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Le letterature
della Scandinavia
Danese, Norvegese, Svedese, Islandese
SANSONI - ACCADEMIA
e se m p la r e fu o ri c o m m e r c io
PIER LA D SST R tBU ZlO N E
Prefazione
1 Non vanno però taciute le singole voci di implicito dissenso (p. es.
P. Rubow, Herman Bang og fiere kritiske studier, Kobenhavn, 1958,
p. 64) o, sul piano pratico, gli sconfinamenti da una letteratura all’altra
(p. es. gli studi dello svedese Knut Ahnlund sull’opera narrativa del
danese H. Pontoppidan, 1956, o del danese Aage Kabell sull’opera del
norvegese Wergeland, 1956-57).
6 Le letterature della Scandinavia
l ’e d d a p o e t i c a e l ’ e d d a p r o s a s t i c a ,
LA PO ESIA SCALDICA, L E SAGHE
1 L ’espressione dgnsk tunga (lingua danese) nei testi nordici dei secoli
XIII e XIV alternata a quella di norron tunga o norront mài (lingua
norvegese) — Snorri nel Prologo della Heitnskringla le usa indiscrimi
natamente — riflette con probabilità le denominazioni etniche date ai
nordici (e al loro idioma, ben poco differenziato in età vichinga) dai
popoli occidentali con i quali più spesso vennero in contatto: anglosas
soni, sassoni, frisoni, e poi entrate nelPuso culturale indigeno (cfr. Einar
Ól. Sveinsson, Islenzkar bókmenntir i fornòld, I, Reykjavik, 1962, p. 5
che riprende le idee di P. A. Munch sull’intera questione).
Medioevo pagano e cristiano 11
fra la lirica provenzale da una parte e gli stilnovisti e Petrarca
dall’altra.
Si suole ad esemplificazione di antecedenti poetici dei car
mi eddici e scaldici citare gran copia d’iscrizioni runiche com
memorative e celebrative, e in primo luogo quella più antica
(ca. 400) su uno dei celebri corni d’oro di Gallehus (Schles
wig): « ek hlewagastiR holtijaR homa tawido » (Io Hlégestr
figlio di Holt il corno feci). Ma, nonostante l’indubbio valore
storico e fonetico-morfologico, la formulare schematicità di
questi due versi brevi allitteranti ben poco ha da offrire al
gusto estetico. Non diversamente le tanto discusse iscrizioni:
norvegese di Eggjum (Sogn; ca. 700), svedese di Rok (Óster-
gòtland; ca. 800) e le due danesi di Jelling (Jylland; ca. 900)
non presentano, aldilà del loro interesse linguistico-culturale e
figurativo, che i connotati esterni della poesia eddica e scaldica
(affinità metrico-lessicali, costrutti tipici dell’uso poetico, allu
sioni 1 a nomi e fatti mitico-eroici). In qualche altra come per
esempio quella di Gripsholm (Sormland; c. 1050): « PaeiR
foru draengila - fjarri at gulli - auk austarla - aerni gafu, - dou
sunnarla - a Sasrklandi » (Partirono da valorosi,^ lontano in
cerca d’oro, e a oriente dettero cibo all’aquila [cioè uccisero
molti nemici], morirono a sud in terra saracena) può certo
colpire la concisione epigrammatica con cui, quasi in cifra, è
tramandato un fatto notevole che si articola su tre noti simboli
dell’eroismo vichingo: la sete dell’oro, il mare, il sangue; ma si
tratta per lo più di una suggestione che scaturisce dall’inattesa
rottura del nudo linguaggio formulare in uso: non ci troviamo
davanti a microcosmi di poesia, a parole di risonanza profonda
che attraverso le lontananze del tempo e dello spazio ci tra
smettono la vibrazione d’un sentimento individuale variamente
atteggiato.
E qui si offre da sé il richiamo a quelle che nelle più o
meno indirette testimonianze di scrittori antichi (Tacito, Gior
dane e altri)2 dovettero essere le forme primitive di poesia
germanica, commemorativa genealogica encomiastica, nell’area
continentale: espressione di una mentalità tribale, di senti
menti atavici collettivi; anche se qui, a differenza di quanto
per lo più avviene nell’epigrafia runica, il nome del poeta
rimane costantemente nell’ombra.
il quale appunto cita e commenta in prosa gran parte della materia poe
tica attinta all’altra raccolta.
