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Le letterature
della Scandinavia
Danese, Norvegese, Svedese, Islandese
SANSONI - ACCADEMIA
e se m p la r e fu o ri c o m m e r c io
PIER LA D SST R tBU ZlO N E
Prefazione
1 Non vanno però taciute le singole voci di implicito dissenso (p. es.
P. Rubow, Herman Bang og fiere kritiske studier, Kobenhavn, 1958,
p. 64) o, sul piano pratico, gli sconfinamenti da una letteratura all’altra
(p. es. gli studi dello svedese Knut Ahnlund sull’opera narrativa del
danese H. Pontoppidan, 1956, o del danese Aage Kabell sull’opera del
norvegese Wergeland, 1956-57).
6 Le letterature della Scandinavia
l ’e d d a p o e t i c a e l ’ e d d a p r o s a s t i c a ,
LA PO ESIA SCALDICA, L E SAGHE
1 L ’espressione dgnsk tunga (lingua danese) nei testi nordici dei secoli
XIII e XIV alternata a quella di norron tunga o norront mài (lingua
norvegese) — Snorri nel Prologo della Heitnskringla le usa indiscrimi
natamente — riflette con probabilità le denominazioni etniche date ai
nordici (e al loro idioma, ben poco differenziato in età vichinga) dai
popoli occidentali con i quali più spesso vennero in contatto: anglosas
soni, sassoni, frisoni, e poi entrate nelPuso culturale indigeno (cfr. Einar
Ól. Sveinsson, Islenzkar bókmenntir i fornòld, I, Reykjavik, 1962, p. 5
che riprende le idee di P. A. Munch sull’intera questione).
Medioevo pagano e cristiano 11
fra la lirica provenzale da una parte e gli stilnovisti e Petrarca
dall’altra.
Si suole ad esemplificazione di antecedenti poetici dei car
mi eddici e scaldici citare gran copia d’iscrizioni runiche com
memorative e celebrative, e in primo luogo quella più antica
(ca. 400) su uno dei celebri corni d’oro di Gallehus (Schles
wig): « ek hlewagastiR holtijaR homa tawido » (Io Hlégestr
figlio di Holt il corno feci). Ma, nonostante l’indubbio valore
storico e fonetico-morfologico, la formulare schematicità di
questi due versi brevi allitteranti ben poco ha da offrire al
gusto estetico. Non diversamente le tanto discusse iscrizioni:
norvegese di Eggjum (Sogn; ca. 700), svedese di Rok (Óster-
gòtland; ca. 800) e le due danesi di Jelling (Jylland; ca. 900)
non presentano, aldilà del loro interesse linguistico-culturale e
figurativo, che i connotati esterni della poesia eddica e scaldica
(affinità metrico-lessicali, costrutti tipici dell’uso poetico, allu
sioni 1 a nomi e fatti mitico-eroici). In qualche altra come per
esempio quella di Gripsholm (Sormland; c. 1050): « PaeiR
foru draengila - fjarri at gulli - auk austarla - aerni gafu, - dou
sunnarla - a Sasrklandi » (Partirono da valorosi,^ lontano in
cerca d’oro, e a oriente dettero cibo all’aquila [cioè uccisero
molti nemici], morirono a sud in terra saracena) può certo
colpire la concisione epigrammatica con cui, quasi in cifra, è
tramandato un fatto notevole che si articola su tre noti simboli
dell’eroismo vichingo: la sete dell’oro, il mare, il sangue; ma si
tratta per lo più di una suggestione che scaturisce dall’inattesa
rottura del nudo linguaggio formulare in uso: non ci troviamo
davanti a microcosmi di poesia, a parole di risonanza profonda
che attraverso le lontananze del tempo e dello spazio ci tra
smettono la vibrazione d’un sentimento individuale variamente
atteggiato.
E qui si offre da sé il richiamo a quelle che nelle più o
meno indirette testimonianze di scrittori antichi (Tacito, Gior
dane e altri)2 dovettero essere le forme primitive di poesia
germanica, commemorativa genealogica encomiastica, nell’area
continentale: espressione di una mentalità tribale, di senti
menti atavici collettivi; anche se qui, a differenza di quanto
per lo più avviene nell’epigrafia runica, il nome del poeta
rimane costantemente nell’ombra.
il quale appunto cita e commenta in prosa gran parte della materia poe
tica attinta all’altra raccolta.
La tradizionale distinzione fra poesia « eddica » e poesia « scaldica »,
d’uso nella terminologia specialistica moderna, non ha fondamento nella
tradizione. Innegabili sono certo differenze di contenuto e di forma ma
anche punti di contatto e aspetti comuni, tanto che qualcuno (Jan de
Vries cit., I, pp. 89-110) ipotizza una fase storica in cui il carme scaldico
fu composto in metri esclusivamente eddici. Snorri cita indistintamente
nella sua Edda i carmi anonimi déll’Edda poetica e i versi scaldici di
noti autori, ne esemplifica i diversi metri, menzionando da ultimo e
senza una parola di commento i metri tipicamente eddici; ma nella sua
opera storica (Heimskringla, ‘Haralds saga hardràda’, c. 91) riporta l’epi
sodio di Araldo il Severo che, pronto alla battaglia, compone e recita
i medesimi versi prima in stile eddico, poi scaldico, dove la diffe
renza fra i due stili — non esplicitamente rilevata nel testo — fa pen
sare a quello della retorica medievale fra « ornatus facilis » e « ornatus
difficilis ». Più esatto sarebbe forse parlare di due diverse tendenze del
gusto che, invece di escludersi, non mancano di influenzarsi a vicenda.
1 II titolo si trova nelYEdda snorrica; parimente più titoli dei carmi con
tenuti nel Regius si trovano non già in questo, ma in tarde copie cartacee
del Seicento; né appare perspicua la diversa denominazione dei singoli
carmi: p. esempio mài riferentesi tanto a carmi mitico-gnomici, quanto a
carmi eroici contenenti parti dialogiche; cosi kvida da kveda = recitare.
Medioevo pagano e cristiano 17
1 Sui legami fra la prosa della Vglsungasaga e i carmi sui quali si fonda:
Sigrdrtfumàly Brot, Gudrunarkvida I, Sigurdarkvida in skamma, Helreid
Brynhildar} come pure su altri affini, ipotizzati da Teusler, e su fonti
Medioevo pagano e cristiano 21
38
Ymr vard à bekkiom, afkdrr sgngr virda,
gnyr und gudvefiom, gréto bgrn Huna,
nema ein Gudrun, er hon seva grét
brcedr sina berharda ok buri svasa,
unga, ófróda, pà er hon vid Atla gat.
Gemiti risonarono fra i banchi, sinistro echeggiò il canto dei guer
rieri, gemiti uscivano di sotto i mantelli, piangevano i figli degli
unni; solo Gudrun non pianse mai, i fratelli suoi invincibili, i pro
pri figlioletti, da lei generati a Atli.
LA PO ESIA SCALDICA
boreale, Oxford, 1883, II, p. 2 sgg.; S. Bugge, Bidrag til den seldste
skaldedigtnings bistorte, Kristiania, 1894, p. 65 sgg.; A. Bugge, Vester-
landenes indflydelse paa nordboerne..., ivi, 1905, p. 65 sgg.; A. Olrik,
Nordisk Aandsliv i vikingetiden, Kobenhavn, ed. 1927, p. 59). Molto
più cauti Heusler (Altg. D. pp. 28, 135 sgg.) e dopo di lui J. de Vries
(Altn. Litg. Berlin, 1941-42. I, p. 69 sgg.) si sono limitati a mettere
in evidenza i caratteri formali che differenziano il carme scaldico dai
tradizionali schemi metrici germanici. Un influsso celtico sulla Fornaldar-
saga è ipotizzato da E. Ól. Sveinsson, tslenzkar bókmenntir, cit., pp. 35-36.
1 Heusler, Deutsche Versgeschicbte, Berlin-Leipzig, 1925, I, p. 300 e
Altg. D., p. 28 sgg.; H. Lie, Skaldestil-Studier, in MM, 1952, p. 5 sgg.
; Sulla base di semplici congetture J. de Vries (Altgerm. Religionsgesch.,
cit. in bibliografia, Berlin, 1955-572, I, p. 440 sgg., II, pp. 67-73) ritiene
che il carme scaldico abbia avuto la sua remota origine nella poesia
cultuale.
2 Distinti per contenuto e forma i due generi presentano però, come
t s’è già detto, molti punti di contatto e aspetti comuni per non dire
: dei molteplici sicuri indizi di interazione fra poesia scaldica e eddica
(Vgluspà, Hymiskvida, Helgakvida, Atlamàl, Glymdràpa, Haustlgng, Ei-
riksmàl, Hàkonarmàl). Bisogna dunque guardarsi da troppo rigide clas
sificazioni, e da una applicazione meccanica delle distinzioni oggettive e
stilistico-formali messe in rilievo da E. Noreen (Den norsk4slàndska
ì Voesien Stockholm, 1926, p. 16 sgg.). Se le accogliessimo, dovremmo
! escludere dalla poesia scaldica: i poemetti di Egill, perché composti in me
tro non tipicamente scaldico; lo Hàkonarmàl e lo Haraldskveedi, perché
dialogici; e finalmente lo Haustlong, perché narrativo. Sarebbe forse più
esatto e più conforme all’uso della tradizione islandese parlare di due
; diverse tendenze del gusto; giacché quanto oggi, per i moderni filologi,
va sotto il nome di eddico, indicò per i rimatori islandesi del Quattro
ì (p. es. Lilja str. 97) e Cinquecento (che avevano l’occhio all’Edda snor-
! rica) la poesia tipicamente scaldica. Forse chi recitava un carme eddico
sentiva di parlare in nome di una tradizione già formata, mentre chi
recitava un carme scaldico si sentiva egli stesso creatore d’una tradizione,
j Cfr. C. M. Bowra, Heroic Poetry, London, 1961, p. 40.
I 3 Heusler, Altg. D. pp. 135-36; de Vries, Altn. Litg. I, p. 90; e per
, i nessi con le arti figurative H. Shetelig, Osebergfunnet, Oslo, 1917-20,
I III, pp. 21-25; e soprattutto H. Lie., cit., in MM, 1902., p. 8 sgg. Alla
46 Le letterature della Scandinavia
(Islenzk ntenning., Reykjavik, 1942, p. 234 sgg.). Sui rapporti fra me
trica eddica e metrica scaldica v. Genzmer in JGEPh., X III, pp. 323-33;
L. M. Hollander, ivi, LII, pp. 190-197; e E. Ól. Sveinsson, tslenzkar
bókmenntir, cit., pp. 108-118.
1 Dopo G. Neckel (Beitràge zur Eddaforscbung, Dortmund, 1908, p. 14)
hanno sostenuto questa tesi, oltre Heusler (Altg. D.y p. 29) e de Vries
(Altn. Litg., I, p. 212), S. Nordal, Egilssaga Skallagrimssonar, Reykja
vik, 1933, p. 220 e F. J. Raby, A History of Christian-Latin Poetry
from the Beginnings to the Close of the Middle Ages, Oxford, 1953,
pp. 138, 150. Un parallelo nel campo romanzo è offerto — com’è noto —
dalla metrica trovadorica, i cui modelli più antichi risalgono all’innica re
ligiosa del Medioevo (H. Spanke in Studi Medievali n. s. 7, 1934, p. 83).
