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RBITRIO

, scelta

(Seag., Wind, cart. Scelta)

Apriamo queste note con alcuni brani tratti dal Libro La Sapienza, utili alla comprensione dei temi che tratteremo. Parleremo pi diffusamente della Sapienza in altra occasione.

" I falsi ragionamenti separano da Dio" (1, 3) " La Sapienza non entra in un'anima abituata al male, n dimora in un uomo schiavo del peccato" (1, 4) " La morte certo non opera di Dio (...) " Smettete di ricercare la morte con gli errori della vostra vita, e di attirarvi la rovina con le opere delle vostre mani. (1, 12) " Egli cre ogni cosa perch sussista" (1, 13-14 ". La Giustizia immortale" (1, 15) " Gli empi chiamano la morte con le mani e le parole" (1,15) " Ma Dio cre l'uomo per l'immortalit avendolo fatto a immagine della propria natura" (2, 23) . Luomo che tiene alla propria vita sceglie con cura e per tempo lindirizzo da dare alla propria esistenza: pu decidere di percorrere il sentiero (spirituale) che porta alla somiglianza con la divina immagine che ha in s, o la via larga che porta alla dissomiglianza e alla morte. Scegliere la via che porta alla morte contro la vera natura delluomo. Chi con le proprie opere cerca la morte e infine la trova, con chi potr dolersene? Perch l'uomo possa sottrarsi a Dio ci vuole una volont positiva di rifiuto.

Si oppone alla verit un'anima contorta, doppia, un'anima di menzogna, un'anima che vuole e non vuole, che non si abbandona, non crede, non si apre, si chiude volontariamente all'azione di Dio. Per amare Dio occorre un amore indiviso, senza sotterfugi, l'amore di un animo limpido e schietto: un'anima che dice di cercare Dio e in atto non vuole che s, non pu avere nessun rapporto con Dio che verit. La menzogna il peccato pi grave. Il Diavolo - per chi crede alla sua esistenza - detto appunto padre di menzogna perch alletta gli uomini con un'alternativa alla vita che non pu rappresentare altro che la morte, alla fine di un'esistenza di empiet. (Diavolo, dal greco dibolos, propr. "calunniatore" deriv. di diabal lein scindere, dividere; per estensione: contraddire). La Sapienza dona la vita. L'uomo possiede la vita nella misura in cui si lascia condurre dalla Sapienza. La Sapienza continua l'opera di Dio, perch come Dio ha voluto le cose, vuole che tutte si con- servino. Egli che , crea perch ogni creatura s i a e viva. Da questo deriva che la morte non pu nascere da lui. Perci il consenso all'azione di Dio per l'uomo sorgente di vita e di immortalit. La V i t a in se stessa, ignora la morte; n pu darla, perch non la conosce, n la possiede. Da questo punto di vista, la morte spirituale sempre un suicidio spirituale. Dio ha scritto la legge nel cuore dell'uomo prima di scriverla sulla pietra. Vi in ogni uomo un'aspirazione al bene, alla purezza, alla bont. E l'uomo per arrendersi al peccato, deve soffocare questa aspirazione. Solo cos si corrompe e muore allo spirito. Dio pi intimo a te di te stesso ed Vita, amore, onnipotenza. L'uomo n o n v i v e se non affonda in questa presenza che si trova al centro pi intimo dell'essere. Ma la vita dell'uomo continua alienazione da se stesso. Davvero l'uomo - attratto all'esterno - stato cacciato dal paradiso ed difficile e quasi impossibile che rientri: il paradiso questa intima presenza dove soltanto l'uomo se stesso. Ma l'uomo vaga fuori e si perde. La vera vita in questo affondare nell'intimo, nel pi intimo centro, l dove non entra nessuno e l'uomo solo davanti a Dio.