La tradizionale distinzione fra poesia « eddica » e poesia « scaldica »,
d’uso nella terminologia specialistica moderna, non ha fondamento nella
tradizione. Innegabili sono certo differenze di contenuto e di forma ma
anche punti di contatto e aspetti comuni, tanto che qualcuno (Jan de
Vries cit., I, pp. 89-110) ipotizza una fase storica in cui il carme scaldico
fu composto in metri esclusivamente eddici. Snorri cita indistintamente
nella sua Edda i carmi anonimi déll’Edda poetica e i versi scaldici di
noti autori, ne esemplifica i diversi metri, menzionando da ultimo e
senza una parola di commento i metri tipicamente eddici; ma nella sua
opera storica (Heimskringla, ‘Haralds saga hardràda’, c. 91) riporta l’epi
sodio di Araldo il Severo che, pronto alla battaglia, compone e recita
i medesimi versi prima in stile eddico, poi scaldico, dove la diffe
renza fra i due stili — non esplicitamente rilevata nel testo — fa pen
sare a quello della retorica medievale fra « ornatus facilis » e « ornatus
difficilis ». Più esatto sarebbe forse parlare di due diverse tendenze del
gusto che, invece di escludersi, non mancano di influenzarsi a vicenda.
1 II titolo si trova nelYEdda snorrica; parimente più titoli dei carmi con
tenuti nel Regius si trovano non già in questo, ma in tarde copie cartacee
del Seicento; né appare perspicua la diversa denominazione dei singoli
carmi: p. esempio mài riferentesi tanto a carmi mitico-gnomici, quanto a
carmi eroici contenenti parti dialogiche; cosi kvida da kveda = recitare.
Medioevo pagano e cristiano 17
1 Sui legami fra la prosa della Vglsungasaga e i carmi sui quali si fonda:
Sigrdrtfumàly Brot, Gudrunarkvida I, Sigurdarkvida in skamma, Helreid
Brynhildar} come pure su altri affini, ipotizzati da Teusler, e su fonti
Medioevo pagano e cristiano 21
38
Ymr vard à bekkiom, afkdrr sgngr virda,
gnyr und gudvefiom, gréto bgrn Huna,
nema ein Gudrun, er hon seva grét
brcedr sina berharda ok buri svasa,
unga, ófróda, pà er hon vid Atla gat.
Gemiti risonarono fra i banchi, sinistro echeggiò il canto dei guer
rieri, gemiti uscivano di sotto i mantelli, piangevano i figli degli
unni; solo Gudrun non pianse mai, i fratelli suoi invincibili, i pro
pri figlioletti, da lei generati a Atli.
LA PO ESIA SCALDICA
boreale, Oxford, 1883, II, p. 2 sgg.; S. Bugge, Bidrag til den seldste
skaldedigtnings bistorte, Kristiania, 1894, p. 65 sgg.; A. Bugge, Vester-
landenes indflydelse paa nordboerne..., ivi, 1905, p. 65 sgg.; A. Olrik,
Nordisk Aandsliv i vikingetiden, Kobenhavn, ed. 1927, p. 59). Molto
più cauti Heusler (Altg. D. pp. 28, 135 sgg.) e dopo di lui J. de Vries
(Altn. Litg. Berlin, 1941-42. I, p. 69 sgg.) si sono limitati a mettere
in evidenza i caratteri formali che differenziano il carme scaldico dai
tradizionali schemi metrici germanici. Un influsso celtico sulla Fornaldar-
saga è ipotizzato da E. Ól. Sveinsson, tslenzkar bókmenntir, cit., pp. 35-36.
1 Heusler, Deutsche Versgeschicbte, Berlin-Leipzig, 1925, I, p. 300 e
Altg. D., p. 28 sgg.; H. Lie, Skaldestil-Studier, in MM, 1952, p. 5 sgg.
; Sulla base di semplici congetture J. de Vries (Altgerm. Religionsgesch.,
cit. in bibliografia, Berlin, 1955-572, I, p. 440 sgg., II, pp. 67-73) ritiene
che il carme scaldico abbia avuto la sua remota origine nella poesia
cultuale.