Cfr. anche J. Helgason-A. Holtsmark, Hàttalykill enn forni, Kobenhavn,
1941, p. 118 sgg.; 142 sgg.; G. Turville-Petre, Origins of Icelandic Litera
ture, Oxford, 1953, p. 141 sgg. Rggnvaldr che s’ispirava — come è stato
dimostrato — alT« Ars major » di Donato, fa derivare la allitterazione dal
la poesia latina (!) e ne paragona la funzione nella poesia norrena ai chio
di che tengono insieme la nave (upphaf til kvcedandi peirrar er saman
heldr norrcenum skàldskap, svà sem naglar halda skipi saman) in Islands
grammatiske litteratury II ed. B. M. Ólsen, SUGNL, n. 12, p. 96.
2 Cosi detta forse per l’« inserimento » in essa di uno o più ritornelli
(stef) in una o più strofe (cfr. S. Nordal in APhS, 6, 1931, pp. 144-149).
Medioevo pagano e cristiano 55
1 Heusler, Altg. D., p. 135 ricorda a proposito della tmesi dei compo
sti il latino di Ennio e di Alcuino; de Vries (Altn. Litg., I, p. 86,
nota 3) quello di Beda. Altri esempi si potrebbero citare (cfr. W. Kroll,
Studien zum Verstàndnis der róm. Lit., Stoccarda, 1924, p. 261 sgg;
F. J. E. Raby, cit., I, p. 191.
2 K. Reichardt, Studien zu den Skalden des 9 u. 10 Jahrhunderts, Leip
zig, 1928, p. 79 sgg.; W. Mohr, Kenningstudien, cit., pp. 4-14 parla di
un Erledingungsprinzip, in base al quale sarebbe agevole ricongiungere
e completare le frasi interrotte nel contesto strofico.
3 Succitata nel testo e nell’interpretazione di F. Jónsson.
4 Op. cit., p. 89.
EGILL SKALLAGRfMSSON
1 S. Nordal, 1. /. cit. II, prefazione pp. 11-25 sgg., e altri con lui.
64 Le letterature della Scandinavia
SONATORREK 1
1
Mjgk erum tregt Amara pena
tungu at hrcera, mi stringe la gola;
loptvega e torpida è la lingua,
Ijódpundara 2. bilancia del canto.
Esa veenligt Né agevole è
of Vidurs pyfi3 il tesoro della poesia
né hógdrcegt dai recessi dell’anima
ór hugar fylgsnù estrarre.
2
Esa audpeystr 4, E molto doloroso è
pvit ekki veldr dall’anima
hgfugligr, far sgorgare la poesia;
ór hyggju stad la felice scoperta
fagnafundr fatta da Odino
Friggjar nidja5 all’alba dei tempi
àr borinn nel paese dei giganti.
ór Jgtunheimum,
1 Lett.: « Perdita irreparabile dei figli »; dal gen. plur. sona, il pre
fisso avv. tor (cfr. got. tur-, aat. zur-, perduto nelle lingue germaniche
e scandinave, fuorché nell’islandese, dove è ancora d’uso frequente) e il
sost. rek (cfr. sved. vrak; ingl. wreck e wretch).
2 La lingua paralizzata dal dolore e dalla fame è qui chiamata « bilan
cia [misuratrice] del canto» (hljód, got. hliup, ags. hleodor, dan. lyd;
pundari, lat. pondo, ingl. pound); lett. i primi tre versi suonano:
molto è difficile muovere la lingua in aria, ecc. Così Kock, N. N.,
par. 3002; ma vedi anche le opinioni diverse di I. Lindqvist, Norrona
lovkvàden I, Lund, 1929, p. 26 sgg.; e S. Nordal, 1. /. II, 1933, p. 246.
3 La « kenning » « preda di Vidurr » — appellativo di Odino — allude a
un noto episodio narrato da Snorri nell’Edda (v. sotto nota 5). Hóg-
drcegt = lett. facile a trasportare: da haga e draga.
4 Dal prefisso avv. aud (manca nel got., ma cf. ags. èàd = easy) e il
verbo peysa = far sgorgare; lo stesso icastico verbo usa le Saga (cap. 71)
quando Egill, per vendicarsi ignominiosamente del contadino Asmódr
skegg, che aveva osato offrirgli latte acido invece di birra, gli vomita
in viso. Ekki (cfr. norr. gngr, got. aggwus, lat. angustus).
5 Lett.: « la felice scoperta del parente (nidja è un plur. poet, con
significato di sing.) di Frigg »; allusione al mito narrato da Snorri nel-
rEdda (ed. cit., p. 85) e insieme anticipazione del concetto catartico
66 Le letterature della Scandinavia
3
lastalauss perché l'ottimo
es lifnadi1 timoniere
ngktveri à 2. esanime fu lasciato
ngkkva bragi3 sul nudo scoglio.
Jgtuns hals 4 Ululano ora le onde
undir pjóta a pie' del tumulo
nàins nidr dove mio figlio riposa.
fyr naustdurum5
4
pvit sett min Perché la mia stirpe
à enda stendr è abbattuta
hreggbardir 6 come, percosso dalla folgore,
sem hlynir marka. acero nella foresta.
E sa karskr madr, Triste è colui che
sàs kggla berr la salma esanime
della poesia svolto più avanti alle strofe 23-24. Ma l’emendazione del
testo priggja in Friggjar appare dubbia (v. R. Meissner, Die Kenningar
der Skalden, p. 429 sgg.; H. Kuhn, PBB, 60, 1936, p. 144; e M. Olsen,
cit., ANF, p. 212).
1 Lifna (cfr. sved. làmna, dan. levne, e il got. af-lifnan, che traduce
il greco perileipesthai): esser lasciato, esser superstite.
2 À. Ohlmarks (op. cit., p. 300) giustamente interpreta l’apax legome-
non ngkkverr come « nudo scoglio dove si pesca » (cfr. ags. woer — mare
e norr. vermenn = pescatori; verità = stagione della pesca).
3 II bragi della biremi (norr. nokkvi, ags. naca, ted. Nachen; v. Edda
snorrica, ed. cit., p. 62) è Bgdvarr. Sembra più congruente inten
dere bragi come aggettivo e perciò scriverlo con la minuscola (cfr. ags.
brego = princeps), anziché pensare a Bragi dio della poesia. Ma vedi
la diversa interpretazione di M. Olsen, cit., p. 215.
4 La « kenning»: Jgtuns hals undir = « ferite del collo del gigante»,
allude al mito di cui racconta Snorri nelYEdda (ed. cit., p. 14). Non
sembra convincente l’interpretazione di L. Lindquist (Norrona lovkvà-
den I, cit., p. 26) che emenda hals in hélds = rugiadoso.
5 Lett.: « davanti alla porta della baracca per le imbarcazioni » (presso
il capo di Digranes). Fu Bgdvarr sepolto in una nave, secondo l’uso
vichingo? Nàinn prop, vicino, congiunto. L. Wolf in Zum Sonatorrek
(Edda Skalden Saga, Festschrift F. Genzmer, Heidelberg 1952, p. 107)
interpreta, sembra, con scarsa congruenza, naust = aula (di Ràn).
V. invece M. Olsen, cit., p. 217.
6 Hregg è propriamente la tempesta accompagnata da pioggia, e il part,
pass, del verbo berja va qui accordato con il plur. del sostantivo:
« aceri ». L ’accento alla stirpe introduce uno dei motivi centrali del
carme. Secondo la concezione del germanesimo primitivo la stirpe è
infatti depositaria di tutte quelle forze salutifere che reggono l’indivi
duo e la collettività. Da notare anche l’uso frequente della litote, tra
duzione stilistica dell’ideale vichingo, della morale eroica, che esigeva
dominio di sé e impassibilità di fronte al destino.
Medioevo pagano e cristiano 67
1 tìrcer o breyr (cfr. ags. hryre, lat. ruina) = . cadavere; kggull = giun
tura.
2 Flet (cfr. ags. flet = aula, ingl. fiat) può essere la casa come la fila
dei banchi nelPaula regia.
3 Come ha osservato S. Nordal (Egils saga Skallagrimssonar, cit., p. 248)
e poi À. Ohlmarks (cit., p. 300 sgg.) l’intera metafora è ricavata da
un uso cultuale. Durante la mezzestate e in primavera si soleva intro
durre nella sala del banchetto, attigua al sacrario, dei rami frondosi,
che poi, a cerimonia finita, venivano portati via secchi. Timbr masr-
dar = legno dell’encomio (got. meripa).
4 Qui come altrove la forma arcaica dei medio apocopato (v. M. Ny-
gaard, Norron Syntax, Kristiania, 1905, p. 160), col pron. in funzione
di suffisso, serve a rafforzare il senso tutto personale della perdita. Da
notare anche nel penultimo verso l’uso del sostantivo skard = vuoto,
richiamante le immagini e il linguaggio della battaglia (Nù er skard
fyrir skildì, cioè: « c’è un vuoto al posto dello scudo », si soleva dire
anticamente per annunciare una grave perdita nell’aula regia).
5 Ràn è moglie del dio del mare Aegir (cfr. ags. eagor) e madre delle
oceanine nordiche (Edda Snorra, p. 121; sul problema dell’etimo vedi
C. A. Mastrelli, « Sul nome della gigantessa Ràn » in Studi Germanici,
Roma, n. 10, pp. 254-264) pgtt ('pàttr, lat. texto, sved. tàt). Rysktan
è voluto dalla costruzione di hafa con i verbi transitivi.
68 Le letterature della Scandinavia
24
Ggfumk iprótt Il nemico del lupo
ulfs of bàgi [cioè di Fenrir] mi donò
vigi vanr — avvezzo com’è alla pugna •
vammi firda, un’arte sacra,
auk pat gedl> e anche una natura
es gerdak mér che mi rese
visa fjandr2 nemici aperti
af vélgndum 3. gli ingannevoli [amici]. ^
25
Nu erum torvelt4: Ma ora è finita per me.
Tveggja bàga La morte mi assilla,
ngrfó nipt5 imminente, là al capo
, à nesjum 6 stendr. [di Digranes].
Skalk pó gladr, Eppure sereno,
gódum vilja, e senza rammarico
ok óhryggr Taspetterò volentieri.
Heljar7 bidaì
Agli inizi del sec. XI col diffondersi del nuovo verbo
religioso, soprattutto per opera dei due re missionari Ólàfr
Tryggvason e Ólàfr Haraldsson, la tradizione scaldica sembra
scindersi in due parallele correnti del gusto: una più semplice,
che consapevolmente si sforza di evitare le « kenningar » mito
logiche, l’altra che invece moltiplica fino al puro gioco i vir
tuosismi metaforici e metrici. In quest’età compaiono anche,
DARRADARLJÓD
1
Vitt es orpit2 È tesa la tela,
fyr valfalli è nube foriera
rifs reidisky3; di prossima strage;
rignir biódi. e gronda di sangue.
Nil’s fyr geirum È ora approntato
gràr upp kominn l’ordito ferrigno,
vefr verpjódar, la tela dei prodi;
es vinurAfylla le vergini di Odino
raudum vepti la tessono nel sangue.
Randvés5 barn.
2
Sjà’s 1 orpinn vefr Tessuta è la tela
yta pgrmum con visceri umani,
ok hardkléadr2 son pesi a tirarla
hgfdum 3 manna. i teschi dei morti;
Eru dreyrrekin 4 son lance le verghe
dgrr5 at skgptum6, intrise di sangue,
jarnvardr 7 yllir di ferro i battenti,
enn grum8 hrseladr9. i subbi son dardi.
Skulum sia sverdum Con spade tessiamo
sigrvef penna. l’insegna di guerra.
3
Gengr Hildr vefa Or tessono la tela
ok Hjgrprimul, Hjgrprimul e Svipul
Sanngridr, Svipul10 Sanngrfdr e Hildr
sverdum tognum 11 con spade sguainate.
