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La morte a Venezia
(Der Tod in Venedig, 1912)
I
Gustav Aschenbach o von Aschenbach, come suonava ufficialmente il
suo nome dal giorno del suo cinquantesimo compleanno, in un pomeriggio
di primavera di quell'anno 19... che per mesi e mesi mostr al nostro
continente una faccia tanto bieca, era uscito dalla sua casa della
Prinzregentenstrasse in Monaco di Baviera per intraprendere una lunga
passeggiata. Sovreccitato dal lavoro difficile e insidioso compiuto nelle ore
antimeridiane, che esigeva proprio allora estrema sagacia, prudenza,
sottigliezza e rigore della volont, nemmeno dopo il pranzo di
mezzogiorno lo scrittore aveva saputo arrestare l'impulso produttivo che
gli vibrava dentro, quel motus animi continuus in cui consiste secondo
Cicerone l'essenza dell'oratoria, e non era riuscito a trovare il sollievo del
sonno, a lui tanto necessario nel corso della giornata contro il progressivo
logoramento delle sue forze. Cos, poco dopo il t, aveva preso il largo
nella speranza che l'aria e il moto l'avrebbero rimesso in sesto e gli
avrebbero procurato una serata fruttuosa.
Si era al principio di maggio, e dopo settimane di freddo e d'umido era
sopravvenuta una falsa estate. Il Giardino Inglese, quantunque appena
lievemente inverdito di tenere fronde, era afoso come in agosto e, verso la
citt, gremito di carrozze e di passeggiatori. Vicino alla trattoria Aumeister,
dov'era giunto per viottoli sempre pi silenziosi e deserti, egli aveva
sostato alquanto a osservare l'osteria popolaresca e affollata, davanti alla
quale attendevano vetture di piazza ed equipaggi padronali; di l, mentre il
sole volgeva al tramonto, era uscito dal parco, e aveva preso la via del
ritorno per l'aperta campagna, ma sentendosi stanco e vedendo addensarsi
un temporale al di sopra di Fhring pens di attendere davanti al Cimitero
Nord il tram elettrico che l'avrebbe riportato in citt per la strada pi breve.
Per caso trov la fermata e le sue adiacenze deserte di gente. N sulla
lastricata Ungererstrasse le cui rotaie si allungavano luccicanti in direzione
di Schwabing, n sulla strada provinciale di Fhring si scorgeva un
veicolo; nei recinti dei marmisti, dove croci, lapidi e monumenti esposti in
vendita formavano un secondo cimitero senza morti, non si muoveva nulla,
e l'edificio bizantino dell'obitorio giaceva cheto nell'ultimo riflesso del
giorno morente. La facciata, adorna di croci greche e di pitture ieratiche
dai tenui colori, presenta inoltre iscrizioni simmetriche a lettere d'oro,
massime scelte sulla vita eterna, come: Essi entrano nella casa di Dio o:
Risplenda per essi la luce perpetua ; e da alcuni minuti egli ingannava
l'attesa leggendo gravemente le sentenze e lasciando che il suo occhio
spirituale si perdesse nella loro mistica trasparente, quando, ridesto dalle
sue fantasticherie, vide nel portico, al di sopra dei due animali apocalittici
che custodiscono la scalea, un uomo il cui aspetto abbastanza fuor del
comune diede tutt'altro indirizzo ai suoi pensieri.
Se l'uomo fosse uscito dall'interno dell'edificio attraverso il portone
bronzeo o se fosse venuto di fuori e salito fin l, era difficile a dirsi.
Aschenbach, senza approfondir troppo la questione, propendeva per la
prima ipotesi. Di statura mezzana, magro, sbarbato e col naso notevolmente camuso, l'uomo apparteneva al tipo di pelo rosso e ne aveva la pelle
lattiginosa e lentigginosa. Evidentemente non era di razza bajuvara;
almeno il largo cappello di paglia dalla tesa diritta che portava in capo gli
dava un aspetto forestiero e venuto di lontano. E vero per ch'egli aveva
sulle spalle il tradizionale sacco da montagna, un abito di loden gialliccio
con la martingala, sul braccio sinistro puntato contro l'anca un
verdi specchi d'ombra delle acque stagnanti, dove tra i fiori acquatici
bianchi e larghi come zuppiere uccelli esotici dalla testa insaccata fra le
spalle, dal becco mostruoso, stavano appollaiati su qualche lembo di terra
e guardavano immobili da un lato, vide fra i tronchi nodosi dei bamb
scintillare le pupille di una tigre accovacciata e sent il suo cuore battere
di spavento e di una smania misteriosa. Poi la visione scomparve; e
scrollando la testa Aschenbach riprese la sua passeggiata lungo i recinti
degli scalpellini.
Egli considerava il viaggiare almeno da quando disponeva dei mezzi
per godere a piacer suo i vantaggi delle comunicazioni internazionali
non altrimenti che una precauzione igienica, in realt contro senso e contro
natura, che occorreva prendere di quando in quando; ma, troppo occupato
dai problemi che gli eran posti dal proprio Io e dall'anima europea, troppo
oppresso dal dovere di produrre, troppo alieno dalle distrazioni per essere
amante del variopinto mondo esteriore, si era sempre accontentato dell'idea
che ognuno pu farsi della superficie terrestre senza allontanarsi troppo
dalla propria cerchia e non aveva mai avuto la pi lontana aspirazione a
lasciare l'Europa. Soprattutto da quando la sua vita volgeva lentamente al
tramonto, da quando la sua paura d'artista di non compire l'opera quel
timore che l'orologio giunga alla fine della carica prima ch'egli abbia
terminato il suo compito e dato tutto di se stesso da quando quella paura
non si poteva pi scacciare come un'ubbia, la sua vita esteriore si era quasi
esclusivamente limitata alla bella citt che gli era ormai patria adottiva e
alla casa rustica che si era costruito in montagna e dove trascorreva le
piovose estati.
Quindi l'impulso cos improvviso o tardivo fu tosto moderato e corretto
dalla ragione e dalla disciplina a cui aveva sempre assoggettato se stesso
fin dall'et giovanile. Era sua intenzione condurre fino a un certo punto,
prima di trasferirsi in campagna, l'opera per la quale viveva, e il pensiero
di un vagabondaggio attraverso il mondo, che l'avrebbe tenuto per mesi e
mesi lontano dal suo lavoro, appariva troppo slegato e contrario ai progetti,
non si poteva prenderlo seriamente in considerazione. Eppure egli sapeva
fin troppo bene da quale causa fosse scaturita cos inattesa la tentazione.
Impulso alla fuga era, ed egli se lo confess, anelito verso cose nuove e
lontane, desiderio smanioso di liberazione, di sgravio e di oblio fuga
dall'opera, dal luogo giornaliero di un servizio rigido, freddo bench
appassionato. Lo amava, vero, e quasi amava gi anche la lotta snervante
quotidianamente rinnovata fra la sua volont fiera e tenace tante volte
posta a cimento e questa crescente stanchezza che bisognava celare, che
II
L'autore della limpida e forte epopea in prosa sulla vita di Federico di
Prussia; l'artista paziente che con lunga solerzia aveva tessuto il romanzo I
Maja, arazzo ricco di figure raccogliente tanto destino umano all'ombra di
un'idea; il creatore della possente novella intitolata Un miserabile, che
addita a tutta una giovent riconoscente la via della risolutezza morale al
di l della pi profonda conoscenza; lo scrittore infine (e basti questo breve
cenno all'opera della sua maturit) dell'appassionato saggio Spirito e arte
che per la potenza chiarificatrice e l'eloquenza antitetica molti giudici
autorevoli ponevano accanto alla dissertazione di Schiller sulla poesia
ingenua e sentimentale: Gustav Aschenbach in una parola, figlio d'un alto
funzionario della magistratura, era nato a L., capoluogo d'un distretto della
provincia di Slesia. I suoi antenati erano stati ufficiali, giudici, impiegati
dell'amministrazione, uomini che avevano condotto vita austera, onorata e
modesta al servizio del re e dello stato. Una spiritualit pi profonda aveva
avuto un'incarnazione in famiglia nella persona di un predicatore; sangue
pi impetuoso e pi caldo v'era entrato nella generazione precedente grazie
alla madre del poeta, figlia di un maestro di cappella boemo. Da lei erano
stati trasmessi al figlio quei segni caratteristici di una razza forestiera. Il
connubio della rigida coscienziosit burocratica con impulsi pi oscuri e
focosi aveva prodotto un artista, questo artista singolare.
