Sei sulla pagina 1di 9

Paolo Grossi

I DOMINI COLLETTIVI COME REALT COMPLESSA NEI RAPPORTI CON IL DIRITTO


STATUALE* (pubblicato in Riv. Dir. agr., 1997, p. 261 ss.)

Non posso cominciare questa relazione introduttiva se non esprimendovi un compiacimento sincero
e un ringraziamento sentito. Il compiacimento per la Facolt giuridica di Trento, e non soltanto
per questa manifestazione, ma per una presenza culturale che essa garantisce a livello nazionale e
internazionale.
un compiacimento che esprimo immediatamente al Preside Toniat e a tutti i Colleghi della
Facolt con un sentimento di ammirazione schiettissima.
Il ringraziamento all'amico Nervi per l'organizzazione del convegno e per avermi dato la
possibilit di esprimere ancora una volta il mio ereticale pensiero a un pubblico cos eletto. Innanzi
tutto, per un ringraziamento per la creazione di questo Centro.
Noi abbiamo bisogno di momenti istituzionali, a livello di organizzazione culturale, che
promuovano non episodicamente indagini sulle propriet collettive. Qualche anno fa, si tent a
Roma un' altra formazione istituzionale, un Centro che si intitolava a un personaggio cui i nostri
studii molto debbono, l'avvocato Guido Cervati. Il Centro Cervati avvi un discorso estremamente
serio sul piano culturale, ma trov sul suo cammino grosse difficolt organizzative; oggi mi pare
che taccia. C', quindi, un vuoto, caro Nervi, che il tuo Centro -tuo nel senso che sei tu il promotore
e il realizzatore entusiasta - pu colmare egregiamente. Del resto, se io sono qui, proprio per la
precisa consapevolezza della funzione promozionale che il tuo, il vostro, il nostro Centro ha.
Detto questo con estrema schiettezza, passiamo al tema affidatomi. Lo avevo giurato a me stesso,
dopo trent'anni o quasi di ripetute indagini, di non occuparmi pi direttamente e pubblicamente di
propriet collettive. Non perch il tema ancora non lo meriti, ma perch nella vita di uno studioso il
guaio rimanere prigioniero di un solo -anche se avvincente -oggetto di ricerca, mentre, al
contrario, si deve far di tutto per mantenere la tastiera tematica necessariamente polivalente, ampia
e perci arricchente. Perch, allora, son di nuovo qui a parlare a voi di propriet collettive? Perch
Nervi mi ha allettato e conquistato con due titoli.
Anzitutto, quello del Convegno: Un diverso modo di possedere. frase -voi lo sapete benissimo -
che risale a Carlo Cattaneo
1
e che mi sempre parsa assai illuminante, tanto che io, riesumandola,
l'ho adottata come intitolazione -tra virgolette, s'intende, perch non farina del mio sacco - di un
volume ormai risalente a venti anni fa
2
.
Un diverso modo di possedere, o, come dice Cattaneo con aggettivazione pi tagliente, un
altro modo di possedere. Qual il provocante significato che io colgo al di sotto del vecchio motto
cattaneano e oggi del titolo del nostro Convegno? proprio quello di sottolineare che, se vogliamo
capire fino in fondo questo rilevante autentiche propriet collettive in seno alla societ civile e allo

(*) il testo della relazione introduttiva al Convegno organizzato, nel novembre 1996, dal Centro Studi e documentazione sui
demani civici e le propriet collettive di Trento sul tema Un diverso modo di possedere, un diverso modo di gestire. Volutamente,
lascio a questo mio testo la struttura del linguaggio parlato e la sua conseguente impostazione colloquiale. Il lettore apprezzer i pregi
e compatir i difetti che conseguono ad una simile scelta. Sono aggiunte pochissime note, quelle essenziali per la comprensione.
1
Che la us in : Sulla bonificazione del piano di Magadino, a nome della societ promotrice. I rapporto, in Scritti economici, a cura
di A. Bertolino, Firenze, La nuova Italia, 1956, vol. III, pp. 187-188.
2
Un altro modo di possedere Lemersione di forme alternative di propriet alla coscienza giuridica post unitaria, Milano,
Giuffr, 1977.
Stato come cristallizzazione di questa? A ci dar in seguito una risposta, ma ho voluto accennarne
fin da ora per spiegare in qual senso ambe le intitolazioni proposte da Nervi avevano costituito per
me delle tentazioni irresistibili.
