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Rossana ROTILI

Pelli, cuoio e concia. Storia e tecnologia


(Testo a cura di G. PAPPALARDO - M. C. ROMANO)
La lavorazione delle pelli animali , senza dubbio, una delle pi remote attivit umane ed connessa
all'evolversi delle civilt arcaiche. Per questo motivo storia delle pelli, conciate o meno (vedi
pergamena) e storia della cultura scritta si intersecano numerose volte. noto infatti che si scrisse, per
molti secoli prima di Cristo, su pelli conciate, cos come si suppone che le prime pergamene fossero,
almeno in parte, conciate. Per contro, allorch i materiali membranacei assunsero - durante i primi
secoli dell'era cristiana - l'aspetto che ancor oggi li contraddistingue, fuso delle pelli conciate si limit
alla copertura delle legature dei codici ed alla costituzione di clementi strutturali (nervi, bindelle di
fermagli, ecc.). In questa sede le pelli ed il cuoio vengono presi in esame come materiali in .s piuttosto
che come componenti del libro, anche se i due aspetti non sono ovviamente in contraddizione. L'uomo
della preistoria apprezz ben presto la duttilit d'impiego delle pelli; non altrettanto immediata deve
essere stata l'adozione di trattamenti per renderle elastiche, impedirne la putrefazione ed ottenere un
prodotto finito strutturalmente stabile e relativamente resistente all'acqua ed al calore. Tali scoperte,
infatti, debbono essere state piuttosto frutto di intuizioni felici, determinate da accadimenti casuali: la
reazione sul collagene di alcune aldeidi sviluppate dalla combustione di vegetali non essiccati,
l'elasticit prodotta dalla manipolazione con sostanze grasse, la scoperta delle propriet trattanti degli
estratti vegetal i e dell'allume. Nei diversi siti geografici ed in epoche differenti i processi preliminari
alla concia delle pelli si sono ripetuti pressoch identici, determinando sul materiale trattato i medesimi
effetti. Il pellame, essiccato all'aria aperta sotto l'azione dei raggi solari (ma anche sotto sale o in
seguito ad un'azione continua di calpestamento) veniva immerso in acqua {rinverdito) per eliminare
eventuali residui (soprattutto salini), reidratare le fibre ed innescare un meccanismo di rigonfiamento
atto ad agevolare le successive fasi di lavorazione ed in particolare l'assorbimento delle sostanze
trattanti. Attualmente nell'industria conciaria il rigonfiamento delle fibre viene accelerato
dall'immissione di alcali o di borace in quantit ridotte. Al rinverdimento seguiva l'operazione
meccanica di depilazione favorita dall'adozione di varie miscele (generalmente alcaline, che talvolta
giungono a so- lubilizzare la cheratina) in grado di sviluppare calore e batteri (processi enzimatici),
sotto l'azione dei quali veniva provocato il distacco dei peli e dello strato epidermico del derma. La
fase successiva era quella di macerazione o purga; per quest'ultimo trat-tamento si impiegavano, un
tempo, emulsioni a base di sterco animale (di volatili o di specie domestiche); a questo scopo, di
recente applicazione nella lavorazione delle pelli l'adozione, oltre ad acidi organici (acetico, butirrico e
lattico), di acidi minerali (in presenza di cloruro ammonico), di sali e di selezionate colture batteriche. Il
procedimento di purga tende a ridimensionare il rigonfiamento dei tessuti ed a rimuovere ulteriori
sostanze residue ed eventuali fibre di collagene deteriorate; una eccessiva macerazione delle pelli,
per, pu condurre alla manifattura di cuoio poco resistente . La concia ai grassi si diffuse ampiamente
nelle regioni pi fredde del pianeta, nelle quali gli animali erano appunto provvisti di abbondanti strati
di protezione (ed tuttora il trattamento maggiormente impiegato da eschimesi, patagoni e indiani del
Nord America); inizialmente le pelli dovettero essere lavorate con il midollo osseo e la materia
cerebrale degli stessi esemplari abbattuti, successivamente con olii vegetali o olio di pesce. La concia
all'aldeide invece, ottenuta per fumigazione, non legata ad influenze climatico-territorali anche se,
per tradizione, si mantenuta soprattutto nella maggior parte delle regioni asiatiche e degli arcipelaghi
del Pacifico. Sempre di origine orientale la concia al vegetale, la quale impiegando estratti tannici
diversi ha anche effetti coloranti. La concia all'allume, infine, deve la sua diffusione alla massiccia
presenza di questo elemento nelle regioni vulcaniche. Queste informazioni, insieme alla descrizione di
svariati oggetti atti alla lavora-zione delle pelli (pressoch identici per foggia in et e siti geografici
diversi) sono frutto di una disciplina che prende il nome di archeologia chimica del cuokr. Notizie
storiche risalenti alla civilt dei Sumeri rivelano la presenza, gi in quel tempo, della figura del
conciatore e del pellicciaio: il Codice di Hammurabi riporta indicazioni sulle competenze e sul salario dei
calzolai ((.he esplicavano tutte le funzioni di lavorazione del cuoio, fatta eccezione per la tintura
effettuata probabilmente da altri artigiani). Le pi antiche ricette di concia sono babilonesi ed
impiegano sulle pelli ammollate in acqua (con farina, birra e vino) trattamenti a base eli grassi animali,
estratti vegetali e vari tipi di farine e noci di galla; in epoca pi tarda, la lavorazione di pelli caprine
(ingrassate con latte, olii vegetali e grassi animali) utilizza allume miscelato a noci di galla e mosto . Ci
sono pervenuti anche prezzi ari ittiti sul costo delle pelli, dai quali si evince l'impiego di ovini (tosati e
non), di caprini e di bovini distinti per et e dimensioni. Nella storia di Israele, tramandataci dall'Antico
Testamento, svariati sono i ri-ferimenti all'utilizzo di pelli non trattate: tuttavia la descrizione delle
calzature dei soldati e delle eroine bibliche (episodi di Ruth e Giuditta) fa presupporre l'adozione di
processi di concia atti a rendere il cuoio pi resistente e duttile alla confezione. Dovevano esser noti
anche i trattamenti di tintura dei cuoi se, per prescrizioni religiose (Esodo XXVI. 7 e 14). il Tabernacolo
andava ricoperto da 11 teli di pelo di capra (probabilmente in riferimento alle specie caprine a pelo
lungo di provenienza asiatica), da pelli di montone rosse ed infine da pelli turchine. Interessante inoltre,
rilevare che l'arte conciaria (gli unici riferimenti pervenutici rimandano a conce per fumigazione, Salmi,
CXIX, 23: "Io sono diventato come un otre al fumo'',) era considerala spregevole (Leggi del Talmud,). la
commercializzazione del pellame, invece, era gestita dalla classe sacerdotale, poich all'officiante
spettava la pelle degli animali immolati a pagamento del servizio prestato (Levilieo . 6; VII, 8).