Gli uomini vivono una vita esteriore e sono come sconosciuti tra loro. Si toccano solo dal di fuori. Il rapporto con le creature pi intime rimane superficiale, discontinuo, perch vivono altrove e non hanno una perfetta coscienza di quella che la loro patria vera. Finch l'uomo sperimenta una rottura, una estraneit all'inferno, nella dimensione opposta a quella della vita spirituale. Finch l'uomo e Dio sono due, l'uomo perduto e Dio solo ! Finch Dio non dice Se stesso nel pi intimo dell'anima, l'uomo non pu conoscerlo; anzi, Dio non neppure Dio per lui. Portando avanti un'esistenza alienata spiritualmente, l'uomo vive anche la sua morte spirituale.. Finch non genera il Cristo, la creazione rimane caotica e informe. Finch non genera il Cristo, la creatura rimane senza Dio, senza luce, senza speranza, senza amore; la creatura dissimile altro da Dio, ed un puro nulla. Soltanto rinunciando al suo io empirico, al suo "essere tale" inteso come centro del mondo, la creatura diviene capace di valori universali e muore alla morte. L'uomo muore veramente alla morte quando si fa seno che concepisce e genera Dio, quando nel suo fondo increato , nel luogo della Sapienza, nasce il Figlio, immagine del Padre; e Cristo torna in terra, .... la tanto attesa PARUSIA ! "Tu sei - scrive Divo Barsotti - perch Dio nasce da te, perch in qual che modo per te Egli sia (..)In concreto Dio ha voluto cos e se la crea tura non realizza tutto questo, si perde". Fuori dal paradiso terrestre, l'uomo vive non solo estraneo a Dio, ma estraneo a se stesso: l'uomo non conosce se stesso che nella comunio ne con Dio. L'uomo vive dentro la sua casa, dentro di s, se vive in Dio, dal momento che il centro pi intimo dell'uomo il luogo dove Dio dimora. Ma non l'anima che entra in questo centro, Dio che trae l'anima a s. Dio non soltanto strappa l'anima a se stessa, ma l'introduce veramente nella realt del mistero.
(Nota: Dio la Giustizia, come la Sapienza, la Verit e la Bont. Come l'Essere, la Giustizia non n creta, n fatta, n generata, ma generante e genera il giusto. Essere, sapere, amare e operare, essa riversa continuamente nel giusto e il giusto riceve tutto il suo essere, sapere, amare e operare dal cuore e dall'intimo della Giustizia, e da essa soltanto).

In questo centro l'uomo vive nella luce di Dio, si trasforma nella sua luce, la sua vita solo l'amore, la bellezza, la bont, la verit.

I giusti, cadute le apparenze della fantomatica realt di questo mondo, ora posseggono quel Dio che hanno scelto, possiedono la vita che egli stesso possiede. L'immortalit nei giusti ha carattere positivo: non consiste nel fatto che non cadono nel vuoto e nel nulla, ma invece nel possesso in Dio della sua medesima vita. Mai l'Antico Testamento insegna in modo cos esplicito e solenne, eppure sereno e sicuro, in che consista la vita dell'uomo al di l della morte. Per parlare con l'antropologia che sembra implicita nel Libro della Sapienza, la morte colpisce la vita esteriore dell'uomo. E questo ci autorizza a pensare a una creatura che vive in pi o meno reale profondit finch non scende in un fondo, in un centro che rimane inviolabile e incorruttibile e che la morte non tocca. La morte non opera alcuna novit assoluta: come una veste consunta cade il corpo, viene meno anche la psiche, ma vi qualcosa di pi interiore in cui gi ora entriamo in intimit con Dio, che abitato da Dio solo. Se la Grazia non apre questo intimo centro, anche l'uomo stesso rimane sconosciuto a se stesso. E' difficile dire qualcosa di questa vita intima, per la sua semplicit e purezza. E' certo per che se l'uomo entra in questo fondo, le cose create non lo raggiungono e la morte non lo tocca. La morte pu spezzare ogni rapporto con le cose sensibili, pu interrompere il flusso dei pensieri, ma non giunge dove dimora Dio. La vita, in quanto espressione di sentimenti, volizioni e pensieri, cessa. Certamente, anche per colui che vive in Dio la morte rappresenta una rottura di equilibri, in quanto mai l'anima si sottrae totalmente alle sue operazioni naturali, anche se per qualche istante queste vengono sospese. La morte vuol dire sempre qualcosa, ma per chi vive veramente nel centro di s dove dimora Dio, la morte non interrompe la vita. La morte il venire meno di una vita puramente sensibile e psicologica e ci non compromette la continuit della vita dello spirito. Non si pu dire che il Libro della Sapienza intenda insegnare tutto questo, ma difficile negare che implicitamente gi non supponga questa dottrina.

