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Abbasso i tuareg!
di Antonio PASCALE
rifiuti come può pensare al nucleare? Meglio dunque ricorrere alle energie alter-
native. Ci pensai un po’, finché non mi addormentai ma verso le cinque riaprii
gli occhi: ma se fosse il contrario? L’Italia è piena di ottimi tecnici nucleari, di
bravi ingegneri, di ottimi scienziati, tanto bravi che sono un tipico prodotto da
esportazione, perché mai non potremmo gestire il problema del nucleare?
Voglio dire, la dichiarazione di Mercalli e l’applauso della platea, compreso il
mio assenso da casa, non erano forse il risultato di questa (malinconica) equa-
zione atavica: dobbiamo fare qualcosa, sì ma non c’è niente che possiamo fare?
Un paese che non si fida delle proprie potenzialità? Che non ha carattere.
Dobbiamo fare qualcosa.
Sì, ma cosa?
Breve, ma per lo sviluppo della saggia, fondamentale, digressione: alcuni teo-
rici della narrazione – narrazione in senso alto – affrontano spesso quello che si
chiama: modello in tre atti. Un modello vecchio come il cucco. È stato canonizza-
to da Aristotele.
Nel primo atto, il protagonista si sceglie o si crea un obiettivo, scoprire la cau-
sa delle peste a Tebe, vincere la finale dei mondiali, conquistare la ragazza più
bella della scuola eccetera. Nel secondo atto il nostro protagonista fallisce il suo
obiettivo, quindi prima rinuncia, scoraggiato, all’azione, poi ci riflette, rivede i
suoi errori, passa al contrattacco e nel terzo atto, generalmente, vince. È un mo-
dello elementare, una matrice.
Ora, i suddetti teorici, nell’esaminare il modello, sottolineano l’importanza
del secondo atto, il momento nel quale il protagonista fa i conti con la propria co-
scienza, scopre che l’obiettivo dichiarato può essere sollevato su un piano morale,
più alto e nobile, solo se, con coraggio e tormentosa autocoscienza, si affrontano i
propri errori. Il secondo atto segna il momento della lotta: qui bisogna fare qual-
cosa. E la si fa davvero.
Quelle narrazioni dove il secondo atto è carente – nel quale, cioè, la ricerca,
l’inquietudine conoscitiva è ridotta a una pura formalità – danno vita a un’arte
blanda, carente, consolatoria, poco incisiva. Non è importante che cosa proponi,
se vincere la partita, o se prometti un milione di posti di lavoro, se vuoi bonificare
una palude, e nemmeno è importante se riesci a raggiungere il tuo obiettivo, quel-
lo che importa è la strada che scegli. Il protagonista – e l’artista per lui – attraverso
la ricerca che svolge nel secondo atto ci mostra un’inedita soluzione, una strada
magari già tracciata ma che avevamo paura a percorrere.
Ecco, mi sono chiesto quella notte, alle cinque di mattina: cosa penserebbe
un teorico della narrazione se dovesse riassumere il carattere italiano? Probabil-
mente arriverebbe alla conclusione che manchiamo di un serio secondo atto. Sia-
mo un popolo che ama le grandi dichiarazioni retoriche che colpiscono il nostro
cuore e contemporaneamente preferisce risolvere i conflitti a tarallucci e vino.
Siamo emotivi, a volte fortemente empatici, basta un’emozione per farci cambiare
idea, dunque l’uomo che si mostra forte, capace di parlare in maniera tronfia e
60 diretta al cuore, quell’uomo vince.
ESISTE L’ITALIA? DIPENDE DA NOI
Ora, a Napoli, Caserta e provincia, i rifiuti non sono più nelle strade o alme-
no non invadono le strade principali. Eppure fino a un anno fa leggevo svariate
dichiarazioni di politici, amministratori, esperti che dichiaravano: ci vorranno
almeno dieci anni per liberarsi da questi rifiuti. Cosa probabilmente vera. Così,
amministratori, politici, esperti discutevano sul da farsi: termovalorizzatori sì op-
pure no, differenziata sì o forse no e via di questo passo. Le questioni sul tavolo
erano tante che, pensavo, nemmeno fra dieci anni le risolveremo.
