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il

simbolo

Lemma tratto dal Dizionario junghiano , di Paolo Francesco Pieri (Torino: Bollati Boringhieri, 1998)
Tre sono i significati fondamentali della parola: 1) lo stesso che segno; 2) una specie particolare di segno; 3) l'azione stessa del segnare. Nel primo significato il termine ricorre nel linguaggio comune.
La parola si fa derivare dal greco symbllo, "metto insieme". Nella Grecia antica era diffuso l'uso di tagliare in due
una moneta, un anello o un oggetto qualsiasi, e darne la met a un amico o a un ospite. Conservate dall'una parte e
dall'altra parte per generazioni, tali met consentivano ai discendenti dei due di riconoscersi. In questa primitiva
funzione pratica, il termine designava quindi le due met di un oggetto spezzato: una volta messe insieme, esse ricomponevano l'oggetto, e in tal modo ognuna di esse diveniva il segno di riconoscimento per l'altra.
Nella letteratura junghiana, due sono fondamentalmente gli usi del termine: I. nel primo senso, che segue pi o meno esplicitamente la tradizione storica, la parola indica un'espressione che usata al posto di un'altra, per cui si parla di "funzione sostitutiva" del simbolo; II. nel secondo senso, che innova in qualche modo la tradizione, la parola
indica in generale la formativit del segno, e in particolare la possibilit trasformativa che una certa espressione
viene ad avere attraverso un certo contesto; in questo secondo caso, si parla rispettivamente di "funzione formativa"
e di "funzione trasformativa" del simbolo.
Funzione sostitutiva del simbolo
1) Linguaggio comune Nella tradizione linguistica il termine designa genericamente qualsiasi elemento di qualunque linguaggio fondamentalmente impiegato in sostituzione di un altro elemento per esprimere e indicare proprio
quest'ultimo, e quindi essenzialmente per rinviarvi sia in modo diretto sia in modo pi o meno indiretto. Nel caso di
significazione indiretta si parla propriamente di "allegoria" o di "metafora", distinguendo entrambe in base al differente grado di complessit del processo di sostituzione e di rinvio cui partecipano.
2) Psicologia del profondo Con l'espressione "psicologia del profondo" viene a indicarsi una psicologia essenzialmente fondata sulla considerazione secondo la quale certi elementi presenti nella superficie della psiche umana esprimono - seppure indirettamente - altri elementi presenti nella sua profondit, per cui questa raffigurazione della
psicologia del profondo rende conto del fatto che la stessa, laddove si sia trovata a descrivere le attivit interne alla
vita psichica, non ha potuto non contemplare precise riflessioni sul simbolo, in questa accezione di significazione
indiretta (psiche; conscio; inconscio), e cio il simbolo l'elemento superficiale che si trova al posto dell'elemento
situato in profondit. In questo senso: A) Freud sottolinea il carattere difensivo e dissimulativo del simbolo; B) Jung
parla di "simbolo morto", che in quanto tale lo stesso che segno.
A) Il carattere difensivo della funzione sostitutiva del simbolo emerge particolarmente allorch Freud consider psicologicamente i fenomeni del sogno e del sintomo. Per questo autore, infatti, sia il cosiddetto "sogno manifesto"
che il sintomo psicopatologico (che dalla profondit dell'inconscio emergono alla superficie della coscienza) sono