Anche il tessuto della mia relazione sar percorso da due fili conduttori che a quelle
intitolazioni si rifanno. Io vorr soprattutto rispondere (e non per la prima volta)
3
a due quesiti
allarmanti che esprimono due forti preoccupazioni: in primis, fino a che punto la propriet
collettiva, quella autentica, possa essere inglobata all'interno dell' apparato dello Stato italiano e
possa pertanto essere oggetto di leggi, cio di volizioni autoritarie, dello Stato (e vi anticipo sin
d'ora che io tremavo, qualche minuto fa, quando l'amico Galloni invocava interventi dei legislatori
regionali); secondariamente, di che cosa han bisogno da parte nostra le propriet collettive, che
chiedono ben poco, chiedono di esser comprese per quello che sono state e sono da tempo
immemorabile e chiedono pertanto comprensione, pluralismo culturale, per evitare di esser fraintese
o falsate come ormai siamo abituati a constatare. Dopo l'invito di Nervi mi sono rivisitato le
vecchie, nuove, novissime dottrina e giurisprudenza, nonch gli interventi legislativi regionali
(anche i pi recenti), e debbo confessarvi che riaffiorato in me senza attenuazioni quel senso di
sgomento che sempre mi ha preso di fronte a manifestazioni di intolleranza e di partigianeria.
L'amico Ugo Pompanin, gran regoliere ampezzano, mi ha cortesemente inviato il recentissimo testo
di un progetto normativo, della fine d'agosto, della Regione Veneto, testo dove -in diversi articoli -
toccabile con mano proprio il nodo dell'incomprensione e proprio in nuclei vitali dell' ordinamento
delle Regole quali sono l'inalienabilit e l'indivisibilit del patrimonio regoliero.
Incomprensione che , insieme, colposa e dolosa. Che intendo dire? Che talvolta una
incapacit che nasce dall'ignoranza, che spesso per 1'atteggiamento di chi non vuol comprendere,
di chi non vuol chinare il proprio sguardo verso le cose per rendersi conto delle peculiarit proprie a
queste antichissime strutture. E mi ritornato nell'orecchio un termine costantemente ricorrente
negli ultimi cento anni di riflessioni sulle propriet collettive, termine di conio ottocentesco ma
ripetuto in pieno Novecento, a met Novecento, appena ieri: anomalia. Le propriet collettive sono
delle anomalie. Col che si vuole indicare una realt che si distacca da un modello, un modello unico
ed unitario a cui tutto deve conformarsi. Una realt che non vi si conformi una irregolarit, una
diversit riprovevole, o, peggio ancora, un mostriciattolo.
Questo - doveroso ammetterlo - stato verso le propriet collettive l'atteggiamento di sempre -oggi
appena attenuato -da parte di studiosi, giudici, legislatori; ed stato un atteggiamento monista; si
ragionato unicamente in termini di monismo culturale: esiste un solo canale di cultura giuridica e in
base ai valori di quel canale -sicuramente maggioritario ma non esaustivo -si preteso di misurare
anche le propriet collettive. Aggiungo per prontamente: propriet collettive, che non
appartengono a quel canale ma ad un altro parallelo, originale e originario perch nasce assai prima
dello Stato italiano e delle sue illuministiche certezze, e che pretendono solo di essere misurate e
valutate secondo i valori tipici di quel canale.
Se noi non cominciamo ad ammettere l'elementare verit che non esiste soltanto una cultura
giuridica ufficiale e che non esiste, a livello di utilizzazione e gestione dei beni, soltanto il modello
della propriet individuale di indistruttibile stampo romanistico, ma che ben possono coesistere altre
culture giuridiche portatrici di modi alternativi nella concezione della appartenenza, se noi non
arriviamo a questa elementare ma indispensabile conclusione, ci precludiamo ogni possibilit di
capire il problema delle propriet collettive.

3
Una sintesi del mio pensiero pu essere rinvenuta nel saggio Assolutismo giuridico e propriet collettive, in riv. Dir. agr. 1991, I, p.
247 ss., (leggibile anche nella Raccolta: Il dominio e le cose percezioni medievali e moderne dei diritti reali, Milano, Giuffr, 1992)
dove sono contenuti riferimenti a miei precedenti contributi ed interventi
Vorrei rapidamente leggervi un testo che io lessi gi nel convegno di Viareggio
4
organizzato
da Franco Carletti tanto benemerito nel capo dei nostri studii. Ne autore un illustre civilista,
professore di diritto civile alla Universit di Bologna, Oreste Regnoli. Siamo negli anni 80 dello
scorso secolo. La frase tratta da una memoria forense che egli scrive come avvocato del Comune
di Medicina in una grossa controversia fra una partecipanza che, come ben sapete, una forma
emiliana di propriet collettiva - e, appunto, l'ente pubblico Comune. Scrive Regnoli, che gi prima
ha usato convintamente il termine e il concetto di anomalia: evidente la incompatibilit delle
partecipanze in genere col diritto pubblico vigente. La loro organizzazione non solo
perturbatrice dell' ordine giuridico, s anche economico, come quello che sottrae all'utile commercio
vasti territorii, mantenendo una specie di manomorta in onta ai pi elementari e pi certi principi di
pubblica economia, e di pi poi perturbatrice dell' ordine morale e della pubblica tranquillit
5
.
