno di una realtà sociale da lungo tempo con traddistinta
dal patriarcato, si inserisce il ricordo della maestà della Grande Ma
dre. Dalla storia per prima riportata, che inizia poco prima della na-
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CAPITOLO Il
28
METAMORFOSI DEL MITO
Nel tempio di Sais, la capitale del delta del Nilo occidentale, c' era
un 'immagine velata della dea. Pare che quel santuario di Neithotep,
una sposa di faraone, sia stato costruito già nel IV millennio a.C. Con
le varianti dovute ai tempi e ai luoghi, Neith non assomiglia solo ad
Atena, ma anche all'egizia Athor e ad Iside.
Se si presta orecchio al linguaggio del mito, ella si manifesta co
me strumento di costante trasmutazione e trasformazione, come
espressione di un 'intuizione dell'essenza dell'Unità primigenia che si
estrinseca nella molteplicità. È per questo che Apuleio, in un primo
tempo, al suo romanzo diede il titolo molto più calzante di Meta
morphoseis- metamorfosi.
Che nel v secolo a.C. il mito della nascita di Atena dalla testa di
Zeus non facesse parte del patrimonio mitologico ellenico generale è
comprovato da Erodoto, il primo storico greco. Nel secondo libro
delle sue Storie riferisce di un viaggio che lo condusse in Egitto nel
430 a.C .. Nella narrazione è ovviamente quasi impossibile distinguere
la finzione poetica dal vero. Gli ultimissimi studi non danno neppure
per certo che Erodoto si sia davvero recato nella terra dei faraoni.
Tuttavia, anche se molti elementi delle sue descrizioni sono frutto
d'invenzione o di sentito dire, la narrazione riflette le opinioni dei
suoi contemporanei che non avevano ancora accettato come ovvia la
destituzione della Grande Dea Madre. Altrimenti Erodoto non avreb
be potuto confrontare il santuario di Iside a Sais con quello di Atena,
conferendo così alla protettrice di Atene il rango di Grande Dea pri
migenia. Egli lo fa parlando della tomba di Osiride e dicendo che si
trova "presso Sais, nel santuario di Atena, dietro il tempio, lungo la
parete che chiude tutta la sacra dimora di Atena". 15> In quest'occasio
ne veniamo a conoscere anche l'architettura del tempio. Erodoto
parla di porticati con colonne simili a palme, delle tombe dei re egi
ziani Apries ed Amasi e di un grande obelisco sito nel sacro recinto.
Eretto sulle rive di un lago "incastonato tutto in tondo in un artistico
bordo di pietre, grande, mi parve, quanto quello di Delo, che viene
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CAPITOLO Il
detto circolare come un ruota". <6> Se pure questo lago è parto della
fantasia dell'autore, l'accenno a Delo fa rizzare le orecchie. Ma l'ar
gomento verrà ripreso in seguito.
Con tutto il riguardo dovuto al "padre della storiografia", non si
può dire che Erodoto sia stato un semplice fabulatore. Molti elemen
ti non verificabili e finiti nella sua vivace rappresentazione, trovano la
propria realtà nel pensiero dei suoi contemporanei, nelle loro conce
zioni di fede e nei loro miti che egli integra nella sua opera. Questo
vale soprattutto per l'Egitto che particolarmente l'affascinava, anche
se la sua esigenza principale era la descrizione delle guerre persiane,
onde evitare che quell'awenimento drammatico sprofondasse nell'o
blio. Erodoto si rivela comunque uno scienziato privo di pregiudizi
nello stabilire le priorità. Mentre i Greci, di solito, insistevano sull'au
tonomia della loro cultura, liquidando con l'aggettivo di "barbarico"
tutto ciò che accadeva al di fuori dei confini delle loro terre, egli ri
conobbe con molta chiarezza l'interazione tra popoli e culture e non
si vergognò di parlarne. Ecco quindi che leggiamo: "Sì, i nomi e le fi
gure di quasi tutti gli dèi sono giunti in Ellade dall'Egitto. Che pro
vengano da non ellenici è una realtà, come ho scoperto nel corso
delle mie ricerche. Io credo dunque che siano venuti soprattutto dal
l'Egitto.<?>
Inoltre egli sa che "Iside in greco viene detta Demetra". <B>
Ricordiamo che anche Apuleio, circa seicento anni dopo, fa dire
ad Iside che gli antichi eleusini la definivano la "Cerere attea". Ma
Cerere è il nome romano di Demetra. Ella può presen tarsi come dea
"Actaica" perché di tanto in tanto viene vista in rapporti di affinità
con la grande Artemide, la sorella gemella di Apollo con cui Atteone
ebbe un catastrofico incontro. Quando l'eroe greco e dio montano
osò scrutare la dea che si bagnava nuda, ella lo trasformò in cervo ed
egli venne sbranato dai suoi stessi cani. Dietro a questo tema antichis
simo si cela evidentemente un monito nei confronti della hybris
umana. Il segreto celato della divinità non va scoperto.
Questo tema può venir seguito sino entro la leggenda medievale
della bella Melusine. Anche in questo caso la fata divina viene osser
vata senza permesso, mentre, bagnandosi, si stava trasformando in si
rena dalla coda di pesce. Questa metamorfosi esprime la sua origine
acquatica di Madre Primigenia. L'acqua, assieme alla terra dalla qua
le sgorga come "latte" della dea, simbolizza l'arcaica essenza femmi
nile della vita. Per l'infrazione del tabù lo sposo di Melusine non
verrà punito severamente come Atteone nel mito antico. Tuttavia col
suo intervento sul mistero femminile distrugge tutto ciò che nella sua
vita è meraviglioso e perde per sempre l'amata sposa.
Dall'egizia Iside, attraverso la greca Atena e Demetra sino alla me-
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METAMORFOSI DEL MITO
31
CAPITOLO II
gno dei morti, colui che pone sulla bilancia della giustizia il cuore
dei morti. Con la sua morte e la sua resurrezione incarna anche il rit
mo vegetativo.
Ogni anno i pellegTini si recavano al tempio di Abydo, eretto nel
II millennio sotto il faraone Sethor l, una delle rovine ancor' oggi più
imponenti della riva occidentale del Nilo, per celebrare la festa del
dio dei morti e giudice delle anime. Mentre Osiride, il sole che tra
monta, rappresenta il regno dei morti, Horus, il bimbo divino che
Iside concepì con lui e in qualità di sole nascente, presiede alla conti
nuazione della vita.
Sotto molti punti di vista il mito si presenta come il simbolo del
l' eterno ciclo della natura. Parlando di Iside gli Egiziani dicono che
fu concepita dalla Madre Universale Neith o Nut, e altro non fanno
se non riproporre un'immagine della totalità della vita che, nel magi
co regno delle forme, ella incarna. La stessa cosa vale per Hathor, l'e
gizia dea dell'amore e protettrice della gioia, della bellezza e della
musica che col passare del tempo si fonde ad Iside. Il suo tempio sor
ge a Dendera, un villaggio dell'alto Egitto sito sulla sponda sinistra
del Nilo. Gli edifici principali del santuario della dea, tutt'ora ben
conservato, risalgono alla fine del m millennio a.C. circa, all'epoca
della sesta dinastia di faraoni. Il santuario venne ristrutturato nel I se
colo a.C. da Cleopatra e dal suo coreggente, Tolomeo XIII, del quale
era sorella e sposa. Lo portò a termine Nerone nel I secolo d.C.
Le colonne del tempio di Hathor imitano il sistro, lo strumento
musicale egiziano la cui musica era sacra alla dea. Il suo suono polifo
nico, accompagnato dal battere delle mani e dal clangore di catene
consacrate, riempiva il tempio accompagnando la danza vagamente
erotica che le sacerdotesse eseguivano dinnanzi all' immagine di
Hathor. Nella monotonia sensualmente eccitante di quella musica
cultuale e nel suo effetto di trance vibrava però anche un elemento di
regolarità. Che non affiorava solo nel ritmo molto accentuato, ma an
che, genericamente, nella struttura interna della musica, fatta dall'al
tezza dei toni e dal numero delle frequenze. Le antiche popolazioni
recepivano simili corrispondenze matematiche come simbolo del mo
to cosmico, come ponte tra cielo e terra. Alludono a quel regno della
Madre Universale Hathor, Neith o Iside, anche i fasci di raggi di sole
e i due famosi zodiaci, uno dei quali visibile al Louvre di Parigi, affre
scati sulle volte del tempio. Un inno esalta la divina sovrana:
32
METAMORFOSI DEL MITO
Nelle vaste stanze del tempio la Grande Dea appare anche in ve
ste di sacra "vacca celeste" - simile alla palestinese Anath - di creatrice
del mondo, animale-madre e nutrice, nel cui grembo il divino figlio
Horus fa sempre ritorno. Diadema di Hathor sono le corna di vacca
e il disco solare attorno a cui si avvolge il serpente fallico, del quale
controlla il potere. Ogni giorno accoglie tra le sue braccia il figlio, il
giovane dio solare - che sulla sua barca dorata naviga sempre da
oriente verso occidente, dal chiaro verso lo scuro, dalla vita verso la
morte - quando splende nella dimora della notte si congiunge a sua
madre, il cielo.
Balza agli occhi la naturalezza con cui i miti affrontano le relazio
ni incestuose che assurgono addirittura al rango di legge religiosa. Il
fatto è giustificato dal desiderio di assicurare il matriarcato, storica
mente garantito, dei tempi antichi, di un 'epoca in cui Eschilo non
aveva ancora scritto la sua Orestea. Indipendentemente dal fatto che
sia mai esistito un matriarcato nel senso di totale autorità femminile
storiche femministe di grande levatura quali l'americana Gerda Ler
ner lo mettono addirittura in dubbio - esistette comunque un diritto
ereditario e dinastico, in base al quale era la regina sacra a conferire
trono e potere in luogo della Grande Madre. L' eredità viene trasmes
sa sempre solo in linea femminile e mai maschile. Può persino verifi
carsi il caso che il faraone, per conservare il potere, alla morte della
moglie sia costretto a sposare la propria figlia. Così Amenofi III, pa
dre di Echnaton, sposa una delle sue figlie, la principessa Sat-Amun.
Di Echnaton stesso sappiamo che dopo la separazione da Nefertiti si
legò a sua madre Teja che gli diede una figlia, Bechetate.
Anche il matrimonio tra fratelli trova la propria spiegazione nel
diritto materno rinvenibile in Egitto dal IV millennio al 1 secolo a.C.
Cleopatra, sposa del proprio fratello, era l'ultimo anello di una cate
na di sette matrimoni tra fratelli. È noto che, dopo la morte dello
sposo-fratello, divenne l'amante di Giulio Cesare al quale diede un fi
glio, poi quella di Marco Antonio che le lasciò delle province roma
ne, cosa che provocò la guerra col cognato Ottaviano. Cleopatra, do
po la vittoria navale di Ottaviano ad Anzio nel 31 a. C., si uccise por
tandosi al seno un serpente velenoso. I Romani non giudicarono mai
una pecca il suo precedente matrimonio col fratello.
Anche in Persia i matrimoni tra sorelle, genitori e figli erano fatti
abituali, se non addirittura auspicabili. Un seguace della religione di
33
CAPITOLO II
Zaratustra nel corso di una disputa con un dotto ebreo che, come
tutti gli Ebrei aveva orrore dell ' incesto, ribatté: "L'unione tra padre e
figlia, tra figlio e colei che l'ha partorito e tra fratello e sorella è la
più perfetta che io possa immaginare". 1 1 1 1
Tuttavia la pratica dell'incesto, riscontrabile anche in culture mol
to lontane tra loro, tra gli inca del Perù, ad esempio, non serviva solo
a garantire la sopravvivenza sociale dei diritti matriarcali. Le sue radi
ci sono molto più profonde. Affondano nella stessa struttura psichica
dell'essere umano, nel suo desiderio di tornare nel paradiso infanti
le, di trattenere il primo oggetto d'amore nel chiuso del comune
grembo materno, schermati dalle iniquità del mondo esterno nemi
co. L'incesto, come lo presenta con particolare efficacia il mito nella
figura della Grande Madre, è una conseguenza del desiderio di resta
re bambini, della paura di diventare adulti e di venire esposti a un
ambiente sconosciuto e nemico. Persino quando si presenta coi tratti
del desiderio passionale e con bellezze poeticamente trasfigurate, in
definitiva è un "arresto passivo della libido al primo oggetto infanti
le". 1 1 21 È ai fini della conoscenza di sé che il mito ci mette sotto gli oc
chi a m o ' di specchio questa si tuazione. Una raffi gurazione di
Hathor nel tempio di Dendera ritrae la Dea Madre nell 'atto di pro
teggere il piccolo Horus, rappresentato come un barcaiolo ed al tem
po stesso col dito in bocca e con un ricciolo fanciullesco, tratti che
ne dichiarano il candore.
Quale simbolo dei primissimi ricordi e desideri, Hathor-Iside è fi
gura allegorica dell'Anima, archetipo della psiche e della vita. Non a
caso Apuleio ha inserito nelle sue Metamorfosi anche la fiaba di "Amo
re e Psiche". Particolarmente bello è il ruolo di guida nel cammino
verso l 'intimo che, ancora nel medioevo, Dante attribuisce ad Anima
nella Divina Commedia. Beatrice, l'amante immortale, guida il poeta
come un angelo di luce attraverso le nove sfere celesti sino alla "ruo
ta dell'amore eterno, che colà muove il sole e tutti gli astri".0 31 Nel
Faust di Goethe incontriamo di nuovo Anima come "Eterno Femmi
nino", mentre in un testo medievale essa si autodefinisce:
"Sono il fiore di campo e il giglio delle valli; sono la madre del
bell'amore, della conoscenza e della sacra speranza.. Bellissima sono
e senza macchia ... Sono la mediatrice tra gli elementi, colei che rap
pacifica gli uni con gli altri . . . Sono la legge del sacerdote e la voce del
profeta e il consiglio del saggio. lo posso uccidere e rianimare ... ". 1 1 41
Suona come un tardo eco delle parole stesse di Iside. Secondo
Erodoto, la notte in cui veniva festeggiata la Grande Dea si accende
vano innumerevoli candele, non solo a Sais, ma in tutto l'Egitto. Du
rante la "festa dei lumi" di Iside gli stoppini splendevano tutta la not
te galleggiando in basse coppe ricolme di olio e sale. La terra riluce-
34
METAMORFOSI DEL MITO
35
CAPITOLO II
Cicladi, ove, però, tale lago esiste dawero. Di fatto è quasi perfetta
mente circolare e ancor oggi viene definito il "lago sacro". Ai giorni
nostri, comunque, è stato prosciugato per motivi igienici dato che le
sue acque provenivano dalle zone palustri del corso inferiore dell'I
nopo. Quanto al resto su quell 'isola, sotto la luce abbagliante dell'E
geo che viene riflessa dai torsi e dalle statue dell 'antico tempio, è an
cora tutto awolto in un 'aura senza tempo. Anche quando Omero,
nell'VIII secolo a.C., nell'Odissea e in un inno ad Apollo cita Delo
come noto santuario degli Ioni, quella è pur sempre una dichiara
zione tarda. Sin dai tempi della cultura micenea, dalla metà del n
millennio a.C. Delo era considerata l'isola sacra ad Apollo. Le tracce
più antiche rimandano addiritura a tempi molto an tecedenti, a
metà del m millennio. All'epoca l 'isola doveva essere abitata dai Pe
lasgi, che facevano parte del preistorico popolo degli Egei che Tuci
dide definiva Carii. Probabilmente è a loro che risale il mito della
Dea Madre Latona o Leto che conferisce significato al lago di Delo,
circolare o tondo come una ruota. Là, infatti, un tempo ella partorì
i gemelli Artemide ed Apollo. Secondo un'antica tradizione, all'epo
ca, Delo era ancora un'isola galleggiante, un nido dondolante sulle
acque dell'Egeo che solo dopo la nascita della divina coppia priva di
padre venne ancorata al fondo del mare. A quei tempi Latona è an
cora una vergine-cigno che genera senza seme maschile. Non viene
detto se, uccello acquatico, abbia deposto e covato un uovo, ma il
concetto è quello. Un altro mito pelasgio della creazione parla di
una dea lunare che i Greci chiamavano Eurinome ("il lungo pere
grinare" della luna nel cielo notturno) che sotto forma di colomba e
in modo asessuato, generò l 'uovo del mondo. Ella lo depose sull'ac
qua e a covarlo fu un serpente. Nella maggior parte delle religioni
dei primordi si ritrova il concetto di uovo del mondo, di uovo-madre
e vaso-primigenio da cui procedettero la terra e ogni forma di vita. Il
modello architettonico di "fusarola ad ovoli" delle colonne e dei
templi dell'antica Grecia ricorda questa mitica visione del mondo.
Gli antichi Persiani e i Romani si divertivano facendo dei giochi con
le uova e anche noi, oggi, la prima domenica dopo la luna piena di
primavera ci facciamo sempre regalare dal "coniglio di Pasqua" uova
colorate . A causa della loro fecondità, alle colombe e ai passeri
amanti della copula, ma soprattutto al coniglio, venne conferito l'o
nore di servire Mrodite in quanto era uno dei suoi attributi. Ecco
che, a ricordo di antichissimi miti della creazione, esso depone per
sino le uova.
Latona, invece, nelle spoglie di vergine-cigno divenne l'immagine
della pelasgia Madre Primigenia. "Quando all'epoca del solstizio d'e
state i cigni si riuniscono per migrare al nord verso le loro sedi di co-
36
METAMORFOSI DEL MITO
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CAPITOLO II
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METAMORFOSI DEL MITO
"Uno riuscì -
sollevò il velo della dea di Sais
Ma che vide? -
miracolo dei miracoli, vide se stesso". 124 >
39
CAPITOLO III
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CAPITOLO 111
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AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA
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CAPITOLO III
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AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA
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CAPITOLO III
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AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA
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CAPITOLO III
che in quei tempi arcaici non è ancora l' essere superiore che uccide,
ma quello che, con l'animale che è costretto ad abbattere, comunica
e vuole instaurare buoni rapporti. La sua visione del mondo, però, si
colloca nella sovrastante figura della Grande Madre che egli venera
anche come signora degli animali.
Già il primo emergere dell'essere umano dalla propria animalità
deve aver comportato una religione primitiva di quel Grande Femmi
nino che veniva sentito come fonte di tutta la vita. Il potere dell 'ele
mento femminile era preminente. Traeva origine dal mistero della
procreazione, sempre opera delle donne. E tanto più numinosa deve
esserne stata la forza in quanto la partecipazione maschile alla pro
creazione della nuova vita non era stata ancora riconosciuta. Più di
10.000 anni separano la "Venere di Laussel" dalla rivoluzionaria sco
perta biologica della partecipazione maschile all 'atto della procrea
zione e circa altri tre millenni e mezzo dalla tracotante ideologia del
la virilità propugnata dall' Orestea. Plinio il Vecchio, nella sua Storia
naturale, nel I secolo d.C. rivela quanto a lungo perdurò il ricordo
dell'onnipotenza della Dea Madre, per lo meno nell 'idea di una pos
sibile procreazione elementare in assenza di padre. Nella sua opera
egli accenna molto seriamente alla possibilità che le giumente venga
no ingravidate senza l'intervento dello stallone, solo ad opera del
vento. Il che spiegava, a suo parere, perché le giumente esponevano
con tanto piacere le terga al vento. Lo scienziato romano fonda tale
sua credenza sul passo dell'Iliade in cui Omero parla di Borea, il ven
to del nord, rampollo di Eos dalle rosee dita, la dea dell 'aurora, e lo
collega alle giumente di Erittonio. Quell'uomo-serpente, nato dalla
terra e tardivo figlio di Zeus, visse ricco di pingui armenti sul monte
Ida benedetto dalle fonti. E in proposito Omero scrisse:
Non sapremo mai come si svolgeva nell'età della pietra il culto tri
butato alle pitture animali rupestri, agli idoli della fecondità o alla
"Venere di Laussel". Che però venisse celebrato è deducibile da nu
merosi ritrovamenti di "strumenti musicali" awenuti nelle caverne
del Périgord. Sono stati rinvenuti soprattutto rombi che, fatti frullare
in aria attaccati a dei cordini, producono misteriosi ronzii e poi fi
schietti e flauti ricavati da ossa cave. Come fa sapere Thorsten Droste,
uno straordinario esperto del Périgord, nelle caverne di Tue d 'Au-
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AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA
doubert sono state scoperte anche impronte di piedi che possono es
sere state lasciate solo dal calpestio dei piedi dei danzatori. Di per sé,
comunque, la caverna ha sufficienti nessi cultuali. Essa simboleggia il
grembo della Madre Primigenia e come la grotta, dai tempi arcaici, è
luogo di culto e di sogno, spazio che ricorda il corpo materno. Essa
può tramutarsi anche in elemento di paura. In tal caso diviene infer
no, mondo infero, regno dei morti, Ade, nel cui grigiore - come Cri
sto nella sua discesa agli inferi in epoca successiva - la Grande Dea
scende per liberare e resuscitare il proprio eroe. Nel regno sumerico
opera in veste di Inanna o di Anath nei confronti di Dumuzi o Baal,
in Egitto Osiride, ridestato a nuova vita da Iside, diviene giudice nel
regno dei trapassati ed in Grecia Persefone, la figlia di Demetra, in
quanto accomunata alla Grande Madre, per un terzo dell'anno, re
gna come dea sugli inferi. La caverna, comunque, è un luogo poliva
lente che rispecchia l' ambiguità della Grande Dea. Come sede "del
l' altro mondo" assomiglia ai palazzi, profondamente interrati del po
polo irlandese delle fate di Thuata da Danaan della saga celtica,
mentre nell'antichità romana e greca, in quanto nascosta sede dell'a
more, diventa il tempio naturale di Venere-Afrodite. Anche nella fa
mosa "grotta dell'amor cortese" di Tristano e Isotta continua ad ope
rare l' incantesimo del primigenio mondo infernale. L'epico medie
vale Gottfried von Strassburg, ancora agli inizi del XIII secolo, in pie
na epoca cortese, nel suo romanzo d'amore fa scoprire alla coppia
totalmente dedita a Venere "una caverna in un monte selvaggio", ca
verna che non nasconde altro se non appunto "la ca' d'amore", la ca
sa sontuosamente arredata dell'amore cavalleresco, della quale si di
ce "che sia consacrata alla dea dell'amore".
