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titolo originale

DER KULT DER GROSSEN MUTTER


Schauphitze einer mythischen Welt

in copertina:
IDOLO FEMMINILE IN lARDITE DEL VI MILLENNIO A.C.
(Museum fii r Vor- und Friihgeschichte, Berlin)

l" Ristampa 2003

© 1993 by Langen Miiller


in der F.A. Herbig Verlagsbuchhandlung GmbH,
Miinchen

© ECIG- Edizioni Culturali Internazionali Genova


s.a.s. di G.L. Blengino & C.
Via Brignole De Ferrari, 9- 16125 Genova
l' Edizione 1995 - ISBN 8S.754:..662-3
Franz Baumer

LA GRANDE MADRE
SCENARI DA UN MONDO MITICO

traduzione di GIUSEPPINA QUATIROCCHI

ECIG
edizioni culturali internazionali �renova
Indice

Prefazione .... .. . . . . . . . . . . . . . . . . . ............. ...... . . . . . ... ...... .... ... . .. ........ . . . . . . . . 11

U n dramma dell'antica Atene . ... .... . .


....... ... ............................. 15

II Metamorfosi del mito ................................ . .................. ... . 25

III Agli albori della preistoria . . . . . . . . . . . . . . . ............ . . . . ........................ 41

IV Testimoni di pietra ................................................................ 59

V I templi della dea nell'età della pietra.................................... 75

VI Templi a cisterna e luoghi sacrificali ............ .. ..


... . .... . . .. .. .... .. .. 89

VII In potere di Mrodite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .................. . . . . . . . . . 111

VIII Il mondo dei misteri ....... .. .. . .. ..


.... .. .
......... .... . .......................... 133

IX La dea minoica della terra e dei serpenti .. ...... .


... .... . ..... .. ....... 161

X La vittoria sul serpente . .


...... .......... ........................................... 181

XI Le amazzoni, creature di un'epoca di transizione.................. 201

XII Dalla detronizzazione della Dea Madre alla credenza nelle


streghe ........ ............................................................................... 22 7

XIII La Dea Madre nella religi one del padre ..................... ...... .. .... 255

XIV Un ritorno alla Grande Madre .


.................... ........ . . . . . .... .. . .
. . .. . 2 73

Illustrazioni ........................... . . ... ....... .. ...... .. .. . .. .... ... . .. ....... . . . 285

Note e citazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..... . . . . .... 303


Bibliografia . . .
........... ..................... ..................... ...................... . 311

Indice analitico .. .... . . .


.......... ....... .... ........................................... 315

7
"Antiquam exquirite matrem!"
Ricercate l'antica madre!
VIRGILIO

"Solo la Grande Madre permane


Dalla quale deriviamo.
Il suo dito fSiocoso traccia
nel! 'aria fuggevole i nostri nomi"
HERMANN HESSE
Prefazione

Il culto di una Grande Madre e Dea della Fertilità accompagna


l ' uomo sin dai primordi. Già nell 'età della pietra monumenti gigan­
teschi, templi e idoli femminili in gran numero annunciano il potere
della Magna Mater che un tempo governava nel segno della luna e
controllava sia le maree che il crescere e il calare della vita, il ciclo di
morte e rinascita.
Nel corso dei millenni la divinità femminile assunse molteplici
aspetti. Sempre però incarnò la vita nella sua polarità e completezza.
Per questo motivo dai suoi numerosi sembianti a noi si rivolge sem­
pre il principio unico, primigenio in cui ravvisiamo l'enigma della vi­
ta e in esso, a nostra volta, riconosciamo noi stessi. Molto prima dei
tempi nostri, con una rivoluzione cul turale senza pari, la religione
matriarcale venne sostituita da quella patriarcale. Al posto dell'antica
dea comparvero divinità maschili che ne usurparono il trono. Argo­
mento di questo libro sono quel drammatico evento e tutte le sue
conseguenze ancora oggi attive. Il nostro mondo dell 'hig-tech, domi­
nato dal principio maschile con le sue sempre imperscrutabili strut­
ture, perdite di identità e di orientamento, ha generato un clima da
cui non scaturiscono quasi più risposte agli elementari interrogativi
esistenziali, perché è venuta a mancare la cassa armonica dell'ele­
mento materno-femminile contraddistinto dal principio di conserva­
zione e su se stesso fondato, nel quale anche la forza dell'amore ha
tempo di evolversi. Nel frattempo si è sviluppata una teologia femmi­
nista che tenta di colmare il vuoto riallacciandosi alla religione primi­
genia della Grande Madre. Anche se quest'opera può venire intesa
come un omaggio all "'Eterno Femminino" e ad Afrodite, tanto a lun­
go demonizzata nell 'ambito culturale cristiano, non è questo che si
propone. L'autore si sente infatti troppo in obbligo verso i valori del­
l'illuminismo per non rispettarli, proprio perché oggi, nella ricerca

Il
PREFAZIONE

di significato e di divino, bandirli è quasi diventato una moda per


ambedue i sessi.
Attraverso l' immagine della Grande Madre si tenterà invece di de­
cifrare il linguaggio del mito, per riscoprire e richiamare alla memo­
ria le dimenticate origini dell'esistenza umana, onde favorire modifi­
che esistenziali e conoscenza di sé.
Per le lettrici e i lettori questo potrà assumere le connotazioni di
un'awentura, di un viaggio stupefacente attraverso lo spazio e il tem­
po. Dato che religione e mito nascono dalla medesima sfera magica
della psiche, chiunque si awenturi in tale viaggio esplorativo deve ov­
viamente essere pronto a incontrarsi di continuo con le figure appa­
rentemente più sconosciute quasi fossero parenti stretti.
È stato l' argomento stesso a far decidere l'autore per il metodo
descrittivo adottato. A somiglianza della Grande Madre, che in tutto
il mondo si presenta come la grande tessitrice, come colei dalla qua­
le partono e alla quale ritornano tutti i fili della vita, anche questo li­
bro è un "tessuto". In un disegno fittamente intricato esso intreccia
numerosi temi nonché molteplici aspetti della Dea stessa. A causa di
questi intrecci spaziali e temporali, per loro natura fondati sul culto
della Grande Madre, non si è tenuta presente la suddivisione geogra­
fica del materiale, tanto esteso da assomigliare a una storia infinita.
Solo le culture delle isole di Malta, Sardegna, Sicilia e Creta costitui­
scono il nucleo di un capitolo a sé, anche se più ampio e diversamen­
te intitolato, e sono facilmente reperibili nell 'indice analitico degli
argomenti e delle località. La stessa cosa vale per i nomi di dee e dèi
che vengono riportati in gran numero, anche se ricondotti ripetuta­
mente al comune denominatore della Grande Madre. Dato che gli
sviluppi religiosi e storico-culturali hanno visibili ripercussioni anche
sull' architettura, la pittura, la scultura e la poesia, è stato giocoforza
inserire in questo saggio il maggior numero possibile di esempi. Va
ricordato in proposito che lo stesso sistema è stato seguito, in parte,
nel precedente libro del! 'autore, Konig A nus und sein Zauberreich (Re
Artù e il suo regno incantato) che si occupa sia della ricerca del
Graal, sia del culto medievale della poesia amorosa, con le belle don­
ne, le fate e le regine sino alle loro origini religiose nella triade fem­
minile della preistoria. Alcuni di tali temi verranno ripresi in questa
sede per spiegare la soprawivenza della cultura e delle concezioni
matriarcali nella tradizione letteraria che un tempo ha fecondato tut­
ta Europa.
Cauto sarà in quest'opera l'uso del termine "matriarcato". Non è
certo, infatti, che sia mai esisitita una società a chiara predominanza
femminile in materia di religione, costumi, gusto, successione o scel­
ta del domicilio - si parla di "matrilocalità" quando quest'ultimo vie-

12
PREFAZIONE

ne stabilito in base al luogo di provenienza della donna - e che ella


abbia esercitato una simile "autorità femminile" anche nel senso di
un effettivo esercizio di potere. A tutt'oggi non è stato possibile di­
mostrarlo in modo definitivo sulla base dei risultati delle ricerche ar­
cheologiche. Persino gli stessi re sacri al servizio della divinità femmi­
nile, quali ad esempio i potenti dominatori del mare della Creta Mi­
noica, per tutta la durata del loro regno compaiono in veste di prin­
cipi autarchici, anche se il trono è stato loro conferito dalla regina o
dalla somma sacerdotessa che, simbolicamente, rappresenta la Gran­
de Dea. La stessa cosa vale per i faraoni. Nonostante la successione
matrilineare e il culto della grande Iside-Hathor, indiscussa regina
del cielo, anche questi ultimi, una volta divenuti re, esercitavano un
pieno potere personale. Si preferisce quindi parlare di culture ad im­
pronta o indirizzo femminile e si ricorrerà al vocabolo "matriarcale"
e "matriarcato" in tale accezione, tralasciandone la connotazione po­
litica.
Per contro ci si occuperà a fondo del concetto di "Grande Femmi­
nino", introdotto da Erich Neumann, che nella sua classica opera psi­
coanalitica sulla Grande Madre lo colloca alla base di una "fenome­
nologia delle figure femminili dell 'inconscio".
È impossibile capire l'essenza della Grande Madre, i suoi culti e i
messaggi provenienti dal mondo del mito, senza scandagliare le re­
condite sfere della psiche. Per questo motivo l'analisi si avvale spesso
del concetto di "archetipo", col quale si intende l'insieme delle espe­
rienze psichiche e dei contenuti di fede relativi alla creazione del
mondo e alla sua fine, alla morte e alla rinascita, all 'importanza di
determinate piante ed animali, alle costellazioni, ai mari e alle divi­
nità, straordinariamente simili pur provenendo da popoli diversi che
è probabile s'ignorassero del tutto. Argomenti che coincidono alla
perfezione con la Grande Madre. Ella spinge a ricercare sempre nuo­
vi indizi che portano a rinvenire tracce della sua sopravvivenza sia in
epoca patriarcale, sia in età cristiana, e nel culto della Madonna.
Il fascino della Grande Madre sta nella sua universalità. Tuttavia
neppure anni di studi e di permanenza nelle sue antiche sedi cultua­
li, che peraltro costituiscono il fondamento di questo libro, possono
dare un'immagine completa del fenomeno. S'invita quindi il lettore
a raccogliere altre tessere e tesserine di questo mosaico che si fa sem­
pre più esteso perché, così facendo, alla fine erigerà il suo edificio
personale.

13
CAPITOLO l

Un dramma dell'antica Atene

"Prima tra tutti gli dèi, nella preghiera, venero


la Terra, primitiva veggente"

Eschilo, creatore dell'antica tragedia greca, inizia così le Eumenidi,


ultima parte della trilogia di Oreste. È una sacerdotessa a pronuncia­
re queste parole dinanzi al tempio di Apollo, a Delfi, e la sua invoca­
zione è riferita a Gea, la madre primigenia della Terra, emersa agli
inizi di tutto dal nulla informe, dal vuoto, dal caos. Gea aveva poi ge­
nerato da sola sia il Ponto, il mare, materia primigenia di ogni forma
di vita, sia Urano, il cielo. Assieme a quest'ultimo la madre universa­
le, in virtù di Eros che le viveva dentro, generò la divina stirpe dei Ti­
tani. Tra le sue figlie c'è la titania Temi, dalle cui mani Giove, il som­
mo dio patriarcale dell'epoca successiva, ricevette il potere. La figlia
della Madre Terra è in stretto contatto con le leggi della natura. È re­
sponsabile dei rapporti tra i sessi e dell 'amorosa unione tra uomo e
donna. A lei, per il suo alto rango, spetta convocare le riunioni degli
dèi sull'Olimpo.
Tutto questo Eschilo l'aveva appreso dalla Teogonia, la storia della
creazione composta verso il 700 a.C. da Esiodo, il più antico poeta
greco prima di Omero.
È quindi logico che Eschilo, subito dopo i primi versi delle Eume­
nidi nomini Temi, la figlia di Gea, per prima, come colei alla quale
spetta l' onore di venire ricordata nella preghiera. Lo fa nel rispetto
di un ordine tramandato nei secoli, di una millenaria concezione del
potere della "Magna Mater", la Grande Madre, che nel mondo anti­
co, già dagli uomini dell 'età della pietra, veniva venerata ovunque
con molti nomi quale sorgente di ogni forma di vita. Con atto di
grande pregnanza, tuttavia, la preghiera alla divinità femminile viene
pronunziata da una sacerdotessa di Apollo nel santuario di Delfi. Ciò

15
CAPITOLO I

rivela che, ai tempi di Eschilo, il potere della Grande Dea era già ve­
nuto meno. Le divinità maschili avevano già strappato lo scettro alla
cosmogonica madre universale che un tempo, quale personificazione
della forza creatrice della natura, regnava nel segno della luna, le cui
fasi, come le maree in cui si rifletteva l'eterno ritmo dei corsi e ricor­
si, del ciclo della morte e del rinnovamento, obbedivano alla Grande
Madre della religione primordiale.
Eschilo, il wande tragico che aveva partecipato a due battaglie de­
cisive contro i Persiani, a quella di Maratona del 490 a.C. e, dieci an­
ni dopo, alla battaglia navale di Salamina, aveva quasi settant'anni
quando nel 458 a. C., un anno prima della sua morte, l' Orestea venne
rappresentata per la prima volta.
I cittadini che si radunarono nel sacro recinto di Dioniso ai piedi
del roccioso pendio dell'Acropoli per assistere alla tragedia del famo­
so drammaturgo, nell'anfiteatro allestito ancora con panche di le­
gno, furono testimoni di un decisivo cambiamento nella generale
concezione del mondo e della religione. Lungo la schiena degli spet­
tatori deve essere corso un brivido mentre, in un inquietante dialogo
dell'uomo con la divinità e con un incomprensibile destino, si consu­
mavano gli orridi avvenimenti di questa trilogia: l'uxoricidio di Cli­
tennestra nell'Agamennone, il matricidio di Oreste nelle Coefore e il
processo nelle Eumenidi che, sotto la presidenza di Pallade Atena, si
conclude con l'assoluzione del matricida, fatto impensabile nei tem­
pi antichi e ancor oggi piuttosto inquietante.
Ovviamente gli spettatori erano solo uomini, nella patriarcale Ate­
ne, "culla della democrazia", le donne avevano pochi diritti, diversa­
mente da quanto avveniva a Sparta, dove invece godevano di grande
libertà. La loro vita si svolgeva entro i confini del gineceo, la parte lo­
ro riservata di quella casa su cui comandava l'uomo. Sarebbe trascor­
so solo un secolo e poi Aristotele (384-322 a.C) avrebbe dichiarato la
donna "inferiore" e "uomo mal riuscito". Bisogna quindi supporre
che le donne non partecipassero in alcun modo alla citata rappresen­
tazione ateniese, neppure in veste di attrici. I ruoli femminili erano
sostenuti da uomini, per lo più omosessuali che indossavano panni
muliebri. Questo però non toglie attualità alla nostra pièce.
Là si svolsero avvenimenti rivoluzionari, ma soprattutto tragici per
la Dea Terra anticamente onorata, per Gea, la madre universale che
all'inizio del dramma viene invocata "prima tra tutti gli dèi". In veste
di difensore di Oreste che, in quanto matricida, secondo l'antico rito
matriarcale viene cacciato e maledetto dalle Erinni, si presenta Apol­
lo. Anche Clitennestra aveva ucciso il marito, ma l'ucciso non era suo
consanguineo. Così disquisiscono le accusatrici, dee della vendetta e
figlie della Notte. In definitiva Agamennone aveva pur sacrificato la

16
UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE

figlia Ifigenia sull'altare di Artemide per ottenere, con l'orribile sa­


crificio, un vento favorevole alla navigazione verso Troia, ove era ap­
pena scoppiata la lotta per la bella Elena.
Tuttavia, uccidendo la madre per vendicare il padre, Oreste aveva
agito per ordine di Apollo e senza rispettare i vincoli di sangue, come
gli rimprovera con rabbia la corifea delle Eumenidi.

"Non ti recò ella nel grembo, o matricida?


Rinneghi tu il prezioso sangue della madre?"

Il dialogo, in cui si inserisce nuovamente Apollo, arriva ora al suo


culmine. Per la prima volta nella storia della cultura occidentale, il
processo di trapasso dalle concezioni matriarcali a quelle patriarcali
durato millenni si esprime nella magìa verbale della lirica. E lo fa in
ossequio alla presunzione maschile! Per quanto grande sia la potenza
espressiva e la costruzione della leggenda mitico-arcaica di Eschilo,
dal punto di vista biologico il tramonto, celebrato nell ' Orestea, della
predominanza materno-femminile a favore del rilievo assoluto attri­
buito alla paternità e al ruolo dominante del maschio, da essa deriva­
to, sembra assurdo. Apollo scagiona Oreste dalla colpa di matricidio
sostenendo una tesi mostruosa: negando qualsiasi legame di sangue
tra madre e figlio.
All'ombra del santuario di Atena, appena ricostruito sul pianoro
dell 'Acropoli dopo le vittorie sui Persiani, nello splendore dell'"età
di Pericle", dalla bocca del dio delfico della luce che, come tutti gli
attori calzava alti coturni e portava la rituale maschera sul viso, gli
spettatori udirono incredibili parole:

"Non la madre crea quello che noi chiamiamo suo figlio.


È solo la nutrice di un germe appena seminato.
Colui che la feconda, genera. Ella, ospite ad ospite,
protegge il bene, sempre che un dio non l'abbia danneggiato".!li

La vita, quindi, germina solo dal seme maschile.


Già molto prima di Eschilo e non solo nell'Ellade, quando, con la
scoperta del ruolo procreante dell'uomo nell'atto sessuale, nacque il
concetto di paternità e la religione della Madre Primigenia, radicata
nella più remota preistoria, perse via via terreno, gli esseri umani de­
vono avere subito uno sconvolgimento religioso che noi ora non riu­
sciamo quasi più a comprendere. Si suppone che, con alcune varianti
geografiche e temporali, ciò possa essersi verificato nel IV millennio
a.C. Sino a quel momento esistette solo la Grande Madre, la divinità
femminile adorata con rispetto, il cui grembo nascondeva il segreto

17
CAPITOLO I

di tutte le nascite. Mare, sorgente e fiume, monte, terra, albero e pie­


tra cadevano sotto il suo dominio ed ella, incarnando il costante mo­
rire e rifiorire della natura, garantiva protezione e speranza di rina­
scere come rinascevano i frutti della terra. Ella permea anche la sto­
ria della creazione di Esiodo che include persino la partenogenesi, il
parto verginale, la generazione del mondo senza fecondazione ma­
schile. Quest'ultima subentra solo in uno stadio successivo, con Ura­
no. Tuttavia anch'egli fu generato dalla sola Gea, in virtù della sua fe­
condità femminile, senza la partecipazione di un principio maschile.
Per lunghissimi periodi, rispetto ai quali il mito di Esiodo è solo
l'alito di un attimo tardivo, non vi furono dubbi che l'origine della vi­
ta fosse dovuta esclusivamente al grembo femminile. Il potere della
Grande Madre si fonda su tale naturale premessa, e merita sottoli­
neare che le immaginifiche narrazioni dei miti della creazione di tut­
to il mondo non si discostano assolutamente dalla storia dell'evolu­
zione della vita sulla terra e dall'azione di "madre natura". Come in­
segna la moderna biologia, la natura creò le forme primordiali di vita
organica con una riproduzione unisessuale. Solo allora - e tale perio­
do, rispetto alla storia della terra, è più breve di quello antecedente -
seguì la riproduzione bisessuale.
Quando, molto tempo prima di Esiodo e di Eschilo, ancora in epo­
ca preomerica, I'Inanna sumerica, un'antica dea lunare, Madre Terra
e antenata di tutte le dee madri orientali, in un imeneo chiede: "Chi
fenderà la mia vulva, chi arerà il mio campo?" e in risposta ottiene:
"Possa, o regina, arare per te re Dumuzi",m a questo stadio del mito
viene già ammessa e riconosciuta la funzione fecondante del compa­
gno maschile, anche se non per questo deve sparire il rispetto per la
donna che partorisce e per il legame, profondamente radicato nell'in­
conscio, con l' essenza della maternità. In un primo tempo, nonostante
la paternità sia ormai riconosciuta, la divinità femminile può continua­
re a sussistere nella sua maestà. Essa si fonda sulla natura della donna
che, in quanto madre reale o potenziale, è sempre colei "che contie­
ne", mentre l'uomo può essere solo "contenuto". Jean Markale, studio­
so dei Celti, crede addirittura che questa inferiorità biologica possa
spiegare l'attività e la combattività maschile che avrebbero lo scopo di
negare tale realtà e di compensare la propria posizione di debolezza.
L'atteggiamento protettivo della madre che si estende indifferente­
mente su uomo e donna non viene toccato. Esso trovò commovente
espressione anche nell'immagine cristiana del manto della Madonna.
Per lungo tempo è dalle mani della dea o della regina sacra che
l'uomo riceve lo scettro del potere. Neppure Eschilo osò proclamare
la sua tesi rivoluzionaria senza premettere alla tragedia la commemo­
razione orante della Madre Terra. In molti popoli, accanto a una

18
UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE

concezione di vita estremamente patriarcale e a una religione al ser­


vizio della volontà di conquista maschile, vive una cultura fondata
sulla venerazione del "Grande Femminino". Essa presenta il re come
eroe della Grande dea, figlio e amante, col quale ella celebra le "sa­
cre nozze". La stessa cosa vale per Inanna e Dumuzi, i cui principali
centri di culto erano siti a Ur e ad Accad. Dopo un cammino doloro­
so la protettrice di tutti i re sumeri strappa, alla fine, Dumuzi, il suo
"aratore", il "buon pastore" e santo re del paese, anche alle porte de­
gli inferi. La storia di questi due ha moltissime analogie col mito egi­
ziano di Iside e Osiride. In quanto variante dell'universale dea della
fertilità, Inanna è capace di molte trasformazioni, e parimenti Dumu­
zi, il cui successore babilonese fu Tammuz-Marduc.
Eschilo comunque non è il solo a sostenere, ai suoi tempi, una
concezione rigorosamente patriarcale e ad esaltare il "germe semina­
to" dall'uomo. Un inquietante parallelo ci viene offerto addirittura
dalla Bibbia.
Nell'Antico Testamento, composto nel v secolo a.C. dallo scriba
Esra e da altri centoventi saggi e frutto di un secolare processo evolu­
tivo - conclusosi solo verso l'anno 100 a.C. - nel Pentateuco, per esat­
tezza nella Genesi, si parla dell'alleanza con Abramo. Preoccupato
della sua sovranità assoluta, Jahwe:Jehowa dice al capostipite d'Israe­
le: "Guarda il cielo e conta le stelle; riesci a contarle? e aggiunse: così
sarà la tua progenie" (Genesi 15, 5). E continua: "Quel giorno il Si­
gnore strinse un patto con Abramo e disse: voglio dare alla tua pro­
genie questa terra, dal fiume d'Egitto sino al grande fiume Eufrate."
(Genesi 15, 18).
È dunque Jahwe che concede fertilità, non una delle Grandi Dee,
ed egli la concede all'uomo, l ' unico con cui stringe il suo patto,
escludendo le donne. In cambio pretende di venire adorato come
unico Dio: "Stabilirò il mio patto tra te e i tuoi discendenti dopo di
te ... perché sia un patto perpetuo, così che io sia il Dio tuo e della
tua progenie dopo di te ... darò a te e ai tuoi discendenti dopo di te la
terra in cui abiti ora come straniero, tutta la terra di Canaan, in pos­
sesso perpetuo, e sarò loro Dio" (Genesi 17,7-8) .
Il patto maschile è suggellato da uno specifico rituale della massi­
ma significanza sessuale: "Ma questo è il mio patto, che dovrete ri-

* Qui ed ogni volta che verrà fatto un riferimento biblico mi discosterò, non
nel testo, ma semplicemente nel riferimento, da quello dell'autore che segue una
Bibbia protestante. Ogni qual volta tra il testo della Bibbia in italiano, ed. Paoli­
ne, e il testo tedesco ho riscontrato discordanze ho preferito tradurre alla lettera
la versione tedesca onde consentire la massima comprensione dell'opera dell'au­
tore (N.d.T).

19
CAPITOLO I

spettare tra me e voi, cioè la tua discendenza dopo di te ... ogni ma­
schio tra voi sia circonciso ...
Voi circonciderete il prepuzio della vostra carne. E questo sarà il
segno del patto tra me e voi" (Genesi 17, l 0- 1 1) .
Come Apollo nell 'opera eschilea disconosce alla donna la mater­
nità biologica, dato che non la vede come genitrice del figlio, ma co­
me ospite e nutrice del seme del suo fecondatore, così Jahwe consi­
dera Sara, la moglie di Abramo, e tutte le altre donne della sua stirpe
semplici riceventi della forza paterna e solo in virtù di questa loro
proprietà le benedice. Evidentemente però, all 'epoca, il popolo di
Israele richiedeva anche altre divinità. Aveva nostalgia di dèi sensibil­
mente percepibili, di dèi che si potessero vedere e "che vadano in­
nanzi a noi" (Esodo 32, 1) . Un unico dio trascendente del quale, pe­
na la maledizione, non si dovevano fare immagini, era difficile da
comprendere. Così gli Ebrei che Mosè aveva appena tratti in salvo
dall'Egitto guidandoli verso Israele, con gli orecchini delle mogli,
delle figlie e dei figli fusero un vitello d'oro cui recarono olocausti e
sacrifici di ringraziamento e attorno al quale danzarono con grida di
giubilo. Ma quel "vitello d'oro" è connesso al Baal palestinese, a sua
volta successore di Dumuzi, e fra tello e sposo della Dea Madre
Anath. Nota pure col nome di Asherat o Astarte, ella destava Baal a
nuova vita quando, nel ritmo ciclico del dio infero Mot al cui potere
lo strappava, veniva ucciso. Simile a un sustrato mitico, questo anti­
chissimo tema del periodo arcaico delle religioni naturali è il fonda­
mento del culto della Grande Madre e Dea della Fertilità. Nella Me­
sopotamia ricca di miti, la famosa terra dei due fiumi sita tra Tigri ed
Eufrate che dicono fosse sede del Paradiso Terrestre, Anath, dea del­
l'amore e della morte, fu una delle dee che succedettero ad Ishtar e
ad Inanna. Dopo che Baal, suo sposo-fratello ed amante l'ebbe fe­
condata quale "toro celeste", venne detta anche "vacca celeste". La
danza attorno al vitello d'oro, quindi, era connessa alla venerazione
della Grande Madre, contro la quale il Dio dell 'Antico Testamento
combattè una strenua lotta.
Jahwe, che dal monte Sinai aveva osservato queste pratiche ac­
compagnate da libertà sessuali, si irritò talmente che Mosè, in quel
mentre al suo cospetto, lo pregò di avere pietà del suo popolo: "Ri­
cordati di Abramo, Isacco ed Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te
stesso dicendo: moltiplicherò la vostra progenie come le stelle del
cielo, e darò alla vostra progenie tutto questo paese come ho promes­
so, che lo possiederà in eterno." (Esodo 32, 13) .
Placato per breve tempo, Jahwe si incollerisce di nuovo. Alla fine,
per bocca di Mosè ordina a coloro che gli sono rimasti fedeli: "Cia­
scuno di voi si cinga la spada al fianco, vada in giro per il campo da

20
UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE

una porta all'altra e ognuno uccida il fratello, l'amico e il parente."


(Esodo 32,27) .
E così accadde. Un Dio crudele.
Dietro alla signoria impietosa di Jahwe va supposto un doloroso
combattimento che deve avere avuto luogo mentre il patriarcato sta­
va sostituendo le strutture della vita e della fede di stampo matriarca­

le. Il Nuovo Testamento parla della "durezza di cuore" dell'uomo


(Matteo 19,8) che assume ora il potere assoluto.
I capitoli della Genesi che trattano della progenie di Abramo, tan­
to spesso evocata, evidenziano un'evoluzione ricca di conseguenze
che va oltre i popoli, le culture e i loro ambiti esistenziali. Per un ver­
so essa portò a una religione monoteista molto evoluta e consapevo­
le, la cui importanza non si intende negare in questo libro, per altro
verso invece portò anche a una fatale degradazione della donna.
Questo è l'aspetto scandaloso del monoteismo biblico e non necessa­
riamente avrebbe dovuto esserne il frutto. Tuttavia chi regnava era
evidentemente interessato alla repressione del femminile. Essa giova­
va sia all'educazione di caste di guerrieri intese ad accrescere il pote­
re patriarcale, sia ad una casta sacerdotale parimenti concepita allo
scopo di estendere il potere.
La tarda opera di Eschilo, che si erge come una rupe sulla storia
teatrale e culturale d'Europa, si conclude col trionfo di Zeus. È lui,
"che tutto vede" e che è addirittura d'accordo con le somme potenze
del destino dei Greci antichi, le "Moire", l' effettivo vincitore della tri­
logia di Eschilo. Tuttavia la sua vittoria si fonda su un complesso di
superiorità maschile che sorpassa persino quello dello Jahwe ebraico
dell'Antico Testamento.
Nelle Eumenidi Apollo corona il suo discorso a favore del matrici­
da Oreste con questa prova:

"Si può essere padre anche senza madre. È accanto a noi presente,
Un testimonio, la figlia dell'olimpio Zeus,
Che non è stata nutrita nelle tenebre di un grembo,
Ma quale dea saprebbe creare un simile germoglio?
E quanto al resto, o Pallade, ti dico
Che voglio elevare la tua città, il tuo popolo"Y1

Gli spettatori avranno seguito con tensione le trattative di quel tri­


bunale divino. Probabilmente avevano già sentito che, orfana di ma­
dre, Atena, la protettrice della loro città e di tutta l'Attica, era saltata
fuori dal capo di Zeus. Così, almeno, aveva narrato Esiodo che nella
Teogonia descrive come Zeus inghiottì la sua sposa Meti perché non
gli generasse un figlio che avrebbe potuto privarlo del trono, così co-

21
CAPITOLO!

me lui stesso un tempo aveva divorato suo padre Crono e quegli a


sua volta Urano. Il timore di una simile usurpazione diede a Zeus la
vittoria sull'arcaica autorità femminile. Incorporandosi Meti, la fe­
condità della donna passò a lui. Allora egli, in possesso del potere
creatore femminile, mentre la terra tremava e tutta la natura parteci­
pava all'evento, dal proprio capo fece scaturire in tutta la sua gran­
dezza Atena. Nel linguaggio del mito, con quella nascita la Grande
Madre veniva visibilmente spodestata. Si dice che Atena abbia eredi­
tato da Zeus la saggezza e che fosse combattiva e pacificatrice, pro­
teggesse e favorisse le arti, amasse gli stratagemmi bellici e la diplo­
mazia. Inoltre donò all 'Attica l'albero dell'olivo e agli esseri umani le
trombe di guerra e il flauto, l'aratro e il telaio.
A lato di quale dio si schiererà in questa circostanza? La "Occhi di
civetta", come la chiamava Omero a causa della sua saggezza, godeva
di potere decisionale in caso di parità di voti. In gioco c'era molto
più che l' affermazione del ben più tardo principio giuridico "in du­
bio pro reo" - in caso di dubbio a favore dell'accusato - che i Romani
avevano preso da Atene. Qui a cozzare una contro l' altra erano due
visioni del mondo. Quale delle due avrebbe vinto? Se pure il pubbli­
co non era consapevole della portata di simile decisione, cionono­
stante tra le sue fila deve essere serpeggiato un mormorio di approva­
zione o di delusione all 'udire dall'orchestra le parole di Atena. Già
prima della conta dei voti ella si era dichiarata a favore degli argo­
menti di Apollo. Ma dalla bocca della dea si udì:

"È mio compito dare ultima il voto,


Eccone dunque un altro per Oreste.
Priva di madre soglio favorire
Sempre con tutte le mie forze l'uomo -
Fuor che nelle nozze. E sono tutta del padre".

I seguaci degli antichi culti della femminilità, che fiorivano anco­


ra ovunque, devono averle ritenute parole di tradimento.
In quanto figlia del greco dio del cielo, del Padre degli dèi e degli
uomini - che da tempo ormai aveva dimenticato la propria genealo­
gia matriarcale in base alla quale era figlio di Rea, la cretese Dea del­
la Terra, una delle figlie della Madre Universale Gea -, in quanto fi­
glia senza madre di Zeus, il sommo regnante deii'Oiimpo, molto coe­
rentemente, ad Atena il matricidio non pesa più di quello perpetrato
da Clitennestra contro il proprio sposo, che era pur stato "il capo
della casa". Fatto lo spoglio dei pareri che, pro e contro, sono effetti­
vamente pari, Atena annuncia:

22
UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE

"L'uomo è assolto dal delitto di sangue". «J

Una sconfitta del matriarcato di non indifferente portata. Un 'e­


norme perdita di potere della dea della fertilità! Quasi fosse una sor­
ta di preludio, questo testo è iniziato col dramma svoltosi nell'antica
Atene che nel v secolo a.C. inferse un sì grave colpo al culto della
Grande Madre, perché ciò a cui, parallelamente all'Antico Testamen­
to, diedero voce Eschilo e il mito greco è un esempio dell' usurpazio­
ne delle concezioni religiose matriarcali e delle condizioni di vita ret­
te dal principio femminile perpetrata, in tutto il mondo e secondo lo
stesso modello, dal nascente patriarcato. Sulle orme della Grande
Madre, tuttavia, l 'essenza di tale principio si staglierà sempre più niti­
damente contrapponendosi alle divinità maschili. Ma nonostante
sembri che l'Atene patriarcale le abbia inflitto un colpo mortale, la
Grande Dea è sopravvissuta.

23
CAPITOLO II

Metamorfosi del mito

Il poeta romano Apuleio, vissuto nel n secolo a.C., ha dedicato


l'ultimo capitolo del suo famosissimo romanzo L 'asino d'oro all 'egizia
Iside, una delle numerose incarnazioni della Grande Madre. L'eroe
del romanzo, Lucio, un giovane greco, chiede aiuto alla dea e riceve
la grazia della sua apparizione. In quel frangente ella si presenta co­
me la femminile creatrice del mondo dai molti nomi:

"Vedi, la tua preghiera è giunta sino a me, Lucio, io ti sono apparsa, io, la
Madre della creazione, Cellula Germinale della successione delle generazio­
ni, somma Divinità, Regina degli spiriti, Signora del cielo e Quintessenza de­
gli dei e delle dee, al cui cenno obbediscono il più alto dei cieli radiosi, l'a­
zione benefica del mare e il compianto silenzio infero; un'Entità dalle molte
forme, onorata con varie usanze e con diversi nomi da tutto l'orbe terrestre".

E poi enumera tutte le sue ipostasi:

"Colà, gli antichi frigi mi chiamano Madre degli dèi di Pessino, qui gli in­
digeni attici Minerva cecropia, là i cipri circondati dal mare, Venere di Pafo,
i cretesi armati di frecce, Diana dittinica, i siculi che parlano tre lingue, Pro­
serpina stigia e gli antichi eleusini, Cerere attea! Altri mi chiamano Giunone,
altri Bellona, questi Ecate, quelli Tanusia e gli etiopi di ambedue le terre sa­
lutati dai primi raggi del sole che sorge e gli Egizi, famosi per la loro anti­
chissima saggezza che mi venerano con usanze particolari, mi chiamano col
mio vero nome: regina Iside!".nl

Alla fine la Grande Dea restituisce sembianti umani a Lucio, tra­


sformato per propria colpa in asino e lo consacra suo sacerdote.
L'opera allegra e burlesca nelle prime dieci parti, ha un capitolo
conclusivo di carattere mistico - basato su un imperativo filosofico: se
vuoi trovare nel divino il senso della vita, liberati della tua natura ani­
malesca.

25
CAPITOLO Il

Iside avvolta in un manto di


ISIDIS stel l e , adorna di spighe d i
Magnz Dcorum Matris grano e di una corona d i ser­
A P V L E l A N A D E S C R l P T T O. penti, regge in una mano il si­
&1lp�c� stro e nell'altra un recipiente
(n, ....,. x-'• ..... .,M.,,.,. J[J, . per l'acqua (che simbolizza
.-.,...�.;- �;;;;�
; l'azione fertilizzante del Ni­
MueJ:=&�...
w..
Bl�·:';.'::.t:,��: lo). A sinistra l'elenco dei no­
r...... ritti �c.....
da•i•aana..l. mi della dea, a destra quello
CC Tlllllolll.•i.. Iu·
•• 1r. hcrbu , 6: dei suoi simboli. I ntaglio in
pLiart�-
D Ctrcrnfrtnbohun. legno fatto realizzare da Ata­
JliJ ••i• rp•cu tn.
IIC'IIil.
E .,ru •••cnit ....1.
nasio Kircher nel 1652 a Ro­
ril:alor • ID&ki(ar•
•••l.u•facit•­
ma sulla base della descrizio­
F la•ari8&a..-•••· ne di Apuleio.
G DeMilli•• il am­
•lanpuWiia.
H •••iDtl•a��n.
l Cc1ial Nlli malo­
•••••�•­
&J•cr...•nllrc&.­
cre..uaL•u·
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M bu tU rldlrt...•
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.......,.

":'•urquc...ol
AlroouM Do111int.
U. O•nL.••un•it.
> }Trrr•
Do.. IQJ,

In questa antica opera poetica vi è l'accenno ad arcaici riti inizia­


tici che ai tempi di Apuleio, evidentemente, venivano ancora celebra­
ti in onore di Iside. "Può essere, lettore desideroso di sapere" ci co­
munica l'autore per bocca del suo protagonista, "che tu voglia sapere
ciò che si diceva e si faceva in quella sede; te lo direi se mi fosse con­
cesso saperlo; lo sapresti, se ti fosse concesso saperlo." Per non tene­
re troppo sulla corda i suoi lettori, rivela quanto sembra gli sia con­
cesso dire. Parla di varcare "la frontiera tra vita e morte", di tuffarsi
negli orrori del Tartaro e della conclusiva rinascita nella bianca luce
di una mezzanotte di plenilunio. In quel mentre l'adepto vedrà tutti
gli dèi del cielo e degli inferi.
Nei misteriosi templi della Grande Madre e Dea dell 'Amore tutti i
riti iniziatici si svolgono secondo tale schema. Tutte le creature ren­
dono omaggio a lei "Madre degli astri, Creatrice dei tempi e Signora
di tutto l' universo"Y1
Come poeta e retore Apuleio raggiunse una tale fama che gli ven-

26
METAMORFOSI DEL MITO

nero erette statue mentre era ancora in vita, e sui contorniati, le mo­
nete commemorative di tarda epoca imperiale, di bronzo e simili a
medaglie, venne incisa la sua immagine. Visse tra il 125 e il 180 d. C.,
originario di Madaura in Numidia, la provincia nordafricana dell' im­
pero romano che due secoli dopo, a Tagaste, diede i natali ad Aure­
lio Agostino, il grande padre della Chiesa, il "padre dell 'occidente
cristiano" che spesso definisce Apuleio un mago. Di fatto, nel 158 il
poeta dovette difendersi dall 'accusa di magia. Come Virgilio, il gran­
de mago della parola, anch'egli con la sua potenza linguistica aveva
suscitato la diffidenza dei suoi superstiziosi contemporanei. Merita
notare quanto sia minuzioso e istruito Apuleio, che s'intendeva an­
che di scienze, storia e filosofia - è di suo pugno un importante tratta­
to su Platone - nel descrivere il culto di Iside. Tuttavia il suo modello
letterario era Ovidio, nella cui opera poetica troviamo la Grande Ma­
dre ancora viva sotto le spoglie della dea egiziana. Lo scrittore della
libera Ars amatoria, l'antico manuale dell'arte d'amare, all'inizio del­
l'era cristiana aveva scritto anche le Metamorfosi, una delle opere più
famose della letteratura mondiale. In una di quelle 250 storie di tra­
sformazioni, Iside aiuta una coppia che arde di amore senza speranza
a raggiungere la piena felicità. Si tratta di un'antica trasformazione
sessuale: la bionda Iante di Festo a Creta è amata e ricambia con non
minore ardore Ifi, che con suo dolore è nata donna. Iside la trasfor­
ma in uomo. Mentre avviene il miracolo tremano le porte del tempio
e l'altare della dea, che si manifesta con "la falce lunare e spighe di
giallo oro splendente" per diadema.
In altra occasione la "Santa Madre degli dèi" salva le navi in fiam­
me dei troiani. Ordina ai Titani dei venti di strappare le gomene di
lino intrecciato della flotta e di portare le navi in alto mare per tra­
sformarle colà in divinità naturali dell'elemento liquido. Ogni scafo
di nave si muta quindi "in corpo vivente, in una bella testa si trasfor­
ma ogni poppa, in dita di piedi e gambe di nuotatori i remi. Ciò che
già prima erano restano i fianchi, ma la chiglia che si trova al centro
e sotto la nave, serve solo, tramutata, come spina dorsale. Le gomene
diventano capelli fluttuanti, alberi delle vele, braccia. Verdeazzurro,
come prima, resta il colore di coloro che hanno subìto la trasforma­
zione che, ninfe marine, giocano con impeto fanciullesco tra le onde
un tempo temute".
Non scordando i pericoli del mare in tempesta sorreggono "spes­
so con le loro mani le navi sballottate in qua e in là".
I racconti fantasiosi sono interessanti, non da ultimo perché in es­
si, all' interno di una realtà sociale da lungo tempo con traddistinta
dal patriarcato, si inserisce il ricordo della maestà della Grande Ma­
dre. Dalla storia per prima riportata, che inizia poco prima della na-

27
CAPITOLO Il

scita di Ifi, si deduce quanto rigoroso fosse il potere patriarcale nel­


l 'antica Roma dei tempi di Ovidio. Il "pater familias" romano rivol­
gendosi alla futura madre dispone di vita e di morte: "Ho due deside­
ri: primo che tu partorisca senza dolore e secondo che mi generi un
maschio. Se accadesse diversamente, il carico per noi sarebbe troppo
grave. Il nostro destino ci nega i mezzi. Qualora, quindi, il cielo non
voglia, tu partorisca una bimba - a malincuore lo pretendo e tu, Dea
della Pietà, perdonami! - sia messa a morte!" 1'1
Ai tempi di Ovidio da tempo si ricorreva al mito sotto l'egida di
un patriarcato sostenuto dall'avallo della divinità femminile. In defi­
nitiva, il miracolo che Iside compie su Ifi va a vantaggio dell'ordina­
mento della società patriarcale. In tempi di scarsa fede quali quelli
successivi alla trasformazione della religione della madre in religione
del padre, tutto il cielo degli dèi, tranne il supremo Zeus tonante,
preceduto però dalle divinità femminili, può decadere a semplice or­
namento poetico.
Probabilmente già l'autore dell 'Orestea aveva dei dubbi sulle tradi­
zionali figure divine. Sfuggì di misura a una denuncia per "errori di
forma" presenti nella sua opera. Dall'esempio di Socrate, che per
"bestemmia" fu costretto a bere la coppa di cicuta, si può dedurre co­
sa ciò avrebbe significato. Già un precursore di Eschilo, il filosofo e
poeta presocratico Senofane, si era beffato del panteon antropo­
morfo dei Greci ed aveva condannato la mitologia di Omero e di
Esiodo che nel comportamento divino riproduceva tutti i vizi e le
umane debolezze. Egli predicava già una divinità "tutt'occhi, tutto
spirito, tutt'orecchi" in nessun modo paragonabile all' essere umano.
Quel monoteismo non era connesso a una struttura logica, matriar­
cale o patriarcale che fosse. La divinità, superiore alla sessualità, per­
vadeva l'universo come qualcosa di eterno, di immutato e di immuta­
bile. In quell'immagine del mondo contraddistinta da una connota­
zione religioso-panteistica, priva del pathos di una esaltazione ma­
schile gravida di conseguenze, si annunziava una consapevolezza, no­
nostante tutta la sua grandezza artistica, più ricercata di quella che
troviamo in Eschilo. Eppure le correnti di pensiero si suddividono in
molti rivi. Mentre in un luogo e in un certo periodo sconvolgono le
concezioni tramandate, in altra sede, subito o successivamente, por­
tano allo sviluppo di nuovi miti o ne ridestano altri scordati.
Non molto tempo dopo la rappresentazione dell 'Orestea Platone
dichiara Atena, la figlia prediletta di Zeus,prototipo dell'onnipotenza
patriarcale, un'incarnazione dell'egizia madre primigenia Neith, di
molto più antica. E singolarmente, la visione che hanno gli uomini
della Grande Dea del Nilo negli antichi miti è, per sua essenza, molto
più vicina alla superiore divinità dei presocratici che la sua discen-

28
METAMORFOSI DEL MITO

dente patriarcalmente infiltrata nell'ambito di potere di Zeus, quale


l 'ha messa in scena il grande tragico. Ella viene definita:

"Padre dei padri, madre delle madri,


colei che è, che è esistita dall'inizio ..
Madre dell'aurora,
creatrice del tramonto,
esistente quando nulla esisteva,
e creatrice di
ciò che dopo di lei è stato". l<>

Nel tempio di Sais, la capitale del delta del Nilo occidentale, c' era
un 'immagine velata della dea. Pare che quel santuario di Neithotep,
una sposa di faraone, sia stato costruito già nel IV millennio a.C. Con
le varianti dovute ai tempi e ai luoghi, Neith non assomiglia solo ad
Atena, ma anche all'egizia Athor e ad Iside.
Se si presta orecchio al linguaggio del mito, ella si manifesta co­
me strumento di costante trasmutazione e trasformazione, come
espressione di un 'intuizione dell'essenza dell'Unità primigenia che si
estrinseca nella molteplicità. È per questo che Apuleio, in un primo
tempo, al suo romanzo diede il titolo molto più calzante di Meta­
morphoseis- metamorfosi.
Che nel v secolo a.C. il mito della nascita di Atena dalla testa di
Zeus non facesse parte del patrimonio mitologico ellenico generale è
comprovato da Erodoto, il primo storico greco. Nel secondo libro
delle sue Storie riferisce di un viaggio che lo condusse in Egitto nel
430 a.C .. Nella narrazione è ovviamente quasi impossibile distinguere
la finzione poetica dal vero. Gli ultimissimi studi non danno neppure
per certo che Erodoto si sia davvero recato nella terra dei faraoni.
Tuttavia, anche se molti elementi delle sue descrizioni sono frutto
d'invenzione o di sentito dire, la narrazione riflette le opinioni dei
suoi contemporanei che non avevano ancora accettato come ovvia la
destituzione della Grande Dea Madre. Altrimenti Erodoto non avreb­
be potuto confrontare il santuario di Iside a Sais con quello di Atena,
conferendo così alla protettrice di Atene il rango di Grande Dea pri­
migenia. Egli lo fa parlando della tomba di Osiride e dicendo che si
trova "presso Sais, nel santuario di Atena, dietro il tempio, lungo la
parete che chiude tutta la sacra dimora di Atena". 15> In quest'occasio­
ne veniamo a conoscere anche l'architettura del tempio. Erodoto
parla di porticati con colonne simili a palme, delle tombe dei re egi­
ziani Apries ed Amasi e di un grande obelisco sito nel sacro recinto.
Eretto sulle rive di un lago "incastonato tutto in tondo in un artistico
bordo di pietre, grande, mi parve, quanto quello di Delo, che viene

29
CAPITOLO Il

detto circolare come un ruota". <6> Se pure questo lago è parto della
fantasia dell'autore, l'accenno a Delo fa rizzare le orecchie. Ma l'ar­
gomento verrà ripreso in seguito.
Con tutto il riguardo dovuto al "padre della storiografia", non si
può dire che Erodoto sia stato un semplice fabulatore. Molti elemen­
ti non verificabili e finiti nella sua vivace rappresentazione, trovano la
propria realtà nel pensiero dei suoi contemporanei, nelle loro conce­
zioni di fede e nei loro miti che egli integra nella sua opera. Questo
vale soprattutto per l'Egitto che particolarmente l'affascinava, anche
se la sua esigenza principale era la descrizione delle guerre persiane,
onde evitare che quell'awenimento drammatico sprofondasse nell'o­
blio. Erodoto si rivela comunque uno scienziato privo di pregiudizi
nello stabilire le priorità. Mentre i Greci, di solito, insistevano sull'au­
tonomia della loro cultura, liquidando con l'aggettivo di "barbarico"
tutto ciò che accadeva al di fuori dei confini delle loro terre, egli ri­
conobbe con molta chiarezza l'interazione tra popoli e culture e non
si vergognò di parlarne. Ecco quindi che leggiamo: "Sì, i nomi e le fi­
gure di quasi tutti gli dèi sono giunti in Ellade dall'Egitto. Che pro­
vengano da non ellenici è una realtà, come ho scoperto nel corso
delle mie ricerche. Io credo dunque che siano venuti soprattutto dal­
l'Egitto.<?>
Inoltre egli sa che "Iside in greco viene detta Demetra". <B>
Ricordiamo che anche Apuleio, circa seicento anni dopo, fa dire
ad Iside che gli antichi eleusini la definivano la "Cerere attea". Ma
Cerere è il nome romano di Demetra. Ella può presen tarsi come dea
"Actaica" perché di tanto in tanto viene vista in rapporti di affinità
con la grande Artemide, la sorella gemella di Apollo con cui Atteone
ebbe un catastrofico incontro. Quando l'eroe greco e dio montano
osò scrutare la dea che si bagnava nuda, ella lo trasformò in cervo ed
egli venne sbranato dai suoi stessi cani. Dietro a questo tema antichis­
simo si cela evidentemente un monito nei confronti della hybris
umana. Il segreto celato della divinità non va scoperto.
Questo tema può venir seguito sino entro la leggenda medievale
della bella Melusine. Anche in questo caso la fata divina viene osser­
vata senza permesso, mentre, bagnandosi, si stava trasformando in si­
rena dalla coda di pesce. Questa metamorfosi esprime la sua origine
acquatica di Madre Primigenia. L'acqua, assieme alla terra dalla qua­
le sgorga come "latte" della dea, simbolizza l'arcaica essenza femmi­
nile della vita. Per l'infrazione del tabù lo sposo di Melusine non
verrà punito severamente come Atteone nel mito antico. Tuttavia col
suo intervento sul mistero femminile distrugge tutto ciò che nella sua
vita è meraviglioso e perde per sempre l'amata sposa.
Dall'egizia Iside, attraverso la greca Atena e Demetra sino alla me-

30
METAMORFOSI DEL MITO

dievale Melusina, originaria della Francia, la strada è lunga! Ma è un


viaggio che riconduce alle medesime origini.
Il mito, il cui alfabeto è costituito da immagini, va decifrato se­
guendo le tracce della Grande Madre. Ella si fa riconoscere solo nel­
le immagini dell'eternamente-uguale, al quale sembra corrispondere
l'enigma di un'unitarietà esistente dietro le contraddizioni della vita.
Ella occulta in sé sia la polarità sessuale che divenire e svanire, amore
e crudeltà, vita e morte.
All'epoca, il tempio di Iside, awolto nel mistero, deve aver avuto
un' influenza affascinante su estese zone del mondo allora conosciu­
to. Quando ne scrisse Erodoto, l 'Egitto era già "antico". La terra fe­
condata dal Nilo e impersonificata da Iside era entrata nella storia
sin dal IV millennio. Lungo l'arteria vitale del grande fiume e sotto il
dominio dei faraoni era fiorita una singolare cultura superiore. Tut­
tavia anche i sovrani di sesso maschile dovevano sempre il loro pote­
re in successione matriarcale a una donna di stirpe regale.
Iside, la "grande incantatrice" e Dea Madre, appare sempre assie­
me a Osiride, suo sposo-fratello, col quale dà vita a un 'unione misti­
ca. Narra il mito che fratello e sorella si amassero già nel ventre ma­
terno. Poi però Osiride venne ucciso dal fratello Set, smembrato e
sparpagliato per tutto il Paese. Al che Iside vagò per tutte le terre del
delta del Nilo alla ricerca dell 'amato, al quale in precedenza aveva
già insegnato l 'agricoltura e la viticoltura, come fondare città e come
irrigare. Alla fine Iside trovò le membra di Osiride e le ricompose. A
questo punto la storia sfocia in un mito di creazione e reincarnazio­
ne di un efficace ed arcaico simbolismo sessuale. Iside, infatti, pare
avesse ritrovato tutte le membra del fratello, ma non il fallo, senza il
quale era impossibile riportarlo in vita. Secondo una versione del mi­
to che rimanda all'India, la rianimazione poté aver luogo solo dopo
il ritrovamento del fallo in un fior di loto. Allo scopo la dea si servì
degli organi della procreazione, tra i quale ormai da tempo rientrava
anche quello maschile, come un oggetto sacro a se stante. Il fior di
loto, invece, è un simbolo sessuale femminile. In India è in esso che
si manifesta la forza creatrice della Madre Terra. Come dice Heide
Gottner-Abendroth, una studiosa del matriarcato, "è sinonimo del­
l'organo sessuale femminile, la vulva, da cui proviene ogni forma di
vita: ecco il motivo per cui questo fiore è simbolo della rinascita ... Per
il fatto di aver ritrovato il fallo di Osiride in un 'fior di loto ' , Iside
non solo l' ha completato, ma l' ha concepito e ripartorito nel medesi­
mo tempo. A questo concetto inoltre si fonde quello delle nozze sa­
cre, con quest'atto, infatti, Osiride si garantisce di essere nuovamente
partorito come unico successore di se stesso". <9l
Nel corso dell'evoluzione del mito, Osiride diventa giudice del re-

31
CAPITOLO II

gno dei morti, colui che pone sulla bilancia della giustizia il cuore
dei morti. Con la sua morte e la sua resurrezione incarna anche il rit­
mo vegetativo.
Ogni anno i pellegTini si recavano al tempio di Abydo, eretto nel
II millennio sotto il faraone Sethor l, una delle rovine ancor' oggi più
imponenti della riva occidentale del Nilo, per celebrare la festa del
dio dei morti e giudice delle anime. Mentre Osiride, il sole che tra­
monta, rappresenta il regno dei morti, Horus, il bimbo divino che
Iside concepì con lui e in qualità di sole nascente, presiede alla conti­
nuazione della vita.
Sotto molti punti di vista il mito si presenta come il simbolo del­
l' eterno ciclo della natura. Parlando di Iside gli Egiziani dicono che
fu concepita dalla Madre Universale Neith o Nut, e altro non fanno
se non riproporre un'immagine della totalità della vita che, nel magi­
co regno delle forme, ella incarna. La stessa cosa vale per Hathor, l'e­
gizia dea dell'amore e protettrice della gioia, della bellezza e della
musica che col passare del tempo si fonde ad Iside. Il suo tempio sor­
ge a Dendera, un villaggio dell'alto Egitto sito sulla sponda sinistra
del Nilo. Gli edifici principali del santuario della dea, tutt'ora ben
conservato, risalgono alla fine del m millennio a.C. circa, all'epoca
della sesta dinastia di faraoni. Il santuario venne ristrutturato nel I se­
colo a.C. da Cleopatra e dal suo coreggente, Tolomeo XIII, del quale
era sorella e sposa. Lo portò a termine Nerone nel I secolo d.C.
Le colonne del tempio di Hathor imitano il sistro, lo strumento
musicale egiziano la cui musica era sacra alla dea. Il suo suono polifo­
nico, accompagnato dal battere delle mani e dal clangore di catene
consacrate, riempiva il tempio accompagnando la danza vagamente
erotica che le sacerdotesse eseguivano dinnanzi all' immagine di
Hathor. Nella monotonia sensualmente eccitante di quella musica
cultuale e nel suo effetto di trance vibrava però anche un elemento di
regolarità. Che non affiorava solo nel ritmo molto accentuato, ma an­
che, genericamente, nella struttura interna della musica, fatta dall'al­
tezza dei toni e dal numero delle frequenze. Le antiche popolazioni
recepivano simili corrispondenze matematiche come simbolo del mo­
to cosmico, come ponte tra cielo e terra. Alludono a quel regno della
Madre Universale Hathor, Neith o Iside, anche i fasci di raggi di sole
e i due famosi zodiaci, uno dei quali visibile al Louvre di Parigi, affre­
scati sulle volte del tempio. Un inno esalta la divina sovrana:

"Tu grande, divenuta cielo,


sei potente.
Ogni spazio hai colmato della tua bellezza,
tu che tutto generi.

32
METAMORFOSI DEL MITO

Tutta la terra giace ai tuoi piedi,


ne hai preso possesso.
Tra le tue braccia racchiudi la terra
e tutto ciò che su di essa trova vita". oo>

Nelle vaste stanze del tempio la Grande Dea appare anche in ve­
ste di sacra "vacca celeste" - simile alla palestinese Anath - di creatrice
del mondo, animale-madre e nutrice, nel cui grembo il divino figlio
Horus fa sempre ritorno. Diadema di Hathor sono le corna di vacca
e il disco solare attorno a cui si avvolge il serpente fallico, del quale
controlla il potere. Ogni giorno accoglie tra le sue braccia il figlio, il
giovane dio solare - che sulla sua barca dorata naviga sempre da
oriente verso occidente, dal chiaro verso lo scuro, dalla vita verso la
morte - quando splende nella dimora della notte si congiunge a sua
madre, il cielo.
Balza agli occhi la naturalezza con cui i miti affrontano le relazio­
ni incestuose che assurgono addirittura al rango di legge religiosa. Il
fatto è giustificato dal desiderio di assicurare il matriarcato, storica­
mente garantito, dei tempi antichi, di un 'epoca in cui Eschilo non
aveva ancora scritto la sua Orestea. Indipendentemente dal fatto che
sia mai esistito un matriarcato nel senso di totale autorità femminile ­
storiche femministe di grande levatura quali l'americana Gerda Ler­
ner lo mettono addirittura in dubbio - esistette comunque un diritto
ereditario e dinastico, in base al quale era la regina sacra a conferire
trono e potere in luogo della Grande Madre. L' eredità viene trasmes­
sa sempre solo in linea femminile e mai maschile. Può persino verifi­
carsi il caso che il faraone, per conservare il potere, alla morte della
moglie sia costretto a sposare la propria figlia. Così Amenofi III, pa­
dre di Echnaton, sposa una delle sue figlie, la principessa Sat-Amun.
Di Echnaton stesso sappiamo che dopo la separazione da Nefertiti si
legò a sua madre Teja che gli diede una figlia, Bechetate.
Anche il matrimonio tra fratelli trova la propria spiegazione nel
diritto materno rinvenibile in Egitto dal IV millennio al 1 secolo a.C.
Cleopatra, sposa del proprio fratello, era l'ultimo anello di una cate­
na di sette matrimoni tra fratelli. È noto che, dopo la morte dello
sposo-fratello, divenne l'amante di Giulio Cesare al quale diede un fi­
glio, poi quella di Marco Antonio che le lasciò delle province roma­
ne, cosa che provocò la guerra col cognato Ottaviano. Cleopatra, do­
po la vittoria navale di Ottaviano ad Anzio nel 31 a. C., si uccise por­
tandosi al seno un serpente velenoso. I Romani non giudicarono mai
una pecca il suo precedente matrimonio col fratello.
Anche in Persia i matrimoni tra sorelle, genitori e figli erano fatti
abituali, se non addirittura auspicabili. Un seguace della religione di

33
CAPITOLO II

Zaratustra nel corso di una disputa con un dotto ebreo che, come
tutti gli Ebrei aveva orrore dell ' incesto, ribatté: "L'unione tra padre e
figlia, tra figlio e colei che l'ha partorito e tra fratello e sorella è la
più perfetta che io possa immaginare". 1 1 1 1
Tuttavia la pratica dell'incesto, riscontrabile anche in culture mol­
to lontane tra loro, tra gli inca del Perù, ad esempio, non serviva solo
a garantire la sopravvivenza sociale dei diritti matriarcali. Le sue radi­
ci sono molto più profonde. Affondano nella stessa struttura psichica
dell'essere umano, nel suo desiderio di tornare nel paradiso infanti­
le, di trattenere il primo oggetto d'amore nel chiuso del comune
grembo materno, schermati dalle iniquità del mondo esterno nemi­
co. L'incesto, come lo presenta con particolare efficacia il mito nella
figura della Grande Madre, è una conseguenza del desiderio di resta­
re bambini, della paura di diventare adulti e di venire esposti a un
ambiente sconosciuto e nemico. Persino quando si presenta coi tratti
del desiderio passionale e con bellezze poeticamente trasfigurate, in
definitiva è un "arresto passivo della libido al primo oggetto infanti­
le". 1 1 21 È ai fini della conoscenza di sé che il mito ci mette sotto gli oc­
chi a m o ' di specchio questa si tuazione. Una raffi gurazione di
Hathor nel tempio di Dendera ritrae la Dea Madre nell 'atto di pro­
teggere il piccolo Horus, rappresentato come un barcaiolo ed al tem­
po stesso col dito in bocca e con un ricciolo fanciullesco, tratti che
ne dichiarano il candore.
Quale simbolo dei primissimi ricordi e desideri, Hathor-Iside è fi­
gura allegorica dell'Anima, archetipo della psiche e della vita. Non a
caso Apuleio ha inserito nelle sue Metamorfosi anche la fiaba di "Amo­
re e Psiche". Particolarmente bello è il ruolo di guida nel cammino
verso l 'intimo che, ancora nel medioevo, Dante attribuisce ad Anima
nella Divina Commedia. Beatrice, l'amante immortale, guida il poeta
come un angelo di luce attraverso le nove sfere celesti sino alla "ruo­
ta dell'amore eterno, che colà muove il sole e tutti gli astri".0 31 Nel
Faust di Goethe incontriamo di nuovo Anima come "Eterno Femmi­
nino", mentre in un testo medievale essa si autodefinisce:
"Sono il fiore di campo e il giglio delle valli; sono la madre del
bell'amore, della conoscenza e della sacra speranza.. Bellissima sono
e senza macchia ... Sono la mediatrice tra gli elementi, colei che rap­
pacifica gli uni con gli altri . . . Sono la legge del sacerdote e la voce del
profeta e il consiglio del saggio. lo posso uccidere e rianimare ... ". 1 1 41
Suona come un tardo eco delle parole stesse di Iside. Secondo
Erodoto, la notte in cui veniva festeggiata la Grande Dea si accende­
vano innumerevoli candele, non solo a Sais, ma in tutto l'Egitto. Du­
rante la "festa dei lumi" di Iside gli stoppini splendevano tutta la not­
te galleggiando in basse coppe ricolme di olio e sale. La terra riluce-

34
METAMORFOSI DEL MITO

va allora come il manto stellato della regina celeste. In occasione del­


la celebrazione della dea, uomini e donne arrivavano assieme sulle
barche. E in merito Erodoto narra: "Alcune delle donne hanno con
sé dei sonagli che scuotono mentre per tutto il tragitto gli uomini
suonano il flauto, altre donne e altri uomini cantano e battono le
mani." Qui, tramite l 'uso dello strumento a fiato, entra in gioco un
elemento dionisiaco, una musica che non piacerebbe ad Apollo. Il
suo strumento, infatti, è la più pudica lira.
I pellegrini di Iside attraccano con le loro barche a tutte le città
cui li conduce il Nilo. Poi alcune partecipanti scuotono il sistro ac­
compagnandosi col canto, altre gridano alle donne della città stra­
niera parole di scherzo o di scherno o danzano, altre ancora, però,
"si alzano in piedi e sollevano le vesti". W•l
Questo gesto inequivocabile non è per nulla osceno. Se anche
può sembrare invitante, resta comunque soprattutto un gesto cultua­
le, un'allusione all'aspetto fecondo della dea nel quale le donne, du­
rante la processione, si riflettono. Ciò che oggi potrebbe urtarci era
allora espressione di un naturale senso della vita, posto sotto la prote­
zione della Grande Madre, che all 'organo sessuale femminile confe­
riva sacralità. Ecco che, ad esempio, a Babilonia oltre che sacrifici di
animali, ablazioni d'olio e di vino a Ishtar venivano offerte anche nu­
merose riproduzioni di vulva in prezioso Iapislazzuli - doni votivi per
implorare la benedizione della forza vitale femminile. Nella sumerica
Ur - che secondo la Bibbia potrebbe essere stata, assieme ad Haran,
una delle eventuali città d'origine di Abramo prima della sua parten­
za per Canaan - verso il 2000 a.C. uno dei re della terza dinastia si ri­
volgeva alla Grande Dea col titolo onorifico di "Portatrice dell'incan­
tevole recipiente" 061 , mentre in Licia sulla riva del mare le fanciulle si
alzavano le gonne per mettere in fuga col loro sesso Bellerofonte,
uno dei più importanti eroi greci e uccisore di mostri, che si avvicina­
va loro sul fremente Pegaso. Tanto potente è la Grande Dea che per­
sino la femminilità delle sue creature può avere effetti apotropaici.
Un eco di questo gesto è rintracciabile anche nella Sicilia dei giorni
nostri ove a Catania, in onore di una santa, si celebra un rito cristia­
no che lo ricorda.
Sin dai tempi preistorici, sotto la sovranità della Grande Madre
cadono pure aspetti dell' inconscio che di molteplici manifestazioni
e forme naturali pongono in risalto l ' elemento femminile. Tra di es­
se vanno annoverati sorgenti, stagni e laghi che, in quanto acque
profonde, sono legati alla simbolica femminile del vaso, del concepi­
re e donare. In questa accezione va interpretato pure il lago circola­
re che Erodoto sostiene di aver visto nel santuario di Iside a Sais, e
che egli paragona a quello di Delo, l 'isola greca dell 'arcipelago delle

35
CAPITOLO II

Cicladi, ove, però, tale lago esiste dawero. Di fatto è quasi perfetta­
mente circolare e ancor oggi viene definito il "lago sacro". Ai giorni
nostri, comunque, è stato prosciugato per motivi igienici dato che le
sue acque provenivano dalle zone palustri del corso inferiore dell'I­
nopo. Quanto al resto su quell 'isola, sotto la luce abbagliante dell'E­
geo che viene riflessa dai torsi e dalle statue dell 'antico tempio, è an­
cora tutto awolto in un 'aura senza tempo. Anche quando Omero,
nell'VIII secolo a.C., nell'Odissea e in un inno ad Apollo cita Delo
come noto santuario degli Ioni, quella è pur sempre una dichiara­
zione tarda. Sin dai tempi della cultura micenea, dalla metà del n
millennio a.C. Delo era considerata l'isola sacra ad Apollo. Le tracce
più antiche rimandano addiritura a tempi molto an tecedenti, a
metà del m millennio. All'epoca l 'isola doveva essere abitata dai Pe­
lasgi, che facevano parte del preistorico popolo degli Egei che Tuci­
dide definiva Carii. Probabilmente è a loro che risale il mito della
Dea Madre Latona o Leto che conferisce significato al lago di Delo,
circolare o tondo come una ruota. Là, infatti, un tempo ella partorì
i gemelli Artemide ed Apollo. Secondo un'antica tradizione, all'epo­
ca, Delo era ancora un'isola galleggiante, un nido dondolante sulle
acque dell'Egeo che solo dopo la nascita della divina coppia priva di
padre venne ancorata al fondo del mare. A quei tempi Latona è an­
cora una vergine-cigno che genera senza seme maschile. Non viene
detto se, uccello acquatico, abbia deposto e covato un uovo, ma il
concetto è quello. Un altro mito pelasgio della creazione parla di
una dea lunare che i Greci chiamavano Eurinome ("il lungo pere­
grinare" della luna nel cielo notturno) che sotto forma di colomba e
in modo asessuato, generò l 'uovo del mondo. Ella lo depose sull'ac­
qua e a covarlo fu un serpente. Nella maggior parte delle religioni
dei primordi si ritrova il concetto di uovo del mondo, di uovo-madre
e vaso-primigenio da cui procedettero la terra e ogni forma di vita. Il
modello architettonico di "fusarola ad ovoli" delle colonne e dei
templi dell'antica Grecia ricorda questa mitica visione del mondo.
Gli antichi Persiani e i Romani si divertivano facendo dei giochi con
le uova e anche noi, oggi, la prima domenica dopo la luna piena di
primavera ci facciamo sempre regalare dal "coniglio di Pasqua" uova
colorate . A causa della loro fecondità, alle colombe e ai passeri
amanti della copula, ma soprattutto al coniglio, venne conferito l'o­
nore di servire Mrodite in quanto era uno dei suoi attributi. Ecco
che, a ricordo di antichissimi miti della creazione, esso depone per­
sino le uova.
Latona, invece, nelle spoglie di vergine-cigno divenne l'immagine
della pelasgia Madre Primigenia. "Quando all'epoca del solstizio d'e­
state i cigni si riuniscono per migrare al nord verso le loro sedi di co-

36
METAMORFOSI DEL MITO

va" scrive Bottcher, "non si raccolgono in stormi disordinati, ma si


aggregano secondo ben precise formazioni creando in cielo una gi­
gantesca V. Secondo i Pelasgi scelgono la V perché simbolo della ses­
sualità femminile che è contemporaneamente il loro simbolo. La mi­
grazione dei cigni verso nord è dunque una dichiarazione di femmi­
nilità". 0 71
In quanto uccello che si alza in volo dall'acqua, prima origine del
materno, il cigno è però pure simbolo del sole e della rinascita e l'uc­
cello prediletto di Afrodite. In antichi testi irlandesi i cigni recanti
collane d' oro simboleggiano l'awenuta trasformazione di divinità
femminili. "Presagi dei cigni", un manoscritto gaelico-scozzese, reci­
ta: "Al limitare tra giorno e notte udii la dolce voce dei cigni, su in al­
to fremevano in volo vigorose oscillazioni. Subito ristetti in silenzio e
non mi mossi. Guardai in sù per vedere dove iniziava - la regina della
Felicità, il cigno bianco ... Se mai vedrai un cigno di venerdì, all'alba
di un mattino felice e gioioso, le tue proprietà e pure la tua famiglia
si moltiplicheranno e il bestiame smetterà di morire".0 81
Linguisticamente "Schwan", cigno, deriva dall' indogermanico
"suen", "suon", mormorare, risonare, in antico indo "svana", rumore.
Presso le popolazioni mediterranee dell'antichità era diffusa la cre­
denza che il cigno prima di morire intonasse una canto melodioso.
"Ella, come il cigno,/prima della morte cantò l'ultimo lamento .. " re­
cita la prima parte dell' Orestea quando Clitennestra, dopo Agamen­
none, uccide anche Cassandra.
Ma noi siamo ancora a Delo e là, al lemma "canto del cigno" affio­
ra pure il ricordo della morte di Socrate. Il saggio di Atene, infatti,
dopo il processo dovette attendere la nave di Stato che come ogni
anno era in viaggio di missione rituale verso l'isola sacra. In quel pe­
riodo nessun condannato poteva venir giustiziato o costretto, come
lui, a bere il veleno. Socrate sfruttò il periodo di attesa per parlare
anche dei cigni. Per lui, ovviamente, non sono più associati alla Dea
Madre Latona, ma ad Apollo: "Gli uomini, invece, per quel terrore
che hanno della morte" incitò egli a riflettere, come riferisce il suo
allievo Platone, "dicono falsità anche dei cigni; sostengono che di
fronte alla morte essi cantano un lamento funebre e che pieni di do­
lore intonano un canto d'addio, e non riflettono che nessun uccello
canta quand'è tormentato da fame, freddo o qualche altro dolore ...
No, siccome sono sacri ad Apollo, sono dotati di senso profetico, e
hanno sentore della felicità che li attende nell 'Ade: così cantano e
quel giorno sono colmi di gioia più che in qualsiasi altro prima". 11 91
Socrate morì nel 399 a. C. All'epoca della rappresentazione del­
l' Orestea di Eschilo aveva appena dodici anni. Chissà se venne a cono­
scenza di quell'evento? In quegli anni, comunque, Latona era ormai

37
CAPITOLO II

da lungo tempo, con completo capovolgimento del mito primigenio,


diventata Leda, sposa di Tindareo, e Zeus, il padre degli dèi, si era
trasformato in cigno. Leda e il cigno: un 'immagine lasciva che ha
ispirato molti pittori. Accoppiatasi a Zeus in sembiante di cigno, Le­
da diviene madre dei Dioscuri e di Elena.
Tuttavia, il "lago sacro" di Delo ricorda anche gli albori della reli­
gione della Madre Primigenia. Se pur l'isola è consacrata anche ad
Apollo e i resti del suo santuario, con quelli del tempio di Artemide,
coprono la maggior parte dell'area sacra, tuttavia ci sono anche le ro­
vine di un tempio di Era e di Afrodite del v e IV secolo a.C. - sono
prossimi al "porto sacro" a cui , ancor oggi, attraccano i turisti - e pu­
re i resti del "Letoon", il tempio di Leto-Latona del VI secolo a.C.
Per contro lungo il sentiero bordato di papaveri troviamo una fila
di pilastri di pietra reggenti enormi sculture falliche. Appartengono
al culto di Dioniso. Anch'egli, il dio della vegetazione, del vino, del­
l' ebbrezza che ispira e del teatro, in molti luoghi venerato assieme ad
Apollo, guida sulle tracce di tradizioni rituali materne. Nelle Lenee,
feste orgiastiche che nelle danze e nell 'impazzare delle Menadi cul­
minavano in follie sanguinarie, egli compariva spesso al centro dell'a­
zione estatica accompagnato dalle ninfe. Nessun uomo poteva, pena
la morte, accostarsi a quelle feste femminili. Johann jakob Bachofen,
lo scopritore del matriarcato di cui ci occuperemo più a fondo in se­
guito, a proposito di Dioniso, il Bacco greco, scrisse: "Il dio fallico, in­
tento alla fecondazione della materia, non è quello originario; egli
viene alla luce piuttosto dall' oscurità del grembo materno; con la
femminilità della materia ha un rapporto filiale e dopo aver rotto il
guscio dell' uovo rivela il mistero sino a quel momento occultato del­
la virilità fallica alla cui vista ora persino la madre gioisce come se
quegli fosse il suo demone. Il dio fallico non può neppure venir im­
maginato avulso dalla sua essenza femminile".(201
Lo conosciamo già dal mito di Iside-Osiride, in cui è fuso alla dea.
Tuttavia Delo non sarebbe l'antichissima isola sacra se non vi avesse
avuto diritto di domicilio pure l'antica Dea Madre egizia. Il suo sacra­
rio si trova sul lato orientale del cortile del Serapeion. Nel n secolo
a.C. gli Ateniesi, dei quali Delo fu per lungo tempo tributaria, rinno­
varono il tempio in ordine dorico. Due colonne poste tra le pareti
longitudinali consentono la vista dell'immagine cultuale della dea
ancora parzialmente conservata sulla parte posteriore della cella. Sul­
l'architrave del tempio sta scritto "Il popolo di Atene ad Iside". La ve­
nerazione per la Grande Divinità Materna sopravviveva quindi anche
durante la sovranità di Zeus. Delo, al centro dell' Egeo e delle Cicladi,
un tempo uno dei porti più importanti del Mediterraneo orientale,
aveva rapporti commerciali con l'Asia Minore, la Siria e l ' Egitto ed

38
METAMORFOSI DEL MITO

era allietata da un vivace scambio culturale. Ecco per quale motivo


Erodoto, nella terra del Nilo, poté trovare frammenti del culto prei­
storico di Latona-Leto e, nella sua descrizione di Buto, sede dell'ora­
colo a nordest di Sais, riferisce: "Questo oracolo egiziano è quindi sa­
cro a Leto e sorge in una grande città sul ramo del Nilo detto Sebeni­
tico, cui si può arrivare direttamente dal mare ... A Buto ci sono pure
i santuari di Apollo e di Artemide. E ora il tempio di Leto, nel cui in­
terno si trova l'oracolo: è anch' esso di considerevoli dimensioni ed
ha atri alti dieci tese. Ma desidero accennare alla cosa che di tutte
quelle là visibili maggiormente mi stupì. In quel sacro recinto si trova
il venerabile edificio di Leto, ricavato da un'unica pietra, alto quanto
largo, parete dopo parete... Così, di tutto ciò che si può ammirare in
quel sacrario, quella veneranda dimora è la cosa più stupefacente, se­
guita subito dall'isola detta Chemmi. Essa si trova in un lago vasto e
profondo sito accanto al santuario di Buto e gli Egizi dicono che sia
un'isola natante". 12 1 1
L' isola galleggiante e il lago sacro: affiorano addirittura due volte
come un eco dell 'antico mito, sia nella descrizione del santuario di
Leto a Buto, sia in quella del tempio di Iside a Sais. Constatiamo
quindi di nuovo che la medesima Dea Madre si manifesta con molti
nomi. In quanto Iside è sostanzialmente affine pure a Latona-Leto.
Apollo poteva dunque essere suo figlio; dato che, così recita di nuovo
Erodoto: "In egiziano Apollo è Horus . . . ". 122>
Con questo si chiude il cerchio - uno dei tanti al centro del quale
si può rinvenire la Grande Madre. Nonostante nelle Eumenidi di
Eschilo sia Apollo che Atena abbiano rinnegato il legame con lei a fa­
vore del patriarcale Zeus, la Magna Mater sopravvisse. Ancora verso
la fine del I secolo a.C. il filosofo e scri ttore greco Plutarco che tanto
viaggiò e che ricopriva la carica di sommo sacerdote del santuario di
Apollo a Delfi, alla Grande Madre in veste di Iside fece dire: "Io sono
tutto ciò che fu e che è e che sarà, e non è mai esistito nessuno che
abbia sollevato il mio velo"_ l23>
Ma se qualcuno avesse osato farlo?
Dato che sono gli uomini a creare gli dèi che venerano, non po­
trebbe essergli capitato altro che quel che accadde a quel coraggioso
di cui parla anche Novalis:

"Uno riuscì -
sollevò il velo della dea di Sais ­
Ma che vide? -
miracolo dei miracoli, vide se stesso". 124 >

39
CAPITOLO III

Agli albori della preistoria

Gettare un'occhiata dietro il velo della dea equivale a dare un'oc­


chiata alle origini dell'uomo. Accanto a visioni di amore e di armo­
nia si scoprono pure abissi di orrore. Tutte le caratteristiche degli es­
seri umani, infatti, speranze e timori, bontà e crudeltà, come un eco
di tempi lontani, trovano un parallelismo nell'immagine della Gran­
de Madre. Già la prima non meditata apparizione della Madre Primi­
genia agli albori della preistoria procedette dall'intimo dell'uomo.
Dall'enigmatica sfera della psiche umana circoscritta come incon­
scio, affiorano le immagini-guida delle umane esperienze storiche
che operano come archetipi al di là del tempo e dello spazio. Ma
quale esperienza sarebbe più elementare di quella della femminilità
che partorisce e nutre la vita?
Ecco che in tutto il mondo attraverso immagini, miti, riti e simbo­
li affiora l'archetipo del "Grande Femminino", come lo definisce lo
psicanalista Erich Neumann. Esso possiede l'incisività di una religio­
ne primigenia. Quel "Grande Femminino" della grigia preistoria de­
ve essere stato talmente potente, talmente in grado di sottrarsi, trami­
te la propria numinosità, a qualsiasi rappresentazione, che in un pri­
mo tempo poté venire vissuto e venerato solo all'interno di un misti­
co senso di appartenenza alla natura. Nel mito pelasgico della vergi­
ne-cigno, in una figura immaginifica, s'incarnò un fenomeno natura­
le recepito a quella stregua. Ciò presupponeva ormai un determinato
processo di aggettivazione logica. Solo così fu possibile conferire, tra­
mite attività autocreante, al possente archetipo del "Grande Femmi­
nino" una forma corrispondente. In base ai reperti archeologici tale
processo deve aver avuto luogo nel primissimo periodo dell'età della
pietra, decine di millenni prima dell'èra cristiana. E dovettero di
nuovo trascorrere millenni prima che le fonti storiche e i miti tra-

41
CAPITOLO 111

mandati consentissero di provare l'esistenza di un culto della "Gran­


de Madre", della "Magna Mater" quale quello, ad esempio, dell'egi­
zia lside-Neith o della sumerica !nanna. Il "Grande Femminino" si
manifesta ora anche in svariati aspetti. Esso conduce al primitivo fe­
nomeno storico religioso della triade che si ramifica in una moltitu­
dine di dee dalle caratteristiche positive e negative, in Erinni ed Eu­
menidi, fate e ondine che altro non sono se non derivazioni dell'uni­
ca grande divinità femminile. In epoca classica ella raggiunge poi in
ambito culturale europeo nuova fama in veste di Venere-Afrodite;
notorietà che deve però condividere con le divinità patriarcali ormai
affermatesi.
All'inizio, tuttavia, la Madre preistorica, la "Madre Terra", presen­
te in tutti i continenti, regnava sovrana. Presso gli indi Kagaba colom­
biani sopravvive anche nel nostro secolo. Di lei essi dicono: "È la ma­
dre di tutti gli uomini, la madre di tutte le stirpi. È la madre del tuo­
f!O, la madre dei fiumi, la madre degli alberi e di ogni genere di cose.
E la madre dei canti e delle danze. E la madre dell'un iverso e dei fra­
telli maggiori delle pietre ... Lei sola è la madre delle cose, lei sola". < n
Il percorso, che consente di ricalcare le sue orme risalendo sino
ai primi segni visibili della sua com parsa, è spazialmente breve, ma
temporalmente è di circa 25.000 anni. A quell'epoca, infatti, risale la
statuetta di arenaria riportata alla luce il 7 agosto 1908 dagli studiosi
viennesi, esaminando il primo strato del più importante scavo ar­
cheologico austriaco dell'età della pietra presso Willendorf, una pic­
cola località sulla riva sinistra del Danubio a nord di Melk.

La statuina di arenaria nota col nome di "Venere


di Willendorf' risale a circa 25.000 anni fa.

42
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

Questa statuetta alta undici centimetri, nota in tutto il mondo


col nome di "Venere di Willendorf' e una delle rarità del Naturhi­
storisches Museum (Museo di Storia Naturale) di Vienna, si presen­
ta molto corpulenta, con accentuati attributi sessuali e con due brac­
cine magrissime appoggiate sulle enormi mammelle. L'idolo della
fecondità era pingue e, in origine, ricoperto da una patina rossa, in
parte conservatasi. Come dimostrano ripetutamente i reperti ar­
cheologici, i colori erano latori di forze magiche, il rosso conferiva
alle sacre sculture l'alito della vita. In quella figuretta preistorica tut­
to punta sui caratteri elementari della femminilità. Per questo è an­
cora senza volto e singolarmente coronata da una acconciatura
straordinariamente elaborata, una serie di file di ricci paralleli che
dalla nuca salgono a ricoprire tutta la testa come una cuffia lavorata
all'uncinetto. L'assenza di volto è espressione del sovrapersonale e
del numinoso, ma anche di tutte le opportunità di trasformazioni
ancora aperte.
Alla fantasia si aprono ampi spazi nel tentativo d'immaginare gli
esseri umani che, nei periodi precedenti il massimo freddo dell' ulti­
ma glaciazione di Wiirm , furono guidati dai sentimenti a ricavare,
con mirabile abilità, da un pezzo di arenaria del Danubio quest'anti­
ca immagine della Dea Madre. La "Venere di Willendorf' ci porta in
un paesaggio subartico nelle cui vallate fluviali, percorse da stambec­
chi, cervi , mammut, renne, bisonti, orsi, volpi artiche e lupi, all'epo­
ca dei cacciatori alla base dell'alimentazione umana, accanto alle co­
nifere crescevano ovunque licheni, muschi e cespugli nani.
In quel periodo vennero scolpiti numerosi idoli della Dea della
Fertilità simili a questo, per lo più lavorati in pietra o in avorio e
quasi sempre senza volto. Sculture analoghe sono state ritrovate non
solo in Austria, ma anche nella Francia meridionale, nell' Italia set­
tentrionale, in tutta l' Europa centrale e in Siberia. Chi cercasse
eventuali analogie tra questa rappresentazione della Madre Primige­
nia e gli esseri umani allora esistenti, dai ritrovamenti scheletrici,
fatti nelle relative aere geografiche risalenti al medesimo periodo,
riceverebbe una risposta univoca: non c'è corrispondenza. Le imma­
gini hanno una loro tipologia, un linguaggio simbolico sacro che
esprime l'archetipo del "Grande Femminino" che ritroveremo in
successive, ma ancora preistoriche, rappresentazioni femminili del
Vicino Oriente.
Il barone Max von Oppenheimer, archeologo tedesco, nel corso
dei suoi scavi di Tali Halaf, un importante insediamento mesopota­
mico della Siria nord orientale, nel primo quarto del nostro secolo
ha recuperato statuette dipinte di donne nude risalenti al v, IV mil­
lennio che, oltre all'assenza di volto, presentano esse pure seni, ven-

43
CAPITOLO III

tre, sesso e glutei ipertrofici. Soprattutto questi ultimi sono di dimen­


sioni a volte addirittura grottesche. L' archetipo al servizio della Gran­
de Madre impedisce di trarre da questo elemento delle conclusioni
su particolari "gusti sessuali" maschili. Se, come constata Neumann, il
corpo femminile "in successive epoche patriarcali" può essere stato
anche "secolarizzato e sessualizzato", ciò nonostante, a suo parere,
l ' impressionante esibizione delle parti posteriori di certune di tali
statuette ha un 'altra ragione: "L'accentuazione sessuale delle natiche
può venir fatta risalire ai rituali di fecondità volti alla riproduzione
magica degli animali.
In epoca paleolitica, come avviene tutt'oggi tra le popolazioni pri­
mitive, si celebravano riti di fecondità durante i quali la copula ani­
male col coito da dietro rivestiva un ruolo centrale. Quei riti non
esemplificavano una componente sessuale maschile personale, ma
un comportamento simbolico impersonale, la cui comprensione era
resa possibile dal contesto. Anche le tendenze sessuali individuali di­
pendono da immagini archetipiche inconsce molto più di quanto ci
si renda conto. Esiste tutta una serie di indizi del fatto che sia la do­
minanza matriarcale o patriarcale dell' inconscia immagine del mon­
do a determinare la posizione del partner nel corso dell'atto sessua­
le. Che la donna stia sotto in quanto terra e l'uomo sopra in quanto
cielo, o viceversa, dipende dalle condizioni archetipiche delle culture
di volta in volta in questione". 12>
Ecco che in India, nell 'atto d'amore, la dea Shakti viene di solito
rappresentata sopra il suo compagno, nel quale fa contemporanea­
mente fluire la propria energia. Shakti, che per lo più l'induismo
personifica in Durga, equivale alla forza primigenia dalla quale di­
pendono cosmo e dèi. Come segnala Joe J. Heydecker, "nel buddi­
smo ad orientamento maschile" avviene esattamente il con trario.
"Qui infatti il dio, nella sua rappresentazione popolare è 'karuna'
sessualmente attivo, mentre a 'sunya', la sua divina compagna, spetta
il ruolo passivo"Y>
La Grande Madre non deve necessariamente appartenere solo al­
la greve materia ctonia. N eli 'antico Egitto, Iside, la sacra "vacca cele­
ste", dalle stelle protende tutto il suo corpo sulla terra. Tuttavia an­
che nelle sculture preistoriche della Dea Madre è riconoscibile una
tendenza alla bipolarità di sopra e sotto, di una verginità quasi già
spiritualmente pregna e di una greve maternità terrestre, come quan­
do la parte inferiore del corpo, di prorompente pienezza carnale, si
assottiglia in quella superiore di contrastante snellezza dai seni appe­
na in boccio. Anche i motivi dipinti, tatuati o scarificati su quegli an­
tichi idoli della Grande Madre, in quanto segni di un'astrazione del­
l'elemento corporeo-terrestre, possono alludere a una possibile tra-

44
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

sformazione spirituale. Nella maggior parte di tali statuette ritrovate


sia in Perù che nei Balcani, in Romania e in Tracia, in Mesopotamia
e in India, in Grecia, sulle isole greche e a Creta, la pittura sottolinea,
ovviamente, soprattutto il sesso femminile.

"L'Afrodite delle Cicladi» dell'isola di Naxos risale


circa al 2200 a.C.

Questo vale anche per la cosiddetta "Mrodite delle Cicladi" dell'i­


sola di Naxos, la cui origine viene fatta risalire al 2200 a. C .. Un osser­
vatore del tutto all'oscuro di queste spiegazioni, alla vista di quella fi­
guretta di terracotta alta 24 centimetri conservata al Louvre di Parigi,
potrebbe pensare che sia opera di un burlone, tanto grotteschi sono i
suoi tatuaggi: il triangolo pubico è sovrastato da una fila di puntini e
tratteggiato da un motivo a quadri, ombelico, seni e glutei sono ornati
con cerchi puntiniformi bicromatici. Le braccia sono incrociate sopra
un largo bacino, mentre attorno al collo e alle orecchie forate si ripe­
tono a mo' di monili dei cerchi puntiniforrni. Il volto triangolare con
naso e bocca appena accennati sotto un ciuffo di capelli castani legato
in cima alla testa, è dominato da un paio di enormi occhi tondi il cui
sguardo fisso, per associazione, rimanda alle parti sessuali del corpo,
alle quali corrispondono pure gli ornamenti di orecchie e collo.
Idoli quali questi, cui si affiancano le rappresentazioni della Ma­
dre Primigenia nell'atto di sostenere o di offrire i seni, esprimono

45
CAPITOLO III

tutto il fascino del "Grande Femminino" nei suoi caratteri di fecon­


dità e sessualità. Con ogni evidenza quest'immagine di potenza fem­
minile è per antomasia insita nell'inconscio umano collettivo e quin­
di, se pur formalmente variegata, resta parimenti efficace attraverso i
millenni. Valicando le frontiere geografiche si possono seguire all'in­
dietro le tracce della "Venere delle Cicladi" di Naxos e delle sue so­
relle appartenenti a differenti ambiti culturali, sino ad arrivare alla
"Venere di Willendorf' della vallata del Danubio nella Wachau, pas­
sando dalle prime epoche storiche e preistoriche all'età della pietra.
Anche i ritrovamenti fatti nella Francia sud-occidentale confermano
che la Madre Primigenia e della Fecondità era già venerata dai cac­
ciatori dell'età della pietra, i cui sacerdoti o sciamani, sulle pareti ru­
pestri delle loro caverne cultuali, disegnavano immagini di animali
allo scopo di fare incantesimi di caccia o di appropriarsi magicamen­
te dell'energia animale. Gruppi di cacciatori nomadi si erano inse­
diati già circa 40.000 anni fa, in epoca glaciale, nella zona della Dar­
dogna e del Vézère. Seguendo le mandrie di animali in fuga dal fred­
do nord-est europeo verso quella regione risparmiata dall 'ultima gla­
ciazione, vi trovarono buone condizioni climatiche e ricchezza d'ac­
que. Là probabilmente, sotto gli strapiombi rocciosi dilavati dalle
correnti primordiali, trovarono rifugio, protezione ed asilo gli uomi­
ni di Neandertal. A loro, cui circa 40.000 anni dopo seguirono i pri­
m i rappresentanti dell"'homo sapiens", nel Périgord si sostituì l' uo­
mo preistorico di Cromagnon. Quest'ultimo è l'autore dell'arte ru­
pestre i cui attestati, risalenti a circa 17.000 anni fa, sono reperibili
soprattutto nella famosa grotta di Lascaux. Emergendo dal buio ella
preistoria, quelle pitture si parano dinnanzi agli occhi dell'osservato­
re come un primordiale principio d 'arte. Ma di quella ridda di figure
magiche non facevano parte solo rappresentazioni di cervo, cavallo,
toro o bisonte dalla funzione scaramantica, nelle quali l' uomo di
Cromagnon può essersi oniricamente immerso come in un mondo
meraviglioso, in parte temuto e in parte venerato, contraddistinto da
un superiore spiegamento di forze, abilità e naturale eleganza. Risale
alla stessa epoca circa, verso il 15.000 a.C. quindi, periodo in cui di
solito venivano rappresentati quasi esclusivamente gli animali, anche
una serie di idoli femminili scoperti davanti o dentro le numerose
grotte della vallata del Vézère. Alcuni di essi, per la loro tipizzazione
della femminilità sembrano quasi "moderni", come se fossero scultu­
re rimpicciolite di Henry Moore. Ora si trovano tutti nei circondari
di Lascaux, al riparo della possente sporgenza di un rifugio naturale,
nel museo preistorico di Les Eyzies. Tra i reperti preistorici regionali
là esposti c'è anche una testina femminile scolpita alta solo 3,7 centi­
metri e in avorio di mammut, che viene attribuita a un'epoca ancora

46
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

precedente le pitture rupestri di Lascaux. A causa della forma parti­


colarmente pronunciata del volto, che si distingue nettamente dalle
altre della medesima epoca, è conosciuta come "testa di Brassempoy"
dal luogo del ritrovamento.
Tuttavia la scoperta più eccitante è stata fatta nel 1909 nella valle
del Beune, a solo pochi chilometri di distanza da Lascaux e da Les
Ezyes. Nei pressi del castello rinascimentale di Laussel è stato rinve­
nuto il bassorilievo scolpito nella roccia di una dea della fertilità: la
famosa "Venere di Laussel". Oggi lo si può ammirare nel Musée d'A­
quitaine a Bordeaux, e a Les Eyzies c'è una sua copia. Questa imma­
gine cultuale della Grande Madre risalente all'età della pietra si offre
all 'osservatore frontalmente, col bacino molto sporgente, le mam­
melle pesanti e il ventre turgido per il frutto che reca e sul quale
poggia la mano sinistra che, in linea ideale, indica il triangolo pubico
nettamente scolpito a rilievo. Anche questa volta la Venere preistori­
ca è senza volto. Ad avere importanza sono solo i caratteri sessuali. Il
capo piegato lateralmente è volto verso un corno di bisonte america­
no o europeo, tenuto alto dalla destra piegata ad angolo. A causa del­
la forma che ricorda la luna crescente esso è stato interpretato anche
come falce lunare. La Grande Madre è nel segno del satellite della
terra che agli uomini di allora deve essere sembrato misterioso e stu­
pendo, specie nelle sue fasi così misteriosamente connesse al ciclo
femminile della fecondità. Sin dall'inizio la Grande Madre è quindi
anche una dea lunare. Quando più tardi, in veste di Iside-Hathor, at­
torno al radioso disco solare porterà la corona di corna, non solo si
presenterà come sacra "vacca celeste", ma pure come entità lunare,
dato che le due corna che circondano il sole sono anche simbolo del­
la luna calante e crescente. Tuttavia quello che la "Venere di Laussel"
solleva è chiaramente un corno animale e non una falce lunare. In
quanto divinità dell'età della pietra e più strettamente affine alle pit­
ture rupestri e alla loro atmosfera propiziatrice di caccia, non è solo
evocatrice e garante della vita che continua, ma saldamente collegata
alla fecondità, è anche la signora degli animali. Il cacciatore della
preistoria aveva con lei un rapporto chiaramente magico-naturale.
Solo così si possono spiegare le pitture delle caverne che non erano,
come si supponeva un tempo, abitazioni, ma luoghi di culto. Se an­
che molte pitture rupestri terranno per sé il loro segreto e resteran­
no sempre enigmatiche, si può pur sempre immaginare che i corpi
di animali immortalati sulle rupi nelle oscure cavità della terra, alla
tremolante luce del sego iniziassero a vivere per gli uomini dell 'età
della pietra e ad intavolare con loro un dialogo sacro. La contempla­
zione di quelle immagini può essere quindi stata sia cerimonia reli­
giosa, sia corrispondenza magica tra l'animale vittima e il cacciatore,

47
CAPITOLO III

che in quei tempi arcaici non è ancora l' essere superiore che uccide,
ma quello che, con l'animale che è costretto ad abbattere, comunica
e vuole instaurare buoni rapporti. La sua visione del mondo, però, si
colloca nella sovrastante figura della Grande Madre che egli venera
anche come signora degli animali.
Già il primo emergere dell'essere umano dalla propria animalità
deve aver comportato una religione primitiva di quel Grande Femmi­
nino che veniva sentito come fonte di tutta la vita. Il potere dell 'ele­
mento femminile era preminente. Traeva origine dal mistero della
procreazione, sempre opera delle donne. E tanto più numinosa deve
esserne stata la forza in quanto la partecipazione maschile alla pro­
creazione della nuova vita non era stata ancora riconosciuta. Più di
10.000 anni separano la "Venere di Laussel" dalla rivoluzionaria sco­
perta biologica della partecipazione maschile all 'atto della procrea­
zione e circa altri tre millenni e mezzo dalla tracotante ideologia del­
la virilità propugnata dall' Orestea. Plinio il Vecchio, nella sua Storia
naturale, nel I secolo d.C. rivela quanto a lungo perdurò il ricordo
dell'onnipotenza della Dea Madre, per lo meno nell 'idea di una pos­
sibile procreazione elementare in assenza di padre. Nella sua opera
egli accenna molto seriamente alla possibilità che le giumente venga­
no ingravidate senza l'intervento dello stallone, solo ad opera del
vento. Il che spiegava, a suo parere, perché le giumente esponevano
con tanto piacere le terga al vento. Lo scienziato romano fonda tale
sua credenza sul passo dell'Iliade in cui Omero parla di Borea, il ven­
to del nord, rampollo di Eos dalle rosee dita, la dea dell 'aurora, e lo
collega alle giumente di Erittonio. Quell'uomo-serpente, nato dalla
terra e tardivo figlio di Zeus, visse ricco di pingui armenti sul monte
Ida benedetto dalle fonti. E in proposito Omero scrisse:

"A lui, nei prati lungo il fiume, pascolavano tremila giumente


accompagnate da sgroppanti puledri, poppanti, esuberanti di audacia.
Borea stesso, infiammato dalle grazie delle giumente al pascolo,
si accoppiò, sotto spoglie di stallone dall'oscuro manto.
Ed ogni sua fecondazione diede dodici audaci puledri". <•>

Non sapremo mai come si svolgeva nell'età della pietra il culto tri­
butato alle pitture animali rupestri, agli idoli della fecondità o alla
"Venere di Laussel". Che però venisse celebrato è deducibile da nu­
merosi ritrovamenti di "strumenti musicali" awenuti nelle caverne
del Périgord. Sono stati rinvenuti soprattutto rombi che, fatti frullare
in aria attaccati a dei cordini, producono misteriosi ronzii e poi fi­
schietti e flauti ricavati da ossa cave. Come fa sapere Thorsten Droste,
uno straordinario esperto del Périgord, nelle caverne di Tue d 'Au-

48
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

doubert sono state scoperte anche impronte di piedi che possono es­
sere state lasciate solo dal calpestio dei piedi dei danzatori. Di per sé,
comunque, la caverna ha sufficienti nessi cultuali. Essa simboleggia il
grembo della Madre Primigenia e come la grotta, dai tempi arcaici, è
luogo di culto e di sogno, spazio che ricorda il corpo materno. Essa
può tramutarsi anche in elemento di paura. In tal caso diviene infer­
no, mondo infero, regno dei morti, Ade, nel cui grigiore - come Cri­
sto nella sua discesa agli inferi in epoca successiva - la Grande Dea
scende per liberare e resuscitare il proprio eroe. Nel regno sumerico
opera in veste di Inanna o di Anath nei confronti di Dumuzi o Baal,
in Egitto Osiride, ridestato a nuova vita da Iside, diviene giudice nel
regno dei trapassati ed in Grecia Persefone, la figlia di Demetra, in
quanto accomunata alla Grande Madre, per un terzo dell'anno, re­
gna come dea sugli inferi. La caverna, comunque, è un luogo poliva­
lente che rispecchia l' ambiguità della Grande Dea. Come sede "del­
l' altro mondo" assomiglia ai palazzi, profondamente interrati del po­
polo irlandese delle fate di Thuata da Danaan della saga celtica,
mentre nell'antichità romana e greca, in quanto nascosta sede dell'a­
more, diventa il tempio naturale di Venere-Afrodite. Anche nella fa­
mosa "grotta dell'amor cortese" di Tristano e Isotta continua ad ope­
rare l' incantesimo del primigenio mondo infernale. L'epico medie­
vale Gottfried von Strassburg, ancora agli inizi del XIII secolo, in pie­
na epoca cortese, nel suo romanzo d'amore fa scoprire alla coppia
totalmente dedita a Venere "una caverna in un monte selvaggio", ca­
verna che non nasconde altro se non appunto "la ca' d'amore", la ca­
sa sontuosamente arredata dell'amore cavalleresco, della quale si di­
ce "che sia consacrata alla dea dell'amore".
La caverna di Lascaux invece viene appropriatamente definita la
"cappella Sistina della preistoria", alludendo sia all'alta qualità dei
suoi dipinti, sia al suo carattere religioso. La "Venere di Laussel", nel­
l'aura sacra delle pitture ferine, si inserisce accanto al bisonte ameri­
cano o europeo in veste di signora degli animali. Millenni dopo la
Grande Madre si presenta ancora in quel ruolo, dall'India al Medi­
terraneo, in Mesopotamia, in Egitto e in Africa, in Grecia, nella Spa­
gna meridionale, in Sicilia, in Sardegna, a Creta e a Malta.
Sin da quando uscendo dalle profondità delle sue origini compì i
primi passi a tentoni, l'umanità considerò sacri gli animali. Dalle ar­
caiche culture superiori all 'antichità classica, le divinità sono state
venerate in sembiante di animali. Nella sua relazione sull'Egitto Ero­
doto elenca numerosi animali, anche selvaggi. "Se narrassi perché
vengano ritenuti sacri" scrive, "la mia esposizione penetrerebbe nelle
cose divine che io mi rifiuto categoricamente di svelare." Tuttavia
narra che l'involontaria uccisione di uno di quegli animali viene pu-

49
CAPITOLO III

nita con gravi sanzioni e quella premeditata, poi, con la morte. A


due di essi attribuisce particolare importanza: "Tuttavia chi uccide
un ibis o un falco, sia volontariamente che involontariamente, deve
morire" .<'1
In Egitto l' ibis era considerato portatore di vita perché arriva in
volo all'epoca della piena del Nilo e della fertilizzazione della terra
ad essa connessa, il falco poi era considerato simbolo del sole. Per
questo Iside può essere anche dotata di ali d'uccello, e così pure la
babilonese Lilith. Un rilievo in terracotta del 2000 a.C. circa, la rap­
presenta, sumerica dea dei morti, con ali possenti e zampe d'uccello,
accompagnata da leoni e civette. Anche sui recipienti bronzei greci o
sui crateri etruschi del VI secolo a.C. si trovano immagini di dee alate
in veste di signore degli animali.
In epoca preistorica la Madre Primigenia che traeva completa­
mente dalla magìa della natura il proprio potere sugli animali, anno­
da uno strettissimo legame con l' essere umano ancora chiuso in cre­
denze totemiche. Al contempo, dotata di ali d'uccello ella fa vibrare
gli strati più profondi della psiche umana, suscita l'antichissimo so­
gno di volare, di superare la "gravità terrestre" librandosi sulla mate­
ria. Ma, alla lunga, nessun volo in altezza, neppure quello degli astro­
nauti che avviene in assenza di gravità potrà rinunciare alla patria ter­
rena, la materia che racchiude in sé i vocaboli "mater", madre, e "ma­
trix", matrice.
Già in epoca paleolitica, gli uccelli che incarnano l'umano sogno
di volare rappresentano la magìa dell'assenza di gravità. Nelle cul tu­
re arcaiche come pure tra gli odierni popoli "primitivi", essi com­
paiono come spiriti che assistono il volo estatico degli sciamani. La
maschera d 'uccello conferisce in tal caso natura d'uccello e aiuta lo
stregone ad entrare in trance e forse, in tempi preistorici, ad avere
un rapporto magico con gli animali. Così potrebbe venire interpreta­
ta l'unica figura umana della grotta di Lascaux che rappresenta un
uomo con la testa d'uccello e il membro eretto sotto un bisonte. L'a­
nimale è colpito da una freccia e, palesemente eccitato e col pelo ir­
to, rovescia le viscere tra le zampe posteriori. Su un palo totemico po­
sto accanto all'uomo c'è un'altra maschera d'uccello. 161
Su tutto quell'incanto, però, si ergeva in qualità di sovrana degli
animali, la Grande Madre. Anche Afrodite, la sorella di molti millen­
ni più giovane della "Venere di Laussel", ogni tanto si presenta come
signora degli animali. In questo contesto Omero la associa a un mon­
do primordiale in cui la dea, in analogia con l'armonia esistente tra
leone ed agnello nel paradiso biblico, trasforma la durezza e la cru­
deltà della natura in desiderio amoroso e in accordo. Nel suo inno
Afrodite è seguita da:

50
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

"Scodinzolanti lupi grigi e leoni dagli occhi lampeggianti,


Orsi e veloci leopardi, insaziabili e di caprioli
Avidi; e quella vista rallegrò i sensi della dea,
Ed ella destò in loro dolci brame, sì che tutti
A coppie si accompagnarono tra loro in luogo ombroso". '71

Accanto a Cibele, dea dell'Asia minore che percorre la terra su


un carro trainato da leoni, anche e soprattutto Artemide, la Diana ro­
mana e dea della caccia, è sovrana del mondo animale. Lo denuncia­
no già l' abito e la corona, ambedue adorni di molte immagini di ani­
mali. In una scultura, l'orlo inferiore della sua veste reca tra due fiori
un'ape.
La saggezza del mito eleva le alacri raccoglitrici di miele ad ani­
mali sacri. Nell'antico Egitto, "Ba", l'anima, può abbandonare il cor­
po sia sotto forma di uccello, che di ape. La scelta non cadeva su un
animale immeritevole. Da quando Karl von Frisch ha scoperto la
"danza dello sfarfallio" sappiamo che le api hanno un "linguaggio"
che consente loro di segnalare con precisione alle compagne distan­
za e angolo di avvicinamento di una fonte alimentare. In certo qual
modo esse indicano al loro sciame il cammino verso le fonti di vita. Il
loro accoppiamento addirittura "intelligente" e i loro rapporti reci­
proci, che offrono spunto di confronto col sistema nervoso umano e
la struttura reticolare del cervello, sono stati scoperti dall'etologo
francese Rémy Chauvin e dal suo team.
Se gli antichi Egiziani ritenevano le api portatrici d'anime, in Gre­
cia, in epoca patriarcale, esse servirono il "mielato" Zeus come balie.
Apollo, poi, si fece consigliare da loro come costruire un tempio, do­
po, che a Delfi gli eressero con cera e piume il primo sacrario. Ecco
un altra connessione tra Egitto e Grecia dovuta al mito, anche se
questa volta non è Erodoto a stabilire il "collegamento" tra Iside­
Hathor ed Artemide e Apollo, ma "solo" un'ape!
Sulle orme della Grande Madre, tuttavia, affiorano ulteriori e stu­
pefacenti nessi. Essi conducono in Inghilterra nella piana di Sali­
sbury, all 'inesplicabile cerchio megalitico di Stonehenge. Anche là
esistette un arcaico culto della Madre Primigenia che in veste di La­
tona - esattamente come a Delo - si dice abbia partorito i gemelli Ar­
temide e Apollo.
Sulla pista segreta fa da guida Apollo. Giustificare dal punto di vi­
sta della storia della cultura l'origine di questo dio "più greco di tutti
gli dèi" non è certo meno difficile che sciogliere l'enigma di Sto­
nehenge. Eppure tutte le tradizioni che ruotano attorno al culto del
suo santuario principale di Delfi testimoniano a favore dell'esistenza
di un Apollo proveniente dal nord. Jean Markale, lo studioso dei Ce!-

51
CAPITOLO III

ti, cita in merito anche Cicerone, il famoso statista romano, oratore e


scrittore del 1 secolo a.C. che distingue addirittura quattro ipostasi di
Apollo, la terza delle quali pare fosse arrivata a Delfi "dalle regioni
iperboree". !Hl Secondo le saghe greche gli iperborei erano un popolo
felice che abitava al nord, da qualche parte "al di là di Borea". Marka­
le suppone che probabilmente in simili tradizioni si rifletta ancora
un ricordo dei tempi dello scontro tra i "Dori, indoeuropei prove­
nienti dal nord, gli Achei della penisola greca e i Cretesi dell'Egeo."
Secondo il mito e la tradizione apollinea, comunque, quando non ri­
siede a Delfi, il dio si trattiene presso quel popolo del nord. Significa­
tivo è però che due vergini iperboree scortino Latona e sua figlia Ar­
temide in partenza per la sacra isola di Delo. Erodoto parla di "gente
più che nordica", gli iperborei, e narra che le loro vergini portano a
Delo "offerte votive legate in mezzo a paglia di frumento". Sull'isola
di Latona quelle giovani erano molto onorate, proprio come se in­
carnassero un aspetto della Divinità Materna colà venerata. Erodoto
prosegue: "Alle vergini del paese degli iperborei morte a Delo, le fan­
ciulle e i giovani di Delo sacrificano ciocche dei propri capelli. Prima
delle nozze le fanciulle si tagliano un ricciolo, lo awolgono attorno a
un fuso e lo depongono sulla loro tomba - la tomba si trova all'inter­
no del santuario di Artemide, entrando a sinistra, e su di essa è cre­
sciuto un olivo -, i giovani di Delo, invece, depongono sulla tomba un
germoglio awolto in una ciocca della propria capigliatura. Questi gli
onori tributati a quelle vergini dagli abitanti di Delo".191
Con l'offerta dei capelli affondiamo nel terreno delle credenze
magiche. Sin dai tempi più antichi i capelli erano ritenuti portatori
della forza vitale e sessuale. Ad esempio, nei miti celtici legati al cin­
ghiale, che era oggetto di culto, sono quindi segno di particolare for­
za e sono significativi nelle nozze con la divinità femminile; nella Bib­
bia, invece, il ribelle Assalonne in fuga dai servi del padre, il re Davi­
de, resta impigliato con la "capigliatura", la sua forza migliore, ai ra­
mi di una quercia e poi viene ucciso.
Quando a Delo, quindi, fanciulle e giovani awolgono le loro of­
ferte di capelli attorno a fusi e a germogli, alludono sia al filo della vi­
ta, che si deve continuare a filare, soprattutto dopo le nozze, sia al­
l'albero della vita che cresce dal germoglio.
Ma per tornare all'isola britannica e a Stonehenge, bisogna ag­
giungere qualche tessera al mosaico. In primo luogo conviene chie­
dersi se parlando di "iperborei" si possano intendere i Britannici, e
se le fanciulle del popolo "al di là del vento del nord" recanti offerte
votive a Delo venissero dawero di lì e non semplicemente dal nord
della Grecia. A favore dell'isola britannica, però, depone già il vivace
scambio culturale fiorito tra quella e il mondo egeo, al più tardi a

52
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

partire dal n millennio a.C. Alla base vi era il commercio dello stagno
che portò i Fenici, ma anche altri popoli semiti, sino alle miniere del­
la Cornovaglia. Il prezioso metallo veniva trasportato per nave dalle
miniere comiche - che si esaurirono solo nel XIX secolo e da allora,
coi loro antichi forni di fusione, sono decadute a bizzarri ruderi pae­
saggistici - ai paesi mediterranei. Grazie a quei rapporti commerciali,
alla Britannia preceltica e celtica giunsero influssi culturali e religiosi
mediterranei, fenici, babilonesi, ebraici ed egizi.
Diodoro Siculo, ancora nel I secolo a.C., riferisce del trasporto
dello stagno comico dall' isola britannica alla Grecia, a Roma e in
Egitto. Ed è questo storico greco originario della Sicilia a spezzare
una lancia a favore del nostro argomento! Nella sua storia del mon­
do in quaranta volumi pubblicata nel 50 a.C., Diodoro menziona
l'antica tradizione di un culto di Apollo, esistente sull' isola al di là
del canale della Manica e connesso a quello della Dea Madre Primi­
genia di Delo. Il testo stupefacente riporta comunque una citazione
che Diodoro aveva recuperato dagli scritti ormai quasi totalemente
smarriti di Ecateo di Mileto, vissuto ali ' incirca nel 500 a.C. Quel­
l'informatissimo geografo e precursore di una storiografia genealogi­
camente ordinata, alla quale si dedicò anche Erodoto, probabilmen­
te doveva le sue informazioni sulla Britannia del VI secolo a.C. ai mer­
canti di stagno, oro e ambra che ragionevolmente conoscevano an­
che Stonehenge. È lui dunque la fonte di Diodoro Siculo in cui leg­
giamo: "Di fronte alla Gallia celtica giace un 'isola, non più piccola
della Sicilia, che si estende verso nord e che è abitata dagli Iperborei,
così chiamati perchè vivono al di là del vento del nord ... Secondo la
tradizione qui nacque Latona, motivo per cui gli abitanti venerano
come somma divinità Apollo. Di fatto si può dire che tutti i suoi se­
guaci sono sacerdoti, dato che egli viene celebrato ogni giorno con
canti di lode ed esaltato in molte altre forme". 0 01
Nel periodo preso in considerazione da Ecateo, il figlio era quin­
di più importante della madre, che comunque non veniva dimentica­
ta. È assolutamente probabile che nei periodi nei quali le strutture
sociali matriarcali vennero sostituite da quelle patriarcali un dio della
luce abbia cacciato un'originaria dea della fertilità.
Anche a Delfi la divinità originaria non era Apollo, bensì Gea, la
Madre Terra. Alla quale, molto prima di Apollo, si sostituì come divi­
nità oracolare la figlia Temi. A lei rende omaggio un inno orfico:

"Sacra figlia del cielo,


Temi di nobili natali.
Giovane virgulto di Gea,
vergine dal roseo volto,

53
CAPITOLO lll

ascolta, io ti invoco!
Colei che per prima agli uomini
annunciò sacre sentenze profetiche
e nella valle di Delfi
dichiarò le leggi eterne .. . " . < 1 1 >

Continuando la lettura del testo di Diodoro sulla Britannia, va ri­


cordato che: "Su quest'isola, in una stupenda radura del bosco, essa
pure dedicata ad Apollo, si eleva un tempio singolare di forma per­
fettamente tonda e ornato di offerte votive. Nei pressi sorge una città
dedicata al medesimo dio, i cui abitanti, nella stragrande maggioran­
za, suonano l'arpa. Senza interruzione pizzicano le corde nel tempio
e dedicano inni al dio, del quale esaltano le azioni ... Si dice che Apol­
lo visiti quella terra ogni diciannove anni, che è esattamente il tempo
necessario agli astri per compiere la loro rotazione, e che tra i Greci
viene di conseguenza chiamata 'il grande anno'. Durante il suo sog­
giorno sull'isola anche il dio suona l'arpa e danza ogni notte, dall'e­
quinozio di primavera fino al sorgere delle Pleiadi, particolarmente
liete della venerazione loro tributata". 02>

Stonehenge, una sede cultuale dell'età della pietra dalla "forma perfettamente cir­
colare".

