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PRosPeTTive anTimodeRne n.

03/2012

J.R.R. Tolkien

Unepica per il nuovo millennio

J.R.R. Tolkien
Un'epica per il nuovo millennio
pag. 2 pag. 3 Il vero aldil di Tolkien di Quirino Principe Editoriale: quel neoromantico di Tolkien! a cura della Redazione Saggi: pag. 6 pag. 9 pag. 12 pag. 17 pag. 21 pag. 26 pag. 29
Progetto grafico e AD: panaro design Impaginazione: Studio Caio Robi Silvestro Edizioni Bietti - Societ della Critica srl, Sede legale: C.so Venezia 50, Milano www.edizionibietti.it In attesa di registrazione presso il Tribunale di Milano Stampa: ProntoStampa srl, Via Redipuglia 150, Fara Gera dAdda (BG) antares@edizionibietti.com www.antaresrivista.it Antars anche su Facebook, alla pagina Antars Rivista.

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Antars, Prospettive Antimoderne RIVISTA TRIMESTRALE GRATUITA Direttore editoriale: Andrea Scarabelli Direttore responsabile: Gianfranco de Turris Redazione: Rita Catania Marrone, Emanuele Guarnieri Hanno scritto: Claudio Bartolini, Davide Bigalli, Franco Cardini, Rita Catania Marrone, Igor Comunale, Alice Cucchetti, Gianfranco de Turris, Sebastiano Fusco, Stefano Giuliano, Emanuele Guarnieri, Giuseppe Losapio, Gian Piero Mattanza, Adolfo Morganti, Chiara Nejrotti, Errico Passaro, Riccardo Rosati, Mauro Scacchi, Andrea Scarabelli, Luca Siniscalco Illustrazioni di: Alessandro Colombo, Irene Pessino

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Le radici sacre e simboliche della letteratura fantastica di Gianfranco de Turris Il signore degli anelli: un viaggio nel cuore della tenebra di Stefano Giuliano L'Apocalisse bifronte: Solov'v, Ballard, Tolkien di Adolfo Morganti Tolkien e la tecnica di Errico Passaro Tolkien, Popper e il senso nascosto tra le nuvole di Sebastiano Fusco Lattesa del re promesso in Tolkien e Herbert di Igor Comunale Tolkien: sacro e potere di Emanuele Guarnieri e Rita Catania Marrone Alcune riflessioni sul linguaggio di Tolkien ne Il signore degli anelli di Riccardo Rosati Lovecraft e Tolkien. Due mondi a confronto di Mauro Scacchi Lo splendore dellessere in Tolkien di Chiara Nejrotti Il filologo papista ed il protestante di Ulster di Luca Siniscalco Cera (ancora) una volta: Il signore degli anelli di Peter Jackson di Claudio Bartolini e Alice Cucchetti Poesia e narrativa:

pag. 51 Ricordi di un Hobbit di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco Intervista: pag. 56 Franco Cardini: Tolkien e la tradizione europea di Giuseppe Losapio pag. 58 Segnalazioni

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Il vero aldil di Tolkien


di Quirino Principe

on c in entio narrativa autenticamente grande che non sia un anti-mondo, una forte contrapposizione all esistente (al creato, secondo il gergo dei credenti), un gigantesco NO gettato in faccia alla Geworfenheit cos come Heidegger l ha battezzata. Tale la Commedia di Dante, tale il lascito shakespeariano o goethiano o i Roba yyt di Omar Khayym. Lo stesso si dica di opere d arte visiva come la Primavera botticelliana o La scuola di Atene di Ra aello, di opere d arte musicale come la Matthuspassion o Tristan und Isolde. Le opere mediocri, che non correggono l esistente n scal scono la sua malcreata super cie, sono quelle che assentono e consentono, e il loro pavido autore colui che geme ed obiurga () e a erra il mestolo, / anzich terminare nel pat / destinato agli iddii pestilenziali. L universo ideato da John Ronald Reuel Tolkien tutto collocato al primo e supremo rango, tutto incluso nella sfera dell essere, tutto escluso dalla sfera dell avere. Forse, come vuole la grande tradizione della letteratura in lingua inglese, da Chaucer alla Fairie Queen di Spenser, dagli elisabettiani a omas Eliot e a Ezra Pound, da Longfellow a Lovecra , l ascensione tolkieniana verso l oltrecielo debitrice all impulso nato dalle rare e nascoste energie ultraterrene che incredibilmente si annidano nella meno meta sica delle letterature occidentali, la letteratura italiana. Forse, come intuiva Elmire Zolla, cui si deve l ingresso di e Lord of the Rings nella nostra cultura di lettori, l origine di Tolkien narratore soltanto per met nel Tolkien germanista e anglista e medievista, e per l altra met va rintracciata nel cielo della Luna vistato da Astolfo, nei versi di Ariosto. In memoria dell ariostesco e tolkieniano Omar Khayym, immaginiamo per un istante che all improvviso le foreste e le campagne ondulate e i umi e le montagne e le orride

gole, che segnano gli itinerari di Bilbo, di Frodo, di Sam Gamgee, di Aragorn, dei Nazgul, rivelino la loro vera Gestalt: immaginiamo che, per la durata di un lampo, si trasformino in una scacchiera. Sul tavoliere, immaginiamo la mossa del cavallo: spostiamoci di lato, dalla visione di una sfera cristallina e riservata all Essere alla percezione di una lingua possibile (poco importa che esista o no: ci secondario, ed argomento triviale e banale), sia essa el ca o tenebrosa. L invenzione linguistica di Tolkien non meno preziosa dell invenzione di un mondo visibile attraverso forme simboliche. l adempimento del dovere imposto ai poeti dal Tombeau de Edgar Poe di Mallarm: donner un sens plus pur aux mots de la tribu. Quirino Principe, musicologo, germanista, drammaturgo, autore di testi per musica, attore, teorico della musica forte, ha insegnato loso a della musica all'Universit di Roma Tre, e storia della musica moderna e contemporanea all'Universit di Trieste. Insegna drammaturgia musicale e librettologia all'Accademia per l'Opera Italiana di Verona. Ha pubblicato libri su Gustav Mahler, Richard Strauss, i uartetti di Beethoven, l opera tedesca, oltre a volumi di poesie e di saggi loso ci. Ha tradotto, tra gli altri, Ernst Jnger, Hannah Arendt e Max Horkheimer. stato curatore della prima edizione italiana de Il signore degli anelli (Rusconi, 1970). Nel 1991 ha ricevuto il Premio Ervino Pocar come traduttore dal tedesco. Nel 1996, il Presidente della Repubblica d Austria gli ha concesso la Croce d Onore di Prima Classe litteris et artibus. Nel 2005 gli stato assegnato il Premio Imola per la critica musicale. Nel 2006 stato eletto Accademico di Santa Cecilia in Roma. Lotta da anni (e lotter "usque ad sanguinem") per la promozione della scuola pubblica, e per l'introduzione, in essa, della musica forte come disciplina curricolare e obbligatoria.

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Editoriale: quel neoromantico di Tolkien!


a cura della Redazione

olti sono i benefici che uno scrittore come J. R. R. Tolkien pu apportare alluomo moderno. In particolare, dalle sue pagine stilla una visione del mondo un bene che in unepoca come la nostra pi prezioso dellacqua nel deserto solida ed onnicomprensiva, senza purtuttavia essere totalitaria. proprio di simili elementi che abbiamo bisogno, noi uomini della fine di quella Quarta Era, per usare il linguaggio del professore di Oxford, che vede lo slittamento di tutti i valori come condizione normalizzata. Di fronte a questa paralisi epocale, che intellettuali come Nietzsche e Dostoevskij definirono lera della morte di Dio, Tolkien non si arrende, non propone paradisi artificiali o fughe dal presente ma elabora un articolato plesso archetipico in grado di inquadrare la crisi in un contesto assai pi ampio, vale a dire quello delle ciclicit, che fu proprio anche a certa eretica filosofia della storia la quale, perennemente inascoltata, incontra oggi la propria tragica attualit. Tolkien, scrive Marcello Meli, concepisce nel ciclo cosmico una progressiva decadenza, da una originaria situazione () di equilibrio, in cui gli elementi di crisi e frattura sono rivolti al minimo. Progressivamente il disordine prevale sullordine, la disarmonia sullarmonia (cit. in J. R. R. Tolkien. Il Viaggio della Compagnia verso il Terzo Millennio, Universit La Sapienza, Roma 2001, p. 14). Inserita in un sistema di riferimento pi ampio, la crisi perde la propria pretesa onnipotenza, tornando ad essere a misura duomo. Il labirinto tolkieniano ha numerosi ingressi, ognuno dei quali conduce al cuore della sua narrativa e metanarrativa. Proprio in virt di questa molteplicit intellettualmente disonesto ritenere che una delle chiavi di accesso a questo multiversum possa interdire lutilizzo di altre. Anche limpostazione metodologica di questo numero non ha pretese di esclusivit n lintenzione di scagliare giudizi di valore sulle altre. La ricchezza delle interpretazioni non dovrebbe scandalizzare il che comunque un diritto, come scrive Marco Iacona ma costituire una ricchezza. Come mai, mentre in altri ambiti della cultura letteraria si alimenta la pluralit ermeneutica, contestualmente allopera del filologo inglese si parla invece di ortodossia ed eterodossia, ponendo delle odiose colonne dErcole al lavoro degli studiosi? Non che, beninteso, non possa darsi uno scontro tra differenti scuole; ma relegare talune interpretazioni a sovrastrutture ideologiche, contestandone persino la stessa ragion dessere questo scandaloso. Pluralit e non ortodossia: questi i filtri che hanno prodotto il presente fascicolo di Antars. Il filo conduttore di tutti gli interventi contenutivi, assai variegati, la funzione che il mito riveste nellimmaginario dello scrittore inglese, che nessuna esegesi della sua opera che voglia dirsi onnicomprensiva ha il diritto di ignorare. Perch ci accaduto, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, allorch la produzione tolkieniana dovette

subire la scomunica da parte delliperrealismo proprio alla cultura dominante, che ne diede una lettura profondamente ideologizzata e politicizzata che ha appestato la ricezione italiana dellopera del professore di Oxford per decenni. Secondo questa cultura ufficiale dai metodi assai ufficiosi, ci che non rientrava nei dettami dellortodossia engage meritava scarsa attenzione. Va da s che questo tipo di cultura non aveva orecchi per il discorso mitogenetico ed epico. Ebbene, Antars si pone in diretta linea di continuit con quelle analisi che vedono nella mitografia una delle cifre fondamentali dellopera tolkieniana. Come sostengono numerosi critici, tra cui Gianfranco de Turris, Tom Shippey e John Rateliff, lelaborazione del Legendarium non il frutto di un gioco o di un divertissement ma obbedisce allurgenza di fornire un mito allOccidente, una nuova epica al pari di Ezra Pound, che nei suoi Cantos intese riscrivere la Comedia dantesca per i propri contemporanei. Allimperante rassegnazione innanzi al nichilismo il professore di Oxford preferisce lelaborazione di nuove mitologie. In una sua lettera dei primi anni Cinquanta pu leggersi in proposito: Ero costernato dalla povert della mia amata terra: non aveva storie veramente sue (), del tipo che cercai e trovai nelle leggende delle altre terre (). Avevo in mente di creare un corpo di leggende pi o meno legate, che spaziasse dalla cosmogonia, pi ampia, fino alla fiaba romantica, pi terrena, che traeva il suo splendore dallo sfondo pi vasto da dedicare semplicemente allInghilterra, alla mia terra ( J. R. R. Tolkien, La realt in trasparenza. Lettere 1914-1973, Rusconi, Milano 1990, p. 165). Commentando questo passaggio, Franco Manni (Elogio della finitezza, in La falce spezzata, Marietti 1820, Genova-Milano 2009, p. 135), ripercorrendo talune riflessioni di Rateliff, sottolinea il fatto che se il filologo era intenzionato a comporre una mitologia per lInghilterra () il risultato ottenuto stato una mitologia per i nostri tempi. Da qui il successo de Il signore degli anelli, sia in versione cartacea sia cinematografica: un successo inspiegabile dal punto di vista del neorealismo imperante ma legato al bisogno di mito che caratterizza il nostro presente, intrappolato tra le teologie secolarizzate di progresso e positivismo. La creazione mitogenetica permise a Tolkien di inquadrare ciclicamente anche i macelli dei due conflitti mondiali che insanguinarono lEuropa. Come sostiene Carlo Bajetta (Introduzione, in Ivi, p. XII), come uomo e creatore di miti, [Tolkien] sapeva di appartenere egli stesso a qualcosa che va ben oltre il contingente, il misero spazio della gloria umana, la polvere e le ceneri degli esseri limitati dal tempo. Il rifiuto di un presente interamente votatosi al culto di Mordor non avviene nel segno di un passatismo paralizzante ma come nel caso di William Morris, pre-raffaelita e fondatore del guilded socialism, che Tolkien sempre lesse ed apprezz grazie ad una complessa ela-

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borazione mitografica, che preveda la riattivazione dellorigine per orientare un vuoto di senso presente ma anche un destino futuro. Da qui la famosa tesi tolkieniana, per la quale la Subcreazione non la diserzione del guerriero, che abbandona i propri compagni innanzi ad un nemico giudicato troppo potente bens la fuga del prigioniero dal carcere della materia, della Modernit: non ci troviamo di fronte a una forma di escapismo romantico ma ad un incentivo ad affrontare la propria realt, pi consonante al realismo eroico che caratterizz la Nuova Oggettivit degli anni Trenta. Non si ricorre al mito per evadere ma per affrontare il proprio presente con una forza rinnovata: LEvasione () pu persino essere eroica ( J.S.R. Tolkien, Sulle fiabe, in Albero e foglia, Bompiani, Milano 2008, p. 82). Lepica formulata dal professore inglese lintegrazione di una realt che ha perso il proprio destino, che ha cessato di produrre forme spirituali. Prima di continuare in questa disamina, occorre per rettificare taluni fraintendimenti, che spesso e volentieri guarniscono la ricezione dellopera in questione. Occorre anzitutto contestualizzare la necessit tolkieniana di dotare il proprio presente di nuove mitografie, come sostiene Gianfranco de Turris (Tolkien fra tradizione e modernit, in Albero di Tolkien, Bompiani, Milano 2007, p. 134), allinterno di quella corrente di pensiero che siamo soliti definire antimodernismo o letteratura della crisi. Tolkien detestava la modernit, la massificazione, la distruzione della natura, il mito del progresso, la dissoluzione dei valori tradizionali. Per concepire la portata dellantimodernismo tolkieniano, bene ripensare il rapporto tra bene e male allinterno della sua opera, in particolare nel Lord, la cui vicenda, scrisse, imperniata su un lato buono e uno cattivo, la bellezza contro la bellezza crudele, la tirannia contro la regalit, la libert con il consenso contro la costrizione che da tempo ha perso qualunque altro obiettivo che non sia il conseguimento del puro potere (Lettere, p. 203). A partire da questa assunzione, emergono due domande: siamo forse innanzi ad uno schizofrenico manicheismo? E, se s, in che termini? Circa la prima, bene non dimenticare che nellopera in que-