Ecco, amici, dove si pu arrivare quando si imbocchi la strada perversa della intolleranza culturale.
C' solo una attenuante per il povero Regnoli.
Egli vive ed opera nel momento immediatamente successivo alla fondazione del nuovo Regno
unitario italiano e alla redazione della prima grande codificazione unitaria del 1865. Il clima di un
acceso liberalismo di marca prettamente individualistica, e la propriet privata individuale istituto
dalla valenza squisitamente costituzio-nale, cardine di tutta la costruzione giuridica ma, prima
ancora, sociale e politica. Giuseppe Pisanelli, il consapevole codificatore del' 65, sintetizza con
efficacia un clima siffatto quando afferma che un istituto preme al legislatore e si stacca su tutti gli
altri del diritto civile, ed la propriet individuale pensata e costruita come colonna portante di tutta
la codificazione, intorno a cui le norme debbon ruotare e in cui debbono legittimarsi
6
.
Insomma, l'attenuante per Regnoli di scrivere in un momento in cui questo istituto non uno dei
tanti del vivere associato, ma ha carattere costituzionale, intimamente legato all' ordine
pubblico dello Stato, ed un modello non discutibile perch rilevante per tutto l'edificio
pubblicistico dello Stato; con la conseguenza che porre in dubbio il modello unitario, il modello
monistico di propriet, significa incrinare la solidit stessa dell' ordine pubblico giacch ne incrina
la struttura pi reggente. In altre parole, in nome dell'ideologia portante dello Stato italiano che si
deve espungere la realt -ma anche l'idea -di propriet collettiva, poich questa relativizza e
diversifica un modello che deve restare unico a fondazione dell' ordine sociale. Abbiamo qui la
riprova di una verit di cui son convinto da parecchio tempo: che l'et del pi acceso liberalismo
economico anche quella del pi acceso e del pi bieco assolutismo giuridico, intendendo con una
simile nozione il monopolio del diritto operato dallo Stato e la riduzione dei precedenti diversi
canali culturali a una sola cultura giuridica, in base ai cui valori si d validit a tutti gli istituti, ma
anche si condanna alla irrilevanza e alla illiceit quanto risulta esorbitare dai suoi schemi rigidi
7
.
Concediamo, dunque, a Regnoli, per i motivi ora esposti, una corposa attenuante. E per
gravissimo che per buona parte del Novecento noi si constati medesimi atteggiamenti e medesimi
risul-tati, cio atteggiamenti e risultati di assoluta incomprensione. La tradizione giuridica ufficiale
resta unitaria, e unitario resta il modello con cui misurare la realt.

4
Mi riferisco al Convegno organizzato da Franco Carletti e tenutosi in Viareggio nei giorni 5-7 aprile 1991, su Demani civici,
principii, disciplina, pertinenze.
5
O. Regnoli, Sullo scioglimento delle partecipanze, memoria per il Municipio di Medicina ai Ministri di Grazia e Giustizia e
dellInterno, Bologna, Tip.Compositori, 1881, rist. in Scritti editi ed inediti di diritto civile, Bologna, Zanichelli, 1900, pag. 353
6
Vedi la citazione in A. Acquarone, Lunificazione legislativa e i codici del 1865, Milano, Giuffr, 1960, p.37
7
Per rendersi conto di cosa io intenda per assolutismo giuridico, cfr. P.Grossi, Assolutismo giuridico e diritto privato nel secolo XIX,
in Riv. di storia del diritto italiano, LXIV (1991), p. 5 ss.
Ecco perch a me sempre parsa notevole, sotto questo profilo, l'opera di Giangastone Bolla, n
credo di essere influenzato da una familiarit che con lui ho avuto grandissima. Se si contempla
l'interezza del personaggio Bolla, sono tanti, ohim, i difetti che emergono. Per esempio, gli
mancava il possesso di una buona tecnica civilistica e sono convinto che Giovanni Ferri lo avrebbe
riprovato all'esame di diritto civile. Era, tuttavia, uomo dotato di sicure e provvide intuizioni, in
grazia delle quali riusciva a vedere molto pi in l della punta del suo naso. Aveva percezione
precisa dellinadeguatezza per il giurista di uno sguardo confinato al solo presente e vigente e,
conseguentemente, della necessit per il giurista, anche per il cultore di un diritto positivo, di
guardare sempre alla linea storica, non ai singoli punti atomistici che la compotnono e che - presi
uno per uno la frammentano, bens allo svolgersi continuo di essa, al passato che germina il
presente e lo scavalca e procede spedito verso il futuro (8)
8
.