Poich tutto il suo essere aspirava alla gloria, egli si dimostr se non
proprio precocissimo, tuttavia, grazie alla decisione e all'efficacia
personale del suo eloquio, assai presto maturo e adatto alla vita pubblica.
Era ancora studente liceale e gi aveva un nome. Dieci anni dopo gi sapeva, stando alla sua scrivania, rappresentare un personaggio,
amministrare la sua gloria, mostrarsi benevolo e importante in una lettera
che doveva esser corta (perch molte esigenze premono l'uomo arrivato e
degno di confidenza). A quarantanni, affaticato dagli strapazzi e dalle alterne vicende del lavoro creativo, doveva giornalmente rispondere alle
numerose lettere che portavano francobolli di tutti i paesi del mondo.
Tanto lontano dal banale come dall'eccentrico, il suo talento era fatto per
conquistare al tempo stesso la fede del largo pubblico e l'ammirata
esigente partecipazione dei raffinati. Cos, ancor giovinetto, obbligato da
tutte le parti alla produzione, e a una produzione straordinaria, non aveva
mai conosciuto la spensierata indolenza della giovent. Quando, intorno ai
trentacinque anni, si era ammalato durante un soggiorno a Vienna, un fine
segreta, anzi una concordanza, fra il destino personale del suo autore e
quello generale dei contemporanei. Gli uomini non sanno perch
conferiscono gloria a un'opera d'arte. Tutt'altro che intenditori, credono di
scoprirvi mille pregi per giustificare tanto consenso; ma il vero motivo del
loro plauso qualcosa di imponderabile: simpatia. Aschenbach aveva
affermato una volta in una sua pagina, alla sfuggita ma senza ambagi, che
quasi tutto ci che esiste al mondo di grande una manifestazione di
resistenza, sorto cio nonostante il dolore e la sofferenza, nonostante la
povert, l'abbandono, la debolezza fisica, il vizio, la passione e mille
ostacoli. Ma pi ancora che un'osservazione questo era un'esperienza, era
addirittura la formula della sua vita e della sua gloria, la chiave dell'opera
sua; perch stupirsi dunque se era anche il carattere etico, l'aspetto
esteriore delle sue figure pi singolari?
Del nuovo tipo d'eroe che questo scrittore preferiva, tipo che si ripeteva
nelle pi varie forme individuali, un analista intelligente aveva scritto gi
molto tempo innanzi che era la concezione di una virilit intellettuale e
giovanile che con fiero pudore stringe i denti e rimane salda e tranquilla
mentre lance e spade le trafiggono il corpo. Era bene espresso, con spirito
ed esattezza, ma in apparenza puntava troppo sulla passivit. Giacch
fermezza di fronte al destino, grazia nella sofferenza non vuol dire
semplicemente subire; un'azione attiva, un trionfo positivo, e la figura di
san Sebastiano il pi bel simbolo se non dell'arte in genere, certamente
dell'arte di cui si parla. A guardare in quel mondo narrato, si discerneva
l'elegante dominio di s, che dissimula fino all'ultimo istante agli occhi del
mondo un logoramento interno, il declino biologico; la gialla bruttezza,
sensualmente svantaggiata, che capace di far divampare in purissima
fiamma la brace della sua libidine, e di salire addirittura al dominio nel
regno della bellezza; la pallida impotenza, che dalle profondit ardenti
dello spirito ricava la forza di gettare un intero popolo protervo ai piedi
della croce, ai propri piedi; l'atteggiamento amabile al vuoto e rigido
servizio della forma; la vita falsa, pericolosa, la nostalgia snervante e l'arte
dell'impostore nato: a considerare tutto quel destino, e quanto altro simile,
ci si poteva chiedere se esiste eroismo all'infuori della debolezza. E ad
ogni modo quale eroismo sarebbe pi di questo consono ai tempi? Gustav
Aschenbach era il poeta di tutti coloro che lavorano all'orlo dello
sfinimento, gli oppressi da carico soverchio, gi estenuati eppure ancora in
piedi, questi moralisti della produzione che, esili di corporatura e scarsi di
mezzi, con l'estasi della volont e la saggia amministrazione ottengono
almeno per un periodo di tempo i risultati della grandezza. Costoro sono in
molti, sono essi gli eroi del nostro tempo. E tutti si riconoscevano nella sua
opera, vi si vedevano confermati, esaltati, celebrati, gli erano riconoscenti
e annunziavano il suo nome.
Egli era stato giovane e rude con il suo secolo e, mal consigliato da esso,
aveva pubblicamente incespicato, aveva commesso errori, s'era
compromesso, aveva trasgredito con le parole e con le opere alle regole del
tatto e della prudenza. Ma aveva conquistato la dignit, verso la quale, a
parer suo, ogni grande talento si sente naturalmente spinto e pungolato,
anzi si pu dire che tutta la sua evoluzione era stata un'ascesa verso la
dignit, un'ascesa cosciente e ostinata, sprezzante tutti gli ostacoli del dubbio e dell'ironia.
La viva palpabilit della raffigurazione, che non impegna lo spirito,
forma la delizia delle masse borghesi, ma la giovent assoluta e
appassionata attratta esclusivamente dai problemi; e Aschenbach era
stato problematico, era stato assoluto pi di qualunque altro giovane. Era
stato prono alla cerebralit, aveva saccheggiato la scienza, macinato per s
le messi, profanato misteri, incriminato il talento, tradito l'arte... s, mentre
le sue opere divertivano, elevavano, animavano, deliziavano i creduli
lettori, lui, il giovane artista, mozzava il fiato ai ventenni con i suoi cinismi
sulla dubbia natura dell'arte e della professione artistica.
Ma a quanto pare nulla in uno spirito nobile e sagace si ottunde pi
rapidamente e pi radicalmente che l'acuto amaro fascino della
conoscenza; ed certo che la coscienziosa e malinconica esattezza del
giovane diventa aridit in confronto alla profonda risoluzione maturata
nell'uomo cresciuto a maestro di negare la scienza, di ripudiarla, di
passarvi sopra a testa alta in quanto essa pu, sia pure in minima parte,
paralizzare scoraggiare avvilire l'azione, il sentimento e perfino la
passione. In quale altro modo interpretare la famosa novella Un
miserabile, se non come uno scoppio di ribrezzo per l'indecente
psicologismo dell'epoca, personificato nella figura di quel molle e goffo
furfante che carpisce un destino d'accatto gettando sua moglie per
impotenza, per depravazione, per velleit etica nelle braccia di un imberbe
e si crede in diritto di commettere per una presunta profondit delle azioni
indegne? La vigoria del linguaggio, col quale nel libro era condannata
l'infamia, annunziava l'abbandono di ogni incertezza morale, di ogni
simpatia per l'abisso, il rifiuto al lassismo espresso nel proverbio pietoso
che tutto comprendere significa tutto perdonare; e ci che vi era preparato,
anzi gi compiuto, era quel miracolo della schiettezza rinata di cui poco
oltre l'autore trattava in uno dei dialoghi, espressamente e non senza una
dopo un breve periodo di felicit. Gli era rimasta una figlia, gi maritata.
Non aveva mai avuto un figlio.
Gustav von Aschenbach era di statura un po' inferiore alla media, bruno,
glabro. La testa era un po' troppo grande in confronto al corpo quasi
gracile. I capelli spazzolati all'indietro, diradati a sommo del capo, molto
folti e brizzolati sulle tempie, incorniciavano una fronte alta, solcata da
rughe che parevano cicatrici. Il ponticello d'oro delle lenti non cerchiate
tagliava la radice del naso massiccio, nobilmente arcuato. La bocca era
grande, a volte cascante a volte improvvisamente sottile e stretta; le guance
magre e grinzose, il mento ben modellato con una fossetta morbida. Molto
fato sembrava esser passato su quella testa per lo pi dolorosamente
reclinata, eppure l'affinamento della sua fisionomia era opera dell'arte e
non, come solitamente accade, di una vita agitata e difficile. Dietro quella
fronte erano nate le lampeggianti battute del dialogo sulla guerra fra
Voltaire e il re di Prussia; quegli occhi che guardavano stanchi e penetranti
attraverso le lenti avevano veduto l'inferno sanguinoso dei lazzaretti della
Guerra dei Sette Anni. Anche sotto l'aspetto individuale l'arte una vita pi
intensa. Essa dona felicit pi profonda, e divora pi in fretta. Scava nel
volto del suo servo le tracce di avventure spirituali e immaginarie, e anche
nella pace claustrale della vita esteriore porta a lungo andare un'ipersensibilit, un raffinamento, una stanchezza e una curiosit di nervi che
nemmeno la vita pi piena di sfrenati godimenti e passioni saprebbe
suscitare.