Skapt mun gnesta 12 Si spuntano le lance
skjgldr mun bresta. si frangono gli scudi
Mun hjalmgagarr 13 ora Fascia di guerra
i hlif koma14. il sangue berrà.
4
Vindum, vindum Tessiamo, tessiamo
vef darradar, l’insegna di guerra,
panns ungr konungr15 già prima guidò
per non dir nulla dei viaggi di studio a Parigi e dei pellegri
naggi espiatori1 a Roma, « ad limina apostulorum », e a Ge
rusalemme, che portarono i nordici a contatto diretto con i
massimi centri della cultura e della pietà medievali.
Si tratta però neirinsieme d’un lavorio di assimilazione
e d’imitazione ispirato a motivi didascalico-catechistici.
Gli scaldi norreni che scrivono ora le loro « dràpur »
religiose mirano tutti a educare un pubblico di scarsa cultura
ecclesiastica, alla vita cristiana; si studiano di fornire esempi
di ascesi e di santità; di svegliare il terrore del Giudizio e
l’ardore della redenzione; di celebrare l’eroismo, il martirio,
l’apostolato della fede; ma non sembrano a tal punto penetrati
dal nuovo contenuto da voler infrangere le vecchie forme.
L’encomio profano del principe, col suo schema formulare
d’immagini e di tropi, resterà ancora fino al XIV secolo il loro
unico modello artistico.
Un’eccezione almeno parziale nell’àmbito di questo mono
tono panorama è costituita dal Sólarljód2.
Qui per la prima volta l’ispirazione escatologica e apoca
littica prorompe in immagini di alta fantasia; per la prima
41
Sòl ek sa; Il sole vidi;
svà p ótti mér, mi parve di vedere
sem sseik à ggfgan 1 god. Taltissimo Dio;
Henni ek la u t2 davanti al sole m’inginocchiai
hinzta sinni per l’ultima volta,
alda beimi i. sulla terra.
42
Sòl ek sà; il sole vidi;
svà hon geisladiy ed era radioso
at póttum k veetki vita. al punto che venni meno.
Enn Gii f a r 1 straumar Ma i fiumi infernali
grenjudu annan veg spumeggiavano dall’altra parte
blandnir mjgk vid blód. commisti di sangue.
43
Sòl ek sà à Il sole vidi
sjònum skialfandi4 con gli occhi tremanti
breezlu fullr ok hnipinn 5. col cuore contrito e umiliato.
Pvit hjarta mitt Allora il mio cuore
vas hardla mjgk fu sul punto di
runnit sundr t sega 6. scoppiarmi in petto.
44
Sòl ek sà Il sole vidi, io
più pentito che mai; le spalle
t'-''
1
1
1 Metinn (da meta, got. mitan, ags. metan, sved. mata) propr. = misu
rare, stimare.
2 Propr. = e raggelato tutto ciò ch’era intorno.
3 Svida (dan. svìe). Secondo B. M. Ólsen, op. cit.y p. 50, l’uso di que
sto termine prova che si tratta appunto delle anime del Purgatorio.
4 Vàn è in Grimmismàl, 28, uno dei fiumi infernali; secondo Snorri,
Edda, cit., p. 54 si tratta d’un fiume formato dalla bava di Loki in
catene. B. M. Ólsen, op. cit., p. 50, identifica questo drago al Levia
tano e Glasvaldr « il luminoso », a Lucifero (in contrasto all’interpre
tazione letterale che ne dà F. Jónsson, cit., p. 149: « signore del mare »).
I Mss. hanno fella anziché fell à.
5 Secondo Paasche, op. cit., p. 151, e Falk, op. cit., pp. 34-35, nel
cervo è simboleggiato Cristo. All’origine di tale simbolo è la leggenda
del martire e santo Eustachio, nota anche nel Nord (cfr. Vlàcitusdràpa).
6 B. M. Ólsen, op. cit., p. 52, emendando hann teymdi tvày intende:
« Cristo imbriglia entrambi » cioè il Leviatano e Lucifero, e si richiama
al Vangelo di Nicodemo; dove però si parla di Cristo che lega Satana
o Belzebù, come giustamente osserva F. Jónsson (op. c i t p. 14).
84 Le letterature della Scandinavia
56
Nordan sàk Da nord vidi cavalcare
rida N id ja 1 sonu i figli delle notti illuni,
ok vgru sjau saman. ed erano setté.
Hornum fullum Da corni ripieni
drukku peir enn hreina mjgd puro idromele bevevano
ór brunni Baugregins2. alla fonte di Baugreginn.
61
Menn sàk pà, Poi vidi uomini,
es mjgk ó lu 3 che molta invidia
of un d 4 af annars b a g i5. nutrirono deir altrui stato,
Blódgar rùnir rune di sangue, dolorose,
vgru à brjósti peim sul petto avevano
merkdar m einliga6. incise.
62
Menn sàk pà, Poi vidi uomini
marga ófegna; molto dolenti,
p eir vgru villir1 vega, allontanatisi dal retto cammino;
P at kaupir sà, ciò acquistano coloro che,
es p essa heims dalla corruzione di questo
at óheillum apask. mondo, sono tratti in inganno.
63
Menn sàk pà, Poi vidi uomini
es mgrgum hlutum che con molti inganni
véltu of annars eign. si appropriavano i beni altrui.
1 Oscuro è il senso della « kenning » (da nid, cfr. dan. nae = luna calan
te, o da nidr, cfr. got. nipjis = discendente, figlio?). Secondo Paasche,
op. cit., p. 65, « i figli della tenebra » sono gli angeli che attingono da
Cristo la loro luce. O si allude invece alle sette fasi della luna?
2 Secondo B. M. Ólsen, op. cit., p. 53, Baugreginn sarebbe Baldr, il
dio innocente che disceso in Ilei trovò ricoperti i seggi di quella di
mora con anelli d’oro (cfr. Baldrs draumar, 6-7, e Edda Snorra, p. 29);
e quindi si tratterebbe qui della « fonte della misericordia, cui gli angeli
si abbeverano » — a un dipresso come i guerrieri bevevano idromele
nella pagana Valhalla (cfr. Grimmismàl, 25). Interpretando nidja ecc.,
come « discendenti di antenati » (pagani), lo studioso islandese vuol ve
dere nell’immagine una sorta di norreno « limbus patrum », dove sog
giornano « i discendenti dei pagani », in analogia alTantinferno dante
sco. Baldr, il dio buono, la cui morte innocente fu pianta da tutti gli
dei pagani, presiederebbe questo limbo norreno! F. Jónsson, op. cit.,
p. 151, ritiene interpolare le strofe 54-56.
3 Ala (lat. alerei).
4 Ofund (sved. avund).
5 Hagr = stato, condizione.
6 Meinliga, avv.
7 Villr (got. wilpeis, ags, ted. ingl. wild), cfr. Hàvamàl, 47.
Medioevo pagano e cristiano 85
LE SAGHE NORRENE
nuda sequenza dei fatti, racconta più che non descriva, rife
risce più che non commenti, senza prender partito (cosa tanto
più degna di nota se si pensa che gli anonimi « autori » della
Saga furono i sia pur lontani discendenti dei protagonisti di
quelle). Anche quando Finterà vicenda o il singolo episodio
è palesemente fantastico, il tono del racconto arieggia sempre
una fedele osservazione della realtà; e a ciò contribuiscono non
poco sia i frequenti riferimenti genealogici topografici e crono
logici, sia i dialoghi brevi e freddi e sentenziosi; che servono a
far procedere l’azione o più spesso a caratterizzare situazioni
drammatiche, nelle quali il cupo fuoco delle passioni si nascon
de sotto un incisivo e allusivo laconismo.
DalPesordio piano, dimesso, quasi sempre genealogico che
evidentemente serviva a orientare subito gli ascoltatori sui
personaggi e sui fatti memorabili: Oddr hét madr Onundar son
breidiskeggs... — Oddr si chiamava un uomo figlio di Onundr
dalla grande barba (Hoensa-póris saga); Mgrdr hét madr, er
kalladr var gigja, hann var sonr Sighvats hins randa. — Mgrdr
si chiamava un uomo soprannominato violino, egli era figlio di
Sighvatr il rosso (Njàlssaga); Madr er nefndr Grimr Kamban,
hann bygdi fyrstr Foereyjar à dggum Haralds hins hàrfagra. —
Un uomo chiamato Grìmr Kamban viveva una volta nelle
« Isole delle pecore » al tempo di Araldo Bellachioma (Pàttr
Pràndar ok Sigmundar), la Saga passa gradatamente, cronachi
sticamente, per una ben congegnata serie di aneddoti e episodi
che preparano i culmini drammatici, alla complessa caratterizza
zione dei personaggi, per lo più attraverso le loro parole e azioni,
quasi mai mediante la parafrasi del narratore. E gli anonimi « au
tori » come già i poeti dei carmi eroici non rinunciano quasi mai
all’espediente epico della prognosis: sin dall'inizio prefigurano
lo svolgimento degli eventi velando nei sortilegi, nelle visioni,
nei sogni premonitori quello che sarà l’ineluttabile decreto del
fato. Sicché tutto l’interesse narrativo si concentra sul « come »
questo fato si compirà attraverso un abile gioco di fatti minuti,
realistici (d’un realismo psicologico non pittorico): una parola
incauta, un contrasto d’interessi appena accennato, un’offesa
anche involontaria all’onore tribale mette in moto la macchina
degli eventi che porteranno al climax tragico dell’uccisione, la
quale, a sua volta, con la vendetta, creerà un nuovo climax. Gli
uccisi sono vendicati e i vendicatori uccisi, in un crescendo di
fatti cruenti che sostanzialmente formano la trama di questi
racconti. Cosi nella più antica Heidarviga, cosi nella più arti-
Medioevo pagano e cristiano 99
1 « Quei vigliacchi non ci fanno paura davvero. I danesi non sanno cosa
sia il coraggio... — Gli svedesi farebbero meglio a starsene a casa a
sorbire le loro coppe sacrificali piuttosto che affrontare il Serpe e le
nostre armi... — Colui può avere buone ragioni per combatterci e ci
darà del filo da torcere. Quelli li sono norvegesi come noi ».
Medioevo pagano e cristiano 105
la c o n v e r s io n e : lettera tu ra r e l ig io s a e l a ic a
1 Pochi anni dopo, come s’è detto, nel 1164, l’arcivescovo incoronerà
per la prima volta un re norvegese: Magnus Erlingsson.
2 II quale, secondo Saxo, « ... non minus piratam se quam pontificem
gessit... Neque enim minus sacrorum attinet cultui publiese religionis
hostes repellere quam coerimoniarum tutela? vacare... (Gesta Danorum,
ed. Olrik-Raeder, 1931, p. 413).
3 Già il predecessore di Absalon, l’arcivescovo di Roskilde e di Lund,
Eskil (1137-1177) era stato in relazione con Bernardo di Chiaravalle;
e impulsi decisivi dove ricevere Saxo pure dalla Francia, specie dalle
scuole umanistiche di Chartres e di Orléans. (Cfr. F. Blatt, Fra Cicero
til Copernicus, Kobenhavn, 1940, p. 31 sgg.), anche se ben poco
si sa della sua biografia. Studiò forse a Parigi, come Absalon (che
fu probabilmente ispiratore dei Gesta Danorum) e la sua opera
scrisse in un latino rifatto sugli scrittori argentei e sul popolarissimo
Marciano Capella, ma con tale virtuosismo da far rivivere in versi ora
ziani e virgiliani le fiere allocuzioni dei suoi eroi nordici e il paesaggio
della sua terra natale, meritandosi secoli dopo l’elogio di Erasmo (nel
Ciceronianus..., 1528).