Poi Berlusconi ha tolto i rifiuti di mezzo. E ora, non c’è uno, dico un ammi-
nistratore, un esperto, un grillino eccetera che si chiede, ma se ci volevano dieci
anni per liberarsi da questi rifiuti – cosa probabilmente vera – dove ora sono fini-
ti? Si sono volatilizzati? Sono partiti via treno merci per la Germania, sono inter-
rati in qualche discarica?
La domanda è importante perché, sempre secondo i teorici della narrazione,
rappresenta appunto il secondo atto. Dove sono finiti i rifiuti? Sono scomparsi
quindi non dobbiamo più preoccuparci, almeno fino alla prossima crisi? E so-
prattutto, ora che la città è libera dobbiamo combattere per la raccolta differen-
ziata? Per la costruzione di termovalorizzatori? Oppure saltiamo il passaggio in-
termedio, quello analitico, tanto il conflitto per ora è risolto?
Siamo un popolo da primo atto che indirizza tutta la propria stupefacente
creatività nelle dichiarazioni di intenti e poi, fisiologicamente, avendo consumata
molta benzina nel primo atto, rinuncia via via all’analisi che, come si sa, non è
affatto creativa, ma è frutto di un costante rigore stilistico, metodologico eccetera.
Qui dobbiamo fare qualcosa per migliorare il secondo atto.
Ma cosa?
Immagino che chi pratichi la manutenzione non può dire: scioglierò i tuoi
capelli come trame di un canto, il suo rapporto con il prossimo è più pratico,
umile, sarei tentato di dire, più democratico: senti, hai qualcosa nei capelli, mo’
te la tolgo.
La cura è una dichiarazione di potenza, la manutenzione è una dichiara-
zione di limiti: più di questo non posso. Non posso sciogliere i tuoi capelli come
trame di un canto, mi so alzare solo sulle punte e le correnti gravitazionali le co-
nosco così e così.
conosco nessuno e non voglio conoscere nessuno. Ribattuta di mia moglie: quin-
di non vuoi impegnarti affinché tuo figlio abbia almeno una possibilità in più.
La possibilità che tu stesso non hai avuto, hai fatto scuole pessime, tanto è vero
che non sai nemmeno se biblioteca si scrive con una b o con due. Una dico io,
convinto. Ma mi sono buttato a indovinare, effettivamente ho fatto scuole medie
orribili (orri… con quante b?), ai salesiani. E abbraccio, con quante b? mi chie-
de ancora. Faccio finta di non aver sentito, il discorso continua, siamo passati
alle accuse, dunque la metto sul piano etico: l’Italia non cambierà mai se noi per
primi non cambieremo, dobbiamo risolvere il problema alla radice, se racco-
mandiamo (racco… o raco.… una o due c?) nostro figlio grazie a una strategia
poi togliamo il posto agli altri, se tutte le famiglie stanno facendo questo ragiona-
mento in questo momento vuol dire che stanno cercando un uomo capace di ri-
solvere il problema, un curatore. E perché lo cercano? Perché si ritengono mala-
ti, pessimisti, incapaci di risolvere la questione entro la legalità. Alla fine del gio-
co sai chi vince: Berlusconi.
Qui mia moglie mi fa l’applauso e mi dice: allora se sei coerente, adesso vai
dalla preside e le fai questo bel discorso, ti metti davanti al suo ufficio e controlli
che nostro figlio abbia la stessa possibilità (quante b?, mi chiede. Io faccio vedere
che sono concentrato su un piano più alto e mi chiedo: quante b?) degli altri, ov-
vero che le estrazioni vengano davvero fatte a sorte. Vai! Dimostra a tuo figlio che
suo padre crede seriamente nella legalità. Fai un po’ di manutenzione, altro che
discorsi pomposi sull’etica.