La singolarit di Bolla, nella riflessione sui nostri problemi, di avere compreso linutilit anzi, la
fallacia di voler misurare le propriet collettive con un metro statuale, cio fornito dalla cultura
ufficiale dello Stato italiano, cultura intessuta delle certezze tecniche del diritto romano.
Per Bolla le propriet collettive appartengono a un altro filone culturale, un filone che nato prima
della fioritura romanistica e che gli corre parallelo: per capirle, non c' che da immetterci e
immergerci in questo filone, e cominciare dall'individuare quali diversi valori circolino in esso e lo
indirizzino. Solo cos ci si potr rendere conto di che cosa sono state e sono nella effettivit storica.
Perci Bolla ha una gamma enorme di letture; legge di storia, di archeologia, di agronomia, di
glottologia. Egli vuole percepire la tipicit di questo diverso canale, lo vuole collocare storicamente,
studiarne le origini, seguirne il percorso storico. Galloni, prima, citava Il diritto dei privati, ossia
il saggio risalente al 1929 di un notevole filosofo italiano del diritto, Cesarini Sforza
9
, ed facile
rilevare che questo saggio provocante aveva attratto la attenzione di Bolla, che lo cita ripetutamente
utilizzandone la ardita costruzione teoretica.
Non si tratta di improvvisazioni. Aprite tutti i suoi contributi e vi troverete costantemente un
personaggio dedito alle letture pi svariate e dominato da una sincera curiosit culturale; si trattava
per di curiosit benefica perch, grazie agli strumenti delle comparazioni verticale e orizzontale,
dell'analisi etno-sociologica, degli scavi linguistici, gli ha permesso di coronare il traguardo che
tanto raramente si conseguito, e cio il miracolo della comprensione. Se questo miracolo non
avvenuto in passato, stenta ad avvenire oggi e stenter sicuramente anche domani, ci imputabile
al generale angolo d'osservazione che si assunto e che si continua ad assumere e che
profondamente viziato, metodologicamente viziato. Si parte infatti da una unit di misura fissa e
rigida e, per di pi, la si desume da una civilt che estranea se non antitetica all' alveo culturale
delle propriet collettive.
Faccio due esempii probanti.
Riprendo un accenno di Galloni sulla distinzione fra diritto pubblico e diritto privato. Ebbene, se v'
uno schema culturale che non si adatta alle propriet collettive, a quelle autentiche - fra un

8
Per il lettore di questi atti pu bastare il disegno che della figura di Bolla ho ritenuto di tracciare nella mia ricostruzione storica
degli studii giuridici nella Firenze dopo lUnit (cfr. P.Grossi, Stile fiorentino Gli studii giuridici nella Firenze italiana, 1859
1950, Milano, Giuffr, 1986, pag. 216 ss.)
9
W. Cesarini Sforza, Il diritto dei privati,(1929), Milano, Giuffr 1963

momento preciser che cosa io intenda con questa reiterata qualificazione - , per l'appunto, la
tralatizia dicotomia che facciamo risalire a una ferma partizione di Ulpiano. E se n'era accorto con
lucidit un cultore provveduto del diritto pubblico statuale ma eccellente conoscitore dei nostri temi,
Oreste Ranelletti, quando respingeva lo schema dicotomico constatando nelle nostre istituzioni
l'osmosi assoluta fra pubblico e privato
10
. Con la conclusione che sterile ed assurdo domandarsi se
esse appartengano all'una o all'altra dimensione. Esse si propongono piuttosto come un tertium
genus dove le due dimensioni si mescolano in modo indistricabile.