110 Le letterature della Scandinavia
come Den saarede Jomfru (La vergine ferita), dove una pic
cola tragedia si risolve in un cavalleresco sorriso; come H err
Tideman och lilla Rosa (Il cavaliere Tideman e la piccola
Rosa), tutta vibrante di « cortese » femminilità e devozione;
e come altre ancora.
Ma il numero non è certo proporzionale alla qualità.
Dal punto di vista estetico, infatti, sono assai pochi i com
ponimenti che spiccano per intrinseco pregio d’arte: i più si
limitano a manipolare e ripetere, a variare e contaminare gli
stessi o diversi motivi, ora irrigidendoli in mediocri quadretti
di genere, ora cristallizzandoli in stereotipe illustrazioni di
costume, ora anche degradandoli a puro accompagnamento
figurativo di melodie tradizionali.
Invise al gusto classicistico del Settecento (ma non igno
rate né da Holberg né da Dalin) le Folkeviser conobbero
anche nel Nord un vero trionfo letterario quando furono ri
scoperte e certo anche sopravvalutate dai romantici, che, sulla
scorta di Herder, guardarono ad esse come a insuperabili mo
delli di poesia, spontanee anonime creazioni dell’« anima po
polare » non indegne di stare accanto all’« epos » germanico
e persino omerico. Crollato poi il mito romantico-nazionale del
« selbstdichtendes Volk », vivo ancora nello storicismo erudito
dei positivisti, le ballate popolari passarono dalle mani dei
raccoglitori dilettanteschi e degli amatori al severo vaglio
della critica storico-filologica che ne scopri l’origine colta o
semicolta, ne spiegò l’anonimità e la voluta semplicità, ne
studiò la tradizione e diffusione geografica e culturale, dando
cosi l’avvio alle prime raccolte sistematiche e scientifiche (le
più antiche redazioni manoscritte e stampate, se si eccettuano
singoli frammenti, risalgono per Danimarca e Svezia, non oltre
il Cinque-Seicento1, per Norvegia, Islanda e Forjar solo alla
metà dell’Ottocento).
Ma a differenza dei grandi paesi europei che nel Medioe
vo produssero capolavori di poesia d’arte, la Scandinavia non
1 Al XV see. risale quella di 200 canzoni circa fatta dalla nobile danese
Karen Brahe e quella del Hjertebogen (libro a cuore — .così chiamato
per la sua forma — 1553-55). Nel 1591 Anders Sorensen Vedel curò
la prima raccolta a stampa; e sulla base del materiale da lui lasciato,
Mette Gjoe pubblicò un nuova raccolta nel 1657 col titolo Tragica. In
Svezia le prime sono quelle (rielaborate) di Geijer-Afzelius, Svenska
Folkvisor (1814-17). La riproduzione dei testi originali si deve a A.
I. Arwidsson, Svenska Fornsànger (183442),
124 Le letterature della Scandinavia
1 Nelle Forjar, sì può dire, quasi fino ad oggi, sono queste Tunica forma
esistente di letteratura (cfr. E. Dal, N ordisk f olkviseforsking siden 1800,
Kobenhavn, 1956, pp. 116-132).
Capitolo secondo
1 Qualche parziale tentativo era già stato fatto nel Medioevo: per ini
ziativa di santa Brigida a Vadstena, forse a opera del confessore Mattia;
in Norvegia fu iniziata forse alla corte di Hàkon Hakonarson una
traduzione di cui restano due copie note sotto il titolo di Stjorn.
Dalla Riforma all’età dei Lumi 127
LUDVIG HOLBERG
vel mine Stude, mine Faar, mine Sviin, og Tak for got Compagnie, og
for hver Dag, jeg har kiendt jer. Far vel... » (— Ah, povero me! m’hanno
dato il veleno? Ahimè, addio Nille; però canaglia che non sei altro!
Ma non sei stata tu la causa che ora mi fa dire addio. Addio Gianni,
Nicola e Cristoforo! Addio Marta, figlia mia; addio pupilla dei miei
occhi, lo so bene d’essere tuo padre, perché tu fosti fatta prima che
il sagrestano venisse a star qui; e poi tu hai lo stesso viso di tuo padre;
tu e io ci somigliamo come due gocce d’acqua. Addio mio cavallo pez
zato e grazie per ogni volta che m’hai portato in groppa, dopo i miei
figli non ho amato tanto nessuna bestia come te. Addio Feierfax, mio
fido cane e custode della mia porta; addio Moens mio gatto nero;
addio miei vitelli, mie pecore, miei porci e grazie per la buona compa
gnia, e per ogni giorno che vi ho visto. Addio... — Atto IV, scena VI).
1 Che testamento, in cambio del titolo di barone, all’Accademia lingui-
stico-storica di Soro, già convento cistercense nel Medioevo.
142 Le letterature della Scandinavia
1 Non erano queste un’innovazione di B., che già Dalin, sul modello
francese (“ Le regiment de la calotte ” del quale fecero parte Luigi XIV
e Voltaire) aveva scritto burlesche “ Prediche in papalina ” (kalottpre -
dìkningar).
2 ò . Lindberger-R. Ekner, A tt làsa poesi, Stockholm, 1965, p. 49 sgg.,
che si richiamano a O. Bystrom, Kring Fredmans Epistlar (1945).
144 Le letterature della Scandinavia
Il romanticismo
chiama a sé nell’Ade l’amata), A lbert och Julia (su una amante che
rinuncia al cielo per seguire l’amato nelPinferno).
1 V. per questo aspetto del problema l’originale recente lavoro di M. Lu
dovica Koch, La lirica di E. J. Stagnelius, in A IO N , Napoli, 1968.
XI pp. 211-508.
158 Le letterature della Scandinavia
1 Perfino nella lirica d’amore e nella poesia floreale, giudicate dai cri
tici come la parte migliore della sua produzione: D et forste Haandtryck
(La prima stretta di mano); Den Elskedes Slummer (Il sonno dell’amata);
Jan Van Huy sums Blomsterstykke (Il mazzo di fiori di J. van Huysum),
Til min Gyldenlak (Alla mia violacciocca) è difficile vedere un supe
ramento della retorica estatica e del consueto lirismo effusivo, qua e
là forse attenuato da qualche nostalgico ed elegiaco ripiegamento.
ip romanticismo 159
1 Forse la miglior parte della sua ampia produzione narrativa, cui alcuni
ctitici hanno tentato di dar nuovo lustro, è da cercarsi proprio in que
sto settimanale (1840-46) modellato su esempi francesi, ma vivo brioso
scoppiettante di umorismo caricaturale nella polemica antimonarchica
(contro Cristiano VIII). Se si eccettua qualche singolo racconto (p. es.
Bjergtagen- L’ammaliata) i suoi farraginosi romanzi più o meno auto-
biografici {En jode- Un ebreo, 1841; Hjemlos- Senza patria, 1853;
Arvingen - L’erede, 1865) hanno oggi soltanto interesse storico.
2 Strenuo difensore della libertà — anche italiana — si batté come de
putato alla Seconda Camera per la indipendenza della Norvegia, contro
il proprio paese. Soprattutto con la sua opera narrativa e bozzettistica
(Bilder ur verkligbeten - Scene di vita, 1863-65) attenta allo studio della
realtà e di schietta ispirazione morale, contribuì all’avvento del natura
lismo in Svezia.
3 Senza paragone più viva, al confronto, l’autobiografia della moglie di
Heiberg, l’attrice J. Luise nata Patges {Et liv genoplevet i erìndringen -
Una vita rivissuta nel ricordo, 1891-92) assai notevole, e stilisticamente
e come documento di storia del teatro danese e di critica dell’arte
scenica.
infelici eroi di Blicher: da Morten Vinge (Brudstykker af en
landsbydegns d a g b o g 1 - Frammenti di diario d’un sagrestano
di provincia, 1834) a Maren (Ak! hvor forandret! - Ahimè
tutto cambia! 1828); da Cecilia (Hosekreemmeren - Il mer
eiaio ambulante, 1828) a Linka (Kj<ringsliv - Vita di vaga
bondi, 1829) da Ma-Jbs (D e tre helligaftener - Le tre feste
sacre, 1840) a Karen e a Paawal Marri (E B indstow - La
stanza dei lavori a maglia, 1842), solo per citare qui i più
noti, sono testimonianze di un’arte narrativa che troppo spesso
scade ad aneddotico sentimentalismo.
L’antitesi romantico-realistica s’incentra in P. M. Moller
e più tardi in H. Egede Schack sui contrasti psicologici di per
sonaggi romanzeschi più o meno autobiografici (En dansk
students eventyr - Le avventure d’uno studente danese, 1824,
Phantasterne - I fantasticatori, 1859) che sembrano anticipare
l’interesse dei naturalisti per i casi clinici, mentre sul piano
lirico E. Aarestrup e Ch. Winther danno di quella antitesi si
gnificative varianti: in erotiche poesie d’occasione (D igte , 1838),
il primo ■— sul cui edonismo sensuale scende a volte un velo
di malinconia per la fugacità del piacere — in melodiose e raf
finate romanze il secondo, che oscilla fra la vaga spiritualità del
l’amore « cortese » e l’abbandonata confidenza, il colloquio in
timo e familiare del « Biedermeier » (Treesnit - Xilografie, 1828-
1832; 77/ E e n - P e t lei; e l’epos medievaleggiante Hjortens
flugt - La fuga del cervo, 1855), finché Frederik Paludan-Muller
nei più che 20.000 versi del suo epico-allegorico poema in otta
ve Adam H om o, 1841-482 non raffigurerà la disintegrazione e
la restaurazione degli ideali romantici, con spirito d’intransi
gente puritano.
Sovrasta tutti per acume critico e dialettico, e per inten
sità di vita interiore Soren Kierkegaard. Cresciuto nell’espe
rienza luterana, combatte sul terreno filosofico il panlogismo
hegeliano in nome dell’antitesi fra il pensiero e la vita e ri
vendica così i concetti religiosi di angoscia, intesa come pec
cato e riscatto a un tempo (la « fiducialis desperatio » di Lu
HENRIK IBSEN
Quando nel 1851 Henrik Ibsen fu chiamato a Bergen dal
celebre violinista Ole Bornemann Bull, principale finanziatore
dell’improvvisato teatro locale, la sua carriera letteraria era
appena cominciata. Aveva scritto alcune liriche ispirate ai ritmi
sentimentali di A. Munch, all’asciutta eleganza di Welhaven,
alla foga oratoria di Wergeland; aveva spezzato una lancia per
il quarantottesco movimento operaio di M. Thrane, e aveva
buttato giù anche qualche dramma (Catilina: tre atti in versi
bianchi sull’eroe sallustiano; Il tumulo del guerriero: un solo
atto modellato sui metri delle tragedie nordiche di Oehlenschlà-
ger), ma di teatro non aveva alcuna esperienza diretta.
Qui per la prima volta potè studiare da vicino la tecnica
scenica e valutarne le esigenze, qui riceve il primo stimolo della
critica e qui forse anche comprese la necessità di ampliare i suoi
orizzonti. L’anno seguente, l’incontro a Copenaghen con Hei
berg, direttore del Teatro statizzato e arbitro del gusto lette
rario della Capitale, contribuì non poco a sprovincializzarlo. La
conoscenza personale di Heiberg e di sua moglie Johanne Louise
Pàtges, futura primadonna sulle scene nordiche del secondo
Ottocento; la polemica sul « teatro d’idee » fra lo hegeliano
Heiberg e Hebbel; la fiorente vita teatrale di Copenaghen,
dov’era ancora recente il successo di F. L. Hoedt, rivoluzionario
1 A cui sembra fermo il pur ottimo lavoro di P. Frasnkel, Ibsens veì til
dramay Oslo, 1955, pp. 63-65.