La caverna di Lascaux invece viene appropriatamente definita la
"cappella Sistina della preistoria", alludendo sia all'alta qualità dei
suoi dipinti, sia al suo carattere religioso. La "Venere di Laussel", nel
l'aura sacra delle pitture ferine, si inserisce accanto al bisonte ameri
cano o europeo in veste di signora degli animali. Millenni dopo la
Grande Madre si presenta ancora in quel ruolo, dall'India al Medi
terraneo, in Mesopotamia, in Egitto e in Africa, in Grecia, nella Spa
gna meridionale, in Sicilia, in Sardegna, a Creta e a Malta.
Sin da quando uscendo dalle profondità delle sue origini compì i
primi passi a tentoni, l'umanità considerò sacri gli animali. Dalle ar
caiche culture superiori all 'antichità classica, le divinità sono state
venerate in sembiante di animali. Nella sua relazione sull'Egitto Ero
doto elenca numerosi animali, anche selvaggi. "Se narrassi perché
vengano ritenuti sacri" scrive, "la mia esposizione penetrerebbe nelle
cose divine che io mi rifiuto categoricamente di svelare." Tuttavia
narra che l'involontaria uccisione di uno di quegli animali viene pu-
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partire dal n millennio a.C. Alla base vi era il commercio dello stagno
che portò i Fenici, ma anche altri popoli semiti, sino alle miniere del
la Cornovaglia. Il prezioso metallo veniva trasportato per nave dalle
miniere comiche - che si esaurirono solo nel XIX secolo e da allora,
coi loro antichi forni di fusione, sono decadute a bizzarri ruderi pae
saggistici - ai paesi mediterranei. Grazie a quei rapporti commerciali,
alla Britannia preceltica e celtica giunsero influssi culturali e religiosi
mediterranei, fenici, babilonesi, ebraici ed egizi.
Diodoro Siculo, ancora nel I secolo a.C., riferisce del trasporto
dello stagno comico dall' isola britannica alla Grecia, a Roma e in
Egitto. Ed è questo storico greco originario della Sicilia a spezzare
una lancia a favore del nostro argomento! Nella sua storia del mon
do in quaranta volumi pubblicata nel 50 a.C., Diodoro menziona
l'antica tradizione di un culto di Apollo, esistente sull' isola al di là
del canale della Manica e connesso a quello della Dea Madre Primi
genia di Delo. Il testo stupefacente riporta comunque una citazione
che Diodoro aveva recuperato dagli scritti ormai quasi totalemente
smarriti di Ecateo di Mileto, vissuto ali ' incirca nel 500 a.C. Quel
l'informatissimo geografo e precursore di una storiografia genealogi
camente ordinata, alla quale si dedicò anche Erodoto, probabilmen
te doveva le sue informazioni sulla Britannia del VI secolo a.C. ai mer
canti di stagno, oro e ambra che ragionevolmente conoscevano an
che Stonehenge. È lui dunque la fonte di Diodoro Siculo in cui leg
giamo: "Di fronte alla Gallia celtica giace un 'isola, non più piccola
della Sicilia, che si estende verso nord e che è abitata dagli Iperborei,
così chiamati perchè vivono al di là del vento del nord ... Secondo la
tradizione qui nacque Latona, motivo per cui gli abitanti venerano
come somma divinità Apollo. Di fatto si può dire che tutti i suoi se
guaci sono sacerdoti, dato che egli viene celebrato ogni giorno con
canti di lode ed esaltato in molte altre forme". 0 01
Nel periodo preso in considerazione da Ecateo, il figlio era quin
di più importante della madre, che comunque non veniva dimentica
ta. È assolutamente probabile che nei periodi nei quali le strutture
sociali matriarcali vennero sostituite da quelle patriarcali un dio della
luce abbia cacciato un'originaria dea della fertilità.
Anche a Delfi la divinità originaria non era Apollo, bensì Gea, la
Madre Terra. Alla quale, molto prima di Apollo, si sostituì come divi
nità oracolare la figlia Temi. A lei rende omaggio un inno orfico:
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CAPITOLO lll
ascolta, io ti invoco!
Colei che per prima agli uomini
annunciò sacre sentenze profetiche
e nella valle di Delfi
dichiarò le leggi eterne .. . " . < 1 1 >
Stonehenge, una sede cultuale dell'età della pietra dalla "forma perfettamente cir
colare".
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CAPITOLO III
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divino anno di regno del sacro re che veniva investito di tutto il suo
potere dalla Grande Dea, a fianco della quale governava! Quell'anno
sacro iniziava la notte in cui solstizio d'inverno e luna nuova coinci
dono, che si verifica solo ogni diciannove anni, e faceva sì che gli an
tichi celebrassero il giorno del solstizio d'inverno il 24 dicembre. Si
no al momento in cui solstizio d'inverno e luna nuova coincideranno
di nuovo, per tutto quel "grande anno" sarà quel re a detenere il po
tere. Egli veniva poi sostituito - un tempo con l'uccisione - da un suc
cessore nato anch'egli in una notte di solstizio d'inverno e luna pie
na. Il nuovo re, con la sua giovinezza, incarna la primavera imminen
te grazie alla quale in tutta la terra riprenderà a germogliare nuova
vita. Helmuth M. Bottcher a proposito di questa tradizione calendari
stica che si prolunga anche nel mondo delle credenze cristiane, scri
ve: "Probabilmente egli (il successore) assume la sua carica il 6 gen
naio, quindi la notte di luna piena che illumina la terra tredici notti
dopo il solstizio d' inverno. Questo giorno dei "tre re" presenta quin
di il neo-nato e il re appena entrato in carica nel pieno splendore
della luce celeste. Il 6 gennaio è inoltre di necessità anche il giorno
della morte del vecchio re. Donde vien detto il giorno dei tre re. Non
fu solo Maria a partorire suo figlio il 24 dicembre, ma anche Alcione
(una femmina d'uccello artico dal cui uovo, secondo un'antica tradi
zione ellenica nasce il nuovo re. N.d.A. ) . Senza dubbio la stessa cosa
accade a Berta (la Grande Madre dei Germani) . Altrimenti le date
germaniche del 24 dicembre e del 6 gennaio perderebbero, nel loro
rapporto con la dea, quel significato presente solo nella sacralità del
ciclo di diciannove anni. Le due date costituiscono l'inizio e la fine
della sacra successione - solo muovendo da essa divengono compren
sibili come la orima luna nuova e la prima luna piena di un altro
" (111
grande anno .
Se pure l'enigma di Stonehenge resta insoluto, si può tuttavia
sempre supporre che in epoca arcaica fosse sede di un culto della
Grande Madre, qualsiasi forma esso avesse. Ai Celti che successiva
mente migrarono sull'isola e alla loro profonda stima della donna es
so non deve essere risultato affatto estraneo, così che si può facilmen
te supporre che assimilarono la cultura del popolo i cui antenati un
tempo eressero Stonehenge.
L'informazione di Ecateo riportata da Diodoro porta a cozzare
ancora una volta contro una roccia primordiale, anche se non
profonda quanto quello delle pitture rupestri francesi. Le epoche
storiche perdono d'importanza dinnanzi al potere sovratemporale
delle immagini archetipiche. La loro ripercussione sul mito parla di
mondi sprofondati in epoca preistorica durante la quale, dal mare
del Nord all'Egeo, dall'Atlantico all'Oceano Indiano, le rappresenta-
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stesso al Signore, al tuo Dio, non costruirai un altare con pietra ta
gliato da ferro. Costruisci quell'altare al Signore tuo Dio di sola pie
tra e offri olocausti al Signore tuo Dio (Esodo 20, 24-25) . Più lontano
nel tempo, a ricordo di una rivelazione fatta da Dio a Giacobbe col
sogno della scala celeste, viene posta una pietra: "E Giacobbe si alzò
di mattina presto e prese la pietra che si era posta come guanciale, la
eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità e chiamò quel si
to Beth-EI..." (Genesi 28, 18-19) . Quel nome significa "Sede della divi
nità".
Giosuè, per contro, il sommo sacerdote e successore di Mosè,
"prese una grande pietra e la eresse sotto una quercia che stava pres
so il santuario del Signore e disse a tutto il popolo: ecco, questa pie
tra sarà una testimonianza per noi perché essa ha udito tutte le paro
le che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonio contro
di voi perché non rinneghiate il vostro Dio" (Giosuè, 24, 27) . Ma
quando, analogamente, le pietre venivano erette a monumenti e ad
altari e venerate dai "pagani", la cosa diveniva idolatria e cadeva sotto
l 'ordine di Mosè: "Demolirete i loro altari e spezzerete le loro stele ... "
(Deuter. 12,3) .
Anche il Cristianesimo delle origini si trova a combattere con un
culto della pietra profondamente radicato. Nel IV secolo Gerolamo,
l'erudito Padre della Chiesa che aveva molto viaggiato e conosceva
anche l'Egitto e la Palestina, nel suo commento al Vangelo di Matteo
si scaglia contro coloro che "non conoscono il Creatore e adorano
pietre" e nel v e VII secolo i concili di Arles e di Toledo condannano
coloro che adorano e venerano le pietre.
Nell'ambito culturale dell'Asia Minore e di Creta erano diffusi sia
la fede nel potere "delle pietre dotate di anima" che un culto ad esse
connesso. Di millenni anteriori al sacrario in onore della Dea Terra
Rea di Creta sono i dolmen delle coste della Bretagna o i templi del
l' età della pietra di Malta, al centro del Mediterraneo. Essi avevano
già più di un millennio quando i faraoni d'Egitto eressero, a segno
della loro continuità, i loro primi monumenti funebri, le piramidi.
I dolmen, quei sepolcri a forma di tavola consistenti in una serie
di pietre di sostegno verticali e di una o più tavole orizzontali ad esse
sovrapposte, traggono il loro nome dalla parola celtica "dol", "tavo
lo", e "men", "pietra". Vengono detti menhir gli svettanti pilastri liti
ci, dove "hir" sta per "lungo". Dolmen, menhir e "Allées couvertes",
tombe a forma di cunicolo site nel Morbihan, la parte meridionale
della Bretagna lambita dalla Corrente del Golfo, sono diffusi in nu
mero tale da poter dedurre che quella zona fosse il centro preistori
co di una religione primordiale, il cui rituale verteva attorno al culto
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all'unico uomo tornato vivo dalla guerra persa contro Egina, avevano
inferto tante punture che anche quel poveretto era morto. Per puni
zione avevano dovuto mutare il costume dorico in quello ionico col
"chitone di lino", per il quale, narra Erodoto, "non servivano fibbie".
"Tuttavia tra gli abitanti di Egina e quelli di Argo" continua egli, "in
considerazione dell'accaduto fu introdotta l 'usanza, sino ad oggi in
vigore, di raddoppiare la dimensione degli spilloni e di far offrire
dalle donne alle due divinità del tempio soprattutto spilloni". 1'l
In ambito mediterraneo quindi la fibbia a spilla acquisì un signifi
cato religioso. Non potrebbe essere successa la stessa cosa anche in
Bretagna, ove anche le alte cuffie inamidate delle donne sposate ri
cordano, ancora oggi, la potenza femminile di un tempo? Quanto al
la problematica relativa ali 'usanza di offrire gli spilloni degli abiti alle
divinità materne, se ne era già occupato Bachofen. Egli scrive: "Non
si può metterne in dubbio il significato erotico-afrodisiaco. L'offerta
votiva della fibbia a spilla (perone, porpe, termine, quest'ultimo, che in
dica l'anello della fibbia mentre il primo indica lo spillone che la in
terseca) che trattiene gli abiti, ha lo stesso significato dell'offerta del
la cintura femminile. Ambedue alludono al sacrificio della verginità.
L'offerta della fibbia simbolizza il passaggio alla maternità, l'ingresso
nel matrimonio, l'adempimento del compito femminile che trova la
sua realizzazione nello "scopo del matrimonio nel fiore della gio
ventù". L'abito chiuso viene ora aperto. La fibbia, prima simbolo di
pudica verginità, diviene immagine del matrimonio. L'anello trapas
sato dallo spillone è di per sé simbolo dell'unione dei sessi finalizzata
alla procreazione. Tutti i particolari della narrazione d i Erodoto
coincidono con questo riferimento erotico"_ l 'l
Anche se le "conficcatrici di spilloni" della Còte-du-Nord hanno
da tempo dimenticato il significato di ciò che fanno e se l' offerta vo
tiva ad una dea della fertilità si è trasformata in un singolare gioco
oracolare con un santo cristiano, la magìa della religione materna
primordiale continua ad operare dagli albori dei tempi ai giorni no
stri. Evidentemente in ambito cristiano il missionario bretone ha as
sunto lo stesso ruolo di successore, assunto dalla Madonna. Non è
certo un caso che la località costiera e la penisola che da essa prende
il nome, sita tra la baia di Quiberon e il golfo di Morbihan, quella
"metropoli della preistoria" in cui si trovano le tombe megalitiche
più importanti ornate coi simboli della Grande Madre, siano state de
nominate Locmariaquer: santo luogo di Maria. Analogamente, ovun
que in Bretagna si trova la "roccia madre". Così i geologi definiscono
la base ricca di minerali dello strato di terreno costituente la roccia
primordiale sottostante lo strato di terra fertile.
A Locmariaquer, dinanzi a una tomba dell'età della pietra, giace
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spesso si ricorre. Per il momento non deve interessare il fatto che per
contrapposizione possa comparire anche in veste di pesce marino fe
roce e di personificazione della morte, incarnando l'aspetto terrifi
cante della Grande Madre. Per millenni, nei sogni e nelle rappresen
tazioni umane, il pesce ha avuto comunque il ruolo di salvatore. Di
conseguenza pure il Cristianesimo l'ha scelto come suo simbolo ra.ffi
gurandolo per la prima volta nelle catacombe di Roma. Gli antichi
cristiani leggevano nella formula greca di definizione del Cristo, IE
SUS CHRISTOS THEOU HYSIOS SOTER Gesù Cristo figlio di Dio Sal
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L a "Dea di Decimoput
zu", un idolo di alabastro
del 3000 a.C., e l'idolo di
marmo della "Dea Mater
Mediterranea" del 2500
a.C. Ambedue sono sta
ti rinvenuti a Senorbi, in
Sardegna.
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Che dire però delle famose figure di guerrieri della successiva età
del bronzo, che portano tutti elmi adorni di corna? Risalgono all'VIII
e al VII secolo a.C. e appartengono quindi al periodo centrale della
cultura nuragica, che si estende dal 1 800 al 500 a.C. circa. Fu in quel
l 'epoca che vennero erette le rimarchevoli torri rotonde di blocchi di
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cene reca in rilievo una Demetra seduta che offre a un uomo tre fiori
di papavero.
Se pure simili associazioni non riescono a sciogliere l'enigma de
gli elmi sardi con le corna, tuttavia sono in grado di spezzare i sedi
mentati modelli logici delle tradizionali percezioni di sé patriarcali,
secondo le quali un guerriero non indosserà mai altri ornamenti che
quelli guerrieri dell'elmo, il simbolo taurino della forza virile. Ma i
trionfi simili ad antenne degli elmi non potrebbero essere pure segni
di una cultura che si muoveva all 'interno di un pensiero magico na
turale sotto le leggi della Grande Madre? I guerrieri sardi allora sa
rebbero stati al servizio e sotto la protezione della divinità femminile.
Si ricordi che anche gli eroi medievali armati di spada ornavano il
proprio elmo coi colori e coi nastri della loro "nobile dama".
Anche a proposito dei nuraghi viene da chiedersi: "Quelle struttu
re gigantesche servivano davvero solo a scopi difensivi, come hanno
sostenuto generazioni di studiosi? Non erano forse e con maggiore
probabilità, come hanno dimostrato stupefacenti prove svolte di re
cente, in primo luogo santuari del sole e punti d'intersezione di una
geniale rete di comunicazioni a distanza, da cui in breve tempo pote
vano venire diffusi segnali luminosi su tutta l ' isola?". 151 In prossimità
dei nuraghi vennero erette anche le cosiddette "tombe dei giganti",
simili a lunghe gallerie ricope rte da enormi ammassi di pietre. In
una successiva epoca storica e nel corso di una fase eroico-virile, quei
giganteschi mausolei vennero ritenuti i sepolcri dei leggendari eroi
dell'isola tra cui Iolao, il compagno di lotta di Ercole, il cui nome ri
compare nell'antica tribù insulare degli Ioli. All'interno dello spazio
semicircolare circondato da parallelepipedi di pietra an tistante tali
tombe gigantesche, tra numerosi doni votivi, sono stati rinvenuti an
che molti simboli femminili. Accanto al nuraghe di Tamuli, in pro
vincia di Nuoro, nella solitudine di ampie distese di erba dell'altopia
no di Macomer trapuntate da arbusti di cardo e fiori d'asfodelo, ci
sono le rovine di una di quelle tombe. Immediatamente vicino, simili
ad entità primordiali incantate, si ergono sei cippi di pietra. Tre di
quei betili possono esser letti come simboli maschili, come falli, men
tre nel basalto degli altri, sui tre pilastri un po' più lontani dalla gi
gantesca tomba in rovina, sono scolpite coppie di seni femminili. Un
tempo, dinnanzi a quei monoliti conici squadrati, veniva celebrato
un rito della fertilità che nella sfera della divinità includeva ormai an
che la forza generante maschile, oppure quei coni di pietra rappre
sentavano le divinità degli avi o dei defunti? È un enigma che resterà
insoluto. In ogni caso la presenza di pietre tanto misteriosamente
connesse all'antica tomba dei giganti è espressione di una religiosità
profondamente sentita.
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scritto nel primo Libro dei re ed "egli aveva settecento donne per mo
glie e trecento concubine; e le sue donne piegarono il suo cuore. E
siccome era vecchio, le sue donne seguirono divinità straniere. Così
Salomone venerava Astarte, dea dei Sidonii, Milcom, idolo abomine
vole degli Ammoniti, egli fece cosa che al Signore dispiacque", co
struì "un 'altura a Camos, idolo dei Moabiti, sul monte che era di fac
cia a Gerusalemme, e una a Moloch, abominio degli Ammoniti" (l
Libro dei Re 1 1 , 1 ,3-7 ) .
Gli Ammoniti - l a cui capitale era Rabath-Ammon, l 'attuale Am
man capitale della Giordania - come i Moabiti, loro vicini parenti e
alleati, ebbero rapporti sempre ostili con gli Ebrei. Se Salomone ele
va un santuario montano al dio dei Moabiti Camos e a Moloch, evi
dentemente lo fa per amore delle sue molte donne, dedite al culto di
Asthoreth.
Col che si ritorna finalmente a Tanit, l'Astarte cartaginese che fe
ce il suo ingresso in Sardegna sia come dea indipendente, che come
componente essenziale di Baal. I barbarici sacrifici di bambini fanno
quindi parte del suo culto. Non conviene chiudere gli occhi dinanzi
al fatto che anche quei bambini - provenienti prevalentemente da
strati sociali elevati - erano "fecondatori della Madre Terra" e che in
definitiva anche Baal li poteva esigere solo in forza di arcaiche conce
zioni matriarcali del ciclo della natura.
Accanto alle rovine dell 'antica Tharros, una colonia fenicia del
golfo di Oristano, si ergono i resti di un santuario di Tanit, non di
stanti dall 'odierna S. Antioco, una località costruita sulla città punica
di Sulci. Al di sopra si eleva il frastagliato colle di trachite col "To
phet" di Sulci, un dei luoghi in cui, in Sardegna, venivano praticati
olocausti in onore di Tanit. Il vocabolo tophet, di origine ebraica, si
gnifica "vaso". Infatti, all'interno di un'area sacra circondata da un
muro, i Fenici conservavano in vasi di terracotta - nella sola Cartagine
sono stati rinvenuti migliaia di tali recipienti - i resti dei bimbi immo
lati in onore di Baal.
Sul tophet di Sulci sono stati ritrovati più di duemila recipienti
d'argilla simili. I cocci di quei recipienti votivi sono stati, in parte, la
sciati in loco. Nell'Antico Testamento si legge: "Hanno fatto per i lo
ro dèi tutto ciò che è abominevole agli occhi del Signore e che egli
detesta, hanno addirittura bruciato nel fuoco i loro figli e le loro fi
glie ai loro dèi" (Deuteronomio 1 2, 3 1 ) . E ancora: "Non dare neppu
re uno dei tuoi figli perché venga arso in onore di Moloch per non
profanare il nome del tuo dio; giacché io sono il Signore." (Levitico
18, 2 1 ) .
D i fronte al brullo altipiano roccioso d i S. Antioco ove s i compiva
no gli olocausti in onore di Tanit, persino i non meno crudeli ordini
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In potere di Afrodite
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scepoli di Orfeo, l ' aedo figlio delle muse, per definire la faccia piena
della luna ricorrono al termine Gorgoneion."Non fosse che per que
sto non si può credere che Gorgone rappresentasse esclusivamente
qualcosa di brutto e di tremendo" scrive Karl Kerényi, studioso delle
religioni e filologo, "quel nome veniva infatti dato anche a bimbette i
cui genitori non si aspettavano certo che diventassero creature terrifi
can ti".0 >
Quando le culture mediterranee si incontrarono sul suolo dell'an
tica Trinacria, vi trovarono l' humus su cui poté fiorire il santuario d i
Afrodite-Venere, vincolo tra i popoli. Oggi a ricordare il tempio della
dea dell'amore c ' è solo il nome di "Castello Venere". Così viene chia
mata la rocca normanna che sorge sul punto più alto dell'antica acro
poli, la cui cinta include i resti murari del santuario di Afrodite già
ampiamente distrutto nel Medioevo. In un giardino ai piedi del ca
stello gorgoglia "la fonte di Venere" dominata dalla dea nuda e semi
sdraiata, una statua in stile classico-manieristico le cui tenere forme
riverse si rispecchiano nella fonte che forse un tempo era sacra.