Eppure cosa ci autorizza a saltare dal tempio di cui abbiamo par­


lato prima al magico cerchio di pietre di Stonehenge?
Lo consiglia l'astronomo inglese Gerald Hawkins che vive in Ame­
rica. Negli anni Sessanta ha sviluppato la sua "astroarcheologia" e si è

54
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

stupito di ritrovare regolarmente, nei calcoli astronomici fatti a Sto­


nehenge, e pur senza conoscere le righe di Ecateo prima citate, la ci­
fra periodica di 18,61 anni. Stonehenge, che come sede cultuale
preistorica presenta tanti caratteri insoliti, anche a dire di archeologi
più cauti, può avere avuto funzione di osservatorio astronomico.
Quanto alla cifra trovata da Hawkins, gli era nota da una riforma del
calendario del matematico ed astronomo greco Metone, vissuto nel v
secolo a.C. Il "Ciclo di Metone" stabiliva la durata media del mese di
29,532 giorni e prevedeva 235 mesi lunari in 19 anni solari. Apollo
compare sull' isola britannica con un ciclo di diciannove anni esatti!
Questa concordanza non lascia dubbi sul fatto che parlando del
"tempio di forma perfettamente tonda" non si poteva alludere che a
Stonehenge.
Le fasi della luna venivano misurate in base alle sue pesantissime
pietre e ai suoi triliti, quando in determinati momenti attraverso la
pietra posta al centro del cerchio cadevano i raggi del sole. Gli uomi­
ni dell'epoca di transizione dalla cultura dei cacciatori a quella degli
agricoltori, nel gigantesco monumento che gli archeologi suppongo­
no sia stato costruito in almeno quattro fasi dal 2800 al 1500 a.C., de­
vono avere visto, addirittura molto prima dei Celti, qualcosa di simile
a "l' ombelico del mondo", analogo all"'onfalo" greco del santuario
di Apollo a Delfi. Centri sacri del genere si incontrano in molti ambi­
ti culturali e in quasi tutti i continenti. Tuttavia Stonehenge rivela,
già nell' architettura, il modello base di una primordiale religione
femminile. In quanto edifico cultico "di forma perfettamente circola­
re", questa costruzione megalitica della preistoria corrisponde al di­
segno naturale del sacro lago di Delo, "detto circolare come una ruo­
ta". Ambedue le volte, coloro che riferiscono, Diodoro-Ecateo ed
Erodoto, fanno notare questa singolarità.
Non c'è bisogno che la tradizione narri che Latona e Artemide
fanno la spola tra la Britannia e Delo. L'archetipo del "Grande Fem­
minino" affiora già solo nella forma nettamente cirolare. Come la ca­
verna anche il cerchio è uno degli arcaici simboli della Madre Primi­
genia. Esso raffigura la totalità della vita in cui inizio e fine sono in­
trecciati tra loro come nell 'immagine dell'urorboro, il serpente arro­
tolato su se stesso che si morde la coda.
Anche nelle sculture preistoriche, dal profondo dell 'inconscio af­
fiora questo linguaggio simbolico, nei tatuaggi circolari, ad esempio,
e negli occhi smisuratamente grandi di quell'Mrodite del III millen­
nio a.C., nata sotto il cielo assolato delle Cicladi all'epoca della co­
struzione di Stonehenge. Il potere di questo simbolo primordiale è
talmente forte che ricompare anche nelle immagini oniriche della
nostra epoca tecnica e scientifica. Quando, nel secolo scorso, il chi-

55
CAPITOLO III

mica tedesco August Kekulé von Stradonitz studiò la struttura mole­


colare del benzolo, furono il sogno di un serpente urorboro e la sua
interpretazione a fargli trovare la formula circolare del benzolo.
L'enigmatico cerchio di colonne di Stonehenge è per molti versi
connesso al mondo concettuale di una Grande Dea Madre. Persino
la fantasia di un narratore e storico medievale quale Geoffrey of
Monmouth è colpita dal fascino di quel tempio dell' età della pietra.
Nella Storia dei re di Britannia terminata nel 1 135, che divenne la base
della successiva e ricca letteratura su re Artù, quale architetto di Sto­
nehenge figura l'arcincantatore Merlino. Il grande mago si fa addirit­
tura costruire un osservatorio personale che assomiglia esattamente
alla costruzione megalitica di Stonehenge. Significativamente è una
donna, sua sorella Ganieda, dotata quanto lui di facoltà profetiche, a
pregarlo di far erigere quell'osservatorio astronomico nel profondo
dei boschi della Caledonia. Per studiarvi "Febo dal respiro incande­
scente e Venere" e per raccogliere informazioni sul futuro del suo
popolo.
Apollo-Febo e Venere: una costellazione da cui affiora di nuovo lo
stretto intreccio esistente tra il dio della luce e la dea dell 'amore. Al­
trettanto significativo, però, è il ruolo della sorella di Merlino come
assistente. Nel linguaggio del mito ella è una parte del mago stesso,
una fata quale la famosa Morgana o la bretone Viviana, lo sventurato
amore di Merlino.
Anche queste figure poetiche nascono dal mondo profondamen­
te radicato di un conce tto di femminile in cui si riflettono alcuni
aspetti della Grande Dea. Ciò vale pure per la sposa di Merlino,
Guendalina. Non solo ha i tratti di Ganieda, ma anche quelli di Gine­
vra, la sposa di re Artù, di cui si narra che: "La sua bellezza superava
quella delle dee e dei petali del Iigustro e delle rose in fiore e dei
profumati gigli dei campi. La gloria della primavera splendeva solo
in lei ed ella aveva negli occhi la lucentezza delle stelle".0'1
Questa lode poetica trova legittimazione nella mitica origine di
Ginevra. Il suo nome Guinevere-Ginevra deriva dal celtico "Gwenhy­
faer", che significa "bianca dea", "dea luna". Così anche la donna del
leggendario re Artù è una tardiva discendente della Madre Primige­
nia e dea dell'Amore che un tempo contrasse sacro matrimonio col
suo eroe.
Esaminando questo significativo rituale emergono evidenti i nessi
con Stonehenge. Essi riguardano i diciannove anni che, si tramanda,
erano l'intervallo di tempo che i Greci definivano "il grande anno",
quel numero diciannove in cui incappò anche Hawkins nei suoi cal­
coli su Stonehenge. La cosa stupefacente è che questo "grande anno"
della durata di diciannove anni normali corrisponde esattamente al

56
AGLI ALBORI DELLA PREISTORIA

divino anno di regno del sacro re che veniva investito di tutto il suo
potere dalla Grande Dea, a fianco della quale governava! Quell'anno
sacro iniziava la notte in cui solstizio d'inverno e luna nuova coinci­
dono, che si verifica solo ogni diciannove anni, e faceva sì che gli an­
tichi celebrassero il giorno del solstizio d'inverno il 24 dicembre. Si­
no al momento in cui solstizio d'inverno e luna nuova coincideranno
di nuovo, per tutto quel "grande anno" sarà quel re a detenere il po­
tere. Egli veniva poi sostituito - un tempo con l'uccisione - da un suc­
cessore nato anch'egli in una notte di solstizio d'inverno e luna pie­
na. Il nuovo re, con la sua giovinezza, incarna la primavera imminen­
te grazie alla quale in tutta la terra riprenderà a germogliare nuova
vita. Helmuth M. Bottcher a proposito di questa tradizione calendari­
stica che si prolunga anche nel mondo delle credenze cristiane, scri­
ve: "Probabilmente egli (il successore) assume la sua carica il 6 gen­
naio, quindi la notte di luna piena che illumina la terra tredici notti
dopo il solstizio d' inverno. Questo giorno dei "tre re" presenta quin­
di il neo-nato e il re appena entrato in carica nel pieno splendore
della luce celeste. Il 6 gennaio è inoltre di necessità anche il giorno
della morte del vecchio re. Donde vien detto il giorno dei tre re. Non
fu solo Maria a partorire suo figlio il 24 dicembre, ma anche Alcione
(una femmina d'uccello artico dal cui uovo, secondo un'antica tradi­
zione ellenica nasce il nuovo re. N.d.A. ) . Senza dubbio la stessa cosa
accade a Berta (la Grande Madre dei Germani) . Altrimenti le date
germaniche del 24 dicembre e del 6 gennaio perderebbero, nel loro
rapporto con la dea, quel significato presente solo nella sacralità del
ciclo di diciannove anni. Le due date costituiscono l'inizio e la fine
della sacra successione - solo muovendo da essa divengono compren­
sibili come la orima luna nuova e la prima luna piena di un altro
" (111
grande anno .
Se pure l'enigma di Stonehenge resta insoluto, si può tuttavia
sempre supporre che in epoca arcaica fosse sede di un culto della
Grande Madre, qualsiasi forma esso avesse. Ai Celti che successiva­
mente migrarono sull'isola e alla loro profonda stima della donna es­
so non deve essere risultato affatto estraneo, così che si può facilmen­
te supporre che assimilarono la cultura del popolo i cui antenati un
tempo eressero Stonehenge.
L'informazione di Ecateo riportata da Diodoro porta a cozzare
ancora una volta contro una roccia primordiale, anche se non
profonda quanto quello delle pitture rupestri francesi. Le epoche
storiche perdono d'importanza dinnanzi al potere sovratemporale
delle immagini archetipiche. La loro ripercussione sul mito parla di
mondi sprofondati in epoca preistorica durante la quale, dal mare
del Nord all'Egeo, dall'Atlantico all'Oceano Indiano, le rappresenta-

57
CAPITOLO 111

zioni di una Grande Dea Madre vanno interpretate come sostanza di


una religione primordiale dell'umanità. Di tali immagini fanno parte
pure i simboli incisi nelle pietre di Stonehenge, scoperte nella prima
metà del nostro secolo. Nel 1953 alcuni archeologi individuarono su
delle pietre incisioni raffiguranti piatte scuri di bronzo, rimaste sino
a quel momento inosservate, mentre nella parte interna di un trilite
individuarono segni scalfiti con lo scalpello, che potrebbero venire
interpretati come rappresentazioni estremamente semplificate di
una dea della fecondità, simili a quelle delle tombe megalitiche di
Bretagna, Malta e Sardegna.

58
CAPITOLO IV

Testimoni di pietra

L'"Eterno Femminino" immortale e dai mille volte vive nell'ani­


ma umana come immagine della Madre Primigenia. In Bretagna, al­
l'estremo occidente della Francia laddove finisce la Terra, nella re­
gione del Finistère; a Point du Raz, sugli scogli sferzati dalle tempeste
si erge sul mare la gigantesca statua di Notre-Dame-des-Naufrages, la
Madonna dei naufraghi. La stella che ha in fronte è un ricordo del
potere cosmico della Grande Madre, di cui ella è tarda discendente.
Ai suoi piedi è inginocchiato un marinaio in pericolo che tende una
mano implorante verso la divina col Cristo Bambino in braccio.
Per quanto retorica sia questa scultura del XIX secolo, nei momen­
ti di calma, quando il chiasso dei turisti tace, stagliandosi sul pianoro
roccioso sotto i cumuli di nubi in rapido transito, riesce ancora a sug­
gerire associazioni mentali con la Grande Madre che pare dormire
sotto le spoglie cristiane. Mentre in fondo alla scogliera le grida dei
gabbiani si mischiano al rumoreggiare delle onde, può accadere che
la Madonna col Figlio divino per un battito di ciglia si trasformi nel­
l'egizia Iside col figlio Horus, per ritrasformarsi subito e limitarsi a ri­
chiamare l' immagine dei dolmen e dei menhir primordiali presenti
in quella regione, a testimonianza di una cultura megalitica all'inse­
gna della Grande Madre.
Come a Malta e in Sardegna, ella ricorda inoltre che un tempo
non era solo la "Madre dell'Universo", ma anche quella dei "fratelli
maggiori delle pietre", come la chiamavano gli indiani Kagaba che,
tuttavia, non erano gli unici a ritenere sacre le pietre. In tutto il mon­
do esse sono uno dei simboli più antichi della Grande Madre. A
Pafo, sull'isola di Cipro, centro del culto di Mrodite, l'antichissima
dea della fecondità e della morte veniva venerata nelle spoglie di una
pietra bianca conica, e Cibele, la dea frigia della vegetazione, si mani-

59
CAPITOLO IV

festò come Magna Mater a Pessino, capitale dell'Asia Minore, sotto le


spoglie di una meteorite nera. Ai tempi delle guerre puniche a quel­
la sua "immagine" veniva attribuito ancora tanto potere che nel 204
a.C. i Romani, dietro consiglio dei libri sibillini, la portarono a Ro­
ma, conseguendo poi effettivamente la desiderata vittoria in guerra.
Evidentemente, sin dall'epoca in cui presero coscienza della pro­
pria mortalità gli uomini videro nella pietra un elemento di conti­
nuità degno di venerazione. Sfiorarla poteva far penetrare in loro un
flusso di energia immortale e placare il primitivo timore della morte.
Alla Mecca i fedeli baciano e sfiorano una meteorite, la "pietra nera"
della Kaaba, la somma reliquia dell' Islam, che rimanda a un culto
molto più antico. Gli "omfaloi", le pietre ombelicali, contrassegnava­
no i centri delle culture arcaiche. Erich Neumann definisce "sedi nu­
minose di una vitalità preorganica che veniva recepita in una parteci­
pazione mistica alla Grande Madre Terra", oltre che i monti e le ca­
verne, anche i pilastri di pietra e le rocce che possono venire indivi­
duati come "trono, sede, luogo e incarnazione della Grande Ma­
dre".1 1 1 Di essi fa parte anche la "roccia procreante" dalla quale non
solo Mosè fece scaturire con una verga l'acqua che sostenta la vita,
ma, scendendo in strati più profondi del tempo e nel loro mondo
immaginario della Madre Terra, anche una donna col tirso di Dioni­
so avvolto da foglie di vite e di edera. Era una delle Menadi, le cui fe­
ste orgiastiche vengono descritte da Euripide nelle Baccanti, presen­
tate per la prima volta ad Atene un anno dopo la morte del loro au­
tore, nel 406 a.C. In quella tragedia le seguaci di Dioniso dichiarano
di preferire in realtà Afrodite al dio e una di loro, narrano, "prese il
tirso, colpì la roccia facendo sgorgare dalla pietra una fresca fonte di
limpida rugiada"Y1
Qui la sostanza della pietra assume chiaramente la valenza di latri­
ce di un culto della fertilità che si riannoda a epoche molto più anti­
che. Evidentemente il culto della pietra apparteneva al contenuto di
una religione primordiale il cui archetipo operava al di là di qualsiasi
frontiera geografica. Così, ad esempio, il florilegio romancio, una
raccolta di saghe dei Grigioni che si riallaccia a tradizioni antichissi­
me, tramanda la credenza in pietre inquietanti attorno alle quali si
affaccendavano le "Dialas", divinità romance della femminilità. Si
narra di due fratelli tramutati in blocchi di marmo da una fata con la
bacchetta magica perché avevano osato gettare un' occhiata nel suo
regno segreto.
Anche nella Bibbia le pietre diventano oggetti sacri. Mosè ordina
al popolo di Israele: "E quando passerete il Giordano e entrerete nel­
la terra che ti darà il tuo Signore, tuo Dio, erigi grandi pietre e im­
biancale con la calce e scrivici sopra tutte le parole della legge ... E là

60
TESTIMONI DI PIETRA

stesso al Signore, al tuo Dio, non costruirai un altare con pietra ta­
gliato da ferro. Costruisci quell'altare al Signore tuo Dio di sola pie­
tra e offri olocausti al Signore tuo Dio (Esodo 20, 24-25) . Più lontano
nel tempo, a ricordo di una rivelazione fatta da Dio a Giacobbe col
sogno della scala celeste, viene posta una pietra: "E Giacobbe si alzò
di mattina presto e prese la pietra che si era posta come guanciale, la
eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità e chiamò quel si­
to Beth-EI..." (Genesi 28, 18-19) . Quel nome significa "Sede della divi­
nità".
Giosuè, per contro, il sommo sacerdote e successore di Mosè,
"prese una grande pietra e la eresse sotto una quercia che stava pres­
so il santuario del Signore e disse a tutto il popolo: ecco, questa pie­
tra sarà una testimonianza per noi perché essa ha udito tutte le paro­
le che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonio contro
di voi perché non rinneghiate il vostro Dio" (Giosuè, 24, 27) . Ma
quando, analogamente, le pietre venivano erette a monumenti e ad
altari e venerate dai "pagani", la cosa diveniva idolatria e cadeva sotto
l 'ordine di Mosè: "Demolirete i loro altari e spezzerete le loro stele ... "
(Deuter. 12,3) .
Anche il Cristianesimo delle origini si trova a combattere con un
culto della pietra profondamente radicato. Nel IV secolo Gerolamo,
l'erudito Padre della Chiesa che aveva molto viaggiato e conosceva
anche l'Egitto e la Palestina, nel suo commento al Vangelo di Matteo
si scaglia contro coloro che "non conoscono il Creatore e adorano
pietre" e nel v e VII secolo i concili di Arles e di Toledo condannano
coloro che adorano e venerano le pietre.
Nell'ambito culturale dell'Asia Minore e di Creta erano diffusi sia
la fede nel potere "delle pietre dotate di anima" che un culto ad esse
connesso. Di millenni anteriori al sacrario in onore della Dea Terra
Rea di Creta sono i dolmen delle coste della Bretagna o i templi del­
l' età della pietra di Malta, al centro del Mediterraneo. Essi avevano
già più di un millennio quando i faraoni d'Egitto eressero, a segno
della loro continuità, i loro primi monumenti funebri, le piramidi.
I dolmen, quei sepolcri a forma di tavola consistenti in una serie
di pietre di sostegno verticali e di una o più tavole orizzontali ad esse
sovrapposte, traggono il loro nome dalla parola celtica "dol", "tavo­
lo", e "men", "pietra". Vengono detti menhir gli svettanti pilastri liti­
ci, dove "hir" sta per "lungo". Dolmen, menhir e "Allées couvertes",
tombe a forma di cunicolo site nel Morbihan, la parte meridionale
della Bretagna lambita dalla Corrente del Golfo, sono diffusi in nu­
mero tale da poter dedurre che quella zona fosse il centro preistori­
co di una religione primordiale, il cui rituale verteva attorno al culto

61
CAPITOLO IV

dei morti. In tutto il mondo le necropoli e le tombe in pietra sono le


più antiche, e spesso sono collegate a edifici cultuali connessi a riti
della fertilità. Evidentemente, la fede nel potere della natura appar­
tenente a una Grande Madre, dea della fertilità e dei morti, si svi­
luppò sin da quando le tribù di cacciatori nomadi iniziarono a diven­
tare sedentarie e a fissare le loro formule magiche sulle pareti delle
caverne cultuali.
In Bretagna, ancora nel nostro secolo, le donne indulgono a una
rito notturno della fecondità sfregando il grembo contro determina­
te pietre. Il menhir di Saint-Cado presso Ploermel è una di esse, e co­
sì pure quello di Kerderf. Ad esso, a nord est di Menec nei pressi di
Carnac, le coppie sterili chiedevano la fecondità. Di quell'usanza in
vigore sino al secolo scorso riferisce Sibylle von Reden: "In determi­
nate notti propizie a questo incantesimo ci si recava presso la pietra
miracolosa e ci si spogliava, mentre i genitori montavano la guardia.
Poi l'uomo doveva inseguire la donna attorno al menhir sinché ella
gli si concedeva. Una simile unione awenuta all 'interno del cerchio
magico attorno al pilastro sacro avrebbe immancabilmente portato la
benedizione di un figlio". l31
Se pur la pietra magica ricorda il fallo, in tempi antichissimi deve
essere stato vissuta come un idolo della Magna Mater. Lo rivelano
chiaramente i menhir a forma di statua femminile del sud della Fran­
cia e di altre località, presenti ovunque in numero notevolmente mag­
giore rispetto ai menhir maschili. Pure in Sardegna è diffusa una cre­
denza negli incantesimi delle pietre simile a quella della Bretagna.
Ancora pochi decenni fa le donne sterili si recavano nei pressi di Sili­
qua ad un menhir caduto, e per poter concepire figli lo cavalcavano.
In Bretagna, la tradizione popolare chiama "pietre ardenti" anche
intere fosse megalitiche che indubbiamente ricordano il grembo del­
la terra e la femminilità, in cui le ragazze vogliose di nozze si introdu­
cono scivolandovi dentro nude. Oltre a ciò in epoche preistoriche la
Madre Primigenia si presenta anche androgina, con un doppio sim­
bolismo sessuale. Unificando in sé ambedue i poli sessuali, conferisce
a quello maschile caratteristiche prevalentemente di figlio.
Per esorcizzare il fascino delle pietre la Chiesa cattolica fece ador­
nare molti menhir di simboli cristiani. Alcuni dolmen ornati ormai
di croci, ad esempio la ex-"pietra ardente" di Croez-Moken presso
Carnac, ebbe addirittura l'onore di diventare la mèta di solenni pro­
cessioni primaverili di giovani fanciulle guidate dai religiosi del luo­
go. La neutralizzazione delle pietre incantate bretoni non ha avuto
luogo solo nel Morbihan. Se ne vedono i segni anche sulla Còte-du­
Nord. Un esempio particolarmente significativo è il menhir alto cin-

62
TESTIMONI DI PIETRA

que metri di Saint-Duzec, non lontano da Trébeurden. Nella sua par­


te superiore uno scalpellino del XVII secolo ricavò un crocefisso con­
tadino e sotto, sopra gli strumenti di supplizio della Passione, tra sole
e luna, una figura in rilievo della Madonna il cui portamento arcaico
suggerisce ancora un idolo materno di epoca mitica.
Non lontano, sulla Cote de Granit Rose, la costa di granito presso
Perros-Guirec, che deve il suo nome alla pietra rosa che al variare del­
la luce cangia in sempre nuove sfumature di colore, c'è l'Allée couver­
te di Kerguntuil. Su una delle lapidi di quella tomba a forma di cuni­
colo circondata da cespugli sono incise nove paia di seni femminili
chiaramente riconoscibili. Anche in questo caso si può pensare alla
venerazione di un'arcaica divinità della fecondità e della morte.
Nella stessa regione c'è un oracolo, quello di un santo cristiano,
consultato sino a poco tempo fa dalle fanciulle e a tutt'oggi menzio­
nato nei libri sulla Bretagna solo come curiosità, che a uno sguardo
più attento non può negare la sua provenienza dal mondo concettua­
le della Madre Primigenia. Esso era sito nell'antico oratorio di Saint
Guirec, sul versante occidentale della spiaggia omonima presso Plou­
manach. Sorretta da due colonne romaniche e accessibile solo con la
bassa marea, la cappella nasconde, sotto un baldacchino di granito,
l' immagine del santo che dicono giunto in quel luogo nel VI secolo
come missionario e promosso a santo patrono delle ragazze desidero­
se di convolare a nozze. La statua originale, intagliata nel legno e og­
gi conservata nella piccola cappella sopra la baia, è stata sostituita da
una di pietra. Altrimenti non avrebbe retto a lungo alle innumerevoli
ferite che le venivano inferte dalle fanciulle, il cui rito consisteva nel
conficcare nel naso del santo uno spillone; se restava infisso, Saint
Guirec avrebbe provveduto a un marito.
In questa pratica si potrebbe riconoscere anche un culto fallico.
In caso di riuscita della pratica le ragazze si sarebbero assicurate una
doppia razione di energia maschile, ora prendendo simbolicamente
possesso del "naso" del santo, e ora usando in modo adeguato, in cer­
to qual modo androgino, lo "spillone" portato con sé. Tuttavia, riferi­
ta a un santo cristiano, questa sarebbe un'usanza davvero troppo
oscena. È molto più verisimile che dietro a quella cerimonia si na­
sconda un 'azione sacrificale, da lungo tempo dimenticata, nei con­
fronti di una dea della fertilità che, nel processo di cristianizzazione,
venne sostituita da un santo maschile.
Indagando sul significato del sacrificio dell'ago, è in Erodoto che,
con stupore, s'incontra di nuovo un'eventuale risposta. Da lui si vie­
ne a sapere che le donne di Egina e di Argo offrivano alle dee della
fertilità Damia e Auxesia, degli spilloni per abiti. Alle Ateniesi, inve­
ce, era proibito per legge portare simili spilloni a fibbia da quando,

63
CAPITOLO IV

all'unico uomo tornato vivo dalla guerra persa contro Egina, avevano
inferto tante punture che anche quel poveretto era morto. Per puni­
zione avevano dovuto mutare il costume dorico in quello ionico col
"chitone di lino", per il quale, narra Erodoto, "non servivano fibbie".
"Tuttavia tra gli abitanti di Egina e quelli di Argo" continua egli, "in
considerazione dell'accaduto fu introdotta l 'usanza, sino ad oggi in
vigore, di raddoppiare la dimensione degli spilloni e di far offrire
dalle donne alle due divinità del tempio soprattutto spilloni". 1'l
In ambito mediterraneo quindi la fibbia a spilla acquisì un signifi­
cato religioso. Non potrebbe essere successa la stessa cosa anche in
Bretagna, ove anche le alte cuffie inamidate delle donne sposate ri­
cordano, ancora oggi, la potenza femminile di un tempo? Quanto al­
la problematica relativa ali 'usanza di offrire gli spilloni degli abiti alle
divinità materne, se ne era già occupato Bachofen. Egli scrive: "Non
si può metterne in dubbio il significato erotico-afrodisiaco. L'offerta
votiva della fibbia a spilla (perone, porpe, termine, quest'ultimo, che in­
dica l'anello della fibbia mentre il primo indica lo spillone che la in­
terseca) che trattiene gli abiti, ha lo stesso significato dell'offerta del­
la cintura femminile. Ambedue alludono al sacrificio della verginità.
L'offerta della fibbia simbolizza il passaggio alla maternità, l'ingresso
nel matrimonio, l'adempimento del compito femminile che trova la
sua realizzazione nello "scopo del matrimonio nel fiore della gio­
ventù". L'abito chiuso viene ora aperto. La fibbia, prima simbolo di
pudica verginità, diviene immagine del matrimonio. L'anello trapas­
sato dallo spillone è di per sé simbolo dell'unione dei sessi finalizzata
alla procreazione. Tutti i particolari della narrazione d i Erodoto
coincidono con questo riferimento erotico"_ l 'l
Anche se le "conficcatrici di spilloni" della Còte-du-Nord hanno
da tempo dimenticato il significato di ciò che fanno e se l' offerta vo­
tiva ad una dea della fertilità si è trasformata in un singolare gioco
oracolare con un santo cristiano, la magìa della religione materna
primordiale continua ad operare dagli albori dei tempi ai giorni no­
stri. Evidentemente in ambito cristiano il missionario bretone ha as­
sunto lo stesso ruolo di successore, assunto dalla Madonna. Non è
certo un caso che la località costiera e la penisola che da essa prende
il nome, sita tra la baia di Quiberon e il golfo di Morbihan, quella
"metropoli della preistoria" in cui si trovano le tombe megalitiche
più importanti ornate coi simboli della Grande Madre, siano state de­
nominate Locmariaquer: santo luogo di Maria. Analogamente, ovun­
que in Bretagna si trova la "roccia madre". Così i geologi definiscono
la base ricca di minerali dello strato di terreno costituente la roccia
primordiale sottostante lo strato di terra fertile.
A Locmariaquer, dinanzi a una tomba dell'età della pietra, giace

64
TESTIMONI DI PIETRA

a terra spezzato in quattro il più grande menhir del mondo. Il popo­


lo battezzò "Men er Hroec'h" - pietra delle fate - quel pilastro di gra­
nito lungo più di 20 metri e pesante circa 350 tonnellate. Quanto al
monumento funebre che un tempo sorvegliava, il dolmen ricoperto
da uno strato di terra a protezione delle incisioni della mensola absi­
diale, è noto come "Table des Marchands". La definizione "tavolo dei
mercanti" allude alla sua larga tavola di copertura. Ma l 'elemento più
affascinante di questo santuario funebre è l'interno, con la sua alta
mensola conica, sita sul fondo della stanza. Con le sue misteriose in­
cisioni essa domina la dimora magica come una primordiale pala di
altare. L'intera pietra, circondata da una corona di raggi nelle cui
verticali, piatte file centrali, è scolpito a mezza altezza un piccolo sole
raggiante, è ricoperta da una quadruplice serie di 56 aste ricurve e fi­
nemente lavorate a bassorilievo. Il motivo del bastone ricurvo o ad
uncino si ritrova anche sulle statue-menhir della Francia del sud e
del Portogallo. Evidentemente fa parte dell 'enigmatico alfabeto di
un linguaggio simbolico-religioso degli uomini dell'età della pietra.
Di particolare importanza è la forma a "Marmi te", e cioè a "paio­
lo", inscritta in tutta la struttura e circondata dall'aureola di raggi, un
motivo-base delle culture megalitiche che compare spesso anche nel­
la penisola iberica circondata a volte, anziché da una corona di raggi,
da una di capelli. Ormai gli archeologi l'hanno identificata univoca­
mente come simbolo della Grande Madre nella sua accezione di Dea
dei Morti.
L'interpretazione degli enigmatici segni presenti sulle pietre cul­
tuali dell'era megalitica è straordinariamente difficile. Si possono
trarre deduzioni convincenti e stabilire regole universalmente valide
solo dal ripetuto affiorare di forme ricorrenti e dal loro confronto
con figure analoghe di altri edifici sacri, in cui tali motivi si ripresen­
tano, e dal collegamento con determinate immagini della Madre Pri­
mordiale o relative scoperte di idoli. Per l'uomo dell'età della pietra,
per contro, come annota Sibylle von Reden, il significato di quel sim­
bolo ricco di varianti adottato per la Grande Dea "deve essere stato
chiaro come lo è oggi per noi quello della croce". Uno dei monu­
menti funerari megalitici più imponenti della Bretagna è sito sull'iso­
la di Gavrinis, l'isola delle capre, nel golfo di Morbihan. In pochi mi­
nuti di barca i visitatori vengono portati da Larmor Baden al suggesti­
vo santuario dell'età della pietra sulla punta meridionale della minu­
scola isoletta. Il tumulo, alto circa otto metri, eretto con pietre grezze
sovrapposte a scaglie, circondato da alberi tormentati dal vento, ce­
spugli di ginestre e di more, ricopre un imponente dolmen eretto da
tribù del neolitico circa 6000 anni fa come una sorta di tomba regale.
La porta d'ingresso di questo tumulo del perimetro di 55 metri è co-

65
CAPITOLO IV

stituita da due menhir sui quali si sovrappone una pietra orizzontale.


Come la caverna, il "corpo-recipiente", anche la porta, come ingresso
nel grembo della terra è uno dei simboli più antichi della Grande
Madre. Nei due pilastri di pietra e nella pietra ad essa orizzontalmen­
te sovrapposta, che assieme formano la porta, Neumann vede "una
delle prime rappresentazioni della triade del Grande Femminino di
cui fa spesso parte, come quarto, il fallico pilastro singolo della viri­
lità". Dolmen e porta, in quanto simbolo della femminilità, sono
"sempre connessi alla rinascita attraverso il grembo femminile. Non
lo si riscontra solo nel folclore dei paesi in cui esistono dolmen simili
e attraverso cui vengono fatti passare i malati, ma anche nelle culture
primitive dell 'età della pietra ancora esistenti". <"1
All'interno della cella mortuaria di Gavrinis, di 2,5 metri di lato
circa e quasi quadrata, si arriva percorrendo un corridoio lungo 1 4
metri di pietre scolpite. Questa cappella mortuaria dell'età della pie­
tra è chiusa da una lastra di copertura di circa 17 tonnellate. Sulle
sue pareti sono incisi una scure, un animale con le corna, le corna e
il dorso di un secondo animale disposti in modo da formare un 'ara­
tro. Nel neolitico il simbolo della scure, spesso usato a causa delle
sue molteplici possibilità di impiego - per l' agricoltura, per abbattere
gli alberi, come arma e come strumento sacrificale -, era assurto a
simbolo del potere, e l 'ascia stessa, nella sfera numinosa della Gran­
de Madre, a oggetto cultuale. <71 In ambito mediterraneo, quale sim­
bolo della cretese Dea della Terra s' incontra la scure a due tagli.
A parte le incisioni del soffitto, nel dolmen di Gavrinis, ovunque,
anche nei blocchi di granito parietali, si trovano incisioni rupestri
rappresentanti simboli della Madre Primordiale, reperibili del resto
anche altrove, ad esempio in Spagna e a Malta. Cerchi, archi, uncini,
incisioni a zig-zag, intrecci di linee simili ad impronte digitali gigan­
tesche, forme di scudi e di serpenti sono stati incisi in profondità nel­
le lastre di pietra con piccoli cristalli di quarzo, a formare intrecci
che s'intessono l 'uno sull'altro. Se pure molti di tali simboli non con­
sentono un 'interpretazione univoca, alcuni di essi sono per certo
ideogrammi di una religione della Madre Primordiale. Tra di essi si
contano sia forme a marmitta, presenti in molti luoghi, come rebus
celati nei motivi ornamentali, sia tre serpenti che si alzano da terra
sul lato destro in prossimità dell' ingresso.
Il serpente, in quanto animale ctonio per antonomasia, accompa­
gna la Madre Terra sin dall'inizio. La sua trasformazione in mostro e
principio del male, in simbolo della seduzione femminile e portatore
di morte, sarà argomento di un successivo capitolo. Per ora ricordia­
mo che in origine il serpente era ritenuto portatore della saggezza
della terra e della sua forza vitalizzante. Egli reca in sé il sapere segre-

66
TESTIMONI DI PIETRA

to di tutti i rimedi naturali. Per questo sulla verga di Esculapio diven­


ta l'emblema del medico esperto. Nel poema epico Gilgamesh il ser­
pente ruba al semidio la pianta che consentirà di ridestare a nuova
vita il defunto Enkidu. Il serpente possiede il segreto dell'immorta­
lità ed è al servizio delle antiche dee della fertilità. Anche Antoine de
Saint-Exupéry ne onora la saggezza nella sua fiaba Il piccolo principe.
Tuttavia, in quanto attributo della Madre Primigenia, in Bretagna, il
serpente non compare solo nel dolmen di Gavrinis, ma anche inciso
addirittura cinque volte mentre si rizza sulla punta della coda, ai pie­
di del menhir di Mania, scoperto a Carnac rovesciato su una fossa di
raccolta delle ceneri di inumazione.

Ingresso alla necropo­


li dell'età della pietra
dell'isola di Gavrinis,
in Bretagna.

Nel Musée Préhistorique di Carnac è esposto il calco di una sta­


tua-menhir appartenente al dipartimento di Aveyron, nella Francia
meridionale. Essa prova, con ancora maggior chiarezza di quanto

67
CAPITOLO IV

non facciano le incisioni della tomba a cunicolo di Gavrinis, che le


incisioni rupestri possono rappresentare la dea preistorica stessa. Da
questa statua-menhir di St-Sernin la Grande Madre ci guarda inquie­
tante fissandoci con occhi rawicinati, incisi nella pietra del volto ta­
tuato e privo di bocca. Sui seni simbolizzati da cerchi magici pende
una pesante collana a sei fila - che si ritrova come simbolo della
Grande Dea in molti menhir del neolitico. L'abito, generosamente
aperto sul davanti, arriva sino a terra e su di esso si sovrappongono
ad angolo retto le braccia. Le mani stanno, una vicina all'altra, sopra
una larga cintura composta da due pezzi. Sotto la cintura che va inte­
sa come un simbolo sacro della femminilità, spuntano delle gambe
diritte che assieme ad essa formano un alto portale.
Quest'immagine, che si erge statica, esercita il suo fascino sull'os­
servatore attraverso i secoli. Nel linguaggio formale di questa scultura
c'è qualcosa di inquietante che avvince, in cui la maestà della morte
sembra fondersi alla speranza della sopravvivenza nella sacra pietra
consacrata alla Madre. Tra le numerose statue-menhir femminili tro­
vate in Languedoc ce ne sono anche alcune dal volto di civetta e dallo
sguardo incantatore, la stele di Bouisset scoperta nel l951 in una tom­
ba, ad esempio, o la pietra incisa di St-Bénézet, venuta alla luce nel
corso di lavori agresti, con le mani alzate davanti ai seni sovrastati da
un volto largo e dominato da un paio di occhi tondi e sporgenti.
Se pure queste statue appartengono a un 'altra cultura, influenza­
ta da quella mediterranea, per la loro qualità archetipica possono es­
sere messe in rapporto con i segni astratti delle sculture megalitiche
bretoni. Inoltre l 'analisi delle pietre ha rivelato che, come minimo
dal IV millennio in poi, in Atlantico si praticava la navigazione sia co­
stiera che fluviale, ad esempio risalendo la Loira. Essa serviva all'e­
sportazione di utensili in pietra, di armi e di asce in fine dolomite
che dai primitivi abitanti della Bretagna venivano spediti per nave
nell' interno della Francia e addirittura alle isole britanniche. In quel
caso non potevano mancare fecondi influssi culturali geograficamen­
te estesi.
A tutt'oggi è rimasta però oscura la provenienza di quell'enigmati­
ca statua di donna che nell'Argoat, la zona boschiva della Bretagna,
col nome di "Venere di Quinipily" troneggia da un alto zoccolo di
granito su una fonte, un tempo zampillante, tra le rovine del castello
omonimo. Nessuno ne conosce l'età. Per così dire eterna e in un at­
teggiamento che potrebbe derivare da molte culture ed epoche pre­
cedenti, guarda lontano da un incantato giardino in rovina. Di inter­
pretazioni ne sono già state fatte molte senza che si sia riusciti a pene­
trame il mistero. Tra l'altro in lei si è voluta vedere Astarte, l'antica
dea semita dell'amore e della fertilità, una divinità romana o l' egizia

68
TESTI MONI DI PIETRA

Iside. Dato che per un certo periodo i Bretoni le tributarono un culto


quasi pagano, per ordine ecclesiastico venne gettata due volte nel fiu­
me Blavet che scorre ai suoi piedi. Ciononostante la popolazione loca­
le l' ha sempre recuperata. Lasciamo all' ignota il suo segreto. Conside­
riamola la metafora di un antico culto della femminilità dai molti no­
mi. Significativo è comunque che la dea muta si erga sopra una fonte.

Statua·menhir della Grande Madre, St.-Ser­


nin nella Francia meridionale.

Fonti e sorgenti - come quella di St-Philibert presso Carnac - testi­


moniano un rispetto ancora in auge in epoca cristiana, per l 'elemen­
to che sgorga dalla terra. L'acqua ha qualità materne, rappresenta
l'elemento nutritivo e generante e in quanto "latte" della terra divie­
ne fonte di vita. In questa accezione l'abbiamo già incontrata nel mi­
to pelasgico di Latona e dei sacri laghi di Sais e Delo. Linguistica­
mente, all'acqua è connesso anche il nome celtico della Dea Madre
Ana, venerata un tempo in Bretagna. Le radici di Ana sono sumere.
Successivamente i crociati dall'oriente portarono anche il culto di
sant'Anna, la madre della Madonna. Spinti dalla loro "buona duches­
sa" Anna, i Bretoni accolsero nella loro terra baganta dal mare la san­
ta cristiana con albero genealogico preistorico e le dedicarono subito
una fonte. Da allora, la prima domenica di agosto, i fedeli accorrono
da ogni angolo della Bretagna a Saint-Anne-la-Palud presso Locro­
nan, nel Finistère, per partecipare al più grande e più bel "Pardon",

69
CAPITOLO IV

come vengono chiamati qui i pellegrinaggi . In quell'occasione nella


cappella di Anna sulle dune del mare, attorno all'immagine miraco­
losa della santa, dinanzi a cui le donne chinano le loro alte e meravi­
gliose cuffie di pizzo, guizza la luce mistica di un'infinità di candele.
E come se venisse nuovamente varcato un ponte magico lanciato dal
mito oltre ampi spazi temporali.
Il culto della Grande Madre ha lasciato le sue tracce nell'incon­
scio collettivo dell'umanità. I riti e le consuetudini cristiani come pu­
re la successiva denominazione di alcuni testimoni di pietra della
preistoria, affondano spesso le loro radici in questa "terra madre".
Nei menhir e nei dolmen definiti "la Roche-aux-Fées", "pietre delle
fate", ad esempio, sopravvive il ricordo della Dea Madre. La fata, con
tutto il suo splendore d'incantesimo e di fiaba, non è altro che una
tarda derivazione della Grande Dea. Lo rivela già la sua etimologia
dal latino "fatua", la "vaticinatrice" e dal "fata" del latino popolare, la
"dea del destino".
Nella zona delle bocche del Rodano presso Arles è da lungo tem­
po nota come "grotta delle fate" una tomba megalitica, un 'Ailée cou­
verte composta da due stanze laterali circolari e una galleria di 45
metri. Tuttavia una delle più belle testimonianze della cultura mega­
litica in Francia si trova di nuovo in Bretagna. "La Roche-aux-Fées" -
la roccia delle fate - viene chiamato questo monumento dell'età della
pietra nei pressi di Etang de Marcillé, tra Vitré e Chateaubriand. La
tomba - o era un tempio? - è stata eretta circa 4500 anni fa. La sua
struttura è talmente magistrale che la sua esecuzione è stata tradizio­
nalmente attribuita alle fate. Una porta, costituita da due pietre di
sostegno a forma di parallelepipedo e da un architrave scolpito ad es­
se sovrapposto, conduce, attraverso un grande atrio, a una cavità di
14 metri di lunghezza e larga un massimo di 4 e più volte suddivisa.
Questo dolmen è costruito con 42 pietre del peso anche di quattro
tonnellate e protegge il suo segreto all 'ombra di querce secolari.
Sino a non molto tempo fa, nelle buie notti di luna nuova, i fidan­
zati venivano alla "Roche-aux-Fées" per avere un responso oracolare
facendo la conta dei blocchi che la compongono. Il matrimonio sa­
rebbe stato felice solo se i due avessero ottenuto lo stesso risultato. Era
tollerata una piccola differenza. Se però il numero delle pietre conta­
te risultava troppo diverso era consigliabile astenersi dal matrimonio.
L'oscurità della notte e il fluido di quel luogo gravido di miti rischia­
vano però di mettere in pericolo la concentrazione nel contare.
Orrido invece il rituale, ancora in vigore nella Bretagna del seco­
lo scorso, nel quale si è conservato l'aspetto tremendo della Grande
Madre quale dea dei morti. Le donne, come se in epoca cristiana fos­
sero ancora al servizio sacerdotale della antica dea, si facevano esecu-

70
TESTIMONI DI PIETRA

triei di morte. Loro scopo era la "liberazione" delle persone anziane


che, nonostante l'infermità, non riuscivano a morire. In quei casi, la
donna reputata degna dell 'incarico arrivava col "Mel Beniguet", il
"martello benedetto" per spaccare il cranio al longevo in presenza di
tutto il villaggio. Al museo di Carnac sono esposti simili "Mel Beni­
guets", tutti i villaggi ne possedevano uno, spesso celato in un'antica
cappella. A volte la morte della vittima può essere stata provocata an­
che semplicemente dalla magìa di quel truce rituale, ancora prima
che giungesse a destinazione il colpo inferto dalla donna che vibrava
il martello. All 'orrida costumanza, arricchita da cerimonie di consa­
crazione cristiana e da formule di fede, veniva conferito qualcosa di
simile al carattere sacramentale. E, anche se non approvata dalla
Chiesa, essa veniva unanimemente considerata legittima. Lo confer­
ma un protocollo del 1 830. Sibylle von Reden, cui dobbiamo l'accen­
no a questo barbarico procedimento, ne riassume il racconto ricco di
particolari nella seguente annotazione: "La vittima volontaria era un
vecchio di 85 anni paralizzato da dieci e di nome Mathò-Talen, abi­
tante in un casale della zona di Pontivy. Egli incaricò personalmente
la figlia di richiedere il 'Mel Beniguet' al sacrestano della cappella di
Saint Maltro, che lo conservava in una nicchia segreta della chiesa.
Dopo che la pesante pietra venne portata alla fattoria dove si erano
già radunati i vicini, fu consegnata alla più anziana delle donne pre­
senti. Quella si accostò al malato, tracciò tre volte il segno di Croce,
sollevò alto sulla testa il 'Mel Beniguet' gridando a voce alta: 'Mathò­
Talen, per l'ultima volta raccomanda la tua anima a Dio, ecco qual­
cosa che ti libererà dal timore della morte e dal peso della vita!' Poi
la vecchia sfiorò le dita della vittima con un ramo di palma intinto
nell 'acqua benedetta. Al che il malato si rianimò un poco, si fece il
segno di Croce mentre tutti i presenti cadevano tremanti in ginoc­
chio recitando le preghiere dei morti. Allora la vecchia abbassò senza
violenza la pietra sulla sua fronte e, con voce stridula e la destra alza­
ta, gridò: 'Per la Santa Trinità, in nome del Padre, del Figlio e del
Santo Spirito, Mathò-Talen, grazie al martello benedetto che libera i
vecchi, riposa in pace. Hai vissuto bene ! ' Aveva appena terminato
che il morente con le sue ultime forze esalò 'Ti ringrazio, mio Dio ! ' e
rese lo spirito". 181
Va ricordata pure l' usanza ancora in vigore nella Chiesa Cattolica
di percuotere tre volte con un martello la testa di un papa dopo il de­
cesso.
Nel "Mel Beniguet" di pietra usato dai Bretoni celtici sopravviveva
il ricordo di un arcaico culto megalitico caratterizzato da credenze
matriarcali. Il martello vibrato come strumento di esecuzione divina
stabilisce un 'associazione con Thor o Donar, il possente dio germani-

71
CAPITOLO IV

co della tempesta e dell'atmosfera, il cui simbolo era appunto il mar­


tello. Eppure anche quel dio patriarcale si ergeva sul terreno di una
precedente religione della Grande Madre. E a farvi riferimento non
è solo la sua caratteristica di fecondare la terra coi temporali. Di
Thor, che veniva venerato soprattutto in Norvegia e in Islanda, si nar­
ra anche che avesse rubato "il gigante", il "paiolo magico". In realtà a
rubarlo fu Freya, la dea dell'amore, della bellezza e della fecondità
dei Germani, che si impossessò del paiolo magico contenente il pro­
digioso idromele. Il "paiolo" stesso, invece, altro non è se non il sim­
bolo della dea il cui potere femminile è usurpato da Thor. Le radici
di questo simbolo affondano profondamente nella mitica roccia pri­
mordiale. Freya, infatti, era la figlia della Madre Terra jòrd, la signo­
ra degli inferi che dimorava nell'oceano occidentale su un'isola del­
l'Al-di-là. Ella raggiungeva per nave le coste del mondo degli uomini
e su un carro tirato da vacche percorreva le campagne per donare lo­
ro luce e fertilità. Lo scrittore romano Tacito (55- 1 20) , nella sua Ger­
mania indicò Jòrd col nome di "Nerthus" e quale "Madre Terra". Sia
il suo culto che quello di sua figlia Freya erano diffusi in tutta la Ger­
mania. Veniva praticato di preferenza nei boschi, sotto alberi sacri e
presso megaliti e tombe gigantesche. Tutti i luoghi ai quali la dea
"concede la grazia del suo arrivo e della sua sosta" osserva Tacito, so­
no adornati a festa. "Non si parte per la guerra, non si impugnano le
armi; tutte le spade sono chiuse sotto chiave. Sinché la dea, stanca
della compagnia degli uomini viene resa al suo santuario, si conosce
e si ama solo quiete e pace."
Nelle frasi seguenti è espresso anche l'aspetto letale della Grande
Madre Terra: "Poi carri e panni e, se si vuole crederlo, anche la divi­
nità stessa, vengono lavati in un lago isolato. Alla bisogna provedono
gli schiavi e ben presto il medesimo lago li inghiotte. Dopo regna un
certo terrore e una sacra incertezza sulla natura della divinità che so­
lo gente votata alla morte può rimirare". <!l>
Fanno parte del culto di Nerthus anche processioni navali e cor­
tei primaverili. Di una processione simile dà testimonianza ancora
nel x secolo la badessa Marcsuith del convento di Schildesche, presso
Bielefeld. Ella riferisce di una sosta accanto a querce e fonti sacre del
corteo recante l'immagine del dio, della benedizione dei frutti dei
campi da parte di un sacerdote, della richiesta di protezione dal mal
tempo e dalla gTandine e della preghiera per ottenere la benedizio­
ne delle stalle. "Alla divinità vennero sacrificati animali, offerti pane,
uova, piante e frutti dei campi e acceso un fuoco. Al canto di festose
e antiche melodie si danzò giubilando attorno al falò ardente, a dife­
sa dalla grandine o dal fulmine vennero portati nei campi i ceppi del
fuoco sacrificale ormai spenti o se ne sparse la cenere".<IO>

72
TESTIMONI DI PIETRA

In base a una tesi audace, la risposta cristiana a quell 'usanza che


resisteva tenacemente dall'epoca matriarcale fu l'introduzione, avve­
nuta trecento anni dopo, della festa del Corpus Domini. Il vescovo
Roberto di Liegi nel 1 246 impose quella festività nella sua diocesi,
spinto dalle visioni dell'austera canonichessa e superiora delle Ago­
stiniane, Giuliana di Liegi. Diciotto anni dopo, papa Urbano IV, un
tempo arcidiacono di Liegi, elevò il Corpus Domini a festa di tutta la
cristianità:
Gòttner-Abendroth inserisce Nerthus, la Grande Madre dei Ger­
mani, in una continuità storico-religiosa. Di lei dice: "Le sue antenate
sono l' indiana Prithivi, l'Inanna sumerica, Kubaba-Kybele dell'Asia
Minore, l' Hathor-Iside egizia, la greca Demetra; a lei parallela è la
celtica Dana, successivamente ella venne mascolinizzata in Nj òrd". 1 1 1 1
Tutto quanto concerne il martello quale eredità di una mentalità
che ruota attorno alla neolitica dea della morte ci conduce anche su
un'altra traccia: pure Charun, l'alato e demonizzato dio dei morti de­
gli Etruschi vibra il martello, come farà in seguito con la "sua falce"
"la morte mietitrice". Nelle tombe di Tarquinia, Caronte offre uno
spettacolo terrificante. Agli uomini della tarda età etrusca appare si­
mile a uno spettro dipinto sulla parete nei colori della putrefazione,
con appuntite orecchie d'animale e malefico naso a becco d'avvol­
toio nel volto barbuto. Così è raffigurato sulla tomba degli Anina del
III e n secolo a.C. In quel sepolcro che prende il nome dalla famiglia
omonima egli è fiancheggiato da una figura femminile, Vanth, dea
che accompagna i morti nel regno dell'Al-di-là. Ella pure è alata, ma
a differenza di Caronte non ha nulla di terrificante. Porta una corta
gonna che le arriva appena alle ginocchia ed è trattenuta da una fa­
scia che le lascia i seni scoperti. Anziché il minaccioso martello di Ca­
ronte ha in mano una fiaccola ardente. Nel linguaggio dell'antica
simbologia tombale questa può essere un'allusione sia alla fede degli
Etruschi nella sopravvivenza dei morti sepolti, sia alla speranza di
una rinascita dal grembo della terra; la fiaccola accesa e levata, rap­
presenta infatti la vita, mentre quella spenta e abbassata simboleggia
la morte.
Vanth e il raccapricciante Caronte, una coppia di opposti. E tutta­
via i due stanno assieme. Di fronte a questa costellazione viene da
chiedersi se questo demone maschile non sia una tarda incarnazione
dell 'aspetto mortale dell'antica Madre Terra. In tal caso, allora, in
Vanth sopravviverebbe la memoria all'aspetto luminoso della Magna
Mater in quanto dea della fecondità. A favore di questa ipotesi depo­
ne la presenza del demone etrusco dei morti in un altro tumolo di
Tarquinia, la tomba dell'Orco. Là, in una camera mortuaria più anti­
ca risalente al rv secolo a.C., Caronte non vibra solo il martello. Ap-

73
CAPITOLO IV

pare accompagnato anche dal serpente matriarcale. Esso si avvolge


attorno alla gamba sinistra del dio dei demoni, gli si arrampica sulla
schiena e si rizza possente al di sopra della spalla destra, accostando
la testa alla sua che ha capelli di serpenti guizzanti.
Anche nella stanza della tomba dell'Orco, di più recente datazio­
ne, a simboleggiare la Madre Terra si trovano dei serpenti. In quella
tomba, nel particolare di un affresco parietale del 200 a.C. circa, essi
risplendono di tra i capelli biondi di una donna che un 'iscrizione
etrusca indica come Phersipnei. Al suo fianco c'è un uomo ritratto
con la dicitura Aita. I due nomi etruschi sono identici a quelli di Per­
sefone e Ade della mitologia greca. Il Caronte etrusco, a motivo del
suo attributo serpentino, non è legato solo al dio infero Ade e al regno
dei morti che da lui prende nome, ma pure a Persefone, la figlia della
Madre Terra Demetra, la cui storia verrà ripresa successivamente.
I miti si intrecciano l 'uno all 'altro come le incisioni all'interno
dei sacrari dei dolmen. Assomigliano agli oscuri corridoi di un labi­
rinto al cui centro c'è la Grande Madre della preistoria. A dispetto di
tutta l'enigmaticità delle testimonianze litiche della preistoria sia i
menhir e i dolmen bretoni, che gli imponenti allineamenti di Carnac
dalle pietre per lo più disposte per filari, possono venire identificati
come architetture sacre del neolitico che fanno "della Bretagna il
punto focale del primo vasto movimento religioso della nostra prei­
storia".0 2> Qui, come in altre regioni della terra, la divinità femminile
veniva venerata come dea della fecondità e della morte al contempo,
come generatrice e divoratrice in seno all'eterno ciclo della natura.
La sua forza si incarnava nelle pietre sacre. Al suo aspetto dai tratti
inquietanti si contrapponeva il suo volto limpido di dispensatrice di
vita. Con tale caratteristica deve avere destato anche negli uomini
dell'età della pietra una sorta di speranza nella resurrezione. Forse,
come suppone von Reden, anche le conchiglie cauri giunte sino in
Dordogna e che di tanto in tanto venivano poste sugli occhi dei mor­
ti, la cui forma ricorda la vulva, erano simboli di una analoga fede.

74
CAPITOLO V

I templi della dea nell'età della pietra

Mentre sulle coste dell 'Atlantico i simboli presenti su menhir e


dolmen attestano un culto della Grande Madre, nel Mediterraneo
meridionale un popolo di epoche remote, evidentemente pacifico,
in uno spazio ridottissimo eresse alla Dea i templi più imponenti.
Quei luoghi custodirono per millenni anche un santuario che scen­
de nelle profondità della terra e che reca tracce di un culto dei morti
legato alla Madre Primigenia e di altre forme di culto religioso.
Siamo a Malta.
L'isola e la vicina Gozo vennero popolate verso il 5000 a.C. da
emigranti provenienti dalla non distante Sicilia. Lo documentano i
reperti di ceramica rinvenuti nella caverna di Ghar Dalam e recanti
gli stessi graffiti ornamentali, identici per forma e colore, alle cerami­
che siciliane di epoca neolitica. Tuttavia, in base ad alcuni cocci ritro­
vati, è certo che vi furono anche rapporti con la Siria e la Palestina.
Dal 4600 al 3800 circa a.C., alla "fase di Ghar Dalam" seguì il periodo
che prende il nome dal villaggio di Skorba, contraddistinto da una
seconda ondata di immigrazione dalla Sicilia. Come attestano le ana­
lisi al carbonio radioattivo, oltre che le tombe a forma di rene, a
quell'epoca risalgono anche i primi templi a una sola cella. Dal 3800
al 2500 circa a.C. essi furono sostituiti dai templi a trifoglio, tipici di
Malta. Tra essi annoveriamo quello di Skorba, Mnajdra, Hai Tarxien
o Hagar Qime, e persino una delle più antiche costruzioni dell'età
della pietra, la Ggantija di Gozo. Circa quindici di questi sacrari sono
complessivamente ancora ben conservati. Quale carattere stilistico di
spicco presentano tutti l'archetipo del "Grande Femminino". Sono
quasi totalmente assenti le linee diritte, gli spigoli vivi o gli angoli,
mentre, per contro, sono presenti ovunque morbidi stondamenti,
dolci rigonfiamenti e volte arcuate. I portoni principali e i corridoi

75
CAPITOLO V

che portano ai locali interni di questi edifici cultuali hanno struttura


trilitica, la nota costruzione simbolica, costituita da due blocchi verti­
cali e una pietra di chiusura ad essi perpendicolarmente sovrapposta.
Originariamente le mura interne di calce globigerina finemente levi­
gata, quella pietra morbida che, contrariamente alla pietra calcarea
corallina, più resistente alle intemperie e usata per le pareti esterne,
è fatta di sedimentazioni marine di minuscole conchigliette, erano
pitturate di rosso o di ocra. Colori ritenuti un tempo detentori della
forza vitale e simboli di rinascita, per cui anche i morti venivano spal­
mati di polvere rossa o ocra. Gli stessi colori usati per il corpo veniva­
no aggiunti al corredo per il viaggio nell'Al-di-là.
Le strutture templari dell 'arcipelago di Malta sono più antiche
delle piramidi egiziane di circa mezzo millennio. Ma la maggior par­
te di esse non erano, come quelle, necropoli, ma sedi di culto di una
religione scomparsa. Esse presentano tuttavia un'affinità coi monu­
menti funebri dei faraoni o con le posteriori tombe etrusche: devono
la propria origine alla fede di uomini per i quali vita e morte, diveni­
re e morire, erano ancora componenti di una forza vitale unitaria,
ispirata al concetto di una dea della fertilità la cui potenza interveni­
va con pari intensità sia sopra che sotto la terra.
Nel 1 902, durante la costruzione di una casa a Paola, la città alle
porte di Valletta, un operaio sprofondò improvvisamente per molti
metri in una caverna sotterranea e sparì. L'uomo era precipitato du­
rante lo scavo di una cisterna. Alla fine venne ritrovato incolume.
"Era franato di cinquemila anni nel sottosuolo della storia maltese"
scrisse Peter de Mendelssohn "in un gigantesco labirinto sotterraneo
di atri, stanze, volte, caverne, nicchie, corridoi, gradini, scale e vani
dalle porte e dai portoni grandi e piccoli, scolpiti nella morbida pie­
tra calcarea. Il committente della costruzione obbligò gli operai al si­
lenzio e vendette poi il tutto a buon prezzo al governo che andò a
fondo della cosa".1 1 1 A quel modo venne scoperto l'ipogeo di Hai Sa­
flieni, la tomba a tre piani e il santuario della Magna Mater scavato
nella roccia calcarea per oltre dieci metri di profondità. Le popola­
zioni mediterranee del neolitico proseguirono la costruzione di quel
tempio nascosto nel sottosuolo dal 3000 circa al 2400 a.C. Durante
quel periodo vi trovarono la loro ultima dimora 7000 morti. Rannic­
chiati come feti nel corpo materno, essi vennero accolti dalle cellette
mortuarie scavate nelle pareti dei locali circolari e ampi come sale.
Scavate ovunque, sia in verticale che in orizzontale, le sale dalla volta
concava che coprivano una superficie globale di circa 1 50 metri qua­
dri, non erano comunque solo santuario dei morti. È indubbio che
là dentro le sacerdotesse o i sacerdoti al servizio di un culto ctonio
pronunciavano anche responsi oracolari . Probabilmente sfruttando

76
l TEMPLI DELLA DEA NELL'ETÀ DELLA PIETRA

una magìa acustica. Depone a favore di quest'ipotesi sia una nicchia


ovale esistente nella cosiddetta "sala acustica" del secondo piano, sia
l'apertura praticata nella parete di una stanzetta più piccola per col­
legarla alla stanza più grande decorata a spirali rosse: la mistica firma
della Grande Madre. Parlando in quel foro oracolare la voce riecheg­
gia con eco inquietante tra le volte oscure.
Il motivo spiraliforme si ritrova anche in altre sale deli 'ipogeo de­
dicate al culto. Nei profondi locali "di questa riproduzione di utero e
di camera mortuaria al contempo" ( H.E. Latzke) la potenza della
Grande Madre deve essere stata recepita con particolare efficacia nel­
la sua ambivalenza di datrice di vita e dea della morte.
Come nei templi posti sopra il livello della terra, anche in questo re­
gno sotterraneo della Madre Primigenia c'è un altare per il sacrificio
degli animali. A Malta pare non siano mai stati fatti sacrifici umani, al­
trimenti presenti in molte religioni come frammento della storia evolu­
tiva nel lungo percorso verso l'"homo sapiens" che, ad esempio tra i
druidi, per altro verso a un livello culturale molto elevato, non esclude­
va neppure il cannibalismo rituale. L'ipogeo, il locale a forma di rene
riservato ai sacrifici che in epoca di entusiastica trasfigurazione della
preistoria veniva definito "il sancta sanctorum", ha per ingresso una fin­
ta facciata di tempio addirittura sfarzosa, scolpita nella pietra e dalla pa­
rete a vista accuratamente levigata, e un portale trilitico centrale. In
una fossa profonda, rastremata alla sommità e sita accanto alla grande
sala decorata a motivi a spirale, sono stati ritrovati dei doni votivi. Tra di
essi gli idoli di due donne assopite, forse due sacerdotesse. Una delle
due statuine di terracotta è di particolare bellezza. Su un letto dalla lie­
ve arcuatura concava, la cui parte inferiore presenta l'abbozzo di un in­
treccio, giace sprofondata nel sonno e distesa sul fianco destro una
donna dal busto nudo, dai seni pesanti e i fianchi estremamente larghi,
rivolta verso l'osservatore. Una gonna ornata da lunghe frange arriva ai
polpacci della dormiente coprendo le possenti rotondità delle cosce e
l' enorme posteriore. Nonostante l' eccessiva pienezza del corpo, la sta­
tuetta lunga solo undici centimetri e larga quasi sedici è di una leggia­
dria difficile a descriversi. Essa si fonda sul contrasto tra il corpo massic­
cio e la testina gracile dalla fronte delicatamente bombata, da cui i ca­
pelli lisci ricadono dolcemente sulle spalle e sulle braccia carnose, ma
armoniosamente tonde, dalle minuscole manine. La testina, su un so­
stegno simile a un cuscino, è poggiata al braccio destro ripiegato verso
il volto, la manina sinistra abbandonata nel sonno ne sfiora il gomito.
Si ha dinnanzi l' immagine di una sacerdotessa che nel "sonno
templare" vede in vicende oniriche la divinità e ne riceve gli awerti­
menti? Il culto dell'incubazione, un'antica pratica oracolare, era vivo
in molti luoghi, in Grecia, ad esempio, e a Roma.

77
CAPITOLO V

Oppure la graziosa dormiente è sprofondata in un sonno risana­


tore? Anche questo tipo di incubazione sviluppatosi dal culto preisto­
rico di una divinità femminile della Terra era in uso anche più tardi
in molte sedi del mondo antico. Lo riferiscono autori come Diodoro
Siculo, Pausania e Strabone. Il sonno risanatore era noto soprattutto
nei santuari di Esculapio, ad Epidauro e ad Atene, a Kos e a Perga­
mo, e parimenti in quelli di Artemide ed Apollo a Delo e di lside in
Egitto. Dopo particolari riti preparatori, di cui facevano parte oltre
all'osservanza di determinate regole alimentari talvolta pure il rispet­
to della castità, lavande, unzioni e sacrifici, uomini e donne, separati,
si stendevano sul pavimento del tempio o sulla pelle degli animali sa­
crificati, per attendere nel sonno la comparsa della divinità e della
sua forza risanante. Se il sonno templare aveva successo, oltre alle so­
lite offerte di ringraziamento venivano portati anche ex-voto che imi­
tavano gli arti risanati, proprio come è in uso ancora oggi nelle chie­
se e nelle cappelle dei santi protettori cristiani.

La "Venere di Malta" e la "Dormiente" dell'ipogeo di Hai Safleni.

Chiunque le dormienti maltesi rappresentino, incarnano il proto­


tipo della "donna pingue" diffuso su tutta l' isola come immagine
ideale della pienezza feconda della Grande Madre. La stessa simbolo­
gia ispira molte statuette alte dai 22 ai 25 centimetri, dal corpo quasi
tondo come una palla e dalle manine delicate, provenienti dal tem­
pio di Hagar Qim sul mare. Come i reperti di questo tipo, anch'essi
sono visibili al Museo Archeologico di Valletta. Alcune di queste pic­
cole statue, se pure coi fianchi, le cosce e le braccia oltremodo pieni,
suscitano un'impressione di estrema femminilità, anche se privi di

78
I TEMPLI DELLA DEA NELL'ETÀ DELLA PIETRA

qualsiasi attributo sessuale. A quella stregua intendevano forse espri­


mere l'idea della pienezza e della fecondità in modo ancora più com­
pleto? Attraverso forme del tutto rispettose dell'archetipo del Gran­
de Femminino, ma che contemporaneamente lo ampliano superan­
do la fissazione su un solo sesso e muovendo verso un concetto ses­
suale duplice o sovrasessuale? Si possono fare solo supposizioni, dato
che la cultura maltese non è sopravvissuta in miti di nessun tipo. La
mitologia di Malta si è espressa solo nelle sue statue e nei suoi templi
rocciosi. Alcune delle sue sculture ricordano gli idoli femminili del­
l'epoca neolitica rinvenuti in Anatolia e in Grecia.
La statuetta della "Venere di Malta", in terracotta rossa e alta 1 3
centimetri, è rigorosamente naturalistica. Il corpo pieno d i questa
donna eretta e nuda cui, come i nudi rinvenuti ad Hagar Qim, man­
cano testa e piedi, è modellato in base a stupefacenti conoscenze
anatomiche. Non a torto questo idolo è stato definito "Venere": la
mano sinistra sotto il seno pesante e quella destra indicante il grem­
bo compiono l'antichissimo gesto della Dea dell'Amore e della Fe­
condità. Come tutte le altre statue di Hagar Qim, la Venere maltese
potrebbe appartenere già a una fase tardiva della cultura templare.
Le donne assopite di Hai Saflieni, invece, sono precedenti. Ad es­
se nell'ipogeo si accompagna anche un altro ospite notturno estre­
mamente singolare: un pesce! Esso pure d'argilla, giace su un lettino
simile a quello delle due dormienti. Dato che, sul suo giaciglio, pare
sentirsi una creatura umana, si può supporre che simbolizzi qualcosa
di significativo. Se si trattasse di un semplice incantesimo per una pe­
sca copiosa probabilmente non assumerebbe la posizione solenne di
un dormiente del tempio. Anche un rilievo di pesci, scoperto diretta­
mente in prossimità del mare nelle rovine del tempio di Buggiba,
non ha questa valenza. Nel pesce addormentato connesso al culto
maltese dell'incubazione va più verisimilmente visto un animale sim­
bolico della Magna Mater che è pure Dea dell'acqua e del mare. In
quanto eterno simbolo sessuale, nei miti di molti popoli il pesce in­
carna la forza vitale generata dall'acqua e dal liquido amniotico della
madre. Psicanalisti quali C.G. Jung lo interpretano come l'archetipo
di un aspetto indipendente dell' inconscio umano che "di tanto in
tanto, nei sogni" esprime "il bimbo non nato... dato che prima della
nascita vive nell'acqua come un pesce; e il sole, tuffandosi nel mare,
diventa figlio e pesce al contempo. Il pesce ha quindi a che fare col
concetto di rinnovamento e di rinascita".<21
Il pesce, dunque, in veste di dormiente del tempio nel regno sot­
terraneo della Grande Madre è assolutamente al suo posto. Forse si
ricarica costantemente alle forze vitali della Magna Mater, per non
perdere la propria efficacia di idolo della speranza oltre la morte cui

79
CAPITOLO V

spesso si ricorre. Per il momento non deve interessare il fatto che per
contrapposizione possa comparire anche in veste di pesce marino fe­
roce e di personificazione della morte, incarnando l'aspetto terrifi­
cante della Grande Madre. Per millenni, nei sogni e nelle rappresen­
tazioni umane, il pesce ha avuto comunque il ruolo di salvatore. Di
conseguenza pure il Cristianesimo l'ha scelto come suo simbolo ra.ffi­
gurandolo per la prima volta nelle catacombe di Roma. Gli antichi
cristiani leggevano nella formula greca di definizione del Cristo, IE­
SUS CHRISTOS THEOU HYSIOS SOTER Gesù Cristo figlio di Dio Sal­
-

vatore - un acrostico: allineando le prime lettere di queste cinque pa­


role, si aveva il vocabolo ICHTHYS, "pesce" in greco.
Il fatto che un tempo il pesce appartenesse alle grandi divinità
femminili, è dimostrato, ad esempio, anche dalla sua presenza su un
sigillo siriano del xv secolo a.C., ove appare accanto a una divinità che
solleva la gonna nel sacro gesto di esporre il grembo. Persino quando
il pesce compare in veste di creatura fallica, come ad esempio nei mi­
steri greci di Demetra, è completamente al servizio della dea. Si ricor­
dino le Lenee, le feste femminili orgiastiche delle Menadi. Anche in
quel culto di Dioniso "il dio fallico e la virilità fallica" non potevano
neppure venire concepiti "separati dalla sostanzialità femminile". Non
diversamente possono venire interpretati i pochi simboli di virilità
colà ritrovati e risalenti all'epoca molto precedente dei costruttori di
templi maltesi. Tra di loro spicca in modo particolare una pietra ritro­
vata ad Hai Tarxien e composta di tre falli congiunti l'uno all'altro. In
un'epoca che ignorava ancora un Dio Padre bellicoso, ma conosceva
solo la Madre della Terra, della Fecondità e dei Morti, idoli simili pos­
sono già essere stati venerati come latori della potenza generante ma­
schile. Tuttavia l 'elemento fallico era ancora completamente legato
all'ambito di potere della Magna Mater, un ambito numinoso all 'in­
terno del quale si fondeva completamente con l' elemento femminile
dominante a formare un'unità della vita recepita come naturale.
Anche la "Grande Dea" che regnava sul santuario di Hai Tarxien
era di dimensioni ipertrofiche. Il complesso templare di Hai Tarxien,
riportato alla luce nel 19 1 4 sotto un imponente cumulo di detriti, di­
sta dall'ipogeo solo un quarto d' ora di percorso a piedi. Probabil­
mente all'interno del triangolo tracciabile tra quei due edifici sacri e
il grande porto di Valletta sorgeva il centro di una teocrazia che svi­
luppò una forma sociale basata sulla divisione del lavoro, all' interno
della quale migliaia di persone erano tenute solo alla costruzione e
alla conservazione delle imponenti sedi di culto della Magna Mater.
L' immagine della Grande Dea eretta ad Hai Tarxien era ritenuta il
colosso più antico del mondo. È stata rinvenuta nella prima stanza
del tempio a sud, in prossimità di due altari per i sacrifici ornati da

80
I TEMPLI DELLA DEA NELL'ETÀ DELLA PIETRA

spirali. Nel vano di una costruzione simile a un tabernacolo dell'alta­


re sinistro erano state gettate numerose ossa d'animale. In una delle
lastre di quella cassaforte sacra dell'età della pietra è stato praticato
un'intaglio a forma di mezza luna, in cui venne poi inserito un intar­
sio per chiudere una piccola cavità sottostante in cui giaceva un affi­
latissimo coltello sacrificate di selce. Un contenitore in pietra rinve­
nuto dinanzi all' altare serviva evidentemente a raccogliere il sangue
degli animali sacrificati, mentre profonde tracce di fuoco in una con­
ca scavata nel suolo parlano di cerimonie d'incinerazione.
Al di sopra di quei culti sacrificati troneggiava la possente statua
della Madre Terra. Quell 'arcaica statua di "donna pingue" di cui so­
no rimasti solo frammenti, doveva essere alta quasi tre metri. Solo il
torso, dalle gambe sino a sotto i fianchi, è alto un metro. Da sotto
una gonna a pieghe e a frange che copre le cosce e i larghi glutei,
emergono dei polpacci quasi tondi e dei piedi tanto piccoli da sem­
brare piccioli di pere. Analogamente alle dormienti del tempio del­
l'ipogeo, la Grande Madre di Hai Tarxien aveva il busto prosperoso,
i seni pesanti, le mani e la testa piccole e il volto leggiadro. Gli ex vo­
to, ispirati probabilmente alla colossale statua, la rappresentano co­
sì. Come la "Venere di Malta" anch'ella porta la mano sinistra al se­
no.
Gli accessi alle zone più sacre del suo tempio, del quale fanno
parte molteplici locali sacri, erano più volte limitati da soglie di pie­
tra che in parte fungevano anche da altari ed erano ornate quasi tut­
te dal motivo ricorrente del simbolo matriarcale: delle spirali artisti­
camente incise e avvolte l 'una dentro l'altra. Il più imponente è il
blocco di sbarramento sito su una pedana litica tra due possenti pa­
rallelepipedi, dinanzi al portale trilitico che porta nel cuore del sa­
crario del tempio centrale. Questa soglia di pietra reca un rilievo che
ne riempie tutto il lato frontale: l'occhio della Magna Mater formato
da due spirali poste l' una accanto all'altra. Un tempo quel simbolo
magico vecchio di quasi cinquemila anni deve avere avuto sui visitato­
ri un effetto apotropaico irresistibile. Gli spiriti critici possono vedere
in quello "sbarramento" la prima manifestazione del principio di
esclusione dei laici dalla limitrofa area del sancta sanctorum, cui ri­
correvano le società teocratiche per esaltare il potere della classe sa­
cerdotale. Principio espresso persino secoli dopo nel medioevo dalle
balaustre artisticamente lavorate delle cattedrali cristiane.
Tuttavia la soglia come segnale da rispettare - o come sfida a supe­
rarlo - fa pure parte delle esperienze primordiali dell'umanità. In es­
sa s'incarna la linea di confine tra le zone accessibili e quelle tabù,
tra al di qua e al di là, tra regno degli uomini e regno degli dèi, mon­
do dei viventi e mondo dei defunti.

81
CAPITOLO V

Così, ad esempio, gli antichi cortili antistanti le chiese conservati


in Bretagna, in quanto zone sacre ai defunti, sono un "enclos parrois­
sial" a cui si accede attraverso "portes triomphales", archi di trionfo
varcabili solo superando una soglia di pietra. A questa stregua viene
chiaramente marcata la sacra zona della segregazione, l' "altro mon­
do" - relitti di un' architettura d'epoca megalitica.
La spirale incisa sulle soglie e sulle soglie-altari di Malta a simbo­
leggiare la Magna Mater fa parte dei più antichi simboli dell'umana
esperienza primordiale: quello dell'inizio e della fine della vita che
proviene da un centro misterioso a cui farà pure ritorno. Come il
cerchio e il serpente urorborico, anche la spirale simboleggia la tota­
lità dell 'esistenza intrecciata a tutte le sue contraddizioni.
Lo prova con un'evidenza quasi insuperabile la statua di terracot­
ta di una dea tracia del neolitico, trovata in Bulgaria e facente parte
di un corredo tombale. La divinità seduta su di uno sgabello rotondo
è ornata da spirali che si avvolgono salendo e scendendo, estenden­
dosi sul triangolo pubico al di sopra della vulva chiaramente indicata
da un'incisione - un contrassegno della dea in quanto signora della
vita e della morte.
Questo simbolo della Magna Mater è arrivato sino in Irlanda. Se­
condo la leggenda celtica esistono addirittura dei "castelli a spirale".
Così venivano definite le fortificazioni preistoriche che servivano
contemporaneamen te da luoghi di sepoltura. Famoso è il cumulo
tondo di pietre sovrapposte del peso di tonnellate di New Grange,
con le sue camere mortuarie sotto la volta di pietre sfalsate ad "arnia
intrecciata" dell' età della pietra, che consente di intuirne la prove­
nienza, verso il m millennio a.C., dal bacino del Mediterraneo orien­
tale. Probabilmente il tumolo di New Grange, nella vallata del Boy­
ne a nord di Dublino - alto 1 5 metri e del diametro di 90 metri - era
una tomba regale. Ad ogni modo anch 'esso ci riconduce sulle orme
della Grande Madre. Come scoprì von Ranke-Graves, il cumulo, ri­
spondendo agli usi funerari dell'età del bronzo, in origine, come
concessione alla "Bianca Dea", era ricoperto da selci di quarzo del
colore chiaro della luna a lei consono. Anche in questa sede, tutta­
via, il simbolo tutt'oggi visibile della Magna Mater è la spirale. Essa
compare su molte lastre di pietra, sia come coppia di occhi magici
che come emblema di un percorso. Questo il significato delle spirali
scolpite sulla grande lastra posta dinanzi all ' ingresso che hanno lo
stesso simbolismo adottato per il grembo della dea tracia. Seguendo
infatti con le dita le linee di tale doppia spirale dall'esterno verso
l'interno, al centro si incontra l'inizio di un 'altra spirale che decorre
in senso contrario e che porta di nuovo fuori: il percorso dalla vita
verso il mondo infero dei morti e da là, nel perenne ritmo discen-

82
l TEMPLI DELLA DEA NELL'ETÀ DELLA PIETRA

dente ed ascendente della natura, di nuovo fuori, verso una nuova


nascita.
Oltre al serpente, l'animale della Madre Terra, anche il labirinto,
uno dei simboli più antichi di morte e rinascita, ricorda la spirale. Il
Medioevo cristiano ha continuato ad attribuire tale significato al labi­
rinto, per questo, di tanto in tanto, lo ha ancora accolto nelle catte­
drali. Di conseguenza il visitatore della cattedrale gotica di Notre-Da­
me di Amiens, la chiesa più grande di Francia, nella navata centrale
scopre un labirinto che un tempo i fedeli percorrevano in ginocchio.
Il nome labirinto è preso a prestito dalla labris, la bipenne di Rea,
la Dea Terra cretese, con cui Teseo uccide il mostro Minotauro nel
labirinto sotterraneo di Cnosso. Prima ancora che la Grande Dea ap­
paia accompagnata da un eroe umano, il mito la accoppia al toro. In
una delle stanze del tempio principale di Hai Tarxien, su una lunga
lastra megalitica accanto ad un animale di sesso femminile che allatta
1 3 cuccioli, sono rappresentati due tori. Come signora degli animali
la Grande Madre regna anche sulla forza di questo animale cultuale,
raffi gurato pure nelle caverne di Lascaux e di Altamira.
Gli occhi di pietra della Magna Mater maltese ci hanno condotto
lontano. Ma sempre in zone che rientrano sotto la giurisdizione del­
l'autorità femminile. Essa è percepibile anche sulla piccola isola so­
rella di Gozo, ove il tempio monumentale di Ggantija staglia le sue
grigia mure ciclopiche verso il cielo tremolante per la calura. Quel
tempio doppio, composto da un santuario rivolto verso nord e da
uno rivolto verso sud e dalla tipica forma tonda a trifoglio, venne sco­
perto per la prima volta nel 1 824. È così imponente che la tradizione
popolare ne attribuisce la costruzione a una gigantessa che l'avrebbe
eretto in una sola notte stringendo un lattante al seno. Donde il no­
me di Ggantija, la gigantessa. Il più antico dei due, quello a sud, lun­
go 30 metri e largo quasi altrettanto, le cui mura in rovina si ergono
ancora per sei metri di altezza, oggi viene fatto risalire al 3800 a.C.
circa. La sacra costruzione posteriore a forma di trifoglio, tra le altre
cose, custodisce nelle tre absidi anche un altare a doppio trilite e un
focolare. Uno degli altari presenti nel corridoio che conduce a questi
locali più interni presenta di nuovo il motivo a spirale, mentre nel lo­
cale anteriore a forma di rene è stato reperito il rilievo di un serpen­
te che si rizza (ora al museo di Gozo) . Tracce di ocra e di rosso alle
pareti parlano di un'arcaica religione tellurica.
Tuttavia la Ggantija non conserva solo nei caratteri architettonici
e nei simboli il ricordo del culto di una Grande Divinità Materna.
Dopo che, verso il 2500 a.C., nell'arcipelago maltese cessò la costru­
zione dei templi e circa mezzo millennio dopo l'enigmatico popolo
di quella singolare cultura megalitica scomparve senza lasciare trae-

83
CAPITOLO V

ce, senza segni di lotta o di catastrofe naturale, tanto da consentire


l'ipotesi che sia stato cancellato da una terribile epidemia, fu soprat­
tutto Gozo a continuare ad esercitare sui nuovi immigrati dell'età del
bronzo la sua magia di territorio sacro alla Grande Dea. Divenne la
leggendaria isola di Calipso, la figlia di Oceano. Questi, figlio titanico
di Gea, secondo Omero fu, assieme alla titania Teti, "il principio di
tutto". Calipso - detta anche figlia del figlio di Gea, Atlante, il titano
che regge sulle sue spalle la volta celeste - in epoca patriarcale può
ancora vantare un albero genealogico che risale in linea diretta alla
Madre Terra dei Greci. Sul retro della Ggantija, accanto a una baia a
forma di falce dai riflessi azzurri, a nord ovest della Ramla Bay, è an­
cora visibile la sua grotta dal difficile accesso. Secondo la leggenda fu
là che tenne amorosamente prigioniero per sette anni Odisseo.
"L'augusta Calipso" come Omero definisce l ' incantatrice, al suo
amante naufrago promise immortalità e "intramontabile gioventù",
ma fu costretta a )asciarlo ripartire. Forse, lei che nella grotta incan­
tata creò "un bel tessuto con la spola dorata", venne vissuta come una
tarda incarnazione della Signora della Ggantija che un tempo tesseva
colà il destino degli uomini.

Sul pube di una dea neoliùca rinvenu­


ta in Tracia è incisa la spirale, simbolo
di morte e rinascita.

84
l TEMPL! DELLA DEA NELL'ETÀ DELLA PIETRA

È verosimile che nella Magna Mater, che sia la statua colossale di


Hai Tarxien, sia gli idoli di altri sacrari raffiguravano abbigliata di
gonne accuratamente intessute e ad Hagar Qim addirittura con un
abito dalla gonna a campana, già i costruttori dei templi di Gozo e di
Malta abbiano visto qualcosa di simile a una tessitrice del destino. Ai
megalitici l'arte della tessitura e della filatura probabilmente pareva
ancora un mistero primordiale, che richiamava l 'idea del filo del de­
stino filato dalla Grande Madre - come più tardi sarà per la triade
delle Parche egee o delle Norne germaniche. Filare e tessere, come
pure fare vasellami e macinare i cereali, erano le prime scoperte tec­
niche di quei tempi arcaici in cui i cacciatori nomadi, i raccoglitori e
i pescatori si traformarono in sedentari allevatori ed agricoltori. Tut­
te quelle abilità equivalevano a doni della Grande Dea e venivano
praticate esclusivamente da donne. Ancora secoli dopo, tale suddivi­
sione del lavoro in base al sesso era improntata a concezioni mitiche.
L'aratura dei campi, ad esempio, equivaleva alla penetrazione nel re­
gno della Madre Terra da parte dell'uomo, mentre la molitura del
grano era affare della donna.
Se l' affascinante Calipso, cui di solito la poesia attribuisce anche
l 'isola leggendaria di Ogigia, sita presso Creta o in Italia, tesse la sua
bella tela con la navetta d'oro in una grotta dell'isola di Gozo, all'om­
bra della Ggantija, è giocoforza che in quel luogo richiami necessa­
riamente il ricordo della Grande Madre in veste di tessitrice del desti­
no.
Molti popoli, gli Egiziani e i Greci, i Maya americani o le tribù dei
Germani, videro sempre le loro Grandi Dee e Madri del Mondo co­
me tessitrici. Tra i Germani è la Madre Terra Jòrd quella che, nella
sacra triade delle tre Norne, tesse il filo del destino. Filare e tessere,
già in epoca preistorica, sono una metafora dell'intervento delle for­
ze naturali e della continuazione della vita! "Non a caso" scrive Neu­
mann "si parla dei 'tessuti' del corpo e dei suoi ' legamenti ' , dato che
il tessuto che appronta, in grande il Grande Femminino sul 'sibilante
telaio del tempo ' , e in piccolo l'utero femminile, è la vita e il desti­
no ... e siccome la 'realtà' è opera delle Grandi Tessitrici, tutte le atti­
vità quali intrecciare, tessere, annodare, legare, fanno parte de li 'atti­
vità femminile che determina il destino ... ".<3) Tale attività, scaturendo
dalla Grande Madre, era un tempo considerata sacra.
Una delle Madri Primigenie dell'epoca pre-greca, l'Eileithia che
successivamente i Greci subordinarono o equipararono anche a De­
metra o a Era, ma per lo più ad Artemide, era la dea della Terra e
della Fertilità e della Nascita. In una delle sue opere principali, la
"Ricerca sulla simbolica tombale degli antichi" ( 1 859) , Bachofen la
collega "alla filatura e alla tessitura delle Grandi Madri della Natura".

85
CAPITOLO V

Ciò facendo scopre anche i rapporti primordiali tra filatura e tessitu­


ra e " l 'opera della creazione tellurica". A proposito di queste arti
femminili scrive: "Nel concorso di due fili si potrebbe vedere la du­
plicità della forza e della penetrazione di ambedue le potenze sessua­
li necessarie a qualsiasi generazione. Tale fusione emergeva ancora
più chiaramente nella tecnica della tessitura. L'incrocio dei fili, il lo­
ro vicendevole apparire e scomparire sembravano offrire un'immagi­
ne che rispecchiava in tutto e per tutto il perdurare dell'opera vitale
della natura." Per questo motivo in essi emerge "con la massima chia­
rezza il significato erotico attribuito al lavoro di tessitura e all'intrec­
cio dei fili." Tuttavia dato che, sin dai primordi, l'inventrice della fila­
tura e della tessitura non è solo dea della fertilità, ma anche dea del­
la morte, in tale nesso fisico-erotico è già insita "l' idea di Fato e desti­
no ... Nel tessuto, di cui ogni organismo tellurico consta, è intrecciato
pure il filo della morte. Il declino è la suprema legge naturale, il de­
stino della vita materiale dinanzi a cui anche gli dèi si inchinano sen­
za potersi vantare di dominarlo. Così il tessuto della creazione telluri­
ca diventa trama del destino, il filo che riconduce a colei che regge
le sorti umane, Ili zia (o Eileithya [N.d.T. ] ) , la levatrice, la buona fila­
trice, la grande Moira che per età supera persino Crono".«> Il destino
tessuto dalla dea, il suo potere in quanto "Moira", nome col quale lo
incarnava nell 'antica Grecia, è più forte del dio del tempo - e non so­
lo nel mito greco. Già nella religione primordiale del neolitico,
quando Crono ancora non esisteva, nell'occhio a spirale della Magna
Mater e nelle decorazioni a spirale delle sue stanze sepolcrali e dei
suoi templi si nascondeva la linea del destino, ed essi parlavano del
filo labirintico della vita e della morte. Nel corso dei millenni gli uo­
mini rappresentarono in molti modi la Grande Madre e le attribuiro­
no molteplici forme. Qualsiasi sia il sembiante con cui ella ci guarda,
nel suo sguardo c'è sempre la memoria delle origini. Neppure la sua
arcaica attività di filatrice e tessitrice è stata scordata e sopravvive nel­
le immagini poetiche dei miti. Per questo le ragazze di Delo, delle
quali si è parlato nelle pagine precedenti, prima delle nozze depone­
vano sulle tombe delle ancelle iperboree di Latona e di Artemide
l' offerta di una ciocca awolta su un fuso. Pure Artemide, come Cali­
pso, viene definita da Omero la "dea dal fuso d'oro".
Anche una statuetta d'avorio del Museo Archeologico di Istanbul,
una dea sorridente dagli occhi sbarrati adorna di una corona e di
una collana di perle, che nella sinistra tiene sollevato all'altezza del
seno un fuso, sembra guardare molto lontano nel tempo.
Persino la greca Pallade Atena, la dea della guerra e della pace,
della saggezza, delle arti e dell'artigianato, in quanto inventrice del
telaio, suo dono agli uomini, non può rinnegare il proprio antico po-

86
I TEMPLI DELlA DEA NELL'ETÀ DELlA PIETRA

tere di sovrana dei destini, anche se nelle Eumenidi di Eschilo compa­


re ormai in veste di decisa sostenitrice del diritto patriarcale. Ella è
comunque sempre piuttosto fiera della sua abilità di tessitrice. Lo di­
mostra la storia di Aracne, la figlia di un tintore di porpora lidio, che
ebbe l'audacia di sfidare la dea in una gara di tessitura. Atena fu tal­
mente irritata della sfida che lacerò il lavoro di Aracne e trasformò la
fanciulla in ragno. Motivo per cui ancor oggi in greco "ragno" si dice
"aracne" e la scienza che si occupa dei ragni "aracnologia".
Calipso dal fuso d'oro, la figlia dei Titani, ci ha condotti lontano.
La sua isola "nell 'ombelico del mare", ove la colloca Omero, nascon­
de molti altri enigmi e interrogativi che riguardano anche Malta.
Chi era il piccolo popolo che tra occidente ed oriente, tra Europa
e Africa creò i templi megalitici della Grande Dea? Era arrivato per
mare dalla Sicilia o seguendo un istmo naturale, allora ancora esisten­
te? Da quando, circa più di cento anni fa, si è scoperta la grotta sotter­
ranea di Char Dalam, scavata da un fiume, non si hanno più dubbi in
merito all'esistenza di un simile corridoio naturale. A Char Dalam in­
fatti non vennero scoperti solo reperti di ceramica che rimandavano
alla Sicilia, ma anche una grande quantità di scheletri di animali tra
cui elefanti nani, orsi bruni, ippopotami, cervi e volpi e addirittura i
resti di un cigno gigante, tutte specie animali che possono esservi mi­
grati solo via terra. In uno strato inferiore di terreno sono state scoper­
te alcune vertebre che, secondo i moderni sistemi di datazione, risal­
gono a circa 250.000 anni fa. Quando poi nel v millennio apparvero i
primi uomini, accadde un fatto stupefacente: non costruirono fortifi­
cazioni, sbarramenti o muri di difesa, ma imponenti cattedrali dell'età
della pietra e santuari terrestri. Probabilmente sotto i templi conosciu­
ti esistono anche catacombe non scoperte. Così sotto la Ggantija do­
vrebbe esserci un labirinto. Lo sosteneva già un antiquario del XVIII se­
colo. Anche se a tutt'oggi non si è ancora trovato l'accesso a tale san­
tuario, ciò non significa che si debba necessariamente dubitare della
veridicità della sua affermazione. Anche von Reden invita a riflettere:
"Forse sotto Ggantij a si estende una necropoli tra le rocce simile all'i­
pogeo a tre piani di Hai Saflieni, un regno dei morti che nel corso dei
secoli ha accolto tutto un popolo mentre il santuario di superficie era
solo l'accesso a un altro ancora più grande, sotterraneo".<'!
Cosa aveva ispirato la religione a quel popolo? L' idea della Madre
Primigenia, ad ogni modo, si era diffusa da est verso ovest, da Meso­
potamia, Siria, Palestina, Anatolia attraverso l'Egeo sino in Spagna e
Portogallo, e oltre, verso il nord, sino in Irlanda. Questo però non
esclude il concetto di Grande Fem minino, diffuso in tutto il mondo
sotto forma di simboli della Grande Madre quali modelli religiosi
fondamentali dell'umanità dal debutto dell'homo sapiens.

