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Giuseppe Sansonna sta preparando un lm su Carmelo Bene. Un lm che nasce da una sda paradossale.
La voce di Bene, autentica e inedita, entrer in collisione con un immaginario lmico interamente
ricostruito, impostato sulla soggettiva beniana. Sullo schermo scorrer lipotesi di ci che Bene ha visto o
creduto di vedere. Si susseguiranno lunghi carrelli, piani sequenza di ampio respiro, ricchi di movimenti
interni. Affollati di volti e luoghi salentini, rimasti immutati nel tempo, molto simili a quelli che hanno
popolato linfanzia beniana. Il linguaggio lmico tender a mimare il processo mnemonico. Una memoria
attiva, evocativa, dichiaratamente aperta a deformazioni immaginiche, sospesa tra lirismo e
ineluttabilit del grottesco.
Me piaceva tanto, Citti, nei rm de Pasolini. Anche se Pasolini, quer frocio, era nomo da butt ar
secchione. Comunque stato gentile, Citti. Maveva promesso la foto con dedica e me lha spedita,
cho ancora la busta. Mi mostra la reliquia e incamero lindirizzo. Fiumicino.
Ricordo che nel suo libro, Vita di un ragazzo di vita, scritto con Claudio Valentini, Citti da
Torpignattara, pittoretto della Marranella, dice di essersi innamorato di Fiumicino quando stava
girando Accattone, nel 1961. Un macchinista della troupe lo aveva invitato l, perch sua madre lo
voleva conoscere. I malandri del porto scrive Citti mi portarono a pesca. Fiumicino non
assomiglia a nessun mare del mondo: mi ricorda lAniene della mia infanzia. Anzi, aveva il colore della
morte, mi faceva a pensare a tutti quelli che avevo visto buttarsi al ume e affogare. Come stavo per
fare io, nella prima scena di Accattone. Per quel bagno, dopo qualche tempo, presi la leptospirosi e me
ne stavo andando per davvero.
Qualche giorno dopo decisi di andare a Fiumicino anchio. Mi ritrovai a due passi da un mare
limaccioso, davanti a questo grumo di case estive, ammassate una sullaltra. Allindirizzo che mi ero
segnato cera un palazzetto di due piani. Sbirciai nel cortile: in un capanno con la porta spalancata,
notai decine di grembiuli da infermiera, da cuoca o da commessa, appesi a delle grucce. Dietro le
stoffe, uttuanti per la brezza marina, intravidi per un attimo una testa canuta, dai capelli folti,
immobile in poltrona.
Mi decisi a citofonare. Dal portone del palazzo usc un cinquantenne pacioso, trafelato. Paolo Citti,
glio di Franco, nome di battesimo scelto come omaggio pasoliniano, di professione sarto,
specializzato in divise da lavoro. Gli spiegai che volevo conoscere suo padre e intervistarlo. Citti
junior, indicando la testa canuta nel capanno, mi spieg gentilmente che suo padre, dopo lictus, non
stava affatto bene e non aveva molta voglia di mostrarsi.
Gli dissi che volevo dedicare a suo padre una scena di un mio lm su Carmelo Bene, unidea nata dal
recupero di preziose audiocassette, ricche di inediti racconti autobiograci dellartista salentino, che
appartengono ai tardi anni Novanta, allultimo periodo della sua vita. Sono la testimonianza di un
prodigio: Carmelo, sprofondando nei ricordi, in compagnia degli intimi, cambiava voce e tono. Gli
bastava evocare linfanzia per riacquistare un timbro argentino, da Pinocchio fragile, eccitato da lampi
lucignoleschi. Si spogliava delle crudelt amletiche e delle amplicazioni elettroniche, risaliva il
ume di Ballantines che gli aveva inondato la gola per decenni. Esorcizzava tonnellate di Gitanes,
cento al giorno, aspirate a fondo e accantonava il tono da belva reclusa delle ribalte costanziane,
lambendo una strana forma di autoironia. Ho pensato di utilizzare questo sussurro medianico e
trasformarlo nel voice over di un lm, interamente impostato sulla soggettiva beniana.
Dentro quel ume di parole ho intercettato anche la sua descrizione di Franco Citti. Spiegai a suo
glio che Bene gli dedicava parole affettuose. Gli dissi che sarei stato felicissimo se nel mio lm fosse
entrato uno dei volti emblematici del cinema italiano. Luomo entr nel capanno e confabul con suo
padre. Usc dopo qualche minuto e, sorridendo, mi autorizz a tornare con un operatore.
Qualche giorno dopo entravo anchio nel capanno. Tutto comunicava provvisoriet, da luogo non
vissuto, ripostiglio di una casa marittima. Vecchie sedie a sdraio di plastica, un tavolaccio. Sulle pareti
disadorne, nemmeno una foto. Solo un grande quadro: un pezzo degli scacchi, un alere bianco,
adagiato su sabbia ocra, stagliato su fondo azzurro. Un regalo per zio Sergio, non mi ricordo il
Il sorriso sardonico di Citti, durante lascolto, sembra invece confermare unantica descrizione
pasoliniana: I fratelli Citti, Sergio e Franco, sono caratterizzati da unaridit stoico epicurea: curiosa
della vita e priva di ogni illusione su di essa. La voce di Bene continua a leggere quella vecchia
recensione: Ma di questi attoruzzi impudenti, e dei Moravia e Pasolini che avallano le loro gesta non
possiamo che ricordare come vivono: perch la loro esistenza tutta qui, in questi giorni sporchi,
nelle loro inclinazioni sbagliate, nella sfacciataggine con cui reclamano lattenzione del pubblico,
nelle parolacce e nei racconti ignobili che diffondono. E non bisogna aspettare che vilipendano la
religione o prendano a calci i lavoratori, per procedere al loro arresto; bisogna solo accertarsi della loro
identit e metterli in galera, perch oltraggiano il buon gusto, nuocciono alligiene pubblica,
deturpano il paesaggio. Dinanzi a personaggi come Carmelo Bene e Franco Citti, a questo punto,
nulla pu la critica teatrale. Debbono intervenire i carabinieri.
Sulla chiusa nale, Carmelo Bene ride come un bambino. Citti, ascoltandolo, mi regala un ghigno
snito. Intuisco stanchezza, nei suoi occhi neri di putto, come li vedeva Pasolini. Si era
moderatamente divertito, ma ne aveva abbastanza.
Lo abbracciai, lo ringraziai ed uscii, sorpreso nel ritrovarmi davanti la caserma di quei carabinieri
invocati dallo stroncatore de Il Borghese. Gli lanciai unultima occhiata e lo vidi al centro del cortile.
Scrutava, con un mezzo sorriso, gli aerei che decollavano da Fiumicino. Ero certo che cercava di
intuire, dalla traiettoria di partenza, quali fossero gli intercontinentali per Bangkok.
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