Sin dalla più remota antich ità le navi mercantili fenicie gettarono
l'àncora lungo le coste della Sicilia, questo crogiuolo di popoli e cul
ture che deve il suo nome ai Siculi comparsi nell'xi secolo a.C., a lo
ro volta successori di quel popolo sconosciuto che un tempo era mi
grato a Malta per erigere alla dea della preistoria i suoi templi mega
litici. Tra l 'XI e il IX secolo a.C. i Fenici si appropriano della parte oc
cidentale dell' isola. Da quel momento sino all'epoca della domina
zione romana, che dopo la conquista di Siracusa nel 2 1 2 a.C. tra
sformò la Sicilia in provincia e in granaio, Erice fu una sede cultuale
fenicia, nonostante dal 735 a.C. anche i Greci iniziassero la colonizza
zione dell'isola fondando Naxos. Un inno all' irresistibile dea che con
tanti nomi incarna l'amore, la bellezza e la gioia dei sensi e il piacere
sessuale, recita:
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IN POTERE DI AFRODITE
1 13
CAPITOLO VII
no la loro scelta. Quando una donna ha preso posto nel sacro recinto,
non può tornarsene a casa se prima un forestiero, dopo averle gettato
in grembo del denaro, non si sia unito a lei all'esterno del tempio. E
gettandole il denaro egli deve dire queste parole: 'In nome della dea
Militta, vieni ' . Mili tta è il nome assiro di Afrodite. La somma può esse
re anche piccolissima e non sarà rifiutata dalla donna che non ne ha
il diritto: infatti quel denaro diventa sacro; ella deve seguire il primo
che gliene getta e non può rifiutare nessuno. Dopo aver consumato la
copula e avere sciolto l 'obbligo verso la dea, la donna torna a casa e
dopo di allora non riusciresti a comprarla per nessuna somma. Le
donne belle di viso e di corpo ritornano dal tempio presto, le altre vi
restano più a lungo senza riuscire a pagare il debito alla dea: ve ne so
no alcune che vi rimangono anche tre o q �:'l ttro anni. Un uso simile
vige anche in alcune parti dell ' isola di Cipro . 15)
Sulla validità di tale racconto, che comunque è stato confermato
circa quattrocento anni dopo da Strabone, il geografo e storico gre
co, i pareri sono discordi, così come pure molto differenti sono i giu
dizi sulla cosiddetta "prostituzione templare". Se la relazione di Ero
doto corrisponde alla verità, bisognerebbe dedurne l ' esistenza di un
sistema misogino e raffinato che forniva a una classe sacerdotale di
ambedue i sessi un costante afflusso di denaro. A questo si contrap
pone però la concezione, ovunque riscontrabile, della funzione sacra
dell 'amore fisico al quale, in quanto "opera della donna", veniva rico
nosciuto un potere divino che purifica e ingentilisce. Così nell'antica
Babilonia le figlie di re venivano consacrate sacerdotesse di Ishtar e
nell'adempimento delle annuali sacre nozze rappresentavano o per
sonificavano la dea. Il poema di Gilgamesch, del n millennio a.C., at
testa nel modo più efficace la fede nell ' effe tto civilizzante della ses
sualità in nome della divinità femminile, persino quando una prosti
tuta insegna l ' arte d ' amore come sua ancella.
Un cacciatore trova il selvaggio e primitivo Enkidu, creato dal fan
go dalla dea Aruru e destinato ad essere l'amico e il sosia boschivo
del mitico re Gilgamesch. Per catturarlo mentre fugge e legarlo, do
vrebbe, gli viene detto, prendere una "harimtum". Il cacciatore ese
gue ed Enkidu viene da una prostituta trasformato da uomo primiti
vo in uomo civilizzato, colmo al contempo di saggezza divina e degno
di entrare in sua compagnia nella città del potente re e nel santuario
della Grande Dea. Il poema narra:
114
IN POTERE DI AFRODITE
1 15
CAPITOLO VII
Eliano a proposito del san tuario di Afrodite sull'Erice. Del quale rife
risce pure:
"Ogni giorno e ogni anno i nativi e gli stranieri sacrificano alla dea. L'al
tare maggiore è sotto il cielo aperto e quando vi sono state recate molte of
ferte, arde tutto il giorno sino a notte inoltrata! Ma quando riluce l'aurora
sull'altare non si trovano né carboni, né cenere, né resti di fiaccole semibru
ciate, si presenta invece coperto di rugiada e di erba fresca che ricresce ogni
notte".(7)
1 16
IN POTERE DI AFRODITE
Sul colle di Erice le sacerdotesse dell ' amore non devono aver ser
vito Afrodite molto diversamente.
Numerose le storie intrecciate dal mito attorno alla dea dell ' am o
r e , m a numerosi pure i nomi c h e le vennero attribuiti. Oltre all ' "A
frodite callipigia", la dea "dal bel sedere" o all' "Afrodite Etera", delle
prostitute, esiste ! "'Afrodite Eleemon", la "misericordiosa", e pure, vi
sta nel suo aspetto letale, ! "'Afrodite Androphonos", la "massacratri
ce di uomini" o quell' "Afrodite Epitymbidia" "che indugia sui sepol
cri". Entra negli inferi col titolo di "Basilis", "regina" come "Afrodite
Persiphessa" e in quanto "lucente di lontano" vien detta "Pasiphae".
Col che ritorna ad essere stella della sera e dea della luna, mentre il
suo nome principale le deriva da "aphros" la "schiuma" del mare. El
la è pure quella nata dal mare, la "nata dalla schiuma". In quanto
"Afrodite Anadyomene", colei che "emerge" dai flutti salati, può as
surgere a dea delle navigazioni fortunate, del mare tranquillo e dei
porti ospitali. Anche in queste sue accezioni venne venerata sulle al
ture dell 'Erice che, al di sopra del mare, gi.Iardavano le coste africa
ne. In quanto "celeste madre dell ' amore" non è più sovrana dell'in
definito e incosciente potere degli istinti, ma dell'avvenenza e della
bellezza che ella conferisce anche al sesso.
Ovviamente c'è anche il concetto della doppia valenza dell 'amore
che viene dedotta da due ulteriori nomi della dea: quello di "Afrodi
te Pandemos" e di "Afrodite Urania" - una polarizzazione di corpo e
spirito, cattiva gioia dei sensi e castità voluta da Dio, corrispondente
alla rigorosa morale sessuale cristiana. Essa affonda le sue radici nei
filosofi del Rinascimento influenzati da Platone. Essi ritenevano po
polare e volgare l'Afrodite Pandemos, l'amore contraddistinto da al
lettamenti sensuali e dalla bellezza fisica, mentre pensavano che nel
l 'Afrodite Urania, nella sfera dello spiri tuale si manifestasse la dona-
117
CAPITOLO VII
1 18
IN POTERE DI AFRODITE
agghindata dalle Ore, le figlie di Temi, per venire introdotta tra gli
dèi. Da ultimo Omero fa di Afrodite la figlia di Zeus e di Dione. Qui
torna quindi ad avere una madre, anche se il suo potere originario è
ormai infranto. Una volta che il padre degli dèi fu promosso ad
amante di Dione, poté usurparne anche il santuario oracolare di Do
dona per eleggersi signore del locale tempio della dea.
È secondo quel modello che, nel corso dei secoli, molto prima di
Omero, awenne la deposizione delle divinità femminili, mentre con
temporaneamente si affermava il patriarcato. Tuttavia, come se tale
evoluzione necessitasse ancora d i una giustificazione che la confer
masse, in tutta l ' opera di Omero, nell'VIII secolo a.C., quindi, ma an
che successivamente, ad ogni occasione vennero doverosamente esal
tati l ' illimitato potere e la grandezza del padre degli dèi. Al contem
po, come se i due principi fossero ancora in conflitto o come se la fe
de degli uomini fosse ancora combattuta tra religione matriarcale e
patriarcale, risuona però con potenza verbale il nobile canto al
I"'Universale Madre terra" e ad Afrodite. Tra gli inni omerici, in par
te composti da rapsodi di epoche posteriori, che però recano il no
me del grande padre dei poeti perché ne ricalcano lo stile e il modo
di sentire, sono di particolare bellezza quelli in onore della dea del
l'amore. Già il primo inno Ad Afrodite inizia con versi in cui riecheg
gia ancora qualcosa dell'antico potere della Grande Madre:
119
CAPITOLO VII
120
IN POTERE DI AFRODITE
invisibili con cui intrappola gli amanti sul loro giaciglio. Possente ri
suona la risata degli dèi nei confronti dei due che compaiono in giu
dizio così avvinti l ' uno all ' al tro. E di nuovo Afrodite ne esce vincitri
ce. La sua gTazia è irresistibile. Poseidone la riscatta ed ella si reca a
Cipro ove le Cariti, dee di tutto ciò che è amabile e bello, la ungono
con olio profumato e ne awolgono il corpo in vesti luminose. Quan
do Apollo, dinanzi ai due trattenuti con tanto imbarazzo sul loro gia
ciglio, chiede di malumore ad Ermes se, trattenuto da vincoli tanto
forti, non aVTebbe voglia anche lui di riposare accanto all ' aurea Afro
dite, questi commenta spontaneo:
Tanto umani sono nel loro comportamento gli dèi greci. Ma per
sino in questi versi, che Omero mette in bocca a Demodoco, un can
tore dei Feaci che li canta "con l'arpa tintinnante" ad Odisseo, si sen
te ancora intatto il potere della dea sugli uomini. Potere che quasi
mille anni dopo riaffiora nel racconto di Apuleio di Amore e Psiche
con le orgogliose parole "lo, madre della natura, creatrice degli ele
menti, dolce Venere di tutto l'universo ! " . 0 ' 1
In Esiodo troviamo l ' immagine della conchiglia entro cui Afrodi
te si fa spingere verso terra da Zefiro, il dio dei venti. A Cnido, città
greca delle coste dell 'Asia Minore, ove nel IV secolo a.C. venne eretta
la famosa statua di Prassitele di Afrodite nuda, la conchiglia era rite
nuta animale marino a lei sacro, conchiglia e veneridi: forme natura
li che sin dagli inizi vennero viste come simbolo del "Grande Femmi
nino".
Anche ne La nascita di Venere, il famosissimo dipinto del Botticelli,
Afrodite si accosta alle rive tirreniche su una conchiglia. Da tempo
gli abitanti di differenti coste vantano il luogo natale della dea. Du
rante il rinascimento italiano col suo culto del bello, Venere non po
teva essere uscita dal mare altrove che lungo le coste della Toscana. E
così infatti la dipinse Botticelli. Sognante, col capo lievemente recli
no, osserva il paesaggio toscano che si erge ricco di baie sul mare an
doso. Qu esta Venere di una grazia sovrannaturale è celeste messagge
ra del bello. Come tempestoso motivo di movimento il pittore con
trappone al maestoso incedere della dea la magnificenza rosso-dora
ta della sua chioma mossa dal vento. Il quadro è un manifesto artisti
co con cui Botticelli celebra il gTande evento del suo tempo: la nasci
ta del bello dallo spirito dell'antichità. La nata da schiuma si appros-
121
CAPITOLO VII
sima sulla sua conchiglia alla costa su cui crescono i lauri, quasi fosse
stato presente in veste di padrino Omero. Ed è proprio così. Il pitto
re fu ispirato dal suo inno:
"Anchise
Per prima cosa le tolse di dosso gli splendidi ornamenti, le fibbie,
Poi gli anelli scintillanti, le collane, gli ornamenti del petto;
Le sciolse poi la cinta, la spogliò delle fulgide vesti...
Giacque poi Anchise - così vollero dèi e destino -
Lui, mortale, con una dea . ".< 161
..
122
IN POTERE DI AFRODITE
racolo gli intimò di recarsi in Italia, nella terra dei suoi antenati, e co
sì ritorniamo in Sicilia ove Anchise muore.
A dire di Virgilio, in occasione di una seconda sosta di Enea nel
l'antica Trinacria, vengono indette fastose celebrazioni funebri. Al l ' a
mante di Venere era già stato approntato un posto nel l ' Elisio. Quan
do il figlio, accompagnato dalla sibilla Cumana va a fargli visita colà,
Anchise gli consente di gettare uno sguardo sul futuro. In quell'occa
sione l ' eroe scorge la folla dei grandi che un giorno determineranno
la storia di Roma. Vede approssimarsi una nuova età dell ' oro il cui
sovrano è Augusto, anch' egli discendente di Venere, scelto per venir
accolto tra gli dèi e venerato come dio. Prima che Enea lasci la Sicilia
per seguire nuove awenture, rende omaggio alla propria madre eri
gendole un san tuario sul monte Erice:
1 23
CAPITOLO VII
124
I N POTERE DI AFRODITE
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CAPITOLO VII
1 26
IN POTERE DI AFRODITE
molto apertamente", 0 9> ma che agli iniziati al culto della Malofora do
veva essere noto.
Le iscrizioni del tempio di Malofora oltre che Demetra ricordano
pure Zeus-Meilichios * ed Ecate. Meilichios, che può significare sia
"mite" che "benevolo" o "riparatore", riferito a Zeus è di certo una
perifrasi che sta ad indicare Ade, "che molti uomini accoglie", il cui
nome andava pronunciato solo con venerazione. In Omero compare
quindi, come "quello dai molti nomi", Ecate, invece, come dea della
magìa, delle streghe e delle evocazioni dei morti. In quanto abitante
del regno delle ombre è vicina al dio degli inferi, ma in origine era la
trina dea della luna. Ella regna sulla notte, protegge porte e strade e,
come si può dedurre dalla Teogonia d i Esiodo, "comanda sul cielo,
sulla terra e sul mare, porta fortuna e vittoria, conferisce saggezza
nelle decisioni e di fronte ai tribunali, aiuta i naviganti e i cacciatori ,
favorisce il proliferare degli arme n ti e la crescita dei giovani". 1 20 > Ella
è amica e soccorritrice e, da ultimo, è addirittura una delle manife
stazioni di Demetra e di sua figlia, la "Core", la "Fanciulla" che dopo
essere stata rapita da Ade nel regno degli inferi, prende il nome di
Persefone. La sua sorte verrà trattata nel prossimo capitolo.
In quanto "latrice della mela" Demetra, nel tempio di Malofora, si
manifesta pure come una dea della fertilità che dispone anche del
potere afrodisiaco. Per i popoli antichi, la mela, con la quale s'inten
de sempre la melagrana, a causa dell'abbondanza di semi era simbo
lo della vegetazione. Nella storia delle religioni dei popoli riveste un
ruolo tanto importante che conviene soffermarcisi sopra almeno bre
vemente. La mela divenne attributo di Mrodite perché , in quanto
fru tto magico dell 'amore, apparteneva all"'albero della vita". Anche
nel giardino dell'isola delle Esperidi, le belle figlie di Notte e Tra
monto, coltivano mele d ' oro protette da un serpente. Similmente
Era, la sposa sorella di Zeus, che un tempo, in quanto figlia della cre
tese Rea, era una dea trina, possiede la mela d 'oro che ella pure, nel
proprio giardino, pone sotto la protezione di un serpente. Il melo
era un dono di nozze di Gea.
Il mito, con molteplici varianti, narra la storia delle mele divine.
Esse simboleggiano sempre sia la forza di crescita dell 'albero della vi
ta, sia il frutto "dolce come il miele" della dea dell'amore. Ovviamen
te solo sinché, dopo la vittoria degli dèi patriarcali, la fede matriarca
le nella Madre Primigenia non viene completamente sconvolta dalla
biblica Eva. Nelle sue mani la mela si trasforma in un frutto mortale.
AJ centro del giardino dell'Eden, accanto all' albero della vita, esiste
127
CAPITOLO \11
anche "l 'albero della conoscenza del bene e del male" di cui "non
mangerai, perché il giorno che ne mangerai morirai" (Genesi 9,17) .
Adamo ed Eva, dopo aver disobbedito al comandamento divino, non
solo vengono cacciati dal paradiso - ma prendono anche coscienza
della propria nudità. Assaporare la mitica mela è quindi connesso al
la scoperta della sessualità. A differenza di quanto avviene nell 'epos
di Gilgamesh, al sesso che ha perso la naturale innocenza non è più
collegato nulla di positivo, bensì il peccato. Alla donna vengono sot
tratti sia l'autorità fe mminile che la possibilità di disporre liberamen
te della sessualità. Anzi deve espiarli e al contempo sottomettersi al
potere patriarcale; giacché il Signore "disse alla donna: quando sarai
incinta ti procurerò molte sofferenze; partorirai i tuoi figli con dolo
re; e il tuo desiderio sarà per tuo marito ed egli sarà il tuo signore"
(Genesi 16) .
Ma non fu possibile soffocare del tutto il ricordo dell'originario
sign ificato della mela del parad iso, legato all ' innocenza dei rapporti
tra i sessi. Così tra i Celti, ad esempio, la mela conservò a lungo
un'aura afrodisiaca, una sfumatura di gioia e un potere risanante.
Neppure il ricordo dell "'insula pomorum" , l ' isola delle mele di Ava
lon su cui, sempre secondo le leggende del ciclo celtico, regnava
Morgana-Morigain , si discosta troppo dal tempio Maloforo di Deme
tra. La posteriore regina delle fate e sorella di re Artù, in quanto
Morgana-Morigain , un tempo era una divinità materna celtico-irlan
dese, una dea della bellezza, dell'amore e della fertilità. Viene detta
anche Morgan le Fay, ave "le Fay" significa "il destino" . Anche nelle
liriche medievali, la sua isola dalle mele d'oro, il mondo "dell 'Al-di
là" celtico, è un regno di fate, di abbondanza e di maternità, un para
diso riconquistato per tutti coloro che vi trovano accesso. È sulla sua
isola delle mele "detta anche l'isola dei beati" 121 ) che Morgana porta
in salvo Artù ferito a morte che là godrà l ' immortalità e, come cre
de ttero ancora a lungo i Gallesi, un giorno sarebbe tornato in veste
di futuro re.
Anche i fedeli della Grande Madre Demetra speravano di vincere
la morte e di rinascere. Come dimostrano i reperti archeologici, in
Sicilia il suo culto si protrasse almeno sino all' epoca della colonizza
zione greca avvenuta nell 'VIII secolo a.C., e la venerazione della Ma
gna Mater paleolitica perdurò anche oltre.
Già nelle antiche saghe, riprese solo successivamente da Plutarco,
il ratto di Core, la figlia di Demetra, viene ambientato in Sicilia. Pare
sia avvenuto sul lago di Pergusa, sito in un leggiadro paesaggio colli
noso, completamente deturpato dall'autodromo che lo contorna, al
di sotto di Enna, l ' antica Henna che Cicerone definì "ombelico della
Sicilia". Un tempo, in quella città gravida di storia sita su un altipiano
a circa 950 metri dal mare, si ergeva la rocca di Cerere, il maestoso
128
IN POTERE DI AFRODITE
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CAPITOLO VII
Tuttavia nel filo della trama vibra sempre una reminiscenza del si
gnificato dell ' antica fune di giunchi, della "sostanza primigenia" del
la Madre Terra.
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IN POTERE DI AFRODITE
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CAPITOLO VIli
Il mito parla del dolore e della collera di Demetra per il ratto del
la figlia perpetrato dal dio degli inferi, a causa del quale ella lasciò
che la terra diventasse deserta e sterile. Quando Zeus, fratello di Ade
al quale aveva consentito di rapire la bella fanciulla, incalzato dai la
menti di Demetra e di tutti gli dèi deii' Oiimpo che non potevano più
aspettarsi sacrifici dagli uomini affamati, decise che da quel momen
to Persefone trascorresse solo un terzo del suo tempo, d ' inverno, con
lo sposo nel regno dei morti e che gli altri due terzi, all ' e poca della
maturazione e della fioritura, potesse tornare sulla terra, quest'ulti
ma tornò a fiorire e ad essere fertile.
Omero narra questa leggenda quasi fosse un arcaico dramma po
liziesco. Il suo grande Inno a Demetra inizia col ratto della Core che il
poeta colloca nel mitico regno di Nisa, e col dolore della madre:
133
CAPITOLO VIli
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IL MONDO DEl MISTERI
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CAPITOLO VIli
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IL MONDO DEI MISTERI
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CAPITOLO VIII
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I L MONDO DEI MISTERI
Con la comparsa della luce risuonava una voce: "La somma dea
ha partorito un santo figlio ! " E nel mare di fuoco delle fiaccole viene
mostrata una "spiga recisa in silenzio" - segno della mai esausta forza
1 39
CAPITOLO VIII
generante della terra. Così, in base a scritti di autori del 111 secolo
d.C., può venire approssimativamente ricostruito l ' acme dei misteri
successivo alla consumazione delle sacre nozze.
Che quelle venissero effettivamente celebrate, e non solo tra som
mo sacerdote e maestro dei misteri e sacerdotessa, ma anche tra fe
deli iniziandi e iniziati, lo si deduce da una testimonianza di Asterio,
il vescovo di Amasea, nel Pon to, che ancora nel 350 d.C. annota
sprezzante: "Là (ad Eleusi) non si compie forse l'oscura discesa e il
solenne congiungimento tra ierofante e sacerdotessa, tra lui e lei so
li? Non vengono forse spente le fiaccole e non ritiene forse la folla
infinita che avvenga per la sua salvezza ciò che i due compiono nel
l' oscurità?". c•>
Probabilmente, alla fine delle azioni cultuali, dopo la conclusione
delle cerimonie d i purificazione e dei sacri sponsali, c ' era la rappre
sentazione di Trittolemo, del suo correre per il mondo su un magico
cocchio alato ricoperto di serpenti per insegnare agli uomini l ' agri
coltura. A lui, il maggiore dei figli di re Celeo, Demetra ha insegnato
l ' arte di coltivare i cereali e di lavorare i campi. "Campo" però, in
questo caso, sta anche per i genitali femminili della cui inseminazio
ne Trittolemo viene incaricato come principio maschile creato dalla
Grande Madre. L'uomo, in questo rito "della coltivazione dei campi",
riceve dalla dea anche la funzione procreante. A un livello più antico
del mito, infatti, Trittolemo non è solo il figlio di Celeo, ma appunto
il "santo figlio" partorito da Demetra.