III
Dopo quella passeggiata, molti impegni di natura mondana e letteraria
trattennero ancora a Monaco per una quindicina di giorni il viaggiatore
voglioso. Finalmente egli diede ordine di preparare la casa di campagna
per il suo ritorno entro quattro settimane, e parti fra la met e la fine di
maggio col treno della sera per Trieste, dove si ferm solo ventiquattrore, e
la mattina dell'indomani s'imbarc per Pola.
Egli cercava qualcosa di esotico, di avulso dalla vita abituale; ma doveva
essere un luogo dove si arrivasse facilmente; perci scelse un'isola
dell'Adriatico, da alcuni anni famosa, non lontana dalla costa istriana, con
una popolazione variopinta e cenciosa dalla parlata incomprensibile, e con
bellissime scogliere frastagliate verso il mare aperto. Ma la pioggia e l'aria
pesante, la meschina e chiusa clientela austriaca dell'albergo e la mancanza
di quel placido e intimo contatto col mare che solo una spiaggia dolce e
ro... il borbottare del gondoliere che parlava fra s a voce bassa, in suoni
sconnessi, soffocati dal lavoro delle sue braccia. Aschenbach si guard
intorno e con lieve sorpresa s'avvide che la laguna s'allargava e il
gondoliere vogava verso il mare aperto. Dunque bisognava non
abbandonarsi troppo al riposo e sorvegliare l'esecuzione della propria
volont.
Alla stazione dei vaporetti voglio andare, disse voltandosi a mezzo
verso poppa. Il borbottio cess, ma non giunse risposta.
Ho detto, alla stazione dei vaporetti, ripete girandosi del tutto e
fissando in faccia il gondoliere che ritto sull'alto bordo torreggiava nel
cielo livido. Era un uomo di aspetto sgradevole, quasi brutale, vestito alla
marinara di turchino scuro, con una sciarpa verde alla cintola e un informe
cappello di paglia piantato arditamente sul capo. La sua fisionomia, i suoi
baffi biondi e ricci sotto il naso schiacciato lo rivelavano di razza non
italiana. Sebbene la sua corporatura fosse piuttosto mingherlina, cosi che
non appariva molto adatto al suo mestiere, egli manovrava il remo con
grande energia, impiegando a ogni colpo tutta la sua forza. Ogni tanto
nello sforzo ritraeva le labbra, scoprendo i denti bianchi. Aggrott le
sopracciglia rossicce, e guardando al di sopra del passeggero replic in
tono risoluto, quasi aspro:
Lei va al Lido. Aschenbach rispose:
Certo. Ma ho preso la gondola solo per farmi traghettare a San
Marco. Desidero servirmi del vaporetto.
Non pu prendere il vaporetto, signore.
E perch?
Perch il vaporetto non trasporta bagagli.
Era vero; Aschenbach se ne ricord e tacque. Ma il tono rude, arrogante,
cos insolito in quel paese verso un forestiero, gli parve insopportabile.
Disse: Questo affar mio. Forse voglio mettere il bagaglio in deposito.
Bisogna che lei torni indietro.
Silenzio. Il remo sciaguattava, l'onda percuoteva la chiglia con un suono
cupo. E ricominci il borbottio, il sussurro: il gondoliere parlava con se
stesso fra i denti.
Che fare? Solo in mezzo al mare con quell'individuo strano, ribelle,
inquietante e risoluto, il viaggiatore non vedeva mezzo di imporre la
propria volont. Come poteva abbandonarsi mollemente al riposo,
d'altronde, se non s'arrabbiava! Non s'era augurato che la traversata
durasse a lungo, per sempre? La risoluzione pi saggia era lasciar andare
le cose per il loro verso, e soprattutto era la pi piacevole. Un incantesimo
della pigrizia sembrava emanare dal suo sedile, da quel divano basso
rivestito di nero, cos dolcemente cullato dalle vogate del dispotico
gondoliere dietro le sue spalle. L'idea di esser caduto nelle mani di un criminale sfior vagamente il cervello di Aschenbach senza poter incitare i
suoi pensieri a un'attiva difesa, pi irritante era la possibilit che tutto
mirasse a una semplice estorsione di denaro. Una specie di orgoglio o di
senso del dovere, il trasognato ricordo che a cose simili bisognava opporsi,
fece s ch'egli si riscotesse ancora una volta. Domand:
Qual il prezzo che lei pretende?
E guardando al di sopra del suo capo il gondoliere rispose:
Lei pagher.
La replica era ovvia. Aschenbach ribatt meccanicamente:
Non pagher neanche un soldo se lei non mi porta dove voglio io.
Lei vuole andare al Lido.
Ma non con lei.
Io la porto benissimo.
Questo vero, pens Aschenbach e si lasci andare. vero, mi
porti benissimo. Anche se aspiri al mio gruzzolo e con un colpo di remo
sulla testa mi mandi alla Casa di Ade, mi avrai traghettato bene.
Ma nulla di simile accadde. Anzi, trovarono compagnia, una barca di
musicanti predoni, uomini e donne, che cantavano accompagnati da
chitarre e mandolini, e s'appiccicarono insistentemente alla gondola
riempiendo l'equoreo silenzio con la loro poesia avida di spillar soldi al
forestiero. Aschenbach gett del denaro nel cappello che quelli tendevano.
Allora tacquero e si allontanarono, e si ud di nuovo il mormogio dei
gondoliere che parlava fra s a frasi spezzate.
Cos la gondola giunse a destinazione, dondolata dalla scia di un vapore
che navigava verso la citt. Due impiegati municipali, con le mani sul
dorso, le facce rivolte verso la laguna, passeggiavano su e gi in riva al
mare. Davanti al pontile, Aschenbach lasci la gondola, aiutato da quel
vecchio col suo gancio di accosto che si trova in tutti i luoghi d'approdo di
Venezia; e poich non aveva spiccioli, entr nell'albergo di faccia al ponte
di sbarco, per cambiare, e pagare il gondoliere secondo il proprio giudizio.
Nel vestibolo subito servito, torna indietro, trova i suoi bagagli su una
carretta sul molo, e gondola e gondoliere sono scomparsi.
E scappato, dice il vecchio col gancio. Un malandrino, signore,
l'unico dei gondolieri che non ha la licenza. Gli altri hanno telefonato qui.
S' accorto che lo aspettavano. E allora s' squagliato.
Aschenbach si strinse nelle spalle.
figurina esile alcunch di ricco e di viziato. Era volto di tre quarti verso
colui che lo osservava, i piedi incrociati nelle scarpette di vernice nera, un
gomito puntato sul bracciolo della poltrona e la guancia appoggiata alla
mano chiusa, in un atteggiamento di grazia negligente, e senz'ombra della
rigidit quasi sommessa alla quale le sorelle sembravano avvezze. Che
fosse malato? Infatti la pelle del suo viso spiccava bianca come l'avorio
sull'oro scuro dei ricci che lo incorniciavano. Oppure era semplicemente
un beniamino viziato, circondato da un amore capriccioso e parziale?
Aschenbach propendeva a crederlo. In quasi tutti gli artisti innata la
tendenza voluttuosa e ingannatrice a consacrare l'ingiustizia che genera
bellezza e a offrire omaggio e simpatia alla predilezione aristocratica.
Un cameriere gir fra i tavoli, e annunzi in inglese che il pranzo era
pronto. A poco a poco tutti passarono attraverso la porta a vetri nella sala
da pranzo. Dal vestibolo giunsero alcuni ritardatari, scesi dagli ascensori.
Di l incominciavano gi a servire, ma i giovani polacchi rimanevano
ancora intorno al loro tavolo di vimini e Aschenbach, comodamente
sprofondato nella sua poltrona, e per di pi con la bellezza sott'occhio,
aspett con loro.