Riprendo un altro accenno di Galloni, che ci parlava di risalenti testi legislativi che incasellano certe
propriet collettive nella veste tecnica di persone giuridiche di diritto pubblico. N fuor d'opera
ricordare che lo stesso Bolla, combattendo da avvocato la sua battaglia giudiziale e dovendo fare i
conti con la mentalit di Commissarii per gli usi civici inamovibili dalle schematizzazioni del diritto
ufficiale dello Stato italiano, ritenne opportuno - malgrado tutte le sue personali convinzioni - di
imboccare la strada al cui fondo c'era la meno dannosa qualificazione di persona giuridica di diritto
privato. Quel che per si deve urlare sui tetti che, non di separazione, con un continuo flusso
vitale - quasi un rapporto organico - tra persone fisiche ed entit autonome di gestione del
patrimonio comune. La Gesammtheit -vorrei evitare di parlare di condominium iuris germanici,
perch un riferimento greve di fraintendimenti - la propriet a mani riunite, che germanica ma
non soltanto germanica e che rappresenta semplice cumulo di valori giuridici diversi se non opposti
a quelli del condominio romano, questa Gesammtheit rifiuta l'irrigidimento della persona giuridica e
ritiene pi congeniale una nozione di autonomia patrimoniale che non rlega socii e associazione in
due mondi giuridici reciprocamente alieni.
Sono - quelli or ora fatti - due buoni esempii di quanto fuorviante sia continuare a misurare e
valutare le propriet collettive con il solo metro della cultura giuridica ufficiale, cio della cultura
prevalente e portante nello Stato italiano e che alla miopia dei nostri occhi sembra la unica. E, visto
che siamo a parlar degli occhiali deformanti offerti da un osservatorio statuale e in base a un ideario
di marca statuale, aggiungiamo che si deve a quell' osservatorio e a quell'ideario se noi continuiamo
a parlare genericamente di propriet collettive, quasi che si trattasse di una realt giuridica identica
per tutto il territorio nazionale dalle Alpi alla Sicilia; anche ci altamente fuorviante. Noi
abbiamo, infatti, ancora alle spalle ohim, assai greve sulle nostre spalle - la sciagurata legge
ordinatrice e livellatrice del 1927, la legge sugli usi civici. San parecchi, a mio avviso, i guasti che
ha fatto quella legge, guasti che sono ancora segnati sulla nostra pelle.
Il primo guasto che si fatto d'ogni erba un fascio. Si messo sullo stesso piano l'uso civico del
comune di Monte Sant'Angelo, in Puglia, e la Magnifica Comunit di Fiemme, o le Regole
Ampezzane. Primo errore rilevante e pregiudizio metodologico grave, perch un simile
accomunamento esiste solo nella mente del legislatore, trattandosi nella effettivit di due universi
storici e giuridici vistosamente distanziati.
Secondo guasto. Il modello assunto dal legislatore a sua piattaforma stato un modello meridionale.
Non v'ha dubbio che stata la grande (e, per tanti versi, anche ammirevole) legislazione eversiva e
liquidativa meridionale a fornire il modello determinante al legi-slatore del 1927.

10
O. Ranelletti, Concetto, natura e limiti del demanio pubblico Teoria, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, XXV, (1898),
pag. 224
Terzo guasto. Il modello assunto stato di indole prettamente pubblicistica, come enunci
chiaramente 1'on. Acerbo nella sua relazione
11
.
Si , insomma, livellato quanto non era livellabile, immiserendo in una visione appiattita quanto
aveva, al contrario, bisogno di essere valorizzato non soltanto nelle sue sfaccettature ma soprattutto
nelle sue essenziali differenziazioni se non opposizioni. L'uso civico del comune di Monte
Sant'Angelo -continuo nella mia esemplificazione, che ha un semplice carattere di occasionalit -
pu correttamente esser ritenuto un diritto reale su cosa altrui o, per usare la decrepita terminologia
ottocentesca della legislazione unitaria per gli Stati Pontificii, una servit di pascere, seminare,
legnare, cio una realt modesta sotto tutti i punti di vista. Altra cosa sono le autentiche propriet
collettive: le Regole Ampezzane o del Comlico, la Magnifica Comunit di Fiemme, la Magnifica
Comunit di Cadore, e cosi via, soprattutto condensate -ma non esclusivamente -in questo arco
alpino orientale.
Che cosa diversifica queste vere propriet collettive dal rispettabilissimo uso civico del comune di
Monte Sant' Angelo? Un complesso enorme di valori. V' fra le due situazioni un salto abissale di
qualit. L abbiamo un espediente che si colloca su un piano strettamente economico-giuridico: si
vuol consentire a una celta comunit di poter utilizzare - tralasciamo se a titolo alimentare o meno -
certi beni, di essere titolare di diritti reali limitati su certi beni. Con le autentiche propriet collettive
io mi trovo di fronte a tutto un assetto peculiarissimo della vita sociale, che rispecchia, a sua volta,
tutta una peculiarissima concezione della vita associata e delle relazioni fra terra, comunit, singoli
operatori. Ho, insomma, qui una compenetrazione fra terra e sangue come non trovo in nessuna
altra istituzione del vivere associato. Ecco il significato della mia cura nel distinguere le
autentiche propriet collettive da forme parziali e ridotte e ridottissime di collettivismo fondiario.