Relativamente alla confezione delle pelli nella civilt indiana non si hanno notizie, ma probabilmente
hanno avuto origine in Asia centrale quelle lavorazioni particolari che identificano il cuoio come saffiato,
marocchino, gadamesino-, inoltre presso gli Indi, come del resto presso gli Ebrei, i conciatori
appartenevano ad una delle classi sociali pi reiette, in quanto utilizzavano carogne eli animali morti
per malattia; le pelli maggiormente impiegate erano quelle di bue, antilope e cervo. Gli Sciti furono una
delle popolazioni pi abili nella manifattura dei cuoi: nomadi, allevatori soprattutto di cavalli, riuscirono
a selezionarne varie razze; poich tra queste, alcune (tuttora sopravvissute) presentavano un pelame
fitto e spesso, impararono a lavorarne le pelli insieme a quelle ovine, caprine, di cervo, ecc. nonch alle
pellicce di puzzola, gatto selvatico, scoiattolo, zibellino, ermellino, leopardo, ecc. Il metodo di concia
presumibilmente attuato doveva essere quello al fumo, del resto ancora intorno al XVIII secolo in alcuni
villaggi siberiani ogni abitazione privata era dotata del relativo forno per la fumigazione delle pelli. In
Cina il commercio delle pelli era fiorente (sia via terra attraverso l'Asia sino alla Siria; che via mare fino
al Mar Rosso ed all'Egitto) e Marco Polo, nel Milione, cita diversi tipi di cuoi, tra i quali il camutcd il
(rispettivamente ricavati da pelli di cammello e di cavallo) decorati con metalli preziosi, pelli colorate in
rosso ed in azzurro, il cuoio di Russia (trattato con olio di betulla), ed il cosiddetto cuoio bollilo. La
concia, nella forma pi arcaica, avveniva ponendo le pelli sopra una fossa preventivamente riempita di
rami verdi e foglie poste a bruciare, il fumo prodotto sprigionava sostanze aldeiche in grado di
stabilizzare i cuoi tanto da renderli resistenti alle variazioni di temperatura; in epoca pi recente le pelli
pre-trattate mediante un bagno (della durata di circa un mese), depilate con calce e salnitro, lavate e
tese al di sopra di speciali stufe fumiganti assumono una caratteristica tonalit giallastra che rende
necessari processi di tintura (per immersione in acqua di lavaggio contenente estratti vegetali
coloranti). Il prodotto, cos ottenuto, risulta abbastanza resistente all'acqua, probabilmente grazie alla
presenza dei prodotti chinonici delle fumigazioni e di alcune sostanze bituminose. In Giappone le figure
per il gioco delle ombre (in pelle molto sottile di cervo o capretto), ornate con disegni a traforo
venivano fumigate per combustione di foglie di riso in maniera che le zone non protette dal decoro
rimanevano bianche o incolori mentre il resto del supporto si imbruniva; questa tecnica tuttavia non
riflette il processo nipponico di concia pi diffuso e pi antico. Infatti, di norma, il trattamento si
esplicava impiegando una concia grassa mediante la quale si otteneva un cuoio bianco, elastico e
resistente (Kosbi o Shi- rolar)\ tale metodo tuttora sopravvissuto in alcune regioni ed ha mantenuto
carattere artigianale. Le pelli bovine venivano esposte alle correnti fluviali eli corsi d'acqua pura e
rapida per alcune settimane, in maniera tale da attuare simultaneamente il rinverdimento ed il
rilassamento del pelo; successivamente depilate e scarnite con il relativo coltello (non tagliente) e con
una sorta di pialla, venivano impregnate di sale e calpestate a lungo (attivit affidata alle donne). Le
pelli lavorate con olio di colza e lasciate asciugare all'aperto (sotto l'azione dei raggi solari) per diverse
volte, venivano infine lavate per asportare eventuali residui di sale e lasciate seccare all'aria su tavole
lignee. La civilt egizia relativamente alla lavorazione dei cuoi ha trasmesso numerose tracce:
raffigurazioni geroglifiche presentano gazzelle, cervi, bufali, caprini, ovini e in epoca piti tarda
soprattutto ovini e caprini a pelo lungo i cui discendenti pi prossimi sono gli esemplari (ormai in
estinzione) di pecora dei Tuareg. Particolarmente interessanti sono alcuni affreschi tombali tebani
studiati da I. Rosellini che rappresentano la lavorazione delle pelli, il taglio, la tintura (presumi-bilmente
a spazzola), la concia e l'ingrasso, nonch le botteghe del fabbricante di lacci e del calzolaio; in
quest'ultimo affresco sono raffigurati parecchi strumenti del mestiere, tra i quali il tipico coltello a
mezzaluna. Alcune iscrizioni riportano anche i nomi di conciatori reali, ma le scoperte pi interessanti
riguardano il ritrovamento dei resti di una conceria nell'Alto Egitto, a Gbelen con i relativi reperti di
pelli non ancora conciate (soprattutto caprine, alcune non private del pelo), di attrezzi di lavoro e di
sostanze concianti (baccelli di Acacia Nilotica o Arabica, tuttora impiegati nel Sudan ed in altre regioni
nord-africane). Per quanto riguarda le altre civilt nord-africane (regioni del Sahara) dai neolitico in poi,
non ci sono pervenute tracce; presumibilmente si trattava di popolazioni nomadi di stirpe etnica
diversa, variamente succedutesi nel medesimo territorio nei diversi secoli; l'unico ritrovamento relativo
all'impiego dei cuoi quello di una mummia infantile avvolta in una pelle, come d'uso nell'Egitto
predinastico (regione di Eezzan, localit Uan Muhuggiag, databile intorno al 3500 a.C); anche se non
mancano scene pittoriche rupestri raffiguranti personaggi variamente vestiti di pelli, ed noto il
processo di inumazione dei Guano* (popolazione delle isole Canarie) che essiccavano i defunti al sole,
protetti da sacche costituite da pelli cucite. Le popolazioni libiche dell'epoca neolitica (prima
dell'avvento dei Penici e della fondazione di Cartagine) utilizzavano pelli di capretto e di montone: i loro
metodi di lavorazione delle pelli furono tramandati, pi o meno perfezionati agli Arabi che occuparono i
territori punici in epoca pi tarda. Nell'agglomerato artigianale di Gourni (XVI secolo a.C.) sono stati
rinvenuti coltelli e raschiatoi utili alla lavorazione delle pelli, ma manca qualsiasi informazione sui
processi di manifattura. Abbondanti invece sono i riferimenti relativi all'impiego del cuoio nella Grecia
antica. Oltre alle notizie sull'uso del cuoio per la manifattura di indumenti e scudi, molte indicazioni
riguardano l'adozione del pellame per utensili vari: cinghie, redini. cinture, corde, palle da gioco e
persino sedie e giacigli (il letto di Ulisse era di cinghie rosse intrecciate); ma l'informazione pi precisa,
relativamente alla concia delle pelli, contenuta nell'episodio della lotta tra Achei e Troiani intorno alle
spoglie di Patroclo (Iliade, XVII, v. 483 ). nel quale il movimento reso da una similitudine con l'attivit
di una conceria in pieno fervore lavorativo (descrizione poetica della concia grassa di una pelle di bue
"stirata"' dagli artigiani per consentire una migliore penetrazione del conciante e rendere il materiale

morbido ed elastico). Sino a quel momento l'arte conciaria era stata disprezzata e a tal proposito, come
del resto in gran parte dell'Asia, esistevano precise normative che imponevano la locazione delle
concerie al di fuori dell'abitato (a causa della presenza di pelli in putrefazione con i conseguenti rischi di
infezione). Le conce impiegate, sulle quali si hanno notizie, sono quelle al vegetale: Aristotele cita le
cortecce di mirto e di quercia; Teofrasto menziona invece le cortecce del pino di Aleppo e di Idea,
dell'ontano (che produce cuoio rossastro), le galle di Turchia, l'acacia, il sommacco (per la concia delle
pelli bianche, estratto da foglie e semi macinati del Pinus conarius, originario dei paesi mediterranei ed
in particolare della Sicilia) e lo scodano (utilizzato per ottenere una tonalit gialla). Nessun puntuale
riferimento invece all'impiego delle conce grasse o minerali, che pure dovevano essere diffuse: sempre
Aristotele, riferisce l'adozione di alcuni sali: l'allume per la colorazione di pelli e tessili ed il solfato di
rame (impuro per la presenza di sali di ferro) per la tintura in nero di pelli conciate ai tannini. Tra gli
utensili tipici menzionati ricordiamo il cavalletto, il coltello a mezzaluna (tuttora impiegati) ed il bastone
per battere le pelli favorendo l'assorbimento dei concianti e l'ingrassaggio. La macerazione, poi, era
spontanea, talvolta accelerata dall'immissione di prodotti naturali ed i residui di conceria erano
adoperati come fertilizzanti agricoli. La concia interessava qualsiasi tipo di pelle, ma le specie pi
sfruttate erano quelle bovine e caprine, meno frequentemente le ovine e le suine. Tra i reperti che
forniscono indicazioni inerenti alla lavorazione dei cuoi nell'ambito della civilt pre-romanica vanno
citate le Tavole Iguvine (rinvenute a Gubbio e risalenti al VI secolo a.C); secondo una delle
interpretazioni di tali iscrizioni, in esse si fa riferimento ai cuoiai che insieme ai tintori dovevano fornire
alla comunit determinati quantitativi di carni suine e caprine salate o affumicate a pagamento delle
cospicue risorse idriche impiegate per la manifattura delle pelli. In epoca romana, come narra Tacito
(Annali, Lib. IV. 42) spesso si pretendevano pelli (decine eli pelli, pellium decuriae) in qualit di tributo
dalle popolazioni vinte, e la richiesta di pelli di uro (animale selvaggio di notevoli dimensioni, gi in
estinzione in quell'epoca) determin la sommossa dei Frisoni. I/utilizzo delle pelli nell'antica Roma in
epoca arcaica era legato all'abbigliamento: i senatori si ricoprivano di agnelli, ma ben presto questo
costume fu assimilato agli usi delle popolazioni barbariche straniere e cadde in disuso mantenendosi
solo nelle campagne tra contadini e pastori. Il cuoio, invece, fu la materia fondamentale impiegata per
confezioni militari e per le calzature. Il lavorante generico del cuoio era detto sutor (da suerc che
significa sia conciare che cucire), il mestiere ars suioria, l'officina iaberna su lo ria, il doratore di cuoi
sbalzati particarius, il pergamenaio membranarus, il fabbricante di colla da carniccio glutinarius, le pelli
grezze infectae, conciate confectae, conciate con il pelo conimipilosutn, ecc. I conciatori erano riuniti in
un borgo che prendeva il nome di vicus sanda- lariits (divinit protettrice Apollo sandalarius), Una
conceria stata rinvenuta tra i resti di Pompei con le fosse da concia, le vasche per la preparazione
delle miscele, ripiani marmorei per alcune fasi eli lavorazione, le reti idriche di scarico e strumenti tipici
come mezzalune, coltelli e raschietti. Relativamente ai metodi di concia si impiegarono grassi ed allume
con la medesima denominazione, poich il termine aiuta o pellis alutacea (dal greco ^aloif) significa
"grasso". La concia all'allume era definita dal termine depsere (dal greco "dpsein", ammollire) e
doveva esser molto diffusa perch impiegata sia per il trattamento di pelli di dimensioni ridotte che per
la tintura; col tempo il termine alula fini per indicare qualsiasi calzatura leggera o pelle leggera
conciata. Le pelli di notevoli dimensioni, invece, venivano trattate in fossa con estratti di quercia, pino,
salice (provenienti dalla corteccia del Salix alba, Salix fragilis, ecc.) sommacco, noci di galla e scorza di
melograno. L'esame dei cuoi di epoca romana ha rivelato spesso la presenza eli cera d'api per lucidare
o ingrassare e di nerofumo per impermeabilizzare. Relativamente alle specie animali utilizzate per la
manifattura dei cuoi si pu far riferimento ad un prezzario contenuto nell'Editto eli Diocleziano che
menziona pelli caprine, di montone, di cervo, di lupo, d'orso, di leopardo e di leone conciate e non
trattate, nonch pelli conciate rosse di Babilonia. Le popolazioni neolitiche del Nord-Europa
impiegavano soprattutto mammut, renne e cervi per ricavarne nutrimento e la maggior parte dei
materiali d'uso: pelli per abiti, imbarcazioni e capanne, tendini per cucire, corna ed ossa per utensili,
ecc. La lavorazione delle pelli era, tome presso la maggior parte degli insediamenti primitivi, affidata
alle donne, le quali le distendevano con spianatoi d'osso per raschiarle con selci dal lato carne. Ai
cacciatori di mammut successero dopo qualche millennio i cacciatori di renne, di questi ultimi ci sono
pervenuti coltelli in selce con manico d'osso; in Norvegia i coltelli per scuoiare non erano in corno ma in
ardesia. La concia maggi or mente praticata doveva essere quella ai grassi poich sono state rinvenute
molte ossa spaccate per trarne il midollo e conciare con esso soprattutto pelli d'orso. La presenza nel
linguaggio celtico del termine lem, col significato di quercia, in riferimento al cuoio fa presupporre
l'impiego di estratti vegetali per la concia e Cesare nel De Bello Gallico menziona i Veneti
(presumibilmente di origine nordica) per le caratteristiche navi con vele in pelle sottile conciata
all'allume. I Germani usavano vestirsi di pelli integre in maniera tale che la testa dell'animale fungesse
da copricapo; tra i trattamenti effettuati sulle pelli si pu indicare quello con sali o ceneri se non una
concia all'allume, ma tali ipotesi non sono confortate dai reperti rinvenuti. Sicuramente i Germani
sapevano lavorare pelli di notevoli dimensioni ra-schiandole del Iato carne e per depilarle impiegavano
una poltiglia contenente ceneri di legno: e probabile che conoscessero gli effetti concianti del grasso,
dell'allume e degli estratti tannici vegetali (con particolare riferimento alle cortecce di quercia e di
pino). Gli Eschimesi hanno conservato per secoli una particolare tecnica di lavorazione del pellame
proveniente da animali marini: le pelli, ripulite dal lato carne con lame metalliche, si arrotolano molto
strette su s stesse e si pongono in un luogo caldo per tutta la stagione estiva, procedendo

