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ACTA PHILOSOPHICA, vol. 5 (1996), fasc. 2 - PAGG.

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Il singolo kierkegaardiano: una sintesi in divenire


MARIANO FAZIO*
Sommario: 1. La categoria: il singolo. 1.1. Il singolo come categoria dialettica anti-hegeliana. 1.2. Il singolo come sintesi. 1.3. La fondazione trascendente della libert. 1.4. Il singolo pi alto del genere. 2. Diventare il singolo: gli stadi esistenziali. 2.1. Lo stadio estetico di esistenza. 2.2. Il pas saggio dalla vita estetica alla vita etica. 2.3. La teleologia intrinseca del singolo. 2.4. I doveri dellesistenza etica. 2.5. La sospensione teleologica delletica.

1. La categoria: il singolo
Il singolo viene presentato dallo stesso Kierkegaard come la mia categoria1. Sta di fatto che si pu intendere lintera produzione kierkegaardiana come un pensare soggettivamente il singolo. Pensiero etico carico di conseguenze pratiche, giacch il danese non pretendeva fondare una scuola filosofica ma soltanto rendere attenti, svegliare le coscienze. 1.1. Il singolo come categoria dialettica anti-hegeliana La categoria del Singolo, presentata sotto diverse ottiche lungo le opere pseudonime e la comunicazione diretta, ha un grande significato dialettico. Kierkegaard si trova in un ambiente intellettuale pervaso dallidealismo: il Sistema cos si riferir sempre alla costruzione filosofica hegeliana annienta lindividuo, perch esso viene capito come momento dellInfinito, come semplice modo impiegando una terminologia spinoziana dellAssoluto. Il sistema onnicomprensivo non lascia spazio alla libert: il sistema ridurr la libert a consapevolezza della necessit. La m e d i a z i o n e tra gli opposti, operata dalla dialettica hegeliana, sar la vita dellAssoluto, il processo necessario del suo divenire. Una mediazione dunque necessaria e non libera, dove le libere scelte individuali sono solo momenti dellautoma*

Facolt di Filosofia del Pontificio Ateneo della Santa Croce, Piazza di SantApollinare 49, 00186 Roma S. K IERKEGAARD, Il punto di vista della mia attivit letteraria , in C. F ABRO (a cura di), Kierkegaard. Scritti sulla comunicazione, Logos, Roma 1979, I, p. 131.

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nifestazione della vita assoluta dellAssoluto. Assoluto che si identifica col mondo e con la storia universale. In questo contesto si capisce bene laffermazione chiara e tonda di Kierkegaard: ogni confusione dei tempi moderni consiste nellaver dimenticato la differenza assoluta, la differenza qualitativa tra Dio e il mondo. Questa dialetticit della categoria del singolo appare netta quando Kierkegaard distingue la sfera della riflessione dal mondo della libert. In una parte di Aut-Aut, intitolata Lequilibrio tra lestetica e letica nellelaborazione della personalit, un suo pseudonimo, denominato B, considera che le teste filosofiche i filosofi hegeliani giocano con le forze titaniche del passato, mediano togliendo il principio di non contraddizione per stabilire una superiore unit. Per essi non possono dire a un uomo semplice che cosa quegli ha da fare qui nella vita2. Per il danese, il problema che si pone di fronte al sistema che, avendo stabilito una mediazione assoluta tra gli opposti nelle sintesi superatrici, non resta spazio per la libera scelta. Questa problematicit della libert si fonda sul fatto che si scambiano due sfere luna con laltra, quella del pensare e quella della libert3. La filosofia intesa in senso hegeliano4 ha a che fare con le sfere proprie del pensiero, dove regna la necessit: sono la logica, la natura, e in certo qual modo la storia universale, poich la storia infatti pi che un prodotto delle libere azioni di liberi individui. Lindividuo agisce, ma tale azione rientra in quellordine delle cose che sostiene lintera esistenza. Ci che ne verr fuori lagente propriamente non sa. Ma questo superiore ordine delle cose che, per cos dire, digerisce le libere azioni e le combina nelle sue eterne leggi la necessit, e questa necessit il movimento della storia del mondo5. Ma il luogo dove la filosofia sistematica il pensiero astratto, la speculazione non ha accesso latto interiore degli uomini, che lautentica vita della libert. Nellintimo della persona non si trova mediazione alcuna: Latto interiore, allincontro, gli appartiene tutto, e per tutta leternit gli deve come tale appartenere, e la storia, cio la storia del mondo, non glielo porter via, esso lo seguir a motivo di gaudio e desolazione6. Se il filosofo sistematico spiega tutto tramite la mediazione dialettica, senza tener conto della libert dellatto interiore, egli vincer tutto il mondo, e perder se stesso; questo non pu in nessun caso succedere a colui che vive per la libert, anche se perdesse moltissimo7. La riflessione pura non arriver mai al mondo della libert. Nella Postilla conclu siva non scientifica alle Briciole di Filosofia , Kierkegaard tenta di demolire lidentificazione idealista tra pensiero ed essere. Secondo il nostro filosofo la specu2 3 4

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S. K IERKEGAARD, Aut-Aut, Adelphi, Milano 1989, vol. V, p. 38 (Leditore italiano ha preferito intitolare lopera come loriginale danese: Enten-Eller). Aut-Aut, V, p. 41. Una delle critiche che L. Pareyson rivolge a Kierkegaard lidentificazione tout court tra hegelismo e filosofia, il che presenta il sistema hegeliano come unico punto di riferimento dellambito filosofico. Identificazione che d forza alla critica del sistema, ma che impedisce di gettare nuove fondamenta alla filosofia stessa. Cfr. L. P A R E Y S O N , Esistenza e Persona, Il melangolo, Genova 1985, pp. 80-113; F. RUSSO, Esistenza e libert. Il pensiero di Luigi Pareyson, Armando, Roma 1993, pp. 59-60. Aut-Aut, V, p. 41. Aut-Aut, V, p. 43. Aut-Aut, V, p. 44.

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lazione cerca di raggiungere la realt dallinterno del pensiero affermando che il pensiero non solamente in grado di pensare, ma di conferire realt 8 . Per Kierkegaard invece lesistente non si lascia pensare. Intende qui per esistere lesistenza etica del singolo: Esistere (nel senso di essere questuomo singolo) senza dubbio una imperfezione in confronto con la vita eterna dellidea, ma una perfezione rispetto al non essere affatto. Una simile condizione intermedia pressa poco lesistere, qualcosa che conviene a una natura intermedia quale luomo 9 . Kierkegaard ammette la possibilit di un sistema logico, ma nega assolutamente la possibilit di un sistema dellesistenza10. Lessere uomo singolo, perci, non una esistenza ideale. Rifacendosi esplicitamente alla tradizione aristotelica, Kierkegaard afferma che lesistenza sempre la realt singola, lastratto non esiste11. Il pensiero astratto del sistema un pensiero senza soggetto pensante. Esso fa astrazione da ogni altra cosa fuori del pensiero, e il pensiero non conosce altro medio che se stesso. Kierkegaard accusa Hegel di gnosticismo e di fantasticheria, poich solo fantasticamente un esistente pu essere sub specie aeterni12. La Logica di Hegel dovrebbe chiamarsi I movimenti propri del pen siero puro . Per passare dal pensiero allesistenza quasi un delitto. Comicamente Kierkegaard commenta che lopera hegeliana dovrebbe essere stata scritta senza prefazione, senza note e senza polemiche con altri autori: Polemizzare in unopera di quel genere nelle note contro questo o quellautore indicati per nome, comunicare cenni indicativi del cammino: che vuol dire tutto questo? Vuol dire chesiste un pensante, il quale pensa il pensiero puro, un pensante il quale parla con i movimenti propri del pensiero, e certamente parla a un altro pensante col quale quindi vuol entrare in relazione. Ma segli un pensante che pensa il pensiero puro, ecco che nello stesso momento tutta la dialettica greca simpossessa della sua persona con laiuto della polizia di sicurezza della dialettica dellesistenza, e riesce a inchiodarlo al suolo trattenendolo per labito, non in qualit di seguace, ma per riuscir a sapere comegli fa a rapportarsi al pensiero puro; e nello stesso momento lincanto sar svanito13. Il problema personale del filosofo sistematico che egli riesce a costruire un magnifico palazzo, ma non vi trova posto per la sua esistenza finita. In un testo del Diario del 1846, scriveva cos: Succede della maggioranza dei filosofi sistematici, riguardo ai loro sistemi, come di chi costruisse un castello e poi se ne andasse a vivere in un fienile: per conto loro essi non vivono in quellenorme costruzione sistematica. Ma nel campo dello spirito ci costituisce unobiezione capitale. Qui i pensieri, i pensieri di un uomo, devono essere labitazione in cui egli vive, ecc.: altrimenti sono guai14.
S. K IERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di Filosofia, in S. KIERKEGAARD, Opere, Sansoni, Firenze 1972, p. 433. 9 Ibidem, p. 440. 10 Sui rapporti tra filosofia idealistica e pensiero kierkegaardiano, cfr. C. F ABRO, Kierkegaard e la dissoluzione idealistica della libert, in C. FABRO, Riflessioni sulla libert, Maggioli, Rimini 1983, pp. 181-200. 11 Postilla conclusiva ..., cit., p. 440. 12 Ibidem, p. 339. 13 Ibidem, p. 442. 14 S. K IERKEGAARD , VII 1 A 82 (Si utilizzata la traduzione italiana del Diario, a cura di Cornelio Fabro, Morcelliana, Brescia 1980). Cfr. anche E. C OLOMER , El pensamiento alemn de Kant a Heidegger, Herder, Barcelona 1986, III, p. 43.
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Kierkegaard affermer categoricamente in polemica con il sistema mancante di una etica che lunica realt la realt etica del soggetto: La propria realt etica deve aver pi significato etico per lindividuo che non il cielo e la terra e tutto ci che vi si contiene, pi che non i 6.000 anni della storia universale e lastrologia, la scienza veterinaria, compreso anche tutto ci che lepoca esige [...] Se cos non fosse, sarebbe peggio per lindividuo, perch egli allora non ha niente assolutamente, non ha nessuna realt; giacch, rispetto a tutto il resto, egli non ha precisamente come massimo obiettivo che un rapporto di possibilit15. Kierkegaard intende qui per possibilit quella della logica astratta (la mancanza di contraddizione fra i concetti): in questo contesto luomo sarebbe una realt pensata. Se il pensare potesse dare la realt nel senso di realt, e non una realt di pensiero nel senso di possibilit, bisognerebbe anche che il pensare potesse prendere esistenza, sottraendo allesistenza lunica realt alla quale esso si rapporta come realt, la sua propria [...]: cio, lesistente dovrebbe col pensiero sopprimere se stesso nel senso della realt, cos da cessare anche di esistere. Oso pensare che nessuno vorr accettare questa supposizione, che viceversa tradirebbe altrettanta fede superstiziosa nel puro pensiero come quella battuta di un pazzoide (che si legge in un poeta), che voleva scendere nel Dovre-Fjell16 e far saltare in aria con un sillogismo tutto il mondo. Si pu essere distratti o si pu diventare distratti per il continuo commercio con il pensiero puro; ma questa non una cosa che possa riuscire, anzi fallisce completamente [...] Io posso astrarre da me stesso, ma il fatto chio faccio astrazione da me stesso significa precisamente che nello stesso tempo io esisto17. Il singolo, perci, non appartiene al mondo della necessit logica, natura, storia universale ma a quello etico della libert. Il pensiero puro, il sistema astratto distrae luomo dallunico interesse serio: quello del suo esistere etico. 1.2. Il singolo come sintesi Ma cos il singolo secondo Kierkegaard? Il filosofo danese concepisce luomo come un essere dialettico18. Luomo non uno sin dallinizio: un composto di elementi, e perci singolo si deve diventare, ponendo la sintesi che d lunit ai diversi elementi. Luomo come sintesi il prodotto di una scelta; la sintesi si raggiunge quando luomo ha scelto se stesso liberamente, ma si scelto come fondato sullAssoluto, come libero e allo stesso tempo come dipendente dalla Potenza Divina: Mettendosi in rapporto con se stesso, volendo essere se stesso, egli si fonda in trasparenza nella potenza che lha posto19.
15 Postilla conclusiva ..., cit., p. 447. 16 Catena rocciosa della Norvegia centrale. 17 Postilla conclusiva ..., cit., p. 441. 18 La dialettica di cui parliamo qui una dialettica

qualitativa: Essa indica lattuarsi in elevazione allAssoluto della libert nel ritorno al suo fondamento e scopo o telos supremo (C. FABRO, La dialettica qualitativa della libert in Soeren Kierkegaard, in Riflessioni sulla libert, p. 231). 19 S. KIERKEGAARD, La malattia mortale, in S. KIERKEGAARD, Opere, Sansoni, Firenze 1972, p. 627. Il concetto di trasparenza fondamentale per capire due delle categorie esistenziali kierkegaardiane: langoscia e la disperazione. Secondo Adorno, per Kierkegaard verit significa trasparenza (T.W. A DORNO, Kierkegaard. Costruzione dellestetico, Longanesi, Milano 1962, p. 185).

