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La ‘ndrangheta perde, Gianluca vive nella storia

C’è un frammento di mondo, la Calabria, dove la bellezza del territorio, il clima ed il mare con
le sue spiagge sembrano voler distogliere l’attenzione da quella parte dolente e disumana,
quella che sa dove colpire, quella che logora e ferisce la gente perbene, quella fetta chiamata
‘ndrangheta. C’è il sole a Siderno, è Maggio. E’ l’anno 2009.

Mario Congiusta ci porta, con il suo racconto, dentro l’indelebile e feroce ricordo di un
assassinio, quello del figlio, commerciante di telefonia, avvenuto la sera del 24 maggio 2005. E’ colpevole Gianluca,
lo è perché vive in quel pezzo di mondo dove troppo spesso s’incontrano “Cartelli” che impongono di girare in senso
contrario rispetto alla legalità, se vuoi vivere tranquillamente. Gianluca però non cede il passo e continua ad andare
verso il lato giusto, così la criminalità organizzata, con le sue leggi impure, condanna Gianluca, pena l’omicidio: per
aver preso tra le mani la famosa lettera estorsiva, destinata ad Antonio Scarfò imprenditore e futuro suocero; ed aver
incitato lo stesso a non pagare il pizzo. Tommaso Costa massimo esponente dell’omonima famiglia mafiosa, è a
disagio, non deve arrivare notizia del tentativo di estorsione alle orecchie della cosca dei Commisso, un tempo
nemica, o l’equilibrio che regge il quieto vivere tra le due famiglie mafiose di Siderno potrebbe rompersi. Il boss vuole
Gianluca morto. Sono le ventitrè, Gianluca è alla guida della sua auto, è in Via Torrente Arena, porta con sé i soldi
dell’incasso, è tranquillo, ascolta la radio, probabilmente non lo sa, ma c’è un killer che lo segue, parte un colpo di
lupara diretto alla testa. Così muore Gianluca. Ora c’è una stele, un monumento per le vittime della mafia, in quella
strada. A breve, un’altra statua riservata a
Congiusta, verrà inaugurata a Cosenza.

Dentro la Fondazione, tra le foto di


Gianluca, i messaggi contro la ‘ndrangheta
scritti da alcuni ragazzi di Bari, e diversi
articoli di giornale, c’è un padre, un uomo
ancora in piedi che lotta, parla, scrive,
denuncia, spiega cosa significa essere
imprenditore in Calabria, a quali
costrizioni, la ‘ndrangheta, chiede di
piegarsi. “Non solo-dice Congiusta -
Antonio Scarfò dovette assumere nella sua
azienda due protetti dei Costa, questo non
bastò alla mafia, ma avrebbe dovuto anche
sborsare mille euro al mese”. “Io stesso-
aggiunge Mario- ho subito diverse
minacce, basta ricordare quando un tizio
entrando nel mio negozio mi chiese di
regalargli un telefonino, io rifiutai, poco
dopo subii una rapina”.

Dopo il funerale di Gianluca, in seguito


alla lunga lotta, oltre il processo, a Siderno
restano solo pochi amici a difendere
dall’isolamento la famiglia della vittima,
perché nel territorio dei controsensi troppo spesso davanti alla strada della non omertà si sceglie di fare marcia
indietro, ma c’è anche una Calabria che sceglie la giusta direzione, che vuole respirare aria pulita, quella che fa
sentire la sua esistenza anche attraverso la realtà virtuale, quella che non ha paura di aderire con nome e cognome
alla petizione promossa da Mario per ottenere “La certezza della Pena” e c’è anche chi il sito lo usa per condannare la
violenza in ogni sua forma.

Il clan della ‘ndrangheta, dei Costa-Zucco-Curciarello diretto da Tommaso Costa, è stato condannato a settantasette
anni per undici imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Costa e Curciarello saranno, invece, giudicati con rito
ordinario. Curciarello è imputato solo di associazione di stampo mafioso. Costa dovrà rispondere, oltre che di
associazione di stampo mafioso, anche dell'omicidio di Gianluca, sia come mandante, che come esecutore.
www.gianlucacongiusta.org/joomla/
Nella foto: Mario Congiusta padre della vittima.

Cristina Turano
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