E vado a parlare con la preside. Lei mi rassicura con belle parole e io mi ras-
sicuro a mia volta. Come è semplice, penso. La legalità. Esco fuori e incontro
un’amica che mi confida un segreto: ci stiamo impegnando per fare andare no-
stra figlia con i professori migliori, perché è chiaro le sezioni non sono tutte ugua-
li e sai perché? Perché siamo in Italia, ci sono quei professori bravi che fanno be-
ne il proprio dovere e quelli che bravi non sono. Così mi dice la mia amica e con-
tinua: perché dovrei lasciare mia figlia in mano a professori ignoranti? La scuola
media è importante, se non correggi gli sbagli adesso te li porti dietro fino a che
campi. Mia figlia non sa ancora la differenza tra «c’è» verbo e «ce» congiunzione.
C’è verbo e ce congiunzione? Dico io, ma lei continua: ti rendi conto cosa sono
costretta a fare? Raccomandare mia figlia già a partire dalla terza media.
Le dico: per favore, non fare questo discorso a mia moglie.
Siamo italiani dunque. La nostra personale convinzione è che gli altri sono
poco convincenti, tranne qualcuno che invece è convincente. Dobbiamo fare del
tutto per andare con quelli convincenti. E per farlo è necessario convincere qual-
cuno e pregarlo di indirizzarci verso quelli convincenti. Sembra un gioco di paro-
le? Solo in apparenza.
Fin dalla tenera infanzia, questa convincente convinzione ci convince che
per evitare di scrivere biblioteca con due b (come nel mio caso) è opportuno lavo-
rare alla ricerca dell’uomo convincente, quello capace di convincere gli altri d’es-
64 sere più convincente degli altri. Insomma, in sostanza, meglio che la responsabi-
ESISTE L’ITALIA? DIPENDE DA NOI
Sinistra vs sinistre
C’è insomma il carattere italiano e il carattere di sinistra. E ci sono le persone
sinistre e le persone di sinistra. Poi esistono le persone di sinistra che danno molto
credito a persone sinistre. Vandana Shiva è una persona sinistra a cui le persone
di sinistra danno molto credito. Tiene addirittura corsi estivi alla scuola del Pd.
Devo spiegarvi. Questa cosa della sinistra e delle persone sinistre.
Non so voi, io per esempio ho un punto di rottura. Un punto oltre il quale non
sopporto più alcune immagini idealizzate e pompate da solenni dichiarazioni.
Non so il vostro punto di rottura (posso lasciarvi la mia mail per uno scambio d’o-
pinioni in proposito), io tollero molte cose ma crollo sempre sui contadini indiani.
Quando sento parlare dei contadini indiani, io rischio di finire al manicomio.
Dico: o voi o io.
La sinistra era terzomondista con tutto quello che significava. Ora rimpiange
il passato terzomondista. Con tutto quello che significa. Guardo il Tg3. Domenica
26 ottobre, al Tg3 delle 19, Vandana Shiva dichiara: «I semi sterili Ogm hanno
70 causato in questi anni 100 mila suicidi tra i contadini indiani». Un’affermazione
ESISTE L’ITALIA? DIPENDE DA NOI
simile non c’è dubbio fa battere indignati i nostri cuori. Ha il giusto afflato che
caratterizza un primo atto. L’ha detta anche dalla Dandini, se andasse da Fazio
sarebbe lo stesso.
La Shiva veste con il sari e il bindi e dunque diventa ai nostri occhi la tipica
indiana, un prodotto tipico da esportazione. Come se io, di origine napoletana,
andassi per il mondo con indosso la maschera di pulcinella, diventerei il tipico
napoletano adatto a far ridere.
I prodotti tipici siffatti sono molto ambiti dai media, soprattutto – è una mia
ossessione – funzionano nelle trasmissioni ad uso e consumo della sinistra.
Il più delle volte, però, operazioni simili, difendono, come nel caso in questio-
ne, contadini idealizzati e non in carne e ossa. Colpa della nostra angoscia di
morte: più la avvertiamo più la idealizziamo.