La vera propriet collettiva un ordinamento giuridico primario. Uso di proposito questa
categorizzazione impegnativa. un ordinamento giuridico primario, perch qui si ha una comunit
che vive certi valori e li osserva, valori ad essa peculiari, gelosamente conservati lungo linee
generazionali dalla durata almeno plurisecolare, valori meritevoli del nostro rispetto e della nostra
comprensione.
L'uso civico di Monte Sant' Angelo per certo una realt rispettabile, ma costituisce semplicemente
uno dei tanti istituti del vivere associato, che non pu essere n enfatizzato n ingigantito . Qui,
nelle propriet collettive di queste montagne alpine, ho invece tutta una esperienza di vita associata,
tutto un costume giuridico, con peculiarit proprie; sono di fronte a qualcosa che vive ed opera al di
l dello Stato italiano, ben al di dentro della societ civile italiana ma probabilmente assai pi in
profondo rispetto alla corteccia dell' apparato statuale italiano, come la storia del diritto - storia di
tempi lunghi -segnala con lampante evidenza.
Ho pi sopra citato Giangastone Bolla e ho accennato ai meriti che ascrivo a questo cultore del
diritto agrario: meriti di rapide e feconde intuizioni; ma soprattutto il merito di una intuizione
fondamentale, preliminare: guai se chi studia le autentiche propriet collettive non sorretto da un
sincero pluralismo culturale, guai se lo studioso non riesce a porsi sul loro piano, se non entra nelle
loro costumanze, nel loro altro diritto, nel loro altro modo di possedere.

11
Cos nella dettagliata relazione alla Camera del Deputato Giacomo Acerbo, colui che sarebbe diventato di l a poco Ministro per
lAgricoltura e le Foreste (cfr. Le leggi, a. 1927, pp. 1068 1069)
La prima grande controversia giudiziaria, con cui si apre il secondo dopoguerra, quella tra le Regole
Ampezzane e il Comune di Cortina, e che viene decisa dal Commissario per gli usi civici Giovanni
Raffaglio nel 1947 , ci appare proprio come il teatro di un conflitto fra il pluralismo culturale dell'
avvocato delle Regole (che Bolla) e il monismo culturale del Commissario
12
(12).
Bolla, nelle sue comparse conclusionali (chiamiamole pure cos), aveva scialato in riferimenti
culturali, soprattutto di carattere storico, avendo capito, nel suo sapere intuitivo, che unicamente sul
piano della storia il segreto delle propriet collettive si sarebbe pienamente disvelato.
interessante, eloquentissima, la risposta che il commissario Raffaglio, giudice senza dubbio
formalmente assai competente ma saldamente ancorato alla cultura ufficiale, d all' apparato storico
etnologico e linguistico del patrono delle Regole: Sapiente, illuminato di matura saggezza il
precetto e l'insegnamento che dall'intimit della storia si deve trarre luce e guida per la costruzione
del sistema del diritto vigente. Ma tale precetto deve ritenersi rivolto pi agli studiosi ed ai
legislatori che ai giudici, cui dato soltanto, con l'interpretazione analogica e ricorrendo ai principi
generali dell' ordinamento giuridico dello Stato, supplire nei casi dubbi a norme incomplete (art. 12
delle pre-leggi al codice civile>; pertanto il caso in esame deve essere deciso alla stregua solo
delle leggi esistenti ed applicando queste; <da storia varr a meglio rilevare la ntura di queste
istituzioni, seguirne la loro evoluzione per ricondurle e inquadrarle nel sistema giuridico vigente
13
.
Dunque, una povera storia ancillare, strumentale, che non messa in grado di dire nulla di suo,
perch il risultato gi predeterminato. La qualificazione di cui dobbiamo rivestire le propriet
collettive gi prefabbricata, n ha rilievo la reale consistenza socio-economico-giuridica di questo
fenomeno, n si sente il bisogno di verificare la idoneit della veste giuridica assegnata alla effettiva
entit del fenomeno. Il modello c', onnivalente, e va applicato. Ricorrere alla storia consentito,
ma varr come portar vasi a Samo: dovr soltanto fornire qualche ulteriore argomento per
conseguire un risultato che non pu essere diverso. Una povera storia dalle mani legate e dagli
occhi bendati, questa cui fa riferimento il giudice Raffaglio.