Come sostengono numerosi critici, il Legendarium tolkieniano non nasce da un gioco, non un divertissement, ma incarna l'esigenza di fornire un impianto mitico all'Occidente, per salvarlo dal nichilismo

stione Bene e Male non sono enti reali ma polarit ideali. Negli esseri creati sono compresenti in maniera chiaroscurale. Gi il destino di personaggi quali Boromir, Gollum o Saruman per poi non parlare di Frodo mostra come questa opposizione non sia statica ma dinamica. Ogni luogo e personaggio de Il signore degli anelli un campo di battaglia tra queste istanze contrapposte. Ma considerarle come irriducibili ad una sintesi non ammissibile, come scrisse Tolkien stesso negli anni Cinquanta: Alcuni recensori hanno definito il libro semplicemente come una lotta fra Bene e Male, dove tutti i buoni sono buoni, e i cattivi sono cattivi. Scusabile, forse (anche se si sono lasciati sfuggire Boromir) in persone che hanno fretta e con un unico frammento a disposizione da leggere (Ivi, p. 223). Bene e male non sono polarit assolute ma componenti presenti in ogni creatura. Ma contrapposte in che maniera poi? Nellopera di Tolkien, se il Bene ha una natura propria, costruttrice, ponente dei valori e propositiva, lo stesso non pu dirsi del Male, il quale, sulla scorta delle riflessioni di filosofi come Agostino e il Boezio del De consolatione philosophiae, semplicemente indicato come assenza di bene. Esso sterile: nellincapacit di creare, non fa che distruggere, annullando infine se stesso. Il destino di Gollum assai eloquente. Mentre il bene spinge per creare un ordine, sim-bolico, genera cio coesione e ordine, il Male dia-bolico, conduce alla divisione, alla frammentazione. Il suo suicidio gi implicito nelle premesse. In base a questa dicotomia, incontriamo un ulteriore nodo fondamentale della riflessione tolkieniana, vale a dire il potere. Il Lord non una accusa contro lesercizio del potere tout court (come sostenuto da Gianfranco de Turris in Tolkien fra tradizione e modernit, p. 137, in risposta a talune teorizzazioni anarcoliberiste) ma esibisce invece numerose forme di dominio. Luna, benigna, tenta di strutturare organicamente e gerarchicamente il potere, verso la creazione di una comunit superiore allinterno della quale ogni specie viva il proprio destino nel rispetto delle altre, secondo talune eco del suum quique tribuere romano e dello svadharma induista. Laltra si fonda sullindividualismo, sulla volont di dominio delluomo sulluomo, non conosce

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popoli ma schiavi. Il suo simbolo Mordor, che secondo numerosi critici, come Stefano Giuliano (Le radici profonde non gelano, Ripostes, Battipaglia 2001), altro non se non il mondo moderno. E Mordor ormai tra di noi, scriveva Tolkien negli anni Cinquanta, tra le macerie create dai Sauron moderni. Mordor risulta essere, come sottolineato dal gi citato de Turris, la veste globale unica che ieri accomunava capitalismo americano e comunismo sovietico e che oggi si esibisce nella sua purezza, essendosi scrollata di dosso qualsiasi sovrastruttura. Una conseguenza ulteriore di questa visione del mondo la critica spietata al dominio della tecnica; questultima non fa che tradurre una mancata crescita spirituale. La Macchina, cos come lAnello, il simbolo di un uomo che ha abdicato al proprio compito di formare se stesso, nel rispetto dei suoi simili, in una prospettiva eminentemente comunitaria, come sostenuto da P. H. Kocher in un suo volumetto appena reso disponibile in traduzione italiana (cfr. Il Maestro della Terra di Mezzo, Bompiani, Milano 2011). Lungi dal rappresentare un progresso, essa non fa che tradurre la volont di potenza delluomo moderno e faustiano, che alle influenze spirituali che quintessenziano il Lord preferisce un modello di sviluppo meramente materiale. La tecnica prosciuga le fonti metafisiche che alimentano i popoli. Laddove la tecnocrazia celebra i suoi Saturnali, i simboli vacillano e svaniscono, come ebbe a scrivere un altro intellettuale che partecip come Tolkien alla battaglia delle Somme, ma dallaltra parte della barricata, vale a dire Ernst Jnger. Numerose le analogie tra i due intellettuali: come Jnger vide nella Grande Guerra il trionfo della mobilitazione totale, lesibizione del potenziale aggressivo della tecnica, allo stesso modo Tolkien ebbe a scrivere, il 30 gennaio 1945: La prima Guerra delle Macchine sembra ormai avviarsi verso il capitolo conclusivo lasciando () una categoria trionfante: quella delle Macchine. Dato che i servi delle Macchine stanno diventando una classe privilegiata, le Macchine diventeranno enormemente pi potenti (Lettere, p. 129). La dittatura della tecnica e dei suoi sacerdoti conduce ad un impoverimento esistenziale inaudito, in quanto distrugge il potere subcreatore delluomo, unico legame tra microcosmo e macrocosmo: A differenza dellarte (), la tecnica cerca di realizzare i desideri, e cos di creare potere in questo mondo (). Le macchine che risparmiano la fatica creano solamente fatica peggiore e senza fine. In aggiunta a questa sostanziale incapacit di creare, c la Caduta, che fa s che i nostri aggeggi non solo falliscano i loro obiettivi, ma diano vita ad altre cose malefiche ed orribili. Cos inevitabilmente da Dedalo e Icaro arriviamo al bombardiere gigante (Ivi, p. 102). Questo fascicolo intende restituire unimmagine a tutto tondo dellopera tolkieniana, che non prescinda dallalchimia della parola mitica come suo momento fondamentale: dallimportanza dellestetica quale via di accesso alla trascendenza nelle analisi di Chiara Nejrotti alla dimensione iniziatica del viaggio ne Il signore degli anelli messa a fuoco da Stefano Giuliano; dal linguaggio mitografico del professore di Oxford, ricordato da Riccardo Rosati, fino alla centralit della critica alla tecnocrazia, studiata da Errico Passaro. Non mancano nemmeno confronti dellopera di Tolkien con quelle di altri giganti della letteratura novecentesca, in particolare Lovecraft, Herbert e Lewis. Questa necessit di restituire una immagine integrale di Tolkien non pu che prendere le distanze da due chiavi di lettura che, a parer nostro, ne fraintendono interamente lopus. Anzitutto, la lettura cosiddetta psicanalitica che, con gli

strumenti del peggior freudismo, tenta di ridurre la creazione artistica ad un nugolo di pulsioni, obliterando la complessit dei testi per farne il prodotto di un inconscio che diviene ricettacolo di tutte le ansie che il mondo moderno inibirebbe. Il che nel caso di Tolkien piuttosto fuorviante. Ci basti ricordare una sua lettera del 1972 diretta al figlio Cristopher: Non scriver mai una biografia contro il mio carattere, che preferisce esprimere le sensazioni pi profonde attraverso miti e racconti (Ivi, p. 473). A poco giova riferirsi ai dati materiali relativi allartista: non tanto importante la sua biografia quanto piuttosto la misura in cui questi sia in grado di sublimarla in creazione mitica. Cercare la genesi di unopera in un trauma, come stato fatto per il Lord, non esaurisce in nessuna maniera la sua complessit. Come recita un celebre adagio, non importante essere sani o malati ma cosa si sia in grado di fare con la propria sanit o la propria malattia. Interpretando in questo modo miti ed epiche, i sostenitori della psicanalisi selvaggia non fanno che proiettare i loro pregiudizi in quello che studiano. Raccontando il mondo circostante, non fanno che dire di se stessi. E questo tutto. Allo stesso modo, la chiave interpretativa di questo numero non pu in nessun modo conciliarsi con quella definita post, neo o tardo romantica. Secondo certuni critici, questa lettura metterebbe al bando quella simbolico-tradizionale, propria alla cosiddetta scuola italiana, come la definisce Chiara Nejrotti (Sotto il segno di Hermes, Il Cerchio, Rimini 1996). Ci si permettano un paio di considerazioni. Tolkien e il romanticismo: se vi un collegamento, anzitutto, non pu che essere orizzontale e comparativo. Certo, non mancano affinit tra limpianto tolkieniano e quello novalisiano, ad esempio, contestualmente al romantisieren del poeta tedesco o alla sua definizione di idealismo magico. Ma ci non implica in nessun modo laffermazione di un Tolkien romantico. Il che, comunque, non comporta alcun tipo di opposizione con la lettura di tipo mitico, epico e simbolico. Se vero che nellopera di Tolkien sono presenti taluni elementi propri al rifiuto neoromantico del progresso, della civilizzazione sfrenata, dellindustrializzazione e della distruzione della natura, questo sdegno come peraltro, anche in numerosi romantici e neoromantici deriva dal fatto che gli apparati della modernit obliterano le possibilit subcreatrici e mitopoietiche delluomo. La lettura simbolica, pertanto, non solo non si oppone a quella neoromantica, ma ne costituisce lintegrazione necessaria. Le differenti sfaccettature di quella critica alla modernit della Weltanschauung del professore oxoniense permeano il numero di Antars che offriamo ai lettori, nella persuasione che limpianto tolkieniano abbia molto da dare alluomo contemporaneo, perso in una realt che ha cessato di essere cosmo, altare e tempio. Per cogliere appieno il retaggio di questa opera prescindere dal mito, rifugiandosi in uninterpretazione meramente letteraria, fuorviante. Il pensiero di Tolkien organico e va colto proprio in questa sua dimensione totale, che ha come fulcro la necessit di una nuova cosmologia, di un nuovo mito, di una nuova epica. Che il cammino del Lord torni ad essere transitabile dai moderni, intrappolati nelle maglie di una Mordor che celebra oggi la sua oscura onnipotenza. un invito alla responsabilit: spetter a noi moderni salvare la Quarta Era dalle minacce dei Sauron di ieri e di oggi, nella consapevolezza che ci che vi di pi durevole negli uomini vince qualsiasi oscurit.

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Le radici sacre e simboliche della letteratura fantastica


di Gianfranco de Turris
he differenza pu esservi tra gli antichi Latini e Greci (o anche gli antichi Germani o gli Ind) che ascoltavano i racconti sugli di e sugli eroi o le antiche epopee di cui lIliade e lOdissea sono una esemplificazione, e i moderni lettori di saghe fantastiche, come potrebbero essere quelle di Conan il Barbaro o di Frodo lo Hobbit? In sostanza si tratta di narrazioni quasi identiche: eroi e divinit, avventure e assedi, ritorni a casa e cmpiti straordinari da assolvere, dmoni e mostri, lealt e tradimento, inganno e fedelt. In poche parole, lirrompere di elementi estranei nel reale quotidiano che lo trasformano e gli fanno assumere unaltra veste. Ma una differenza c, e non quella dovuta al trascorrere del tempo e alla diversit dei costumi, come si potrebbe superficialmente pensare. La differenza consiste nella sostanza della narrazione e nel modo in cui essa viene recepita dagli ascoltatori o dai lettori. Gli antichi che ascoltavano le vicende di Giove, di Zeus o di Shiva, le imprese

di Achille o di Ulisse, di Rama o di Gilgamesh, percepivano soprattutto laspetto sacro o religioso di quei miti e di quei racconti, e non soltanto laspetto avventuroso, miti e racconti che vedevano lintervento delle divinit superne o infere tra gli uomini, e li consideravano attenzione non come fantasie, ma come storie vere. Non dunque belle invenzioni, piacevoli trame da narrare la notte intorno al fuoco dei bivacchi o vicino al camino, ma fatti verificatisi effettivamente anche se tanto tempo prima, eventi che avevano avuto una loro importanza fondamentale per rendere il mondo e la societ qual erano gi nel momento della narrazione. Eventi mitologici grazie ai quali era stato portato a consistenza il mondo antico. Non si pu dire che allora esistesse il fantastico, cos come lo intendiamo al giorno doggi, dato che tutto quanto noi ora riassumiamo in questo termine riferendolo a romanzi, racconti o film, era per gli antichi delle origini e della classicit in qualche sorta vero, dato per effettivamente esistito in un passato da cui il loro presente era scaturito: armi magiche, animali mera-