Infatti, la vita che il giusto vive dopo la morte sembra misteriosamente in continuit con la vita presente. I giusti, in comunione con Dio, vivono nel loro centro. La morte pu spogliarli del loro corpo, pu strapparli a un loro rapporto col mondo, ma nel loro centro essi continuano la vita. Questa vita, ora posseduta a una profondit che l'uomo spesso neppure ne ha coscienza, rimane l'unica vita quando ogni rapporto col tempo e col mondo verr meno. Questa vita spirituale diverr tutta la vita e pienamente sar manifesta. La vita sensibile pi esterna ora ci attrae e impone una esperienza che ci rende meno atti a percepire la vita profonda dello spirito. Ma quando la vita sensibile vien meno, la vita dello spirito emerge e diviene tutta luce e purezza di amore. La continuit della vita non si manifesta quindi in una vita larvale nei confronti della vita di quaggi perch l'opacit del tempo vien meno e lo spirito ora realizza la presenza di Dio. Agli occhi del mondo la morte dei giusti sembra senza speranza, sembra che Dio non li difenda, il loro corpo abbandonato ai tormenti, la loro anima alla desolazione. Cos Ges sulla croce parla di un abbandono di Dio: "Dio, Dio mio perch mi hai abbandonato ?" Ma immediatamente aggiunge: "Nelle tue mani consegno il mio spirito" (Mt 27, 46 - Lc 23, 46). Egli nelle sue mani. Anche Ges come uomo vive nella sua esperienza a diverse profondit. Egli vive lo strazio delle membra, la desolazione e l'angoscia della sua anima in un sentimento di abbandono, ma il senso di questa solitudine non tocca l'intimo centro del suo spirito. Nel vertice del suo spirito egli nelle mani del Padre. Non dobbiamo avere paura: quando la morte verr, avr il volto di Dio. Per il giusto il giorno non comincia domani: gi ora si accesa nell'intimo una luce che cresce finch vincer tutte le tenebre. Il mondo comincia gi a tingersi dei colori dell'aurora, malgrado la calotta opaca che copre i nostri occhi di creatura. Il corpo viene abbandonato, perch il corpo mortale non fatto per la vita divina: questo corpo mortale non proporzionato alla nostra vocazione divina.

Per una vita immortale ci necessario un corpo che sia libero dai condizionamenti del mondo fisico e libero dalle sue leggi; soggetto a queste leggi non potrebbe essere eterno: corpo della vita divina la divina sostanza.

Abbiamo parlato pi diffusamente del giusto che dell'empio. Ma chi empio ? Consultiamo il dizionario. Empio = 1) non pio; che disprezza ci che sacro; profanatore, irreligioso; 2) che manifesta empiet: idee, dottrine empie; 3) spietato, crudele. Se regna tiranno; 4) (poet.) infausto. empia profezia. Empiamente (vivere e par lare) senza religione, senza rispetto. Dal lat. impius comp. di in negativo e pius "pio"

L'empio secondo il Libro della Sapienza (Commento di Divo Barsotti) Per il Libro della Sapienza, l'empiet non consiste tanto nel rifiuto di Dio quanto in una visione egoistica della vita che porta l'uomo a ri cercare la felicit da se stesso, in quanto "io". "Ci sia o non ci sia Dio - pensa l'empio - la condizione dell'uomo rimane quella che : pochi anni di vita e poi la fine ! L'uomo, intanto, deve provvedere a se stesso, deve crearsi il proprio destino. La cosa migliore cogliere tutti i frutti del giardino del mondo". Dio qualcosa di remoto e non entra in una comune visione della vita. Di fatto, la Tradizione ravvisa in questo modo di vedere la vita la cau sa dell'empiet L'empio non bestemmia Dio, n lo offende direttamente; vuole soltanto godersi la vita, senza sprecare del tempo in inutili (non- utili) astrazioni. Secondo il Libro della Sapienza la legge della violenza ha le sue radici in questo modo di concepire la vita perch nell'egoismo la legge della giustizia si trasforma nella legge del pi forte, nella legge della giungla.