La governante, una mezza signora piccola e corpulenta con la faccia
rossa, diede finalmente il segnale di alzarsi. Spinse indietro la sua seggiola
e s'inchin inarcando le sopracciglia, mentre una signora alta, vestita di
bianco-grigio e molto riccamente adorna entrava nel salone. Il contegno
della signora era freddo e compassato, l'acconciatura dei capelli
leggermente incipriati come pure la foggia del suo vestito avevano quella
semplicit che sempre determina il gusto in coloro che considerano la
religiosit una componente della distinzione. Avrebbe potuto essere la
moglie di un alto funzionario tedesco. Un tocco fantastico e sfarzoso era
dato alla sua apparizione soltanto dai gioielli che in verit sembravano
inestimabili: pendenti agli orecchi e una lunghissima collana a tre giri di
perle grosse come ciliege, mitemente splendenti.
I ragazzi s'erano subito alzati. Si chinarono per il bacio sulla mano della
madre che con un sorriso contegnoso nel volto ben curato, ma un po'
stanco e dal naso aguzzo, guardava al di sopra del loro capo rivolgendo
qualche parola in lingua francese all'istitutrice. Poi si mosse verso la porta
a vetri. I figlioli la seguirono: prima le tre signorine in ordine di et, poi la
governante, ultimo il ragazzo. Per un motivo qualsiasi egli si volt prima
di oltrepassare la soglia, e poich nel salone non era rimasto nessun altro, i
suoi strani occhi di un grigio crepuscolare incontrarono quelli di
Aschenbach, che, col giornale sulle ginocchia, assorto in contemplazione,
trascurare per un'attivit indifferente uno stato tanto degno d'esser goduto.
Butt da parte carta e penna e ritorn al mare; e ben presto, attirato dalle
voci fanciullesche dei costruttori del forte, volt verso destra la testa
comodamente appoggiata allo schienale della poltrona per assistere di
nuovo ai fatti e ai gesti del delizioso Adgio.
Lo trov alla prima occhiata; il fiocco rosso che aveva sul petto lo
distingueva fra tutti. Occupato insieme con gli altri a collocare una vecchia
tavola a guisa di ponte sul fossato umido della fortezza, egli dirigeva
l'opera con parole e con cenni del capo. Erano con lui una diecina di
compagni, maschi e femmine, della sua et e qualcuno pi giovane, che
parlavano insieme in tutte le lingue, polacco, francese e anche idiomi
balcanici. Ma il suo nome risonava pi sovente degli altri. Egli era fra tutti
il pi ricercato, ammirato, corteggiato. Specialmente uno, polacco come
lui, che si chiamava Yaschu o qualcosa di simile, un ragazzo robusto dai
capelli neri impomatati, vestito di una leggera veste di tela, sembrava il
suo pi fedele vassallo e amico. Finito per quella volta il lavoro intorno
alla fortezza, se ne andarono abbracciati lungo la riva, e quello chiamato
Yaschu baci il bellissimo compagno.
Aschenbach fu tentato di minacciarlo col dito. A te, Critobulo,
pens sorridendo, consiglio di viaggiare per un anno! Perch tanto ti
occorre per guarire, non meno! E poi fece una colazione di grosse fragole
ben mature, che comper da un venditore ambulante. Adesso faceva molto
caldo, bench il sole non fosse riuscito a bucare lo strato di vapori che
copriva il cielo. La pigrizia incatenava lo spirito, mentre i sensi
assaporavano il formidabile e stordente discorso del silenzio marino.
Indovinare, indagare quale fosse quel nome che sonava press'a poco Adgio parve all'uomo serio e pensoso un compito degno di tutta la sua
attenzione. E con l'aiuto di qualche reminiscenza polacca, concluse che
doveva essere Tadzio, abbreviazione di Tadeusz che nel vocativo si
prolungava in Tadziu.
Tadzio faceva il bagno. Aschenbach, che l'aveva perso di vista, scorse la
sua testa, il suo braccio che egli alzava battendo l'acqua, laggi molto al
largo; il mare infatti doveva esser calmo fino a grande distanza. Ma gi la
gente s'inquietava per lui, gi voci di donne lo chiamavano dalle cabine e
ripetevano quel nome che dominava la spiaggia quasi come una parola
d'ordine e con le sue consonanti dolci, il suo u finale prolungato aveva
qualcosa di mite e di selvaggio insieme: Tadziu! Tadziu! Egli torn
indietro, a testa arrovesciata travers di corsa l'acqua bassa facendo
sollevare in spuma l'onda che resisteva alle sue gambe; e vedere la forma
viva, acerba e graziosa nella sua previrilit, sorgere con i ricci grondanti,
bella come un giovane nume, dalle profondit del mare, uscire e fuggire
dall'elemento, era uno spettacolo che suggeriva mitiche fantasie, qualcosa
come una leggenda poetica di et primitive che narra le origini della forma
e la nascita degli di. Aschenbach ascoltava con gli occhi chiusi quel canto
che gli vibrava nell'anima, e di nuovo pens che l stava bene e che l
sarebbe rimasto.
Pi tardi Tadzio si ripos del bagno, sdraiato sulla sabbia, avvolto in un
lenzuolo bianco che passava sotto la spalla destra e con la testa appoggiata
sul braccio nudo; e Aschenbach, anche se non lo guardava e leggeva
invece qualche pagina del suo libro, non dimenticava mai che egli giaceva
l, e che bastava voltare leggermente il capo verso destra per contemplare
la mirabile visione. Gli sembrava quasi di esser l per proteggere il suo
riposo, occupandosi delle cose proprie e tuttavia in costante vigilanza sulla
creatura ideale che giaceva poco lontano. E una tenerezza paterna, l'affetto
commosso di colui che sacrificandosi in ispirito crea la bellezza, verso
colui che la possiede, riempiva e agitava il suo cuore.
Dopo mezzogiorno lasci la spiaggia, torn all'albergo e sal in camera
sua. Ivi rimase a lungo davanti allo specchio, osservando i suoi capelli
grigi, il suo viso stanco e scavato. In quel momento pens alla sua gloria,
ricord che molti per la strada lo riconoscevano e lo guardavano reverenti,
per la precisione infallibile e coronata di grazia della sua parola; evoc
tutti i fortunati successi del suo talento, senza dimenticare il titolo nobiliare
che gli era stato conferito. Poi scese in sala da pranzo per il lunch, e
mangi al proprio tavolino. Quando, finito il pasto, entr nell'ascensore,
alcuni giovani che venivano anch'essi dalla sala da pranzo lo seguirono
nella gabbietta sospesa, e Tadzio era fra loro. Aschenbach se lo trov
accanto, cos vicino che invece di vederlo a distanza d'immagine lo sentiva
e lo riconosceva minutamente in tutti gli elementi della sua umanit.
Qualcuno rivolse la parola al fanciullo e questi, mentre rispondeva con un
sorriso indescrivibilmente amabile, gi usciva a ritroso, con gli occhi bassi,
sul primo ripiano. La bellezza genera il pudore, pens Aschenbach e si
chiese insistentemente perch. Intanto aveva notato che i denti di Tadzio
non erano perfetti; un po' frastagliati e pallidi, senza lo smalto delle
dentature sane, con quella particolare fragilit e trasparenza che
accompagna talvolta la clorosi. E molto delicato, non ha salute, pens
Aschenbach. Probabilmente non diventer vecchio. E rinunzi a
cercare la ragione del sentimento di soddisfazione o di sollievo suscitato
da quel pensiero.
Pass due ore nella sua stanza e nel pomeriggio and a Venezia col
vaporetto che attraversava la putrescente laguna. Scese a San Marco, prese
il t in piazza e poi, secondo il suo programma veneziano, fece un giro per
le vie. Ma proprio quella passeggiata produsse un rovesciamento completo
del suo umore e delle sue decisioni.