successivamente alla depilazione. Uno dei metodi di ripulitura delle pelli la masticazione, la quale
rende i tessuti particolarmente morbidi; infine, il pellame viene trattato con grassi (olii di pesce pi o
meno ossidali) emulsionati in urina. Le pelli di foca, impiegate soprattutto per la confezione di
imbarcazioni, vengono depilate a mano avendo cura di non intaccare lo strato grasso che ne assicurer
l'impermeabilit; le pelli di renna invece vengono trattate per strofinio dello stesso osso scapolare
dell'animale finch appaiono sufficientemente morbide e duttili. Alla stessa maniera i Lapponi usano
lavorare le pelli di tricheco. I popoli del Centro e del Sud-America non dovevano essere molto evoluti
nella lavorazione delle pelli anche in quanto disponevano di un limitato numero di specie animali utili
allo scopo: lama, alpaca, cervo e rari animali selvatici; del II secolo a.C. sono alcune spoglie di defunti
inumate avvolte in pelli di cervo o di lama; le tinture utilizzate per la colorazione elei cuoi erano quelle
impiegate per i tessuti: cocciniglia, indaco e succhi vegetali. Pare che in Messico, invece, pelli di coivo e
di tigre abilmente conciate (anche con il pelo) erano tinte in bianco, rosso e bruno. I Maja non usavano
conciare le pelli di cervo impiegate per la confezione di calzature e mantelli; pelli di giaguaro ornate di
piume erano utilizzate per i copricapo rituali; sembra anche che dalla pelle eli cervo si ricavasse della
pergamena, ma i reperti di pergamena precolombiana pervenuti non sono stati sinora analizzati. Gli
indiani nordamericani hanno sviluppato nei secoli una grande perizia nella lavorazione delle pelli di
bisonte, cervo e daino; la concia pi diffusa ottenuta sfregando le pelli con cervello, fegato ed altre
parti grasse degli stessi animali abbattuti. Solitamente le pelli cos lavorate sono arrotolate strette su s
stesse, lasciate in fossa per un determinato periodo (durante il quale assumono una caratteristica
colorazione giallastra) e successivamente poste in tensione su stiratoi d'osso o lignei sino al
raggiungimento dell'elasticit desiderata. Con la colonizzazione si diffuse la concia in fossa e l'impiego
di estratti tannici vegetali, tipici del luogo, derivati dalla quercia americana, d'Ai'hemlock e dalla
sequoia. In Europa durante il Medioevo le notizie pi antiche relative all'arte conciaria risalgono al
regno di Carlo Magno, presso il quale in qualit di artigiano di corte menzionato il lederei:. cio il
conciatore-calzolaio (molto simile quindi al sutor romano) produttore di svariati articoli in pelle, ivi
comprese le pergamene (C'apitu- lare de Villis, cap. XLIV). In epoca medievale la lavorazione delle pelli
era svolta escludendo il periodo estivo (perch in quella stagione i conciatori attendevano con il resto
della comunit ai lavori dei campi utilizzando notevoli quantitativi di pellame come fertilizzante); in
inverno, inoltre, si provvedeva alla fabbricazione della colla con residui di conceria e carniccio.
Numerose sono le notizie tramandate dalle cronache medievali ed in particolare dagli statuti delle
corporazioni artigiane che sancivano lunghi periodi di apprendistato ed una prova finale di mestiere per
l'accesso all'arte; queste restrizioni consentivano di esercitare un vigile controllo sulla qualit della
produzione. Fra i secoli X e XIII sorsero in Francia le corporazioni pi antiche (a Rouen nel 938, a PontAudemer nel 1093, a Strasburgo nel 1104, a Mulhouse nel 1297); durante il regno eli Luigi IX, nel 1324,
le associazioni artigiane vennero registrate nel Livre des mters, nel quale i conciatori non costituivano
un gruppo a s stante; Hnrico IV, poi, concesse l'esclusiva ad una corporazione di mestiere, gli hongroyeurs, di produrre cuoio "alla maniera del mastro Roze", il quale aveva importato un particolare
trattamento dall'Ungheria. Un successivo decreto regio del 184 estese a tutti i conciatori
l'applicazione di tale metodo. Dalle notizie raccolte da J. Jettamar, con particolare riguardo alla
produzione parigina, si evince che la celebre C'ommunuut des Guantiers (Parigi 1190) impiegava pelli
bovine, caprine, ma anche feline, di camoscio e di lepre per confezionare diverse qualit di guanti, dai
pi raifinati (persino foderati in pelliccia) a quelli di uso venatorie) (caccia al falcone); particolarmente
sollecita era la sorveglianza esercitata siili ingresso d ei nuovi adepti e sull'importazione delle materie
prime. Tra le associazioni parigine dei lavoranti del cuoio i cordonniers predominavano vigilando sulla
produzione dei diversi opifici artigiani. Chtellerault divenne la capitale del cuoio in quanto sede di
numerose concerie, e tale arte si diffuse anche a Poitiers, Niort, ecc. Le corporazioni, in genere
prescrivevano la durata dell'apprendistato (talvolta di almeno un lustro) e della permanenza delle pelli
in fossa, la trasmissione del mestiere per eredit (con diritto di vendita per le vedove), ed esercitavano
controlli di qualit sulla produzione e sulla liceit delle specializzazioni (decretando relative sanzioni
punitive per gli artigiani inadempienti). L'arte conciaria francese perse il prestigio del quale aveva
goduto sino al XVH secolo, in seguito all'abbandono del paese da parte dei numerosi conciatori ugonotti
(revoca dell:Editto di Nantes elei 1685). Nel 1734 per ostacolare la concorrenza della produzione
.inglese, gli statuti delle corporazioni dei lavoranti del cuoio (gi ampiamente revisionati nel corso degli
anni) subirono ulteriori modificazioni, per essere infine aboliti dall'Assemblea Nazionale che nel 1791
sanc la libert di lavoro. Il ruolo esercitato dalle associazioni d mestiere in Belgio e connesso alle
vicende poltiche del paese, in quanto gli artigiani svolsero una funzione sociale estremamente
rilevante (come forza aggregante, anche a carattere militare); talvolta giunsero ad assumere il titolo di
Nazioni (Nation de Saint Pierre a Bruxelles nei secolo XV) e le pi antiche godettero persino del blasone
nobiliare (Bruges, Gand, Maastricht, Namur); molto spesso sulla produzione vennero apposti
caratteristici sigilli di provenienza"'". La pi antica corporazione tedesca degli artigiani del cuoio
probabilmente quella berlinese degli Schuster ( corrispondenti ai sutores laum del 1284; tra le
numerose altre ricordiamo a Colonia nel 1356 la Societas factorum albicorei- costituita da conciatori
che impiegavano l'allume (da albicoreum, cuoio bianco), in contrapposizione ai conciatori che
utilizzavano estratti vegetali e produce vano cuoi rossastri (rubicoreum) - e quella di Offenbach del
1338 che godeva dell'esclusivo privilegio di prelevare le cortecce di quercia per adoperarle come
conciante. Nella cittadina eli Rostock un editto del 1258 stabilisce la localizzazione delle concerie in