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vigliosi, prodigi di ogni genere, apparizioni di divinit, imprese incredibili, sortilegi, discese agli inferi, ascese ai cieli e cos via. Attualmente la situazione opposta: tutto quanto ora descritto viene considerato non-vero, opera della fervida immaginazione di qualche scrittore o sceneggiatore ma di certo avulso dalla realt dellautore e dei fruitori delle sue opere, e che al massimo pu rivivere nellimmaginazione altrettanto fervida di qualche lettore (o spettatore). Insomma fantastico, cio qualcosa di contrario al reale, ai suoi antipodi, che dunque non ha nulla a che fare con una sua improbabile fondazione (come pensavano gli antichi) e che viceversa si oppone al mondo concreto della Realt. Perch avvenuto questo mutamento di prospettiva? Come mai noi vediamo le cose in maniera cos diversa dai nostri lontani progenitori tanto da aver mutato drasticamente il nostro punto di vista su un genere di narrazioni che nella sostanza come si visto inizialmente possono considerarsi in pratica simili? Per rispondere, bisogna rendersi conto che esiste una differenza nel modo di pensare, di vedere la Realt, di disporci nei confronti della Natura e di percepire il sovrannaturale, fra lUomo Antico e lUomo Moderno, una differenza talmente profonda da modificare radicalmente ci in cui credere: in altri termini, quello dellAntichit era un uomo tutto sommato religioso che credeva nel Sacro, quello della Modernit un uomo scettico, disincantato, che al massimo pu interessarsi al Fantastico. Per il primo, il Sacro di cui erano permeati i miti degli di e degli eroi aveva creato alle origini il mondo, e quindi le avventure di questi ultimi erano ritenute vere e continuamente rinnovate attraverso delle narrazioni che ai nostri occhi assumono oggi un aspetto fantastico. Per il secondo, luomo dei nostri tempi (in fondo noi stessi), il Fantastico di cui sono permeati i romanzi, i racconti e i film per il cinema e la televisione, i fumetti ed i videogiochi che vengono etichettati fantasy o heroic fantasy, si presenta come un elemento estraneo al nostro mondo, irrompe in esso e lo modifica. Il preciso contrario. C, per, un rapporto, un collegamento fra i due termini. Le mitologie del passato, i poemi sacri dOccidente e dOriente, le grandi epopee leggendarie, i romanzi eroici e avventurosi latini e greci, i cicli cavallereschi, i grandi affreschi medievali, in sostanza presentano tutti le medesime immagini, le identiche strutture. Insomma, col passare dei secoli cambiava il modo di percepire la realt da parte delluomo, ma certe figurazioni dellImmaginario restavano immutabili: leroe e la missione da assolvere, lesplorazione di terre sconosciute, la principessa da conquistare o salvare, armi e marchingegni favolosi, laiutante o lamico ingegnoso, il nemico malvagio e dotato di enormi poteri, la cerca di un oggetto straordinario, lassedio e la presa di una citt o di un regno, esseri mostruosi, entit malefiche, eccetera. Se ci si pensa bene, sotto vari camuffamenti e in versioni diverse queste figure e questi temi sono onnipresenti dal pi antico mito che si conosca, quello mesopotamico di Gilgamesh probabilmente, al pi recente romanzo cyberpunk o connettivista, alla pi recente puntata di X-Files o Lost (1). Se la forma esteriore dellimmagine rimane, significa allora che mutato il suo contenuto. O no? Certo, siamo cambiati noi che non ci abbeveriamo pi alla fonte della mitologia ma sfogliamo i romanzi o vediamo i film alla moda tra la gente nelle sale cinematografiche o in casa di fronte alla TV, o seduti nella nostra stanza giochiamo ad un videogame fantastico al baluginare di un computer. Ma cosa avvenuto alla sostanza di queste immagini? Ecco il punto essenziale per capire ci che in precedenza

si chiamato il rapporto, il collegamento fra i due termini. Infatti secondo molti studiosi il carattere del sacro presente nelle immagini mitologiche un qualcosa che nel corso dei millenni e dei secoli si pu offuscare, appannare, indebolire, non risultare poi tanto evidente, nascondersi, ma mai scomparire del tutto. Esso persister anche se nascosto e da quasi nessuno percepibile. Il fatto che esso viva ancora, come avviene per la brace sotto la cenere, fa s allora che queste immagini, un tempo caratteristiche dei miti ed oggi del fantastico, siano un po diverse da quel che possono apparire a prima vista ai nostri occhi non pi abituati a riconoscere certe presenze. La situazione dunque la seguente: certe immagini che, con un termine coniato dallo psicologo svizzero Carl Gustav Jung, potremmo definire archetipiche possiedono in loro ancora una propaggine, una scintilla del sacro del mito originario da cui derivano: cos lEroe, cos la Cerca, cos lAssedio, lArma Magica, le Prove da superare, la Donna da conquistare, il Mostro da combattere e tutte le altre immagini in precedenza citate. Noi, Uomini Moderni, tendiamo a non renderci conto di questo (per cos dire) valore aggiunto, ma esso, per una sua potenzialit intrinseca, anche se molto attenuata dal tempo, ha la possibilit di operare ancora, di avere un suo piccolo effetto nonostante che la civilt e la cultura siano profondamente mutate dallepoca degli antichi Latini o Ind, Greci o Germani. Non per nulla il termine immagine deriva dal latino imus, profondo. quanto affermano in vari contesti alcuni autori come Mircea Eliade, Joseph Campbell, Ren Gunon, Ananda Coomaraswamy e Julius Evola. La conseguenza paradossale e sorprendente, e spiega molte cose. Come si detto, il Fantastico il contrario del Reale, ed esso in genere si presenta come qualcosa che si oppone alle regole del mondo in cui viviamo, alle sue leggi fisiche che tutti conosciamo, in cui agisce la Magia piuttosto che la Scienza: il Fantastico dunque una contestazione della Realt, una sua messa in discussione, spesso diventa una sua vera e propria alternativa. I mondi descritti nei romanzi fantastici moderni risultano cos alternativi al mondo di colui che li legge. Ma che succede ora che sappiamo che le immagini fantastiche sono anche immagini mitiche e che del mito conservano ancora un po del valore sacro originario? Qual era la funzione del mito delle origini? Come si detto, quella di rendere vero e reale il mondo cos come era percepito dagli Antichi. Ebbene la sua presenza, ancorch residuale, nelle immagini del Fantastico odierno fa s che esso assuma anche questa veste: quindi il Fantastico di oggi, trasmettendo un barlume di sacro nel mondo moderno, contribuisce un poco a rifondarlo secondo questi antichi termini. Inconsciamente, dunque, le miriadi di romanzi e racconti di fantasy e di heroic fantasy apparsi soprattutto negli ultimi trentanni, utilizzando le stesse identiche immagini archetipiche di miti primordiali, anche senza rendersene conto, anche senza la volont dei singoli autori, hanno trasmesso alcuni valori del Sacro. E questo spiega, al di l di ogni indagine puramente sociologica, di ogni spiegazione solo letteraria e di ogni analisi esclusivamente estetica, la vera ragione del successo mondiale della letteratura fantastica dopo il 1965 (il perch lo si dir pi avanti). Il motivo che le sue immagini si radicano nelle profondit spirituali dellessere umano, travalicando lo scetticismo e lagnosticismo intellettuale dellUomo Moderno, avendo ragione della sua incredulit di fondo, quel disincanto del mondo di cui parlava Max Weber. Le ragioni profonde e reali della fortuna improvvisa e perdurante ancora oggi del genere fantasy o heroic fantasy stanno tutte qui:

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nella esistenza di queste specifiche radici di tale genere letterario. Nessunaltra spiegazione riesce ad essere convincente come questa per capire veramente un fenomeno che travalica le mode del momento e il succedersi delle varie generazioni di lettori in tutto il mondo. Certo, vi sono alti e bassi, i momenti di stanca ed i picchi dinteresse, il pericolo della ripetitivit, ma n pi n meno di altri tipi di narrativa popolare, ma nel nostro caso con un quid aggiuntivo: appunto le sue origini per cos dire nobili. Esse, come ho avuto occasione di dire pi volte, sono comuni anche agli altri aspetti dellImmaginario, quali possono essere la fantascienza e lorrore, ma nel fantastico si rifanno pi direttamente, quasi senza mediazione, alle origini mitiche. Questo particolare spiega anche perch per capire ed apprezzare come si conviene la fantasy non si pu assolutamente dimenticare il metodo dinterpretazione simbolica (che stata definita anche neo-simbolica o simbolico-tradizionale), oltre a quella puramente letteraria che si basa sui criteri noti della critica corrente: stile, tematiche, caratteristiche linguistiche, psicologia dei personaggi, novit della trama e cos via. La compressione secolare dellimmaginazione nellOccidente non ha retto allarrivo sulla scena di J. R. R. Tolkien: la pubblicazione del suo Signore degli anelli, prima nel 1954-5 in edizione inglese rilegata e poi nel 1965 in edizione americana tascabile diffusa a livello popolare in centinaia di migliaia di copie, ha sollevato il coperchio di una pentola a pressione: attraverso le sue pagine, lettori e illustratori, narratori e musicisti hanno riscoperto la bellezza delle figure primordiali, degli scenari mitici, da troppo tempo assenti, o latenti, o sommersi, nella cultura occidentale. Avevano bisogno di un nuovo sfogo, e alla fine lo trovarono. In sostanza, per usare un termine entrato nel linguaggio comune, lopera di Tolkien ha sdoganato, ma anche nobilitato, la fantasy, divenendo addirittura un fenomeno di costume a livello mondiale. Si capisce allora il motivo della ostilit, prima contenuta poi espressa, dellintellettualit dominante soprattutto in Italia: lopera tolkieniana in particolare, e quindi la letteratura fantasy ed heroic fantasy in generale, rappresentava un qualcosa di sconosciuto alla loro mentalit e quindi in quanto tale un nemico da combattere quasi istintivamente: un sentimento al quale subito dopo hanno cercato di dare una spiegazione razionale ricorrendo allunico parametro che gli intellettuali moderni sanno usare, vale a dire quello ideologico e addirittura politico. Per demonizzare e quindi mettere allindice un intero genere letterario ed i suoi autori pi rappresentativi (per non parlare dei poveri lettori), si sono cercate cos spiegazioni grottesche e paradossali, sovente abnormi, che si rifacevano allunica griglia interpretativa nota, quella che da un lato si rif ai parametri reale/razionale e

Il vantaggio del fantasy rispetto ad altri generi letterari di attingere direttamente alle radici del mito

dallaltro ai criteri extraletterari ideologico-politici. Unoperazione che, per fortuna, non riusc nel suo scopo di boicottare e chiudere in un ghetto infamante lettori ed autori, e che oggi si ritorce sui suoi stessi promotori: se ne videro gli effetti in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di Tolkien, a met degli Anni Novanta, e in occasione della proiezione dei film di Jackson, allorch gli antichi nemici del professore di Oxford si profusero in elogi e riconoscimenti della sua opera, anche se si guardarono bene dal fare pubblica ammenda delle accuse con cui, allinizio degli Anni Settanta, ingiustamente lo investirono. Ma si sa: agli intellettuali di professione non piace fidandosi della memoria corta generale ammettere in pubblico di aver sbagliato, per di pi in modo cos clamoroso e vergognoso... La conclusione allora che, se anche oggi certe crociate, assurde e ridicole, non vengono pi promosse, esistono per ancora dei censori in sedicesimo che non demordono, ma questa volta sono loro, s, in un angolino, ma per esservisi autoconfinati. Latteggiamento originario della critica cosiddetta militante ha comunque portato ad una conseguenza concreta: al suo non aver mosso nemmeno un passo nella direzione di una vera analisi e comprensione profonda del significato e delle funzioni della letteratura fantastica e, quindi, non aver prodotto in Italia nulla di veramente significativo einnovativo sul piano della critica nel corso di oltre quarantanni. Allepoca i lettori pi giovani non lo possono certo sapere si era giunti al punto tale che il semplice citare alcuni nomi di autori non politicamente corretti (come si usa dire oggi) portava inevitabilmente allanatema e allostracismo: quasi non si discutevano le teorie espresse, ma ci si basava solo sul nome, non si andava alla sostanza ma ci si limitava allapparenza: hai citato Tizio, hai messo in nota Caio, ebbene allora sei fuori della convivenza civile. Altri tempi, si dir. Certo, ma bene sapere che sono esistiti, che ne sopravvive la documentazione e ancora in certuni la memoria, e che non bisogna dimenticarli in modo che non si possano pi ripresentare. Ma non vorrei che questa mia fosse una pia illusione. Il fatto che i vecchi cattivi maestri hanno allevato dei pessimi giovani discepoli che, avendo imparato a leggere e scrivere, adesso tentano di imporre, con gli stessi metodi, una nuova egemonia il cui unico scopo la caccia alle streghe: delegittimare con ogni mezzo coloro che non la pensano come loro.
(1) La metamorfosi del mito ormai accettata anche dalla pi seria cultura italiana: si veda la collana di Marsilio, i testi monografici del classicista Maurizio Bettini e di recente il volume di Fumagalli Beonio Brocchieri e Guidorizzi, Corpi gloriosi (Laterza, 2012), dove si descrive la trasformazione degli eroi greco-latini in santi cristiani.