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Questo essere dialettico rende possibile concepire linteresse dellesistenza etica come un inter-esse, cio un porsi in mezzo a due elementi che devono essere sintetizzati, ma non attraverso una sintesi superatrice modo hegeliano, tramite una mediazione logica. La sintesi riesce con la categoria del salto, che Kierkegaard identifica con la decisione libera. Il salto manifesta il carattere rischioso dellesistenza etica, e fa s che la vita degli uomini si configuri come lotta20. Le analisi esistenziali di Kierkegaard presentano diversi livelli di composizione nelluomo. In primo luogo, luomo una sintesi di corpo ed anima. Tramite il corpo e lanima gli uomini possono scoprire le loro possibilit e le loro limitazioni riguardo alla loro propria esistenza21. Il corpo presenta due funzioni che si comportano dialetticamente di fronte allo spirito (anticipiamo che spirito in questo contesto non si identifica con lanima, ma la sintesi del corpo e dellanima). La prima funzione limitatrice: il corpo fa s che gli uomini si trovino determinati spazio-temporalmente, che si mettano in contatto con un mondo concreto, con una realt circoscritta, mutevole e contingente. La seconda funzione non limitatrice, ma apre molteplici possibilit: tramite la sensibilit, lio pu possedere quello che desidera nel mondo immediato. Il piacere sensibile si presenta cos come una delle possibilit per laffermazione esistenziale del singolo. Dal suo canto, lanima trascende il concreto e si apre al mondo della ragione come facolt della possibilit. La ragione pu costruire infiniti mondi possibili, stabilire norme di condotta, rappresentare infinit di immagini, pu anche schematizzare la realt con il fine di dare sicurezza allesistenza umana. Ma anche la ragione come possibilit presenta una infinitezza cos ampia di possibili vie da prendere, che lio, davanti a questa apertura, si angoscia: le infinite possibilit si identificano con il nulla, giacch, perch tutto sia possibile, non ci deve essere nulla di reale. Linfinita possibilit astratta, il tutto indeterminato, un nulla dove lanima umana si angoscia. La sintesi tra anima corpo viene denominata spirito. Lo spirito pone il rapporto tra anima e corpo, dove si desta lautocoscienza. Quando luomo inizia a riflettere, dopo la tappa innocente dellinfanzia, lo spirito mette luna di fronte allaltro, lanima e il corpo: lio conosce i loro significati, le loro determinazioni e le loro possibilit, la loro complementariet e la loro opposizione. Inizia cos il processo dellautocostituirsi del singolo, dellautoaffermazione. Lio si costituisce in un doppio rapporto: corpo ed anima si devono mettere in rapporto attraverso lo spirito, ma lo spirito allo stesso tempo un rapporto con se stesso. Nel suo doppio rapportarsi, lio deve scegliere se fondare lio su un terzo, cio sulla potenza che ha posto lo spirito, Dio, o autofondarsi su se stesso. Lio che si fonda sullAssoluto libert, lio che ha scelto se stesso come autofondante disperazione. Lio libero non perch si trasferisce e si annienta nellInfinito, neppure perch si lascia essere [...] nel finito, ma perch si erge come affermazione di capacit di scegliere lAssoluto22. Lio che si fonda su se stesso, voltando le spalle allAssoluto, si dispera perch ha
en Kierkegaard, Eunsa, Pamplona 1992, p. 167. composizione antropologica, che in parte abbiamo seguito, quella di L. GUERRERO, Kierkegaard: Los lmites de la razn en la existencia humana, Cruz O., Mxico 1993, pp. 71 ss. 22 C. F ABRO, La libert di scelta in Kierkegaard, in Riflessioni sulla libert, p. 206.
20 Cfr. M. GARCIA AMILBURU, La existencia 21 Una interessante descrizione dei livelli di

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tradito il suo proprio essere dialettico, perch fa violenza alla sua struttura ontica pi intima: essere uno spirito sintesi di anima e corpo fondato su Dio. Lio disperato si potr disperdere nella vita estetica, o perch sceglie il finito, che non lo pu soddisfare, o perch sceglie linfinito ma fantasticamente: come le infinite possibilit, senza determinarsi come spirito. In definitiva, chi non sceglie di fondarsi sullAssoluto in realt non ha scelto, poich luomo che si perde nellimmediato o nelle possibilit infinite del pensiero non si determina come spirito, e manca di un vero e proprio io. Le analisi esistenziali di Kierkegaard ci portano verso altri livelli di costituzione dialettica. Dopo quella di anima e corpo, dobbiamo adesso riferirci alla dialettica tra finitezza e infinitezza. Lio del singolo anche una sintesi di infinitezza e finitezza. Se luomo non trova questa sintesi nella sua vita, non arriver ad avere un io. Linfinitezza delluomo un prodotto della fantasia, che fa s che luomo si trovi in una esistenza ideale, che rifiuta le limitazioni del mondo concreto finito, della sua circostanza reale. In un mondo fantastico luomo perde se stesso perch diventa immaginario. Il rifiuto della finitezza e il rifugiarsi in una fantasia infinita pu creare i sistemi logici astratti di Hegel; o creare una religione fantastica, dove luomo nega se stesso, nella sua realt determinata, e pretende di rapportarsi come spirito angelico con un dio di sua invenzione; o vivere di amori illusori, dopo un disinganno amoroso finito. Lio che rifiuta il finito per abitare in un mondo infinito fantastico finir in disperazione. Se lio si perde quando dallinfinitezza rifiuta la finitezza, si verifica anche la stessa perdita di s come quando si rifiuta linfinito a nome della finitezza. Luomo che fa a meno dellinfinito luomo mondano, che si trova solo in contatto con limmediato, che d valore infinito a cose che non hanno nessuna importanza: alle ricchezze, ai piaceri sensibili, agli onori. Luomo mondano si rimpiccolisce, perdendo la sua soggettivit: manca di un io davanti a Dio. La sintesi tra infinitezza e finitezza non si risolve scegliendo uno di questi elementi: lio la sintesi cosciente di infinito e finito, che si mette in rapporto con se stessa, il cui compito divenire se stessa, compito che non si pu risolvere se non mediante il rapporto a Dio. Ma diventare se stesso diventare concreto. Diventare concreto, poi, non diventare finito, n diventare infinito, perch ci che deve diventare concreto una sintesi23. Luomo deve diventare concreto cio, non un concetto astratto della logica sistematica dove dalla finitezza della corporeit e della situazione circostanziale si arriva al rapportarsi infinitamente con Dio. Il rapporto personale delluomo con Dio non fantasticamente infinito, ma il rapporto di un uomo che, scegliendo se stesso e fondandosi sulla Potenza Divina, si sceglie con tutte le sue determinazioni finite, e non astrattamente. Luomo anche una sintesi di necessit e possibilit: lio tanto possibile come necessario: vero che se stesso, ma deve pure diventare se stesso. In quanto se stesso necessario, in quanto deve diventare se stesso una possibilit24. Lio che fa a meno della necessit sar anche un io disperato: lio fugge via da se stesso, poich si perder in un mare di possibilit, senza poter tornare a nulla di necessario. Quando tutto si presenta come possibile lio diventa a se stesso un miraggio, perdendo il senso della realt. Luomo irreale colui in cui manca la forza di ubbidire, di
23 La malattia mortale, 24 Ibidem, p. 637.

cit., p. 634.

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piegarsi sotto la necessit nel proprio io, sotto quelli che si possono chiamare i limiti del proprio essere. Cio non si accetta a se stesso con le sue limitazioni, e cos diventa un io fantasmagorico, irreale. Al contrario, lio che si chiude nella necessit ha perduto Dio, poich per Dio tutto possibile. Colui che si chiude nella necessit non potr pregare: perch si possa pregare bisogna che ci sia un Dio, un io e la possibilit, ovvero un io e la possibilit nel senso pregnante, perch Dio che tutto possibile e che tutto possibile, Dio; e soltanto colui il cui essere fu talmente scosso che, comprendendo che tutto possibile, sia diventato spirito, soltanto egli entrato in rapporto con Dio. Il fatto che la volont di Dio il possibile, ci fa s chio possa pregare; se essa fosse soltanto il necessario, luomo sarebbe essenzialmente muto come lanimale25. Mentre per lio fantasmagorico tutto possibile perch ha perso la realt la realt lunit di possibilit e necessit lio che pone la sintesi non perde la realt egli quello che ma si apre alla possibilit che si fonda su Dio: il credente possiede il contraveleno eternamente sicuro contro la disperazione: la possibilit, perch a Dio tutto possibile26. Dopo queste analisi, il singolo kierkegaardiano appare come: a) un essere individuale: le uniche cose che esistono sono singolari, lastratto non esiste; b) dialettico: nelluomo ci sono diverse componenti che si devono sintetizzare; c) in divenire: la sintesi dello spirito non qualcosa di dato, ma uno sforzo libero etico-religioso per trovare lunit nel fondarsi dellio sullAssoluto; d) fondato e finalizzato teologicamente: il singolo si autoafferma come un se stesso solo davanti a Dio; il mancato fondarsi sullAssoluto porta lio alla disperazione e alla perdita di se stesso. Avendo posto le premesse, si presenta adesso la formulazione antropologica kierkegaardiana de La malattia mortale , che consideriamo la vetta della sua riflessione sulluomo e lespressione pi chiara della fondazione metafisica della sua concezione antropologica27: Luomo spirito. Ma cos lo spirito? Lo spirito lio. E lio cos? un rapporto che si rapporta a se stesso oppure , nel rapporto, il rapportarsi che il rapporto si rapporta a se stesso: lio non il rapporto, ma il rapportarsi a se stesso. Luomo una sintesi dinfinito e di finito, di tempo e di eternit, di possibilit e necessit, insomma una sintesi. Una sintesi un rapporto tra due principi. Visto cos, luomo non ancora un io.
25 Ibidem, p. 640. 26 Ibidem. 27 Pareyson afferma

che il considerare lesistenza come coincidenza di relazione con s e relazione con altro lo schema fondamentale dellesistenzialismo (L. P AREYSON , Studi sullesistenzialismo, Sansoni, Firenze 1971, p. 100, nota 2). Da questo punto di vista, il presente brano dovrebbe considerarsi come uno dei principali testi dellesistenzialismo moderno. Secondo R. Jolivet, une philosophie existentielle simposera toujours de partir de lIndividu, qui est le rel mme, dans sa plnitud ontologique (R. JOLIVET, Les doctrines existentialistes de Kierkegaard Jean Paul Sartre, ditions de Fontenelle, Abbaye SaintWandille 1948, p. 58). Anche da questa prospettiva, il brano de La malattia mortale assume una notevole importanza.