2 Distinti per contenuto e forma i due generi presentano però, come
t s’è già detto, molti punti di contatto e aspetti comuni per non dire
: dei molteplici sicuri indizi di interazione fra poesia scaldica e eddica
(Vgluspà, Hymiskvida, Helgakvida, Atlamàl, Glymdràpa, Haustlgng, Ei-
riksmàl, Hàkonarmàl). Bisogna dunque guardarsi da troppo rigide clas
sificazioni, e da una applicazione meccanica delle distinzioni oggettive e
stilistico-formali messe in rilievo da E. Noreen (Den norsk4slàndska
ì Voesien Stockholm, 1926, p. 16 sgg.). Se le accogliessimo, dovremmo
! escludere dalla poesia scaldica: i poemetti di Egill, perché composti in me
tro non tipicamente scaldico; lo Hàkonarmàl e lo Haraldskveedi, perché
dialogici; e finalmente lo Haustlong, perché narrativo. Sarebbe forse più
esatto e più conforme all’uso della tradizione islandese parlare di due
; diverse tendenze del gusto; giacché quanto oggi, per i moderni filologi,
va sotto il nome di eddico, indicò per i rimatori islandesi del Quattro
ì (p. es. Lilja str. 97) e Cinquecento (che avevano l’occhio all’Edda snor-
! rica) la poesia tipicamente scaldica. Forse chi recitava un carme eddico
sentiva di parlare in nome di una tradizione già formata, mentre chi
recitava un carme scaldico si sentiva egli stesso creatore d’una tradizione,
j Cfr. C. M. Bowra, Heroic Poetry, London, 1961, p. 40.
I 3 Heusler, Altg. D. pp. 135-36; de Vries, Altn. Litg. I, p. 90; e per
, i nessi con le arti figurative H. Shetelig, Osebergfunnet, Oslo, 1917-20,
I III, pp. 21-25; e soprattutto H. Lie., cit., in MM, 1902., p. 8 sgg. Alla
46 Le letterature della Scandinavia
(Islenzk ntenning., Reykjavik, 1942, p. 234 sgg.). Sui rapporti fra me
trica eddica e metrica scaldica v. Genzmer in JGEPh., X III, pp. 323-33;
L. M. Hollander, ivi, LII, pp. 190-197; e E. Ól. Sveinsson, tslenzkar
bókmenntir, cit., pp. 108-118.
1 Dopo G. Neckel (Beitràge zur Eddaforscbung, Dortmund, 1908, p. 14)
hanno sostenuto questa tesi, oltre Heusler (Altg. D.y p. 29) e de Vries
(Altn. Litg., I, p. 212), S. Nordal, Egilssaga Skallagrimssonar, Reykja
vik, 1933, p. 220 e F. J. Raby, A History of Christian-Latin Poetry
from the Beginnings to the Close of the Middle Ages, Oxford, 1953,
pp. 138, 150. Un parallelo nel campo romanzo è offerto — com’è noto —
dalla metrica trovadorica, i cui modelli più antichi risalgono all’innica re
ligiosa del Medioevo (H. Spanke in Studi Medievali n. s. 7, 1934, p. 83).
Cfr. anche J. Helgason-A. Holtsmark, Hàttalykill enn forni, Kobenhavn,
1941, p. 118 sgg.; 142 sgg.; G. Turville-Petre, Origins of Icelandic Litera
ture, Oxford, 1953, p. 141 sgg. Rggnvaldr che s’ispirava — come è stato
dimostrato — alT« Ars major » di Donato, fa derivare la allitterazione dal
la poesia latina (!) e ne paragona la funzione nella poesia norrena ai chio
di che tengono insieme la nave (upphaf til kvcedandi peirrar er saman
heldr norrcenum skàldskap, svà sem naglar halda skipi saman) in Islands
grammatiske litteratury II ed. B. M. Ólsen, SUGNL, n. 12, p. 96.
2 Cosi detta forse per l’« inserimento » in essa di uno o più ritornelli
(stef) in una o più strofe (cfr. S. Nordal in APhS, 6, 1931, pp. 144-149).