Il signore degli anelli: un viaggio nel cuore della tenebra


di Stefano Giuliano
quasi scontato dire che Il signore degli anelli non solo un bel romanzo davventura con tanto di lieto fine ma un testo vasto e stratificato con una trama piuttosto articolata, ricca di rimandi simbolici, di richiami ai miti nordicogermanici e al folklore, di riferimenti letterari allepos antico e medievale nonch al romance inglese. La concezione agostiniana del male come vuoto e assenza di bene, la duplice rappresentazione del potere come autoritario e dispotico o come autorevole e benefico, gli effetti negativi dellindustrializzazione e della tecnologia applicata al paesaggio, la paura della morte e il desiderio di sfuggirvi, il senso da assegnare al coraggio individuale e letica della responsabilit verso gli altri, lidea del viaggio come trasformazione del s, sono solo alcuni fra i tanti temi presenti nel libro. Dinanzi a un testo cos denso gli approcci interpretativi non

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possono essere che molteplici e gli strumenti dindagine diversificati. Si pu infatti avvicinare Il signore degli anelli sotto laspetto letterario, storico-religioso, filosofico, linguistico, simbolico e via dicendo. Approcci talvolta strettamente interconnessi talaltra del tutto disgiunti, i quali, ognuno dalla propria prospettiva, possono contribuire a meglio focalizzare unopera di grande complessit e ricchezza che non pu essere letta da un solo punto di vista e sulla quale non si possono affermare verit ultime. Qui non vi saranno polemiche ideologiche e non si distingueranno gli interpreti tolkieniani in bari e galantuomini sulla base dei personali preconcetti, come una certa critica militante, di recente, s affannata a fare ma si offrir una possibile chiave di lettura de Il signore degli anelli, cercando di enucleare, sinteticamente, la facies del viaggio dei protagonisti del romanzo e individuando nel topos del viaggio nellaldil uno dei motivi portanti della narrazione. In un breve ma denso articolo apparso molti anni fa, Franco Cardini dava rilievo alla relazione intercorrente fra il romanzo di Tolkien e testi antichi quali il Poema di Gilgamesh, lOdissea, la Divina Commedia, e moderni come Il castello di Kafka, lUlisse di Joyce e cos via, opere molto diverse tra loro eppure unite da un sottile filo rosso: il viaggio agli inferi. Secondo lo studioso fiorentino, infatti, il cammino del protagonista del Lord, il piccolo e fragile hobbit Frodo Baggins, fino a Mordor, per distruggere lAnello del Potere, delinea i suggestivi contorni dellandata nelloltretomba (1). In effetti, se ci si sofferma sulla descrizione della lugubre e tenebrosa terra di Sauron, meta finale di Frodo, e la si confronta con le descrizioni dellAldil della mitologia classica o di quella nordico-germanica, se ne ravvisano agevolmente analogie e somiglianze. Si tratta di un luogo ostile e impervio, abitato da mostri e creature deformi, dove sorgono fortezze inespugnabili e minacciose. Una waste land avvolta nelloscurit e che provoca sconforto e disagio in chi costretto ad attraversarla: la vegetazione ridotta a pochi alberi contorti dalle foglie avvizzite, a esili fili derba, a roveti e cespugli spinosi; laria malsana e si respira un tanfo amaro che inaridisce la bocca; lacqua poca e il suo sapore sgradevole; il cielo perennemente chiuso da ammassi di nubi nere. Massicce catene montuose dai nomi significativi la circondano: i neri Ephel Dath, le Montagne dOmbra, e i grigi Ered Lithui, i Monti Cenere, mentre nella sua parte settentrionale si erge un enorme vulcano, il Monte Fato, davanti al quale si estende una pianura brulla e martoriata, il plateau di Gorgoroth, lAltipiano del Terrore, squarciato da fossati e spaccature. La presenza di un edificio vulcanico attivo ma anche di mon-

In Mordor si possono leggere gli effetti degli sconvolgimenti provocati dallindustrializzazione selvaggia

tagne di roccia nera o grigia insieme a quella dellaltopiano formato da depositi lavici e alla vasta zona ricoperta di detriti piroclastici permettono la facile identificazione della regione vulcanica. appena il caso di ricordare che le regioni vulcaniche erano notoriamente associate agli inferi: basti pensare alla celebre Solfatara di Pozzuoli che Strabone individuava come la dimora del dio Efesto, oppure al vulcano islandese Hekla che nel Medioevo era chiamato il Cancello dellInferno. Infine, Mordor possiede la fisionomia di una creatura vivente con tanto di testa, braccia e denti: Le imponenti montagne ergevano la testa fiera e minacciosa. () Due lunghe braccia sporgevano verso nord; fra queste braccia si apriva una profonda gola. () Allimboccatura si ergevano due rupi scarne e nere, sulle quali sinnalzavano i Denti di Mordor, due possenti e imponenti torri. () Nessuno poteva oltrepassare i Denti di Mordor senza sentirne il morso (2). Unimmagine di grande forza che materializza lincorporeit del Dark Lord ma che soprattutto ricorda certe illustrazioni medievali dellinferno raffigurato come un animale dalle zanne affilate e le mandibole divoranti e che si ritrova dallXI secolo in poi, in manoscritti come la Genesi di Caedmon, il Salterio di Londra e il Liber vitae. Ma nel romanzo di Tolkien possibile scorgere ben pi di uno scenario infero e di un percorso oltremondano, sia nella forma del tragitto di tipo orizzontale (il passaggio nel bosco, lentrata nella valle, lattraversamento della terra desolata) sia in quello della discesa di tipo verticale (la discesa nel tumulo o nella grotta). Situazioni di limite che si ripetono e che coinvolgono Frodo e tutti i personaggi principali del Lord (Gandalf, Aragorn, Legolas, Gimli, Sam, Merry, Pipino), facendo nascere il sospetto che non si tratti solo di semplici accorgimenti romanzeschi volti ad allungare i tempi narrativi o tenere desta lattenzione del lettore. Parimenti da escludere leventualit che esse siano frutto del caso o mere coincidenze. Tolkien, infatti, riallacciandosi a teorie rinascimentali di stampo neoplatonico, sosteneva che una creazione artistica deve essere dotata di leggi e norme ben precise, tanto da formare un vero e proprio Mondo Secondario autosussistente, cio un eterocosmo in s e per s credibile, ove nulla pu essere lasciato al caso (dal nome di un personaggio alla lingua parlata, la descrizione di una localit, gli antefatti e via dicendo). Appare quindi lecito pensare che una siffatta pluralit di immagini e di esperienze oltretombali ripetute possa ricoprire una funzione pi importante, rispondendo ad unesigenza narrativa pi ampia.

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A ben vedere, le tappe pi importanti del viaggio dei protagonisti, ossia la Vecchia Foresta, i Tumulilande, Imladris, Moria, Lothlrien, Dwimorberg e Cirith Ungol, non sono soltanto momenti di svolta della narrazione ma possono ricollegarsi alle diverse tradizioni mitiche e religiose del viaggio nellaldil. In estrema sintesi, lavventura nella Old Forest ricorda le esperienze iniziatiche dei rituali di passaggio delle societ cos dette tradizionali o pre-tecnologiche (esperienze che si ritrovano anche nei romanzi medievali con laventure del cavaliere nella foresta). Lentrata nella tomba dei Tumulilande e il drammatico tragitto nel regno sotterraneo dei Nani di Moria sono forme di catabasi tipiche delle saghe nordico-germaniche. Le soste nelle terre elfiche, a loro volta, appartengono alle credenze celtiche relative allandata nellAltro Mondo. Infine, le discese nelle grotte e nelle caverne, come i Sentieri dei Morti e Cirith Ungol, si ritrovano universalmente nei miti e nei riti diniziazione e sono anchesse assimilate agli inferi. Inoltre, il libro termina piuttosto significativamente con un altro viaggio oltremondano: la navigazione di Frodo, Gandalf e gli Elfi verso il Reame Beato, con un chiaro riferimento alle leggende celtiche di Thule e a quelle bretoni di Avalon. Anche da questa breve panoramica appare legittimo dubitare che la compresenza di tante immagini oltremondane sia dovuta a mere coincidenze o possa essere casuale. Per di pi, anche in un altro racconto tolkieniano, Lo Hobbit, possibile intravedere diverse sequenze riconducibili al viaggio nellAltro Mondo. Spiccano per importanza lingresso nella grotta infestata dagli Orchi, lincontro sotterraneo tra Bilbo e Gollum, lattraversamento di Bosco Atro, lentrata nella tana del drago Smaug. In realt, una possibile spiegazione potrebbe trovarsi adottando langolo di visuale delliter iniziatico. Come noto, laccesso allAltro Mondo (traslato metaforicamente in una foresta, in una grotta, in una collina, ecc.) ha a che fare con il simbolismo della morte e della rinascita. Esso rivela un carattere iniziatico, comportando la trasformazione dessere dellindividuo, quella che Mircea Eliade chiama la mutazione ontologica. Troverebbero cos una propria collocazione allinterno de Il signore degli anelli tanto lesperienza della discesa agli inferi quanto la sua disseminazione lungo tutto il romanzo secondo una gradazione dintensit e di valore: dalla pi semplice e breve, la Vecchia Foresta, alla pi lunga e drammatica, Mordor. La prima parte del viaggio dei quattro Hobbit, ossia quella che va dalla partenza dalla Contea fino al reame elfico di Gran Burrone, pu intendersi come passaggio allet adulta, uscita dallingenuit e dallinfanzia tramite la scoperta dellaltro da s, del negativo, del male. Successivamente, gli Hobbit si separano in coppie distinte, affrontando momenti e circostanze che li indirizzano verso processi di maturazione individuale differenziati. Litinerario di Frodo presenta tutte le caratteristiche di un cammino di tipo ascetico (tanto vero che alcuni commentatori hanno visto in lui un alter Christus). Litinerario di Merry e Pipino denota invece le peculiarit dellitinerario di genere guerriero: luno entra al servizio di Rohan, laltro di Gondor. Pi problematico inquadrare litinerario di Sam poich questi condivide con Frodo privazioni, umiliazioni, sofferenze, ecc., ma si cimenta pure in duelli con creature mostruose: Shelob, Orchi, Gollum. Inoltre, sperimenta su di s quella che Eliade definisce la prova guerriera per eccellenza: il furor dei berserkir, i

celebri guerrieri-orso germanici. Nel suo caso si potrebbe quindi parlare di un iter ascetico-guerriero, anche in forza della fondamentale affinit tra le iniziazioni spirituali e quelle militari (3). Tuttavia, Sam non diventa un professionista della guerra ma un membro influente della Contea, connotando il suo cammino nel senso di un innalzamento dello status sociale. Nel libro non sono solo gli Hobbit a vivere esperienze iniziatiche: il viaggio di Aragorn un percorso di ascesa alla condizione sovrana, quindi di acquisizione del potere, che lo condurr sul trono di Gondor quale re legittimo per diritto di sangue e di guerra; ugualmente, i viaggi di Legolas e Gimli sono itinerari di accesso alla condizione superiore di capi riconosciuti (il primo degli Elfi in Ithilien e laltro dei Nani nelle Caverne Scintillanti); last but not least, il cammino di Gandalf pu essere identificato come un percorso di ascesi sacrale che lo trasformer da Gandalf il Grigio a Gandalf il Bianco. Si detto che Il signore degli anelli costruito intorno al topos del viaggio agli inferi e che il regno di Sauron ne costituisce la meta ultima. La tenebrosa Mordor, per, non soltanto un locus horridus, una rappresentazione narrativa del regno infero come descritto da religione, mitologia e folklore. Mordor molto di pi. Come altri luoghi del romanzo la Contea, Imladris, Lothlrien, Moria, Isengard un metaspazio (4), cio un luogo nel quale confluiscono idee e pensieri, si oggettivano princpi e convinzioni, prendono corpo concezioni e modelli ideali. Un luogo che si riempie di significati e costellazioni di senso, sia sotto il profilo etico sia estetico. Nel paesaggio di Mordor si possono leggere le devastazioni e gli sconvolgimenti provocati dallindustrializzazione, i cui effetti generano disagio e malessere: inquinamento idrico, geologico e atmosferico, desertificazione, accumuli di rifiuti e scorie, macchinari perennemente in attivit (negli abissi del Monte Fato si odono rumori e boati come di grandi macchine sbuffanti e rombanti (5)). Per di pi, la Black Land possiede anche laspetto di uno stato totalitario: roccaforti per impedire la fuga, accampamenti militari, moltitudini di schiavi, assenza di libert, ecc., mentre Sauron al vertice di un organismo fortemente gerarchizzato che vede appena al di sotto di lui i Nazgl e alla base gli Orchi. Inoltre, la straordinaria figurazione del Dark Lord come un occhio senza palpebra che, instancabilmente, osserva e controlla dallalto della sua inaccessibile torre di Barad-dr, si pone come una metafora di grande impatto del potere che non sarebbe dispiaciuta a Foucault, riecheggiando il celebre panopticon di Jeremy Bentham. Insomma, il mondo moderno ha sostituito loltretomba.

(1) Cfr. F. Cardini, La toga e lerba-pipa. Come un Hobbit insegn filologia allUniversit di Oxford, in Diorama Letterario, Speciale Tolkien, n. 16, 1979, pp. 9-12. (2) J. R. R. Tolkien, Il signore degli anelli, a cura di Q. Principe, trad. it. di V. Alliata di Villafranca, Bompiani, Milano 2004, pp. 793-794. (3) Cfr. M. Eliade, Arti del metallo e alchimia, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 69-74, 93-95. Cfr. anche Idem, La nascita mistica. Riti e simboli diniziazione, Morcelliana, Brescia 1980, p. 134. (4) Sullidea di metaspazio, si veda E. Cocco, Etica ed estetica del giardino, Guerini, Milano 2003, p. 12. (5) J. R. R. Tolkien, Il signore degli anelli, cit., p. 1158.

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L'Apocalisse bifronte: Solovv, Ballard, Tolkien


di Adolfo Morganti
elle sue ultime lezioni alluniversit di Chicago (1965-1975), lo storico delle religioni romeno Mircea Eliade si occupato anche del valore salvifico delle mode culturali. In esse, egli not, si riverberano cospicui sedimenti culturali impregnati di una simbologia radicata nel Sacro, una potenza di senso che rende conto del loro potere seduttivo su un uomo contemporaneo che ha rimosso coscientemente il Sacro, restandone tuttavia intimamente assetato ed affamato (1). Parlando di letteratura, entriamo proprio al centro delle grandi mode culturali della modernit, nella quale il fascino e il timore della prospettiva apocalittica si conservano con una persistenza che va ben al di l della percezione cosciente degli autori. Lo specchio letterario della modernit riflette infatti tutta la risonanza interiore, metaforica e simbolica, dellambivalenza del termine Apocalisse. Etimologicamente, come ben sappia-

mo, questa riporta al concetto di rivelazione ed in ambito biblico si rivela pregna di speranza nellintervento di Dio nella storia e di ammirazione per la Sua Sapienza in azione (logos) nel tempo; mentre nel linguaggio comune, per un processo di corruzione del senso intimo delle parole che non assolutamente innocente n casuale, ha assunto il valore negativo di distruzione cosmica finale del nostro mondo, lunico che possediamo, e a cui dobbiamo quindi attaccarci con ogni mezzo. Entrando nel cuore di questa parola, in tal modo gi prendiamo atto di una dinamica culturale sviluppatasi nel tempo (perlomeno negli ultimi tre secoli) ed impregnatasi in modo crescente di secolarizzazione: alla trasformazione apocalittica stata gradatamente tolta la speranza, ossia il senso dato dallintervento di Dio nella realt; rimane solamente la percezione della distruzione di un vecchio ordine cosmico giunto al suo giorno finale, minaccia che assieme alla completa identifica-

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zione di s con questo vecchio ordine immanente e mondano, provoca una reazione fobico-angosciosa. Mentre i primi Cristiani pregavano perch lavvento di Cristo affrettasse il tempo della Parusa e della fine della storia, la cultura della modernit ha ereditato malgr soi il senso di questa ineluttabilit e, pur proclamando lunicit e lassolutezza della realt storica cos come essa appare (secondo la ormai lunga teoria culturale che parte dalle immorali sorti, e progressive del XIX secolo alla fine della storia di fukuyamiana memoria), teme e paventa la sua naturale ed inevitabile caducit; pertanto la esorcizza come pu, ad esempio narrandola e ri-narrandola in infinite variazioni. LApocalisse in tal modo perde il suo significato di speranza, prova tangibile dellAmore e della Cura di Dio per il Cosmo, e diviene quindi orrorifica. Una volta di pi, nello spazio letterario della modernit lhorror si rivela pregno di una metafisica dellignoranza del divino, in cui la trascendenza negata e rimossa, fattasi quindi gradatamente incomprensibile, incombe come una minaccia sulla vita normale, per manifestarsi in maniera oscura, repellente, distruttiva: il Deus, ridivenendo ignotus, non pu che essere profondamente ansiogeno. A titolo di esempio letterario si rammenti solamente la teologia invertita dello statunitense Howard Phillips Lovecraft, capofila dellhorror contemporaneo in letteratura, nel cinema, in televisione etc., e si colleghi tutto ci con la immensa difficolt, inevitabilmente protestante, di dare un volto prossimo, riconoscibile e fraterno alla trascendenza, qui ed ora, in ogni tempo, nella vita di ognuno di noi. Per ovvie esigenze di tempo ho quindi selezionato tre autori che ripercorrono le diverse fasi del XX secolo che in modo particolare hanno illuminato questa ambivalenza apocalittica.