87
CAPITOLO V

Da quando, all'inizio degli anni Sessanta, al margine dell'altopia­


no anatolico a sud-est di Konya è stata scoperta la città di çatal
Hiiyiik, il "colle alla biforcazione delle vie", "all'improvviso sappiamo
notevolmente di più sulla natura della 'Grande Signora', del suo cul­
to e dei suoi compagni. Gli scavi di çatal Hiiyiik svelano una religio­
ne complessa e insospettata in cui compaiono, ormai chiari, la mag­
gior parte dei motivi ricorrenti dei posteriori culti dell'Asia anterio­
re, del Mediterraneo e dell'Europa orientale".<61 In molte stanze dedi­
cate al culto e riportate alla luce dagli scavi sono state trovate delle
immagini della Grande Madre, quale la vedevano gli uomini di circa
8000 anni fa: una donna gravida dall' abito variopinto, schematica­
mente rappresentata a gambe aperte o partoriente. In una statua a
tutto tondo di terracotta dai seni prosperosi, tra le cosce della dea
compare la testina di un bimbo. La partoriente, nell' atto di appog­
giarsi a due leopardi per generare, si rivela "signora degli animali".
Sulla parete dei ruderi di un tempio del VII millennio sono state
scoperte anche raffigurazioni di api e di favi che ricordano il significa­
to mitico di quest'animale che divenne poi un attributo di Artemide.
"Le sculture di çatal Hiiyiik preannunciano già tutte le forme in cui si
manifesterà la Grande Dea Madre, dalla sua primordiale immagine
paleolitica, alle molteplici dee delle religioni storiche, alla sua ultima
personificazione nella Madonna Cristiana col Bambino Gesù". !71
Tuttavia i primi templi dedicati alla Grande Madre non vennero
eretti in Asia Minore, ma nell'"Ombelico del mare", a Malta.
Là ella continua a vivere, come in molti altri luoghi, in sembianti
antichi di millenni. A Victoria, ad esempio, la capitale di Gaza, dove
ora sorge la cattedrale barocca al cui ingresso, da una nicchia solenne­
mente illuminata guarda verso i fedeli una Madonna un po' sdolcinata
del nostro secolo, un tempo sorgeva il tempio di Giunone e ancora
prima un santuario della punica Astarte . Ambedue i templi, probabil­
mente, vennero eretti su una sede cultuale megalitica, non diversa­
mente da quanto awenne a Tas-Silg, vicino al mare, sul versante orien­
tale di Malta. Là, non lontano dalla chiesa cristiana, è stato scoperto
un santuario dell'età della pietra su cui sorgeva un tempio della puni­
ca Astarte e su cui, a sua volta, ce n'era uno della romana Giunone.

88
CAPITOLO VI

Templi a cisterna e luoghi sacrificati

Anche in Sardegna esistono ancora imponenti necropoli sotto il


segno della Magna Mater, che testimoniano di uno sviluppatissimo
culto mortuario risalente all'epoca del tardo neolitico (3000-2000
a.C.) . I reperti della grotta di San Michele presso Orzieri hanno dato
il nome alla cultura sarda dei primordi che, ad eccezione della pro­
vincia settentrionale della Gallura, era diffusa su tutta l'isola. Le ca­
mere sepolcrali dell'epoca di San Michele o di Orzieri venivano sca­
vate nelle viscere della terra, come se il contatto con la divinità ctonia
non fosse mai abbastanza stretto. Un angusto pozzo collega le grotte
di Orzieri a una grotta stalattitica grande trecento metri quadrati e
alta quattro metri e mezzo, collegata a un altro locale dotato di un
pozzo profondo che a sua volta, attraverso una nicchia e una galleria,
porta a un abisso pieno del gorgoglìo e del sibilo di acque invisibili.
Altri mausolei sotterranei presentano sino a quaranta locali uniti tra
loro, che gli conferiscono il carattere di dimore sotterranee e, più
confortevolmente arredate delle case dei viventi, ricordano le tombe
etrusche. L'arredamento della necropoli di Sant'Andrea presso Ma­
comer è fatto di sedili di pietra, nicchie, vestiboli, conche per i sacri­
fici, focolari ed imitazioni di impalcature di tetto. Le grotte sin qui
scoperte, con le loro più di mille celle, sono tra i più importanti ipo­
gei dell'area mediterranea occidentale. Nella loro grandiosità non
sono da meno del tempio sotterraneo di Hai Saflieni di Malta. Signi­
ficativamente il popolo chiama queste cripte degli antenati "domus
de janas" - case delle fate.
Probabilmente sono state erette, o meglio "scavate", dopo che,
nel 111 millennio, la Sardegna fiorì grazie al commercio dell 'ossidia­
na. Quel vetro vulcanico ovunque richiesto si prestava alla fabbrica­
zione di gioielli, lame o pugnali. I ricchi giacimenti di ossidiana di

89
CAPITOLO VI

Monte Arei presso Oristano, sulla costa occidentale sarda, venivano


sfruttati già nel IV millennio ed erano la base dei rapporti commer­
ciali neolitici con la Corsica, l'Italia, la Spagna e la Francia meridio­
nale. A tutti quei paesi la Sardegna forniva utensili di ossidiana o la
necessaria materia prima. Probabilmente gli abitanti dell'isola scopri­
rono quella pietra preziosa persino in tempi antecedenti. Vi sono
tracce di una prima civiltà che risalgono addirittura al 6000 a.C. Tut­
tavia dal 111 millennio in poi gli scambi commerciali assumono pro­
porzioni più considerevoli. In Sardegna approdano marinai egei e
"da svariati manufatti, dalle ceramiche, dagli idoli di pietra, di osso o
di terracotta scoperti in un sepolcro e tempio monumentale si posso­
no dedurre rapporti con le Cicladi, Creta, Malta e persino con l'Ana­
tolia e la Siria che divengono ora più importanti e più gravidi di con­
seguenze di quelli avuti con le terre del Mediterraneo occidentale
nel m millennio". 1 1 1

L a "Dea di Decimoput­
zu", un idolo di alabastro
del 3000 a.C., e l'idolo di
marmo della "Dea Mater
Mediterranea" del 2500
a.C. Ambedue sono sta­
ti rinvenuti a Senorbi, in
Sardegna.

Ora anche in Sardegna compaiono statue di idoli di donna nuda,


dal corpo grasso simili a quelli, diffusi già due millenni prima nel
Mediterraneo orientale, della Madre Terra, il cui grembo genera e si
riprende ogni forma di vita, alternando costantemente luce e buio,
nascere e morire, simile alla luna crescente e calante, le fasi della
quale rimasero ancora per lungo tempo awolte dal mistero. La "Dea
di Decimoputzu" è uno di questi idoli, una statuina di alabastro alta
15 centimetri e larga 7,5 nella parte inferiore del tondo corpo gras-

90
TEMPL! A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICAL!

soccio, risalente al 3000 a.C. circa, scoperta nella provincia di Caglia­


ri, nel sud dell'isola. Come tutta la statuaria insulare dei tempi arcai­
ci, è visibile al Museo Nazionale di Cagliari. Rappresentata seduta,
tiene le mani congiunte davanti al corpo sotto i seni ricoperti di ta­
tuaggi circolari. Gambe, triangolo pubico e glutei sono solo accenna­
ti nelle rotondità da linee debolmente incise. La testa eccessiva, quasi
priva di collo, ha un volto i cui tratti sono indicati dalla verticale di
un naso energico e dall'orizzontale di una coppia di lunghe sopracci­
glia che sovrastano gli occhi a mandorla.
Spesso i dettagli di questi idoli vengono analizzati a questa stregua
perché manifestano in modo particolarmente diretto i sentimenti e i
pensieri del loro artefice. In mancanza di testimonianze scritte, gli
idoli aiutano gli uomini di quei tempi ad uscire dal loro mutismo nei
nostri confronti. Ad ogni equiparazione stilistica emerge che sulle
modalità di esecuzione di quelle sacre figure della femminilità eserci­
tarono il loro influsso svariati ambiti culturali, ma che al di sotto di
essi è individuabile una sorta di comune denominatore: evidente­
mente un fondamentale sentimento collettivo religioso dell 'umanità
riporta a convinzioni ricorrenti che si articolano nell'archetipo.
Ciò che nella "Dea di Decimoputzu" colpisce in modo particolare
è la citata articolazione verticale ed orizzontale del volto. Tale sche­
ma a T, "adottato per il volto della Grande Dea dall'Anatolia all'Eu­
ropa del nord",<21 ad esempio, si ritrova anche in una necropoli sco­
perta verso la fine del secolo scorso presso Collorgues, nel Langue­
doc della Francia meridionale. Là la dea dei morti è raffigurata su
due lastre di copertura solo grazie all'accenno delle linee del naso e
delle sopracciglia sovrastanti gli occhi scolpiti. In questo contesto as­
sume interesse il culto singolare della trapanazione del cranio che
von Reden riferisce aver individuato nella zona della Senna. Nel baci­
no di Parigi non vi fu quasi Allée couverte che venisse aperta senza
rinvenire crani trapanati o amuleti di lastre ossee. Le trapanazioni
del cranio umano ripetevano forse la punteggiatura praticata d'abitu­
dine sulle lastre litiche dei templi maltesi? Là reticoli di minuscoli in­
cavi a forma di conchiglia ricoprono i lati frontali degli altari delle
soglie o di altre pietre sacre. "Tuttavia ancora più misteriosi dell'u­
sanza della trapanazione del cranio" dice von Reden, "sono i segni a
T incisi su un certo numero di crani di donne mentre erano ancora
in vita ... Forse con quella pratica dolorosa venivano contrassegnate
col sacro simbolo le sacerdotesse". <�1
Più giovane di circa mezzo millennio dell'idolo di Decimoputzu è
la statua di marmo di Senorbi, sempre in provincia di Cagliari, alta
44 centimetri, chiamata la "Dea Mater Mediterranea". In quella "Dea
Madre del Mediterraneo" che splende bianca, è espressa ancora una
volta in forma ridotta all'essenziale e con affascinante chiarezza, il

91
CAPITOLO VI

concetto di "Grande Femminino". Nessuno scultore moderno po­


trebbe ottenere effetto più vigoroso di quello che suscita questa figu­
ra col suo addirittura raffinato gioco formale di elementi astratti,
geometrici e naturali. Un naso spigoloso, su cui l'appiattito arroton­
damento del capo accenna una forma a T, conferisce a quest'idolo
qualcosa dell 'asprezza dell'isola sarda, ma al contempo pure una su­
periorità che rispecchia l'essenza della Grande Madre. Forse un tem­
po, coi suoi tondi occhi dipinti, presiedeva a un culto della Madre
Primigenia da tempo tramontato. Il suo tronco trapezoidale associa
braccia ritualmente incrociate sotto gli emisferi sodi dei seni, natura­
listicamente raffigurati. Anche queste sole parti sono di una magìa ta­
le da non necessitare la sottolineatura della parte inferiore del cor­
po. Essa si rastrema in un tronco di cono che poteva venir conficcato
in una pedana di pietra o direttamente in terra. Glutei e cosce sono
appena riconoscibili da un ingrossamento posteriore.
Non sono solo i reperti delle necropoli o dei templi a cisterna*
che fanno dedurre la presenza di una "Dea Mater Mediterranea" nel­
la Sardegna arcaica. Anche i mausolei e le sedi cultuali sotterranei re­
cano la sua impronta.
Quando all'inizio del m millennio gli esseri umani scavarono le
proprie tombe nelle rocce, contrassegnarono anche quelle "case del­
le fate" coi simboli della Madre Terra. Come in Bretagna o a Malta,
ricompare la spirale. La si trova sia semplice, che doppia o quadrupli­
ce sulle pareti e sui soffitti di quei regni ctonici dell 'Al-di-là. Nell'in­
gresso dell 'atrio circolare di una tomba di Cargeghe (in provincia di
Sassari) , sulle pareti laterali della porta che immette nel locale prin­
cipale è incisa la forma di una doppia spirale, gli occhi labirintici del­
la Grande Dea. Che la camera mortuaria sotterranea o scavata nella
roccia venisse sentita come il grembo della Dea Madre, lo dimostra
con particolare evidenza una tomba scoperta presso Serra is Araus e
chiusa da una lastra decorata con due coppie di seni. In certa misura
quel portale dell'età della pietra era una parte della dea sotto la qua­
le si celava il suo grembo.
Negli ingressi e nelle cavità delle tombe rupestri sarde sono incisi
spesso anche segni che raffigurano corna bovine, ad esempio a Sant
Andriu Priu, ad Anghelu Ruju, a Sennori o a Brodu, ave sopra l'aper­
tura sepolcrale compare il simbolo delle corna in una quadruplice so-

* Ho optato per la versione "tempio a cisterna" se pure si sarebbe potuto ren­


dere altrettanto bene con "tempio a pozzo" o con "tempio sorgivo", anche se que­
st'ultima versione non sottolinea a sufficienza, a mio parere, il concetto di sor­
gente sotterranea. [N.d.T.]

92
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

vrapposizione simile ad un'arcaica corona principesca. Da lungo tem­


po gli archeologi sostengono che i simboli che affiorano accanto a te­
ste di bovini, esse pure stilizzate, sono in realtà corna di toro. Di con­
seguenza si è postulata l'esistenza anche in Sardegna di un dio-toro
compagno della Grande Madre. Da un po' di tempo, tuttavia, tale in­
terpretazione viene messa in dubbio; non essendo in Sardegna reperi­
bile nessuna traccia di un culto del toro, questo non è sostenibile. È
molto più verisimile associare le corna a forma di falce lunare alla
femmina di bovino collegata alla luna e alla Dea Madre. Particolar­
mente impressionanti sono le corna di bovino ampiamente arcuate
tracciate sulle stilizzate teste di animali raffigurate sulle pareti delle
celle tombali di Sennori (in provincia di Sassari ) . Fanno automatica­
mente pensare a falci lunari o a corna di femmine di animali. Non
scordiamo che anche Hathor, l'egizia "vacca celeste", è ornata di cor­
na, e che Atena, prima di venire "addomesticata" dalla cultura patriar­
cale, da Omero viene ancora definita "la dea dagli occhi bovini".

Stele preistoriche in pietra, dette betili, erette sull'altipiano di Macomer in Sarde­


gna come simboli di femminilità.

Che dire però delle famose figure di guerrieri della successiva età
del bronzo, che portano tutti elmi adorni di corna? Risalgono all'VIII
e al VII secolo a.C. e appartengono quindi al periodo centrale della
cultura nuragica, che si estende dal 1 800 al 500 a.C. circa. Fu in quel­
l 'epoca che vennero erette le rimarchevoli torri rotonde di blocchi di

93
CAPITOLO VI

granito, porfido, basalto o pietra calcarea che contraddistinguono


ancor oggi il volto della Sardegna. Sulle coste, ma anche all 'interno
dell' isola, esistono ancora più di 6000 nuraghi, il cui nome deriva dal
punico "nuragh", "grande casa". In essi, come pure nelle cisterne sa­
cre e nei loro pressi, sono state recuperate le espressive statue in
bronzo depositatevi. Oltre ai guerrieri con elmi forniti di corna, di
spada, giavellotto, scudo e arco, vennero alla luce anche statuette di
pastori e uomini in atto di sacrificare, sacerdotesse, suonatori di sirin­
ga, una donna e un uomo in preghiera, rappresentazioni di animali
e barche, come pure le statuette mobili di una madre e del suo bim­
bo malato ed un 'altra col figlio morto in grembo - immagine primor­
diale della Pietà cristiana.
A partire dal m millennio gli elmi con le corna erano ampiamen­
te diffusi. Sono rintracciabili ovunque; dall'Egeo alla penisola iberi­
ca, al nord germanico e persino nell 'immagine di divinità cornute o
di Mosè rappresentato con le corna, esse simboleggiano una forza e
una potenza, di origine taurina, superiore alla media. Solo gli eletti
le portano o vengono tramite esse contraddistinti nella loro grandez­
za sovrumana. Nelle statuette sarde di guerrieri, l'elmo con le corna
spicca sia come attributo generico del guerriero, sia per la forma sin­
golarmente bizzarra. Ci sarebbe quindi da chiedersi se quegli elmi
"anche nella cultura nuragica vadano fatti risalire al toro o alle sacre
corna bovine della Grande Dea. Gli elmi di alcune statuette incoro­
nati da piccole semilune sembrano deporre a favore della seconda
ipotesi". H>
Andiamo ancora un po' oltre: in Sardegna all'ipotesi del toro si
oppone essenzialmente la forma di molte di tali corna. Le loro estre­
mità infatti non terminano a punta, ma a teste di spirali a nastro o
con piccole sfere sovrapposte. Per lo più, inoltre, sono più alte della
norma e ritte una accanto all'altra. Si potrebbe essere tentati di pen­
sare a una sorta di antenne sferiche. Evidentemente simboleggiavano
qualcosa di diverso dal solito emblema di forza taurina. Singolarmen­
te a Creta si è trovata una statuetta in argilla di una Dea Madre del
periodo minoico, che esibisce essa pure un ornamento del capo a
forma di elmo con due "corna", le cui terminazioni sferiche, simili a
capsule di papavero, ricordano quelle degli elmi cornuti sardi. L'ac­
conciatura di quella dea, ad ogni modo, non ha nulla a che vedere
col culto minoico del toro a noi noto e sacro alla Madre Terra crete­
se. Se ciò che porta sulle corna fossero effettivamente delle capsule
di papavero, la cosa s'inserirebbe bene nell'immagine della Magna
Mater mediterranea. Il papavero è una delle più antiche piante me­
dicinali, al cui effetto stupefacente si ricorse molto presto per fare in­
cantesimi sacri. Un anello d'oro appartenente al tesoro regale di Mi-

94
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

cene reca in rilievo una Demetra seduta che offre a un uomo tre fiori
di papavero.
Se pure simili associazioni non riescono a sciogliere l'enigma de­
gli elmi sardi con le corna, tuttavia sono in grado di spezzare i sedi­
mentati modelli logici delle tradizionali percezioni di sé patriarcali,
secondo le quali un guerriero non indosserà mai altri ornamenti che
quelli guerrieri dell'elmo, il simbolo taurino della forza virile. Ma i
trionfi simili ad antenne degli elmi non potrebbero essere pure segni
di una cultura che si muoveva all 'interno di un pensiero magico na­
turale sotto le leggi della Grande Madre? I guerrieri sardi allora sa­
rebbero stati al servizio e sotto la protezione della divinità femminile.
Si ricordi che anche gli eroi medievali armati di spada ornavano il
proprio elmo coi colori e coi nastri della loro "nobile dama".
Anche a proposito dei nuraghi viene da chiedersi: "Quelle struttu­
re gigantesche servivano davvero solo a scopi difensivi, come hanno
sostenuto generazioni di studiosi? Non erano forse e con maggiore
probabilità, come hanno dimostrato stupefacenti prove svolte di re­
cente, in primo luogo santuari del sole e punti d'intersezione di una
geniale rete di comunicazioni a distanza, da cui in breve tempo pote­
vano venire diffusi segnali luminosi su tutta l ' isola?". 151 In prossimità
dei nuraghi vennero erette anche le cosiddette "tombe dei giganti",
simili a lunghe gallerie ricope rte da enormi ammassi di pietre. In
una successiva epoca storica e nel corso di una fase eroico-virile, quei
giganteschi mausolei vennero ritenuti i sepolcri dei leggendari eroi
dell'isola tra cui Iolao, il compagno di lotta di Ercole, il cui nome ri­
compare nell'antica tribù insulare degli Ioli. All'interno dello spazio
semicircolare circondato da parallelepipedi di pietra an tistante tali
tombe gigantesche, tra numerosi doni votivi, sono stati rinvenuti an­
che molti simboli femminili. Accanto al nuraghe di Tamuli, in pro­
vincia di Nuoro, nella solitudine di ampie distese di erba dell'altopia­
no di Macomer trapuntate da arbusti di cardo e fiori d'asfodelo, ci
sono le rovine di una di quelle tombe. Immediatamente vicino, simili
ad entità primordiali incantate, si ergono sei cippi di pietra. Tre di
quei betili possono esser letti come simboli maschili, come falli, men­
tre nel basalto degli altri, sui tre pilastri un po' più lontani dalla gi­
gantesca tomba in rovina, sono scolpite coppie di seni femminili. Un
tempo, dinnanzi a quei monoliti conici squadrati, veniva celebrato
un rito della fertilità che nella sfera della divinità includeva ormai an­
che la forza generante maschile, oppure quei coni di pietra rappre­
sentavano le divinità degli avi o dei defunti? È un enigma che resterà
insoluto. In ogni caso la presenza di pietre tanto misteriosamente
connesse all'antica tomba dei giganti è espressione di una religiosità
profondamente sentita.

95
CAPITOLO VI

I betili sono circondati da numerose leggende popolari che in


Sardegna si incontrano ad ogni piè sospinto. Il loro nome deriva dal
già noto vocabolo ebraico "Beth-El", "Dimora della divinità", come
già Giacobbe, nell'Antico Testamento, chiamò la città ricordando la
pietra su cui aveva avuto la sua divina visione.
Si tramanda che i Sardi nelle tombe dei giganti praticassero pure
il sonno cultico. In simili usanze soprawivono antichissime credenze.
L'ingresso alle dimore dei morti della Madre Terra era celato da una
stele nella cui parte inferiore era ricavata un'apertura attraverso la
quale venivano fatte passare le ablazioni per i defunti. Tali brecce,
reperibili anche nelle tombe megalitiche della Palestina e in quelle
dell'Europa occidentale e settentrionale, vengono definite pure "fori
per le anime", alludendo all'anima che trasmigra e che per quella via
può abbandonare il regno delle ombre. Il concetto, coi dovuti cam­
biamenti, è sopravvissuto sino ai tempi nostri. In alcune regioni della
Svizzera, ad esempio, nelle case di una volta si costruivano le cosid­
dette "finestre per l'anima" dette "Seelenbalgga", che venivano aper­
te quando nella stanza c'era un morente per consentire alla sua ani­
ma di andarsene senza impedimenti.
Quale che sia il significato attribuito alla cultura nuragica, le sue
origini dalla sfera d'influenza di una religione primordiale nel se­
gno della Magna Mater fanno capolino ovunque. Carlo Levi l'ha col­
to con sensibilità, quando, nel suo diario dalla Sardegna, in quella
sfera dell'elemento materno primigenio include anche i nuraghi
scrivendo a proposito di una simile torre circolare: "È un enorme
blocco di pietra nel quale, per gli uomini, sono state ricavate solo
minuscole stanze cupe, come se quegli antichi re avessero voluto
procurarsi, a prezzo di sovrumane fatiche, un oscuro grembo mater­
no di pietra per vivere, inattaccabili e protetti, entro grotte nere, en­
tro viscere di pietra, divenuti loro stessi pietre in un mondo magico
fatto di riti litici. Forse erano il punto fisso, la segreta certezza di or­
de di pastori-guerrieri vaganti che, dopo il passo ondeggiante, inaffi­
dabile e indeciso degli animali su una terra infinita di misteriose in­
certezze, ritrovavano la cupa, oscura certezza della selvaggia cavità
materna" . 161
Tra i santuari dell 'epoca dei nuraghi vanno annoverati i templi a
cisterna diffusi su tutta l'isola, a partire dal n e dal i millennio a.C. A
tutt'oggi sono stati scoperti quaranta di tali luoghi di culto delle
profonde acque numinose. Eretti col medesimo criterio di architettu­
ra sacra, sono costituiti da un atrio per le liturgie e i sacrifici e da una
scala che scende verso l'acqua e l'effettivo pozzo rotondo coronato
da una cupola. Le facciate, ornate al centro pure da simboli taurini e

96
TEMPL! A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICAL!

da pietre ornamentali a forma di seno, sono parzialmente decorate


da un disegno a spina di pesce, da cerchi semplici o concentrici, si­
mili a quelli dei recipienti di terracotta della stessa epoca. Le pietre
coniche rinvenutevi, prima di venire portate al museo di Cagliari fu­
rono per lungo tempo oggetto della venerazione popolare. Simil­
mente a favore della presenza della Grande Madre nei santuari a ci­
sterna sono gli ex-voto rappresentanti piccole colombe di bronzo e la
bipenne della Dea Terra minoica. Era lei che donava la sacra acqua
quale elemento vitale traendola dalle sorgenti della terra, lei faceva
nascere e rinascere, come avviene ancor oggi nel battesimo cristiano
che con l'aspersione dell'acqua sacramentale, previa invocazione alla
Trinità - ovviamente ormai divenuta maschile - opera la rinascita nel
soprannaturale, la purificazione dai peccati e la santificazione.
Nei templi a cisterna, ad esclusione delle offerte votive simboli­
che, degli antichi idoli di dea dal corpo pingue o di "Dea Mater Me­
diterranea" astrattamente tipizzata, i Sardi non crearono nessun'altra
immagine di divinità. Jiirgen Thimme annota in proposito: "Eviden­
temente l'essenza della Grande Dea, che veniva venerata soprattutto
in caverne, sui monti e presso le sorgenti, per i Sardi si esprimeva tal­
mente nell 'intera natura, da non far sorgere alcuna esigenza di rias­
sumerla in una figura precisa. Probabilmente il rispetto per la sua
onnipotenza era talmente grande che si osava accennare alla sua pre­
senza solo tramite simboli sacri".(7)
Esistettero pure santuari d 'importanza sovraregionale a più edifi­
ci eretti attorno al santuario centrale della fonte, ad esempio quello
di Santa Vittoria del IX secolo a. C. e sito a Giara di Serri, a più di 600
metri sul livello del mare. Su quell'altopiano di basalto in provincia
di Nuoro e lungo tre chilometri sono stati costruiti anche altri san­
tuari dell'età del bronzo. Per scacciare l'antico incanto nel Medioevo
venne loro contrapposta la chiesetta di Santa Vittoria.
Attorno all'antico tempio a cisterna dal nome ormai cristiano, al­
l'interno di una grande cerchia muraria si individuano i resti di asili
per i numerosi pellegrini che vi convenivano durante le feste liturgi­
che, rovine di residenze sacerdotali e le strutture di un mercato. In
quei luoghi e in epoca preistorica, la vita religiosa deve essersi svolta
poco differente, nei suoi tratti essenziali, da quella dei luoghi di pel­
legrinaggio cristiano di millenni dopo, quali Lourdes, ove la sorgente
miracolosa è collegata a un'apparizione della Vergine. All'interno
del santuario a cisterna di Santa Vittoria, la cui cupola è andata di­
strutta, sotto un soffitto incombente una scala ripida porta giù verso
il fondo del bacino della sorgente. Oggi la fonte si è inaridita. Se dal
basso si leva lo sguardo verso l 'alto stupisce l'artistica muratura del

97
CAPITOL0 \1

pozzo cilindrico che affonda nella terra come un nuraghe capovolto.


Dinnanzi all'ingresso della scala si individua un piccolo altare di pie­
tra sul quale venivano deposte le offerte. Una coppa incassata nella
roccia defluisce in un canale per il sangue che termina in un awalla­
mento del terreno. Non è dato sapere se il culto sorgivo della Dea
Madre prevedesse sacrifici umani o animali.
Imponente è pure il tempio a cisterna di Santa Cristina presso
Paulilatino, esso pure del IX secolo a.C. Questo santuario costruito
con straordinaria cura è circondato da un ciclopico muro ovale di
blocchi di basalto la cui severa bellezza affascina. Una scala triangola­
re, col lato più lungo rivolto verso l'ingresso e fiancheggiata da paral­
lelepipedi regolarmente scolpiti, conduce alla sorgente vera e pro­
pria che getta ancora un po' d'acqua. Simile ad un eco architettoni­
co, dopo alcuni passi risponde una volta a gradini della stessa perfe­
zione tecnica. Il pozzo, rotondo, è sovrastato da una cupola il cui ver­
tice affiorante in superficie presenta un'apertura a forma di tonsura,
incorniciata da una corona di pietre scolpite. In determinati periodi,
verso mezzanotte, attraverso quell'apertura tonda penetra la luce del­
la luna piena, colpendo esattamente il centro del fondo della scura
sorgente - magico riflesso di forza mitica. In essa la dea preistorica
dei Sardi si manifesta di nuovo, come già nel simbolo delle corna del­
le loro necropoli, nel segno della luna.
Circa quattrocento anni dopo la costruzione del tempio sorgivo
di Paulilatino, in ambito egeo un allievo di Euripide scrive:

"Nei primi giorni la luna viene chiamata Selene,


al sesto riceve il nome di Artemide,
al quindicesimo poi il suo nome è Ecate".1R1

La Grande Totalità ritorna sempre sotto molti nomi. Tuttavia Eca­


te, come la Madre Primigenia dei Sardi, regna sulla luna piena. In re­
lazione alle sue tre fasi visibili, in qualità di dea trina regna sul cielo,
sulla terra e sugli inferi. Porta fortuna e vittoria, moltiplica l'abbon­
danza di figli, aiuta i marinai e prowede alla crescita degli armenti.
Quando però al quindicesimo giorno la luna inizia a sparire simile a
Persefone, la figlia di Demetra, diventa la dea del mondo sotterra­
neo. Allora "passa su morti e su sangue oscuro" come canta nel m se­
colo a.C. Teocrito.
Immagini poetiche ornano il mito primordiale della Grande Ma­
dre, vista come dea della luna. L' egizia Iside rivela rapporti elemen­
tari con l'argenteo satellite. Ella, la sacra "vacca celeste", veniva defi­
nita anche la dea "dall'occhio lunare" che, all'epoca dell'equinozio
di autunno, quando notte e giorno hanno ovunque la stessa durata,

98
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

consente ad Osiride di entrare nel "suo occhio sinistro". Di conse­


guenza quel giorno viene detto anche "riempimento dell'occhio sa­
cro con ciò di cui ha bisogno", alludendo al seme di Osiride col qua­
le "nell'occhio della dea" viene generato Horus. In quest'immagine
l'occhio è divenuto chiaramente il simbolo riconoscibile del grembo
divino, metafora della vulva di Iside. <91 Molti secoli dopo Iside entra
nella nota storia de L 'asino d'oro di Apuleio come dea lunare: "Dea,
tu che illumini le città con delicato bagliore femminile, che con umi­
do raggio nutri le ricche messi e regoli la tua luce alterna sulla base
del corso del sole" recita Lucio in un 'invocazione. < '01
In Sardegna si possono comunque incontrare ancor oggi contadi­
ni che iniziano la semina con una preghiera in cui attraverso la luna
viene reso omaggio alla Magna Mater ancora viva nell'inconscio:

"Luna nuova, luna vecchia,


mi trovi in salute,
e possa tu mantenermi in salute
con danaro in tasca
e grano nei recipienti".

Nei santuari sardi, pozzi e fonti compaiono dunque accanto alla


luna come archetipi del "Grande Femminino". L'acqua del profondo
della terra assomiglia al liquido amniotico in cui vengono preparate
nuove nascite. Ma anche nel Cantico dei Cantici di re Salomone che ap­
partiene allo stesso millennio della costruzione dei templi a cisterna
sardi, nel 4o capitolo della sezione seconda l'amante divinizzata viene
chiamata "fontana di giardini" e "zampillo d'acqua viva". La stessa im­
magine ricorre anche per la madre "sigillata", la vergine:

"Sorella mia, amata sposa,


sei un orto chiuso, una sorgente chiusa,
una fonte sigillata".

Il pozzo riconduce sempre al grembo della Grande Madre, oppu­


re lo simboleggia. Si sarebbero potuti portare numerosi esempi come
modelli di una religione primordiale che valicano quello spazio e
quel tempo. Ci si accontenti di pochi: nella fonte termale svizzera di
St. Moritz che vanta origini preistoriche, tra le offerte votive alla di­
vintà dell 'acqua si sono ritrovati anche degli spilloni il cui significato
"erotico-afroditico" è noto dall'uso che ne facevano le fanciulle bre­
toni di Saint-Guirec desiderose di convolare a nozze. Anche la "Sont­
ga-Margriata", la santa Margareta dei romanci, originariamente pa­
rente stretta della ladina Dea Madre Madrisa, è connessa al pozzo.

99
CAPITOLO VI

Nella Canzun de sontga Margriata, il più importante documento della


letteratura popolare romancia risalente al primo Medioevo, che can­
ta il triste addio della dea il cui tempo è scaduto, il suo carattere di
fecondità viene chiaramente connesso al pozzo:

"Allora andò dietro alla conocchia,


dietro al secchio del latte e dietro alla vacca,
sinchè coloro che se ne andavano la videro
non smisero di piangere.
Poi passò accanto a un pozzo
e cantò: 'O pozzo, o pozzetto,
quando me ne andrò da te,
di certo seccherai! '
E il pozzo è seccato!".<111

Un tempo accanto ai pozzi o alle acque gorgoglianti venivano ve­


nerate divinità delle fo nti e figure primordiali del profondo, delle
quali, un tempo, era signora la Grande Madre. "Quando si inquina
l'acqua, la dea dell 'acqua piange" recita un proverbio retico dei Gri­
gioni. Nelle antiche saghe le ondine e le ninfe delle sorgenti boschi­
ve avevano la stessa regina. Tra i ladini del Tirolo meridionale ella si
chiamava Merisana - una sorella di Madrisa. Nelle ninfe, nelle ondine
e nelle divinità femminili dei pozzi di fiabe e saghe di epoche poste­
riori sopravvivono delle parti della Grande Dea quali incarnazioni
del suo legame con l' elemento primordiale umido. Per secoli la
Chiesa ha tentato, con numerose disposizioni conciliari e con le più
svariate punizioni, di spegnere la fede popolare nella forza delle fon­
ti sacre e i culti matriarcali ad esse connessi, senza tuttavia mai riu­
scirvi con risultati convincenti.
Il fatto che in Sardegna gli antichi santuari sorgivi non siano stati
spianati, ma sostituiti da chiese cristiane poste sotto la protezione di
sante femminili, ricorda l'astuta politica di papa Gregorio Magno
che già nel VI secolo in una lettera a Melito, l'abate di un convento
inglese, scrisse: "Dopo lunga riflessione ho riconosciuto che, piutto­
sto che distruggere i santuari pagani, è meglio trasformare gli stessi
in chiese cristiane ... è infatti impossibile mondare quegli animi rozzi
dai loro errori in un colpo solo. Chi vuole raggiungere la vetta di un
monte, non sale a balzi, ma passo dopo passo". 021
Così anche la famosa immagine miracolosa di "Notre-Dame de­
sous-terre" la "Madonna sotterranea" della cripta della cattedrale di
Chartres sorge sul suolo di una sede sorgiva cultuale preistorica. A
Périgueux, la capitale del dipartimento della Dordogna che deve la
sua fondazione a una fonte sacra di origine celtica, un artista con­
temporaneo ha creato per il pozzo della città vecchia un nudo fem-

100
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

minile di una corposità esuberante - turgida incarnazione di una ben


nutrita gioia di vivere, moderna immagine di Madre Primordiale e ri­
cordo del culto della Grande Madre connessa ai pozzi e alle sorgen­
ti - che ripete lo stile degli idoli femminili neolitici.
Nei Grigioni, per contro, a Coira, all'interno della cattedrale dell'A­
scensione è stata inglobata un'antica cisterna. Una colonna presa diret­
tamente dallo zoccolo del pozzo reca sul capitello un'ondina a due co­
de. Il suo potere dovette probabilmente venire infranto dalla Madonna
che la guarda dall'altare maggiore, successivamente edificata.
In tutti i pozzi cultuali è insita una fatale potenza materna dei pri­
mordi. Anche le Nome germaniche, le tre tessitrici del destino uma­
no abitano accanto ai misteriosi pozzi di Urd, con l'acqua dei quali
annaffi ano le radici del frassino del mondo, Yggdrasil. E ancora, la
bella Melusine della saga medievale rivela al futuro sposo la propria
natura soprannaturale comparendogli per la prima volta - in sacra
triade assieme a due compagne - seduta accanto a un pozzo. In epoca
patriarcale romana il motivo del pozzo sopravvive come archetipo di
una religione primordiale nei sacrifici acquatici dei Fontinales, le ce­
lebrazioni in onore della divinità delle fonti, Fontus, ormai però ma­
scolinizzata. A Roma nella fontana di Trevi si gettano ancora monete:
chi segue l'usanza spera di avere la fortuna di tornare in quel luogo,
in realtà spera che il filo della sua vita non venga prematuramente
reciso.
L'elenco di pozzi termina con alcune righe di una fiaba dei fratel­
li Grimm: "Una vedova aveva due figlie, una delle quali era bella e la­
boriosa, l' altra brutta e pigra. Ma ella amava molto di più quella brut­
ta e pigra perché era sua figlia e l'altra doveva fare tutto il lavoro ed
essere la cenerentola di casa. La povera fanciulla doveva sedersi tutti
i giorni sulla strada maestra accanto al pozzo e filare sinché le sgorga­
va il sangue dalle dita. Ora un giorno accadde che il fuso fosse tutto
coperto di sangue, allora si chinò sul pozzo per !avario; ma esso le
cadde di mano e andò a fondo. Ella pianse, corse dalla matrigna e le
narrò la sua disavventura. Ma quella la sgridò tanto aspramente e
senza misericordia che disse: 'Il fuso l 'hai fatto cadere tu e quindi ri­
pescalo'. La fanciulla tornò al pozzo e non sapeva che fare; nell'an­
goscia sua intima vi saltò dentro per recuperare il fuso. Perse i sensi e
quando si destò e tornò in sé, era su un bel prato, su cui splendeva il
sole e c'erano migliaia di fiori". 1 '31 Questo l 'inizio di Frau Holle.
Anche se non si sapesse che Frau Holle - che per fare nevicare sul­
la terra scuote i suoi piumini dal cielo - è la Grande Madre dei tede­
schi, identica nella sua essenza a Berchta e a Freya, la dea germanica
della bellezza, dell'amore e della fecondità - lo rivelerebbe la sua di­
mora nel profondo del pozzo.

101
CAPITOLO VI

E così la saggezza della fiaba si manifesta in molteplici modi. Nel­


l'intreccio simbolico, ad esempio, di fuso e sangue, l'attrezzo per fila­
re la vita e la sostanza che la colma e che la circonda alla nascita. La
caduta nel pozzo con la perdita di coscienza apre le porte dell'inizia­
zione divina. La laboriosa fanciulla nel regno della Dea vive una rina­
scita e torna sulla terra, come prosegue la fiaba, con doni d'oro. La
sorella pigra, per contro, viene coperta di pece - pece e zolfo, gli at­
tributi del diavolo - che le aderisce addosso per tutta la vita come stig­
ma del mondo infero. La Frau Holle del pozzo "è la filatrice del de­
stino" e al contempo la signora del fuso di tutte le case umane e
quindi la protettrice del lavoro femminile, colei che castiga le pigre e
le ribelli". o<! In quanto Grande Madre può donare la vita e riprender­
seta. Si dice pure che Frau Holle estragga i neonati dal suo pozzo e
renda sane e fertili le donne che scendono a lei.
Il pozzo è il portone d'ingresso nel regno della Madre Terra. Se
esso appare come un prato assolato e pieno di fiori esprime l'aspetto
fertile della dea in veste di benevola soccorritrice. Tuttavia Frau Hol­
le, come dice la fiaba, ha anche "dei denti tanto grossi" che la fan­
ciulla ne ha paura. Questo, per contro, tradisce l'aspetto terrificante
della Grande Madre, la signora degli inferi.
Per tornare alla Sardegna: la cosa stupefacente di quest'isola e
della sua popolazione che, a differenza di Malta, ha tratti assoluta­
mente patriarcali e guerrieri, sono le sue intime connotazioni, ciono­
nostante, matriarcali. "Qui tutto si affretta incontro ad Afrodite" fu la
sensazione che ebbe persino un'anima militarista in perenne adora­
zione del guerresco quale Ernst jimger, che nei suoi diari di viaggio
meditò anche sulla Sardegna del n millennio a.C.: "Ma non è solo il
segreto di un mondo tramontato quello che ci occupa e ci stupisce
come la vista di una conchiglia che appare tra un'onda e l'altra. In­
tuiamo lunghi periodi di pace insulare, di vita chiusa e felice trascor­
sa qui sognando".(l5)
Erano i tempi del matriarcato?
Negli anni Sessanta, in un villaggio di montagna sardo della Bar­
bagia, Sibylle von Reden scoprì la sopravvivenza di tratti sociali ma­
triarcali. Dato che quel villaggio, il villaggio di pastori di Ollolai, pro­
babilmente risale a una fondazione berbera, nei rapporti sociali colà
osservati l'autrice trova delle affinità col matriarcato ancora vigente
ai giorni nostri tra i Tuareg dell'Africa settentrionale. "Le donne di
Ollolai" scrive "hanno un aspetto singolare. Sui loro volti affilati di
uccelli rapaci dagli occhi chiari indossano alti copricapo viola scuro.
Le loro linee severe, i loro costumi cupi sono di colore nero, azzurro
pallido e viola. Il matriarcato di Ollolai si spinge molto oltre. Al mo­
mento del matrimonio non è l'uomo a scegliere, ma la donna che fa

102
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

un matrimonio di prova. Se lo sposo non le garba, allo scadere del


periodo di prova lo mette alla porta. Se invece gli consente di restare
egli deve rivolgersi alla moglie chiamandola 'sa merri mea', 'mia si­
gnora'. Tali usanze risultano ancora più stupefacenti se confrontate
ai rapporti patriarcali , generalmente vigenti in Barbagia". < 1 61
In Sardegna esistono anche altri residui di tempi matriarcali, ad
esempio la paura diffusa in tutta l'area mediterranea del "malocchio"
gettato da alcune donne. Paura nella quale sembra agire più il timo­
re del potere degli occhi della Grande Madre della preistoria che la
successiva demonizzazione del femminile giunta a trasformarla in
"strega cattiva".
Eppure anche nella strega, nell'incantatrice tanto temuta quanto
rispettata che opera ancora in segreto nei villaggi fuori mano, è rima­
sta memoria del potere della Magna Mater.
In Sardegna sono di casa tre tipi di streghe: la "ispiridada" o "visio­
naria", la "magliaia" e la "malefica". La prima ha contatti con gli spiriti
dei morti per trasmettere "ai sopravvissuti i loro desideri, ordini o con­
sigli"; le streghe del secondo tipo "guariscono le malattie di uomini e
bestie, possono vanificare i malefici, stornare le disgrazie provocate dal
malocchio, preparare filtri d'amore e predire il futuro", mentre la
"malefica" fa prevalentemente incantesimi dannosi e letali. <1 71 La prati­
ca, ancor oggi in uso presso le culture "primitive", di procurare disgra­
zie o morte a una persona approntando una bambola che la rappre­
senti e che trasmetta poi i maltrattamenti o la distruzione subita all'ef­
fettivo nemico, è molto diffusa ed antichissima. In Europa, nelle zone
montane o boschive, quest'usanza è sopravvissuta sino al secolo scorso;
nelle dimostrazioni politiche si pratica tutt'ora la distruzione di pupaz­
zi simbolici o di emblemi nazionali, e nella tradizione popolare è anco­
ra vivo il rito di fugare l'inverno bruciando un fantoccio di paglia.
Dietro i diversi poteri delle tre streghe dell' isola nuragica si na­
scondono tre aspetti della Grande Madre: quello di mediatrice tra vi­
vi e morti, di guaritrice e afroditica generatrice di vita, ma anche
quello di distruttrice. Nel modello materno delle religioni primordia­
li l'aspetto letale è presente quanto quello della fertilità procreante.
Alla stessa stregua anche la celtica Dea Madre Ceridwen, che custodi­
sce il paiolo magico dell 'abbondanza e della rinascita nel mito anti­
co-gallese, può diventare incarnazione della morte, "strega nera co­
me la pece", che poi verrà fatta a pezzi dal mitico re Artù durante il
suo viaggio nell 'Al-di-là. In questo caso è l'eroe maschile a vincere la
morte nell"'altro mondo". Eppure anch'egli (non si parla dell 'Artù
storico, ma di quello epico) porta il marchio della Grande Madre,
della "bianca dea", della "Gwenhyfar" sua sposa che in definitiva, co­
me sua sorella Morgana, ne determina il destino.

103
CAPITOLO VI

Lo spaventoso rapporto della Magna Mater col regno dei morti,


in Sardegna, affiora anche nella professione barbarica delle "accab­
badores". Il macabro onore di coloro che "colpiscono a morte" che
ricorda le donne bretoni e il loro "martello sacro", soprawisse sul­
l'isola sino al secolo scorso. Anche le "accabbadores" comparivano
al letto di morte dei vecchi, simili ad inviate della Madre Terra e
dei Morti per por fine alle loro sofferenze con un colpo di scure o
strozzandoli. Dietro all'usanza spietata non c'era evidentemente un
egoistico interesse economico dei giovani che intendevano liberar­
si dei vecchi incapaci di lavorare, bensì la fede nel ciclo naturale
della vita che veniva turbato dalla prolungata permanenza sulla ter­
ra di coloro che avrebbero da tempo dovuto trovarcisi sotto. Se l ' e­
quilibrio tra vivi e morti non era più assicurato venivano messi in
pericolo anche rinascita, fertilità e nuovi raccolti. In base alla rela­
zione dello scrittore greco Timeo, vissuto nel IV secolo a.C., i Sardi
conducevano vecchi e vecchie sull' orlo di un precipizio, li colpiva­
no con verghe o bastoni e li facevano precipitare nell 'abisso tra gri­
da e risa inumane. Questa "risata sardonica", in quanto fenomeno
concomitante volto a discolpare gli esecutori dell' orribile usanza è
penetrata nell'isola solo ai tempi più spietati del patriarcato? L'uc­
cisione dei vecchi, ancor oggi praticata dai popoli primi tivi, fu
un ' invenzione del patriarcato? Pare fossero i figli a spingere i geni­
tori nelle voragini della morte. Contro tale teoria depone lo sfondo
arcaico religioso del rituale, dal quale si deduce più verisimilmente
l 'idea di un necessario sacrificio alla Grande Madre. Alcune leg­
gende popolari sarde che attribuiscono alla sospensione dell'ucci­
sione dei vecchi carestie catastrofiche, confermano il carattere ma­
gico-religioso di tale sanguinoso costume connettendolo a un culto
della fertilità. A Bono, una località a nord-est di Macomer e a sud
di Orzieri, nel nostro secolo si faceva ancora una processione du­
rante la quale i nativi portavano la statua del patrono dinanzi a una
forra, minacciando il santo di lanciarvelo se non avesse concesso
loro un buon raccolto. Anche in questo caso è facile individuare le
radici matriarcali del rito.
Non può essere sottaciuto questo aspetto oscuro del culto della
Magna Mater. È proprio qui che s'incontra il punto di sutura tra la
virilità guerriera e la sua giustificazione matriarcale. L'attentissimo
osservatore Ernst jiinger si muove su questa linea di confine quando
nel suo tentativo di trovare un senso all 'insensato, a proposito dei mi­
liti ignoti della seconda guerra mondiale scrive: "Non ha nome, e in
fondo neppure patria. È un figlio della terra, un oscuro reduce, non
è né un iniziatore, né un fondatore, piuttosto un fecondatore della
Madre Terra". 11 "1

104
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFIC-ALI

Ci si sovviene di frasi simili osservando i bronzetti dei guerrieri


sardi dalle lunghe spade e dagli elmi ornati di corna-sensori delle ne­
empoli e dei templi a cisterna della preistoria.
La Madre Terra, che reclama una fecondazione di sangue, in Sar­
degna si ritrova sotto i sembianti della fenicia-punica dea Tanit.
Dopo il crollo della signoria miceneo-cretese sui mari, awenuta
nel XII secolo a.C., a raccogliere l'eredità di tale monopolio commer­
ciale mediterraneo furono i Fenici provenienti da Canaan, il "paese
della porpora". Da allora, con molta determinazione, essi espansero
sempre di più la propria influenza e nel cammino verso l'occidente,
nel IX secolo, dopo Malta, l'Mrica del nord e la Sicilia, raggiunsero
anche la Sardegna. Oltre all'ossidiana, l ' isola dei nuraghi aveva da of­
frire anche ricchi giacimenti di rame, ferro, zinco, argento e piombo.
Attirato da quei tesori del sottosuolo quell'espansionista popolo di
mercanti organizzò una serie di basi navali e di città sia sulle coste
sia, ben presto, anche all'interno dell'isola. Di pari passo con tale
conquista, in un primo tempo pacifica e successivamente sanguinosa,
si ebbe pure un 'importazione di concezioni ed incarnazioni religiose
quale quella di Tanit, dea cartaginese del cielo e della terra. Anche
Cartagine era una colonia fenicia i cui abitanti vennero chiamati
"Poeni" dai Romani (latinizzando il nome greco "phoinikes") , donde
l'aggettivo "punicus", punico. Parlando di un periodo fen icio-punico
della Sardegna, dal IX al III secolo a.C., si comprende in esso anche
Cartagine.
A segno del suo potere cosmico Tanit regge in mano il disco della
luna e del sole. Una stele votiva cartaginese, inoltre, la rappresenta
alata sotto la volta celeste; sul medesimo rilievo di pietra ella viene
stilizzata una seconda volta in veste di dea dalle braccia alzate e dalla
testa tonda, accompagnata da due colombe, l'antichissimo simbolo
della Grande Madre ripreso successivamente anche dallo "Spirito
Santo" del cristianesimo.
In Tanit s'incontra la versione cartaginese di Astarte, dea cananea
dell'amore e della fertilità, parente, a sua volta, della babilonese
Inanna-Ishtar che i Greci equiparano ad Mrodite. In quanto sovrana
dei mari Astarte era particolarmente sacra ai Fenici. Il suo tempio
più antico sorgeva nella capitale fenicia di Sidone. A riprova della dif­
fusione del suo culto stanno i molti idoli palestinesi di Astarte-Astho­
ret. Statuette bronzee del x secolo a.C., provenienti dalla regale città
cananea di Geser, mostrano Astarte (nota anche col nome di Anath ,
Asherat o Ashtaroth) ornata di corna a forma di falce lunare. Astha­
roth-Karnain, nome che l'Antico Testamento attribuisce a una loca­
lità, significa "Astharoth dalle due corna". La grafia di Astharoth è il
plurale di Asthoreth, con cui la Bibbia riassume tutte le divinità fem-

105
CAPITOLO VI

minili dei Cananei, ma con cui probabilmente si accenna pure a un


pluralis maiestatis cui si ricorreva per parlare con deferenza della
dea. Pare che le donne ebree facessero per Asthoret-Astarte dolci vo­
tivi a forma di stella che ne tradivano il rapporto con gli astri. Con­
formandosi al modello sempre ricorrente, Astarte-Anath era la sposa
sorella di Baal, attorno al cui "vitello d'oro" aveva danzato il popolo
d'Israele suscitando l'ira di Jahwe. Nel corso del processo di patriar­
calizzazione delle antiche divinità materne, Baal era riuscito a met­
tersi a capo del panteon cananeo. Anche se, nel ciclo matriarcale del­
la successione naturale, ciò non lo risparmiò dal rivestire in un pri­
mo tempo il ruolo subordinato di figlio della Grande Madre, moren­
do e risorgendo in veste di "giovane dio" e fecondatore della Terra.
Astarte-Anath lo strappa dagli inferi, come Iside salva Osiride o !nan­
na Dumutzi, ove lo trasporta ogni anno Mot, il dio della morte, nel
ciclico rito di morte. Astarte-Anath dà battaglia a Mot, lo vince e lo
uccide. "Ella smembra il cadavere di Mot, ne sminuzza le parti, le
passa al setaccio, le macina in una mola e ne sparge i resti sui campi.
Questo trattamento simbolico di Mot quasi fosse un cereale conferi­
sce alla terra nuova fecondità." Solo in una successiva versione è Baal
stesso a ottenere la vittoria sulla morte, "ora Anath, che nel mito in­
carna tutte le qualità della Madre Primigenia... viene messa in ombra
da lui , divenuto il dio più potente e il donatore di vita". 091
Il nome Baal significa "signore", Baal Hammon "signore degli al­
tari d ' incenso", ma egli è noto anche come Milkom o Melkart, "re
della città" e a lui viene rapportato Moloch, l'inghiottitore di bimbi
di difficile identificazione.
Il culto di Baal, venerato soprattutto a Baalbek e (dal nome del
dio Jerubbaal) Gerusalemme, si celebra con feste orgiastiche, danze,
eccessi sessuali e prostituzione liturgica, ma anche col sacrificio di
bambini, portati allo scopo dai genitori al dio su alture consacrate.
I Greci, dopo la vittoria di Imera sui Cartaginesi del 480 a.C., in
segno della loro vittoria su Moloch, ad Agrigento in Sicilia, eressero
un tempio colossale che ora sopravvive nelle rovine del maggior tem­
pio dorico del mondo ellenico. In quell'occasione, tuttavia, nel pun­
to più elevato dell'antica città, anche la troneggiante ed aurea Era, la
sposa-sorella di Zeus, ottenne un santuario le cui file di colonne scin­
tillano ancor oggi maestose contro il luccichio argenteo dei boschi di
olivi e il verde dei mandorli.
La Bibbia stigmatizzò con particolare violenza i culti fenici. Jahwe
invita ripetutamente a soffocarli. Dal che emerge che non solo il po­
polo d'Israele soggiacque per un certo tempo al fascino di Astarte e
si diede al culto di Baal, ma che pure i re d'Israele subirono il fascino
erotico della dea. "Ma re Salomone amò molte donne straniere" sta

106
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

scritto nel primo Libro dei re ed "egli aveva settecento donne per mo­
glie e trecento concubine; e le sue donne piegarono il suo cuore. E
siccome era vecchio, le sue donne seguirono divinità straniere. Così
Salomone venerava Astarte, dea dei Sidonii, Milcom, idolo abomine­
vole degli Ammoniti, egli fece cosa che al Signore dispiacque", co­
struì "un 'altura a Camos, idolo dei Moabiti, sul monte che era di fac­
cia a Gerusalemme, e una a Moloch, abominio degli Ammoniti" (l
Libro dei Re 1 1 , 1 ,3-7 ) .
Gli Ammoniti - l a cui capitale era Rabath-Ammon, l 'attuale Am­
man capitale della Giordania - come i Moabiti, loro vicini parenti e
alleati, ebbero rapporti sempre ostili con gli Ebrei. Se Salomone ele­
va un santuario montano al dio dei Moabiti Camos e a Moloch, evi­
dentemente lo fa per amore delle sue molte donne, dedite al culto di
Asthoreth.
Col che si ritorna finalmente a Tanit, l'Astarte cartaginese che fe­
ce il suo ingresso in Sardegna sia come dea indipendente, che come
componente essenziale di Baal. I barbarici sacrifici di bambini fanno
quindi parte del suo culto. Non conviene chiudere gli occhi dinanzi
al fatto che anche quei bambini - provenienti prevalentemente da
strati sociali elevati - erano "fecondatori della Madre Terra" e che in
definitiva anche Baal li poteva esigere solo in forza di arcaiche conce­
zioni matriarcali del ciclo della natura.
Accanto alle rovine dell 'antica Tharros, una colonia fenicia del
golfo di Oristano, si ergono i resti di un santuario di Tanit, non di­
stanti dall 'odierna S. Antioco, una località costruita sulla città punica
di Sulci. Al di sopra si eleva il frastagliato colle di trachite col "To­
phet" di Sulci, un dei luoghi in cui, in Sardegna, venivano praticati
olocausti in onore di Tanit. Il vocabolo tophet, di origine ebraica, si­
gnifica "vaso". Infatti, all'interno di un'area sacra circondata da un
muro, i Fenici conservavano in vasi di terracotta - nella sola Cartagine
sono stati rinvenuti migliaia di tali recipienti - i resti dei bimbi immo­
lati in onore di Baal.
Sul tophet di Sulci sono stati ritrovati più di duemila recipienti
d'argilla simili. I cocci di quei recipienti votivi sono stati, in parte, la­
sciati in loco. Nell'Antico Testamento si legge: "Hanno fatto per i lo­
ro dèi tutto ciò che è abominevole agli occhi del Signore e che egli
detesta, hanno addirittura bruciato nel fuoco i loro figli e le loro fi­
glie ai loro dèi" (Deuteronomio 1 2, 3 1 ) . E ancora: "Non dare neppu­
re uno dei tuoi figli perché venga arso in onore di Moloch per non
profanare il nome del tuo dio; giacché io sono il Signore." (Levitico
18, 2 1 ) .
D i fronte al brullo altipiano roccioso d i S. Antioco ove s i compiva­
no gli olocausti in onore di Tanit, persino i non meno crudeli ordini

107
CAPITOLO VI

di annientare gli dèi stranieri dati da jahwe al suo popolo assumono


connotazioni di clemenza. Uno stretto sentiero scende dal tophet
verso due pietre sacrificali squadrate. Nel blocco di pietra di destra,
attorno a cui proliferano ginestre e fichi d'india, sono scavati piedi­
stalli e nicchie che un tempo ospitavano le immagini di Tanit. La
parte inferiore di ambedue i blocchi dell 'altare presenta degli incavi.
In quello più piccolo di sinistra venivano preparati al sacrificio i bim­
bi che venivano poi uccisi in quello di destra. V na coppa sacrificale
incassata nel suolo roccioso convogliava direttamente il sangue nella
terra.
Il museo di Cagliari conserva numerose stele punico-fenicie incise
e dedicate a Tanit in Sardegna dal VII secolo a.C. in poi. Persino una
contraddistinta da elementi stilistici greci ed egizi: la dea, drappeg­
giata in un manto alla moda classica, è rappresentata in un'edicola
che imita un tempio greco mentre regge nella mano destra la croce
ansata egizia, il simbolo della vita della Grande Dea della terra dei
due fiumi. Lo stesso segno, questa volta capovolto, è inciso come em­
blema di Tanit anche sulla stele di pietra, altrimenti disadorna, di
una tomba punica di Monte Sirai.
Nel corso del tempo, evidentemente, i Fenici abbandonarono
l'orrida usanza dei sacrifici infantili e la sostituirono con sacrifici ani­
mali. Lo si deduce dai resti cinerari conservati nelle urne ritrovate
negli strati più recenti delle sedi sacrificali.
Nella tradizione mosaica i sacrifici umani vengono sostituiti da sa­
crifici animali molto prima. Quando Abramo, il capostipite di Israe­
le, aveva già legato il suo unico figlio !sacco al ceppo di legno, preso
il coltello e alzata la mano "per scannare il figlio", all 'ultimo secondo
apparve "l'angelo del Signore" che lo fermò e gli inviò un montone,
e Abramo "prese il montone e lo offrì in olocausto in luogo di suo fi­
glio" (Genesi 22) .
Questo passo dell 'Antico Testamento è una pietra miliare della
storia dell 'umanità.
Il racconto della tentazione di Abramo fa tuttavia supporre che
in principio anche in Israele i sacrifici umani non fossero sconosciu­
ti. Altrimenti Jahwe non avrebbe potuto pretendere un sacrificio si­
mile come prova di ubbidienza. I sacrifici umani appartengono ai
rituali di una religione primordiale e vennero abbandonati solo nel
corso di molti secoli e in epoche diverse a seconda delle differenti
culture. Anche i Greci, in tempi antichi, sacrificavano esseri umani
alle loro Grandi Dee. Così per anni nella Locride venivano scelte
fanciulle da mettere ritualmente a morte per mano delle sacerdotes­
se di Atena nel tempio nei pressi di Troia. "Dopo il compimento di
riti segreti, venivano messe a morte nell' oscurità della notte," scrive

108
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

Buffie Johnson, "probabilmente venivano fatte precipitare dalla ci­


ma del colle su cui si ergeva il santuario. Il loro corpo sfracellato ve­
niva raccolto e bruciato e la loro cenere sparsa in mare da un mon­
te. Nel v secolo a.C. il culto di Atena era stato definitivamente mon­
dato da ogni macchia di sacrificio umano e a riprova della sua anti­
chità restavano solo cerimonie quali il bagno del simulacro". <20>
Eckart Peterich attira l 'attenzione su un'usanza spartana. Il giorno
della festa di Artemide alcuni fanciulli venivano frustati a sangue in
memoria del sacrificio di un tempo. I resti di uomini sacrificati rin­
venuti in caverne cultuali sia in Germania che altrove testimoniano
che anche i Germani procuravano alla Madre Terra simile "feconda­
zione". Alla base di tali culti barbarici diffusi in tutto il mondo sta, se
così si può dire, l' idea di rappacificare la divinità, i cui favori vanno
sempre riconquistati, influenzandola. Così ad esempio gli Aztechi e i
Maya del centro America credevano "che la debolezza del sole del
mattino, per potere reggere il peso del nuovo giorno, andasse nutri­
ta col cuore dei prigionieri di guerra immolati". E di conseguenza
"gli Aztechi, con una simbolica particolarmente efficace, rappresen­
tavano la Madre Terra come un rospo dagli artigli d'aquila. Al mo­
stro, dimorante sul fondo dei sacri pozzi, in molti luoghi venivano
offerti sacrifici umani, in particolare di vergini". <2 1 1
I sacrifici umani erano un dono necessario e particolarmente pre­
giato da scambiare con la garanzia dell 'annua fertilità della terra. Al­
la base c'è sempre la concezione del ciclo delle forze naturali il cui
ritmo inalterato va tenuto vivo dall' offerta. È secondo lo stesso mo­
dello che, nella preistoria matriarcale, nel ciclo a noi noto dell'anno
sacro, avviene la destituzione del vecchio re ad opera del giovane suc­
cessore. Il vecchio re viene ucciso dal nuovo eroe della Grande Dea,
sinché anche quest'ultimo, sottoposto all'inflessibile legge del ciclo,
subirà la stessa sorte. Solo in seguito ad una progressiva estensione
della coscienza tale forma di sacrificio verrà sostituita da un 'altra più
umana.
Lo spietato culto di Tanit quale dea della fertilità e parte di Baal
affonda le radici negli antichi strati di una religione matriarcale dei
primordi, anche se Tanit, in epoca patriarcale, compare come mera
esecutrice del volere della divinità maschile. In fondo, però, Baal è
solo un frammento di Tanit la cui origine è più antica.
Dio e dea consustanziali: questo raddoppiamento precorre la po­
steriore conoscenza scientifica dell'ambivalenza della psiche umana.
Oggi si parla della struttura genetica sapendo che ogni essere uma­
no, anche se in misura differente, reca in sé, in quanto donna, parti
maschili e, in quanto uomo, parti femminili. Tale polarità, la cui ar­
monizzazione è ciò che conta dawero, trova espressione simbolica

109
CAPITOLO VI

persino nel macabro culto sacrificate di Tanit: il sangue scorre nella


terra, l 'elemento del femminile, mentre il tributo all'elemento ma­
schile, il fuoco, viene pagato col conclusivo olocausto delle vittime.
In questo caso, come in tutte le proprie incarnazioni, ancora una vol­
ta la Grande Madre si presenta come una divinità che fonde i poli
della vita in un 'unità in cui bello e tremendo stanno inseparabilmen­
te vicini.
Il duplice volto della Grande Dea in Tanit e Astarte, Ishtar e Afro­
dite simbolizza il pianeta ad esse attinente: Venere. Così i Romani
chiamavano la stella della sera e con essa la dea dell'amore che i Gre­
ci avevano loro trasmesso col nome di Afrodite. Ma la Venere astrale
è contemporaneamente stella della sera e del mattino. Sotto il segno
della stella del mattino la dea appare come guerriera foriera di mor­
te. Ishtar "indossa la sua armatura e sfreccia sul suo cocchio di guerra
tirato da sette leoni attraverso le prime luci dell'alba e la nebbia del
mattino a caccia di animali e di uomini". <��� Al sorgere della stella del­
la sera, per contro, diventa la dea dell'amore che invita alla sessualità
lasciva. Gli esseri umani riconobbero molto presto nell'astro di Vene­
re l'unità che sta alla base delle contraddizioni. Tuttavia quella che
bramavano era la stella della sera, quella Afrodite-Venere che onora­
vano come dea amante e dell'amore. Pare che il suo germe fosse già
presente negli idoli della Magna Mater dei primordi, nelle incisioni
dei menhir e dei dolmen, nei templi delle culture megalitiche, nelle
necropoli e nei santuari sorgivi dei costruttori di nuraghi.

110
CAPITOLO VII

In potere di Afrodite

Il colle rupestre di Eryx, l'attuale Erice in Sicilia, che si erge sino


a 750 metri sopra la baia di Trapani, ospitò uno dei grandi santuari
della dea dell'amore, meta di pellegrinaggi da parte di tutti i marinai
e di tutti i popoli signori del mare del mondo antico, Fenici, Greci e
Romani. La località fu fondata da Erice, l'eroico figlio di Afrodite.
Già colonizzato in epoca neolitica, il sacro monte deve aver serba­
to una venerazione tradizionale alla Magna Mater risalente alla più
lontana preistoria. A lei, la cananea Astarte, la babilonese Ishtar, la
greca Afrodite e la Venere romana, le popolazioni potevano recarsi
in pellegrinaggio come a una dea dell'amore da pregare in comune,
indipendentemente dalle lotte che li separavano. Il fatto che questo
"monte di Venere" mediterraneo si trovi in Sicilia, la ruotante piat­
taforma culturale al centro del Mediterraneo, lo rende particolar­
mente importante quale punto focale del culto della Madre. L'isola
bagnata dal mar Tirreno, Ionio e Africano è una terra mitica. In tem­
pi remoti si chiamava "Trinacria", la "tricurnuta", e ancor oggi sulla
sua bandiera sventola la Trinacria: il capo di una Gorgone dai flut­
tuanti capelli di serpenti incorniciato da tre gambe umane alate e in
corsa che simbolizzano la triplicità della Gorgone: Steno, la forte, Eu­
riale, che appartiene all ' ampio mare, e Medusa, la sovrana. Basta
questo a tradire l' origine matriarcale della Sicilia. La Gorgone, la te­
sta della quale, Gorgoneion, Atena esibiva al centro della corazza -
anche quando nella lotta contro i giganti ne abbattè uno da cui nac­
que l'isola - quella Gorgone poteva manifestarsi con un volto che, co­
me Artemide quando era incollerita, incuteva spavento mortale, ma
non era solo la maschera spaventosa che faceva impietrire coloro che
la guardavano. In quanto figlia della Madre Terra Gea, anche Gorgo­
ne era una dea del mare. In forza del suo rapporto con la luna i di-

111
CAPITOLO VII

scepoli di Orfeo, l ' aedo figlio delle muse, per definire la faccia piena
della luna ricorrono al termine Gorgoneion."Non fosse che per que­
sto non si può credere che Gorgone rappresentasse esclusivamente
qualcosa di brutto e di tremendo" scrive Karl Kerényi, studioso delle
religioni e filologo, "quel nome veniva infatti dato anche a bimbette i
cui genitori non si aspettavano certo che diventassero creature terrifi­
can ti".0 >
Quando le culture mediterranee si incontrarono sul suolo dell'an­
tica Trinacria, vi trovarono l' humus su cui poté fiorire il santuario d i
Afrodite-Venere, vincolo tra i popoli. Oggi a ricordare il tempio della
dea dell'amore c ' è solo il nome di "Castello Venere". Così viene chia­
mata la rocca normanna che sorge sul punto più alto dell'antica acro­
poli, la cui cinta include i resti murari del santuario di Afrodite già
ampiamente distrutto nel Medioevo. In un giardino ai piedi del ca­
stello gorgoglia "la fonte di Venere" dominata dalla dea nuda e semi­
sdraiata, una statua in stile classico-manieristico le cui tenere forme
riverse si rispecchiano nella fonte che forse un tempo era sacra.
Sin dalla più remota antich ità le navi mercantili fenicie gettarono
l'àncora lungo le coste della Sicilia, questo crogiuolo di popoli e cul­
ture che deve il suo nome ai Siculi comparsi nell'xi secolo a.C., a lo­
ro volta successori di quel popolo sconosciuto che un tempo era mi­
grato a Malta per erigere alla dea della preistoria i suoi templi mega­
litici. Tra l 'XI e il IX secolo a.C. i Fenici si appropriano della parte oc­
cidentale dell' isola. Da quel momento sino all'epoca della domina­
zione romana, che dopo la conquista di Siracusa nel 2 1 2 a.C. tra­
sformò la Sicilia in provincia e in granaio, Erice fu una sede cultuale
fenicia, nonostante dal 735 a.C. anche i Greci iniziassero la colonizza­
zione dell'isola fondando Naxos. Un inno all' irresistibile dea che con
tanti nomi incarna l'amore, la bellezza e la gioia dei sensi e il piacere
sessuale, recita:

"Avvolta è lshtar di gioia e amore,


ella è piena di forza vitale, incanto e piacere,
dolci sono le sue labbra, sulla sua bocca è vita
la sua visione colma di esultanza". 12>

Anche ad Erice, come a Babilonia, la dea era servita da sacerdo­


tesse che concedevano ai pellegrini il loro amore in sua vece - atto sa­
cro che ricalcava le sacre nozze. Quel rituale si fo ndava sulla fede che
trami te la solenne celebrazione dell' atto sessuale della dea col suo
eroe, il re, fratello o figlio amante, la forza sessuale della divinità fem­
minile si riversasse feconda su tutto il paese. Se nel ritmo dell'anno
sacro o anche n eli 'annuo ciclo naturale tale comunicazione veniva

1 12
IN POTERE DI AFRODITE

trascurata, uomini, animali e natura perivano. Già l'an tenata di tutte


le Dee Madri orientali, la sumera !nanna, celebrava le sacre nozze
con Dumuzi facendo rifiorire tutto il paese. Una lirica celebra l'unio­
ne di Dumuzi con !nanna, sua protettrice:

"Le piante crebbero alte al suo fianco,


i cereali crebbero al suo fianco
i giardini fiorirono oltre misura al suo fianco...
Mio sposo, le dispense, la sacra stalla,
io !nanna ti conserverò,
farò la guardia sulla tua 'casa della vita' . . . "Y>

Imitando i sacri sponsali i fedeli della Magna Mater partecipano


della fecondità divina. Nei templi il servizio sessuale come sacra cele­
brazione era diffuso in tutta la fascia m editerranea, dall'oriente alla
vallata dell'Indo. Le ancelle della dea dell 'amore di servizio nel tem­
pio che celebravano le sacre nozze come ierodule vanno distinte dal­
le prostitute profane. Quelle lavoravano al di fu ori del tempio ed of­
frivano i propri servizi ai pellegrini e ai nativi , in cambio di una mer­
cede di cui dovevano versare una quota al tempio. Anche quel com­
portamento non veniva considerato scandaloso, ma piuttosto un'a­
zione gradita alla dea. C' era poi un ulteriore gruppo di fanciulle
"che alla raggiunta maturità sessuale si concedevano a uno straniero
una sola volta all 'interno del tempio, in cambio di un obolo simboli­
co che versavano al tesoro del tempio. Col che non solo donavano la
verginità agli dèi per ottenere in cambio di quel sacrificio una felice
vita sessuale, ma operavano al contempo (come le ierodule) rappre­
sentando nell'atto l ' incarnazione terrena della dea donando il pro­
prio amore a uno sconosciuto figlio della Terra, di cui si ignoravano
origine, ceto o mezzi, simbolo dell'uguaglianza di tutti gli uomini di­
nanzi agli dèi".C< >
Erodoto, che evidentemente non faceva differenza tra le diverse
forme di dedizione femminile al servizio di lshtar che egli equipara,
come l 'egizia Iside, ad Mrodite, giudica con disprezzo quel rituale. Ri­
ferisce: "Ora ecco la peggiore usanza dei Babilonesi: ogni donna del
paese una volta in vita sua deve sedersi nel tempio di Mrodite e ven­
dersi a uno sconosciuto. Molte, che non sono disposte a mischiarsi al­
le altre reputandosi superiori per patrimonio, vanno al tempio in car­
ri coperti ove si appostano, seguite da un gTan corteo di servi. La mag­
gior parte di loro, però, fa così: si siedono nel recinto sacro di Mrodi­
te con una corona di funi attorno al capo, un gran numero di donne;
giacché le une vengono e le altre vanno. Tra le donne corrono vicoli
segnati da funi tese in tutte le direzioni; là circolano gli stranieri e fan-

1 13
CAPITOLO VII

no la loro scelta. Quando una donna ha preso posto nel sacro recinto,
non può tornarsene a casa se prima un forestiero, dopo averle gettato
in grembo del denaro, non si sia unito a lei all'esterno del tempio. E
gettandole il denaro egli deve dire queste parole: 'In nome della dea
Militta, vieni ' . Mili tta è il nome assiro di Afrodite. La somma può esse­
re anche piccolissima e non sarà rifiutata dalla donna che non ne ha
il diritto: infatti quel denaro diventa sacro; ella deve seguire il primo
che gliene getta e non può rifiutare nessuno. Dopo aver consumato la
copula e avere sciolto l 'obbligo verso la dea, la donna torna a casa e
dopo di allora non riusciresti a comprarla per nessuna somma. Le
donne belle di viso e di corpo ritornano dal tempio presto, le altre vi
restano più a lungo senza riuscire a pagare il debito alla dea: ve ne so­
no alcune che vi rimangono anche tre o q �:'l ttro anni. Un uso simile
vige anche in alcune parti dell ' isola di Cipro . 15)
Sulla validità di tale racconto, che comunque è stato confermato
circa quattrocento anni dopo da Strabone, il geografo e storico gre­
co, i pareri sono discordi, così come pure molto differenti sono i giu­
dizi sulla cosiddetta "prostituzione templare". Se la relazione di Ero­
doto corrisponde alla verità, bisognerebbe dedurne l ' esistenza di un
sistema misogino e raffinato che forniva a una classe sacerdotale di
ambedue i sessi un costante afflusso di denaro. A questo si contrap­
pone però la concezione, ovunque riscontrabile, della funzione sacra
dell 'amore fisico al quale, in quanto "opera della donna", veniva rico­
nosciuto un potere divino che purifica e ingentilisce. Così nell'antica
Babilonia le figlie di re venivano consacrate sacerdotesse di Ishtar e
nell'adempimento delle annuali sacre nozze rappresentavano o per­
sonificavano la dea. Il poema di Gilgamesch, del n millennio a.C., at­
testa nel modo più efficace la fede nell ' effe tto civilizzante della ses­
sualità in nome della divinità femminile, persino quando una prosti­
tuta insegna l ' arte d ' amore come sua ancella.
Un cacciatore trova il selvaggio e primitivo Enkidu, creato dal fan­
go dalla dea Aruru e destinato ad essere l'amico e il sosia boschivo
del mitico re Gilgamesch. Per catturarlo mentre fugge e legarlo, do­
vrebbe, gli viene detto, prendere una "harimtum". Il cacciatore ese­
gue ed Enkidu viene da una prostituta trasformato da uomo primiti­
vo in uomo civilizzato, colmo al contempo di saggezza divina e degno
di entrare in sua compagnia nella città del potente re e nel santuario
della Grande Dea. Il poema narra:

"La prostituta lo vide, l'uomo selvaggio,


l'uomo micidiale del profondo della steppa...
i suoi seni scoperse la prostituta,
aprì il suo grembo, egli si beò nel suo piacere,

114
IN POTERE DI AFRODITE

ella non si risparmiò, gli tolse il respiro,


spiegò il suo abito perché egli si distendesse su di lei,
fece a lui, il selvaggio, l'opera delle donne -
la sua pienezza si posò su di lei.
Per sei giorni e sette notti Enkidu
si giacque con la prostituta.
Quando fu sazio dei suoi piaceri,
dimenticò il luogo ove era nato.
Il suo volto volse alla selvaggina:
vedendo lui Enkidu,
le gazzelle saltarono su e fuggirono,
si allontanò dal suo corpo la selvaggina della steppa.
Enkidu ebbe il corpo purificato,
lo tradirono le ginocchia, se ne andò la sua selvaggina.
Caduto è Enkidu, la sua corsa non è come prima.
A ragione giunse ora e dilatando il senso
si volse indietro e si sedette ai piedi della prostituta,
guardandola in volto, la prostituta;
e le sue orecchie ascoltarono la prostituta parlare.
La prostituta gli disse, a lui Enkidu:
'Saggio sei Enkidu, come un dio!'
Perché corri nella steppa con la massa?
Vieni, ti introduco a Uruk-Gart
al tempio radioso, la dimora di Anu e di Ishtar!
Dove vive Gilgamesh, perfetto per forza".<61

Enkidu segue la prostituta in una vita di civiltà e di cultura, pa­


gando il prezzo del distacco dalla natura e dagli animali coi quali pri­
ma era tutt'uno e che ora lo sfuggono. Nella descrizione di questo
processo aleggia qualcosa della nostalgia di un essere umano caduto
dal paradiso della candida consapevolezza infantile. Evidentemente il
poema esprime un livello logico che recepisce anche la Grande Dea
in modo più differenziato che non ai tempi del suo mero essere Ma­
dre Terra. È sempre "Madre Natura", ma al contempo si estende ol­
tre la natura. L'essere umano, partecipando alla saggezza della dea
tramite il rito iniziatico sessuale, si differenzia dalle creature squisita­
mente animali che ora lo fuggon o come un estraneo. Tuttavia la
Grande Madre, il cui grembo contiene sia la natura che la saggezza,
non conosce questa dolorosa separazione. Ella continua a vivere uni­
ta alla natura, che le ubbidisce talmente da pulire ogni mattino senza
l ' aiuto degli esseri umani il suo altare votivo, al quale gli animali si
presentano spontaneamente per essere sacrificati; giacché "prima è
la dea che li guida, poi la forza e la volontà del sacrificante. Così
quando intendi sacrificare una pecora, guarda, ecco una pecora sul­
l'altare . . . " scrive ancora nel n secolo d.C. lo scrittore romano Claudio

1 15
CAPITOLO VII

Eliano a proposito del san tuario di Afrodite sull'Erice. Del quale rife­
risce pure:

"Ogni giorno e ogni anno i nativi e gli stranieri sacrificano alla dea. L'al­
tare maggiore è sotto il cielo aperto e quando vi sono state recate molte of­
ferte, arde tutto il giorno sino a notte inoltrata! Ma quando riluce l'aurora
sull'altare non si trovano né carboni, né cenere, né resti di fiaccole semibru­
ciate, si presenta invece coperto di rugiada e di erba fresca che ricresce ogni
notte".(7)

Eliano era contemporaneo dell'imperatore Adriano, che aveva


una particolare venerazione per la dea dell ' amore. Nel 1 30 d.C., ses­
sant'anni dopo la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio ad
opera di Tito, sulle macerie della città egli ne fece erigere un'altra e
sul Santo Sepolcro, ora coperto da una terrazza, fece erigere un tem­
pio a Venere. Ma la dea non protesse la nuova città di Adriano, "Ae­
lia Capitolina", che poco dopo venne completamente distrutta du­
rante la repressione della rivolta di Bar-Kochba. Tuttavia la costruzio­
ne di un tempio di Venere sul più sacro sepolcro del Cristianesimo
delle origini testimonia l ' altissimo favore di cui ancora godeva a quei
tempi tra i Romani la dea dell ' amore.
Un inno composto in onore dell "'Alma Venus", la benefica, nel !
secolo d.C. da Lucrezio, il filosofo-poeta romano, testimonia il potere
che ella serbava all'interno di un panteon maschile da lungo tempo
consolidato e di un ordinamento sociale di guerresca severità e du­
rezza, e che, sfuggita al cupo principio originario della mera primiti­
vità, era in grado di guidare verso più serene sfere di umanità. Esso
recita:

"Così tu sola, o dea, reggi il timone dell'universo,


Senza di te nessuna creatura mortale penetra nelle contrade della luce,
Senza di te nessuna gioia, nessuna luce può sorgere sul mondo".<"1

Ella collega sempre i differenti ambiti.


In quanto Ishtar porta la cin tura dello zodiaco che comprende
tutte le costellazioni celesti e corrisponde alla forza dell 'amore e del
sesso. Erodoto, mezzo millennio prima di Lucrezio, riferendo delle
donne babilonesi che dovevano sacrificarsi ad Ishtar-Afrodite, avreb­
be potuto trovare u n ' analoga costumanza - sebbene non general­
mente obbligatoria - anche a Corinto, in Grecia. La città, sita tra il
mar di Corinto e l 'Egeo, aveva stretti rapporti commerciali coi Feni­
ci. Sin dall'antichità fece da ponte tra oriente e occidente e fu sede
frequen tatissima del culto di Afrodite, nel tempio della quale le iero­
dule esplicavano, come in oriente, il loro servizio d'amore in nome

1 16
IN POTERE DI AFRODITE

della dea. Pindaro, il lirico contemporaneo del più giovane Erodoto,


sulle fanciulle che venivano votate ad "Afrodite che stordisce gli uma­
ni" come la chiama Saffo, scrive:

"Giovani fanciulle molto ospitali,


voi sacerdotesse della divina persuasione
nella agiata Corinto,
che a lei bruciate le bionde lacrime di fresco incenso,
spesso elevate le vostre anime
ad Mrodite, la celeste Madre dell'amore,
ella vi ha, fanciulle, elette,
innocenti su amorosi giacigli
a cogliere i fiori dell'ora di gentilezza;
sotto la legge della natura tutto è infatti bello". '91

Sul colle di Erice le sacerdotesse dell ' amore non devono aver ser­
vito Afrodite molto diversamente.
Numerose le storie intrecciate dal mito attorno alla dea dell ' am o­
r e , m a numerosi pure i nomi c h e le vennero attribuiti. Oltre all ' "A­
frodite callipigia", la dea "dal bel sedere" o all' "Afrodite Etera", delle
prostitute, esiste ! "'Afrodite Eleemon", la "misericordiosa", e pure, vi­
sta nel suo aspetto letale, ! "'Afrodite Androphonos", la "massacratri­
ce di uomini" o quell' "Afrodite Epitymbidia" "che indugia sui sepol­
cri". Entra negli inferi col titolo di "Basilis", "regina" come "Afrodite
Persiphessa" e in quanto "lucente di lontano" vien detta "Pasiphae".
Col che ritorna ad essere stella della sera e dea della luna, mentre il
suo nome principale le deriva da "aphros" la "schiuma" del mare. El­
la è pure quella nata dal mare, la "nata dalla schiuma". In quanto
"Afrodite Anadyomene", colei che "emerge" dai flutti salati, può as­
surgere a dea delle navigazioni fortunate, del mare tranquillo e dei
porti ospitali. Anche in queste sue accezioni venne venerata sulle al­
ture dell 'Erice che, al di sopra del mare, gi.Iardavano le coste africa­
ne. In quanto "celeste madre dell ' amore" non è più sovrana dell'in­
definito e incosciente potere degli istinti, ma dell'avvenenza e della
bellezza che ella conferisce anche al sesso.
Ovviamente c'è anche il concetto della doppia valenza dell 'amore
che viene dedotta da due ulteriori nomi della dea: quello di "Afrodi­
te Pandemos" e di "Afrodite Urania" - una polarizzazione di corpo e
spirito, cattiva gioia dei sensi e castità voluta da Dio, corrispondente
alla rigorosa morale sessuale cristiana. Essa affonda le sue radici nei
filosofi del Rinascimento influenzati da Platone. Essi ritenevano po­
polare e volgare l'Afrodite Pandemos, l'amore contraddistinto da al­
lettamenti sensuali e dalla bellezza fisica, mentre pensavano che nel­
l 'Afrodite Urania, nella sfera dello spiri tuale si manifestasse la dona-

117
CAPITOLO VII

trice di luce divina. In realtà però il vocabolo Pandemos esprime, co­


me sottolinea Kerényi, "la presenza della dea tra tutte le classi e le co­
munità di un popolo, che ella accomuna pacificamente. Il nome di
Urania ne testimonia le origini celesti e orientali, a lei si recavano in
pellegrinaggio i fedeli - come a Corinto - in un tempio sito sulla cima
di un monte ove venivano accolti da benevole serve templari " . 0 ° 1
Afrodite non è quindi atta ad essere l'alibi di una dualistica filosofia
di corpo e spirito.
La Grande Dea dell 'amore arrivò in Grecia passando attraverso la
fenicia Astarte e la babilonese Ishtar. Da là poi si spinse oltre verso
occidente. Sembra quindi che la dea venuta dal mare, all'inizio del
mito, non avesse padre, ma solo una madre: Dione-Te tide, la dea del
mare, una delle figlie di Gea e di Urano che la Madre Terra, notoria­
mente, aveva generato da sola. La nascita di Afrodite risale a quell 'e­
poca preistorica in cui il ruolo generante del padre era ancora sco­
nosciuto. Dall'esempio delle fattrici fecondate dal vento di cui parla­
va ancora Plinio nel I secolo d.C., abbiamo già visto quanto a lungo
perdurò la credenza nella procreazione in assenza di padre. Bott­
cher porta in proposito altri esempi d ' epoca pelasgico-pregreca. Li
ricordiamo per ribadire ulteriormente la portata della trasformazio­
ne rivoluzionaria introdotta nelle concezioni religiose degli uomini
circa 5000 - 6000 anni fa dalla scoperta della paternità: "Proprio in
quell'epoca" scrive Bottcher "Ares e sua sorella gemella Eris vengono
concepiti dalla loro madre sfiorando un fiore. La dea Ebe diviene
madre toccando un cespo d 'insalata. E pare che biancospino e susi­
no di macchia abbiamo proprietà analoghe. In altri casi le donne
concepiscono inghiottendo insetti o sfiorate dal vento". E prosegue:
"Con la trasformazione delle concezioni e la scoperta del ruolo pa­
terno anche il mito della nascita di Afrodite subisce di necessità del­
le modifiche. La figlia sino a quel punto verginalmente concepita ha
ora bisogno di un padre - mentre può rinunciare alla madre". 0 1 1 Col
che, al volger dell 'oscillazione del pendolo, si conia quel modello di
dominanza patriarcale che, con tin te tanto stridenti di tracotanza
maschile ed esaltazione del seme, venne sviluppato nelle Eumenidi di
Eschilo.
Nella sua Teogonia Esiodo narra che nel corso della lotta dei Tita­
ni, Cronos gettò in mare la recisa virilità del padre, ove venne a lun­
go sospinta in qua e in là. Poi attorno alla carne immortale si formò
una bianca schiuma - "aphros" da cui, di nuovo appunto solo dal se­
me maschile, sorse una fanciulla: Afrodite. Dapprima nuotò verso l ' i­
sola di Citera, alla punta meridionale del Peloponneso, donde il suo
analogo nome, poi però approdò defini tivamente a Cipro, m o tivo
per cui viene anche detta "Ciprign a". Là venne rivestita, incoronata e

1 18
IN POTERE DI AFRODITE

agghindata dalle Ore, le figlie di Temi, per venire introdotta tra gli
dèi. Da ultimo Omero fa di Afrodite la figlia di Zeus e di Dione. Qui
torna quindi ad avere una madre, anche se il suo potere originario è
ormai infranto. Una volta che il padre degli dèi fu promosso ad
amante di Dione, poté usurparne anche il santuario oracolare di Do­
dona per eleggersi signore del locale tempio della dea.
È secondo quel modello che, nel corso dei secoli, molto prima di
Omero, awenne la deposizione delle divinità femminili, mentre con­
temporaneamente si affermava il patriarcato. Tuttavia, come se tale
evoluzione necessitasse ancora d i una giustificazione che la confer­
masse, in tutta l ' opera di Omero, nell'VIII secolo a.C., quindi, ma an­
che successivamente, ad ogni occasione vennero doverosamente esal­
tati l ' illimitato potere e la grandezza del padre degli dèi. Al contem­
po, come se i due principi fossero ancora in conflitto o come se la fe­
de degli uomini fosse ancora combattuta tra religione matriarcale e
patriarcale, risuona però con potenza verbale il nobile canto al­
I"'Universale Madre terra" e ad Afrodite. Tra gli inni omerici, in par­
te composti da rapsodi di epoche posteriori, che però recano il no­
me del grande padre dei poeti perché ne ricalcano lo stile e il modo
di sentire, sono di particolare bellezza quelli in onore della dea del­
l'amore. Già il primo inno Ad Afrodite inizia con versi in cui riecheg­
gia ancora qualcosa dell'antico potere della Grande Madre:

"Narrami o m usa le opere della dorata Mrodite,


Signora di Cipro; che infonde il dolce desiderio negli dèi,
E domina le stirpi degli esseri mortali, e gli uccelli
Che volano alti nel cielo, le schiere di animali, tutti assieme,
Quanti, innumerevoli, nutre la terra, quanti il mare:
Tutti ambiscono le grazie della bella Citerea coronata".0 2>

A dispetto dell'ascendenza maschile conferitale, la dea raggiunse


grande potere in tutto il mondo antico.
A Pafo , sull' isola di Cipro, detta ancor oggi "l'isola di Afrodite"
sorgeva uno dei suoi templi più famosi, ove non veniva venerata nei
sembianti di una statua, ma sotto forma di pietra conica, quasi perdu­
rasse il culto della Grande Madre nella sua forma più antica dei tem­
pi del neolitico. I resti, tutt' oggi visibili a Pafo, del tempio di Venere­
Afrodite risalgono in gran parte al I secolo a.C., e sono i ruderi della
ricostruzione fattane dopo il terremoto del '76/ '77. Anche a Pafo ,
come ad Erice e altrove, vigeva la prostituzione templare e altrettanto
certamente nelle forme più svariate. Apprendiamo da Pompeo Tro­
go, storico romano e contemporaneo più giovane di Livio che visse
verso il volger del secolo, che a Cipro, in determinati periodi, i geni-

119
CAPITOLO VII

tori mandavano le figlie vergini sulla spiaggia perché, prima delle


nozze, si concedessero a un altro uomo. Tale consacrazione ad Afro­
dite può essere stata accolta da alcune giovani con lasciva eccitazio­
ne, da altre con fervore religioso. O era già machismo che al poeta
romano Claudiano, quattrocento anni dopo Trogo, faceva dire che
le giovani di Pafo attendevano con impazienza l 'arrivo di navi recanti
uomini stranieri?
Ogni anno a primavera veniva celebrata la grande festa di Afrodi­
te. In quell'occasione i pellegrini in abiti festivi , unti d ' olio e ornati
di fiori, al suono delle siringhe e dei tamburi, attraversavano il bosco
sacro, nel quale sorge oggi una chiesa dei primi tempi cristiani, per
recarsi al santuario della dea. Nel corso delle "Afrodisie", nel tempio
venivano celebrate pure le "Hieros-gamos", le nozze sacre. Una som­
ma sacerdotessa si congiungeva al sommo sacerdote o la regina al re.
Durante le festività anche le sacerdotesse andavano al mare, ove s'im­
mergevano completamente per riemergere verginalmente ringiova­
nite ad opera dell ' acqua san tificata dalla "nata dalla schiuma".
Per secoli Afrodite ispirò all'anima poetica dei Greci sempre nuo­
vi racconti. Così s'impietosì anche di Pigmalione. È risaputo che lo
scultore, a noi noto attraverso la commedia di Bernard Shaw e il mu­
sical My Fair Lady, s'in namorò di una statuetta d 'avorio opera delle
sue mani, ma ispirata dalla bellezza di Afrodite. Allora la dea le con­
ferì anche vita, così che il suo creatore la potesse sposare chiamando­
la, a causa della sua pelle candida, "Galatea".
Altra storia è quella di Smirna o Mirra, la figlia di Metarme e di
Cinira, il leggendario fo ndatore e re-sacerdote di Pafo. Dato che Me­
tarme si vantava di essere più bella di Afrodite, la dea, irritata, fece
ardere la loro figlia di tale irresistibile amore per il padre che alla fi­
ne lo sedusse e ne condivise il letto. Quando Cinira si rese conto del
suo sbaglio e inseguì Mirra con la spada per ucciderla, Afrodite la
trasformò in un cespuglio di Mirra, che dopo nove mesi si aprì per
partorire Adone.
Il mito fa di Afrodite stessa un'appassionata amante. Così tutta la
sua sensualità si rivolge al bell'Adone che viene però dilaniato da un
cinghiale selvatico e deve scendere all'Ade dove lo attende già Per­
sefone, ella pure innamorata di lui. La lite per l'amato viene giudica­
ta da Zeus: Adone dovrà trascorrere parte dell'anno negli inferi e
l ' altra parte la potrà trascorrere alla luce del sole assieme ad Afrodi­
te. In questo mito, alla dea dell 'amore vengono attribuiti tratti di De­
metra, della quale parleremo successivamente.
Afrodite compare anche come sposa dello zoppo Efesto, dio del
fuoco e ingegnoso fabbro che ella tradisce con Ares, il dio della guer­
ra "armato di giavellotto". Ma Efesto raggira la coppia e forgia catene

120
IN POTERE DI AFRODITE

invisibili con cui intrappola gli amanti sul loro giaciglio. Possente ri­
suona la risata degli dèi nei confronti dei due che compaiono in giu­
dizio così avvinti l ' uno all ' al tro. E di nuovo Afrodite ne esce vincitri­
ce. La sua gTazia è irresistibile. Poseidone la riscatta ed ella si reca a
Cipro ove le Cariti, dee di tutto ciò che è amabile e bello, la ungono
con olio profumato e ne awolgono il corpo in vesti luminose. Quan­
do Apollo, dinanzi ai due trattenuti con tanto imbarazzo sul loro gia­
ciglio, chiede di malumore ad Ermes se, trattenuto da vincoli tanto
forti, non aVTebbe voglia anche lui di riposare accanto all ' aurea Afro­
dite, questi commenta spontaneo:

"Deh !, se awenisse questo, Signore che !ungi saetti,


ceppi tre volte tanti vorrei m'irretissero tutto,
e tutti i Numi e tutte le Dive veniste a vedermi,
e io dormir potessi vicino alla bella Afrodite!". 0 31

Tanto umani sono nel loro comportamento gli dèi greci. Ma per­
sino in questi versi, che Omero mette in bocca a Demodoco, un can­
tore dei Feaci che li canta "con l'arpa tintinnante" ad Odisseo, si sen­
te ancora intatto il potere della dea sugli uomini. Potere che quasi
mille anni dopo riaffiora nel racconto di Apuleio di Amore e Psiche
con le orgogliose parole "lo, madre della natura, creatrice degli ele­
menti, dolce Venere di tutto l'universo ! " . 0 ' 1
In Esiodo troviamo l ' immagine della conchiglia entro cui Afrodi­
te si fa spingere verso terra da Zefiro, il dio dei venti. A Cnido, città
greca delle coste dell 'Asia Minore, ove nel IV secolo a.C. venne eretta
la famosa statua di Prassitele di Afrodite nuda, la conchiglia era rite­
nuta animale marino a lei sacro, conchiglia e veneridi: forme natura­
li che sin dagli inizi vennero viste come simbolo del "Grande Femmi­
nino".
Anche ne La nascita di Venere, il famosissimo dipinto del Botticelli,
Afrodite si accosta alle rive tirreniche su una conchiglia. Da tempo
gli abitanti di differenti coste vantano il luogo natale della dea. Du­
rante il rinascimento italiano col suo culto del bello, Venere non po­
teva essere uscita dal mare altrove che lungo le coste della Toscana. E
così infatti la dipinse Botticelli. Sognante, col capo lievemente recli­
no, osserva il paesaggio toscano che si erge ricco di baie sul mare an­
doso. Qu esta Venere di una grazia sovrannaturale è celeste messagge­
ra del bello. Come tempestoso motivo di movimento il pittore con­
trappone al maestoso incedere della dea la magnificenza rosso-dora­
ta della sua chioma mossa dal vento. Il quadro è un manifesto artisti­
co con cui Botticelli celebra il gTande evento del suo tempo: la nasci­
ta del bello dallo spirito dell'antichità. La nata da schiuma si appros-

121
CAPITOLO VII

sima sulla sua conchiglia alla costa su cui crescono i lauri, quasi fosse
stato presente in veste di padrino Omero. Ed è proprio così. Il pitto­
re fu ispirato dal suo inno:

"Tra schiume sinuose la rapisce


La forza di Zefiro, che umido soffia, sull' onda del sempre
Risonante mare. Allora l'accolsero le Ore dall'aureo diadema
Salutandola e la vestirono con vesti immortali,
Incoronarono poi con l'aurea, magnifica, ben lavorata
Corona il capo immortale". < 151

Rifacendosi al mito di un'epoca vicina agli dèi sotto la signoria di


Lorenzo il Magnifico, il Medici signore di Firenze, artisti quali Botti­
celli sognavano il ritorno di un "'Età del!' oro", in realtà mai esistita.
Tuttavia quale seducente utopia celeste c ' era la speranza e la sua dea
si chiamava Vene re-Mrodite. All'epoca correva la storia poetica della
creazione dell' arcipelago toscano sorto, si diceva, dal vezzo di pietre
preziose caduto dal collo della dea che una volta si chinò sulla Tosca­
na. Quelle perle diedero vita alle sette isole: Elba, Giglio, Capraia,
Montecristo, Pianosa, Gorgona e Giannutri.
Ma non solo la Toscana del rinascimento è connessa a Venere­
Mrodite. Già Giulio Cesare e l ' imperatore Augusto, suo successore e
figlio adottivo, sostennero ideologicamente il proprio potere fondan­
dolo sulla discendenza dalla dea e da suo figlio Enea. Il mito cesareo
fu consentito dalla saga di Enea tramandata ai Romani già verso il 500
a.C. dagli Etruschi. E ad essa la Gens Julia deve il proprio nome che
faceva risalire a lulo, figlio di Enea. Ma è Omero a mettere bene in
evidenza che a condividere il talamo di Anchise, l'"uomo nato dalla
terra", il padre di Enea - in cui questi fu concepito, fu Afrodite:

"Anchise
Per prima cosa le tolse di dosso gli splendidi ornamenti, le fibbie,
Poi gli anelli scintillanti, le collane, gli ornamenti del petto;
Le sciolse poi la cinta, la spogliò delle fulgide vesti...
Giacque poi Anchise - così vollero dèi e destino -
Lui, mortale, con una dea . ".< 161
..