Medioevo pagano e cristiano 55
1 Heusler, Altg. D., p. 135 ricorda a proposito della tmesi dei compo
sti il latino di Ennio e di Alcuino; de Vries (Altn. Litg., I, p. 86,
nota 3) quello di Beda. Altri esempi si potrebbero citare (cfr. W. Kroll,
Studien zum Verstàndnis der róm. Lit., Stoccarda, 1924, p. 261 sgg;
F. J. E. Raby, cit., I, p. 191.
2 K. Reichardt, Studien zu den Skalden des 9 u. 10 Jahrhunderts, Leip
zig, 1928, p. 79 sgg.; W. Mohr, Kenningstudien, cit., pp. 4-14 parla di
un Erledingungsprinzip, in base al quale sarebbe agevole ricongiungere
e completare le frasi interrotte nel contesto strofico.
3 Succitata nel testo e nell’interpretazione di F. Jónsson.
4 Op. cit., p. 89.
EGILL SKALLAGRfMSSON
1 S. Nordal, 1. /. cit. II, prefazione pp. 11-25 sgg., e altri con lui.
64 Le letterature della Scandinavia
SONATORREK 1
1
Mjgk erum tregt Amara pena
tungu at hrcera, mi stringe la gola;
loptvega e torpida è la lingua,
Ijódpundara 2. bilancia del canto.
Esa veenligt Né agevole è
of Vidurs pyfi3 il tesoro della poesia
né hógdrcegt dai recessi dell’anima
ór hugar fylgsnù estrarre.
2
Esa audpeystr 4, E molto doloroso è
pvit ekki veldr dall’anima
hgfugligr, far sgorgare la poesia;
ór hyggju stad la felice scoperta
fagnafundr fatta da Odino
Friggjar nidja5 all’alba dei tempi
àr borinn nel paese dei giganti.
ór Jgtunheimum,
1 Lett.: « Perdita irreparabile dei figli »; dal gen. plur. sona, il pre
fisso avv. tor (cfr. got. tur-, aat. zur-, perduto nelle lingue germaniche
e scandinave, fuorché nell’islandese, dove è ancora d’uso frequente) e il
sost. rek (cfr. sved. vrak; ingl. wreck e wretch).
2 La lingua paralizzata dal dolore e dalla fame è qui chiamata « bilan
cia [misuratrice] del canto» (hljód, got. hliup, ags. hleodor, dan. lyd;
pundari, lat. pondo, ingl. pound); lett. i primi tre versi suonano:
molto è difficile muovere la lingua in aria, ecc. Così Kock, N. N.,
par. 3002; ma vedi anche le opinioni diverse di I. Lindqvist, Norrona
lovkvàden I, Lund, 1929, p. 26 sgg.; e S. Nordal, 1. /. II, 1933, p. 246.
3 La « kenning » « preda di Vidurr » — appellativo di Odino — allude a
un noto episodio narrato da Snorri nell’Edda (v. sotto nota 5). Hóg-
drcegt = lett. facile a trasportare: da haga e draga.
4 Dal prefisso avv. aud (manca nel got., ma cf. ags. èàd = easy) e il
verbo peysa = far sgorgare; lo stesso icastico verbo usa le Saga (cap. 71)
quando Egill, per vendicarsi ignominiosamente del contadino Asmódr
skegg, che aveva osato offrirgli latte acido invece di birra, gli vomita
in viso. Ekki (cfr. norr. gngr, got. aggwus, lat. angustus).
5 Lett.: « la felice scoperta del parente (nidja è un plur. poet, con
significato di sing.) di Frigg »; allusione al mito narrato da Snorri nel-
rEdda (ed. cit., p. 85) e insieme anticipazione del concetto catartico
66 Le letterature della Scandinavia
3
lastalauss perché l'ottimo
es lifnadi1 timoniere
ngktveri à 2. esanime fu lasciato
ngkkva bragi3 sul nudo scoglio.
Jgtuns hals 4 Ululano ora le onde
undir pjóta a pie' del tumulo
nàins nidr dove mio figlio riposa.
fyr naustdurum5
4
pvit sett min Perché la mia stirpe
à enda stendr è abbattuta
hreggbardir 6 come, percosso dalla folgore,
sem hlynir marka. acero nella foresta.
E sa karskr madr, Triste è colui che
sàs kggla berr la salma esanime
della poesia svolto più avanti alle strofe 23-24. Ma l’emendazione del
testo priggja in Friggjar appare dubbia (v. R. Meissner, Die Kenningar
der Skalden, p. 429 sgg.; H. Kuhn, PBB, 60, 1936, p. 144; e M. Olsen,
cit., ANF, p. 212).