Se la vita dell'uomo breve, conviene spremerle ogni pi piccola goccia di piacere". Se vince il pi forte, prudente che il pi forte sia io, non importa come, per spadroneggiare in lungo ed in largo, senza risparmiare nessuno: ci che conta che " i o " viva meglio possibile". Concupiscenza, volont di potenza, azione contro Dio. Cos si forma e si afferma l'empiet. Nella visione dell'empio, Dio non trova posto, n lo trova il giusto che, con Dio, da allontanare, da respingere. L'oppressione del giusto diviene una necessit, ma anche una provocazione a Dio, a quel Dio che tace e non esclude persecuzioni all'uomo che si abbandona alla sua Provvidenza: il principio dell'empiet la mancanza di quella fede che abbandono a una provvidenza che paga soltanto domani, mancanza di abbandono ad una Provvidenza che tace: la difesa di Dio non esclude la pena, non esclude le persecuzioni; quaggi vien chiesto all'uomo di abbandonarsi alla Provvidenza di Dio. L'uomo deve fidarsi di Dio, e quanto pi Dio rimanda l'esecuzione delle promesse, tanto pi puro, in mezzo alle prove, diviene l'abbandono dell'uomo. Tutta la vita del giusto in questo abbandono, nel vivere con la Sapienza per lasciarsi guidare. L'uomo, creatura di un giorno, (tolto Dio dall'orizzonte della vita umana, questa rimane la vita di un giorno) l'uomo che non ha nulla in se stesso, non che in quanto ha , nella sua povert altro non brama che impossessarsi di ogni bene. E pensa : Se io non vivo che in quanto mi impadronisco di ogni bene, debbo affermare la mia volont di potenza, perch altri non mi tolga quello che mi necessario. Se voglio possedere tutti i beni, bisogna che vinca, sopraffaccia coloro che in qualsiasi modo posseggono quello che voglio per me". Cos, dall'egoismo nasce la lotta contro gli altri che potrebbero essergli rivali. In breve, poi, la libido si trasforma in volont di potenza e questa in azione contro i giusti e contro Dio. Del resto appare inverosimile che un essere umano si possa abbandonare a tanta avidit senza diventare duro di cuore, incapace di piet.

"Pio" l'opposto di empio e si riferisce a persona animata da nobili sentimenti, misericordiosa, amante del prossimo. Empio, quindi, colui che cerca il proprio tornaconto superando tanto il problema di Dio, quanto quello della umana fraternit. Chi rimane legato all' "io" e al "mio" si muove nell'ambito della mente concreta e si preclude ogni contatto con il piano metafisico e con la sua stessa luce interiore. Un tale essere vive gi ora la morte : la tentazione di gestire le vicende della propria esistenza in modo indipendente da Dio, lo pone fuori di Dio, fuori dalla vita. Questo argomento stato trattato ampiamente dalle maggiori religioni. Noi riferiremo brevemente su come stato visto dai Padri del Cristianesimo e dal Buddhismo. Per i Padri riporteremo brani di Olivier Clement; per il Buddhismo, la teoria dei "tre veleni".

I Padri del Cristianesimo Per la maggior parte degli autori ascetici, esistono tre passio-madri, e sono: l'avidit, l'ira o aggressivit, l'orgoglio. Gli spirituali - e in particolare San Massimo il Confessore - parlano di "filautia", amore di s, egocentrismo che sottrae il mondo a Dio per appropriarselo, reificando il prossimo. "Chi ha la "filautia", ha tutte le passioni", dice San Massimo. L'avidit o concupiscenza, scatena la dissoluzione e tutte e due insieme, per soddisfarsi, generano l'avarizia. Dall'avarizia nasce l'ira contro chi minaccia i miei beni o si impadronisce prima di me di un bene cui agognavo. L'orgoglio, da parte sua, genera vanagloria, ostentazione di ricchezza o di attrattiva, e poi l'ira quando non si ottiene dagli altri ammirazione o approvazione, E si ritorna cos, attraverso una profonda volont di accaparramento, alla avidit. I due circuiti si ricongiungono, fondando una ellisse a due poli.

Ci troviamo cos di fronte ad un abbandono volontario di noi stessi alla "alogia", a un tentativo premeditato di dimenticarsi o meglio di dissolversi nell'incoscienza. L' "alogia" rifiuta non la ragione comunemente intesa, perch tale ragione spesso contaminata dalla volont di possesso e dall'orgoglio, ma il "logos", cio il senso vero dell'esistenza radicata nella Grazia . L'insensatezza ( o ottundimento) diventa cos il rifiuto dell'autentica vocazione dell'uomo; per questo la Bibbia definisce il peccato un fallimento del rapporto con Dio, e quindi con gli altri e con le cose.