fondamentalmente simboli perch: a) sul piano del processo interpretativo, rinviano - rispettivamente - ai "pensieri
latenti" del sogno e al "significato nascosto" del sintomo stesso; e perch parallelamente b) sul piano del processo
psicodinamico, vengono a esprimere indirettamente i contenuti profondi. Ossia, in psicoanalisi, il sogno da una parte
e il sintomo dall'altra sono "formazioni sostitutive" di elementi psichici inconsci. La funzione sostitutiva di tali simboli spiegata in modo generale per l'attivarsi del meccanismo di censura. Sicch i contenuti inconsci (un desiderio
rimosso, un pensiero non facilmente accettabile come per esempio l'incesto e la morte) possono mostrarsi alla superficie della psiche ma a condizione che siano "mascherati", ovvero in quella forma espressiva indiretta che permette di neutralizzare il turbamento che un loro apparire diretto pu provocare. Insieme a molti altri elementi, comunque sempre definiti ed enumerabili, il fallo e il coito possono venire rappresentati nella coscienza indirettamente attraverso un numero indefinito di simboli. Nel nostro esempio, il campanile e la scala sono - secondo la simbolica freudiana - alcuni dei simboli (o dei simbolismi) possibili e parzialmente universali. L'evidenziarsi nella psiche del
fallo e del coito, attraverso quell'espediente che rende possibile sostituirli con i simboli del campanile e della scala,
difenderebbe la coscienza dal turbamento in cui essa sarebbe presa se fosse messa direttamente di fronte a quegli
oggetti del desiderio. Quindi il compito dell'analista sar quello di decodificare tali simbolismi attraverso l'interpretazione.
B) Nelle Definizioni che costituiscono l'appendice ai Tipi psicologici (1921) Jung osserva che, nella psicoanalisi, il
termine "simbolo" utilizzato nel senso comune. Pi propriamente, Jung sostiene che ci che la psicoanalisi indica
con la parola "simbolo" va espresso con la parola "segno", e precisa che si tratta di un segno perch in realt quell'elemento appare provvisoriamente criptico soltanto per necessit psichiche (difesa e censura) ma - seppure in modo
pi o meno complesso - rinvia a qualcos'altro di psichico comunque accertabile. In fondo, dice implicitamente Jung,
il simbolo freudiano non che un significante che indirettamente indica un significato e che, attraverso un preciso
procedimento tecnico pi o meno lungo, pu essere completamente decodificabile, definibile, conoscibile e rappresentabile (attraverso un'idea o un'immagine, un referente o un vero e proprio oggetto). Questo il noto esempio
proposto da Jung al riguardo: la "ruota con ali" dell'organizzazione ferroviaria svizzera non un simbolo bens un
segno convenzionale, e cio un segno preciso che metaforicamente si costituito attraverso l'insieme prodotto da
uno spostamento (velocit=ali) e una condensazione (ruota+ali). Manca, ovviamente, in quel particolare segno la
cripticit tipica (peraltro modesta, osserva Jung) dei simboli onirici e dei sintomi, perch - attraverso la ruota con le
ali - l'organizzazione ferroviaria svizzera, diversamente da un'organizzazione psichica umana che avesse prodotto
quell'elemento in un sogno o in un sintomo, vuole farsi presente in modo chiaro e esplicito alla coscienza e cio
senza le deformazioni dovute alla censura e tipiche dei contenuti dell'inconscio personale (ibid., p. 484). Quindi,
propriamente parlando, osserva Jung, affermeremo che "segno" e "simbolo comunemente detto" sono sinonimi. E
nell'accezione junghiana sono entrambi indicabili con l'espressione "simbolo morto", ossia con il termine "simbolo"
qualificato dal fatto che esso ha assolto il suo compito, ossia ha portato a compimento un significato che era ancora
incompiuto. Non casuale che, ancora nel testo del 1921, Jung accosti in maniera indiretta il simbolo vivo alla gra-

vidanza di una donna. La donna, finch si trova in quella condizione, rinvia a qualcosa non ancora presente e conoscibile, ma - nel dare il figlio alla luce - da una parte porta a termine e quindi a definizione ci che prima, forse, gi
c'era in potenza ma ancora in forma incompiuta, e dall'altra parte cessa il compito di celarlo alla percezione.
Funzione formativa e trasformativa del simbolo (I)
A partire anche da quello cui si accennato, esistono una funzione formativa e una funzione trasformativa del simbolo, ed entrambe sono evidenziate da Jung in due ambiti precisi: 1) nella psicodinamica dell'inconscio collettivo, in
cui si parla propriamente di funzione rivelativa del simbolo e - parallelamente - del simbolo come il manifestarsi
dell'archetipo; 2) nel processo gnoseologico-affettivo e pi in generale nel processo di individuazione, dove si formula il concetto di "simbolo vivo" (conoscenza; affettivit).