1 Lifna (cfr. sved. làmna, dan. levne, e il got. af-lifnan, che traduce
il greco perileipesthai): esser lasciato, esser superstite.
2 À. Ohlmarks (op. cit., p. 300) giustamente interpreta l’apax legome-
non ngkkverr come « nudo scoglio dove si pesca » (cfr. ags. woer — mare
e norr. vermenn = pescatori; verità = stagione della pesca).
3 II bragi della biremi (norr. nokkvi, ags. naca, ted. Nachen; v. Edda
snorrica, ed. cit., p. 62) è Bgdvarr. Sembra più congruente inten
dere bragi come aggettivo e perciò scriverlo con la minuscola (cfr. ags.
brego = princeps), anziché pensare a Bragi dio della poesia. Ma vedi
la diversa interpretazione di M. Olsen, cit., p. 215.
4 La « kenning»: Jgtuns hals undir = « ferite del collo del gigante»,
allude al mito di cui racconta Snorri nelYEdda (ed. cit., p. 14). Non
sembra convincente l’interpretazione di L. Lindquist (Norrona lovkvà-
den I, cit., p. 26) che emenda hals in hélds = rugiadoso.
5 Lett.: « davanti alla porta della baracca per le imbarcazioni » (presso
il capo di Digranes). Fu Bgdvarr sepolto in una nave, secondo l’uso
vichingo? Nàinn prop, vicino, congiunto. L. Wolf in Zum Sonatorrek
(Edda Skalden Saga, Festschrift F. Genzmer, Heidelberg 1952, p. 107)
interpreta, sembra, con scarsa congruenza, naust = aula (di Ràn).
V. invece M. Olsen, cit., p. 217.
6 Hregg è propriamente la tempesta accompagnata da pioggia, e il part,
pass, del verbo berja va qui accordato con il plur. del sostantivo:
« aceri ». L ’accento alla stirpe introduce uno dei motivi centrali del
carme. Secondo la concezione del germanesimo primitivo la stirpe è
infatti depositaria di tutte quelle forze salutifere che reggono l’indivi
duo e la collettività. Da notare anche l’uso frequente della litote, tra
duzione stilistica dell’ideale vichingo, della morale eroica, che esigeva
dominio di sé e impassibilità di fronte al destino.
Medioevo pagano e cristiano 67
1 tìrcer o breyr (cfr. ags. hryre, lat. ruina) = . cadavere; kggull = giun
tura.
2 Flet (cfr. ags. flet = aula, ingl. fiat) può essere la casa come la fila
dei banchi nelPaula regia.
3 Come ha osservato S. Nordal (Egils saga Skallagrimssonar, cit., p. 248)
e poi À. Ohlmarks (cit., p. 300 sgg.) l’intera metafora è ricavata da
un uso cultuale. Durante la mezzestate e in primavera si soleva intro
durre nella sala del banchetto, attigua al sacrario, dei rami frondosi,
che poi, a cerimonia finita, venivano portati via secchi. Timbr masr-
dar = legno dell’encomio (got. meripa).
4 Qui come altrove la forma arcaica dei medio apocopato (v. M. Ny-
gaard, Norron Syntax, Kristiania, 1905, p. 160), col pron. in funzione
di suffisso, serve a rafforzare il senso tutto personale della perdita. Da
notare anche nel penultimo verso l’uso del sostantivo skard = vuoto,
richiamante le immagini e il linguaggio della battaglia (Nù er skard
fyrir skildì, cioè: « c’è un vuoto al posto dello scudo », si soleva dire
anticamente per annunciare una grave perdita nell’aula regia).
5 Ràn è moglie del dio del mare Aegir (cfr. ags. eagor) e madre delle
oceanine nordiche (Edda Snorra, p. 121; sul problema dell’etimo vedi
C. A. Mastrelli, « Sul nome della gigantessa Ràn » in Studi Germanici,
Roma, n. 10, pp. 254-264) pgtt ('pàttr, lat. texto, sved. tàt). Rysktan
è voluto dalla costruzione di hafa con i verbi transitivi.