Il grande rilievo sacro, alto 2,20 metri e largo 1 ,55, del 450-445
a.C. mostra Trittolemo nudo, vestito solo di una clamide buttata sulle
spalle e calzato di sandali, mentre riceve la benedizione della Dea
delle sementi che lo sovrasta in altezza. Dinanzi al figlio del re ella ri
stà maestosa, abbigliata di un peplo dorico, con la pesante sopravve
ste riccamente drappeggiata, la des tra sol levata a benedire e lo scet
tro nella sinistra. Core, alta quanto lei, im magine di giovanile avve
nenza, e con la fiaccola in mano guarda Trittolemo dall'alto. Il capo
lavoro d'arte religiosa è stato scoperto nel 1 859 nella chiesa di San
Zaccaria della piazza di Eleusi. Era stato usato dai cristiani come so
glia della porta, fo rtunatamente col lato scolpito volto all' ingiù. Oggi
si trova nel Museo Nazionale di Atene, e nel Museo di Eleusi, all'in
terno degli antichi scavi, è stato posto un calco di quel capolavoro. Vi
è conservata pure la più antica immagine di Demetra con Core, un
rilievo alto 78 cm. e largo 56, che viene fatto risalire al 480-475 a.C.
La troneggiante e formosa dea è abbigliata come nella grande imma
gine sacra. Nella sinistra regge lo scettro, nella destra tre spighe di
grano. Dinanzi a lei c'è sempre la figlia, con una fiaccola accesa per
mano - simbolo del ritorno dal buio degli inferi.
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I L MONDO DEI MISTERI
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CAPITOLO \'III
Demetra invia Trittolemo nel mondo su un carro alato (a destra Persefone, dietro
di lei Eleusi in sembiante di fanciulla). Pittura vasale attica.
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I L MONDO DEl MISTERI
Demetra in sembiante
di dea del grano bene
dice Trittolemo. Die
tro di lui la giovane
Core. Rilievo votivo di
Eleusi de1 450-445 a.C.
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CAPITOLO VIII
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IL MONDO DEI MISTERI
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CAPITOLO VIII
compare come arma sanguinante accanto a una coppa d' argento. Es
so si ritrova ancora in antiche miniature medievali della processione
del Gral, sorretto da angeli accanto al sacro vaso. Nella letteratura
cristiana del Gral viene presentato come il giavellotto di Longino, il
soldato che sul Golgota trafisse il costato del Salvatore con una lan
cia. Effettivamente questo tema si rifa ' alla versione del Gral elabora
ta in epoca precristiana, in cui il giavellotto e il recipiente miracoloso
sono un simbolo della forza datrice di vita della grande madre. "La
coppa d 'argento" continua Gottner-Abendroth "è un 'calice' di Erin,
una vulva, e il 'giavellotto' è il fallo di Lug, ambedue assieme sono un
simbolo delle nozze mistiche che liberano la terra inaridita dalla ste
rilità". 1 1 71
Anche alla base del mistero di Eleusi vi sono analoghe strutture
storico-religiose. Anche il grande arredo sacro portato in processione
ad Atene, la 'Cista Mystica' era, analogamente al 'calice' di Erin, il
simbolo femminile di una sessualità sacralmente vissuta.
Questo calice può trasformarsi pure in un recipiente magico di
abbondanza; il "paiolo dell'abbondanza", sempre in possesso della
Grande Dea che ella conferisce al suo re sacro o al suo eroe, ricorre
in numerosi miti. Di tanto in tanto, in epoca patriarcale, esso viene
rubato dagli eroi maschili. Tra i Germani, come noto, era in possesso
di Freya, la dea trina, figlia della Madre Terra jord, che lo perse per
mano di Thor, uno dio patriarcalizzato, signore del tuono e della
tempesta, simile a Jawhe o Zeus. Anche la precorritrice della terre
stre Dea Madre Erin, la Madre Terra Dana - ella pure regnante sul
cielo, sulla terra e sugli inferi - possedeva un recipiente miracoloso
che cedette al suo eroico re Dagda. In quanto "madre di tutti gli dèi
e degli uomini" Dana è l'antenata del popolo celtico delle fate che
da lei prende il nome di " Tuatha da Danaan" . Per contro, in quanto
dea della luna e grande vacca celeste, ricorda l 'egizia Iside-Hathor.
La studiosa del matriarcato Gottner-Abendroth, infine, la identifica
come "la Grande Dea Madre dell'oriente e del Mediterraneo stesso
che dai popoli di navigatori", provenienti da quella regione, "venne
portata verso il no rd-ovest dell'Europa."
Non facciamoci confondere dai molti nomi attribuiti alla Magna
Mater. In fo ndo sono tutti solo espressione di un'unica esperienza
primordiale del potere femminile che, ricco di varianti, sta alla base
di tutte le religioni. Senza di essi anche le immagini degli dèi giunti
da lontano non avrebbero avuto alcuna possibilità di venire accettate
e di sopravvivere. Altrettanto vale per il "paiolo dell'abbondanza" che
re Dagda riceve dalle mani di Dana. Esso affiora in tanti racconti in
quanto rappresenta archetipicamente tutte le forze magico-naturali e
creatrici della Grande Dea. "Non si svuota mai: se contiene carne, l'a-
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IL MONDO DEI MISTERI
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IL MONDO DEl MISTERI
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CAPITOLO VIII
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IL MONDO DEI MISTERI
serva C.G. Jung, simboleggia "la libido rivolta verso la madre". <22> An
cora oggi appare nei sogni come manifestazione delle più elementari
pulsioni esistenziali. Nella poetica di Franz Kafka il cavallo fa la sua
apparizione in doloroso contrasto tra ideale e ripulsa. Il mondo della
sensualità preme sul poeta, interiormente solo, sotto forma del "ca
vallo bianco pomellato" e della "bella dama, bianca e rossa", e quan
do egli stanco di partecipare alla lotta contro la "gravità terrestre" co
me mero spettatore della vita si appoggia al parapetto della finestra,
"i cavalli lo trascinano con il loro seguito di vetture e rumore e così,
finalmente, verso la concordia umana". <23>
Il fatto che nella narrazione di Virgilio, ma già precedentemente
in Pindaro, Poseidone compaia come creatore dei cavalli, nella sim
bologia patriarcale ha una valenza assolutamente rivelatrice. Pindaro,
un contemporaneo del giovane Eschilo, fa scaturire il primo destrie
ro da una rupe sulla quale un dio, nel sonno, aveva sparso il proprio
seme un dio. Siamo al culmine di un 'epoca di patriarcale fierezza
per la capacità procreativa maschile. In realtà il potere del grande
Poseidone era solo un potere rubato. Egli divenne signore dei mari
solo in forza del suo matrimonio con Anfitrite. Egli aveva rapito a
Nassa la sua sposa, che un tempo regnava sola sul mare come Tetide,
men tre stava con le sue sorelle. Anche in questo mito si riflettono
eventi preistorici: il passaggio di potere dal matriarcato al patriarca
to. Già Omero ormai cantava Poseidone come Zeus:
151
CAPITOLO VIII
"Intendimi bene!
Di uno fai dieci,
togli il due,
pareggia tre,
e ricco sarai...".
[N.d.T.)
152
I L MONDO DEI MISTERI
Ancora oggi diciamo che ogni cosa buona è trina. E lo si può rife
rire alla Trinità cristiana. Millenni prima, però, gli antichi popoli co
noscevano il magico numero tre come simbolo salvifico dal culto del
la Grande Madre. Così le sacerdotesse della divinità femminile del
l 'Anatolia interna occidentale davano la "benedizione frigia" alzando
tre dita, pollice, indice e medio. È lo stesso gesto col quale benedico
no i sacerdoti cattolici. Probabilmente non ricordano più che il polli
ce era il dito consacrato alla dea dell'amore. Tuttavia Greci e Romani
antichi preferivano ancora portare i loro sigilli al pollice, in quanto
simbolo fallico governato da Venere.
Dai Romani ci è stato tramandato il nome di "Matronae", riferito
a una trina divinità celtica della quale non conosciamo il nome. Le
Matronae vengono raffigurate come tre madri che reggono lattanti,
cornucopie o cesti di frutta, ave la cornucopia ricorda di nuovo il
"paiolo dell'abbondanza". Simbolizza la fertilità della dea e il suo ses
so. La storia medievale di Lancillotto, il cavaliere della Tavola Roton
da, riconduce a Corbin o Corbe nic, un luogo dell'Al-di-là, che si
chiama Cornucopia: Cor Benic - corno benedetto. Significativamente
è la sede in cui Lancillotto assieme ad Elaine procrea Galahad, il pre
scelto del santo Gral, la cui madre Elaine era in realtà una fata luna
re: Elaine si ricollega a Selene, alla preistorica dea lunare della mito
logia greca.
Effettivamente sono sentieri magici quelli su cui riconducono le
orme della Grande Madre. La sua immagine, in sembianti delle fa
mose Matronae, è conservata al Landesmuseum di Bonn. La scultura
celtica è stata rinvenuta durante gli scavi effe ttuati sotto il duomo di
quella città.
A noi la triade matriarcale risulta più familiare nelle vesti delle
Tre Grazie . Così i Romani chiamavano l ' awenente terzetto delle gre
che Cariti, il cui nome deriva da "chairein", "rallegrarsi". In quanto
Aglaia, "l' ornamento", Eufrosine, "la gioia" e Talia, "l'abbondanza",
sono la quintessenza di tutto ciò che vi è di amorevole e di bello, in
realtà sono l ' amorosa-seducente manifestazione della trina Afrodite
stessa. La madre, però, che le generò da Zeus - difficile tenere il con
to dei numerosi legami amorosi di quest'ultimo - si chiama Eurino
me. Una dea che reca sulla terra la luce lunare, una dea lunare, quin
di. Dal momento della loro nascita in poi le Tre Grazie, due delle
quali sono sempre rivolte verso l 'osservatore, men tre quella cen trale
gli volge la schiena, sono state ritratte infinite volte e in ogni epoca.
Hanno trovato addirittura accesso all ' arte sacra del Medioevo. Ed ec
co che le ritroviamo incise su un'ametista della famosa croce di Lata
rio, fatta in Renania poco prima dell'anno Mille e che fa parte del te
soro del duomo di Aquisgrana. E naturalmente non potevano man-
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CAPITOLO VIII
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IL MONDO DEI MISTERI
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CAPITOLO VIli
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I L MONDO DEI MISTERI
ra" e la sua entrata in scena ha una forza schiacciante (Faust II, atto
2°, 79 1 4-7919) :
MEFISTOFELE
Dee stanno in trono, auguste, in solitudine,
intorno nessun luogo, e tempo tanto meno;
è disagio parlarne,
Sono le Madri!
FAUST (spaventato)
Le Madri!
MEFISTOFELE
Senti un brivido?
FAUST
Le Madri! Le Madri! - Suona così strano!
MEFISTOFELE
Lo è. Dee, sconosciute a voi mortali
da noi malvolentieri nominate.
Nel profondo ne cercherai la sede;
se ne abbiamo bisogno è colpa tua.
FAUST
Dov'è la via?
MEFISTOFELE
Non c'è! Cammino mai percorso,
mai da percorrersi; cammino mai implorato,
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CAPITOLO VIII
MEFISTOFELE
La chiave sentirà l' esatto luogo;
Seguila giù: ti condurrà alle Madri!
FAUST
Le Madri! Ogni volta è una percossa!
Cos'è questa parola, che io non posso sentirla?
Ciò che a Faust venne dato di vedere "al fondo del più profondo
abisso" e ciò che millenni prima di lui venne dato di vedere agli inizia
ti dei misteri di Demetra, è la triade divina quale emanazione della fi
duciosa attività creatrice della natura e della sua tremenda distrutti
vità. "le "Madri" sono "avvolte dalle immagini di tutte le creature":
"Formare, trasformare
eterno passatempo dell'eterno pensiero".
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IL MONDO DEl MISTERI
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CAPITOLO IX
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CAPITOLO IX
La caverna dittinica del monte Ida divenne sede del culto di Rea
perché la dea vi partorì Zeus, il suo figlio-amante ed eroe e lo nasco
se a Crono che, notoriamente, divorava tutti i suoi figli. Avveduta co
me il suo compagno, il serpente, dopo la nascita di Zeus, anziché il
figlio diede a Crono una pietra che egli inghiottì in luogo del bimbo.
Narra il mito che Zeus, col tempo, divenne più scaltro del padre e gli
somministrò una bevanda che gli fece vomitare ancora vivi tutti i suoi
figli. Al seguito di Zeus quelli, alla fine, uccisero il padre, come lui, a
sua volta, aveva ucciso Urano per non venirne detronizzato. Ricordia-
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LA DEA MINO IC.A DELLA TERRA E DEl SERPENTI
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CAPITOLO IX
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LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI
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CAP ITOLO IX
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LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI
li, essa assomiglia pure alle ali tese di una farfalla. Su una bipenne
cretese (dal taglio diritto, forse per creare uno sfondo più idoneo al
la figura) è effettivamente incisa una farfalla. Il miracolo naturale
della trasformazione del bruco nella pupa imprigionata nel suo boz
zolo dalla quale, dopo un sonno invernale simile alla morte, emerge
una farfalla variopinta, deve avere turbato gli uomini di un tempo
quanto il morire e rinnovarsi della luna. In tutto il mondo la farfalla
simboleggia l 'anima. Il Museo Capitolino di Roma conserva una scul
tura del IV secolo a.C. raffigurante la "Psiche alata" in sembiante di
una donna dalle grandi ali di farfalla. Nell'antico Messico, Xochi
quetzal, la dea dell'amore, veniva effigiata come farfalla dalla testa
umana e l' atzeca Itzpapalotl, fortemente legata al mistero della mor
te, era una dea-farfalla. Analoghe personificazioni si ritrovano tra gli
indiani Cuna dell'America Centrale.
Che sia il simbolo della farfalla o della luna, in ambedue i casi l'a
scia bipenne è emblema del medesimo potere che presiede a vita e
morte, trapassare e risorgere. Essa inoltre non è connessa solo al labi
rinto - "labyrinthos" era la definizione attribuita all'intero palazzo di
Cnosso - ma pure all'antico culto cretese del toro: Teseo abbattè il
Minotauro con la bipenne della dea! E in proposito esiste la seguen
te leggenda:
Quando un giorno re Minasse chiese a Poseidone di dargli un se
gno del suo favore onde confermare il suo potere di dominatore del
mare, quegli gli inviò un toro possente. Ma Minosse, anziché sacrifi
carlo al dio come ordinatogli, sull'altare immolò un animale meno
bello. Irritato del fatto, Poseidone fece ardere Pasifae, la sposa del re
di Creta, di violenta passione per il toro non immolato. Pasifae, na
scosta in una vacca di ferro fabbricata da Dedalo, riuscì a farsi copri
re dal toro divino. Quando in seguito venne al mondo l'orrore del
Minotauro, un mostro divoratore di uomini, mezzo toro e mezzo uo
mo, Minasse lo fece rinchiudere nel labirinto, esso pure costruito da
Dedalo. Ogni nove anni dovevano venirgli gettati in pasto sette giova
ni vergini di ambedue i sessi. Tra i prescelti per il sacrificio ci fu pure
l'eroico Teseo del quale, però, s'innamorò Arianna, la figlia di Mi
nasse e di Pasifae, ella gli diede un gomitolo, il "filo di Arianna", con
l'aiuto del quale dopo aver ucciso il Minotauro ritrovò la via d'uscita
dal Labirinto.
In questo mito sopravvive un ricordo dell'antica epoca matriarca
le: l'eroe viene riportato alla luce dalla tremenda regione degli inferi
grazie all'aiuto femminile. Tale cammino simbolizza la rinascita dal
grembo terreno della Grande Madre. E di fatto Arianna, a un livello
mitologico più antico, era anche una triade lunare venerata anche
dai Celti col nome di Arianrhod. Stesso principio vale per Pasifae, an-
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CAPITOLO IX
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LA DEA MINOJCA DELLA TERRA E DEI SERPENTI
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CAPITOLO IX
* Che meglio risulta in tedesco in cui Besitz, possesso, besitzen, possedere, beses
sm, posseduto, hanno la stessa radice di sitzen, sedersi. [N.d.T.]
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LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI
Anche Era celebrò le sacre nozze con Zeus sul trono naturale del
monte Ida, tra cielo e terra. Pare che gli amanti fossero awolti da nu
bi dorate mentre sotto di loro la terra fioriva in una magnificenza di
fiori ed erbe. Ancora verso il 600 a.C. Saffo decantava il paesaggio
che circonda Cnosso, la cui bellezza interpretava come frutto delle
mistiche nozze. La poetessa dell'isola di Lesbo fa sorgere su una "sa
cra sede" altari profumati d'incenso, "fresche acque sotto rami di me
lo" e un campo pieno di rose dai cui petali "si diffonde il sopore". Un
inno omerico esalta la dea:
In Era, che conosciamo già come custode delle mele d 'oro del
suo giardino paradisiaco, ci viene incontro Rea ringiovanita. Se pure
la figlia di Rea vive in eterna lite con Zeus che coi suoi notori tradi
menti irrita la protettrice delle donne, del matrimonio e della mater
nità, tuttavia, in età preellenica ella era un'augusta triade divina osse
quiata non solo a Creta, ma, in epoca micenea, anche in Argolide.
Sia il suo potere sia il suo aspetto letale affiorano in un discorso ana
cronisticamente messo da Erodoto in bocca a Creso, l'ultimo re di Li
dia che regnò dal 560 al 546 a.C., e a Solone (640-560) , il saggio stati
sta ateniese, legislatore e poeta.
Il sovrano noto per la sua proverbiale ricchezza in quel colloquio
chiede all'ospite ateniese se nel corso dei suoi numerosi viaggi abbia
già incontrato "l'uomo più felice della terra". Con sua delusione So
Ione non nomina come tale Creso stesso, ma Tello di Atene, perché
gli fu concesso di avere una discendemza di figli eccellenti e perché
"trovò magnifica conclusione alla vita combattendo per la propria
città". Alle insistenze di Creso, Solone menziona i fratelli Clebio e Bi
tone di Argo sui quali narra la seguente storia: "Mentre gli argivi ce
lebravano la festa di Era, secondo l 'usanza la loro madre doveva venir
portata al tempio sul carro, ma i buoi non arrivarono a tempo dai
campi. Non essendoci più tempo da perdere, i due giovani si aggio
garono al carro e lo trascinarono con la madre; dopo che lo ebbero
tirato per quarantacinque stadi, giunsero al santuario. A loro, che
avevano compiuto ciò dinanzi agli occhi dell'intera comunità, venne
concessa la migliore morte e in ciò la divinità dimostrò che per l 'esse
re umano è meglio morire che vivere". m
Erodoto nella pessimistica filosofia della sua narrazione fa spazio
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CAPITOLO IX
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LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI
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CAPITOLO IX
to inconscio-creativo, sia nella snella Madre Terra eretta che tiene tra
le mani i serpenti. A questo livello della cultura matriarcale la capa
cità di trasformazione della Grande Madre affiora con particolare
chiarezza. Persino nel serpente collegato alla terra, che può essere
sia salvifico che pericoloso, dorme già il sogno di elevarsi.
Non a caso la Creta minoica è tanto strettamente connessa al mi
to di Dedalo, che colà, oltre alla costruzione del labirinto e della
mucca artificiale per la sposa del re, realizzò pure uno dei sogni più
antichi dell'umanità: quello di volare. Dopo essere sfuggito con l'aiu
to di Pasifae - una versione parallela del mito di Arianna e Teseo -
dalla costruzione sotterranea in cui l'aveva fatto rinchiudere il re a
causa dell'aiuto da mezzano fornito alla regina, Dedalo si dedicò alla
realizzazione della prima macchina volante meccanica. Per sé e per
suo figlio Icaro che gli faceva da assitente intrecciò penne di uccello
a formare artistiche ali per librarsi nell'aria. La sua ascesa nell 'arioso
regno del cielo al di sopra del labirinto simile a un serpente di terra
fa pensare al mitico serpente piumato degli indios dell'America Cen
trale che, egli pure, vince la gravità della materia e si alza nell 'etere.
Concezioni analoghe si ritrovano tra molti popoli dell'Egeo, in Per
sia, in Cina, in Israele, Babilonia e tra i Germani. A tutti è noto il sim
bolo del serpente sessualmente ambivalente che può adombrare sia
il coinvolgimento istintuale inconscio, sia la capacità di elevarsi nel
regno dell'aria, la sfera dello spirito. Il mitico sogno di volare viene
correlato anche al sesso e alla sua estasi. Gli psicanalisti interpretano
i sogni di volo come esperienze sessuali cifrate. Materialismo e volo,
serpente e uccello: immagini arcaiche dell'ambivalenza della psiche
umana, che rivelano come alla stessa Grande Madre, alla Madre Ter
ra simboleggiata dal serpente, possano spuntare ali con le quali suo
figlio minore, l'astuto ed esigente essere umano, può tentare di libe
rarsi dagli abissi della gravità terrestre. Minotauro e Dedalo, labirinto
terrestre e volo d'alta quota, due poli della medesima forza. Ecco
perché, nella fiaba, chi mangia carne di serpente comprende il lin
guaggio degli uccelli. Il bagno di Sigfrido nel sangue di drago è una
variante di questo magico linguaggio figurato.
Anche i Serafini dai sei piedi sono ibridi di serpente e di drago.
Attraversano a nuoto il mare come le navi dalla prua a forma di dra
go dei Vichinghi, ma al contempo trasportano a volo nell'aria gli dèi
del sole. Nei millenni, su questa scia interpretativa si possono allinea
re immagini su immagini. Tra le quali si colloca anche l'egizia Athor,
adorna di corna di vacca, e del disco del sole attorno alla quale si av
volge il serpente fallico, e suo figlio Horus che solca il cielo in una
barca d'oro. Nel mito la creatura che vola raffigura contemporanea
mente l 'animale più intensamente legato alla terra, il serpente che
ha pure una spiccata valenza sessuale.