zone ricche d'acqua e al di fuori dell'abitato, sancisce la durata dell'apprendistato in tre anni (dei quali
l'ultimo di perfezionamento) e ribadisce il numerus dausus per l'accesso al mestiere. Le corporazioni dei
guantai, comparse in Germania sin dal secolo XIII e rinomate per la produzione di cuoio scamosciato,
crebbero con la migrazione degli Ugonotti francesi costretti ad abbandonare il loro paese: questi ultimi
nella citt di Halle diedero vita alla Maitnse cies ganliers francais refugis. Ricordiamo ancora la
Socelas et Fraternit^ Cerdonum del 1280 a Francoforte, e (databili intorno ai primi del XIV secolo) le
corporazioni di Amburgo e Norimberga (quest'ultima celebre per la fattura di corazze). In Westfalia, poi,
in relazione alla produzione e manifattura del ferro si svilupp la confezione di mantici e grembiali in
cuoio ad uso dei fonditori. Le concerie tedesche sorsero nelle zone delle grandi foreste (Westfalia e Turingia) e lungo il Reno, per sfruttare l'adozione di cortecce di pino e di querce (in quantit in genere 4 o
5 volte superiore al peso dei cuoi da trattare) come concianti e per disporre di rapidi trasporti fluviali.
Gli indizi relativi all'industria conciaria austriaca datano nel 1220, a Friesaeh in Carinzia, la prima
corporazione; tra il 1771 ed il 1772 l'imperatrice Maria Teresa sanc l'unificazione degli statuti
corporativi, incluso quello dei conciatori. La lavorazione dei cuoi assume particolare rilevanza in
Inghilterra: le prime corporazioni (Guilds) risalgono agli anglosassoni, lo stesso Riccardo II ne era socio
e del 1395 il decreto regio di approvazione delle prescrizioni della Sk-inners' Company, In genere gli
statuti delle associazioni di mestiere inglesi e la legislazione vigente localizzavano le concerie in ambiti
extraurbani ed in prossimit delle foreste, vigilando sullo scarico delle acque e sull'igiene dei
laboratori1. La produzione del cuoio inglese doveva la sua rinomanza alla lunga permanenza delle pelli
in fossa (la durata prescritta era di almeno un anno, ma per i cuoi migliori il trattamento poteva essere
protratto di altri due anni), alla continua ricerca di concianti vegetali ed all'applicazione di particolari olii
in fase di rifinitura della lavorazione. A tal proposito ricordiamo lo studio dei concianti vegetali condotto
da W. Maple in A complete and effettive method oftanning del 1720. Citt celebri per le industrie
conciarie sin dai primordi furono: Bernick-on- Tweed. Colchester, Oxford e successivamente anche
Londra. Ai produttori inglesi di pellicce era imposta la vendita di pelli integre (cio complete di testa) al
fine di garantire la rispondenza qualitativa dei manufatti. La Leathersellers ' Company in epoca
elisabettiana ottenne il monopolio della lavorazione del cuoio; a questa compagnia si deve la diffusione
dei cuoi cosiddetti marocchini" e scamosciati di pelli bovine, di foca o di altri animali conciate con
sommacco francese (detto di Provenza) e con allume. Talvolta anche cuoi trattati con tannini meno
pregiati, come il basan (bazzana, pelle di montone), venivano spesso proposti in qualit di marocchini.
In Scozia celebri furono le associazioni di mestiere dei guantai (Pertli 1165); anche in Irlanda i centri di
Dublino e Limerick erano rinomati per la produzione di raffinatissimi guanti ottenuti impiegando pelli di
aborti di capretti, similari a quelli francesi detti gants de peau de potile - e la citt di Worchester,
specializzata in tale confezione, divenne il fulcro del commercio dei guanti, finche nel 1826 vennero
aperte le frontiere ai manufatti stranieri. Le notizie in merito alla lavorazione dei cuoi riguardo alle
civilt iberiche sono contrastanti: infatti possibile sia che tale arte sia giunta sulla penisola in seguito
alla dominazione araba, sia che la ricacciata dei Mori nell'Africa settentrionale abbia diffuso nel
continente le conce ai tannini. Di certo popolazioni africane come gli Iloussa o i Cafri impiegavano
decotti di mangrovia, acacia ed altri vegetali per ottenere una produzione di cuoi qualitativamente
mediocre. In seguito gli Arabi diffusero trattamenti concianti tecnicamente poco avanzati consstenti nel
rinverdimento in acqua stagnante e nel piegaggio con infusioni di fichi secchi, miele fermentato e sale,
ma anche l'impiego, per la depilazione ed il trattamento in fossa, del "latte di calce" . Tali metodi, anche
se primitivi, producevano cuoi di ottima qualit . Infatti durante il califfato di Cordova (711), ad
esempio, la citt era rinomata per la lavorazione di un particolare tipo di cuoio detto appunto
cordovano. Con la cacciata dei Mori gli artigiani spagnoli si trasferirono nel Nord-Africa ed in Italia, qui si
specializzarono soprattutto nella lavorazione a sbalzo e nella ricopertura dei manufatti in cuoio in oro
ed in argento che ebbe ampia diffusione (anche per rilegature d'arte). In Svizzera le corporazioni di
conciatori risalgono al 1384 (Basilea): agli adepti era imposto l'obbligo di non trattare pellame di
animali morti per malattia, di equini, di cane e di lupo. Il conciante pi diffuso era la corteccia di abete o
di betulla. In Ungheria, secondo la tradizione orientale, la concia pi diffusa era quella all'allume con
produzione delle rinomate pelli bianche; celebre sin dal XIV secolo anche la confezione di manufatti di
selleria. In Italia le associazioni di mestiere si diffusero molto presto e la produzione del cuoio si
svilupp soprattutto nelle Repubbliche marinare, le quali avevano la facolt di importare le materie
prime e di esportare all'estero i manufatti prodotti. Dal XV al XVIII secolo i cuoi italiani furono apprezzati
in tutta Europa: fiorente era anche il commercio con i centri d'importazione (Armenia, Egitto, Libia, ecc.)
e spesso i tannini erano citati tra le merci di carico delle navi e le pelli secche come zavorra. Indizi sulla
lavorazione delle pelli in Italia sono riportati nella Dispulalio de foannis Costaci quod ex arte coriorum
infici aerpossit etpestis procreali del 1580, che descrive i processi di rinverdimento, depilazione, concia
in fossa, colorazione, ecc. al fine di evidenziare i pericoli d'infezione derivanti da tali trattamenti.
All'epoca i pareri in merito erano tuttavia discordi, se Shakespeare nelV Amleto (Atto V, scena I)
sostiene che i conciatori resistevano meglio alle infezioni, e pi tardi, gli stessi medici esercitavano
talvolta la loro professione vestiti di cuoio a protezione dalle malattie. A Torino sin dal XIV secolo
sorsero varie associazioni di mestiere: il governo impediva il lavaggio delle pelli e lo scarico dei detriti di
conceria nelle acque di uso pubblico, ed in seguito all'epidemia di peste del 1630 i conciatori furono
addirittura temporaneamente espulsi dalla citt; a queste restrizioni tuttavia fece seguito il Trattalo
della peste et pestifero contagio di Torino (Torino 1631) di Giovanni Francesco Fiocchetto che riporta le

considerazioni dei medici francesi dell'epoca, secondo i quali i lavoranti del cuoio (a contatto per
mestiere con allume, calce, cortecce di quercia, galle, ecc.) risultavano immuni al morbo. L'arte
conciaria, oltre che a Genova, Pisa, Venezia e Torino, era diffusa ad Aosta, Asti, Bologna, Ferrara,
Firenze, Lucca, Mantova, Milano, Napoli, Parma, ecc. come si evince dall'esistenza delle relative
corporazioni. Anche in Italia gli statuti delle associazioni artigiane sancivano la durata della
permanenza delle pelli in fossa, i controlli di qualit sui manufatti, la regolamentazione dell'accesso
all'arte, ecc. L'Arte della Polleria eli Lucca (XIII secolo) prescrive ai macellai d fornire il pellame ai
conciatori nelle ore notturne; i Libri Statutorum Magnificae Ovtatis Parma-e (1559) sanciscono la
localizzazione delle concerie al di fuori dell'abitato e a debita distanza dai pozzi pubblici; le cronache
fiorentine di Dino Compagni annoverano la lavorazione del cuoio tra le 12 arti maggiori e Cosimo dei
Medici istituisce l'Universit dei Mastri del Cuoiame. A Firenze lo stazionamento delle pelli pesanti in
fossa si protraeva per non meno di 18 mesi e prefissati erano pure i prezzi dei cuoi e la durata di lutti i
trattamenti. Le concerie piemontesi erano note sin dal Medioevo: a Torino era sita V Universit dei
Conatori sotto la protezione di Sant'Orso; dal 130 la durata del trattamento in fossa era, anche in
questo caso, di almeno 18 mesi e l'apertura delle fosse, a ciclo concluso, era demandata all'autorit
comunale. Notevoli sono gli indizi relativi all'impiego delle sostanze concianti nella nostra penisola:
dalle galle di Piemonte (di quercia), al sommacco, al mirto, alla va- lonea (parte della ghianda prodotta
dalla Quercus Aegilops, diffusa oltre che in Italia meridionale, in tutto il Mediterraneo, Grecia, Albania
ed anche in Asia minore) ma soprattutto alla rusca
(corteccia di quercia, in genere sughero o rovere) ed alla
pessera (corteccia di pino). Bench fosse ampiamente
diffusa la lavorazione del marocchino, notevole era
l'importazione di pelli cos trattate, ed in particolare
modo, di cuoi tinti (con cocciniglia, indaco, curcuma e
melograno) provenienti dall'Egeo, dal Medio Oriente e
dall'Asia Minore. I pi antichi trattati inerenti alla
lavorazione del cuoio risalgono gi al XV secolo,
l'ottaniacinquesimo capitolo del volume La piazza
universale di tutte le professioni del mondo.... di
Tommaso Garzoni stampato a Venezia nel 1585
(De'Maestri di cuoiame onero de' Cuoiai) riporta notizie
generiche sulla manifattura delle pelli leggere ed in
particolare sui procedimenti atti a garantirne elasticit e
duttilit. Numerosi cenni sull'arte conciaria sono
rilevabili in diverse opere redatte dal XVI al XVIII secolo ma in quanto spesso tali notizie appaiono vaghe ed
inesatte - risultano pressoch irrilevanti per lo studio
delle tecniche di lavorazione del cuoio bench talvolta
contengano informazioni sulle sostanze concianti e sui
metodi di fabbricazione. Le testimonianze iconografiche
raccolte nei dizionari enciclopedici del tempo, invece
raffigurano esplicitamente le fasi di manifattura dei cuoi
e persino le lavorazioni particolareggiate di pellicce,
oggetti di selleria, guanti, ecc. . L'opifcio e gli stmmeiiTi
del fabbricarne di marocchino