68 Le letterature della Scandinavia
24
Ggfumk iprótt Il nemico del lupo
ulfs of bàgi [cioè di Fenrir] mi donò
vigi vanr — avvezzo com’è alla pugna •
vammi firda, un’arte sacra,
auk pat gedl> e anche una natura
es gerdak mér che mi rese
visa fjandr2 nemici aperti
af vélgndum 3. gli ingannevoli [amici]. ^
25
Nu erum torvelt4: Ma ora è finita per me.
Tveggja bàga La morte mi assilla,
ngrfó nipt5 imminente, là al capo
, à nesjum 6 stendr. [di Digranes].
Skalk pó gladr, Eppure sereno,
gódum vilja, e senza rammarico
ok óhryggr Taspetterò volentieri.
Heljar7 bidaì
Agli inizi del sec. XI col diffondersi del nuovo verbo
religioso, soprattutto per opera dei due re missionari Ólàfr
Tryggvason e Ólàfr Haraldsson, la tradizione scaldica sembra
scindersi in due parallele correnti del gusto: una più semplice,
che consapevolmente si sforza di evitare le « kenningar » mito
logiche, l’altra che invece moltiplica fino al puro gioco i vir
tuosismi metaforici e metrici. In quest’età compaiono anche,
DARRADARLJÓD
1
Vitt es orpit2 È tesa la tela,
fyr valfalli è nube foriera
rifs reidisky3; di prossima strage;
rignir biódi. e gronda di sangue.
Nil’s fyr geirum È ora approntato
gràr upp kominn l’ordito ferrigno,
vefr verpjódar, la tela dei prodi;
es vinurAfylla le vergini di Odino
raudum vepti la tessono nel sangue.
Randvés5 barn.
2
Sjà’s 1 orpinn vefr Tessuta è la tela
yta pgrmum con visceri umani,
ok hardkléadr2 son pesi a tirarla
hgfdum 3 manna. i teschi dei morti;
Eru dreyrrekin 4 son lance le verghe
dgrr5 at skgptum6, intrise di sangue,
jarnvardr 7 yllir di ferro i battenti,
enn grum8 hrseladr9. i subbi son dardi.
Skulum sia sverdum Con spade tessiamo
sigrvef penna. l’insegna di guerra.
3
Gengr Hildr vefa Or tessono la tela
ok Hjgrprimul, Hjgrprimul e Svipul
Sanngridr, Svipul10 Sanngrfdr e Hildr
sverdum tognum 11 con spade sguainate.
Skapt mun gnesta 12 Si spuntano le lance
skjgldr mun bresta. si frangono gli scudi
Mun hjalmgagarr 13 ora Fascia di guerra
i hlif koma14. il sangue berrà.
4
Vindum, vindum Tessiamo, tessiamo
vef darradar, l’insegna di guerra,
panns ungr konungr15 già prima guidò
per non dir nulla dei viaggi di studio a Parigi e dei pellegri
naggi espiatori1 a Roma, « ad limina apostulorum », e a Ge
rusalemme, che portarono i nordici a contatto diretto con i
massimi centri della cultura e della pietà medievali.
Si tratta però neirinsieme d’un lavorio di assimilazione
e d’imitazione ispirato a motivi didascalico-catechistici.
Gli scaldi norreni che scrivono ora le loro « dràpur »
religiose mirano tutti a educare un pubblico di scarsa cultura
ecclesiastica, alla vita cristiana; si studiano di fornire esempi
di ascesi e di santità; di svegliare il terrore del Giudizio e
l’ardore della redenzione; di celebrare l’eroismo, il martirio,
l’apostolato della fede; ma non sembrano a tal punto penetrati
dal nuovo contenuto da voler infrangere le vecchie forme.
L’encomio profano del principe, col suo schema formulare
d’immagini e di tropi, resterà ancora fino al XIV secolo il loro
unico modello artistico.
Un’eccezione almeno parziale nell’àmbito di questo mono
tono panorama è costituita dal Sólarljód2.
Qui per la prima volta l’ispirazione escatologica e apoca
littica prorompe in immagini di alta fantasia; per la prima
41
Sòl ek sa; Il sole vidi;
svà p ótti mér, mi parve di vedere
sem sseik à ggfgan 1 god. Taltissimo Dio;
Henni ek la u t2 davanti al sole m’inginocchiai
hinzta sinni per l’ultima volta,
alda beimi i. sulla terra.
