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Il Delta del Niger affonda nell'inquinamento.

Colpa del petrolio

di Sonia Raffa - Ciò che importa è comunicare sicurezza. La trasparenza del proprio agire
quotidiano deve essere ben incastonata in un programma virtuoso, teso alla promozione del
benessere. Il nostro benessere: di chi sfoglia virtualmente le brochure patinate delle
multinazionali che offrono speranza. E così, sembra possibile che anche dall’estrazione del
petrolio si possa ricavare manna!

L’ENI è stata la prima tra le aziende europee a dotarsi di un codice etico, nel lontano 1994. Un manuale di buona
condotta che erge a principi fondanti la politica del sistema aziendale la trasparenza, la legalità, la correttezza e la
buona fede e da come obiettivi lo sviluppo sostenibile e la difesa e la promozione dei diritti umani.

Questa, la copertina. Non si ha mai abbastanza tempo per sfogliare accuratamente le pagine più interne, quelle che
odorano di bruciato. E cammini per strada, sulla tua utilitaria, costeggiando un gigantesco manifesto pubblicitario dal
quale la faccia sognatrice di Massimo Ghini ti rende partecipe del sogno del fondatore dell’ENI: "dare energia agli
italiani". E tu, come recita lo spot-tv, sei chiamato a "rimettere in circolo" quell’energia. Attraverso un meccanismo di
relazione semi-simbolica, il messaggio veicolato è quello di un’azienda attenta ai clienti e all’ambiente. Ma ti
riconosceresti altrettanto in questa foto?

L’industria del petrolio è visibilissima nel Delta del Niger, ma non è la visibilità di un tramonto o della cucina
accogliente della tua casa. La Shell (consorziata con ENI) occupa un territorio di 31,000 metri quadri attraversato da
pozzi, tubature e stazioni petrolifere. 5mila chilometri di condutture attraversano l’area. Il 28 agosto 2008 una
fuoriuscita di gas dall’oleodotto, durata per più di due mesi, ha gravemente danneggiato l’accesso al cibo della
popolazione che abita le zone, fin troppo, prossime agli stabilimenti petroliferi. Un anno prima, 269 morti bruciati a
causa dello scoppio di un oleodotto nel quartiere Abule Egba di Lagos. Anche le Nazioni Unite hanno sottolineato
come la Shell petroleum abbia operato in Nigeria per 30 anni senza un serio controllo circa l’impatto ambientale delle
loro attività (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), Niger Delta Human Development Report, 2006).

La testimonianza di un pescatore di Bodo dovrebbe stridere alle nostre orecchie:"se vuoi andare a pescare devi
pagaiare per circa quattro ore attraverso diversi fiumi prima di arrivare dove c’è pesce e le fuoriuscite sono
minori…alcuni dei pesci che prendiamo, quando apri il loro stomaco, odorano di petrolio grezzo." (fonte: Amnesty
International "Petrolio, inquinamento e povertà nel Delta del Niger" www.amnesty.it). Niente a che vedere col
rimettere in circolo l’energia.

Amnesty International e Green Peace hanno più volte denunciato la violazione dei diritti umani ed il grave danno
ambientale arrecato dalle attività delle multinazionali del petrolio, tra cui l’ENI e alcune società del consorzio Agip,
auspicando una bonifica dei territori, la garanzia di una efficace tutela delle condizioni di vita della popolazione,
risarcimenti adeguati alle vittime, la salvaguardia dell’ambiente ed in particolare delle zone protette, come il Mare di
Barents che bagna la costa occidentale della Norvegia, fascia marina di grande importanza per la conservazione della
biodiversità concessa nel 2003 all’ENI per le trivellazioni petrolifere. In attesa di azioni positive che prendano il posto
di diplomatiche rassicurazioni, continuiamo a sfogliare le nostre luccicanti riviste certi, stavolta, di guardare con un
maggiore attenzione i dettagli dietro quei rassicuranti sorrisi.
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Data creazione: 20.07.2009 10:52:00
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Data ultima stampa: 20.07.2009 11:05:00
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