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Nel rapporto fra due principi, il rapporto il terzo e come unit negativa i due si rapportano al rapporto e nel rapporto si mettono in rapporto col rapporto; un rapporto a questo modo , sotto la determinazione dellanima, il rapporto fra anima e corpo. Se invece il rapporto si mette in rapporto con se stesso, allora questo rapporto il terzo positivo, e questo lio. Un tale rapporto che si rapporta a se stesso, un io, o deve essere posto da se stesso, o deve essere posto da un altro. Se il rapporto che si mette in rapporto con se stesso stato posto da un altro, il rapporto certamente il terzo, ma questo rapporto, il terzo, poi a sua volta un rapporto che si mette in rapporto con ci che ha posto il rapporto intero. Un tale rapporto derivato, posto, lio delluomo; un rapporto che si mette in rapporto con se stesso, e mettendosi in rapporto con se stesso, si mette in rapporto con un altro. Da ci risulta che possono nascere due forme della disperazione nel senso proprio. Se lio delluomo si fosse posto da s, si potrebbe parlare soltanto di una forma, quella di non volere essere se stesso, di volersi liberare da se stesso, ma non si potrebbe parlare della disperazione di voler essere se stesso. Questa formula infatti lespressione per la dipendenza dellintero rapporto (dellio); lespressione di questo, che lio, da s, non pu giungere allequilibrio e alla quiete, n rimanere in tale stato, ma soltanto se, mettendosi in rapporto con se stesso, si mette in rapporto con ci che ha posto il rapporto intero [...]. Il rapporto falso della disperazione non un semplice rapporto falso, ma un rapporto falso in un rapporto che si mette in rapporto con se stesso, essendo stato posto da un altro; quindi il rapporto falso in quel rapporto che per se stesso, si riflette nello stesso tempo infinitamente nel rapporto con la potenza che lha posto. Infatti, la formula che descrive lo stato dellio quando la disperazione completamente estirpata questa: mettendosi in rapporto con se stesso, volendo essere se stesso, lio si fonda in trasparenza nella potenza che lha posto28. 1.3. La fondazione trascendente della libert Se il singolo libert, e il singolo si fonda sulla potenza che lha posto, cio sullAssoluto, allora la coerenza logica esige che la libert stessa del singolo si fondi sullAssoluto. Punto fermo della cosmovisione kierkegaardiana la differenza infinita tra Dio e il mondo, laffermazione inequivoca della trascendenza metafisica dellAssoluto rispetto non solo al mondo materiale lo spirito per s hegeliano ma anche al mondo dellumano. In polemica con gran parte del pensiero moderno di tendenza panteistica spinozismo, idealismo il danese considera lAssoluto come causa creatrice trascendente delluniverso. Causa che non solo efficiente estrinseca, ma utilizzando una terminologia di Fabro causa immanente intensiva. Kierkegaard fonder la libert del Singolo sullOnnipotenza divina, con un ragionamento di carattere squisitamente metafisico. In un testo del Diario del 1846 presenta una problematica ricca di storia e che uno dei punti chiave della teodicea: la causalit di Dio e il problema del male: Tutta la questione del rapporto fra la onni28 La

malattia mortale, cit., pp. 626-627.

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potenza e la bont di Dio e il male (invece della distinzione che Dio opera il bene e soltanto permette il male) pu forse essere risolta del tutto alla semplice nel modo seguente: la cosa pi alta che si pu fare per un essere, molto pi alta di tutto ci che un uomo possa fare per esso, di renderlo libero. Per poterlo fare, necessaria precisamente lonnipotenza. Questo sembra strano, perch lonnipotenza dovrebbe rendere dipendenti. Ma se si vuol veramente concepire lonnipotenza, si vedr che essa comporta precisamente la determinazione di poter riprendere se stessi nella manifestazione dellonnipotenza, in modo che appunto per questo la cosa creata possa, per via dellonnipotenza, essere indipendente29. Ci che tenta di dire Kierkegaard che lOnnipotente, appunto perch tutta la potenza, pu creare un essere libero, pu far partecipe una sua creatura della Sua libert. Nellordine umano, luomo veramente libero e responsabile dei suoi atti, e perci anche responsabile del male. Solo lOnnipotenza divina il fondamento della libert creata: Dio si pu donare completamente, rendendo indipendente colui che riceve il dono. E lAssoluto si dona senza perdere niente di s: Soltanto lOnnipotenza pu riprendere se stessa mentre si dona, e questo rapporto costituisce appunto lindipendenza di colui che riceve. Lonnipotenza di Dio perci identica alla Sua bont. Perch la bont di donare completamente ma cos che, nel riprendere se stessi in modo onnipotente, si rende indipendente colui che riceve. Ogni potenza finita rende dipendenti; soltanto lonnipotenza pu rendere indipendenti, pu produrre dal nulla ci che ha in s consistenza, per il fatto che lOnnipotenza sempre riprende se stessa30. Secondo Fabro, la dottrina kierkegaardiana dellOnnipotenza divina come causa della libert creata ha una stretta analogia con la dottrina tommasiana della causalit totale di Dio sulla causa creata, libert intesa come causa principale seconda31. Il brano del Diario ricorda anche un altro elemento del pensiero dellAquinate: Dio, in quanto Causa prima e totale dellessere e dellagire, non pu avere col mondo e con luomo una relazione reale, ma soltanto di ragione32. Kierkegaard esprime cos lo stesso principio: LOnnipotenza non rimane legata dal rapporto ad altra cosa, perch non vi niente di altro a cui essa si rapporta; no, essa pu dare, senza perdere il minimo della sua potenza, cio pu rendere indipendenti. Ecco in che consiste il mistero per cui lonnipotenza non soltanto capace di produrre la cosa pi importante di tutte (la totalit del mondo visibile), ma anche la cosa pi fragile di tutte (cio una natura indipendente rispetto allOnnipotenza)33. E ci avviamo verso la conclusione di Kierkegaard: solo la dipendenza totale da Dio, fondata sulla comunicazione damore della creazione, rende possibile la libert delluomo. LOnnipotenza crea dal nulla: in questo senso siamo completamente dipendenti da Dio. Ma allo stesso tempo, creandoci dal nulla, Dio Onnipotente ci rende indipendenti e liberi. Anzi, per essere liberi necessario provenire dal nulla: se fossimo qualcosa davanti a Dio, si stabilirebbe un rapporto tra finito e finito. In questa dialettica del limite impossibile il dono completo e totalmente disinteressato
29 Diario, VII1 A 81. 30 Ibidem . 31 Cfr. C. FABRO, La libert 32 Cfr. S. Th., I, q. 13, a. 7. 33 Diario, VII 1 A 81.

di scelta in Kierkegaard, cit., p. 215.

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della libert: Per questo un uomo non pu rendere mai completamente libero un altro uomo; colui che ha la potenza, n perci stesso legato e sempre avr quindi un falso rapporto a colui che vuol rendere libero [...] Perci, se luomo godesse della minima consistenza autonoma davanti a Dio (come pura materia), Iddio non lo potrebbe rendere libero. La creazione dal nulla esprime a sua volta che lOnnipotente pu rendere liberi. Colui al quale io assolutamente devo ogni cosa, mentre per assolutamente conserva tutto nellessere, mi ha appunto reso indipendente34. Torniamo cos alla considerazione antropologica de La malattia mortale : il singolo che si sa completamente dipendente dalla potenza che lha posto colui che veramente libero. Una libert non fondata su Dio una pseudo libert: in realt libert alienata, perch il singolo che non davanti a Dio manca di un io e vive fuori di s35. 1.4. Il singolo pi alto del genere Se finora abbiamo visto il singolo come categoria dialettica anti-hegeliana, e abbiamo tentato di mostrare le implicazioni metafisiche di tale categoria, arrivato il momento di avvicinarci alla tematica pi esistenziale di Kierkegaard, che quella contenuta nella teoria degli stadi. Prima di addentrarci in questo argomento imprescindibile presentare alcuni testi del Diario, dove il nostro pensatore finir per delineare ci che egli intende per singolo. Alla fine del 1847 Kierkegaard redige un testo che poi pubblicher con qualche modifica come nota aggiunta a Il punto di vista della mia attivit di scrittore. L sta bilisce che il tempo, la storia, lumanit intera devono passare attraverso la categoria del singolo. Il danese considera che la sua importanza storica come pensatore va unita alla sua categoria: Se io dovessi domandare un epitaffio per la mia tomba, non chiederei che Quel Singolo anche se ora questa categoria non capita. Lo sar in seguito. Con questa categoria il Singolo, quando qui tutto era sistema su sistema, io presi polemicamente di mira il sistema, ed ora di sistema non si parla pi. A questa categoria legata assolutamente la mia possibile importanza storica. I miei scritti saranno forse presto dimenticati, come quelli di molti altri. Ma se questa categoria era giusta, se questa categoria era al suo posto, se io qui ho colpito nel segno, se ho capito bene che questo era il mio compito, tuttaltro che allegro e comodo e incoraggiante: se mi sar concesso questo, anche a prezzo di inenarrabili sofferenze interiori, anche a prezzo di indicibili sacrifici esteriori: allora io rimango, e i miei scritti con me36. Kierkegaard mette questa categoria al centro non solo della sua produzione letteraria, ma al centro stesso del Cristianesimo: Il Singolo: con questa categoria sta e cade la causa del Cristianesimo, dopo che lo sviluppo del mondo ha raggiunto il
di questo mirabile testo del Diario appena commentato si pu trovare in C. FABRO, Luomo di fronte a Dio in Soeren Kierkegaard, in C. FABRO, Tra Kierkegaard e Marx, Logos, Roma 1978, pp. 107-135. L. Chstov si occupa dellargomento di Dio e della causalit del male in Kierkegaard, senza citare esplicitamente il testo del Diario. Le sue analisi sono ricche di contestualizzazione storica. Cfr. L. CHSTOV, Kierkegaard et la philo sophie existentielle, Vrin, Paris 1948, pp. 319-333. 36 Diario, VIII1 A 482.
34 Ibidem. 35 Una interpretazione

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grado attuale di riflessione37. La categoria sar lancora che potr arrestare il panteismo del sistema: senza la categoria del singolo il panteismo vincer, perch mancher appunto la distinzione tra Dio e il mondo e la responsabilit personale si confonder con quella del Tutto, o con la Massa, con il Pubblico. Kierkegaard vuol offrire come contributo alla storia ci che lui denomina sua categoria: lindividuo libero e dipendente da Dio, responsabile davanti a Dio delluso fatto della sua libert. Perci, lunica realt in senso forte lesistenza etica del singolo, che gode di un valore di eternit. Le conseguenze eterne dellesistenza umana sono cos pregnanti, che Kierkegaard mette in moto tutta la sua capacit dialettica per smascherare i sofismi che tendono ad identificare il singolo con una idea astratta, con un membro di una specie, o con la massa, con la folla, col pubblico. Nel 1848, in un testo del Diario, compie una critica allidentificazione moderna di pensiero ed essere. Questa volta si soffermer non solo su Hegel, ma anche su altri importanti filosofi moderni: Ci che confonde tutta la dottrina sulla essenza nella logica, il non badare che si opera sempre con il concetto di esistenza. Ma il con cetto di esistenza unidealit, e la difficolt sta appunto nel vedere se lesistenza si risolva in concetti. Se fosse cos, allora Spinoza potrebbe aver ragione nel suo: essen tia involvit existentiam cio il concetto di esistenza, vale a dire lesistenza ideale. Ma daltra parte anche Kant ha ragione quando afferma che dal concetto di esistenza non scaturisce nessuna nuova determinazione di contenuto. Kant, chiaro, pensa onestamente allesistenza come non coincidente col concetto, cio pensa ad unesistenza empirica. Soprattutto nellambito dellideale vale il principio che lessenza lesistenza se permesso di usare qui il concetto di esistenza. La tesi leibniziana: se Dio possibile, necessario giustissima. Ad un concetto non si aggiunge nulla in pi, sia chesso abbia o non abbia lesistenza: nulla importa al concetto di questo; perch esso ha ben lesistenza, cio esistenza di concetto, esistenza ideale. Ma lesistenza corrisponde alla realt singolare, al singolo (ci che gi insegn Aristotele): essa resta fuori, ed in ogni modo non coincide con il concetto. Per un singolo animale, una singola pianta, un singolo uomo, lesistenza (essere o non essere) qualcosa di molto decisivo; un uomo Singolo non ha certo unesistenza concettuale. Il modo col quale la filosofia moderna parla dellesistenza, mostra che essa non crede allimmortalit personale; la filosofia in generale non crede, essa comprende solo leternit dei concetti38. Leternit personale il telos assoluto, come scrive Kierkegaard nella Postilla ecco il problema con cui deve fare i conti ogni singolo uomo esistente. Il singolo pi alto del concetto, la realt etico-religiosa pi alta della possibilit logica. In fortissima polemica con Hegel, Kierkegaard affronter la categoria da un punto di vista metafisico-religioso: il singolo immagine di Dio. Leggiamo questo testo del 1850: No, lerrore principalmente in questo: che luniversale, in cui lhegelismo fa consistere la verit (e il Singolo diviene la verit, se sussunto in esso), un astratto, lo Stato, ecc. Egli non arriva a Dio che la soggettivit in senso assoluto, e non arriva alla verit: al principio che realmente, in ultima istanza, il Singolo pi alto del generale, cio il Singolo considerato nel suo rapporto a Dio.
37 Ibidem. 38 Diario, X2 A