42
Sòl ek sà; il sole vidi;
svà hon geisladiy ed era radioso
at póttum k veetki vita. al punto che venni meno.
Enn Gii f a r 1 straumar Ma i fiumi infernali
grenjudu annan veg spumeggiavano dall’altra parte
blandnir mjgk vid blód. commisti di sangue.
43
Sòl ek sà à Il sole vidi
sjònum skialfandi4 con gli occhi tremanti
breezlu fullr ok hnipinn 5. col cuore contrito e umiliato.
Pvit hjarta mitt Allora il mio cuore
vas hardla mjgk fu sul punto di
runnit sundr t sega 6. scoppiarmi in petto.
44
Sòl ek sà Il sole vidi, io
più pentito che mai; le spalle
t'-''
1
1
1 Metinn (da meta, got. mitan, ags. metan, sved. mata) propr. = misu
rare, stimare.
2 Propr. = e raggelato tutto ciò ch’era intorno.
3 Svida (dan. svìe). Secondo B. M. Ólsen, op. cit.y p. 50, l’uso di que
sto termine prova che si tratta appunto delle anime del Purgatorio.
4 Vàn è in Grimmismàl, 28, uno dei fiumi infernali; secondo Snorri,
Edda, cit., p. 54 si tratta d’un fiume formato dalla bava di Loki in
catene. B. M. Ólsen, op. cit., p. 50, identifica questo drago al Levia
tano e Glasvaldr « il luminoso », a Lucifero (in contrasto all’interpre
tazione letterale che ne dà F. Jónsson, cit., p. 149: « signore del mare »).
I Mss. hanno fella anziché fell à.
5 Secondo Paasche, op. cit., p. 151, e Falk, op. cit., pp. 34-35, nel
cervo è simboleggiato Cristo. All’origine di tale simbolo è la leggenda
del martire e santo Eustachio, nota anche nel Nord (cfr. Vlàcitusdràpa).
6 B. M. Ólsen, op. cit., p. 52, emendando hann teymdi tvày intende:
« Cristo imbriglia entrambi » cioè il Leviatano e Lucifero, e si richiama
al Vangelo di Nicodemo; dove però si parla di Cristo che lega Satana
o Belzebù, come giustamente osserva F. Jónsson (op. c i t p. 14).
84 Le letterature della Scandinavia
56
Nordan sàk Da nord vidi cavalcare
rida N id ja 1 sonu i figli delle notti illuni,
ok vgru sjau saman. ed erano setté.
Hornum fullum Da corni ripieni
drukku peir enn hreina mjgd puro idromele bevevano
ór brunni Baugregins2. alla fonte di Baugreginn.
61
Menn sàk pà, Poi vidi uomini,
es mjgk ó lu 3 che molta invidia
of un d 4 af annars b a g i5. nutrirono deir altrui stato,
Blódgar rùnir rune di sangue, dolorose,
vgru à brjósti peim sul petto avevano
merkdar m einliga6. incise.
62
Menn sàk pà, Poi vidi uomini
marga ófegna; molto dolenti,
p eir vgru villir1 vega, allontanatisi dal retto cammino;
P at kaupir sà, ciò acquistano coloro che,
es p essa heims dalla corruzione di questo
at óheillum apask. mondo, sono tratti in inganno.
63
Menn sàk pà, Poi vidi uomini
es mgrgum hlutum che con molti inganni
véltu of annars eign. si appropriavano i beni altrui.
1 Oscuro è il senso della « kenning » (da nid, cfr. dan. nae = luna calan
te, o da nidr, cfr. got. nipjis = discendente, figlio?). Secondo Paasche,
op. cit., p. 65, « i figli della tenebra » sono gli angeli che attingono da
Cristo la loro luce. O si allude invece alle sette fasi della luna?