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LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI
minose contrade dello spirito, che per evitare la caduta deve stare al
centro del campo di tensione degli estremi. Tuttavia nella Grande
Madre sono riuniti sopra e sotto, profondità abissale e somma altitu
dine: Rea si estende dalle cavità terrestri alla galassia.
Esaminando Dedalo un po' più da vicino, salta agli occhi il suo
stretto rapporto col femminile: non è solo l'alleato di Pasifae, che co
me la propria figlia rientra negli schemi mitici della dea luna, ma an
che di "Arianna dai capelli d'oro" (Omero) . Per la quale costruisce a
Cnosso una sala per le danze rituali. È sempre la dea femminile ad
ispirare la sua inventiva. Come primo tecnico della tradizione occi
dentale fa ancora strettamente parte del regno naturale e della sua
magica molteplicità. "Techne", la parola greca che significa tecnica,
non allude solo ad abilità, destrezza meccanica, manualità o scienza,
ma anche ad arte della predizione e dono profetico. Col che include
un campo, in origine, esclusivamente femminile. Il rapporto di Deda
lo con la Dea della terra e dei serpenti è comunque anche più intimo.
È addirittura genealogico. Dedalo, infatti, passa per il pronipote di
Eretteo, l'uomo-serpente nato dalla Terra e capostipite dei più antichi
re dell'Attica. Come progenie della Terra, Eretteo è figlio di Gea e
quindi legato a Rea da rapporti fraterni. Solo successivamente assurse
alla dignità di figlio di Zeus. Egli veniva venerato nell'Eretteo, il luogo
più sacro dell' acropoli di Atene. Il mitico re e progenitore di Dedalo
aveva introdotto il culto di Atena ancora prima che in epoca periclea
venisse eretta quella costruzione. Dei santuari dell'Eretteo faceva par
te sia l'olivo a lui sacro che il serpente allevato nella rocca. Anche le
immagini dei poeti moderni che parlano di sogni di volo e del volo
stesso testimoniano la persistente forza del mito. Cyrano de Bergerac,
ad esempio, nel suo Viaggio verso i paesi della luna e i rer;ni del sole, pub
blicato postumo nel 1 656, in un primo tempo fa atterrare gli eroi del
suo romanzo sulla luna, che è simbolo della Madre Primigenia e astro
onirico di tutte le antiche utopie di viaggi spaziali, ove, significativa
mente, viene istruito dal profeta Elia sul significato del serpente - na
turalmente nell'accezione della religione di jahwe, alla quale l'anima
le simbolico del matriarcato era sospetto. Di conseguenza in questo
romanzo utopico esso compare nell 'accezione del biblico serpente
del paradiso terrestre, come quegli che seduce a compiere il volo d'al
ta quota che rende simili agli dèi e che è strumento del castigo della
"hybris" umana. Ai tempi nostri va ricordato Antoine de Saint-Exu
péry, la cui arte ed esistenza sono indissolubilmente legate all 'espe
rienza del volo e dalle quali non è assente neppure il serpente. Il suo
Piccolo principe ha con esso un rapporto confidenziale. Il fiabesco prin
cipe bambino proveniente da mondi lontani si fa insegnare dal ser
pente il morso che gli consentirà di tornare in volo nella sua patria
stella. Ma non è tutto: il poeta francese segnato da un legame straordi-
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CAPITOLO X
Tra i sessi devono esserci stati grandi contrasti. Il mito parla di lot
te con serpenti, draghi e mostri marini, combattute da eroi maschili
contro il potere dell'elemento materno primi�enio. La Grande Ma
dre, infatti, non è solo foriera di benedizioni. E nota pure come colei
che inghiotte, la "Mater saeva cupidinum", la selvaggia madre degli
istinti. La si incontra abbastanza spesso nel suo aspetto letale e nel
l'immagine della natura che esige le sue vittime. Eppure anche nei
suoi tratti oscuri e tremendi incarna solo una parte del!' enigma della
vita, del quale l 'uomo stesso è quello maggiore. Pure ciò che spaven
ta può essere maschile e femminile al contempo, come il serpente di
Rea può essere sia simbolo della Madre Terra, sia sogno di volo, in
trecciando sopra e sotto al di là dei sessi.
Una delle sedi di lotta più significative nella quale, ad esempio, si
è verificato quello che analogamente accadde in molti ambiti cultu
rali, è Delfi. Delfi -utero. La simbolica del nome è già nota. In quel
luogo, un santuario di montagna sulle pendici del Parnaso, sovrasta
to dalle pareti rocciose di Fedra e Iampea - che in sé ricordano di
nuovo mitiche figure femminili, la prima della quale era una figlia di
Minasse, sorella di Arianna - in quella sede oracolare di fama mon
diale regnava sin dai primordi Gea, la possente Dea della terra. Là
dalle viscere della terra salivano vapori che stordivano e su di essi era
collocato il treppiedi dell'antica veggente. Le esalazioni della terra e
la masticazione di foglie di alloro facevano entrare in trance la profe
tessa che balbettava parole oracolari ispirate dalla divinità tellurica.
In tempi posteriori per illuminarsi beveva l'acqua cristallina della
fonte Castalia, ancor oggi assediata da fiumane di turisti.
Il santuario delfico era ritenuto l'ombelico del mondo. Persino la
cella del tempio eretto successivamente racchiudeva ancora la sacra
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CAPITOLO X
dei Lidi già prima di far cadere quella pioggia d'oro su Delfi, aveva
tentato di "ingraziarsi il dio di Delfi con sacrifici grandiosi". Immolò
tremila animali sacrificali, su un'alta pira fece bruciare vasellame d'o
ro e d 'argento, mantelli di porpora e vesti costose e fece fondere "in
finite quantità d'oro" trasformandole in mezzi lingotti per il santua
rio di Delfi, al quale, tra l ' altro, consacrò due grandi crateri, uno
d'argento e l'altro d 'oro, e la statua di un leone d'oro puro.
Il più antico tempio di Apollo era una costruzione in legno eretta
su uno zoccolo di pietra e aveva le pareti rivestite di bronzo. Venne
distrutto nel 548 a.C. da un incendio, due anni prima della caduta di
Creso, predettagli dall' oracolo. Tutte le polis e le stirpi degli Elleni
contribuirono alla sua ricostruzione, alla quale si poté però metter
mano solo dopo il 5 1 3. Pare che quando il principe dei Celti, Brenno
- da non confondersi col Brenno celta che conquistò Roma nel 387
a.C. - durante l' invasione del 279 a.C. depredò Delfi, prima di venirvi
sconfitto e di suicidarsi, sia scoppiato a ridere per le molte immagini
degli dèi greci. Gli sembrava assurdo che le divinità venissero venera
te in forma di statue umane.
Dal 1 secolo d.C. l 'importanza di Delfi declinò. Evidentemente
non si faceva più molto affidamento sulle rivelazioni del dio. Vanno
ricordate pure le razzie dei tesori templari, compiute dai potenti ro
mani, Silla prima e Nerone poi. Nel II secolo d.C., sotto l 'imperatore
Adriano, Delfi visse una tardiva fioritura. All'epoca era sommo sacer
dote di Delfi Plutarco, che conosciamo già come iniziato dei misteri
eleusini. É di quei tempi la descrizione della sede oracolare fatta da
Pausania, le cui indicazioni vennero ampiamente confermate dagli
scavi archeologici del XIX e xx secolo. Un terremoto e la messa al
bando di qualsiasi culto pagano proclamata dall'imperatore Teodo
sio nel 392 d.C., trasformarono il tempio oracolare di Apollo in una
rovina. Ciononostante il fascino che ne promana è sempre grande.
Tuttavia quasi nessuno, sostando accanto alle colonne del tempio di
Apollo, innalzate di nuovo, e guardando giù verso la conca valliva
sottostante la sorgente di Castalia, dove si erge solitario il tolos, un
tempio di significato indefinito la cui forma tonda fa pensare a una
sede cultuale della Grande Madre, si rende conto che Apollo, dopo
la propria vittoria sul pitone, non rimase l'unico signore di Delfi. Per
parte dell'anno doveva condividere il suo santuario con Dioniso, da
to che in quella sede veniva praticato anche il suo culto.
La coabitazione col dio dell 'ebbrezza, dei riti orgiastici e dei mi
steri erotici, tanto venerato dalle donne e dai fedeli di Afrodite, non
sembra inserirsi bene n eli 'immagine del sublime dio della luce. Ma
Apollo non poteva restare solo nella sua "freddezza". La gente esige
va un culto della totalità della vita che ritrovava, anche se in forma
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vale a pendere dall'albero della vita che ovunque, anche nella leg
genda germanica del frassino del mondo Yggdrasil, simboleggia la
Grande Madre. Il crocifisso è la vittima strettamente legata tramite lo
hierosgamos, le sacre nozze, all'eterno ciclo di morte e divenire.
Questo è chiaramente dichiarato nell'immagine di Agostino del
"letto" della Croce sul quale Cristo sale. Anche Marsia, satira e dio
del fiume frigio, un seguace di Cibele, venne appeso all'albero della
vita, probabilmente come Attis, il dio frigio della vegetazione che era
il di lei figlio-amante. Egli trovò il flauto di Atena che la dea aveva
gettato via perché soffiarvi dentro le deturpava i tratti del volto, di
venne maestro nell'arte di suonarlo e sfidò Apollo a una gara musica
le. La dionisiaca siringa di Pan, quindi, contro la lira apollinea!
Quando il "dio della luce" vinse, fece scorticare Marsia in modo cru
dele - una leggenda nella quale temi molto antichi si mescolano alla
rinfusa ad altri più recenti. Vanno poi ricordati soprattutto Lug, il
dio dei Celti, sposo ed eroe di Erin, la Madre Terra irlandese, e Odi
no, il dio dei Germani: ambedue, come Cristo, nel loro sacrifico di sé
pendono dall'albero della vita.
Tuttavia laddove la Grande Madre è stata deprivata del suo pote
re, le sacre nozze non sono più una festa di gioia. A proposito del te
sto di Agostino appena citato C. G. Jung osserva: "Qui il flusso di sen
timenti legati all'antico hierosgamos si è trasformato nel suo contra
rio. AJ posto del piacere c'è la sofferenza e al posto dell'amante della
Madre, il palo del supplizio, il che significa che ciò che prima era
contraddistinto dal piacere ora viene recepito come doloroso, e cioè
il congiungimento della consapevolezza maschile con l'inconscio
femminile ... ". 171
Quando Apollo vinse il pitone, dal punto di vista psicologico fu la
sua coscienza maschile a conseguire la vittoria sull'inconscio femmi
nile, che però è solo una parte dell'essenza della Grande Madre. Il
parallelismo tra maschile conscio e femminile inconscio sarebbe
troppo semplicistico. Se le forze femminili orientate verso la totalità
vengono avulse e isolate dalla vita, i seguaci del dio della luce patisco
no effettivamente una sorta di "morte per freddo". Lo scopo della ve
nerazione di Dioniso all 'interno del san tuario delfico di Apollo è
quindi quello di evitare tale destino. Oggi neppure le teologhe fem
ministe che mettono a confronto il cristianesimo patriarcale con una
nuova visione della Bibbia sono più disposte ad accettare a lungo tor
menti e palo del supplizio. Hildegunde Wòller, ad esempio, argo
menta così: "Quello che noi vediamo con orrore nella morte sulla
croce di Gesù, è, dal punto di vista della Dea Madre, l'arrivo finale
del suo sposo, le nozze. Gesù conferisce alla morte intesa come male
dizione il nuovo significato di sposalizio con la Madre Terra. Il dio
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tivo e benefico della donna" dice: "Certo è che alla donna è stato ri
conosciuto un rapporto più stretto con la divinità e le è stato conferi
ta una superiore capacità di comprensione del suo volere. Ella reca
in se stessa la legge che permea la materia. Inconsciamente, ma con
piena sicurezza, alla maniera della coscienza, parla in lei l' equità; ella
è saggia di per sé, per natura Autonoe (comprensibile per sua stessa
essenza) , per natura Dike, per natura Fauna o Fatua, profetessa che
preannuncia il Fato, Sibilla, Marta, Fenni, Temi. Per questo le donne
venivano ritenute invulnerabili, degne della carica di giudice, profe
tesse. Per questo motivo le schiere pronte al combattimento a un lo
ro ordine si separano, per questo motivo componevano le liti popola
ri in veste di sacerdotali giudici arbitrali: per il fondamento religioso
su cui si basa, salda e imperturbabile, la ginecocrazia. É la donna che
impartisce la prima educazione ai popoli, così come è sempre la don
na a partecipare in prima persona sia ad ogni caduta, sia ad ogni ri
nascita". 0 3'
Va comunque ricordato che il matriarcato - nel quale si estrinseca
appunto la forza civilizzatrice femminile - può durare solo "sinché
l'essere umano soggiace unicamente alla vita materiale", dato che la
donna reca in sé la legge che permea la materia. In Bachofen accan
to all'idea del ruolo civilizzatore dell'elemento femminile affiora pu
re con grande nitidezza la filosofia del dualismo, nell'ambito del qua
le femminilità, potere materno ancestrale e Grande Dea vengono
nuovamente respinte al secondo posto nella scala dei valori stabiliti
dal patriarcato.
Lo scopritore del matriarcato definisce "materiale-femminile" e
"apollineo-paterno" il contrasto eretto a principio di vita, in base al
quale il patriarcato è destinato a dominare nel segno del dio della lu
ce contrapponendosi al "matriarcato". Per questo, a parere dell'auto
re, "la cattiveria della donna trarrebbe inizio dal disprezzo dell'uomo
e dall 'aumento della vanità maschile proporzionale a quello della ci
vilizzazione". La teoria viene illustrata portando l'esempio di Atene:
"Alla donna il progresso della civiltà non risulta vantaggioso. La don
na gode del massimo onore in epoche cosiddette barbariche, quelle
successive affossano la ginecocrazia, intaccano la sua bellezza, la scal
zano dall'elevata posizione che aveva presso le stirpi doriche, l'abbas
sano alla pomposa servitù ionico-attica e da ultimo la condannano a
riconquistare allo stato di etera quell'influenza che le è stata sottratta
nei rapporti coniugali". o•> Curiosamente all'inizio è stato appunto il
matrimonio a garantire il matriarcato, la ginecocrazia e l'azione civi
lizzatrice della donna. Per certo il matrimonio arcaico, ancora lonta
no dai grandi progressi della civiltà.
Nel libro di Bachofen Die Sage von Tanaquil (La leggenda di Tana-
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re, sviluppo dell'onesto pudore, ecco il concetto che sta alla base
dell'amore maschile nella sua originaria purezza".1 1 71 Così il matriar
cato in quanto pendant della sensualità dell'amore femminile è le
gato "alla caducità della vita materiale" quale principio inferiore,
mentre nel patriarcato si manifesta "l'immortalità di una vita sovra
materiale". Lo scopritore del matriarcato arrivò all 'intuizione sciovi
nista che "il matriarcato resta all 'animale, la famiglia umana passa al
patriarcato".
Ecco che l'apollineo dio della luce infligge il colpo di grazia al
l'antico pitone.
Ovviamente la lode di Bachofen del patriarcato non è del tutto
priva di giustificazione. Anche Freud, altro noto patriarca - nel "pas
saggio dalla madre al padre" vedeva "una vittoria della spiritualità
sulla sensualità e quindi un progresso culturale" perché, come si è
già avuto occasione di far notare, la maternità viene "comprovata dal
la testimonianza dei sensi" "mentre la paternità (ad ogni modo pri
ma dell'epoca dei moderni metodi di determinazione [N.d. A. ] ) è
una supposizione, fondata su una deduzione e un presupposto. La
presa di posizione che eleva il processo logico al di sopra della perce
zione sensoriale, si presenta come un passo gravido di effetti".
Di conseguenza, ad esempio, l'essere umano si trovò autorizzato a
riconoscere "soprattutto" le "potenze spirituali", arguisce Freud, il
che significa "quelle che non possono venire colte coi sensi, soprat
tutto del volto, ma che hanno effetti indubbi, addirittura fortissimi."
Questo pensiero viene portato avanti sino alla scoperta dell 'anima:
"Se possiamo affidarci alla testimonianza della lingua, è stata l'aria
smossa a creare una prima immagine della spiritualità, lo spirito in
fatti prende a prestito il proprio nome dali 'alito di vento ( animus, spi
ritus, in ebraico ruach, Hauch in tedesco, soffio) . Dal che è derivata an
che l'intuizione dell' esistenza dell 'anima quale principio spirituale
dell' essere umano. L'osservazione ha rivisto l'aria smossa nella respi
razione che cessa alla morte; ancor oggi il morente emette l'anima
col respiro". 1 1 "1 Ma tutto dipende dalle conseguenze tratte da tali sco
perte. Trasformazione e ampliamento della consapevolezza non van
no limitate solo al sesso maschile. Proprio "Ruach", l'alito dello spiri
to, cui si contrappone il "corpo come qualcosa di inferiore, come po
vero guscio", come formulò Heinrich Heine nella sua Geschichte der
Religion und Philosophie (Storia della religione e della filosofia) , può
venire inteso come allusione alla sovramateriale creatività femminile;
il vocabolo ebraico, infatti, è femminile! Nel femminismo moderno
esso viene ripreso con questo significato: "Ruach, la santa spiritua
lità". Ad esso si coniuga il simbolo della colomba, il mitico animale
della promessa, dell 'amore e della pace. In un antico mito della crea-
197
CAPITOLO X
zione dei Pelasgi la Grande Dea della Luna dei primordi - l 'Eurino
me degli Elleni - per deporre il suo uovo sull'acqua del mare primi
genio si trasforma in una colomba. Dall'uovo della colomba nasce il
mondo. Tuttavia l'uovo del mondo venne covato da Ofione, il ser
pente. Borea, il vento del nord, nell'abbraccio del quale rimase in
cinta Eurinome, aveva assunto la sua forma.
Secondo le parole del Vangelo apocrifo di Giacomo, anche Ma
ria, la Madre di Dio dei cristiani, venne protetta nel tempio "come
una colomba".
Simili immagini poetiche confermano l ' efficacia, indipendente
dal sesso, della potenza spirituale al di là della scissione dualistica.
Tuttavia Bachofen, nell'ottica limitata del suo Geist contra Stoff - Apol
lon contra Hetiirismus, (Spirito contro materia - Apollo contro eteri
smo) perviene a una filosofia della storia e della cultura molto preoc
cupante, le cui colonne portanti si chiamano cesarismo e razzismo. È
un' affermazione forse sconvolgente, ma può essere provata. Così se
condo la concezione di Bachofen !'"occidente", rappresentato dalla
Roma cesarea, viene preferito all"'oriente" e destinato ad "elevare
continuamente l'umanità a un livello d 'esistenza superiore." Troppo
a lungo, constata, "le divinità asiatiche ed egizie" hanno portato il lo
ro corteo trionfale sin nelle con trade più remote del mondo occi
dentale e "lo spirito occidentale" è stato sottomesso con la forza "da
questo panteon prevalentemente femminile ed eterico". Nella prefa
zione alla saga di Tanaquilla, tuttavia, prosegue: "Romano è ogni
pensiero tramite il quale l 'umanità europea si prepara ad imprimere
la propria impronta su tutto il globo terrestre; a determinare il desti
no dei popoli non è infatti la legge materiale, ma solo la libera opera
dello spirito." E ovviamente tale spirito è maschile.
In tale ossessione antiorientale e nel suo dualismo sessuale persi
no la distruzione di Gerusalemme perpetrata da Tito nel 70 d.C. si
trasforma in evento trionfale. Di conseguenza secondo Bachofen l' ar
co di Tito annuncia "ancor oggi la liberazione della religione del fu
turo dai vincoli dell 'orientalismo mosaico e le rivendicazioni della
città occidentale sull'eredità spirituale dell 'oriente."
Il che significa che anche la cristianità è stata così preservata da
influssi, forse ancora presenti, di eterismo orientale, anche se, come
già ricordato, l' imperatore Adriano sulle rovine del Santo Sepolcro
fece erigere un tempio ad Afrodite.
198
LA \1TIORIA SUL SERPENTE
Solo chi resiste all' incanto di Mrodite per partecipare con moda
lità apollineo-patriarcali ad una spiritualità superiore può godere del
l'apprezzamento di Bachofen.
Questo vale pure per l'Enea di Virgilio, l' eroe nazionale romano,
perché nessun "tenero ricordo" o riguardo per la sua "doppia pecu
liarità in quanto figlio di Militta e re-sacerdote" ne altera la visione
dell'Italia e della "futura età del mondo" contraddistinta dalla sovra
nità patriarcale. Per questo dinanzi a lui cade in frantumi "il trono
dell'etera orientale che Iside-Cleopatra vorrebbe restaurare". L'impe
ratore Augusto, pronipote e figlio adottivo di Cesare, viene tratteg
giato come "vincitore dell' orientale moglie di re" e addirittura come
"nuovo Oreste che vendica il padre". È noto che nel 31 a. C. Ottavia
no Augusto, ad Azio, vinse in battaglia navale Antonio, l'amante di
Cleopatra e che, dopo il di lui suicidio, anche la regina d 'Egitto, che
Antonio aveva proclamato "Iside" e sovrana d' oriente, si uccise con
un serpente. È Augusto, quindi, colui al quale "lo spirito della storia"
affida "la riedificazione dell'impero", ed è "dal suo pensiero occiden
tale che prende avvio l'odierna cultura".
Ma soprattutto c'è Giulio Cesare. Ricordiamo che lui ed Augusto,
per sostenere il prestigio di sovrani, si appellavano spesso alla propria
divina discendenza da Venere. Eppure il grande Giulio cancella l'e
redità di tale eterismo e di lui si dice: "Se pur la culla della sua stirpe
era in Asia, ciò nonostante da figlio dell 'Mrodite orientale si era tra
sformato nel creatore e signore dell'impero occidentale. Cesare è l' e
roe occidentale per eccellenza e la Roma imperiale da lui fondata è
completamente costruita sull 'occidente e di conseguenza è rimasta a
lui congiunta per due millenni."