2 Da Ibsen ripudiato e tenuto sempre come masso erratico nella sua
roduzione (Hundreàrsutgave cit. in bibliografia, X V III, p. 400).
F XIV, prefazione.
L'età moderna 183
1 Sono nel ricordo di tutti le sentenze rivelatrici dei due caratteri: Det,
som du er, veer fuldt og belt, / og ikke stykkevis og delt. (Sii ciò che
sei con tutto il tuo essere / non con l’animo diviso e distratto); ... Husk
at jeg er streng i kravet / fordrer intet eller alt (Rammenta che io sono
severo nel chiedere / esigo tutto o nulla); Sejrens sejr er alt at miste...
(La vittoria delle vittorie è tutto perdere); Evigt ejes kun det tabte
(È eterno possesso solo ciò ch’è perduto); Folk! Àkkordens aand er
Satan! (Uomini, lo spirito della conciliazione è Satana!) - Gaa udenom!
(Gira al larga!); Det er saa fait at se sk&bnen under ojne (Guardare
il destino negli occhi è troppo brutto); vdsr dig selv nok (Ti basti essere
come sei!) Tsenke det, onske det, ville det med; men gore det! - nej...
(Pensarlo, desiderarlo, volerlo, va bene, ma farlo: mai!).
2 È noto che Ibsen più volte reagì alle accuse mossegli di aver creato
in luogo di personaggi drammatici e poetici, problemi e astratte figura
zioni (XVI, p. 202; X V III, p. 265); ma fu forse lui stesso a dare lo
spunto alla nota osservazione del Croce sulla ambiguità di rappresenta
zione in figure come Brand e Stockmann. Oggi si vede chiaramente come
tale ambiguità sia dovuta al suo atteggiamento ancipite verso certi per
sonaggi; e come in Brand sia già prefigurato quel trapasso dall’eroismo
all’illusione, dall’idealismo allo scetticismo che caratterizza la sua para
bola drammatica. In fondo l’idealismo di Brand è, nei suoi effetti pra
tici, non diverso, né meno letale, dal conformismo del Pastore Manders.
D’altra parte non si può negare quanto già Brandes (cit., pp. 31; 40-41)
e dopo F. Bull (VI, pp. 34-38) hanno osservato sulla presenza ancor
viva di scrittori moralisti come Heiberg e Paludan-Muller in questi
drammi di Ibsen. Valgano d’esempio le scene del celebre 4° Atto del
Peer Gynt.
190 Le letterature della Scandinavia
ideale », la verità del singolo alla felicità dei più; che in nome
del « dogmatismo della verità » 1 soffoca ogni gioia di vivere2,
è un uomo vivo, che soffre e ama, come figlio, come marito
come padre e ch’è riamato da una donna, per lui pronta a tutto
rischiare e patire; è un uomo che non ignora i fremiti della
passione e i dubbi e i rimpianti, anche quando procede intre
pido sulle orgogliose vie delPascesi cristiana. Si rileggano al
cune scene del dramma (la seconda del?Atto secondo, la prima
e la seconda del terzo, la prima e la seconda del quarto, la
prima e la terza del quinto) e si vedrà come l’estrema ten
sione morale, anziché intralciarne ideologia, si traduce in lie
vito fantastico d’una materia intensamente viva e umana.
Non diverso dal Brand, è il Veer Gynt, storia allegorica
di tentazione e d’espiazione, religiosa condanna dell’ignavia,
eppure animata tutta da una calda passione che ovunque pe
netra a stringere e a sciogliere i diversi fili della vicenda, ad
alternare e armonizzare personaggi e scene naturali su un ma
lioso sfondo di fiaba. Invenzione e riflessione, toni popolareschi
cantabili e rituale solennità tragica, astrazioni concettuali e
esseri vivi in carne e ossa trovano qui posto e si articolano,
in una trama di contrappuntistica rispondenza al Brand. Per
fino le scene dei troll, e, in genere, l’evocazione delle primitive
forze demoniache (che fuori del Nord si sogliono interpretare
o come pura mascherata o come Moralità medievali) hanno
qui una loro viva e concreta realtà — anticipazione del mi-
stico-magico simbolismo ibseniano.
Al paesaggio senza sole in cui si riflette l’angusto rigorismo
di Brand fa riscontro lo spirito solare di Peer Gynt, la luce
che si prismatizza in tutti i colori; all’esigenza ideale, l’esigenza
umana. Vivere, gioire, ridere delle verità eterne e dei terrori
della coscienza, cedere al fascino dell’illusione (ch’è forse
menzogna, ma — dirà poi Ibsen — menzogna vitale,
livslogn): ecco il credo di Peer Gynt. Si dimentichi per un
momento la sua giovanile spontaneità (che gli viene dal mo
dello e dall’ambiente della fiaba popolare3 e si avvertirà in
quel suo affidarsi alla « menzogna vitale » un presagio del
1 Idealer[?] Vi bar ju det gode norske ord: logne! (Gli ideali? Ma noi
abbiamo la nostra buona parola norvegese: menzogne!), X, p. 145.
2 Ja, dette med lov og orden! Jeg tror mangengang, det er det, som
voider alle ulykkerne ber i verden (Ah, questa storia della legge e del
l’ordine! Molte volte penso che sia proprio questa la causa di tutte le
sciagure del mondo), IX, p. 89. Si sa che il mito della felicità umana
appariva a Ibsen o come selvaggia libertà d’istinti: per es. la barbarica
« innocenza » dei vichinghi (di cui si parla in Brand, V, p. 247, e in
Bygmester Solness, X II, pp. 91, 107-108) — estrema reviviscenza del
rousseauiano naturismo — o come coscienza libera dal peccato originale
(Rosmersholm, X, p. 430).
3 Logeman, A Commentary on H. Ibsen’s Peer Gyntt Haag-Kristiania,
19542, p. 335.
4 T. Knudsen, Phases of Style and Language in the Works of H. Ibsen,
« Scandinavica », 1963, vol. 2, n. 1, pp. 14-15.
5 Al suo tardo virtuosismo basteranno poche parole (aklam - akli - ma-
tisere sig) balbettate da un insignificante personaggio (nella Donna del
mare) per mettere a nudo il nervo d’una tragedia.
192 Le letterature della Scandinavia
Gynt che trae colare e nerbo dalla lingua viva del popolo e
insieme (come spesso in Ibsen) adombra l’ispirazione simbo
lica dell’intero dramma.
Ironici e patetici a un tempo i due episodi rappresentano in
duplice forma la stessa antitesi: il primo, della realtà alla
fantasia; della fantasia alla realtà, il secondo. Il primo, epopea
degli umili contro i potenti, illustrata da quell’anonimo ribelle
all’autorità, reo e peccatore di fronte allo Stato e alla Chiesa,
di fronte alla legge e alla società, eppure veramente eroico
perché fedele a se stesso nell’angusta cerchia della famiglia e
del lavoro quotidiano, nella perenne lotta contro la natura e
il destino. Il secondo, apoteosi della fantasia e del sogno che
trasfigurano la realtà. Perché il Peer mentitore e spaccone
che fin dalla prima battuta del dramma campeggia al centro
d’un mondo di vane illusioni, e che, trascinato dagli eventi,
compare infine privo del suo « io gyntiano » davanti al Fon
ditore di bottoni, è in fondo un poeta, un sognatore, la cui
fantasia è sempre pronta a scattare e a impennarsi come il
caprone ch’egli cavalca verso l’abisso sul crinale di Gendin.
E l’episodio intero, mentre, senza parere, drammaticamente
evoca con la sua intensa dinamicità, tutta incalzante balenio
d’immagini, l’incantato paesaggio norvegese, ci dà la chiave
per penetrare nell’anima stessa del protagonista.
Anche dal punto di vista formale della composizione il
Peer Gynt è, come il Brand, un « poema drammatico » in
versi — prevalente il tetrametro trocaico rimato — a scene
per se stanti, entro le quali si svolge l’intera vita del prota
gonista; ma, a differenza degli altri drammi ibseniani, è tutto
intessuto su una trama di ritmi e di cadenze musicali e reci
tative. Ibsen stesso indicò a Grieg le parti da musicare (il
monologo di Peer nel primo Atto, la scena della donna verde
vestita e quelle del castello di Dovre e del Gran Curvo nel
secondo, la scena della morte di Àse nel terzo, la scena del
canto di Solveig nel quinto, e tante altre ancora); e quando
il dramma per la prima volta comparve sulla scena, il 24 feb
braio 1876, l’enorme successo presso il pubblico cancellò con
un colpo di spugna le apodittiche pedanterie del critico da
nese Clemens Petersen parimenti celebri, se pur per opposte
ragioni, alle parole di risposta di Ibsen (« Il mio libro è
poesia; e se non lo fosse, il concetto di poesia, nel nostro
paese, in Norvegia, si conformerà al mio libro...1»).
1 « Det Rosmerske livssyn adler, men det dreper lykken » (La concezione
della vita dei Rosmer redime, ma uccide la-felicità) dice Rebecca quando
finalmente si arrende all’inesorabilità del passato; che nelle semplici
parole della signora Helseth trova la sua epigrafe: « Salig fruen tog-
dem » (La defunta padrona li ha portati via).
202 Le letterature della Scandinavia
BJ0RNSTJERNE BJ0RNSON
Se Ibsen aveva meticolosamente studiato e imitato la
tecnica teatrale degli Scribe, degli Augier e dei Dumas per
poi toglier loro di mano il dramma europeo, sollevandolo a
1 Scriveva Joyce già nel 1900: « The naked drama — either the per
ception of a great truth, or the opening up of a great question... this is
what primarily rivets our attention... » (« Fortnightly Review », London,
p. 375).
208 Le letterature della Scandinavia
AUGUST STRINDBERG
1 I, pp. 238-239.
2 Brev, 1.5.1872.
3 XIX, pp. 29-35.
4 Brev, 12.3.1884; XIX, p. 205.
5 Brev., 17.5.1885; 21.9.1885; XIX, p. 268.
6 Brev, 8.8.1884; 19.11.1885; 18.7.1886.
7 G. och E. Brandes brevvakling med svenska och finska forfattare och
vetenskapsmàn, I, Stockholm, 1939, p. 17.
« V, pp. 355-358.
9 XVI, p. 187.
Uetà moderna 215
1 X III, p. 331.
2 XVI, p. 304.
3 « Versformen slàr tanken i onòdiga fjàttrar, vilka en nyare tid skall
bortlàgga » (pref. a Dikter). Aveva scritto Courbet nel suo « Manifesto
del realismo» (1832) « faire vrai ce n’est rien, c’est faire laid qu’il
faut ».
216 Le letterature della Scandinavia
Ecco, sta scritto in ogni libro. Dunque io non ero pazzo! Qui,
nel primo canto dell’Odissea, verso 215, pagina 6 della traduzione
uppsaliense, è Telemaco che parla ad Atena: — Ben afferma mia
madre che egli, cioè Odisseo è mio padre, ma come posso io sa
perlo?, che nessuno ancora conobbe mai la propria discendenza; e
ciò sospetta Telemaco di Penelope, la più virtuosa tra le donne!
Bella questa eh? Ecco il profeta Ezechiele: — L’insensato dice:
questo è mio padre; ma come si può sapere le reni di chi Pabbiano
generato?
che di astratto che Zola diceva di trovarci, in una celebre, anche se nor,
molto significativa, lettera inviata all’autore.