L'opifcio e gli strumenti


fabbricarne di mamcchiuo

del

A
Immersione delle pelli nelle vasche per la tintura. Sono visibili 3 vasche che presuppongono un
lavorante per ciascuna.
B
Disposizione delle pelli sul cavalletto, via via che vengono rimosse dalla miscela all'allume.
C
Lavaggio per l'asportazione dei residui della tintura.
D
Lisciatura del marocchini) rosso.
F
Caldaia in rame per la bollitura della miscela colorante.
F e G Caldaie pi piccole per il travaso della tintura. Nell'illustrazione i due recipienti sono disposti su
un fornello allo scopo di mantenere calda la miscela.
H
Vasca per la tintura delle pelli.
I
Rastrello per la tintura.
K
Badile per agitare la miscela trattante.
L
Treppiede sul quale si pone il recipiente collocato tra le due caldaie.
M
Tinozza per il travaso della tintura.
N
Mastello tondo per l'allumatura.
O
Setaccio, in tela che funge da coperchio per la caldaia.
P
Gancio per la torsione delle pelli da sgocciolare.
Q
Altro setaccio per la chiarificazione della tintura.

R
Cerchio in ferro, fissalo alla parete tra le due caldaie, per il sostegno dei setacci.
S
Bricco per l'addizione del ratto nelle vasche.
T
Vasca.
V
Marocchino steso sul cavalletto per la lisciatura.
X
Rullo in legno per la lisciatura del marocchino rosso.
Y
Bulbo in vetro per la lisciatura del marocchino nero.
Le operazioni preliminari sono .simili a quelle attuate dagli altri fabbricanti di cuoi (ianneur, cotroyeur.,
mgissier); in questa tavola sono illustrati, invece, i trattamenti tipici della lavorazione del marocchino.
Allo scopo di fondere le esperienze eli tradizione artigiana e le nozioni rilevabili mediante ricerche
bibliografiche inerenti alle "arti fisiche", la Reale Accademia di Francia promosse la redazione di
considerevoli trattati ad opera di eminenti studiosi del XVI11 secolo. In questo clima culturale venne
stilato da Jerome De La Lande, a Parigi nel i7n. L'art du tanneut; i cui diversi paragrafi riportano; gli
ambiti territoriali di provenienza dei vari tipi di pelle e le loro intrinseche peculiarit, le tecniche di
conservazione (in genere impiegando sale denaturato con cenere), le fasi di rinverdimento, la
depilazione alla calce (mediante successive immersioni, delle quali, le finali con calce nuova), la
macerazione (adottando sostanze graminacee sia allo stato puro che fermentate), i trattamenti di
concia e la manifattura di "cuoi speciali". Il capitolo sull'analisi dei sistemi di concia riporta l'elenco
delle sostanze impiegate allo scopo nei vari paesi (la mangrovia nel continente africano, le galle turche
e l'acacia in Egitto, tamarisco e sommacco in Italia ed in Spagna, il knop- pern in Ungheria e la betulla
nei paesi nordici) nonch l'elenco elei vegetali contenenti tannini (nelle radici, nel legno, nella
corteccia, nelle foglie, nei fiori, nei frutti o nei semi). La tecnica consigliata prevede l'impiego come
conciante di cortecce di quercia macinate, descrive i metodi di applicazione delle sostanze trattanti, la
disposizione delle pelli e la durata dello stazionamento in fossa. A questo proposito il De La lande
prescrive, per ottenere cuoi di ottima fattura, bagni concianti della durata di tre anni (di tradizione
anglosassone), ma ipotizza anche un procedimento pi rapido consistente Dell'agevolare la
penetrazione elei conciante riscaldandone la soluzione: con questa tecnica lo stazionamento delle pelli
in fossa poteva essere ridotto ad un anno e mezzo. I cuoi conciati, essiccati per almeno tre settimane in
un luogo areato, andavano poi spianati in superficie battendoli con mazzuoli (lignei o in rame)
assicurandone una migliore compattezza. Altri sistemi di concia ineriscono alle pelli di Valachia o di
Transilvania (macerate a depilazione avvenuta in orzo e segale fermentati), ai cuoi danesi (conciati "a
sacco", cio cucendo le stesse pelli a sacco ed inserendovi all'interno le infusioni di tannini), ed ai
trattamenti per le diverse pelli equine, caprine e persino umane; per la prima volta compaiono poi
termini tecnici di peau evi tripe (per indicare il caratteristico aspetto delle pelli in alcune fasi di
lavorazione) e di tra- vaux de rivire (identificando con essi i processi di concia, in genere sottolineando
l'impiego eli acqua corrente). Il volume riporta infine un prezzario delle materie impiegate e dei costi di
manifattura delle pelli (relazionate ai rispettivi costi inglesi) e la descrizione delle imperfezioni
rinvenibili sui vari tipi di cuoi ed imputabili sia alle pelli gregge che a difetti di fabbricazione. Nel
successivo trattato (1767) Vari du eotroyeur, l'autore descrive, invece, le operazioni di rifinitura delle
pelli (ingrassaggio, stiramento, levigatura e lucidatura) ed i processi di manifattura di alcuni cuoi
particolari: il cuoio di Russia, lo cbagrn (o zigrino) ed il cuir bouilli {cuoio bollito). L'introduzione della
lavorazione del cuoio di Russia in Francia viene attribuita da De La Lande ad un artigiano tedesco e
prevede l'adozione di un bagno conciante con allume e tannini vegetali, di un trattamento con olii
estratti dalle piante di ruta e di sabina e di una tintura con un colorante proveniente dal legno rosso del
Brasile . Riguardo allo cbagrn l'Autore ne fa derivare il termine dal presunto chat- marin (pesce, la pelle
del quale sarebbe stata utilizzata per la fattura dello zigrino, in sostituzione di quella equina) avrebbe
dato appunto origine alla denominazione cbagrn ida grain-de-chai)u. Il De La Lande descrive il cuir
bouilli come prodotto di pelli bovine scaldate in una miscela di adesivo, gomma, resine e cera (in
proporzione e secondo ricette diverse e segrete a seconda dell'officina d'origine) modellate a caldo, le
quali a raffreddamento avvenuto, assumevano la forma definitiva; il materiale ottenuto con questi
procedimenti trovava largo impiego nell'oggettistica del tempo. Il XVIII secolo pullula di pubblicazioni
successive a quelle del De La Lande ad opera di studiosi tedeschi, olandesi, inglesi e francesi (tra i quali
gli enciclopedisti Diderot e D'Alembert). Per tutto il Settecento la tecnologia chimica conciaria non sub
rilevanti variazioni mentre si evolsero sistemi meccanici di fabbricazione soprattutto con l'adozione,
anche nell'ambito delle concerie, delle macchine a vapore. Le industrie del cuoio in seguito
focalizzarono l'attenzione sull'adozione di sostanze concianti alternative e sulla velocizzazione dei
processi di produzione. Dopo la Rivoluzione francese, con la crescente richiesta di cuoi per scopi bellici,
fu illustrata da A. Seguin alla Convenzione Nazionale una tecnica di lavorazione delle pelli che
consentiva di produrre cuoio in tre settimane. Il procedimento utilizzava come concianti cortecce di
quercia (macerate in botte e ripetutamente lisciviate) per trattare cuoi appesi verticalmente in fossa
per tre o quattro settimane. Tentativi simili furono condotti anche in Germania da Herbstaeclt che
conci pelli bovine in cinque settimane (piuttosto che in un anno) impiegando estratti eli quercia e di
sommacco; ed in Inghilterra da Desmond, il quale analizz anche la rilevanza dei tannini nei bagni
concianti (metodo densimetrico di controllo del contenuto tannico dei bagni concianti). Questi
espedienti tuttavia si rivelarono eccessivamente dispendiosi ed inefficaci per la produzione di cuoi
qualitativamente validi e poco permeabili. Nel XIX secolo con lo sviluppo della tecnologia industriale
vennero studiati vari procedimenti in grado di migliorare le lavorazioni: l'impiego della pressione