I "tre veleni" del Buddhismo

Desiderio (o concupiscenza); Odio; Ottundimento (o ignoranza metafisica). La maggior parte delle persone si riconosce nel proprio io empirico, anche se questo privo dell'essere (manca cio di realt ontologica). "Empirico", infatti, si dice di ci che si sostiene unicamente sull'esperienza, di ci che manca di fondamento logico-razionale. Questo "io", privo com' dell'essere, un puro nulla; ma un nulla che inconfutabilmente esiste quale prodotto del complesso rapporto che intercorre tra gli uomini, non in quanto persone, ma in quanto personaggi, per i ruoli che interpretano nello "spettacolo del mondo". L' "io" dunque esiste, ma non ; e tende a colmare il vuoto essenziale intorno a cui vortica con ogni sorta di gratificazioni. Incline naturalmente al protagonismo, giorno dopo giorno si propone al sociale in modo aggressivo per conquistare nuove posizioni, per impadronirsi di altre cose: sostenendosi sul solo rapporto interpersonale e sociale, gli occorre "apparire importante" per garantirsi la considerazione degli "altri", in funzione ed in forza dei quali esis- te. Gli "altri", senza i quali la sua affermazione e la recita dell'uomo di successo non avrebbero senso, per altro verso lo tormentano: fatti come lui, proprio come lui tendono al successo ad ogni costo. Li considera pericolosi, e ne ha paura.

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Per l'eventualit che possano strappargli qualcosa, vive nell'inquietudine. E li odia, perch possono prendergli tutto, mentre non si lasciano prendere nulla. Il desiderio (o concupiscenza) il primo "veleno", l' odio il secondo. Il terzo, l'ottundimento (o ignoranza metafisica), si determina come semplice conseguenza: egli talmente intossicato, talmente preso dal gioco dell'accumulo da non rendersi neppure conto di possedere una natura propria divina, n, quindi, di vivere in modo totalmente alienato da questa.

Tutti noi, chi pi chi meno, agiamo secondo la logica dell'empiet. Ognuno di noi, forse inconsciamente, si sottrae ad una vita di abbandono nelle mani della Provvidenza, si organizza e pensa al domani come se tutto dipendesse da lui. Non escludiamo certo la vita eterna, ma ora viviamo qu e non pensiamo che alla vita presente, senza tener conto che il contenuto pi vero della vita presente l'abbandono puro nelle mani di Dio, come ci ha insegnato Ges: "Non affannatevi dunque per il domani, perch il domani avr gi le sue inquietudini". (Mt 6, 34); "Manca forse il nutrimento agli uccelli dell'aria ? " (Mt 6. 26). La vita dell'empio totalmente finalizzata all'affermazione dell'io egoico ed quindi negazione e sopraffazione di chiunque, intolleranza, violenza. La vita del giusto negazione della negazione, assoluta libert interiore che sa guardare alle vicende umane con sereno distacco. Abbiamo tracciato (un po' sinteticamente) il ritratto dell'empio e analizzato il processo dell'empiet: - dal rifiuto di Dio, vivente e provvidente, procede l'egoismo che vuole tutto per s, poi la volont di potenza che sdegna la piet, e per ultimo l'oppressione del giusto sul quale si rovescia l'odio del mondo, la gelosia di coloro che non sopportano il suo modo di essere, di amare, di operare sapendo sempre ci che fa.

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Secondo il Libro della Sapienza, il principio della vita religiosa consiste nel credere che Dio si occupi dell'uomo; il principio dell'empiet, invece, nel rifiuto di credere che Dio si occupi dell'uomo. Dalla convinzione che Dio si occupi dell'uomo dipende anche il senso della giustizia, perch la giustizia dell'uomo non fondata su una morale autonoma, su una bont che prescinda da Dio, ma precisamente sulla fede in una possibile comunione con Lui, e sulla ricerca di questa comunione. Il giusto, realizzata la comunione con Dio che eterno, vivr la vera vita. La morte prender gli uni e gli altri; ma solo per il giusto seguir la pace perch egli nelle mani di Dio e vivr con Dio una vita immortale. Anche gli empi avranno ci che hanno scelto: nemmeno Dio potrebbe dar loro altra cosa ! La morte manifesta quello che gli uomini sono realmente. Non quindi concepibile un diverso metro di giudizio: Dio non chiama capricciosamente gli uni al paradiso ed invia gli altri all'inferno; se l'empio si aggrappato a speranze vane, queste cadranno con la morte e non gli rimarr nulla. Egli cos vivr la morte. La vita dell'empio , s, immortale; nemmeno lui muore, ma non morire vuol dire per lui vivere soltanto la morte eterna, il vuoto, la solitudine: ormai una pura capacit che nulla pu riempire. Nell'eternit non rimane che Dio e l'empio lo ha escluso dal suo orizzonte.

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