Che costui sia rinserrato nel pi chiuso e asfittico positivismo lo dimostra il suo porsi allombra
protettiva ma condizionante di quellart. 12 delle preleggi ancora oggi sciaguratamente vigente,
almeno su un piano formale. Perch quellicastico avverbio sciaguratamente? Perch se c una
norma fascista rimasta intatta nel nostro ordinamento, proprio quella. Ed un pessimo segno che,
tra tanti giuristi italiani impegnati nella ricerca, individuazione, espunzione di norme legate al
regime autoritario, non ve ne sia stato uno solo che abbia reclamato la revisione dellart. 12: il quale
invece un articolo specularissimo allautoritarismo vigente nel momento in cui fu redatto,
costituendo un enorme passo indietro rispetto al vecchio art. 3 delle preleggi del codice civile del
1865 avente ad oggetto un identico problema.
Sia lart. 12 sia lart. 3 come ben sa ogni giurista e vi accenno unicamente per la presenza
numerosa in questa sala di non giuristi sono dedicati al problema grave delle cosiddette lacune
dellordinamento positivo; le quali ovviamente nella pratica del diritto vanno colmante grazie
allintervento del giudice come interprete applicatore della norma. Ma quali strumenti si offrono in

12
Sul dibattito fra Bolla e Raffaglio cfr. quanto ebbi gi occasione di rilevare in Assolutismo giuridico e propriet collettive, cit.,
pag. 258 ss.
13
Vedi il testo della sentenza nella utilissima raccolta: Comunioni familiari montane Testi legislativi, sentenze, studi e bibliografia,
a cura di E. Romagnoli, C. Trebeschi, Brescia, Paideia, 1975, pp. 231-232
un ordinamento di stretta legalit a questo povero personaggio cui si consente di muoversi solo con
le catene ai piedi? L'art. 3 delle vecchie preleggi prevedeva tutta una serie di rimedii e, infine,
extrema ratio, il ricorso ai principii generali di diritto, espressione vaga e vasta che ha permesso alla
civilistica, sotto l'impero del codice del 1865, di individuare aperture e realizzare valvole
respiratorie. L'art. 12 parla invece soltanto dei principi generali dell'ordinamento giuridico dello
Stato. In pratica, il giudice trova un limite ferreo proprio nel diritto ufficiale vigente. Ed un
enorme passo indietro, perch si perviene alla nefasta identificazione fra diritto e Stato.
Cari amici, nel 1918 un grand'uomo scrisse L'ordinamento giuridico, un libriccino tenue di
pagine ma formidabile per il contenuto: fu una sonora voce pluralistica. Santi Romano ci indic che
il diritto - prima ancora che al politico e al suo apparato di potere -era legato al sociale: ubi societas,
ibi ius. Dovunque! Dovunque v' un complesso di persone che si associano, l -a determinate
condizioni -pu esservi diritto. La scienza non ha mancato di sviluppare la elementare ma preziosa
indicazione: Cesarini Sforza ha parlato del diritto dei privati e Salvatore Romano, portando alle
estreme conseguenze il pensiero del padre, ha parlato di ordinamenti giuridici privati
14
.
Ma una domanda si impone: che cosa restato veramente di questi vigorosi e coraggiosi segnali
pluralistici nella psicologia collettiva dei giuristi? Son restate delle adesioni formali, delle semplici
esercitazioni salivari. Nella sostanza, se non nulla, restato troppo poco: il giurista italiano, nella
sua psicologia pi profonda, forse a causa del bisecolare plagio illuministico, uno statalista
convinto. Il diritto, quello vero, -per lui -legato all'apparato autoritativo dello Stato; il resto uno
pseudo-diritto, o un diritto di ordine inferiore.
Il liberatorio principio della pluralit degli ordinamenti giuridici trova formalmente ospitalit nelle
pagine di ogni giurista, che si ritiene in dovere di menzionarlo almeno una volta per guadagnarsi
una patente di nobilt, ma non cala mai nellnell'intimo dell'animo suo. E infatti non mi risulta che
ci sia stato un solo giurista italiano turbato da un sentimento di disagio per la permanenza intatta
dell' art. 12 fino ad oggi; una permanenza indiscussa, Per un mio contributo in memoria di un
giuspubblicista tedesco da poco scomparso, Roman Schnur, ho fatto una rapida ricerca in tutti i
lavori italiani pi recenti in tema di fonti e ho potuto constatare una generale elusione del
problema
15
. Non lo si vede, o, se lo si vede, lo si elude puntigliosamente,
Torniamo a Raffaglio e all'uso dell'art, 12 come argomento atto a troncare ogni discussione. Con
quell' articolo egli si precostituito una copertura inoppugnabile: il suo orizzonte di giudice viene
ad avere degli argini altissimi oltre i quali non consentito il suo sguardo; quegli argini sono il
diritto vigente, il diritto statuale vigente, i principii generali dell' ordinamento dello Stato.