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Quante volte ho scritto che Hegel fa in fondo degli uomini, come il paganesimo, un genere animale dotato di ragione. Perch in un genere animale vale sempre il principio: il Singolo inferiore al genere. Il genere umano ha la caratteristica, appunto perch ogni Singolo creato ad immagine di Dio, che il Singolo pi alto del genere. Che tutto questo si possa prendere in vano orrendo: concedo. Ma il Cristianesimo consiste in questo, ed in fondo qui che si deve dare battaglia39. Se in questo consiste il Cristianesimo nel diventare singoli davanti a Dio, con una responsabilit eterna la Cristianit, intesa come comunit di battezzati che di cristiani hanno solo il nome, la societ delluomo-massa, della folla, dellesistenza inautentica del numero 40. Tutto ci ch massa scriver Kierkegaard nel 1854 dal punto di vista cristiano eo ipso perduto; perch la massa dal punto di vista cristiano la categoria della perdizione. La salvezza sarebbe nella massa soltanto quando tutti diventassero Singoli e non ci fosse affatto massa, soltanto allora sarebbe possibile che tutti potessero andar salvi41. Il considerare luomo come massa dipende dalla determinazione animale della natura, corrisponde perfettamente allimmaginazione dellanimale di tenersi sicuro quando si trova nel gregge e che il pericolo stia nellabbandonare il gregge. Ma nel Cristianesimo il pericolo consiste proprio nel non uscire dal gregge e diventare un singolo. La prima condizione di salvezza diventare singolo. Persino luomo-massa, il numero, il pubblico, dovr fare i conti con la morte. E non si muore en masse, ma individualmente. Di fronte a Dio solo contano i singoli: il numero non ha nessuna importanza: Il numero per leternit, eternamente, leternamente indifferente; o piuttosto il numero ci che non esiste per la eternit. Con leternit tutto procede allinverso; pi il numero grande, pi per essa facile scartarlo. molto duro per leternit dover scartare un Singolo, quand Singolo (ahim, fuori della massa come lo si pu chiamare?); egli oggetto della sollecitudine delleternit: essa desidera tanto salvarlo, e lo respingerebbe infinitamente malvolentieri. Appena invece si davanti a 10.000 bilioni, leternit le soffia via pi facilmente che la brezza il polline dei fiori. Su questo punto il Cristianesimo non molla. Non giova se forse tu volevi far finta che solo per umilt ti sei intruppato nella massa, cheri troppo umile per voler essere un Singolo. Oh, amico mio, la sovranit divina non conosce che troppo bene gli imbrogli delluomo e che anche sotto pretesto di umilt non si tratta che di diventare massa, perch nella massa sta la forza delluomo. Ma il Dio dellamore nello stesso tempo un sovrano infinitamente saggio: Egli conosce la rivolta sfacciata non meno bene della rivolta di questi furfanti i quali, sotto pretesto di umilt e di modestia, si impadroniscono astutamente del potere [...] Appena
39 Diario, X2 A 426. 40 Una interessante analisi

storica dellorigine della nozione delluomo-massa kierkegaardiano si trova in G.M. PIZZUTI, Genesi e fenomenologia delluomo-massa nellopera di Soeren Kierkegaard, Nuovi Studi Kierkegaardiani, 1 (1993), pp. 86-100. 41 Diario, XI1 A 227.

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si fa avanti la massa Dio diventa invisibile: questa massa onnipotente pu, si placet, sbattere il naso contro la porta dingresso, ma non va pi avanti, perch Dio esiste solo per il Singolo: questa la Sua sovranit. Non con Lui come con la maest umana a cui il maggiordomo va a riferire dicendo: Sua Maest dovr mostrarsi al balcone, ci sono ora allincirca 20.000 persone che attendono sulla strada!. No, quando si assembrano 20.000 uomini en masse, Dio non si fa affatto vedere. Quando c il Singolo, s, allora la Maest divina (divina anche in questo e cos al disopra di tutte le forme che non occorre alcun intermediario oh che maest e che amore infinito! neppure un Angelo fra Lui e questo Singolo) si fa subito vedere, perch essa esiste per il Singolo42. Luomo massificato, il numero che fa parte della Folla, porta avanti una esistenza inautentica, una non-esistenza mancante di spirito, e quindi senza un io personale. L non si pu stabilire un vero rapporto con Dio: solo un rapporto fantastico prodotto dallimmaginazione. Divenire il Singolo: ecco il compito eterno della vita. Questa vita umana singola, questa storia umana concreta, la quale esistenzialmente pu attraversare diversi stadi: potr arrivare a raggiungere lessere un Singolo davanti a Dio, o potr restare nella disperazione dellimmediato della vita estetica.

2. Diventare il singolo: gli stadi esistenziali


Diventare il singolo un compito etico-religioso: riuscire a porre lo spirito, ad essere un io davanti a Dio. A seconda della consapevolezza di se stesso, cio dipendendo dalla forza dellaffermazione dellio, luomo si trova in diverse situazioni esistenziali, attraversa diversi stadi. Forse la trattazione che fa Kierkegaard degli stadi esistenziali laspetto pi noto del suo pensiero43. Le opere pseudonime che trattano questo argomento sostanzialmente Aut-Aut, Timore e Tremore e Stadi sul cammino della vita sottolineano le analisi esistenziali mettendo in primo piano le manifestazioni esterne dellagire umano, mentre le opere pi mature della sua produzione, quelle che seguono alla Postilla conclusiva La malattia mortale , Lesercizio del Cristianesimo insieme con Il concetto dellangoscia, considerano questi stadi esistenziali dallinterno del soggetto, tramite una sottile analisi fenomenologica della coscienza angosciata, disperata e fiduciosa. In altre parole, linsieme della comunicazione indiretta kierkegaardiana, attraverso il giuoco della pseudonimia, unanalisi dellesistenza umana, fatta da diverse prospettive, ma sempre con lo stesso scopo ultimo: rendere consape42 Ibidem. 43 Affermazione

che trova sostegno nello spazio che occupa questo argomento nella manualistica. Cfr. F. C OPLESTON, Storia della Filosofia , Paideia, Brescia 1982, VII, pp. 411-418; A. CRUZ PRADOS, Historia de la Filosofa Contempornea, EUNSA, Pamplona 1991, pp. 8288; V. MATHIEU, Storia della filosofia, La Scuola, Brescia 1982, vol. III, pp. 155-157. La posizione della teoria degli stadi allinterno del pensiero kierkegaardiano viene trattata con molta chiarezza e brevit in G. VELOCCI, Filosofia e Fede in Kierkegaard, Citt Nuova, Roma 1976, pp. 14-22.

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vole il lettore che bisogna diventare il singolo, che bisogna ritrovare lunit interiore tramite lo spirito che si fonda sullAssoluto44. La trattazione che fa Kierkegaard dei diversi stadi piena di sfumature e non del tutto assente una certa evoluzione del suo pensiero a questo riguardo. In Aut-Aut Kierkegaard presenta una bipartizione degli stadi: lalternativa si d tra la vita estetica e la vita etica. Ma questa seconda si presenta come possibilit per una vita superiore, cio quella religiosa. In Timore e Tremore, lo pseudonimo Johannes de Silentio presenta una dialettica dello stadio etico-stadio religioso. Ma bisogna badare al cambiamento di prospettiva rispetto allo stadio etico di Aut-Aut: letica di Timore e Tremore unetica kantiano-hegeliana che ha la pretesa di essere autonoma e andare oltre la fede. Johannes de Silentio parler di una sospensione teleologica delletica, che non significa una totale soppressione di essa, ma un rendere necessaria la relativizzazione delletico di fronte alle esigenze assolute dellAssoluto. Negli Stadi sul
44 Come

noto, la prima grande classificazione che si deve fare nei confronti dellopera di Kierkegaard quella tra la comunicazione diretta e la comunicazione indiretta. La prima porta la firma di Kierkegaard: egli si fa pienamente responsabile di quanto scrive e afferma, e considera il libro come suo; la comunicazione indiretta, invece, quella pseudonima, nella quale Kierkegaard fa parlare gli autori immaginari. Qual il rapporto tra Kierkegaard ed i suoi pseudonimi? Tutto quanto stato imputato alla penna di Vigilius Haufniensis o di Victor Eremita anche il pensiero intimo di Kierkegaard? In diversi testi della sua comunicazione diretta Kierkegaard ha ribadito la sua posizione personale. Con particolare chiarezza si riferisce a questo argomento nella aggiunta alla Postilla conclusiva non scientifica. L il danese spiega che la sua pseudonimia o polinimia ha una ragione essenziale nella stessa produzione letteraria: i diversi autori esprimono modi differenti di esistenza, di variet psicologica, che nessuna persona di carne e ossa potrebbe o vorrebbe permettersi nella limitazione morale della realt. Perci, i singoli pseudonimi esprimono la loro concezione della vita, e non quella di Kierkegaard stesso. Anzi, egli riconosce di avvicinarsi ai pseudonimi come lettore: non c nei libri pseudonimi neppure una sola parola sul mio conto; io non ho di loro nessuna opinione se non come terza persona, nessuna conoscenza della loro importanza se non come qualsiasi lettore (Postilla conclusiva... , cit., p. 609.) Kierkegaard si assume la responsabilit degli pseudonimi dal punto di vista giuridico e letterario, ma in senso dialettico lato sono stato io a dare loccasione di ascoltare questopera nel mondo della realt, il quale naturalmente non pu occuparsi di scrittori poetico-reali e perci con perfetta coerenza e con pieno diritto, dal punto di vista giuridico e letterario, si attiene a me (Ibidem). Sren arriver a chiedere che se qualcuno vuol fare una citazione di unopera pseudonima, la faccia col nome dello pseudonimo e non con il suo. Le concezioni della vita che esprimono Frater Taciturnus o Johannes de Silentio, ribadisce Kierkegaard, non sono le sue, bench alle volte possano coincidere con i suoi personali punti di vista. Invece, Kierkegaard si riconosce autore del tutto proprio e diretto dei Discorsi edificanti, e di ogni parola in essi contenuti (Ibidem, p. 611). Concordiamo con A. Mc KINNON, che scrive: Le opere pseudonime differiscono sia dalle opere firmate, sia fra di loro. La concezione di Kierkegaard delle relazioni fra gli pseudonimi alla fine sostanzialmente corretta. I suoi ammonimenti riguardo alla sua produzione letteraria sono del tutto giustificati e non c motivo per non prenderli sul serio ( Kierkegaard and his Pseudonyms: A Preliminary Report, Kierkegaardiana, VII, 1968, p. 71). Parole commentate da Fabro nel seguente modo: di qui che deve partire ogni ermeneutica per linterpretazione di unopera, cos ardua e complessa come quella di Kierkegaard, che pu costituire sia unisola di salvezza, sia uno scoglio di naufragio mai lasciare indifferenti (Kierkegaard. Scritti sulla comuni cazione, cit., p. 10). Cfr. anche A. Mc KINNON, Kierkegaards interpretation of his autor ship: some statistical evidence, Inquiry, 27 (1984), pp. 225-233.