Mrodite determina sempre il destino amoroso degli uomini e di


conseguenza tutti i percorsi della loro vita. Nell'Eneide, scritta tra il
29-19 a.C., Virgilio narra come Enea, dopo la conquista di Troia da
parte dei Greci, obbedendo al consiglio di sua madre fuggì dalla città
in fiamme e perse la moglie Creusa riuscendo però a salvare il figlio,
i Penati, le divinità familiari e il padre paralitico, portandolo sulle
spalle. Passando per la Tracia giunse col suo seguito a Delo, ove l ' o-

122
IN POTERE DI AFRODITE

racolo gli intimò di recarsi in Italia, nella terra dei suoi antenati, e co­
sì ritorniamo in Sicilia ove Anchise muore.
A dire di Virgilio, in occasione di una seconda sosta di Enea nel­
l'antica Trinacria, vengono indette fastose celebrazioni funebri. Al l ' a­
mante di Venere era già stato approntato un posto nel l ' Elisio. Quan­
do il figlio, accompagnato dalla sibilla Cumana va a fargli visita colà,
Anchise gli consente di gettare uno sguardo sul futuro. In quell'occa­
sione l ' eroe scorge la folla dei grandi che un giorno determineranno
la storia di Roma. Vede approssimarsi una nuova età dell ' oro il cui
sovrano è Augusto, anch' egli discendente di Venere, scelto per venir
accolto tra gli dèi e venerato come dio. Prima che Enea lasci la Sicilia
per seguire nuove awenture, rende omaggio alla propria madre eri­
gendole un san tuario sul monte Erice:

"Poi sulle alture


Dell'Erice, in onore di Venere,
Venne eretto un tempio svettante sino alle stelle . . . " . 0 71

Virgilio attribuisce quindi ad Enea la fondazione del santuario di


Ish tar-Afrodite che domina il mar Tirreno e Africano, ove anche i
marinai romani, che lo conoscevano come il tempio della "Venere
Erusina", si recavano a fro tte in pellegrinaggio. Che a costruire il
tempio sia stato Erice o Enea, in fondo non fa nessuna differenza.
Mito e poesia identificano ambedue come figli della grande dea del­
l ' amore.
Lo sguardo di Virgilio era rivolto anche al mar Ionio, verso Sira­
cusa, sede della ninfa Are tusa, che egli celebra nelle sue liriche pasto­
ral i, le Bucoliche. La sua fonte, circondata da papiri e ben costruita -
can tata anche da Milton, Shelley, d'Annunzio e André Gide - è sita
sulla passeggiata a mare a sud della città vecchia di Ortigia, che un
tempo era un'isola a sé stante. Aretusa faceva parte del seguito di Ar­
temide, da cui venne trasformata in quella fonte appunto per sfuggi­
re all ' inseguimento del dio del fiume Alfeo. Tuttavia "fondendosi al­
le acque della ben fluen te Aretusa", come canta Pausania, egli rag­
giunse comunque il suo scopo. Il fatto che Aretusa originariamente,
da ninfa, fosse di rango elevato e che anche come dea sorgiva parte­
cipasse della pienezza del potere femminile emerge dal fatto che per­
sino Ercole, il più possente eroe della mitologia ellenica, figlio di
Zeus e di Alcmena di Tebe, le offrì sacrifici durante le sue numerose
soste in Sicilia.
Il nome della città vecchia di Siracusa ("Ortigia" = campo delle
quaglie) rimanda a Delo ! Tanto strettamente sono intrecciate tra lo­
ro tutte le storie. Là infatti, a Delo , un tempo, Ortigia, una sorella di

1 23
CAPITOLO VII

Latona, venne tramutata in quaglia per sfuggire a Zeus. Questa leg­


genda appartiene a un'epoca successiva dalla mitologia, in cui Lato­
na non è ormai più, e da parecchio tempo, la Grande Madre unica
sovrana. Probabilmente nelle numerose storie di trasformazioni di
donne o dee, in fuga dai corteggiamenti degli dèi, aleggia ancora il
ricordo d eli ' usanza d i rapire le donne che si riscon tra in tutto i l
mondo e n o n è de ttata solo da moventi lascivi. Anche la bella Elena
serviva ai suoi possessori come status simbol. Ma è soprattutto grazie
al passaggio dalla civiltà dei cacciatori e dei raccoglitori a quella dei
coltivatori che si sviluppano nuove associazione d i gruppi al servizio
della produzione dei cibi, ali 'interno dei quali anche i bimbi assu­
mono importanza come forza lavoro. Nel corso di tale evoluzione le
tribù tentarono evidentemente di appropriarsi del "potenziale ripro­
duttivo femminile" più consistente possibile, dato che la loro per­
cen tuale di mortalità dovuta alle gravidanze e ai parti era relativa­
mente alto. Esempio classico è il famoso "Ratto delle Sabine" di cui
Peter Paul Rubens, nel suo corposo dipinto barocco, drammatizza
solo l'aspetto erotico e violento. Tuttavia dietro alla leggenda c'è la
stirpe italica dei Sabini che nel IX secolo a.C. popolava in prevalenza
gli Appennini cen trali dedicandosi all' allevamento del bestiame e
che, durante la leggendaria signoria di Tito Tazio, pare avesse una
colonia anche sul Quirinale di Roma. I sabini vengono attaccati da
Romolo, nella cui città appena fo ndata mancano le don ne. Secondo
la leggenda, che ha certo un fondamento storico, Romolo invitò i vi­
cini a partecipare a delle feste ludiche durante le quali i Romani
non maritati rapirono le sabine. Di certo non lo fecero solo per con­
quistarsi delle compagne di letto, ma anche per il prestigio che dava
il possesso di molte donne in grado di garantire la desiderata pro­
le. ( l H )
Quest'ottica sociologica getta ulteriore luce anche sul culto della
Grande Madre e sulle sue discendenti. Vediamo come dalla origina­
ria Madre Terra e Madre Primigenia, nel corso di ulteriori evoluzioni
della civiltà degli agricoltori si concretizzi sempre più la Madre degli
Esseri Umani e la latrice di sementi che, soprattutto in Sicilia, assume
i sembianti di Demetra. Tuttavia Afrodite, come già la "prostituta"
dell' epos di Gilgamesh, esercita un' influenza civilizzatrice sul "selvag­
gio" maschile, la cui potenza sessuale ella civilizza. Laddove figure
femminili in veste di ninfe o dee vengono trasformate in pozzi, fonti
o animali per sfuggire alle insidie di divinità maschili, entro certa mi­
sura si manifesta sempre la protezione della Grande Madre che le
sottrae con l ' astuzia alla violenza dei predoni patriarcali. Afrodite e
Demetra, Dea Madre e Dea dell 'Amore si completano a vicenda.
Le necropoli di Pantalica, a nord ovest di Siracusa, sono partico-

124
I N POTERE DI AFRODITE

lannente interessanti a causa delle spirali in rilievo, simboli della Ma­


gna Mater, che decorano le lastre di copertura dei sepolcri. Al con­
tempo però, altrove, la creatività divina viene colta in spregiudicata
genuinità sotto il segno della sessualità. Ecco che la lastra di copertu­
ra di una tomba di Castelluccio presso Noto, a sud di Siracusa, ripro­
duce in modo rudimentale l ' atto sessuale, rappresentando solo gli
organi genitali. Questa lapide di una delle tombe a "forno", scavate
nella roccia come "forni" appunto, è conservata nel Museo Archeolo­
gico Nazionale di Siracusa. Ove c'è pure una statua a grandezza natu­
rale della Dea Madre risalente al VI secolo a.C., riportata alla luce a
Megara lblea. Ella regge in braccio due poppanti dalle mani delicata­
mente scolpite e poggiate sui seni rigogliosi. Purtroppo la testa della
dea è andata smarrita. Eppure anche solo come torso questa figura
arcaica è piuttosto impressionante. La dea troneggia su un seggio, ve­
lata da un ampio mantello abbraccia protettiva i lattanti che, grandi
come adulti, le stanno sulle ginocchia. Nella sala accanto, a quell'im­
magine primordiale di maternità nutrice e protettrice viene contrap­
posta la copia di un' opera ellenica eseguita in epoca romana quattro­
cento anni dopo, detta, dal nome del suo scopritore, "Venere Lando­
lina". Nel secolo scorso il poeta francese Guy de Maupassant si esta­
siò dinnanzi alla vitalità di quella statua mannorea. Come scrisse nel
diario del suo viaggio in Italia in essa non vide: "la donna liricamente
esaltata, idealizzata, divina o maestosa", rappresentata solitamente
dall'iconografia classica di Venere-Mrodite, bensì "la donna che si
desidera, che si vuoi abbracciare".

Pietra tombale di Castel­


luccio, in Sicilia, raffigu­
rante l'atto sessuale.

125
CAPITOLO VII

Tre sculture contenutisticamente e temporalmente tanto diverse:


una pietra tombale dell' età del bronzo, una Dea Madre del VI secolo
e una Venere del n secolo a.C. - riconducibili tutte al culto dell'unica
Grande Madre.
Che ritroviamo anche nel paesaggio rupestre di Pantalica, se pur
molto nascosta lungo le pareti rocciose della "strada sacra" di Aerai.
Solo il custode può aprire il rives timento di legno che protegge
u n ' i n tera serie di immagini della Magna Mater, scolpite in rilievo
nella roccia e molto in taccate dal tempo. Rappresentano Demetra, la
dea delle sementi, colei che ridesta i campi dopo l'invernale sonno
di morte. Probabilmente, al di sopra della stre tta Via Sacra che corre
nei pressi del teatro greco di Aerai e delle catacombe degli antichi
cristiani artisticamente scavate nella pietra, c ' era uno dei suoi santua­
ri. Lo si deduce dai resti di un tempio che spicca per la sua forma
tonda, altrimenti insolita in Sicilia.
Al centro delle dune, sotto l ' acropoli di Selinunte, sulla riva occi­
dentale del Selini, l'odierno Modione, sorge un santuario di Deme­
tra collegato alla sede misterica greca di Eleusi, a lei sacra. È il tem­
pio di Malofora, nome con cui veniva venerata qui Demetra. Malofo­
ra significa portatrice della mela. Anche Afrodite regge in mano una
mela. Parimenti pregno di simbologia è il luogo di questa sede cul­
tuale. I Greci ch iamavano "selinon" il sedano selvatico ritenuto un
afrodisiaco e considerato tale anche ai giorni nostri. Da esso prese
nome Selinunte, la colonia più occidentale dei Greci sorta nel VII se­
colo a.C. I suoi abitanti tributavano grande venerazione a quella
pianta. Non solo la coniavano sulle monete e la me ttevano in mano a
Selino, il loro dio fluviale, ma, come apprendiamo da Plutarco, an­
che all'oracolo di Delfi offrirono in dono una foglia di sedano d'oro.
Nell 'ambito del tempio di Demetra-Malofora, un semplice mega­
ron con atrio e cella contenente la statua della dea, sono state ritro­
vate più di 1 2.000 statuette di terracotta - conservate oggi nel Museo
Archeologico di Palermo -, offerte votive alla dea della fertilità e a
sua figlia Persefone. Il santuario, anticamente stazione di sosta lungo
il percorso dei cortei fu nebri che si recavano alla necropoli sita anco­
ra più a occidente, era con ogni evidenza strettamente connesso al
mistero di morte e rinascita. Verisimilmente in quella località esisteva
già in epoca pre-greca una sede cultuale della Grande Madre. Il no­
me di Demetra stessa deriva da Da-mater e un tempo Da stava per
Ga, Gea, la Madre Terra. Tuttavia nell ' intricato percorso del mito,
Demetra divenne pure figlia della cretese Rea, col figlio della quale,
Zeus, suo fratello quindi, generò Persefone. Tuttavia come constata
Kerényi, "nel suo legame nuziale con Zeus, Demetra era piu ttosto
l' alter ego della Grande Madre Rea, che concepì Persefone col suo
stesso figlio rigenerandosi in lei - un mistero di cui non si è parlato

1 26
IN POTERE DI AFRODITE

molto apertamente", 0 9> ma che agli iniziati al culto della Malofora do­
veva essere noto.
Le iscrizioni del tempio di Malofora oltre che Demetra ricordano
pure Zeus-Meilichios * ed Ecate. Meilichios, che può significare sia
"mite" che "benevolo" o "riparatore", riferito a Zeus è di certo una
perifrasi che sta ad indicare Ade, "che molti uomini accoglie", il cui
nome andava pronunciato solo con venerazione. In Omero compare
quindi, come "quello dai molti nomi", Ecate, invece, come dea della
magìa, delle streghe e delle evocazioni dei morti. In quanto abitante
del regno delle ombre è vicina al dio degli inferi, ma in origine era la
trina dea della luna. Ella regna sulla notte, protegge porte e strade e,
come si può dedurre dalla Teogonia d i Esiodo, "comanda sul cielo,
sulla terra e sul mare, porta fortuna e vittoria, conferisce saggezza
nelle decisioni e di fronte ai tribunali, aiuta i naviganti e i cacciatori ,
favorisce il proliferare degli arme n ti e la crescita dei giovani". 1 20 > Ella
è amica e soccorritrice e, da ultimo, è addirittura una delle manife­
stazioni di Demetra e di sua figlia, la "Core", la "Fanciulla" che dopo
essere stata rapita da Ade nel regno degli inferi, prende il nome di
Persefone. La sua sorte verrà trattata nel prossimo capitolo.
In quanto "latrice della mela" Demetra, nel tempio di Malofora, si
manifesta pure come una dea della fertilità che dispone anche del
potere afrodisiaco. Per i popoli antichi, la mela, con la quale s'inten­
de sempre la melagrana, a causa dell'abbondanza di semi era simbo­
lo della vegetazione. Nella storia delle religioni dei popoli riveste un
ruolo tanto importante che conviene soffermarcisi sopra almeno bre­
vemente. La mela divenne attributo di Mrodite perché , in quanto
fru tto magico dell 'amore, apparteneva all"'albero della vita". Anche
nel giardino dell'isola delle Esperidi, le belle figlie di Notte e Tra­
monto, coltivano mele d ' oro protette da un serpente. Similmente
Era, la sposa sorella di Zeus, che un tempo, in quanto figlia della cre­
tese Rea, era una dea trina, possiede la mela d 'oro che ella pure, nel
proprio giardino, pone sotto la protezione di un serpente. Il melo
era un dono di nozze di Gea.
Il mito, con molteplici varianti, narra la storia delle mele divine.
Esse simboleggiano sempre sia la forza di crescita dell 'albero della vi­
ta, sia il frutto "dolce come il miele" della dea dell'amore. Ovviamen­
te solo sinché, dopo la vittoria degli dèi patriarcali, la fede matriarca­
le nella Madre Primigenia non viene completamente sconvolta dalla
biblica Eva. Nelle sue mani la mela si trasforma in un frutto mortale.
AJ centro del giardino dell'Eden, accanto all' albero della vita, esiste

* Dal greco meilichios o mellichos, dolce, piacevole. [N.d.T.]

127
CAPITOLO \11

anche "l 'albero della conoscenza del bene e del male" di cui "non
mangerai, perché il giorno che ne mangerai morirai" (Genesi 9,17) .
Adamo ed Eva, dopo aver disobbedito al comandamento divino, non
solo vengono cacciati dal paradiso - ma prendono anche coscienza
della propria nudità. Assaporare la mitica mela è quindi connesso al­
la scoperta della sessualità. A differenza di quanto avviene nell 'epos
di Gilgamesh, al sesso che ha perso la naturale innocenza non è più
collegato nulla di positivo, bensì il peccato. Alla donna vengono sot­
tratti sia l'autorità fe mminile che la possibilità di disporre liberamen­
te della sessualità. Anzi deve espiarli e al contempo sottomettersi al
potere patriarcale; giacché il Signore "disse alla donna: quando sarai
incinta ti procurerò molte sofferenze; partorirai i tuoi figli con dolo­
re; e il tuo desiderio sarà per tuo marito ed egli sarà il tuo signore"
(Genesi 16) .
Ma non fu possibile soffocare del tutto il ricordo dell'originario
sign ificato della mela del parad iso, legato all ' innocenza dei rapporti
tra i sessi. Così tra i Celti, ad esempio, la mela conservò a lungo
un'aura afrodisiaca, una sfumatura di gioia e un potere risanante.
Neppure il ricordo dell "'insula pomorum" , l ' isola delle mele di Ava­
lon su cui, sempre secondo le leggende del ciclo celtico, regnava
Morgana-Morigain , si discosta troppo dal tempio Maloforo di Deme­
tra. La posteriore regina delle fate e sorella di re Artù, in quanto
Morgana-Morigain , un tempo era una divinità materna celtico-irlan­
dese, una dea della bellezza, dell'amore e della fertilità. Viene detta
anche Morgan le Fay, ave "le Fay" significa "il destino" . Anche nelle
liriche medievali, la sua isola dalle mele d'oro, il mondo "dell 'Al-di­
là" celtico, è un regno di fate, di abbondanza e di maternità, un para­
diso riconquistato per tutti coloro che vi trovano accesso. È sulla sua
isola delle mele "detta anche l'isola dei beati" 121 ) che Morgana porta
in salvo Artù ferito a morte che là godrà l ' immortalità e, come cre­
de ttero ancora a lungo i Gallesi, un giorno sarebbe tornato in veste
di futuro re.
Anche i fedeli della Grande Madre Demetra speravano di vincere
la morte e di rinascere. Come dimostrano i reperti archeologici, in
Sicilia il suo culto si protrasse almeno sino all' epoca della colonizza­
zione greca avvenuta nell 'VIII secolo a.C., e la venerazione della Ma­
gna Mater paleolitica perdurò anche oltre.
Già nelle antiche saghe, riprese solo successivamente da Plutarco,
il ratto di Core, la figlia di Demetra, viene ambientato in Sicilia. Pare
sia avvenuto sul lago di Pergusa, sito in un leggiadro paesaggio colli­
noso, completamente deturpato dall'autodromo che lo contorna, al
di sotto di Enna, l ' antica Henna che Cicerone definì "ombelico della
Sicilia". Un tempo, in quella città gravida di storia sita su un altipiano
a circa 950 metri dal mare, si ergeva la rocca di Cerere, il maestoso

128
IN POTERE DI AFRODITE

tempio principale di Deme tra. Da lì ella regnava su tutto il su� posse­


dimento insulare come Grande Madre e dea delle sementi. E il mi­
glior belvedere di tutta la Sicilia. Dell' edificio sacro restano solo un
paio di rovine rocciose e di ruderi. In cambio, però, la memoria del
potere della Magna Mater è tutt'oggi molto viva nelle tradizioni reli­
giose dei siciliani.
Dal 3 al 5 febbraio, chi visita Catania, la città costruita su terreno
lavico alle pendici dell' Etna e affacciata sul mar Ionio, potrebbe esse­
re indotto a credere di partecipare alla messa in scena di un antico
culto in onore della Grande Madre, tanto è il fervore con cui i resi­
denti celebrano la festa di Sant'Agata, loro leggendaria protettrice.
La sua statua, posta su un trono dorato e sopra un carro di parata so­
vrastato da un baldacchino, viene trascinata con lunghe corde da
cento o più uomini vestiti di bianco. Sempre circondata da un grap­
polo sterminato di persone e sostenuta sulle spalle di robusti portato­
ri, alla luce delle lanterne, viene riportata in duomo ove, nella teca
d 'argento di una cappella del coro, sono conservate le reliquie della
santa. Le celebrazioni sono accompagnate da danze e da grandiosi
fuochi d'artificio. Nei paesi mediterranei feste simili in onore di san­
te e soprattutto della Madonna non sono una rarità. Agata però è un
caso del tutto particolare.
Secondo la Legenda aurea, un testo popolare e di devozioni scritto
da Iacopo da Varagine nel 1 270 e che passa per la più importante
raccolta di leggende del tardo medioevo, Agata fu una fanciulla di
straordinaria bellezza e di nobile famiglia vissuta nel III secolo, che
difese con intransigenza sia la propria vergi nità che la propria fede
cristiana. Agata rifiutò tutte le profferte del governatore Quinziano
che la concupiva. Neppure le mediazioni di una mezzana dal calzan­
te nome di Afrodisia ebbero successo. Al che Quinziano ordinò di
torturare Agata. Poiché con tinuava a resistergli, dopo lunghi martiri
le fece tagliare i seni. "Uomo senza Dio" disse allora Agata al gover­
natore, "non ti vergogni di far tagliare a una donna ciò che tu stesso
hai poppato da tua madre? Ma sappi che nella mia anima ho altri se­
ni con cui alimento tutti i miei sensi che dalla giovinezza ho consa­
crato a Dio."
Nonostante il suo contegno d i santa cristiana, Agata reca ancora
netti tratti di origine e di potere matriarcale. Un anno dopo la sua
morte, infatti, il giorno del suo compleanno, prosegue la narrazione
"accadde che il grande monte Etna vicino alla città vomitò fuoco e il
fuoco scese giù dal monte come un torrente, fuse pietre e terra e
calò sulla città con grande veemenza. Al che i pagani fuggirono lon­
tano dal monte che lanciava fuoco e corsero alla tomba di Sant'Aga­
ta, presero il velo che la copriva e lo protesero contro i l monte che
sputava fuoco. E guarda, il fuoco si fermò e non avanzò più". <22 >

1 29
CAPITOLO VII

Da allora Agata non si limita a pro teggere solo le donne da tutte


le malattie del seno, ma salvaguarda anche dai terremoti e dalle eru­
zioni vulcaniche. Che altro poteva rappresentare il velo posto sulla
sua tomba se non la forza della verginità, il suo imene pudicamente
espresso con perifrasi, dinanzi a cui l 'eruzione del vulcano si ferma
come Bellerofonte frena i suoi approcci alle fanciulle di Licia che lo
affrontano a gonne alzate?
Anche nell' usanza delle due lunghe fu ni che alle estremità si sud­
dividono addirittura in molte corde intrecciate con cui gli uomini, si­
mili nelle loro albe a una schiera di sacerdoti in abbigliamento ritua­
le, trascinano il carro della processione della Santa, potrebbe soprav­
vivere ancora una mistica reminiscenza del culto della Magna Mater.
Gli affreschi di antiche tombe romane rapprese ntano, ad esempio, il
vecchio Ocno nell'atto di intrecciare una fune di giunchi che, allo
stesso ritmo con cui viene fatta, dopo aver raggiunto una determina­
ta lunghezza, viene mangiata da un asino che rappresenta la forza di­
struttrice della natura. Bachofen nell 'interpretare questa metafora vi
lesse un simbolo naturale che rimanda all' Egitto. Il cordaro trae il
suo materiale della vegetazione palustre della terra del Nilo, il
"Grembo materno della terra" non ancora fecondata da alcun seme
e generante per forza propria. La fune viene dunque intrecciata con
"materiale primigenio" e il suo eterno nascere, esistere e venir divo­
rata incarna la legge del ciclo naturale. Senza dilungarci ol tre sulla
storia del cordaro di Bachofen, in questa sede desideriamo solo ri­
cordare quell 'aura numi nosa che fa della fune un simbolo della Ma­
dre Primordiale. Sia nelle mani di Ilizia che in quelle di Calipso, del­
le Nome o delle Moire che Omero chiama anche "Ciotes", le "filatri­
ci", la grande fun e intrecciata si trasforma nel sottile filo del destino.
La Grande Madre, in quanto tessitrice di cosmiche dimensioni del
destino, in un canto estone viene descri tta mentre spiega la sua tela
su chiaro e scuro, sole e luna:

"A mezzogiorno venne tessuto l'ordito,


La trama nella casa dell'aurora,
Altro nell'atrio del sole
Viene fatto al telaio,
Sui pedali danzando
Vesti d'oro tessute alla luna,
Veli di scintillii al piccolo sole". !23J

Tuttavia nel filo della trama vibra sempre una reminiscenza del si­
gnificato dell ' antica fune di giunchi, della "sostanza primigenia" del­
la Madre Terra.

1 30
IN POTERE DI AFRODITE

Ocno che intreccia corde in un antico affresco romano.

Evidentemente alla base della fune e di tutte le sue derivazioni c'è


un modello archetipico, analogo al conce tto che fa di un centro sa­
cro !"'ombelico del mondo". Tramite un cordone ombelicale spiri­
tuale esso collega i fedeli alla "Madre", come collegato è ogni em­
brione sino al momento in cui nasce come creatura indipendente.
Anche se la Madre resta sempre "dea del destino". Anche Afrodite­
Urania veniva vista così. Pausania la definisce la "più anziana delle
Moire". È singolare che a Babilonia, come si è letto in Erodoto, tutte
le donne che dovevano concedersi a uno straniero "recassero attorno
al capo una corona di funi".
Mentre tirano le lunghe funi del carro della processione gli uomi­
ni di Catania si in coraggiano con alte grida. Intanto la santa cristiana
siede con calma maestosa sul suo trono. La lontananza delle sue ori­
gini può venir dedotta dalla lunghezza delle fu ni.

131
CAPITOLO VIli

Il mondo dei misteri

Il mito parla del dolore e della collera di Demetra per il ratto del­
la figlia perpetrato dal dio degli inferi, a causa del quale ella lasciò
che la terra diventasse deserta e sterile. Quando Zeus, fratello di Ade
al quale aveva consentito di rapire la bella fanciulla, incalzato dai la­
menti di Demetra e di tutti gli dèi deii' Oiimpo che non potevano più
aspettarsi sacrifici dagli uomini affamati, decise che da quel momen­
to Persefone trascorresse solo un terzo del suo tempo, d ' inverno, con
lo sposo nel regno dei morti e che gli altri due terzi, all ' e poca della
maturazione e della fioritura, potesse tornare sulla terra, quest'ulti­
ma tornò a fiorire e ad essere fertile.
Omero narra questa leggenda quasi fosse un arcaico dramma po­
liziesco. Il suo grande Inno a Demetra inizia col ratto della Core che il
poeta colloca nel mitico regno di Nisa, e col dolore della madre:

"Lontano da Demetra, ornata d'oro e agghindata di frutti


Giocava (Core) con le floride figlie di Oceano e raccoglieva
Fiori, rose, narcisi, crocus, iris e belle
Viole e giacinti nei teneri prati...
Circondata d'incanto vuoi a piene mani la bellezza
Cogliere: quando si aprì la terra percorsa da ampie strade
D'improvviso nella pianura di Nisa; con cavalle immortali
Emerge impetuoso il sovrano, che molti uomini accoglie, dai molti nomi,
Il figlio di Crono, rapì la fanciulla in lacrime, riluttante,

La condusse via sul suo cocchio dorato...


Mentre il suo sguardo colse ancora la terra, il cielo, le stelle,
Il mare dalle molte correnti colmo di pesci, il sole radioso;
Mentre la dea ancora sperava di incontrare di nuovo l'ottima madre,
La stirpe degli dei eterni,
Lasciò confortare il suo sofferente, grande animo dalla speranza.

133
CAPITOLO VIli

Eppure la voce immortale riecheggiò sulle vette dei monti,


Penetrò negli abissi del mare, la udì la madre.
Pungente come una spina la colpì la sofferenza nel cuore; le sue care
Mani lacerarono il velo sui suoi capelli d'ambrosia,
Le spalle si awolse allora con oscuro manto,
Si slanciò sulla terra e sull'acqua come fanno gli uccelli,
Sempre cercando."

Per nove giorni vaga, madre piena di sofferenza. Questo è il pe­


riodo della luna nera, calante. Né un mortale, né un dio immortale
sapeva dirle dov'era la fanciulla. Quando ormai per la decima volta
sorse "la lucente Eos", la dea dell'aurora, Demetra incontrò Ecate. El­
la sola aveva udito il grido di una fanciulla, ma non era riuscita a ca­
pire se fosse Core. Ora ambedue si precipitano da Elio, il dio del sole
che tutto vede. E a lui si rivolge Demetra:

"Dimmi il vero! Hai visto la mia cara figlia da qualche parte?


Chi l'ha a viva forza afferrata contro il suo volere e senza il mio consenso?
Chi degli dèi? chi degli uomini mortali? ed è ora fuggito?

Ed ottiene la sconcertante risposta:

"Augusta Demetra, figlia di Rea dalle ricce chiome, devi


Sapere. Grande dawero è la mia compassione, grande il mio rispetto
Del tuo dolore ... Ma nessun
Altro immortale è responsabile se non Zeus, l'adunatore di nubi,
Che la diede ad Ade, perché ne sia la sposa fiorente,
A suo fratello ..
"

Demetra prova solo disprezzo per gli dèi e ne disdegna la compa­


gnia sull'Olimpo. Nel suo dolore si imbruttisce. Raggiunge Eleusi in
sembianti di vecchia. E là si siede accanto al pozzo della Vergine, al
"Callicoros", come viene chiamato dalle danze liturgiche dei cori del­
le fanciulle eleusine. Quel pozzo esiste ancora. La sua struttura attua­
le risale all ' epoca di Pisistrato, tiranno di Atene nel VI secolo a.C.
Le quattro belle figlie di Celeo, il re di Eleusi, giungendo al pozzo
coi loro recipienti di ferro per attingere acqua, vi incontrano Deme­
tra. Conducono la supposta vecchia al palazzo del padre, ove l'accol­
gono ospitalmente.
Dopo l'inserimento di un 'azione secondaria in cui Demetra rivela
a due figli della coppia regale i propri poteri magici, alla fine si fa ri­
conoscere, ordina la costruzione del suo tempio e fonda i Misteri
Eleusini:

"Ma io sono l'augusta Demetra, per massima gioia


E aiuto degli dei e degli uomini creata. Orsù!

134
IL MONDO DEl MISTERI

Tutto il vostro popolo mi innalzi un tempio imponente,


L'ara accanto, vicino alla città e un ripido
Muro venga eretto sullo svettante colle di Callicoro.
Riti però voglio io stessa fondare, perché in futuro
Innocenti con le vostre azioni disponiate il mio cuore al perdono".

Il santuario d i Eleusi, in cui da quel momento soggiorna, viene


costruito dal popolo e cresce "per la grazia della divinità". Tuttavia
Demetra resta "piena di nostalgia e di affiizione" per la figlia, persa a
causa del dio degli inferi. Nella sua collera manda alla terra un anno
tremendo:

"Nessun seme germogliò nel suolo;


La ben incoronata Demetra li fece morire.
Invano sui campi i buoi
Trascinarono i molti ricurvi aratri; invano cadde nella terra il bianco seme".

Solo quando torna Persefone è pronta a mostrarsi di nuovo sul­


l' Olimpo. Là Zeus le conferma:

" .. .la figlia dovrà sempre un terzo


Di ogni anno in nebulosa oscurità trascorrere,
Poi però due riunita alla madre e agli altri dèi".

Ora Demetra si affretta "giù dalle sommità dell'Olimpo" per far


rifiorire la terra inaridita:

"Oziosa era, completamente sfrondata, non germogliava il bianco


seme per volere di Demetra...
Ma subito sarebbe ricresciuto in spighe alte quanto un uomo,
Sarebbe tornata primavera, i pingui solchi nei campi
Sarebbero scoppiati di spighe e quelle sarebbero state legate a covoni".<'1

I n realtà è la dea stessa a stabilire il ritmo del soggiorno della fi­


glia sulla terra e nell 'Ade. "Figlia, non avrai mangiato cibi nell 'Ade?"
chiede alla giovane ritornata da lei, che deve ammettere di essere sta­
ta costretta dal dio degli inferi a gustare una melagrana "dolce come
il miele". Essa però celava un sortilegio d'amore, così che "la Madre
dell'anno, Demetra irradiata di fru tti" non poté evitare di rendere
Persefone al suo seduttore almeno per un terzo dell'anno. Tuttavia
se prima non avesse reso sterile la terra, Persefone, per aver mangia­
to la mela sarebbe rimasta incatenata per sempre ad Ade. Così invece
quegli, per mantenere inalterato il ciclo della vita, dovette rendere la
sposa alla faccia luminosa del mondo seguendo il ritmo delle stagio-

1 35
CAPITOLO VIli

ni. In questo si manifesta ancora una volta la potenza della Grande


Madre nel suo doppio ruolo di dea della fertilità e dei morti. Nelle
sue mani la melagrana del mondo infero si trasforma in un afrodisia­
co datore di vita. Demetra, nel linguaggio del mito, in quanto triade
divina forma un tutt'uno con Core, la fanciulla della primavera in
fiore, con Persefone, la matura donna dell 'amore e della fertilità
(che come dea dei morti ha anche dei tratti di Ecate} e con Ecate, la
vecchia della morte. E così, come nell'i ncarnazione Core-Persefone­
Ecate è dea della primavera, dell 'amore e della morte, anche nella
mela che regge sono contenuti divenire-essere-morire.
Lo scrittore greco Pausania, che si fece iniziare a quel mistero an­
cora nel n secolo d.C., scrisse: "Non intendo dire altro sulla melagra­
na, dato che la leggenda ad essa connessa reca i tratti caratteristici
del mistero". 1 21
A tutti gli iniziati ai misteri era richiesto di serbare il segreto sul
loro contenuto, pena la morte. E nonostante il continuo lavoro di ri­
cerca svolto sul culto di Demetra ad Eleusi, il velo del mistero è rima­
sto su quei segreti sino ai giorni nostri. Eschilo, originario di Eleusi,
una volta "quasi perse la vita per mano della plebe irritata, che rite­
neva che nelle tragedie avesse svelato le azioni rituali dei misteri ."
Persino Alcibiade, statista e generale ateniese, venne accusato di em­
pietà perché "durante la guerra del Peloponneso del 415, dopo una
bevuta, iniziò a scimmiottare le azioni simboliche dei misteri"Y 1 Pro­
babilmente dietro a simili accuse e simili istigazioni del "furor di po­
polo" c' era una casta sacerdotale privilegiata che proteggeva i propri
in teressi di potere. Su quanto accadeva nel santuario di Demetra
dobbiamo comunque per lo più rifarci a supposizioni, anche se in
merito esistono relazioni scritte lasciate dai primi Padri della Chiesa.
Esse tuttavia non sono obiettive, bensì volte contro l'antica religione.
Possediamo comunque almeno dei dati, tramandati dagli antichi
scrittori, relativi alle forme esterne e visibili del culto e ai loro effetti
sugli iniziati. Così apprendiamo che ogni anno a febbraio nel tempio
di Demetra e Core venivano celebrati i "misteri minori". Eviden te­
mente equivalevano a un primo livello d ' iniziazione e venivano cele­
brati da un maestro che doveva essere di famiglia regale. Nessuno
che fosse al di sotto di quel rango poteva accedere a cariche religiose
all'interno del culto misterico di Eleusi. I "Grandi misteri" in iziavano
il 1 4 settembre di ogni anno e duravano nove giorni, in memoria del­
la ricerca della figlia fatta da Demetra. Probabilmente l 'origine del
culto misterico risale sino al XIV o al xv secolo a.C. Presso il Teleste­
rion gli archeologi hanno rinvenuto i resti di una grande costruzione
di epoca micenea. La costruzione cen trale del Telesterion, appoggia­
ta alla parete di roccia dell'acropoli di Eleusi, era una sala chiusa da

136
IL MONDO DEI MISTERI

ogni lato da colonne, in cui gli iniziati assistevano ad azioni sceniche


che erano parte integrante del culto. Delle quarantadue colossali co­
lonne che reggevano il soffitto del Telesterion sono rimasti solo delle
basi e dei torsi. Sopra quella sala consacrata di forma quasi quadrata,
sulla baia di Salamina, si ergeva il tempio di Demetra. Oggi sulle sue
fondamenta sorge una moderna cappella greca dedicata alla Madre
di Dio. L'intero sacrario dei misteri è molto rovinato e ne restano
quasi solo le mura perimetrali e i torsi delle colonne. A causa di una
fabbrica di cemento costruita nelle immediate vicinanze ci vuole una
certa fantasia per riuscire ad immaginarsi l ' atmosfera che con traddi­
stingueva un tempo questo santuario a cui la gente si recava in pelle­
grinaggio, altrettanto, se non più numerosa di quella che andava a
Delfi. "È una realtà dolorosa" scrive l ' archeologa greca Katerina G.
Kanta "che uno dei posti più importanti e sacri di Grecia sia minac­
ciato di totale distruzione dalla brutale voracità dell'i ndustria". << l
Malamente fiancheggiata da costruzioni industriali è pure la "via
sacra" di Eleusi che porta ad Atene, distante circa 20 chilometri. Lun­
go di essa sorgono il convento di Dafni, costruito in luogo di un anti­
co tempio di Apollo coi famosi mosaici della sua chiesa romanica e,
accanto al mare, i resti della strada lastricata di un santuario di Mro­
dite.
Lungo quella strada, disseminata in quell'occasione di fiori e frut­
ti, il primo giorno delle celebrazioni dei Grandi Misteri passava la
processione solenne alla quale, secondo antiche cronache, partecipa­
vano persino 30.000 persone. Con quel corteo venivano portati da
Eleusi ad Atene i sacri arredi del culto di Demetra che trovavano col­
locazione sotto l 'Acropoli, nell'Eleusinion, un tempio dipendente da
Eleusi, per venire poi riportati in sede il sesto giorno, nottetempo,
nel corso di un 'altrettanto solenne processione alla luce di una fiac­
colata. L'arredo di culto più importante era un cesto o recipiente ci­
lindrico di bronzo, chiuso e contenente i sacri simboli, simile al cibo­
rio che nel culto cattolico-cristiano contiene le ostie consacrate. Pur­
troppo non sappiamo cosa contenesse il misterioso recipiente. Se si
deve dare credito a von Ran ke-Graves , potrebbero essere stati dei
simboli sessuali femminili e maschili sotto forma di uno stivale e d i
u n fallo. Iscrizioni egizie e cipriote accennano alla simbolica sessuale
dello stivale. La dea cipriota Mani, ad esempio, aveva sede in uno sti­
vale ed Iside, nell 'iconografia egizia, è riconoscibile per il fatto "che
sul suo capo assieme ad uno stivale viene tracciato il suo nome,
'Ascht ' . In ambedue i casi dallo stivale emerge un oggetto simile a
una verga" che anche un altro studioso dichiara "simbolo di feconda­
zione, dato che il geroglifico di 'stivale' in quanto Usch va in terpreta­
to anche come ' la madre"'.

137
CAPITOLO VIII

In proposito von Ranke-Graves cita da fo nti non dichiarate la fra­


se che doveva venire pronunciata dagli iniziandi durante i misteri:
"Ho unito ciò che c'era nel tamburo a ciò che c' era nel licno." Nel
"licno" d'altro canto, (un cesto di vincastri intrecciati nel quale, un
tempo, veniva sputato il grano) - così conclude il noto studioso di mi­
tologia, per analogia con una tradizione secondo la quale anche al re
sacro, in occasione delle nozze san te si poteva porgere cerimon iosa­
mente uno stivale - veniva appunto sottinteso un oggetto, "nel quale
l ' iniziando, a simbolica imitazione del coito, introduceva il fallo"Y>
Questa è una delle numerose teorie che circondano l ' en igma dei
misteri eleusini, dei quali fanno parte anche offerte per i morti, canti
e sacrifici alla dea come pure, per i sommi gradi iniziatici, le nozze
sacre. Esse avevano luogo tra Zeus e Demetra, rappresentati dallo ie­
rofante, il sommo sacerdote, e dalla somma sacerdotessa. Durante la
"notte dei misteri" ven ivano precedute da severe cerimonie di purifi­
cazione. Devono essere state esperienze al limite tra vita e morte, si­
mili a quelle parzialmente riportate da Apuleio nell'Asino d 'oro che
parla espressamente di Proserpina, la Persefone greca, nelle vesti di
dea degli inferi. Si è già fatto riferimento una volta a quest'esperien­
za iniziatica in relazione al nome onnicomprensivo di Iside. Questo è
il testo completo: "Può essere, lettore assetato di sapere, che desideri
apprendere ciò che veniva detto e fatto colà; te lo direi, se potessi dir­
lo; lo sapresti, se potessi saperlo; ma orecchio e lingua perpetrereb­
bero al contempo grave peccato, chiacchiere empie o frivola curio­
sità. Quanto al resto, però, dato che sei forse ricolmo di pia aspettati­
va, non desidero tenerti più a lungo sulla corda. Ascolta quindi e cre­
di in ciò che è vero! Mi accostai ai confini tra vita e morte e varcai la
soglia di Proserpina, percorsi tutti gli elementi e tornai indietro, a
mezzanotte vidi la bianca luce del sole, vidi gli dèi del cielo e degli in­
fe ri, faccia a faccia, e m 'inchinai dinanzi a loro - Questo è quanto hai
ora udito, ma che non puoi valutare. Accetta quindi almeno ciò che
può venire comunicato senza colpa ai non iniziati". !6>
Lo scrittore cristiano Clemente d 'Alessandria, che nel II secolo
d.C. in traprese una sintesi tra l'antica filosofia e la rivelazione giudai­
co-cristiana, definì gli eventi del Telesterion di Eleusi un dramma mi­
stico. Durante il quale all 'iniziando venivano offerti sotto fo rma di
dramma sacro visioni della fine e della morte, orrida oscurità e im­
prowiso irrompere di luce, accompagnati da voci misteriose e da ef­
fetti acustici. Al contempo veniva ripercorsa la passione della dea nel
suo svolgimento drammatico, che andava dal pauroso incontro con
la morte sino al ridestarsi alla vita, il suo soggiorno agli inferi in veste
di Persefone e il suo ritorno alla luce sotto forma di una natura rifio­
rente. "Il tempio tremava" scrive Clemente di Alessandria, "apparizio-

1 38
I L MONDO DEI MISTERI

ni spaventose, ombre tremende ricreavano l ' orrore dell 'Ade e il de­


stino futuro dell'uomo malvagio".(7)
Probabilmente in quella tarda epoca misterica si ottenevano au­
tentici effetti teatrali ricorrendo a macchinari tecnici automatici. Ver­
so l'anno 1 00 d.C., ad esempio, Erone di Alessandria, che scoprì an­
che le leggi della riflessione speculare, suscitò un rivere nte stupore
nei suoi contemporanei con due sacerdoti meccanici in grado di spe­
gnere autonomamente il fuoco dell 'altare. Il meccanismo di quegli
androidi primitivi di basava sul criterio dei vasi comunicanti. Ma non
è questo che c'in teressa, e neppure i l vantaggio che p oteva trarre
un 'astuta classe sacerdotale da simili giochi di prestigio che impres­
sionavano i laici quasi fossero magìa. Quello che conta è il contenuto
e l ' intenzione dei "drammi" rappresentati davanti ai misti. Drammi
che consistevano sin dall'inizio nel far prendere coscienza dell'in­
treccio del tema di morte e vita. L"'iniziando" doveva superare delle
"prove" simili a quelle dei riti iniziatici delle tribù primitive, delle so­
cietà segrete del XVIII secolo e tutt'ora vive ai tempi nostri. Anche nel
Flauto magico di Mozart la strada che porta alla catarsi e alla felicità
passa attraverso il tempio delle prove.
Alla base dei misteri eleusini, evidentemente, c ' era sin dai tempi
antichi un concetto di "catarsi" e di "purificazione", analogo a quello
preso in esame da Aristotele nella sua Poetica della tragedia greca, se­
condo la quale tale effetto purificatore dell'anima andava perseguito
tramite spavento e commozione, timore e compassione. Nel culto di
Demetra la catarsi sembra essere stata connessa alla liberazione dalla
paura della morte. Abbiamo una relazione di Plutarco relativa agli ef­
fetti ottenuti sugli iniziati che partecipavano ai riti. Nei suoi tratti es­
senziali corrisponde a quanto riferito da Apuleio e da Clemente di
Alessandria. Sui misteri eleusini Plutarco dice:

"All'inizio un penoso vagare e correre all'impazzata e un timoroso, infini­


to camminare per fitta oscurità, cui seguono, immediatamente prima della
fine, spaventi congiunti a brividi, tremito, sudorazione dovuta a paura e irri­
gidimento. Poi finalmente appare una luce meravigliosa e si arriva in una zo­
na pulita e in campi ove si odono canti e danze e parole elevate e si vedono
sacre apparizioni. Qui l'adepto, ricevuta finalmente l'iniziazione, cammina
libero e rasserenato, partecipa incoronato ai festeggiamenti e sta in compa­
gnia di uomini santi e puri, notando come il popolo non iniziato cammina e
persiste in profonda sporcizia e caligine e che, per mancanza di fede nei be­
ni dell'Al-di-là, resta incatenato alla paura della morte".<">

Con la comparsa della luce risuonava una voce: "La somma dea
ha partorito un santo figlio ! " E nel mare di fuoco delle fiaccole viene
mostrata una "spiga recisa in silenzio" - segno della mai esausta forza

1 39
CAPITOLO VIII

generante della terra. Così, in base a scritti di autori del 111 secolo
d.C., può venire approssimativamente ricostruito l ' acme dei misteri
successivo alla consumazione delle sacre nozze.
Che quelle venissero effettivamente celebrate, e non solo tra som­
mo sacerdote e maestro dei misteri e sacerdotessa, ma anche tra fe­
deli iniziandi e iniziati, lo si deduce da una testimonianza di Asterio,
il vescovo di Amasea, nel Pon to, che ancora nel 350 d.C. annota
sprezzante: "Là (ad Eleusi) non si compie forse l'oscura discesa e il
solenne congiungimento tra ierofante e sacerdotessa, tra lui e lei so­
li? Non vengono forse spente le fiaccole e non ritiene forse la folla
infinita che avvenga per la sua salvezza ciò che i due compiono nel­
l' oscurità?". c•>
Probabilmente, alla fine delle azioni cultuali, dopo la conclusione
delle cerimonie d i purificazione e dei sacri sponsali, c ' era la rappre­
sentazione di Trittolemo, del suo correre per il mondo su un magico
cocchio alato ricoperto di serpenti per insegnare agli uomini l ' agri­
coltura. A lui, il maggiore dei figli di re Celeo, Demetra ha insegnato
l ' arte di coltivare i cereali e di lavorare i campi. "Campo" però, in
questo caso, sta anche per i genitali femminili della cui inseminazio­
ne Trittolemo viene incaricato come principio maschile creato dalla
Grande Madre. L'uomo, in questo rito "della coltivazione dei campi",
riceve dalla dea anche la funzione procreante. A un livello più antico
del mito, infatti, Trittolemo non è solo il figlio di Celeo, ma appunto
il "santo figlio" partorito da Demetra.
Il grande rilievo sacro, alto 2,20 metri e largo 1 ,55, del 450-445
a.C. mostra Trittolemo nudo, vestito solo di una clamide buttata sulle
spalle e calzato di sandali, mentre riceve la benedizione della Dea
delle sementi che lo sovrasta in altezza. Dinanzi al figlio del re ella ri­
stà maestosa, abbigliata di un peplo dorico, con la pesante sopravve­
ste riccamente drappeggiata, la des tra sol levata a benedire e lo scet­
tro nella sinistra. Core, alta quanto lei, im magine di giovanile avve­
nenza, e con la fiaccola in mano guarda Trittolemo dall'alto. Il capo­
lavoro d'arte religiosa è stato scoperto nel 1 859 nella chiesa di San
Zaccaria della piazza di Eleusi. Era stato usato dai cristiani come so­
glia della porta, fo rtunatamente col lato scolpito volto all' ingiù. Oggi
si trova nel Museo Nazionale di Atene, e nel Museo di Eleusi, all'in­
terno degli antichi scavi, è stato posto un calco di quel capolavoro. Vi
è conservata pure la più antica immagine di Demetra con Core, un
rilievo alto 78 cm. e largo 56, che viene fatto risalire al 480-475 a.C.
La troneggiante e formosa dea è abbigliata come nella grande imma­
gine sacra. Nella sinistra regge lo scettro, nella destra tre spighe di
grano. Dinanzi a lei c'è sempre la figlia, con una fiaccola accesa per
mano - simbolo del ritorno dal buio degli inferi.

140
I L MONDO DEI MISTERI

Spighe di grano, grandi e accuratamente scolpite, ornano anche i


fregi dorici, appoggiati a terra e ricomposti , di quelli che un tempo
erano i piccoli Propilei. Essi in troducevano alla zona più interna del
tempio. La spiga è una metafora dell'eterno morire e divenire, della
speranza nella rinascita. Persino le parole del Vangelo: "Se il chicco
di grano non cade in terra e non muore resta solo, ma se muore, dà
molti frutti" ( Giovanni 1 2,24) non intendono altro.
Il nome di Eleusi potrebbe anche rimandare ad Eleitia, alla gran­
de dea della nascita. Anche il vaso greco dipinto, che rappresenta
una donna nuda durante i misteri di Demetra mentre regge sotto il
braccio un enorme fallo a forma di pesce, va interpretato collegando­
lo al concetto di rinascita. C. G. Jung interpreta il fallo "come simbo­
lo della forza rigenerante del chicco di grano, che sepolto in terra
come una salma è al contempo un seme che feconda la terra". 0 0 1
Ricordiamo il pesce dormiente dell'ipogeo di Malta, il pesce della
dea del sigillo siriano e il pesce simbolo di Cristo. Ad Eleusi, il culto
di Demetra venne praticato per oltre duemila anni, sinché Alarico, re
dei Visi goti (dal 370 circa al 41 O) , non mise a sacco il tempio. Poco
dopo l'imperatore bizantino Teodosio II (401-450) nella sua lotta al­
le religioni pagane proibì in generale tutti i misteri. Precedentemen­
te i Romani celebravano con grande fasto i misteri eleusini. L'impe­
ratore Adriano, la moglie del quale veniva venerata come "nuova De­
metra", si fece iniziare ai misteri nel 1 25 d.C., e lo stesso fece Marco
Aurelio( 1 21-180) , il fi losofo che regnò sul trono di Cesare. Sono di
Cicerone ( 1 06-43 a.C. ) , il coltissimo statista, retore e scrittore, le pa­
role rivolte all'amico Tito Pomponio Attico: "Mi pare che la tua cara
Atene abbia creato molte cose eccellenti e divine e che le abbia intro­
dotte nella vita umana; nulla però supera quei misteri che ci hanno
elevato da una vita contadina e rozza a un'esistenza umana. Si chia­
mano iniziazioni e di fatto, grazie ad esse, siamo stati istruiti ai princi­
pi basilari della vita, grazie ad esse abbiamo imparato non solo a vive­
re con gioia, ma anche a morire con una migliore speranza" .'" 1
Nel corso dei secoli il culto di Demetra raggiunse un sempre mag­
gior grado di spiritualità, così che, dopo Cicerone, anche Plutarco
esaltò l'effetto liberatore di quei misteri. Il filosofo, che aveva molto
viaggiato e che dal 95 d.C. rivestiva la carica di sommo sacerdote d i
Delfi, era tra l ' altro u n o spirito illuminato di levatura superiore. Sue
sono le frasi : "È la stupefatta meraviglia per le manifestazioni celesti a
dar vita alla superstizione in tutti coloro che cercano al buio le cause
prime di questi fatti, e che nella loro ignoranza tremano e rabbrividi­
scono dinanzi al divino. Solo la scienza ci può liberare; sul suo terre­
no, in luogo di una timorosa, febbrile paura dei demoni cresce una
salda devozione fondata su serena speranza"." 21

141
CAPITOLO \'III

I misteri, la cui opera purificatrice consentiva di vincere qualsiasi


timore dei demoni, portavano anche a simili serene certezze di fede.

Demetra invia Trittolemo nel mondo su un carro alato (a destra Persefone, dietro
di lei Eleusi in sembiante di fanciulla). Pittura vasale attica.

Più antica dei misteri eleusini è la festa delle "Tesmoforie", risa­


lente ai primi tempi del culto di Demetra. Quei riti di tre giorni era­
no riservati alle donne e venivano celebrati ogni anno a novembre,
all'epoca della semina con la luna nuova. Ad Atene venivano chiama­
ti "Anodos", salire, "Nesteia" digiuno, e "Calligeneia", bella discen­
denza. Durante uno di quei tre giorni di festa venivano consumati i
resti imputriditi dei porcelli seppelliti l ' anno precedente - a maggio
al termine della mi etitura o a giugno all'epoca del ratto della Core ­
in fosse profonde, "megara", da cui venivano dissepolti. Le donne li
sacrificavano sull'altare della dea perché concedesse un buon raccol­
to dopo averli mischiati alle nuove sementi. L'usanza inconsueta di­
viene forse più comprensibile se si legge il sacrificio del porcello nel­
l 'ambito di una concezione totemica, un tempo accettata dall 'intera
umanità. A questo livello, ad esempio, anche tra i Celti troviamo il
maiale come animale sacro capace di operare trasformazioni. Nel
Mabinogion, la principale raccolta di racconti in prosa antico-cimrica
e gallese, Twrch Trwyth, un re dotato di forza tremenda, compare in
sembiante di cinghiale. Re Artù, definito "cinghiale di Cornovaglia",
gli dà la caccia assieme ai suoi uomini, gli strappa le insegne del po­
tere, lo insegue dali 'Irlanda per via mare sino al Galles, poi in Breta­
gna e da là di nuovo ol tre il canale in Cornovaglia, ove il singolare re
cinghiale sparisce per sempre nel mare. Nella tomba dei principi cel­
ti dello Yorkshire dell'est venivano messi pezzi di maiale arrosto per
il viaggio nell 'Al-di-là, e nelle sedi di alcuni santuari celtici sono state
trovate offerte votive sotto forma di cinghiale. Anche tra i popoli me-

1 42
I L MONDO DEl MISTERI

diterranei le zanne di cinghiale appese a catenine sono tutt'oggi sim­


bolo di potenza, anche tra i popoli mediterranei. Nell' odierna Male­
cula, la seconda isola per grandezza delle Nuove Ebridi, di fronte alla
Nuova Guinea, il maiale è un animale sacro e nella tomba dei Male­
culani viene gettato un maiale vivo per rabbonirne lo spirito tutelare.
L' origine di questa cerimonia funebre affonda senza dubbio nel ter­
reno di una dimenticata religione della Madre Primigenia.

Demetra in sembiante
di dea del grano bene­
dice Trittolemo. Die­
tro di lui la giovane
Core. Rilievo votivo di
Eleusi de1 450-445 a.C.

Tra gli Ebrei il mitico animale ha subìto un' importante inversio­


ne di significato, per essi egli incarna l 'impurità e con tale valenza
passa nel Nuovo Testamento. Qui i demoni che Gesù caccia da un os­
sesso entrano "nei maiali; e dall'altura il branco si gettò in mare e an­
negò." (Marco 5 , 1 3) . A questa stregua il male viene sia annegato che
conservato dal mare - saggia invenzione, in cui l ' elemento acqueo si
manifesta sia come principio risanatore sia come elemento inquie­
tante -, un'unione dei contrari che corrisponde pure al principio nu­
minoso della Grande Madre.

143
CAPITOLO VIII

Una donna recante un pe­


sce-fallo celebra i misteri
di Demetra. Pittura vasale
greca.

Le "Tesmoforie" derivano il loro nome dalle "cose recate e collo­


cate", tra cui non si annovera solo il maiale dissepolto. Nel corso dei
riti segreti le donne aspergevano anche i campi col proprio sangue
mestruale. Per analogia con la magìa della luna che si rinnova, ad es­
so viene attribuito particolare potere. Luna, dea lunare, mestruazio­
ni: un nesso che si protende sino ai più antichi strati dell' arcaica reli­
gione femminile. Il ciclo mestruale, vissuto come un mistero che con­
sente alla donna di entrare in comunicazione con le arcane energie
del cosmo, era circondato da un timore colmo di venerazione, moti­
vo per cui alcuni studiosi suppongono che, dal punto d i vista della
storia delle religioni, esso sia "la componente essenziale dell 'in izia­
zione femminile, dato che ha il potere di destare un profondo spirito
di obbedienza rispetto alla forza creatrice della vita" . 1 "> L'antropolo­
ga americana Lois Pau! riferisce che le donne di un villaggio indio
del Guatemala del xx secolo, grazie al mistero che, tra loro, circonda
le mestruazioni "credono di ottenere la sensazione di partecipare al­
le forze mistiche dell'universo" ,<��> Plinio dedica un intero capitolo
della sua Storia naturale al tema della magìa del flusso mensile. Ro­
bert von Ranke-Graves ha compilato un intero elenco di forze beni­
gne e malefiche che quell 'autore del 1 secolo d.C. attribuiva alle don­
ne mestruate: "Il loro tocco può distruggere le viti, l 'edera e la ruta,
sbiancare i tessuti color porpora, annerire i lini dentro le tinozze del
bucato, platinare il rame, cacciare le api dal loro alveare e provocare
l'aborto delle fattrici; tuttavia, vagando nude prima del sorgere del
sole in un campo coltivato, possono mettere in fuga i parassiti, denu-

1 44
IL MONDO DEI MISTERI

dando i genitali possono placare il mare in tempesta e guarire ustio­


ni, erisipela, rabbia e sterilità". 1 1 5 1
Ai tempi nostri, i riti arcaici del culto della Grande Madre sono
stati raccolti in parte da eccen trici gruppi di femministe che procla­
mano "religione del fu turo" un'antichissima religione della Grande
Dea. Così una "somma sacerdotessa" americana nel suo libro iniziati­
co, in cui insegna a compiere i "riti alla luna", consiglia di bagnare
gli arredi del culto "con la tua saliva, sudore, sangue mestruale o altri
umori corporei" per impregnarli della propria forza personale. Uno
dei suoi gruppi misti si è addirittura attribuito il nome di "Compost­
Konvent" (Conventicola della composta) perché esprime con parti­
colare evidenza l ' elemento terreno, organico, nutri tivo al quale, con
preoccupante regressione, si sono votate le nuove serve e i servi della
Grande Madre. È un culto del quale si dice, a ragione, che riconduce
il "nostro inconscio a un livello inferiore". Questa nuova "religione
sciamanica che attribuisce grande valore spirituale all' estasi" e si di­
chiara "fede nelle streghe" per la quale "ogni atto d'amore e di piace­
re sono rituali della dea", è convinta anche che "la dea viene sempre
più colmata di amore sinché partorisce una pioggia di spiriti splen­
denti, una pioggia che nel mondo desta la coscienza, così come l' u­
midità fa crescere il verde della terra. La pioggia è il fecondante san­
gue mestruale; il sangue della dea luna che suscita la vita come la rot­
tura delle acque annuncia il parto". 1 1 61
Anche in Germania e in altri paesi europei esistono associazioni
analoghe, per lo più riservate alle donne, che le notti di luna nuova
si dedicano al culto anacronistico della Grande Madre facendo vibra­
re i rombi, eseguendo danze notturne e offrendo sangue mestruale
in antiche ciotole di rame. Chi sa che cosa con tenevano i mistici vasi
cultuali che un tempo venivano condotti in processione ad Eleusi?
Anziché uno stivale e un fallo potevano anche contenere un liquido
simbolico. Considerando la forza con cui il mito e i temi religiosi ar­
chetipici si diffondono tra i popoli n o n c ' è da stupirsi che la dea
Erin, ad esempio, dalla quale deriva i l nome dell' Irlanda, durante la
cerimonia d'intronizzazione e prima delle sacre nozze offra al re una
coppa d ' oro, un calice colmo di liquido rosso.
Erin è la Grande Madre irlandese. Viene chiamata anche "Flaith
Erinn", "la signoria d 'Irlanda". Nel calice "tuttavia ella viene rappre­
sen tata nella potenza della propria femmin ilità". "È come se fosse",
così si esprime Gòttner-Abendroth che riportò alla luce questo mito,
"il simbolo del proprio inesauribile grembo da cui derivano vita e fe­
condità." Anche i l suo primo re, il celtico Lug, l ' equivalente del gre­
co Zeus, appartiene al mito di Erin. Il suo attributo è un giavellotto
con cui vince ogni battaglia. Negli antichi racconti questo giavellotto

145
CAPITOLO VIII

compare come arma sanguinante accanto a una coppa d' argento. Es­
so si ritrova ancora in antiche miniature medievali della processione
del Gral, sorretto da angeli accanto al sacro vaso. Nella letteratura
cristiana del Gral viene presentato come il giavellotto di Longino, il
soldato che sul Golgota trafisse il costato del Salvatore con una lan­
cia. Effettivamente questo tema si rifa ' alla versione del Gral elabora­
ta in epoca precristiana, in cui il giavellotto e il recipiente miracoloso
sono un simbolo della forza datrice di vita della grande madre. "La
coppa d 'argento" continua Gottner-Abendroth "è un 'calice' di Erin,
una vulva, e il 'giavellotto' è il fallo di Lug, ambedue assieme sono un
simbolo delle nozze mistiche che liberano la terra inaridita dalla ste­
rilità". 1 1 71
Anche alla base del mistero di Eleusi vi sono analoghe strutture
storico-religiose. Anche il grande arredo sacro portato in processione
ad Atene, la 'Cista Mystica' era, analogamente al 'calice' di Erin, il
simbolo femminile di una sessualità sacralmente vissuta.
Questo calice può trasformarsi pure in un recipiente magico di
abbondanza; il "paiolo dell'abbondanza", sempre in possesso della
Grande Dea che ella conferisce al suo re sacro o al suo eroe, ricorre
in numerosi miti. Di tanto in tanto, in epoca patriarcale, esso viene
rubato dagli eroi maschili. Tra i Germani, come noto, era in possesso
di Freya, la dea trina, figlia della Madre Terra jord, che lo perse per
mano di Thor, uno dio patriarcalizzato, signore del tuono e della
tempesta, simile a Jawhe o Zeus. Anche la precorritrice della terre­
stre Dea Madre Erin, la Madre Terra Dana - ella pure regnante sul
cielo, sulla terra e sugli inferi - possedeva un recipiente miracoloso
che cedette al suo eroico re Dagda. In quanto "madre di tutti gli dèi
e degli uomini" Dana è l'antenata del popolo celtico delle fate che
da lei prende il nome di " Tuatha da Danaan" . Per contro, in quanto
dea della luna e grande vacca celeste, ricorda l 'egizia Iside-Hathor.
La studiosa del matriarcato Gottner-Abendroth, infine, la identifica
come "la Grande Dea Madre dell'oriente e del Mediterraneo stesso
che dai popoli di navigatori", provenienti da quella regione, "venne
portata verso il no rd-ovest dell'Europa."
Non facciamoci confondere dai molti nomi attribuiti alla Magna
Mater. In fo ndo sono tutti solo espressione di un'unica esperienza
primordiale del potere femminile che, ricco di varianti, sta alla base
di tutte le religioni. Senza di essi anche le immagini degli dèi giunti
da lontano non avrebbero avuto alcuna possibilità di venire accettate
e di sopravvivere. Altrettanto vale per il "paiolo dell'abbondanza" che
re Dagda riceve dalle mani di Dana. Esso affiora in tanti racconti in
quanto rappresenta archetipicamente tutte le forze magico-naturali e
creatrici della Grande Dea. "Non si svuota mai: se contiene carne, l'a-

146
IL MONDO DEI MISTERI

nimale, dopo essere stato mangiato ne risalta fuori vivo. Se contiene


bevande quali idromele o vino, non si svuota mai sinché tutti sono
colti ' dall' ispirazione' ( ebbrezza) di questo recipiente; per questo
motivo esso si chiama anche "paiolo dell'ispirazione" e crea poeti e
cantori. Se contiene un infuso di sacre erbe, persino i morti resusci­
tano." Tuttavia anche Dagda arriva al possesso del sacro paiolo incan­
tato solo grazie alle sacre nozze con la Grande Dea. E di nuovo se ne
può dedurre lo stesso significato che si ricava dal rito nuziale tra Erin
e Lug: "il 'paiolo' inesauribile, datore di vita, è la vulva della dea da
cui proviene ogni essere vivente (cfr. il 'vaso' di Pandora nella versio­
ne ormai trasformata del mito greco) . Dagda possiede il 'paiolo' solo
sotto forma della dea stessa che gli si dona, assieme al 'paiol o ' , per la
durata di un mitico anno. Al suo scadere egli muore della solita mor­
te: viene colpito dal suo 'fulm ine ' che nelle mani della dea è l'ascia
bipenne cretese". < '"!
Dopo il sacrificio, Dagda diviene dio degli inferi e come nel mito
dell' egizio Osiride, che rinasce come Horus, figlio suo e di Iside, an­
ch'egli rivive nel proprio successore. Anche la provenienza mediter­
ranea di Dagda, noto tra i romani come Dis Pater, è attestata dal suo
attributo, la clava, che assomiglia a quella del greco Eracle. La poesia
dei Celti attribuisce però al dio degli inferi anche un ' arpa magica
che, in virtù di una forza prodigiosa, ritorna sempre tra le sue mani
per suonare il canto del sonno, del sorriso e del lamento.
La leggenda del "paiolo dell'abbondanza" trova la sua prosecuzio­
ne nel dio celtico-gallese del mare e della fecondità, Bran, il diretto
successore di Dagda. Anche "il benedetto Bran" è un signore degli
inferi e fornito, come Dagda, degli stessi attributi di Osiride. In quan­
to fratello ed eroe della Dea Madre celtica Modron-Morigain, vive
nell "'altro mondo" tra musica festosa ed eterna giovinezza. Anch'egli
dispone del paiolo incantato, da tutti ambìto, donatogli dalla dea
succeduta a Dana.
Quanto fittamente sia stato tessuto l ' i ntreccio poetico del mito
matriarcale, superando i limiti di tempo e spazio, risulta anche dal
fatto che Modron-Morigain, nella sua isola dell 'Al-di-là, possiede pu­
re le mele d ' oro, il cui significato è già stato esaminato in relazione
ad Afrodite ed al santuario di Demetra Malofora in Sicilia. Il "paiolo
dell 'abbondanza", ottenuto da Bran dalla dea, viene più volte ricor­
dato nel Mabinogion. "Se oggi viene ucciso uno dei tuoi uomini" vi si
legge, "gettalo consolata nel paiolo e domani sarà bello come prima,
solo che non potrà più parlare." E continua: "Accendevano il fuoco
sotto il paiolo della resurrezione. Lo riempivano sino all' orlo di cada­
veri. La mattina seguente essi resuscitavano, guerrieri temibili come
prima, tranne che non potevano più parlare".<'91

147
CAPITOLO VIII

Il perché del mutismo resta oscuro. Forse a quella stregua s'inten­


deva esprimere il tabù del miracoloso. Al rinato, quindi, come all'ini­
ziato dei misteri eleusini, la bocca restava sigillata sull' esperienza vis­
suta. Forse il mutismo allude anche alle leggi dell "'altro mondo", ine­
sprimibili nel linguaggio di questo, nell 'osservanza delle quali vivono
da quel momento in poi coloro che sono stati ridestati den tro il
"paiolo". Dato che sono guerrieri ai quali viene concessa la resurre­
zione dopo coraggioso combattimento, in un popolo guerriero la co­
sa non desta stupore.
Un simile recipiente di rinascita è rappresentato sul famoso paio­
lo celtico di Gundestrup del I secolo a.C. Esso è inserito tra le molte
rappresentazioni rigorosamente apotropaiche lavorate a sbalzo sul­
l ' argento dorato e che, con le loro forme rimaste sino ad oggi in par­
te enigmatiche, ricoprono l ' intero "Cauldron". Tuttavia la scena che
c'interessa è proprio un'illustrazione del testo del Mabinog;ion: uomi­
ni armati di giavellotti e scudi si muovono a piedi in lunga fila da de­
stra a sinistra verso un paiolo in cui vengono tuffati a testa in giù da
un personaggio di dimensioni fuori dall' ordinario, che può venir in­
terpretato come Bran o Dagda. Evidentemente è un corteo di guer­
rieri defunti. Sopra di loro, separati graficamente da un albero abbat­
tuto collocato come asse cen trale - probabilmente l ' albero della vita ­
muovono da sinistra verso destra, ora rivolti verso il lato della vita e a
cavallo, gli uomini resuscitati che escono dal paiolo.
Oltre a Bran e Dagda, che lo ebbero da Modron-Morigain e Dana,
anche Ceridwen, la dea dei celti, possiede il "Cauldron" magico. Talie­
sin, uno dei leggendari bardi di corte, veggente degli antichi re del
Galles, che passa anche per l' incarnazione di Merlino e che probabil­
mente fu un poeta cristiano del VII secolo che disponeva ancora di un
sapere druidico, menziona ripetutamente il paiolo magico affi dato alla
custodia di Ceridwen, come il "paiolo dell' ispirazione". "Venni dotato
di sapere dal paiolo di Ceridwen" canta. 1 �" 1 Il recipiente incantato viene
"delicatamente scaldato" o "arroventato" dal fiato di nove vergini - nu­
mero simbolico che ci riconduce nel regno delle fate e da Modron­
Morigain-Morgane. Nove sono infatti le sorelle che nella posteriore Vi­
ta Merlini di Geoffrey of Monmouth regnano su Avalon, l'isola delle
mele, e Morgana, che sa "guarire i corpi malati" è la più bella di tutte e
la regi na. "Nel grembo di Ceridwen vissi nove lune piene" dice Talie­
sin più avanti, e quest'indicazione ci avvicina di nuovo al mistero di
Demetra. Ceridwen, infatti, come ha scoperto lo studioso dei celti e
del matriarcato Jean Markale, in quanto Dea della Terra è anche "Ma­
dre del Grano". In un racconto su Taliesin e sul paiolo magico, nel lin­
guaggio del mito ciò assume tratti di chiarezza elementare. In quella
storia un giorno Ceridwen incaricò il giovane Gwyon Bach, il cui nome

I 48
IL MONDO DEl MISTERI

significa "il piccolo sapiente", di sorvegliare il paiolo magico che stava


bollendo e che evidentemente aveva fabbricato ella stessa secondo se­
grete tecniche alchemiche. Nel mentre sulle dita di Gwyon caddero
tre gocce della magica pozione. Erano talmente bollenti che egli si mi­
se automaticamente le dita in bocca. Da quel momento fu in grado di
vedere il futuro e consapevole, al contempo, del pericolo in cui si tro­
vava a causa della propria disattenzione. Colto da timor panico si al­
lontanò. Quando Ceridwen tornò dalla raccolta delle erbe si trovò di­
nanzi i cocci del suo paiolo scoppiato perché la mancanza di quelle tre
gocce magiche aveva alterato l'equilibrio chimico delle sostanze. Ce­
ridwen allora intraprende l 'inseguimento di Gwyon che, fuggendo, si
trasforma in coniglio (terra) , pesce (acqua) e uccello (aria) , inseguito
da Ceridwen in veste di levriero, di lontra e di falco. Come uccello
Gwyon riesce a malapena a trovare scampo in un'aia dove assume le
sembianze di un chicco di grano. Col che ha percorso tutti e quattro
gli elementi; il grano, infatti, in cui è accumulata la forza del sole, ha la
valenza dell'elemento fuoco. Tuttavia Ceridwen, sotto forma di "una
gallina nera coronata da una cresta bianca" trova il chicco e lo inghiot­
te. Dopo di che resta incinta. Getta poi il suo neonato in mare dentro
un sacco di cuoio. Ma anche questo bimbo, come già Mosè nel suo ce­
sto di giunchi, viene trovato e gli viene imposto il nome di Taliesin.
Nella storia del viaggio metamorfico di Taliesin riecheggia chiara­
mente il tema dello smembramento e della resurrezione proveniente
dal lontano regno sumerico e dall' Egitto. Ricordiamo Osiride e il su­
merico dio dei morti Mot, smembrato dalla Dea Madre Anath e usato
come semente. Durante il suo soggiorno di nove mesi nel grembo di
Ceridwen, durante il quale "venne dotato del sapere", Taliesin visse
una totale fusione con la natura "che qui viene metaforicamente rap­
presentata dal chicco di grano che raffigura fine e inizio, morte e vi­
ta, Ceridwen, Dea-Madre e Terra-Madre, inghiotte e suggella così la
sua fine. Ma da questa fine nasce la nuova creatura: il figlio . .. ". <2 n
Ecco che il "sacro figlio" di Demetra, che gli iniziati riuscivano a
vedere nei misteri eleusini, sopravvive anche in questo racconto celti­
co. Dalla narrazione affiora chiaramente anche l ' aspetto notturno d i
Ceridwen, i l suo aspetto letale. In un'altra leggenda, in veste di "stre­
ga nera come la pece", ella erra qua e là per gli inferi ove re Artù, du­
rante il suo viaggio nell 'Al-di-là, la fa a pezzi per vincere la morte. Nel
suo sembiante nero Ceridwen assomiglia ad una derivazione celtica
della dea dei morti mediterranea, a una ripugnante Persefone nordi­
ca. Nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach e successivamente di Ri­
chard Wagner, è riconoscibile in Kundry, l ' orrida messaggera del
Gral, mentre nella verginale latrice del santo Gral vive una tarda rina­
scita la primaverile Core di soprannaturale bellezza.

149
CAPITOLO VIII

Il primo a collegare il mistico recipiente cultuale all'eucaristia e a


trasformare il celtico "paiolo dell'abbondanza" nell 'ultima Cena di
Cristo, fu un poeta burgundo del XII/XIII secolo, Robert de Boron.
Ma questa è un' altra storia.

Il cavallo, destriero del


diavolo e delle streghe.
I ntaglio romano su le­
gno del 1 555.

I misteri legati al culto di Demetra risalgono all'età preellenica


della prima rivoluzione sociale dell 'umanità: quella del passaggio dal­
la cul tura dei nomadi e dei cacciatori alla civiltà degli agricol tori e
dell 'addomesticamento degli animali. Un eco lontano di questo cam­
biamento si coglie ancora in un racconto di Pausania, in cui si narra
che Demetra, nella ricerca della Core rapita, viene incalzata dall' im­
petuoso desiderio amoroso di Poseidon e. Per sfuggirgli - ritorna il
frequente tema del ratto delle donne - la dea assume le forme di una
fa ttrice per mescolarsi ai destrieri di re Onchio dell 'Attica. Ma Posei­
done si trasforma in fretta quanto lei e la monta. Dopo di che Deme­
tra partorisce un puledro. La Magna Mater delle spighe di grano di­
venne così anche dea dei cavalli. Da allora gli animali, allevati già in
epoca preellenica, divennero sacri a Demetra. Nell'antica città di Fi­
galia, nel Peloponneso, Demetra ven iva pure raffigurata con la testa
di cavallo. Di tanto in tanto anche Ecate appare rappresentata con
capo equino, nelle vesti di protettrice di quegli animali. L'ambivalen­
za con cui veniva colto il grande femminino trova ch iara espressione
nel cavallo che, una volta si presenta in un con testo luminoso e una
volta in un contesto oscuro, come animale sacro sia alla dea prote ttri­
ce della vita, sia alla madre dei morti. In epoca moderna il cavallo as­
sume connotazioni diaboliche come destriero del diavolo, nel quale
anche le streghe amano trasformarsi. In questa fase, in cui ormai da
lungo tempo la mela del paradiso si è trasformata in frutto letale, sul
cavallo e sulla "dea dei cavalli" nel suo aspetto afroditico può ricade­
re tutto il peso di una religione e di una visione del mondo ostile al
sesso e alla sensualità. Psicologicamente, infatti, il cavallo, come os-

150
IL MONDO DEI MISTERI

serva C.G. Jung, simboleggia "la libido rivolta verso la madre". <22> An­
cora oggi appare nei sogni come manifestazione delle più elementari
pulsioni esistenziali. Nella poetica di Franz Kafka il cavallo fa la sua
apparizione in doloroso contrasto tra ideale e ripulsa. Il mondo della
sensualità preme sul poeta, interiormente solo, sotto forma del "ca­
vallo bianco pomellato" e della "bella dama, bianca e rossa", e quan­
do egli stanco di partecipare alla lotta contro la "gravità terrestre" co­
me mero spettatore della vita si appoggia al parapetto della finestra,
"i cavalli lo trascinano con il loro seguito di vetture e rumore e così,
finalmente, verso la concordia umana". <23>
Il fatto che nella narrazione di Virgilio, ma già precedentemente
in Pindaro, Poseidone compaia come creatore dei cavalli, nella sim­
bologia patriarcale ha una valenza assolutamente rivelatrice. Pindaro,
un contemporaneo del giovane Eschilo, fa scaturire il primo destrie­
ro da una rupe sulla quale un dio, nel sonno, aveva sparso il proprio
seme un dio. Siamo al culmine di un 'epoca di patriarcale fierezza
per la capacità procreativa maschile. In realtà il potere del grande
Poseidone era solo un potere rubato. Egli divenne signore dei mari
solo in forza del suo matrimonio con Anfitrite. Egli aveva rapito a
Nassa la sua sposa, che un tempo regnava sola sul mare come Tetide,
men tre stava con le sue sorelle. Anche in questo mito si riflettono
eventi preistorici: il passaggio di potere dal matriarcato al patriarca­
to. Già Omero ormai cantava Poseidone come Zeus:

"Scotitore della terra! due volte gli dèi ti fecero onore:


Domatore sei dei destrieri, salvatore sei pure dal naufragio". <24>

La consuetudine di ch iamare Poseidone "sposo di Anfitrite dal fu­


so d ' oro", come ci si rivolgeva a Zeus nelle solennità chiamandolo
"sposo di Era", mantenne viva la maestà della Grande Dea.
Tuttavia Demetra, la Madre della Terra e del Grano, come Dea
delle Giumente, si spinse anche lontano per mare, verso nord-ovest
sino ad arrivare in Irlanda. Là, tra i Celti, veniva venerata col nome di
Epona e, nel timore reverenziale del suo trino potere, come "le tre
E pone".
Von Ranke-Graves, in Topographie von Irland ("Topografia d ' Irlan­
da" ) di Giraldus Cambrensis, il monaco Geraldo del Galles ( 1 1 46-
1 223 circa) , rinvenne un testo che testimonia la sopravvivenza di resti
di tale culto, paiolo incluso, nell ' Irlanda del XII secolo: "Tratta l ' inco­
ronazione di un principino irlandese di Tyrconnel, preceduta dalla
simulazione di una sua simbolica rinascita da una giumenta bianca."
Il pretendente al trono strisciò "nudo a carponi verso di essa, come
fosse il suo puledro; dopo di che essa venne macellata e i quarti ven­
nero bolliti nel paiolo. Egli stesso entrò nel paiolo e iniziò a !appare

151
CAPITOLO VIII

il brodo e a mangiare la carne. Successivamente salì ritto sulla pietra


dell'incoronazione e gli venne teso uno scettro diritto e bianco, poi
venne fatto girare tre volte da sinistra verso destra e da des tra verso
sinistra in onore della triade. Originariamente, senza dubbio, in ono­
re della trina dea bianca". <251
La "Bianca dea" o "Le tre Epone" sono solo due dei molti nomi
ovunque assunti dalla Magna Mater nel corso della sua storia evoluti­
va di divinità trina. A Delfi e a Dodona Demetra veniva venerata con
grande timore reverenziale come "Il tre" * e in altri sedi di culto, sem­
pre al plurale come "Le madri".
Nella triade della Grande Madre che con le fasi della luna nuova,
piena e nera opera in sembiante di donna giovane, matura e vecchia,
dà luogo all' eterna trasformazione di divenire-essere-morire, si mani­
festa per la prima volta il mistero della triade che tanto signifi cativo è
per la storia delle religioni.
La triade matriarcale è u n 'immagine archetipica, che sopravvive
nella trinità cristiana del Dio Padre, Dio Figlio e Spirito Santo. I cri­
stiani dei primi tempi interpretano lo Spirito Santo come l ' anima del
mondo connessa alla luna cui si attagliano le qualità dell'elemento
materno. Le femministe cristiane traggono oggi analoghe deduzioni
dal vocabolo femminile ebraico "ruah", che significa "spirito vitale" o
"alito di vento".
Il mondo magico dell'indiviso presente nell' unità della triade del
femminile affascina anche Ch rista Wolf. Nelle sue lezioni sulla poeti­
ca tenute a Francoforte collega la preistoria matriarcale delle dee
greche, che solo in un successivo "pantheon a struttura patriarcale"
dipesero da Zeus, all"'apparentemente astrusa tavola pitagorica" del
Faust di Goethe.

"Intendimi bene!
Di uno fai dieci,
togli il due,
pareggia tre,
e ricco sarai...".

Ella commenta questi versi dicendo: "Goethe sapeva della natura


triforme delle antiche dee madri (la prima trinità in assoluto, da cui
sono de rivate tutte quelle successive) nella quale il ' tre' era 'pareg­
giato' in quanto l 'unica dea, corrispondente ai tre piani del mondo,
si manifestava in tre modi...". < 261

* In tedesco il numero è di genere femminile per cui diventa "la tre".

[N.d.T.)

152
I L MONDO DEI MISTERI

Ancora oggi diciamo che ogni cosa buona è trina. E lo si può rife­
rire alla Trinità cristiana. Millenni prima, però, gli antichi popoli co­
noscevano il magico numero tre come simbolo salvifico dal culto del­
la Grande Madre. Così le sacerdotesse della divinità femminile del­
l 'Anatolia interna occidentale davano la "benedizione frigia" alzando
tre dita, pollice, indice e medio. È lo stesso gesto col quale benedico­
no i sacerdoti cattolici. Probabilmente non ricordano più che il polli­
ce era il dito consacrato alla dea dell'amore. Tuttavia Greci e Romani
antichi preferivano ancora portare i loro sigilli al pollice, in quanto
simbolo fallico governato da Venere.
Dai Romani ci è stato tramandato il nome di "Matronae", riferito
a una trina divinità celtica della quale non conosciamo il nome. Le
Matronae vengono raffigurate come tre madri che reggono lattanti,
cornucopie o cesti di frutta, ave la cornucopia ricorda di nuovo il
"paiolo dell'abbondanza". Simbolizza la fertilità della dea e il suo ses­
so. La storia medievale di Lancillotto, il cavaliere della Tavola Roton­
da, riconduce a Corbin o Corbe nic, un luogo dell'Al-di-là, che si
chiama Cornucopia: Cor Benic - corno benedetto. Significativamente
è la sede in cui Lancillotto assieme ad Elaine procrea Galahad, il pre­
scelto del santo Gral, la cui madre Elaine era in realtà una fata luna­
re: Elaine si ricollega a Selene, alla preistorica dea lunare della mito­
logia greca.
Effettivamente sono sentieri magici quelli su cui riconducono le
orme della Grande Madre. La sua immagine, in sembianti delle fa­
mose Matronae, è conservata al Landesmuseum di Bonn. La scultura
celtica è stata rinvenuta durante gli scavi effe ttuati sotto il duomo di
quella città.
A noi la triade matriarcale risulta più familiare nelle vesti delle
Tre Grazie . Così i Romani chiamavano l ' awenente terzetto delle gre­
che Cariti, il cui nome deriva da "chairein", "rallegrarsi". In quanto
Aglaia, "l' ornamento", Eufrosine, "la gioia" e Talia, "l'abbondanza",
sono la quintessenza di tutto ciò che vi è di amorevole e di bello, in
realtà sono l ' amorosa-seducente manifestazione della trina Afrodite
stessa. La madre, però, che le generò da Zeus - difficile tenere il con­
to dei numerosi legami amorosi di quest'ultimo - si chiama Eurino­
me. Una dea che reca sulla terra la luce lunare, una dea lunare, quin­
di. Dal momento della loro nascita in poi le Tre Grazie, due delle
quali sono sempre rivolte verso l 'osservatore, men tre quella cen trale
gli volge la schiena, sono state ritratte infinite volte e in ogni epoca.
Hanno trovato addirittura accesso all ' arte sacra del Medioevo. Ed ec­
co che le ritroviamo incise su un'ametista della famosa croce di Lata­
rio, fatta in Renania poco prima dell'anno Mille e che fa parte del te­
soro del duomo di Aquisgrana. E naturalmente non potevano man-

1 53
CAPITOLO VIII

care neppure nel Rinascimento in cui, in tutta la loro awenenza, ani­


mano il quadro della dea della Primavera del Botticelli ove, awolte in
veli trasparenti, danzano il loro imponderabile girotondo sul prato
fiorito. E ciò facendo sono in ottima compagnia: dall'aria scende, ar­
mato di frecce, Amore volteggiando nel regno di sua madre Mrodite
che solleva la mano benedicente, mentre incoronata di fiori e in abi­
to fiorito "La Primavera", la dea della primavera, inseguita da Zefiro,
sparge fiori sui sentieri.
La Grande Madre in quanto triade non sarebbe la somma della
totalità della vita se alla sua trina manifestazione nelle vesti delle Tre
Grazie non si contrapponesse pure la tremenda triade delle Erinni.
Se pur l'albero genealogico di queste tre "Furie", dei tremendi spiriti
di collera e di vendetta, vanta diversi genitori, tuttavia nel groviglio
dei racconti mitici esso va ricondotto al comune denom inatore della
Grande Madre Terra. Ma persino le tre Erinni possono trasformarsi
in creature benefiche. In tal caso compaiono in veste di Eumenidi. Le
"Benevolenti" che conosciamo dall 'ultima parte dell' Orestea di Eschi­
lo, se pur totalmente inserite nella struttura dell' ideologia patriarca­
le. In Arcadia si sacrificava alle Eumenidi e alle Cariti assieme, un
culto della divinità matriarcale in tutta la sua ambivalenza.
Duplice è pure la triade delle Sirene. Kerényi le chiama "dee del­
la morte e dell ' amore". Erano oggetto di venerazione in tutta la Gre­
cia e sulle coste dell' Italia meridionale colonizzate dai Greci. I loro
nomi sono Partenope, "la virginea", Leucosia, "la bianca dea", e Li­
gea, "dalla voce squillante". Esiodo le fa risiedere su un ' isola fiorita,
men tre in al tre narrazioni sono "figlie di Ctonia", la Profondità della
Terra, e compagne di Persefone negli inferi. Nell ' Odissea di Omero
esercitano le loro arti di seduzione sugli astuti naviganti per portarli
con sé negli abissi del mare - precorritrici della romantica Loreley di
Clemens Brentano e di Heinrich Heine. Circe, "la venerabile dea"
che predice ad Odisseo i pericoli che lo aspettano perché se ne di­
fenda, lo mette in guardia dalla pericolosa triade:

"Alle Sirene presso tu giunger devi anzitutto


Che tutti quanti gli uomini incantano che giungono ad esse.
Chi s'avvicina a loro, mal cauto, ed ascolta la voce
Delle Sirene, quello non mai la sua sposa ed i figli
Più lo vedranno tornare, diletto mai più non ne avranno;
ma le Sirene, incanto gli fan con le limpide voci,
Sedute sopra un prato. D'intorno c'é d'ossa un gran mucchio,
D'uomini putrescenti, di scheletri e pelli aggrinzite".

Allarmato da questo quadro aggh iacciante, Odisseo, seguendo il


consiglio di Circe, fa riempire le orecchie dei compagni di cera e,

1 54
IL MONDO DEI MISTERI

personalmente, si fa legare all' albero maestro. Ora può ascoltare la


voce in cantatrice delle Sirene senza seguirla. Esse lo irretiscono a
questo modo:

"Vieni qui dunque, Ulisse famoso, fulgor degli Achivi:


Ferma la nave, ché udire tu possa la nostra canzone:
Poi che nessuno passò qui oltre col cerulo legno
Pria che dal nostro labbro udisse il mellifluo canto:
Lieto chi l'ode, e ricco di molta scienza poi parte:
poi che sappiamo tutto...
Tutto che avviene su la terra di popoli latrice sappiamo". !27>

Il richiamo delle Sirene è così seducente che Odisseo tenta di libe­


rarsi dalle catene. I compagni, però, lo legano ancora più stretto. Solo
così nave e uomini sfuggono alla rovina. L'incanto di Afrodite sta nel­
la promessa di ringiovanire e di rendere più saggi . E che altro potreb­
be essere il dolce canto se non una canzone d'amore? È talmente irre­
sistibile perché attira ai riti iniziatici del divino-femminile che già no­
bilitarono Enkidu nel Gilgamesh, ricco però anche di incantata forza
ammaliatrice perché fonde amore e morte, i due poli della vita.
Nella seducente triade delle Sirene la Grande Madre si presenta
anche come dea oracolare e, in virtù della sua onniscienza, come dea
del destino alla cui sfera di potere essa appartiene. A questo punto
compare la triplice figura delle Moire. La prima si chiama Cloto, "la
filatrice", Lachesi, "la spartitrice" la seconda, e Atropo "l ' ineluttabile"
la terza delle dee del destino cui Zeus stesso è sottomesso. Le Moire
corrispondono alle Parche romane. Nella m i tologia germanica di­
ventano le Norne, Urd, Werdandi e Skuld, una delle quali fila la vita,
l'al tra ne misura il filo e la terza lo taglia. Le abbiamo già conosciute
in relazione al tema del pozzo e del frassino del mondo Yggdrasil, an­
naffi ato dalle Norne. È Jord, la Dea Terra e Madre di Freya, la "Afro­
dite dei Germani" quella che nella loro triade compare come filatri­
ce della sorte del mondo e dell' umanità. Delle Norne vien de tto che
"intrecciavano robusti fili del destino".

"Filato d'oro tendevano,


Fissandolo al centro sotto la sala della luna". !2">

Come i popoli mediterranei, per le nascite, si affidavano alla pro­


tezione di Eileitia, che va intesa come la grande Moira, così i Germa­
ni invocavano le Norne perché assistessero le madri nel l ' ora del par­
to e assegnassero al neonato un buon destino. Ancora in epoca cri­
stiana le Norne, "nel periodo dell'anno nuovo" venivano "i nvitate a
tavola appendendo un segno alla porta e apparecchiando per loro

155
CAPITOLO VIli

tre coperti. La Chiesa combatté tale usanza stregonesca con severissi­


mi interrogatori, sinché divenne abitudine scrivere sulle travi delle
porte: Gaspare + Melchiorre+ Baldassare". < 29)
La storia dei " tre re magi" si fonda notoriamente sul Vangelo di
Matteo (2, 1-1 6 ) , che parla solo "dei" saggi e non dei tre saggi. Solo
in alcune raffigurazioni delle catacombe quegli eruditi re astronomi,
che circa un anno dopo la sua nascita recarono oro, incenso e mi rra
al figlio di Dio dei cristiani, compaiono in numero di tre, e sino al
VII/VIII secolo i nomi dei magi variano. Le loro reliquie, a proposito
delle quali mancano informazioni precise, vennero regalate dall'im­
peratore Federico Barbarossa al proprio cancelliere Rinaldo di Das­
sel che, in veste di arcivescovo di Colonia, il 23 luglio 1 1 64 le depose
nel locale duom o , ove sono tutt'ora conservate entro uno scrigno
prezioso. La rappresentazione più interessante della vita e del culto
dei tre magi, suddivisa in sette riquadri, è descritta nella parte inter­
na della balaustra del coro del duomo di Colonia. Il maestro che fe­
ce quel lavoro a metà del XIV secolo non aveva ancora notizia di un
re moro - che compare solo nel xv secolo -, ma per contro raffigura i
re, uno giovane, uno nel fior degli anni e uno vecchio in una triade
patriarcale appropriatasi della simbologia dell'arcaica religione ma­
triarcale.
I "tre re magi" in veste di Nome patriarcalizzate: l' usanza diffusa
soprattutto nella Germania meridionale di scriverne i nomi è un
esempio evidente dell 'integrazione di divinità femminili e della loro
triade in forme cultuali cristiane. Altra triade magica sono le tre cri­
stiane virtù cardinali di Fede, Speranza e Carità. Riparleremo in u n
altro capitolo d i "queste tre sante figure femminili" c h e Stefan An­
dres indica come "la forma cristianizzata delle Matronae celtiche".
Nel segno dell "'eterno femminino" Goethe si spinge particolar­
mente a fondo nell' esoterismo della triade matriarcale e della reli­
gione arcaica. Sia per questo che per il suo modo filosofico-scientifi­
co di considerare l'antico panteon divino, a suo stesso dire, con l ' età
era diventato un mistico.

"O tu lassù, eternamente giovane,


dea di tre nomi e di tre forme,
te invoco nel dolore del mio popolo,
Diana, Luna, Ecate! "

Così s i rivolge Anassagora, i l filosofo naturalista, alla Grande Ma­


dre nella seconda parte del Faust (Faust II, atto 2o 7902-7905) Ma
quando ella gli appare nello splendore della luna piena è evidente
che il suo grido sconsiderato "ha turbato l ' ordinamento della natu-

156
I L MONDO DEI MISTERI

ra" e la sua entrata in scena ha una forza schiacciante (Faust II, atto
2°, 79 1 4-7919) :

"Sempre, sempre più grande si awicina


il trono della dea nella sua sfera,
spaventevole all'occhio, gigantesco!
Il suo fuoco si fa di rosso cupo ...
Ferma possente, minaccioso cerchio!
Tu spazzi via noi, la terra, il mare!".

Tremendo appare in questa scena della "notte di Valpurga classi­


ca" (''Faust II'', atto 2°) il potere della Grande Dea. Tuttavia anche
nel corso dell'atto precedente, quando vorrebbe impossessarsi di Ele­
na, Faust apprende rabbrividendo da Mefistofele, che gli svela malvo­
lentieri "i supremi segreti", la natura delle "Madri". Tra Mefistofele,
la "parte di quella forza,/ che sempre vuole il male eppure fa il be­
ne" e Faust che cerca si svolge il seguente dialogo (Faust II, atto l o ,
62 1 3-6227) :

MEFISTOFELE
Dee stanno in trono, auguste, in solitudine,
intorno nessun luogo, e tempo tanto meno;
è disagio parlarne,
Sono le Madri!

FAUST (spaventato)
Le Madri!

MEFISTOFELE
Senti un brivido?

FAUST
Le Madri! Le Madri! - Suona così strano!

MEFISTOFELE
Lo è. Dee, sconosciute a voi mortali
da noi malvolentieri nominate.
Nel profondo ne cercherai la sede;
se ne abbiamo bisogno è colpa tua.

FAUST
Dov'è la via?

MEFISTOFELE
Non c'è! Cammino mai percorso,
mai da percorrersi; cammino mai implorato,

157
CAPITOLO VIII

mai da implorarsi. Te la senti?


Non serrature o chiavi da forzare,
Verrai sbalzato in qua e in là da solitudini.
Sai cosa sono desolazione e solitudini?"

Ma Faust vuole scandagliare a fondo l 'enigma del potere femmi­


nile senza spazio e senza tempo. Nel "nulla" spera di trovare il "tut­
to". Gli viene offerta la chiave della magìa
(Faust Il, atto l o, 6263-6266; 6275-6287 ) :

MEFISTOFELE
La chiave sentirà l' esatto luogo;
Seguila giù: ti condurrà alle Madri!

FAUST
Le Madri! Ogni volta è una percossa!
Cos'è questa parola, che io non posso sentirla?

Un ultimo retrocedere dinanzi al potere dell' incomprensibile,


inafferrabile, dinanzi alle Madri che vengono presentite nell 'ambiva­
lenza sovrumana delle loro manifestazioni. Poi Faust supera il suo in­
torpidimento. Riconosce che "rabbrividire" è il meglio dell'uomo" e,
coinvolto, sente "profondamente il portento" al quale inizia ad acco­
starsi. Mefistofele, prima che intraprenda il viaggio incantato, gli gri­
da dietro (Faust Il, atto l o, 6275-6287 ) :

"Inabissati dunque! O potrei dire: salii


è tutt'uno ... .
"

Ciò che a Faust venne dato di vedere "al fondo del più profondo
abisso" e ciò che millenni prima di lui venne dato di vedere agli inizia­
ti dei misteri di Demetra, è la triade divina quale emanazione della fi­
duciosa attività creatrice della natura e della sua tremenda distrutti­
vità. "le "Madri" sono "avvolte dalle immagini di tutte le creature":

"Formare, trasformare
eterno passatempo dell'eterno pensiero".

Ad Egina esiste uno dei templi più belli di Grecia, il tempio di


Afaia, la dea che precedette Atena sull'Oiimpo. Un tempo anch'ella
fu una triade della fertilità. I gruppi scolpiti sui timpani del sacrario
di Afaia rappresentano eroi leggendari della guerra di Troia alla qua­
le avevano partecipato gli antenati degli abitanti dell'isola. Nel 1 8 1 3
i l principe ereditario Lodovico d i Baviera fece acquistare l a maggior

1 58
IL MONDO DEl MISTERI

parte di quelle sculture marmoree e le fece restaurare su modelli di


Thorvaldsen per la glittoteca di Monaco, inaugurata nel 1830. All'e­
poca della creazione delle drammatiche sculture il tempio di Maia
era ormai dedicato ad Atena, l'immagine della quale compare anche
sui timpani. Tuttavia dietro le purissime strutture di questo sacro edi­
ficio dorico, adagiato su una terrazza alta sul mare in mezzo a un bo­
sco di profumati pini marittimi, si ha l'impressione di percepire an­
cora il soffio di tempi arcaici. Anche per Maia vale ciò che diceva
Goethe delle "Madri".
Chi ha la fortuna di trascorrere nel suo antico santuario un'ora
tranquilla senza la presenza dei turisti, sotto quelle colonne armonio­
samente modellate può ancora sentirsi trasportato in un mondo ma­
gico, in cui appare l'immagine della Grande Madre che supera tutti i
limiti e che un tempo includeva tutta l ' esistenza, cielo e inferno,
chiaro e scuro, interno ed esterno, sopra e sotto.

159
CAPITOLO IX

La dea minoica della terra e dei serpenti

Le isole sono sempre state ritenute le sedi preferenziali della


Grande Madre. Delo, Cipro, Malta, Gozo, Sardegna, Sicilia e Creta
sono tutte legate a lei. Ad esse si aggiungono mitiche immagini oniri­
che, quali il giardino insulare delle Ebridi o la celtica e leggendaria
isola di Avalon. Persino la Britannia, "questo gioiello incastonato nel
mare d'argento", come la definiva Shakespeare, con la sua sede cul­
tuale neolitica di Stonehenge, un tempo, era un "Onfalo" nordico,
un'isola sacra che si riteneva fosse vicina all'asse polare e congiunges­
se cielo, terra ed inferi.
In nessun altro luogo gli elementi materno-primigeni di terra ed
acqua sono tanto visibilmente emergenti e tanto confluenti l'uno
nell 'altro come sull'isola. "Sono ancora tutte vive, le madri di eroi, le
isole" cantava Friedrich Holderlin, che "cercava" la terra dei Greci
"con l'anima" pieno di nostalgia, pur senza esservi mai stato.
Posta tra l'Europa, l'Asia e l'Africa, al centro del mondo antico,
Creta assume un ruolo speciale: è la culla della cultura minoica, l' isola
della "Madre degli dèi"; di Rea, la grande e trina Dea Terra. "In quan­
to Amaltea, dea fanciulla, in quanto lo, dea delle ninfe, in quanto
Adrastea donna autunnale dell'oracolo" (Gottner-Abendroth) . Deme­
tra, Era, Posidone, Ade e Zeus sono figli di Rea e Cronos, il suo sposo­
fratello. Come suppone Kerényi, ella stessa, la figlia di Gea, va equipa­
rata a sua figlia, la Titanide Temi. In greco "Rea" significa "latte".
Quando di lei si dice che è la creatrice della galassia, la via lattea, si
esprime in modo calzante il carattere cosmico della dea: dopo la nasci­
ta di Zeus versò il proprio latte per tutto il cielo. Tuttavia, in magica
equiparazione di sopra e sotto, Rea è in stretto rapporto anche con la
caverna della terra. Il nome cretese di Rea suona Dittianna. E fa riferi­
mento alla caverna di Ditte, la sua principale sede di culto sul monte
Ida, alto quasi duemila e cinquecento metri.

161
CAPITOLO IX

Come la caverna anche il monte che la "racchiude" è un simbolo


naturale del "Grande Femminino". Per questo motivo nelle antiche
leggende la Madre Terra compare anche come "Madre Monte" o co­
me la "Donna del Monte". Un tempo, con la sua contenente pienez­
za e con la sua altezza, con cui dominava il paesaggio, il monte incar­
nava la dea stessa. Solo in successive fasi evolutive, dopo aver assunto
tratti autonomi, la Grande Madre potè insediarsi sul monte che di­
venne così il suo trono naturale. Ella si manifesta ancora in tale sua
imponenza in un sigillo della tarda età palatina di Creta, dal 1 500 al
1 400 a.C. Nell'elegante stile di quel periodo si erge snella ed eretta
sulla cima di un monte sorvegliato da due leoni. Coi capelli fluttuan­
ti, il busto scoperto e i seni rigogliosi su un vitino quasi da vespa, so­
vrasta, con la mano che impugna imperiosa lo scettro, una figura di
giovane in atto di supplica. Sullo sfondo si vede una torre del suo pa­
lazzo, ornata di simboli taurini.

La Grande Dea dell'antica Creta sulla cima di un monte. Sigillo cretese.

La caverna dittinica del monte Ida divenne sede del culto di Rea
perché la dea vi partorì Zeus, il suo figlio-amante ed eroe e lo nasco­
se a Crono che, notoriamente, divorava tutti i suoi figli. Avveduta co­
me il suo compagno, il serpente, dopo la nascita di Zeus, anziché il
figlio diede a Crono una pietra che egli inghiottì in luogo del bimbo.
Narra il mito che Zeus, col tempo, divenne più scaltro del padre e gli
somministrò una bevanda che gli fece vomitare ancora vivi tutti i suoi
figli. Al seguito di Zeus quelli, alla fine, uccisero il padre, come lui, a
sua volta, aveva ucciso Urano per non venirne detronizzato. Ricordia-

162
LA DEA MINO IC.A DELLA TERRA E DEl SERPENTI

mo la narrazione di Esiodo della nascita di Mrodite dalla virilità di


Urano vagante nel mare. Secondo questo mito patriarcale, nella dea
dell'amore si potrebbe vedere una sorta di sorellastra di Rea, mentre
secondo l'albero genealogico omerico, in quanto figlia di Zeus e di
Dione, sarebbe la nuora di Rea. É comunque diffide seguire le orme
di questi sconcertanti rapporti di parentela. Al termine emerge sem­
pre il mitico modello base di un linguaggio simbolico religioso dietro
il quale, anche se ricca di varianti, c'è sempre la Grande Madre dei
primordi.
Con la cretese Rea scendiamo nello strato profondo di una cultu­
ra esistente già ai tempi del massimo splendore egizio e che successi­
vamente fecondò la Grecia tramite l ' influsso della cultura cretese-mi­
cenea.
Agli Egiziani i Cretesi erano noti col nome di "Chefti" o "Chef­
tiu". Reperti archeologici rinvenuti in ambedue le terre testimoniano
l'esistenza di contatti tra le due culture, anche se, chiaramente, man­
tennero le loro peculiarità. A diffondere la notizia del potere di Cre­
ta sotto il leggendario re Minasse che dominò gli Egei, conquistò le
Cicladi e pose fine alla pirateria sui mari, sono stati Erodoto e Tucidi­
de. Omero elaborò poeticamente il suo mito. Re Minasse era talmen­
te potente che nessuno osava attaccare l' isola, e questo spiegherebbe
perché su di essa non esistono fortificazioni. Ovviamente, se da ciò si
deve dedurre che la popolazione era pacifica e si affidava solo alla
protezione della grande Dea Madre, è un'altra questione. Si è troppo
portati a tingere le proprie lacune conoscitive coi colori dei propri
desideri. Comunque, in accordo coi moderni studi sul matriarcato si
può partire dal principio che Minasse in realtà fosse un re sacro che
aveva ricevuto il suo potere dalla Grande Dea. Per cui "Minasse" di­
venne il titolo del sacro re di Creta. Già Sir Arthur Evans - l'archeolo­
go inglese che nel 1 900 riuscì a riportare alla luce il famoso palazzo
di Minasse a Cnosso e, assieme alla cultura minoica anche la più anti­
ca testimonianza di vita civile in Grecia e in tutta Europa - era dell'o­
pinione che il re di Creta ricevesse il potere da una divinità e regnas­
se per un ciclo di nove anni. Evans giunse a quell'ipotesi grazie a un
passo d eli' Odissea di Omero, in cui ricorre quest'intervallo di tempo.
Inserito in una descrizione di Creta, che con la sua cultura cittadina
affascinava già i rapsodi dell 'antica Grecia, si dice:

"Levasi in mezzo al mare purpureo la terra di Creta


Bella, ferace, tutta recinta dai flutti. Novanta
quivi sono le città, numerar niuno saprebbe le genti.
Parlan ciascuna una lingua diversa, commista. Qui Achivi,
quivi Cretesi puri, magnanimi, quici Cidoni,

163
CAPITOLO IX

E, in tre tribù divisi, coi Dori i divini Pelasgi.


Cnosso, la gran città qui )evasi, dove Minasse
Per nove anni regnò, che solea favellare con Giove".1l i *

Omero non allude a u n re d i nove anni, m a ad u n re che ogni no­


ve anni parla con la divinità. Questo - anche se in Omero la divinità
femminile è già stata soppiantata da Zeus, il figlio di Rea - non può
che essere un'allusione alla successione temporale con cui la Grande
Dea di volta in volta parlava col nuovo re al quale, tramite le nozze
sacre, concedeva una sovranità ciclicamente definita.
Evidentemente, oltre al ciclo di diciannove anni che i Greci in ac­
cordo con l'astrologia chiamavano "il grande anno", esisteva anche
un potere che si alternava a cicli di nove anni. Il numero nove, po­
tenza di tre, numero sacro della divina triade, è un venerando nume­
ro che si estende al di là dell'ambito culturale mediterraneo: il frutto
dell'uomo matura nove mesi nel corpo materno.
Nove sono i nomi degli dèi che stanno all' inizio della storia della
creazione egiziana (Atum, Schu, Tefnu, Geb, Neith, Osiride, lside,
Set, e Neft) . Il dio Odino, nel suo auto-sacrificio, pende per nove
notti dall' albero della mondo.
L'Edda parla di nove mondi degli dèi e degli uomini.
Nove furono le sorelle che regnarono su Avalon sotto lo scettro di
Morgana.
Nove sono le vergini che circondano il paiolo magico di Ce­
ridwen.
Nove sono le sfere celesti che circondano la terra nella Divina
Commedia dantesca, ed è la forza d'amore di Beatrice che consente al
Poeta di percorrerle.
Nove posizioni ha la ruota della romana Fortuna, la sorella di Ti­
che, la greca dea del destino.
Per nove notti Zeus si congiunge a Mnemosine, la dea della me­
moria per generare le nove muse.
I Cretesi-Minoici devono essere stati un popolo molto devoto alle
muse. Nella caverna dell'Ida e nei pressi di quella sacra sede in cui
già gli uomini dell'età della pietra veneravano una dea della fertilità,
sono stati rinvenute significative opere d'arte risalenti all 'età del
bronzo. E nelle pitture minoiche le rappresentazioni femminili assu­
mono uno spazio sempre più importante. Anche il famoso tesoro au­
reo dei re di Micene è dovuto all'abilità degli artisti minoici. La pre-

* Questa la versione del Romagnoli, la versione cui fa riferimento il nostro re­


cita invece: "Che per nove anni parlò con Zeus, il grande Dio" donde il commen­
to che segue. [N.d.T.]