Lo spessore simbolico essenziale della narrazione non affatto una sovrastruttura ideologica

Vladimir Solovv e laffrontamento finale Vladimir Sergeevi Solovv (Mosca, 16 gennaio 1853 Uzkoe, 31 luglio 1900) uno dei pi noti filosofi e teologi russi della fine del XIX secolo; fu anche poeta e critico letterario. La sua opera influenz la generazione dei Berjaex, Florenskij, Bulgakov, ed incarna le radici del cosiddetto rinascimento spirituale russo dellinizio del Novecento. Facciamo riferimento a una delle sue opere forse pi celebri, I tre dialoghi e il Racconto dellAnticristo, che cito nella traduzione di Giuseppe Riconda (2). In primo luogo il titolo completo dellopera suona cos: I tre dialoghi sulla guerra, il progresso e la fine della storia universale con assieme un breve Racconto dellAnticristo e unAppendice. Si tratta di un testo letterario in forma di dialogo (La maniera di esprimermi pi semplice per ci che

io volevo dire (3)) pubblicato il giorno di Pasqua del 1900, pochi mesi prima della sua morte, a cui non posso che rimandare chiunque voglia capire meglio il mondo in cui tutti noi ci troviamo oggi a vivere. Solovv utilizza la tematica apocalittica in risposta agli idoli della modernit, che gi al suo tempo dilagavano per lEuropa: volont di potenza (la guerra), latra della tecnica (il progresso), materialismo scientista (col correlato mito del mondo nuovo, tipico di tutte le ideologie otto-novecentesche). Il mondo dellAnticristo di Solovv infatti il mondo della compiuta realizzazione della secolarizzazione ad ogni livello della cultura e della societ, proprio nel momento in cui la modernit (incarnata dalle caratteristiche dellAnticristo: filantropo, democratico, vegetariano, tollerante, amorale, vincitore della povert economica, laico e spiritualista assieme) finalmente trionfa nellOccidente civilizzato. Si ribalta in idolatria, magismo, superstizioni demoniache, anomia etica, totalitarismo morbido tecnocratico (a dire il vero morbido finch nessuno vi si oppone, in quanto poi rapidamente diviene feroce ed assassino, nellassoluta distrazione di massa), un inedito modello di dominio universale che stuzzica senza piet le percezioni delluomo nostro contemporaneo. Il racconto generoso di dettagli relativi alla sfolgorante carriera dellAnticristo e di scorci sullevoluzione della storia europea dagli inizi del XX secolo fino ai giorni nostri su cui non ci soffermeremo, ma alla fine questo il dato rilevante trionfano i suoi pochi e inermi oppositori. Al tempo del dominio planetario dellAnticristo assiso a Gerusalemme e fondatore di una nuova Chiesa universale con se stesso al centro, chi non si oppone (impresa impossibile per luomo) ma gli resiste? Chi resta dallaltra parte? AllAnticristo che nella sua predicazione sedurr molto facilmente la maggior parte dei credenti si oppongono i piccoli resti delle confessioni cristiane cattolica, ortodossa e protestante che non cascano nella sua melassa buonista e nel momento del suo apparente trionfo, segnato dallassassinio dellultimo Papa cattolico e del pi prestigioso staretz ortodosso, si ritirano nel deserto attendendo larrivo del Messia. A queste minoranze profetiche che si fondono in ununica minoranza seguono significativamente nella ribellione le altre tradizioni abramitiche, ebraismo e islam. Eppure, ci mostra lAutore, tutto ci che di umano possa farsi contro di esso resta del tutto perdente: la fusione di magia e scientismo, di corruzione e ipocrisia che sorregge e rende seduttivo il potere dellAnticristo ben pi forte di tutto e di tutti, e solo la Seconda Venuta di Cristo, in piena aderenza

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alla Scrittura, lannienta, chiude il racconto e nel contempo la discussione. In Solovv vi quindi un esplicito utilizzo della tradizione teologica cristiana indivisa dei Padri del primo millennio, a un fine che assieme apologetico e di chiarificazione filosofica, come dice lui stesso: Quando molti uomini pensano e alla chetichella affermano che Cristo ormai vecchio e superato, oppure che Egli non mai esistito e che si tratta di un mito inventato dallapostolo Paolo, ma nello stesso tempo continuano caparbiamente a chiamarsi veri cristiani e a coprire la dottrina del proprio spazio vuoto con parole del Vangelo manipolate, allora lindifferenza e il disprezzo indulgente sono del tutto fuori luogo. Tenendo conto della contaminazione dellatmosfera morale con la menzogna sistematica, la coscienza della societ reclama a gran voce che il male venga chiamato col suo vero nome. Il vero compito della polemica in questo caso : non confutare una falsa religione, ma smascherare un reale inganno (4). James Ballard: la fine di un mondo, che non rimpiangeremo Saltiamo dalla Russia della fine del XIX secolo allOccidente anglosassone della seconda met del secolo scorso. Qui incontriamo una cospicua e modernissima tradizione di letteratura popolare che diviene fin troppo spesso e volentieri apocalittica, con ci contraddicendo frontalmente e qui rientra il meccanismo di rimozione di cui ho parlato in apertura i presupposti che hanno portato alla nascita del genere letterario in questione: la Fantascienza. Nulla di pi teoricamente scientista, fiducioso nel futuro, strutturalmente dipendente da unutopia secolarizzata di progresso eternamente procedente in direzione rettilinea (oggi pi di ieri e meno di domani) della Fantascienza, soprattutto anglosassone. Eppure la tentazione apocalittica nella Fantascienza dilaga assieme al fantasma, esorcizzato ma evidentemente immortale, anche allinterno di quella cultura, del crollo degli idoli dello scientismo e del progressismo positivista otto-novecentesco. Lautore paradigmatico del modo tipicamente FS di affondare nellangoscia apocalittica certamente linglese James Graham Ballard (Shangai, 15 novembre 1930 Shepperton, 19 aprile 2009), che negli anni 60 fu tra i fondatori della New Wave della letteratura FS britannica. Notissimo per due romanzi, Crash e LImpero del Sole, da cui sono stati tratti due film di grande successo, Ballard ribalta lassunto teorico della fantascienza classica disinteressandosi della predicazione delle magnifiche sorti, e progressive e delle realizzazioni tecnicoscientifiche futuribili che a quel tempo costituivano lossatura ideologica e didattica della fantascienza, che in modo solo apparentemente curioso unificava sia la cultura letteraria americana che quella dei paesi socialisti, per dedicarsi a quello che lui stesso defin lInner Space, lo spazio interiore. Nulla di onanistico, tuttavia: in un modo solo apparentemente contraddittorio, linner space di Ballard si traduce e tradisce una costante tensione apocalittica. Allinizio della sua lunga e fortunata carriera di scrittore, in una tetralogia di celebri romanzi come Vento dal nulla, Deserto d'acqua, Terra bruciata e Foresta di scristallo, basati su unesatta corrispondenza coi quattro elementi della cosmologia antica (aria, acqua, fuoco e terra), egli rinarra con molte variazioni la stessa Apocalisse: quella della civilt dei consumi, basata sullo sfruttamento delluomo, della natura e sullo snaturamento

e perversione dei rapporti umani e sociali, ridotti a semplice merce. Gli elementi fungono quindi da giustizieri che da un lato svelano la nudit del re, ossia la vacuit del delirio di onnipotenza della civilt moderna, e nel contempo fungono da strumenti di unintuita, ripetuta ma mai dichiarata provvidenza, che spazza via il formicaio umano con tutti i suoi deliri e perversioni, lasciandosi dietro alcuni superstiti che normalmente sono fin dallinizio estranei, emarginati, ribelli alla modernit. Un piccolo resto, anche qui, che alla fine di romanzi veramente spietati e angoscianti, lascia tralucere un poco di speranza per il futuro eone: anche dopo il Ragnarokkr della mitologia norrena, una sola coppia di esseri umani riprende il ciclo della vita. Le sue opere mature pi note, La mostra delle atrocit (1970), Crash (1973), e Condominium (1975), presentano invece i lineamenti dellinferno concreto che le ideologie astratte della modernit realizzano qui ed ora; da notare che in Ballard la degenerazione sociale e quella interiore, psico-spirituale delluomo, procedono esattamente di pari passo, ed introducono nel loro svilupparsi sempre pi, come un tumore incontrollabile, la premessa del crollo finale, dellApocalisse di un mondo sui cui il nostro Autore, pur descrivendolo con la bravura di un pennello fiammingo, non spende mezza lacrima. In Ballard lApocalisse la matura mercede della civilt moderna, da essa stessa fabbricata, avvicinata, innescata, scatenata. Dio, se c, resta otiosus e contempla il disastro che luomo si costruito da solo, caritatevolmente non intervenendo. Tolkien e leucatastrofe ne Il Signore degli Anelli Il terzo esempio unifica le due prospettive sopra velocemente tratteggiate. John Ronald Reuel Tolkien (Bloemfontein, Sud Africa, 3 gennaio 1892 Bournemouth, Inghilterra, 2 settembre 1973), filologo medievale, cattolico militante e docente universitario insigne dellInghilterra del XX secolo, per tutti noi pi che altro lAutore de Il signore degli anelli. In realt la sua opera molto pi complessa: narrazione e studio filologico dei testi antichi in Tolkien sono i due polmoni di uno stesso organismo intellettuale, costantemente illuminato da una Fede cattolica pagata ben cara dalla pi tenera et, al costo della vita stessa dellamatissima madre. Ma fermiamoci alla sua opera pi nota, appunto Il signore degli anelli. In questa singolarissima Saga del XX secolo, che utilizza una rete di richiami simbolici (e non allegorici, come lo stesso Autore si premura di chiarire) che si radicano non solo nella teologia cristiana, ma anche nella cultura religiosa dei popoli precristiani dellEuropa centro-settentrionale, Tolkien inserisce con piena avvertenza e deliberato consenso una prospettiva apocalittica che regge tutta la metafisica della storia del suo mondo letterario, la Terra di Mezzo, dalla sua creazione (narrata nel Silmarillion) alla fine della Terza Era, evento cosmico con cui si conclude, appunto, Il signore degli anelli. Il passaggio dalla Terza alla Quarta Era (la nostra), avviene attraverso un affrontamento cosmico riccamente narrato e dichiaratamente apocalittico. Al suo interno, nel momento narrativo pi cupo e disperante in cui il Male sembra trionfare e ogni creatura crolla sotto il peso della propria limitatezza appunto creaturale, interviene un fatto, una circostanza imprevista ed imprevedibile che ribalta il pessimo equilibrio creatosi, e apre la strada alla vittoria del Bene nel mondo. Questo il segno efficiente