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cammino della vita, anche se sembra che Kierkegaard presenti una tripartizione, in realt si propone lalternativa tra vita estetica e vita etico-religiosa. Lo stadio religioso assume gli elementi della vita etica, fondati sullAssoluto45. Nelle linee che seguono abbiamo tentato di presentare le caratteristiche generali dei diversi stadi. Per quanto riguarda lo stadio etico abbiamo deciso di presentare la trattazione della seconda parte di Aut-Aut, poich la consideriamo come la dottrina pi consona allantropologia kierkegaardiana. Scelta non arbitraria, giacch in un Appendice alla Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di Filosofia opera che porta il nome di Kierkegaard come editore e quindi permette di attribuire alle sue pagine pi autorevolezza che non agli altri scritti pseudonimi Johannes Climacus espone il tentativo che si propose Kierkegaard nel redigere questa opera: il rapporto tra il momento estetico e quello etico per trovarsi a questo punto: cio una volta che si raggiunta la passione e linteriorit, non si mancher di fare attenzione al momento religioso e poi il salto46. 2.1. Lo stadio estetico di esistenza Secondo il nostro danese, lo stadio estetico di esistenza, comune alla maggioranza degli uomini del suo tempo, rappresenta il livello pi basso di umanit, poich lesteticismo mancanza di spirito, la non-consapevolezza di essere un io. In una pagina dellultima parte di Aut-Aut, lo pseudonimo definisce lo stadio estetico come quella situazione tramite la quale luomo quello che , e lo contrappone allo stadio etico, nel quale luomo diventa quello che diventa. Da quanto abbiamo detto nelle pagine precedenti, sembra chiara la distinzione kierkegaardiana: luomo in divenire, deve raggiungere il suo telos mettere la sintesi dello spirito . Se rimane in ci che , senza mettere in moto il processo etico di autocostituzione dello spirito, resta arenato nellimmediatezza, nella mera fatticit, nellesteticismo. Lesteticismo una malattia spirituale47: la subisce luomo che manca di interiorit, perch non riuscito a fare la sintesi tra gli elementi di cui composto. Lesteta un uomo che porta una rottura interiore, che deve essere ricomposta. In Aut-Aut e negli Stadi sul cammino della vita , Kierkegaard presenta la tipologia di questa malattia, cio la diversa sintomatologia che manifesta che lesteta manca di un io e che si trova, consapevolmente o no, nella disperazione. Il primo tipo di esteta molto vicino allanimalit. un semplice numero nella massa, un membro della folla, che ha come unico scopo nella sua vita lammucchiare
diverse presentazioni delletica nelle opere kierkegaardiane si pu cfr. C. FABRO, La dialettica della situazione nelletica di Soeren Kierkegaard, in Riflessioni sulla libert, pp. 161-180. 46 Postilla conclusiva..., cit., p. 399. 47 Cfr. L. POLO, Hegel y el posthegelianismo, Universidad de Piura, Piura 1985, specialmente il capitolo II (Kierkegaard, crtico de Hegel: la dialctica como tedio y desesperacin), pp. 99-175. Ci siamo ispirati a questa opera per presentare in forma riassuntiva e chiara lo stadio estetico kierkegaardiano. Fare una presentazione breve di questo argomento un lavoro faticoso, giacch gli elementi che configurano questo stadio si trovano in quasi tutte le opere del danese. Gli esteti kierkegaardiani formano una galleria di personaggi che quasi non ha paragone nellintera letteratura filosofica occidentale.
45 Sulle

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piaceri rozzi. Questo esteta non raffinato cerca soprattutto la quantit di piacere, e non la qualit. lesteta che ha meno sensibilit per le cose dello spirito. Un secondo tipo di esteta luomo di affari che porta avanti la sua vita con un ritmo vertiginoso. Non ha tempo per gli altri n per le cose dello spirito: soltanto ha di mira la sua attivit economica e professionale. La sua vita trascorre superficialmente: manca di profondit. Se il primo esteticismo era piuttosto passivo, questo secondo si identifica con lattivismo. In terzo luogo si trovano gli esteti raffinati, che non cercano la quantit di piaceri ma la loro qualit: lesteta di questo tipo uno squisito, che mette in moto la sua capacit di riflessione per trovare piaceri pi eleganti ed originali. La sua vita una squisitezza in crescendo. Ha un senso artistico notevole e capacit di interiorizzare i propri sentimenti. un candidato alla disperazione consapevole, giacch negli altri due tipi di esteti mancava completamente la profondit. Un esempio prototipico Johannes, il giovane protagonista del Diario di un seduttore. Lultimo tipo di esteta lintellettuale petulante, chiuso nella sua cultura, che scappa dalla realt di se stesso per distribuire solennemente i suoi oracoli ai suoi discepoli. In un certo senso, Hegel ed i suoi seguaci sono esteti, perch mancano di radicalit e di primitivit, cio non vanno fino in fondo nelle conseguenze etiche delle loro esistenze personali. Tipi cos diversi lubriaco, lesecutivo, lartista, il professorone hanno in comune la stessa malattia: lesteticismo. Mancano tutti e quattro di una ragione profonda ancorata in loro stessi: vivono superficialmente. Sono ci che sono: sidentificano con la loro attuazione, si trovano nella superficialit. Se la caratteristica principale dello stadio estetico limmediatezza, la superficialit, questa caratteristica pu presentarsi sotto diverse manifestazioni: la superficialit falsit, non perch quello che appare nella superficie non sia vero, alla maniera di Platone, ma perch nella vita estetica c un enfasi della superficie che dipende dalla rottura interiore delluomo. Questa enfasi consiste nel prendere sul serio, con seriet, la superficialit. Questo atteggiamento esistenziale si identifica con la frivolit. Dare importanza a ci che non ce lha pedanteria: il tentativo assurdo di essere autosufficiente nella superficie senza profondit. Frivolit e pedanteria derivano dal fare il ridicolo : lesteta un comico che fa ridere, perch pretende di vivere con senso istallato nellimmediatezza. Siccome nellesteta manca lunit sintetica dello spirito, la sua non-esistenza, il trovarsi nella superficialit porta alla mancanza di autodominio, di libert. Lesteta non padrone di s: vive sempre fuori di se stesso, nella superficie. Perci, la sua guida pi forte nel suo agire sar lo stato di animo, che solo un sintomo superficiale di una causa pi profonda. La mancanza di profondit, di consapevolezza di aver un io, fa s che lesteta sidentifichi con lo stato di animo. Ma gli stati di animo variano, come cambia continuamente la superficie. Lesteta vive nel momento, nellistante presente. Stato di animo, attimo fuggente: questa la vita dellesteta. Perci non potr mai compromettersi con niente di serio, di definitivo. Non si aprir agli altri: vivr chiuso nella sua identificazione con la sua manifestazione. Sar uno spettatore del mondo, perch non pu agire fuori del suo stato di animo. Dunque lesteta esterno agli altri, si allontana dagli altri, ma anche si allontana da se stesso: esteticismo anche chiusura, ermetismo, egotismo. Lesteta si lascia essere, lascia la vita trascorrere, senza riuscire a prendere le redini della sua propria esistenza personale.
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Identificato con lo stato di animo mutevole, impossibilitato allamore, perch si trova chiuso, non in se stesso, ma nella superficie di se stesso. Non potr nemmeno scegliere: davanti a lui si aprono diverse possibilit, ma istallato come si trova nella superficie della vita, non ha una ragione di peso per far prevalere una possibilit sullaltra. La superficialit non libert e quindi indecisione. Il non avere un motivo valido per scegliere conduce alla noia: tutto fa lo stesso. Ogni esteta finir per annoiarsi. Ma come la noia non una situazione esistenziale confortevole, lesteta cercher un rimedio alla noia: il divertimento. Divertirsi non assoggettarsi ad un ordine, a delle norme, non compromettersi, non conservare lealt verso nulla. Divertirsi significa arbitrariet: una vita senza argomento, senza un piano, fare quello che uno desidera nellattimo fuggente, spinto dallo stato di animo. Ma larbitrariet un rimedio superficiale contro un sintomo la noia di una malattia profonda: la disperazione. Appare dunque che ogni concezione estetica della vita disperazione, e che chiunque vive esteticamente disperato, tanto se lo sa quanto se non lo sa [...]. Questultima concezione la disperazione stessa. una concezione di vita estetica, poich la personalit rimane nella sua immediatezza: lulti ma concezione di vita estetica, poich in un certo senso ha accolto in s la coscienza della nullit di se stessa48. 2.2. Il passaggio dalla vita estetica alla vita etica Il punto finale della vita estetica la disperazione anche il punto di partenza per la vita etica. Disperare di se stesso, rendersi conto che limmediatezza non pu fornire senso alla vita, lunica via di uscita per affermare se stesso come fondato sullAssoluto. Perci, lontano dal consigliare una terapia di superficie, Kierkegaard incoraggia lesteta alla disperazione: Cos dunque dispera, e la tua frivolezza non dovr mai pi portarti a vagare come uno spirito capriccioso, come uno spettro tra i ruderi di un mondo che pur perduto per te! Dispera, e il tuo spirito non dovr mai pi gemere di melanconica tristezza, perch il mondo da capo ti diventer bello e gioioso, anche se guarderai ad esso con altri occhi che non prima, e il tuo spirito si sollever liberato nel mondo della libert49. Scegliere la disperazione: ecco linizio della vita autentica. Disperare di se stesso per uscire dallo stadio estetico significa disperare della propria finitezza: La scelta della disperazione dunque me stesso, perch ben vero che nel disperare io dispero, come di ogni altra cosa, allo stesso modo anche di me stesso; ma quel me di cui io dispero una finitezza siccome ciascunaltra finitezza, quel me che io scelgo il me assoluto, ovvero il mio s secondo il suo valore assoluto50. Disperare del me finito, e scegliere il me assoluto linizio della vita etica. Questo momento si identifica col pentimento: quando uno dispera di se stesso si rende conto della propria col48 Aut-Aut,

V, cit., p. 98. Lesteticismo quale modo esistenziale si ricollega con le divertisse ment di Pascal (cfr. B. PASCAL, Penses, nn. 139-151, ed. Brunschvig) e soprattutto preannuncia le riflessioni di Blondel quando presenta gli atteggiamenti esistenziali che negano il carattere etico dellazione: il dilettantismo, il pessimismo e lo scientismo (cfr. M. BLONDEL, Laction (1893), PUF, Paris 1973, pp. 10-40). 49 Ibidem, V, p. 100. 50 Ibidem, V, p. 99.

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pevolezza, e pentendosi ritrova il fondamento dellio nellAssoluto. Egli si pente di s andando allindietro in se stesso, allindietro nella sua famiglia, allindietro nella stirpe degli uomini, finch trova se stesso in Dio. Solo a questa condizione egli pu scegliere se stesso, e questa lunica e la sola condizione che egli vuole, perch solo in tal modo egli pu scegliere se stesso assolutamente51. Il pentimento, che una categoria prevalentemente religiosa, sar anche categoria dialettica anti-hegeliana: lopposto alla mediazione. Con il mio pentimento non medio: Rappresentandomi un uomo piuttosto anziano che volge indietro lo sguardo su una vita movimentata, s, per il pensiero egli ne otterr anche una mediazione, perch la storia di lui stata intrecciata con quella del tempo; ma gi, nellintimo non trover mediazione alcuna. Ci sar ancor costantemente un enten-eller (aut-aut) che separer ci che era separato quando scelse. Se si deve parlare qui di una mediazione, si potrebbe dire che sar il pentimento; ma il pentimento non costituisce mediazione alcuna, il pentimento non guarda pieno di desiderio ci che va mediato, la sua ira divora questo qualcosa; ma cos si tratta come di unesclusione, lantitesi della mediazione. E qui del pari risulter che io non ammetto un male radicale, dato che fisso a mo di statuto la realt concreta del pentimento; ma il pentimento ben unespressione di conciliazione, e nondimeno, del pari, unespressione assolutamente non conciliante52. Per Kierkegaard, quindi, lio si afferma mediante lio, la libert si attua mediante la libert53. Lio libero si sceglie davanti a Dio, pentendosi delle sue colpe, e liberandosi cos dalla schiavit della vita immersa nellimmediatezza. Si pente del tempo perso prima della scelta di se stesso. una scelta assoluta, perch lio si sceglie fondato sullAssoluto. Quindi non una scelta tra il bene e il male, n una scelta propria della libertas indifferentiae della tarda-scolastica: Mediante questa scelta io propriamente non scelgo tra il bene e il male ma scelgo il bene: ma nello scegliere il bene scelgo eo ipso la scelta tra bene e male. La scelta originaria senza tregua presente in ciascuna seguente scelta54. Il risultato della scelta assoluta di se stesso, tramite la disperazione e il pentimento, il ritrovarsi dellio personale, che nella vita estetica non appariva, poich lesteta viveva fuori di s. Un io personale libero e dunque responsabile delluso che fa della sua esistenza: Infatti appena la personalit ha trovato se stessa nella disperazione, ha scelto assolutamente se stessa, si pentita di se stessa, allora egli possiede se stesso come suo compito sotto una responsabilit eterna e cos il dovere posto nella sua assolutezza. Ma poich egli non ha creato se stesso, ma ha scelto se stesso, ecco che il dovere lespressione per la sua dipendenza assoluta e della sua libert assoluta nellidentit delluna con laltra55. Ritorniamo cos alla chiave antropologica di Kierkegaard: la dipendenza assoluta del singolo rispetto a Dio, e la sua libert assoluta, perch appunto fondata su Dio. Il dovere morale sar una manifestazione di questa identit della dipendenza con la libert, ambedue riferite allAssoluto. Da qui Kierkegaard considera del tutto sbaglia51 Aut-Aut, V, cit., p. 96. 52 Ibidem, V, p. 43. 53 Cfr. C. FABRO, La libert di 54 Aut-Aut, V, cit., pp. 99-100. 55 Ibidem, V, p. 148.

scelta in Kierkegaard, cit., p. 223.