1) Il simbolo come manifestazione dell'archetipo


I simboli come significanti dell'archetipo indicano le tappe del processo sintetico-individuativo. In questa accezione,
il simbolo permette l'evoluzione dell'uomo sul piano coscienziale, in quanto viene a prospettare - mediante l'analogo dell'oggetto dell'istinto - la possibilit di una sintesi tra natura e cultura. Questa concezione si colloca in quella
corrente ermeneutica che assume il simbolo nel significato di "rivelazione", diversamente alla psicoanalisi, che lo
considera nel significato di "dissimulazione" e "sostituzione". I simboli archetipici esprimerebbero, accanto alle tematiche comuni al genere umano, quelle relative a differenti organismi socioculturali che hanno strutturato i diversi
miti familiari, regionali e nazionali.

2) Il "simbolo vivo"
Quasi totalmente lontana dai pretesi invarianti dell'immaginazione inconscia, questa accezione di simbolo come sintesi tensionale degli opposti emerge soprattutto dall'embricarsi della teoria dell'individuazione, che era nata sul terreno della pratica clinica, con la teoria del problematicismo epistemologico, che invece era sorta dalla pratica teorica, ovverosia dalla riflessione sui fondamenti della scienza psicologica. Qui il simbolo inteso come "sintesi tensionale" degli opposti, in cui inevitabilmente si dirime e all'occasione si dilacera il pensiero razionale e strumentale. La
sintesi tensionale a cui il simbolo rinvia fornirebbe la soluzione all'altrimenti tragica disseminazione oppositiva del
comunque ricco e creativo materiale psichico prodotto dall'immaginazione inconscia (immaginazione).
Infatti, al di l dell'interesse per la definizione di una possibile struttura della psiche, Jung attraverso il concetto di
funzione simbolica cerca di descrivere la vita della psiche, che sembra svolgersi e svilupparsi attraverso un inesauribile gioco di opposti (vedi) che proprio la cosiddetta "funzione simbolica" deputata a "tenere assieme". In senso
pi generale, Jung adopera il termine "simbolo vivo" designando un'espressione il cui senso non va trovato nello
statuto della sostituzione, bens in quello del mutamento, ossia nell'assunto che, attraverso di esso, qualcosa si muti
in qualcos'altro. In questa nozione rimane invece valido lo stesso statuto del rinvio, ma con una differenza: mentre il