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dellintervento sottile di un Principio trascendente nelle maglie stesse della realt, per quanto tragica essa possa apparire. quanto Tolkien stesso chiama eucatastrofe. Pensiamo assieme alla parte finale de Il signore degli anelli e cerchiamo di capire meglio come funzioni questa Apocalisse positiva in Tolkien. In una lettera (n. 89) del 7 novembre 1944 (5) a Christopher, uno dei suoi figli, il filologo spiega quali sono per lautore le ragioni del valore de Lo Hobbit e de Il signore degli anelli. La missiva contiene il racconto del miracolo accaduto ad un bambino assai malato che, andato a Lourdes, non era stato inizialmente guarito, ma che sul treno del ritorno present i segni della guarigione; in riferimento a ci lautore prosegue: Per questa situazione ho coniato la parola eucatastrofe : limprovviso lieto fine di una storia che ti trafigge con una gioia da farti venire le lacrime agli occhi (che io argomentavo essere il sommo risultato che una fiaba possa produrre). E nel saggio [Sulle Fiabe] esprimo lopinione che produce questo effetto particolare perch unimprovvisa visione della Verit, il tuo intero essere legato dalla catena di causa ed effetto, la catena della morte, prova un sollievo improvviso come se un anello di quella catena saltasse. Si intuisce che cos fatto il Grande Mondo per il quale fatta la nostra natura. E concludevo dicendo che la Resurrezione la pi grande eucatastrofe possibile nella pi grande Fiaba (...). Naturalmente non voglio dire che i Vangeli raccontano solo fiabe; ma sostengo con forza che raccontano una fiaba: la pi grande. Luomo, narratore, deve essere redento in modo consono alla sua natura: da una storia commovente. Ma dato che il suo autore lartista supremo e lautore di tutta la realt, questa storia fatta per essere vera anche al primo livello. Qui esposto il punto chiarificatore del realismo delle fiabe, cio la capacit di raccontare in modo semplice la dinamica della Verit. La sorpresa dellautore grande nel realizzare questo fatto: per Tolkien diventa chiaro che il suo lavoro non ha alcuna ragione di rimanere chiuso nella propria cerchia familiare se in grado di suscitare nel lettore la visione e la passione del Vero (6). Nella dinamica della salvezza nellopera tolkieniana potremmo dire che in realt il mondo viene salvato unicamente dalla Provvidenza, che tuttavia agisce attraverso la piet esercitata dai suoi Eroi nei momenti della maggiore difficolt, e persino nei confronti dei peggiori erranti, ossia i Servi dellOscuro Signore; oppure realizzandosi in situazioni sacrificali in cui la vita stessa dei protagonisti offerta per espiazione e per Amore. In che senso si debba intendere questa Provvidenza ce lo conferma lo stesso Tolkien: essa lazione dellunica persona sempre presente che non mai assente e mai viene nominata in verit ci si riferiva a lui come allUnico, nome che designa il Dio creatore del Silmarillion (lettera 192). Sulla presenza di questo decimo personaggio della Compagnia si gioca il terzo aspetto fondamentale del libro anche se normalmente viene ritenuto secondario rispetto alla questione della Morte ed Immortalit e della sub-creazione: Nel Signore degli Anelli il conflitto fondamentale non riguarda la libert, che tuttavia compresa. Riguarda Dio, e il diritto che Lui solo ha di ricevere onori divini. Si rammentino le parole dello Starez Giovanni allAnticristo in Solovv, le uniche parole che riescono ad incrinare il suo trionfo e scatenano la sua

ira, rivelandone al contempo la natura compiutamente diabolica: Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di pi caro nel cristianesimo Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ci che viene da Lui, giacch noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinit. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la santa mano di Cristo. E alla tua domanda che puoi tu fare per noi, eccoti la nostra precisa risposta: confessa, qui ora davanti a noi, Ges Cristo figlio di Dio che si incarnato, che resuscitato e che verr di nuovo; confessalo e noi ti accoglieremo con amore, come il vero precursore del Suo secondo avvento. Quis ut deus? Conclusione La narrazione non pu facilmente liberarsi dal suo spessore simbolico, che non affatto una sovrastruttura ideologica, come certa critica neomarxista oggi in modo invero superficiale cerca non di dimostrare, ma di asserire. In essa pare troppo spesso rispuntare, senza che nemmeno gli autori stessi se ne rendano pienamente conto, una rete di significati senza tempo, che rimandano ad un tessuto culturale profondo nei cui fili leredit culturale e spirituale europea e cristiana non scompare. Abbiamo per anche constatato come questa eredit si frammenti e deformi: ne un esempio la cupezza della letteratura apocalittica anglosassone (sia di fantascienza che horror), di evidenti radici protestanti, in cui il senso del necessario e provvidenziale decadimento del mondo non sfocia in alcuna speranza di rigenerazione che vada al di l dellindividuo e della sua salvezza materiale, e quindi affoga nella paura e nellangoscia, disegnando figure di di oscuri e terrifici, o completamente otiosi. Gli altri Autori che abbiamo esaminato, cattolici ed ortodossi, hanno coscienza di altro. Ad una necessaria fine corrisponde un nuovo inizio, ed i dolori del parto in cui luniverso geme sono buoni in quanto funzionali alla nascita di un nuovo mondo ri-ordinato, giovane e pulito. N questa coscienza di altro giunge a noi per la prima volta dalla letteratura del 900: nella letteratura cavalleresca medievale la Battaglia finale lApocalisse arturiana, con tutti i suoi orrori non perde mai una sfumatura di fondamentale felicit, poich il tempo in cui si realizza lantica Profezia che accompagna luomo in tutti i suoi tempi: Quel giorno il Re verr, e la Spada sorger di nuovo.

(1) Cfr. M. Eliade, Occultismo, stregoneria e mode culturali, Sansoni, Firenze 2004. (2) V. Solovv, I tre dialoghi e il Racconto dellAnticristo, Marietti 1820, Genova-Milano 1975, anche se devo segnalarne presso lo stesso Editore una significativa traduzione pi recente, a cura di Aldo Ferrari. (3) Ivi, p. 45. (4) Ivi, p. 47. (5) In J. R. R. Tolkien, La Realt in trasparenza, Rusconi, Milano 1990. (6) Sul tema, vedi anche lesegesi di A. Mordini, Il segreto cristiano delle fiabe, Il Cerchio, Rimini 2007.

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Tolkien e la tecnica
di Errico Passaro
. R. R. Tolkien uno di quei rari scrittori-mondo alla cui autorit morale e culturale molti si appellano, non sempre in buona fede, per trovare la propria via esistenziale, per supportare una propria visione del mondo gi formata ma pericolante, oppure per fornire una patente di nobilt ad unideologia rozza e triviale. sempre con misura e cautela, dunque, che lo studioso si deve accostare alla vita e allopera del Nostro, saccheggiata da pi mani, nel timore che ogni interpretazione anticonformista possa essere bollata come una mis-interpretazione, un fraintendimento strumentale a chiss quale oscuro disegno egemonico culturale o semplicemente ad una scarsa conoscenza diretta delle fonti biografiche, scientifiche e letterarie.

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Queste note di premessa valgono anche per lannosa questione del ruolo della tecnica nella Terra di Mezzo: evidente che certificare carte alla mano il rifiuto totale della tecnica da parte di Tolkien pu portare a rafforzare la nomea di ultraconservatore che il personaggio nel suo complesso si guadagnato nel tempo da una parte tuttaltro che minoritaria della critica; viceversa, rinvenire nel legendarium tolkieniano le tracce di una prudente accettazione della tecnica pu ridimensionare questa lettura monolitica del personaggio. Nella vulgata popolare J. R. T. T. appare come una sorta di retrogrado vegliardo zavorrato ad una visione bucolica della vita. In realt, come vedremo, questa posizione di radicale e insanabile intolleranza verso i mezzi della tecnologia trova alcuni temperamenti. In una lettera del 1951 indirizzata a Milton Waldman, Tolkien parla della Macchina come del mezzo attraverso cui rendere pi rapidamente efficace la Volont e giungere al Potere. In questo senso, essa rappresenta lo strumento delezione attraverso cui il Male impone la sua volont nel mondo: il mondo primario in cui lAutore vive e il mondo secondario che esso fa vivere attraverso le sue opere. In una lettera del 1944 alla figlia, tuttavia, loxoniense rimarca la differenza fra larte, che si accontenta di creare un nuovo mondo, e la tecnica, che cerca di realizzare i desideri e creare potere in questo mondo. Se non erriamo, questo significa che lartista (lo scrittore, ma anche il pittore, lo scultore, larchitetto) agisce per puro diletto, senza perseguire scopi materiali, mentre il tecnico, spesso mascherato da artista, ha lambizione di agire sul mondo circostante senza scrupoli, piegandolo ai propri interessi egoistici. Gi dalla lettura preliminare di questi due semplici estratti dalla corrispondenza di Tolkien ci sembra di poter ricavare, in prima approssimazione, un atteggiamento, se non di chiusura, certo di diffidenza di fronte alla modernit delle macchine novecentesche. Ma proseguiamo nellanalisi, invocando anche il magistero dei colleghi della critica specializzata.

In Mordor e Isengard, emblemi della Modernit, vige il potere pi spietato basato sul terrore, la Scienza si oppone alla natura e la devasta, le sue fucine sfornano non solo armi ma anche esseri nuovi, malvagi, mostruosi e crudeli

Il concetto fondamentale che sembra trapelare dalla generalit degli interventi sullargomento che esiste una tecnica buona, equiparabile alla magia bianca o, con altro termine, allarte, e una tecnica cattiva. Come abbiamo scritto in altra sede, la magia pu essere un atto di imposizione alla natura come un atto di scoperta. Nel primo caso, abbiamo, la magia nera (Saruman che si fa creatore della stirpe mutata degli orchetti Uruk-hai) (). La magia nera, in quanto paragonabile alla tecnologia, altera perversamente la materia, forza i suoi limiti e scimmiotta lopera del Creatore (1). Una sub-creazione volta al negativo, dunque, che inverte il segno della creazione e ne snatura il senso profondo. Il concetto viene espresso in forma diversa da Agnoloni, che annota come quella forma di magia fondata sul concetto di Macchina, e dunque sullaspirazione al dominio sugli altri e al possesso, che caratterizza Sauron e i suoi schiavi, () [] contrapposta alla virt artistica degli Elfi (incantesimo) (2). Da una parte, dunque, lutilizzo di unappendice meccanica dellessere vivente, in grado di ripetere in modo sistematico azioni elementari, aumentare la produttivit e porre in essere realizzazioni in grado di avvantaggiare su tutti gli altri chi ne dispone; dallaltra, il ricorso a sapienze antiche, tramandate di generazione in generazione, fondate su una condivisione armonica con il Tutto, e non sulla sopraffazione e sullo sfruttamento. Idem Vaccari, con esplicito riferimento alla quintessenza dello scienziato pazzo, dominato dalla hybris che anche in altri generi collaterali alla fantasia eroica e ad essa uniti dalla comune radice mitica (la fantascienza, lhorror) ha avuto la sua dubbia fortuna. Lo stregone Saruman esprime forse ancor meglio di Sauron il risultato della capacit distruttiva della tecnologia disumana cos aborrita da Tolkien, perch in grado di corrompere persino colui che un tempo era chiamato il saggio (3). Ma, lungi dallappiattirsi su un visione di J. R. R. T. tendente alla tecnofobia e al luddismo, lo specialista ricorda come, accanto

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alle tecniche cattive, trovino posto ne Il signore degli anelli anche tecniche buone, come quelle semplici degli Hobbit della Contea (il soffietto del fabbro, il mulino ad acqua, il telaio a mano) e quelle pi raffinate degli Elfi e, soprattutto, dei Nani, maestri nellestrazione e nella forgia del metallo e nella costruzione di canali e pozzi. In questo senso, tutte le razze che concorrono alla composizione della Compagnia dellAnello appaiono coltivare la tecnologia, sia pure con approcci diversi in funzione delle loro specificit: gli Hobbit, dindole bonaria, si accontentano di modeste opere, quelle strettamente necessarie alla loro economia domestica e rurale; gli Elfi assecondano la loro naturale attitudine alla comunione panica con la natura, conformandola senza traumi alle proprie necessit di lungo periodo; i Nani trovano riscatto dalla loro sfavorita condizione fisica nelleccellere in opere di vertiginoso respiro, che mai si crederebbero ascrivibili allingegno di creature cos piccole. sempre Saruman al centro dellelaborazione teorica dei tolkieniani di ferro, fra cui Fontana, che, parafrasando il testo originale, racconta di come Saruman prosciug il lago e tagli gli alberi per sfruttarne la legna, e nel bacino apparvero delle cupole rocciose tramite le quali si accedeva agli ambienti sotterranei che ospitavano magazzini, fucine, armerie e lavoratori, e da cui fuoriusciva di continuo un nauseabondo fumo acre e nero (4). Scenario quasi dickensiano che ricorda larcheologia industriale dellOttocento piuttosto che le fabbriche contemporeanee. In altra parte della dottrina tolkieniana si legge che Saruman, fine metafora dellorgoglio tecnocrate (), dispiega la sua forza razionale e tecnologica e aspira a trovare lanello per tenerlo per s (), crea un proprio esercito di orchi scientificamente implementati () e dotati di un equipaggiamento tecnicamente pi efficace (), performante secondo una mentalit industriale. Saruman presentato come metafora del potere che sfrutta ciecamente la tecnologia, il logos che

Nella vulgata popolare Tolkien appare una sorta di retrogrado vegliardo zavorrato a una visione bucolica della vita. In realt, questa posizione di insanabile intolleranza verso i mezzi della tecnologia trova alcuni temperamenti

impazza e devasta, avendo perso di vista i binari delletica (). La caduta di Saruman e la sua mente fatta dingranaggi e rotelle sono prodotti tipici dellera contemporanea (). Tolkien critica fortemente lidea di attribuire al modernismo industriale una maggiore appartenenza al mondo reale e si rifiuta di vedere il ritorno alla natura come uningenua evasione (5). Condividiamo in pieno il riferimento che Marotta fa alletica: lautodisciplina morale lunico serio freno alla superbia della scienza che si vuol fare bieco strumento di affermazione delluomo sulluomo e di blasfema parodia della divinit. Del pari, ci allineiamo al rigetto di un Tolkien escapista che evade nella natura incontaminata come un cittadino che fa la sua brava scampagnata fuori porta nel fine settimana Lettura quanto mai riduttiva, quando invece con la natura i personaggi della Terra di Mezzo intessono un dialogo quotidiano, ininterrotto e non sporadico, e nella quale essi trovano le risorse per una retta pratica scientifica e tecnologica. Lossessione tecnologica di Saruman inizia dalla curiosit intellettuale, si evolve in abilit ingegneristica, si trasforma in avidit e desiderio di dominio, si corrompe poi in odio e in disprezzo per il mondo naturale che va oltre il desiderio razionale di farne uso (). Ingegnosit incessante, abilit tecnica senza scopo, livellare e distruggere solo per il gusto di farlo (6): a sostenerlo con buone ragione, Shippey, uno dei massimi esegeti a livello internazionale dellopera tolkieniana, al quale ci associamo nella parte in cui enfatizza il degrado logico e psicologico di Saruman, la sua tossicodipendenza da scienza applicata, lo stesso processo di corruzione che in Gollum prende espressione fisica e nellantico sodale di Gandalf assume invece le parvenze di una deriva patologica verso il delirio di onnipotenza. Non c solo Saruman ad incarnare la tensione faustiana al superamento dei propri limiti. Ci dice Gulisano che Melkor si ritira a Angband (), la prigione di ferro, possente