La crudeltà di Cesare, il suo isterismo, il suo ruolo di sterminatore
di intere tribù di Celti non hanno alcun peso. "La mancanza di ri
guardo con la quale la città sul Tevere" affermò "il proprio concetto
di stato al di sopra delle norme religiose, la paternità al di sopra della
maternità", vengono accantonate, e "la severità di certe disposizioni
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LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE
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annientato dalle forze della luce, la donna restituita alla sua funzione
naturale e il diritto spirituale del padre conquista per sempre la si
gnoria sul materiale potere della Madre",<'> Bachofen collega soprat
tutto alla figura di Ippolita il passaggio dal matriarcato al patriarcato;
fu infatti l'unica tra le donne di Lemno che si oppose all'assassinio
del proprio padre. In ella il mito sottintenderebbe che "la fine della
ginecocrazia derivò proprio dalla sua massima realizzazione. In mez
zo a quelle donne bramose di sangue la regina si presenta intenta ad
inseguire un amore innocente e infantile, visione che all'immagine
di eroica grandezza amazzonica affianca l ' altra più femminile di
amore e dolcezza".<">
Famosa - anche ad opera del terribile e grandioso dramma di
Heinrich von Kleist - è la regina delle Amazzoni, Pentesilea. Secondo
la leggenda andò in aiuto ai troiani durante l'assedio posto alla loro
città dai greci patriarcali. Il suo esercito di donne venne però sconfit
to ed ella stessa trovò la morte per mano di Achille. Nell'Iliade di
Omero il fulgido eroe la uccise nel tempio di Apollo e ne violentò il
cadavere. Quando Tersite lo biasima per quest'azione vergognosa,
uccide anche lui. Simili atrocità dell'inventario culturale dell'occi
dente sono state negate sino ai giorni nostri sotto l'egida dell 'eroi
smo maschile. Anche Bachofen vela questa scena tra Achille e Pente
silea con le eufemistiche espressioni della sua ideologia patriarcale
ebbra di luce. Nella sua opera principale essa appare armoniosamen
te inserita in quei momenti della leggenda delle Amazzoni in cui "la
guerra" si trasforma "in un rapporto d'amore" e la battaglia si con
clude "con l'accordo". Nelle descrizioni che si adeguano a questo
modello la "vergine amazzonica" soggiogata segue poi anche volen
tieri "l'eroe maschile del quale riconosce la natura superiore". Analo
gamente in un altro passo: "Nell'eroe vittorioso la donna riconosce la
forza superiore e la bellezza dell'uomo"Y> In simili frasi del grande
erudito si articola una rimozione vecchia di secoli della cultura fem
minile per la difesa della quale un tempo le donne, tormentate, sfrut
tate o trattate come merce dal vincitore patriarcale, si sono forse dav
vero mosse come Amazzoni per difendersi.
Christa Wolf ha esaminato senza compromessi la fatale ideologia
patriarcale, staccandosi da schemi logici tradizionali. Prendendo le
distanze dal famoso poema epico di Omero, osserva: "Le prime de
scrizioni della letteratura occidentale sono descrizioni di battaglie,
descrizioni di combattimenti, di strumenti da combattimento: lo scu
do di Achille. Ho capito con chiarezza che non mi posso riallacciare
ad esse. La mia tradizione non può essere quella. Un inno sulla bel
lezza di un missile atomico è impensabile".<•> Coerentemente nella
Cassandra della Wolf, Achille viene sempre indicato solo come quel-
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"L'Eterno Femminino,
Ci attrae verso l'alto".
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* Herzeloyde, nome composto da Hm, cuore e Loyde che deriva da Leid, dolo
re. [N.d.T.)
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LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE
bile. Ancora una volta in essa il ricercatore del Gral si presenta come
un eroe matriarcale. Quando Parsifal viene a sapere che Erzeloide è
morta per il dolore che lui le ha procurato, viene (ovviamente in mo
do operistico) sopraffatto dalla sofferenza:
Persino nell 'opera di Wagner vive ancora tutta la magìa della pa
rola "Madre", che va al di là della semplice relazione madre-figlio, ef
fimera ed individuale. Nella pena per avere dimenticato la madre rie
cheggia ancora il lutto per la perdita del paradiso della sicurezza ma
triarcale. Qui "Madre" si trasmuta quasi ancora in Madre-universale,
in Natura, in divinità materna primigenia, come di fatto aweniva nei
poemi del Gral medievali.
Nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach (circa 1 1 70 dopo il -
1 220) donna Erzeloide splende simile a una dea nella luce della pro
pria bellezza. Pare fosse circonfusa di chiarore persino una volta
spente tutte le candele: "vrou Herzeloyde gap den shin,/ waern erlo
schen gar die kerzen sin,/ da waer doch lieht von ir genuoc." Ai suoi
tempi felici era come la luce del sole, ricolma di amore: "diu was als
diu sunne lieht/ und hete minnelichen li p". 07>
Tuttavia in questa composizione la madre di Parsifal è sia la sorel
la del re del Gral, sia colei che porta il Gral, Repanse de Schoye suo
na il suo nome, che significa "Sovrabbondanza di gioia", "Donatrice
di gioia". Il Gral può venire retto solo da lei, che è di bellezza divina
e il cui volto risplende come un fiore. Venticinque vergini di grande
leggiadria precedono Repanse de Schoye durante la processione del
Gral. Il Gral, simbolo dell 'umana aspirazione all'amore, bellezza, feli
cità, gioia come pure all'assenza di dolore e di paura, è quindi nuova
mente nelle mani della donna divina. Come nella raffigurazione ita
liana, anche qui essa stessa diviene Gral.
L"'Eterno Femminino" non si manifesta solo nelle metafore lette
rarie e nell 'arte figurativa. Interviene anche direttamente sulla vita
dei singoli. E ciò facendo si rafforza nella misura in cui la spaccatura
tra i sessi viene recepita come sofferenza e la società che ne deriva è
contraddistinta da un mondo lavorativo tecnocratico-patriarcale pri
vo di significato esistenziale. In questa situazione le femministe di og
gi, nella misura in cui si sentono ancora legate all'eredità cristiana,
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CAPITOLO Xl
postulano appunto quella riforma della teologia che alla base della
propria immagine di Dio pone un tutto sovrasessuale. Ciò facendo, il
desiderio può portare a una "spiritualità amante del corpo" nella
quale, come consiglia l' eros gesuano, "la magìa bianca dell'incanta
mento, e cioè dell'amore e dell' erotismo che incantano", riprende il
posto che pare occupasse un tempo negli evangeli gnostico-cristiani.
Questa nuova etica dell'amore propugnata dalla teologia femminista
rischia comunque solo di trasformare semplicemente le tradizioni
patriarcali nell 'esaltazione di una femminilità idealizzata. A questa
stregua, ad esempio, Elsa Sorge pensò subito di dover trascrivere tut
te le beatitudini del discorso della montagna in versione femminista,
secondo cui la sesta suonerebbe così: "Beati coloro che sono protetti
dalla Grande Madre, giacché il suo amore è come una delicata carez
za che non incatena, ma libera". os>
Un approccio tanto rivoluzionario ai testi biblici canonici evoca
appunto l 'immagine di una moderna amazonomachia nell'ambito
della tradizione teologica cristiano-patriarcale.
Diversamente Hòlderlin: l'ex-borsista dello Stift, noto collegio teolo
gico di Tubinga che, ancor'oggi, prepara a spese dello Stato i teologi
del Wiirttemberg - dal quale sono usciti anche Mòrike, Hegel e Schel
ling e, in tempi più recenti, Hesse - il discepolo della dottrina evangeli
ca scambiò subito la tradizione cristiana con l'antico firmamento della
Grecia, quella terra che gli fu concesso "cercare con l'anima", ma mai
visitare di persona. Anche Hòlderlin patì per la frammentazione della
vita. È diventata famosa la sua "dura parola" sui tedeschi. Sollevandosi
al di sopra della disumanità della tendenza alla specializzazione, nel suo
romanzo epistolare Hyperion chiede: "Non è come un campo di batta
glia dove mani e braccia e tutti gli arti giacciono smembrati l'uno sotto
l'altro, mentre il sangue sparso si disperde nella sabbia?"
Un mondo del genere era detestabile. Sinché non entrò nella sua
vita Susanne Gontard, l'avvenente e saggia moglie del banchiere di
Francoforte, presso la cui famiglia egli aveva l' incarico di precettore.
Ella diventa la sua dea e la sua musa col nome di Diotima - nome trat
to dal Convivio di Platone, ove Socrate viene da lei ammaestrato sul
l'essenza dell 'amore. L'intensità dell'incanto con cui da quel mo
mento in poi, attraverso quella donna, sul poeta operò ! "'Eterno
Femminino", risvegliando sogni di paradiso e d 'infanzia, corrispon
denti in tutto e per tutto allo stato d'animo trasfuso nell ' inno Alla
Natura, scritto un anno prima, è resa dalle seguenti strofe della lirica
Diotima, globalmente tre volte più lunga:
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LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE
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CAPITOLO XI
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LE AMAZZONI , CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE
femmine delle api, settanta volte più numerose dei fuchi, ad awenu
to fecondamento della giovane regina, dopo il volo di nozze di prima
estate, li uccidono tutti. Questa è "Madre Natura" dal volto di Giano
Bifronte. Chi cerca protezione nel grembo della Grande Madre non
deve attenderne solo la "morbida carezza". L'amazzone è connessa
alle api anche come "Donna della luna". Neumann attirò l 'attenzio
ne sul fatto che esistevano sacerdotesse della dea Luna, chiamate
"api", perché "si credeva che tutto il miele provenisse dalla luna, l'ar
nia intrecciata delle stelle, le sue api. Il miele in quanto "essenza vita
le e squisito alimento delle Madri-piante" era tuttavia pure la sostan
za materna primigenia con la quale, dal 3500 al 1 750 a.C. in Asia Mi
nore venivano circondati i morti posti entro grandi contenitori. !2"l Il
miele veniva usato anche per l'imbalsamazione, forse come magico
alimento di una sperata rigenerazione. L'arte dell 'imbalsamazione
volta alla conservazione del corpo nel maggiore rispetto possibile del
la natura si sviluppò in Egitto verso il 2700 a. C., all'inizio del Regno
Antico e al tempo delle prime piramidi a gradini.
Forse, nel mito dell'eroe maschile che vince le Amazzoni vive pu
re, a livello subliminale, la paura del potere letale della Grande Ma
dre, che si afferma nel periodo di rivolgimenti durante il quale la re
ligione matriarcale perde il suo potere risanante. Ne è un esempio la
figura di Bellerofonte che stermina le Amazzoni con l'aiuto di Pega
so, che Atena gli aveva insegnato a domare. Sulla sua cavalcatura vie
ne trascinato a sempre più elevate altezze per ricadere d ' improvviso
di nuovo sulla Terra, ad "Aleion", la "Piana del vagare" (Kerényi) .
Solo il cavallo incantato s'innalza al di sopra dei campi terrestri. La
caduta del cavaliere che voleva salire "sino alle dimore del cielo", co
me narra Pindaro, assomiglia a quella di Icaro. La vittoria di Belle
rofonte sulle Amazzoni è stata oggetto di grande considerazione, co
me lo è stata quella ottenuta sulla Chimera, un mostro dall 'aspetto
di leone, capra e serpente che, lanciando fiamme, devastava la Licia.
In mostri simili, presenti in tutto il mondo al di là di qualsiasi barrie
ra culturale o temporale, persino nei bestiari e tra le orride creature
di pietra delle nostre cattedrali medievali, hanno assunto forma visi
bile gli incubi dell'umanità, il timore dei demoni e la paura della
morte. Pare che essi si siano diffusi soprattutto nei periodi di rivolgi
mento e di tramonto degli dèi. Il Grande Femminino delle origini
viene allora vissuto soprattutto nel suo aspetto spaventoso e letale.
Anche la Chimera è di arcaica origine femminile. Sua madre era
Echidna, la dea dei serpenti, una sorella di quel famoso serpente che
custodiva le mele d'oro di Era. Echidna, che mise al mondo anche
altri mostri, viene descritta nella Teogonia di Esiodo. Per metà è una
bella donna dalle guance paffute e gli occhi lucenti, per metà un avi-
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CAPITOLO XI
"Tesa è lontano
Verso morte in battaglia
La nube del telaio;
Piove rugiada di ferite".
"Intrecciato è
Di viscere di combattenti
E ben teso
Da crani di contendenti;
Giavellotti di lottatori sono
Le sbarre trasversali,
Il subbio è spada
L'asticella una freccia;
Battete con spade
Il tessuto della battaglia".
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LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE
"Nubi sanguinose
Salgono al cielo;
Rossa è l'aria
Del sangue dei guerrieri,
Per i quali le nostre sorti
Divennero pena". 121 1
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CAPITOLO XI
rante le celebrazioni segue con successo tutte le fasi del culto, rag
giunge uno stato quale quello descritto da Swami Sivananda: "Allora
sarai onnisciente, onnipotente e riuscirai a sentire la tua onnipresen
za. Vedrai te stesso in tutto. Avrai raggiunto la persistente vittoria sul
la ruota di nascita e di morte. Niente più dolore, niente più miseria,
niente più nascite, niente più morte. Hai vinto. Sei liberato". 123>
Gli anelli del nostro vecchio cerchio magico si sono allargati trop
po? Heydecker, assieme ad altri studiosi invita addirittura ad esami
nare se per caso non "ci fosse un certo legame tra le culture dei Celti
e quelle degli antichi Indo-ariani", "tra i bramini dell'India e i druidi
dell'Irlanda e del Galles". Effettivamente questa disamina non inclu
de solo la fede nella reincarnazione celtica, ma anche la caccia alle
teste dei Celti. La cintura di Kalì ornata di crani di morti può ricor
dare le teste decapitate dei nemici che i Celti riportavano come tro
fei dal campo di battaglia legate assieme per i capelli. Nel romanzo
gallese Peredur, collegato al poema di Parsifal e di Artù - il cui poeta
anonimo nel XIII secolo attinge ancora a piene mani all'eredità arcai
ca - durante la processione sacra, l'eroe omonimo, al posto del Gral
reca su un vassoio una testa tagliata. Sia le leggende che gli storici,
tra cui Tito Livio e Diodoro Siculo, parlano di un rituale celtico delle
"teste tagliate". Probabilmente era fondato sulla fede druidica nell'e
sigenza di una particolare offerta di morte per mantenere vivo il pro
cesso di rinnovamento della vita nel grembo della Dea Madre.
Comunque si valutino, tradizioni simili mirano tutte a far appari
re la Grande Madre come l'incarnazione di una totalità esistenziale,
carica pure di tutti i segni dell'orrore. Svincolata da questa fusione
tra bello e spaventoso, vita, amore e morte, la Grande Dea viene de
fraudata della propria maestà archetipica. Allora simboleggia la don
na astuta che, con le armi dell'eterismo, tenta di asservire la forza su
periore dell' eroe maschile, o il principio del male. Allora si trasforma
nell'Amazzone assassina di uomini e alla fine, nella strega.
I periodi di rivolgimento tendono ad estremi simili. Ma in realtà
la Grande Madre degli inizi, in quanto contenitore del bello e del
l'orrido, reca in sé anche i tratti della trasformazione. Di conseguen
za, in quanto "Eterno Femminino" non è solo capace di elevare la vi
ta bruta ad altezze morali, come già avveniva nel culto misterico di
Demetra, ma anche di attirare verso "l'alto", ascendendo dalla mate
ria allo spirito. Se così non fosse anche la dea dell'Amore, nel cui re
gno pare ritornino alcune Amazzoni, diverrebbe la creatura detesta
bile a cui l'hanno degradata le religioni nemiche del mondo, del cor
po e della donna. Nel vocabolo medio alto-tedesco "Minne" che sta
per amore cortese, è etimologicamente ancora insito il significato di
"ricordarsi", "rammentare", come pure quello di "ricordo amoroso".
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grande ruota sulla quale siedono gli eroi e i re più potenti, Ettore,
Alessandro o Artù, ognuno dei quali può aspettarsi di venire precipi
tato da un momento all'altro dalle vette più alte negli abissi più
profondi.
La vittoria patriarcale sulla Grande Madre non modifica in nulla
la consapevolezza del potere della donna sul destino. Persino Eschi
lo, che nella sua trilogia su Prometeo s'interroga su chi sia a reggere
"la ruota della necessità", risponde: "La triade delle Moire e le inson
ni Erinni". Rispetto a loro perfino Zeus è "il meno potente"? La tra
gedia fornisce una risposta anche a questa domanda: "Neppure lui
può sfuggire alla sorte destinatagli". 0 5> Questa credenza era partico
larmente viva nei Germani. Come potenze del destino essi non cono
scevano solo le Norne e le Valchirie, ma anche donne incantatrici
quali la "ldisi", la raccolta di pagane Formule magiche di Merseburg. A
metà secolo x questo documento che testimonia la fede antico-ger
manica negli dèi venne trascritto sulle guardie di un codice religioso
del convento di Fulda, venendo così preservato dall'oblio. Le formu
le sono state rinvenute solo a metà XIX secolo tra i libri antichi che
costituiscono il tesoro del capitolo del duomo di Merseburg, da cui
hanno preso il nome. Questo messaggio dell'antico potere magico
femminile giunge alle nostre orecchie ancora carico di magìa:
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DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE
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CAPITOLO XII
una dea dell 'amore e della fecondità di radiosa bellezza. Viene para
gonata anche a Freya, assieme alla quale la si è incontrata nella fiaba
di Frau Holle. Che Berta abbia generato il sommo dio dei Germani,
Odino-Wotan, comprova il suo arcaico potere di Madre. E anche il
suo nome potrebbe segnalarlo. Se infatti oltre che a "berath", si risale
all'antico vocabolo alto tedesco "beran", che potrebbe celarsi dietro
alla "Perachta" e che significa "portare", "creare", "generare", si arri
va alla creatrice e generatrice.
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DALL\ DETRONIZZAZIONE DELL\ DEA MADRE ALL\ CREDENZA NELLE STREGHE
farmi morire? "' ( l Samuele 28, 9) Alla fine la donna evoca Samuele e
Saul viene a sapere della propria rovina. La apprende grazie ai poteri
magici di una saggia donna!
Già nell'antichità la donna incantatrice, ammaliatrice e fatalmen
te seduttrice era considerata un'emanazione della Grande Dea. Così
Circe strinse nei suoi lacci Odisseo, e di Medea, la maga possente, si
dice che cuocendolo nel paiolo cambiò un vecchio capro in un
agnello vivo, che trasformava quindi la vita vecchia in nuova. Anche
la costruzione di una piramide nell'Egitto della IV dinastia viene at
tribuita da Erodoto a una maga, la strega Rodopi. Non può ogni don
na celare in sé la maga? Ora, dato che essa si è fatta carico dell'ere
dità peccaminosa dell'antica Eva, diventa una strega pericolosa.
Il primo rogo di streghe promosso dall 'Inquisizione ebbe luogo a
Tolosa nel 1 275, un anno dopo la morte di Tommaso d 'Aquino.
L'accusata era una donna debole di mente che "confessò" ai giudici
di avere avuto rapporti sessuali col diavolo e di aver generato da lui
un mostro, per nutrire il quale di notte compiva scorribande ruban
do bambini piccoli. Di solito ammissioni del genere venivano ottenu
te sotto tortura. Ciò nonostante si può supporre che gli inquisitori
fossero convinti della validità di simili asserzioni. Anche il potere
temporale non era esente dal timore dei demoni. Lo testimonia la le
gislazione. Il Sachsenspiegel scritto nel 1 225, come pure lo Schwaben
spiegel, pubblicato circa mezzo secolo dopo, ad esempio, vedono nella
magìa un eventuale fatto passibile di condanna a morte sul rogo. Nei
secoli successivi vengono però sterminati relativamente meno maghi,
e più maghe che streghe, e tutte le "sagge donne". Il numero delle
vittime è di centinaia di migliaia. Contribuirono a questo terrore dif
fusosi in tutta l 'Europa anche tangibili ragioni politiche. Le donne
perseguitate non erano solo esperte in cose d'amore, ma disponeva
no anche di mezzi efficaci per il controllo delle nascite. In epoca feu
dale c'era un enorme bisogno di servi della gleba per gli estesi posse
dimenti dei nobili e del clero. Gli aborti mettevano a rischio il siste
ma sociale. A queste radici della caccia alle streghe, condivisa anche
da uomini quali il famoso francesejean Bodin ( 1 530-1 596) , statista e
giurista, filosofo e legale della corona, fanno riferimento nel loro li
bro ricco di dati Die Vernichtung der weisen Frauen (Lo sterminio delle
"sagge donne") Gunnar Heinsohn e Otto Steiger, sociologi ed eco
nomisti.
Tuttavia il complotto dei potenti contro le "sagge donne" non
avrebbe potuto riuscire senza il motore della paura dei demoni e la
credenza nelle streghe. In alcune regioni, dal xv secolo in avanti, la
caccia alle streghe diventò un 'autentica epidemia. Non fu solo in
Francia che, dopo il famigerato processo di Arras del 1 46 1 , si ebbe
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CAPITOLO XII
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DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE
Se mai sono esistiti i sabba delle streghe, come osserva jean Mar
kale, "in realtà" non possono essere stati "altro che i baccanali degli
antichi o le orge sacre in onore di Demetra e di Iside". "Tutte quelle
sette misteriose sorte nei secoli e rapidamente scomparse o che an
cor oggi esistono, sono nate - consciamente o inconsciamente - da
un 'unica e identica intenzione, quella di reintegrare la donna coi
suoi antichi privilegi nella rinnovata società umana". 123>
Sul terreno di cultura di cervelli maschili malati crebbero però
desideri sessuali deviati che si smarrirono addirittura nel regno della
mistica cristiana. I desideri erotici proibiti vengono allora convertiti
in immagini di ebbrezza sensuale e di appetiti amorosi. "Oh, non era
forse ebbro" scrive il mistico olandese johannes Brugmann sull'incar
nazione di Gesù "quando l'amore disinteressato lo costrinse a scen
dere dall'alto del cielo nell'umile valle della terra?" Gesù si muove in
cielo simile a un ubriacone, spilla, mesce e i profeti "bevvero sino a
scoppiare e poi David saltò davanti alla tavola con la sua arpa, esatta
mente come se fosse stato il buffone del mio Signore". Il mistico
fiammingo Jan van Ruusbroeck si lascia divorare dalla fame di Cristo:
"Egli infatti è un avido gaudente ed ha una fame da lupi, consuma il
midollo delle nostre ossa. Ciò nonostante glielo consentiamo volen
tieri e quanto più glielo consentiamo tanto più gli piacciamo." Il pio
uomo in estasi religiosa si fa "rosolare nell'amore" ed annuncia: "Se
potessimo vedere il desiderio avido che ha Cristo della nostra beatitu
dine, non potremmo smettere di volargli in gola".