1 64
LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

minenza della Creta minoica nell'architettura templare e nelle arti


plastiche rispetto ad altre civiltà dell'antica Grecia si esprime anche
nel fatto che Dedalo, il mitico precursore delle arti, fosse originario
dell'isola di Rea. Da Creta, la "Madre della cultura greca", giunsero
alla terraferma ellenica impulsi sotto forma di usanze rituali - ad
esempio la purificazione dalle colpe di sangue a Delfi -, di danze co­
rali e di musica. Un sontuoso anello d'oro, risalente alla stessa epoca
del sigillo recante incisa la dea sul monte, raffigura la danza cultuale
di tre sacerdotesse all'apparire della divinità femminile.
Le effigie artistiche sono le principali fonti d'informazioni sull'an­
tica religione di Creta che, evidentemente, era legata alla grande Ma­
dre Terra e strettamente fusa alla natura. Oggi la ricerca storica ipo­
tizza che il dotato popolo minoico-cretese provenisse dall'Asia Mino­
re e che sia giunto sull'isola nel corso di una grande migrazione di
popoli, integrato forse da migrazioni di popoli africani verso il 2600
a.C. Da quel momento data infatti la cultura minoica che si accompa­
gna pure all 'introduzione del metallo. In essa si possono distinguere
quattro periodi: quello prepalatino (2600-1900) , l'an tico palatino
( 1 900-1 700) , il neopalatino ( 1 700- 1 400) e il postpalati no ( 1 400-
1 1 50) . Verso il 1 400 a.C. Creta venne conquistata dagli Achei dell'Ar­
golide: il popolo che duecento anni dopo combattè contro Troia per
Elena assieme ad Agamennone, il re miceneo. Agli Achei succedette­
ro i Dori che verso il 1 1 50 sottomisero l'isola. L'ultimo leggendario
re minoico fu Idomeneo, che da Troia tornò a Creta illeso.
Intorno al 1 700 a.C. un grande terremoto distrusse il primo palaz­
zo di Cnosso, che venne però ricostruito nel suo antico splendore. I
suoi locali incastrati l'uno nell'altro e i suoi corridoi tortuosi ne fece­
ro un labirinto che deve il suo nome alla labrys, l'ascia bipenne di
Rea, e che nel mito divenne il labirinto infero su cui regnava il Mino­
tauro, il mostro taurino.
È dalle macerie di questa ricostruzione del palazzo di Minosse del
1 700 a.C. che Evans elaborò la sua un po' troppo fantasiosa, ma com­
plessivamente convincente, ricostruzione visibile oggi. È da lì che
provengono reperti di fama mondiale quali le figure di terracotta
della cretese Dea della Terra e dei Serpenti, che sono uno dei tesori
più preziosi del museo di Heraclion.
Nel 1 525 a.C. Creta fu sconvolta da un altro maremoto e terremo­
to, ma il palazzo reale fu risparmiato e continuò a venire abitato sino
al 1400 e forse anche oltre. Nel 1 400 inizia comunque il declino della
cultura minoica, sulle cause del quale sono state avanzate molte ipo­
tesi. Probabilmente decadenza ed esaurimento precedettero la con­
quista achea, e la cultura minoica non venne distrutta da eventi belli­
ci, ma da un altro tremendo terremoto scatenato da una terribile

165
CAP ITOLO IX

esplosione del vulcano di Santorini. Alcuni archeologi collegano ad­


dirittura il tramonto della cultura minoica a quello della leggendaria
Atlantide.
Nonostante tutti gli sconvolgimenti politici e tutte le catastrofi na­
turali, la cultura della Grande Madre a Creta sopravvisse per millen­
ni. Le sue tracce risalgono addirittura al neolitico. Creta era già abi­
tata sin dalla fine del VII millennio. A quei tempi gli uomini conosce­
vano già la coltivazione dei cereali, insegnata più tardi da Demetra,
figlia di Rea e Dea del grano, al siciliano Trittolemo, ma usavano an­
cora attrezzi di pietra primitivi e non possedevano recipienti. Tale
stadio preceramico ebbe fine verso il v millennio grazie alla scoperta
dell'arte della ceramica, ritenuta un dono fatto alle donne dalla
Grande Dea. Idoli di donne dal corpo pingue plasmati in quell'epo­
ca testimoniano l 'esistenza anche a Creta del culto di una divinità
femminile della natura, analoga a quella diffusa in tutto l'Egeo e in
Asia Minore.
A partire dall'ultimo periodo dell'età della pietra venne coloniz­
zato anche il colle di Cnosso, distante cinque chilometri da Hera­
clion, al di là della valle del torrente Cairatos e della gola del suo af­
fluente, su cui sorse poi il palazzo reale di Minasse. Gli idoli di terra­
cotta della Madre Terra Rea, alti circa 30 centimetri e risalenti a 3500
anni e mezzo fa, provengono dal suo tesoro. Uno raffigura la dea che
tende le mani verso l'alto reggendo due vipere, e uno la raffigura
mentre presenta sulle mani tese un grosso serpente avvoltolato attor­
no alla vita, mentre un altro, muovendo dall'acconciatura del capo le
si attorciglia attorno alle spalle, ai fianchi e alla parte inferiore del
tronco per tornare a far capolino accanto all'orecchio sinistro. Que­
st'animale sacro alla Madre Terra simboleggia sia la forza vitale e
guaritrice, sia la pericolosa ambiguità impersonata dalla dea dallo
sguardo severo. A differenza delle dee della fecondità di epoche pre­
cedenti, nude e obese, Rea ha la figura snella. Abbigliata con una
gonna a balze a forma di campana e un bolerino dalle maniche cor­
te, nella sua immagine riflette l'eleganza femminile di una cultura
raffinata. Dal corsetto aderente però spuntano rigogliosi gli emisferi
dei seni nudi. Esposti nel loro turgore non sono per nulla osceni, ma
rientrano nella sfera dell 'iconografia sacra. Un piccolo leopardo se­
duto sulla sua corona inghirlandata di rose segnala in lei la signora
degli animali.
Nell'ala occidentale del palazzo di Cnosso consacrata a Rea si so­
no ritrovate parecchie scuri a due tagli in oro, bronzo o pietra quali
oggetti cultuali della dea. Le bipenni abbellivano anche alcuni vasi di
argilla e ornavano le pareti. La loro simbologia è ambigua. Alla bi­
penne a semicerchio non vanno associate solo le tre fasi lunari visibi-

1 66
LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

li, essa assomiglia pure alle ali tese di una farfalla. Su una bipenne
cretese (dal taglio diritto, forse per creare uno sfondo più idoneo al­
la figura) è effettivamente incisa una farfalla. Il miracolo naturale
della trasformazione del bruco nella pupa imprigionata nel suo boz­
zolo dalla quale, dopo un sonno invernale simile alla morte, emerge
una farfalla variopinta, deve avere turbato gli uomini di un tempo
quanto il morire e rinnovarsi della luna. In tutto il mondo la farfalla
simboleggia l 'anima. Il Museo Capitolino di Roma conserva una scul­
tura del IV secolo a.C. raffigurante la "Psiche alata" in sembiante di
una donna dalle grandi ali di farfalla. Nell'antico Messico, Xochi­
quetzal, la dea dell'amore, veniva effigiata come farfalla dalla testa
umana e l' atzeca Itzpapalotl, fortemente legata al mistero della mor­
te, era una dea-farfalla. Analoghe personificazioni si ritrovano tra gli
indiani Cuna dell'America Centrale.
Che sia il simbolo della farfalla o della luna, in ambedue i casi l'a­
scia bipenne è emblema del medesimo potere che presiede a vita e
morte, trapassare e risorgere. Essa inoltre non è connessa solo al labi­
rinto - "labyrinthos" era la definizione attribuita all'intero palazzo di
Cnosso - ma pure all'antico culto cretese del toro: Teseo abbattè il
Minotauro con la bipenne della dea! E in proposito esiste la seguen­
te leggenda:
Quando un giorno re Minasse chiese a Poseidone di dargli un se­
gno del suo favore onde confermare il suo potere di dominatore del
mare, quegli gli inviò un toro possente. Ma Minosse, anziché sacrifi­
carlo al dio come ordinatogli, sull'altare immolò un animale meno
bello. Irritato del fatto, Poseidone fece ardere Pasifae, la sposa del re
di Creta, di violenta passione per il toro non immolato. Pasifae, na­
scosta in una vacca di ferro fabbricata da Dedalo, riuscì a farsi copri­
re dal toro divino. Quando in seguito venne al mondo l'orrore del
Minotauro, un mostro divoratore di uomini, mezzo toro e mezzo uo­
mo, Minasse lo fece rinchiudere nel labirinto, esso pure costruito da
Dedalo. Ogni nove anni dovevano venirgli gettati in pasto sette giova­
ni vergini di ambedue i sessi. Tra i prescelti per il sacrificio ci fu pure
l'eroico Teseo del quale, però, s'innamorò Arianna, la figlia di Mi­
nasse e di Pasifae, ella gli diede un gomitolo, il "filo di Arianna", con
l'aiuto del quale dopo aver ucciso il Minotauro ritrovò la via d'uscita
dal Labirinto.
In questo mito sopravvive un ricordo dell'antica epoca matriarca­
le: l'eroe viene riportato alla luce dalla tremenda regione degli inferi
grazie all'aiuto femminile. Tale cammino simbolizza la rinascita dal
grembo terreno della Grande Madre. E di fatto Arianna, a un livello
mitologico più antico, era anche una triade lunare venerata anche
dai Celti col nome di Arianrhod. Stesso principio vale per Pasifae, an-

167
CAPITOLO IX

ch 'ella, in realtà, è una dea lunare. Congiungendosi al toro cretese


lascia in travedere il tema mitico delle religioni matriarcali. Analoga­
mente anche Anath, la grande Dea mesopotamica dell'Amore, in ve­
ste di "vacca sacra" venne fecondata da Baal, il suo sposo-fratello. Nel
toro, però, che fa già la sua comparsa come animale rituale accanto
alla Grande Madre nei monumenti dell 'età della pietra di Lascaux,
Altamira o di Hai Tarxien, i minoici videro un'ipostasi di Zeus. L'a­
more di Pasifae per il toro divino può quindi venire interpretato an­
che come l'amore della dea per il proprio eroe. Il Minotauro, in
quanto frutto di tale unione, va quindi inteso solo come l'incarnazio­
ne demonizzata della bestialità umana, dell'aspetto mortale e divo­
rante della Grande Dea, come il terribile polo opposto dell'esistenza
umana che tuttavia, con l 'aiuto della dea, può venire privato della
sua forza - attraverso la vittoria di Teseo sul mostro.
È sempre in sembiante di toro che Zeus seduce la bella Europa, la
figlia di Agenore re dei Fenici, alla quale deve il nome il nostro conti­
nente. Egli trovò la principessa che giocava sulla spiaggia e se la
portò in groppa a Creta. Ove, narrano, sotto un platano sempre ver­
de tra le attuali e antiche rovine della città di Cortino, ebbero luogo
le sacre nozze da cui nacque re Minosse. Molto più antico di questa
storia è il rapporto esistente tra Rea e il sacro toro, le cui corna deco­
rano le mura del palazzo minoico ove, accanto a riproduzioni dell 'a­
scia bipenne, vennero ritrovate teste di toro dorate, recipienti a for­
ma di toro ed una testa di toro in steatite lavorata in modo particolar­
mente artistico, visibile nel museo di Heraclion.
Gli acrobatici ludi taurici di Creta costituiscono un culto a sé. Un
affresco del palazzo reale di Cnosso raffigura il pericoloso salto mor­
tale eseguito da una figura femminile sulla groppa di un toro. Due
donne vestite di bianco, probabilmente delle sacerdotesse, prestano
assistenza prima della propria esibizione.
I ludi taurici di Creta sono il punto d'awio delle corride spagnole
durante le quali, però, l'animale viene ucciso con lo spadino - usanza
che le femministe attribuiscono all ' imbarbarente predominanza pa­
triarcale. Probabilmente la tauromachia arrivò nella penisola Iberica
all'epoca dell 'impero romano, o molto prima, attraverso la Tracia.
Alla sua base c'è sempre il concetto della vittoria sulla forza cieca del­
la natura, conseguita con l'abilità e la grazia umana. È giocando che
la Grande Madre, in veste di signora degli animali, s'impone al toro,
incarnazione della potenza e della forza della quale è metafora magi­
ca persino nei quadri di Picasso. Ancor oggi le figure effeminate dei
toreri, che proseguono in forma cruenta il gioco leggiadro delle loro
antenate cretesi, ricordano la radice matriarcale della tauromachia.
Significativamente in Provenza, la terra dei trovatori e di una cultura

1 68
LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

femminile tradizionalmente raffinata, la tauromachia incruenta è so­


pravvissuta sino ai giorni nostri. È solo recentemente che a seguito di
una sconsiderata pubblicità si afferma sempre più la moda di offrire
al turismo di massa la tauromachia cruenta quale "incredibile chic
della morte nel pomeriggio".
Con ogni evidenza il toro, nonostante la forza maschile attribuita
ai suoi testicoli, un tempo veniva ritenuto un simbolo di forza, ses­
sualmente ambivalente, al servizio della divinità femminile. Di conse­
guenza anche la grande Artemide di Efeso venne raffigurata con una
ghirlanda di molte file di testicoli di toro, segno di potere e fertilità,
esposti come seni femminili, quali vennero a lungo ritenuti.
Un reperto tombale di Ur del III millennio a.C. è costituito da
un'aurea testa di toro dalle alte corna con la barba di lapislazzuli, che
gli studi più antichi in terpretano come una divinità lunare. Se questa
intuizione è giusta e nell'antico regno dei Sumeri esisteva anche una
divinità lunare maschile, bisogna ricordare, assieme a C.G. Jung "il re­
condito significato femminile del toro". Lo psicanalista deriva questa
sua deduzione da un culto affi ne a quello di Zaratustra e di Mitra, nel
quale l'anima del toro viene venerata come divinità femminile e vie­
ne condotta in processione su un carro come dea dell'amore. "L'ani­
ma taurina", dice Jung, "sembra quindi essere decisamente femmini­
le. Pure astrologicamente il Toro è un "domicilium veneris."
Il toro, dunque, nel cielo stellato come sede di Venere! Da ultimo
nel suo culto può ripetersi "in forma mutata la rappresentazione ar­
caica del cerchio chiuso su se stesso di una divinità maschile-femmi­
nile autofecondantesi e rigenerantesi".<21
Ma laddove il toro viene ucciso, come nell'antico culto iranico di
Mitra, o dove viene ucciso, trasformato, all'interno del labirinto sotto
le sembianze di Minotauro, dal punto di vista psicologico questo va
inteso come "sacrificio degli istinti", come vittoria del principio spiri­
tuale sulla libido, che può apparire anche come superpotenza auto­
distruggentesi. Questa vittoria si può ottenere con l'aiuto di quell'i­
stanza in cui si manifesta la libido, con l'aiuto appunto della Grande
Dea! In quanto latrice del polo vitale, ma capace di qualsiasi trasfor­
mazione. È dalle sue mani che l' eroe maschile riceve il filo salvifico
di Arianna (il filo del destino) . Sull'isola di Creta il simbolismo ma­
triarcale abbonda, consentendo alla dea di sopravvivere sino ai giorni
nostri all' interno di un linguaggio immaginifico di una potenza ele­
mentare. Un' incursione attraverso il ricostruito palazzo di Cnosso lo
sottolinea in modo efficace. Nel "megaron della regina", ad esempio,
la sua stanza principale un tempo riccamente decorata, accanto a un
supporto per la bipenne troviamo raffigurazioni di ballerine o deco­
razioni a spirali senza fine sul soffitto e persino un affresco che rap­
presenta dei delfini.

169
CAPITOLO IX

Le giocose creature del mare sono in stretto rapporto con la divi­


nità femminile la cui suprema sacerdotessa era la regina minoica. Da
sempre i delfini erano considerati amici degli uomini. Venivano an­
che ritenuti accompagnatori dell'anima nel regno dei morti. Il nome
"delfini" racchiude in sé l'antica parola utero, matrice. Per questo,
spesso uno intrecciato all'altro, i delfini ornano le tombe degli anti­
chi come simbolo di morte e rinascita. Un bell'esempio di quanto
detto si trova nella necropoli di Aquileia. La cittadina col suo porto
fluviale sulla costa nord orientale dell 'Adriatico, come seconda Ro­
ma, era un tempo una delle più belle città del mondo antico, bacino
di raccolta di molteplici culture in cui fioriva sia il culto di Mitra che
quello di Mrodite.
A Delo esiste una "casa dei delfini" con suntuosi mosaici raffigu­
ranti focene che giocano e nuotano tutt'attorno, risalenti a tempi
molto antichi. Apollo, ivi nato, a Delfi - la città oracolare dal nome di
utero - nella lotta contro le antiche divinità femminili, ebbe, tra i suoi
nemici mortali, anche "Delphyne", un drago femminile. La Pizia, la
saggia veggente, che costrinse al suo servizio, profetizzava accanto al­
l'abisso seduta su un treppiedi a forma di delfini. Da ultimo i delfini
compaiono ancora come seguaci del dio Dioniso. Egli è raffi gurato
addirittura su una pietra tombale del n o m secolo d.C., riportata alla
luce nel 1981 durante i lavori di scavo della banchina dell'Inn di Pas­
sau. La lapide (conservata ora nel Oberhaus-Museum di Passau) sigil­
lava la tomba di un mercante di vini romancio e reca incisi due gran­
di delfini allacciati tra loro, accanto a u n 'anfora da cui fuoriesce
l'emblema del dio del vino: un viticcio con una foglia e un grappolo
d'uva.
Rinvenendo simboli del genere, i delfini che decorano il mega­
ron della regina di Creta diventano una tessera del grande mosaico
di una superiore cultura matriarcale diffusa in modo stupefacente.
A questo si aggiunge l'impressione generale suscitata dal palazzo mi­
noico con le sue tozze colonne rotonde dai colori delle fasi lunari, il
bianco, rosso e nero della dea trina, e dalle poetiche pitture murali
raffiguranti fiori luminosi, belle donne e bei giovani. Sul colle di
Cnosso si concretizza così l' immagine di una cultura all 'interno del­
la quale le donne avevano non solo un ruolo preminente, ma si por­
gevano consapevoli di sé nello splendore di uno stile e di una cura
del corpo lussuosi. La Grande Dea, che fosse Rea o sua figlia Era,
era la fautrice di tutte le arti civilizzatrici. Tra le quali quella della
tessitura che si rifletteva nelle gonne decorate con gusto ed elegan­
temente tagliate a balze delle cretesi, quella della lavorazione del­
l'argento, il metallo lunare, l'arte della cucina e della preparazione
dei farmaci e "la scienza di pesare, misurare e fare di conto di cui
una nazione di mercanti che dominavano il mare aveva urgente bi-

1 70
LA DEA MINOJCA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

sogno" 1�1 che Gottner-Abendrot annovera tra le ulteriori conquiste


femminili di epoca minoica. A Creta fu soprattutto l' arte della cera­
mica a godere un periodo di somma fioritura. Originariamente eser­
citata solo dalle donne, era un'abilità circondata dall'aura sacra del­
la Grande Dea.
Il museo di Heraclion conserva una grande quantità di boccali,
vasi, brocche, fruttiere, anfore e recipienti a forma di cesto riccamen­
te decorati dalle molteplici forme fantasiose, abbelliti in parte col
motivo a bipenne nello stile anticopalatino, in parte col simbolo del­
la labrys, circondato da ornamenti floreali e vegetali artisticamente
stilizzati. I pitoi giganteschi, alti recipienti di terracotta riccamente
decorati a rilievo in cui venivano conservati olio, vino o cereali, colpi­
scono chi attraversa il magazzino dell' ala occidentale del palazzo. Per
la forma e la sostanza dei contenitori di terracotta la donna era in
rapporto con la divinità stessa. "La fabbricazione dei recipienti" scri­
ve Neumann "in quanto sacra attività creativa è uno dei 'misteri pri­
migeni del femminile '. La fabbricazione del recipiente fa parte del­
l'attività creativa femminile nella medesima accezione della fabbrica­
zione di un figlio, di un essere umano che - come il recipiente - nel
mito viene tanto spesso fatto con la terra". l"1
Anche i recipienti di terracotta del palazzo reale di Creta sono par­
ti costitutive del linguaggio immaginifico di un'arcaica religione fem­
minile, la cui atmosfera si diffonde sull 'intera zona degli scavi di Cnos­
so. Quella religione matriarcale della natura includeva anche un re-sa­
cerdote. Il suo megaron, definito pure "sala della bipenne" a causa del
simbolo della labrys scolpito sulle pareti del lucernario, era collegato
da un corridoio tortuoso a quello della regina. Da lei il re riceveva la
propria legittimazione a regnare, conferitagli nelle "hierosgamos", le
nozze sacre. Così, grazie alle sculture sopravvissute e al metodo di in­
terpretazione storico-artistico, mitologico e scientifico-religioso, è pos­
sibile vedere Creta sotto la suprema signoria di Rea, la "Madre degli
dèi". Ovviamente anche questo quadro storico-artistico è solo una rico­
struzione. Ma la sua "validità" viene via via confermata non appena si
scende a livelli interpretativi più profondi dei simboli di potere, ad
esempio, che sino a questo momento sono stati attribuiti senza dubbio
alcuno al dominio del maschile. Induce a farlo una visita alla sala del
trono di Cnosso, rinvenuta essa pure negli scavi dell'ala occidentale
del palazzo. In quest'aula, nella quale una conca per le purificazioni,
circondata da una balaustra e da colonne di legno, posta di fronte al
seggio regale, fa dedurre che vi venissero compiute pure azioni cultua­
li, c'è il trono più antico del mondo. Alla vista di questo monolito di
alabastro con tracce di colore bianco e rosso, affiorano riflessioni sulla
troneggiante dea e sul culto del trono di probabile origine orientale.
Anche il trono del dominatore - impresso nella nostra mentalità condi-

171
CAPITOLO IX

zionata dal pensiero patriarcale come simbolo maschile - ha origine


nel culto della Grande Madre. Riportiamo in merito una lunga citazio­
ne di Erich Neumann che fa risalire la simbologia del trono ai tempi
degli idoli materni di epoca neolitica, della cui struttura formale, in
quanto espressione del Grande Femminino, ci siamo già occupati
esaurientemente. "Il Grande Femminino viene spesso rappresentato
seduto, o meglio seduto a terra. Questa 'posizione seduta', nella quale
i glutei si contrappongono ai piedi, simbolo del libero muoversi sulla
terra, stabilisce un rapporto particolarmente stretto con la terra che si
può rinvenire anche nel simbolismo del linguaggio. Possedere, pren­
dere possesso ed essere posseduto sono termini in cui affiora il caratte­
re metaforico del sedersi.* Anche il fatto che si parli di sede e di resi­
denza di una stirpe alludendo alla regione della terra da cui essa pro­
viene o in cui 'si è insediata', rientra in questo nesso. Nel rituale e nel­
le usanze l'espressione 'sedersi su qualcosa' ha assunto il significato di
'prendere possesso'. Già la sua scarsa agilità e la sua assenza di forma
costringono il Grande Femminino a una sedentarietà in cui, come un
colle o un monte, partecipa della terra che possiede, della quale fa
parte e che in esso s'incarna. Anche quando la Grande Madre sta in
piedi il suo peso l'attira verso il basso, verso la terra che nella sua pie­
nezza e immobilità è la sede del genere umano. Il Grande Femminino
seduto è la forma originaria della 'Dea in trono' e per estensione del
trono stesso.
In quanto madre e donna di terra, la Grande Madre è il ' trono in
sé ' , e significativamente il 'grembo' del femminile non è solo costi­
tuito dai genitali, ma pure dall'ampia superficie esterna delle cosce
della donna seduta, su cui siede e troneggia il figlio scaturito da quel
grembo. Venire preso in grembo o attaccato al seno sono espressione
simbolica dell'adozione da parte del Grande Femminino del figlio e
dell'uomo ... e il re che 'prende possesso' della terra, la Dea Madre,
lo fa sedendole in grembo nel vero senso della parola.
Nell ' immagine sacra del trono vive la Dea Madre seduta e troneg­
giante. Il re raggiunge il potere nella misura in cui 'sale al trono',
prendendo così il proprio posto in grembo alla Grande Dea, la Ter­
ra, in veste di suo figlio. Così troviamo ampiamente diffuso un culto
del trono in cui questo, che un tempo era la divinità stessa, veniva ve­
nerato come 'sede della divinità' ... Successivamente il trono diventa
il simbolo sacro, possesso del re, della Grande Madre retrocessa sullo
sfondo".<'>

* Che meglio risulta in tedesco in cui Besitz, possesso, besitzen, possedere, beses­
sm, posseduto, hanno la stessa radice di sitzen, sedersi. [N.d.T.]

1 72
LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

Anche Era celebrò le sacre nozze con Zeus sul trono naturale del
monte Ida, tra cielo e terra. Pare che gli amanti fossero awolti da nu­
bi dorate mentre sotto di loro la terra fioriva in una magnificenza di
fiori ed erbe. Ancora verso il 600 a.C. Saffo decantava il paesaggio
che circonda Cnosso, la cui bellezza interpretava come frutto delle
mistiche nozze. La poetessa dell'isola di Lesbo fa sorgere su una "sa­
cra sede" altari profumati d'incenso, "fresche acque sotto rami di me­
lo" e un campo pieno di rose dai cui petali "si diffonde il sopore". Un
inno omerico esalta la dea:

"Era io canto dal trono d'oro, la figlia di Rea,


Regina è immortale, di bellezza suprema,
Di Zeus, del possente tonante, sorella e sposa,
Dea gloriosa; la onorano tutti i beati nel vasto Olimpo,
Venerandola al pari di Zeus, il signore del fulmine". <"1

In Era, che conosciamo già come custode delle mele d 'oro del
suo giardino paradisiaco, ci viene incontro Rea ringiovanita. Se pure
la figlia di Rea vive in eterna lite con Zeus che coi suoi notori tradi­
menti irrita la protettrice delle donne, del matrimonio e della mater­
nità, tuttavia, in età preellenica ella era un'augusta triade divina osse­
quiata non solo a Creta, ma, in epoca micenea, anche in Argolide.
Sia il suo potere sia il suo aspetto letale affiorano in un discorso ana­
cronisticamente messo da Erodoto in bocca a Creso, l'ultimo re di Li­
dia che regnò dal 560 al 546 a.C., e a Solone (640-560) , il saggio stati­
sta ateniese, legislatore e poeta.
Il sovrano noto per la sua proverbiale ricchezza in quel colloquio
chiede all'ospite ateniese se nel corso dei suoi numerosi viaggi abbia
già incontrato "l'uomo più felice della terra". Con sua delusione So­
Ione non nomina come tale Creso stesso, ma Tello di Atene, perché
gli fu concesso di avere una discendemza di figli eccellenti e perché
"trovò magnifica conclusione alla vita combattendo per la propria
città". Alle insistenze di Creso, Solone menziona i fratelli Clebio e Bi­
tone di Argo sui quali narra la seguente storia: "Mentre gli argivi ce­
lebravano la festa di Era, secondo l 'usanza la loro madre doveva venir
portata al tempio sul carro, ma i buoi non arrivarono a tempo dai
campi. Non essendoci più tempo da perdere, i due giovani si aggio­
garono al carro e lo trascinarono con la madre; dopo che lo ebbero
tirato per quarantacinque stadi, giunsero al santuario. A loro, che
avevano compiuto ciò dinanzi agli occhi dell'intera comunità, venne
concessa la migliore morte e in ciò la divinità dimostrò che per l 'esse­
re umano è meglio morire che vivere". m
Erodoto nella pessimistica filosofia della sua narrazione fa spazio

1 73
CAPITOLO IX

all'idea "della migliore morte" al servizio della Grande Dea. Un tem­


po, in quanto regina del cielo, dea oracolare e della morte, oltre che
su Creta e sull'Argol ide Era dominava anche su Delfi e Dodona. Tra
l'altro Creso sarebbe venuto a sapere della propria morte dall'oraco­
lo di Delfi che, allora, era ormai sottomesso ad Apollo. La nota profe­
zia che, se avesse varcato il fiume Halys, avrebbe distrutto un grande
regno si avverò sulla sua stessa persona. Creso venne vinto e sotto­
messo nel 546 da Ciro II, re di Persia.
Non possiamo sapere se un millennio prima di Erodoto e del suo
messaggio pessimista la Madre Terra di Creta e sua figlia abbiano tra­
smesso agli uomini una concezione della vita più positiva. Curiosi so­
no comunque, nonostante la splendida impronta della cultura mi­
noica, i numerosi reperti litici di Cnosso recanti l'effigie di bizzarri
demoni sconosciuti. Forse con simili raffigurazioni i Minoici tentaro­
no di liberarsi da paure che dal profondo del loro essere chiedevano
con urgenza di venire rappresentate. L'aspetto della loro cultura che
però affiorava di preferenza era quello avvenente e amabile, ad esem­
pio nell'eleganza addirittura raffinata dello slanciato "principe dei gi­
gli" o re-sacerdote che ci è pervenuto incoronato di gigli - i gigli era­
no fiori sacri- e adorno di penne di pavone in un affresco in rilievo.
Ai tempi nostri la Creta preistorica ha toccato il suo massimo fa­
scino. Christa Wolf collega il fenomeno ai problemi dell'uomo della
civiltà occidentale, per il quale l'isola mediterranea può facilmente
trasformarsi nella "terra promessa delle nostalgie retrospettive". L'au­
trice, aperta ella stessa al movimento femminista - la sua Cassandra
con il radicale rovesciamento del tradizionale culto degli eroi ma­
schili è un modello esemplare di "scrittura al femminile" - nelle sue
lezioni di Francoforte sulla poetica osserva: " ... femministe, donne im­
pegnate nel movimento delle donne hanno visto nei regni minoici le
comunità a cui il loro pensiero nostalgico e utopico, messo alle stret­
te dall'esperienza del presente e dall'angoscia del futuro, poteva rial­
lacciarsi come a un dato concreto. Sì, una volta è esistita la terra dove
le donne erano libere e pari agli uomini. Dove loro erano le dee (a
molti archeologi e studiosi dell'antichità di sesso maschile riesce sin­
golarmente difficile riconoscere e poi ammettere, che tutte le divi­
nità arcaiche sono femminili . . . ) ; dove, in tutte le rappresentazioni
pubbliche, occupavano posti privilegiati, liberamente e festosamente
ornate; dove prendevano parte alle pratiche rituali e costituivano an­
che la gran massa delle sacerdotesse. Una terra dove esse, come si ri­
tiene oggi, esercitavano e promuovevano l'arte; una terra dove è
chiaramente ancora attiva la successione matrilineare, dove cioè per
un maschio è possibile diventare l ' erede della casa reale solo passan­
do per le figlie del re". 1"1

1 74
LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

E con questo tutte le caratteristiche essenziali di un' isola sono


raccolte sotto lo scettro della Grande Dea. Nelle "concezioni troppo
rosee" che simili comunità amano idealmente suscitare in noi, ma
che "con molta probabilità" sono "degli errori", come osserva Chri­
sta Wolf, si manifesta comunque un pensiero utopistico. Anche le
società matriarcali possono assoggettare schiavi e schiave, includere
nei loro riti religiosi sacrifici umani o uccidere o esporre i figli inde­
siderati. Che poi riescano ad essere anche guerriere lo si deduce
dall'esempio di Sparta. Mentre Euripide, l'autore tragico originario
di Salamina, disquisiva sul dispotismo delle donne spartane e sulla
loro influenza sulla vita politica, pare che il misogino Aristotele, per
il quale il fenomeno era una spina nel cuore, si sia meravigliato del
fatto che proprio popoli simili generassero stirpi particolarmente
guerriere.
È più vicina alla realtà la nostra idealizzazione quando nel regno
minoico vede il fiore di una cultura che doveva la propria raffinatez­
za civilizzatrice all'influenza femminile. Anche senza documenti scrit­
ti emerge l'immagine di un 'isola per molti versi aperta, nella quale la
legge della Grande Dea Madre permeava tutti gli àmbiti della vita.
Ove vigeva con certezza la successione matrilineare. Tale forma di
matriarcato soprawisse tra i Lici per altri dieci secoli dopo la caduta
del regno minoico. È di nuovo Erodoto a darci notizie su questo po­
polo dell'Asia Minore sud-occidentale, che "originariamente proveni­
va da Creta": "Prendono il nome della madre e non quello del padre.
Se uno chiede a un altro chi è, citerà la sua famiglia materna e par­
lerà della madre di sua madre. E se una cittadina libera si congiunge
a un uomo non libero, i figli risultano legittimi, ma se un cittadino,
per quanto di nobile famiglia, sposa una donna straniera o tiene una
concubina, i suoi figli non godono diritto alcuno". 19>
Questa è la forma classica di un matriarcato che, come credeva
Bachofen, - ai suoi tempi Creta giaceva ancora sotto i detriti dei mil­
lenni - indipendentemente dai singoli popoli "a causa dell'omoge­
neità e della regolarità della natura umana" appartiene ovunque a
un antico livello culturale precedente il sistema patriarcale. Tuttavia
per la Creta minoica è essenziale che anche il culto della Grande Ma­
dre fosse già a un livello di consapevolezza troppo grande per la gra­
vità terrestre di precedenti manifestazioni. Creta è un esempio di co­
me l' essere umano riesca a sfuggire, con l'aiuto della Grande Dea, al
cupo mondo istintuale del Labirinto e a uccidere il mostro del Mino­
tauro. Questa opportunità di volo spirituale che consente di conser­
vare contemporaneamente l 'equilibrio tra sopra e sotto, cielo e terra,
è rappresentata sia nell'elegante gioco delle sacerdotesse minoiche
col sacro toro, che in quanto potenza ctonia incarna anche l'elemen-

175
CAPITOLO IX

to inconscio-creativo, sia nella snella Madre Terra eretta che tiene tra
le mani i serpenti. A questo livello della cultura matriarcale la capa­
cità di trasformazione della Grande Madre affiora con particolare
chiarezza. Persino nel serpente collegato alla terra, che può essere
sia salvifico che pericoloso, dorme già il sogno di elevarsi.
Non a caso la Creta minoica è tanto strettamente connessa al mi­
to di Dedalo, che colà, oltre alla costruzione del labirinto e della
mucca artificiale per la sposa del re, realizzò pure uno dei sogni più
antichi dell'umanità: quello di volare. Dopo essere sfuggito con l'aiu­
to di Pasifae - una versione parallela del mito di Arianna e Teseo -
dalla costruzione sotterranea in cui l'aveva fatto rinchiudere il re a
causa dell'aiuto da mezzano fornito alla regina, Dedalo si dedicò alla
realizzazione della prima macchina volante meccanica. Per sé e per
suo figlio Icaro che gli faceva da assitente intrecciò penne di uccello
a formare artistiche ali per librarsi nell'aria. La sua ascesa nell 'arioso
regno del cielo al di sopra del labirinto simile a un serpente di terra
fa pensare al mitico serpente piumato degli indios dell'America Cen­
trale che, egli pure, vince la gravità della materia e si alza nell 'etere.
Concezioni analoghe si ritrovano tra molti popoli dell'Egeo, in Per­
sia, in Cina, in Israele, Babilonia e tra i Germani. A tutti è noto il sim­
bolo del serpente sessualmente ambivalente che può adombrare sia
il coinvolgimento istintuale inconscio, sia la capacità di elevarsi nel
regno dell'aria, la sfera dello spirito. Il mitico sogno di volare viene
correlato anche al sesso e alla sua estasi. Gli psicanalisti interpretano
i sogni di volo come esperienze sessuali cifrate. Materialismo e volo,
serpente e uccello: immagini arcaiche dell'ambivalenza della psiche
umana, che rivelano come alla stessa Grande Madre, alla Madre Ter­
ra simboleggiata dal serpente, possano spuntare ali con le quali suo
figlio minore, l'astuto ed esigente essere umano, può tentare di libe­
rarsi dagli abissi della gravità terrestre. Minotauro e Dedalo, labirinto
terrestre e volo d'alta quota, due poli della medesima forza. Ecco
perché, nella fiaba, chi mangia carne di serpente comprende il lin­
guaggio degli uccelli. Il bagno di Sigfrido nel sangue di drago è una
variante di questo magico linguaggio figurato.
Anche i Serafini dai sei piedi sono ibridi di serpente e di drago.
Attraversano a nuoto il mare come le navi dalla prua a forma di dra­
go dei Vichinghi, ma al contempo trasportano a volo nell'aria gli dèi
del sole. Nei millenni, su questa scia interpretativa si possono allinea­
re immagini su immagini. Tra le quali si colloca anche l'egizia Athor,
adorna di corna di vacca, e del disco del sole attorno alla quale si av­
volge il serpente fallico, e suo figlio Horus che solca il cielo in una
barca d'oro. Nel mito la creatura che vola raffigura contemporanea­
mente l 'animale più intensamente legato alla terra, il serpente che
ha pure una spiccata valenza sessuale.

1 76
LA DEA MINO! CA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

Laddove il serpente che muta la pelle, divenuto così simbolo di ri­


nascita, compare nelle mani della Madre Terra come forza fallica -
come il toro - è pure espressione di quell 'energia integrativa della
Grande Madre che riunisce i poli della vita. È in questo contesto che,
in origine, s'inserisce pure il culto fallico tanto diffuso nel Mondo
Antico.

Nell'antica Roma per fare incantesimi d'amore si ri­


correva ancora ad amuleti rappresentanti falli alati.

Nell 'antica Roma per gli incantesimi d'amore venivano ancora


usati amuleti a forma di fallo alato, realizzati in argilla o in bronzo.
Nell' anfiteatro romano di Nimes era raffigurato un animale fantasti­
co tenuto al guinzaglio da una donna e composto da tre falli dotati
di ali d'uccello. Un altro rilievo della stessa costruzione riproduce un
fallo alato in sembiante di grifone men tre feconda quattro vulve.
Vanno ricordate anche le grandi steli falliche che a Delo bordavano
la strada di accesso al tempio di Dioniso. E con Dioniso si torna a
Creta, ove il dio dell'estasi appare personificato in un caprone, un
ariete o un toro. Sotto le spoglie di ariete viene fatto a pezzi dalle Me­
nadi nel corso delle loro feste orgiastiche. Il suo sangue sacrificale fe­
conda la terra che a primavera dà alberi di melograni, giacinti e nar­
cisi. Questo Dioniso-Zagreo è il giovane figlio-amante di Demetra, un
nipote di Rea, quindi. Ed è Rea che lo ricompone - come Iside fa con
Osiride dopo averne ritrovato il fallo in un fiore di loto.
Già Plutarco riconosceva in Iside la fondatrice del culto del fallo,
dopo che Erodoto si era chiesto l 'origine delle "colonne di Ermes dal
membro eretto" rimandando ai Pelasgi ed al culto misterico di Samo­
tracia da essi fondato. In tale contesto Erodoto non trascurò neppure
l 'Egitto, i cui rapporti con Creta non vanno persi di vista. A proposito
della festa di Osiride, il Dioniso egizio, riferisce: "Gli Egiziani celebra-

1 77
CAPITOLO lX

no la festa di Dioniso quasi esattamente come gli Elleni, solo non


hanno i cori. Anziché i falli hanno inventato qualcos'altro, le donne
portano in giro, legate a uno spago per trascinarle, figure grandi cir­
ca un cubito dotate di un membro che si alza e si abbassa ed è solo di
poco più corto di tutta la statuetta. Davan ti cammina un suonatore di
flauto e le donne lo seguono inneggiando a Dioniso. Per giustificare
una simile grandezza del membro e il fatto che è la sola parte del
corpo in movimento, narrano una storia sacra".0"1 Evidentemente
tanto sacra che il relatore tace di nuovo. Si suppone che anche in
questo caso, come ad Eleusi, essa si fondi sulla venerazione per la for­
za rigenerante simbolizzata dal fallo. In certo qual modo è "il figlio­
amante" nato dalla stessa Grande Madre che insiste per celebrare
con lei le sacre nozze, per l"'Unio Mystica" con la divinità femminile.
Affi ni alle concezioni matriarcali, esistono molteplici forme di cul­
ti fallici che si ritrovano persino nello scintoismo giapponese, ove il
"dio meraviglioso" viene portato per le strade raffigurato in statue alte
metri, anche in questo caso come rappresentante delle forze pro­
creanti della natura che emanano soprattutto dalla Madre Terra !sa­
narni, la cui figlia Amaterasu è l'antenata di tutti gli imperatori che
hanno regnato sul Giappone sino ad oggi. Anche a Creta, nel corso di
festeggiamenti orgiastici della Madre Terra col serpente fallico, du­
rante le celebrazioni dello "hierosgamos", deve essere stata percepibi­
le l"'alata" sensazione di elevarsi al di sopra del tetro mondo del labi­
rinto del Minotauro - un' esperienza di volo. Nel regno delle immagini
archetipiche vale la frase di Eugen Drewermann: "Ogni simbolo con­
ferma ciò che nega e significa al contempo ciò che rinnega"Y' 1
La leggenda di Dedalo mette pure in guardia dalla "hybris". Dopo
un esperimento di volo riuscito, Dedalo ammonisce Icaro: "Vola sem­
pre, caro figlio, a mezza via, per evitare che volando troppo alto nel­
l'aria le tue penne non giungano troppo vicine al sole e prendano
improvvisamente fuoco. Vola tra acqua e sole, seguendo sempre uni­
camente il mio percorso attraverso l'aria". 1 121
La conclusione del viaggio aereo è ben nota. Icaro non tiene con­
to dell'awertimento paterno. Con audace baldanza sale sempre più in
alto sinché il sole scioglie la cera d'api che tiene assieme le sue ali ed
egli precipita negli abissi marini. Da allora, l' isola alle cui rive venne
depositato il suo cadavere e in cui venne sepolto da Dedalo si chiama
!caria ed il mare in cui precipitò porta il nome di mare Icario.
Tuttavia Dedalo, il mitico precursore dei nostri astronauti cui cor­
rispondono gli acquanauti, dato che alcune condizioni dei pionieri
delle profondità marine sono affini a quelle dei piloti dello spazio,
esprime in modo singolare la natura dell 'essere umano che si colloca
tra acqua e sole, tra la sostanza primigenia della vita materiale e le lu-

178
LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

minose contrade dello spirito, che per evitare la caduta deve stare al
centro del campo di tensione degli estremi. Tuttavia nella Grande
Madre sono riuniti sopra e sotto, profondità abissale e somma altitu­
dine: Rea si estende dalle cavità terrestri alla galassia.
Esaminando Dedalo un po' più da vicino, salta agli occhi il suo
stretto rapporto col femminile: non è solo l'alleato di Pasifae, che co­
me la propria figlia rientra negli schemi mitici della dea luna, ma an­
che di "Arianna dai capelli d'oro" (Omero) . Per la quale costruisce a
Cnosso una sala per le danze rituali. È sempre la dea femminile ad
ispirare la sua inventiva. Come primo tecnico della tradizione occi­
dentale fa ancora strettamente parte del regno naturale e della sua
magica molteplicità. "Techne", la parola greca che significa tecnica,
non allude solo ad abilità, destrezza meccanica, manualità o scienza,
ma anche ad arte della predizione e dono profetico. Col che include
un campo, in origine, esclusivamente femminile. Il rapporto di Deda­
lo con la Dea della terra e dei serpenti è comunque anche più intimo.
È addirittura genealogico. Dedalo, infatti, passa per il pronipote di
Eretteo, l'uomo-serpente nato dalla Terra e capostipite dei più antichi
re dell'Attica. Come progenie della Terra, Eretteo è figlio di Gea e
quindi legato a Rea da rapporti fraterni. Solo successivamente assurse
alla dignità di figlio di Zeus. Egli veniva venerato nell'Eretteo, il luogo
più sacro dell' acropoli di Atene. Il mitico re e progenitore di Dedalo
aveva introdotto il culto di Atena ancora prima che in epoca periclea
venisse eretta quella costruzione. Dei santuari dell'Eretteo faceva par­
te sia l'olivo a lui sacro che il serpente allevato nella rocca. Anche le
immagini dei poeti moderni che parlano di sogni di volo e del volo
stesso testimoniano la persistente forza del mito. Cyrano de Bergerac,
ad esempio, nel suo Viaggio verso i paesi della luna e i rer;ni del sole, pub­
blicato postumo nel 1 656, in un primo tempo fa atterrare gli eroi del
suo romanzo sulla luna, che è simbolo della Madre Primigenia e astro
onirico di tutte le antiche utopie di viaggi spaziali, ove, significativa­
mente, viene istruito dal profeta Elia sul significato del serpente - na­
turalmente nell'accezione della religione di jahwe, alla quale l'anima­
le simbolico del matriarcato era sospetto. Di conseguenza in questo
romanzo utopico esso compare nell 'accezione del biblico serpente
del paradiso terrestre, come quegli che seduce a compiere il volo d'al­
ta quota che rende simili agli dèi e che è strumento del castigo della
"hybris" umana. Ai tempi nostri va ricordato Antoine de Saint-Exu­
péry, la cui arte ed esistenza sono indissolubilmente legate all 'espe­
rienza del volo e dalle quali non è assente neppure il serpente. Il suo
Piccolo principe ha con esso un rapporto confidenziale. Il fiabesco prin­
cipe bambino proveniente da mondi lontani si fa insegnare dal ser­
pente il morso che gli consentirà di tornare in volo nella sua patria
stella. Ma non è tutto: il poeta francese segnato da un legame straordi-

179
CAPITOLO IX

nariamente forte con la madre alla quale - come ha dimostrato in mo­


do convincente Eugen Drewennann - cercò ripetutamente di sfuggire
tuffandosi nella virile avventura del volo, alla fine fece dell'areoplano
stesso un simbolo materno. Anzi, Exupéry visse molto concretamente
l'aeroplano come corpo materno che nutre e al quale stringersi. In
una lettera ad un amico descrive i suoi pasti all'interno del posto di
guida dell'aereo: "Di tanto in tanto si pizzica con la punta delle dita
un tubicino di gomma che penetra nella maschera e si sente distinta­
mente che è sempre turgido. Che c'è ancora latte nel succhiotto. E
poi si tetta da bravi". 1 1 31 Nel Volo verso Arras scrive: "Così l'areoplano mi
nutre. Prima del volo mi sembrava inumano ed ora che sono attaccato
al suo seno provo per l'aereo una sorta di affetto infantile. Una sorta
di tenerezza da lattante".0 '1
Ciclicamente, come conviene alla coscienza temporale delle cultu­
re ad impronta femminile, i loro miti e le loro leggende formano an­
che spazialmente nuovi cerchi. Essi assomigliano agli anelli concentri­
ci delle onde provocate dal lancio di un sasso che si smorzano in ac­
que tranquille. In quest'ottica ecco che un tempo anche Minasse e
Dedalo raggiunsero la Sicilia dove era già di casa anche Demetra, "La
ricciuta figlia di Rea". Sull' isola a tre punte c'è un luogo che si affac­
cia sul mar d'Africa, tra Selinunte e Agrigento, che ricorda questa leg­
genda. Secondo la narrazione, Dedalo era fuggito a Carnico, la capita­
le di Cocalo, re dei Sicani, per sottrarsi alla vendetta di Minasse. Pare
che la leggendaria Carnico sia esistita davvero, gli archeologi la identi­
ficano con Sant'Angelo Muxaro. La località, sorta a circa trenta chilo­
metri a nord est di Eraclea Minoa, è famosa per la sua necropoli a sud
e ad ovest della Valle dei Platani. Le tombe parzialmente monumenta­
li risalgono all'xi, IX, VIII e v secolo a.C. Tuttavia di Dedalo si dice che
entrò al servizio del re dei Sicani per il quale costruì una fortificazio­
ne, mentre per le sue figlie costruì delle bambole meccaniche. La leg­
genda siciliana consente di rintracciarne le origini nel mito cretese:
qua Cocalo e la fortificazione, le figlie del re e le loro bambole - là Mi­
nasse e il labirinto, Pasifae e la vacca artificiale.
E sono di nuovo le donne a salvare Dedalo! Quando compare Mi­
nasse per impossessarsi del fuggitivo, le figlie di Cocalo bruciano il re
di Creta nel bagno. Secondo un'altra versione è una sacerdotessa del
re dei Sicani che uccide Minasse con l'aiuto di Dedalo.
Sulla costa sottostante le rocce cretacee di Eraclea Minoa si può
ascoltare a lungo il fragore delle onde. Chi le segue abbastanza a lun­
go forse, nella storia siciliana di Minasse e Dedalo, riesce a cogliere
ancora, come nel mormorio di una conchiglia, l 'eco di un mondo
matriarcale. Forse nei racconti della fine di Minasse ci sono ancora
frammenti di ricordi del sacrificio di antichi re-sacri.

1 80
CAPITOLO X

La vittoria sul serpente

Tra i sessi devono esserci stati grandi contrasti. Il mito parla di lot­
te con serpenti, draghi e mostri marini, combattute da eroi maschili
contro il potere dell'elemento materno primi�enio. La Grande Ma­
dre, infatti, non è solo foriera di benedizioni. E nota pure come colei
che inghiotte, la "Mater saeva cupidinum", la selvaggia madre degli
istinti. La si incontra abbastanza spesso nel suo aspetto letale e nel­
l'immagine della natura che esige le sue vittime. Eppure anche nei
suoi tratti oscuri e tremendi incarna solo una parte del!' enigma della
vita, del quale l 'uomo stesso è quello maggiore. Pure ciò che spaven­
ta può essere maschile e femminile al contempo, come il serpente di
Rea può essere sia simbolo della Madre Terra, sia sogno di volo, in­
trecciando sopra e sotto al di là dei sessi.
Una delle sedi di lotta più significative nella quale, ad esempio, si
è verificato quello che analogamente accadde in molti ambiti cultu­
rali, è Delfi. Delfi -utero. La simbolica del nome è già nota. In quel
luogo, un santuario di montagna sulle pendici del Parnaso, sovrasta­
to dalle pareti rocciose di Fedra e Iampea - che in sé ricordano di
nuovo mitiche figure femminili, la prima della quale era una figlia di
Minasse, sorella di Arianna - in quella sede oracolare di fama mon­
diale regnava sin dai primordi Gea, la possente Dea della terra. Là
dalle viscere della terra salivano vapori che stordivano e su di essi era
collocato il treppiedi dell'antica veggente. Le esalazioni della terra e
la masticazione di foglie di alloro facevano entrare in trance la profe­
tessa che balbettava parole oracolari ispirate dalla divinità tellurica.
In tempi posteriori per illuminarsi beveva l'acqua cristallina della
fonte Castalia, ancor oggi assediata da fiumane di turisti.
Il santuario delfico era ritenuto l'ombelico del mondo. Persino la
cella del tempio eretto successivamente racchiudeva ancora la sacra

181
CAPITOLO X

pietra onfalica. La sede cultuale pregreca della Madre Primigenia era


custodita dal gigantesco pitone, il drago delle profondità terrestri che
aveva là la sua caverna. A lui poi si oppose Apollo con l'appellativo di
Febo, il radioso. Il dio del quale nelle Eumenidi di Eschilo viene detto
che, istigando Oreste al matricidio e prendendo assieme ad Atena le
difese del dio padre Zeus, ha "rovesciato un rispettabilissimo ordine".
Nonostante tale rimprovero delle Erinni, Apollo rimase invitto. A Del­
fi, già molto tempo prima aveva ucciso "la femmina di drago con un ti­
ro del suo forte arco" (Omero ) , elevandosi a sovrano del santuario
della Madre Terra. Da allora non si presenta più come figlio senza pa­
dre di Latona-Leto, che un giorno l'aveva partorito assieme ad Artemi­
de sull' isola di Delo, simile a un nido natante, ma come figlio di Zeus.
Un cambiamento simile è il risultato di un processo durato circa due
millenni e mezzo e svoltosi tra il 3000 e il 500 a.C. La crescente consa­
pevolezza degli esseri umani includeva anche la capacità di astrazione,
come risulta dalla scoperta della paternità che, rispetto alla maternità
sensorialmente percepibile, resta invisibile. Tale capacità di astrazione
viene contemporaneamente provata dalla scrittura ideografica degli
Egiziani e, successivamente, verso il 1 500 a.C., dall"'invenzione" del­
l'alfabeto fatta dai Fenici. Analoga a questa evoluzione è !"'ascesa dello
Stato arcaico sotto la signoria di re forti" (Lerner) , favorita dalla tra­
sformazione dei miti della creazione. Non è più solo la Grande Madre
che, in forza del mistero della sua fecondità, suscita la vita dal caos pri­
migenio, ormai vi contribuiscono divinità di ambedue i sessi. "Da un
non ben definito momento del lll millennio a.C. la figura della Dea
Madre viene allontanata dalla sua posizione a capo del panteon degli
dèi. Viene sostituita da un dio maschile, di solito dal dio dei venti e
dell'aria o dal dio del tuono, che col passare del tempo rivela sempre
maggiori somiglianze con un re terreno di nuovo tipo". < ' >
Così anche Delfi sotto l' egida del figlio di Zeus, all'epoca dello
sviluppo delle polis greche e dell'imponente diffusione dei coloniz­
zatori greci nella zona del bacino occidentale del Mediterraneo - suc­
cessivamente estesasi sino alle coste del Mar Nero - nel VII e VI secolo
a.C. raggiunge la sua massima sfera d'influenza. Apollo, diven tato il
grande dio oracolare, assurge anche a guida delle nove muse. Come
Orfeo, figlio suo e di Calliope, ama il suono della lira dalle sette cor­
de che trasforma uomini e animali. In quanto "Moiragete" assurge
addirittura al ruolo di capo delle tre dee del destino, le Moire. Ciò
nonostante la sua signoria su Delfi è impensabile senza il contraltare
materno: Apollo non disdegna di trasformarsi in un delfino per giun­
gere a Cnosso sotto forma dell'animale simbolo di sessualità femmi­
nile, trasportato da una nave i cui marinai egli consacra sacerdoti del
suo nuovo tempio. Ai cretesi ordina e rivela:

182
LA VITIORIA SUL SERPENTE

"Come infatti all'inizio fuori sull'arioso mare


Sotto forma di un delfino sono saltato
Sulla vostra nave veloce, nelle vostre preghiere
Dovete chiamarmi il delfinio. L'altare stesso sarà
Per sempre il delfinico e in futuro un oggetto di curiosità". 12>

É ancora più significativo che con la vittoria sul pitone l'elemento


femminile non venga eliminato. La veggente continuò a chiamarsi
Pizia. Nome che ricorda la caverna, l'inconscio e il corpo materno,
unico che consente la comprensione della voce della divinità.
Eppure la Pizia profetica da quel momento resta al servizio di
Apollo. Le sue parole, pronunciate come messaggio di Zeus, vengo­
no interpretate da sacerdoti di sesso maschile. Apollo, il dio della
luce - che in quanto "Loxias" quando cammina col "cuore adirato
in cupa pena notturna" ha anche un lato oscuro - trionfa sull 'antica
religione della Madre della cui somma sacerdotessa si appropria.
Nella vittoria sul pitone si riflette una realtà storica: il trapasso dalla
cultura matriarcale a quella patriarcale. All'ordine di Latona di di­
ven tare sede e luogo di culto di Apollo, l'isola di Delo personificata
risponde:

"In verità, Leto, non voglio celarlo, una voce mi fa tremare:


Corre notizia che Apollo sarà un possente malfattore,
Come signore degli immortali avrà grande potere, non meno
Qui sulla terra feconda degli uomini mortali.
Per questo temo nel cuore come nella mente,
Che disprezzi l'isola alla prima occhiata alla luce del sole"Yl

È come se l'inno omerico esprimesse ancora un eco di quanto si


sapeva in merito all'usurpazione apollinea.
Tuttavia i dubbi di Delo vennero cancellati, il figlio di Latona ot­
tenne la sua sede e il suo tempio.
A quel punto anche a Delfi il potere maschile ha preso possesso
dell'antico santuario della Madre. Le sacerdotesse sono state sostitui­
te da sacerdoti, che però portano - come avviene ancor oggi nella
chiesa cattolica - abiti femminili, memoria, anche se volen tieri soffo­
cata, dell'antica sovranità della Grande Madre.
Inanna-Ishtar agli uomini che volevano farsi suoi sacerdoti chie­
deva addirittura il sacrificio dell' organo sessuale. Stessa cosa vale per
Cibele, la divinità Madre dell'Asia Minore equiparata spesso a Rea o
a Demetra, e venerata a Pessino, nella Frigia superiore. Il suo culto si
diffuse in tutto il Mediterraneo, venne ellenizzato, e in certi periodi
entrò addirittura a far parte del culto di stato greco - suo tempio era
il cosiddetto Metroo (dal greco metr6os, che significa appunto, mater-

1 83
CAPITOLO X

no [N.d.T. ] ) di Atene -, e quando, nel corso della seconda guerra pu­


nica, dopo la vittoria di Annibale l' impero romano era prossimo alla
sconfitta, l'oracolo sibillino chiese il trasporto a Roma d eli' effigie
della dea; cosa che awenne nel 204 a.C. L' influenza di Cibele sugli
animi era talmente forte che da quel momento la fortuna arrise dav­
vero ai Romani. Al culmine del culto di Cibele, i seguaci della Magna
Mater frigia si scatenavano in danze orgiastiche accompagnate dal
suono di sonagli, timpani, cembali, corni e flauti, nell 'ebbrezza di
un'estasi che induceva all' autoflagellazione e all'autoevirazione. Tut­
ti i sacerdoti di Cibele, i "Galloi", erano castrati. Successivamente in
luogo della castrazione venne praticata una cruenta incisione sulle
braccia.
Uno sguardo retrospettivo su tali forme cultuali della Grande Ma­
dre consente di riconoscere in tutta la sua portata quanto fu rivolu­
zionaria la conquista fatta da Apollo del regno custodito dal pitone
della antica Dea della Terra.
Christa Wolf, che colloca il suo racconto "Cassandra" nel n mil­
lennio a.C., in merito ai fatti di Delfi scrive: "Nella situazione prece­
dente: gli uomini si identificavano con le donne, mimavano le fasi
del parto, si eviravano per poter diventare sacerdoti (è ciò che si dice
persino di Apollo) , si intrufolavano in abiti femminili al posto delle
sacerdotesse nella celebrazione dell 'uffizio (così pure Apollo) - ades­
so però questa situazione è più che rovesciata, la donna è uno stru­
mento nelle mani degli uomini. Nelle professioni di poeta, di veg­
gente, di sacerdote, che hanno tutte radici magiche, si può leggere
con la massima chiarezza: la donna, un tempo preminente, è stata
esclusa o ridotta a oggetto". 1'l
Nel giudicare quest'evoluzione d'importanza mondiale, della
quale il mito greco è stato preso solo come esempio-tipo, viene da
chiedersi se Apollo è dawero solo un esecrabile usurpatore, come
ama presentarlo la letteratura femminista. O se è stato anche il soste­
nitore dell'esigenza umana di liberarsi dalle catene della materia, del
bisogno di luce e razionalità che era suo compito diffondere nel
Mondo Antico.
É comunque da Delfi che muove il concetto di "Eunomia", di
"buon governo" che impronta le forme di vita greche. In luogo della
vendetta di sangue subentrano pratiche espiatorie, i primi ordina­
menti sul modo di combattere le guerre (mentre la guerra continua­
va ad essere sacra a un dio) e la proclamazione della sacralità del di­
ritto d'asilo sono collegati al nome del tempio di Apollo. Sul tempio
stesso, poi era scritta la massima tutt'ora valida, anche se poco segui­
ta: "Gnothi seauton", conosci te stesso!
Se si vuole lasciarsi abbagliare dall'utopia di un'aurea età matriar­
cale, bisogna riconoscere anche l'aspetto luminoso dell"'empio usur-

1 84
LA VITIORIA SUL SERPENTE

patore" Apollo. Quale sarebbe l 'alternativa? "Un ritorno alla natura,


a primitive condizione di vita?" chiede Christa Wolf. Ed ella stessa ri­
sponde: " ... non è possibile che noi vogliamo una cosa simile. 'Cono­
sci te stesso', la massima dell'Oracolo di Delfi, con la quale noi ci
identifichiamo, è un motto di Apollo, a una dea di un'epoca diffe­
renziata questa frase non sarebbe mai venuta in mente". Ovviamente
aggiunge subito che a questo dio "della nobile libertà di spirito" deve
venire impedita l'auspicata conoscenza di sè perché lui e i suoi se­
guaci pensando e poetando si ritirano "pieni di paura del contatto"
in spazi astratti, in troppo "rarefatte regioni" e "sono gelidi". Per cui
poi devono fare "giochi di prestigio per sfuggire alla morte per gelo.
Uno di questi giochetti è la loro tendenza ad appropriarsi delle don­
ne in quanto fonti di energia. Cioè adattarle ai propri modelli di vita
e di pensiero. Per dirla schiettamente: sfruttarle". 15l
Ed Apollo lo fa dawero. Strumentalizza la Pizia, che da quel mo­
mento deve profetare come ritengono opportuno i suoi sacerdoti,
politica compresa.
Solo per un mese l'anno, che poi fu ridotto a un solo giorno al
mese, la Pizia continuò a pronunciare le sue profezie sopra la voragi­
ne - mai ritrovata e probabilmente seppellita da un terremoto. "Re­
datte" dai sacerdoti di Apollo come annota appropriatamente Hey­
decker, venivano porte a coloro che cercavano consiglio, scritte su ta­
volette di piombo. Tutti gli oracoli di Grecia, persino quello famoso
di Dodona, ove la voce di Zeus si faceva sentire tra lo stormire delle
fronde di una quercia sacra, erano inferiori a quello di Delfi. A Delfi
i pellegrini e i messi non accorrevano solo dall'Ellade e dalle sue co­
lonie. Per ascoltare le sentenze oracolari del dio, il cui significato am­
biguo gli consentiva alla fine di avere sempre ragione, accorrevano
da tutto il mondo antico. Il clero acquisì potere sugli awenimenti
mondiali di allora e, in certi periodi, trasformò il santuario di Apollo,
straripante di doni votivi, in un centro di potere dell'antica politica.
L'elevato livello culturale dei sacerdoti non escludeva la corruttibi­
lità. Così Creso oltre ad altri privilegi, pagando una quantità di mo­
nete d'oro sonante per ogni singolo abitante di Delfi, dei quali aveva
fatto preventivamente calcolare il numero, ottenne la precedenza
nell'interrogare l'oracolo. La ressa deve essere stata enorme. Attorno
alla zona del tempio deve essersi sviluppata una vera industria del
pellegrinaggio, con mercanti di souvenir, prostitute, taverne. I grap­
poli di persone, la gente a dorso di somaro e i tiri di cavalli non pro­
curavano certo meno disordini di quelli che creano oggi gli autobus
e le automobili, che in alta stagione avanzano in una fila lunga chilo­
metri sulla strada che porta alle rovine del tempio e al museo. L'e­
sempio di Creso illustra in modo plastico sia l'importanza di Delfi
che la di lui crescente ricchezza. Da Erodoto apprendiamo che il re

1 85
CAPITOLO X

dei Lidi già prima di far cadere quella pioggia d'oro su Delfi, aveva
tentato di "ingraziarsi il dio di Delfi con sacrifici grandiosi". Immolò
tremila animali sacrificali, su un'alta pira fece bruciare vasellame d'o­
ro e d 'argento, mantelli di porpora e vesti costose e fece fondere "in­
finite quantità d'oro" trasformandole in mezzi lingotti per il santua­
rio di Delfi, al quale, tra l ' altro, consacrò due grandi crateri, uno
d'argento e l'altro d 'oro, e la statua di un leone d'oro puro.
Il più antico tempio di Apollo era una costruzione in legno eretta
su uno zoccolo di pietra e aveva le pareti rivestite di bronzo. Venne
distrutto nel 548 a.C. da un incendio, due anni prima della caduta di
Creso, predettagli dall' oracolo. Tutte le polis e le stirpi degli Elleni
contribuirono alla sua ricostruzione, alla quale si poté però metter
mano solo dopo il 5 1 3. Pare che quando il principe dei Celti, Brenno
- da non confondersi col Brenno celta che conquistò Roma nel 387
a.C. - durante l' invasione del 279 a.C. depredò Delfi, prima di venirvi
sconfitto e di suicidarsi, sia scoppiato a ridere per le molte immagini
degli dèi greci. Gli sembrava assurdo che le divinità venissero venera­
te in forma di statue umane.
Dal 1 secolo d.C. l 'importanza di Delfi declinò. Evidentemente
non si faceva più molto affidamento sulle rivelazioni del dio. Vanno
ricordate pure le razzie dei tesori templari, compiute dai potenti ro­
mani, Silla prima e Nerone poi. Nel II secolo d.C., sotto l 'imperatore
Adriano, Delfi visse una tardiva fioritura. All'epoca era sommo sacer­
dote di Delfi Plutarco, che conosciamo già come iniziato dei misteri
eleusini. É di quei tempi la descrizione della sede oracolare fatta da
Pausania, le cui indicazioni vennero ampiamente confermate dagli
scavi archeologici del XIX e xx secolo. Un terremoto e la messa al
bando di qualsiasi culto pagano proclamata dall'imperatore Teodo­
sio nel 392 d.C., trasformarono il tempio oracolare di Apollo in una
rovina. Ciononostante il fascino che ne promana è sempre grande.
Tuttavia quasi nessuno, sostando accanto alle colonne del tempio di
Apollo, innalzate di nuovo, e guardando giù verso la conca valliva
sottostante la sorgente di Castalia, dove si erge solitario il tolos, un
tempio di significato indefinito la cui forma tonda fa pensare a una
sede cultuale della Grande Madre, si rende conto che Apollo, dopo
la propria vittoria sul pitone, non rimase l'unico signore di Delfi. Per
parte dell'anno doveva condividere il suo santuario con Dioniso, da­
to che in quella sede veniva praticato anche il suo culto.
La coabitazione col dio dell 'ebbrezza, dei riti orgiastici e dei mi­
steri erotici, tanto venerato dalle donne e dai fedeli di Afrodite, non
sembra inserirsi bene n eli 'immagine del sublime dio della luce. Ma
Apollo non poteva restare solo nella sua "freddezza". La gente esige­
va un culto della totalità della vita che ritrovava, anche se in forma

1 86
LA VITTORIA SUL SERPENTE

selvaggia e non controllata, nelle dionisie pervase da un simbolismo


della vita e dell 'amore che abbracciava l'intera creazione, animali e
piante comprese. Tuttavia Apollo stesso, il fratello di Artemide, non
è poi tanto lontano dal suo polo opposto, Dioniso. Il mito, questo
specchio della psiche nella sua contraddittoria totalità esistenziale, fa
del vincitore della sovranità della Grande Madre anche il padre di
Orfeo. A quella stregua in più recenti leggende sopravvivono antiche
tradizioni. Orfeo, infatti, non viene ritenuto solo il fondatore dei
propri misteri. In forma più raffinata egli tenne in vita anche la reli­
gione di Dioniso. La Chiesa cristiana dei primi tempi, del grande
cantore e musico che col potere delle sue melodie incantava persino
gli animali selvaggi, le piante e le pietre, fece un simbolo spesso usa­
to del Cristo. A Roma, alcune raffigurazioni delle catacombe di Calli­
sto, Pietro, Marcellino e Domitilla lo tratteggiano ripetutamente in
questo ruolo. In forza della capacità di addomesticare le fiere venne
equiparato al "buon pastore", mentre la sua discesa agli inferi ram­
mentava quella di Cristo all'inferno. Quegli aveva scongiurato da Per­
sefone la restituzione della sposa Euridice, morta per il morso di un
serpente. Addolcita dal suo canto la dea l'aveva concessa. Ma siccome
Orfeo non aveva rispettato l'ordine di non voltarsi a guardare Euridi­
ce, l'amata sposa era rimasta nell 'Ade.
Orfeo fa da ponte verso il cristianesimo ed è tutore di più antiche
concezioni religiose derivate da fonti matriarcali. Come i sacerdoti di
Apollo continuarono a far discendere le proprie sentenze dalle arcai­
che parole della Pizia che le aveva ricevute dall'intimo della terra, co­
sì i primi dottori della Chiesa di tanto in tanto interpretarono il mes­
saggio cristiano nell 'immaginifico linguaggio archetipico provenien­
te dalla sfera della Grande Madre. Agostino, il più significativo di lo­
ro, diventato dopo la conversione il predicatore della guerra al corpo
e al piacere, non si faceva remore a descrivere la morte di Cristo pa­
ragonandola alle sacre nozze. Scriveva: "Simile a sposo uscì Cristo
dalla sua camera, uscì nel campo del mondo preannunciando le pro­
prie nozze. Arrivò sino al letto della croce e là, salendola, ha confer­
mato le nozze. E quando sentì il pesante sospiro della creatura diede
se stesso in pio dono riparatore per la sposa unendosi per sempre al­
la donna". 16)
In questo passo la donna sta per la Chiesa, la sposa di Cristo. Ma
la croce anche nel cristianesimo è sia "il legno di morte", sia l'albero
della vita. Di tanto in tanto alcuni dipinti medievali raffigurano Cri­
sto accanto a un albero che si biforca a croce e reca frutti. Tale rap­
presentazione si rifa' a miti precristiani, nei quali dalla morte sacrifi­
cale dell'eroe o del re sacro, simile al frutto del seme di grano caduto
in terra, si destava la nuova vita. Pendere dall'albero della croce equi-

1 87
CAPITOLO X

vale a pendere dall'albero della vita che ovunque, anche nella leg­
genda germanica del frassino del mondo Yggdrasil, simboleggia la
Grande Madre. Il crocifisso è la vittima strettamente legata tramite lo
hierosgamos, le sacre nozze, all'eterno ciclo di morte e divenire.
Questo è chiaramente dichiarato nell'immagine di Agostino del
"letto" della Croce sul quale Cristo sale. Anche Marsia, satira e dio
del fiume frigio, un seguace di Cibele, venne appeso all'albero della
vita, probabilmente come Attis, il dio frigio della vegetazione che era
il di lei figlio-amante. Egli trovò il flauto di Atena che la dea aveva
gettato via perché soffiarvi dentro le deturpava i tratti del volto, di­
venne maestro nell'arte di suonarlo e sfidò Apollo a una gara musica­
le. La dionisiaca siringa di Pan, quindi, contro la lira apollinea!
Quando il "dio della luce" vinse, fece scorticare Marsia in modo cru­
dele - una leggenda nella quale temi molto antichi si mescolano alla
rinfusa ad altri più recenti. Vanno poi ricordati soprattutto Lug, il
dio dei Celti, sposo ed eroe di Erin, la Madre Terra irlandese, e Odi­
no, il dio dei Germani: ambedue, come Cristo, nel loro sacrifico di sé
pendono dall'albero della vita.
Tuttavia laddove la Grande Madre è stata deprivata del suo pote­
re, le sacre nozze non sono più una festa di gioia. A proposito del te­
sto di Agostino appena citato C. G. Jung osserva: "Qui il flusso di sen­
timenti legati all'antico hierosgamos si è trasformato nel suo contra­
rio. AJ posto del piacere c'è la sofferenza e al posto dell'amante della
Madre, il palo del supplizio, il che significa che ciò che prima era
contraddistinto dal piacere ora viene recepito come doloroso, e cioè
il congiungimento della consapevolezza maschile con l'inconscio
femminile ... ". 171
Quando Apollo vinse il pitone, dal punto di vista psicologico fu la
sua coscienza maschile a conseguire la vittoria sull'inconscio femmi­
nile, che però è solo una parte dell'essenza della Grande Madre. Il
parallelismo tra maschile conscio e femminile inconscio sarebbe
troppo semplicistico. Se le forze femminili orientate verso la totalità
vengono avulse e isolate dalla vita, i seguaci del dio della luce patisco­
no effettivamente una sorta di "morte per freddo". Lo scopo della ve­
nerazione di Dioniso all 'interno del san tuario delfico di Apollo è
quindi quello di evitare tale destino. Oggi neppure le teologhe fem­
ministe che mettono a confronto il cristianesimo patriarcale con una
nuova visione della Bibbia sono più disposte ad accettare a lungo tor­
menti e palo del supplizio. Hildegunde Wòller, ad esempio, argo­
menta così: "Quello che noi vediamo con orrore nella morte sulla
croce di Gesù, è, dal punto di vista della Dea Madre, l'arrivo finale
del suo sposo, le nozze. Gesù conferisce alla morte intesa come male­
dizione il nuovo significato di sposalizio con la Madre Terra. Il dio

188
LA VITTORIA SUL SERPENTE

che l 'ha maledetta allo scopo di far raggiungere all'uomo la consape­


volezza si rappacifica con essa tramite Gesù. Da questo emerge che la
Madre Terra non pone fine alla consapevolezza umana che, nata da
Dio, viene da Dio ridestata". <•l
Anche in questa interpretazione la croce va intesa come albero
della vita. Chi però sorveglia i frutti dell' albero del mito è il serpente.
Così, come con la vittoria sulla divinità terrestre e materna che tra­
sforma il piacere in sofferenza, muta il "flusso dei sentimenti" legato
alle sacre nozze, anche nella narrazione biblica le mele d'oro della
Grande Dea si trasformano nel frutto proibito dell'albero della cono­
scenza, e il serpente - sempre latore di interi campi semantici - per
l' occidente cristiano e per tutte le culture influenzate dal cristianesi­
mo diventa esclusivamente incarnazione del male e, in quanto sino­
nimo di donna, seduttore e peccato.
Ma non completamente, anche nella Bibbia continua a trasparire
qualcosa della sua forza guaritrice che ne ha fatto il simbolo di Escu­
lapio: quando il popolo d 'Israele mormorò che Dio e Mosè lo faceva­
no uscire dall'Egitto per portarlo a morire nel deserto, Jahwe per pu­
nirli inviò dapprima "serpenti di fuoco" che morsicassero il popolo e
"molti d'Israele morirono". Subito dopo, però, diede ordine a Mosè
di costruire un serpente di bronzo perché chiunque fosse stato mor­
so dal serpente venisse salvato dalla sua vista. "Allora Mosè fece un
serpente di bronzo e lo mise sopra un 'antenna; e quando qualcuno
era stato morsicato da un serpente, guardava il serpente di bronzo e
restava in vita." (Numeri 2 1 , 4-9)
Nel Nuovo Testamento Gesù paragona la propria morte sulla cro­
ce a tale evento anticotestamentario: "E come Mosè inalzò nel deserto
il serpente, così è necessario che sia inalzato il Figlio dell'Uomo affi n­
ché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Giovanni 3, 14-1 5 ) .
Altrimenti i l serpente, anche i n forma di drago, simboleggia cate­
goricamente il male, addirittura il diavolo persona. Sui portali delle
cattedrali medievali lo si raffigurava ancora, il dragone deli 'Apocalis­
se, secondo le parole dell 'Apocalisse di Giovanni: "E il gran dragone
fu precipitato, l'antico serpente che si chiamava diavolo e Satana, il
seduttore del mondo intero, e fu precipitato sulla terra e i suoi angeli
furono precipitati con lui" (Apocalisse 1 2 , 9) . L'apostolo Paolo nella
sua lettera ai Romani si augura che Dio schiacci "tra breve" Satana.
Parlando di Satana e del serpente di Satana si sottintendono pure
gli antichi culti della Madre. Dopo il 52 Paolo trascorse in totale due
anni e mezzo ad Efeso, la città più importante della provincia roma­
na d 'Asia, ove, a rischio della propria vita, condusse una battaglia
contro la grande Artemide, la Diana dei Romani, il tempio della qua­
le, all'epoca, si ergeva ancora in tutto il suo splendore. Coi suoi 1 25

1 89
CAPITOLO X

metri di lunghezza, 60 di larghezza e oltre 20 di altezza superava qua­


si del doppio quello dedicato ad Atena che sorgeva sull 'acropoli di
Atene. Paolo tuttavia non riuscì, come dice la Bibbia, a deporre la
Grande Dea "in onore della quale tutta l'Asia e il mondo celebrano
sacrifici". Gli abitanti della ricca città della costa occidentale dell 'Asia
Minore, i cui argentieri temevano inoltre il calo delle vendite delle
loro redditizie statuette votive, si sollevarono contro il missionario e i
suoi seguaci al grido di battaglia "grande è la Diana degli Efesini!"
Non sappiamo se a quel grido degli Efesini si sia unita la voce delle
donne. Ne avrebbero avuto motivo, se avessero saputo il peso di Pao­
lo nel rinforzare quel disprezzo per il loro sesso, che sopravvisse sino
nei tardi secoli della cultura cristiana.
Nella religione assiro-babilonese il principio primigenio femmini­
le, creatore e tremendo al contempo, compare col nome di Tiamat e
con l'aspetto di una divinità-drago. Assieme al suo sposo Apsu crea il
mare primigenio, dal quale emersero le prime dee e i primi dèi. Co­
me il pitone di Delfi anche Tiamat, dopo lotte tremende condotte
contro il ribelle Ea, figlio delle profondità del! 'acqua e dio della Sag­
gezza che ha sottomesso Apsu, viene sconfitta da Marduk, il dio della
primavera.
L' eroe maschile si scinde in due parti, una delle quali va a forma­
re la volta celeste e l'altra la terra. Nonostante la vittoria della divinità
maschile, la sostanza primigenia della Madre con la quale è compo­
sto l' universo viene conservata.

Marduk combatte contro la dea serpente Tiamat. Sigillo a cilindro assiro.

Anche questo mito rispecchia la trasformazione di coscienza che


si verificò nel II millennio a.C. assieme ai sovvertimenti politico-socia­
li. Marduk viene nominato per la prima volta ai tempi del re Ham­
murabi ( 1 728-1686) che fece di Babilonia la più potente città-stato
della Mesopotamia. Da quel momento Marduk inalzandosi al di so­
pra dell 'antico matriarcato diviene somma divinità del regno babilo­
nese. Cerda Lerner e Thorkild Jacobsen richiamano l'attenzione sul-

190
LA VITIORIA SUL SERPENTE

le somiglianze esistenti tra questa evoluzione e quella degli Assiri,


che al momento in cui raggiunsero la predominanza politica posero
al centro della loro cosmogonia il dio nazionale Aschtur. Secondo Ja­
cobsen "L'ascesa di due divinità nazionali, Marduk e Aschtur, alle
somme posizioni del mondo degli dei" dimostra "che in Mesopota­
mia si cristallizzarono due stati nazionali tra loro rivali, governati cia­
scuno da un monarca assoluto ... Potere politico e decisionale erano
ora in mano a Marduk e Aschtur, mentre gli altri dèi agivano come
loro plenipotenziari o mediatori". 191
Di conseguenza la discesa della Magna Mater dal divino trono ce­
leste a un livello più basso è affiancata dall'ascesa del dominatore
che trova il suo emblema nella divinità maschile. Ciononostante, nes­
sun dio patriarcale riesce ad eliminare del tutto il potere della Gran­
de Madre. Semplicemente - come dice Bachofen a proposito dell 'an­
tica Libia - "perché accanto al principio naturale maschile deve esser­
cene uno femminile, se si vuole che la forza materiale venga conser­
vata in tutta la sua totalità". Questa forza, "tyros" o "tylos", è la forza
naturale procreante, dalla quale deriva pure il nome "tiranni", che
originariamente non era contraddistinto da connotazioni negative.
Anche il tiranno resta preso entro questa forza che trova la sua massi­
ma espressione nell'arcaico potere della Madre. Non si è mai riusciti
a fare sparire del tutto la Grande Dea né dal nome della veggente, la
Pizia, né dall ' invocazione di Gea e di Temi, né dalle Eumenidi di
Eschilo, pur contraddistinte da un patriarcalismo ad oltranza. Ella
tuttavia può venire sfruttata e limitata da una superba filosofia ma­
schile del dualismo che parla di "materiale-femminile e di spirituale­
maschile", all'interno di un ruolo di mera naturalità dalla quale nes­
sun ponte pare lanciato verso le cime solari dell'uomo nella sua ele­
vata creatività e logica. Cosa della quale è curiosamente esemplare
l'opera di Bachofen, appunto.
Lo scopritore del matriarcato, a suo tempo ostile a tutte le aspira­
zioni liberali e democratiche - figlio di un 'antica famiglia patrizia di
Basilea, egli definisce la democrazia il principio femminile della
"massa indistinta" - fu un patriarca della più bell 'acqua che con la
propria scoperta rese, involontariamente, grandi servizi al movimen­
to femminile e persino alla democrazia. Il suo libro infatti "ha schiu­
so gli orizzonti su una società priva di patriarcato. Per primo ha scos­
so la fede nell'universalità della famiglia patriarcale che si faceva risa­
lire ad Adamo ed Eva e che sino al XIX secolo come istituzione degli
uomini stava, assolutamente incontestata, a loro disposizione". 1101
Eppure, la sua opera principale di oltre mille pagine, pubblicata
nel 1 861 col titolo Das Mutterrecht (Il matriarcato) e che l'allora 46en­
ne professore di diritto romano dell 'Università di Basilea, cristiano e

191
CAPITOLO X

conseiVatore, dedicò alla propria madre deceduta pochi anni prima,


è percorsa da una contraddizione - non recepita o rimossa dal fem­
minismo: alla sua concezione del matriarcato, fondata sulla venera­
zione della madre - alla ginecocrazia (il potere delle donne) , come
lui lo chiama - "in quanto progresso del genere umano verso la ci­
viltà", si contrappone nello stesso tempo la lode di un rigido patriar­
cato. Nell 'opera successiva di Bachofen esso viene esaltato come una
vittoria dello spirito occidentale sul meno valido principio matriarca­
le che deriverebbe dall "'Eterismo" orientale. Bachofen, un erudito
per lungo tempo preso troppo poco sul serio, che venne scoperto in
tutta la sua portata solo agli inizi del secolo ad opera del gruppo mo­
nacense "Kosmiker-Kreis", sorto attorno a Ludwig Klages e a Karl
Wolfskehl, e successivamente negli anni Venti e Trenta dal movimen­
to femminista, dalla psicologia freudiana e dalla grande letteratura
(Hermann Hesse, Rainer Maria Rilke, Thomas Mano, Walter Benja­
min ) , dovette sentirsi addirittura un ' incarnazione della spiritualità
apollinea nel senso della cultura borghese del XIX secolo. Egli ritene­
va Apollo il principio spirituale maschile per eccellenza che nei bian­
chi templi di vita sovramateriale trionfò sopra il cupo drago della Ma­
dre primigenia. Non che a quel profondo conoscitore di miti quale
Bachofen era fosse sconosciuto l'Apollo "che ha come madre Latona
che dimora nel profondo degli abissi" - ma in quanto pio cristiano
egli attribuiva la signoria, che sola conferisce significato, al patriarca­
le uccisore del drago, l'uranico eroe del sole. Il geniale autore della
colorita descrizione del matriarcato aveva già cinquant'anni quando
sposò una bellissima giovane di vent'anni con la quale da quel mo­
mento visse, per sua stessa ammissione, "in un menage diretto secon­
do criteri imperialistici". Questi cenni biografici e queste dichiarazio­
ni patriarcali possono giovare a spiegare l'intima contraddizione del­
la sua opera.
Secondo Bachofen nelle arcaiche condizioni di convivenza uma­
na regna la forza bruta dell 'uomo. A questo livello di evoluzione l'au­
torità della madre, senza essere ancora diventata sovranità delle don­
ne, si "connette alla più profonda umiliazione della donna, tenuta a
seiVire contro la propria volontà le voglie di ogni uomo e a piegarsi
senza diritti alla verga che solo l 'uomo ha". 1 1 1 1 Questa violenza ma­
schile dei tempi del nomadismo liberamente vagante, con le sue arbi­
trarie comunità sessuali e la sua promiscuità, questo "eterismo" viene
spezzato dal "criterio dell'agricoltura" che porta a "ordinati legami
sessuali", al matriarcato e alla protezione della donna nel "matrimo­
nio esclusivo". Solo all 'interno di esso il matriarcato potè, come de­
scrive Bachofen, ampliarsi in ginecocrazia. Il perché non viene detto,
forse a causa di una prevalenza femminile in questioni di culto.

192
LA VITTORIA SUL SERPENTE

Friedrich Engels, che si fonda su Bach ofen ed è un altro teste


fondamentale del femminismo moderno, in proposito sostiene esat­
tamente il contrario. Egli presuppone una società comunista in ori­
gine ugualitaria, priva di classi e fondata sulla mera e spontanea "di­
visione del lavoro". Nella quale regnava, derivato "direttamente dal
matrimonio di gruppo" sì l'eterismo, seppure in quella condizione
arcaica la donna, nonostante la "rinuncia" che faceva, godesse della
stessa considerazione e degli stessi diritti dell'uomo. Secondo Engels
solo con la specifica divisione del lavoro in base ai sessi, che ha "cac­
ciato la donna dalla partecipazione alla produzione sociale", e con
la creazione dello Stato, contemporanea all 'instaurarsi della mano­
gamia e della famiglia patriarcale, viene sottratto potere al matriar­
cato sin lì vigente e la donna viene soggiogata: "Il crollo del matriar­
cato fu la sconfitta storica del sesso femminile. L'uomo assunse il co­
mando anche in casa, la donna venne privata di dignità, schiavizza­
ta, asservita alle sue voglie in funzione di semplice strumento di pro­
creazione". 1 1 21 Senza esprimere giudizi sulla validità dell'una o del­
l'altra ipotesi - ormai esistono decine di dotte teorie altrettanto poco
dimostrabili - va sottolineato che anche Bachofen in un primo tem­
po diede parere positivo sul matriarcato. Persino sulla sua forma am­
pliata, la ginecocrazia, egli scrisse: "Sembra un'emancipazione dai
vincoli della vita animalesca brutalmente istintuale. Ali 'abuso del­
l'uomo fondato sulla preminenza della forza fisica, la donna con­
trappone l 'immagine della propria autorità femminile elevata a si­
gnoria, come illustra il mito di Bellerofonte e il suo incontro con le
donne di Licia".
Si riflette qui la scena, a noi ormai nota, del voglioso cavaliere di
Pegaso e delle fanciulle che, sulla riva del mare, lo mettono in fuga
sollevando le gonne.
"Quanto più è selvaggia la forza deli 'uomo" continua Bachofen,
"tanto più necessario è in quel primo periodo il potere soggiogante
delle donne. Sinché l 'essere umano è vincolato alla vita materiale,
deve regnare la donna. La ginecocrazia ha un posto necessario nel­
l' educazione degli esseri umani, tanto più in quella dell'uomo. Come
il bimbo riceve la sua prima educazione dalla madre, così i popoli
dalla donna. Prima di assumere il potere l'uomo deve servire. Solo al­
la donna è dato di domare la forza arcaica e selvaggia dell 'uomo e di
guidarla verso benefiche vie".
Sono accenti nei quali si sente sin da lontano echeggiare il miste­
ro dell'addomesticamento di Enkidu. Anche se quello è avvenuto ad
opera di un'etera divina.
Facendo sua un'osservazione di Strabone sulla "deisidaimonia", il
timore femminile degli dèi, Bachofen, a proposito del "potere forma-

193
CAPITOLO X

tivo e benefico della donna" dice: "Certo è che alla donna è stato ri­
conosciuto un rapporto più stretto con la divinità e le è stato conferi­
ta una superiore capacità di comprensione del suo volere. Ella reca
in se stessa la legge che permea la materia. Inconsciamente, ma con
piena sicurezza, alla maniera della coscienza, parla in lei l' equità; ella
è saggia di per sé, per natura Autonoe (comprensibile per sua stessa
essenza) , per natura Dike, per natura Fauna o Fatua, profetessa che
preannuncia il Fato, Sibilla, Marta, Fenni, Temi. Per questo le donne
venivano ritenute invulnerabili, degne della carica di giudice, profe­
tesse. Per questo motivo le schiere pronte al combattimento a un lo­
ro ordine si separano, per questo motivo componevano le liti popola­
ri in veste di sacerdotali giudici arbitrali: per il fondamento religioso
su cui si basa, salda e imperturbabile, la ginecocrazia. É la donna che
impartisce la prima educazione ai popoli, così come è sempre la don­
na a partecipare in prima persona sia ad ogni caduta, sia ad ogni ri­
nascita". 0 3'
Va comunque ricordato che il matriarcato - nel quale si estrinseca
appunto la forza civilizzatrice femminile - può durare solo "sinché
l'essere umano soggiace unicamente alla vita materiale", dato che la
donna reca in sé la legge che permea la materia. In Bachofen accan­
to all'idea del ruolo civilizzatore dell'elemento femminile affiora pu­
re con grande nitidezza la filosofia del dualismo, nell'ambito del qua­
le femminilità, potere materno ancestrale e Grande Dea vengono
nuovamente respinte al secondo posto nella scala dei valori stabiliti
dal patriarcato.
Lo scopritore del matriarcato definisce "materiale-femminile" e
"apollineo-paterno" il contrasto eretto a principio di vita, in base al
quale il patriarcato è destinato a dominare nel segno del dio della lu­
ce contrapponendosi al "matriarcato". Per questo, a parere dell'auto­
re, "la cattiveria della donna trarrebbe inizio dal disprezzo dell'uomo
e dall 'aumento della vanità maschile proporzionale a quello della ci­
vilizzazione". La teoria viene illustrata portando l'esempio di Atene:
"Alla donna il progresso della civiltà non risulta vantaggioso. La don­
na gode del massimo onore in epoche cosiddette barbariche, quelle
successive affossano la ginecocrazia, intaccano la sua bellezza, la scal­
zano dall'elevata posizione che aveva presso le stirpi doriche, l'abbas­
sano alla pomposa servitù ionico-attica e da ultimo la condannano a
riconquistare allo stato di etera quell'influenza che le è stata sottratta
nei rapporti coniugali". o•> Curiosamente all'inizio è stato appunto il
matrimonio a garantire il matriarcato, la ginecocrazia e l'azione civi­
lizzatrice della donna. Per certo il matrimonio arcaico, ancora lonta­
no dai grandi progressi della civiltà.
Nel libro di Bachofen Die Sage von Tanaquil (La leggenda di Tana-

1 94
LA VITTORIA SUL SERPENTE

quilla) , pubblicato un anno dopo l'uscita della sua opera principale,


si ha un totale capovolgimento del ruolo femminile, descritto in un
primo tempo come positivo all'interno della ginecocrazia e totalmen­
te svilito poi. In questo "Studio sull'orientalismo a Roma e in Italia"
affiora completamente la filosofia della storia dell 'autore. Nella lettu­
ra di questa brillante descrizione della trasformazione mitologica del­
la donna-regina etrusco-orientale e del suo "eterismo" nella virtuosa
matrona romana, che si riflette nella saga di Tanaquilla in epoca im­
periale, occorre prendere atto di alcune cose.
L'argomento verte sugli ultimi tre re di Roma, Tarquinia Prisco,
Servio Tullio e Tarquinia il Superbo, secondo la tradizione romana
possenti principi di origine etrusca che dovevano appunto carica e
potere alla regina Tanaquilla. Tanaquilla, però, non era la virtuosa
capostipite di una stirpe di re nella quale l'ha trasformata la nobile
forma mentis d'impronta romano-occidentale, per lo scopritore del
matriarcato era invece "un 'etera che decideva della vita e del trono a
sua discrezione". Moglie del primo Tarquinia che nei libri di storia
ritroviamo come il leggendario quinto re di Roma, vissuto dal 6 1 6 al
579 a.C., al quale succedette Servio Tullio (578-533) , che secondo la
leggenda romana venne assassinato dalla propria figlia Tullia, moglie
del settimo re di Roma, Tarquinia il Superbo (534-5 1 0) . Per contro
si narra che suo figlio Sesto abbia provocato la caduta del regno ro­
mano disonorando Lucrezia.
Tanaquilla interviene in modo decisivo sul destino e sul modo di
agire di tutti e tre i re.
Tuttavia l' aspetto essenziale è la valutazione che Bachofen dà di
questa figura leggendaria, nella quale si riproducono "i contrassegni
distintivi della moglie di re asiatica" . Tutto ciò che abbiamo rinvenu­
to nel culto della Grande Madre quale supporto della potenza fem­
minile sino ad arrivare alle sacre nozze, praticate per circa due mil­
lenni e mezzo, viene declassato qui a semplice "eterismo". Bachofen
vede chiaramente in Tanaquilla la "donna che conferisce il trono",
ma non fa il passo successivo allo hierosgamos e alla sua funzione
nell'ambito di una religione arcaica sottoposta alle leggi naturali. An­
zi, "l'idea di un'origine femminile della suprema autorità" subisce
una completa svalutazione. Si parla esclusivamente della "elevazione
ginecocratica della donna lasciva al di sopra dell'uomo suo compa­
gno", di conferimento di potere al femminile come culto "di una Ma­
dre Natura man ifestantesi in uno sfrenato eterismo" e pure della
"moglie di re delle dinastie asiatiche" - e le saghe parlano di ben più
di una Tanaquilla quale etera legata alla mera vita materiale. Nel­
l'ambito della cultura orientale ella si manifesterebbe "sempre nei
suoi tratti lascivi quale dominatrice del compagno maschile".< 1 '1 Per

195
CAPITOLO X

Bachofen "l'attribuzione della corona da parte di una donna" è fon­


damentalmente riprovevole, anche se è Tanaquilla stessa a compierlo
in veste di "lasciva dea sacea".
A lei, la Grande Madre, nell 'antica Roma e nel Lazio veniva reso
omaggio per cinque giorni a luglio durante le Feste Sacee, in cui Ba­
chofen di nuovo non vede altro che un detestabile "Afroditismo delle
mogli di re asiatiche" connesso a un'"autorità bassamente sensuale di
Militta".
"In nome di Militta, vieni!" - con questa invocazione conosciamo
Afrodite già dalle descrizioni omeriche del servizio templare delle ie­
rodule dell'antica Babilonia.
Dal punto di vista di Bachofen il culto della Magna Mater romana
delle Feste Sacee riflette le "eteriche feste di schiavi dei babilonesi e
degli assiri" il cui carattere democratico lo disturba in modo eviden­
te. Quelle celebrazioni della dea dell'amore e della fecondità com­
prendono pure la "sfrenata autorità di Militta" e sono la raffigurazio­
ne del mero diritto naturale che non può venire "influenzato da nes­
suno statuto umano": "in quel periodo vengono infranti i legami di
servitù perché dispiacciono alla Grande Madre, abolite tutte le diffe­
renze che sostituiscono all'ordine naturale un'articolazione sociale
artificiale. Le Sacee hanno un carattere generale di festa della libertà
e dell'uguaglianza e vengono citate da Ateneo (uno scrittore di origi­
ne egiziana del 200 a.C. [N.d.A. ] ) , in questa accezione assieme ad al­
tre analoghe feste di schiavi. Le classi servili si riprendono dalle mani
della dea il diritto rubato loro dagli uomini e si abbandonano alla
più libera espressione delle proprie sensazioni di piacere". o•>
Si possono immaginare feste più belle?
Il patrizio di Basilea, tuttavia, vede in esse un malcostume e un
potere eterico che mette in pericolo gli uomini.
"Se vai dalla donna non dimenticare la frusta!" in questa frase ri­
velatrice di Friedrich Nietzsche, che frequentava casa Bachofen, si
potrebbe sentire l 'eco della sua interpretazione di Tanaquilla. Tutto
ciò che si contrappone all'elemento apollineo-paterno viene ricac­
ciato nella profonda oscura istintività. Rispetto alle "Madri Sacee ve­
nerate con licenziose feste sessuali" l ' omoerotismo maschile si pre­
senta come una nobile forma di amore. Già nel Matriarcato a propo­
sito degli "arrenes erotes", gli amori tra uomini, dice: "Si contrap­
pongono al desiderio puramente sessuale-sensuale che ha per ogget­
to la donna. É sugli arrenes erotes che il profeta apollineo fonda l ' e­
levazione del sesso umano dalla palude del piacere sensuale eterico
a un livello di esistenza superiore. Non sensualità dell'amore, l 'uni­
ca a cui pensa Ovidio che viveva in un'epoca depravata, ma elevazio­
ne al di sopra di essa, sostituzione dell'eros volgare con uno superio-

196
LA VITIOR!A SUL SERPENTE

re, sviluppo dell'onesto pudore, ecco il concetto che sta alla base
dell'amore maschile nella sua originaria purezza".1 1 71 Così il matriar­
cato in quanto pendant della sensualità dell'amore femminile è le­
gato "alla caducità della vita materiale" quale principio inferiore,
mentre nel patriarcato si manifesta "l'immortalità di una vita sovra­
materiale". Lo scopritore del matriarcato arrivò all 'intuizione sciovi­
nista che "il matriarcato resta all 'animale, la famiglia umana passa al
patriarcato".
Ecco che l'apollineo dio della luce infligge il colpo di grazia al­
l'antico pitone.
Ovviamente la lode di Bachofen del patriarcato non è del tutto
priva di giustificazione. Anche Freud, altro noto patriarca - nel "pas­
saggio dalla madre al padre" vedeva "una vittoria della spiritualità
sulla sensualità e quindi un progresso culturale" perché, come si è
già avuto occasione di far notare, la maternità viene "comprovata dal­
la testimonianza dei sensi" "mentre la paternità (ad ogni modo pri­
ma dell'epoca dei moderni metodi di determinazione [N.d. A. ] ) è
una supposizione, fondata su una deduzione e un presupposto. La
presa di posizione che eleva il processo logico al di sopra della perce­
zione sensoriale, si presenta come un passo gravido di effetti".
Di conseguenza, ad esempio, l'essere umano si trovò autorizzato a
riconoscere "soprattutto" le "potenze spirituali", arguisce Freud, il
che significa "quelle che non possono venire colte coi sensi, soprat­
tutto del volto, ma che hanno effetti indubbi, addirittura fortissimi."
Questo pensiero viene portato avanti sino alla scoperta dell 'anima:
"Se possiamo affidarci alla testimonianza della lingua, è stata l'aria
smossa a creare una prima immagine della spiritualità, lo spirito in­
fatti prende a prestito il proprio nome dali 'alito di vento ( animus, spi­
ritus, in ebraico ruach, Hauch in tedesco, soffio) . Dal che è derivata an­
che l'intuizione dell' esistenza dell 'anima quale principio spirituale
dell' essere umano. L'osservazione ha rivisto l'aria smossa nella respi­
razione che cessa alla morte; ancor oggi il morente emette l'anima
col respiro". 1 1 "1 Ma tutto dipende dalle conseguenze tratte da tali sco­
perte. Trasformazione e ampliamento della consapevolezza non van­
no limitate solo al sesso maschile. Proprio "Ruach", l'alito dello spiri­
to, cui si contrappone il "corpo come qualcosa di inferiore, come po­
vero guscio", come formulò Heinrich Heine nella sua Geschichte der
Religion und Philosophie (Storia della religione e della filosofia) , può
venire inteso come allusione alla sovramateriale creatività femminile;
il vocabolo ebraico, infatti, è femminile! Nel femminismo moderno
esso viene ripreso con questo significato: "Ruach, la santa spiritua­
lità". Ad esso si coniuga il simbolo della colomba, il mitico animale
della promessa, dell 'amore e della pace. In un antico mito della crea-

197
CAPITOLO X

zione dei Pelasgi la Grande Dea della Luna dei primordi - l 'Eurino­
me degli Elleni - per deporre il suo uovo sull'acqua del mare primi­
genio si trasforma in una colomba. Dall'uovo della colomba nasce il
mondo. Tuttavia l'uovo del mondo venne covato da Ofione, il ser­
pente. Borea, il vento del nord, nell'abbraccio del quale rimase in­
cinta Eurinome, aveva assunto la sua forma.
Secondo le parole del Vangelo apocrifo di Giacomo, anche Ma­
ria, la Madre di Dio dei cristiani, venne protetta nel tempio "come
una colomba".
Simili immagini poetiche confermano l ' efficacia, indipendente
dal sesso, della potenza spirituale al di là della scissione dualistica.
Tuttavia Bachofen, nell'ottica limitata del suo Geist contra Stoff - Apol­
lon contra Hetiirismus, (Spirito contro materia - Apollo contro eteri­
smo) perviene a una filosofia della storia e della cultura molto preoc­
cupante, le cui colonne portanti si chiamano cesarismo e razzismo. È
un' affermazione forse sconvolgente, ma può essere provata. Così se­
condo la concezione di Bachofen !'"occidente", rappresentato dalla
Roma cesarea, viene preferito all"'oriente" e destinato ad "elevare
continuamente l'umanità a un livello d 'esistenza superiore." Troppo
a lungo, constata, "le divinità asiatiche ed egizie" hanno portato il lo­
ro corteo trionfale sin nelle con trade più remote del mondo occi­
dentale e "lo spirito occidentale" è stato sottomesso con la forza "da
questo panteon prevalentemente femminile ed eterico". Nella prefa­
zione alla saga di Tanaquilla, tuttavia, prosegue: "Romano è ogni
pensiero tramite il quale l 'umanità europea si prepara ad imprimere
la propria impronta su tutto il globo terrestre; a determinare il desti­
no dei popoli non è infatti la legge materiale, ma solo la libera opera
dello spirito." E ovviamente tale spirito è maschile.
In tale ossessione antiorientale e nel suo dualismo sessuale persi­
no la distruzione di Gerusalemme perpetrata da Tito nel 70 d.C. si
trasforma in evento trionfale. Di conseguenza secondo Bachofen l' ar­
co di Tito annuncia "ancor oggi la liberazione della religione del fu­
turo dai vincoli dell 'orientalismo mosaico e le rivendicazioni della
città occidentale sull'eredità spirituale dell 'oriente."
Il che significa che anche la cristianità è stata così preservata da
influssi, forse ancora presenti, di eterismo orientale, anche se, come
già ricordato, l' imperatore Adriano sulle rovine del Santo Sepolcro
fece erigere un tempio ad Afrodite.