proprio partendo da questa chiusura ottusa, in nome della quale il commissario Raffaglio respinse
le ipotesi fantasiose di Bolla, che io vorrei ribadire, in quest'anno di grazia 1996, una proposta
precisa: cominciamo a percepire il giuridico in una dimensione pi ampia e anche pi complessa. Il
giuridico, in Italia, e non pu non essere strettamente connesso alla societ civile italiana; ne ,
anzi, una sua espressione fedele. Dobbiamo per cominciare a renderci conto che, nel territorio

14
Salvatore Romano, Ordinamenti giuridici privati, (1955), ora in Scritti minori, Milano, Giuffr, 1980, t. I., p. 449 ss.
15
Si veda la traduzione italiana del saggio: Un diritto senza Stato (la nozione di autonomia come fondamento della Costituzione
giuridica medievale), in Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 25 (1996)
della Repubblica, la dimensione giuridica non coincide affatto con il prodotto giuridico dello Stato
italiano.
Noi abbiamo, nella penisola, un unico Stato italiano, Stato unitario in cui fermamente crediamo. Ne
parliamo a bizzeffe in questi ultimi anni, ed io non appartengo certo a coloro che lo vogliono
discutere o addirittura frammentare. Ci non toglie che, all'interno della proiezione territoriale dello
Stato, noi dobbiamo essere disponibili a sorprendere una societ civile impegnata a produrre
pluralisticamente diritto. Esiste una sola struttura politica ma possono esistere, accanto al diritto
prodotto da questa struttura, altri ordinamenti giuridici primarii, considerato che il diritto non fa
capo a quella struttura ma a qualcosa di pi complesso che la societ che variamente si organizza.
Tra questi produttori di diritto, che non possono essere sottoposti al capestro di una legge regionale
come un campo di grano al taglio della falce, sono da collocare a pieno titolo le autentiche propriet
collettive.
Lo strumento legge -sia la legge regionale, sia quella statale-, strumento autoritario che piove
dall'alto e da lontano sulle nostre appartate comunit, rischioso quando pretende di regolare con
pesanti intromissioni un tema cos delicato come il peculiare modo di vivere dei montanari, un
assetto di vita originario e originale, primordiale, che ha le sue remote scaturigini nella tradizione e
nel costume. Qui non abbiamo solo una certa forma di appartenenza dei beni; qui il problema della
appartenenza si mescolato e indissolubilmente fuso con un costume di vita; qui la terra si
combinata col sangue in una aggregazione che concerne ormai le radici pi profonde della vita,
tanto che si pu correttamente qualificare queste strutture come propriet collettive o dominii
collettivi a condizione che si abbia sempre in vista la comunit che vive ed opera ed in cui il
problema grave della appartenenza, gestione del patrimonio si colloca e si giustifica. Qui abbiamo
tutto un costume giuridico da rispettare, ma, prima ancora, da capire. Nulla pi. Meno leggi si fanno
in proposito da parte dello Stato e delle Regioni, e maggiormente riusciremo a preselvare per il
futuro un complesso di valori che non costituito da questo o quell'istituto giuridico ma da un
ethos, da un costume appunto, che miracoloso nella nostra civilt moderna.
Non sarebbe il caso, amici costituzionalisti, di applicare sul serio i primi articoli della Costituzione
repubblicana? Soprattutto quell'articolo primo, dove si parla di sovranit popolare, un tema su cui
fino ad oggi si sono avute troppe esercitazioni retoriche? Il diritto legato alla sovranit popolare
perch legato alla societ rappresentata storicamente dal popolo. Il diritto cio un insieme di
valori che attinge anche al di sotto dello Stato. Non un discorso' anarcoide, che tenda a ledere la
coesione dell'apparato dello Stato; piuttosto un discorso che tende a far riavere al giuridico tutta la
sua autonomia e, pertanto, tutta la sua vitalit.
Sar lunico modo per evitare che ci siano, allinterno della societ civile, ordinamenti incompresi
o, peggio, ancora, conculcati: giacch la storia delle propriet collettive durante la matura et
moderna mi appare come una sequela incredibile di conculcazioni. In Italia, da centocinquanta anni,
esse sono sempre state delle vere vittime di Stato, Regioni ed Enti pubblici territoriali. Noi
possiamo far qualcosa di qualitativamente diverso e sarebbe ora solo operando un salutare
lavacro interiore, quel lavacro culturale consistente nellacquisire una visione genuinamente
pluralistica, la sola che ci possa consentire di metter finalmente a fuoco questi straordinarii prodotti
storici viventi in mezzo a noi

Potrebbero piacerti anche