Sui vicoli stagnava una calura afosa e ripugnante; l'aria era cos spessa
che gli odori provenienti da abitazioni, botteghe, cucine vapori oleosi,
nuvole di profumo e molti altri , restavano sospesi senza dissolversi. Il
fumo delle sigarette fluttuava dov'era e si disperdeva solo con estrema
lentezza. La folla che si pigiava nello spazio ristretto infastidiva il
passeggiatore invece di divertirlo, pi andava, e pi sentiva il tormento
dell'orribile stato in cui l'aria di mare unita allo scirocco solevan farlo
cadere, uno stato di prostrazione e di eccitazione insieme. Il suo corpo stillava di molesto sudore. Gli si annebbiava la vista, il petto era oppresso, un
brivido di febbre lo scosse, il sangue gli pulsava alle tempie. Fugg dalle
Mercerie affollate, verso i quartieri dei poveri. Ma qui lo importunavano i
mendicanti, e il fetore dei canali gli mozzava il respiro. In una piazza
tranquilla, uno di quei luoghi nel cuore di Venezia che sembrano
addormentati in un magico oblio, egli si ripos su una vera di pozzo,
s'asciug la fronte e cap che doveva partire.
Per la seconda volta e ormai in modo definitivo era dimostrato che la
citt, con quella temperie, aveva un pessimo effetto sulla sua salute.
Ostinarsi a restare era irragionevole, la probabilit di un cambiamento di
atmosfera appariva molto incerta. Bisognava prendere una decisione
immediata. Ritornare a casa subito non era possibile. N il quartiere
d'inverno n quello d'estate eran pronti ad accoglierlo. Ma il mare e la
spiaggia non si trovavano soltanto a Venezia, e anzi altrove non avevano il
malefico complemento della laguna e dei suoi miasmi. Si ricord di un
piccolo villaggio balneare poco distante da Trieste, che qualcuno gli aveva
segnalato. Perch non andar l? E senza indugio, affinch mettesse ancora
conto di cambiare un'altra volta villeggiatura. Si dichiar risoluto e si alz.
Alla prima stazione di barche prese una gondola e attraverso il tetro
labirinto dei canali, sotto balconi leggiadri fiancheggiati da leoni di
marmo, girando intorno a speroni di muraglie vischiose, lungo squallide
facciate di palazzi in rovina che specchiavano grandi insegne di fondachi
nelle acque cosparse di galleggianti detriti, si fece portare a San Marco.
Non vi giunse senza fatica, perch il gondoliere, in combutta con fabbriche
di merletti e vetrerie, cercava continuamente di sbarcarlo per visitare
negozi e fare acquisti, e quando quella bizzarra traversata di Venezia in-
Nell'andare verso il tavolo dei suoi, egli s'incontr con l'ospite che
partiva; davanti a quel signore dalla fronte alta e dai capelli grigi chin
modestamente gli occhi a terra, per risollevarli tosto, com'era suo amabile
vezzo, larghi e dolci verso di lui, ed era gi passato. Addio, Tadzio!
pens Aschenbach. Per breve tempo ti ho veduto. E mentre contro la
sua abitudine formulava il pensiero con le labbra e lo mormorava a voce
bassa, soggiunse: Sii benedetto! Poi procedette alla partenza,
distribu mance, ricevette il saluto del piccolo discreto manager in
finanziera alla moda francese, e usc dall'albergo a piedi com'era venuto,
seguito dal domestico che portava il bagaglio a mano, per recarsi
all'imbarcatoio, lungo il viale biancofiorito che traversa l'isola. Vi giunge,
sale sul vaporetto... e quel che segu fu il cammino della passione, un
angoscioso discendere a tutti gli abissi del pentimento.
Era la traversata ben nota della laguna, passando davanti a San Marco, e
su per il Canal Grande. Aschenbach era seduto sulla panca circolare a prua,
col braccio appoggiato alla ringhiera e la mano alzata a proteggere gli
occhi dal riverbero. I Giardini Pubblici restarono alle sue spalle, la
Piazzetta s'apr ancora una volta nella sua grazia regale e scomparve, poi
venne la grande fuga di palazzi, e alla svolta del canale apparve lo
splendido arco marmoreo del Ponte di Rialto. Il viaggiatore guardava, e si
sentiva strappare il cuore. L'atmosfera, della citt, quell'odore un po'
marcio d'acqua stagnante che aveva avuto tanta fretta di fuggire... adesso
egli lo respirava a lunghi tratti, con dolorosa tenerezza. Possibile che egli
non avesse saputo, che non avesse ricordato come il suo cuore era
attaccato a tutto ci? Quello che al mattino era stato un vago rammarico,
un leggero dubbio sull'opportunit della sua decisione, diventava adesso
dolore, vero cordoglio, una tortura dell'anima, cos amara che pi volte le
lacrime gli empirono gli occhi, e di cui si diceva che non avrebbe mai
potuto prevederla. Ci che pi gli pareva penoso, anzi in certi momenti
addirittura intollerabile, era il pensiero che non avrebbe mai pi riveduto
Venezia, che quello era un addio per sempre. Poich aveva accertato per la
seconda volta che la citt era nociva alla sua salute, poich per la seconda
volta era costretto a fuggir via precipitosamente, doveva considerarla d'ora
in poi come una residenza impossibile e proibita, al di sopra delle sue
forze, e che sarebbe stato assurdo ritentare. Sentiva anzi che se ora partiva,
orgoglio e vergogna gli avrebbero vietato di vedere mai pi la citt amata
davanti alla quale per ben due volte egli aveva fallito fisicamente; e quel
conflitto fra inclinazione spirituale e capacit corporale parve
improvvisamente cos grave e significativo all'uomo in declino, la disfatta
fisica cos vergognosa, cos da evitare a qualunque prezzo, che non capiva
pi la facile rassegnazione con cui ieri aveva deciso di subirla e di ammetterla senza una dura lotta.
Intanto il vaporetto s'avvicina alla stazione, sofferenza e perplessit
crescono fino allo sconvolgimento. In tanta angoscia il partire sembra
impossibile e non meno impossibile il rimanere. Cosi egli entra in
stazione, con l'animo lacerato. E molto tardi, non c' un minuto da perdere
se vuole prendere il treno. Egli vuole e non vuole. Ma il tempo stringe, lo
incalza; egli si affretta a prendere il biglietto e nel trambusto della sala
cerca l'impiegato della Societ. L'uomo si mostra e annunzia che il baule
stato spedito. Gi spedito? Si, tutto in ordine, per Como. Per
Como? E da un rapido scambio di irritate domande e di costernate
risposte risulta che il baule, confuso con altri bagagli, partito dall'ufficio
spedizioni dell'Albergo Excelsior in direzione completamente sbagliata.
Aschenbach stent a conservare l'espressione di rincrescimento adatta
alle circostanze. Una gioia stravagante, una incredibile gaiezza gli squass
internamente il petto quasi come uno spasimo. L'impiegato si precipit a
fermare il baule, se era ancora possibile, ma com'era da prevedersi ritorn
a mani vuote. Allora Aschenbach dichiar che non intendeva partire senza
il suo baule, e perci decideva di tornare all'Albergo dei Bagni per
attendervi il ritorno del collo. Chiese se il motoscafo della Societ fosse
ancora l. L'uomo assicur che era davanti alla porta della stazione. Con
italiana facondia persuase il bigliettario a riprendersi indietro il biglietto,
giur che si sarebbe telegrafato, che non si sarebbe risparmiato n
trascurato nulla per riavere il baule al pi presto e cos fu che il
viaggiatore, venti minuti dopo il suo ingresso in stazione, si ritrov sul
Canal Grande di ritorno verso il Lido.
Avventura bizzarra, incredibile, umiliante, tra la farsa e il sogno: deviato
e risospinto indietro dal destino, rivedere, prima che un'ora sia passata, i
luoghi a cui si appena detto addio con acerbo dolore! Sollevando un'onda
di spuma, bordeggiando agile fra gondole e vaporetti, la piccola rapida
imbarcazione vola verso la sua mta, mentre l'unico passeggero nasconde
sotto la maschera dell'imbronciata rassegnazione l'allegra baldanza di un
ragazzo scappato di casa. Di tanto in tanto gli vien da ridere al pensiero di
quella fatalit che non avrebbe potuto trattare con maggior compiacenza
un beniamino della fortuna. Bisogner dare spiegazioni, egli si disse,
affrontare sguardi stupiti; poi tutto torner a posto: una infelicit sar
stata evitata, un grave errore riparato, e tutto ci che egli aveva creduto di
abbandonare si sarebbe di nuovo offerto, sarebbe stato suo finch egli
IV
Ormai, giorno per giorno, il dio dalle guance ardenti conduceva nudo la
quadriga di fuoco attraverso gli spazi del cielo, e la sua chioma d'oro
ondeggiava al vento di levante subitamente calmato. Una serica
bianchezza posava sulle distese del Ponto torpido e ondoso. La sabbia
bruciava. Sotto l'etere azzurro dai barbagli d'argento erano tese davanti alle
cabine tende di traliccio color ruggine, e sulla netta macchia d'ombra da
esse proiettata si passavan le ore del pomeriggio. Ma non meno deliziosa
era la sera, quando gli alberi del parco esalavano profumi balsamici, le
stelle compivano lass la loro danza, e il mormorio del mare notturno
saliva dolcemente e parlava alle anime. Quelle sere portavano in s la lieta
promessa di una nuova giornata di sole, di facili e ordinati piaceri,
abbellita da infinite occasioni di gradevoli casi.