"Se possedessi tutto il cielo,


Volentieri lo donerei a monna Venere;
Le darei il sole, le darei la luna,
Le darei tutte le stelle".

198
LA \1TIORIA SUL SERPENTE

Lo scopritore del matriarcato deve proprio essere stato urtato nel


profondo del cuore da una venerazione simile che riecheggia ancora
in una canzone medievale del Tannhauser. Se fosse stato cattolico
avrebbe apprezzato di più le parole messe in bocca al papa nello stes­
so componimento:

"Il demone chiamato Venere,


È il pegggiore di tutti,
Non posso più salvarti
Dai suoi begli artigli"Y"l

Solo chi resiste all' incanto di Mrodite per partecipare con moda­
lità apollineo-patriarcali ad una spiritualità superiore può godere del­
l'apprezzamento di Bachofen.
Questo vale pure per l'Enea di Virgilio, l' eroe nazionale romano,
perché nessun "tenero ricordo" o riguardo per la sua "doppia pecu­
liarità in quanto figlio di Militta e re-sacerdote" ne altera la visione
dell'Italia e della "futura età del mondo" contraddistinta dalla sovra­
nità patriarcale. Per questo dinanzi a lui cade in frantumi "il trono
dell'etera orientale che Iside-Cleopatra vorrebbe restaurare". L'impe­
ratore Augusto, pronipote e figlio adottivo di Cesare, viene tratteg­
giato come "vincitore dell' orientale moglie di re" e addirittura come
"nuovo Oreste che vendica il padre". È noto che nel 31 a. C. Ottavia­
no Augusto, ad Azio, vinse in battaglia navale Antonio, l'amante di
Cleopatra e che, dopo il di lui suicidio, anche la regina d 'Egitto, che
Antonio aveva proclamato "Iside" e sovrana d' oriente, si uccise con
un serpente. È Augusto, quindi, colui al quale "lo spirito della storia"
affida "la riedificazione dell'impero", ed è "dal suo pensiero occiden­
tale che prende avvio l'odierna cultura".
Ma soprattutto c'è Giulio Cesare. Ricordiamo che lui ed Augusto,
per sostenere il prestigio di sovrani, si appellavano spesso alla propria
divina discendenza da Venere. Eppure il grande Giulio cancella l'e­
redità di tale eterismo e di lui si dice: "Se pur la culla della sua stirpe
era in Asia, ciò nonostante da figlio dell 'Mrodite orientale si era tra­
sformato nel creatore e signore dell'impero occidentale. Cesare è l' e­
roe occidentale per eccellenza e la Roma imperiale da lui fondata è
completamente costruita sull 'occidente e di conseguenza è rimasta a
lui congiunta per due millenni."
La crudeltà di Cesare, il suo isterismo, il suo ruolo di sterminatore
di intere tribù di Celti non hanno alcun peso. "La mancanza di ri­
guardo con la quale la città sul Tevere" affermò "il proprio concetto
di stato al di sopra delle norme religiose, la paternità al di sopra della
maternità", vengono accantonate, e "la severità di certe disposizioni

199
CAPITOLO X

romane" giustificate dalla legge storica dell'evoluzione superiore del­


l 'umanità, che "si realizza solo nella lotta dei contrari". Per questa
battaglia, tuttavia, vale il criterio che "ogni passo dell'evoluzione ro­
mana è una vittoria della pura concezione di vita dello spirito occi­
dentale."
Vediamo guizzare il serpente della madre, al quale Apollo spicca
la testa. È stato però dimostrato che il puro dio della luce non esiste,
così come non esiste la pura spiritualità maschile o la più pura conce­
zione di vita di un patriarcato improntato al cesarismo occidentale.
Si potrebbero scrivere ancora pagine e pagine sul disprezzo di Ba­
chofen per il "matriarcato" e sui suoi inni agli eroi maschili tra i qua­
li, anche nell 'opera principale, annovera Eracle, "Il vincitore delle
femmine, lo stenninatore delle Amazzoni".
Paradossalmente le femministe si rifanno sempre solo alla descri­
zione di Bachofen dell'antica ginecocrazia e sorvolano, ciò facendo,
sulla contradditorietà della sua valutazione e sul complesso di eteri­
smo di questo studioso di altissima cultura, dinanzi al quale le civiltà
matriarcali cadono sacrificate come fossero fiori di palude di origine
orientale. Mentre è proprio questo tratto che potrebbe offrire le ar­
mi più affilate ai nemici (o alle nemiche) della violenza patriarcale.

200
CAPITOLO XI

Le amazzoni, creature di un 'epoca di transizione

Le lotte tra i sessi nello scontro tra culture matriarcali e società


maschili a struttura patriarcale e le loro spedizioni di conquista trova­
no potente espressione nelle saghe delle Amazzoni. Sono solo leg­
gende, o sono esistite davvero le donne guerriere dell'Asia Minore
che, si narra, in epoca preistorica fondarono le loro città sulle rive
del Mar Nero? Gli eruditi ne discutono ancora oggi. I ricercatori più
moderni sono arrivati alla conclusione che "le Amazzoni non siano
mai esistite e che il mito della loro esistenza facesse il gioco dell'ideo­
logia patriarcale".!ll Altri invece sono meno scettici. Bachofen, che fi­
dava nel fatto che nelle leggende e nei miti si rispecchiassero realtà
storiche, nella sua esaltazione del patriarcato, pur essendo cosciente
di non potere addurre prove della loro reale esistenza, mosse appun­
to dali' esistenza del regno delle Amazzoni quale suo polo negativo.
Eppure: "Non una sola tradizione storica è stata mai provata." Egli
era certo che il regno delle Amazzoni fosse esistito davvero quale "gi­
necocrazia esasperata sino all 'innaturale, provocata da una corri­
spondente degenerazione del sesso maschile." Come prova gli servi­
vano le narrazioni degli antichi autori relative, ad esempio, ai prover­
biali misfatti delle donne dell'isola di Lemno.
Narra infatti la tradizione che le abitanti di Lemno abbiano tra­
scurato il servizio di Afrodite e che per castigo la dea le abbia punite
con la disodia; i loro uomini aborrirono le maleodoranti e si legaro­
no alle giovani prigioniere di guerra della vicina Tracia. Simile rifiu­
to incollerì talmente le abitanti dell 'isola che uccisero tutti i loro uo­
mini e da allora vissero come Amazzoni. "Così, allora Lemno fu go­
vernata dalle donne." scrive Apollodoro di Atene, erudito greco del n
secolo a.C.
Diversa è la storia delle donne Scite del nord dell 'Asia Minore.

201
CAPITOLO Xl

Secondo antichi racconti, dopo la morte in battaglia dei loro uomini


sulle rive del fiume Termodon, che sfocia nel Mar Nero presso Temi­
skira, imbracciarono personalmente le armi e vissero da Amazzoni.
Bachofen parla di "Sciami di vergini esperte nell'arte della guerra"
che, desiderose di conquista e vittoriose, si sarebbero riversate su tut­
ta l'Asia Anteriore sino a penetrare in Grecia, Italia e Gallia. A suo
parere, comunque, il loro fenomeno è sempre provocato da una de­
cadenza dell'uomo che non ottempera alla propria autentica voca­
zione. Con accenti che ricordano ideologie della storia recente, spie­
ga: "Escluso da guerra e rapina, l'uomo cade in un'esistenza che pare
spregevole alla donna stessa. L'Egizio siede al telaio, il Minio nella fu­
cina fuligginosa, il pastore della Locride prende il nome dall'odore
delle pelli di pecora. La donna invece, assurta al potere, privilegiata
da un diritto ereditario esclusivo, emerge al di sopra dell'uomo. La
donna potenzia la nobiltà della propria natura nella stessa misura in
cui, invece, quella dell'uomo sprofonda sotto l'influsso di una dupli­
ce umiliazione."121
La leggenda fa delle Amazzoni le figlie del dio della guerra Ares,
che di tanto in tanto indica loro il nome di stirpi i cui uomini con­
sente loro di soggiogare. Successivamente, una volta che quelli han­
no provveduto alla prole accoppiandosi, vengono impiegati come
schiavi o cacciati, sorte che tocca pure a tutti i figli maschi, cui vengo­
no spezzate le braccia o le articolazioni per renderli inabili alla guer­
ra. E questo è ancora l' approccio più delicato. Ritorna ripetutamente
l'accenno all'uccisione sia degli uomini dopo l'atto sessuale, sia di
tutta la prole maschile alla nascita. La Grande Dea delle Amazzoni è
Artemide. Ovunque le spedizioni di guerra portino le temute guer­
riere, quelle le erigono un tempio. Pare che anche l'Artemisia di Efe­
so, la settima meraviglia del mondo antico, fosse stato fondato dalle
Amazzoni. Si narra che le guerriere che uccidevano gli uomini sacri­
ficassero ad Artemide anche il seno destro perché non le ostacolasse
durante il tiro con l 'arco. La collana di testicoli di toro, che di questi
si trattava infatti, venne quindi interpretata anche come ghirlanda di
seni di Amazzoni appesa attorno all'immagine cultuale. Tutte queste
sono informazioni che possono venire benissimo relegate nel mondo
delle fiabe. Anche la derivazione del nome di Amazzoni dalla parola
greca "mazos", seno e di conseguenza "amazos", senza seno, non reg­
ge. Altrettanto a ragione ci si potrebbe riallacciare al vocabolo greco
"maza", orzo, ed "amaza" senza orzo, dato che le Amazzoni che ren­
devano omaggio alla dea della caccia non cuocevano pane.
Tuttavia non mancano testimonianze di un legame tra le Amazzo­
ni e il santuario efesino. Nell'area circostante l'altare del tempio so­
no stati ritrovati dei rilievi di Amazzoni, alcu_ni archeologi parlarono

202
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

addirittura di un "edificio delle Amazzoni" loro riservato, e c'è il so­


spetto che nell'Artemisia fosse stata eretta una figura di Amazzone
particolarmente bella, scolpita dal famoso Fidia in occasione della
pace di Callia - dal nome del ricco ateniese che in veste di capo lega­
zione l'aveva stipulata a Susa nel 449 a.C. col re persiano Artaserse L
Si tratta della statua che vinse il primo premio nella gara tra cinque
scultori: Fidia, Policleto, Cresila, Cidone e Fradmone, di cui riferisce
Plinio il Vecchio.
Dato che in tempi antichi le Amazzoni in fuga dalla Grecia trova­
rono protezione nel tempio di Artemide, in armeno la parola "Amaz­
zone" significa ancor oggi "Donna lunare"!
Nell'immaginario dei popoli antichi, comunque, le Amazzoni ave­
vano un ruolo importante, soprattutto tra i greci. Chi riusciva ad ave­
re ragione delle loro schiere poteva annoverarsi tra i grandi eroi del­
l'Olimpo. Dal VII secolo a.C. e soprattutto dal VI al 11, su numerosi vasi
e rilievi vennero raffigurati i combattimenti col battagliero popolo di
donne. Ne sono illustre esempio le Metope del tesoro di Atena di
Delfi (VI secolo) , il rilievo dello scudo di Atena Partenos di Atene (v
secolo) , il fregio del tempio di Apollo di Figalia (IV secolo) , le scultu­
re del frontone del tempio di Esculapio di Epidauro (IV secolo ) , il
fregio del mausoleo di Alicarnasso, la patria di Erodoto (IV secolo) e
l'Artemisia di Magnesia sul Meandro (11 secolo) , che raggiunse la fa­
ma grazie all'epifania di Artemide, la sua apparizione del 221 a.C.
Berta Eckstein-Diener, l'autrice nota col nome di Sir Galahad, il
nome dell'ultimo cavaliere del Gral della leggenda di Artù, riassume
in modo addirittura innodico la fama postuma delle Amazzoni: "I lo­
ro nomi si trovano su costellazioni e sarcofagi, nelle odi pindariche
saltano sui loro stalloni, con Eschilo ed Euripide marciano attraverso
la tragedia, fluiscono dal pennello di Micone sulle pareti della Stoa
Poikile, il salone delle feste di Atene. Valorizzano i due massimi san­
tuari nazionali scolpite da Fidia sullo scudo di Atena Partenos e sul
trono di Zeus Olimpio. Per un intero millennio non ci fu miglior
complimento per un uomo che chiamarlo 'Amazzone ' . Per onorare
l'imperatore Commodo, in occasione di giochi pubblici il popolo gli
gridò: Sei il signore del mondo, il primo dei principi, la fortuna delle
tue armi è ovunque, la tua fama assomiglia a quella delle Amazzo­
ni". m
Il tema dell"'Arnazonomachia" della battaglia delle Amazzoni ri­
mase vivo sino all'epoca della Roma imperiale, venendo spesso ripro­
posto dagli scultori d'arte sacra in scene drammatiche. Nude, coi ca­
pelli al vento, spesso inguainate in pantaloni aderenti, indossando
giubbe che lasciavano il seno scoperto e berretti frigi, le donne sel­
vagge combattevano su veloci cavalli. Oltre che l'arco e le frecce, le

203
CAPITOLO XI

loro anni erano la spada e l'affilata scure a doppio taglio. Lo scudo


aveva la forma della mezzaluna. Racconti greci parlano della vittoria
delle Amazzoni sulle tribù montane albanesi e su intere popolazioni
del Caucaso, della sottomissione di grandi zone dell'Asia Minore e
della conquista di Babilonia nel 1 600 a. C. ad opera delle guerriere
smaniose di conquiste. La loro capitale era Temischira, da dove due
regine con pari diritti governavano il popolo di donne .
Simili racconti, anche se frutto dell'antico piacere di fabulare,
non possono non avere un fondamento storico. Oggi persino gli sto­
rici conservatori non escludono più la possibilità che nelle amazono­
machie si riflettessero antiche collisioni tra popolazioni patriarcali e
tribù matriarcali. Nel mito greco Eracle si presenta nella veste di ne­
mico delle Amazzoni. La sua dodicesima fatica fu la vittoria sulla regi­
na Ippolita, alla quale rubò la sontuosa cintura, dono di Ares. Si nar­
ra pure che trascinò la regina delle Amazzoni in Grecia per venderla
a Teseo, che all'epoca governava Atene. Ecco che affiora di nuovo il
ricordo degli storici ratti di donne. In questo contesto il regno delle
Amazzoni andrebbe inteso come una "forma di reazione" alla brutale
forza maschile e non come risultato di un'effeminatezza dell'uomo,
come supponeva Bachofen.
In altre versioni Teseo viene presentato come il personale vincito­
re delle Amazzoni, che cattura Ippolita e la trascina ad Atene. Succes­
sivamente le Amazzoni, sotto la guida di Oreitia, la loro seconda regi­
na, vincono la città e occupano l'acropoli. Un'altra versione ancora
narra dell'amore di Oreitia per Teseo, che ella segue addirittura in
battaglia contro le proprie compagne. Anche nelle Eumenidi si parla
delle Amazzoni. Quando nella tragedia Atena stabilisce che l'Areopa­
go sia il tribunale della futura città, ricorda:

"Quanto al colle d'Ares, un tempo sede e campo


Delle Amazzoni allorché sopraggiunsero piene d'ira
Contro Teseo a recare guerra
E codesta nuova città di torri alte munendola,
Alla città di prima contrapposero
E la consacrarono ad Ares, il nome del quale
Ora la rupe porta: Areopago - su esso si fonda
Il timore dei cittadini. .. . Hl
"

A quel tempo però le Amazzoni erano da lungo tempo sconfitte,


e nel dramma di Eschilo Atena può proclamare nella propria città -
come Apollo a Delfi - il nuovo diritto patriarcale. Nella filosofia duali­
stica di Bachofen si legge: "Alla lotta contro le Amazzoni si ricollega
l'introduzione del patriarcato. Il pri l}cipio lunare amazzonico viene

204
LE AMAZZONI. CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

annientato dalle forze della luce, la donna restituita alla sua funzione
naturale e il diritto spirituale del padre conquista per sempre la si­
gnoria sul materiale potere della Madre",<'> Bachofen collega soprat­
tutto alla figura di Ippolita il passaggio dal matriarcato al patriarcato;
fu infatti l'unica tra le donne di Lemno che si oppose all'assassinio
del proprio padre. In ella il mito sottintenderebbe che "la fine della
ginecocrazia derivò proprio dalla sua massima realizzazione. In mez­
zo a quelle donne bramose di sangue la regina si presenta intenta ad
inseguire un amore innocente e infantile, visione che all'immagine
di eroica grandezza amazzonica affianca l ' altra più femminile di
amore e dolcezza".<">
Famosa - anche ad opera del terribile e grandioso dramma di
Heinrich von Kleist - è la regina delle Amazzoni, Pentesilea. Secondo
la leggenda andò in aiuto ai troiani durante l'assedio posto alla loro
città dai greci patriarcali. Il suo esercito di donne venne però sconfit­
to ed ella stessa trovò la morte per mano di Achille. Nell'Iliade di
Omero il fulgido eroe la uccise nel tempio di Apollo e ne violentò il
cadavere. Quando Tersite lo biasima per quest'azione vergognosa,
uccide anche lui. Simili atrocità dell'inventario culturale dell'occi­
dente sono state negate sino ai giorni nostri sotto l'egida dell 'eroi­
smo maschile. Anche Bachofen vela questa scena tra Achille e Pente­
silea con le eufemistiche espressioni della sua ideologia patriarcale
ebbra di luce. Nella sua opera principale essa appare armoniosamen­
te inserita in quei momenti della leggenda delle Amazzoni in cui "la
guerra" si trasforma "in un rapporto d'amore" e la battaglia si con­
clude "con l'accordo". Nelle descrizioni che si adeguano a questo
modello la "vergine amazzonica" soggiogata segue poi anche volen­
tieri "l'eroe maschile del quale riconosce la natura superiore". Analo­
gamente in un altro passo: "Nell'eroe vittorioso la donna riconosce la
forza superiore e la bellezza dell'uomo"Y> In simili frasi del grande
erudito si articola una rimozione vecchia di secoli della cultura fem­
minile per la difesa della quale un tempo le donne, tormentate, sfrut­
tate o trattate come merce dal vincitore patriarcale, si sono forse dav­
vero mosse come Amazzoni per difendersi.
Christa Wolf ha esaminato senza compromessi la fatale ideologia
patriarcale, staccandosi da schemi logici tradizionali. Prendendo le
distanze dal famoso poema epico di Omero, osserva: "Le prime de­
scrizioni della letteratura occidentale sono descrizioni di battaglie,
descrizioni di combattimenti, di strumenti da combattimento: lo scu­
do di Achille. Ho capito con chiarezza che non mi posso riallacciare
ad esse. La mia tradizione non può essere quella. Un inno sulla bel­
lezza di un missile atomico è impensabile".<•> Coerentemente nella
Cassandra della Wolf, Achille viene sempre indicato solo come quel-

205
CAPITOLO XI

l "'animale", quel "lascivo animale" che oltraggia la defunta Pentesi­


lea , come l "'animale" che, a detta di Omero, fa trascinare a morte da
un cavallo il suo nemico Ettore.
Owiamente negli antichi racconti neppure le Amazzoni trattano
con garbo i loro awersari uomini. Ma non dobbiamo dimen ticare
che a redigerli sono stati degli uomini, anche se dopo la sconfitta
onoravano le leggendarie guerriere con artistiche rappresentazioni,
con l'ulteriore scopo di presentare il mondo patriarcale come quello
più umano.
Le orme delle Amazzoni non si perdono nell 'antichità. Abbiamo
notizia dell'esistenza, in America del Sud, di associazioni di Amazzo­
ni contro le quali, nel XVI secolo, si ritrovò a combattere il conquista­
dor spagnolo Francisco de Orellana. Lo riferisce il domenicano Ga­
spar de Carvajal, che accompagnava il truce conquistatore. In base al­
le annotazioni del monaco "Orellana uccise molti indios, tra cui sette
o otto guerriere, a loro sparò, altre le impiccò e appiccò fuoco alle
loro case." Quella fu "la prima irruzione della 'civiltà' nell'esistenza,
sino a quel momento armoniosa, degli abitanti della foresta" come
osserva Heydecker, che riassume la relazione di Carvajal sulle "signo­
re bianche" che vivevano senza uomini nella zona del Rio dellajamu­
nadà: "Al di sopra di tutte c'era una sovrana che godeva di grande ri­
spetto persino tra le altre tribù indiane della zona. Carvajal annotò
addirittura il nome locale attribuito alle guerriere: Coniupuiara. Egli
però le chiamò 'Amazzoni' perché a lui e ai suoi lettori europei era
più familiare tale definizione di donne combattenti". 1"' Questa l'origi­
ne del nome del fiume, secondo per grandezza in tutto il mondo:
Rio de las Amazonas. Su questo fatto attirò l'attenzione anche Sir
Walter Raleigh, il favorito della regina Elisabetta I d'Inghilterra, che
nelle sue numerose spedizioni di pirateria e scoperta era giunto sino
alle coste della Guayana. Egli riferisce che il popolo confinante ad est
col regno di Guayana è costituito da Amazzoni educate all'arte della
guerra, che in battaglia si rivelano "tremende e sanguinarie". In base
alle sue informazioni, però, quando non combattevano, quelle guer­
riere avevano tratti molto umani. Una volta l'anno, "in aprile, dico­
no" vengono visitate dai capi del vicinato ai fini della procreazione.
"Restano assieme un mese, si divertono, danzano, saltano e bevono
assieme secondo le loro usanze; scaduto il mese ognuno torna alla
propria terra. Così le donne restano gravide e ogni volta che genera­
no un maschio lo rimandano al padre; se è una bimba la trattengono
presso di loro, la educano e al padre mandano molti doni in segno di
gratitudine. Hanno molto oro, che ricevono dai vicini in cambio di
alcune pietre verdi". 110'
Raleigh, però, non ha visto di persona le Amazzoni. L'awenturie-

206
LE AMAZZONI. CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

ro al servizio della corona inglese, noto anche come poeta, storico e


scienziato - venne giustiziato nel 1 6 1 8 sotto Giacomo I per alto tradi­
mento - non fu l'unico a cercare le Amazzoni. Tutti i curiosi, comun­
que, incapparono solo nelle asserzioni degli indigeni in base alle
quali, sul continente americano, sino al XVII secolo vissero molte
tribù di donne. Esse non vengono descritte quali selvagge, ma come
abili costruttrici di città e sovrane rispettate dagli uomini.
Per quanto enigmatiche siano queste Amazzoni americane, si in­
seriscono perfettamente nell'ambiente indio. Se pure là non c 'era
un 'Artemide, della quali avrebbero potuto essere seguaci, tuttavia tra
gli indios, e non solo tra quelli dell'America del Sud, al centro della
venerazione religiosa c'è la "Madre terra". Indicativa in tal senso è la
risposta di un capo indiano della tribù dei Duwanisch di Seattle ad
un'"offerta", fattagli nel 1 855 dal presidente degli Stati Uniti Pierce,
di comprare terra per i coloni bianchi. Nel corso di un lungo discor­
so, tra altre osservazioni, disse: "Noi siamo una parte della terra ed
essa è parte di noi ... Se vi vendiamo la terra, dovete sapere che è sa­
cra e insegnare ai vostri figli che è sacra... Tutte le cose sono connes­
se tra loro. Ciò che colpisce la terra, colpisce pure i figli della terra...
la terra è nostra Madre". 1"l
Anche se l'autenticità di questo discorso viene contestata, tuttavia
esso esprime in modo tipico quanto gli indiani fossero radicati in
un 'unica fede nella Grande Madre. Rispetto ad esso i rappresentanti
delle religioni patriarcali impersonano lo spirito distruttivo di una
volontà di conquista volta a sfruttare la natura. Questo vale ancora ai
giorni nostri. Così, ad esempio, fa notare, sottolineando tali differen­
ze, il chitarrista rock, compositore e attore indio John Trudell, impe­
gnato nella resistenza contro la brutale espropriazione e lo sfrutta­
mento del territorio indiano per l'estrazione mineraria a vantaggio
dell'industria hig-tech. Nel corso di una seduta del tribunale tenutasi
a Salisburgo nel 1992 per evitare l'estrazione di uranio in Canada e
la migrazione forzata degli indiani ivi residenti, in un 'intervista con­
cessa a un giornale, al giornalista che gli chiese se almeno gli ecologi­
sti bianchi si affiancassero agli indiani nella lotta, Trudell rispose:
"Abbiamo alcuni aspetti in comune, ma prima di poter diven tare
partner, gli ecologisti devono cambiare modo di pensare. Il loro im­
pegno si fonda sulla paura, paura della morte, e non sull'apprezza­
mento della vita. E sinché il movimento ecologico si basa sul timore,
non ha forza ... Noi indiani, invece, siamo figli della terra".112l
Quest'ammissione sostiene la fede nell'eternità della vita, che di
generazione in generazione viene sempre rinnovata dal corpo mater­
no della terra. Si fonda su un mondo concettuale matriarcale e cicli­
co che protegge dalle paure della morte, alle quali gli appartenenti a

207
CAPITOLO X!

culture orientate verso un progresso lineare, volte a obiettivi remoti,


sono evidentemente più soggette. L'etnologo americano Lewis H.
Morgan - la cui opera, con quella di Bachofen e di Engels, è una del­
le tre fonti principali del XIX secolo dei moderni studi sul matriarcato
- individuò strutture sociali matriarcali anche tra gli lrochesi. Essi ri­
tengono che i figli siano legati da vincoli di parentela solo con la fa­
miglia della madre, una matrilinearità il cui effetto, tra quelle tribù
indiane degli Stati Uniti nord orientali, si ripercuoteva anche sulla vi­
ta politica. Sulla base di simili tradizioni il potere delle Amazzoni, sia
quello di cui riferisce Carvajal che altri che scrissero sull'America del
Sud, potrebbe senz'altro venire inteso come l'ultimo bastione della
difesa dei valori matriarcali dall'assalto del desiderio di conquista ma­
schile. Tuttavia pare che, a parte quello dell'uomo bianco, un assalto
del genere non ci sia mai stato. Le culture indiane, anche se rappre­
sentate da capi uomini, si contraddistinguono per l' iden tificazione
dei propri sostenitori con la "Madre Terra" della quale si ritengono
"figli". Per questo le Amazzoni del nostro secolo, le femministe mili­
tanti, le citano volen tieri come modello di un pensiero alternativo al
mondo metatecnico e senz'anima d 'impronta maschile e alla conse­
guente distruzione della natura. Nel "simbolismo di una divinità fem­
minile" quale quello rintracciabile n ella "Madre Terra", femminismo
ed ecologia s'intrecciano. "Recentemente ho sentito dire da una in­
diana americana" scrive C. Christ "che il primo comandamento del
femminismo dovrebbe recitare: 'La terra è nostra madre. Non devi
deturpare tua madre.' Il rispetto della terra e la solennizzazione del
nostro legame con essa non contraddirebbero il femminismo. E in
questo concordo di tutto cuore con lei. Credo infatti che la separa­
zione del divino dalla natura sia una delle cause fondamentali della
crisi ecologica e nucleare che minaccia di annientarci tutti." L'autri­
ce, consapevole pure "che il divino non è né maschile né femminile
e che uomini, terra e spirito sono legati sia tra loro che alle donne"
sottolinea: "Per me la dea, l'aspetto femminile della divinità, è simbo­
lo della capacità di sopravvivenza della terra e delle donne. Ed io cre­
do che i riti coi quali celebriamo il nostro legame ai tempi dell'anno
solare e delle fasi lunari ci ricordino la nostra finitezza, il nostro esse­
re allacciati assieme e la nostra dipendenza da qualsiasi forma di vita
di questo pianeta. Spero e prego continuamente per la sopravvivenza
di noi tutti". 031
In definitiva, ciò che i gruppi di Amazzoni cercarono forse effetti­
vamente di difendere millenni fa, - per quanto contraddittorio possa
suonare rispetto al lorq contegno guerresco - deve essere stato il divi­
no nell'aspetto del materno, un senso religioso di base mai completa­
mente morto e che ai giorni nostri urge con forza nuova per riaffio-

208
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

rare alla luce. Questa entità nutrita dall'archetipo del femminile si


oppone a un asservimento dittatoriale e contraddice pure l'arrogan­
za delle ideologie maschiliste d'impronta bachofeniana.
Nel corso dell' attuale ricerca di significato del religioso anche "di­
menticate immagini bibliche di Dio" - così recita il libro Gott eine
Frau? (Dio è una donna?) di Virginia R. Mollenkott - vengono quindi
riscoperte ed esaminate alla ricerca di elementi femminili. Non c'è
da stupirsi se in questo iter il pendolo oscilla da una posizione estre­
ma all'altra, cosa che però non awiene nell' opera della teologa cri­
stiano-femminista statunitense. Quello che a lei interessa è armoniz­
zare la società e le personalità dilaniate, comporre la guerra dei sessi
nella consapevolezza deli' esistenza di "un Dio che trascende al con­
tempo sia il femminile che il maschile riunendoli in sé ... ". La questio­
ne della femminilità di Dio, rispetto all'ammissione di una simile
equivalenza è almeno altrettanto giustificata quanto la postulazione
de li' esclusiva mascolinità divina.
Talmente importante è il senso religioso di base della maternità
di Dio, che Anselmo di Canterbury, il "padre della scolastica" ( 1 083-
1 1 09) preferiva parlare della "Madre Gesù". Col che non faceva che
ripetere ciò che tra l' altro facevano già nel II e m secolo lo scrittore
cristiano greco Origene (verso il 1 85-254) e il Padre della Chiesa Ire­
neo (morto intorno al 200) , vescovo di Lione e di Vienne, quando
indicavano Cristo come madre. Va ricordato anche Sinesio di Cirene,
vissuto agli inizi del v secolo. Figlio di una nobile famiglia ellenica,
quel filosofo e poeta di scuola neoplatonica fu vescovo di Tolemaide,
in Libia, e al contempo marito e padre di tre figli. Di Cristo disse:
"Tu sei padre, sei madre, sei maschile e femminile". il<)
Quale ultimo esempio tratto dal tesoro dell 'iconografia femmini­
le dimenticata e rimossa che Mollenkott ha fatto riemergere scavan­
do nella Bibbia e negli scritti di uomini di Chiesa, ci sono ancora gli
importanti Padri della Chiesa, i greci Clemente di Alessandria (verso
il 1 50 - prima del 215) e Giovanni Crisostomo (verso 345-407) . Cle­
mente, direttore della scuola teologica di Alessandria, nel suo scritto
Paidagogos si dilunga esaurientemente sulla maternità di Dio e osser­
va in proposito: "Attraverso il suo amore il padre è diventato un'en­
tità materna". Per "i suoi piccoli" è quindi "padre e madre" al con­
tempo. Nelle annotazioni sul battesimo di Giovanni Crisostomo, d'al­
tro canto, c'è questa similitudine: "Esattamente come un donna nu­
tre i figli col suo sangue e col suo latte, così anche Cristo nutre conti­
nuamente col suo sangue coloro che ha generato". 1 151
Owiamente simili immagini di Dio non avevano la forza necessa­
ria per affermarsi contro le tendenze misogine della tradizione giu-

209
CAPITOLO XI

daico-cristiana. Così alcuni pii monaci che si identificavano con la


Chiesa e, per essere legati il più intimamente possibile al proprio Dio
in mistica unione, si ritenevano "sposi di Cristo", dinanzi a qualsiasi
donna in carne ed ossa si spaventavano come per un incontro perso­
nale col diavolo, del quale ritenevano quella incarnasse le panie. Da
un simile atteggiamento, che difficilmente può venire definito spiri­
tuale, si è sviluppata l'epidemia della caccia alle streghe. Nel migliore
dei casi la maternità di Dio era un aspetto della sua natura. Ad essa si
contrapponeva quella della sua paternità, che diventava sorgente di
un nutrimento spirituale, molto più apprezzato di quello "esclusiva­
mente" fisico della madre. Quadro analogo fornisce la religione mo­
saica. L'unica ad emergere a vantaggio della donna dall'interno della
sua severa struttura patriarcale fu la stima di cui godeva in quanto
madre, educatrice dei figli e custode del focolare. Apprezzamento
che le conferisce addirittura un alto prestigio sociale, anche se per
contro non viene ritenuta degna di celebrare la liturgia. Anche a lei,
come alle sue sorelle cristiane, viene negato il sacerdozio. Per questo
motivo la donna ebrea - e le nuove sinagoghe riformate costituiscono
in questo un'eccezione - per considerazioni rituali, ad esempio per la
sua "impurità", in sinagoga deve accontentarsi di un posto di secon­
do piano. Eppure è la donna, la madre, che determina l' appartenen­
za ad Israele e alla sua religione. A questo può avere contribuito la n­
valutazione simbolica acquisita nel corso del tempo come "figlia di
Sion" che impersonifica Gerusalemme e la comunità d'Israele. In tal
senso, analogamente alla Chiesa cattolica, considerata "sposa di Cri­
sto", ha una sorta di rapporto matrimoniale o di amore con Dio. An­
che se rispetto al suo superiore principio spirituale, resta sempre la
"sottomessa". Fondamentalmente, anche se gode di considerazione
sociale, viene sempre assegnata all'uomo come un "'assistente" che lo
aiuta. Contro l'apparente sovranità della donna ebrea hanno già pre­
so posizione le femministe del XIX secolo. In tempi molto più recenti,
nel marzo 1 993, Shear Jeshuv Cohen, rabbino capo di Haifa, ha ordi­
nato l'eliminazione dall'ebraismo ortodosso dei testi di preghiera mi­
sogini, sostenendo che era tempo di modificare il passo della pre­
ghiera quotidiana che recita: "Che tu sia lodato, o Dio, per non aver­
mi creato donna."
Consolante risuona il Cantico dei cantici di Salomone, scritto nel I
millennio a.C., che singolarmente ha trovato collocazione nell'Anti­
co Testamento. Molteplici sono le interpretazioni di questa raccolta
di canti d'amore. Si tratta di un accenno cifrato all'amore tra il Dio
d' Israele e il suo popolo? Del desiderio, trasformato in lirica, dell'a­
nima per il proprio degno amante? Di un canto d'amore per la "Ma­
dre Terra" eseguito in duetto con un compagno maschile? Di una

210
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

canzone rituale cantata da Ishtar e Tamuz quale preludio delle loro


sacre nozze? In ogni caso questa elevata composizione tramanda la
memoria di un potere matriarcale, dell'enigma del femminile, in
particolare nel VI capitolo, ad esempio, che recita:

"Chi è che avanza come


L'aurora, bella come la luna,
Eletta come il sole, tremenda
Come esercito schierato?"

Ricchezza erotica e incanto afrodisiaco impregnano questo canto


del re di Giuda e di Israele. Nel dialogo degli amanti (VII capitolo)
compaiono questi versi:

"Quanto sono belli i tuoi piedi


Nei sandali, figlia di principe! Le curve dei tuoi
Fianchi sono simili a monili
Opera delle mani di un artista.
Il tuo grembo è una rotonda
Coppa, alla quale non manca mai bevanda.
Il tuo corpo è come un cumulo di grano,
attorniato da rose".

Oppure, già al I capitolo, la voce della donna:

"Per me mazzetto di mirra è il mio diletto,


posato tra i miei seni.
Per me grappolo di cipro
È il mio diletto nelle vigne di En-Gaddi.
Quanto sei bello, o mio diletto,
Quanto sei dolce. Il nostro letto è verdeggiante
Le travi della nostra casa sono i cedri,
I cipressi le pareti".

Sogni paradisiaci di un'armonia tra i sessi all'insegna dell'amore.


Uomo e donna con gli stessi diritti in un'aura di bellezza e di pro­
messa fisica, alla quale corrisponde la perfezioni di una natura che
non è stata discriminata né dalla coscienza del peccato, né dal duali­
smo spirito-materia. Un sogno immortale proveniente dall'infanzia
della vita umana. E quando, in tempi di trasformazione, prende cor­
po l'amazonomachia, la reazione allo stupro patriarcale, questo so­
gno resta, quanto meno all'insaputa delle seguaci della Grande Dea,
quale segno distintivo del loro desiderio. Questo esprimono i raccon­
ti nei quali i combattimenti delle Amazzoni si trasmutano in rapporti
d'amore, non il desiderio della vergine amazzone per la superiore

211
CAPITOLO XI

natura del maschio eroe. Anche se tutte le narrazioni relative a popo­


li di donne armate e alle loro guerriere omicide esistenti nei tempi
preistorici fossero state inventate solo dagli uomini allo scopo di giu­
stificare l' evoluzione del patriarcato, dovrebbe essere frutto della lot­
ta contro culture per le quali tale sogno, anche solo come speranza
utopica, era sacro. Tuttavia è sempre stato possibile sognare solo !ad­
dove la sacralità della natura era stata preservata e gli esseri umani si
sentivano figli della "Madre terra". Molte delle antiche personifica­
zioni di divinità erano, sessualmente, androgine. Questo vale per Ea,
il misterioso dio creatore dei babilonesi, padre e madre, uomo e
donna al contempo, per la germanica Fj orgyn dell'Edda, identica alla
Dea della Terra, Jord, recante in sé in germe l' antico dio nordico del
cielo e futuro Odino. Originariamente anche il primo Adamo, il pri­
mo "uomo" biblico, il cui nome però è connesso pure al vocabolo
ebraico "ad ama", la "rossa terra arata", la terra fertile quindi, secon­
do antiche tradizioni rabbiniche, le Midrasch raccolte parallelamente
alla Bibbia ufficiale, era una creatura duplice, uomo e donna. Poi
però venne scisso da Dio in due metà. Analogamente anche l'antico
dio romano Giano bifronte, il dio della porta, dell 'entrata e dell' usci­
ta, dell'inizio e della fine, può riannodarsi a rappresentazioni andro­
gine. Per contro, in Oceania, un'arcaica statua votiva reca sul lato an­
teriore caratteri sessuali femminili, su quello posteriore, caratteri ma­
schili e in Cambogia, ancora nel XIV secolo, una divinità indiana fem­
minile viene rappresentata col lingam, l' organo sessuale maschile -
espressione di unità sessuale e simbolo della libido. Stessa accezione
ha il simbolo indiano di Schakti, che va inteso come energia creativa
femminile manifestantesi in molteplici figure di divinità, ad esempio
nelle sembianze di Parvati, Durga o Kalì. Anche l' esagono della stella
ebraica di Davi d consta di due triangoli incastrati l'uno n eli 'altro
uno dei quali, con la punta volta verso il basso, rappresenta Yoni (la
vulva) e quello eretto a piramide il lingam (il fallo ) .

Arcaiche figure votive androgine dell'Oceania.

212
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

Persino nell'Apocalisse di Giovanni, nella piccola isola rocciosa di


Patmo, non lontano dalle coste dell 'Asia Minore, ove era stato man­
dato in esilio verso la fine del I secolo, il visionario vede "un nuovo
cielo e una nuova terra" simbolo della sacra unione dei due sessi.
"Rallegriamoci, esultiamo" dice in uno dei passi consolanti e pieni di
speranza dell'Apocalisse, "perché sono giunte le nozze dell'agnello e
la sua sposa s'è già preparata" (Ap. 19, 7) . È l'unione di Cristo con la
rinata madre Terra. Su di un "grande monte elevato" - come la Ma­
dre Terra dei cretesi - compare poi anche la nuova, santa Gerusalem­
me, il beato stato finale di tutti i tempi al di là del primo mondo cor­
rotto e tramontato, come "sposa adorna", come "sposa dell'agnello".
Allora non ci sarà più nessun peccato, nessuna paura della morte,
nessun dilaniamento dell' essere umano "e Dio asciugherà ogni lacri­
ma dai loro occhi, e non vi sarà più morte, né lutto, né grido, né do­
lore .. " (Ap. 2 1 , 1-9) . Nella storia di Giovanni del "nuovo cielo" e della
"nuova terra" tutti gli ambiti esistenziali, i voli e i legami con la terra,
paternità e maternità, sono riuniti in un'immagine di sublime fem­
minilità. "Vieni, ti mostrerò la sposa, la consorte dell'agnello" dice
uno dei sette angeli all'uomo di Patmo e gli mostra "la grande città,
la santa Gerusalemme, che scendeva dal cielo da presso Dio, nella
gloria stessa di Dio. E il suo splendore era simile a pietra assai prezio­
sa come sacro diaspro" (Ap. 2 1 , l 0-1 1 ) .
L'archetipo del Grande Femminino è così potente che pervade
persino una teologia nata da concezioni squisitamente patriarcali,
per eliminare e riunire in sé, per l' istante di un'illuminazione, la po­
larità di uomo e donna, sopra e sotto, spirito e materia. Alla sua luce
la città beata della nuova Gerusalemme, la "sposa adorna", viene poi
guardata anche nella "magnificenza di Dio" attraverso le immagini di
un simbolismo che non corrisponde assolutamente solo a una divi­
nità maschile, ma anche, e intimamente, a una divinità femminile. In
definitiva qui l'immagine della Madre si fonde in tutta la sua potenza
creatrice con "l'agnello". In queste nozze si compie un nuovo hiero­
sgamos nel segno della gioia, di quella gioia che segue la morte sacri­
ficale di Cristo sull'albero della vita.
Immortali sono i sogni paradisiaci dell'umanità, che aspira a una
vita simile a quella degli dèi, trascorsa in amorosa concordia, sia che
si ricolleghino all'utopia di un lontano futuro che a quella di una tra­
montata età dell'oro. Tutti però sono improntati a un desiderio di
protezione e di maternità. Soprattutto i poeti l 'hanno sempre invoca­
ta all'insegna della Grande Madre, della "Madre Terra" o della "Ma­
dre Natura". In questa sede non si può non ascoltare la voce di uno
dei grandi, Friedrich Holderlin ( 1 770-1 843) .
Per lui, uno dei più infelici geni del firmamento della letteratura,

213
CAPITOLO XI

la Natura era l'eterna, grande Madre e Dea. Quell'amante dell'armo­


nia, della bellezza e dell'amore si ritraeva nel suo grembo come nel
paradiso della propria infanzia. Contemporaneamente l ' idealista
conquistatore di mondi spirituali si vedeva affine alla sua maestà
creatrice. Nella poesia L'uomo scrive:

"Vorrebbe assomigliare alla Natura,


Alla madre degli dèi, che tutto abbraccia".

Ogni volta che Holderlin canta la natura intende essere tutt'uno


con la materna causa prima di ogni cosa creata, far parte di una co­
smica e divina armonia di amore e bellezza. La natura diventa così si­
nonimo della madre divina, che "dalla solitudine del tempo" lo "la­
scia cadere" lietamente tra le "braccia dell'infinito". Se pure l'inno
Alla natura è anche un canto di lutto per la gioventù perduta, si può
leggere anche come l'elegia di un'intera epoca sulla perdita dei valo­
ri matriarcali e della sensibilità delle antiche culture e religioni, nelle
quali gli esseri umani si riconoscevano ancora come fiori e frutti del­
l'albero della vita, come figli della madre natura, la cui divinità era
sacra e intangibile:

"Quando ancora giocavo col tuo velo,


E in te mi radicavo come un fiore,
E sentivo il tuo cuore in ogni suono,
Battere delicato con il mio,
Ed ero come te ricco di fede
E di richiami - guardavo la tua immagine,
Trovavo ancora un luogo per le lacrime,
Ancora un mondo per il mio amore!

E quando ancora mi volgevo al sole,


Come se ricevesse la mia voce,
E le stelle chiamavo mie sorelle,
La primavera musica di Dio,
E un vento che muoveva appena il bosco,
Il tuo spirito era e la tua gioia
Che muoveva le calme onde del cuore, -
Mi awolsero dawero giorni d'oro".

La divina melodia carpita alla primavera è un canto - comunque


molto idealizzato - a Madre Natura, dal quale, come si dice di segui­
to, simili ai "raccolti d'Arcadia", si dispiegano pure "i frutti dell'amo­
re regale". In essi Dio stesso ricompare come un'entità, sia materna
che paterna, al di sopra dei sessi.
Ma tutto ciò è andato perduto e l'inno di otto strofe composto
nell'estate 1 795 a Niirtingen termina con questi versi:

214
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

"Questo nei giorni lieti non provasti,


Come la patria tua ti è lontana,
Né mai, povero cuore, ne saprai
Se non ti basterà vederla in sogno".

Dato che questo sogno immortale ha per oggetto una maternità


di tipo divino, al di là di qualsiasi individuazione di carattere sessua­
le, non viene sognato solo da esseri umani di sesso femminile, o dife­
so, in momenti di cambiamento estremo, dalle Amazzoni, ma anche
da eroi maschili se, per una volta, non intendiamo come tali gli eroi
della spada, ma quelli dello spirito e della poesia. Così Goethe coro­
na la sua massima opera, il Faust, coi canto finale degli angeli del
"Chorus mysticus", che termina con le parole:

"L'Eterno Femminino,
Ci attrae verso l'alto".

La quin tessenza di un sapere esoterico della divina potenza libe­


ratrice e creatrice, che ha il suo fondamento nel "regno delle Madri",
ricompare anche nel ricco ciclo leggendario del poema di Artù, il cui
tema principale, noto in tutto il mondo, è la ricerca del sacro Gral.
Tutti gli eroi della Tavola Rotonda, incluso il loro famoso re, ricevo­
no il proprio destino dalle mani della donna. Tutti si sono votati alla
ricerca del Gral. Il Gral stesso, però, nella sua forma originaria celti­
co pre-cristiana, altro non è se non la donna divina, la Grande Dea vi­
sta nella sua forza creatrice e amorosa. Come nel mito irlandese il
"calice" di Erin fa rifiorire il paese in occasione delle sacre nozze con
Lug, così nelle saghe del Gral, tramite il medesimo "calice", il re ma­
lato e la terra sterile vengono liberati dalla sofferenza e fatti rifiorire
dalla "Grande Dea". Ancora nel tardo xrv secolo, quando la coppa
miracolosa del Gral si era da tempo ormai trasformata nel calice del­
l'Ultima Cena, contenente il sangue della redenzione di Cristo - pas­
saggio awenuto per la prima volta nel 1 200 nel romanzo del poeta
burgundo Robert de Boron - alcuni artisti italiani su un vassoio rap­
presentarono la Venere come Gral. In esso i cavalieri della Tavola
Rotonda Tristano e Lancillotto sono raffigurati in atto di rendere
omaggio alla dea dell'Amore, riuniti in cerchio assieme a quattro
eroi troiani. Inginocchiati nello scenario di un paesaggio paradisia­
co, verdeggiante di alberi di melograno, sopra i quali ella si libra in
una mandorla simboleggiante i genitali femminili, pregano la Vene­
re nuda attorno alla quale volteggiano due angeli. Ogni singolo eroe
è raggiunto da un fascio di raggi che si diparte dal grembo della dea.
Nella libertà di questa raffigurazione sacro-cavalleresca del Rinasci­
mento si estrinseca quella magìa del femminile di cui, in fondo, sono

215
CAPITOLO XI

pervase tutte le composizioni aventi per tema il Gral. A questa stre­


gua le differenti versioni del Parsifal trasmettono ancora messaggi
provenienti dal regno delle Madri. Questo poema, non limitato da
barriere spaziali o temporali, riflette, intrecciando oriente e occiden­
te, un arcaico patrimonio di pensiero matriarcale-religioso e la visio­
ne del mondo cristiana, la trasformazione profonda, frutto del pas­
saggio dal matriarcato al patriarcato, awenuto tanto tempo prima.
Parsifal abbandona - così recita il poema epico di Wolfram von
Eschenbach - il mondo protettivo e accogliente della Madre per se­
guire la cavalleria patriarcale, le cui armi splendenti lo abbagliano.
In un malinteso eroismo, nella sua "stoltezza" diventa due volte col­
pevole: in quanto uccisore che uccide il "cavaliere rosso" (per di più
un parente non riconosciuto) e ladro di cavalli che si impossessa del­
la sua armatura, e in quanto, nel rispetto della convenzionale durez­
za maschile, reprime ogni sentimento, perdendo l'occasione di porre
allo zio, il re del Gral Amforta che si sta lentamente spegnendo, la
domanda liberatoria sulle sue sofferenze. Grave quanto questa colpa
è comunque l'allontanamento di Parsifal dalla madre. Glielo spiega
il saggio eremita Trevrizent, un altro zio e fratello materno. Non per
nulla la madre di Parsifal si chiama Erzeloide* - la perdita del figlio
le arrecò dolore spezzandole il cuore. Chiara risulta qui la distinzio­
ne tra valori patriarcali e matriarcali. Tipico è pure l'intimo legame
esistente tra l'eroe e il fratello della madre, e quindi coi parenti ma­
terni. Questa costellazione non si ritrova solo nel ciclo di Artù, bensì
in tutta la Matière de Bretagne, il ciclo epico celtico-bretone. A questa
stregua, antiche strutture matrilineari sono soprawissute nel Medioe­
vo cristiano.
L'allontanamento di Parsifal dalla madre fu un distacco dai prin­
cipi della religione matriarcale, che tanto aveva influito sulla sua evo­
luzione psichica. Come gli insegna Kundry, la messaggera del Gral,
solo attraverso un processo di dolore, il "tumbe tor", lo "stolto" al
quale sono ormai estranei i valori fondamentali del matriarcato e il
cui cuore "ha perso ogni retto sentimento", conquista la maturità e il
regno del Gral. Egli ritrova il senso e la felicità della vita solo quando
ricorda le proprie radici materne. Ogni re del Gral è appunto un so­
vrano "che custodisce il recipiente, il simbolo della Madre".0">
Nel Buhnenweihfestspiel di Richard Wagner del 1 882, nel Parsi­
'
fai, che il musicista vedeva in stretto rapporto col mondo amoroso di
Tristano, la canzone della Madre risuona particolarmente comprensi-

* Herzeloyde, nome composto da Hm, cuore e Loyde che deriva da Leid, dolo­
re. [N.d.T.)

216
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

bile. Ancora una volta in essa il ricercatore del Gral si presenta come
un eroe matriarcale. Quando Parsifal viene a sapere che Erzeloide è
morta per il dolore che lui le ha procurato, viene (ovviamente in mo­
do operistico) sopraffatto dalla sofferenza:

"Ahimè! Ahimè! Che ho fatto? Dov'ero?


Madre! Dolce, amata madre!
Tuo figlio, tuo figlio doveva assassinarti!
O stolto! Stupido vacillante stolto!
Dove andavi errando, dimentico di lei­
Di te, di te dimentico
cara, amatissima madre!".

Persino nell 'opera di Wagner vive ancora tutta la magìa della pa­
rola "Madre", che va al di là della semplice relazione madre-figlio, ef­
fimera ed individuale. Nella pena per avere dimenticato la madre rie­
cheggia ancora il lutto per la perdita del paradiso della sicurezza ma­
triarcale. Qui "Madre" si trasmuta quasi ancora in Madre-universale,
in Natura, in divinità materna primigenia, come di fatto aweniva nei
poemi del Gral medievali.
Nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach (circa 1 1 70 dopo il -

1 220) donna Erzeloide splende simile a una dea nella luce della pro­
pria bellezza. Pare fosse circonfusa di chiarore persino una volta
spente tutte le candele: "vrou Herzeloyde gap den shin,/ waern erlo­
schen gar die kerzen sin,/ da waer doch lieht von ir genuoc." Ai suoi
tempi felici era come la luce del sole, ricolma di amore: "diu was als
diu sunne lieht/ und hete minnelichen li p". 07>
Tuttavia in questa composizione la madre di Parsifal è sia la sorel­
la del re del Gral, sia colei che porta il Gral, Repanse de Schoye suo­
na il suo nome, che significa "Sovrabbondanza di gioia", "Donatrice
di gioia". Il Gral può venire retto solo da lei, che è di bellezza divina
e il cui volto risplende come un fiore. Venticinque vergini di grande
leggiadria precedono Repanse de Schoye durante la processione del
Gral. Il Gral, simbolo dell 'umana aspirazione all'amore, bellezza, feli­
cità, gioia come pure all'assenza di dolore e di paura, è quindi nuova­
mente nelle mani della donna divina. Come nella raffigurazione ita­
liana, anche qui essa stessa diviene Gral.
L"'Eterno Femminino" non si manifesta solo nelle metafore lette­
rarie e nell 'arte figurativa. Interviene anche direttamente sulla vita
dei singoli. E ciò facendo si rafforza nella misura in cui la spaccatura
tra i sessi viene recepita come sofferenza e la società che ne deriva è
contraddistinta da un mondo lavorativo tecnocratico-patriarcale pri­
vo di significato esistenziale. In questa situazione le femministe di og­
gi, nella misura in cui si sentono ancora legate all'eredità cristiana,

217
CAPITOLO Xl

postulano appunto quella riforma della teologia che alla base della
propria immagine di Dio pone un tutto sovrasessuale. Ciò facendo, il
desiderio può portare a una "spiritualità amante del corpo" nella
quale, come consiglia l' eros gesuano, "la magìa bianca dell'incanta­
mento, e cioè dell'amore e dell' erotismo che incantano", riprende il
posto che pare occupasse un tempo negli evangeli gnostico-cristiani.
Questa nuova etica dell'amore propugnata dalla teologia femminista
rischia comunque solo di trasformare semplicemente le tradizioni
patriarcali nell 'esaltazione di una femminilità idealizzata. A questa
stregua, ad esempio, Elsa Sorge pensò subito di dover trascrivere tut­
te le beatitudini del discorso della montagna in versione femminista,
secondo cui la sesta suonerebbe così: "Beati coloro che sono protetti
dalla Grande Madre, giacché il suo amore è come una delicata carez­
za che non incatena, ma libera". os>
Un approccio tanto rivoluzionario ai testi biblici canonici evoca
appunto l 'immagine di una moderna amazonomachia nell'ambito
della tradizione teologica cristiano-patriarcale.
Diversamente Hòlderlin: l'ex-borsista dello Stift, noto collegio teolo­
gico di Tubinga che, ancor'oggi, prepara a spese dello Stato i teologi
del Wiirttemberg - dal quale sono usciti anche Mòrike, Hegel e Schel­
ling e, in tempi più recenti, Hesse - il discepolo della dottrina evangeli­
ca scambiò subito la tradizione cristiana con l'antico firmamento della
Grecia, quella terra che gli fu concesso "cercare con l'anima", ma mai
visitare di persona. Anche Hòlderlin patì per la frammentazione della
vita. È diventata famosa la sua "dura parola" sui tedeschi. Sollevandosi
al di sopra della disumanità della tendenza alla specializzazione, nel suo
romanzo epistolare Hyperion chiede: "Non è come un campo di batta­
glia dove mani e braccia e tutti gli arti giacciono smembrati l'uno sotto
l'altro, mentre il sangue sparso si disperde nella sabbia?"
Un mondo del genere era detestabile. Sinché non entrò nella sua
vita Susanne Gontard, l'avvenente e saggia moglie del banchiere di
Francoforte, presso la cui famiglia egli aveva l' incarico di precettore.
Ella diventa la sua dea e la sua musa col nome di Diotima - nome trat­
to dal Convivio di Platone, ove Socrate viene da lei ammaestrato sul­
l'essenza dell 'amore. L'intensità dell'incanto con cui da quel mo­
mento in poi, attraverso quella donna, sul poeta operò ! "'Eterno
Femminino", risvegliando sogni di paradiso e d 'infanzia, corrispon­
denti in tutto e per tutto allo stato d'animo trasfuso nell ' inno Alla
Natura, scritto un anno prima, è resa dalle seguenti strofe della lirica
Diotima, globalmente tre volte più lunga:

"Come tutto s'è fatto un'altra cosa,


tutto quello che odiavo ed evitavo

218
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

armonioso e amichevole s'accorda


a questo nuovo canto del mio vivere;
e tornando i rintocchi delle ore
meravigliosamente mi richiamano
le giornate dorate dell'infanzia,
da che trovai quell'unico pensiero.

O Diotima! o felice creatura!


mirabile; per cui l'anima mia
sanata dall'angoscia della vita
spera la giovinezza degli Dèi!
Durerà, durerà il nostro cielo.
Uniti come non è dato scorgere,
prima che ci vedessimo,
nel profondo ci siamo conosciuti.

Quando ancora nei sogni di ragazzo


dolci e sereni come un giorno azzurro
tra gli alberi del giardino
giacevo nel tepore della terra,
e il maggio del mio cuore si schiudeva
nella bellezza e in una gioia lieve,
l'anima di Diotima
bisbigliò con la voce dello zefiro.

E quando la bellezza della vita


sparve come una saga, e in faccia ai giorni
stetti indigente come un mendicante,
quando il peso del tempo mi piegava
e la mia vita ormai pallida e fredda
si protendeva per la nostalgia
al regno senza voci delle ombre:

vennero allora dalla Perfezione,


come dal cielo, il coraggio e la forza,
ed apparisti in tutta la tua luce,
immagine divina alla mia notte.
E ancora per trovarti,
lanciai il mio canotto addormentato
dal porto del silenzio al mare azzurro". 1191

Leggendo questa lirica alla luce della storia delle religioni, vi si


scoprono riunite tutte le caratteristiche dell'aspetto luminoso della
Grande Dea. Tuttavia nell'"Immagine divina" della donna adorata è
implicita anche la divinità maschile; "il Dio che mi ispira", appare
"sulla sua fronte" come dichiara in una strofa successiva dedicata al
"genio" di Diotima e alla sua "Natura celeste". Alla fine la donna divi-

219
CAPITOLO XI

na eleva addirittura la "natura mortale" di colui che l'adora per farla


penetrare "nella pienezza della vita divina".
La fuga di Holderlin da questo amore ne accelera il crollo menta­
le. Quando, senza adeguata preparazione, venne a conoscenza della
morte improvvisa dell'amore della sua anima, sul suo mondo esterno
calò per sempre una cortina. È noto che trascorse 36 anni, più di
metà della sua vita, nel "Holderlinsturm" (la torre di Holderlin ) , una
stanza d'angolo della casa del falegname Zimmer di Tubinga, al qua­
le era affidato. Nessuno oserebbe affermare che il poeta si sarebbe
salvato se il suo amore fosse stato corrisposto. Eppure l'incantesimo
femminile può essere tanto potente da richiamare arcaiche immagi­
ni del regno della "Madre" e mettere a nudo strati profondi dell "'ine­
splorato" e dell "'indesiderato", la cui visione all'interno di sfere non
più afferrabili nell'Al-di-qua, riesce ad esaltare e a deprimere. Altri­
menti non vi sarebbero i morti per amore.
In Francia e in Inghilterra i trovatori medievali annunciavano
l "'amour sans fin" per Eleonora d'Aquitania, l'amore senza fine per
l'irraggiungibile, grande donna. Per l'iniziato "amour" altro non si­
gnificava se non "a-mor", "non-morte", "immortalità" - un amore per
la "dea" al di là della morte.
Se pur amore e morte non fanno neppure rima, come osservò
una volta in altro contesto Thomas Mann, non si può tuttavia negar­
ne l'affinità. I popoli antichi vivevano tale polarità ancora come un'u­
nità. La consapevolezza della magica intercambiabilità dei contrari è
rimasta viva fino nel latino classico. Il vocabolo "sacer", ad esempio,
significa sia sacro che maledetto, ed "altus" viene usato per indicare
sia alto che basso. Ricordiamo il viaggio di Faust dalle "Madri " :
"Sprofonda! Potrei pure dire: sali! è la stessa cosa."
Laddove questa totalità della vita arcaico-materna viene negata,
l'equilibrio dell'esistenza finisce per traballare, e le forze sino ad ora
incatenate e al servizio della totalità divengono autonome e si trasfor­
mano in estremi. Questo accadde ai tempi della calata delle tribù pa­
triarcali sulle culture matriarcali. Allora scoccò l'ora delle Amazzoni.
Reagendo all'asservimento operato dal patriarcato e proprio tramite
il tentativo di difendere il sogno paradisiaco, addormentato in fondo
all'anima, di amore, armonia e bellezza quali sommi valori matriarca­
li, alle donne accade fatalmente di venire costrette nel ruolo di guer­
riere assassine di uomini.
Le seguaci di Artemide organizzano il proprio Stato sull'esempio
delle api. Questi animali, venerati già da antiche culture quali quella
di çatal Hiiyii k o d 'Egitto, compagne di Artemide come pure di De­
metra, detta "madre delle api", non incarnano solo l'azione benefica
della Grande Madre, ma anche la sua fecondità: è risaputo che le

220
LE AMAZZONI , CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

femmine delle api, settanta volte più numerose dei fuchi, ad awenu­
to fecondamento della giovane regina, dopo il volo di nozze di prima
estate, li uccidono tutti. Questa è "Madre Natura" dal volto di Giano
Bifronte. Chi cerca protezione nel grembo della Grande Madre non
deve attenderne solo la "morbida carezza". L'amazzone è connessa
alle api anche come "Donna della luna". Neumann attirò l 'attenzio­
ne sul fatto che esistevano sacerdotesse della dea Luna, chiamate
"api", perché "si credeva che tutto il miele provenisse dalla luna, l'ar­
nia intrecciata delle stelle, le sue api. Il miele in quanto "essenza vita­
le e squisito alimento delle Madri-piante" era tuttavia pure la sostan­
za materna primigenia con la quale, dal 3500 al 1 750 a.C. in Asia Mi­
nore venivano circondati i morti posti entro grandi contenitori. !2"l Il
miele veniva usato anche per l'imbalsamazione, forse come magico
alimento di una sperata rigenerazione. L'arte dell 'imbalsamazione
volta alla conservazione del corpo nel maggiore rispetto possibile del­
la natura si sviluppò in Egitto verso il 2700 a. C., all'inizio del Regno
Antico e al tempo delle prime piramidi a gradini.
Forse, nel mito dell'eroe maschile che vince le Amazzoni vive pu­
re, a livello subliminale, la paura del potere letale della Grande Ma­
dre, che si afferma nel periodo di rivolgimenti durante il quale la re­
ligione matriarcale perde il suo potere risanante. Ne è un esempio la
figura di Bellerofonte che stermina le Amazzoni con l'aiuto di Pega­
so, che Atena gli aveva insegnato a domare. Sulla sua cavalcatura vie­
ne trascinato a sempre più elevate altezze per ricadere d ' improvviso
di nuovo sulla Terra, ad "Aleion", la "Piana del vagare" (Kerényi) .
Solo il cavallo incantato s'innalza al di sopra dei campi terrestri. La
caduta del cavaliere che voleva salire "sino alle dimore del cielo", co­
me narra Pindaro, assomiglia a quella di Icaro. La vittoria di Belle­
rofonte sulle Amazzoni è stata oggetto di grande considerazione, co­
me lo è stata quella ottenuta sulla Chimera, un mostro dall 'aspetto
di leone, capra e serpente che, lanciando fiamme, devastava la Licia.
In mostri simili, presenti in tutto il mondo al di là di qualsiasi barrie­
ra culturale o temporale, persino nei bestiari e tra le orride creature
di pietra delle nostre cattedrali medievali, hanno assunto forma visi­
bile gli incubi dell'umanità, il timore dei demoni e la paura della
morte. Pare che essi si siano diffusi soprattutto nei periodi di rivolgi­
mento e di tramonto degli dèi. Il Grande Femminino delle origini
viene allora vissuto soprattutto nel suo aspetto spaventoso e letale.
Anche la Chimera è di arcaica origine femminile. Sua madre era
Echidna, la dea dei serpenti, una sorella di quel famoso serpente che
custodiva le mele d'oro di Era. Echidna, che mise al mondo anche
altri mostri, viene descritta nella Teogonia di Esiodo. Per metà è una
bella donna dalle guance paffute e gli occhi lucenti, per metà un avi-

221
CAPITOLO XI

do serpente divorante che, come il Pitone, abita in una voragine del­


la terra.
I racconti mitici si allacciano ripetutamente tra loro a formare
cerchi magici che, nel tentativo di contenere in sé l 'enigma della vi­
ta, si allargano sempre più.
Così la spaventosa Chimera riappare anche in ambito germanico,
in Germania settentrionale, in veste di "Spòke". Il drago che vive nel
Mare del Nord dal quale prende nome lo "Spòkenkieker", il visionario,
colui che vede gli spiriti, la persona in grado di predire la morte. La
patriarcalizzazione di questa figura è di facile interpretazione. Anche
le Amazzoni trovarono il proprio equivalente nordico. Nella mitologia
germanica generalmente più cupa - Neumann parla della sua "orrida
predisposizione alla morte" - diventano le Valchirie, nelle quali viene
esaltato soprattutto l'aspetto di latrici di morte delle guerriere greche.
In quanto "assassine di combattenti" le Valchirie decidono le morti sul
campo di battaglia ed accompagnano gli eroi nel Walhalla, da Odino.
In antico nordico "Valchiria" significa vergine divina che sceglie i
morti. La parola "Wal" esprime sempre sede di combattimento e il
germanico "Wala", morte. Nella Valchiria si manifesta Freya, che nel­
la propria triade è anche giovane fanciulla e dea delle battaglie in
aspetto ringiovanito. Il potere fatale delle Valchirie si estrinseca nelle
loro caratteristiche di tessitrici che le rendono simili alle Nome.
"Tessete, tessete/ Tessuti di giavellotto" canta il ritornello di una po­
steriore canzone sulle Valchirie della Scozia del nord, che inizia con
questi versi:

"Tesa è lontano
Verso morte in battaglia
La nube del telaio;
Piove rugiada di ferite".

E a proposito del tessuto pieno di "impronte rosse" e del telaio


delle Valchirie, prosegue:

"Intrecciato è
Di viscere di combattenti
E ben teso
Da crani di contendenti;
Giavellotti di lottatori sono
Le sbarre trasversali,
Il subbio è spada
L'asticella una freccia;
Battete con spade
Il tessuto della battaglia".

222
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

"Una volta che "l'opera è tessuta" e il "Campo di battaglia rosso",


tutt'attorno è visibile solo spavento. E le Valchirie finiscono il loro
canto:

"Nubi sanguinose
Salgono al cielo;
Rossa è l'aria
Del sangue dei guerrieri,
Per i quali le nostre sorti
Divennero pena". 121 1

Amazzoni, Chimere e Valchirie: differenti incarnazioni del potere


della Grande Madre nel suo aspetto terrificante.
Ai "crani dei contendenti" del tessuto delle Valchirie si associa
l' immagine più orribile che mai essere umano abbia scorto nel lato
oscuro della Grande Madre: Kalì, l 'indiana Madre del Mondo, ador­
na di teste di morti.
A lei, il cui nome significa "la nera", è dedicata Calcutta, la più
grande città indiana e metropoli dello stato del Bengala occidentale,
sul delta del Gange. Nel tempio di Kalighat, il suo santuario principa­
le, persino ai giorni nostri vengono fatte quotidiane offerte di sangue
di animali. Durante i pellegrinaggi autunnali per la festa di Kalì mol­
te sono le centinaia di capre che finiscono sotto il coltello del sacrifi­
catore. Un tempo erano esseri umani. L' orribile dea chiede solo san­
gue. Lo lappa fumante da coppe ricavate da crani. Degli schizzi la
rappresentano vestita di rosso dentro una barca che naviga su un ma­
re insanguinato. Ciò nondimeno esercita sui fedeli anche un forte fa­
scino erotico. La sua collera e la sua volontà di distruzione non si vol­
gono prevalentemente contro gli esseri umani, ma contro i demoni
dai quali protegge gli uomini. Ella sta "al centro del flusso vitale, dei
succhi sacrificali dei quali ha bisogno per dare vita, come Madre del
Mondo (jagad-amba) , alla propria benevola manifestazione (sunda­
ra-murti) in incessante procreazione di nuovi esseri viventi, per nu­
trirli al suo seno come Nutrice del Mondo Uagad-dhatri) e donare lo­
ro ci bo come la 'ricolma di ci bo' (anna-puma) ". 1221 Trasformandosi
così in madre benevola. Nelle sue caratteristiche selvagge e dolci è
una parte di Durga, la "difficilmente accostabile", che come somma
dea dell 'induismo si presenta in molteplici sembianti. Sino a non
molto tempo fa, nel corso delle celebrazioni in onore di Durga che
durano nove giorni, alcuni fedeli in estasi si gettavano sotto le ruote
dei pesanti carri processionali per arrivare alla dea e all'universalità
liberatrice di Brama in veste di offerta maciullata. Oggi severe norme
di polizia impediscono i suicidi estatico-religiosi. Dicono che chi du-

223
CAPITOLO XI

rante le celebrazioni segue con successo tutte le fasi del culto, rag­
giunge uno stato quale quello descritto da Swami Sivananda: "Allora
sarai onnisciente, onnipotente e riuscirai a sentire la tua onnipresen­
za. Vedrai te stesso in tutto. Avrai raggiunto la persistente vittoria sul­
la ruota di nascita e di morte. Niente più dolore, niente più miseria,
niente più nascite, niente più morte. Hai vinto. Sei liberato". 123>
Gli anelli del nostro vecchio cerchio magico si sono allargati trop­
po? Heydecker, assieme ad altri studiosi invita addirittura ad esami­
nare se per caso non "ci fosse un certo legame tra le culture dei Celti
e quelle degli antichi Indo-ariani", "tra i bramini dell'India e i druidi
dell'Irlanda e del Galles". Effettivamente questa disamina non inclu­
de solo la fede nella reincarnazione celtica, ma anche la caccia alle
teste dei Celti. La cintura di Kalì ornata di crani di morti può ricor­
dare le teste decapitate dei nemici che i Celti riportavano come tro­
fei dal campo di battaglia legate assieme per i capelli. Nel romanzo
gallese Peredur, collegato al poema di Parsifal e di Artù - il cui poeta
anonimo nel XIII secolo attinge ancora a piene mani all'eredità arcai­
ca - durante la processione sacra, l'eroe omonimo, al posto del Gral
reca su un vassoio una testa tagliata. Sia le leggende che gli storici,
tra cui Tito Livio e Diodoro Siculo, parlano di un rituale celtico delle
"teste tagliate". Probabilmente era fondato sulla fede druidica nell'e­
sigenza di una particolare offerta di morte per mantenere vivo il pro­
cesso di rinnovamento della vita nel grembo della Dea Madre.
Comunque si valutino, tradizioni simili mirano tutte a far appari­
re la Grande Madre come l'incarnazione di una totalità esistenziale,
carica pure di tutti i segni dell'orrore. Svincolata da questa fusione
tra bello e spaventoso, vita, amore e morte, la Grande Dea viene de­
fraudata della propria maestà archetipica. Allora simboleggia la don­
na astuta che, con le armi dell'eterismo, tenta di asservire la forza su­
periore dell' eroe maschile, o il principio del male. Allora si trasforma
nell'Amazzone assassina di uomini e alla fine, nella strega.
I periodi di rivolgimento tendono ad estremi simili. Ma in realtà
la Grande Madre degli inizi, in quanto contenitore del bello e del­
l'orrido, reca in sé anche i tratti della trasformazione. Di conseguen­
za, in quanto "Eterno Femminino" non è solo capace di elevare la vi­
ta bruta ad altezze morali, come già avveniva nel culto misterico di
Demetra, ma anche di attirare verso "l'alto", ascendendo dalla mate­
ria allo spirito. Se così non fosse anche la dea dell'Amore, nel cui re­
gno pare ritornino alcune Amazzoni, diverrebbe la creatura detesta­
bile a cui l'hanno degradata le religioni nemiche del mondo, del cor­
po e della donna. Nel vocabolo medio alto-tedesco "Minne" che sta
per amore cortese, è etimologicamente ancora insito il significato di
"ricordarsi", "rammentare", come pure quello di "ricordo amoroso".

224
LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

Ma cosa va rammentato? Forse i paradisiaci sogni dell'infanzia del­


l' essere umano, cantati da re Salomone nel Cantico dei cantici.
Eppure, nel corso di più severe epoche patriarcali, è stato proprio
questo cantico a venire dimenticato.

225
CAPITOLO XII

Dalla detronizzazione della Dea Madre


alla credenza nelle streghe

Dopo che la Grande Madre perse il trono di somma divinità, al


suo mondiale corteo di trionfo non si unirono solo il potere e l'e­
spansione patriarcale. Il secolare processo, più lento presso alcune
culture e popoli, più concitato e carico di emotività presso altri, cau­
sò pure l'estinzione della concezione ciclico-matriarcale del mondo e
della natura. Ormai la vita umana era improntata a una forma mentis
lineare e finalizzata. Essa andava di pari passo con la perdita di quel
senso di protezione cosmica che poteva dare un concetto di mater­
nità e riuniva in sé gli estremi della vita. Al posto dell 'unità esistenzia­
le, sino a quel momento recepita, subentrarono concezioni dualisti­
che, mentre il pensiero differenziato per un verso portava l' essere
umano a una maggiore autonomia, per altro verso provocava anche a
una spaccatura tra maschile-femminile, spirituale-materiale, divino­
terrestre, o quali che fossero le coppie di contrari che ben presto
vennero improntate a criteri patriarcali. Come se gli uomini compen­
sassero la scarsa importanza avuta sino a quel momento rispetto alla
dominanza del femminile diventando sovrani autonomi, fondatori di
stati e conquistatori, oppure, senza più ricevere il potere dalle mani
della donna sacra, occupando, in qualità di sacerdoti, veggenti, poeti
e medici, ambiti d'azione culturale sin lì riservati alle donne. Con la
caduta della Dea non si sgretola solo l'integrazione dei contrari un
tempo garantita; ora il processo di autonomizzazione di tutto quan­
to, nella Madre Universale, era oscuro e tremendo può evolversi dive­
nendo lo spauracchio di un femminile non più contenuto entro un
ciclo naturale equilibrante ed tranquillizzante. Questo fenomeno -
oltre che nel cristianesimo e nel germanesimo, due colonne portanti
della cultura europea - si verificò soprattutto nell'antica Atene e in
Israele, ove l 'enucleazione del lato notturno e arcaico della Madre

227
CAPITOLO Xli

serve all'ideologia patriarcale della mediocrità della donna, che ora


può venire repressa, disprezzata in quanto vaso del peccato, o sfrutta­
ta come oggetto di piacere, come successivamente faranno i seguaci
di Maometto. Se pure fu Eschilo ad enfatizzare al massimo il crollo
rivoluzionario dell'antico ordine, già nella Teogonia di Esiodo leggia­
mo che Zeus, inviando agli uomini la donna, aveva loro mandato
uno "splendido male", una "trappola profonda e senza via d'uscita",
dalla quale sarebbe discesa "la tremenda razza" di tutte le donne del­
le quali viene detto: "apportando sciagure abitano tra i mortali" _<I>
Da parole simili spira anche timore, paura della forza sessuale del­
la donna, che reca in sé pure i tratti inquietanti del Grande Femmi­
nino.
Coloro che più nettamente si sono staccati dal culto della Grande
Madre sono gli autori della storia della creazione biblica, che l' han­
no combattuta addirittura con aggressività. Col mito del peccato ori­
ginale che trasforma la mela della dea dell'Amore nel frutto letale di
Eva, ruba alla sessualità la sua innocenza naturale e la carica con la
macchia del male, viene dichiarata guerra soprattutto al serpente, l'a­
nimale simbolico ritenuto, dall' età della pie tra ai culti della Dea Ter­
ra cretese, più emblemaùco dell'antica dea dell'Amore e della Ferti­
lità. Jahwe isola con decisione Eva dall'animale della Madre Terra, ai
suggerimenti del quale, secondo la tradizione biblica, soggiacque
l'antenata dell'umanità quando colse il frutto dell'albero della cono­
scenza e lo mangiò assieme ad Adamo. "Il Signore Iddio" disse quin­
di al serpente: "Perché hai fatto questo, sii maledetto tra tutti gli ani­
mali e le bestie dei campi. Striscerai sul tuo ventre e mangerai la pol­
vere per tutti i giorni della tua vita. E io metterò inimicizia tra te e la
donna ... " (Genesi 3, 1 4-15) .
Già lo scontro personale di Jahwe col serpente rivela l'alto rango
che quegli occupava in origine. Un affresco eseguito nei Grigioni nel
XIV secolo e raffigurante la "Creazione del mondo", lo esprime con
stupefacente chiarezza ancora millenni dopo. Il dipinto decora la pa­
rete interna occidentale della chiesetta di San Giorgio di Rhaziin. In
quell'oasi di quiete sita sul corso superiore del Reno, l'anonimo arti­
sta dalle mani del creatore fece scaturire sole e luna quali principi
equivalenti del maschile e del femminile, mentre al serpente, avvolto
attorno all'albero della conoscenza, diede il volto di una donna rega­
le, col capo adorno di una corona d'oro. Una rappresentazione di ra­
ra ambiguità del mitologico animale matriarcale, presentato nella
Bibbia come "il vecchio serpente" "che si chiama diavolo e Satana"
(Apocalisse 12, 9) .
Mentre nelle loro cosmogonie i popoli confinanù con Israele e al­
tre culture continuano a vedere attive divinità di ambedue i sessi, an-

228
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

che dopo la detronizzazione della Grande Madre, Jahwe compare in­


vece come l'unico artefice maschile dell'universo. Non è associato a
nessuna dea. Nessuna fonte della maternità sgorga all' inizio della vita
da lui solo creata. L'atto divino della creazione si compie separato
dall'esperienza umana della riproduzione sessuale. Questo è senza
dubbio un progresso del pensiero astratto, una dilatazione della con­
sapevolezza di una portata che incute rispetto. Da questo momento
non serve più il congiungimento di un dio con una dea per creare
dal nulla l 'essere. Solo la parola divina, un atto spirituale, opera l 'esi­
stenza del mondo: "E Dio disse: sia la luce! E la luce fu ." (Genesi l ,
3) . E l'uomo tratto dalla mano d i Dio dalla materia si anima solo per
opera del soffio di Dio: "E il Signore Dio fece l'uomo da una zolla di
terra e alitò nelle sue narici un soffio vitale, e l' uomo divenne un'ani­
ma vivente." (Genesi 2, 7) .
Peter Bamm apprezza la concezione monoteista di Dio della tradi­
zione ebraica per la sua estrema spiritualità. Nelle Antiche sedi della cri­
stianità addirittura esulta per la negazione di arcaiche rappresentazio­
ni del femminile: "L'antico ebraico non possiede neppure un vocabo­
lo che significhi 'dea'. Sin dai tempi più remoti il popolo ebraico pos­
siede solo quest'idea di somma levatura spirituale".<"> Ma questo è so­
lo uno dei lati della medaglia. L'altro, trascurato da Bamm al pari di
numerose illogicità bibliche, tradisce disprezzo per la donna. Infatti è
sempre il dio creatore maschile quello che viene evocato nella Genesi
escludendo l' elemento femminile. Jahwe soggioga nel modo più spa­
ventoso tutte le tradizioni che serbano memoria di divinità femminili.
A vantaggio della stabilità del proprio potere gelosamente custodito,
la nuova religione bandisce dalla sfera del divino anche le sacerdotes­
se. Da quel momento Dio venne servito solo da sacerdoti. Gerda Ler­
ner rimanda alla lunga lotta ideologica che combatterono le tribù
ebraiche dopo la loro uscita dall'Egitto "contro la venerazione delle
divinità dei Cananei", "soprattutto contro il culto della dea della fe­
condità Ascherah", che deve "avere ulteriormente sottolineato l'ac­
centuazione enfatica della preminente posizione rituale degli uomi­
ni" e parimenti il misoginismo sviluppatosi appieno solo nel periodo
successivo all'esilio. Quali che ne siano state le cause, la classe sacer­
dotale antico-testamentaria incarnò la rottura radicale con una mille­
nana tradizione e con la prassi usuale presso le popolazioni vicine.
Questo nuovo ordinamento voluto da Dio onnipotente chiarì agli
Ebrei e a tutti coloro che consideravano la Bibbia il proprio canone
morale e religioso, che le donne non potevano parlare a Dio".<'>
Jahwe è la personificazione della vittoria del patriarcato sul ma­
triarcato. Inutile chiedersi se l 'importante contributo del monotei­
smo non avrebbe potuto giungere in maniera più conciliante, che

229
CAPITOLO Xli

coinvolgesse l'elemento femminile ponendolo sullo stesso piano. Il


Grande Femminino invece, pur riaffi orando continuamente alla co­
scienza in forza del proprio potere, non solo venne eliminato, ma ad­
dirittura discriminato. Questo può venire addebitato al mito della
creazione di Eva dalla costola di Adamo. Su questo argomento le teo­
Ioghe femministe hanno scritto tanto e i dotti rabbini dei secoli scorsi
hanno fornito nel Midrash tanti commenti minuziosi, a volte addirit­
tura assurdi, che in questa sede conviene occuparsi solo degli aspetti
essenziali delle asserzioni bibliche. Nella Genesi sta scritto che dopo
la creazione del cielo e della terra e di Adamo, )"'essere umano", il
settimo giorno, il Signore Iddio riconobbe: "Non è bene che l'uomo
sia solo; io gli farò un aiuto simile a lui". E prosegue: "Allora il Signo­
re Iddio fece cadere un sonno profondo sopra l 'uomo che si addor­
mentò. Ed egli prese una delle sue costole e al posto di essa formò di
nuovo la carne. E il Signore Iddio dalla costola tolta ad Adamo formò
la donna, poi la condusse all'uomo e allora l'uomo esclamò: 'Questa
è ossa delle mie ossa e carne della mia carne, verrà chiamata donna­
dall'uomo* perché è stata tratta dall'uomo' . " (Genesi 2, 1 8-25) .
Da molti secoli il mito della creazione di Eva e la sua definizione di
"donna-dall'uomo" - non molto lontana dall"'uomo mal riuscito" di
Aristotele - prowede all'umiliazione della donna all'interno del mon­
do patriarcale. La sua inferiorità e il suo status di "assistente" sono evi­
dentemente voluti da Dio! In questa condizione il creatore maschile
per fare la donna si awale della costola della creatura di sesso maschi­
le, analogamente a come farà successivamente Zeus, che in mancanza
di organi sessuali e riproduttivi mette a disposizione la propria testa
per farne scaturire Atena. Nella Bibbia la superiorità dell'uomo sulla
donna viene formulata con tutta l'energia compensatrice dell'ideolo­
gia patriarcale. In epoca cristiana, poi, il concetto delle deficienze
femminili, connesso alla storia del peccato originale, all'arte della se­
duzione e al fascino femminile, viene ripreso dai Padri della Chiesa,
celibi. Ciò facendo si appellavano all'apostolo Paolo che nella prima
lettera a Timoteo scrisse: "La donna ascolti l'istruzione in silenzio con
piena sottommissione. Non permetto alla donna di insegnare e di det­
tare legge all'uomo, ma se ne stia in silenzio. Non fu Adamo a venire
sedotto e a introdurre la trasgressione" ( l Tm. 2, 1 1-14) .
È stata quindi Eva, la secondogenita, che come donna ha potuto
venire indotta dall"'antico serpente", l'arcaico animale della Madre

* Traduco con "donna-dall'uomo" e non con il "donna" della versione bibli­


ca ufficiale il vocabolo tedesco Mannin riportato dal testo, un femminile di uomo
che letteralmente andrebbe tradotto con "uoma". [N.d.T.]

230
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

trasmutato in diavolo, all'azione sacrilega della disobbedienza nei


confronti dell' ordine di jahwe. Il più prezioso Adamo cadde in trap­
pola solo per causa sua. Nel successivo evolversi della storia della reli­
gione la donna diventa addirittura il prototipo del nemico della teo­
logia maschile. È lei che cogliendo la mela proibita ha fatto ricadere
ogni sventura sul mondo. Poi Agostino, nella Città di Dio, la sua opera
storico-filosofica, dirà che Adamo di per sé non avrebbe potuto esse­
re sedotto tanto facilmente quanto Eva. Egli avrebbe ceduto solo per
non compromettere la relazione con lei. In altre parole: soggiacque
al fascino afrodisiaco della donna. È stupefacente il potere esercitato
sul pensiero cristiano da questo aspetto della narrazione biblica del
peccato originale. Ne è un esempio Agostino stesso. Come si appren­
de dalle sue confessioni, il maestro di retorica di Tagaste, in Numi­
dia, l'odierna Souk-Ahras algerina, un tempo si voltolò nella sua "lus­
suria" nella quale si "dissipò" e si "dissolse". Padre a diciassette anni,
dietro le sollecitazioni di sua madre, santa Monica, si separò dalla
madre del proprio figlio illegittimo Adeodato e dopo l'iniziale lutto
per l'amore perduto, del quale nessuna fonte conosce il nome, pen­
sò presto a prendersi una nuova concubina. Tuttavia il futuro santo,
segnato da un forte legame con la madre, dopo la sua conversione
avvenuta a trentatre anni, sentenziò: "Non fa differenza che sia don­
na o madre, è sempre Eva, la seduttrice, che dobbiamo temere in
ogni donna". H>

Eva nei panni della seduttrice


con l'incarnazione del malva­
gio dragone. Intaglio su legno
di Augsburg, 1 470.

Alla fine, secoli di tradizione religiosa patriarcale che ribadiva il


concetto del fatale peccato di Eva costringono anche la stessa psiche
femminile sotto il giogo maschile di Dio, inducendo anche le donne
a credere nella propria lebbra. Così ad esempio la mistica Hildegar­
da di Bingen (l 098 - 1 1 79 ) , una saggia benedettina lontana da qual­
siasi pruderie monastica e aperta persino nelle asserzioni in materia

231
CAPITOLO XII

di sesso, ha completamente interiorizzato la dottrina agostiniana di


Adamo ed Eva. "Il diavolo" scrive ancora più chiaramente di un Pa­
dre della Chiesa, "vide che Adamo ardeva di un amore tanto appas­
sionato per Eva da fare qualsiasi cosa lei gli avesse chiesto". <5>
In seguito tutte le figlie di Eva dovranno accollarsi l 'eredità del
peccato della prima donna. Tertulliano, scrittore ecclesiastico carta­
ginese (attorno al 1 60 - dopo il 220) , nel suo trattato sugli ornamenti
femminili De cultu feminarum, pretende che le donne, indossando abi­
ti disadorni, scontino "quali Eve in lutto e penitenti il peccato di Eva,
intendo il vergognoso peccato originale e l'avvilente rovina dell'esse­
re umano." Nella compiacente consapevolezza della propria maschia
somiglianza con Dio prosegue: "E tu volevi ignorare che sei un 'Eva?
A questo mondo vale ancora la sentenza di Dio sul tuo sesso; per cui
deve sopravvivere anche la tua colpa. Sei tu che hai permesso l'acces­
so al diavolo, tu hai spezzato il sigillo di quell'albero, tu per prima
hai infranto l' ordine divino, sei sempre tu che hai incantato colui al
quale il diavolo non osava avvicinarsi. Così hai avuto facile gioco nel
rovesciare a terra l'uomo, l'immagine vivente di Dio. Per la tua colpa,
e cioè per la morte, anche il figlio di Dio ha dovuto morire".<•>
Esiste però anche un'altra versione della storia della creazione bi­
blica, dalla quale non risulta l'esclusività della rivendicazione dell 'uo­
mo a questa somiglianza con Dio, è il primo capitolo della Genesi,
versetto 27. Nel quale non si parla neppure della creazione di Eva
dalla costola di Adamo. Dice solo: "Iddio creò l'uomo a sua immagi­
ne, a immagine di Dio lo creò; e li creò un uomo e una donna."
Da lungo tempo l'esegesi bibfica si occupa della contraddizione
delle due versioni. Le femministe si appellano al passo citato per so­
stenere la contemporaneità della creazione di uomo e donna, dalla
quale può venire desunto sia il pari valore di uomo e donna, sia il ca­
rattere androgino del creatore. La teologa americana Phyllis Bird
scrive: "La donna è, assieme all'uomo, la diretta e voluta opera di Dio
e il coronamento della sua creazione. Uomo e donna sono fatti l'uno
per l'altro. Assieme costituiscono l'umanità che nella sua totale ed es­
senziale natura è bisessuale". (7)
Se in questa sede, con un capovolgimento della scala dei valori, la
donna viene indicata come il coronamento della creazione, ciò va at­
tribuito a una reazione femminista eccessiva.
Allo scopo di rafforzare il carattere androgino della storia della
creazione, gli esegeti hanno accennato pure a un possibile errore di
scrittura del nome di Adamo. Scritto con la minuscola, infatti, questo
nome ebraico può significare "umanità", e di conseguenza che donne
e uomini hanno pari valore come semplici "esseri umani". Per contro,
scritto con la maiuscola, in ossequio al modello di pensiero patriarca-

232
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

le, trasformò l'umanità nella persona di Adamo, "l'uomo". In milioni


di Bibbie pubblicate in tutte le lingue del mondo la versione favorì,
come nota Lerner, "anche l'accettazione e la valutazione delle inter­
pretazioni tradizionali del testo riportato nella Genesi 2, 1 8-25", quel­
lo relativo, appunto, alla creazione di Eva dalla costola di Adamo.
In realtà anche l'albero genealogico prebiblico di Eva risale a una
Madre Primigenia, Dea della Fertilità. Lo ricorda, non meno del suo
nome che in ebraico suona "Chawah", che significa "vita" o "lei che
dà la vita", pure il suo potere afrodisiaco. In aramaico, lo stesso voca­
bolo, significa, eloquentemente, serpente.
Evidentemente l 'intera storia del giardino dell'Eden dell 'Antico
Testamento venne fusa con una versione riveduta della cosmogonia
sumerica, secondo la quale "la Dea-Madre Ninhursag consentì il ger­
mogliare e il crescere di otto piante squisite delle quali gli dèi, però,
non potevano mangiare. Il dio dell 'acqua Enki, invece, ne mangiò e
Ninhursag stabilì che doveva morire. Di conseguenza anche gli orga­
ni di Enki si ammalarono. In suo favore intervenne la volpe, e la dea
si dichiarò disposta a sospendere la pena di morte. Per ognuno degli
organi colpiti creò uno speciale dio guaritore. Quando fu la volta
delle costole disse: ' Ho generato per te la dea Ninti ' . " In sumero la
parola "Ninti" ha la doppia valenza di "signore femminile della costo­
la" e di "signore femminile della vita".
Evidentemente Eva, la "Chawah" ebraica, venne fusa con la sume­
ra Ninti. Nel racconto della sua creazione dalla costola di Adamo so­
pravvive quindi il ricordo del mito sumerico. Nel processo di patriar­
calizzazione la guaritrice e signora divina sparisce dietro all'aiutante
subordinata all'uomo. "Sia che si accetti o meno l'origine sumerica
della storia della creazione, quale spiegazione in grado di sostenere
la metafora della costola di Adamo" continua Lerner, "è comunque
sintomatico che questa interpretazione, in passato, sia stata dimenti­
cata e che a predominare sia stata l'interpretazione sessista". 18)
Non sono tuttavia stati solo gli scrittori medievali ecclesiastici a ri­
badire il concetto biblico dell'inferiorità della donna. Anche riforma­
tori dell' era moderna quali Giovann i Calvino ( 1 509-1 564) hanno
continuato a perfezionarlo con zelo. Il riformatore religioso svizzero,
noto per le rigorose norme morali dettate, che per imporre il pro­
prio ordinamento ecclesiastico non arretrò neppure dinanzi a sco­
munica e condanne a morte, nella storia della creazione lesse "per
Eva l'avvertimento a sottomettersi spontaneamente all'uomo dal qua­
le derivava". Egli proclamò: "Rientra quindi nell' ordine naturale che
la donna sia l 'aiutante dell'uomo. Un brutto proverbio parla di un
male necessario, ma Dio stesso parla di una compagna, di un 'amica e
di un aiuto per la vita". 19l

233
CAPITOLO XII

Ripetutamente, e non solo ai tempi nostri, si è tentato di non leg­


gere la Bibbia unicamente attraverso gli occhiali dell'interpretazione
patriarcale. Eppure per i molti appigli che essa offre a un'interpreta­
zione sessista, risulta difficile sfuggire ai pregiudizi eretti nei confron­
ti della donna. Non bastano né i commenti rabbinici all'Adamo an­
drogino o alle immagini di femminilità e alle rappresentazioni divine
transsessuali della rivelazione segreta, come non basta lo ·�esuani­
sche Eros" (eros gesuano) . Lo stesso Gesù, la cui morte sulla croce
può venire interpretata come hierosgamos, alle nozze di Cana, com­
piendo il primo miracolo, rivolgendosi alla propria madre, pronun­
ciò la brusca frase: "Donna, che ho a che fare io con te?" (Gv. 2, 4).
Voler rispondere nell 'ambito di questo libro alla difficile domanda
sui rapporti di Gesù con le donne, soprattutto sul suo atteggiamento,
molto e variamente interpretato, nei confronti di Maria Maddalena,
sarebbe presuntuoso. Tuttavia certo è che sono state tramandate nu­
merose scene più rispettose delle donne, a Gesù era però stata tal­
mente inculcata la fede in Jahwe che ebbe anche parole riduttive nei
confronti della donna. Quando dopo l'insegnamento del Padre No­
stro e la cacciata di un demone, una donna gli gridò esultante: "Bea­
to il ventre che ti ha portato e il seno che tu liai succhiato" subito Ge­
sù risponde correggendo: "Beati piuttosto quelli che ascoltano la pa­
rola di Dio e la mettono in pratica !" (Le. 1 1 , 27-28) .
Analogamente dice: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che
ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica." (Le. 8, 2 1 ) . Oppu­
re: "Mentre ancora si rivolgeva alla folla ecco la madre e i suoi fratelli
che erano fuori e cercavano di parlargli. E uno gli disse: 'Ecco tua
madre e i tuoi fratelli sono là fuori e desiderano parlarti. ' Ma egli ri­
spondendo a chi gli aveva parlato, disse: 'Chi è mia madre e chi sono
i miei fratelli? ' Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse:
'Ecco mia madre e i miei fratelli ! ' ." (Mt. 1 2, 46-49)
Sono quindi i discepoli quelli sui quali viene spostato il ruolo ma­
terno. Una redazione biblica ad orientamento patriarcale cancellò o
mascolinizzò anche i nomi delle discepole. Nella lettera di Paolo ai
Romani, ad esempio, ( 1 6, 17) Junia è diventata junio. Questo accad­
de nel rispetto dell 'antico schema, in base al quale le antiche dee di­
ventavano divinità maschili.
Nell'Antico Testamento Jahwe regna su tutto. La sua vittoria sot­
trasse al monoteismo la sua componente femminile. La nuova reli­
gione spirituale, l'importanza della quale risiede "nell' idea di un' uni­
ca divinità che abbraccia tutto il mondo", "non meno piena di amore
per tutti che onnipotente, la quale, poco incline a qualsiasi cerimo­
niale e incantesimo, stabilì che scopo sommo dell'uomo fosse di vive-

234
DALIA DETRONIZZAZIONE DELIA DEA MADRE ALIA CREDENZA NELLE STREGHE

re nella verità e nella giustizia"/ ' 01 venne intaccata in modo tragico


dai tratti di misoginia".
Questa definizione è di Sigmund Freud, che in Jahwe vide un
usurpatore della religione monoteistica di Mosè, che secondo la sua
ipotesi era un Egiziano. A favore di tale provenienza depongono il
nome e il mito dell'esposizione. In egiziano "Mose" significa bimbo,
una parola che suona come quella ebraica che significa "estrarre".
Come il bimbo viene estratto dalla madre, così anche Mosè, dopo la
nascita, venne estratto dal cesto di vimini in cui era stato esposto e fu
trovato dalla figlia del Faraone. Secondo Freud, Mosè ha trasmesso ai
Giudei la religione di Amenofi IV. Quel faraone, conosciuto col no­
me di Echnaton in quanto sposo della bella Nefertiti, era un radicale
riformatore religioso. Volle far riconoscere come somma entità uni­
camente il dio del sole Aton, ma secondo Freud la sua religione finì
presto nel dimenticatoio per riemergere di nuovo con più duratura
rigidezza nel nome di Jahwe. Freud ritiene che la bellezza e la gran­
dezza del monoteismo debbano venire fatti risalire a Ecnaton e a Mo­
sè. Il fondatore della psicanalisi e studioso di miti, egli stesso decisa­
mente influenzato dalle concezioni patriarcali e quindi bersaglio, as­
sieme alla sua tesi dell 'invidia del pene, delle critiche femministe, era
molto scettico nei confronti del Dio dell 'Antico Testamento. Nella
sua ricerca fondamentale L 'uomo Mosè si legge: "Il Dio Jahwe, al quale
il madianita Mosè condusse all'epoca un nuovo popolo, probabil­
mente non era in alcun modo un'entità emergente, ma un semplice
dio locale dal cuore piccino, violento e assetato di sangue; aveva pro­
messo ai suoi seguaci di dar loro la terra in cui 'scorrono latte e mie­
le' e li spinse a sterminare il popolo che vi abitava 'a filo della spa­
da' ".l" l
Freud giudicò Jahwe un dio vulcanico affine a Zeus, lo "scotitore
della terra". È una supposizione illuminante. Al suo apparire Jahwe è
circondato dal fuoco e tutto il monte Sinai trema e fuma. Per cui il
"monte di Dio", che gli studiosi hanno ripetutamente scoperto e mai
iden tificato con certezza, è stato collocato nella zona nord-occidenta­
le dell'Arabia Saudita, sulla costa orientale del golfo di Accaba, nella
biblica terra di Madian, ove Jahwe appare a Mosè nel roveto ardente
ed ove è documentabile un 'attività vulcanica. Questo scenario si atta­
glia al Dio dei patriarchi. Il fuoco è l 'elemento della virilità. Alla
Grande Madre, per contro, si confa' l ' umidità nutritiva, l ' acqua.
Afrodite esce dalla spuma del mare.
La pretesa di onnipotenza di Jahwe e la sua immagine tramandata
dalla Bibbia non rimasero indiscusse neppure agli inizi del cristiane­
simo. Una corrente di gnostici egiziani credette di riconoscere nel
tremendo dio dell 'Antico Testamento il costruttore demiurgico di

235
CAPITOLO XII

un mondo spaventoso, un cattivo spirito creatore che avrebbe proibi­


to all'essere umano di guardare la gloria del vero Dio. Eva, però, as­
saporando la mela proibita, ne avrebbe contemplato la magnificenza.
Il serpente, principio del bene, l'avrebbe aiutata in quell 'impresa co­
raggiosa e liberatoria. Nella cosiddetta Apocalisse di Adamo, un papiro
copto citato da Heydecker nel suo Schwestem der Venus (Sorelle di Ve­
nere ) , Adamo riceve da Eva, per la quale riconosce in sé "dolce desi­
derio", insegnamenti divini. Dopo che Adamo ha goduto dell' albero
della conoscenza, vaga assieme a lei 'in una beatitudine che lei aveva
visto' e confessa a Set, suo figlio: "Mi ha insegnato una parola della
conoscenza di Dio, l'Eterno. E noi somigliavamo ai grandi angeli
eterni. Noi eravamo infatti più alti del Dio che ci aveva creati e delle
forze che erano con lui e che noi non conoscevamo". n 21
In questo passo Eva si avvicina moltissimo alla donna divina che
fu un tempo. Eppure anche nella speculazione gnostica patisce, as­
sieme ad Adamo, l'amara sorte dell'esilio. Infrangere il potere di
Jahwe non è molto facile. Col passare del tempo i tratti misogini del­
la sua religione acquisiscono tanto più evidente e maggiore peso,
quanto più strettamente la posteriore Chiesa cristiana si allea al pote­
re dello Stato. Anche Cesare vuole riconoscersi nei panni virili del
dominatore. Processo analogo si verificò al momento della virilizza­
zione delle antiche divinità materne all' epoca della fondazione dello
Stato patriarcale. Si può genericamente osservare un parallelismo tra
spiegamento di forza patriarcale in campo politico sociale e impoten­
za matriarcale religiosa e simbolica. Così, ad esempio, all'epoca del­
l' impero bizantino vengono palesemente trascurate le rappresenta­
zioni di crocifissioni a favore di suntuosi immagini del Pantocratore.
L'assolutismo cesareo ha meno difficoltà ad identificarsi col Cristo
che domina il mondo che con la divinità che soffre sull'albero fem­
minile del sacrificio e della vita. Lo ammisero persino i sovietici all'i­
nizio del nostro secolo quando, mentendo, tentarono di conquistare
alla causa della rivoluzione comunista le masse legate alla religione,
accettando e glorificando il Cristo che marciava vittorioso verso il fu­
turo separandolo però al contempo, come Gesù e Salvatore, dalla sua
Croce. Diffusero due milioni di copie della poesia I dodici di Alexan­
der Block, la cui prima strofa esalta una brigata di combattenti comu­
nisti che "senza la Croce di Cristo" e "beffando il santo nome (di Ge­
sù) " vaga nella tempesta di neve che soffia inquietante mentre un 'al­
tra strofa recita:

"Marciano con passo da dominatori


E alla loro testa con bandiera macchiata di sangue
Invisibile nel mondo della tempesta di neve,

236
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

Non colpito dalle palle


Bianco come circonfuso di rose -
Alla loro testa marcia Gesù Cristo". 1 1 31

Alla fine degli anni Venti il pittore messicano José Clemente


Orozco ha dipinto un possente Cristo dallo sguardo minaccioso e col
pugno alzato, che con un'ascia abbatte la sua stessa croce. Dietro di
lui c'è del materiale bellico ridotto a rottame, carri armati e cannoni,
al di sopra una colonna ionica abbattuta, una figura del Budda crol­
lata e un busto femminile dai seni prosperosi gettato di lato.
La pretesa del comunismo di essere la nuova dottrina salvifica di­
nanzi alla quale tutte le culture precedenti crollano nella polvere
non poteva venir dichiarata in modo più appariscente. Da questo
quadro, come dall'ulteriore tematica comunista della croce, si posso­
no trarre anche altre deduzioni. Chiedersi se disgiungere Gesù dalla
croce, nella misura in cui si riconosce a quest'ultima il simbolismo
matriarcale di albero della vita, non evidenzi ancora una volta - come
già si è fatto preferendo il Pantocratore - l'allontanamento dalle fonti
della totalità della vita volte verso il femminile, non significa favorire
la propria tesi. Laddove la Croce viene rinnegata o addirittura abbat­
tuta cadono nell'oblio anche gli ultimi residui di ricordo del mater­
no primigenio "muori e trasformati". Ancora una volta il ciclico sen­
so della vita derivante dalle antiche religioni della Natura e della Ma­
dre cessano di avere vigore in forza dell'impulso patriarcale più li­
nearmente finalizzato. In luogo della propensione alla vita subentra
la speranza. Il senso di sicurezza che la realtà materna conferisce alla
globalità della vita cede il passo all 'impeto del divenire che cerca di
afferrare con aggressività ciò che è lontano. I paradisi del futuro van­
no anticipati con la forza. Anche l'infinita energia dell 'utopia marxi­
sta derivò da tale aspettativa di salvezza. Essa però, a sua volta, riporta
all'Antico Testamento che annuncia la chiliade ventura, il regno mil­
lenario di realizzazione terrestre. Quando in Marx al posto di Eva
compaiono borghesia e capitalismo, riaffiora persino il concetto di
peccato originale. Ovviamente nessuno potrà accusare il marxismo di
misoginia. Al contrario. Eppure la sua realizzazione, sufficientemen­
te nota e che non può venire imputata al creatore di tale utopia, par­
la il linguaggio rozzo di una brutale mascolinità.
Ogni qualvolta la femminilità viene esclusa e la donna mediocriz­
zata, sussiste il pericolo che il pensiero dualistico patriarcale renda
indipendenti gli aspetti terribili insiti nella natura e nella sua allego­
ria più potente, la Grande Madre. Il Grande Femminino diventa allo­
ra la personificazione del male, del demoniaco e del diabolico. Che
tutte le divinità pagane, soprattutto quelle femminili, siano demoni,

237
CAPITOLO XII

l'hanno insegnato anche gli antichi scrittori cristiani fondandosi sul­


la tradizione antico-testamentaria. Questo ha favorito lo sviluppo del­
le concezioni più singolari. Così nel linguaggio popolare tedesco la
Grande Madre, venerata ancora in epoca romana sia in Gallia che in
Germania come Cibele e detta Grande Madre degli Dèi, "magna ma­
ter deorum", per contrazione verbale da "Grosse Mutter" (Grande
Madre) in "Grossmutter" (Nonna) e per l'equiparazione degli anti­
chi dèi (deorum) ai demoni, diventa la nonna del diavolo. La "non­
na del diavolo" è addirittura stata scolpita come spauracchio sulla
pietra di una chiesa cristiana. Siede in veste di vecchia sul portale oc­
cidentale interno del duomo di Regensburg. Di fronte a lei sta acco­
vacciato un drago piumato dalla testa umana e dallo sguardo spaven­
toso, suo "nipote" il diavolo. Chi esce di chiesa da quella porta viene
messo in guardia un'ultima volta contro le trappole del male che lo
attendono fuori, ove regna "Manna Mondo".
Con la perdita di numinosità della Grande Madre gli uomini non
perdono in alcun modo coscienza del suo aspetto notturno e letale.
Anzi, esso riesce addirittura ad acquisire maggiore vigore. Ecco, ad
esempio, che nel buddismo esiste la strega Srinno. Per il misogini­
smo di questa religione essa diventa la personificazione della ruota
del mondo, rappresenta la donna che, in quanto "strumento della
passione", impedisce l'uscita dal Samsara, la liberazione dalla doloro­
sa ruota delle rinascite. Nel libro di leggende del principe Padma­
sambhava, fondatore di una setta buddista e mago dell'VIII secolo
d.C., sta scritto: "Le donne sono la corrente ininterrotta del Samsara.
Sono le divoratrici dal volto nero degli uomini apparse in carne ed
ossa. Nell'ambito della loro corporeità si è formato un infernale
paiolo di rame, nel quale si compiono, attraverso le fiamme, tutte le
sofferenze della purificazione ... Questo paiolo di rame infernale si
chiama donna, donna si chiama il carcere della Maras (Morte), don­
na si chiama il laccio del dio della morte". 1"> Il "paiolo", l'arcaico re­
cipiente materno della fertilità e della rinascita, simbolo della femmi­
nilità e della sua funzione di Gral, si è trasmutato in un elemento
spaventoso. Ricordiamo la celtica Ceridwen che possiede il magico
"paiolo dell'abbondanza" e che, nel suo aspetto letale, subisce una
trasformazione da Grande Madre in strega nera. Rientrano in questo
quadro anche i tre tipi di streghe sarde nelle quali si riflettono anco­
ra le caratteristiche della Grande Madre.
Il destino, comunque, è sempre stato recepito come un attributo
femminile. Anche la ruota della fortuna sta nelle mani di una donna.
Sotto l 'alta sovranità delle Moire viene retta da Fortuna, la sorella
della greca Tiche, una benevola dea del destino. Anche nelle minia­
ture medievali cristiane Fortuna viene raffigurata come signora della

238
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

grande ruota sulla quale siedono gli eroi e i re più potenti, Ettore,
Alessandro o Artù, ognuno dei quali può aspettarsi di venire precipi­
tato da un momento all'altro dalle vette più alte negli abissi più
profondi.
La vittoria patriarcale sulla Grande Madre non modifica in nulla
la consapevolezza del potere della donna sul destino. Persino Eschi­
lo, che nella sua trilogia su Prometeo s'interroga su chi sia a reggere
"la ruota della necessità", risponde: "La triade delle Moire e le inson­
ni Erinni". Rispetto a loro perfino Zeus è "il meno potente"? La tra­
gedia fornisce una risposta anche a questa domanda: "Neppure lui
può sfuggire alla sorte destinatagli". 0 5> Questa credenza era partico­
larmente viva nei Germani. Come potenze del destino essi non cono­
scevano solo le Norne e le Valchirie, ma anche donne incantatrici
quali la "ldisi", la raccolta di pagane Formule magiche di Merseburg. A
metà secolo x questo documento che testimonia la fede antico-ger­
manica negli dèi venne trascritto sulle guardie di un codice religioso
del convento di Fulda, venendo così preservato dall'oblio. Le formu­
le sono state rinvenute solo a metà XIX secolo tra i libri antichi che
costituiscono il tesoro del capitolo del duomo di Merseburg, da cui
hanno preso il nome. Questo messaggio dell'antico potere magico
femminile giunge alle nostre orecchie ancora carico di magìa:

"Eiris sazun idisi, sazun hera duonder:


suma hapt hepidum, suma heri lezidun,
suma clobodum, umbi cuoniouuidi:
insprinc haptbandun, inuar uigandun!"