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ta lautonomia morale kantiana, cio luomo come autolegislatore universale che non sa scoprire nellimperativo categorico un mandato divino, ma solo immanente: Kant pensa che luomo sia a se stesso la sua legge (autonomia), cio, che si leghi alla legge chegli stesso si data. Ma con ci si pone in sostanza, nel senso pi radicale, la mancanza di ogni legge e il puro sperimentare. Questa diventer una cosa cos poco seria, come i colpi che Sancio Panza si d sulla schiena. impossibile che in A io possa essere effettivamente pi severo di quel chio sono in B o che possa desiderare a me stesso di esserlo. Se si deve fare sul serio, ci vuole costrizione. Se ci che lega, non qualcosa di pi alto dellIo stesso e tocca a me legare me stesso, dove allora come A (colui che lega) dovrei prendere la severit che non ho come B (colui che devessere legato), una volta che che A e B sono il medesimo Io?56. La morale trover anche il suo fondamento sullAssoluto. Lo stadio etico ci porter, come vedremo dopo, allo stadio religioso. 2.3. La teleologia intrinseca del singolo Scrivevamo prima che Kierkegaard definiva lestetico per limmediatezza, letico per il divenire. Vediamo la formulazione testuale del danese: Ma che cos il vivere esteticamente e che cos il vivere eticamente? Che cos lestetico che nelluomo, e che cos letico? Al proposito io risponderei: lestetico che nelluomo ci per cui egli immediatamente ci che , letico ci per cui egli diventa ci che diventa57. Lesistenza etica comporta una tensione verso un telos, uno sforzo per diventare spirito davanti a Dio. Perci abbiamo detto prima che singolo non si , singolo si diventa. Riprendendo la teleologia aristotelica imparata dal Tr e n d e l e n b u rg Kierkegaard concepisce il divenire etico come la tensione tra lio reale e lio ideale. Ma lio ideale non lio fantastico dellesteta che non riuscito a porre lo spirito e si disperde in un mondo immaginario, in un mare di possibilit. No, lio ideale dellesistenza etica luomo generale, luomo universale, ma allo stesso tempo concreto, situato, che dalla circostanza della sua vita ordinaria tenta di raggiungere lideale. Vediamo come propone Kierkegaard questa teleologia intrinseca nelluomo. Ne Lequilibrio tra lestetico e letico nellelaborazione della personalit, lo pseudonimo insister sulla differenza tra estetica ed etica. Lesteta vive ins Blaue hinein , cio senza coscienza di se stesso. Letico, invece, una volta che si disperato e pentito, conosce se stesso, e si conosce nella sua concrezione. Perci, il nosce te ipsum dei greci applicabile allo stadio etico come espressione dellautocoscienza che mancava nello stadio estetico e che adesso si destata. Ma Kierkegaard criticher il fatto che la corrente intellettualista greca considerava la conoscenza di s come il fine dogni sforzo delluomo. Per il nostro pensatore, la chiave della vita etica non qualcosa di intellettuale ma di pratico, di vita vissuta: Lindividuo etico conosce se stesso, ma questa conoscenza non una mera contemplazione, perch allora lindividuo viene determinato in ordine alla sua necessit; si tratta di una scoperta di se stessi che appunto unazione, ed ecco perch io ho a bella posta usato lespressione scegliere se stessi in luogo di conoscere se stessi58.
56 Diario, X2 A 396. 57 Aut-Aut, V, cit., p. 46. 58 Ibidem , V, pp. 151-2.

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Questa conoscenza pratica, cio questo conoscersi mentre uno si sceglie assolutamente, ha un doppio oggetto: lio reale e lio ideale: Il s che lindividuo conosce , in una volta, il s reale e il s ideale che lindividuo ha al di fuori di s quale immagine in conformit della quale deve farsi, e che pure, daltro lato, ha in s essendo essa lui stesso. Solo in se stesso lindividuo ha il fine verso cui dover tendere con il suo sforzo, e per egli ha questo fine al di fuori di s mentre vi tende59. In definitiva, lo sforzo della vita etica consiste nellattualizzare ci che luomo ha in potenza. Lesistenza umana si concepisce come un processo teleologico di autoperfezionamento: bisogna trarre fuori, attualizzare, la perfettibilit umana tramite la vita buona. Luomo ha in se stesso il suo fine, per ancora non lha raggiunto. La vita etica , dunque, un gi e non ancora, il quale, progredendo mano a mano nelle virt, diventer un gi pieno. Questa ambivalenza del telos il trovarsi dentro di s ma in un certo senso fuori di s come ideale che si deve raggiungere pu rendere possibile un atteggiamento estetico di fronte ad un suo eventuale raggiungimento: Se lindividuo crede che luomo universale giaccia al di fuori di lui, che esso gli debba venir incontro al di fuori, allora s, quegli disorientato, s, quegli ha una rappresentazione astratta, e il di lui metodo rester sempre un astratto annichilimento del s originario. Si torna cos allargomentazione della vita estetica come fantasticheria, come astrattezza che manca di concrezione, e quindi di seriet. Se lideale lo si colloca nelle nuvole sar un ideale inefficace, che non trasciner. La vita etica vita di interiorit. Lideale, luomo generale, si trova in se stesso: Solo in se stesso lindividuo pu trovare delucidazione di se stesso. Ed perci che la vita etica ha tale duplicit, che lindividuo ha se stesso al di fuori di se stesso in se stesso. Il s-tipo tuttavia il s imperfetto, perch solo una profezia, e quindi non quello reale. E tuttavia fa costantemente da scorta al colui in questione; ma tanto pi quegli lo realizza in concreto, pi esso si ritrae entro di lui, finch, da ultimo, invece di mostrarsi dinanzi a lui, giace dietro alle di lui spalle come una possibilit che tramontata. Va con questimmagine come con lombra delluomo. Al mattino luomo getta la sua ombra dinanzi a s, al mezzod questa gli cammina quasi inavvertibile al fianco, alla sera cade dietro alle di lui spalle [...] Allorch lindividuo ha conosciuto se stesso e ha scelto se stesso, allora quegli sul punto di realizzare se stesso in concreto; ma dal momento che la realizzazione di se stesso necessariamente sar libera per lui, allora, s, quegli dovr necessariamente sapere che cos che vuol realizzare. Ci che quegli vuol realizzare dunque ben se stesso, ma il suo s ideale, che pur non trover in nessun altro luogo se non in se stesso. Se non si tien fermo il fatto che lindividuo ha il s ideale in se stesso, allora tutti i suoi pensieri e tutti i suoi sforzi rimarranno astratti60. In cosa consiste lio ideale? Consiste soprattutto nelluomo universale, cio nel portar avanti una condotta morale che compia i doveri generali dellumanit. Letico fare il generale, ci che Kierkegaard stesso riteneva impossibile per lui, generando cos la coscienza della sua eterogeneit e la rottura del fidanzamento con Regina Olsen61. Letico, con altre parole, la vita seria e responsabile di un uomo onesto: Il
59 Ibidem. 60 Ibidem, V, p. 61 Cfr. Diario,

153. VII1 A 126. Cfr. anche G.M. P IZZUTI, Perch Kierkegaard lasci Regina, Filosofia, 4 (1982).

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compito che lindividuo etico si pone di trasformare se stesso nellindividuo universale [...] Luniversale pu infatti ben coesistere con il particolare e sussistere nel particolare senza consumarlo, esso come quel tal fuoco che bruciava senza consumare il roveto!62. Universale e particolare possono coesistere: lindividuo etico tende verso luniversale nella sua concrezione, cio partendo dalla sua situazione esistenziale, senza negarla n annichilirla, come accadeva, secondo linterpretazione kierkegaardiana, nel sistema hegeliano. Quando luomo sceglie se stesso, si sceglie in quanto reale e in quanto ideale. Ma la realt include la situazione. Perci lo sforzo etico non uno sforzo dellio fantasmagorico, che ha tagliato i ponti con la realt quotidiana. Tuttaltro, letico si fa universale nellordinario della vita di ogni giorno: Colui che eticamente ha scelto e ha trovato se stesso egli avr se stesso determinato in tutta quanta la sua concrezione. Egli si ha, dunque, come un individuo che ha quelle doti, quelle passioni, quelle inclinazioni, quelle abitudini, che sta sotto quelle influenze esterne, che le subisce in un senso cos, in un altro cos [...] A questo punto egli ha dunque se stesso come compito in modo che, pi precisamente, tale compito lorganizzare, formare, temperare, accendere come un fuoco, isolare come un fuoco [...] insomma produrre una simmetria nellanima, unarmonia che il frutto delle virt personali. Il fine della sua attivit a questo punto lui stesso, ma con tutto ci non arbitrariamente determinato, perch egli ha se stesso come un compito che gli posto, anche se diventato suo grazie al fatto che lha scelto63. La scelta di se stesso una scelta libera, ma ogni libert ha una sua storia. Non quindi la scelta propria della libertas indifferentiae dellasino di Buridano, ma una scelta esistenziale e perci storicizzata. Questo telos personale, posto dallAssoluto ma scelto dalluomo, che si raggiunge tramite le virt personali notiamo la continuit tra pensiero kierkegaardiano e quello aristotelico non solo personale: il formare se stesso nella nostra concrezione ci rinvia verso lambito del sociale, del civile: i doveri del lavoro, familiari e politici rientrano nello stadio etico e fanno s che lindividuo possa compiere il gene rale mentre forma se stesso. 2.4. I doveri dellesistenza etica Il singolo etico non un Robinson, non vive isolato dal resto degli altri uomini: scegliendo se stesso assolutamente, ha se stesso come compito per unattivit grazie alla quale prende, come quella determinata personalit, le redini della situazione della vita64. Il dovere del singolo va realizzato nel sociale, cio dentro una situazione esistenziale concreta. Cos il dovere? Il dovere luniversale, il generale. Perci, possibile un atteggiamento scettico di fronte alleventuale compimento del dovere da parte del singolo. lo scetticismo di colui che esclama: insomma io non posso assolutamente fare il dovere! Il dovere luniversale, [...] ci che sesige da me luniversale, [...] ma ci che io posso fare la singola cosa [...]65. Tuttavia, questo scetticismo frutto di una
62 Aut-Aut, V, cit., p. 63 Ibidem , V, p. 156 64 Ibidem , V, p. 157. 65 Ibidem, V, p. 158.

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sbagliata concezione del dovere. Il dovere luniversale, ma un dovere interiore e non esteriore: luniversale si deve compiere personalmente, individualmente, singolarmente. In conseguenza, ci a cui sono obbligato non a fare il dovere in generale ma il mio dovere: Io non dico mai di qualcuno un egli fa il dovere o i doveri, ma dico: Egli fa il suo dovere, dico: Io faccio il mio dovere, fa tu il tuo!. Ci mostra che lindividuo , in una volta, luniversale e il singolo. Il dovere universale, esso si esige da me; se dunque io non sono luniversale, non potr affatto fare il dovere. Daltro lato il mio dovere il singolo elemento, un qualcosa per me solo, e per si tratta del dovere, e dunque delluniversale. A questo punto la personalit si mostra nel suo pi alto valore in assoluto. Essa non senza legge, non d affatto a se stessa la sua legge, perch la determinazione dovere resta; ma la personalit si mostra come lunit delluniversale e del singolo66. Il dovere universale si mostrer come compito singolare, come il cammino personale per fare della nostra propria esistenza il generale. Perci, quello che conta nella vita etica non la molteplicit di doveri, ma lintensit nella consapevolezza che bisogna fare ciascuno il suo dovere, espressione singolare delluniversale. Lintensit del dovere una delle prove pi evidenti dellimmortalit dellanima, la conferma delleterno valore del suo essere67. Essere consapevoli del proprio dovere e della responsabilit che ne deriva farsi signori di se stessi: Lessenziale, lunica cosa che, come si dice, conta dessere sempre, in rapporto alla propria vita, non un proprio zio, ma il proprio padre68. Nel considerare il proprio compito esistenziale per incarnare luniversale rientra il dovere personale di lavorare. Il lavoro esprime luniversale ogni uomo deve lavorare e allo stesso tempo rende libero. La riflessione kierkegaardiana sul lavoro presenta elementi molto interessanti, che evidenziano un apprezzamento molto positivo delle attivit lavorative. Il lavoro non solo una necessit per soddisfare i bisogni pi essenziali della vita umana. Lideale della vita non liberarsi dal lavoro, come se si trattasse di una triste schiavit: Tanto pi basso il livello a cui si trova la vita umana, tanto meno si mostra la necessit di lavorare; tanto pi in alto essa si trova, tanto pi compare tale necessit. Questo dovere di lavorare per vivere esprime ci che comune al genere umano, ed esprime anche, in un altro senso, luniversale, poich esprime la libert. Appunto lavorando luomo si libera, lavorando diventa signore della natura, lavorando mostra dessere superiore alla natura69. La superiorit delluomo su tutto il creato una partecipazione della Provvidenza attraverso cui Dio governa luniverso, perch luomo pu diventare, tramite il lavoro, la sua propria provvidenza. Leggiamo questo bellissimo brano di Aut-Aut: bello vedere i gigli del campo, i quali, sebbene non filino n cuciano, son vestiti in modo che nemmeno Salomone, in tutto il suo lustro, era cos splendido; bello vedere gli uccelli trovare senza affanno il loro cibo, bello vedere Adamo ed Eva in un paradiso in cui possono avere tutto ci che additano; ma tuttavia ancora pi bello vedere un uomo guadagnare con il suo lavoro ci di cui abbisogna. bello vedere una provvidenza che soddisfa tutto e si prende cura di tutto; ma ancor pi bello vedere un
66 Ibidem. 67 Ibidem, 68 Ibidem, 69 Ibidem,

V, p. 161. V, p. 162. V, p. 182.