L'ospite che una compiacente disdetta aveva trattenuto col era ben
lontano dal vedere nel ricupero dei suoi averi il motivo di un'altra partenza.
Per due giorni aveva dovuto sopportare qualche privazione e partecipare al
pranzo nella gran sala in tenuta da viaggio. Poi, quando gli fu riportato
finalmente il baule smarrito, lo disfece fino in fondo e riemp della sua
roba armadi e cassetti, deciso a fermarsi per un periodo indeterminato,
soddisfatto di passare le ore alla spiaggia in leggeri vestiti di seta e di
potersi recare a pranzo in abito da sera.
Il ritmo regolare e agevole di quell'esistenza lo teneva gi sotto il suo
incanto, la dolcezza morbida e sontuosa di quel vivere lo inebri
rapidamente. Soggiorno ineguagliabile, infatti, che unisce le attrattive di
una comoda villeggiatura su una spiaggia meridionali con la vicinanza
familiare della citt stupefacente e stupenda! Aschenbach non era amante
dei piaceri. Quando si trattava di far vacanza, di riposare, di darsi bel
tempo, provava ben presto ed era stato cos specialmente quand'era pi
giovane un'inquietudine e un disgusto che lo riconducevano all'ardua
fatica, alla sacra e tranquilla opera quotidiana. Solo questo luogo lo
ammaliava, allentava la sua volont, lo rendeva felice. Qualche volta al
mattino, sotto la tenda del suo capanno, mentre contemplava sognando il
mare azzurro, o nella notte tiepida sdraiato sui cuscini della gondola che
dopo una lunga sosta in Piazza San Marco lo riportava a casa sotto il vasto
cielo stellato e le luci varie, i suoni armoniosi delle serenate si
spegnevano in lontananza , egli ripensava alla casa fra i monti, scenario
delle sue battaglie estive, dove le nuvole passavano basse sul giardino e
parola di quel che diceva, forse erano le cose pi comuni del mondo, ma al
suo orecchio suonavano come una vaga melodia. Cos l'incomprensibilit
trasformava in musica la lingua del fanciullo, un sole sfolgorante versava
su di lui una profusione di luce, e lo sfondo sublime del mare dava risalto
alla sua figura.
Ormai Aschenbach conosceva ogni linea e ogni atteggiamento di quel
corpo cos squisito e cos liberamente rivelato; salutava con gioia sempre
nuova ogni bellezza gi nota, e non si saziava di ammirare con delicato
piacere dei sensi. Il ragazzo era chiamato a salutare un conoscente che
faceva visita alle signore davanti alla loro cabina; egli giungeva di corsa,
talvolta era appena uscito grondante dal mare, buttava indietro i riccioli e
porgendo la mano riposava su una gamba, mentre l'altro piede sfiorava
appena il terreno, con una incantevole torsione del corpo, un gesto di
grazia e di attesa, di amabile perplessit, di doverosa aristocratica
civetteria. Altre volte se ne stava coricato per terra, l'accappatoio avvolto
intorno al petto, il gracile braccio scultoreo puntato sulla rena, il mento nel
cavo della mano; accoccolato accanto a lui il ragazzo che chiamavano
Yaschu gli faceva mille finezze, e nulla era pi affascinante che il
sorriso delle labbra e degli occhi con cui il beniamino ricompensava il suo
umile cortigiano. Oppure se ne stava ritto in riva al mare, solo, lontano dai
suoi e vicinissimo ad Aschenbach con le mani intrecciate dietro la nuca,
dondolandosi lento sulla punta dei piedi, e fantasticava assorto, mentre le
piccole onde venivano a lambirgli gli alluci. I suoi capelli color del miele
si arricciolavano sulle tempie e sulla nuca, il sole faceva brillare la peluria
fra le scapole, il disegno delicato delle costole, la simmetria del petto si
distinguevano attraverso lo scarno rivestimento del torso, le ascelle erano
ancora lisce come in una statua, il cavo delle ginocchia splendeva e le
venature azzurrine facevano sembrare il suo corpo ancora pi luminoso.
Quale disciplina, quale precisione del pensiero si esprimeva in quel corpo
agile e giovanilmente perfetto! Ma la volont pura e severa che agendo
oscuramente aveva potuto dare alla luce quella divina opera d'arte non era
forse nota e familiare a lui, all'artista? Non agiva anche in lui, quando egli
pieno di serena passione sprigionava dal blocco marmoreo del linguaggio
la forma snella che aveva concepito con la mente e che presentava agli
uomini come specchio ed effigie della bellezza spirituale?
Specchio ed effigie! I suoi occhi abbracciarono la nobile figura che
campeggiava nell'azzurro, e con estatica esaltazione egli credette di
comprendere con quello sguardo l'essenza stessa della bellezza, la forma
come pensiero divino, l'unica e pura perfezione che vive nello spirito e di
avrebbero detto della sua vita tutt'intera, differente dalla loro fino alla
degenerazione, di questa vita dominata dall'arte, di cui lui stesso in altri
tempi, fedele alla tradizione borghese dei padri, aveva dato giovanili
giudizi cos sarcastici, e che tuttavia in fondo era tanto simile alla loro!
Anche lui aveva servito, anche lui era stato soldato e guerriero, come
alcuni di essi giacch l'arte una guerra, una lotta logorante alla quale
oggid non si pu reggere a lungo. Una vita di vittorie su se stesso, di sfide
caparbie, una vita aspra, risoluta e parca, da lui innalzata a simbolo di un
eroismo delicato, consono ai nostri tempi egli poteva ben chiamarla
virile, poteva chiamarla eroica, e gli sembrava anzi che l'Eros che si era
impadronito di lui, a una simile vita fosse in qualche modo particolarmente
adatto e inclinato. Non era stato egli in altissimo onore soprattutto presso i
popoli pi valorosi, non si era detto che proprio il valore l'aveva fatto
fiorire nelle loro citt? Numerosi guerrieri dell'antichit avevano portato
volentieri il suo giogo, perch non erano considerate umiliazioni quelle
inflitte dal dio; e atti, che sarebbero stati biasimati come segni di vilt, se
fossero stati compiuti per altri scopi: genuflessioni, giuramenti, suppliche e
contegno servile, non gettavano onta sull'amante, ma anzi gli procuravano
lode.
Ecco come ragionava l'invasato, come cercava di sostenersi, di salvare la
propria dignit. Ma nel tempo stesso prestava un'attenzione tenace e
indagatrice agli avvenimenti poco puliti che si svolgevano in citt, a
quell'avventura del mondo esterno che confluiva oscuramente con quella
del suo cuore e alimentava la sua passione di vaghe speranze senza legge.
Nell'accanita ricerca di notizie sicure sullo stato e il progresso della
malattia, egli sfogliava febbrilmente nei caff di Venezia i giornali
tedeschi, che da parecchi giorni erano spariti dai tavolini dell'albergo. Vi si
alternavano affermazioni e smentite. Il numero degli ammalati e dei morti
ascendeva a venti, a quaranta, a cento e pi, e, poche righe pi sotto,
l'apparizione del morbo era, se non negata, ridotta a pochi casi isolati
portati di fuori. Riserve, avvertimenti, proteste contro il gioco pericoloso
delle autorit italiane erano frammezzati al resto. Impossibile acquistare
una certezza.