In tutto questo bailamme retorico, abituati come siamo – fa parte del nostro
carattere – alla retorica (indovinello, uno scrittore dichiara: negli anni Settanta
facevo parte di quella frangia del corteo che ci proteggeva dalle confidenze del ne-
mico. Chi indovina che lavoro faceva questo scrittore? Posso lasciarvi la mia mail
per scambio) non ci chiediamo mai se la Shiva abbia fornito dati esatti e se li ab-
bia letti correttamente, in fondo è una laureata in fisica e dovrebbe seguire un
metodo epistemologico.
Così non è, la Shiva segue un metodo emotivo e ricattatorio, di sicuro poco
analitico. Purtroppo noi ci eccitiamo per le dichiarazioni ad effetto ma non da-
vanti a grafici che confutano quelle dichiarazioni. È un problema moderno: l’a-
nalisi non emoziona nessuno, la parola sì.
In Italia, la parola viene prima di tutto.
I semi Ogm non sono sterili. Come tutte le piante che si ottengono per semi,
anche quelle Ogm sfruttano il vigore eterotico, ossia se si prendono due linee pure
e stabili per caratteri diversi e si incrociano, il prodotto di questo incrocio, detto
F1 sarà più produttivo (per le leggi di Mendel). Ma se si mettono a coltura semi a
partire dall’F1, le generazioni successive perderanno vigore.
Ragione per cui tutti i contadini da decenni ormai in tutto il mondo (almeno
dove la rivoluzione verde è arrivata) comprano ogni anno i semi dalle industrie
sementiere. Conviene farlo, oltre al vigore eterotico questi semi sono conciati e
dunque esenti da virus e patogeni.
Si otterranno piante più sane, omogenee e tutte produttive allo stesso modo.
Stessa cosa per i prodotti Ogm e per il cotone Bt – che ricordiamo produce una
tossina letale solo per gli insetti, in quanto viene attivata in ambiente alcalino e il
nostro stomaco contiene acido cloridrico. E poi i villi intestinali mancano dei re-
cettori che agganciano la tossina.
L’agenzia internazionale Ifpri, in prima linea nella lotta alla fame nelle aree
più svantaggiate, ha pubblicato un documentatissimo report che smentisce Shiva.
In estrema sintesi: il numero di agricoltori suicidi non è un fenomeno in aumen-
to in India. Dal 2002, anno di introduzione su larga scala del cotone Bt, il nu-
mero dei suicidi fra i contadini è in diminuzione rispetto ai suicidi totali nel pae- 71
ABBASSO I TUAREG!
se. Inoltre in questi anni, ci dice il report, sia le rese sia la superficie coltivata a
cotone con l’avvento del Bt hanno avuto un vero e proprio boom. L’India, pur col-
tivando il 25% della superficie mondiale a cotone, ne produceva solo l’11%. Oggi,
grazie al Bt l’India ha superato gli Stati Uniti. Ancora, secondo tutti gli studi pub-
blicati, il Bt non solo ha aumentato la resa, ma ha anche ridotto – e di tanto –
l’uso di insetticidi. Se il cotone Bt produce di più e inquina di meno, perché i con-
tadini si suiciderebbero a causa di quel cotone? Forse ci sono variabili più com-
plesse da esaminare, che necessitano di un approccio analitico e non emotivo.
Il suicidio dei contadini è dovuto, secondo il report, a variabili complesse, le-
gate soprattutto all’accesso al credito. Non dispongono di assicurazione sui pro-
dotti, dunque se il raccolto, per calamità naturali, è perduto, all’azienda viene a
mancare denaro contante per reimpiantare una coltura, deve per forza chiedere
un prestito e se non può onorare il debito la situazione dell’azienda si fa, anno
dopo anno, più difficile.
Ci sono dunque variabili più complesse da esaminare che necessitano di un
approccio analitico e non emotivo, altrimenti il nostro apporto al problema si li-
miterà alla tipica indignazione di sinistra che produrrà il tipico sapere nostalgi-
co di sinistra.