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fortezza sotterranea, composta anche da miniere e fabbriche, popolata da schiavi, dominante unarea cupa e triste, segnata fisicamente dalla presenza del male e intossicata dalla esalazione degli opifici (7). Si pu dedurre da questa citazione che, gi prima degli eventi narrati ne Il signore degli anelli, il mondo secondario di Tolkien conosceva questa straziante dialettica tra una natura pura, percorsa da uomini liberi, ed una natura inquinata e depredata, al cui servizio sono posti esseri in stato di cattivit. Visione manichea, nientaffatto chiaroscurata, ove il Bene e il Male si oppongono lun laltro senza se e senza ma, senza quel relativismo morale che la cifra della modernit e che, insieme al dibattito di idee, ha portato anche il frutto avvelenato del tutti peccatori, nessun peccatore. Spostando lasse del discorso dalle persone Saruman, Melkor ai luoghi da questi traviati, il discorso non cambia. Dalla penna di de Turris apprendiamo che Mordor, Barad-dur, Isengard sono gli emblemi della Modernit: in essi vige il potere temporale pi spietato basato sul terrore e sulla costrizione, tutto pianificato e massificato, la Scienza si oppone alla natura e la devasta, le sue fucine fiammeggianti sfornano non solo armi ma addirittura esseri nuovi, malvagi, mostruosi e crudeli, il suo fine la distruzione e lasservimento con mezzi violenti e meccanici (8). Parole diverse per esprimere un concetto ormai familiare ai lettori che hanno voluto fin qui seguirci. In pi, il critico di lungo corso sottolinea laspetto della pianificazione e della massificazione insito nellapplicazione di metodi tayloristici (o fordiani, se si preferisce) alla produzione di manufatti: luomo che produce una cosa diventa esso stessa cosa. Lo schiavo di Saruman si reifica nella magia nera l dove lelfo, il nano, lhobbit libero, a similitudine delloperaio di Ernst Jnger, si deificano nella magia bianca. Il compianto Paggi parla di Mordor in termini di allusione trasparente alla civilt industriale vista nel suo rovescio nero e mortale, immagine di una nuova retorica antindustriale ed ecologica () che unisce per opposizione il tema bucolico e georgico non pi tanto con linnaturalit dellartificioso intervento umano () quanto con la violenza spaventosamente disseccatrice di vita dei lager e di Hiroshima, di cui la fabbrica e gli inquinamenti sono gli eufemismi per cos dire in borghese (9). Nello stessa sede, il critico ribadisce che in Tolkien tecnica significa degradazione della natura e dellanima, e ad essa si addicono le tinte negre e i toni dissonanti neppure degna delle note funeree (10). singolare come esperti di differente estrazione e impostazione culturale trovino nel segno antitecnologico di Tolkien un punto dincontro, quando su ogni altro aspetto della sub-creazione tolkieniana (la religione e la guerra, per esempio) si accapigliano con vis polemica non di rado volgare ed alimentata da insanabili conflitti ideologici. Qui Paggi, che non lesina interpretazione di scuola marxista nella sua opera critica, si mette a braccetto con de Turris, destrorso e fiero di esserlo, nellenfatizzare la degradazione della natura e dellanima a cui conduce una scienza non filtrata dal rispetto per le creature viventi e per lambiente in cui esse vivono. Persino un osservatore cinico e disincantato come lo scrittore-scienziato Asimov, nellapprocciare una materia a lui non propriamente familiare come la fantasia eroica, riesce a inquadrare correttamente il problema. Mordor, scrive, stu-

pendo i suoi stessi appassionati lettori, il mondo industriale che si evolve sempre di pi ed estende il suo potere su tutto il pianeta, distruggendolo e avvelenandolo (). Il Primo Anello la seduzione esercitata dalla tecnologia, la voglia di prodotti ottenuti pi facilmente e in maggiori quantit (), tutte le cose che la gente cerca quando non le ha e a cui non pu rinunciare quando le ha (11). Ora, vero che ciascuno trova nel testo letterario tanto pi in un testo complesso come Il signore degli anelli quello che vuol sentirsi dire; ma colpisce che pure un idolatra della scienza come lautore di Fondazione, un fautore della ragion scientifica a tutti i costi, un narratore capace di applicare la matematica finanche alle discipline umanistiche con linvenzione della psicostoria, sia portato a demonizzare certa scienza applicata al soddisfacimento di falsi bisogni, quei bisogni indotti dallopera subliminale dei tanti persuasori occulti a piede libero. Siamo giunti al termine della nostra breve, ma speriamo esaustiva, ricognizione. Chi scrive avrebbe voluto introdurre posizioni originali in merito al tema assegnato, ma non ne ha avuto bisogno, n, per spirito di protagonismo, ha ritenuto di dover forzare la mano alla lettera tolkieniana cos come alla sua esegesi. bastato alla bisogna individuare, mettere insieme e chiosare una serie di interventi ripresi dalla sterminata bibliografia italiana su J. R. T. T. e tutti concordanti con lassunto iniziale che De Feudis, con le parole a cui affidiamo la nostra conclusione, cos ben riassume: Tolkien ha scelto attraverso la narrazione di creare un mondo alternativo nel quale fossero evidenti i bersagli della sua critica contro una certa modernit: la descrizione di un universo ordinato in netta contrapposizione ai tecnologi, i modernizzatori e i consumisti inveterati. Difendeva cos il suo credo spirituale, le sue convinzioni culturali pi profonde e le critiche pi sincere alla deriva inarrestabile della societ tecnologica e capitalista (12).

(1) E. Passaro, M. Respinti, Paganesimo e cristianesimo in Tolkien, Il Minotauro, Roma 2004, p. 49. (2) G. Agnoloni, Tolkien e Bach, Galaad, Roma 2011, p. 143. (3) E. Vaccari, Tecnologie, tecniche e mondo sotterraneo in Tolkien, in C. Bonvecchio (a cura di), La filosofia del Signore degli anelli, Mimesis, Milano-Udine 2008, p. 259. (4) R. Fontana, Guida per viaggiatori nella Terra di Mezzo, LEt dellAcquario, Torino 2010, p. 310. (5) D. Marotta, Conan e Frodo, Simonelli, Milano 2010, pp. 117-119. (6) T. Shippey, J. R. R. Tolkien Autore del secolo, Simonelli, Milano 2000, pp. 194-195. (7) P. Gulisano, Tolkien Il mito e la grazia, Ancora, Milano 2001, p. 137. (8) G. de Turris, Tolkien fra Tradizione e Modernit, in G. de Turris (a cura di), Albero di Tolkien, Larcher, Brescia 2004, p. 135. (9) M. Paggi, La spada e il labirinto, ECIG, Genova 1987, p. 43. (10) Ivi, p. 72. (11) I. Asimov, Guida alla fantascienza, Mondadori, Milano 1984, pp. 216-217. (12) M. De Feudis, Tolkien fra immaginario giovanile ed ecologia, in M. De Feudis (a cura di), Tolkien, la Terra di Mezzo e i miti del III millennio, LArco e la Clava, Bari 2002, pp. 51-52.

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Tolkien, Popper e il senso nascosto tra le nuvole


di Sebastiano Fusco

hiss perch, ogni volta che parlo di alchimia, applicandone i concetti a circostanze della cultura contemporanea, c sempre qualcuno che se la prende. vero, si tratta di unarte in larga misura dimenticata, i cui concetti risultano del tutto impermeabili se considerati esclusivamente alla luce del razionalismo meccanicistico. Tuttavia, stata (ed ) una delle discipline pi a lungo e pi pertinacemente praticate da coloro che una volta si definivano filosofi (nel senso letterale del termine: amanti del sapere), ed una di quelle su cui sono stati scritti pi libri. Jacques Bergier, di professione chimi-fisico con specializzazione nel nucleare, nel Mattino dei maghi afferm che sullalchimia nei secoli sono stati pubblicati almeno centomila libri. Questo lo disse cinquantanni fa: oggi, visto che gli alchimisti o sedicenti tali ci sono ancora, e siamo in unepoca in cui sciaguratamente si scrive e si pubblica con molta maggiore facilit rispetto a un tempo, tale cifra almeno raddoppiata.

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Duecentomila libri inutili Duecentomila libri sul nulla? Duecentomila libri su divagazioni prive di senso, non utilizzabili per capire alcunch delle circostanze della vita comune? La risposta s, se per vita comune intendiamo soltanto ci che appare ai nostri sensi, magari amplificati dagli strumenti dosservazione, e alle circostanze che ci legano al mondo terreno, e soltanto a quello. Ma se appena ci affacciamo su di una dimensione un po diversa (si badi: ho detto diversa, non superiore) le cose cambiano drasticamente. Questo lo sapevano bene gli antichi (ma chi li legge pi, al di l dei sunti scolastici?) e lo sapevano anche i fondatori del pensiero moderno. Galileo era un alchimista, Newton era un alchimista, lo stesso Cartesio lo era a tal punto da doversi difendere dallaccusa di far parte di una setta segreta, come i Fratelli Rosacroce. Tutti poveri acchiappanuvole? Ancora una volta, la risposta s: costoro, e tanti come loro, erano acchiappanuvole nel senso che la verit la cercavano non sulla terra ma un po pi su. E non ha importanza se questo pi su esista davvero, in senso oggettivo: anche se non tangibile, analizzabile, misurabile, il pi su comunque importante, perch il fatto stesso che lo concepiamo gli conferisce esistenza. Per chiarire, azzardo una metafora. Consideriamo un libro, per esempio un trattato di filosofia teoretica. Il libro un oggetto concreto: ha un peso, una consistenza, un volume, una struttura complessa fatta di molte pagine, ciascuna diversa dallaltra, legate insieme. Possiamo scrutarlo in tutti i modi, analizzarne densit e peso specifico, valutarne la composizione chimica della carta e degli inchiostri, catalogarne meticolosamente ogni millimetro quadrato valutando le differenze e le omogeneit di ciascuno di essi in rapporto con tutti gli altri: ma alla fine non avremo la minima cognizione di che cosa sia la filosofia teoretica. cos che oggi gli scienziati materialisti stanno studiando il mondo: analizzano il libro come oggetto fisico, ma non si soffermano a pensare che possa avere un contenuto. Anzi, in genere negano che tale contenuto vi sia, e i pi estremisti fra loro giudicano blasfemo dal punto di vista del razionalismo anche il solo ipotizzare che sussista un contenuto qualsiasi. Le verit a cui arrivano gli scienziati, nellambito della potenza dei loro mezzi dosservazione: il peso del libro quello, quella la densit e il peso specifico, quelle le composizioni di carta e inchiostro. Ma l si ferma la loro ricerca, e non potr mai approdare ad altro, sempre che questo altro ci sia, dubbio che in genere non li sfiora nemmeno, e comunque non interessa loro. C tuttavia qualcuno che vuole andare pi su, e cerca di capire se, al di l delloggetto materiale, vi sia un portato che dia un senso alloggetto stesso. Non necessario ipotizzare un senso introdotto deliberatamente da un presunto Autore del libro, che non conosciamo, non conosceremo mai e mai sapremo se esista o meno. Ci che importa se, in rapporto a noi che cerchiamo dinterpretarlo, questo senso vi sia oppure no. Di conseguenza, il senso, se c, non lo cercheremo pi nel libro in quanto tale, ma in noi stessi come interpreti del libro. Da questo punto di vista, il senso c, eccome: e il fatto che siamo noi a conferirglielo non lo rende meno importante, anzi, ne accresce il valore. Lesperienza cinsegna che vano cercare un senso nelle cose in se stesse: sono, e basta. Il senso va cercato nei nostri rapporti con le cose, e si tratta in genere di un senso non univoco, ma diverso per ciascuno di noi. Questo lavoro di ricerca non lo fanno gli scienziati materialisti, ovviamente, ma

coloro che si occupano dei prodotti intellettuali delluomo e del loro modo di manifestarsi e soprattutto dinteragire. Ma non basta ancora. Una volta accertato che c un testo da leggere, questo testo va non soltanto letto, ma anche capito. La filosofia teoretica, ammetterete, una disciplina difficile. Non basta conoscere la lingua in cui espressa la dottrina, occorre anche seguire il filo di concetti spesso difficili o astrusi, legati a ragionamenti astratti, remoti dal comune sentire e spesso seguenti una logica tutta loro. Tanto pi difficile sar capire il contenuto del libro che abbiamo preso come oggetto centrale della nostra metafora, visto che ciascuno di noi attribuisce un significato diverso alle parole che riesce a distinguere nel testo. Abbiamo un solo modo per uscire dal labirinto delle infinite interpretazioni: cercare termini sul cui senso vi sia un comune sentire, il cui significato sia accettabile senza discussioni, in quanto evidente di per s. Evidente, si badi, non alla nostra ragione meccanicistica: quella serve soltanto a misurare il peso specifico del libro. Sibbene, alla nostra sfera emozionale, al nostro sentire profondo, al nostro serbatoio di certezze assolute. In altre parole, dobbiamo cercare dei simboli che ci facciano da guida. Questo non pi compito n degli scienziati n dei filosofi: precipuo dei poeti. In particolare di quei poeti che anticamente erano definiti vates, in quanto esprimevano una serie di verit parlando giustappunto per simboli. Tre mondi So bene che c gi chi sta gridando allirrazionalismo, al tentativo di dare struttura a ragionamenti privi di sussistenza con un procedimento simile al credo quia absurdum di Tertulliano. Bene, vorrei ricordare che quanto esposto (compresa la metafora del libro) non che unapplicazione della teoria dei tre mondi di Karl Popper. Il grande filosofo della scienza, che mi onoro di aver avuto come collaboratore negli anni in cui dirigevo un mensile intitolato Scienza 2000 (quando, ahim, il 2000 era ancora molto di l da venire), divideva concettualmente la realt dal punto di vista umano, in tre mondi: il Mondo 1 rappresentava la sfera degli oggetti fisici, il Mondo 2 quella dellesperienza umana soggettiva e il Mondo 3 quella dei contenuti oggettivi del pensiero e del linguaggio. Si tratta, guarda caso, della stessa divisione dellEssere, come concepito dalluomo, in tre realt, che era tracciata un tempo dagli alchimisti. Quando, in alchimia, si parla di un metallo, per esempio il piombo, lo si vede sotto tre aspetti diversi. In primo luogo, c il suo aspetto fisico, ovvero quello che proprio dellelemento chimico Piombo come lo si trova in natura: pesantezza, colore nero, tossicit, plasmabilit, bassa resistenza al fuoco e cos via. Queste caratteristiche vengono trasferite allinterno delluomo e ricercate come componenti della personalit. Lalchimista fa un profondo esame di coscienza per identificare e isolare tutti gli elementi plumbei del suo carattere. unoperazione in genere lunga e dolorosa, che veniva chiamata scrutinium chymicum (Michael Maier vi ha dedicato uno dei duecentomila libri che nessuno legge pi). Occorre grande potere di concentrazione, da conseguirsi con discipline mentali specifiche e grande forza di volont, perch difficile portare a nudo compiutamente e sinceramente anche le proprie debolezze pi inconfessabili. Si identifica il piombo nel Mondo 1, cio il macrocosmo, e se ne ricercano le tracce nel microcosmo, ovvero il