Tuttavia il solitario era persuaso d'un suo diritto speciale di partecipare
al segreto; e poich tuttavia ne era escluso, provava una strana
soddisfazione nel tempestare gli iniziati di domande insidiose, per
costringerli, loro che avevan fatto lega per serbare il silenzio, a mentire
espressamente. Una mattina a colazione nella grande sala da pranzo mise
cos alle strette il direttore, quell'ometto dal passo leggero che salutando e
che egli portava sotto un abito da citt sporgeva il collo magro con un
pomo d'Adamo enorme e nudo. La faccia rincagnata, pallida e glabra, s da
non permettere di indovinar la sua et, appariva segnata dalle smorfie e dai
vizi, e stranamente contrastavano col ghigno della sua mobile bocca i due
solchi che si scavavano protervi, imperiosi, quasi feroci fra le sue
sopracciglia rossicce. Ma la profonda attenzione del solitario fu attirata
particolarmente su quell'individuo sospetto dal fatto che egli diffondeva
intorno a s un'aura altrettanto sospetta. Infatti a ogni ripresa del ritornello
il cantante intraprendeva un grottesco giro fra il pubblico, con molte
buffonerie e cenni di saluto, e passava cos proprio sotto il posto di
Aschenbach, sprigionando dal corpo e dai vestiti un intenso odore di acido
fenico che saliva verso il terrazzo.
Finita la canzone, egli incominci la questua. And prima dai russi, che
furono visti donare generosamente, poi sal i gradini. Quanto era stato
sfacciato durante la rappresentazione, tanto umile si mostrava adesso.
Sprofondandosi in inchini e riverenze sgattaiolava fra i tavoli e un sorriso
di servilit ipocrita gli scopriva i denti robusti, mentre le due rughe si
disegnavano sempre minacciose fra le rosse sopracciglia. I villeggianti
squadravano con curiosit e con un certo ribrezzo lo strano individuo che
accattava il suo pane, gli gettavano qualche moneta nel cappello con la
punta delle dita, e badavano di non toccarlo. L'abolizione della distanza
fisica fra il commediante e la gente per bene produce sempre, per grande
che sia stato il divertimento, un certo disagio. Egli lo sentiva e cercava di
scusarsene con una cortesia strisciante. Giunse davanti ad Aschenbach, e
con lui l'odore di cui nessun altro pareva darsi pensiero.
Senti un po', disse il solitario in tono sommesso, quasi
macchinalmente. Perch disinfettano Venezia? Il buffone rispose con
voce rauca: Ordine della polizia! la regola, signore, con questo caldo
e con questo scirocco. Lo scirocco deprime. Non fa bene alla salute...
Sembrava stupito che gli si chiedesse una cosa simile e con un gesto della
mano a piatto dimostr com'era opprimente lo scirocco. Allora non c'
pestilenza a Venezia? domand Aschenbach molto piano, fra i denti. I
lineamenti muscolosi del pagliaccio composero una smorfia di comica
stupefazione. Pestilenza? O quale pestilenza? Lo scirocco sarebbe una
pestilenza? Oppure la nostra polizia? Ma lei vuol scherzare! Pestilenza?
Questa bella! Sono giuste precauzioni, capisce? Precauzioni della polizia
contro gli effetti della temperatura afosa... E gesticolava. Va bene,
ribatt Aschenbach seccamente e lasci cadere nel capello un'offerta
eccessiva. Poi con gli occhi accenn all'uomo di andarsene. Quegli obbed,
con sorrisi e riverenze. Ma non era ancora arrivato alla scala che due
impiegati dell'albergo si gettarono su di lui e a faccia a faccia lo
sottoposero a un interrogatorio in sordina. L'uomo alz le spalle e giur, lo
si vedeva bene, di non aver detto nulla. Lasciato libero ridiscese in
giardino e, dopo un breve conciliabolo con i suoi sotto la lampada ad arco,
si fece innanzi ancora una volta per cantare una canzone di ringraziamento
e d'addio.
Era una canzone che il solitario non ricordava d'aver mai intesa; uno
strambotto ardito in dialetto incomprensibile, con un ritornello di risate che
la banda riprendeva regolarmente a gola spiegata. Al ritornello cessavano
tanto le parole quanto l'accompagnamento degli strumenti e non restava
che un riso ordinato secondo un certo ritmo, ma con molta naturalezza, che
specialmente il solista sapeva emettere con grande talento in modo da dare
un'illusione perfetta. Ristabilita la distanza fra s e l'uditorio, egli aveva
ritrovato tutta la sua impudenza, e il riso scagliato sfacciatamente verso la
terrazza era un riso di scherno. Gi alle ultime parole della strofa egli
sembrava lottare contro un solletico irresistibile. Singhiozzava, gli tremava
la voce, si premeva la mano sulla bocca, scuoteva le spalle e, venuto il
momento, il riso sfrenato prorompeva, scoppiava, esplodeva con tale verit
che diveniva contagioso e si comunicava all'uditorio, di modo che anche
sulla terrazza dilagava un'ilarit senza oggetto che s'alimentava soltanto di
se stessa. E ci appunto pareva raddoppiare la pazza allegria del cantante.
Egli piegava i ginocchi, si batteva sulle cosce, si scrollava tutto, non rideva
pi, ululava, e mostrava a dito la societ che rideva lass, come se non ci
fosse nulla di pi comico, e alla fine si sbellicavano tutti in giardino e sulla
veranda, compresi i camerieri, i ragazzini dell'ascensore e i facchini.
Aschenbach non stava pi adagiato sulla poltrona, s'era tirato su come
per un tentativo di difesa o di fuga. Ma gli scoppi di risa, l'odore
d'ospedale che saliva a buffate e la vicinanza del bellissimo Tadzio gli
avevano ordito intorno una magia che imprigionava inesorabilmente il suo
cervello, i suoi sensi. Nell'agitazione e distrazione generale egli os gettare
uno sguardo a Tadzio e pot vedere che il bel fanciullo, rispondendo al suo
sguardo, restava anch'egli serio, come se regolasse contegno ed
espressione su quelli di lui, e il buon umore regnante non potesse toccarlo,
poich egli vi si sottraeva. Quella docilit infantile e significativa aveva
qualcosa di cos disarmante, di cos travolgente, che l'uomo dai capelli
grigi si trattenne a stento dal celarsi la faccia tra le mani. Gli era anche
sembrato che quell'abitudine che aveva Tadzio di raddrizzarsi ogni tanto e
di respirare profondamente rivelasse una mancanza di fiato, un'oppressione
tendenza a diffondersi e a migrare. Sorto nelle calde paludi del delta del
Gange, propagato con le esalazioni mefitiche di quel mondo primitivo di
isole e di foreste schivato dagli uomini, lussureggiante e inutile, dove solo
la tigre s'appiatta in mezzo alle macchie di bamb, il morbo aveva
infuriato in tutto l'Indostan con persistenza e violenza, si era esteso a
oriente fin nella Cina, a ovest aveva invaso l'Afganistan e la Persia, e
seguendo le principali strade carovaniere aveva portato i suoi terrori fino
ad Astrachan e persino a Mosca. Ma mentre l'Europa tremava di vedere il
flagello entrare di l, per via di terra, esso, trasportato sui mari da mercanti
siriaci, aveva fatto la sua comparsa quasi contemporaneamente in parecchi
porti del Mediterraneo, s'era imbaldanzito a Tolone e a Malaga, a Palermo
e a Napoli aveva mostrato pi volte il suo ceffo, e pareva che gi non
volesse pi abbandonare la Calabria e la Puglia. Il nord della penisola era
stato risparmiato. Ma alla met di maggio di quell'anno, in uno stesso
giorno, si trovarono a Venezia i terribili vibrioni nei cadaveri nerastri e
scheletriti di un barcaiolo e di un'erbivendola. I casi furono tenuti segreti.