Insomma, dopo aver letto un report così dettagliato, con grafici e note a chio-
sa, dopo aver chiarito alcuni aspetti che le dichiarazioni della Shiva tendevano,
al contrario, a occultare o a semplificare, dopo tutto questo, ci si chiede: ma oggi,
in un regime di semplificazione emotiva così spinto e tenace, oggi che la crisi del-
la sinistra ci fa preferire il sapere nostalgico all’analisi comparativa, oggi che la
mediocrità si è impadronita dei settori deputati alla conoscenza, oggi, per au-
mentare il nostro tasso di conoscenza cosa è più importante, freddi ma seri e
analitici dati tecnici o dichiarazioni emotive a largo effetto?
Ah, dimenticavo, il report si conclude così: i contadini indiani vedono nel co-
tone Bt una potenzialità e non una minaccia.
Questo metodo dunque valida una teoria solo dopo un travagliato esame e
un’accurata ricerca della prova. È un metodo democratico, nel senso più umile
del termine, per riuscire nel suo intento gli scienziati devono redigere un inventa-
rio, quello che regge all’onere della prova e quello che invece non funziona.
Insomma, nella comunità scientifica io non posso dire: siccome sono indi-
pendente ho visto l’unicorno, fidatevi e finanziatemi. Devo non solo dimostrare la
presenza dell’unicorno, ma affidare i miei dati a una comunità di esaminatori, i
quali, a prescindere dalle mie nobili dichiarazioni di indipendenza, li dovranno
analizzare punto per punto, e poi, attraverso esperimenti ripetuti in vari laborato-
ri, riprodurre il mio unicorno.
Il grande pubblico generalista a digiuno di metodo scientifico e, a ragione,
annoiato dalle procedure di validazione, spesso finisce per accontentarsi della
prima notizia, specie se è sostenuta da un forte tasso di retorica.
Il più delle volte le notizie che finiscono sui media e che tanto allarmano o in-
dignano riguardano lavori che sono ancora nella fase preliminare. In sostanza,
ci si può spingere ad affermare che la scienza è contro le singoli opinioni, ossia
chiede con insistenza la verifica (pubblica e democratica) di quanto affermato
Si capisce che in un regime d’opinioni diffuse e perdipiù sostenute con esca-
motage ricattatori, dove vince chi la dice più grossa (accusando gli altri di mala-
fede) il metodo scientifico dovrebbe non solo diffondersi a partire dalle scuole ele-
mentari (così si può ancora migliorare), non solo dovrebbe indagare sulle teorie
che i piccoli orti diffondono, ma fungere da bussola orientativa, soprattutto in un
paese come l’Italia, sempre così in bilico tra interesse privato e pubblica credulità.
passioni. E sono sicuro che, spronati a dovere, inventeranno nuove molecole chi-
miche o reattori nucleari di quarta generazione capaci di distruggere gli insetti e
di fornirci energia senza contaminare l’ambiente – perché il mondo lo si salva
anche attraverso il buon uso della chimica e dell’energia – o vaglieranno la capa-
cità di alcune piante di produrre seme in assenza di polline (apomittica), così da
sganciare i contadini, e non solo quelli indiani, dall’industria sementiera e nello
stesso tempo migliorare la produzione. E sogno che un politico dichiari coraggio-
samente: qui le chiacchiere stanno a zero, valgono più i dettagliati bilanci
costi/benefici. E ancora, sogno un paese che sappia affrontare il suo secondo atto
ogni volta con coraggio e per farlo faccia uso di tutta la cultura disponibile, senza
steccati, senza limiti parrocchiali da difendere. E alla fine questo paese giunga,
stremato, ma non importa, al terzo atto, proponendoci a sorpresa una dichiara-
zione di limite e non di potenza.
Un paese che abbia il coraggio di dire: era una buona idea ma siamo stati
troppo arroganti nel proporla o forse siamo diventati troppo vecchi per portarla
avanti, abbiamo fatto degli sbagli ma non sappiamo quali, allora, un paese così
di sicuro vedrà arrivare al suo cospetto nuove menti, chimici, agronomi, ingegne-
ri, letterati, artisti, pronti a prendere il testimone della buona idea e a lavorare af-
finché non finisca in cattive mani o venga risucchiato nel buco nero del passato.
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