associata ad elevate temperature, l'utilizzazione di soluzioni concianti sature, l'adozione di agitatori per
le miscele e persino la preparazione per crivellazione delie pelli e quai- siasi altro accorgimento utile a
favorire hi penetrazione delie sostanze concianti. Al fine di accelerare i processi di assorbimento sulle
pelli del conciante venne impiegata anche la corrente elettrica. Infine i fratelli Durio, riconoscendo
l'inutilit delle pratiche sinora esposte, proposero l'impiego delle botti girevoli in genere adottate per i
processi di preconcia e di rifinitura (colorazione, ammorbidimento, ecc.) e l'utilizzazione di miscele
tanniche relativamente concentrate anche per la fase di concia. Tale tecnica, brevettata nel 1892,
prevedeva inoltre l'uso della .soluzione con-ciante ad una temperatura variabile dai 35 C ai 45 C a
seconda del tipo di pelle da trattare per un periodo di concia compreso tra i due ed i tre giorni. Il
metodo Durio fu largamente adottato in seguito all'Esposizione Universale di Parigi del 1900,
nell'ambito della quale riscosse notevole successo. L'industria conciaria moderna preferisce sfruttare
sistemi di preparazione delle pelli piuttosto che impiegare conce ultra rapide: i cuoi, dopo uno o pi
bagni preparatori vengono conciati in botte utilizzando miscele concentrate per almeno 15-20 giorni. Le
attuali tecniche di lavorazione del cuoio non adottano conce al vegetale in fossa se non per attuare
trattamenti preliminari che si concludono con i normali procedimenti in vasca o in botte; tutto il
processo prevede un periodo di manifattura compreso tra i tre ed i sei mesi. Il metodo di concia
"all'inglese", invece, presume l'impiego di soluzioni suc-cessive e sempre pi concentrate (riscaldate
per le immersioni finali) durante le quali le pelli risultano variamente disposte; le elevate temperature
degli ultimi bagni determinano un agevole assorbimento dei tannini e la relativa reazione trattante sul
collagene assicurando una concia completa in pochi mesi. Il sistema Dufour-Lepetit infine utilizza una
soluzione a concentrazione stabile immessa in circolo per tutta la durata del bagno conciante (20-25
giorni). Oggi, al fine di ridurre l'impiego di sostanze tanniche e di abbreviare i tempi di lavorazione, si
usa preparare le pelli rendendone le fibre atte a ricevere le miscele concianti. ]n concia a vegetale non
storicamente la pi antica, infatti anche .se i tannini venivano usati per scopi terapeutici e per
produrre inchiostri sin dalle epoche pi remote, ci sono pervenuti scarsi indizi sul loro impiego in
relazione alla lavorazione dei cuoi. Itannini sono sostanze solubili in acqua; tali soluzioni in presenza di
sali ferrici reagiscono con la gelatina e con l'albumina (materie costitutive delle pelli) dando luogo a
prodotti conciati variamente colorati. Chimicamente sono composti da esteri idrolizzabili (derivati
dell'acido gallico e dell'acido ellagico, presenti nelle noci di galla, nei mirabolani, nel sommacco, nel
castagno, nella quercia, ecc.), o da nuclei condensati con legami tra atomi di carbonio (derivati delle
caie- chine sotto forma di glucosidi contenenti vari gruppi fenolici) . Capacit concianti erano
riconosciute alle cortecce di quercia, betulla, salice, pino e abete, al mirabolano (estratto dai frutti di
alberi della famiglia delle Com- bretaceae. di origine indiana e birmana)., alla valonea ed al sommacco
(diffuso nel Mediterraneo e nel Nord-Africa). L'opera di M. NIERENSTHIN, Incunahula of Tannin
Chemistry, stampata a Londra nel 1942, riporta notizie farmacologiche inerenti all'impiego delle galle di
quercia rilevabili nel trattato Hortus Sanitatis di Peter SCHFFER (Magonza 1485), e di miscele estratte
dalle scorze di melograni in Ilyppocrales Chymicus, di O. TACHIMUS (Venezia 1666). II pi
antico
estratto tannifero vegetale fu quello di gambier; impiegato per la colorazione di tessuti e come
mordente in Malesia e nelle Indie orientali, proveniente da foglie e rami della Clucaria gambr e ci altri
vegetali similari, della medesima origine. Risalenti al XIX secolo sono l'estratto di cortecce di acacia o
mimosa (Nuovo Galles del Sud, e successivamente Australia, Somalia, ecc.), di mangrovia (ricordalo
con il termine m-angle dal De La Lande, e presente nelle cortecce di alcune piante tropicali originarie
dell'Africa meridionale, del Madagascar , del Tanganica, ecc.), di quercia (Quercuspeduncolata della
Nuova Scozia), di pino (d'Ungheria, ma anche d'Aleppo -Pinus halepensis- diffuso nel Gargano, in
Dalmazia, in Algeria, in Tunisia, in Tripolitania, ecc.) e di bemlock (Canada e America del Nord).
All'estratto di castagno, largamente diffuso (soprattutto in Italia e Francia) ed impiegato nel continente
europeo per la tintura tessile furono riconosciute capacit concianti solo nel 1845 . Di scarsa
applicazione nell'industria conciaria fu, invece, l'estratto di legno di quebracho (Argentina
settentrionale nel 1878. Paraguay, ecc.) per la presenza massiccia di sostanze insolubili, alla quale si
ovvi solo pi tardi. Nell'ambito della produzione conciaria, al fine di utilizzare al meglio gli estratti
tannici vegetali, sono stati realizzati vari metodi di depurazione e decolorazione delle soluzioni
concianti che hanno condotto all'impiego di: abete. badan. castagno, gambier, hemlock mangrovia,
mimosa, pino, quebracho, quercia, sommacco, tizera, valonea, ecc. La gran parte degli odierni cuoi
conciati a) vegetale, risulta, per, trattata con estratti di castagno (Italia e Francia), di mimosa (Sud
Africa) e di quebracho (Sud America), se si escludono produzioni locali ottenute impiegando vegetali
tipici. Tra le conce minerali la pi antica quella all'allume, usato sin dalle epoche pi remote come
mordente per la colorazione di pelli e tessili. Il cuoio prodotto, tuttavia, risulta poco resistente all'acqua
che appare in grado di deconciare le pelli cos trattate solubilizzando i sali di alluminio impiegati come
conciante; questi ultimi, infatti, non riescono a stabilire col collagene legami chimici pi stabili. Del XVIII
secolo sono invece i primi brevetti di concia con sal di ferro o di zinco. La concia al cromo fu brevettata
nel 1853, il cuoio risultava conciato contem-poraneamente al cromo ed al ferro, ma la predominanza di
quest'ultimo elemento dava luogo alla produzione di pelli poco resistenti. A F. Knapp si deve il
riconoscimento della reale capacit conciante del cromo e della rilevanza della basicit per
l'applicazione del trattamento. Per un proficuo impiego delle conce al cromo, infatti, necessario che le
pelli da trattare risultino acide; a questo scopo vengono oggi adottati bagni di acido solforico contenenti
cloruro di sodio: tale procedimento prende il nome di pedaggio (dall'inglese topickie, conservare sotto