Ma dopo una settimana ce n'erano dieci, ce n'erano venti, trenta, e per di
pi in diversi sestieri. Un austriaco, che s'era trattenuto qualche giorno a
Venezia per diporto, mor con sintomi evidenti appena tornato nella sua
cittadina di provincia, e cos fu che le prime notizie dell'epidemia
scoppiata nella citt lagunare apparvero nei giornali tedeschi. Le autorit
di Venezia risposero che le condizioni sanitarie della citt non erano mai
state migliori, e presero le pi urgenti precauzioni profilattiche. Ma
probabilmente erano gi contaminati generi alimentari, verdura, carne e
latte, perch, negata e occultata, la moria imperversava nelle calli anguste
e la canicola estiva, sopraggiunta anzitempo, intiepidendo l'acqua dei
canali favoriva il contagio. Sembrava che la pestilenza avesse acquistato
nuove forze, che la tenacia e la virulenza dei germi si fosse raddoppiata. I
casi di guarigione erano rari; moriva l'ottanta per cento dei colpiti, e
moriva di una morte terribile perch il male si manifestava con estrema
violenza e sovente nella sua forma pi pericolosa, il colera secco. In quella
forma il corpo non riusciva nemmeno a espellere l'acqua prodotta in gran
copia dai vasi sanguigni. Entro poche ore il malato si disseccava e moriva
soffocato dal proprio sangue divenuto denso come la pece, tra spasimi e
rochi lamenti. Buon per lui se, come succedeva talvolta, la malattia si dichiarava, dopo un lieve malessere, sotto forma di un deliquio profondo dal
quale il colpito non si svegliava pi, o solo per poco. Al principio di
giugno si riempirono chetamente le baracche d'isolamento dell'Ospedale
Civico; nei due orfanotrofi i posti incominciarono a scarseggiare e un
lugubre viavai regnava tra le Fondamenta Nuove e San Michele, l'isola del
cimitero. Ma la paura di un danno generale, le grosse perdite che in caso di
panico e di discredito minacciavano di colpire l'Esposizione d'Arte recentemente aperta ai Giardini Pubblici, gli alberghi, i negozi, tutta la
complessa industria turistica, quella paura fu pi forte che l'amore per la
verit e il rispetto per le convenzioni internazionali; e persuase l'autorit a
perseverare ostinatamente nella sua politica del silenzio e delle smentite. Il
direttore dell'Ufficio d'Igiene, un benemerito della sua citt, si era dimesso
con indignazione ed era stato sostituito alla chetichella da una persona pi
malleabile. La popolazione lo sapeva; e la corruzione delle autorit insieme con l'incertezza regnante, lo stato eccezionale in cui la moria aveva
posto la citt, provocarono un certo rilassamento di costumi nelle classi
inferiori, incoraggiarono gli istinti vergognosi e antisociali, che si
manifestarono in intemperanza, impudicizia e criminalit dilaganti. Contro
il solito, si vedevano la sera molti ubriachi; di notte, si diceva,
malintenzionati rendevan pericolosa la circolazione; rapine e persino
omicidi si susseguivano, e gi due volte era risultato che persone
apparentemente morte di colera eran state invece avvelenate dai famigliari
che volevano sbarazzarsi di loro; il vizio professionale prendeva forme
insistenti e depravate, che quass non s'erano mai viste prima ed erano di
casa soltanto nelle regioni meridionali e nell'oriente.
Di queste cose l'inglese raccont l'essenziale. Lei farebbe bene,
concluse, a partire piuttosto oggi che domani. Il decreto di quarantena
non pu pi tardare che di due o tre giorni. La ringrazio, disse
Aschenbach e usc dall'agenzia.
Sulla piazza incombeva un'afa senza sole. Turisti ignari eran seduti nei
caff oppure stavano davanti alla chiesa, tra il fitto volo dei colombi, e si
divertivano a guardare le bestiole che agitandosi, battendo le ali,
cacciandosi via l'un l'altra beccavano i chicchi di granturco che venivan
loro offerti nel palmo della mano. In preda a un'irrequietezza febbrile,
trionfante di possedere la verit, ma con un sapore di ribrezzo in bocca e
un imaginoso sgomento nel cuore, il solitario calpestava i lastroni della
piazza fastosa. Meditava un'azione onesta e purificatrice. Quella sera
stessa dopo cena avrebbe potuto avvicinarsi alla signora dalle perle e dirle
la frase che gi andava formulando: Signora, permetta a un estraneo di
darle un consiglio, un avvertimento di cui l'egoismo degli altri la priva.
Parta subito, con Tadzio e con le sue figliole. C' il colera a Venezia! Allora avrebbe potuto posare la mano in segno d'addio sul capo del fanciullo
che era stato strumento di una beffarda divinit e poi, ritraendosi, fuggire
bestie, una frotta, una torma frenetica che inond il pendio di corpi e di
fiamme, in tumulto e in tregenda vertiginosa. Donne che inciampavano
nelle lunghe vesti di pelli agitavano tamburi con sonagli al di sopra delle
loro teste riverse e gementi, brandivano fiaccole sfavillanti e stili sguainati,
impugnavano a mezzo il corpo serpi lingueggianti, o si reggevano i seni
con le mani, ululando. Uomini che portavano corna sulla fronte, cinti di
pellicce e vellosi essi stessi, curvavano la nuca dimenando braccia e
gambe, e facevano rimbombare grandi piatti di bronzo o tambureggiavano
furiosamente sui timpani, mentre giovinetti dai corpi lisci e glabri con
bastoni inghirlandati pungolavano arieti, reggendosi alle loro corna e
lasciandosi trascinare, con grida di giubilo, dai loro salti. E i forsennati
guaivano quel loro grido fatto di consonanti dolci con l'uuuh prolungato
alla fine, dolce e selvaggio insieme come non s'era mai udito l'uguale. Qui
esso saliva nell'aria come il bramito d'un cervo, e l era ripetuto da mille
voci con accenti di trionfante lascivia, eccitando alla danza, al dimeno
delle membra, senza mai tacere. Ma tutto compenetrava e dominava il
suono profondo, lusinghevole del flauto. Non allettava con sfrontata
insistenza anche lui, preda riluttante, alle feste, alle orge dell'estremo
sacrificio? Grande era la sua ripugnanza, grande il suo terrore, sincera la
sua volont di difendere fino all'ultimo ci che era suo contro lo straniero,
il nemico dello spirito fermo e dignitoso. Ma il clamore, le grida
moltiplicate dall'eco delle pareti rocciose crescevano, trionfavano, si
gonfiavano in un delirio irresistibile. I vapori offuscavano la mente, acre
odore di capri, esalazioni di corpi ansimanti e un tanfo come di acque
corrotte misto a un altro ben noto: di piaghe, di malattia serpeggiante. Ai
colpi di timpano il suo cuore rimbombava, la sua testa girava, lo assalivano
cieco furore, volutt inebriante e la sua anima desiderava di unirsi al
baccanale del dio. Il simbolo osceno, ligneo, gigantesco, fu svelato e
innalzato: e ancor pi frementi tutti gridarono la parola del rito. Con la
schiuma alle labbra smaniavano, si eccitavano l'un l'altro con gesti lubrici
e mani lascive, ridendo e gemendo, si cacciavano vicendevolmente
pungiglioni nelle carni e leccavano il sangue che ne sgorgava. E il
dormiente era ormai con essi, in essi, asservito nel sogno al dio straniero.
Anzi essi erano lui, quando si gettarono sulle bestie dilaniando e
uccidendo, e ingoiarono lembi fumanti di carne, quando sul terreno
sconvolto incominciarono orribili congiungimenti in onore del dio. E la
sua anima conobbe il gusto della lussuria e la follia della perdizione.
Da quel sogno la vittima si svegli senza forze, coi nervi spezzati,
schiavo del demone. Non temeva pi gli sguardi attenti di coloro che lo
senza legami, nel mare, nel vento, davanti all'immensit nebulosa. Ancora
una volta si ferm in contemplazione. E improvvisamente, come tratto da
un ricordo, da un impulso, volse graziosamente il busto dalla posizione
primitiva, con una mano sul fianco, e al di sopra della spalla guard verso
la spiaggia. Aschenbach era l come quando per la prima volta, rinviato
dalla soglia dell'atrio, aveva incontrato lo sguardo di quegli occhi color del
grigio crepuscolo. Appoggiato allo schienale della poltrona aveva girato
lentamente il capo per seguire il moto di Tadzio che camminava laggi; e
ora si erse come per andare incontro allo sguardo, poi ricadde sul petto
cos che i suoi occhi guardavano di sotto in su, mentre la faccia prendeva
l'espressione distesa e introspettiva di chi caduto in un sonno profondo.
Tuttavia gli parve che il pallido e soave psicagogo laggi gli sorridesse, gli
facesse cenno; che, staccando la mano dall'anca, gli indicasse l'orizzonte
lontano, lo precedesse aleggiando nell'immensit piena di promesse. E,
come tante altre volte, volle alzarsi per seguirlo.
Passarono alcuni minuti prima che qualcuno accorresse in aiuto del
poeta che s'era accasciato su un fianco. Lo portarono in camera sua. E il
giorno stesso il mondo apprese con reverente commozione la notizia della
sua morte.
FINE