Un tempo le donne sedevano, sedevano qua e là:


Alcune legavano legami (fissavano vincoli ) , altre trattenevano l'esercito,
altre scioglievano tutt'attorno le catene:
scappa dai vincoli della prigione, fuggi dai nemici!"

Un gruppo di incantatrici, quindi, incatena i prigionieri, un altro


blocca l'esercito del nemico che avanza, il terzo, con le parole del­
l'ultima rima, scioglie le catene dei propri guerrieri imprigionati. Evi­
dentemente i Germani in ogni donna vedevano la latrice del numi­
naso contenuto di una simile magìa. Volendo, per bocca di ciascuna
di loro parlava la Madre Primigenia. Tacito, che nella sua famosa de­
scrizione dei Germani ricorda anche la loro venerazione per la "Ma­
dre degli Dèi", riferisce: "l Germani credono addirittura che sia pro­
pria delle donne una certa facoltà magica e profetica; per cui ascolta­
no i loro consigli e danno loro retta." Ai tempi di Tacito, nel 1 secolo
d.C., i Germani erano ancora molto vicini a queste qualità matriarca­
li. I rapporti sociali di Roma, sessualmente polarizzati, col pater fami-

239
CAPITOLO Xli

lias in veste di signore assoluto, erano loro sconosciuti. La barricata


di carri germanici è appunto simbolica dell'equilibrata cooperazione
esistente nel collettivo tra donna e uomo. In battaglia le donne stava­
no al fianco degli uomini. "La loro testimonianza" stupisce il romano
Tacito, "è la più sacra per chiunque, la loro lode è la somma: feriti
vanno dalla madre, dalla sposa, e quelle contano o esaminano senza
timore i colpi; portano anche cibo e conforto ai combattenti. Narra­
no che più di una schiera di combattenti che stava per vacillare e per
disperdersi venne rianimata dalle donne: con pianti ostinati, proten­
dendo i seni nudi e ricordando la prigionia prossima che ai Germani
sembra molto più insopportabile e tremenda per amore delle loro
donne".
La società germanica tradisce strutture matriarcali anche nella
consuetudine che stabilisce che in occasione delle nozze non sia la
donna a portare la dote all'uomo, ma l'uomo alla donna. Dote della
quale non fanno parte solo buoi, ma anche un cavallo domato, uno
scudo e una spada. "Per questi doni" prosegue ancora Tacito, ''l'uo­
mo ottiene la sposa che da parte sua dona anch'ella un'arma all'uo­
mo. Questa è tenuta in conto di massimo legame, di consacrazione
segreta, di protezione divina del matrimonio. La donna non deve ri­
tenersi estranea allo sforzo nelle imprese eroiche ed esclusa dalle al­
terne sorti della battaglia: i simboli del matrimonio che sta per con­
trarre le ricordano che in quanto compagna ha da reggere fatiche e
pericoli e ha pari diritti sia in pace che in guerra" _II 6J
L'alta stima che i Germani hanno della donna è ancora alimenta­
ta dalla fonte sacra della Grande Madre. Il nimbo di santità e di veg­
genza che avvolge la donna presso tutti i popoli e le tribù non ancora
completamente patriarcali dipende dalla sua maggiore capacità in­
tuitiva e dalla sua dote naturale, in quanto donna, di percepire ciò
che germoglia e cresce nel segreto.
Quelle erano donne e madri che per tradizione millenaria si oc­
cupavano di piante ed erbe della terra. Preparavano il cibo e studia­
vano gli effetti curativi, inebrianti o velenosi delle piante. Tale sapere
femminile carpito alla natura confluiva anche nei riti e nelle pratiche
delle antiche sciamane e sacerdotesse, veggenti e profetesse, a co­
minciare dall'antico-germaniche Veleda e Albruna alla Pizia delfica,
per finire alla Sibilla cumana. E che, nel medioevo, distingueva pure
le "sagge donne" circondate da un rispetto pieno di soggezione. Esse
non erano solo le consigliere dei momenti difficili della vita. Possede­
vano anche l'arte di guarire. Preparavano secondo antiche ricette po­
mate e lozioni, di certo anche misture erotico-stimolanti e altre anco­
ra per proteggere da gravidanze indesiderate. In un romanzo france­
se del XIV secolo su Lancillotto, nella descrizione della guarigione

240
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

dell'eroe, impazzito a causa dell 'amore per Ginevra, operata dall'un­


guento magico di una fata, riecheggia ancora la nozione di "sagge
donne" guaritrici.
Nella fata e nella "saggia donna" soprawive qualcosa del potere e
della bellezza della Grande Dea. Ben lo sapeva la Chiesa che bandì le
"sagge donne" come streghe. Neppure Berta, l'arcaica madre dei
Germani, poté sfuggire a questa sorte. Con la cristianizzazione, an­
ch 'ella assunse le connotazioni della strega. La conosciamo come
"schiache Percht", la brutta strega ributtante del "Perchtenlaufen"
nella regione di Berchtesgaden. Berchtesgaden: giardino di Berta!
Spaventosa è la frotta di demoni mascherati da spiriti che nelle notti
tra Natale e l'Epifania vaga al suo seguito. Nella mitologia germanica
le "dodici sante notti" del solstizio d'inverno iniziano il 24 dicembre,
che non è solo il giorno della nascita di Cristo, ma anche del nuovo
re, come sappiamo già dalla tradizione calendarista e dall'enigma di
Stonehenge. Da Berta, la Madre Universale un tempo di bell'aspetto,
prende pure nome la cittadina di Perchtoldsdorf al limitare orientale
del Wiener Wald. Essa è presente in molte zone austriache, a Sali­
sburgo, in Stiria, Carinzia, Craina, Tirolo e anche in Baviera, in Sve­
via, Franconia, Assia e Alsazia. Ancora poco tempo fa a Zurigo il 2
gennaio, "Giorno della Berta", iniziava la "Festa di Bertoldo". Per
lungo tempo Berta venne considerata colei che prendeva in carico le
anime dei bimbi morti prematuramente e non battezzati. Le madri
sapevano che con lei erano in buone mani, mentre la "Madre Chie­
sa" li escludeva dalla beatitudine eterna.
Il clero, demonizzando la Grande Madre Berta e confinando i
suoi aspetti oscuri nella figura della strega, tentò di guidare la fede
popolare su altri binari - verso la Madre di Dio cattolica, dalla quale
la dea pagana venne poi anche sostituita, al pari di tutte le sue sorelle
pagane. Un testo latino del XIII secolo di origine bavarese narra di un
diacono e di una diaconessa che avevano intonato una cantilena con
la "Domina Perachte", con la signora Berta, e che vennero quindi
tacciati di essere demoni. In uno scritto latino di Benediktbeuren,
Berta viene affiancata ad Astaroth, l 'Astarte cananea e il Thesaurus
Pauperum del Tegernsee, risalente al 1 468, riferisce che certuni cre­
devano ancora che nelle santi notti che intercorrevano tra la nascita
di Cristo e il giorno del suo battesimo, o Teofania, comparissero mol­
te donne, a capo della quale c'era la signora Berta: " ... quibus praeest
domina Perchta." Berta è nota pure come Perachta, Bestia o Berchta.
Il suo nome ha molti significati. Derivando dall'antico alto tedesco
"berth" o "berath" che significa "chiaro", "lucente", denuncia l'affi­
nità tra la dea e un corpo celeste, la luna forse o l'astro Venere, la
stella del mattino e della sera. Originariamente, comunque, Berta è

241
CAPITOLO XII

una dea dell 'amore e della fecondità di radiosa bellezza. Viene para­
gonata anche a Freya, assieme alla quale la si è incontrata nella fiaba
di Frau Holle. Che Berta abbia generato il sommo dio dei Germani,
Odino-Wotan, comprova il suo arcaico potere di Madre. E anche il
suo nome potrebbe segnalarlo. Se infatti oltre che a "berath", si risale
all'antico vocabolo alto tedesco "beran", che potrebbe celarsi dietro
alla "Perachta" e che significa "portare", "creare", "generare", si arri­
va alla creatrice e generatrice.

Per quanto demonizzata in strega, la Grande Madre dei Germani


non ha potuto venire del tutto deprivata del suo nobile albero genea­
logico. Così, ad esempio, nel "Vogelpercht" ancora diffuso nella val­
lata di Gastein, che si presenta col naso deformato a becco d'uccello,
ricorda gli antichissimi miti della creazione. I Pelasgi in epoca pre­
greca non avevano forse già fatto nascere il mondo dall' uovo primi­
genio di una dea della luna in sembiante d' uccello? Agli inizi dei
tempi, Latona-Leto non era forse una vergine-cigno? Bottcher, che
ha seguito queste tracce con fiuto quasi da detective, crede comun­
que che, nelle sue origini mitologiche, sia identica a loro.
La rigida pretesa della Chiesa di essere l'unica detentrice della ve­
rità in tutti i campi ha favorito che si sprofondasse sempre più nella
palude della dottrina dell 'inferiorità della donna e del suo rapporto
col peccato, col diavolo e con la morte. Paradossalmente, proprio la
Chiesa che favorisce in modo tanto funesto il dualismo del pensiero
patriarcale in stretta connessione con la misoginia ascetico-monaca­
le, si definisce "mater ecclesia". Nonostante quasi nessuno si sia spin­
to tanto oltre quanto il fondatore della riforma cluniacense, il bene­
dettino Oddone di Cluny (879-942) , che era convinto che: "Abbrac­
ciare una donna è come abbracciare un sacco di sterco", 1' 71 nel Me­
dioevo cristiano ella viene ovunque identificata con l'aspetto nottur­
no della natura, con l'aspetto apparente del mondo ingannatore e
della sua deperibilità. In tutta Europa scultori importanti la ritrassero
nella pietra: "Monna Mondo" - un'incantevole, sorridente e cortese
dama avvolta nelle morbide pieghe di una sopravveste, che consente
la visione del seno ben fatto, ma vipere e vermi le rodono la schiena.
Una delle raffigurazioni più famose di "Monna Mondo" è quella del
portale meridionale del duomo imperiale di Worms, costruito del re­
sto al tempo in cui visse il più importante menestrello di lingua tede­
sca, Walther von der Vogelweide (circa 1 1 70 - circa 1230 ) . Neppure il
poeta dell 'immortale canzone d'amore di Tandaradei sotto i tigli, che
cantò la nobile "wip" di carne e sangue dali "'alito di giglio" e la "vam­
pa di rose" delle sue guance, esaltandola come suo "carro di stelle" e
"cielo", restò indifferente alla scandalosa simbolizzazione della don­
na quale mondo ingannevole, spaventoso e letale. Verrebbe quasi da

242
DALLA DETRON IZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

credere che l'anonimo artefice della scultura di "Manna Mondo" co­


noscesse già i versi di Walther:

"Monna Mondo, ho troppo goduto,


ora è tempo di svezzarsi.
Quasi mi ha accecato il tuo amoreggiare
con la sua dolce tenerezza.
Quando ti ho guardata in volto
era dolce da vedere,
devo ben ammetterlo.
Ma quando ti ho vista da dietro
ho dovuto maledirti in eterno,
Monna Mondo, tanto eri spaventosa". <1"1

L'epoca della lirica d'amore cavalleresco e dei trovatori francesi è


percorsa da una profonda frattura tra la concezione amorosa ma­
triarcale e il misoginismo ecclesiastico. Mentre nell 'Aquitania del XII
e XIII secolo in piena fioritura culturale i poeti creavano un culto del­
la bellezza che fecondava tutta Europa e nei giochi amorosi della lo­
ro gioia di vivere indulgevano ancora in una nuova valutazione della
donna, contemporaneamente, sulle chiese dei conventi e sulle catte­
drali, ella veniva immortalata come spaventoso esempio del male. Co­
sì, per citarne solo uno, nella famosa abazia di Moissac, definita per
la sua elevata qualità artistica un "'apoteosi della scultura romanica",
nelle nicchie laterali del portale principale c'è una bella "Manna
Mondo" dai capelli lunghi, un'incarnazione della vanità che il diavo­
lo guata in attesa col becco spalancato.
Sostenuta dalla dottrina dei Padri della Chiesa e dei teologi, que­
sta tradizione prepara il terreno alla caccia alle streghe che scoppierà
più tardi. Tra corpo ed anima venne a crearsi una tragica frattura, e
quanto più appassionatamente monaci e asceti predicavano l'ostilità
per il corpo, tanto più la donna in quanto figlia d'Eva assurgeva al
ruolo di seduttrice impudica, dietro al quale c'era il potere sessuale
del diavolo. In una delle più note trattazioni etiche del Medioevo, la
Summa del XIII secolo di Wilhelm von Peyraut, si mette genericamen­
te in guardia dal frequentare le donne, dato che solo il guardarle
spinge all ' impudicizia. Successivamente il priore del convento dei
domenicani di Lione, che condannava anche le canzoni d ' amore, la
musica strumentale e la danza, quali miraggi del principe dell'infer­
no, nella sua opera si occupò a fondo delle forme d'amore proibite e
del peccato mortale dell 'adulterio. Egli scrisse: "Poniamo il caso che
uno non abbia pensato, detto o fatto nulla di male, che abbia com­
piuto tutte le buone azioni immaginabili e che abbia commesso adul­
terio una volta sola e che abbandoni poi il corpo senza aver fatto pe-

243
CAPITOLO XII

nitenza, sarà necessariamente dannato. Se la Chiesa celebrasse per


lui tutte le messe celebrabili sino alla fine del mondo, non bastereb­
bero a liberarlo dalla morte eterna".091 Guilielmus Peraldus, dal no­
me latinizzato, fece onore al proprio ordine che poi si distinse so­
prattutto nella persecuzione delle streghe. La Chiesa, però, non ha
sempre favorito la credenza nelle streghe. Nell'alto medioevo la con­
dannava addirittura. Il sinodo di Paderborn convocato da Carlo Ma­
gno, un convinto oppositore della cultura pagana, nel 785 stabilì la
condanna a morte per chi "accecato dal diavolo, crede alla moda dei
pagani, che un uomo o una donna siano una strega o uno stregone e
li brucia ... ". 1201 Tuttavia nei secoli successivi il pendolo si allontanò da
quella posizione illuminata e oscillò verso quella opposta.
Il primo a dare una forma dogmatica alla fede nelle streghe, sen­
za per questo poter essere definito un vero e proprio persecutore, fu
Tommaso d'Aquino ( 1 225-1 274) . Il grande scolastico era convinto
che uomo e diavolo potessero cooperare e credeva che streghe e ma­
ghi potessero causare catastrofi e disgrazie in quanto "assistenti di Sa­
tana". Come altri scolastici riteneva possibili pure i rapporti sessuali
tra esseri umani e demoni. In quanto ottimo conoscitore della filoso­
fia di Aristotele ne condivideva il disprezzo per la donna. Per lui,
"doctor angelicus" e futuro santo, la donna era semplicemente "in­
completa e mal formata". l2 1 1
Quali meccanismi di rimozione devono essere stati attivi nella lot­
ta contro una proibita libido, per far dare giudizi simili! Dietro il pro­
cesso d'imbruttimento della donna e la sua demonizzazione c'è la
paura dell ' incantesimo di Mrodite, del serpente dell'Antico Testa­
mento trasformato in male. Kurt Baschwitz nel suo testo sulla creden­
za nelle streghe si chiede: "Che anche il legame tra magia e grembo
degli inferi e che il fenomeno spaventoso delle incantatrici, sorelle
dei demoni notturni, siano un residuo dei tempi lontanissimi della
religione della "Grande Madre"?1221 - "Non lasciare vivere la maga."
Così si legge nell 'Antico Testamento a proposito della lotta contro
l 'arcaica religione della Madre (Esodo 22, 1 7) . Anche la veggenza
viene aspramente combattuta: "Chiunque uomo o donna eserciti
l'arte di evocare gli spiriti dei morti o faccia l 'indovino, sia ucciso.
Sarà lapidato: il loro sangue ricada sopra di loro." (Levitico 20, 27) .
Per contro, re Saul in una situazione di emergenza bellica, nono­
stante avesse ordinato di persona di soffocare qualsiasi culto magico,
si recò personalmente a Endor da una spiritista per far evocare a
consiglio il defunto Samuele. La Bibbia ne racconta la spedizione, ca­
muffato, e la diffidenza della donna: "La donna gli disse: 'Ecco tu sai
tutto quello che ha fatto Saul, e come ha bandito dal paese i negro­
manti e gli indovini. Perché dunque tendi insidie alla mia vita, per

244
DALL\ DETRONIZZAZIONE DELL\ DEA MADRE ALL\ CREDENZA NELLE STREGHE

farmi morire? "' ( l Samuele 28, 9) Alla fine la donna evoca Samuele e
Saul viene a sapere della propria rovina. La apprende grazie ai poteri
magici di una saggia donna!
Già nell'antichità la donna incantatrice, ammaliatrice e fatalmen­
te seduttrice era considerata un'emanazione della Grande Dea. Così
Circe strinse nei suoi lacci Odisseo, e di Medea, la maga possente, si
dice che cuocendolo nel paiolo cambiò un vecchio capro in un
agnello vivo, che trasformava quindi la vita vecchia in nuova. Anche
la costruzione di una piramide nell'Egitto della IV dinastia viene at­
tribuita da Erodoto a una maga, la strega Rodopi. Non può ogni don­
na celare in sé la maga? Ora, dato che essa si è fatta carico dell'ere­
dità peccaminosa dell'antica Eva, diventa una strega pericolosa.
Il primo rogo di streghe promosso dall 'Inquisizione ebbe luogo a
Tolosa nel 1 275, un anno dopo la morte di Tommaso d 'Aquino.
L'accusata era una donna debole di mente che "confessò" ai giudici
di avere avuto rapporti sessuali col diavolo e di aver generato da lui
un mostro, per nutrire il quale di notte compiva scorribande ruban­
do bambini piccoli. Di solito ammissioni del genere venivano ottenu­
te sotto tortura. Ciò nonostante si può supporre che gli inquisitori
fossero convinti della validità di simili asserzioni. Anche il potere
temporale non era esente dal timore dei demoni. Lo testimonia la le­
gislazione. Il Sachsenspiegel scritto nel 1 225, come pure lo Schwaben­
spiegel, pubblicato circa mezzo secolo dopo, ad esempio, vedono nella
magìa un eventuale fatto passibile di condanna a morte sul rogo. Nei
secoli successivi vengono però sterminati relativamente meno maghi,
e più maghe che streghe, e tutte le "sagge donne". Il numero delle
vittime è di centinaia di migliaia. Contribuirono a questo terrore dif­
fusosi in tutta l 'Europa anche tangibili ragioni politiche. Le donne
perseguitate non erano solo esperte in cose d'amore, ma disponeva­
no anche di mezzi efficaci per il controllo delle nascite. In epoca feu­
dale c'era un enorme bisogno di servi della gleba per gli estesi posse­
dimenti dei nobili e del clero. Gli aborti mettevano a rischio il siste­
ma sociale. A queste radici della caccia alle streghe, condivisa anche
da uomini quali il famoso francesejean Bodin ( 1 530-1 596) , statista e
giurista, filosofo e legale della corona, fanno riferimento nel loro li­
bro ricco di dati Die Vernichtung der weisen Frauen (Lo sterminio delle
"sagge donne") Gunnar Heinsohn e Otto Steiger, sociologi ed eco­
nomisti.
Tuttavia il complotto dei potenti contro le "sagge donne" non
avrebbe potuto riuscire senza il motore della paura dei demoni e la
credenza nelle streghe. In alcune regioni, dal xv secolo in avanti, la
caccia alle streghe diventò un 'autentica epidemia. Non fu solo in
Francia che, dopo il famigerato processo di Arras del 1 46 1 , si ebbe

245
CAPITOLO XII

una caccia alle streghe collettiva. Anche in Germania, Spagna, Italia,


Inghilterra, Scozia, Paesi Bassi e Svizzera ci si sfogò in terrificanti ro­
ghi di massa di esseri innocenti. A screditare una donna come strega
possono bastare i suoi capelli rossi. Le mani e i piedi delle vittime
vengono esaminate alla ricerca di chiodi e di ferrature, perché le
streghe amano trasformarsi in cavalli sui quali di notte cavalca il dia­
volo.
La decisa componente sessuale della credenza nelle streghe, che
aveva già dei precedenti, riaffiora di continuo. Già Celio Aureliano,
uno dei primi storici della medicina - incerta l' epoca in cui visse, che
si colloca approssimativamente tra il II e il v secolo -, nel suo trattato
De lncubone sostenne la teoria, diffusa persino allora, dell'esistenza di
demoni particolari che, in sembianti di uomini, seducono le donne
per prendere possesso delle loro anime. All' incubo corrisponde, ana­
logamente attivo, il succubo, lascivo demone femminile. Il timore di
questi malfattori sessuali venne ulteriormente ravvivato dal concetto
cristiano di peccato. Tutta la zona "inferiore" dell 'essere umano veni­
va genericamente ritenuta sede di pericolosi coinvolgimenti. Già l'a­
postolo Paolo parlava con toni denigratori della "carne" e dell "'uo­
mo di carne" che va superato. I verbali relativi al comportamento del­
le donne durante i processi delle streghe parlano il linguaggio racca­
pricciante dei morbosi desideri degli inquisitori e dei torturatori.
Spesso e volentieri questi mettevano in bocca alle vittime tormentate
il sudiciume delle proprie fantasie sessuali. Ruolo preminente ha la
domanda relativa alla partecipazione al "Sabba delle streghe", duran­
te il quale il signore infernale copula nel modo più dissoluto possibi­
le con le donne. In quelle occasioni le streghe arrivano a volo caval­
cando manici di scopa e caproni, maiali e fascine di paglia per incon­
trarsi in selvaggia solitudine col diavolo che, col membro eretto, con­
sente loro di danzargli attorno, premiandone i servigi stregoneschi
con l'estasi di un piacere perverso.

Streghe e stregoni danzano in "cer­


chio magico" attorno al diavolo col
fallo eretto. In taglio su legno raffigu­
rante il testo di un'antica ballata in­
glese.

246
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

Se mai sono esistiti i sabba delle streghe, come osserva jean Mar­
kale, "in realtà" non possono essere stati "altro che i baccanali degli
antichi o le orge sacre in onore di Demetra e di Iside". "Tutte quelle
sette misteriose sorte nei secoli e rapidamente scomparse o che an­
cor oggi esistono, sono nate - consciamente o inconsciamente - da
un 'unica e identica intenzione, quella di reintegrare la donna coi
suoi antichi privilegi nella rinnovata società umana". 123>
Sul terreno di cultura di cervelli maschili malati crebbero però
desideri sessuali deviati che si smarrirono addirittura nel regno della
mistica cristiana. I desideri erotici proibiti vengono allora convertiti
in immagini di ebbrezza sensuale e di appetiti amorosi. "Oh, non era
forse ebbro" scrive il mistico olandese johannes Brugmann sull'incar­
nazione di Gesù "quando l'amore disinteressato lo costrinse a scen­
dere dall'alto del cielo nell'umile valle della terra?" Gesù si muove in
cielo simile a un ubriacone, spilla, mesce e i profeti "bevvero sino a
scoppiare e poi David saltò davanti alla tavola con la sua arpa, esatta­
mente come se fosse stato il buffone del mio Signore". Il mistico
fiammingo Jan van Ruusbroeck si lascia divorare dalla fame di Cristo:
"Egli infatti è un avido gaudente ed ha una fame da lupi, consuma il
midollo delle nostre ossa. Ciò nonostante glielo consentiamo volen­
tieri e quanto più glielo consentiamo tanto più gli piacciamo." Il pio
uomo in estasi religiosa si fa "rosolare nell'amore" ed annuncia: "Se
potessimo vedere il desiderio avido che ha Cristo della nostra beatitu­
dine, non potremmo smettere di volargli in gola".
Jean Berthelemy, un mistico francese, spasima per la mistica unio­
ne con Dio: "Lo mangerete, rosolato al fuoco, ben cotto, non brucia­
to, ma arso. Giacché come l'agnello pasquale viene cotto e rosolato
tra due fuochi di legno e carbone, così il venerdì santo il dolce Gesù
venne infilato allo spiedo della venerabile croce tra i due fuochi di
una morte e una sofferenza paurose e di amore e dilezione ardenti,
che egli sopportò per le nostre anime e per la nostra salvezza, lascian­
dosi lentamente cuocere e scottare per salvarci". 12'>
Il domenicano Alain de la Roche, nato nel 1 428 in Bretagna, par­
la ripetutamente di come si ristora col latte di Maria. Egli fondò una
confraternita internazionale di preghiera per la diffusione del rosa­
rio e consigliò di meditare su ogni parte del corpo della Madre di
Dio. Nelle sue visioni compare anche la "meretrice dell'apostasia",
che a ritmo ininterrotto bacia e inghiotte e dà alla luce e vomita i
propri figli - una decisa perversione di rappresentazioni ciclico-natu­
rali ispirate all'arcaica religione della Madre. L"'amante" di Maria de­
scrive il mostro del peccato come una creatura dalle parti sessuali
schifose dalle quali fuoriescono zolfo e fiumane di fuoco. Quest'uo­
mo sessualmente deviato fu il maestro del suo confratello Jakob

247
CAPITOLO Xli

Sprenger, che non solo promosse la confraternita del rosario in Ger­


mania, ma che assieme al confratello Heinrich Institoris scrisse il più
orrido libro del xv secolo, il Malleus maleficarum, il martello delle stre­
ghe. Dato che in alcune regioni della Germania molte persone di
ambedue i sessi avevano perso la fede e si erano date alla lussuria col
diavolo, papa Innocenza VIII che, come narrano, lo apprese con
grande dispiacere il 5 dicembre 1484, con la bolla Summis desiderantes
affectibus confermò le competenze dei due inquisitori. È nota la loro
devastante attività di cacciatori di streghe. Nell' opera in tre parti
Martello delle streghe dei due domenicani, le prime due sezioni sono
dedicate alla presunta attività delle streghe e alle loro tresche amoro­
se. Il disgustoso scritto, che divenne addirittura un best-seller postu­
mo - nel 1 669 aveva già raggiunto le 29 edizioni, delle quali 1 6 in
Germania, 1 1 in Francia e 2 in Italia - imputa alle donne la maggior
parte di tutte le arti e i crimini diabolici.
Verso il 1 590 il ducajulius von Wolfenbiittel fa spesso bruciare da
dieci a dodici "streghe" al giorno. Il luogo delle esecuzioni, coi pali
delle streghe ai quali venivano legate le condannate alla morte per
fuoco, assomigliava a un bosco degli orrori. Già i riformatori Lutero
e Calvino avevano fornito pece per le orripilanti fiaccole umane, pro­
nunciandosi a favore dell'estirpazione di tutti i presunti incantatori.
Nel xvn secolo, in Inghilterra, esistette un "Witch-Finder-General"
autonomo, il generale scopritore di streghe Matthew Hopkins. Quel
fanatico si vantava di avere portato al patibolo più di cento streghe
nei soli anni intercorsi tra il 1 645 e il 1 647. A poco servì lo scritto di
un certo Reginald Scott, pubblicato già 60 anni prima, contro la cre­
denza nelle streghe. Il re inglese Giacomo l, autore di una Demonolo­
gia, non si lasciò impressionare.
Continuò a far bruciare le streghe.
In questo raccapricciante capitolo vanno però ricordati anche i
nomi di coloro che tentarono di far ascoltare la voce della ragione. Il
duca Filippo il Buono, ad esempio, fece sospendere i processi alle
streghe di Arras sulla base di una perizia di esperti di Lovanio. Egli
era in contatto col prevosto della chiesa di Losanna, Martin Lefran­
ce, autore di una poesia contro la caccia alle streghe che recita: "Sin­
ché vivrò, non crederò/ Che una donna fisicamente/ Viaggi per l'e­
tere come un merlo o un tordo". Anche Paracelso ( 1 494-154 1 ) fu un
sostenitore della sana ragionevolezza umana. Non credeva in "creatu­
re incorporee e spiriti diabolici", preferiva parlare di malattie che
privano della ragione e sono di origine naturale. Suo contempora­
neo fu l' erudito medico, filosofo, mistico e scettico Agrippa von Net­
tesheim ( 1 486-1 535 ) . Calunniato come negromante unicamente a
causa del suo straordinario sapere, dichiarò opera dell'Anticristo la

248
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

tortura di donne e fanciulle perpetrata in nome della Chiesa. Prima


della morte, avvenuta in povertà e abbandono, Agrippa acquisì anco­
ra un discepolo importante: Johann Weyer ( 1 5 1 5-1588 ) . Questi fece
delle ricerche scientifiche sulle malattie mentali e osò addirittura
contrapporre alle insostenibili tesi del Martello delle streghe, disturbi
del comportamento e vaneggiamenti. Dichiarò che le malattie psichi­
che facevano parte del campo di ricerca della medicina e non della
teologia. Espresse apertamente il suo disappunto su coloro che "per
sradicare gli errori si affannavano a sterminare esseri umani". Solo la
sua elevata posizione di medico alla corte del duca di Berg e di Diis­
seldorf lo protesse dai fanatici e dagli sbirri. I vaneggiamenti da lui
descritti, comunque, vanno attribuiti più agli inquisitori che alle loro
vittime. Non va dimenticato neppure il poeta e gesuita Friedrich von
Spee ( 1 591-1635 ) , confessore di molte condannate a morte, che si
oppose all'orrida procedura dei processi alle streghe e nella sua Cau­
tio criminalis del 1 63 1 scrisse: "Nessun nobiluomo tollererebbe che gli
facessero a pezzi il cane da caccia! È dunque concesso smembrare a
questa stregua un essere umano?" Ma la ragione faticava ad imporsi.
L'ultima esecuzione per stregoneria venne eseguita nel 1 782 a Gla­
rus, in !svizzera. In quell'occasione i giudici protestanti condannaro­
no a morte una serva perché, dicevano, aveva stregato il figlio del suo
padrone. Due decenni prima, nel 1760, a Poschiavo era stata bruciata
l'ultima "strega". In quella zona dei Grigioni il numero delle vittime
era comunque particolarmente alto. Almeno cento furono le con­
dannate. La maggior parte di loro finirono sul rogo. A Ramosch, in­
vece, le "femnas da malas arts" - le donne delle arti nere - venivano
affogate nell 'Inn. L'inquisizione seguì per parecchio tempo le tracce
di donne sospette proprio nelle vallate di montagna romance e !adi­
ne dei Grigioni e del Tirolo del sud, ove sopravvisse a lungo il ricor­
do delle antiche divinità materne. Nel Tirolo del sud si ricordano an­
cora i nomi delle nove contadine più benestanti di Vols, che subiro­
no un processo conclusosi nel 1 5 1 0 con la condanna a morte sul ro­
go, sentenziata in base alle prescrizioni del Martello delle streghe. "Su e
su e in nessun luogo !" pare gridassero le cosiddette streghe dello Sci­
liar, cavalcando per l'aria su scope, rastrelli o forconi, "fascinando"
gli animali e influenzando il tempo, facendo andare a male il burro
nella zangola, spaventando, in sembiante di corvi, gli esseri umani o,
naturalmente, compiendo atti impudichi. In quanto eredi delle "sag­
ge donne", probabilmente anche le nove contadine di Vols possede­
vano la scienza segreta di erbe e piante. Si dice che sotto le travi di
antiche fattorie siano stati ritrovati vasetti di unguenti vecchi di seco­
li, pieni di "unguento di strega" disseccato. Forse le donne si incon­
travano davvero in segreto per scambiarsi ricette, forse anche per

249
CAPITOLO XII

danzare con la luna piena, come hanno ricominciato a fare oggi cer­
te sette di femministe che si autodefiniscono con orgoglio "streghe"
e che celebrano riti regressivi ad imitazione di un 'arcaica religione
della Grande Madre, definendoli "culto delle streghe".
Sopra Castelrotto e l'Alpe di Siusi , sul Bullaccia, alto 2000 metri,
ci sono le "panche delle streghe" o i "sedili delle streghe". Fronti di
rocce di porfido d'augite, levigate probabilmente dai ghiacciai dell'e­
poca della glaciazione, scavate a formare delle panche naturali nella
pietra a mo' di sedili, con braccioli e spalliere. Su di esse si notano
pure tracce di lavorazione artificiale. Questi "sedili", dai quali si vede
tutta la regione, la vallata dell'Isarco sotto il Rittnerhorn e, dietro la
conca valliva di Bolzano, il gradone roccioso della Mendola, erano
forse antichi osservatori o un tempo vi troneggiava una divinità ma­
terna? La leggenda parla comunque di un luogo, indefinito per il tra­
scorrere dei secoli, in cui, su questi lastroni di roccia che sembrano
consunti dai passi, danzavano le streghe. Nel mondo degli inizi anco­
ra governato dall'autorità femminile, in questo luogo possono benis­
simo essere stati celebrati i riti di un culto matriarcale che venne poi
marchiato con le stigmate della stregoneria. Le leggende delle Alpi
retiche sono piene di donne awolte dal mistero, soprattutto quelle
ladine delle regioni dolomitiche. Qui soprawisse a lungo in molte
sue epifanie anche Madrisa, la Dea Madre della Terra, originaria dei
Grigioni, che ancor oggi dà il nome al Madrisahorn presso Kloster.
Nel secolo scorso si narrava anche che tanto tempo fa dal monte Fa­
loria, sopra Cortina d'Ampezzo, sul quale sorgeva un tempo un luo­
go di culto pagano, fosse scesa una fanciulla che padroneggiava l' arte
della pittura di cui, sino a quel momento, nessuno sapeva nulla. Si
racconta che quella giovane abbia fondato una stirpe di pittori col
suo primo allievo, e che fosse quella la famiglia da cui discendeva il
grande Tiziano, nato nel 1490 a Pieve di Cadore. Egli doveva il suo
talento quindi a un'antenata dei monti, a una musa e divinità femmi­
nile che, a detta del popolo, aveva donato ai mortali l'arte e lo spirito
artistico.
Tutte le fate pagane di montagna, le indovine, le Madri della Na­
tura e le donne selvagge, le Gane e Bregostane, Vivane e Cristane la­
dine o come altro vengono chiamate, sono ancora circonfuse dall'au­
ra della Dea dell' antichità. Tali figure dal duplice significato come
pure le Dialas dei Grigioni o la Vivéna, l 'indovina del bosco delle Do­
lomiti ladine, hanno un albero genealogico affine che affonda nella
preistoria. In area di lingua tedesca le incontriamo col nome di Wil­
leweis, Salige o Selige Weiblein (Beate Donnette ) . Nella misura in
cui avevano il dono della profezia, possono venire affiancate alle si­
bilie dell'antichità. Tutte loro sono antenate delle streghe!
Le donne non vennero demonizzate solo dall' ebraismo e dal cri-

250
DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

stianesimo, ma furono represse anche dalla terza religione patriarca­


le del mondo, l 'islamismo. Allah, "signore di grande benevolenza",
"che tutto perdona, il misericordioso", ma al contempo anche impie­
toso e intollerante "padrone della vendetta" che condanna gli infede­
li a "tormentosa punizione", non fece predicare al suo profeta Mao­
metto (attorno al 570-632) , al quale nel Corano rivelò la sua divina
parola, il disprezzo per la donna, ma in quanto unico dio maschile si­
mile ajahwe, anch'egli la sottomise ai voleri dell'uomo e la defraudò
della sua identità sessuale. Anche nell'Islam - la parola araba significa
"abbandono" alla parola di Dio - la donna è la compagna dell'uomo,
che Allah ha creato per primo (Sura 4, 2 ) . Maometto, in quanto fon­
datore religioso dell'Islam, prese a prestito dei concetti dall'ebraismo
e altri dal cristianesimo orientale per, secondo lui, completarli. La
Sura 4, 34* recita: "Gli uomini sono preposti alle donne, perché Al­
lah ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano loro dei
beni per mantenerle. Le donne buone sono quindi ubbidienti e con
l'aiuto di Allah mantengono i segreti (dei loro sposi ) . E quelle di cui
temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi !asciatele sole nei loro
letti e castigatele".
A differenza di quanto insegnano le dottrine cristiane, nemiche
del corpo, le donne servono al piacere degli uomini. Le Hurì, fan­
ciulle di incomparabile bellezza "dai grandi occhi neri a somiglianza
di perle nascoste nel guscio", addolciscono il paradiso dei credenti
(Sura 56, 22-24) . Sulla terra gli uomini devono però badare alle don­
ne e insegnare loro che "tengano gli occhi bassi e custodiscano la
propria castità", e "non espongano le proprie grazie, a parte ciò che
deve essere visibile, e si coprano il seno con un velo e non mostrino
le loro grazie altro che ai loro mariti, i padri, o i padri dei loro mariti
o i fratelli o i figli dei loro fratelli, o i figli delle loro sorelle, o le loro
mogli ... o a coloro dei servi maschi che sono privi di istinti sessuali e
ai bambini che non sanno nulla della nudità della donna. E non de­
vono incrociare i piedi sì da mostrare le loro bellezze nascoste" (Sura
24, 3 1 ) . E di nuovo Allah insegna a Maometto "O profeta! Dì alle tue
mogli e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano bene
coi loro mantelli ! " (Sura 33, 59) .
Per la legge di Allah la donna diventa un bene disponibile, e con
altrettanta esattezza sono regolati i rapporti di proprietà. Se pure alla

* Qui e di seguito ho riscontrato una discordanza tra la bibliografia indicata


nel testo e quella verificata sulla versione italiana del Corano, tradotto da Alessan­
dro Bausani ed edita da Sansoni, Firenze. [N.d.T.]

251
CAPITOLO XII

donna sono riconosciuti certi diritti, ad esempio, "mezzi di sussisten­


za" "secondo giustizia" quando l 'uomo la ripudia, gli uomini, di fron­
te a simili diritti affermatisi "in base alle usanze", "hanno una certa
preminenza rispetto a loro" (Sura 2, 228-241 ) .
"Le vostre donne sono come un campo per voi; avvicinatevi quin­
di al vostro campo quando e come volete", comunque non "durante
le mestruazioni" giacché "porta disgrazia", dice Allah per bocca di
Maometto (Sura 2, 223-224) .
L'uomo comanda sulla donna. I l bellicoso profeta d i Allah, Mao­
metto, condottiero e statista, tramite la religione da lui fondata riuscì
a sostituire ai culti tribali politeisti degli arabi un monoteismo assolu­
to, una forza spirituale dirompente di portata infinita, come emerse
dalla successiva conquista di vastissime regioni del nostro mondo,
che opera con rinnovata potenza anche ai giorni nostri.
Anche la nascita deii'Islam è connessa all 'estinzione delle tradi­
zionali religioni della Madre. Dove un tempo accanto a una divinità
maschile chiamata per lo più col nome collettivo di Allah veniva ve­
nerata anche una Allat femminile di pari rango, ora regnava solo il
dio maschile. Soffocata fu pure ) "'idolatria" delle pietre sacre, simbo­
li millenari della Magna Mater. Tuttavia quando, nel 630, Maometto
conquistò la Mecca, nella Kaaba trovò una pietra nera, simile alla me­
teorite nera di Pessina nella quale si nascondeva Cibele. Dato che fu
abbastanza abile da mantenere la principale sede cultuale degli arabi
pagani come centro e luogo di pellegrinaggi della sua nuova religio­
ne - dichiarò Abramo fondatore del santuario - gli riuscì di diventare
sovrano di una città santa i cui abitanti ben presto gli si affezionaro­
no con slancio ed entusiastico disprezzo della morte. Ogni credente
che combatte per Allah viene premiato coi "giardini della delizia"
che fanno sì che l'appello a combattere gli infedeli cada su un terre­
no fecondo. Le schiere di coloro "che sono intenzionati a dare la vita
terrena in cambio di quella futura" (Sura 4, 75) crebbero. Tutti san­
no che "Coloro che credono, combattono per la causa di Allah e co­
loro che non credono, combattono per la causa del male. Combatte­
te quindi gli amici di Satana! Che per certo la strategia di Satana è
debole" (Sura 4, 76) .
Molti peccati sono perdonabili, solo questo no: i l dubbio nell 'on­
nipotenza del dio patriarcale. Più volte viene ripetuto: "In verità, Al­
lah non perdonerà che gli vengano posti accanto altri dèi . . . " (Sura 4,
49, 1 1 7) .
Ora il Corano, come la Bibbia, è frutto di una stratificazione di
tradizioni, così che anche per I'Islam viene da chiedersi se il passag­
gio dal politeismo al monoteismo non sia stato possibile solo a prezzo
della degradazione della donna. Anche in questo caso, però, non è

252
DALIA DETRONIZZAZIONE DELIA DEA MADRE ALIA CREDENZA NELLE STREGHE

possibile rispondere. Anche nell'Islam, in fondo, si è trattato di de­


porre dal trono la Grande Madre e di eliminare tutti i culti che la ri­
cordavano. Il nesso esistente tra monoteismo e volontà di conquista
patriarcale e pensiero di onnipotenza, generalmente, infligge alla
donna uno svilimento. Allah è grande e il Corano passibile di molte
interpretazioni. Se un tempo l' incontro con le culture dei popoli
conquistati ha favorito lo sviluppo sia di una variante dell'Islam tolle­
rante, contraddistinta da una filosofia raffinata e da una mistica spe­
culativa, sia di un successivo modernismo adeguato ai tempi, oggi in­
vece il fondamentalismo islamico sta diventando un minaccioso pote­
re maschile. La donna lapidata - questo il titolo del libro di Freidoune
Sahebjam, un giornalista francese di origini iraniane - descrive una
realtà orrenda: "il sesto giorno del mese Mordad dell'anno 1 365 - se­
condo il nostro calendario il 15 agosto del 1 986 - in un villaggio ira­
niano è stata lapidata a morte un'iraniana di trentacinque anni per
supposto adulterio. Soraya Manoutchehri, una madre di nove figli ri­
spettata da tutti, ebbe la sfortuna di non essere più gradita al marito
che se ne voleva liberare. Fu accusata di adulterio con la complicità
di un cugino e tanto bastò per farla giustiziare nel modo più orren­
do. L'innocente, in presenza del sindaco e di un mullah, venne sep­
pellita sino al collo nella terra, non come strega, ma come seduttrice,
come "prostituta" e "figlia di cagna". Poi la testa della sventurata ven­
ne ridotta a un grumo di sangue spiaccicato dai lanci di pietra del di
lei padre, marito, dei figli e di altri uomini del villaggio che invocava­
no Allah".
Quale arcaico sacrifico femminile in nome del dio maschile ! Qua­
li paure nascoste sotto la sovranità del patriarcato, paure del potere
della Grande Dea, inestirpabili, come lei stessa.

253
CAPITOLO XIII

La Dea Madre nella religione del padre

A che profondità arriva la memoria? Il 22 giugno del 421 d.C. nei


vicoli di Efeso dilagò il giubilo. Prelati, vescovi e arcivescovi riuniti
con grande sfarzo a concilio avevano appena dichiarato "Theotokos"
- madre di Dio - la Santa Vergine Maria.
"Grande è la Diana degli Efesini!" era risuonato un tempo il grido
degli adoratori di Artemide-Diana alle orecchie dell'apostolo Paolo.
Ora gli Efesini avevano riavuto la Grande Madre in una forma sanzio­
nata dalla religione di Stato cristiana. La Dea Madre era diventata la
Madre di Dio.
Le riunioni del III concilio ecumenico, tenutosi sotto l' imperatore
Teodosio II, ebbero luogo nella Chiesa di Maria di Efeso, uno dei
primi santuari mariani del mondo cristiano, di cui oggi restano solo
dei ruderi. I pastori d'anime, che dal momento del loro legame col
potere temporale erano assurti alla dignità di principi della Chiesa, si
erano riuniti per chiarire lo status naturale della Madre di Gesù. Un
problema che turbava le menti persino in quell'epoca politicamente
molto agitata. Un anno prima dell 'inizio del concilio, ad lppona, in
Africa, tra il chiasso dell'occupazione dell'esercito vandalo, era mor­
to il 75enne Agostino, e un decennio prima, nel 410 Alarico, re dei
Visigoti, aveva conquistato Roma. Sotto le ondate delle migrazioni di
popoli l 'impero romano tremava sin nelle fondamenta. Ad Efeso,
però, dove un tempo l'Artemisia, settima meraviglia del mondo, ri­
chiamava intere popolazioni alla venerazione della Magna Mater,
chiedersi se Maria era madre di Gesù solo dal punto di vista fisico o
se la sua maternità riguardava anche la natura divina, divenne di
scottante attualità. La prima versione venne difesa da Nestorio, pa­
triarca di Costantinopoli. Egli propose di premettere al nome di Ma­
ria "Christotokos", madre di Cristo, anziché "Theotokos", madre di

255
CAPITOLO XIII

Dio, perché un essere umano non può generare un Dio. Ma perse.


Vinse Cirillo, patriarca di Alessandria, che riconobbe in Maria la ma­
dre di ambedue le nature di Cristo, quella umana e quella divina. La
dottrina di Nestorio, che non si estinse e ha tutt'ora seguaci in Curdi­
stan, venne dichiarata eretica, il patriarca venne privato della sua di­
gnità e scomunicato.
Ad influenzare inconsciamente la decisione dei padri conciliari fu
il fluido di Efeso, il genius loci di quella città in cui già nel n millen­
nio a.C., parecchio prima della costruzione dell'Artemisia dovuta al­
l' intervento dei re lidi, venivano venerate divinità materne dell 'Asia
Minore e probabilmente anche Cibele e Demetra? Proclamando la
Vergine Maria Madre di Dio, il concilio di Efeso pose le premesse
per deviare la millenaria corrente della pietà popolare per la Grande
Madre e trina dea vergine nell 'alveo della fede cristiana. Singolar­
mente anche la Maria storica, i cui ultimi anni di vita sono avvolti dal
mistero, è stata messa in relazione con Efeso. Si narra che sia morta
là; secondo un'altra tradizione per i dodici anni successivi all 'Ascen­
sione di Cristo abitò nella casa in cui Gesù celebrò l 'ultima cena coi
suoi discepoli, e poi venne sepolta in presenza degli apostoli in un se­
polcro di pietra presso il Getsemani. Certo è, invece, il soggiorno ad
Efeso dell 'evangelista Giovanni. Comunque da secoli gli eruditi di­
scutono per decidere se il discepolo predile tto di Cristo vi si sia reca­
to solo nel 66 o già in precedenza, all'epoca in cui era ancora viva la
madre di Cristo. Fedele alla missione affidatagli da Cristo (Gv. 19, 26-
27, "Donna, ecco il tuo figlio!", e a Giovan ni: "Ecco tua madre!") po­
trebbe averla portata via da Gerusalemme divenuta pericolosa, con­
ducendola ad Efeso. A questa versione si attaglierebbero le visioni
avute da un'agostiniana all' inizio del XIX secolo, Anna Katharina di
Emmerick, che aveva ricevuto le stigmate. Ella vide a chiare immagi­
ni la casa e la tomba di Maria ad Efeso. Clemens Brentano annotò i
racconti della monaca e nove anni dopo la sua morte, nel 1 833, ne
pubblicò la prima parte. Il resto venne pubblicato nel 1 852 assieme
alle opere postume del poeta. Effettivamente, nel 1 89 1 due sacerdoti
di Smirne, con l'ausilio di tali indicazioni, individuarono nei boschi
di Ala Dag, un monte sovrastante Efeso, i ruderi ben conservati di
una chiesetta bizantina del rv secolo, costruita sulle fondamenta di
una casa della prima metà del I secolo. La chiesetta è quella di Panaja
Kapoulii ed è sempre stata indicata dai nativi come la casa della San­
ta Vergine.
Molti devoti alla Vergine vi si recano ancor oggi per pregare sotto
i suoi ombrosi alberi di latifoglie, dinanzi all'immagine della Madre
di Dio.
Nessun 'altra sede di venerazione mariana sarebbe più indicata di

256
LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

questa chiesetta alla periferia di Efeso a far prendere coscienza del­


l' origine arcaico-materna della Madre di Dio cristiana. Quando sulle
rovine del santuario di Artemide alita il respiro del mare, si desta il
ricordo di "quella del mare" come recita, secondo la dottrina gnosti­
ca, il nome Maria, il Miijam ebraico. Ovunque, sia nell 'Egeo, sia nel­
l 'Atlantico, la Grande Madre è connessa al mare, donde la sua "fi­
glia" cristiana viene venerata anche come "stella maris", Stella del
Mare. Nelle litanie lauretane, le invocazioni mariane del XVI secolo
che devono il loro nome al santuario italiano di Loreto, uno tra i tan­
ti titoli onorifici di Maria recita "eterna signora dell 'acqua". Dato che
"lo Spirito di Dio" alla creazione del mondo aleggiava "sulle acque"
come si legge nelle prime righe della Genesi (Gn. l , 2) , se ne potreb­
be dedurre l'originaria divinità della Madonna cristiana e addirittura
la sua genuina forza creatrice, anche questo Spirito, il sacro alito, in
ebraico viene indicato col vocabolo femminile "ruach".
Miijam-Maria però non deriva solo dal mare. Mari era anche il
nome di una dea del cielo "dal nome della quale gli Egizi verso il
1 000 a.C. chiamarono Cipro "Ay-mari" perché regnava su Mari sul­
l'Eufrate (una città saccheggiata da Ammurrabi nel 1 800 a.C.) e su
Amari nella Creta minoica".<n
Anche nel Nuovo Testamento la donna divina si manifesta in co­
smica maestà:

"E apparve un gran segno


Nel cielo: una donna rivestita del sole,
con la luna sotto i suoi piedi e sul capo
una corona di dodici stelle" (Ap. 1 2, l ) .

Gli artisti hanno rappresentato la Madre di Dio un'infinità di vol­


te in simile splendore celeste come regina del cielo sotto una corona
di stelle, ritta sopra la luna. Particolarmente sontuosa è la madonna
incoronata di raggi del coro del duomo di Aquisgrana. Come scoprì
Hermann Weisweiler, questo capolavoro del XVI secolo conservato
nella chiesa orientata secondo dati astronomici, si trova sulla linea
lungo la quale, dal trono, gli imperatori carolingi vedevano sorgere il
sole nei giorni di equinozio.
La Madonna viene lodata nelle Lodi mariane quale eterna regina
luminosa, elevata al di sopra degli astri mentre schiaccia sotto i piedi
il serpente satanico:

"Il suo capo è ornato di una corona d'oro,


regge lo scettro dal trono celeste
forte eroina, con angelico passo
schiaccia la testa al serpente infernale.

257
CAPITOLO Xlii

Orsù, o Vergine, alle vergini esempio,


radiosa di virtù, piena di grazie,
ornata di stelle, il sole ti veste;
gli angeli e il cielo il tuo sguardo rallegra!

Le stelle si spengono; il sole che ora arde,


un giorno si oscurerà e tutto avrà fine.
Ma dopo quel giorno tu splenderai ancora a lungo
nella gloria celeste per tutta l'eternità".

Nell'alto Medioevo, quasi a ricordo della devozione popolare per


le antiche divinità femminili, accanto alla poesia amoroso-cavallere­
sca dei trovatori fiorì un fervido culto mariano sostenuto dal clero,
perché ella, come colei che schiaccia il serpente, è anche la vincitrice
di Eva. Ciò che Eva aveva portato nel mondo come peccato, la Santa
Vergine in veste di "Seconda Eva", aderendo al progetto di salvezza
divino (maschile ) , lo capovolse; tramite la nascita del Salvatore ella
trasformò la disgrazia in salvezza. Volendo, nell'Ave dell' Ave Maria si
può leggere l'inversione del nome Eva.
Sul pilastro centrale del portale sinistro di Notre Dame di Parigi a
lei dedicato, dominando tutte le altre statue, la Madonna appare in
veste di "Nova Eva". Regalmente incoronata con in braccio il figlio
divino, si staglia, superiore per bellezza, al di sopra del basamento
del peccato originale che raffigura Adamo ed Eva sotto l' albero della
conoscenza. Grati per la sua collaborazione al piano di salvezza divi­
no, nel "glorioso rosario" i fedeli le rendono omaggio come ad una
platonica amante:

"È mia perenne intenzione amare Maria;


in gioia e dolore sono suo servo.
Il mio cuore, o Maria, arde in eterno per te
in amore e amicizia, o celeste ornamento".

I titoli onorifici della cristiana "regina di maggio" e "madre del


verde e dei fiori" assomigliano a quelli della dee pagane che la prece­
dettero. Già Iside e Astarte venivano definite "santa vergine", "regina
del cielo", "dispensatrice di grazie", "regina del mare", "salvatrice" e
"madre misericordiosa che ascolta le preghiere", e Ci bele "madre di
tutti i benedetti". Anche le statue di madre con bambino dedicate al­
le antiche divinità materne si differenziano ben poco da quelle cri­
stiane della Madre di Dio. Le numerose statue ed icone della Madon­
na Nera delle chiese cattoliche, mèta di pellegrinaggio in tutto il
mondo, ricordano le statue di Artemide che non erano realizzate so­
lo in oro, argento e legno pregiato, ma anche in pietra nera e pure

258
LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

una Artemide efesina del n secolo a.C. dal volto, mani e piedi neri. In
quanto semplice seiVa del Signore, Maria subì comunque una totale
desessualizzazione. A dispetto di tale cancellazione della forza sessua­
le, nel culto della Madonna è sopravvissuto molto dello splendore e
della maestà dell'arcaica religione del grande Femminino. Nelle pro­
cessioni per l 'Ascensione di Maria sono chiaramente riconoscibili
elementi caratteristici dei cortei festivi in onore di Artemide e Cibele,
mentre i versi di una liturgia medievale in onore di Maria tradiscono
un intatto potere matriarcale:

"Progenitrice della natura, signora degli elementi,


germoglio dell'inizio di tutti i tempi, somma potenza,
regina dei Mani, prima tra i celesti,
unico volto di tutti gli dèi e di tutte le dee,
col cenno del suo capo comanda
alle luminose sommità dei cieli,
ai freschi venti del mare
e al fecondo silenzio sotterraneo:
la sua unica volontà venera in molti modi,
secondo differenti usanze e molti nomi,
tutta la terra". 12>

Un giorno, nel corso dei loro studi latini, alcuni monaci rinven­
nero quel testo e lo ritennero degno di venire usato come lode della
Madre di Dio. Ma esso altro non è se non un inno di Apuleio ad Isi­
de! Con la quale, come con Inanna, Ishtar e altre divinità materne,
Maria ha molte affi nità. I suoi sette veli ricordano le sette vesti che
Ishtar dovette deporre scendendo agli inferi dal suo figlio-amante
Tammuz. Ella condivide il destino di "Mater dolorosa" assieme ad
Hathor-Iside, che come la madre dolorosa tiene in grembo Osiride,
morto. Il dolore della madre per il figlio morto è un tema immortale.
Esiste un gruppo bronzeo sardo del VII secolo a.C., raffigurante una
dea col figlio morto o forse una madre terrestre col figlio caduto in
battaglia, che assomiglia a una Pietà. Anche il parto verginale del fi­
glio di Dio è prefigurato da millenni. Rivediamolo in Hathor: come
ogni mattina dal suo corpo verginale genera il disco del sole e a sera
lo riaccoglie in sé, procreando alla stessa stregua senza concepimen­
to anche Horus. La verginità della Grande Dea non ha comunque
nulla a che vedere con la "purezza" fisica o la sessuofobia. È piuttosto
espressione della perfezione femminile. Le antiche divinità materne
sono vergini solo nel loro aspetto primaverile e fanciullesco di entità
trine. Nei panni di donna matura, invece, favoriscono l'elemento ses­
suale addirittura con vigore benedicente. Nella Madre di Dio cristia­
na, per contro, la dea generante in virtù della propria perfezione

259
CAPITOLO XIII

cantata dal mito antico si trasforma nella vergine "pura", non gravata
dal peccato dell'atto sessuale. Sessualità e desiderio divennero fratelli
del peccato originale, concetto che Agostino sviluppò dalla teoria
della colpa. In Tommaso d'Aquino il ribrezzo per qualsiasi forma di
sessualità raggiunge il vertice quando definisce il congiungimento di
uomo e donna "macchia", "vergogna", "malattia", "sporcizia" o "ne­
fandezza". Maria può quindi concepire solo ad opera dello Spirito
Santo, altrimenti anche il Salvatore da lei nato sarebbe contaminato
dalla macchia di simile impurità.
Per più di mezzo millennio si discusse anche sulla nascita di Ma­
ria. Non era frutto anch'essa del matrimonio legale dei suoi, se pur
leggendari, genitori Gioacchino ed Anna e non era macchiata ella
stessa del peccato originale? Come poteva, allora, impura, diventare
madre di Cristo? Solo nel secolo scorso la Chiesa Cattolica si discostò
dalla teoria che il peccato originale venisse trasmesso con l 'atto ses­
suale. L'8 dicembre 1 854 Papa Pio IX decreta il dogma dell'Immaco­
lata Concezione che non si riferisce, come si è spesso frainteso, alla
verginità della Madre di Gesù, ma al momento del concepimento di
Maria da parte dei suoi genitori. Dal VII secolo in poi, probabilmente
già in precedenza, in quasi tutte le chiese orientali veniva celebrata la
festività del concepimento di Sant'Anna. E così facendo, evidente­
mente con l'accenno al suo ruolo stupefacente nel piano salvifico di­
vino, si presupponeva l'assenza di peccato della bimba concepita, ov­
viamente non senza le vigorose critiche di molti teologi. La festa di
Sant'Anna giunse in Germania, Francia, Spagna, Inghilterra e Irlan­
da, passando per l 'Italia Meridionale. Non da ultimo, la santa portava
un nome magico: si ricordi Ana, la Dea Madre dei Celti e il culto di
Anna importato dall' oriente in Bretagna. Dall'epoca del dogma pa­
pale anche la madre di Maria è libera da qualsiasi impurità. La dottri­
na dell "'Immacolata concezione" parte dal presupposto che la figlia
di Anna, la "beatissima Vergine Maria" nonostante la nascita naturale
fosse stata preservata "per particolare grazia divina e misericordia
dell'onnipotente Iddio" dalla macchia del peccato originale. "Il mi­
stero dell'Immacolata Concezione" recita il catechismo ecclesiastico
tascabile di Buchberger, "trasmette, al popolo dei credenti e all'arte
cristiana il sommo ideale di bellezza umana pura e sovrannaturale, al
dotto un esempio storico dei veri progressi teologici .. ".
Sino a quel momento un "progresso" simile nei confronti del par­
to verginale di Gesù non si era mai avuto. Ancor oggi in materia di
fede valgono le opinioni di uomini di Chiesa del v e VII secolo. Chi
tiene alla buona tradizione antica può rifarsi al IV concilio ecumenico
di Calcedonia del 45 1 , nel quale Maria venne dichiarata "aeiparthe­
nos" - eterna vergine. Successivamente papa Martino I, nel sinodo La-

260
lA DEA MADRE NELlA RELIGIONE DEL PADRE

terano del 649, eleva la verginità della Madre di Dio a dogma e mi­
naccia di scomunica chiunque la neghi. Interpretare biologicamente
questa verginità anche ai giorni nostri come fa il papa non è solo
un 'offesa all 'intelletto umano, ma presuppone pure la folle teoria
della peccaminosità della sessualità e contribuisce a supportare le
tendenze misogine.
La pietà dei fedeli per Maria non si occupa comunque mai molto
delle sottigliezze scolastiche. Nella Madre di Dio cristiana essa conti­
nua a cercare, quanto meno inconsciamente, la Grande Dea e Regi­
na del Cielo che dispensa consolazione e aiuto. Migliore espressione
di simile fede è la Madonna del Mantello, che allarga il suo manto
ornato di stelle e simile alla volta del cielo su coloro che si raccoman­
dano a lei e ha sotto i piedi la falce della luna. In Italia è conosciuta
come la "Madonna della Misericordia", in Baviera contraddistingue
la storia della pietà dei bavaresi come "Patrona Bavariae". Ha trovato
accesso nei più remoti angoli d'Europa, soprattutto da quando nel
XIV e xv secolo, mentre tra le popolazioni infuriava ovunque la peste,
venne ripetutamente raffigurata in dipinti e sculture nella sua dop­
pia natura umana-divina.
Gli sforzi di desessualizzazione investiti nella Santa Vergine dai
Padri della Chiesa, ostili alla corporeità, furono compensati dall'arte
religiosa che rappresentava realisticamente la gravidanza di Maria e
metteva generosamente in vista la sua funzione materno-nutritiva.
Numerose sono le immagini e le statue di Maria che allatta il Bambi­
no Gesù, tanto che nelle chiese romaniche, ma soprattutto in quelle
gotiche e rinascimentali, accanto alla "Mater Dolorosa" troviamo al­
trettanto spesso la "Madonna del Latte". Tuttavia è proprio questa
"Madonna del Latte" spesso ricorrente ad alludere al primo livello
della sessualità umana, attraverso la quale siamo passati tutti quanti
nel primo o primo anno e mezzo di vita, durante la fase orale. È no­
torio che bocca, labbra e lingua, in quanto zone erogene, costituisco­
no in senso lato i primi organi sessuali del bimbo piccino che tramite
esse ricava piacere dal poppare e dal prendere-in-bocca. Nessuna
dottrina ecclesiastica, per quanto nemica del piacere, è riuscita a im­
pedire l'esaltazione di questa prima fase nelle immagini del rapporto
divino esistente tra madre e figlio, nel quale si riflettono sia un pezzo
della storia dell'evoluzione umana che tratti essenziali della Madre
Primigenia: il suo aspetto nutritivo in quanto dea della fecondità e di
dispensatrice del piacere in quanto dea dell'amore.
Il modello iconografico dei quadri delle Madonne-del-Latte
affonda le sue radici negli abissi mitologici, sino alle sacre immagini
preistoriche della Grande Madre coi seni esposti. A San Gimignano
la chiesa di Sant'Agostino è ornata da un insolito dipinto della Ma-

261
CAPITOLO XIII

donna che ricorda chiaramente la Grande madre. Il pittore toscano


Benozzo Gozzoli ( 1 420-1497) , che decorò l'abside di questa chiesa
conventuale col famoso ciclo di affreschi della vita di questo Padre
della Chiesa, eseguì pure un dipinto ad olio di San Sebastiano che ri­
ceve nella gloria la corona del martirio. Nel dipinto si vede anche
Maria circondata dall'aureola e inginocchiata su una nube assieme a
Cristo, sovrastata da Dio Padre e da una schiera di angeli alati , che
con una mano scosta il manto e con l'altra, quasi fossero frutti pre­
ziosi, offre i seni nudi. Non allatta nessun bimbo. La Vergine cristia­
na si limita a sostenere i seni con la destra e a sollevarli verso l 'osser­
vatore, nel gesto degli antichi idoli dell'Asia Minore.

Una "Madonna del Latten di


scuola fiamminga. XIV-XV
secolo, Museo di Digione.

Ulteriori singolarità del culto mariano sono le numerose raffigu­


razioni di Maria incinta. Im magini ritenute spesso miracolose, alle
quali andavano in pelligrinaggio le partorienti per supplicare la Ma­
dre di Dio di assisterle nelle difficili ore del parto. Nella chiesa par­
rocchiale di Santa Croce e dell 'Assunzione, sita sul monte Bogen­
berg, in Bassa Baviera, e mèta di pellegrinaggi, anche ai giorni nostri
viene venerata un'immagine miracolosa del 1400, "Maria nella Spe-

262
LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

ranza". Rappresenta la Santa assieme al bimbo Gesù, raffigurato in


trasparenza nel ventre molto prominente. Un tempo in quella chiesa
erano affisse anche delle orazioni per le donne incinte.
Il più famoso e più bel quadro della Vergine Maria incinta, la
"Madonna del Parto", si trova in Toscana. È stato dipinto da Piero
della Francesca (attorno al 1416-1492) per la cappella del cimitero di
Monterchi. L'affresco della metà del xv secolo è dello stesso autore
che a Sansepolcro ritrasse anche una Madonna del Mantello, e colpi­
sce per l'accordo esistente tra maestà divina e femminile spontaneità.
La santa in attesa del figlio ha uno sguardo trasognato fisso nel vuo­
to, il volto delicato di fanciulla, le palpebre pesanti, la fronte alta e la
cuffia a nastri intrecciata con arte tra i capelli biondi, è tutta interior­
mente ripiegata su se stessa, come se stesse origliando il segreto del
proprio corpo. Esso è ormai diventato talmente informe da tendere
il semplice abito blu, tanto da indurre ad aprire le cuciture della gon­
na davanti e di lato, lasciando trasparire il sottabito bianco. La mano
destra di Maria poggia laddove l'apertura è più ampia, al culmine
della rotondità. Le dita che tastano sottolineano espressamente lo
stato della futura madre ed hanno pure funzione protettiva. Ancora
di recente le donne di Monterchi credevano di poter allontanare dal
nascituro forze demoniache e malevole ripetendo lo stesso gesto ma­
gico-rituale. Un gesto arcaico. Ritratto già 1 7.000 anni fa nella "Vene­
re di Laussel"!
In tutta la sua umanità la "Madonna del Parto" si presenta come
una dea. Il nome le è stato conferito dalle donne alle quali aveva pro­
messo assistenza e protezione. Ai lati della santa due angeli sollevano
il pesante broccato di una sfarzosa tenda sotto la quale ella si presen­
ta come in un 'apparizione, solo per breve tempo concessa. Sulla stof­
fa sbiadita della tenda si individuano ancora delle melagrane spacca­
te. Ai tempi di Piero della Francesca il linguaggio dei simboli era an­
cora noto e vivo.
Anche Mare Chagall era particolarmente sensibile al messaggio
del quadro di Piero della Francesca. Quando, nell 'autunno del 1 954,
visitando la cappella del cimitero, si ritrovò davanti all'affresco e sep­
pe che la madre del pittore era originaria di Monterchi, disse: "Ora
capisco tutto. Non è la vita che deve venir rigenerata dal grembo del­
la madre nel luogo della morte? Che pensiero profondo !".<�!
Chagall stesso, nel corso del suo primo soggiorno parigino nel
1 9 1 0-1014, preso dalla nostalgia della patria Russia aveva dipinto una
donna incinta, non una Madonna, ma la figura sognante di una con­
tadina gigantesca che da una cittadina ebraica si inalza sino al cielo.
Alla sua destra splende la falce della luna crescente, mentre ella, con
gesto molto simile sia a quello della Madonna di Piero sia a quello

263
CAPITOLO XIII

della Venere di Laussel, indica il bimbo dentro il suo corpo, che, per
di più, è visibile. La "Madonna del Parto" trasmise a Chagall un mes­
saggio al quale era particolarmente recettivo in forza della propria
opera. Al di là di questo, pare che quel quadro miracoloso abbia as­
sorbito il fervore di tutta la devozione popolare di secoli e l ' abbia
energeticamente trasmutata sino a riuscire ad irradiarla, oggi, sull' os­
servatore sensibile. Il regista cinematografico russo Andrej Tarkow­
skij , deve comunque averlo vissuto così. Nel punto più significativo
del suo film "Nostalghia", girato nel 1 983, durante l 'esilio italiano e
dedicato alla propria madre, riprese infatti quel quadro come espres­
sione del suo legame con la Russia. È notorio che i russi dicono an­
che "piccola madre Russia", e non patria. Nelle canzoni e nelle poe­
sie russe viene usata come sinonimo per la Russia anche l' espressione
"madre umida terra" collegata alla Madre di Dio. Così una triste can­
zone prega:

"O umida madre terra,


Riprenditi il tuo povero figlio!
Pensa a noi signore dei tempi
Quando inizia il tuo regno eterno!
O stupenda regina, madre di Dio,
madre umida terra!"1'1

Nella quale, pur trovandosi nel regno del Dio Padre cristiano, la
santa materna gli resta quasi pari per rango. La venerazione per Ma­
ria esprime in molti modi l'esigenza di un mondo di bontà e di ma­
ternità. Già nel xm secolo, ma soprattutto dal XIV, vennero elaborati
scritti e dipinti straordinari, nei quali alla Vergine Maria venivano at­
tribuiti i più svariati miracoli. Nell'abazia dei benedettini di Souillac,
nel Périgord, ad esempio, il rilievo romanico del portale narra la leg­
genda del diacono Teofilo, che aveva stretto un patto col diavolo e
dal quale riuscì a liberarsi solo con l 'aiuto della Madre di Dio. Ella
quindi concede la propria benevolenza al peccatore e non lo con­
danna. Una volta prese addirittura il posto di una monaca fuggita di
convento per prostituirsi. Quando, dopo qualche tempo, la fuggitiva
ritornò nella cerchia delle pie donne, nessuno si era accorto della
sua assenza. "Evidentemente la Vergine pietosa concede la propria
protezione anche a coloro che, in linea di principio, non l'hanno
meritata". osserva jean Markale e prosegue: "Sorge l'interrogativo se
in questo vada vista una descrizione della benevolenza e della grazia,
o piuttosto una trasposizione dell 'inconscia nostalgia di una popola­
zione tenuta costantemente sotto pressione dall' inquisizione, sia con
l 'idea dell'onnipotenza del dio maschile e vendicatore, sia con la sua

264
LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

immagine politica di re. Le domande in fondo possono venire rias­


sunte in una sola: esiste ancora una benevola e ben disposta Dea-Ma­
dre, una dea che supplica il figlio di essere tollerante, una dea che si
ribella contro la tirannide del suo sposo divino, la reincarnazione del
quale è suo figlio?". <5>

La Vergine Maria raffigurata mentre fila il filo del destino con Gesù Bambino in
grembo. Maestro della Renania Superiore ( 1 400 circa).

265
CAPITOLO XIII

Nella rappresentazione del popolo questa dea esiste davvero. E vi­


ve anche nelle opere artistiche. E stupefacente con quale chiarezza
gli attributi della Grande Madre siano stati trasmessi alla Madonna
cristiana. Un pittore catalano del XII secolo in un affresco dell'An­
nunciazione rappresenta Maria con filo e fuso in veste di filatrice del
destino, tema, questo, ripreso verso il 1 400 da un maestro della Rena­
nia Superiore. Egli dipinge la Vergine Maria incinta col bimbo Gesù
visibile all'interno del corpo, seduta accanto alla conocchia mentre
fila il filo della vita. È solo a prima vista che questo dipinto col volto
amorevole della Santa Vergine sembra trasmettere una familiarità
idilliaca. Come nell 'affresco dell'artista spagnolo, anche in quest'o­
pera pittorica si è affermata "la struttura archetipica, e grazie al fatto,
voluto o meno, che il filo passa al centro della Madonna nella quale
cresce il bimbo radioso, tale filare riacquisisce il suo significato arcai­
co e precipuo; la madre si trasforma nella dea del destino che fila e il
figlio nel filato del suo corpo" . 1 61
La cosiddetta "Madonna delle Messi" ricorda chiaramente Deme­
tra. L'intaglio gotico eseguito su legno, forse di origine bavarese, raf­
figura Maria attorniata da piante, con una grande aureola e fiancheg­
giata da due angeli in una lunga veste adorna di spighe. Anche il
quadro miracoloso della medievale chiesa conventuale di Budweis,
opera di un maestro del nord Italia, rappresenta "Maria abbigliata di
una veste adorna di spighe". Nel XVII secolo, infine, nella chiesa del
Bogenberg, meta di pellegrinaggi, il mantello di "Maria nella Speran­
za" venne dipinto a spighe di grano, l'abito a rose - in memoria della
greca dea del grano, cui si sovrappone un esoterismo dell'amore che
fa della rosa il termine di paragone e il simbolo della donna amata.
Nel Medioevo la misteriosa dea dei cristiani venne definita "rosa my­
stica" e trovò seguaci anche come "Maria nel Roseto". Heinrich Hei­
ne nella sua Geschichte der Religion und Philosophie definisce la Vergine
Maria "il più bel fiore della poesia". Nelle litanie mariane del Medio
Evo ella diventa "rosa dai molti petali", "rosa del mondo" e "rosa al­
chemica", la femminilità alchemica giunta alla massima perfezione.
"Recipiente spirituale", "recipiente della dignità" o "straordinario re­
cipiente della venerazione" sono altre metafore sotto le quali si mani­
festa.
Nella chiesa protoromanica del villaggio di Sant Climent a Taii.ll,
Maria è addirittura ritratta come colei che regge il Gral. Nei severi af­
freschi bizantini di questa chiesetta ricca d'atmosfera dei Pirenei ca­
talani, con gli occhi palancati, il volto lungo dai tratti tirati come
quelli di una maschera sotto la grande aureola, ella ha qualcosa d'in­
quietante. Solenne, sopra il suntuoso mantello che cade in lunghe
pieghe, regge una coppa dalla quale fuoriesce un fascio di raggi lu-

266
LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

minosi. Quest'immagine, affascinante nella sua asprezza - anche nel­


la copia, l 'affresco originale si trova nel Museo de arte Catalmi.a di
Barcellona, - può venire considerata la prima rappresentazione me­
dievale del Gral: la Madonna cristiana quale portatrice di speranza
nei panni di un simbolo arcaico-religioso della femminilità.

Madonna i n abito ornato di spi­


ghe ("Madonna delle Messi") . In­
taglio in legno del 1 450 circa.

Il culto di Maria e il movimento del Gral si corrispondono l'un


l'altro. Se nella poesia dei trovatori e dei menestrelli cortesi tedeschi
la donna adorata poteva trasformarsi in Venere e in un Gral in carne
ed ossa, all'interno di un cristianesimo esoterico e di molteplici asso­
ciazioni, anche la Madonna diventa "Gral vivente che contiene il san­
gue e l' essenza spirituale del Cristo". 171
Nel xv secolo la Madonna veniva ancora considerata "sacro reci­
piente" che in sé conteneva anche la divinità maschile. Esempio lam­
pante ne è la "Vierge ouvrante" del Musée du Cluny di Parigi. La sin­
golarità di questa scultura !ignea della Madre di Dio, alta quasi 40
centimetri, è che il suo corpo può venire aperto come un altare a
sportelli, rivelando all'interno del corpo della Madonna, Dio Padre e
Gesù crocifisso. La Vergine Maria si apre come generatrice di Dio,
non solo del Figlio, ma anche del Padre ! Che eretico regresso a divi-

267
CAPITOLO XIII

nità materne precristiane. All'interno della scultura manca solo la co­


lomba, simbolo dello Spirito Santo. Forse che la Madonna, in quanto
"Santa Spirito", la rappresenta personalmente come "Ruach"? Coi
battenti aperti assume anche il sembiante di una santa dal manto
protettivo. Quando è chiusa regge sul braccio destro Gesù Bambino
e tiene nella mano sinistra una melagrana. Come altre rappresenta­
zioni in cui in modo analogo dal grembo di Maria scaturisce la Tri­
nità, la "Vierge ouvrante" - fatta probabilmente a Colonia - venne
bandita dalle chiese.
Sulle orme di Maria quale Vergine che racchiude in sé la Trinità,
si finisce per incontrare anche la sua leggendaria madre, la mitica
Anna. Nel noto quadro "Madonna con Gesù Bambino e sant'Anna",
Maria assieme a Sant'Anna che tiene in braccio Gesù Bambino diven­
ta l' elemento di unione di una sacra triade che, tramite lei, dalla dea
degli avi si eleva a nuovo eone del cristianesimo. La "Madonna con
Gesù Bambino e sant'Anna", nella quale si ripropone la triade di De­
metra, Core e del figlio divino, divenne un tema ricorrente dell'arte
sacra di tutt'Europa. Una scultura in noce dorato e dipinto, opera di
un anonimo scultore del XIV secolo, migrata dalla Spagna a Londra
nel Victoria and Albert Museum, irradia una statica e sublime solen­
nità. Per contro negli Uffizi di Firenze, in un dipinto di Masaccio si
può ammirare una "Madonna con Gesù Bambino e sant'Anna", di­
pinta nello stile mosso e pieno di vitalità della scuola fiorentina. An­
che Leonardo da Vinci ne ha dipinta una, e pure il suo successore,
l'olandese Joos van Cleve, che si fece un nome come "Maestro della
morte di Maria". L'altare della cappella barocca di Notre Dame de
Grace - Nostra Signora della Grazia - di Honfleur è ornato da una sta­
tua di "Madonna con Gesù Bambino e sant'Anna" particolarmente
eloquente nella sua semplicità e ingenua pietà. Il bel santuario di
Maria in Normandia sorge in un boschetto di olmi, sugli erti scogli a
picco sul mare. Un tempo era mèta del pellegrinaggio di molti mari­
nai, che non chiedevano la benedizione per i loro viaggi in terre lon­
tane solo alla Madonna, in veste di "stella del mare" che indica la rot­
ta, ma anche a sua madre, la trina sant'Anna.
In molti luoghi il cristianesimo delle origini trasformò le divinità
femminili, che continuarono a regnare ancora a lungo, in sembianti
di Madonna. Così accadde anche alla triade celtico-irlandese della
Dea Madre, a Brigida che un tempo, ovunque migrassero i Celti, go­
dette di somma venerazione. La sua influenza, muovendo dall'Irlan­
da e dalla Scozia, si spinse nelle zone della Gallia romana. Brigida, el­
la stessa madre di tre figli concepiti verginalmente, secondo la genea­
logia mitica era figlia di Dagda, il Dis Pater romano già incontrato
precedentemente come re-eroe di Dana, dea della fecondità e della

268
LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

terra. Di conseguenza è la nipote di Dana. Secondo altre tradizioni


Dana è addirittura sua madre. Brigida è quindi strettamente impa­
rentata con la primigenia famiglia patriarcale del firmamento celtico,
col leggendario popolo delle fate, il "Thuatha da Danaan" esatta­
mente come con Erin, l'irlandese dea creatrice, e con tutte coloro
che possiedono il magico "paiolo dell'abbondanza". Il suo nome dal­
la radice "bri" o "brig" secondo Markale significa "alto" e "forte".
Stessa cosa vale anche per Brigida. Ella non era solo la musa dei poe­
ti e la protettrice degli artisti, degli artigiani, in particolare dei forgia­
tori, degli orafi e di coloro che lavoravano il bronzo, ma anche la pa­
trona dei guerrieri. Bisogna accettare che, nell 'antichità, lo spaurac­
chio della guerra fosse spesso di competenza della stessa dea che, co­
me nel caso di Atena, aveva insegnato agli uomini le arti; essa cadeva
infatti sotto la voce "arte". Brigida ha le stesse funzioni della romana
Minerva, identificata dal III secolo a.C. in poi con Atena. Giulio Cesa­
re, parlando delle divinità venerate in Gallia, riferisce che "Minerva
insegna i fondamenti dell'artigianato e delle arti".(BJ Purtroppo non si
conosce il nome gallico di Minerva. Ma in Irlanda si presenta come
Brigida. I Celti celebravano la sua festa una volta l 'anno a Kili-Dara
nell'Irlanda del nord, ma probabilmente così facevano già le popola­
zioni delle età preistoriche. Quel giorno in onore della dea "veniva
accesa una fiamma eterna, rigenerata in continuazione men tre di­
cian nove vergini inneggiavano solennemente a lei. Nessun uomo po­
teva varcare le siepi che circondavano il suo santuario. Per lungo
tempo dopo la sua detronizzazione venne venerata come una reli­
quia una scarpa fatta di fili di ottone che aveva ornato il piede della
dea".'9l
A Brigida successe Santa Brigitta di Kildare. Verso la fine del v se­
colo o agli inizi del VI, nell'antica Kill-Dara la pia badessa dal nome
che ricorda la dea pagana fondò il primo monastero femminile di
Kildare. Probabilmente esso sorse sull'antico santuario di Brigida.
Ancor oggi Brigitta, canonizzata nel 1 1 85, viene commemorata il l o
febbraio. La santa eletta patrona dell 'Irlanda è protettrice dei poeti,
dei medici e dei fabbri. Tuttavia la Grande Madre non venne velata
solo sotto l'abito di Santa Brigitta. Nell'Irlanda celtica ella "può tra­
sformarsi anche nella Madre del Dio cristiano e diventare la Vergine
Maria". i l O )
Nella lotta del cristianesimo contro le antiche divinità materne si
rifletteva anche l' integrazione della nuova religione nella sfera politi­
ca. Il legame esistente tra Chiesa e impero romano fece sì che la dot­
trina cristiana si adeguasse sempre più agli interessi di potere patriar­
cali. Anche se l 'eredità della fede matriarcale non poteva venire can­
cellata del tutto. Essa iniziò a vivere autonomamente al di fuori dei

269
CAPITOLO XIII

canoni stabiliti dal dogma e assunse tratti esoterici. Nella convergen­


za col cristianesimo assunse una spiritualità di tipo particolarissimo.
Come col passare del tempo la Grande Dea superò il suo carattere
elementare originario e la sua gravità terrestre, così poi si trasformò
in un'entità femminile di elevatissima spiritualità che poteva venire
assorbita in ambito cristiano, anche se in un poco accessibile esoteri­
smo. Così, alla fine di un lungo percorso, la Grande Madre ci viene
incontro come saggezza personificata nei panni di Santa Sofia, pur
restando sempre un'incarnazione della triade matriarcale. Tre sono
le figlie che riunisce in sé Sofia: Fides, Spes, Caritas - Fede, Speranza
e Carità - Dal VI secolo il suo santuario principale è quello di "Hagia
Sofia" a Costantinopoli. La sua entità risulta comprensibile solo se
letta all'interno della lunga sequenza di antenate contraddistinte da
un'autonomia divino-femminile. Erich Neumann scrive in merito:
"L'elemento femminile di Sofia, che raggiunge la somma manifesta­
zione visibile nel fiore, non sparisce nell'astrazione nirvanica di uno
spirito maschile, il suo spirito resta sempre legato a lei come il profu­
mo del fiore, quasi fosse il fondamento terrestre della realtà. Reci­
piente di trasformazione, fiore, totalità di Demetra riunita alla Core,
Iside, dee lunari nelle quali l'aspetto luminoso supera quello nottur­
no della loro stessa oscurità, sono tutte forme espressive di Sofia, la
somma sapienza femminile"Y0
La Biblioteca Vaticana possiede il manoscritto italiano di un codi­
ce medievale nel quale è raffigurata la Sofia-Sapientia, simile a un
Dea Madre ella siede su un trono ricoperto da un baldacchino con
mani e manto allargati su due uomini barbuti inginocchiati ai suoi
piedi, che poppano come bimbi dalle sue mammelle pesanti.
La Sofia-Saggezza in quanto trina costellazione femminile non è
stata rappresentata mai meglio e nel vero senso "portante" della pa­
rola che sul famoso pulpito di Giovanni Pisano del duomo di Pisa. Le
tre figure femminili, Fede, Speranza e Carità, riunite su di una colon­
na, costituiscono il centro di questa meraviglia scultorea, nella quale
l'artista dà vita a un programma teologico-filosofico che fonde la mi­
tologia antica e la dottrina cristiana, l 'Antico e il Nuovo Testamento,
quasi fosse una teologia scritta nella pietra. Nell 'esoterismo di questo
capolavoro eseguito alle soglie del Rinascimento, le tre donne nelle
quali si può vedere una rinascita cristiana delle "Matronae" celtiche,
incarnano quelle virtù che, secondo la concezione cristiana, vengono
"insufflate" nell'anima dalla rivelazione divina. Non possono venire
acquisite per forza propria e vivono alla luce del sovrannaturale. Ec­
co perché la figura della Carità regge tra le mani un vaso contenente
delle fiamme - simile alla coppa della Madonna del Gral dei Pirenei -
simbolo dell'"amor dei", dell'amore divino.

270
LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

Santa Sofia allatta due uomini al seno della saggezza come una Dea Madre nutrice.
Da un manoscritto medievale italiano.

Diversa la situazione per le quattro virtù cardinali, Fortitudo, Pru­


dentia, Iustitia e Temperantia - Forza, Prudenza, Giustizia e Tempe­
ranza. Esse possono venir conquistate dall'uomo stesso e sono imper­
sonificate dalla figura più pregna di simbolismo di tutta la scultura: la

271
CAPITOLO XIII

personificazione dell'Ecclesia, la Chiesa. In quel mondo immaginifi­


co ricco di rapporti ella è la "sponsa Cristi", la sposa di Cristo, ma al
contempo è pure Maria, la Madre terrestre di Dio, dal grembo della
quale scaturì la Verità nella persona del figlio di Dio. Da ultimo, al si­
gnificato teologico se ne aggiunge anche uno politico: assieme all'a­
quila, animale araldico che un tempo ornava i sigilli e le monete del­
la città, la Ecclesia rappresenta la "Madre Pisa". Ha due lattanti attac­
cati al seno, la mammella turgida intende simboleggiare il Nuovo Te­
stamento, mentre quella vizza l 'Antico. Nondimeno l'aspetto affasci­
nante del pulpito di Giovanni Pisano - oltre che per l'unicità del lin­
guaggio formale, nel quale elementi stilistici del gotico francese si
fondono ad altri dell'antichità classica - è dato dal ricorso ai simboli
matriarcali e dal loro inserimento nella struttura patriarcale della fe­
de cristiana. Le scene bibliche delle fiancate del pulpito, ad esempio,
non vengono supportate e preparate storicamente solo dai profeti,
ma anche dalle loro pari, le Sibille, le profetesse dei tempi della Ma­
dre Primigenia. Tuttavia in questa teologia divenuta pietra emerge
pure efficacemente la dissonanza tra l'ostilità ecclesiastico-dogmatica
per il corpo e i sensi e un nuovo spirito del tempo, proteso verso la
vita che sta emergendo. Esso si condensa nella raffigurazione della
quarta virtù cardinale, la Temperanza. Giovanni non raffigura come
di solito la Temperanza nei panni di una donna che mesce acqua nel
vino, ma, apparentemente per fedeltà alla Chiesa, come "Castitas" - la
Castità. Per allontanare l"'appetitus carnalis", il desiderio della carne,
la Temperantia si copre le nudità con le mani. Nella sua nudità pie­
na di grazia, però, attira piuttosto che respingere ciò che vuole tene­
re lontano. È troppo conforme al modello di Mrodite. L'artista pre­
corre il suo tempo. Dal nome attribuitole scolpì una Castità, ma in
realtà diede forme a una sorella di quella Venere che, due secoli do­
po, Botticelli farà uscire dal mare.
Nonostante tutte le trasformazioni e i capovolgimenti patriarcali
subiti dalla Grande Madre nel corso dei millenni, non è mai stato
possibile reprimerne per intero la sua forza, il "Grande Femminino".

272
CAPITOLO XIV

Un ritorno alla Grande Madre

"L'archetipo femminile è più affine a Dio di quanto non lo sia il


principio maschile" sostiene Eugen Drewermann nel libro Die Bot­
schaft der Frauen (Il messaggio delle donne) . Il teologo e pastore d'a­
nime cattolico, vivamente criticato e sottoposto a sanzioni disciplina­
ri, presentando alcune figure femminili significative dell'Antico e del
Nuovo Testamento come grandi conoscitrici dell'amore, osserva: "La
parola sostanziale del femminile è al contempo la parola di Dio" .O>
Frasi simili rovesciano un millennio di impunita tradizione dispo­
tica patriarcale. L'autore si basa sulla vicinanza di Gesù alle donne,
delle quali crede di ravvisare il ruolo significativo persino nel pa­
triarcalismo dell'Antico Testamento. Col che si allinea con la teolo­
gia femminista che sulle tracce della "dimenticata immagine" di Dio
è arrivato a chiedersi: "Dio è una donna?" Tentativi quali quello di
reinserire la donna come "Archetipo dell' elemento materno, con­
servativo, protettivo e sostentatore della vita"<2> sono evidentemente
connessi al malessere della struttura patriarcale della nostra realtà
sociale, entro la quale sono richieste e hanno successo proprio le ca­
ratteristiche opposte a una maternità equilibratrice e pacificatrice.
Le epoche di intima insicurezza e di crisi d'identità - in particolare
se successive a catastrofi provocate dagli uomini, quali l ' ultima guer­
ra mondiale con tutti i suoi effetti disumani - sono un buon terreno
di cultura per le religioni femministe. In quei periodi alla memoria
di molti si riaffaccia la Grande Madre. Ora da "parola essenziale del
femminile" ella può trasformarsi in "parola di Dio", pregna di una
nuova ricerca di significato e di totalità esistenziale. Ella non riaffio­
ra soltanto nell'esoterismo di una sapienza-Sofia, ma, in quanto fe­
nomeno di arcaiche concezioni religiose, anche come verità di origi­
ne divina.

273
CAPITOLO XIV

Nel secolo scorso all'inizio dell'elettrificazione e della motorizza­


zione sono già stati posti segnali visibili di simili tendenze. All 'epoca
Ferdinand Hodler ( 1 853- 1 9 1 8) disegnò "La Verità" come donna nu­
da, volta frontalmente verso l'osservatore, con le braccia sollevate nel
gesto sacro della Grande Dea. Quattro uomini in cappe nere fuggo­
no dinanzi alla femminile verità, che il pittore rappresenta come una
forza spirituale superiore all'uomo. Questo tema da lui ripetutamen­
te riproposto viene integrato da quello della donna divina nuda, al
centro di una natura di rigogliosa bellezza.
Alle soglie della rivoluzione tecnica fu soprattutto Giovanni Se­
gantini ( 1 858-1899) l'artista che col simbolismo del primo stile flo­
reale - del quale fu uno dei fondatori assieme a Hodler e a Klimt -
tentò di conferire ai sogni della psiche una riserva di paradisi da lun­
go tempo perduti. Egli strutturò il suo sogno di arcaico-materno
equilibrio, amore, vita e morte nella solitudine, allora ancora reale,
dell'Engadina Superiore, sul suolo arcaico della storia retica e retoro­
mancia e della tradizione dei miti e delle leggende matriarcali più
antichi. Sogno che affiora in tutti i suoi dipinti e simboleggiato con
la massima efficacia nel grande trittico delle Alpi: "Divenire-Essere­
Morire".
Nello scenario montano del gruppo dello Sciara, davanti a un
prato alpino, a delle vacche al pascolo e a uno stagno nel quale al
sorgere del sole si rispecchia ancora un po' di luna, il pittore inseri­
sce il miracolo del divenire: una madre siede col suo bimbo in grem­
bo ai piedi di un alto cirmolo che, in quanto albero della vita, con­
giunge terra e cielo. Madre e figlio si stagliano tra le radici esposte
dell 'albero che si allungano sulla terra, aperta come per un parto.
Madre umana e madre Natura in identità organica e in piena armo­
nia. Val la pena soffermarsi ancora un po' su Segantini, che in tutte
le sue opere perseguì l 'esigenza di amore materno e di protezione
propria del suo tempo.
Si osservi come lo scenario del dipinto "Essere" si apre sul lato de­
stro del Maloja, visto dal Muottas Mureil. Una pastorella cammina
con una vacca sulla via alta che consente la vista dei tre laghi dell'En­
gadina superiore e dei monti sovrastanti in tutta la loro bellezza. An­
che questo quadro, per dichiarazione del pittore stesso, rappresenta
"la vita di tutte le cose che hanno origine nella Madre Terra". Da ulti­
mo, la terza parte del trittico incarna il morire di tutte le cose. È in­
verno e la natura è seppellita sotto la neve. I monti sullo fondo sono
illuminati dal sole che sorge. In una baita è morta una ragazza... ".<3>
Divenire-Essere-Morire: l'eterno ciclo raffigurato nell'immagine
della Grande Madre Natura. Tutta la natura, per come la vede Segan­
tini, è un'immagine materna. Nubi, monti, campi e laghi, sono attri-

274
UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?

buti della Grande Madre. Dipinge anche una Venere e confessa: "La
donna è la nostra dea, l'arte la nostra divinità".
"Stella alpina" è il titolo di un nudo che assomiglia alla Venere i
cui lunghi capelli sono sparsi sulla pietra antica: simbolo sessuale e al
tempo stesso intreccio di radici con la terra, la donna è vista come
amante e madre. Gli psicologhi definiscono "Regressione all'immagi­
ne-materna" l'eterno ritorno a questa immagine. In Segantini, come
in Hodler e in tutto lo stile floreale, questo ripiegarsi verso l'interno
sembra un canto del cigno dinanzi alle porte della nuova epoca. Par­
ticolarmente stimolante si rivela al contempo la grandiosa natura del­
l'Engadina, che dal pozzo dei ricordi archetipici, sul cui fondo vive
sempre la divinità materna, fa emergere ideali di bellezza. "Sogni im­
pietriti del mondo arcaico" così definirono i poeti questa terra, "eroi­
ca ed idillica al contempo" (Nietzsche) , mentre gli psicanalisti aman­
ti delle Alpi hanno scoperto la razza speciale dei patiti deli'Engadina,
contradistinti da tratti simili a quelli di Segantini: tendenza alla soli­
tudine, rimpianto della vita delle origini, nostalgia del grembo ma­
terno.
Nel lessico psicologico di questo pittore la Grande Madre si pre­
senta però anche nei suoi mitici due volti. Diventando allora quel re­
cipiente divino che riunisce in sé sia il bello che il tremendo. Da que­
sto punto di vista l'oggetto dell'amore si manifesta nel proprio aspet­
to demoniaco. Così in due dipinti realizzati prima del trittico delle
Alpi trovano espressione le visioni della "voluttuosa" e della "Madre
cattiva". Come bellezze nude, dai capelli lunghi, sono esiliate, trasfor­
mate in Lemuri, nella rigidità letale dell'inverno nei rami di un albe­
ro brullo. Secondo una leggenda buddista le "Madri cattive" incarna­
no, in quanto voluttuose, i desideri proibiti. Segantini le punisce
esponendole alla solitudine di un gelido paesaggio invernale. Da
questi quadri affi ora paura, la paura dell'istinto divorante della libi­
do che minaccia di dissolvere !"'Io" in "Es". Anche il tardo stile flo­
reale conosce questa minaccia. La vita vegetativa, con il suo simboli­
smo erotico di piante e di capelli, subisce una trasformazione in ele­
mento seduttivo pericoloso. All'interno di tale simbolismo la donna
archetipica non compare come dea della verità, ricca di spiritualità e
immagine primigenia della felicità paradisiaca, ma come gorgo della
sensualità: donna quale adescatrice, come in Gustav Klimt o in Hans
Unger, mentre Franz von Stuck la ritrasforma in personificazione del
peccato caricata di una valenza erotica, col serpente awolto attorno
alla sua lasciva nudità.
Sono le forze del Grande Femminino troppo a lungo represse
quelle che vengono descritte nei quadri di coloro che cercano una
via d'uscita da un'epoca già tendente all'alienazione di sé, all 'etero-

275
CAPITOLO XIV

direzione e all'astratto accumulo di potere, che si preannunciano an­


che con una seduttività che assomiglia a quelle delle sirene? Ma al lo­
ro oscuro canto ammaliatore risponde sempre la canzone dell'amore
che conduce a nuova vita.
Oggi , un secolo dopo, in un mondo nel quale celebrano il pro­
prio trionfo la voglia di espansione e di aggressività e nel quale l'in­
quinamento ambientale, le lotte nazionaliste, le guerre civili e le car­
neficine dei popoli dell 'Europa centrale sono all'ordine del giorno,
dove, mezzo secolo dopo l 'inferno della seconda guerra mondiale e
dell'Olocausto, il sistematico stupro di massa delle donne è assurto a
rango di arma politica, le femministe impegnate richiedono a gran
voce una nuova religione improntata al femminile e una nuova strut­
tura sociale matriarcale.
Il femminismo moderno mira alla conquista della teologia cristia­
no-occidentale per proclamare nuova divinità la "Dea Grande Ma­
dre". Come già dimostrato in precedenza parlando della "Madre Ter­
ra" indiana, questo processo procede di pari passo col movimento
ecologico. Di conseguenza, ad esempio, ecco che nel contesto ecolo­
gico della teologa fem m inista Dorothee Sèlll e , Dio appare come
un'entità femminile: "Parimenti è nelle nostre mani il destino della
terra... Dio, che ha creato l' universo e anche il nostro pianeta, Dio
che ci libera da qualsiasi schiavitù - è la medesima che ridesta i morti a
nuova vita, così che anche noi, che siamo morti e senza speranza, pos­
siamo diventare esseri di resurrezione e amanti della vita". Salle usa il
femminismo in modo provocatorio, dato che anch'ella sa che Dio è al
di sopra dei sessi e invita a riflettere: "Se di Dio dico solo che è Padre,
Signore o Onnipotente, - consciamente o inconsciamente - dico pure
che Dio è di sesso maschile. Questo è troppo poco. Per Dio ci voglio­
no altri simboli personali - amica, sorella, protettrice, madre. Oggi sia­
mo alla ricerca di un linguaggio comune, e cioè necessariamente in­
clusivo, che esprima Dio. Non si può sostituire semplicemente il "lui"
col "lei", anche se questo modo di parlare chiarisce finalmente il pro­
blema. Occorrono pure simboli mistici tradizionali che rappresentino
Dio, quali luce, fuoco, profondità, vita, voce. Una teologia che non
partecipi a tale ricerca, e che continui a parlare inconsapevole un lin­
guaggio sessista, fa di Dio un idolo, un idolo maschile".<<!
Si pensi al "vecchio dio barbuto, potente e stupido" del racconto
Klingsor di Hesse, che nella poesia Dell 'alhero della vita viene contrap­
posto alla "Madre eterna", le cui "dita giocose" scrivono nell'aria fu­
gace i nostri nomi. Nell'ambito del femminismo ancora influenzato
da elementi di fede cristiana si sono nel frattempo sviluppate delle
forme di panteismo, all'interno del quale la divinità, nell'arcaico rit­
mo materno di vita e morte, è onnipresente. Così per C. Christ, nel

276
UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?

"simbolismo di un Dio femminile" più che "nella tradizione cristia­


na" viene illustrata la consapevolezza da lungo tempo presente, ma
mai così distintamente articolata, "che il divino si manifesta nella na­
tura e attraverso la natura. Ho sempre sentito un legame spirituale
col mare, gli alberi e gli animali". "Nella tradizione della Dea Madre
ho trovato chiaramente avallato questo collegamento tra divinità e
natura. Il simbolismo della divinità femminile mi confermò infatti
nella concezione che tutte le creature sono legate tra loro nella rete
della vita, che la terra è sacra, che il nostro legame con lei va celebra­
to. Da allora, assieme ad altre donne - e a volte anche con uomini -
ho festeggiato le stagioni e le fasi lunari, ho invocato le dee quali sim­
boli della legittimità e della benevolenza della forza femminile, del
nostro intimo rapporto con la terra e del nostro legame tra donne". 15l
Viene ovviamente da chiedersi se sia sensato sostituire l'antico
Dio dei patriarchi con l 'ancor più antica Dea Madre. Altrettanto po­
co utile pare l ' abbandono del monoteismo per la religione della
Grande Madre e per i riti politeistici che venerano la natura. Nell'at­
tuale situazione di cambiamento, contraddistinta da incertezze di fe­
de e da mancanza di orientamento, accanto a numerose sette religio­
se, c'è pure tutta una serie di tentativi teologico-femministi di spiega­
re Dio e il mondo. Alcune rappresentanti della riscoperta religione
della Dea Madre sviluppano inoltre categorie logiche e terminologie
che escludono completamente le tradizioni cristiane. Ecco, ad esem­
pio, che Mary Daly, che caldeggia una "meta-etica del femminismo
radicale" e che in un suo libro ha creato il vocabolo "Gyn/ecologia",
in jenseits von Gottvater Sohn & Co (Al di là del Dio Padre Figlio &
compagnia) si muove a favore di una religione esterna al cristianesi­
mo e svincolata dall'eredità patriarcale. Ella sostiene: "Ora sono con­
vinta che non esiste alcuna possibilità di eliminare dalla parola Dio
l'immaginario maschile-femminile. Scrivendo e parlando quindi del­
la realtà ultima in modo 'antropomorfico' , della scintilla divina del­
l 'essere, preferisco ora scrivere e parlare di gynomorfico. Prendo
questa decisione perché la parola Dio rappresenta la necrofilia, il pa­
triarcato, la parola Dea, per contro, conferma l 'essenza amante-della­
vita delle donne e della natura. Coloro che hanno scoperto in sé la
profondità spirituale e mitica del movimento femminista condivido­
no il senso del divenire interno al processo cosmico, che preferisco
ancora definire il Verbo, l 'essere. Anche se altri continuerebbero a
chiamarlo "Dio"; sono ormai convinta che a bloccare il nostro pro­
cesso sia solo l ' uso di questa parola". 1';l
"Verbo" nel lessico dell'autrice è la formula che esprime la "forza
d' attrazione creatrice del bene ... nella quale e con la quale si svilup­
pano tutti gli autentici movimenti".