simbolo nell'accezione generica rinvia a qualcosa d'altro gi noto e lo sostituisce, tale tipo di simbolo svolge sempre
la funzione di rinvio, ma questa volta verso qualcosa non ancora determinato, e da cui non pu ovviamente essere
sostituito. Tale forma di simbolo, pertanto, non mai perfettamente decodificabile (1921, p. 484). Ma, per quanto
quest'altra cosa che pu sostituirlo ancora non esista, a essa il simbolo fa comunque riferimento.
Con tali osservazioni, il termine viene ad assumere quattro caratteristiche tra loro collegate, e precisamente: A) l'indicativit; B) la scomponibilit e la componibilit non sintetica; C) la decisionalit; D) il carattere trascendente.
A) Il primo carattere del "simbolo vivo" la sua indicativit. Il "simbolo vivo" - come si detto - non mai perfettamente decodificabile, anzi di per s quel cenno che in quanto tale intraducibile in termini razionali e definiti.
Questa limitazione sul piano gnoseologico proprio ci che, per Jung, viene a definire la vitalit del simbolo: finch
il simbolo "vivo", non c' conoscenza, ma proprio per questo che viene a darsi lo spazio per un riattivarsi del processo della conoscenza (tant' che una volta che si sia esaurito il margine di ignoto e di inesplicabile e quindi si sia
pervenuti alla formulazione di conoscenze nuove, il "simbolo vivo", scrive Jung, si trasforma in "segno" o in "simbolo
morto"; ibid.). Con questa caratteristica, il simbolo incarna la natura propriamente progettuale della psiche, attraverso la quale accade proprio la forza dell'indicativit, e cio l'azione del significare. Propriamente, questo "non significare" bens "mettere in azione i significati" rappresenta il nucleo centrale di quelli che, a pi riprese nel testo junghiano, emergono come i corollari pi evidenti del simbolo vivo, e precisamente l'asemanticit, l'indicativit indeterminata, l'accenno di qualcosa che ancora non c', o - se si vuole - il cenno rivolto a qualcosa che esiste soltanto
in potenza. Ossia, sul piano semantico, il simbolo non pu mai tradursi in un significato circoscritto se non con la
perdita, sul piano pragmatico, della sua azione rivolta a suscitare significati.
Funzione formativa e trasformativa del simbolo (II)
B) Il suo secondo carattere esprimibile come la scomponibilit dell'intero e la componibilit degli elementi polari
in un'unit non sintetica. In realt una tale concezione del "simbolo vivo" procura difficolt alle consuetudini del
pensiero. A patto che questa difficolt non ci impensierisca, dice implicitamente Jung, l'instaurarsi di una tale difficile condizione pu regalarci la possibilit di mettere in azione il pensiero che riposa proprio in quelle consuetudini.
Mentre lo statuto sostitutivo del "simbolo morto" fa del simbolo un quieto operatore, semplice e comunque fondato
sui princpi della logica classica (e quindi sull'identit, la non-contraddizione, il terzo escluso), lo statuto essenzialmente trasformativo del "simbolo vivo" ne fa un cosiddetto operatore vivace e complesso, sino al punto da sfidare,
cum granu salis, i princpi stessi della logica aristotelica. Pertanto, se il lato cosciente della psiche vive dei cosiddetti
"simboli morti", ossia di quei simboli che nel morire hanno tratto alla luce il reale (realt) nella sua stabilit e maneggevolezza conoscitiva (rappresentazione), uno dei lati inconsci della psiche (la cosiddetta "psiche creativa") vive
essenzialmente di tentativi continui - rischiosi e mai garantiti - di "comporre" e mettere assieme, o di mantenere in
tensione creativa, quegli "opposti" che la coscienza, nel suo stesso fare differenziante, produce. In tale senso l'espressione "simbolo vivo" viene a rispettare e suffragare la sua tradizionale etimologia: e cio essa significa, in que-