sale). Li pelle in trippa piclaia reagisce con i sal basici di cromo, in seguito, dopo avere neutralizzato
l'acidit della soluzione, si acidifica il prociotto concinio, si regolarizza la superficie delle pelli e si
procede alla tintura, ingrassatura e rifinitura dei cuoi trattati. 1 sali di cromo si distribuiscono
probabilmente sulla superficie delle pelli e all'interno delle fibre, ma i meccanismi reali di concia
risultano tuttora poco chiari, anche se i cuoi cos confezionati appaiono piuttosto resistenti all'acqua, al
calore, ai raggi luminosi e particolarmente idonei a ricevere i processi di tintura. Vi furono, poi.
numerosi altri studi sugli effetti concianti di sali di cromo e di allumnio e si estese alla lavorazione delle
pelli il sistema per la tintura di fibre tessili con bicromato di sodio (successivamente ridotto postassorbimento con iposolfito di sodio), ma il prodotto ottenuto presentava tonalit di colorazione
inadatte all'applicazione nell'industria conciaria. Nel 1893 Martin Dennis realizz, infine, la concia ad un
unico bagno di sali di cromo (solfato basico eli cromo); in seguito, venne studiata anche la concia allo
zirconio (che produce cuoio bianco piuttosto solido e resistente) ed altre conce minerali a base di sali di
alluminio, stagno e zinco. Attualmente si eefca di utilizzare per la concia, oltre ai tannini, sostanze
inorganiche, organiche, naturali e di sintesi: grassi sintetici, aldeidi e dialdeidi semplici e polimere,
solfocloruri organici, chetoni e resine. Questi ultimi prodotti consentono di ottenere cuoi
particolarmente resistenti perch realizzano un processo di impregnazione delle pelli conseguente
all'assorbimento della sostanza conciante sotto forma di monomero. Gi nel 1805 C. Hatchett ottenne
composti organici sintetici, con caratteristiche concianti, dall' ossida zione (con acido nitrico) di carbon
fossile, di carbon di legno e di pece; questi prodotti, per lo pi solubili in acqua, furono analizzati anche
da altri studiosi che giunsero ai medesimi risultati impiegando torba, lignite ed altri derivati del
carbone. Queste sostanze in quanto prodotti fenolici si combinano con la gelatina ed i sali metallici
generando un processo conciante simile a quello prodotto dai tannini naturali. L'industria conciaria
odierna impiega i tannini sintetici soprattutto in combinazione con quelli naturali specialmente per i
processi di preconcia e di riconcia. Recente l'adozione nei trattamenti di concia di estratti di cellulosa
ottenuti dalla fabbricazione di tale materiale mediante processi al solfito, in qualit di residui di
lavorazione. Opportunamente depurate tali sostanze vengono utilizzate per i processi di riconcia, in
quanto la combinazione col collagene risulta facilmente idrolizzarle e meno stabile rispetto all'uso dei
tannini vegetali e sintetici; combinati con questi ultimi, i solfiti di cellulosa appaiono, per, in grado di
aumentare la resa della produzione e di generare un effetto sbiancante imputabile alla presenza di
composti bisolfitici. Ricordiamo anche l'impiego di "conce combinate" al fine di produrre cuoi speciali, le
particolarit fondamentali dei quali (derivanti dal primo procedimento di concia) risultano associate a
determinate propriet caratterizzanti (imputabili al secondo meccanismo conciante); a questo proposito
citiamo le conce al cromo con riconcia ai tannini per la confezione di calzature "anfibie" impermeabili
all'acqua e la manifattura di capi d'abbigliamento. Le fasi finali d lavorazione delle pelli prevedono la
tintura, la lubrificazione ed i trattamenti di rifinitura: una serie di procedimenti per lo pi meccanici
tendenti a rendere i prodotti finiti morbidi, compatti, lucidi (lucidatura) e con la grana ben evidente
(granitura). Spesso i trattamenti di tintura ed ingrasso, nell'ambito dell'industria conciaria odierna,
avvengono nello stesso bagno e la lubrificazione segue sempre la colorazione. Per la tintura eli pelli
conciate al cromo di norma si impiegano coloranti anionci (sali, la parte colorante dei quali e acida per
cui reagisce egregiamente con cuoi conciati al minerale), mentre il pellame trattato al vegetale appare
talvolta gi tinto, anche se spesso in maniera non uniforme, poich i tannini posseggono di per s
qualit coloranti. Per la lubrificazione, invece, (che tecnologicamente risulta problematica in relazione
alle reali capacit di penetrazione delle sostanze impiegabili) si adottano emulsioni acquose di olii e di
grassi vegetali, animali e sintetici, impregnandone i tessuti prima della loro completa asciugatura. L:
ingrassaggio garantisce al prodotto finito morbidezza, uniformit, una certa impermeabilit ed una
migliore coesione fibrosa assicurandone rilevanti qualit meccanico-fisiche . L'abbondanza ed il
pregevole stato eli conservazione dei reperti archeologici in cuoio pervenutici testimoniano la durabilit
del materiale che, tuttava, non risulta (in quanto biodegradabile) immune ai deterioramenti: sia che
questi ultimi appaiano connessi alla struttura intrinseca delle pelli sia che risultino imputabili a fattori di
degrado esterni. Perche i trattamenti di concia producano cuoi stabili (dal punto di vista chimicostrutturale) necessario che la misurazione del pH dia valori compresi tra il 3 ed il 6; in queste
condizioni le sostanze concianti risultano perfettamente fissate alle fibre di collagene ed appare inibito
l'accesso agli agenti di deteiiorameito. Se il pH scende al di sotto del livello di guardia il trattamento
conciante degenera e l'acido in eccesso (accumulato all'interno del tessuto) corrode le fibre di
collagene rendendo il cuoio dapprima molto morbido ed in seguito logorandolo del tutto. l'ale processo
innescato da conce errate si acuisce in presenza di atmosfera inquinata da anidride solforosa, che, per
azione dei tannini (provenienti da conce vegetali) si trasforma in acido solforico, il quale distrugge il
cuoio spezzandone le fibre. Un pH al di sopra del valore 6, cio basico, produce, invece, l'indebolimento
e l'eccessiva rigidit delle pelli trattate. Ulteriori degradi imputabili a difetti di confezione del pellame
possono correlarsi a fasi differenti di lavorazione: i processi di rinverdimento, depilazione e purga,
infatti, comportano l'impiego di sostanze che, se usate in maniera incauta, possono intaccare le fibre
costitutive del materiale prociucendo cuoio particolarmente debole e fragile; le conce, inoltre, possono
risultare non uniformi nel caso in cui le sostanze trattanti siano penetrate in maniera disomogenea nei
tessuti, o poco soddisfacenti, se lasciano sul manufatto finito residui acidi o salini (rispettivamente
prodotti da conce vegetali e minerali) che ne causano l'irrigidimento. Tra i fattori esterni di degrado del
cuoio necessario annoverare: brusche variazioni termoigrometriche in grado di determinare processi

di assorbimento- desorbimento dei tessuti che ne compromettono l'integrit e la resistenza fisicomeccanica; radiazioni luminose improprie che agiscono direttamente sulle fibre di collagene
intaccandole; ma, soprattutto, l'acqua che penetrando nella struttura costitutiva del materiale ne
rigonfia i tessuti solubilizzando alcune sostanze concianti, facilita l'impianto di microrganismi, produce per idrolisi - la rottura delle fibre di collagene e, in presenza di temperature elevate, pu addirittura
condurre alla gelatinizzazione del pellame1 Le notizie ampiamente riportate sulla manifattura del cuoio
(attraverso il tempo ed i luoghi) e le considerazioni relative alla deperibilit d tale materiale
consentono oggi di pervenire ad una valutazione puntuale delle caratteristiche strutturali e dei
trattamenti atti a garantirne la durabilit. In quest'ottica deve essere inquadrata l'opera specialistica di
B.M. HAJNES (allieva del celebre R. RKHD), la quale partendo dalla struttura chimico-istologica del cuoio
ne ha sottolineato i fattori di deterioramento soprattutto in relazione ai trattamenti di lavorazione atti a
renderlo funzionale all'uso. La ricercatrice ha infatti individuato i requisiti necessari per rendere il cuoio
idoneo alla confezione di materiale librario rispondente alla conservazione. Le pelli impiegabili per le
legature devono, pertanto, possedere determinate caratteristiche: resistenza e bassa biodegradabilit,
nonch elasticit e conformit a particolari fasi di lavorazione, quali l'incollaggio (con adesivi acquosi),
l'impressione a secco, la doratura, ecc. Questi fattori risultano in prima analisi connessi alle
caratteristiche istologiche del pellame. Analisi - effettuabili con l'impiego di un microscopio elettronico delle sezioni trasversali e verticali di campioni in cuoio evidenziano la disposizione disomogenea dei
fasci fibrosi (d collagene) attraverso lo spessore del tessuto ed il caratteristico assottigliamento delle
fibre procedendo dal corio (strato intermedio) verso la superfcie esterna (grana). Il tessuto presenta
peculiarit diverse in ogni specie animale, riassumibili nel variare dello spessore (soprattutto in
relazione allo spessore totale rispetto a quello della grana) e delle dimensioni, nonch della
disposizione dei fasci fibrosi. Tali fattori rendono, ad esempio, inutilizzabile - ai fini della legatoria
conservativa contemporanea - le pelli dei bovini adulti; queste, infatti, presentano uno spessore
eccessivo che ne preclude l'impiego; inoltre un eventuale assottigliamento (spaccatura)
determinerebbe un notevole indebolimento del tessuto. non accettabile in considerazione della
durabilit richiesta ai materiali per il restauro'6. Le pelli di vitello presentano le medesime peculiarit
del bovino adulto, ma lo spessore totale del tessuto e le dimensioni dei fasci fibrosi sono connessi
all'et dell'animale ed aumentano proporzionalmente a quest'ultima, per cui questo pellame risulta
parzialmente utilizzabile per i nostri scopi. Le pelli ovine e caprine sono caratterizzate da strutture
differenti da specie a specie (spessore dei diversi strati nonch dimensione e densit dei fasci fibrosi).
Caprini e ovini a pelo liscio appaiono contraddistinti da un tessuto fibroso omogeneo bench sottile,
mentre gli ovini eia lana, pur presentando uno spessore totale maggiore, risultano meno rispondenti
alla manifattura del cuoio, poich la .struttura rivela una densit fibrosa ridotta (in relazione alla
distinzione tra corio e grana) dovuta alla predominante presenza di pelame. Nelle pelli suine il pelo
penetra l'intero spessore del tessuto e le fibre creano una struttura caratteristica, nella quale i diversi
strati non risultano distinti. Anche l'arrangiamento follicolare, evidente a depilazione avvenuta, rivela
di-sposizioni tipizzanti per le diverse specie animali; esso risulta "il principale elemento di
identificazione, sia a livello microscopico che macroscopico"1'. La disposizione fibrosa, inoltre varia in
relazione alla posizione del tessuto sull'animale: la schiena appare la zona strutturalmente pi
compatta, la regione ventrale in maniera minore, mentre le quattro aree ascellari risultano alquanto
disomogenee. Di conseguenza per la scelta del pellame da rivestimento bisogner far coincidere le
zone della legatura maggiormente soggette a trazioni meccaniche e d'uso con quelle pi resistenti del
tessuto (l'asse testa-coda dell'animale corrisponder al dorso del libro), scartando le regioni ascellari.
Esaurita la disamina delle caratteristiche strutturali intrinseche del cuoio, ana-lizziamo, a questo punto,
le peculiarit derivanti dai processi di manifattura. Le fibre di collagene dispongono di un certo numero
di legami chimici in grado di garantirne (a temperatura moderata) la stabilit, ma non sufficienti ad
inibire l'azione dei batteri; per cui ad una temperatura superiore ai 60 C le pelli si contraggono. A
questi inconvenienti pone rimedio, come abbiamo gi sottolineato, il trattamento di concia, il quale
impedisce la putrefazione e stabilisce (col collagene) legami chimici pi solidi (verificabili
sperimentalmente, poich le pelli conciate per contrarsi necessitano di temperature pi elevate). Per
garantire la penetrazione del conciante, sui tessuti si effettuano preventivamente processi di pulitura e
depilazione. Se questi trattamenti utilizzano sospensioni di calce, tale sostanza oltre a collassare i peli e
l'epidermide - rimuove dalla pelle le proteine solubili creando dei capillari puliti attraverso i quali la
miscela conciante pu essere assorbita velocemente. Come sappiamo, la migliore resa dei trattamenti
concianti in ambiente acido, ha diffuso l'abitudine di ridurre l'alcalinit prodottasi durante i bagni in
soluzioni di calcio. Tuttavia, se sino al 1850 per questa operazione si impiegavano acidi organici diluiti
(originati dalla fermentazione di miscele tanniche naturali - acido butirrico, acido acetico ed acido
lattico -), oggi, a questo scopo, vengono utilizzati sali di ammonio (spesso seguiti dal trattamento con
una soluzione di acido solforico ed acqua salata). Questa innovazione tecnologica gi sufficiente ad
asportare completamente il calcio dalla pelle; mentre nei cuoi di vecchia fattura proprio la rimozione
parziale dei sali di calcio ne ha assicurato una durabilit maggiore agendo da fattore tampone rispetto
all'acidit dell'atmosfera. Tra le soluzioni concianti, quelle all'allume rivestono una posizione impropria,
in quanto possono facilmente essere rimosse Guasta lavare le pelli) e i cuoi con esse trattate si
contraggono a basse temperature poich non sono in grado di stabilire col collagene un solido legame
chimico; probabilmente, infatti, la resistenza di tali cuoi imputabile all'elevato contenuto salino. Gli