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uomo che per cos dire la sua propria provvidenza. Per questo lessere umano grande, pi grande dogni altra creatura, in quanto pu prendersi cura di se stesso! bello vedere un uomo possedere in abbondanza ci che ha da s guadagnato, conquistato; ma anche bello vedere un uomo che fa un giuoco di destrezza, ancora pi grande, vederlo trasformare il poco in molto70. Il lavoro manifesta la libert, e perci la possibilit di lavorare una espressione della perfezione dellessere umano. Ma una espressione ancora pi alta di questa perfezione il fatto che luomo non solo possa ma che debba lavorare. Il dovere di lavorare anche il dovere di sviluppare le potenzialit che ogni uomo ha. Si pu godere di un talento artistico sublime, o si pu essere in possesso di abilit pi modeste. Ma nelle sfere delletico ci accidentale. Quello che conta che ogni uomo ha un ruolo da svolgere in questa vita, ha una vocazione specifica, ha, in altre parole, una missio ne: Letico [...] afferma: Ogni uomo ha una missione!. Egli non annulla le differenze, ma dice: Di tutte le differenze c come resto luniversale del fatto che si tratta di una missione!. Il pi eminente talento una missione, e lindividuo che ne in possesso non pu perdere di vista la realt, egli non sta al di fuori di ci che comune al genere umano, perch il suo talento una missione. Lindividuo pi insignificante ha una missione, non devessere rifiutato, non devessere mandato a vivere ad un confinium con gli animali, egli non sta al di fuori di ci che comune al genere umano, egli ha una missione71. La missione personale si concretizza nel lavorare a seconda delle proprie capacit, senza fare distinzioni tra un lavoro alto o basso, sublime o volgare: il lavoro del singolo etico soddisfer le necessit vitali per anche e soprattutto nel lavoro il singolo avr trovato unespressione pi significativa del rapporto di questo con la sua personalit: la sua missione, la messa in esecuzione della quale quindi congiunta ad un soddisfacimento per la sua personalit tuttintiera; ed ha del pari trovato unespressione pi significativa del rapporto del suo lavoro con gli altri uomini, perch essendo il suo lavoro la sua missione, cos, vero, egli vien posto, per ci che concerne lessenziale, sullo stesso livello di tutti gli altri uomini, egli fa insomma col suo lavoro la medesima cosa di chicchessia altro, egli adempie la sua missione. Questo riconoscimento egli esige, e non esige di pi, perch questo lassoluto!72. La missione personale, identificata col lavoro, manifesta che c un ordine razionale delle cose, nel quale ogni uomo, caso mai lo voglia, occupa il suo posto in modo da manifestare dun sol colpo ci che comune al genere umano e ci che individuale73. La missione personale fornisce continuit alla vita etica: la missione una portatrice di senso per lesistenza umana, ed era proprio ci che mancava nello stadio estetico di esistenza. Questa continuit della vita, questa tensione verso il proprio telos che ladempiere il dovere universale singolarizzato nella missione, fa s che un uomo volgare, senza speciali doti o talenti, possa diventare un eroe nella vita ordinaria. Cos, con questa parola, eroe, Kierkegaard definisce luomo etico ordinario: Ma metti che ci voglia molto coraggio per fare ci che ordinario, e colui che mostra molto coraggio certo un eroe [...] Affinch uno sia chiamato eroe non si
70 Ibidem, 71 Ibidem, 72 Ibidem , 73 Ibidem,

V, pp. 182-183. V, p. 195. V, p. 196. V, p. 195.

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deve tanto tener conto di ci che fa quanto di come lo fa. Uno pu conquistare regni e paesi senza essere un eroe, un altro dominando il suo animo pu mostrarsi eroe. Uno pu mostrare coraggio facendo lo straordinario, un altro facendo lordinario. Il problema resta costantemente di come lo fanno74. Il vero coraggio etico si trova nello sforzo per adempiere i propri doveri nella vita ordinaria. Lo straordinario che fugge dalle circostanze della propria situazione esistenziale, dal posto che uno occupa nel mondo per la sua missione, una tentazione estetica. Perci nella vita ordinaria si sviluppa lo stadio etico dellesistenza. E questa vita ordinaria, vita di lavoro, anche vita familiare. Lespressione dello stadio etico di esistenza il matrimonio. Nel focolare familiare si trova la serenit per compiere la propria vocazione con armonia. I caratteri maschile e femminile si completano, e la cura per le piccole cose, per il concreto proprio del bel sesso, si armonizza con la tendenza alla riflessione del marito. Lo stadio etico dellesistenza esprime il generale, luniversale: lo stadio del dovere. Lo pseudonimo di Aut-Aut, denominato B, che scrive una lettera ad un gio vane esteta (A), cos descrive la sua situazione nel mondo. un testo riassuntivo che pu servire anche per terminare di delineare questo stadio esistenziale: Io ricopro il mio ufficio di magistrato, sono contento della mia professione, credo che essa corrisponda alle mie capacit e alla mia personalit tuttintiera, e lo so, essa esige le mie forze. Ad essa cerco di formarmi sempre pi e, agendo cos, sento del pari che mi perfeziono sempre pi nel mio sviluppo. Amo la mia sposa, sono felice del mio focolare. Odo la ninnananna che mia moglie canta, e mi risulta pi bella dogni altro canto, senza che per questo creda lei una cantante. Odo gli strilli del piccolo, e alle mie orecchie non sono disarmonici, vedo suo fratello maggiore crescere e far progressi, volgo lo sguardo lieto e fiducioso entro il suo avvenire, non impaziente, perch ho tutto il tempo dattendere, e questattesa per me, in se stessa, una gioia. Il mio ufficio ha importanza per me stesso, e credo che in una certa misura labbia anche per altri, sebbene io non possa determinare e precisamente misurare tale importanza. Provo gioia al fatto che la vita personale degli altri abbia importanza per me, e desidero e spero che anche la mia possa averla per loro con i quali simpatizzo in tutto quanto il mio modo di considerare la vita. Amo la mia patria, e non riesco ad immaginarmi che potrei trovarmi proprio a mio agio in qualche altro paese. Amo la
74 Ibidem,

V, p. 203. Sia la dottrina kierkegaardiana sul lavoro che la valutazione della eroicit della vita ordinaria fanno pensare alla dottrina, insegnata un secolo dopo, del Beato Josemara Escriv. Certamente il contesto diverso, ma non mancano punti di contatto. Penso ad esempio al continuo richiamo del Beato Escriv di evitare la tentazione di fuggire dalla vita ordinaria cercando avventure straordinarie, con il rischio di diventare anime tarta rinesche (Kierkegaard avrebbe detto fantastiche), cio con latteggiamento proprio di Tartarino di Tarascona, personaggio di un romanzo di Alphonse Daudet, di dar la caccia ai leoni nei corridoi di casa, dove al massimo si pu trovare un topolino o poco altro (J. ESCRIVA , Amici di Dio, Ares, Milano 1988, p. 28). Contesto diverso, ispirazione diversa allinterno della comune tradizione cristiana, ma non completa estraneit. Cornelio Fabro ha segnalato qualche somiglianza tra questi due autori. Riferendosi al libro Cammino, del Beato Escriv, scriveva: Si potrebbe dire e non credo che il confronto sia infondato che lopera per genialit spirituale se non per mole, ovviamente pu stare accanto alle Penses di Pascal e al grande Diario del massimo scrittore edificante dellOttocento, Sren Kierkegaard (C. F ABRO, La tempra di un Padre della Chiesa, in AA.VV., Santi nel mondo , Ares, Milano 1992, p. 25).

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mia madre lingua, che rende libero il mio pensiero, trovo che quanto al mondo posso aver da dire io posso eccellentemente esprimere in essa [...] In tal modo la mia vita ha importanza per me, e tanto che me ne sento lieto e soddisfatto. Ma accanto a tutto ci io vivo anche una vita superiore, e quando a volte capita che aspiri a questa vita superiore nel respiro della mia vita terrena e casalinga, allora mi reputo beato, allora per me larte e la grazia si fondono insieme. In tal modo io amo lesistenza, in quanto bella, e ho la speranza di una ancora pi bella75. 2.5. La sospensione teleologica delletica In Aut-Aut lo stadio etico di esistenza, bench lodato e raccomandato di fronte ad un atteggiamento estetico della vita, non uno stadio definitivo. Di fatto, in un Ultimatum con cui si finisce questopera, Victor Eremita pseudonimo di un supposto editore dellinsieme di carte che formano Aut-Aut inserisce un discorso di un pastore, il cui contenuto centrale il dire che di fronte a Dio sempre abbiamo torto. In altre parole, non si pu compiere alla perfezione il dovere etico, il generale, ed essere quindi in regola con lAssoluto. Perci, lo stadio etico inizia e finisce col pentimento, e dunque non pu essere un stadio definitivo. Inoltre, Johannes Climacus, quando si riferisce al passaggio dalla vita estetica alla vita etica che si descrive in Aut-Aut, afferma che per disperare efficacemente lindividuo ha bisogno dellassistenza divina76. Letica che si presenta in Timore e Tremore un etica di tipo kantiano-hegeliana. letica del dovere generale esteriore agli uomini, e quindi irraggiungibile con le forze umane. Ci troviamo di fronte ad una certa semplificazione delletica, e ad un cambiamento di prospettiva rispetto alletica delle carte di B, che quella che abbiamo descritto nei paragrafi precedenti. Kierkegaard gioca con i suoi pseudonimi, cambiando continuamente di prospettiva. Il bersaglio di Johannes de Silentio adesso letica autonoma kantiana e il tentativo hegeliano di affermare la superiorit della ragione rispetto alla fede: landare oltre la fede77. Secondo questa etica del generale, lindividuo che non fa il generale necessariamente pecca: Letica come tale il generale e, come tale, valido per ognuno: ci che in un altro modo si pu esprimere dicendo che vale a ogni momento. Esso riposa immanente in se stesso, non ha nulla fuori di s che sia il suo telos, ma esso stesso il telos di tutto ci che fuori di s e quando letica ha assunto questo in s, non si va pi oltre. Il Singolo, concepito immediatamente come realt sensibile e psichica, il Singolo che ha il suo telos nelluniversale; il suo compito etico di esprimere se stesso nel togliere la sua singolarit per diventare il generale. Appena il Singolo vuol farsi valere nella sua singolarit di fronte alluniversale, egli allora pecca78. In questo contesto, letica lassoluto: non si pu andare oltre. Ma Johannes de
75 Aut-Aut, V, cit., p. 238. 76 Postilla conclusiva... , cit., p. 398. 77 Concordiamo con Jean Wahl quando

afferma che secondo alcuni commentatori questa identificazione (etica= generalit intesa in senso hegeliano) non esprimerebbe il pensiero profondo di Kierkegaard (J. W AHL, Prefazione a Timore e Tremore , Edizioni di Comunit, Milano 1952, p. XI). 78 S. KIERKEGAARD, Timore e Tremore, Edizioni di Comunit, Milano 1952, p. 65.