Jean Berthelemy, un mistico francese, spasima per la mistica unio
ne con Dio: "Lo mangerete, rosolato al fuoco, ben cotto, non brucia
to, ma arso. Giacché come l'agnello pasquale viene cotto e rosolato
tra due fuochi di legno e carbone, così il venerdì santo il dolce Gesù
venne infilato allo spiedo della venerabile croce tra i due fuochi di
una morte e una sofferenza paurose e di amore e dilezione ardenti,
che egli sopportò per le nostre anime e per la nostra salvezza, lascian
dosi lentamente cuocere e scottare per salvarci". 12'>
Il domenicano Alain de la Roche, nato nel 1 428 in Bretagna, par
la ripetutamente di come si ristora col latte di Maria. Egli fondò una
confraternita internazionale di preghiera per la diffusione del rosa
rio e consigliò di meditare su ogni parte del corpo della Madre di
Dio. Nelle sue visioni compare anche la "meretrice dell'apostasia",
che a ritmo ininterrotto bacia e inghiotte e dà alla luce e vomita i
propri figli - una decisa perversione di rappresentazioni ciclico-natu
rali ispirate all'arcaica religione della Madre. L"'amante" di Maria de
scrive il mostro del peccato come una creatura dalle parti sessuali
schifose dalle quali fuoriescono zolfo e fiumane di fuoco. Quest'uo
mo sessualmente deviato fu il maestro del suo confratello Jakob
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CAPITOLO Xli
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DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE
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CAPITOLO XII
danzare con la luna piena, come hanno ricominciato a fare oggi cer
te sette di femministe che si autodefiniscono con orgoglio "streghe"
e che celebrano riti regressivi ad imitazione di un 'arcaica religione
della Grande Madre, definendoli "culto delle streghe".
Sopra Castelrotto e l'Alpe di Siusi , sul Bullaccia, alto 2000 metri,
ci sono le "panche delle streghe" o i "sedili delle streghe". Fronti di
rocce di porfido d'augite, levigate probabilmente dai ghiacciai dell'e
poca della glaciazione, scavate a formare delle panche naturali nella
pietra a mo' di sedili, con braccioli e spalliere. Su di esse si notano
pure tracce di lavorazione artificiale. Questi "sedili", dai quali si vede
tutta la regione, la vallata dell'Isarco sotto il Rittnerhorn e, dietro la
conca valliva di Bolzano, il gradone roccioso della Mendola, erano
forse antichi osservatori o un tempo vi troneggiava una divinità ma
terna? La leggenda parla comunque di un luogo, indefinito per il tra
scorrere dei secoli, in cui, su questi lastroni di roccia che sembrano
consunti dai passi, danzavano le streghe. Nel mondo degli inizi anco
ra governato dall'autorità femminile, in questo luogo possono benis
simo essere stati celebrati i riti di un culto matriarcale che venne poi
marchiato con le stigmate della stregoneria. Le leggende delle Alpi
retiche sono piene di donne awolte dal mistero, soprattutto quelle
ladine delle regioni dolomitiche. Qui soprawisse a lungo in molte
sue epifanie anche Madrisa, la Dea Madre della Terra, originaria dei
Grigioni, che ancor oggi dà il nome al Madrisahorn presso Kloster.
Nel secolo scorso si narrava anche che tanto tempo fa dal monte Fa
loria, sopra Cortina d'Ampezzo, sul quale sorgeva un tempo un luo
go di culto pagano, fosse scesa una fanciulla che padroneggiava l' arte
della pittura di cui, sino a quel momento, nessuno sapeva nulla. Si
racconta che quella giovane abbia fondato una stirpe di pittori col
suo primo allievo, e che fosse quella la famiglia da cui discendeva il
grande Tiziano, nato nel 1490 a Pieve di Cadore. Egli doveva il suo
talento quindi a un'antenata dei monti, a una musa e divinità femmi
nile che, a detta del popolo, aveva donato ai mortali l'arte e lo spirito
artistico.
Tutte le fate pagane di montagna, le indovine, le Madri della Na
tura e le donne selvagge, le Gane e Bregostane, Vivane e Cristane la
dine o come altro vengono chiamate, sono ancora circonfuse dall'au
ra della Dea dell' antichità. Tali figure dal duplice significato come
pure le Dialas dei Grigioni o la Vivéna, l 'indovina del bosco delle Do
lomiti ladine, hanno un albero genealogico affine che affonda nella
preistoria. In area di lingua tedesca le incontriamo col nome di Wil
leweis, Salige o Selige Weiblein (Beate Donnette ) . Nella misura in
cui avevano il dono della profezia, possono venire affiancate alle si
bilie dell'antichità. Tutte loro sono antenate delle streghe!
Le donne non vennero demonizzate solo dall' ebraismo e dal cri-
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DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE
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CAPITOLO XII
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DALIA DETRONIZZAZIONE DELIA DEA MADRE ALIA CREDENZA NELLE STREGHE
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LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE
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CAPITOLO Xlii
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LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE
una Artemide efesina del n secolo a.C. dal volto, mani e piedi neri. In
quanto semplice seiVa del Signore, Maria subì comunque una totale
desessualizzazione. A dispetto di tale cancellazione della forza sessua
le, nel culto della Madonna è sopravvissuto molto dello splendore e
della maestà dell'arcaica religione del grande Femminino. Nelle pro
cessioni per l 'Ascensione di Maria sono chiaramente riconoscibili
elementi caratteristici dei cortei festivi in onore di Artemide e Cibele,
mentre i versi di una liturgia medievale in onore di Maria tradiscono
un intatto potere matriarcale:
Un giorno, nel corso dei loro studi latini, alcuni monaci rinven
nero quel testo e lo ritennero degno di venire usato come lode della
Madre di Dio. Ma esso altro non è se non un inno di Apuleio ad Isi
de! Con la quale, come con Inanna, Ishtar e altre divinità materne,
Maria ha molte affi nità. I suoi sette veli ricordano le sette vesti che
Ishtar dovette deporre scendendo agli inferi dal suo figlio-amante
Tammuz. Ella condivide il destino di "Mater dolorosa" assieme ad
Hathor-Iside, che come la madre dolorosa tiene in grembo Osiride,
morto. Il dolore della madre per il figlio morto è un tema immortale.
Esiste un gruppo bronzeo sardo del VII secolo a.C., raffigurante una
dea col figlio morto o forse una madre terrestre col figlio caduto in
battaglia, che assomiglia a una Pietà. Anche il parto verginale del fi
glio di Dio è prefigurato da millenni. Rivediamolo in Hathor: come
ogni mattina dal suo corpo verginale genera il disco del sole e a sera
lo riaccoglie in sé, procreando alla stessa stregua senza concepimen
to anche Horus. La verginità della Grande Dea non ha comunque
nulla a che vedere con la "purezza" fisica o la sessuofobia. È piuttosto
espressione della perfezione femminile. Le antiche divinità materne
sono vergini solo nel loro aspetto primaverile e fanciullesco di entità
trine. Nei panni di donna matura, invece, favoriscono l'elemento ses
suale addirittura con vigore benedicente. Nella Madre di Dio cristia
na, per contro, la dea generante in virtù della propria perfezione
259
CAPITOLO XIII
cantata dal mito antico si trasforma nella vergine "pura", non gravata
dal peccato dell'atto sessuale. Sessualità e desiderio divennero fratelli
del peccato originale, concetto che Agostino sviluppò dalla teoria
della colpa. In Tommaso d'Aquino il ribrezzo per qualsiasi forma di
sessualità raggiunge il vertice quando definisce il congiungimento di
uomo e donna "macchia", "vergogna", "malattia", "sporcizia" o "ne
fandezza". Maria può quindi concepire solo ad opera dello Spirito
Santo, altrimenti anche il Salvatore da lei nato sarebbe contaminato
dalla macchia di simile impurità.
Per più di mezzo millennio si discusse anche sulla nascita di Ma
ria. Non era frutto anch'essa del matrimonio legale dei suoi, se pur
leggendari, genitori Gioacchino ed Anna e non era macchiata ella
stessa del peccato originale? Come poteva, allora, impura, diventare
madre di Cristo? Solo nel secolo scorso la Chiesa Cattolica si discostò
dalla teoria che il peccato originale venisse trasmesso con l 'atto ses
suale. L'8 dicembre 1 854 Papa Pio IX decreta il dogma dell'Immaco
lata Concezione che non si riferisce, come si è spesso frainteso, alla
verginità della Madre di Gesù, ma al momento del concepimento di
Maria da parte dei suoi genitori. Dal VII secolo in poi, probabilmente
già in precedenza, in quasi tutte le chiese orientali veniva celebrata la
festività del concepimento di Sant'Anna. E così facendo, evidente
mente con l'accenno al suo ruolo stupefacente nel piano salvifico di
vino, si presupponeva l'assenza di peccato della bimba concepita, ov
viamente non senza le vigorose critiche di molti teologi. La festa di
Sant'Anna giunse in Germania, Francia, Spagna, Inghilterra e Irlan
da, passando per l 'Italia Meridionale. Non da ultimo, la santa portava
un nome magico: si ricordi Ana, la Dea Madre dei Celti e il culto di
Anna importato dall' oriente in Bretagna. Dall'epoca del dogma pa
pale anche la madre di Maria è libera da qualsiasi impurità. La dottri
na dell "'Immacolata concezione" parte dal presupposto che la figlia
di Anna, la "beatissima Vergine Maria" nonostante la nascita naturale
fosse stata preservata "per particolare grazia divina e misericordia
dell'onnipotente Iddio" dalla macchia del peccato originale. "Il mi
stero dell'Immacolata Concezione" recita il catechismo ecclesiastico
tascabile di Buchberger, "trasmette, al popolo dei credenti e all'arte
cristiana il sommo ideale di bellezza umana pura e sovrannaturale, al
dotto un esempio storico dei veri progressi teologici .. ".
Sino a quel momento un "progresso" simile nei confronti del par
to verginale di Gesù non si era mai avuto. Ancor oggi in materia di
fede valgono le opinioni di uomini di Chiesa del v e VII secolo. Chi
tiene alla buona tradizione antica può rifarsi al IV concilio ecumenico
di Calcedonia del 45 1 , nel quale Maria venne dichiarata "aeiparthe
nos" - eterna vergine. Successivamente papa Martino I, nel sinodo La-
260
lA DEA MADRE NELlA RELIGIONE DEL PADRE
terano del 649, eleva la verginità della Madre di Dio a dogma e mi
naccia di scomunica chiunque la neghi. Interpretare biologicamente
questa verginità anche ai giorni nostri come fa il papa non è solo
un 'offesa all 'intelletto umano, ma presuppone pure la folle teoria
della peccaminosità della sessualità e contribuisce a supportare le
tendenze misogine.
La pietà dei fedeli per Maria non si occupa comunque mai molto
delle sottigliezze scolastiche. Nella Madre di Dio cristiana essa conti
nua a cercare, quanto meno inconsciamente, la Grande Dea e Regi
na del Cielo che dispensa consolazione e aiuto. Migliore espressione
di simile fede è la Madonna del Mantello, che allarga il suo manto
ornato di stelle e simile alla volta del cielo su coloro che si raccoman
dano a lei e ha sotto i piedi la falce della luna. In Italia è conosciuta
come la "Madonna della Misericordia", in Baviera contraddistingue
la storia della pietà dei bavaresi come "Patrona Bavariae". Ha trovato
accesso nei più remoti angoli d'Europa, soprattutto da quando nel
XIV e xv secolo, mentre tra le popolazioni infuriava ovunque la peste,
venne ripetutamente raffigurata in dipinti e sculture nella sua dop
pia natura umana-divina.
Gli sforzi di desessualizzazione investiti nella Santa Vergine dai
Padri della Chiesa, ostili alla corporeità, furono compensati dall'arte
religiosa che rappresentava realisticamente la gravidanza di Maria e
metteva generosamente in vista la sua funzione materno-nutritiva.
Numerose sono le immagini e le statue di Maria che allatta il Bambi
no Gesù, tanto che nelle chiese romaniche, ma soprattutto in quelle
gotiche e rinascimentali, accanto alla "Mater Dolorosa" troviamo al
trettanto spesso la "Madonna del Latte". Tuttavia è proprio questa
"Madonna del Latte" spesso ricorrente ad alludere al primo livello
della sessualità umana, attraverso la quale siamo passati tutti quanti
nel primo o primo anno e mezzo di vita, durante la fase orale. È no
torio che bocca, labbra e lingua, in quanto zone erogene, costituisco
no in senso lato i primi organi sessuali del bimbo piccino che tramite
esse ricava piacere dal poppare e dal prendere-in-bocca. Nessuna
dottrina ecclesiastica, per quanto nemica del piacere, è riuscita a im
pedire l'esaltazione di questa prima fase nelle immagini del rapporto
divino esistente tra madre e figlio, nel quale si riflettono sia un pezzo
della storia dell'evoluzione umana che tratti essenziali della Madre
Primigenia: il suo aspetto nutritivo in quanto dea della fecondità e di
dispensatrice del piacere in quanto dea dell'amore.
Il modello iconografico dei quadri delle Madonne-del-Latte
affonda le sue radici negli abissi mitologici, sino alle sacre immagini
preistoriche della Grande Madre coi seni esposti. A San Gimignano
la chiesa di Sant'Agostino è ornata da un insolito dipinto della Ma-
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CAPITOLO XIII
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LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE
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CAPITOLO XIII
della Venere di Laussel, indica il bimbo dentro il suo corpo, che, per
di più, è visibile. La "Madonna del Parto" trasmise a Chagall un mes
saggio al quale era particolarmente recettivo in forza della propria
opera. Al di là di questo, pare che quel quadro miracoloso abbia as
sorbito il fervore di tutta la devozione popolare di secoli e l ' abbia
energeticamente trasmutata sino a riuscire ad irradiarla, oggi, sull' os
servatore sensibile. Il regista cinematografico russo Andrej Tarkow
skij , deve comunque averlo vissuto così. Nel punto più significativo
del suo film "Nostalghia", girato nel 1 983, durante l 'esilio italiano e
dedicato alla propria madre, riprese infatti quel quadro come espres
sione del suo legame con la Russia. È notorio che i russi dicono an
che "piccola madre Russia", e non patria. Nelle canzoni e nelle poe
sie russe viene usata come sinonimo per la Russia anche l' espressione
"madre umida terra" collegata alla Madre di Dio. Così una triste can
zone prega:
Nella quale, pur trovandosi nel regno del Dio Padre cristiano, la
santa materna gli resta quasi pari per rango. La venerazione per Ma
ria esprime in molti modi l'esigenza di un mondo di bontà e di ma
ternità. Già nel xm secolo, ma soprattutto dal XIV, vennero elaborati
scritti e dipinti straordinari, nei quali alla Vergine Maria venivano at
tribuiti i più svariati miracoli. Nell'abazia dei benedettini di Souillac,
nel Périgord, ad esempio, il rilievo romanico del portale narra la leg
genda del diacono Teofilo, che aveva stretto un patto col diavolo e
dal quale riuscì a liberarsi solo con l 'aiuto della Madre di Dio. Ella
quindi concede la propria benevolenza al peccatore e non lo con
danna. Una volta prese addirittura il posto di una monaca fuggita di
convento per prostituirsi. Quando, dopo qualche tempo, la fuggitiva
ritornò nella cerchia delle pie donne, nessuno si era accorto della
sua assenza. "Evidentemente la Vergine pietosa concede la propria
protezione anche a coloro che, in linea di principio, non l'hanno
meritata". osserva jean Markale e prosegue: "Sorge l'interrogativo se
in questo vada vista una descrizione della benevolenza e della grazia,
o piuttosto una trasposizione dell 'inconscia nostalgia di una popola
zione tenuta costantemente sotto pressione dall' inquisizione, sia con
l 'idea dell'onnipotenza del dio maschile e vendicatore, sia con la sua
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LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE
La Vergine Maria raffigurata mentre fila il filo del destino con Gesù Bambino in
grembo. Maestro della Renania Superiore ( 1 400 circa).
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Santa Sofia allatta due uomini al seno della saggezza come una Dea Madre nutrice.
Da un manoscritto medievale italiano.
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UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?
buti della Grande Madre. Dipinge anche una Venere e confessa: "La
donna è la nostra dea, l'arte la nostra divinità".
"Stella alpina" è il titolo di un nudo che assomiglia alla Venere i
cui lunghi capelli sono sparsi sulla pietra antica: simbolo sessuale e al
tempo stesso intreccio di radici con la terra, la donna è vista come
amante e madre. Gli psicologhi definiscono "Regressione all'immagi
ne-materna" l'eterno ritorno a questa immagine. In Segantini, come
in Hodler e in tutto lo stile floreale, questo ripiegarsi verso l'interno
sembra un canto del cigno dinanzi alle porte della nuova epoca. Par
ticolarmente stimolante si rivela al contempo la grandiosa natura del
l'Engadina, che dal pozzo dei ricordi archetipici, sul cui fondo vive
sempre la divinità materna, fa emergere ideali di bellezza. "Sogni im
pietriti del mondo arcaico" così definirono i poeti questa terra, "eroi
ca ed idillica al contempo" (Nietzsche) , mentre gli psicanalisti aman
ti delle Alpi hanno scoperto la razza speciale dei patiti deli'Engadina,
contradistinti da tratti simili a quelli di Segantini: tendenza alla soli
tudine, rimpianto della vita delle origini, nostalgia del grembo ma
terno.
Nel lessico psicologico di questo pittore la Grande Madre si pre
senta però anche nei suoi mitici due volti. Diventando allora quel re
cipiente divino che riunisce in sé sia il bello che il tremendo. Da que
sto punto di vista l'oggetto dell'amore si manifesta nel proprio aspet
to demoniaco. Così in due dipinti realizzati prima del trittico delle
Alpi trovano espressione le visioni della "voluttuosa" e della "Madre
cattiva". Come bellezze nude, dai capelli lunghi, sono esiliate, trasfor
mate in Lemuri, nella rigidità letale dell'inverno nei rami di un albe
ro brullo. Secondo una leggenda buddista le "Madri cattive" incarna
no, in quanto voluttuose, i desideri proibiti. Segantini le punisce
esponendole alla solitudine di un gelido paesaggio invernale. Da
questi quadri affi ora paura, la paura dell'istinto divorante della libi
do che minaccia di dissolvere !"'Io" in "Es". Anche il tardo stile flo
reale conosce questa minaccia. La vita vegetativa, con il suo simboli
smo erotico di piante e di capelli, subisce una trasformazione in ele
mento seduttivo pericoloso. All'interno di tale simbolismo la donna
archetipica non compare come dea della verità, ricca di spiritualità e
immagine primigenia della felicità paradisiaca, ma come gorgo della
sensualità: donna quale adescatrice, come in Gustav Klimt o in Hans
Unger, mentre Franz von Stuck la ritrasforma in personificazione del
peccato caricata di una valenza erotica, col serpente awolto attorno
alla sua lasciva nudità.
Sono le forze del Grande Femminino troppo a lungo represse
quelle che vengono descritte nei quadri di coloro che cercano una
via d'uscita da un'epoca già tendente all'alienazione di sé, all 'etero-
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UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?
Nelle pratiche della nuova fede nelle streghe, per contro, il culto
della Grande Madre regredisce di livello culturale. Come le comu
nità di fede fondamentalista, che parimenti stanno prendendo pie
de, anche la fede nelle streghe e tutte le manifestazioni analoghe,
espressione di un femminismo che scredita quello serio, fanno parte
di un contro-movimento religioso che "all'interno di un mondo di
sincantato" simulano "all'uomo moderno isole incantate".(7) Per alcu
n i seguaci delle nuove verità salvifiche è allettante ascoltare una
"somma sacerdotessa" americana, come ella si autodefinisce nella sua
veste di rappresentante del culto delle streghe, che dice ai suoi adep
ti: "La Madre Dea si desta a nuova vita e possiamo recuperare il no
stro diritto di primogenitura, la pura, esaltante gioia di vivere. Possia
mo riaprire gli occhi e imparare nuovamente a capire che nulla deve
venire salvato prima dell'universo e che non bisogna combattere con
tro di esso, che non dobbiamo temere nessun dio esterno al mondo e
che non dobbiamo obbedire a nessuno. Solo la dea, la Madre, la spi
rale sinuosa che ci conduce dentro e fuori l'esistenza, il cui occhio
scintillante è il polso dell' essere - nascita, morte, rinascita -, il cui riso
fa vibrare ogni cosa e che si può trovare solo attraverso l'amore: amo
re per gli alberi e le pietre, per il cielo e le nubi, per i fiori profumati
e le onde mugghianti, per tutto ciò che striscia e fugge e nuota e si
muove sul suo volto; attraverso l'amore per noi stessi, l'amore orga
smico che scioglie la vita e crea il mondo; ognuno di noi unico e na
turale come un fiocco di neve, ognuno astro di se stesso e di lei fi
glio, amante, amato, Io". 1•1
Indubbiamente in questo testo, anche se con tono euforico, ven
gono toccati dei punti fondamentali del culto della Grande Madre
che in quest'opera sono stati, almeno parzialmente, scoperti. C'è
però una bella differenza tra il ricordare i contenuti di una fede di
menticata e rimossa dei tempi arcaici e il volerli integrare nella no
stra epoca moderna quale nuova "religione delle streghe", con tutti i
rituali connessi a una visione del mondo magica e prerazionale, co
me fa l' autrice nella sua ingenua ostilità al raziocinio e nella poco
meditata fede negli incantesimi del sangue e della terra della sua Bib
bia del culto delle streghe.