277
CAPITOLO XIV

Anche in questa radicale posizione femminista la grandezza della


Dea appare come una potenza panteistica legata alle donne e alla na­
tura, della quale, comunque, è visibile solo l'aspetto luminoso, "l'esse­
re amante della vita". La divinità materna divorante, il suo aspetto not­
turno e letale, vengono eliminati dalla visione di un'età dell'oro che
fonda il proprio fascino sull' utopia di un nuovo matriarcato. Identica
direzione segue la fiorente religione delle streghe che dagli USA - ove
nelle università le facoltà religiose propongono persino corsi di culto
delle streghe - è da lungo tempo arrivata in Europa e in Germania. I
culti e i miti della religione matriarcale vengono studiati, per ricercar­
ne il messaggio salvifico, in decine di circoli femministi, nei corsi delle
università popolari e durante talk-show televisivi. Tra le "somme sacer­
dotesse" del culto delle streghe, oggi tanto di moda, questo si spinge
sino alla pratica di esercizi magici, rituali e ad invocazioni alla Grande
Dea - paralleli al crescere del culto satanico. Gli elementi scoperti da
serie studiose e studiosi del matriarcato in fonti a volte solo difficil­
mente interpretabili, e comunque interpretati in nessi accettabili, ven­
gono mescolati assieme trasformando mezze verità in una nuova filo­
sofia di felicità terrena e in un messaggio salvifico rispondente ai pro­
pri desideri e volto al proprio uso. Un sempre crescente numero di
persone si impadronisce di tali teorie con gratitudine. Il vacuum va
riempito con idee religiose irrazionali che rispondono a interrogativi
esistenziali quali quello sulla vita e la morte, l'amore e la bellezza, la
verità e il dolore, dei quali la cultura secolarizzata del nostro "bel mon­
do nuovo" differenziato e automatizzato è carente. Ecco che allora
una "tradizione magico-stregonesca", la "comunicazione col proprio sé
bambino" vengono presentate come liberazione dai vincoli della dolo­
rosa individualizzazione e dell'adeguamento al sistema, e i "coni di
forza", i "cerchi magici" e le "estasi" divengono gli strumenti della dei­
ficazione dell'inconscio. All'interno di tale ritorno - ostile alla ragione
e all'illuminismo - all'elemento arcaico, che giustifica lo sprofonda­
mento a livelli culturali pre-razionali legati a cerimoniali magici e alla
fede negli incantesimi, servono testimonianze e messaggi di un 'arcaica
religione matriarcale. L'opposto della conoscenza di sé che si può rag­
giungere studiando le arcaiche religioni della Madre. Un "approccio
di questo tipo alle Madri" non ha neppure più nulla a che vedere con
la saggezza esistenziale di Goethe, mentre è legato a una fuga dal pre­
sente. Non è l'idealizzazione dei rapporti sociali e dei culti preistorici
che riesce a trasformare il "verbo essenziale del femminile" in "verbo
divino", ma solo il carattere metamorfosante dell'archetipo della don­
na che nel simbolo della Grande Madre può risultare evoluzionistico,
in quanto costituisce una risalita dall'inconscia gravità terrestre alla
sfera di una spiritualità psico-fisica che si estende al sesso.

278
UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?

Nelle pratiche della nuova fede nelle streghe, per contro, il culto
della Grande Madre regredisce di livello culturale. Come le comu­
nità di fede fondamentalista, che parimenti stanno prendendo pie­
de, anche la fede nelle streghe e tutte le manifestazioni analoghe,
espressione di un femminismo che scredita quello serio, fanno parte
di un contro-movimento religioso che "all'interno di un mondo di­
sincantato" simulano "all'uomo moderno isole incantate".(7) Per alcu­
n i seguaci delle nuove verità salvifiche è allettante ascoltare una
"somma sacerdotessa" americana, come ella si autodefinisce nella sua
veste di rappresentante del culto delle streghe, che dice ai suoi adep­
ti: "La Madre Dea si desta a nuova vita e possiamo recuperare il no­
stro diritto di primogenitura, la pura, esaltante gioia di vivere. Possia­
mo riaprire gli occhi e imparare nuovamente a capire che nulla deve
venire salvato prima dell'universo e che non bisogna combattere con­
tro di esso, che non dobbiamo temere nessun dio esterno al mondo e
che non dobbiamo obbedire a nessuno. Solo la dea, la Madre, la spi­
rale sinuosa che ci conduce dentro e fuori l'esistenza, il cui occhio
scintillante è il polso dell' essere - nascita, morte, rinascita -, il cui riso
fa vibrare ogni cosa e che si può trovare solo attraverso l'amore: amo­
re per gli alberi e le pietre, per il cielo e le nubi, per i fiori profumati
e le onde mugghianti, per tutto ciò che striscia e fugge e nuota e si
muove sul suo volto; attraverso l'amore per noi stessi, l'amore orga­
smico che scioglie la vita e crea il mondo; ognuno di noi unico e na­
turale come un fiocco di neve, ognuno astro di se stesso e di lei fi­
glio, amante, amato, Io". 1•1
Indubbiamente in questo testo, anche se con tono euforico, ven­
gono toccati dei punti fondamentali del culto della Grande Madre
che in quest'opera sono stati, almeno parzialmente, scoperti. C'è
però una bella differenza tra il ricordare i contenuti di una fede di­
menticata e rimossa dei tempi arcaici e il volerli integrare nella no­
stra epoca moderna quale nuova "religione delle streghe", con tutti i
rituali connessi a una visione del mondo magica e prerazionale, co­
me fa l' autrice nella sua ingenua ostilità al raziocinio e nella poco
meditata fede negli incantesimi del sangue e della terra della sua Bib­
bia del culto delle streghe.
Meglio citare di nuovo Christa Wolf, che nei corsi di poetica tenu­
ti a Francoforte, chiede: "Ma di che cosa si alimenta il mio disagio al­
la lettura di tante pubblicazioni - anche nel campo dell'archeologia,
della storiografia antica - che si pongono sotto la definizione di 'lette­
ratura femminile'?". E risponde: "Non solo nella mia esperienza dei
vicoli ciechi cui sempre conduce il pensiero settario, che esclude
punti di vista diversi da quelli sanzionati dal proprio gruppo; soprat­
tutto provo un vero orrore per quella critica del razionalismo che fi-

279
CAPITOLO XIV

nisce in un irrazionalismo sfrenato. Non è solo un fatto tremendo,


umiliante e scandaloso per le donne che nel corso dei millenni il
contributo femminile ufficiale e diretto alla cultura in cui viviamo sia
stato praticamente inesistente - esso costituisce propriamente il pun­
to debole di questa cultura, a partire dal quale essa diventa autodi­
struttiva: vale a dire la sua incapacità di maturare. Ma non si acquista
maturità se alla follia maschile si sostituisce la follia femminile, e se le
conquiste del pensiero razionale, solo perché opera di uomini, ven­
gono gettate a mare dalle donne in nome dell'idealizzazione di stadi
pre-razionali all'umanità. La stirpe, il clan, sangue e terra: non sono
questi i valori ai quali possono collegarsi l'uomo e la donna di oggi;
proprio noi dovremmo sapere che queste formule possono offrire
pretesti per terribili regressioni. Non c'è via che possa aggirare la for­
mazione della personalità, i modelli razionali della soluzione dei con­
flitti, cioè anche il confronto e la collaborazione con coloro che la
pensano diversamente e, ovviamente, con l'altro sesso. L'autonomia
è un dovere per tutti, e le donne che si ritirano nella loro femmini­
lità come in un valore, agiscono in sostanza così come si è fatto con
loro: rispondono con una grande manovra diversiva alla sfida della
realtà rivolta a tutta quanta la loro persona" .1� 1
Pure il tentativo di contrapporre al necessario "modello raziona­
le della soluzione del conflitto" il calore protettivo del mito visto co­
me nuova patria va interpretato come analoga manovra diversiva. Si
rivela un inganno, al più tardi quando erompe la crudeltà, presente
sia nel mito che nella fiaba. Nel mondo moderno il mito può trova­
re la propria funzione salvifica solo come specchio di una verità an­
tropologica e archetipica. Come strumento di conoscenza di sé, nel­
la sua bellezza poetica e nella sua profondità, assomiglia alla miniera
di un monte incantato le cui pietre sono d' oro e di diamanti, ma an­
che di sangue e di dolore. Il mito non può essere un luogo in cui ri­
siedere. Anche il minatore dopo aver scavato riemerge sollevato alla
luce del giorno. Oggi nessun percorso può più ricondurre al mitico­
magico paradiso infantile, ma solo nei labirinti dell'irrazionalismo.
"Dove c 'era l'Es, deve apparire l'Io" dice Freud. Chi rifiuta questo
processo di individuazione rischia di ricadere nel regno incontrolla­
bile dell'inconscio ove non ha sede la cultura umana. Una regressio­
ne ai riti magico-arcaici della natura di un mondo mitico rigetta an­
che la saggezza di Sofia e del Grande Femminino all' antico livello di
un' arcaica maternità ancora indifferenziata. Probabilmente è come
scrive Heinrich von Kleist nel suo spesso citato saggio sulle mario­
nette: solo quando "la nostra coscienza è passata attraverso l'infini­
to" si può, forse, ritrovare accesso al paradiso perduto per una porti­
cina di servizio. Quest'opinione non trovò solo sostenitori. "Nell'at-

280
UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?

tuale letteratura europea esiste una sorta di astio contro l'evoluzio­


ne del cervello umano che mi è sempre sembrata solo una forma
snobistica e sciocca di autonegazione" scrisse Thomas Mann negli
anni Trenta a Karl Kerényi. Evidentemente l'autore che attingeva al­
le profonde sorgenti del mito, nel proprio "mitologizzare" era tor­
mentato da uno scrupolo che egli "collegava alla sfera materna della
natura". Nella sua lettera del 20 febbraio 1 934 allo stimato studioso
di miti parla di "movimenti ostili allo spirito e all ' intelletto" che
avrebbe "temuto e combattuto" perché li aveva "scorti in tutte le lo­
ro conseguenze brutali e disumane, prima che si manifestassero".
Osservò inoltre: "Quanto a quel 'ritorno dello spirito europeo alle
somme realtà mitiche' ... è davvero un fatto buono e grande della
storia dello spirito ed io posso vantarmi di avervi in certa misura
contribuito con le mie opere. Confido però nella sua comprensione
quando dico che alla moda dell "irrazionale' è spesso connesso un
sacrificare e un giovanile rifiuto delle mète raggiunte e dei principì
che non solo fanno dell 'europeo un europeo, ma addirittura dell'es­
sere umano un essere umano".
Mezzo secolo dopo quella lettera, nell'aprile 1984, a Creta ebbe
luogo un incontro internazionale dal titolo Il mito - ieri e oggi. Al rin­
novato favore del mito dovette essere propizio il genius loci. Era pro­
prio la cultura dei minoici a nutrire nelle femministe impegnate la vi­
sione di una tramontata età dell' oro, all 'insegna di un matriarcato
nel quale donne pacifiche esercitavano anche la piena autorità del
potere politico. Ora un matriarcato configurato a questa stregua co­
me realtà politico sociale non è comunque comprovabile con certez­
za in nessun luogo. Non dovrebbe quindi diventare almeno la mèta
di utopiche speranze? Heide Gottner-Abendroth assume in merito
una posizione realistica, anche se parte dal presupposto dell'esisten­
za storica del matriarcato. A una giornalista che durante il meeting
di Creta le chiese se ovunque un tempo la Grande Madre era venera­
ta, tra i Sumeri, nell'antica India, in Egitto, Persia, Palestina, Asia Mi­
nore, e naturalmente a Creta e nell'Egeo orientale, se presso tutti
quei popoli prima della conquista indo-germanica regnavano condi­
zioni paradisiache e se riteneva possibile ritornare dal patriarcato al
matriarcato, rispose: "Sarebbe per certo un' idealizzazione e io non
propendo per le idealizzazioni, la mia ricerca consiste invece, per lo
più, nel capire quei popoli, nel penetrare il loro pensiero e il loro
modo di vivere, ma senza idealizzarli. Quel che credo di poter dire,
però, è che una società, diciamo, ampiamente libera da autorità -
dando ad autorità il significato che le attribuiamo oggi - era per certo
più degna dell'uomo o più umana e che gli esseri umani potevano
condurvi e vi hanno condotto una vita più pacifica di quanto non ab-

281
CAPITOLO XIV

biano fatto successivamente nelle società patriarcali ... Io non esalterò


mai il matriarcato e non maledirò mai il patriarcato. Sarebbe un'in­
terpretazione altamente antistorica. Se oggi si vuole elaborare un'u­
topia concreta, forse come idea guida di una futura società, non si
possono semplicemente rigettare le conquiste o gli sviluppi raggiunti
dal patriarcato nel corso di quattromila anni e storicizzarli. Volerlo
fare o tentare di farlo sarebbe una mitizzazione e un compito storica­
mente non analitico e scorretto". 1 101
Cerda Lerner mette in guardia in maniera decisa dalle aspirazio­
ni matriarcali al servizio del movimento delle donne. L' autrice di
molteplici opere scientifiche sulla storia delle donne dice: "Sono del­
l' opinione che abbandonare le ricerche sul matriarcato sia il primo
passo nella direzione giusta. Creare miti compensatori sul lontano
passato delle donne non contribuirà all'emancipazione delle donne
né del presente, né del futuro". l ' 1 1
È molto più importante infrangere, anche nella loro unilateralità
orientata verso il potere, gli schemi mentali del patriarcato, vecchi di
millenni e interiorizzati pure dalle donne. Allora finalmente potrà
venire evidenziata e resa feconda, senza l' erezione di nuove strutture
di potere, la componente creatrice delle donne e la forza del "Gran­
de Femminino" che penetra in tutti gli ambiti dell 'esistenza dei po­
poli. Cosa che sin' ora è stata impossibile perché la storia era scritta
solo dagli uomini e per gli uomini. Ora però questa visione unilatera­
le incomincia lentamente a modificarsi grazie alla riflessione sulle
origini della nostra cultura e della nostra religione. È stupefacente
che già Virgilio, che di solito esaltava la Roma patriarcale e la sua
missione storica universale, ritenesse importante investigare "anti­
quam matrem", l'antica Madre.
È quello che è stato fatto anche in questa sede, constatando che è
stata la Grande Madre quella che, sotto differenti aspetti eppure sem­
pre identica nell'essenza, sta alla base del primo pensiero umano che
in lei sperimentò l'incarnazione dell'intero cosmo e la fonte inesauri­
bile di ogni forma di vita, che si manifesta nell'eterno ciclo di nascita e
rinascita. Una consapevolezza più differenziata e la nascente compren­
sione da parte dell'uomo del proprio ruolo di compartecipazione nel
processo della procreazione ha portato, nel corso dell'evoluzione, a
una sua vera e propria deposizione, anche se l 'archetipo del femmini­
le è perdurato anche sotto la dominazione patriarcale, abbastanza for­
te da operare, almeno in sottofondo, sotto molteplici aspetti. Alla lun­
ga il programma del movimento delle donne non deve necessaria­
mente consistere solo nel sostenere le forze femminili equilibranti e
guaritrici all'interno di società patriarcali, contraddistinte da un illimi­
tato aumento di potere e dall'impiego della forza per affermarsi. In

282
UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE?

considerazione del corso avuto dalla storia dell'umanità sino ai giorni


nostri, una simile preoccupazione andrebbe catalogata piuttosto alla
voce: spinta all'autoconservazione. Molti elementi tragici che affiora­
no qui affondano, come minimo, una radice, nel disprezzo e nella re­
pressione del femminile e delle sue arcaiche tradizioni materne.
Un ritorno alle forme di culto preistorico della Madre sarebbe co­
munque la risposta errata al problema. Gli elementi che stimolano la
vita del Grande Femminino, la sua forza d'amore, la sua creatività di
musa e la globalità della vita non alterata, della quale esso si fa garan­
te possono solo venire integrati in modo equilibrante nella nostra
cultura al livello dell 'odierna consapevolezza. A questo proposito tor­
na utile ciò che insegna il linguaggio simbolico e mitico. Sempre me­
taforicamente parlando, esso ci mostra che voltare le spalle alla Gran­
de Madre e al principio del Grande Femminino equivale a voltare le
spalle a noi stessi. La oggi tanto vilipesa "Madre natura" nella figura
della Grande Dea resta, pur senza nessuna idealizzazione, !"'Eterna
Madre". Non si scordi che è lei che dà origine a tutto il mondo visibi­
le e che noi, i figli minori dell'evoluzione, siamo quei suoi figli ai
quali, attraverso il miracolo di un cervello percorso da miliardi di fi­
bre nervose, è stata fornita consapevolezza e capacità logica. Dinanzi
a tutta questa forza creativa omnicomprensiva la pretesa del patriar­
cato di comandare appare ridicola quanto la pretesa del matriarcato
di escludere gli uomini. L'unico fine cui si deve mirare è l'armoniz­
zazione dei sessi. Come Yang e Yin nella filosofia cinese, i principi del
femminile e del maschile in quanto coppie opposte complementari
operano la piena realizzazione della vita. Per contro, laddove "Madre
Natura" viene solo sfruttata da tracotante desiderio di sottomissione
e di espansione, predomina per certo il suo aspetto notturno. In quel
caso, come nel mito, la Grande Madre si trasforma in "strega nera".
Anche il plutonio con le sue radiazioni mortali è una componente
della "Madre Natura". Bisogna vivere con la sua ambivalenza.
Se si sono condotte con sufficiente coraggio, le ricerche sulla
Grande Madre riportano anche al giorno d'oggi all'immagine della
dea di Sais, dalla quale ci si guarda negli occhi in tutti i propri alti e
bassi. Si è visto che dal centro della sua arcaica religione si manifesta­
no tutti i livelli evolutivi che vanno dalla gravità terrestre alla più ele­
vata spiritualità.
Conosci te stesso! Significa pure: non dimenticare le tue origini!
Le quali, se si traduce correttamente il linguaggio del mito, si trova­
no nella Grande Madre che, sempre ed ovunque, sia come Venere
dell'età della pietra o come Afrodite dell'età classica, è sempre tutt'u­
no con le sue sorelle: seduzione ed enigma dell'arcaica immagine
dell'"Eterno femminino" dai mille volti della vita.

283
Illustrazioni
ILLUSTRAZIONI

Hathor nel tempio di Dendera con Horus bambino e Horus che reca la barca.

L'enigmatica "Venere di Qui­


nipily" (a sinistra e in basso) .

287
ILLUSTRAZIONI

Questa dea della fe rti­


lità del Périgord ha cir­
ca 1 7.000 anni, e viene
detta "Venere di Laus­
sel" dal luogo del ritro­
vamento.

Il motivo a serpenti decora le pareti d'accesso della necropoli megalitica di Gavri­


nis, in Bretagna, risalente a circa 6000 anni fa.

288
ILLUSTRAZIONI

Loculi dell 'ipogeo di


Hai Saflieni, a Malta.

Torso della Grande Madre di Hai Tarxien, a Malta.

289
ILLUSTRAZIONI

Tempio a cisterna di Santa Cristina, in Sardegna, IX secolo a.C.

Altare sacrificale di Tanit sotto il tophet di Sulci, in Sardegna.

290
ILLUSTRAZIONI

Afrodite nella conchiglia. III secolo a.C., Grecia.

291
ILLUSTRAZIONI

Complesso templare di Hai Tarxien a Malta. Sulla soglia in pietra dell' ingresso al
tempio principale sono scolpiti gli occhi a spirale della Grande Madre. Il motivo a
spirale è ripetuto su una delle pietre d'ingresso.

292
ILLUSTRAZIONI

Guerrieri sardi con l'elmo or­


nato di corna.

Il santuario a cisterna di Santa Vittoria, in Sardegna.

293
ILLUSTRAZIONI

Il tempio di Afaia ad Egina, in Grecia.

Le rovine del tempio di Apollo, a Delfi, si ergono su un terreno sacro alla Madre
Primigenia.

294
ILLUSTRAZIONI

La Venere racchiusa come un Santo Graal all'interno di una mandorla simboleg­


giante i genitali femminili. Vassoio italiano del tardo XV secolo (Musée du Louvre,
Parigi ) .

295
ILLUSTRAZIONI

A sinistra: la Dea Madre di Megara Hiblea in Sicilia. A destra: la "Venere Landoli­


na" scolpita 400 anni dopo.

La statua di Artemide ad Efeso, II seco­


lo a.C.

296
ILLUSTRAZIONI

Dall' antica sede misterica del culto di Demetra ad Eleusi sono rimaste solo pochi
ruderi.

Il recipiente della rinascita, dal quale i guerrieri celti caduti in battaglia riemergo­
no resuscitati, assomiglia al "Paiolo dell 'abbondanza" della Grande Dea.

297
ILLUSTRAZIONI

La Madonna in un atteggiamento di idolo precristiano della femminilità. Particola­


re del dipinto di San Sebastiano eseguito da Benozzo per Sant'Agostino, a San Gi­
mignano in Toscana.

La "Madonna del parto",


una delle numerose im­
magini della Vergine Ma­
ria incinta. Monterchi, To­
scana.

298
ILLUSTRAZIONI

"Vi erge ouvrante" (fine XIV secolo) . Musée de Cluny, Parigi.

299
ILLUSTRAZIONI

A sinistra:
recipiente cretese d'epoca minoica decorato con simboli della labrys.
A destra:il culto del toro e le raffigurazioni della labrys facevano parte della cultura
matriarcale minoica, così come il labirinto, il cui simbolismo derivava dalla spirale.

La minoica Madre Rea,


Creta 1 600 a.C.

300
ILLUSTRAZIONI

Cristo distrugge la propria


croce.

In basso: la Madonna raffi­


gurata come "nuova Eva" sul
portale occidentale di sini­
stra di Notre-Dame a Parigi.

301
ILLUSTRAZIONI

Madonna con Gesù Bambino e sant'Anna. Cappella di Notre Dame de Grace a


Honfleur.

302
Note e citazioni

CAPITOLO l

UN DRAMMA DELL'ANTICA ATENE

( Il Le Eumenidi vv. 607-8 e 658-661 , trad. di Domenico Ricci, Rizzoli, Milano,


1950.
(2) Citazione da Lerner, p. 236.
�'� Le Eu=idi, op. ci t., vv. 663-668.
" ' lbid., vv. 734-738 e 752.

CAPITOLO Il

METAMORFOSI DEL MITO

(IJ Apuleio, p. 233 e sg.


(2) Ibid., p. 235.
"' Ovidio, pp. 232 e 353 e sg., 232 (in mdine di citazione ) .
('> Citazione da Bòttcher, p. 1 63.
(" Ewdoto, Storie Il, 1 70, trad. di Augusta Mattioli, Rizzoli, Milano, 1958.
(6) lbid.
(7) lbid. , p. 50.
(8) Ibid., p. 59.
(O) Gòttner-Abendwth, p. 6 1 .
"" Citazione d a Bòttcher, p . 1 74.
( I l > Citazione da Heydecker, p. 44.
(>2> C.G. Jung, Symbole der Wandlung, p. 289.

"" 32o canto, ultimo verso.


"" Citazione da C. G. Jung, von Franz, Henderson, Jacobi e Jaffé: Der Mensch
und seine Symbole, p. 1 86.
(! 5) Ewdoto, Storie II, 60.
("' Bòttcher, p. 90. Ibid., p. 108 anche l'esempio delle fanciulle licie tramanda-
to da Plutarco.
( l7) Ibid. , p. 29.

("' Citazione dajohnson, p. 91 e sg.


""' Platone, Fedone, trad. di Emico Tuwlla, Rizzoli, Milano, 1 953.
(20J Bachofen, Versuch iiber die Griibersymbolik der Alten, in Mutterrecht und Urreli­
gion, p. 30.

303
NOTE

'"' Erodoto, Storie II, 1 55.


1221
lbid., 1 56.
'"'' Plutarco, De lside et Osiris, citazione da Neumann, p. 2 1 1 .
"" Novalis, Entwiirfe zur Fcntsetzung der Lehrlinge zu Sais, Werke, Herliberg-Zuri­
go, 1945, vol. l , p. 403.

CAPITOLO 111

AGU ALBORI DELIA PREISTORIA

"' Citazione da Neumann, p. 9 1 .


(2)lbid., p. 102.
'" Heydecker, p. 274.
'" Citazione da Bòttcher, p. 1 1 8.
"' Erodoto, Storie Il, 65.
"' Quest'immagine si trova nella caverna chiusa alle visite dal 1 964. A Lascaux
Il, la caverna che copia la prima nei minimi particolari e che è accessibile, tale fi­
gura manca.
171
Inni omerici, a cura di Filippo Cassola, Mondadori, 1975. Quando il testo si
discostava troppo dalla versione tedesca è stata fatta una traduzione letterale.
"' Cicerone, De natura deorum, III, 23 citato dajean Markale, in Die Druiden, p.
58.
"' Erodoto, Storie IV, 33-34.
1101 Citazione da Hubert Lampo, Arlus und der Gral, Monaco, 1985, p. 144.

" " Citazione di Rosenberg, p. 44.


'"' Citazione di Lampo, p. 1 44.
'"' Cfr. Baumer, Konig Arlus und sein Zauberreich, Monaco, 1 99 1 , p. 1 32. Il testo
riporta pure un'esauriente esposizione dei nessi esistenti tra Stonehenge e la let­
teratura su Merlino e su Artù.
'"' Bòttcher, p. 3 1 4.

C.APITOLO IV

TESTIMONI DI PIETRA

"' Neumann, p. 246.


'" Citazione da Heydecker, p. 158.
'" von Reden, p. 235.
''' Erodoto, Storie V, 87-88.
'" Bachofen, Mutterrecht, p. 199 e sg.
161
Neumann, p. 1 55 e sg.
171
von Reden, p. 224.
'"' Ibid., p. 242 e sg.
"' Tacito, p. 28 e sg.
""' Citazione da Graichen, p. 1 1 9.
'"' Gòttner-Abendroth, p. 245.
"" von Reden, p. 2 1 0.

CAPITOLO V

I TEMPU DELIA DEA NELL'ETÀ DELIA PIETRA

"' Peter de Mendelssohn, Maltesische Notizbliitter. Postfazione in: Quentin Hi­


ghes, Malta, Monaco, 1 972, p. 334.

304
NOTE

1 1
2 C.G. Jung, Simbole der Wandlung, p. 330.
"1 Neumann, p. 2 1 6.
"1 Bachofen, Griibersymbolik. Riportato nel volume Mutterrecht und Urreligion, p.

62 e sg.
(5I von Reden, p. 84.
(61 lbid., p. 60.

( 71 lbid., p. 63.

CAPITOLO VI
TEMPLI A CISTERNA E LUOGHI SACRIFICALI

(Il Thimme, p. 10.


(2) von Reden, p. 12 7.
(3) Ibid., p. 205.
(<J Thimme, p. 4 1 .

( " Interrogativo posto d a Gottfried Kirchner nella trasmissione televisiva "Ter­


ra X" della ZDF del 30 settembre 1984.
(GJ Carlo Levi, Alter Honig geht zu Ende. Tagebuch aus Sardinien (Il vecchio miele

è finito. Diario dalla Sardegna) , Colonia, 1965, p. 56 e sg.


( 71 Thimme, p. 34.

(8) Citazione da Bottcher, p. 278.

(o) Cfr. C.G.Jung, Symbole der Wandlung, p. 460 e sg.


001 Ap
uleio, p. 232 .
0 11
Nella traduzione di P. Maurus Carnot del secondo volume della Riita-roma­
nische Chrestomantie di Caspar Decutins. - Maggiori dettagli in Die vcrzauberten Tiiler
di Christian Caminada, e in Traumwege durch Riitien di F. Baumer, Passau, 198 1 .
( 121 Citazione da Caminada, p. 44.

0" Fratelli Grim m, Lefiabe delfocolare, Einaudi, 1951, Torino.

0 4 1 Bottcher, p. 309. Con un'esauriente presentazione di Frau Holle in veste

di Berta.
0 51 Ernstjiinger, Werke, vol. 4, Stoccarda s.a., pp. 376 e 232.
o 61
von Reden, p. 1 72.
0 71
Ibid., p. 1 7 1 .
081
Ernstjiinger, An der Zeitmauer, Werke, vol. 6, p. 483 e sg.
091
Lemer, p. 197.
(201 Johnson, p. 1 7 1 .
( 11
2 Eugen Drewermann, Lieb Schwesterlein, lass mich herein. Grimms Miirchen tie­

fenpsychowgisch interpretiert, Monaco, 1992, p. 476 e sg.


(221 Heydecker, p. 86.

CAPITOLO VI l
IN POTERE DI AFRODITE

(Il
Kerényi, vol. l 0, p. 44.
(2) Citazione da Peterich, Italien, vol. 3°, Monaco, 1933, p. 565.
(" Citazione da Lerner, p. 1 65.
(<J Heydecker, p. 36 e sg.

(5) Erodoto, Storie l, 199.


(61 Citazione da Peterich, Italien, vol. 3°, p. 565 e sg.
( 7) lbid., p. 569.

305
NOTE

'" Tradotto da H. Diels. Citazione da C.G.Jung, Symbole der Wandlung, p. 124.


'" Citazione da Peterich, Italien, vol. 3", p. 567.
0 01
Kerényi, vol. l , p. 56 e sg.
'"' Bòttcher, p. 303.
021 Omero, Inni ad Afrodite, in Inni Omerici, Mondadori, Milano, 1994.

"" Omero, Odissea, VIII canto, 336-342; trad. di Ettore Romagnoli, Zanichelli,
Bologna, 1957.
<�<> Apuleio, p. 88.
"" Omero, Inni ad Afrodite, loc. cit., p. 5 1 1 .
" "' Ibid., p. 507.
0 '1 Peterich, Italien, vol. 3•, p. 572.

""' Questo non vuoi dire che non si sia pervenuti a un relativamente precoce
eccesso di natalità e di conseguenza a sistemi molto barbari di aborto e di infanti­
cidio. In proposito: Mira Beham, Fluch der Fruchtbarkeit, in "Siiddeutsche Zeitung",
n. 27 del 3.7.1992, p. 16 e sg.
"" Kerényi, vol. 1 • , p. 1 47.
''"' Peterich, Giitter und Helden der Griechen, p. 58.
"" Geoffrey of Monmouth, 1 1 50 circa, nella sua Vita Merlini. Ulteriori infor­
mazioni in Franz Baumer, Kiinig Artus und sein Zauberreich.
"'"" Da: Das jahr der Heiligen. Geschichte und Legende, a cura di Erna e Hans Mel­
cher, Monaco, 1965, p. 89.
"" Kerényi, Tiichter der Sonne, Zurigo, 1977, p. 81 e sg.

CAPITOLO \�Il

IL MONDO DEI MISTERI

01
Omero, Inno a Demetra, loc. cit., pp. 453, 455, 461 , 466.
'" Citazione da Bòttcher, p. 271 .
'" Kanta, p. 10.
Hl
Ibid., p. 2 } .
'" von Ranke-Graves, pp. 389, 445.
'"' Apuleio, p. 247.
'" Kanta, p. 15.
'" Citazione dajoseph Gregor, Weltgeschichte des Theaters, Monaco, 1944, p. I I I .
'01 Citazione da C.G.Jung, Symbole der Wandlung, p. 592 (da Dejong, Das antike
Mysterienwesen, 1909) .
( I O) Ibid., p. 755.
0 1 1 Citazione da Kirsten-Kraiker, Griechenlandkunde, Heidelberg, 1962, p. 197.
021
Plutarco, loc. cit.
"" Joseph L. Henderson in Der Mensch und seine Symbole, di C. G. Jung, Marie­
Luise von Franz, Joseph Henderson, Jolande jacobi und Aniela jaffé , Olten e Fri­
burgo i.Br. 1979, p. 132.
"" Citazione da Lerner, p. 68.
"" von Ranke-Graves, p. 192.
""' Starhawk, pp. 46, 58, 1 1 2.
0 71
Gòttner-Abendroth, pp. 106, 195.
" "' Ibid., p. 99.
"'" Citazione dajean Markale, Die keltische Frau, p. 278.
""' Citazione dajean Markale in: Lehner (edit. ) , Keltisches Bewusstsein, p. 1 1 7.
(2)) Ibid., p. 1 1 6.

'�" C.G.Jung, Symbole der Wandlung, p. 470.

306
NOTE

'"' Franz Kafka, Dalla galleria, e La finestra nel vicolo, da l racconti, Longanesi,
Milano, 1959. Cfr. anche F. Baumer, Franz Kafka. Sieben Prosastiicke, Monaco,
1963.
'2"
Omero, Inno a Poseidone, loc. cit., p. 5 1 9. A proposito del culto del cavallo,
Tacito nella Germania riferisce che una delle caratterisùche dei Germani è quella
di "badare agli auspici e agli avvertimenti daù dai cavalli. Nei boschi e nelle radu­
re precedentemente menzionaù vivono a spese della comunità dei cavalli bianchi
che non vengono profanaù servendo i mortali. Vengono attaccati solo al carro sa­
cro; il sacerdote o il re o il capo della tribù camminano loro accanto osservando il
loro nitrire e il loro stronfiare. A nessun segno viene prestata maggior fede, e
non solo dal popolo: anche dai nobili, dai sacerdoti; ritengono infatti se stessi so­
lo i servi degli dèi, mentre i cavalli confidenti". (Germania 9)
'"'' von Ranke-Graves, p. 460.
1261
Christa Wolf, PrerTUisse a Cassandra, Edizioni e/o, Roma, 1983, p. 144.
'"' Omero, Odissea, XII canto, 39-46 e 184-1 9 1 , Zanichelli, 1957.
'281
Nick, p. 1 45.
'"'' Heydecker, p. 24 1 .

CAPITOLO IX

LA DEA MINOICA DELLA TERRA E DEI SERPENTI

'" Omero, Odissea, XIX canto, 172-179.


'" C.G.Jung, Symbole der Wandlung, p. 763 e sg.
"' Gòttner-Abendroth, p. 45.
"' Neumann, pp. 135-137.
'" lbid., p. 1 02 e sg. In proposito Neumann osserva pure: "Nella nostra epoca
patriarcale si usa dire di 'possedere' una donna quando si hanno con lei rapporti
sessuali tramite cui l'uomo, standole sopra crede - per moùvi razionalmente del
tutto incomprensibili - di farla propria. L'espressione tradisce però l'anùca forma
di presa di possesso, in cui l' elemento maschile ottiene la terra, il possesso, dall'e­
lemento femminile venendone preso in grembo come figlio" (p. 104) .
'"' Omero, Inno ad Era, loc. cit., p. 515. Kirsten-Kraiker, in Griechenlandkunde,
p. 444, attira l'attenzione sui versi di Saffo ritrovaù solo all'inizio degli anni '60.
"' Erodoto, Storie I, 31-32.
'81 Christa Wolf, loc. cit. (Seconda lezione ) , p. 67.
'91
Erodoto, Storie l, 173.
"" Erodoto, Storie Il, 48-49.
"" Eugen Drewermann, Ingritt Neuhaus: Das Eigentliche ist unsichtbar. Der klei­
ne Prinz tiefenprychologisch gedeutet, Monaco, 1984, p. 86.
"" Gustav Schwab, Sagen des klassischen Altertums, Lipsia, 1 936, p. 63.
"" Antoine de Saint-Exupéry, Kriegsbriefe an einen Freund, in Gesammelte Schrif
ten in 3 Biinden, vol. III, Monaco, 1987, p. 1 76 e sg.
"" Saint-Exupéry, Flug nach Arras, Gesammelte Schriften, vol. l, p. 364.

C'.APITOLO X

LA VITTORIA SUL SERPENTE

''' Lemer, p. 195.


'21 Omero, Inno ad Apollo, loc. ci t. p. 482.
"' Ibid., p. 470.
"' Christa Wolf, loc. cit., p. 156 e sg.

307
NOTE

1'1 lbid., p. 1 57 (tutti citati da Wolf) .


'"' Agostino, Serm. Suppos. 1 20, 8. Citazione di C.G.Jung, Symbole der Wandlung,
pp. 464 e 750.
1'1 CJ. Jung, Symbole der Wandlung, p. 750.

''' Hildegunde Woller, Glaube an den dreieinigen Gott. Versuch einer Neuinterpreta­
tion, in Frauen. Anstòsse, 28, 198 1 , quaderno 3, p. 106.
191 Thork.ildjacobsen, Toward the Image of Tammuz and other .Essays on Mesopota­

mian History and Culture, Cambridge, 1970, p. 20 e sg. in Lerner, p. 197.


""' Uwe Wesel, Der Patriarch, der das Matriarchat entdeckte, da "Di e Zeit" ,
20. 1 1 . 1 987, p. 65.
'"' Bachofen, Mutterrecht, p. 1 72.
1121 Friedrich Engels, Der Ursprung der Familie, des Privateigentums und des Staates,

Berlino, 1974, p. 66.


"" Bachofen, loc. cit., p. 173 e sg.
(l<) lbid.
"" Queste e ogni altra citazione dalla prefazione e introduzione a Die Sage von
Tanaquil (La leggenda di Tanaquilla) , da Bachofen, Mutterrecht, p. 258 e sg.
1 1 61
Ibid., nota p. 353.
"" Bachofen, Mutterecht, p. 246. Ibid. le successive brevi citazioni.
""' Sigrnund Freud, Der Mann Moses, p. 1 48 e sg.
1 1 91
Riportato da Heinrich Heine, Werke, Berlino, Lipsia, Vienna, Stoccarda,
etc., s. a. (Decima parte: Elementargeister, p. 65 e sg. ) .

CAPITOLO Xl

LE AMAZZONI, CREATURE DI UN'EPOCA DI TRANSIZIONE

'" Lerner (a proposito delle ricerche di A. Kleinbaum ) , p. 304.


121
Bachofen, p. 184.
''' Sir Galahad, p. 304.
'" Le Eumenidi, versi 685-691 .
" ' Bachofen, p. 1 85.
''" lbid., p. 2 1 0.
(7) lbid., pp. 156, 2 1 3.
'"' Christa Wolf, Berliner Begnegung, in Die Dimension des Autors, Darmstad e
Neuwied, 1987, p. 44 1 .
191 Heydecker, p . 25.

""' Sir Walter Raleigh, citazione in Rohl, p. 1 50 e sg.


'"' Citazione in Gerber, p. 1 3 1 e sg.
"" "Siiddeutsche Zeitung-Magazin" n. 37 dell' l l -9-1992, p. 24.
"" Citazione in Gerber, p. 45 e sg.
''" Citazione in Mollenkott, p. 15 e sg.
' "' lbid., p. 14 e sg.
" 6' C.G.Jung, Symbole der Wandlung, p. 510.
1 1 71
Wolfram von Eschenbach, Parzival. Tradotto da W. Spiewok, Stoccarda,
1 98 1 , vol. l , pp. 146 e 178. Esauriente descrizione delle liriche del Gral e di Parsi­
fai connesse alla tematica di questo libro: F. Baumer, Kiinig Artus und sein Zauber­
reich. Ultima parte Die Suche nach dem Gral, pp. 197-267.
""' Tutte le citazioni di Elsa Sorge in Gerber, p. 125 e sg.
1 191
Dalla seconda alla sesta strofa della versione in quindici strofe della poesia
Diotima ( 1 796) . La precedente citazione da Iperione è tratta da F. Holderlin, Le liri­
che, a cura di Enzo Mandruzzato, Adelphi, Milano, 1977.

308
NOTE

1w1
Neumann, p. 252 e sg.
1211
Da: Thule, Altnurdische Dichtung und Prosa, vol. II,Jena, 1812-1828, p. 48 e sg.
1221 Secondo H. Zimmer, Die indische Weltmutter, citazione in Neumann, p. 1 5 1 .
12" Citazione in Heydecker, p. 287.

CAPITOLO XII

DALLA DETRONIZZAZIONE DELLA DEA MADRE


ALLA CREDENZA NELLE STREGHE

111 Citazione in Lenzen, p. 79.


"' Peter Bamm, p. 1 4.
'" Lemer, p. 225.
'" Agostino, Lettera 243, IO. Citazione di Smith, p. 56.
'" Citazione in Ranke-Heinemann, p. 192.
161
Dagli Scritti privati e catechetici di Tertulliano, citazione in Smith, pp. 1 76 e sg.
e 61 e sg.
171 Phyllis Bird, lmages of Women in the Old Testament, New York, 1974, citazione

in Lemer, p. 23 1 .
1"1 Lerner, p . 231 e sg.
191
lbid., p. 230.
1'01 Sigrnund Freud, Der Mann Moses, p. 65.
(Il)
lbid., p. 64.
m> Citazione in Heydecker, p. 1 34 e sg. (Secondo A. Bohlig/L. Pahor, Koptisch­

Gnostische Apokalypse, dal Codice V di Nag Hammadi, Halle, 1963 ) .


1 131 Citazione di Eugen Rosenstock-Huessy, Die Europiiischen Revolutionen, Stoc-

carda, 195 1 .
1 1 " Citazione di Neuman, p. 224.

1"' Secondo Eckart Peterih, Giitter und Helden der Griechen, p. 38.
1161 Tacito, Germania, pp. 8 e 15.
11 71 Citazione di Smith, p. 56.
1 '"' Traduzione di Peter Treichler (per il telefilm di F. Baumer, Gedanken meines

Henens. . . Walter von der Vogelweide, Bayrischer Rundfunk, 1982 ) .


1 ' "1 Wilhelm Peyraut, citazione di Fritz Peter Knapp, Chevalier errant und fin 'a-

mur, Scritti dell'università di Passau, 1985, p. 38.


I W>
Citazione di Baschwitz, p. 55.
<m Tommaso d'Aquino, Summa teologica IV, Parte I, Quaest. XCII, art. I.

122' Baschwitz, p. 57.


12" Jean Markale, Die keltische Frau, p. 243.
12" Le citazioni di Brugman, van Ruusbroec e Berthelemy secondo Johan Hui­

zinga, p. 35 1 e sg.

r.APITOLO Xlll

LA DEA MADRE NELLA RELIGIONE DEL PADRE

1 1 1 Ranke-Graves, p. 445.

"' Citazione di Bottcher, p. 358.


1" Citazione di lngeborg Walter, Piero della Francesca. Madonna del Parto, Fran­

coforte/Meno, 1992, p. 13 con riferimenti a Chagall e Tarkowskij.


1"
Citazione in Mulack, p. 135.
151 Markale, Die keltische Frau, p. 1 56.

309
NOTE

''' Neumann, p. 222. Il primo dipinto citato appartiene alla chiesa di Sorpe in
Spagna e si trova ora al Museo de arte Cataluiia, di Barcellona, il secondo negli
Staatliche Museen di Berlino.
m John Metthew, The grail. Quest Jor the eterna� Londra, 198 1 , p. 15. Una de­
scrizione esauriente dell'argomento viene fatta da Baumer, Konig Anus und sein
Zauherreich, p. 279 e sg.
''' Giulio Cesare, La guerra gallica, VI, 17.
"' Heydecker, p. 2 1 5 .
'101
Markale, Die Druiden, p. 1 1 5.
'1"
Neumann, p. 305.

CAPITOLO XIV

UN RITORNO ALLA GRANDE MADRE

'1' Drewermann, Die Botschaft der Frauen, p. 8 1 .


'" lbid., p . 83.
''' Giovanni Segantini, Schriften und Briefe, edito da Bianca Zehnder-Segantini,
Zurigo, 1935, p. 127.
'" Solle, pp. 56 e 59.
'" Christ, p. 285 e sg.

''' Daly, p. 8.
'" Hans van der Loo, Willem van Reijen, Modernisierung, Monaco, 1992, p. 255.
''' Starhawk, p. 31 e sg.
'" Christa Wolf, Premesse a Cassandra, loc. cit., p. 125 e sg.
'101
Relazione culturale del Bayrischer Rundfunk sull'incontro internazionale
Mythos - gestern und heute, tenuto a Creta dal 28-4 al 4-5-1984, di Hedi Landwehr,
dattiloscritto, p. 4 e sg.
"" Lerner, p. 58.

CITAZIONI BIBLICHE

L'autore cita la Bibbia di Lutero, Stuttgart Privileg, Wiirtt. Bibelanstalt, s. a.;


onde facilitare la consultazione ai lettori si è preferito citare la Bibbia di Gerusa­
lemme, Edizioni Dehoniane, Bologna, 199 1 .

CITAZIONI CORANICHE

L'autore si rifà all'edizione integrale del Corano tradotta in tedesco e curata


da Hazrat Mirza Tahir Ahmad, Monaco, 1992; date le discordanze trovate e per
facilitare la consultazione abbiamo preferito rifarci alla traduzione di Alessandro
Bausani, edita da Sansoni, Firenze, 1955.

310
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314
Indice analitico

DEI NOMI PROPRI DI PERSONA E DI DÈI

Abramo: 19, 21, 35 108 Ana, dea celtica: 69, 260


Achille: 204 sg. Anath, cfr. Astarte
Ade: 49, 74, 127, 149 sg., 135, 1 61 Anassagora: 156
Adriano I, imperatore romano: 1 1 6, 1 4 1 , Anchise: 122
1 86, 198 Andres, Stefan: 156
Adeodato: 231 , Anima: 34
Adone: 120 Anna, St.: 69, 260
Afaia: 158 sg. Anna, duchessa di Bretagna: 69
Afrodisia: 129 Anselmo di Canterbury: 209
Afrodite: 1 1 , 36 e sg., 42, 49, 50, 55, 59 e sg., Annunzio, Gabriele d': 123
102, 105, l l O e sg., 1 1 1 e sg., l l 3, 1 15 e Apollodoro di Atene: 201
sg., 125, 1 3 1 , 148, 153 e sg., 163, 186, Apollo: 15, 17, 20 e sg., 30, 37 e sg., 39 e sg.,
1 96, 198, 201 , 235, 244, 272, 283 5 1 , 53 e sg., 56, 78, 1 2 1 , 124, 1 70, 1 74,
Agamennone: 16, 37, 165, 182 e sg., 192, 198, 200, 203, 204
Agata: 129, 130 Apries: 29
Agenore: 168 Apsu: 190
Agri ppa von Nettesheim: 1 5 1 Apuleio, Lucio: 25 e sg., 29, 34, 99, 1 2 1 , 138,
Aita: 74 260
Alain de la Roche: 247 Aracne: 87
Alarico: 1 4 1 , 255 Ares: 1 1 8, 120, 202, 203 e sg.
Alcione: 57 Aretusa: 123
Annibale: 184 Arianna: 167, 169, 1 76, 179, 181
Assalonne, III figlio di Davide: 52 Arianrhod: 167
Attaone: 30 Aristotele: 16, 139, 175, 230, 244
Alcibiade: 136 Artaserse I, re: 203
Alcmena: 123 Artemide: 5 1 , 52
Albruna: 240 Artù, re: 12, 56, 103, 128, 142, 149, 2 1 5 e sg.
Alfeo: 123 Aruru: 1 14
Allah: 251 e sg. Ascherat, cfr. Astarte
Amasi: 29 Aschtur: 191
Amaterasu: 178 Astarte: 20, 49, 68, 88, 105 e sg, 1 1 0, 1 1 1 ,
Amazzoni: 201 e sg., 2 1 1 , 218, 220 e sg., 223, 1 1 8, 149, 167, 24 1 , 258
224 Asterio, Vescovo di Amasea: 140
Amenofi III, Faraone: 33 Asthoret cfr. Astarte
Amenofi IV, cfr. Ecnaton Ateneo: 196
Anfitrite: 1 5 1 Atena, cfr. Pallade Atena
Amforta: 216 Atlante: 84
Amore: 154 Aton: 235

315
INDICE ANALITICO

Atteone: 30 Cirillo, patriarca d'Alessandria: 255


Attico, Tito Pomponio: 1 4 1 Ciro Il, re: 1 74
Attis: I BB Claudiano: 120
Atum: 164 Clebio: 173
Agostino, Aurelio: 27, 187 sg., 231 sg., 255, Clemente d'Alessandria: 138, 209
260, 261 Cleopatra: 32, 33, 199
Augusto, imperatore romano: 33 Cleve,Joos van: 268
Auxesia: 63 Clitennestra: 16 sg., 22, 37
Cocalo: 1 8 1 sg.
Cohen, ShearJeshur: 2 1 0
Bacco, cfr. Dioniso Commodo, imperatore romano: 203
Baal: 20, 47, 106, 109, 167 Core cfr. Persefone
Bachofen, Johann Jakob: 38, 64, 85, 130, Cresila: 202
175, 191 sg., 198 sg., 201 sg., 204 sg., Creusa: 122
208 Creso: 1 1 73 sg., 185 sg.
Bamm, Peter: 229 Crono: 22, 986, l l8, 133, 1 61 sg.
Baschwitz, Kurt: 244 Cyrano de Bergerac: 179
Beatrice: 34, 164
Beketate: 33
Bellerofonte: 35, 130, 193, 221 Dedalo: 165, 167, 1 76 sg., 1 78 sg.
Benjamin, Walter: 192 Dagda: l 47sg., 268
Berta: 57, 101, 242 sg. Daly, Mary: 277
Berthelemy,Jean: 247 g: 63
Borea: 48, 52, 198 Dana: 73, 146 sg., 268
Bòttcher, Helmuth: 37, 57, 1 1 8, 242 Dante Alighieri: 34, 164
Botticelli, Sandra: 1 2 1 e sg., 154, 272 Davide, re: 52, 24 7
Bran: 147 sg. Demetra: 30 sg., 49, 73 sg., BO, 85, 95, 98,
Brenna: IBB 120, 124, l26sg., 128, 129 sg., 138 sg.,
Brentano, Clemens: 154, 256 140 sg., 147, 148 sg., 158, 1 6 1 , 166, 177,
Brigida: 268 sg. 180, 183, 220, 224, 247, 256, 266, 268,
Brigitta, Santa: 269 270
Brugmann, Johannes: 247 Demodoco: 1 2 1
Buchberger, Michael: 260 Dialas: 250
Diana cfr. Artemide
Diodoro Siculo: 53 sg., 57, 78, 224
Calipso: 87 sg., 130 Diane: l l8 sg., 163
Gallia: 203 Dioscuri (Castore e Polluce) : 38
Calliope: 182 Dis Pater: l 4 7, 268
Calvino, Johannes: 233, 248 Dittianna: 161
Camos: 107 Drewermann, Eugen: 1 78, 180, 273
Cariti (Aglaia, Eufrosine, Talia) : 1 2 1 , 153 sg. Dumuzi: 18, 20, 49, 106, l l 3
Carlo Magno, imperatore: 244 Durga: 44, 22 1 , 223
Caronte: 73
CaJVajal, Gaspar de: 206 sg., 208
Cassandra: 37 Ea: 190, 223
Celio, Aureliano: 246 Ecateo di Mileto: 53 sg., 57
Cerere, cfr. Demetra Ecate: 98 sg., 127. 134, 136, !50
Ceridwen: 103, 14B sg, 1 64, 238 Echidna: 221
Cesare, Caio Giulio: 33, 122, 199 sg, 269 Ecnaton, faraone: 33, 235
Chagal, Mare: 263 Efesto: 120
Chauvin, René: 5 1 Elaine: 153
Chacsah cfr. Eva Elena: 17, 38, 122, 165
Chimera: 22 1 , 222 Eleonora d ' Aquitania: 220
Christ, C.: 298, 276 Elia, profeta: 179
Cibele: 55, 59, 73, 183, 188, 238, 252, 256, Elio: 134
258 Elisabetta I , regina d'Inghilterra: 206
Cicerone, Marco Tullio: 56, 128, 1 4 1 sg. Emmerick, Anna Katharina: 256
Cidone: 203 Enea: 122 sg., 199
Cinira: 1 2 1 Engels, Friedrich: 193, 208
Circe: 154 sg, 245 Enki: 233

316
INDICE ANALITICO

Enkidu: 67, 1 1 4 sg., 155, 193 Gide, André: 123


Eos: 48, 134 Gilgamesch: 67, 1 1 4
Epona: 1 5 1 Ginevra (Guinevere) : 56, 241
Era: 38, 85, 106, 1 2 7 , 1 5 1 , 1 6 1 , 1 7 1 , 1 7 3 sg., Gioacchino, San: 260
221 Giosuè: 61
Eretteo: l 79 Giovanni Crisostomo: 209
Erin: 146 sg., 188, 2 1 5, 269 Giovanni Evangelista: 213, 257
Erice: 1 1 1 , 123 Giraldus Cambrensis (Gerald of Wales ) : 151
Ermes: 121 Goethe,Johann Wolfgang von: 34, 152, 156,
Erodoto: 29, sg., 35 sg., 39, 5 1 , 52 sg., 55, 63, 158, 215, 278
1 13, 1 1 6 sg., 1 3 1 , 163, 1 73 sg., 177, 185, GOttner-Abendroth, Heide: 3 1 , 73, 146, 1 6 1 ,
103, 245 1 7 1 , 281
Erone di Alessandria: 139 Gontard, Susanne: 2 1 8
Erzeloide: 2 1 6 Gorgo: I I I sg.
Eschilo: 15 sg., 20, 2 1 , 2 8 , 3 3 , 39, 4 1 , 87, Gottfried von Strassburg: 49
1 1 8, 136, 1 5 1 , 153, 154, 1 6 1 , 1 9 1 , 203, Gozzoli, Benozzo: 262
204, 228, 239 Gregorio I Magno, papa: 100
Esculapio: 67, 78, 179 Grimm,Jacob: 101
Esiodo: 13, 18 sg., 2 1 , 28, 1 18, 1 2 1 , 127, 154, Grimm, Wilhelm: 101
163, 22 1 , 228 Guendalina: 56
Esra: 1 8 Gwyon Bach: 148
Ettore: 205
Europa: 168
Euridice: 187
Eurinome: 36, 153, 198 Hammurrabi: 190
Eva: 128, 1 9 1 , 228, 230 sg., 236, 237, 245, Hathor o Ator: 13, 29, 32 sg., 34, 47, 5 1 , 73,
258 93, 146, 1 76, 259
Evans, sir Arthur: 1 63, 165 Hawkins, Gerald: 55 sg., 56
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich: 2 1 8
Heine, Heinrich: 1 5 4 , 197, 266
Faust: !57 sg., 220 Heinsohn, Gunnar: 245
Fede, Speranza, Carità: 157, 270 sg. Hesse, Herrnann: 9, 192, 218, 276
Federico I, Barbarossa, imperatore: 156 Heidecker,JoeJ.: 42, 185, 206, 224, 236
Fedra: 181 Hodler, Ferdinand: 274 sg.
Fidia: 203 Hòlderlin, Friedrich: 1 6 1 , 214, 2 1 8, 220
Filippo il buono, duca di Borgogna: 248 Hopkins, Matthew: 248
Fjòrgyn cfr. Jòrd
Fontus: 101
Fortuna: 164, 238
Fradmone: 203 !ante: 27
Freud, Sigmund: 192, 197, 235, 280 Idomeneo: 165
Freya: 72, 101 , 146, 155, 222, 242 Icaro: 176, 178, 221
Frisch, Karl von: 5 1 Ildegarda di Bingen: 231
Ilizia: 86 sg., 130, 1 4 1 , !55
!nanna: 18, 20, 4 1 , 49, 73, 106 sg., 1 1 3, 183,
Galahad: 153 259
Ganieda: 56 Ippoli ta: 204
Gea: 15, 16 sg., 22, 53, 84, 1 1 1 , 1 18, 126 sg., Innocenza VIII, papa: 248
161 , 1 79, 1 8 1 , 191 Insistoris, Heinrich : 247 sg.
Geb: 164 Iolao: 95
Geoffrey of Monmouth: 56, 148 Ifigenia: 1 7
Gesù Cristo: 49, 59, 80, 1 43, 1 50, 1 87 sg., I fi : 28
208 sg., 213, 215, 234, 236 sg., 24 7, 24 1 , lreneo, vescovo di Lione e Vienne: 209
28 1 , 256, 261 sg., 266, 267 sg., 272, 273 !sacco, figlio di Abramo: 20, l 08
Giacobbe, figlio di !sacco: 6 1 , 96 Isanami: l 78
Giacomo l, re d'Inghilterra: 207, 248 Ishtar: 20, 35, 1 05, 109, 1 1 1 sg., 1 1 8, 1 23,
Giano: 2 1 2 183, 21 1 ' 259
Giuliana d i Liegi: 73 Iside: 13, 19, 25 sg., 29 sg., 34 sg., 38, 4 1 , 42,
Giulio, duca di Wolfenbtittel: 248 47, 49 sg., 5 1 , 59, 68, 73, 78, 98, 1 06,
Giunone: 88 1 1 3, 1 46 sg., 1 64, 177, 247, 258 sg., 270

317
INDICE ANALITICO

Jacobsen, Thorkild: 190 Masaccio: 268


Jahwe: 1 9b sg., 1 06, 107 sg., 146, 189, 228 Matronae: 153
sg., 234 sg., 251 Maupassant, Guy de: 125
Jerubaal: l 06 Medea: 245
Jòrd: 72, 85, 1 1 46, 155, 2 1 2 Medici, Lorenzo de, il Magnifico: 122
Johnson, Bullie: 109 Melito: 100
Jung, C.G.: 78, 79, 1 4 1 , 1 5 1 , 169 Melkart: l 06
Melusine: 30 sg, l O l
Mendelssohn, Peter de: 76
Kalka, Franz: 1 5 1 Mefistofele: 157 sg.
Kalì: 2 1 2, 223 sg. Merisana: l 00
Kanta, Katherine G.: l 37 Merlino: 56, 148
Kekulè von Stadonitz, Augusto: 56 Metarme: 120
Kerényi, Karl: 1 1 2, 1 1 8, 154, 1 6 1 , 22 1 , 281 Meti: 21
Klages, Ludwig: 192 Metone: 55
Kleist, Heinrich von: 205, 280 Micone: 203
Klimt, Gustav: 274 sg. Milkom: 106
Kundry: 149, 2 1 6 Milton,John: 123
Minerva, cfr. Atena
Minasse, re: 1 63 sg., 1 67 sg., 175, 1 80 sg.,
Lancillotto: 153, 2 1 5 181
Latona: 3 7 sg., 5 1 sg., 5 5 , 69, 86, 1 2 4 , 182 Minotauro: 165, 167, 175
sg., 192, 242 Mnemosine: 164
Latzke H.E.: 77 Modron (Morigain): 147
Leda: 38 Mòrike, Eduard: 2 1 8
Lefranc, Martin: 248 Moire (Cloto, Lachesi, Atropo) : 2 1 , 1 3 0 sg.,
Leonardo da Vinci: 268 155, 182, 238 sg.
Lerner, Gerda: 33, 1 82, 190, 229, 233 sg., Mollenkott , Virginia R.: 209 sg.
282 Moloch: 107 sg.
Leto cfr. La tona Monica, Santa: 231
Levi, Carlo: 96 Moore, Henry: 46
Lilith: 50 Morgan, Lewis H.: 208
Livio, Tito: 1 19, 224 Morgana: 56b, 103, 128, 1 48, 164
Longino, soldato: 146 Mosè: 20, 60 sg., 148, 164, 189, 235 Mot: 20,
Lucrezia: 195 1 06, 1 49
Lodovico l, re di Baviera: 160 Mozart, Wolfgang Amadeus: 139
Lug: 147, 188, 2 1 5
Lucrezio: 1 1 6
Lutero, Martin: 248 Nefertiti: 33, 235
Neft: 164
Neith, (Nut): 28, 32 sg., 4 1 , 1 64
Madrisa: 99 sg., 250 Neithotep: 28
Malofora, vedi Demetra Nerone, imperatore romano: 32, 186
Mani: 137 Nerthus: 72
Mann, Thomas: 1 92, 220, 281 Nestorio, patriarca di Costantinopoli: 255
Manoutchehri, Soraya: 253 Neumann, Erich. 1 3, 42, 44, 60, 66, 85, 1 7 1
Maometto: 227, 251 sg. sg., 22 1 , 270
Marco Aurelio, imperatore: 141 Nietzsche, Friedrich: 196, 275
Marcsuith: 72 Ninhursag: 233
Marco Antonio: 33, 199 Ninti: 233
Marduk: 19, 190 sg., 159 Njòrd: 73
Margriata, Santa: 99 Norne (U rd, Werdandi, Skuld) : 85, 1 0 1 ,
Mari: 257 1 3 1 , 1 55, 239
Maria: 57, 59, 100, 198, 234, 255 sg., 260 sg., Novalis, barone di Hardenberg: 39
270 Nove Muse: 164, 182
Maria Maddalena: 234
Markale,Jean: 18, 52, 148, 247, 264, 269
Marsia: 188 ()dino: 164, 188, 212, 222, 242
Martino I, papa: 260 C>ddone di Cluny: 242
Marx, Karl: 237 C>disseo: 84 1 2 1 154 sg., 245

318
INDICE ANALITICO

Oceano: 84, 133 1 66, 1 70 sg., 1 7 1 , 1 73, 1 77 1 , 1 79 sg.,


Ocno: 130 1 8 1 , 183
Onchio: 150 Rodopi: 245
Oppenheimer, Max barone di: 43 Rilke, Maria Reiner: 192
Oreitia: 204 Roberto, vescovo di Liegi: 73
Orellana, Francisco de: 206 sg. Robert de Boron: !50, 2 1 5
Oreste: 1 7, 21 sg., 182 Romolo: 1 2 4
Origene: 209 Rubens, Peter Paul: 124
Orozco,José Clemente: 237 Ruusbroek,Jan van: 247
Orfeo: 1 1 1 , 182, 187
Ortigia: 123
Osiride: 19, 29 sg., 30, 38, 49, 99, 106, 147,
1 49, 164, 177, 259 Saffo: 1 1 7, 1 73
Ottaviano cfr. Augusto Sahebjam, Feridoune: 253
Ovidio: 28, 196 Saint-Exupéry, Antoine de: 72, 179
Sain t Guirec: 63 sg.
Salige: 250
Padmasambhava: 239 Salomone: 99, 107, 210, 225
Pallade Atena: 13, 21 sg., 29 sg .• 30, 39, 86 Samuele: 245
sg., 93, 109, I I I , 1 58 sg., 182, 188, 190, Sara: 20
203, 204, 22 1 , 230, 269 Sat-Ammun: 33
Paracelso (Teofrastus B o m bastus von Saul: 244 sg.
Hohenheim) : 248 Schakti ( Parvati): 44, 212
Parche cfr. Moire Schelling, Fiederich Wilhelm Joseph von:
Parsifal: 216
218
Pau!, Lois: 1 44
Schu: 164
Paolo, apostolo: 1 89, 230, 234, 246, 253
Scott, Reginald: 248
Pausania: 78, 123, 1 3 1 , 136, 149, 186
Sebastiano, San: 262
Pentesilea: 205 sg.
Segantini, Giovanni: 274 sg.
Persefone (Core): 49, 74, 98, 120, 127, 128,
Selene: 98, 153
133 sg., 149, 154, 187, 270
Selini: 126
Peterich, Eckart: 109
Senofane: 28
Phersiphnei: 74
Serafini: 176
Picasso, Pablo: 1 68
Servio Tullio: 195
Pierce, Franklin: 207
Sesto, figlio di Tarquinia il superbo: 195
Piero della Francesca: 263
Set, divinità egiziana: 31, 1 64
Pindaro: 1 1 7, 1 5 1 , 203, 221
Sethor: 32
Pisano, Giovanni: 272
Sigfrido: 176
Pisistrato: 134
Sibilla cumana: 273
Pio IX, papa: 260
Sirene (Partenope, Leucosia, Ligeia): 154
Pizia: 170, 183, 185, 187, 1 9 1
sg.
Platone: 27, 28, 37, 1 1 7, 218
Sir Galahad (Berta Eckstein-Diener): 203
Plinio il v.: 48, 1 1 7, 144, 203
Shakespeare, William: 161
Plutarco: 39, 126, 128, 1 39, 160, 177, 186
Policleto: 203 Shaw, George Bemard: 120
Poseidone: 1 2 1 , 150, 1 5 1 , 1 6 1 , 167 Smima (Mirra ) : 120
Prassitele: 1 2 1 SOlle, Dorothee: 276
Prithivi: 73 Socrate: 28, 37, 218
Proserpina cfr. Persefone Solone: 173
Sofia, Santa: 270 sg., 273, 280b
Sorge, Elsa: 2 1 8
Quinziano, governatore: 129 Spee, Friedrich von: 249
Sprenger,Jakob: 248
Srinno: 238
Rinaldo di Dassel: !56 Steiger, Otto: 245
Raleigh, sir Walter: 206 Strabone: 78, 1 1 4, 193
Ranke-Graves, Robert von: 137 sg., 144, 1 5 1 Stuck, Franz von: 275
Reden, Sibylle von: 62, 65, 71, 88, 102 Silla: 186
Repanse de Schoye: 217 Sivananda, Swami: 224
Rea: 25, 61, 83, 127 sg., 134, 1 6 1 sg., 164 sg., Sinesio di Cirene: 209

319
INDICE ANALITICO

Tacito: 72, 239 sg. Tiche: 1 64, 238


Taliesin: 149 sg. Tindareo: 38
Tammuz cfr. Marduk
Tanaquilla: 195 sg. 198
Tanit: 105, 107, l l l Unger, Hans: 275
Tarkowskij Andrej : 264 Urano: 15, 18, 22, l l8, 163
Tarquinia Prisco: 195 Urbano IV, papa: 73
Tarquinia il Superbo: 195 Vanth: 73 sg.
Tefnu: 164 Veleda: 240
Teja: 33 Venere: 43, 47, 56, 79, l l O sg., l l l sg., 1 2 1
Tello: 173 sg., 1 2 5 , 1 5 3 , 1 69, 1 9 8 , 24 1 , 272, 275,
Tertulliano: 232
283
Temi: 15, 53, 1 19, 1 6 1 , 1 9 1
Virgilio: 9, 27, 123 sg., 1 5 1 , 199
Teodosio Il, imperatore bizantino: 1 4 1 , 186,
Vittoria, SanLa: 97
255
Vivéna: 250
Teocrito: 98
Viviana: 56
Teofilo, diacono: 264
Varagine, Jacopo da: 129
Tersite: 205
Teseo: 83, 167 sg., 176, 204 sg.
Teti: 84, 1 1 8, 151
Thimme, jurgen: 97 Wagner, Richard: 1 49, 216 sg.
Tommaso d'Aquino: 244, 259
Walther von der Vogelweide: 242
Thor: 7 1 , 146
Weisweiler, Hermann: 257
Thorwaldsen, Berte!: 159
Weyer,Johann: 249
Tucidide: 36, 163
Wilhelm von Peyraut (Guglielmo Peraldo):
Tiamat: 190
243
Timeo:
Willeweis: 250
Timoteo: 230
Woller, Hildegunde 188
Tito, imperatore romano: 1 1 6, 198
Wolf, Christa: 152, 174 sg., 184 sg., 205, 279
Tazio, Tito: 124
Wolfram von Eschenbach: 149, 216, 217
Tiziano: 250
Wolfskehl, Karl: 192
Tolomeo Xlii: 32
Tre Epone: 1 5 1
Tre Grazie: 153
Trevrizent: 2 1 6 Xochiquetzal: 187
Trittolemo: 1 4 0 sg., 1 66
Tristano: 2 1 6
Trogo, Pompeio: l l 9 sg. Zeus: 15, 21 sg., 28, 38 sg., 1 19, 120, 123,
Trudell,John: 207b 127, 133 sg., 138, 145 sg., 151 sg., 155,
Tuatha da Danam: 146, 269 1 6 1 , 164, 1 68, 173, 1 79, 182 sg., 1 85,
Tullia: 195 203, 228, 239
Twrch Trwyth: 142 Zimmer (mastro falegname ) : 220

INDICE DEGU ARGOMENTI E DEI NOMI GEOGRAFICI

Aquisgrana: 153, 257 Altro Mondo: 49, 82, 103, 147 sg.
Aeroplano: 1 80 Antico Testamento: 19 sg., 96, 1 0 5 , 1 07,
Abydo: 32 210, 233 sg., 237, 244, 273
Accad: 1 9 Amari: 257
Achei: 52, 165 Amazzoni: 200 - 227
Aerai: 126 America: 54, 109, 167, 176, 206 sg.
Africa: 1 6 1 Amiens: 83
Afrodite delle Cicladi: 45 Amman: 107
Agrigento: l 06, 180 Ammoniti: 104
Albero della conoscenza: 186, 228, 236, 258 "Amore e Psiche": 34, 121
Albero della vita: 274 "Amore senza fine": 220
Allées couvertes: 61 sg., 63 Anatolia: 76, 87, 90, 150
Altamira: 83, 168 Androginismo: cfr. bisessualità

320
INDICE ANALITICO

Anghelu Ruju: 92 Brodu: 92


Anima: 34, 229 "Bucoliche": 123
Animali: 13, 35, 42, 46 sg., 49 sg., 72, 77 sg., Buddismo: 44, 238
83, 87 sg., 90, 92, 96, 1 08, 1 10 Budweis: 266
cfr. anche: agnello, aquila, ariete, ca­ Bulgaria: 82
pra, cinghiale, colomba, coniglio, falco, Buto: 39
ibis, maiale, pesce, serpente, vacca,
Agnello: 210, 242, 247
Albero della vita: 52, 127, 148, 186 sg., 2 1 3, Cacciata degli spiriti: 248
237, 274 Cagliari: 3 1 , l 08
Amore cortese: 224 Calcutta: 223
Amore: 1 1 , 20, 27 Calice dell'Ultima Cena: 215
cfr. suo doppio volto: 154, 220 Cambiamento di religione: 1 6, 28, 53, 88,
Apocalisse: 189, 210, 228 1 1 8, 128, 182, 189, 191, 209, 2 1 6, 22 1 ,
"Apocalisse di Adamo": 234 227, 234, 251 , 268, 275
Aquileia: 168 Cambiamento di sembianti: 149
Api: 12, 5 1 , 88, 144, 1 78, 206, 208, 2 1 8 Cambogia: 2 1 2
Archetipo d e l femminile: 206, 282 Carnico: 180
Argolide: 165, 1 72, 175 Canaan: 19, 35, 105 sg., 229
Argo: 63, 1 73 Canada: 207
Ariete: 1 77 "Cantico dei Cantici": 99, 2 1 1
Arras: 178, 245, 248 Canto del cigno: 3 7 sg.
"Ars amatoria": 27 "Canzun di Santa Margriata": 99
Arte rupestre: 4 7 Capro: 1 77
Artemision: 189, 202 Cari ti: 153 sg.
Ascia: 1 3, 46, 52, 66, 68, 73, 1 47, 1 65 sg., Carnac: 62 7 1 , 74
167, 234, Cartagine: 105 sg., 231
Asia Minore: 36, 58, 1 18, 165, 1 75, 185, 201 Case delle fate: 89, 92
sg., 254 Castelli a spirale: 82
Aspetto letale: 72, l 03, 173, 1 8 1 Castrazione: 183 sg.
Assiri: 188 Catacombe romane: 187
Atene: 12, 16, 2 1 sg., 29, 37, sg., 60, 76, 134, Catai Hiiyiik: 88, 220
136 sg., 140 sg., 166, 1 73, 179, 182, 188, Catania: 129 sg.
194, 196, 20 1 , 203 sg., 227, 314 Cavallo: 150 sg., 246,
Atlantide: 164 Caverna: 49, 55, 96, 161
Caverna di Ditte: 1 6 1 sg., 164
Attica: 20 sg., 150, 1 78 sg.
Celti: 128 sg., 145, 147, sg., 1 5 1 , 153, 1 67,
Avalon: 128, 148, 1 6 1 , 164
176, 186, 188, 224, 268
Azio: 199
Cesarismo: 198, 236
Aztechi: 109
Char Dalam: 75, 87
Chartres: 100
Childare: 268
Baalbek: 106 Chimera: 221 sg.
Babilonia: 35, 1 1 2, 1 1 4, 1 5 1 , 1 76, 190, 194, Cicladi: 45, 90, 163
202 Ciclo della natura: 32, 88, 103, 106 sg., 109,
"Baccanti": 60 1 1 3, 130, 135, 274, 282
Balcani: 45 Ciclo metonico: 1 64
Barbagia: 102 sg. Ciclo vegetativo: 32, 74, 82, 104, 106 sg., 109
Battesimo: 97, 209, 241 Cigno: 37 sg.
Betili: 93, 95 sg. Cina: 1 76
"Benedizione frigia": 150 Cinghiale: 142
Beth-EI: 61, 96 Cipro: 59, 1 1 4, 1 2 1 , 161
"Bianca dea": 152 Circoncisione: 20
Bibbia: 19 , 35, 52, 60, 1 06, 1 88 sg., 1 90, Citera: 1 1 8
1209, 212, 228 sg., 231, 235, 244, 27 Cluny: 242
Bogenberg: 262, 266 Cnosso: 1 63 sg., 165-169, 1 7 1 sg., 1 74
Bretagna: 58 sg., 61 sg., 64 sg., 67 sg., 70 sg., Coira: 1 0 1
74, 82, 92, 142 Colomba: 36 sg., 105, 198 sg., 268
Britannia: 161 Colonia: 156
Britan nici: 52 Commercio dell'ossidiana: 89 sg., 105 sg.

321
INDICE ANALITICO

Commercio dello stagno: 53 Benediktbeuren: 241


Comunismo: 237 sg. Dodona: 1 1 9, 152, 174, 185
Concilio di Calcedonia: 260 Dolmen: 62 sg., 65 sg., 70, 74
Concilio di Efeso: 255 Doni votivi (ex-voto) : 78, 97
Conchiglie: 74, 122 Donna nell' ebraismo: 2 1 0 sg.
Coniglio di Pasqua: 36 "Donne sagge": 24 1 , 245 sg., 248
"Conosci te stesso " ( Gnothi seauton ) : 184, Doppia ascia: cfr. labrys
283 "Dormienti" di Malta: 77 sg., 79
Corano: 251 sg. Druidi: 224
Corinto: 1 1 6 sg. Duplice sessualità: 79
Cornovaglia: 53, 142
Corpus Domini: 73
Corsica: 90 "Edda": 164, 212
Costantinopoli: 270 Efeso: 169, 255, 256
Còte de Granit Rose: 63 Egina: 63, 158 sg.
Còte du nord: 62, 64 Egitto: 29-36, 39 sg., 44 sg., 50 sg., 6 1 , 76, 78,
Credenza nelle streghe: 143 sg. 108, 130, 1 47, 163, 176 sg., 177, 182 sg.,
Creta: 45, 49, 6 1 , 90, 94, 1 6 1 , 180, 257, 281 220, 235, 281
sg. Eleusi: 126, 1 34-142, 146, 178, 185
Croce: 187 sg., 236 sg. Engadina: 274 sg.
Croez-Moken: 62 Enna: 128
Culto del toro: 167 sg. Epidauro: 78, 203
Culto di Baal: 106 "Eponae": 152 sg.
Culto di Dioniso: 186 Epos di "Gilgamesch": 67, 1 14 sg., 124, 155
Culto di Mitra: 169 Eraclea Minoa: 180 sg.
Culto di Sant'Anna: 69, 260 Eretteo: 1 79
Culti della fertilità: 44, 60, 62, 63, 1 1 2 Erice (Eryx): 1 1 1 sg., 1 1 6 sg., 1 1 7, 123
Culto d el i 'incubazione: 77 sg. Erinni: 154, 182, 239
Culto delle streghe, oggi: 250 Ermafroditismo (o bisessualità): 18, 79, 109,
Culto di Atena: 109 169, 198, 209, 2 1 1 sg., 220, 232
Culto di Maria: 258 sg., 264, 266 Esaltazione del seme: 18, 20 1 1 8
Culto di Nertus: 72 sg. Età dell'oro: 122 sg., 214, 278, 281
Cultura degli agricoltori: 124, 1 49, 192 Eterismo: 192 sg., 195 sg., 198 sg.,
Cultura dei cacciatori: 47 sg., 62, 149b, 192b Etica amorosa: 2 1 7 sg.
Cultura di Orzieri: 89 sg., l 04 Etruschi: 73 sg., 76, 89, 122, 195
Cultura megalitica: 59-73 "Eumenidi": 15 sg., 2 1 , 39, 87, 1 1 8, 154, 182,
Cultura micenea: 36 1 9 1 , 204
Cultura minoica: 94, 1 6 1 , 1 65 sg., 169 sg., Eunomia: 184
174 sg., 281 Evoluzione: 283
Cultura nuragica: 94 sg.

Falco: 50
Dafni: 137 Fallo (culto del): 32, 37 sg., 62, 80, 95, 137
"Dea di Decimoputzu": 91 sg., 1 4 1 , 142, 145, 176 sg., 212, 246
"Dea mater mediterranea": 9 1 , 97 Fate: 70, 89, 240
Dca vergine: 259 Fato: 86
Delli: 15, 39, 51 sg., 53 sg., 126, 1 4 1 , 152, "Faust": 34, 157, 215, 220
165, 170, 174, 1 8 1-185, 203 Femminismo: 128 sg., 152, 173 sg., 183, 1 9 1 ,
Delfini: 170 sg., 183 219, 1 9 7 , 200, 208, 2 1 0 , 217, 248, 275-
Delo: 25, 3740, 55, 78, 86, 122 sg., 1 6 1 , 170, 278, 281
177, 182 sg. Femminilità:
Dendera: 32, 34 "Il grande femminino": 13, 4 1 , 43, 46,
Dialas: 60 48, 55, 66, 75, 79, 86, 87, 92, 99 sg., 1 2 1 ,
Diavolo: 150, 189, 228, 232 sg., 242 sg., 245 150, 1 62, 1 72 sg., 2 1 3 , 22 1 , 227, 229,
sg., 264 258, 275, 280, 283 sg.
"l.a nonna del diavolo": 238 sg. "L'eterno femminino": 1 1 b, 34b, 59b,
Diritto d'asilo (antico) : 184 156b, 2 1 5, 217 sg., 244, 283
Diritto naturale: 195 Fenici: 53, 105-107, 1 1 2, 1 16, 182
Distruzione della natura: 208 Feste sacee: 196 sg.
"Divina Commedia": 34, 164 Festa di Osiride: 177

322
INDICE ANALITICO

Festa di Sant'Agata: 129 sg. Grigioni: 60, 99 sg., 228, 249 sg.
Festa di Durga: 223 sg. Guatemala: 144
Feste femminili: 80, 1 4 1 sg., 144 Guerra: 269, 276
Festo: 27 Guerre puniche: 60
Filare: 85-87, 1 0 1 sg., 130 sg., 155
Filatrice del destino: 85-87 Hagar Qim: 75, 78, 79
Filo d'Arianna: 167, 169 Hai Saflieni: 79 sg., 87
Filo del destino: 130 sg. Hai Tarxien: 75, 80, 8 1 , 168
Figalia: 150, 203 Haran: 35
Finestra dell'anima: 96 Hierosgamos (Sacre nozze ) : 19, 3 1 , 56, 109,
Frigi: 183 sg. 1 1 3, 1 1 4, 1 20, 138, 1 40, 1 46 sg., 1 64,
Finistère: 59, 69 169, 171 sg., 178, 188 sg., 195, 2 1 0, 2 1 3,
Fior di loto: 3 1 215 sg., 234
Fontinales: 1 0 1 Honlleur: 268 sg.
Formazione degli Stati: 1 8 2 sg., 1 9 0 , 1 93,
227, 235 sg.
"Formule magiche di Merseburger": 271 Kaaba della Mecca: 252
Francia: 47, 64 sg., 67, 90, 243 Kerderf: 62
"Frau Holle": 102, 242 Kerguntuil: 63
Fuoco: 139 K.ildara: 270
K.ill-Dara: 269
Kos: 78
Galles: 142
Gallia: 238, 268
Gavrinis: 65 sg., 66
Ibis: 50
Genesi: 19, 20, 228 sg., 229, 230, 257
Idoli: 90 sg.
Germani: 72, 85, 109, 146, 176, 1 88, 222 sg.,
Ierodule: 1 12, 1 16 sg., 195
238, 241
"Iliade": 48
Geser: 105
"Il piccolo principe": 67
Giappone: 178
"Il tre": 153
Giavellotto: 145
Imera: 106
Gerusalemme: 106 sg., 1 16, 198, 210, 213
Immacolata concezione: 260
Ggan tija di Gozo: 75, 85, 87
Immagine del mondo ciclica: 227, 237
Giardino dell'Eden: 233
Immagine del mondo lineare: 227, 237
Giordania: 105
Immagini della femminilità di Dio:
Gineceo: 16
Inca: 34
Ginecocrazia: 191-195, 20 1 , 205
Incantesimo: l 03, 199 sg.
Giorno della Berchta (Berta) : 241
Incesto: 33 sg., 120
Glarus: 249
Incanto delle immagini: 103 sg.
Gnosi: 236
Incubo: 246
Gnothi seauton: 184, 283
India: 31 sg., 44, 50, 223 sg., 281
Gorgoneion: 1 1 1 sg.
Indiani (d 'America ) : 59, 166 sg., 1 76, 206
Gortino: 1 68 sg.
sg.
Gozo: 75, 84 sg., 88, 1 6 1
Gral: 146, 149, 153, 215-2 1 7, 224, 267 sg., Induismo: 223
Grande Madre: Inferi: 18, 20, 25 sg., 32, 49, 73, 82, 98, 102,
sua ambivalenza: 49, 62 sg., 69 sg., 73, 106, 1 1 7, 120, 127, 133 sg., 1 38 sg., 147,
74, 77, 102, 104 sg., 109, 136, 150, 154, 149, 153, 1 6 1 , 167, 187, 259
1 8 1 , 220 sg., 224, 275, 283 Inquisizione: 244 sg., 248 sg., 264
sue formule 66b sg., 75, 77 Iperborei: 52 sg., 54
sue ipostasi: 25, 39 Ipogeo di Malta: 76 sg., 80, 87, 89, 1 4 1
suo potere: 17, 25, 27, 97, 146, 1 73 Ippona: 255
suo aspetto letale: 150, 22 1 , 223, 278 Iran: 253
sua capacità di trasform azione: 1 75b Irlanda: 82 sg. 87, 1 5 1 , 224, 269 sg.
sg., 224, 269 Irochesi: 209
sua essenza: 31, 86 Irrazionalismo: 278 sg., 280 sg.
come "il tre": 154 Islam: 60, 251 sg.
come "le Madri": 157 sg. Israele: 19 sg., 210 sg.
Grecia: 45, 49 sg., 5 1 , 77, 85, 1 1 2, 154, 163, Istambul: 86
182, 218 Italia: 90, l 02, 123

323
INDICE ANALITICO

Labirinto: 83, 165, 1 67, 175 Matriarcato: 23, 32 sg., 191 sg., 195, 204
Labrys: 66, 83, 14 7, 166 sg., 1 7 1 sg., 1 65 Matrimonio: 22, 192, 195
"La donna pingue di Malta": 166 Matrimoni tra fratello e sorella: 30, 33
Lannor Baden: 65 "Matronae": 153, 157, 270
"La Roche aux fées": 70 Maya: l09
"L'asino d 'oro": 25 sg. Mecca: 60, 252
Lascaux: 46, 49 sg., 83, 168 Megaliti: 72
Lastra sepolcrale di Castelluccio: 125 Mela: 126-128, 136 sg., 147, 189, 2 1 6, 22 1 ,
Laussel: 48, 263 228, 23 1 , 257, 263, 268
"l..egenda aurea": 129 "Mel Beniguet": 71, 104
Leggenda di Tanaquilla: 195 sg. Melograno: cfr. mela
l..em no: 20 l , 205 Menadi: 38, 60, 80, 177
l..enee: 38, 80 Menhir: 68, 65, 68, 73
l..es Eyzies: 47 sg. Mesopotamia: 20, 45, 49, 87, 167, 190
"Le Madri": !57 Mestruazione: 144 sg.
Leggenda di Enea: 122 sg. Messico: 167
Leggenda di Melusine: 30 sg., IO! "Metamorfosi": 27 sg, 29
Libia: 1 9 1 , 209 Micene: 94, 1 64
Libido: 169, 209 Midian: 235
Licia: 35, 1 75, 193, 221 "Midrasch": 212, 229
Languedoc (Linguadoca) : 68, 91 Miele: 221
Linguaggio immaginifico: 3 1 Minotauro: 167, 168 sg., 1 69, 175 sg.
l..ocmariaquer: 64 Misoginismo: 210 sg., 227-234, 238, 242 sg.,
Loreley: 154 250-253
Loreto: 257 Misteri di Demetra: 133-144, 225
l..ourdes: 97 Miti della creazione: 15, 1 8 , 33, 36 sg., 229,
Ludi taurici: 168 sg., 175 232 sg.
Mito: 12, 28, 3 1 sg., 1 80, 187, 279 sg.
Mito del peccato originale: 228, 231 sg., 260
"Mabinogion": 142, 147 sg. Mito dei Cesari: 122 sg.
Macomer: 89, 95 sg., 104 Mito di Adamo ed Eva: 127
Madaura: 27 Mito di Dedalo: 176 sg., 178 sg.
Madonna vedi anche Maria Mito di Eva: 230 sg., 232 sg.
"Madonna del latte": 260 sg. Mito di lside-Osiride: 31 sg.
"Madonna del Parto": 264 Mnajdra: 75
"Madonna delle messi": 266 sg. Moabiti: 107
"Madonna Nera": 258 Moire: 155 sg., 182, 238 sg.
Madre-Monte: 162 Moissac: 243
"Madre Natura": 214 sg., 217, 220, 221 "Monna Mondo": 243 sg.
"Madre Terra": 42, 66, 74 sg., 207 sg., 214, Monoteismo: 20, 27, 229 sg., 234, 251 sg.,
274, 276 276 sg.
Maiale: 142 sg. Monte Ida: 1 6 1 sg., 165, 173
Malecula: 143 Monterchi: 263 sg.
Malocchio: 103 Monte Sinai; 235
Malta: 49, 58 sg., 61, 66, 7!HI7, 90, 102, 1 6 1 , Monti: 1 6 1 sg.
163 Morbihan: 61
Mantello della Madonna: 298 sg. Mummificazione: 221
Maometto: 250 Muse: 183
Mare: 1 18, 257 Musica: 32, 35, 48,
Maria: 88, 64, 97, 198, 255-268, 272
Maria con Gesù Bambino e Sant'Anna: 268
sg. Natura: cfr. "Madre natura"
"Maria nella speranza": 262, 266 Nasso: 45, 1 1 2
Mari: 256 Neandertal: 46
Marmitte: 65, 66 sg. Navigazione neolitica: 68
"Martello delle streghe": 247 sg. Necropoli di Sant'Andrea: 89
Marxismo: 237 Neoplatonismo: 208
Materia: 50 New Grange: 82 sg.
Maternità di Dio: 209 sg. Nereidi: 1 5 1
"Matière de Bretagne": 2 1 6 sg. Nimes: 1 77 sg.

324
INDICE ANALITICO

Ninfe marine: 27 Pizia: 170, 183, 185, 187, 191


Nome: 85 sg., 1 0 1 , 130, 155 sg., 239 Point du Raz: 59
Notre-Dame-<les Naufrages: 59 Portogallo: 65, 87
Notre-Dame, Parigi: 258 Potere sacerdotale: 186
Notte di Valpurga: 157 Pozzi di Urd: 1 0 1
Notti tra Natale e l' Epifania: 241 Processi alle streghe: 249
"Nova Eva": 258 Prostituzione: cfr. Prostituzione templare
Numero nove: 164 sg., 148 Prostituzione templare: 1 1 2 sg., 1 16 sg., 1 18,
Numidia: 27 131
Nuoro: 95, 97 Provenza: 168

Oceania: 212 Rabath Ammon: l 07


"Odissea": 154, 163 Ramosch: 249
Ogigia, isola leggendaria: 85 Ratto delle donne: 128b sg., 150, 204
Ollolai: 102 sg "Ratto delle sabine": 124
Omoerotismo: 196 Regensburg: 238
"Omfaloi": 54, 60, 141, 1 6 1 , 1 8 1 Religione delle streghe: 128 sg., 145, 244 sg.
Opera d i "Tristano": 2 1 6 Rinascita (o reincarnazione): 32, 36, 79 sg.,
Oracolo: 6 3 sg., 70, 77, 183 79, 96, 102, 104, 120, 120, 128, 140 sg.,
Oracolo matrimoniale: 63, 70 147-149, 1 5 1 , 167, 1 70, 221, 224, 279,
281
Oracolo sibillino: 183
Riproduzione unisessuale: 1 7, 36, 48, 1 1 8 sg.
"Orestea": 15, 33, 37, 154
Riti iniziatici: 26 sg., 102, 1 1 5, 137 sg., 144,
155
Roghi delle streghe: 245 sg., 248, 250
Paiolo dell'abbondanza: 72, 104, 1 4 6-149,
Roma: 28, 1 0 1 , 1 25, 123 sg., 1 77 sg., 1 84,
1 5 1 , 153, 1 64, 238, 244, 269
187, 1 89, 1 95sg., 198 sg., 239, 255, 281
Paiolo dell'ispirazione: 148
Romania: 45
Paiolo di Gundestrup: 148
Romanzo di "Peredur": 224
Palestina: 75, 87, 96, 105, 281
Romanzi retici: 60 sg., 99 sg., 274
Panaja Kapoulu: 256 sg.
Rose: 266, 278
Pantalica: 124 sg.
"Ruach" o "Ruah": 152, 197, 257, 268
Panteismo: 276 sg.
Ruota della fortuna: 150
Pantocratore: 237 sg.
Russia: 264 sg.
Papavero: 94
Partenogenesi: cfr. Parto verginale
Parto verginale: 18, 259 sg.
Sabine: 124
"Parsifal": 2 1 6 sg., 224
"Sachsenspiegel": 245
Passau: 1 70 Sacrificio: cfr. sacrifici umani e sacrifici ani-
"Pater familias": 28, 239 mali
Paternità: 18 sg., 2 1 , 48, 1 1 9 sg., 183, 197 Sacrifici animali: 98 sg., 223
Paternità di Dio: 210 Sacrifici infantili: 107 sg.
Patriarcato: 17, 19, 21, 23, 28, 1 5 1 , 191 sg., Sacrifici umani: 77, 98, 107-1 1 0, 223
193 sg., 197, 290, 230, 281 Sabba delle streghe: 246
Patmo: 2 1 3 Saggezza femminile: 269-272
Peccato originale: 258, 261 sg., 294 sg. Saint-Anne-la-Palud: 69
Pensiero dualistico: 1 19, 1 9 1 , 193, 195 sg., Saint Cado: 62
198, 204, 227, 236 sg., 242 Saint Duzec: 63
Pelasgi: 36 sg., 1 5 1 , 163, 177, 197 Saint Guirec: 63 sg., 99
Pergamo: 78 Sais: 28 sg., 34, 36, 39
Périgord: 46, 48, 264 Samotracia: 1 77
Périgueux: l 00 San Gimignano: 261
Persia: 176, 281 Sardegna: 49, 59, 62, 89-99, 102-109, 1 6 1
Perù: 34, 45 Sansepolcro: 263
Pessina: 183 Sant'Andriu Priu: 92
Pietre: 253 Sant'Angelo Muxaro: 92 sg.
Pietre delle fate: 70 sg. Sant'Antioco: 107 sg.
Pieve di Cadore: 250 Scambio culturale: 52, 68, 89 sg., 105, 163
Pisa: 272 Scarpa: 269 sg.
Pitone: 182 sg., 186, 1 88, 1 89, 196, 221 cfr. anche stivale

325
INDICE ANALITICO

Schakti: 2 1 2 Souk-Ahras: 231


Sciamanismo: 1 4 6 sg. Spagna: 49, 66, B7, 90, 16B, 266, 267
Scintoismo: 17B Sparta: 16, l 75
Sciti: 201 sg. Spiga: 266
Scrittura: 1B2 Spighe di grano: 266
Scrittura ideografica: l B2 Spirale: 77, B2 sg., B3, B5, 92 sg.,
"Schwabenspiegel": 245 Statua di San Bénézet: 6B
Seattle: 207 Statua di Bouisset: 6B
Sedano: 126 Stella del mattino: 1 10 sg. 241 sg.
Selinunte: 126 Stella della sera: I lO sg., 241 sg.
Senorbi: 9 1 Stella di Davide: 2 1 2
Sennori: 92 Stile floreale (ojugendstil) : 274, 276
Serafini: 1 76 Stonehenge: 52-62, 161, 241
Serra is Araus: 92 Streghe: 103 sg., 150 sg., 224, 23B, 240 sg.,
Serpente: 66 sg., 73, B3, 127, 162, 1 66, 176 245 sg.
sg., 1 79 sg., l B I -200, 22 1, 22B, 230, 232, Studi sul matriarcato: 20B
236, 244, 25B sg., 275 Succubo: 246
Serpente satanico: IB9 Sulci: 107
Servizio sessuale al tempio: cfr. prostituzio­ Sumeri: IB, 69, 169, 233, 2Bl
ne sacra Svizzera: 106, 1 1 0, 264, 279, 2B3
Sessualità: 79, l l4 sg., l l 7 sg., 125, 127, 146,
176, 192, 22B, 245 sg., 259, 261 sg.
Sibilla cumana: 123 "Table des marchands": 65
Sibille: 193, 272 Tarquinia: 73
Sidone: 1 1 2 Tatuaggio: 45 sg., 55
Sicani: !BO Tagaste: 27, 231
Siculi: 1 1 2 Tali Halaf: 43
Sicilia: 49, 75, B7, l 05, 1 1 2, 123, 1 2 6 sg., l 2B Tas-Silg: BB
sg., 1 6 1 , !BO Taiill: 266
Signora degli animali: 46, 49 sg., B3, BB, 1 66, Tauromachia: 16B
16B "Techne": 179
Simboli dell'età della pietra: 65 Tema dello smembramento: 3 1 , 149 sg.
Simbolismo dei capelli: 52, B6, 275 Temischira: 204
Simbolismo dei colori: 76 sg. B2, B3 Tempio a cisterna di Santa Vittoria: 97
Simbolismo dei recipienti: 1 7 1 sg., 266 Tempio Calighat: 223
Simbolismo del calice: 145 sg., Templi a cisterna: 69, B9- l l 0
Simbolismo del cerchio: 35, 56, BI Tendenze sessuali: (Gusti sessuali) 43 o 44
Simbolismo del coniglio: 36 "Teogonia": 15, l B, 2 1 , 22 1 , 22B
Simbolismo del martello: 71 sg. Teologia femminista: 1 9 1 , 209, 2 1 7 sg., 230,
Simbolismo del pesce: 79, BO, 1 4 1 232, 273, 276-279
Simbolismo del toro: 16B "Theotokos": 256
Simbolismo dell'acqua: 30, 35 sg., 69, 79, 96 Terra cfr. Madre Terra
sg., 1 00 sg., 146, 235, 257 "Tesaurus pauperum": 241
Simbolismo della corda: 130 sg. Tesmoforie: 143 sg.
Simbolismo delle corna: 92 sg., 105 sg. Tessere: 12, B5-8B, 130 sg., 1 70 sg., 222
Simbolismo delle dita: 1 5 3 Tessitrici del destino: B5-8B
Simbolismo dello stivale: 1 37 sg., 145 Testa di Brassempoy: 47
cfr. anche scarpa Tiranno: 1 9 1
Simbolismo degli spilloni: 64 sg. Tirolo del sud: 250 sg.
Simbolismo sessuale: 31 sg. Tirso: 60
Sinai: 235 Tomba degli Anima: 73
Siracusa: 1 23, 125 Tomba dell'Orco: 73
Siria: 75, BO, B7, 90 Tombe dei giganti: 60 sg.
Sirene: 154 sg. 276 Tophet di Sulci: 107
Sistro: 32 sg., 35 Toro: B3 sg., 93, l 6B, 1 77
Sofia-Sapienza: 270 sg., 273, 2BO Toscana: 1 2 1 sg.
Soglia: B l sg. Totemismo: 49 sg., 142
Solstizio d'inverno: 241 Tolosa: 245
Sonno templare: 77 sg. Traci: 45b, B2 sg.
Souillac: 264 Tradizione calendarista: 57 sg.

326
INDICE ANALITICO

Trapanazione: 91 sg. "Venere di Quinipily": 68


Trapanazione del cranio: 91 sg. "Venere di Willendorf': 43 sg., 47
Trinacria: 123 Venere (pianeta): 56, 1 10, 241
Trinità: 152 Vergine-cigno: 36 sg., 4 1 , 240
Troia: 122, 158, 165, 205 Vézère: 46
Trono: 60, 1 72 sg. Victoria a Gozo: 88
Trovatori: 168, 220, 243, 258, 266 "Vìerge ouvrante": 267
Thuata da Danaan: 49, 269 "Vita Merlini": 148
Tue d'Audoubert: 48 Virtù cardinali: 271
Vitello d'oro: 20, 105 sg.
Visionario: 222
Uccello: 50b sg., 1 76 "Vògelpercht": 240
Uccisione dei vecchi: 70 sg., 104 Volare: 49, 198 sg., 1 7 1 sg.
Uomo di Cromagnon: 46 Vulva (culto della ) : 32, 35, 36, 74, 99, 1 46,
Uovo del mondo: 36 sg., 198, 242 148, 177, 212
Uovo primigenio: 242
Ur: 19, 35, 169
Urorboro: 55 sg., 82 Walhalla: 222
Uruk: 1 1 5 Willendorf: 42
Willeweis: 250
Vacca: 33, 93 Worrns: 242
Valchirie: 222, 239
Valle di Gastein: 242
Valletta: 76, 78, 80 Yggdrasil-frassino del mondo: 1 0 1 , 155, 188
Veggenti: 240
"Venere Landolina": 125
"Venere di Laussel": 47 sg., 48 sg., 263 sg. Zurigo: 24 1 1 nostri testi sono reperibili
"Venere di Malta": 79, 81 nelle migliori librerie

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