Uetà moderna 227
— vuoi ch’io abbia a spartire con la mia cuoca, ch’io rivaleggi con
la mia fantesca! Ah, ah, ah! Tu credi ch’io sia vile, che voglia fug
gire. — No, io resterò e si scateni la tempesta! Mio padre torna
a casa... trova la scrivania scassinata... il denaro rubato! Allora suo
nerà — quel campanello lf... — due volte, per chiamare il servo —
e poi chiamerà la giustizia — e io confesserò tutto. Tutto! Ah! Che
gioia, la fine. Purché ci sia una fine per tutti — la calma... la pace...
l’eterno riposo! Lo stemma sarà infranto sulla bara, la stirpe co
mitale s’estinguerà... e il figlio del servo la continuerà in un asilo
di trovatelli, conquisterà i suoi allori nel fango della strada e finirà
in prigione!
1 Sono questi gli anni del trionfo di Zorn e Liljefors nelle arti figura
tive, della creazione dei musei etnografici (Skansen in Svezia, Bygdoy
e De Sandvigske samlinger in Norvegia) e del culminare della crisi lin
guistica norvegese in senso nazionalistico.
2 E. Ekelund, Ola Hanssom ungdomsdiktningì Helsingfors-Stockholm,
1930, pp. 128 sgg., e 235, 245.
L’età moderna 259
sia per il nuovo senso della misura sia per la nitidezza del
disegno, sia anche per il nostalgico ritorno alla tematica pro
vinciale. Con questa spinta liberatrice nacque insieme nella
Lagerlof il desiderio di approfondire il suo più intimo e vero
mondo, dal quale, come dimostra l’autobiografia, non si era
mai idealmente staccata. E bastò cosi l’esperienza occasionale
d’un viaggio in Palestina — sempre sulle orme di F. Bremer
— per dare lo spunto al romanzo Gerusalemme (1901-1902).
Un gruppo di pii contadini della Dalecarlia, per vivere da
veri cristiani nella terra del Signore, s’erano colà trasferiti
dopo aver venduto la propria. Su questa trama di realtà la
fantasia poteva ancora una volta abbandonarsi alle visioni, e
al meraviglioso con minor pericolo di perdersi nell’arbitrario e
nel decorativo.
E infatti più riuscita è la prima parte del romanzo, dove
il dramma morale è tutto radicato nella realtà, con quel re
pentino serpeggiare del risveglio estatico in anime semplici
e ingenue, divise fra l’attaccamento alla terra e la nostalgia
del cielo. La stirpe di Ingmar Ingmarsson esemplifica questo
dissidio: gente dura e aspra come i remoti avi vichinghi,
ferma alle tradizioni ancestrali della solidarietà di sangue,
dell’onore, del diritto, eppure timorata di Dio e pronta a tutto
sacrificargli. Ma l’antitesi tra la realtà e il sogno spezza questa
compatta società patriarcale: e lunghe file di carri prendono
la via del volontario esilio, dalla terra che i partenti pur va
gheggiano e sperano un giorno di rivedere in Paradiso.
Come ha detto un’intelligente biografa (E. Wagner) la
Lagerlof fu assai più felice nel cogliere la terragna grandezza
che l’estasi e l’ascesi di questi eroi-contadini, più il dramma
del distacco dall’antica patria che quello della imitatio Christi
nella nuova (e quanto la scrittrice svedese detestasse il fana
tismo e il settarismo religioso lo dimostra ciò che scrisse a
Brandes da Gerusalemme).
Perciò una volta strappate alla propria terra, cioè al pro
prio essere, queste grandiose figure epiche sbiadiscono e si
banalizzano per diventare puri strumenti d’un troppo facile
provvidenzialismo. Come altrimenti vive ed esemplari non
appaiono invece nella cornice dell’ambiente avito, dove gesti
e parole atti e vicende acquistano quasi la solennità biblica
d’un rito, al punto che perfino i modi epici della Saga nor
rena, su cui tantò hanno insistito i critici, sono in realtà as
sunti in tutt’altra funzione e animati da un soffio religioso che
li trasfigura.
280 Le letterature della Scandinavia
1 Che, anche sul piano biografico, la porterà a far parte del comitato
internazionale dell’Associazione antimilitarista Clarté, all’indomani del
la prima guerra mondiale — malgrado le note tendenze bolsceviche di
quelFAssociazione.
L’età moderna 281
come prima; anzi non erano più aperti del solito? Grandi e do
rati si spalancavano nel fulgor temperato del caldo tramonto, men
tre le pupille, dilatandosi, s’arrotondavano con un’espressione di
calma insieme e di fierezza. Parevano guardare più lontano che mai,
oltre e attraverso le grigie case, sui cui tegoli d’ardesia brillava
l'ultimo sole, oltre l’Arno balenante di riflessi, oltre i grigioargentei
boschi e i colli, oltre le azzurre montagne, lontano a perdita d’oc
chio. Che guardava? A che pensava? Sognava ancora una volta?
No, non aveva più bisogno di sognare. Ora era chiaro per lui che
le fugaci visioni d’una volta riflettevano una realtà salda, certa
evidente come quella che circonda l’uomo nella vita; era chiaro
per lui che quel suolo sfolgorante di luce che aveva calpestato
esisteva veramente; e che per quel suolo egli era nato e vissuto,
non per soffrire in gabbia. Ora se lo vedeva intorno: dal basso
colle su cui si trovava la terra declinava dolcemente in molli on
date purpuree e azzurrine, che andavano a morire nella pace del
mare di sabbia. Qua e là brillavano macchie e saline simili a
piccoli laghi; il resto era come una volta. Il cielo s’incurvava col
suo consueto splendente azzurro entro l’arco del firmamento, in
commensurabile eppure dai chiari contorni, simile a un anello
chiuso; di mezzo al cielo il sole saettava giù la sua pioggia di
fuoco, mentre l’aria d’intorno, incandescente per l’ardor della sab
bia, tremolava come sottile vaporio.
Cosa passava nel largo petto di quel leone, di quel re che con
templava la sua terra? Gioia intensa, fiera consapevolezza della
propria forza? Nessun uomo avrebbe saputo esprimere quei senti
menti elementari, oscuri, inafferrabili eppure possenti come la
tempesta.
Orlando e sua madre sembravano quasi intuirli, tant’era profondo
e luminoso lo sguardo della belva.
Sobilia afferrò bruscamente la mano del figlio ed ebbe un brivido
di terrore ripensando a quell’attimo in cui già ima volta, senza la
gabbia di mezzo, aveva fatto quel gesto.
« Ma vieni via dunque » esclamò.
Orlando si liberò dalla stretta della madre.
« Come è bello », rispose. « Come è bello! Voglio guardarlo an
cora ».
Il leone udì e abbassò lo sguardo stupito. Dove si trovava? Dove
era andata a finire la sua visione? Cos'era quel bruciore e quel
fuoco che sentiva, cos'era quel tremore interno, quell’oscura mi
naccia dinanzi alla quale persino lui provava terrore?
Per un attimo l’occhio del bambino incontrò quello della belva:
come era stranamente triste, disperato e pur padrone di sé, aperto
su un mondo che il bambino non poteva intendere, eppure vaga
mente, inquietamente presentiva.
Solo un attimo. Il leone tornò a guardare lontano con la solita
espressione assente. Ma c'era ora qualcosa di nuovo in quello
sguardo che penetrava le lontananze: oscura e minacciosa, ma
286 Le letterature della Scandinavia
trata per strada). Per la prima volta Hamsun riesce qui con
la tecnica della giustapposizione dei colori, sapientemente al
ternando luce e ombre, a esprimere l’antitesi fra slancio vitale
e riflessione intellettuale, a raffigurare un essere d’eccezione
nella sua volubile e frammentaria umanità, nella imprevedibile
dinamica della sua vita spirituale.
Erano quelli gli anni della composita reazione al natura
lismo anche nel Nord. Come s’è detto, Ola Hansson, Verner
von Heidenstam e Oscar Levertin in Svezia, Johannes Jor
gensen e Sophus Claussen in Danimarca, propugnavano il loro
nuovo ideale estetico-religioso con non minore dogmatismo di
quello che combattevano.
Cosi pure Hamsun in Norvegia.
La sua attività pubblicistica, appena intermessa durante
la stesura del romanzo Fame, s’intensifica verso il 1890 con
una serie di irruenti e bizzarre conferenze, di articoli e saggi
letterari: confessioni e battaglie di un ultraromantico che, in
poche apodittiche sentenze, vorrebbe creare una nuova estetica
e liquidare le vecchie idee con qualche lampeggiante sofisma.
Il bersaglio polemico è anche ora il solito: la coeva let
teratura norvegese e, dietro questa, gli idoli del secolo pro
gressista con la sua fede nella scienza e la sua illusione d’aver
risolto il mistero dell’anima umana e della vita cosmica.
Misteri (1892) s’intitola infatti il nuovo romanzo di
Hamsun.
È un miscuglio di frammentario autobiografismo e di van
gelo nietzschiano. Sotto la sbiadita fisionomia di Johan Nagel,
un superuomo in sedicesimo, si riconosce subito l’autoritratto
di Hamsun irridente al razionalismo e al filisteismo borghese,
alla scienza e alla morale degli uomini comuni, sopra i quali
agita la ferula del suo geniale sdegno e ai quali dona le nuove
tavole dei valori scaturiti dalla sua ispirata meditazione. C’è
molta enfasi e molto dandysmo nella predicazione di Nagel.
I suoi facili sarcasmi sulla « profondità » di Ibsen, sulla « re
ligiosità » di Gladstone, sul « moralismo » di Tolstoj e sulla
« vanità » di Victor Hugo, e, per converso, la sua ammira
zione per la « vitalità » da condottiero*di Bjornson, non meno
del proprio personale destino entro la cornice della società
di provincia in cui si muove (dall’enigmatico rapporto di sim
patia-antipatia con la sua ombra: il deforme « Minuto », al
l’ambivalente passione per la giovane Dagny Kjelland e in
sieme per l’attempata Martha Gude, al finale suicidio) sono
puri pretesti per celebrare il demoniaco culto della vita istin
L'età moderna 293
1 Dove Hamsun proclama la sua fede nel « Signore innato, nel despota
per natura, nel dominatore, in colui che non è eletto da nessuno, ma
si crea duce delle masse sulla terra ».
2 J. W. Me Farlane, The Whisper of the Blood, PMLA, 4, 1956.
L'età moderna 2éi
LA NARRATIVA E LA LIR IC A
HARRIET LÒ W EN H JELM
o ancora:
Skàda, skàda hur det vàras. Guarda, guarda la primavera.
Snòn har smultit, se och màrk. Sciolta è la neve, guarda attento.
Àn en gang skall vi bedàras Ancora una volta ecco ci incanta
av det gamia underverk. l'antico miracolo.
det har jag làrt tnig for var dag, L’ho appreso ogni giorno che
[som flyr. [fugge.
Ynkligt det slutar och sjaskigt Misera è la fine e turpe e ver-
[och snópligt, [gognosa,
pà vilka vagar jag an mànde gà. qualunque sia il mio cammino.
ARNULF 0VERLAND
oppure:
1 Ci son cose più care della tua vita. Per queste devi combattere! / Ma
non devi calpestare chi è caduto in ginocchio. / Non devi condannare
chi è caduto nel fango! / D i’ al tuo cuore: Questa volta è toccato a
lui. / E piega il capo nel lutto e nella vergogna. {La legge).
Tendenze letterarie del Novecento m
Il decadente negatore e l’autosufficiente rivoluzionano
sono qui entrambi superati in un’intuizione schiettamente
poetica, che anzitutto è percezione del misterioso e dell’ineffa
bile della nostra vita:
Kunde du favne Se anche potessi serrare sul petto
sterk og om con forza e tenerezza
hvert levende kre og gi tingene ogni vivente essere e dar nome
[navne, [alle cose,
vilde du erida sta som en blind, sempre saresti come un cieco,
du ville savne non troveresti
ord for det selsomme liv i ditt parola all’arcana vita del tuo
[sinn. [spirito.