estratti tannici vegetali, invece, assumono un'importanza fondamentale, poich essendo costituiti da
elementi concianti ed altri non concianti, annoverano tra questi ultimi (oltre agli zuccheri) sali a basso
peso molecolare (di acidi organici e di fenoli) in grado di fungere da agenti-tampone ed assicurare,
quindi, al cuoio una maggiore durabilit. Oggi si tende a trattare i cuoi da legatura associando alla
concia vegetale una successiva concia minerale. Relativamente a questa pratica la riconcia al solfato o
cloniro di alluminio ha prodotto cuoio qualitativamente pi resistente rispetto a quello riconciato al
cromo; tuttavia non stato sinora possibile individuare le modalit di tale meccanismo. Inoltre su pelli
conciate o riconciate al cromo non appare proponibile l'addizione di sali tampone, in quanto tali
sostanze risultano in grado di deconciare le pelli cos prodotte destabilizzando i legami del collagene col
minerale, Per questa ragione appare ancor pi necessario conoscere i trattamenti di concia applicati
alle pelli da utilizzare nell'ambito del restauro18. Del resto per verificare, ad esempio, la presenza di
cromo sufficiente bruciare un campione di cuoio fino a renderlo incandescente, la produzione di
cenere verde evidenzia la presenza del minerale . Relativamente ai processi di rifinitura del cuoio,
noto che le superfici trattate con emulsioni grasse appaiono parzialmente impermeabilizzate, per cui
risulta in qualche modo inibito l'assorbimento di sostanze esterne nocive (tra le quali, peraltro,
l'anidride solforosa). Tuttavia spesso tali composti vengono miscelati impiegando solfati e - bench i
lubrificanti non contengano acidi liberi - non ne sono stati, sinora, valutati gli eventuali effetti nocivi nel
tempo. Per la tintura, invece, vanno evitate le tecniche che comporterebbero la rimozione dei sali
protettivi, per cui appaiono preferibili i sistemi a spruzzo o a tampone piuttosto che quelli per
immersione in bagni coloranti. L'applicazione di vernici (resine acriliche), infine, pu comportare
problemi relativamente alla capacit adesiva di eventuali dorature; da questo punto di vista gli unici
composti utilizzabili risultano quelli a base di caseina. Per realizzare cuoi rispondenti alla legatoria
conservativa necessario, quindi, associare all'indispensabile duttilit alla lavorazione, la stabilit
intrinseca del materiale, nonch la sua durabilit e la capacit eli tamponare l'azione dei fattori esterni
di degrado (variazioni termoigrometriche, inquinamento atmosferico, ecc.). Purtroppo non semplice
esaudire tali esigenze, in quanto sovente alcuni agenti di deterioramento del cuoio risalgono alle fasi di
fabbricazione del materiale. Le ricerche sulla decomposizione dei cuoi, condotte a cura del BLMRA (British Leather Manufacturers' Research Association) da Faraday I\M> in collaborazione con la biblioteca
del British Museum a partire dal 1924, dimostrarono che l'assorbimento dell'anidride solforosa presente
nell'atmosfera accelerava il deterioramento dei cuoi. Tale degrado era dovuto essenzialmente ad un
processo di ossidazione delle molecole proteiche correlato alla presenza di acidit. In base a queste
deduzioni Innes mise a punto, al fine di valutare la durabilit dei cuoi, il test "PIRA" consistente nell'ine!
urre l'ossidazione di campioni provetta applicandovi prima un acido ed in seguito acqua ossigenata. Il
test pur avendo confortato le considerazioni iniziali si rivelato inesatto relativamente alla durabilit
dei campioni. In ogni caso la pergamena, i cuoi non conciati, quelli disidratati con acetone e quelli
conciati al cromo ed al sommacco risultano i meno deperibili. Oggi, per il restauro vengono adottati:
cuoi conciati al sommacco o comunque con tannini vegetali idrolizzagli (quelli condensati si deteriorano
facilmente); cuoi conciati al vegetale e riconciati con sali di alluminio: cuoi trattati al vegetale e
riconciati al cromo2". Quanto stato detto finora acquista la sua reale giustificazione solo se rapportato
allo studio del libro antico e di tutti gli elementi ad esso connessi quali soprattutto i materiali di cui e
costituito e le loro tecniche di manifattura. Pi in particolare ci rientra nell'ottica di una disciplina
ormai affermata nell'ambito dei beni librari quaf l'archeologia del libro che ha l'intento di "leggere" il
libro come manufatto per poter risalire, tramite tutte le informazioni non scritte ma in esso presenti,
alla conoscenza della cosiddetta cultura materiale la quale ultima tende a fornire nuove ed ulteriori
notizie sulle attivit manuali del passato. Ovviamente non questa la sede per una disamina delle
questioni pi o meno ideologiche che ruotano intorno all'archeologia del libro e che entrano a far parte,
direttamente o no, anche dei principii che informano teoria e prassi del restauro. Ma pur vero che ad
esse si ricollega un altro aspetto strettamente connesso allo studio del libro antico, che rientra nel
metodo d'indagine adottato; vale a dire un procedimento analitico d'esame degli elementi e delle
strutture del libro stesso osservati nell'ambito delle loro stratificazioni storico-cronologiche - che si
avvale del contributo di numerose discipline scientifiche: la fisica, la chimica, la biologia e finanche la
statistica e l'informatica. Senza volere discettare sulle implicazioni etiche derivanti dall'utilizzazione o
meno dei suddetti sistemi d'indagine, che nella maggior parte dei casi si avvalgono di analisi
distruttive, il caso, comunque, di sottolineare che la quantit di materiale necessario per il prelievo
dei campioni , per la pi parte dei casi, cos ridotta che la probabilit di pregiudicare una qualsiasi
ulteriore indagine conoscitiva nonch l'integrit fisica, storico-culturale e artistica del libro ,
praticamente, ridotta a zero. Ci detto opportuno accennare brevemente alle analisi che interessano
il cuoio. Fra le indagini non distruttive possiamo annoverare l'osservazione al microscopio
dell'arrangiamento follicolare mediante il quale possibile risalire alla identificazione della specie
animale d'origine. Il procedimento il medesimo seguito per lo studio della pergamena, fatta eccezione
per il sistema di illuminazione adottato che si realizza investendo la superficie da analizzare con un
fascio di luce radente. 20 Clr. B.M. Uaines, Bookbinding Lsaihei\ .The New Bookbindeix 7 (1987). pp. 6382, Un altro tipo di analisi consiste nella determinazione dello spessore dei campioni in cuoio che, nel
caso in cui risulti possibile effettuarla ed in quelli pi fortunati, pu fornire indicazioni utili a stabilirne la
zona anatomica di provenienza. Tra le analisi distai ttive vanno collocati tutti gli altri tests di natura
chimica e fisica ai quali si ricorre per acquisire notizie sul tipo di concia effettuata, tramite la ricerca e la

determinazione di sostanze concianti (grassi animali e vegetali, tannini, sali d'alluminio, ecc.), o per
accertare la presenza di elementi coloranti eventualmente utilizzati per la tintura. Per concludere utile
accennare anche al ricorso ad un'altra analisi esclusivamente visiva, da effettuare sul cuoio delle
coperte; per mezzo di quest'ultima, seppur empiricamente, si pu talvolta risalire, individuando
eventuali tracce, agli strumenti impiegati dagli artigiani per la messa in opera delle legature. 2
CIr.
G.A. BRAVO, Storia dei cuoio e deli arie conciaria, Torino. Associazione italiana chimici del cuoio, 1964,
pp. 209-212. 4 Cfi\. ^Chinile di! Cuir-, 9 (1955), pp. 3>37. 5 L'ordini; n della City of London riportala
da LA. CIARKSOK, in -leath. Tr. Rcv.=, 123 (1957), p. 233 6
A tal proposito si rinvia al a relazione
desunta dalle lezioni di Pier Giovanni An.:;<aii, pp. .-l'i ' ' ! 11
Anche per le intormazioir inerenti alla
tecnica di fabbricazione delio zigrino si confronti quanto riportalo nella relazione desunta dalle lezioni di
Pier Giovanni ALLEGRI, pp. 319-334. 15 Cfr. T. STAJVOOI.OV. Manufacture, Deterioralkm and
Preservation ofLeatber. A IJterature Survey ofTtoeo- retical Aspects and- Ancient Techniques,
Amsterdam, ICOM, Committee for Conservation, Plenary Meeting, 15-19 settembre 1969. 16 In merito
al rappono tra la struttura fibrosa del pellame c. la sua robustezza cfr. B. M. HAINKS, Struttura del cuoio
e suo deterioramento, Bollettino tCPL, 36 (1980), pp. 218-219. 18 bidem, p. 55.

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