2 Secondo B. M. Ólsen, op. cit., p. 53, Baugreginn sarebbe Baldr, il
dio innocente che disceso in Ilei trovò ricoperti i seggi di quella di
mora con anelli d’oro (cfr. Baldrs draumar, 6-7, e Edda Snorra, p. 29);
e quindi si tratterebbe qui della « fonte della misericordia, cui gli angeli
si abbeverano » — a un dipresso come i guerrieri bevevano idromele
nella pagana Valhalla (cfr. Grimmismàl, 25). Interpretando nidja ecc.,
come « discendenti di antenati » (pagani), lo studioso islandese vuol ve
dere nell’immagine una sorta di norreno « limbus patrum », dove sog
giornano « i discendenti dei pagani », in analogia alTantinferno dante
sco. Baldr, il dio buono, la cui morte innocente fu pianta da tutti gli
dei pagani, presiederebbe questo limbo norreno! F. Jónsson, op. cit.,
p. 151, ritiene interpolare le strofe 54-56.
3 Ala (lat. alerei).
4 Ofund (sved. avund).
5 Hagr = stato, condizione.
6 Meinliga, avv.
7 Villr (got. wilpeis, ags, ted. ingl. wild), cfr. Hàvamàl, 47.
Medioevo pagano e cristiano 85
LE SAGHE NORRENE
nuda sequenza dei fatti, racconta più che non descriva, rife
risce più che non commenti, senza prender partito (cosa tanto
più degna di nota se si pensa che gli anonimi « autori » della
Saga furono i sia pur lontani discendenti dei protagonisti di
quelle). Anche quando Finterà vicenda o il singolo episodio
è palesemente fantastico, il tono del racconto arieggia sempre
una fedele osservazione della realtà; e a ciò contribuiscono non
poco sia i frequenti riferimenti genealogici topografici e crono
logici, sia i dialoghi brevi e freddi e sentenziosi; che servono a
far procedere l’azione o più spesso a caratterizzare situazioni
drammatiche, nelle quali il cupo fuoco delle passioni si nascon
de sotto un incisivo e allusivo laconismo.
DalPesordio piano, dimesso, quasi sempre genealogico che
evidentemente serviva a orientare subito gli ascoltatori sui
personaggi e sui fatti memorabili: Oddr hét madr Onundar son
breidiskeggs... — Oddr si chiamava un uomo figlio di Onundr
dalla grande barba (Hoensa-póris saga); Mgrdr hét madr, er
kalladr var gigja, hann var sonr Sighvats hins randa. — Mgrdr
si chiamava un uomo soprannominato violino, egli era figlio di
Sighvatr il rosso (Njàlssaga); Madr er nefndr Grimr Kamban,
hann bygdi fyrstr Foereyjar à dggum Haralds hins hàrfagra. —
Un uomo chiamato Grìmr Kamban viveva una volta nelle
« Isole delle pecore » al tempo di Araldo Bellachioma (Pàttr
Pràndar ok Sigmundar), la Saga passa gradatamente, cronachi
sticamente, per una ben congegnata serie di aneddoti e episodi
che preparano i culmini drammatici, alla complessa caratterizza
zione dei personaggi, per lo più attraverso le loro parole e azioni,
quasi mai mediante la parafrasi del narratore. E gli anonimi « au
tori » come già i poeti dei carmi eroici non rinunciano quasi mai
all’espediente epico della prognosis: sin dall'inizio prefigurano
lo svolgimento degli eventi velando nei sortilegi, nelle visioni,
nei sogni premonitori quello che sarà l’ineluttabile decreto del
fato. Sicché tutto l’interesse narrativo si concentra sul « come »
questo fato si compirà attraverso un abile gioco di fatti minuti,
realistici (d’un realismo psicologico non pittorico): una parola
incauta, un contrasto d’interessi appena accennato, un’offesa
anche involontaria all’onore tribale mette in moto la macchina
degli eventi che porteranno al climax tragico dell’uccisione, la
quale, a sua volta, con la vendetta, creerà un nuovo climax. Gli
uccisi sono vendicati e i vendicatori uccisi, in un crescendo di
fatti cruenti che sostanzialmente formano la trama di questi
racconti. Cosi nella più antica Heidarviga, cosi nella più arti-
Medioevo pagano e cristiano 99
1 « Quei vigliacchi non ci fanno paura davvero. I danesi non sanno cosa
sia il coraggio... — Gli svedesi farebbero meglio a starsene a casa a
sorbire le loro coppe sacrificali piuttosto che affrontare il Serpe e le
nostre armi... — Colui può avere buone ragioni per combatterci e ci
darà del filo da torcere. Quelli li sono norvegesi come noi ».
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