Meglio citare di nuovo Christa Wolf, che nei corsi di poetica tenu
ti a Francoforte, chiede: "Ma di che cosa si alimenta il mio disagio al
la lettura di tante pubblicazioni - anche nel campo dell'archeologia,
della storiografia antica - che si pongono sotto la definizione di 'lette
ratura femminile'?". E risponde: "Non solo nella mia esperienza dei
vicoli ciechi cui sempre conduce il pensiero settario, che esclude
punti di vista diversi da quelli sanzionati dal proprio gruppo; soprat
tutto provo un vero orrore per quella critica del razionalismo che fi-
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UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?
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Illustrazioni
ILLUSTRAZIONI
Hathor nel tempio di Dendera con Horus bambino e Horus che reca la barca.
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ILLUSTRAZIONI
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ILLUSTRAZIONI
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ILLUSTRAZIONI
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ILLUSTRAZIONI
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ILLUSTRAZIONI
Complesso templare di Hai Tarxien a Malta. Sulla soglia in pietra dell' ingresso al
tempio principale sono scolpiti gli occhi a spirale della Grande Madre. Il motivo a
spirale è ripetuto su una delle pietre d'ingresso.
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ILLUSTRAZIONI
293
ILLUSTRAZIONI
Le rovine del tempio di Apollo, a Delfi, si ergono su un terreno sacro alla Madre
Primigenia.
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ILLUSTRAZIONI
295
ILLUSTRAZIONI
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ILLUSTRAZIONI
Dall' antica sede misterica del culto di Demetra ad Eleusi sono rimaste solo pochi
ruderi.
Il recipiente della rinascita, dal quale i guerrieri celti caduti in battaglia riemergo
no resuscitati, assomiglia al "Paiolo dell 'abbondanza" della Grande Dea.
297
ILLUSTRAZIONI
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ILLUSTRAZIONI
299
ILLUSTRAZIONI
A sinistra:
recipiente cretese d'epoca minoica decorato con simboli della labrys.
A destra:il culto del toro e le raffigurazioni della labrys facevano parte della cultura
matriarcale minoica, così come il labirinto, il cui simbolismo derivava dalla spirale.
300
ILLUSTRAZIONI
301
ILLUSTRAZIONI
302
Note e citazioni
CAPITOLO l
CAPITOLO Il
303
NOTE
CAPITOLO 111
C.APITOLO IV
TESTIMONI DI PIETRA
CAPITOLO V
304
NOTE
1 1
2 C.G. Jung, Simbole der Wandlung, p. 330.
"1 Neumann, p. 2 1 6.
"1 Bachofen, Griibersymbolik. Riportato nel volume Mutterrecht und Urreligion, p.
62 e sg.
(5I von Reden, p. 84.
(61 lbid., p. 60.
( 71 lbid., p. 63.
CAPITOLO VI
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI
di Berta.
0 51 Ernstjiinger, Werke, vol. 4, Stoccarda s.a., pp. 376 e 232.
o 61
von Reden, p. 1 72.
0 71
Ibid., p. 1 7 1 .
081
Ernstjiinger, An der Zeitmauer, Werke, vol. 6, p. 483 e sg.
091
Lemer, p. 197.
(201 Johnson, p. 1 7 1 .
( 11
2 Eugen Drewermann, Lieb Schwesterlein, lass mich herein. Grimms Miirchen tie
CAPITOLO VI l
IN POTERE DI AFRODITE
(Il
Kerényi, vol. l 0, p. 44.
(2) Citazione da Peterich, Italien, vol. 3°, Monaco, 1933, p. 565.
(" Citazione da Lerner, p. 1 65.
(<J Heydecker, p. 36 e sg.
305
NOTE
"" Omero, Odissea, VIII canto, 336-342; trad. di Ettore Romagnoli, Zanichelli,
Bologna, 1957.
<�<> Apuleio, p. 88.
"" Omero, Inni ad Afrodite, loc. cit., p. 5 1 1 .
" "' Ibid., p. 507.
0 '1 Peterich, Italien, vol. 3•, p. 572.
""' Questo non vuoi dire che non si sia pervenuti a un relativamente precoce
eccesso di natalità e di conseguenza a sistemi molto barbari di aborto e di infanti
cidio. In proposito: Mira Beham, Fluch der Fruchtbarkeit, in "Siiddeutsche Zeitung",
n. 27 del 3.7.1992, p. 16 e sg.
"" Kerényi, vol. 1 • , p. 1 47.
''"' Peterich, Giitter und Helden der Griechen, p. 58.
"" Geoffrey of Monmouth, 1 1 50 circa, nella sua Vita Merlini. Ulteriori infor
mazioni in Franz Baumer, Kiinig Artus und sein Zauberreich.
"'"" Da: Das jahr der Heiligen. Geschichte und Legende, a cura di Erna e Hans Mel
cher, Monaco, 1965, p. 89.
"" Kerényi, Tiichter der Sonne, Zurigo, 1977, p. 81 e sg.
CAPITOLO \�Il
01
Omero, Inno a Demetra, loc. cit., pp. 453, 455, 461 , 466.
'" Citazione da Bòttcher, p. 271 .
'" Kanta, p. 10.
Hl
Ibid., p. 2 } .
'" von Ranke-Graves, pp. 389, 445.
'"' Apuleio, p. 247.
'" Kanta, p. 15.
'" Citazione dajoseph Gregor, Weltgeschichte des Theaters, Monaco, 1944, p. I I I .
'01 Citazione da C.G.Jung, Symbole der Wandlung, p. 592 (da Dejong, Das antike
Mysterienwesen, 1909) .
( I O) Ibid., p. 755.
0 1 1 Citazione da Kirsten-Kraiker, Griechenlandkunde, Heidelberg, 1962, p. 197.
021
Plutarco, loc. cit.
"" Joseph L. Henderson in Der Mensch und seine Symbole, di C. G. Jung, Marie
Luise von Franz, Joseph Henderson, Jolande jacobi und Aniela jaffé , Olten e Fri
burgo i.Br. 1979, p. 132.
"" Citazione da Lerner, p. 68.
"" von Ranke-Graves, p. 192.
""' Starhawk, pp. 46, 58, 1 1 2.
0 71
Gòttner-Abendroth, pp. 106, 195.
" "' Ibid., p. 99.
"'" Citazione dajean Markale, Die keltische Frau, p. 278.
""' Citazione dajean Markale in: Lehner (edit. ) , Keltisches Bewusstsein, p. 1 1 7.
(2)) Ibid., p. 1 1 6.
306
NOTE
'"' Franz Kafka, Dalla galleria, e La finestra nel vicolo, da l racconti, Longanesi,
Milano, 1959. Cfr. anche F. Baumer, Franz Kafka. Sieben Prosastiicke, Monaco,
1963.
'2"
Omero, Inno a Poseidone, loc. cit., p. 5 1 9. A proposito del culto del cavallo,
Tacito nella Germania riferisce che una delle caratterisùche dei Germani è quella
di "badare agli auspici e agli avvertimenti daù dai cavalli. Nei boschi e nelle radu
re precedentemente menzionaù vivono a spese della comunità dei cavalli bianchi
che non vengono profanaù servendo i mortali. Vengono attaccati solo al carro sa
cro; il sacerdote o il re o il capo della tribù camminano loro accanto osservando il
loro nitrire e il loro stronfiare. A nessun segno viene prestata maggior fede, e
non solo dal popolo: anche dai nobili, dai sacerdoti; ritengono infatti se stessi so
lo i servi degli dèi, mentre i cavalli confidenti". (Germania 9)
'"'' von Ranke-Graves, p. 460.
1261
Christa Wolf, PrerTUisse a Cassandra, Edizioni e/o, Roma, 1983, p. 144.
'"' Omero, Odissea, XII canto, 39-46 e 184-1 9 1 , Zanichelli, 1957.
'281
Nick, p. 1 45.
'"'' Heydecker, p. 24 1 .
CAPITOLO IX
C'.APITOLO X
307
NOTE
''' Hildegunde Woller, Glaube an den dreieinigen Gott. Versuch einer Neuinterpreta
tion, in Frauen. Anstòsse, 28, 198 1 , quaderno 3, p. 106.
191 Thork.ildjacobsen, Toward the Image of Tammuz and other .Essays on Mesopota
CAPITOLO Xl
308
NOTE
1w1
Neumann, p. 252 e sg.
1211
Da: Thule, Altnurdische Dichtung und Prosa, vol. II,Jena, 1812-1828, p. 48 e sg.
1221 Secondo H. Zimmer, Die indische Weltmutter, citazione in Neumann, p. 1 5 1 .
12" Citazione in Heydecker, p. 287.
CAPITOLO XII
in Lemer, p. 23 1 .
1"1 Lerner, p . 231 e sg.
191
lbid., p. 230.
1'01 Sigrnund Freud, Der Mann Moses, p. 65.
(Il)
lbid., p. 64.
m> Citazione in Heydecker, p. 1 34 e sg. (Secondo A. Bohlig/L. Pahor, Koptisch
carda, 195 1 .
1 1 " Citazione di Neuman, p. 224.
1"' Secondo Eckart Peterih, Giitter und Helden der Griechen, p. 38.
1161 Tacito, Germania, pp. 8 e 15.
11 71 Citazione di Smith, p. 56.
1 '"' Traduzione di Peter Treichler (per il telefilm di F. Baumer, Gedanken meines
zinga, p. 35 1 e sg.
r.APITOLO Xlll
1 1 1 Ranke-Graves, p. 445.
309
NOTE
''' Neumann, p. 222. Il primo dipinto citato appartiene alla chiesa di Sorpe in
Spagna e si trova ora al Museo de arte Cataluiia, di Barcellona, il secondo negli
Staatliche Museen di Berlino.
m John Metthew, The grail. Quest Jor the eterna� Londra, 198 1 , p. 15. Una de
scrizione esauriente dell'argomento viene fatta da Baumer, Konig Anus und sein
Zauherreich, p. 279 e sg.
''' Giulio Cesare, La guerra gallica, VI, 17.
"' Heydecker, p. 2 1 5 .
'101
Markale, Die Druiden, p. 1 1 5.
'1"
Neumann, p. 305.
CAPITOLO XIV
''' Daly, p. 8.
'" Hans van der Loo, Willem van Reijen, Modernisierung, Monaco, 1992, p. 255.
''' Starhawk, p. 31 e sg.
'" Christa Wolf, Premesse a Cassandra, loc. cit., p. 125 e sg.
'101
Relazione culturale del Bayrischer Rundfunk sull'incontro internazionale
Mythos - gestern und heute, tenuto a Creta dal 28-4 al 4-5-1984, di Hedi Landwehr,
dattiloscritto, p. 4 e sg.
"" Lerner, p. 58.
CITAZIONI BIBLICHE
CITAZIONI CORANICHE
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Indice analitico
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INDICE ANALITICO
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INDICE ANALITICO
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INDICE ANALITICO
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INDICE ANALITICO
Aquisgrana: 153, 257 Altro Mondo: 49, 82, 103, 147 sg.
Aeroplano: 1 80 Antico Testamento: 19 sg., 96, 1 0 5 , 1 07,
Abydo: 32 210, 233 sg., 237, 244, 273
Accad: 1 9 Amari: 257
Achei: 52, 165 Amazzoni: 200 - 227
Aerai: 126 America: 54, 109, 167, 176, 206 sg.
Africa: 1 6 1 Amiens: 83
Afrodite delle Cicladi: 45 Amman: 107
Agrigento: l 06, 180 Ammoniti: 104
Albero della conoscenza: 186, 228, 236, 258 "Amore e Psiche": 34, 121
Albero della vita: 274 "Amore senza fine": 220
Allées couvertes: 61 sg., 63 Anatolia: 76, 87, 90, 150
Altamira: 83, 168 Androginismo: cfr. bisessualità
320
INDICE ANALITICO
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Falco: 50
Dafni: 137 Fallo (culto del): 32, 37 sg., 62, 80, 95, 137
"Dea di Decimoputzu": 91 sg., 1 4 1 , 142, 145, 176 sg., 212, 246
"Dea mater mediterranea": 9 1 , 97 Fate: 70, 89, 240
Dca vergine: 259 Fato: 86
Delli: 15, 39, 51 sg., 53 sg., 126, 1 4 1 , 152, "Faust": 34, 157, 215, 220
165, 170, 174, 1 8 1-185, 203 Femminismo: 128 sg., 152, 173 sg., 183, 1 9 1 ,
Delfini: 170 sg., 183 219, 1 9 7 , 200, 208, 2 1 0 , 217, 248, 275-
Delo: 25, 3740, 55, 78, 86, 122 sg., 1 6 1 , 170, 278, 281
177, 182 sg. Femminilità:
Dendera: 32, 34 "Il grande femminino": 13, 4 1 , 43, 46,
Dialas: 60 48, 55, 66, 75, 79, 86, 87, 92, 99 sg., 1 2 1 ,
Diavolo: 150, 189, 228, 232 sg., 242 sg., 245 150, 1 62, 1 72 sg., 2 1 3 , 22 1 , 227, 229,
sg., 264 258, 275, 280, 283 sg.
"l.a nonna del diavolo": 238 sg. "L'eterno femminino": 1 1 b, 34b, 59b,
Diritto d'asilo (antico) : 184 156b, 2 1 5, 217 sg., 244, 283
Diritto naturale: 195 Fenici: 53, 105-107, 1 1 2, 1 16, 182
Distruzione della natura: 208 Feste sacee: 196 sg.
"Divina Commedia": 34, 164 Festa di Osiride: 177
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INDICE ANALITICO
Festa di Sant'Agata: 129 sg. Grigioni: 60, 99 sg., 228, 249 sg.
Festa di Durga: 223 sg. Guatemala: 144
Feste femminili: 80, 1 4 1 sg., 144 Guerra: 269, 276
Festo: 27 Guerre puniche: 60
Filare: 85-87, 1 0 1 sg., 130 sg., 155
Filatrice del destino: 85-87 Hagar Qim: 75, 78, 79
Filo d'Arianna: 167, 169 Hai Saflieni: 79 sg., 87
Filo del destino: 130 sg. Hai Tarxien: 75, 80, 8 1 , 168
Figalia: 150, 203 Haran: 35
Finestra dell'anima: 96 Hierosgamos (Sacre nozze ) : 19, 3 1 , 56, 109,
Frigi: 183 sg. 1 1 3, 1 1 4, 1 20, 138, 1 40, 1 46 sg., 1 64,
Finistère: 59, 69 169, 171 sg., 178, 188 sg., 195, 2 1 0, 2 1 3,
Fior di loto: 3 1 215 sg., 234
Fontinales: 1 0 1 Honlleur: 268 sg.
Formazione degli Stati: 1 8 2 sg., 1 9 0 , 1 93,
227, 235 sg.
"Formule magiche di Merseburger": 271 Kaaba della Mecca: 252
Francia: 47, 64 sg., 67, 90, 243 Kerderf: 62
"Frau Holle": 102, 242 Kerguntuil: 63
Fuoco: 139 K.ildara: 270
K.ill-Dara: 269
Kos: 78
Galles: 142
Gallia: 238, 268
Gavrinis: 65 sg., 66
Ibis: 50
Genesi: 19, 20, 228 sg., 229, 230, 257
Idoli: 90 sg.
Germani: 72, 85, 109, 146, 176, 1 88, 222 sg.,
Ierodule: 1 12, 1 16 sg., 195
238, 241
"Iliade": 48
Geser: 105
"Il piccolo principe": 67
Giappone: 178
"Il tre": 153
Giavellotto: 145
Imera: 106
Gerusalemme: 106 sg., 1 16, 198, 210, 213
Immacolata concezione: 260
Ggan tija di Gozo: 75, 85, 87
Immagine del mondo ciclica: 227, 237
Giardino dell'Eden: 233
Immagine del mondo lineare: 227, 237
Giordania: 105
Immagini della femminilità di Dio:
Gineceo: 16
Inca: 34
Ginecocrazia: 191-195, 20 1 , 205
Incantesimo: l 03, 199 sg.
Giorno della Berchta (Berta) : 241
Incesto: 33 sg., 120
Glarus: 249
Incanto delle immagini: 103 sg.
Gnosi: 236
Incubo: 246
Gnothi seauton: 184, 283
India: 31 sg., 44, 50, 223 sg., 281
Gorgoneion: 1 1 1 sg.
Indiani (d 'America ) : 59, 166 sg., 1 76, 206
Gortino: 1 68 sg.
sg.
Gozo: 75, 84 sg., 88, 1 6 1
Gral: 146, 149, 153, 215-2 1 7, 224, 267 sg., Induismo: 223
Grande Madre: Inferi: 18, 20, 25 sg., 32, 49, 73, 82, 98, 102,
sua ambivalenza: 49, 62 sg., 69 sg., 73, 106, 1 1 7, 120, 127, 133 sg., 1 38 sg., 147,
74, 77, 102, 104 sg., 109, 136, 150, 154, 149, 153, 1 6 1 , 167, 187, 259
1 8 1 , 220 sg., 224, 275, 283 Inquisizione: 244 sg., 248 sg., 264
sue formule 66b sg., 75, 77 Iperborei: 52 sg., 54
sue ipostasi: 25, 39 Ipogeo di Malta: 76 sg., 80, 87, 89, 1 4 1
suo potere: 17, 25, 27, 97, 146, 1 73 Ippona: 255
suo aspetto letale: 150, 22 1 , 223, 278 Iran: 253
sua capacità di trasform azione: 1 75b Irlanda: 82 sg. 87, 1 5 1 , 224, 269 sg.
sg., 224, 269 Irochesi: 209
sua essenza: 31, 86 Irrazionalismo: 278 sg., 280 sg.
come "il tre": 154 Islam: 60, 251 sg.
come "le Madri": 157 sg. Israele: 19 sg., 210 sg.
Grecia: 45, 49 sg., 5 1 , 77, 85, 1 1 2, 154, 163, Istambul: 86
182, 218 Italia: 90, l 02, 123
323
INDICE ANALITICO
Labirinto: 83, 165, 1 67, 175 Matriarcato: 23, 32 sg., 191 sg., 195, 204
Labrys: 66, 83, 14 7, 166 sg., 1 7 1 sg., 1 65 Matrimonio: 22, 192, 195
"La donna pingue di Malta": 166 Matrimoni tra fratello e sorella: 30, 33
Lannor Baden: 65 "Matronae": 153, 157, 270
"La Roche aux fées": 70 Maya: l09
"L'asino d 'oro": 25 sg. Mecca: 60, 252
Lascaux: 46, 49 sg., 83, 168 Megaliti: 72
Lastra sepolcrale di Castelluccio: 125 Mela: 126-128, 136 sg., 147, 189, 2 1 6, 22 1 ,
Laussel: 48, 263 228, 23 1 , 257, 263, 268
"l..egenda aurea": 129 "Mel Beniguet": 71, 104
Leggenda di Tanaquilla: 195 sg. Melograno: cfr. mela
l..em no: 20 l , 205 Menadi: 38, 60, 80, 177
l..enee: 38, 80 Menhir: 68, 65, 68, 73
l..es Eyzies: 47 sg. Mesopotamia: 20, 45, 49, 87, 167, 190
"Le Madri": !57 Mestruazione: 144 sg.
Leggenda di Enea: 122 sg. Messico: 167
Leggenda di Melusine: 30 sg., IO! "Metamorfosi": 27 sg, 29
Libia: 1 9 1 , 209 Micene: 94, 1 64
Libido: 169, 209 Midian: 235
Licia: 35, 1 75, 193, 221 "Midrasch": 212, 229
Languedoc (Linguadoca) : 68, 91 Miele: 221
Linguaggio immaginifico: 3 1 Minotauro: 167, 168 sg., 1 69, 175 sg.
l..ocmariaquer: 64 Misoginismo: 210 sg., 227-234, 238, 242 sg.,
Loreley: 154 250-253
Loreto: 257 Misteri di Demetra: 133-144, 225
l..ourdes: 97 Miti della creazione: 15, 1 8 , 33, 36 sg., 229,
Ludi taurici: 168 sg., 175 232 sg.
Mito: 12, 28, 3 1 sg., 1 80, 187, 279 sg.
Mito del peccato originale: 228, 231 sg., 260
"Mabinogion": 142, 147 sg. Mito dei Cesari: 122 sg.
Macomer: 89, 95 sg., 104 Mito di Adamo ed Eva: 127
Madaura: 27 Mito di Dedalo: 176 sg., 178 sg.
Madonna vedi anche Maria Mito di Eva: 230 sg., 232 sg.
"Madonna del latte": 260 sg. Mito di lside-Osiride: 31 sg.
"Madonna del Parto": 264 Mnajdra: 75
"Madonna delle messi": 266 sg. Moabiti: 107
"Madonna Nera": 258 Moire: 155 sg., 182, 238 sg.
Madre-Monte: 162 Moissac: 243
"Madre Natura": 214 sg., 217, 220, 221 "Monna Mondo": 243 sg.
"Madre Terra": 42, 66, 74 sg., 207 sg., 214, Monoteismo: 20, 27, 229 sg., 234, 251 sg.,
274, 276 276 sg.
Maiale: 142 sg. Monte Ida: 1 6 1 sg., 165, 173
Malecula: 143 Monterchi: 263 sg.
Malocchio: 103 Monte Sinai; 235
Malta: 49, 58 sg., 61, 66, 7!HI7, 90, 102, 1 6 1 , Monti: 1 6 1 sg.
163 Morbihan: 61
Mantello della Madonna: 298 sg. Mummificazione: 221
Maometto: 250 Muse: 183
Mare: 1 18, 257 Musica: 32, 35, 48,
Maria: 88, 64, 97, 198, 255-268, 272
Maria con Gesù Bambino e Sant'Anna: 268
sg. Natura: cfr. "Madre natura"
"Maria nella speranza": 262, 266 Nasso: 45, 1 1 2
Mari: 256 Neandertal: 46
Marmitte: 65, 66 sg. Navigazione neolitica: 68
"Martello delle streghe": 247 sg. Necropoli di Sant'Andrea: 89
Marxismo: 237 Neoplatonismo: 208
Materia: 50 New Grange: 82 sg.
Maternità di Dio: 209 sg. Nereidi: 1 5 1
"Matière de Bretagne": 2 1 6 sg. Nimes: 1 77 sg.
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