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Silentio presenter un caso storico in cui un singolo individuo and contro il generale per obbedire ad un mandato divino: Abramo, nostro padre nella fede, che per obbedire Dio era disposto ad uccidere suo figlio Isacco. Era Abramo un assassino, un empio o il padre della fede? Se letica del generale fosse lassoluto, se la ragione fosse lultima istanza per stabilire la regola di condotta morale, allora Abramo figlicida. A questa conclusione arriver Kant nel celebre saggio Il conflitto delle facolt. Johannes de Silentio, al contrario, considera Abramo un eroe. Lo dice con le seguenti parole: Nessuno che sia stato grande nel mondo, sar dimenticato; ma ognuno stato grande a suo modo, ed egli am ciascuno secondo la sua grandezza. Poich colui che ha amato se stesso, diventato grande con se stesso. E colui che ha amato gli altri uomini diventato grande con la sua dedizione. Ma colui che ha amato Dio, diventato pi grande di tutti. Ognuno devessere ricordato, ma ciascuno diventato grande in rapporto alla sua attesa. Uno diventato grande collattendere il possibile; un altro collattendere leterno; ma colui che attese limpossibile, divenne pi grande di tutti. Ognuno devessere ricordato. Ma ognuno stato grande in rapporto alla grandezza contro cui combatt. Poich colui che combatt contro il mondo, divenne grande vincendo il mondo, e colui che combatt contro se stesso divenne pi grande vincendo se stesso, ma colui che combatt con Dio divenne pi grande di tutti79. Latteggiamento esistenziale di Abramo non quello di un uomo guidato solo per la sua ragione. Abramo ha una passione infinita, che lo spinge a credere in virt dellassurdo, la fede: Grazie alla fede, Abramo abbandon la terra dei suoi padri e divenne straniero nella Terra Promessa. Lasci indietro una cosa e prese con s una cosa, lasci la sua intelligenza terrena e prese con s la fede80. Questa passione infinita lo mette in contatto con lAssoluto, e perci letica non sparisce, ma torna relativa. Il dovere assoluto quello del singolo rispetto a Dio. Letica non si rifiuta, ma trova un posto subordinato rispetto alla sfera religiosa. Kierkegaard parla di una sospensione teleologica delletica: ci sono alcuni doveri personali del singolo rispetto a Dio che fanno s che si vada contro il generale: Se la fede non trasforma in unazione santa il voler uccidere il proprio figlio, allora vale per Abramo il giudizio come per qualsiasi altro uomo. Se forse manca il coraggio di svolgere fino in fondo il proprio pensiero e di dire che Abramo era un assassino, allora meglio procurarsi questo coraggio senza sprecare il tempo in discorsi inutili. Lespressione etica per lazione di Abramo che egli voleva uccidere Isacco, lespressione religiosa chegli vuol sacrificare Isacco81. Non che Abramo si colloca contro il generale poich non raggiunge laltezza etica desiderata. Tutto il contrario: la sospensione teleologica delletica significa che il Singolo si colloca sopra il generale; Infatti, la fede questo paradosso che il Singolo pi alto del generale, per, si badi bene, in modo che il movimento si riprende; il Singolo quindi, dopo essere stato nel generale, ora come il Singolo esso si isola come pi alto del generale. Se la fede non consiste in questo, Abramo perduto, la fede allora non mai esistita in questo mondo [...] Infatti, se letica, cio la morale, la cosa pi alta e se nulla dincommensurabile ritorna nelluomo in altro modo, se
79 Timore e Tremore, 80 Ibidem. 81 Ibidem, p. 51.

cit., p. 46.

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non come questo incommensurabile che il male, cio il Singolo che devessere espresso nel generale non c bisogno pi di altre categorie oltre quelle della filosofia greca o quelle che un pensiero coerente pu derivare da essa82. Collocarsi sopra il generale non altro che la possibilit del Singolo di stare in rapporto assoluto con lAssoluto83. Secondo Johannes de Silentio, in ci consiste il paradosso della fede: che il Singolo pi alto del generale, in modo che il Singolo determina il suo rapporto al generale mediante il suo rapporto allAssoluto e non il suo rapporto allAssoluto mediante il suo rapporto al generale. Il paradosso si pu anche esprimere dicendo che c un dovere assoluto verso Dio, perch in questo rapporto di dovere il Singolo si rapporta come Singolo assolutamente allAssoluto. Quando, a questo proposito, si dice che c il dovere di amare Dio, si esprime qualcosa di ben altro dalla concezione ordinaria: poich se il dovere verso Dio assoluto, il momento etico ridotto a qualcosa di relativo. Da questo non segue che letica debba essere distrutta, ma essa ottiene una tuttaltra espressione, lespressione del paradosso84. Il movimento della fede un movimento infinito. Questo movimento doppio: la rassegnazione assoluta e il salto. Prima di arrivare alla fede, il Singolo deve rassegnarsi infinitamente di perdere tutto il finito, per guadagnare Dio; accettare il dolore di questa esistenza per attingere ad una eterna: La rassegnazione infinita lultimo stadio che precede la fede, cos che chiunque non abbia fatto questo movimento, non ha la fede; anzitutto nella rassegnazione infinita che mi diventa chiaro il mio valore eterno e che soltanto allora ci pu essere questione di afferrare lesistenza in forza della fede85. Il cavaliere della rassegnazione deve avere molta forza per rinunciare a tutto il finito. Ma per diventare il cavaliere della fede bisogna fare un secondo movimento infinito: Egli fa esattamente le stesse cose che fa laltro cavaliere; egli fa una rinuncia infinita allamore, ch il contenuto della sua vita, riconciliato nel dolore; ma allora si compie il prodigio, egli fa ancora un movimento pi meraviglioso di tutti, poich dice: io per credo che riuscir ad averla in virt cio dellassurdo, in virt del principio che a Dio tutto possibile86. Avere fede credere nellassurdo; la fede il paradosso dellesistenza. Con la rassegnazione infinita io rinunzio a tutto: questo movimento io lo faccio da me stesso e ci che ottengo il mio io nella sua coscienza eterna, nella beata intesa col mio amore per unessenza eterna. Con la fede io non rinunzio a qualcosa ma con la fede io ottengo tutto 87. La fede una passione: il movimento dellinfinit, il rapporto assoluto del Singolo con lAssoluto non si fa tramite una mediazione di riflessione: Ogni movimento di infinit avviene con passione e nessuna riflessione pu produrre un movimento. Questo il salto continuo nellesistenza che spiega il movimento, mentre la mediazione una chimera che in Hegel deve spiegare tutto e nello stesso tempo lunica cosa chegli non ha cercato di spiegare88.
82 Ibidem, 83 Ibidem, 84 Ibidem, 85 Ibidem, 86 Ibidem, 87 Ibidem. 88 Ibidem,

p. 65. p. 66. p. 73. p. 60. p. 61. p. 58.

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Timore e Tremore unopera non facile lopera pi difficile di Kierkegaard e nella quale, pi che in qualsiasi altra, egli ha fatto di tutto per confondere i lettori89 molto legata alle vicende sentimentali di Kierkegaard. Il doppio movimento di rassegnazione e fede ha molto a che vedere con la rinunzia a Regina Olsen e la speranza di riaverla90. Secondo il Kierkegaard di questo periodo, sembra che il guadagno della fede (con la fede io ottengo tutto) un guadagno per questa vita, dove mi si restituisce la finitezza a cui io avevo rinunziato. Sar soprattutto ne La malattia Mortale e ne Lesercizio del Cristianesimo, dove svilupper pi definitivamente la sua concezione della fede. Comunque restano validi gli elementi finora abbozzati: il contenuto della fede il paradosso, la forma psicologica di avvicinarsi alla fede la passione infinita, la fede lo spazio in cui si verifica il rapporto assoluto del Singolo con lAssoluto, quindi del Singolo davanti a Dio. Nell Appendice della Postilla , Johannes Climacus considera che in Timore e Tremore sono posti tutti gli elementi decisivi che sono sviluppati appunto nella Postilla: L etica lo scrupolo; il rapporto a Dio comparso; limmanenza della disperazione etica rotta; il salto posto; lassurdo la notificazione91. La Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di Filosofia, opera gigante di riflessione esistenziale anti-sistema, arriver a una formulazione pi completa dellesistenza, con lidentificazione tra soggettivit e verit. Le caratteristiche di questa opera, forse la pi filosofica dellintera produzione kierkegaardiana, fanno s che meritino uno studio specifico, e quindi sfuggono alle possibilit di questo articolo, anche se con quanto si detto sono poste le premesse per un futuro studio sulla Postilla.

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Nel tentare di esporre i lineamenti descrittivi fondamentali della nozione del singolo kierkegaardiano tentativo che si soffermato soprattutto nellanalisi delle prime opere pseudonime del danese abbiamo fatto ricorso sovente alle interpretazioni kierkegaardiane di Cornelio Fabro. In una commemorazione del grande filosofo friulano recentemente scomparso, Marcello Snchez Sorondo si riferiva al primato esistenziale della libert come nuova lettura di san Tommaso mossa dallesistenzialismo kierkegaardiano. Desidero finire queste pagine con la citazione testuale del discorso di Snchez Sorondo, con cui concordiamo pienamente: Lessenza creativa della libert non riducibile a un concetto, n a un giudizio e neppure a un discorso, ma nella posizione di s in s quanto atto in grado di muovere per trattenere o lasciare, per accogliere o respingere, per amare od odiare [...] ci, e soltanto ci, che luomo vuole essere nella propria vita. Quindi Fabro propone, con una interpretazio89 J. WAHL, Prefazione , p. X (la citazione viene attribuita da Wahl a Hirsch). 90 Cfr. G.M. P IZZUTI, Metafisica della crisi e dialettica delleccezione: Kierkegaard

e Regina, in G.M. PIZZUTI, Tra Kierkegaard e Barth: lombra di Nietzsche, Osanna Venosa, Venosa 1986, pp. 138-145. 91 Postilla conclusiva ..., cit., p. 402.

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Mariano Fazio

ne nuova di san Tommaso, un primato esistenziale della libert come indipendenza radicale del soggetto spirituale dal finito e come inizio della libert in e con se stessa per la verit: movet seipsam et intellectum a seipsa et omnes facultates per seipsam. Cio, Fabro riesce a sintetizzare lesigenza moderna, che esprime lesistenzialismo kierkegaardiano dellemergenza dellIo singolo davanti a Dio e davanti a Cristo, con la nozione tomista della persona come essere necessario per partecipazione, dotata di intelligenza e di volont; cos che la responsabilit dellagire si richiama alla responsabilit del pensare e luna rifluisce nellaltra mediante il salto della decisione. Salto, questo della decisione creativa, che suppone la persona come un essere assoluto per partecipazione, perch solo un essere assoluto per partecipazione pu essere capace di avere una libert come creativit partecipata92. Siamo consapevoli della problematicit di molte tematiche kierkegaardiane, in particolare quella della sua nozione di fede, che comunque stata affrontata in questo articolo solo lateralmente. Ma dietro le intrincate pagine di Kierkegaard e tra la foresta dei suoi pseudonimi cresce con vigore sempre nuovo il singolo con il suo carattere quasi assoluto: luomo libero dal finito e dipendente da Dio, responsabile dei suoi atti, ma bisognoso dellaiuto dallalto. La risoluzione kierkegaardiana della dialettica autonomia-eteronomia si trova nellidentificazione della libert con la dipendenza da Dio, che il singolo porta a compimento quando mettendosi in rapporto con se stesso, volendo essere se stesso, lio si fonda in trasparenza nella potenza che lha posto93.

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Abstract: The thought of Kierkegaard hinges upon what he calls my category, the individual. Arising in reaction to the system of idealism, the kierkegaardian category reproposes a vision of the world, aristotelian in origin, in which the only existing beings are individuals. As a result of Kierkegaards exclusively ethical and religious interest, the only real existence, for the Danish thinker, is ethical existence, in which the individual rediscovers himself as a free self, in becoming, founded on the Absolute. Freedom, as the fulcrum of ethical existence, is identified with dependence upon the Absolute. The loss of the selfs foundation upon the power that constitutes it God leads the individual to despair. The selfs self-constitution, upon the Absolute, by way of the ethical choice of oneself, is a free process. In this process the self must leave the immediacy of the aesthetical stage and arrive at the religious stage, which is the domain of faith. The kierkegaardian individual offers material for reflection to those who wish to found the existential primacy of freedom.

92 M. SA NCHEZ SORONDO, Vitalit di 93 La malattia mortale, cit., p. 627.

una proposta, Studi Cattolici, 415 (1995), p. 532.

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