sta caratteristica azione, una composizione degli opposti, che per da qualificare meglio con l'espressione "non
sintetica". In effetti, nel pensiero junghiano questo mettere assieme due opposti polari nel simbolo non produce mai
un terzo elemento che ne rappresenta la sintesi, poich in questa particolare composizione simbolica le due met
vengono a contatto sul loro confine e quindi rimangono sempre distinte. Infatti, nel simbolo vivo si perviene s a un
superamento dell'opposizione originaria, ma nel senso che la precedente condizione rimane la stessa, con quest'unica differenza: da essere pensata in termini di conflitto essa viene immaginata come un'occasione produttrice di
tensione creativa e trasformativa.
C) Il terzo carattere del "simbolo vivo" la decisionalit, da cui discende l'onerosit che intrinseca alla costituzione di ogni segno. Jung, parlando degli stati opposti che nel simbolo si compongono, osserva che entrambi debbono
"coesistere (...) coscientemente e in completa contrapposizione" (1921, p. 488). E quest'affermazione sottolineata
subito dopo, allorch si sostiene che la completa uguaglianza ed equiparazione di questi opposti antitetici devono
essere testimoniate "dall'incondizionata partecipazione dell'Io" (ibid., p. 489). Ovvero, la cosiddetta "immaginazione
inconscia" pu - magari durante i sogni - produrre (di per s) elementi che sono dotati (in s) di particolari capacit
compositive di elementi (che in s sono) opposti. Ma questi elementi, per diventare simboli nell'accezione generale
di occasione trasformativa, necessitano del coinvolgimento della coscienza e dell'Io. Ossia il modo simbolico presuppone un'inevitabile relazione della coscienza del soggetto con quegli elementi. In quanto elementi in s, essi
non resterebbero che "simboli morti", ovvero segni o prodotti di significazioni gi date, e tali rimarrebbero sia la coscienza sia lo stesso Io (in quanto complessi di pensieri gi formulati). Per, se la coscienza e l'Io sussistessero ancora attraverso le loro consuetudini, quei contenuti psichici, non ricevendo altro trattamento interpretativo, sarebbero
ricondotti al gi dato (ovverosia riceverebbero l'assegnazione di significato in precedenza prodottasi). Eppure la
straordinaria condizione del simbolo si descrive proprio per essere: 1) quell'evento in cui sia la psiche cosciente, sia
il contenuto psichico inconscio, sia - infine - l'interpretazione psicologica non possono pi sussistere in s e separatamente; 2) quell'evento in cui coscienza, inconscio e attivit psichica emergono contemporaneamente sullo stesso
piano; infine, 3) quell'evento in cui ciascuno dei tre elementi si riconosce come una parte in relazione con le altre
due parti e riconosce che non pu sussistere un mutamento di s senza un correlativo e simultaneo mutamento
dell'altro da s.
Si comprende cos perch non si possa parlare tout court di una decisione razionale di interpretare simbolicamente.
In questa accezione del simbolo non siamo n nella situazione in cui da soli si decide di interpretare simbolicamente un testo, n nella situazione in cui l'interprete si trova immesso davanti a un testo che di per s simbolico.
Sempre nella definizione del simbolo, Jung infatti afferma "che una cosa sia un simbolo o no dipende anzitutto
dall'atteggiamento della coscienza che osserva" (ibid., p. 485) e poco dopo riferisce il famoso verso di Goethe:
"Quanto diversamente agisce su di me questo sogno" (ibid., p. 486). Ma, come qui Jung ben lontano dal riportare
l'evento di una presa e accertamento da parte del soggetto di un oggetto primitivamente dato, cos - diversamente
da come potrebbe apparire - non vuole neanche parlare di una creazione che il soggetto liberamente fa dell'ogget-

to, o di una cosa da cui il soggetto si lascia ingenuamente afferrare.


Semmai, nel simbolo saremmo immessi in quella situazione complessa in cui conoscenza soggettiva e conoscenza
oggettiva si mostrano come l'esempio tipico di una serie di opposti polari (che vengono contemporaneamente a darsi in quel particolare momento, simultaneamente rivelandosi come prodotti di un processo di simbolizzazione che li
trascende). Detto in altri termini, nel simbolo l'intero organismo psichico che viene coinvolto: in quest'immagine
di interazione reciproca di tutte le parti, nessuna pu tirarsi indietro o fuori e da l comandare il gioco: ognuna si rivela come posta in gioco e nel contempo si rivelano le regole del gioco (ibid.).
D) Il quarto carattere del "simbolo vivo" quello trascendente. Colto nel suo significato essenziale di funzione e attivit designativa (e non in quello di cosa, segno o fatto che di quella funzione e attivit sono i prodotti o "simboli
morti"), il simbolo vivo infatti indicato da Jung con l'espressione "funzione trascendente". Mantenendosi strettamente il significato latino di oltrepassamento, superamento e varco, il simbolo vivo in quanto funzione trascendente
verrebbe a esercitarsi non oltre i segni, ma proprio dentro e attraverso di essi. Un esempio dell'ineliminabile presenza di questi cosiddetti "simboli morti" dato dal fatto che, proprio per essere vivo, il simbolo necessita - fortemente
e pregnantemente - di un contesto di tipo antinomico, ossia di un contesto in cui due segni, malgrado siano diametralmente opposti, continuino ineludibilmente a sussistere (antinomie) (P.F. Pieri, Dizionario junghiano, 1998).

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