(Julinatt i byen) {Notte di luglio in città)
quell’altro, con le stesse catene. Anzi gli pareva ancora che una ca
tena di ferro lo stringesse al crocifisso.
Ora Sahak voleva qualcosa, voleva dire qualcosa, forse chiedere da
bere, ma nessuno poteva capirlo. Neppure Barabba riuscì ad affer
rare cosa dicesse, malgrado ogni sforzo. E poi era troppo lontano.
Avrebbe potuto correre fin su alla croce, chiamare il suo amico e
chiedergli cosa volesse, se volesse aiuto, e nello stesso tempo scac
ciar via le mosche. Ma non si mosse. Restò nascosto dietro il suo
cespuglio. Senza far nulla. Tutto il tempo a guardare con gli occhi
ardenti e con la bocca semiaperta per il dolore di quell’altro. Non
molto dopo si capì che il crocifisso non avrebbe patito più a lungo.
Respirava appena, il petto non si muoveva quasi, e Barabba, lì do-
v’era, non udiva più niente. Poco dopo il magro petto di Sahak non
si sollevò più e si capì che era morto. Senza che il cielo s’oscurasse
e senza che avvenissero miracoli, impercettibilmente esalò l’ultimo
respiro. Nessuno di quelli che erano di guardia s’accorse che era
morto; stavano a giocare a dadi proprio come l’altra volta, tanto
tempo prima. Ma ora non si precipitarono né si spaventarono per
quello che era morto sulla croce. Nemmeno se ne accorsero. L’unico
che se ne accorse fu Barabba. E quando capì ciò che era avvenuto,
ansimò e cadde in ginocchio come se pregasse.
Strano davvero. Chi sa come sarebbe stato felice Sahak se l’avesse
potuto vedere. Ma lui purtroppo era morto.
E qui sul filo del racconto evangelico riaffiora balenante
di forza lirica il tema centrale di Lagerkvist: l’ansia inappagata
dell’uomo che non trova in se stesso la ragione del suo destino.
1 Intorno a questo tema, che nel Nord ha tutta una sua letteratura con
nessa alle vicende politico-sociali del femminismo, è fiorita, dall’età po
sitivistica a oggi, un’enorme congerie di romanzi (per lo più a opera
di scrittrici) non certo di grande rilievo artistico, ma notevoli perché
formano una salda tradizione narrativa a sfondo romantico-didattico, che
trova larghissima diffusione nei ceti borghesi.
Tendenze letterarie del Novecento 341
1 Nel suo studio Orm og tyr (Serpe e toro, 1952) ha lasciato un docu
mento molto discutibile dei suoi interessi culturali per il mito paga
no nordico, interpretato alla luce del pensiero di Kierkegaard e di
V. Gronbech.
Tendenze letterarie del Novecento 345
(La danza attraverso il paese delle ombre, 1911-24), che illustra il fe
nomeno del passaggio dall’agricoltura all’industria mediante una ricca
galleria di tipi e una serie di umoristiche vicende. Si tratta di opera di
notevole mole, ma oscillante e incerta fra i toni popolareschi e le non
ben armonizzate reminiscenze dotte.
1 Figlio di minatori immigrati in Svezia, ha lavorato nella miniera di
Roros — chiamata Christianus Sextus, e che dà appunto il titolo a
una sua trilogia romanzesca, 1927-35 — fino ai venti anni. Fedele a
questa sua tematica anche nella tetralogia Nattens br0d (Il pane della
notte, 1940-59) ha portato avanti l’epico racconto dei suoi minatori dal
l’epoca di Carlo X II alla metà dell’Ottocento. Al gusto dello storico e
alle esigenze narrative contrasta sempre in questo scrittore un fermento
romantico-religioso che ostacola la coerenza psicologica dei personaggi
e l’impianto stesso delle trame.
2 Interprete della miseria della classe operaia nel suburbio orientale di
Oslo in romanzi realistici, stilisticamente un po’ opachi, ma animati da
sincera partecipazione umana ai fatti narrati (Kring fabrikken - Intorno
alla fabbrica, 1910; Uhehiet, La tana dei lupi, 1919).
3 Hans Kirk è soprattutto noto come autore del cosiddetto « romanzo
collettivo » (che ha avuto anche in Svezia cultori come Ivar Lo-Johansson
e J. Kjellgren) d’ispirazione marxista (Fiskerne - I pescatori, 1928) e di
studi teorici (Kristendom og kommunisme, 1948), nei quali si vuol di
mostrare l’identità dei due termini. Becker e Herdal, benché attivi pro
pagandisti e polemisti sul piano sociale, non hanno dato opere di du
revole valore artistico.
Tendenze letterarie del Novecento 347
per sé, 1955), nei quali pur polemizzando contro il capitalismo si pro
clama nemico d’ogni sètta e d’ogni dogma: idee e propositi ribaditi in
Upphaf mannudarstefnu (Inizio dell’èra umana, 1965).
350 Le letterature della Scandinavia
1 Vedo che questo giudizio formulato anni fa, da chi qui scrive,
è oggi condiviso da altri (cfr. S. Delblanc in Samlaren, 87, 1966,
p. 236) « Han har dgonblickligen starka ambitioner att verka som
tànkare, tidskritiker och profet. Det àr tvivel underkastat att dessa
ambitioner stódas pà filosofisi originalitet ocb skàrpa... ».
362 Le letterature della Scandinavia
1 A ragione è stato detto che ogni atto espressivo non può prescindere
da una tradizione (v. M. Fubini, Crìtica e poesia, Bari, 1956, pp. 410-417).
2 Nella rivista « 40-tal » specialmente i numeri 5 e 9-10, 1946; 1, 1947.
3 B. Holmqvist, 40-tal. En prosaantologi, Stockholm 1946, pp. 12-13.
4 H . Ofstad, « Objectivity of Norms a. Value-]udgements according to
Recent Scandinavian Philosophy », in Philosophy a. Phenomenological
Research, X II, 1, 1951.
5 Conosciuti questi ultimi nel volume di F. Scarfe, Auden a. After, Lon
don 1942; vedi il quotidiano Arhetaren 1.5.1943; 19.10.1943; 25.10.1943
al quale collaborarono vari scrittori anarco-sindacalisti.
6 Kampen om mennesket, Kobenhavn 1930, che propugna, contro ogni
forma di fanatismo, religioso e laico, un ritorno alle origini evangeliche.
7 L’interdipendenza di certi fenomeni letterari svedesi e danesi da chi
qui scrive altre volte segnalata e contestata da critici nordici (Scandi
navia, 1962 I, p. 69) è accolta da H. B. Forsmark, Lyrikken, 1945-56,
Areté, 1952, p. 17. Oggi anche T. Brostrom (Ti ars lyrik, cit., p. 59)
esplicitamente ammette « Vi behover ikke at soge Uengere hort end over
0resund for at mode en ganske anden poesi, der har stserkere tilknytning
til modernismen og er mere avanceret i selvsteendig experimenteren...;
e a p. 60 dice che dopo il 1890 la lirica danese « nojedes... med indavl
eller mere overfladiske efterligninger... » Così a p. 61 « Der er i vort
àrhundredes Danmark nappe skabt ret mange digte pà hejde med de
beste i det 19 àrhundrede... Selv har vi jo aldrig skabt en selvstxndig
poetisk bevaegelse, men nok for i tiden forstàet at tilegne os det le-
vedygtige ».
Tendenze letterarie del Novecento 1111
gione, appaiono come unico antidoto alla solitudine e all’an
goscia J, dall’altra si afferma la possibilità di risolvere la crisi
odierna soltanto mediante il ritorno a un umanesimo d’im
pronta comunista2. Perfino in Islanda dove, s’è già detto, la-
letteratura è stata per secoli legata a un rigido classicismo
(H. G. Laxness, De islandske Sageer og andre Essays, Koben-
havn, 1963, p. 7), l’opera di Póbergur Pórdarson, con la sua
satira dell’endemico romanticismo nazionale ha aperto nuove
vie e alla prosa e, indirettamente alla poesia più o meno er
metica e versoliberistica.
Ma sul piano dell’arte sia gli svedesi che i danesi3 sem
brano muovere dalle medesime premesse gnoseologiche della
precedente generazione, benché come s’è detto, proclamate
con intransigente dogmatismo: inconoscibilità del reale, anar
chico solipsismo4 impavida esplorazione dell’inconscio5 per
mezzo d’un linguaggio iniziatico, che rifiutando ogni tradizio
nale struttura logica e grammaticale punta solo sulle suggestioni
della magia verbale e simbolica 6.
it TEATRO
M i t c h e l l , Danish
Literature, Kobenhavn, 1957; H anne M a r ie und
W e rn e r Svendsen,Geschichte der dànischen Literatur, Neumiinster-
Kobenhavn, 1964; F. D u ra n d , Histoire de la littérature danoise,
Paris-Kobenhavn, 1967.
Per la Norvegia
F. B u l l , F. Paasche, A. H . W in sn e s, Ph. H o um , Norsk littera-
turhistorie, 5 voli., Oslo, 1924-55. (La seconda ed. contiene nel I voi.
un aggiornamento a cura di A. H o lts m a r k , 1957); e migliore, per la
parte moderna, K. E ls t e r , lUustreret norsk litteraturhistorie, 3 voli.,
Oslo, 1934-35; sommario ma buono H . Beyer, Norsk litteraturhistorie,
Oslo, 1952 (la seconda edizione curata da Edvard Beyer contiene
un’utilissima e ampia bibliografia, 1963); utile, dal punto di vista
didattico, l’antologia K loum an- K arner S m idt, Moderne norsk lit-
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Per ITslanda
(in particolare sulla letteratura norrena)
F. Jónsson, Den oldnorske og oldislandske Litteraturs Historie, Ko-
benhavn, 1920-242 (fondamentale ma caotico e d’ingrata lettura); tratta
zioni prevalentemente filologiche: E. N oreen, Den norsk-islàndska poe-
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benhavn, 1934; inoltre G. N e c k e l, Die altnordische Literatur, Leipzig-
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gason, S ig u rd u r N o r d a l in Nordisk Kultur, V i l i , 1953 (la migliore
sintesi della materia); J. D e V rie s, Altnordische Literaturgeschichte,
2 voli., Berlin, 1941-42 (storia sinottica di tutta l’antica letteratura nor
dica, con particolare riguardo al valore culturale delle singole opere e dei
connessi problemi di cronologia e di attribuzione; recentissima la se
conda edizione interamente rielaborata, 1964-67); utili anche per la
letteratura islandese antica: F. Jónsson, Island fra Sagatid til Nùtid,
Kobenhavn, 1930; G. Finnbogason, Islendingary Reykiavìk, 1933;
H . K u h n , Island, das Heimatland der Sagas, Berlin, 1940. In corso
di pubbl. la monumentale storia della letteratura islandese antica di
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Tra i più recenti tentativi d i sintesi delle letterature della Scandi
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resta però esclusa la letteratura dell’età pagana); e, di carattere informa
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bridge, 1951. I n Italia esiste la trattazione di G. P r a m p o lin i nella
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Una buona storia della cultura nordica, non di rado però offuscata
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carattere contenutistico di D. Lea, Hans Ernst Kinck, ivi, 1941. Alla
; morte dello scrittore è stato pubblicato un volume poligrafo con bi
bliografia a cura di A. H a r b itz (Oslo, 1927). In particolare sul poema
drammatico « Il mandriano », J. A. R e fsd a le n , in Edda, 1914; recente
la grande monografia di E. B eyer, H. E. Kinck , 2 voli., Oslo, 1956-65
(con ampia bibliografia).
Le Opere di h a m s u n sono edite a O slo (17 voli., 1934-39). Pene
trante lo studio di H . Christensen , Unge Nordm&nd , Kristiania, 1893;
inoltre S. H oel , Knut Hamsun , O slo, 1920; J. L andquist , Knut Ham
sun , Stockholm, 1927 (non sempre persuasivo nei giudizi critici);
E. S k avlan , K. H., O slo, 19442. Per la biografia e per le recenti vicende
politiche sono da consultare, ma con ampie riserve, i libri del figlio e del
la moglie dello scrittore: T. H am sun , Knut Hamsun, min far, Oslo, 1952,
e Knut Hamsun som han var, ivi, 1957 (è una scelta di lettere); M. H am
su n , Regnbuen , ivi, 1953; più equanime S. Sparre N ils o n , En orn i
uvser, O slo, 1960. Interessante anche il volume d’omaggio Festskrift til
70-àrsdagen, ivi, 1929; per i legami fra Joyce e Hamsun cfr. K.
Sm idt, « English Studies », XLI, 1960. I romanzi di Hamsun sono
ampiamente tradotti anche in italiano; buone le versioni di G.
P ra m p o lin i (p. es. Figli dei loro tempi, Milano, 1934) e quella
dal tedesco di E. P ocar (Pan, Milano, 1941; Fame, ivi, 1952); recen
tissima quella di C. G ian nini, Knut Hamsun. I capolavori, Roma,
1953; A. M o t z f e ld t ha tradotto l ’ultimo libro di Hamsun col titolo
Io traditore , Milano, 1962. U n volume miscellaneo è stato pubblicato
nella « Collana Premi N obel », Fabbri ed., trad, di S. D e Cesaris
E pifani e A. P alm e , introd. di M. G abrieli, Milano, 1965.
La narrativa e la lirica
Su tutti gli scrittori contemporanei, includendo in tale definizione
molti di fine Ottocento, oltre le grandi storie letterarie, occorre consul
tare: K. Stròmberg, M odem svensk litteratur , Stockholm, 1932; A. H en -
riques , Svensk litteratur efter 1900 (ed. svedese), ivi, 1944; F. Book,
Resa kring svenska Parnassen, ivi, 1926; R. G ustafsson B erg, Svenska
skalder pà nittiotalet, Stockholm, 1906 e Litteraturbildery 2 voli., ivi,
1912-19; I. H arrie, Tjugutalet in memoriam, Stockholm, 1936; J. M jò-
berg, D ikt och diktatur , ivi, 1944; S. M oller K ristensen , Dansk lit
teratur 1918&950, Kobenhavn, 1951; E. F randsen , N . K. Johansen ,
Danske Digter e i det 20 Aarhundrede, 2 voli., Kobenhavn, 1951; 3° voi.
a cura di O. R estr u p , ivi, 1955. E. F rederiksen , Ung dansk litteratur,
ivi, 19512; T. K ristensen , Mellem krigene, Kobenhavn, 1946; Ch . K ent ,
En ìcegmann orienterer sig i tilvcerelsen, Oslo, 1931; E. K ielland ,
Fem essays om moderne norsk litteratur , ivi, 1928; S. N ordal, tslenzk
lestrarbók, 2 voli., Reykjavik, 1924-47 (testi islandesi con brevi intro
duzioni); e in italiano a cura di G . P ram polini , Letteratura islandese
contemporanea, Milano, 1930. I. H olm , Verlaine i Nor den, in Orbis lit
ter arum , Kobenhavn, 1947; O. S torstein , Fra Jaeger til Falk, Oslo,
1950; T h . B redsdorff, Seere for teller e... Kobenhavn, 1957. U n ’anto
Bibliografia 415
Su h e d b e r g , a u r e l l , l u n d k v i s t , b e n g t s s o n : R.
O ldberg , Nutidsfórfattare , Stockholm, 1949.
Della k r u s e n s t j e r n a sono stati pubblicati tutti i romanzi
(19 voli., Stockholm, 1944-46 con commento di J. E d f e l t ). Per la
critica: S. A hlgren , Krusenstjernasstudier, Stockholm, 1940; e, più
solido dal punto di vista critico, O. L agercrantz , Agnes von Kru -
Bibliografia 419
Il teatro
Per il teatro moderno: F. Schyberg, Ti àrs teater, Kobenhavn, 1939;
M. E lle n h a u g e , D et danske Skuespil efter Verdenskrigen, Koben
havn, 1933. Schyberg, Teatret i krig, ivi, 1949; A. H en r iq u e s, M odem
dansk dramatik, Stockholm, 1942; N. S le tb a k , D et norske Teatret, Oslo,
1963; J. A. D a le , Nynorsk dramatik i bundre àr, Oslo 1964. In ita
liano esiste una Enciclopedia dello spettacolo, (pubblicata con la colla
borazione di stranieri) Roma, 1955 sgg. (ma le voci nordiche abbon
dano di errori).
I lavori teatrali di G. h e i b e r g sono editi a Oslo (4 voli., 1917-
18); per la critica c’è un libro del giornalista e scrittore E. S k avlan ,
Gunnar Heiberg, Oslo, 1950; inoltre sul tema dell’erotismo: L. Longum,
To kjserlighetsromantikere, Oslo, 1960. In italiano cfr. C. G iannini, Il
teatro norvegese, già citato, e la trad, di Balkongen (F. B ernardini e C.
C a s t e l l i , Roma, 1907).
185-86, 189, 192, 194, 196, 198, Bull Ole Bornemann (Bergen 1810-
210-11, 213, 223, 232, 235, 250- Lysoy 1880) - 178.
252, 253 , 255, 259-61, 273-74, Buraeus Johan (Àkerby 1568-Vàrd-
276, 279, 304, 307, 309, 345, sàtra 1652) - 129.
379, 381-82. Burger A. - 20.
Branner Hans Christian (Ordrup Burns R. - 345.
1903-Kobenhavfi 1965) - 355, Byron G. - 163, 176, 190, 261.
385. Bystròm O. - 143.
Branting Hjalmar - 282. Bààth Albert (Malmò 1853 - Gott-
Breakspear Nicolaus (v. Adria skar 1912) - 267.
no IV). Bodtker Sigurd (Trondheim 1866-
Br^kke Paal (n. Roros 1923) - 362. 1928) - 151, 378.
Bremer Frederika (Tuorla, Finlan Bogh Erik (Kobenhavn 1822-ivi
dia 1801-Arsta 1865) - 164, 278- 1899) - 198.
Bonnelycke E. - 370.
279. Borge V. - 233, 247.
Breton A. - 322, 324, 365. Book Fredrik (Kristianstad 1883-
Breughel P. il Vecchio - 343. Kobenhavn 1961) - 170, 260,
Brinkman C. G., von - 156. 304.
Brix Hans (Vejle 1870-Kobenhavn Borjesson Johan (Vaddo 1790-
1951) - 151, 165, 168, 170, 304, Uppsala 1866) - 223.
371. Bottiger Cari (Vàsteràs 1807-Upp-
Brjànn di Munster (sovrano) - 71, sala 1878) - 151.
74-75.
Brorson Hans A. (Randerup 1694-
Ribe 1764) - 133. Calderón de La Barca - 357.
Brostrom Torben (n. Kobenhavn Caldwell - 359.
1927) - 304, 365-67, 373. Camus A. - 365.
Brot af Sigurdarkvidu (Frammento Cantu C. - 278.
Indice analitico 429
10, 15-16, 18-19, 23, 32, 38, 40, Raivola, Carelia 1923) - 323,
45-50, 52-54, 59-60, 63, 65-67, 326.
69-70, 77, 79, 81, 83-84, 88-90, Sonderby Knud (Esbjerg 1909-
92, 94, 97, 101-05, 109-10, 128- 1966) - 385.
129, 151, 159, 354. Sorensen Vedel Anders - 123, 128.
Sturtevant A. M. - 25. Sorensen Willy - 304.
Sturzen-Becker Oscar P. (e pseud.
Odd Orvar; Stockholm 1811-
Hàlsingborg 1896) - 164. Tacito - 11, 29, 206.
Styrmir Kàrason (m. 1245) - 90. Taine H. - 168, 175-77, 213, 223,
Sundman Per Olof (n. Stockholm 322.
1922) - 377. Talis Qualis (v. Strandberg C. V.).
« surrealismo » - 150, 172, 202, Tàrnet (riv. danese, 1893) - 255.
240-41, 245, 252, 270, 275, 323, Tasso T. - 128, 131-32, 135, 153.
327, 331, 347, 360, 362-63, 366, Tassoni A. - 137.
368-69, 371, 375. Tausen Hans (Birkende 1494-Ribe
Suso E. - 114, 357. 1561) - 126-27.
Svanberg Nils (Kalmar 1902-Upp- « teatro » - 16, 18-19, 32, 117-18,
sala 1939) - 304. 129-31, 137-42, 156, 161, 164,
Svanberg Victor (n. Hastveda 166, 178-210, 223-34, 247-52,
1896) - 304, 325. 276, 296, 330-33, 370, 377, 378-
Sveinsson Brynjólfur (Islanda 385; «misteri» (rappr. medie
1605-1675) - 15, 43, 129, 159. vali) - 117, 129, 330, 332-33;
Sveinsson Einar Ól. - 10, 13, 25, « moralità » (rappr. mediev.) -
45, 54, 71-72, 75, 86, 90, 93, 117, 129.
95, 99. Tegnér Esaias (Kyrkerud, Vàrm-
Svend Estridssen (sovrano danese) land 1782 - Òstrabo, Vàxjò
- 108. 1846) - 43, 97, 151-52, 155-56,
Svensk Litteratur-Tidning (riv., 111, 239, 260-61, 276.
Uppsala, 1813-24) - 152. Tennessee Williams - 240.
Svenska Dagbladet (organo conser Teodorico di £>ràndheimr - 48,
vatore, Stockholm) - 276. 101.
Svenske Mercurius (giornale, 1755- Terenzio - 129.
1761 e 1763-65) - 136. fcórgeirr afràdskollr - 92.
Sverrir Sigurdarsson (sovrano nor Terkelsen S. - 131-32.
vegese, 1184-1202) - 93-94, 101. Thiele Just M. (Kobenhavn 1795-
Svipdagsmàl (comprendente « Gró-
ivi 1874) - 160.
Thomas (poeta anglomanno della
galdr », Incantesimo di Gróa, e corte di Enrico II d’Inghilterra)
« Fjglsvinnsmàl ») - 23. - 96.
Swedberg Jesper (Sveden, presso Thomas Simonsson di Strangnas
Falun 1653-Skara 1735) - 132.. (vescovo svedese, 1380-1443) -
Swedenborg Emanuel (Stockholm 120.
1688-London 1772) - 110, 135- Thomasius Ch. - 138.
136, 147, 171, 211, 235-36, 239, Thomson J. - 149.
243-44. Tbor af Havsgaard (« Folkevise »)
Swift J. - 135, 138. - 119.
Swinburne A. Ch. - 275. Thorarensen Bjarni V. (Brautar-
Soderberg Hjalmar (Stockholm holt, Islanda 1786-Modruvellir
1869-Kobenhavn 1941) - 30546, 1841) - 151.
334. Thoresen M. - 184.
Sòderblom Nathan (Trono 1866- Thorild Thomas (Svarteborg, Bo-
Uppsala 1931) - 308-09, 330. huslan 1759-Greifswald 1808) -
Sòdergran Edith (Peterburg 1892- 147, 159.
448 Le letterature della Scandinavia
II I. I l r o m a n t ic is m o ...........................................................................» 148
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