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complesso psicofisico delluomo, che del Mondo 1, dal punto di vista alchemico, una minuscola sintesi. Successivamente, le caratteristiche plumbee della personalit andavano disciolte usando un solvente apposito o il calore del fuoco. Come il piombo, scaldato, si liquefa, cos le concrezioni plumbee della psiche umana erano sottoposte a unazione destinata a dissolverle. La fase della procedura alchemica era detta solutio, e prevedeva diverse metodiche a seconda del metallo coinvolto e della personalit delloperatore. Chiave del procedimento sempre, comunque, limmaginazione attiva: lalchimista crea dentro di s delle immagini (spesso mitologiche: una molto comune era quella di Dioniso fatto a pezzi dai Titani e poi messo a disciogliersi in un calderone) e fa in modo che queste agiscano nella propria coscienza profonda per dissolvere i grumi. Questa procedura segna il passaggio dal Mondo 1 al Mondo 2. Loggetto in s si dissolve divenendo in un certo modo il pensiero delloggetto. Ci che conta non pi la sua essenza materiale ma la visione che ne abbiamo, la sua identit nella nostra architettura interiore. La fase successiva detta sublimatio. Il metallo liquefatto, sottoposto a forte calore, vaporizza. Quella che era sostanza solida diviene gas. Si passa dalla cosa allessenza della cosa. il transito dal Mondo 2 al Mondo 3, quello, secondo Popper, dei contenuti oggettivi del pensiero. Si pu anche dire che si passa dal significatore al significato. Il grumo materiale individuato e disciolto viene sublimato, cio passa a una fase aerea. Se ne coglie il significato recondito, in noi e fuori di noi, e si comprende il senso dei suoi rapporti con noi e con il resto del Tutto (per inciso, le fasi delloperazione alchemica sono pi di tre; ciascuna si suddivide in sotto-fasi, in genere fino a dodici: ma non stiamo facendo un trattato dalchimia). Arrivato a questo punto, lalchimista ha risolto il suo problema principale nellinterpretazione del mondo perch ha riprodotto in s, nella propria interiorit profonda, lessenza delle cose: fatto importantissimo perch al-

Il fantastico non vincolato da strettoie storiche, dambientazione, di verisimiglianza scientifica e neppure dalle categorie della logica. Per questo il campo letterario nel quale pi densa la fioritura di simboli.

trimenti non saprebbe come agire, sulla base del proprio corpo, per giungere ad una realt superiore (reale o immaginaria, non importa: per lui reale). Popper, in unintervista del 1989 allEnciclopedia filosofica ( reperibile anche in rete), spiega con molta chiarezza: Questo libro contiene delle pagine stampate, che rappresentano il Mondo 1. Ma in queste pagine vengono espresse certe idee, che le pagine comunicano in forma comprensibile [il Mondo 2]. una strana situazione: da una parte ci sono i libri, oggetti stampati, e dallaltra il linguaggio, parlato e stampato. Queste cose hanno in comune le idee che esprimono: c dunque qualcosa che pu essere tradotto in unaltra lingua e dovr trattarsi di qualcosa di invariante. Questa stranissima cosa ci che io chiamo il Mondo 3. Ci sembra abbastanza evidente che il Mondo 3 sia, almeno in parte (la visione di Popper assai complessa), il mondo dei simboli: il simbolo infatti linvariante universale che non muta quale che sia la rappresentazione del fenomeno che vuole spiegare.

anzi, quattro Lo schema dei rapporti fra comprensione umana e realt oggettiva tracciato da Popper non ha relazioni soltanto con lalchimia. Tanto per citare, nella Kabbalah ebraica presente la dottrina dei Quattro Mondi in cui suddiviso il Tutto, visti come quattro fasi della Creazione. Procedendo dal basso, il primo mondo quello di Assiah, luniverso della materia e dellazione in cui la Volont Divina prende sostanza (Mondo 1). Al di sopra c Yetzirah, che il mondo della formazione, in cui si incidono le forme che in Assiah verranno riempite di materia (Mondo 2). Segue Briah, il mondo della progettazione, in cui vengono tracciati i progetti, o le matrici delle forme da incidere in Yetzirah (Mondo 3). In pi, c laltissimo mondo di Atziluth, in cui sussistono le idee divine che danno luogo a tutta la creazione. Questo mondo pertiene per soltanto a Dio, inattingibile e inconcepibile, per cui risulta al di fuori della portata di qualsiasi operazione

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umana. I mondi non debbono essere pensati come successive stratificazioni ma compenetrati gli uni negli altri. Per illustrare il complesso, spesso si ricorre alla metafora del Grande Architetto. Questi colui che concepisce lidea di una casa (Atziluth); ne determina lo stile e le dimensioni (Briah); ne disegna il progetto (Yetzirah); raccoglie i materiali e la fa costruire (Assiah). Questa immagine a dir la verit un po approssimativa e deve la sua popolarit al fatto di essere stata adottata dalle varie scuole massoniche, grazie al fascino del mito riguardante ledificazione del Tempio di Salomone (mason il muratore). A mio personale giudizio, per restare nella metafora del libro, sarebbe pi calzante limmagine del Grande Editore. Questi Colui che ha lidea dun Libro. Chiamiamo questo libro Enciclopedia universale perch vi contenuto, letteralmente, Tutto: il concepito e linconcepibile, il realizzato, il realizzabile e lirrealizzabile. Avuta lidea, incarica uno o pi autori di sua fiducia perch scrivano il libro. Consegna il testo ricevuto a una redazione esperta perch lo componga, lo impagini e vi aggiunga illustrazioni e copertina. D il tutto a una ipertipografia perch lo stampi, lallestisca e lo rileghi. Infine, fissa il prezzo. Che, com generale costume degli editori (a prescindere della Loro grandezza), risulta alquanto salato: lo sa bene chiunque abbia assaggiato anche un solo spicchio desistenza. A questo schema non pu sottrarsi chiunque tenti la comprensione di qualsiasi testo che convogli, consapevolmente o no, un frammento della sapienza tradizionale, non essendo possibile prescindere dalla considerazione del polisemismo tipico di questa classe di opere. Non si tratta semplicemente di attribuire significati specifici a strutture simboliche: per esempio, si scrive soffio e sintende spirito. Occorre tener presente le stratificazioni complessive di senso che si sovrappongono e sintessono nella struttura stessa dellopera. Ci vale in particolare per lebraismo, che si fonda sulla spiegazione polisemica della Torah, e in genere del complesso delle Scritture. Non voglio addentrarmi in una questione cos densa, complessa e cos ricca di altissimo senso religioso, che sollecita il massimo rispetto. Voglio soltanto sottolineare come la gran parte dei testi di mistica e di dottrina spirituale tradizionali siano stati scritti tenendo

Durante il procedimento alchemico, ci che conta non pi l'essenza materiale dell'oggetto quanto piuttosto la visione che ne abbiamo, la sua identit nella nostra architettura interiore

presente la medesima impostazione polisemica, e in base ad essa vadano perci interpretati. Nel campo della mistica ebraica, poi, la Kabbalah introduce un fattore di complicazione (o di arricchimento, a seconda dei punti di vista) in pi. Molti autori si sono dilungati a descrivere il senso delle stratificazioni della Torah. Moses de Leon, cui si deve la sistematizzazione di gran parte dello Zohar, identifica quattro strati di senso, precisati (sulla base di una leggenda talmudica, Chaghiga 14b) nella parola Pardes, che significa giardino ma alla quale si d il senso di Paradiso. In ebraico Pardes si scrive con quattro lettere che sono le iniziali di altrettante parole: Pehsat, Remez, Derasha, Sod, ciascuna delle quali convoglia un significato che pu tradursi rispettivamente in: semplice, simbolico, religioso, esoterico. Sono i quattro livelli dei quali composta la Torah. Il primo, Peshat, quello letterale: sono le vicende narrative raccontate nel testo, dalle quali si possono ricavare informazioni sulla storia di Israele e insegnamenti di tipo etico e morale, oltre che precetti liturgici e regole di comportamento. Il secondo livello, espresso dalla parola Remez, utilizza immagini ed episodi presenti nel testo in guisa di simboli per rappresentare qualche altra cosa. Per esempio, in Genesi XVIII Abramo, durante le sue peregrinazioni verso la Terra Promessa, vide davanti alla sua tenda tre uomini. Diede loro acqua per lavarsi e la moglie Sara prepar carne e focacce. I tre viandanti si riposarono, mangiarono e, al momento di andare via, assicurarono che Sara, lanno successivo, avrebbe avuto un figlio. Sara si mise a ridere, perch era troppo vecchia per avere un bambino. Allora i viandanti risposero dicendo che niente impossibile a Dio. Qui presente tutta una serie di simboli. I tre uomini sono tre angeli, carne e focacce sono il nutrimento dellanima, il riso di Sara lanticipazione della gioia per la maternit: il figlio nacque e fu chiamato Isacco, cio Sorriso di Dio. Il terzo livello, espresso dalla parola Derasha, quello religioso-omiletico. Espande e commenta ogni verso della Bibbia, in ogni modo possibile, utilizzando soprattutto gli strumenti della ragione e della logica secondo il buon senso rabbinico.

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Lo scopo principalmente quello di chiarire gli aspetti etici e legali dei precetti che la Torah prescrive agli ebrei, ma se ne cavano ammaestramenti di cui beneficerebbe lintera umanit, se li ascoltasse. Il quarto e ultimo livello, legato alla parola Sod, quello esoterico dal quale si traggono gli insegnamenti e i precetti per le meditazioni e contemplazioni del mistico. I versetti della Bibbia diventano, a chi sappia leggerli in questo modo, vere e proprie pietre miliari che guidano lungo la strada dellelevazione spirituale. Questo modo di scrittura polisemica non caratteristico soltanto della Kabbalah o del misticismo ebraico. Di fatto, presente in tutta la vasta categoria degli scritti fondati sulle dottrine tradizionali, dallalchimia, allermetismo, alla letteratura cortese, alle allegorie damore e cos via. Lesempio pi nobile che mi venga in mente la Divina Commedia, che lo stesso Dante nellepistola dedicatoria del Paradiso a Cangrande della Scala definisce polsema, cio di pi sensi. E nel Convivio spiega che i diversi sensi attribuibili alle opere di tal fatta sono il letterale, lallegorico, il morale e lanagogico: questultimo quando spiritualmente si pone una scrittura la quale per le cose significate significa delle superne cose delletternal gloria. Sono palesemente le stesse categorie di significato racchiuse nel termine ebraico Pardes. Lesempio classico delle quattro interpretazioni Gerusalemme, che in senso letterale una citt nel Medio Oriente, allegoricamente il simbolo della religione monoteista, moralmente lanima che crede, anagogicamente la Gerusalemme celeste, immagine del Regno di Dio. invitando il lettore a cercare questultimo senso che lo stesso Dante esorta: O voi chavete li ntelletti sani / mirate la dottrina che sasconde / sotto l velame de li versi strani (Inf. IX, 63). Le nuvole e il fango A unoperazione del genere non si sottrae la narrativa che si usa definire popolare. La circostanza implicita nello schema dei tre mondi divisato da Popper (che del quarto mondo non parla, in quanto i suoi connotati religiosi ne limitano laccesso ai mistici). Se il Mondo 3 quello in cui sono ospitati fra laltro gli invarianti, cio i simboli universali (o se vogliamo archetipici, termine che Popper peraltro si astiene dallusare), abbastanza evidente che la via daccesso pi immediata agli enti che lo compongono la libera immaginazione affabulatrice. Il campo pi libero in cui possa esplicarsi tale immaginazione quello della narrativa fantastica, che non vincolata da strettoie di tipo storico, dambientazione, di connotazione dei personaggi, di verisimiglianza scientifica e al limite neppure dalle categorie della logica. Per questo, il campo letterario nel quale pi densa la fioritura di simboli carichi di significati su diversi livelli. Fra i tanti autori di tale narrativa, J. R. R. Tolkien , con la sua trilogia de Il signore degli anelli, quello dei moderni, che forse pi di tutti manifesta una straordinaria densit simbolica. In un mio precedente articolo, intitolato Luso del simbolo tradizionale in J. R. R. Tolkien (in Albero di Tolkien, Bompiani 2007), ho cercato di mettere in luce alcune simbologie che riecheggiano dottrine alchemiche. Ve ne sono molte altre. Per esempio, il cavallo che venne dato a Gandalf dal re di Rohan, e che tollerava di essere cavalcato soltanto dal mago, si chiamava Shadowfax (Ombromanto nella traduzione italiana) ed aveva il mantello di colore argenteo. Ovviamente, il simbolo

dellargentovivo, ossia del mercurio. Questo il simbolo della velocit, dal Dio di cui porta il nome, che anche simbolo del linguaggio (i maghi lo invocano quando vogliono il dono delle lingue): e Shadowfax, infatti, ha la facolt di comprendere le lingue degli uomini. Nottetempo, invisibile; e Mercurio era il Dio dellinvisibilit. Si potrebbe continuare. Un altro esempio Rivendell, termine dissennatamente tradotto in italiano come Granburrone (non sciaguratamente lunico scempio arrecato nella nostra lingua alla densa terminologia tolkieniana). Dell in inglese lequivalente della valletta amena di dantesca memoria: il luogo delle trasformazioni fecondatrici, in cui acqua e terra si sposano per dar luogo a una nuova vita e conservare il seme delle precedenti. Nome pi idoneo non poteva esservi per il posto in cui erano custodite le tradizioni della precedente era del mondo, e in cui si conservavano i frammenti della Spada Spezzata, prossima a risorgere nella sua interezza. Tanto per dare unidea delluniversalit di questi simboli, nellalchimia cinese la valle profonda (Rivendell) simbolo della canalizzazione delle forze che convergono verso il Campo del Cinabro, luogo della nascita dellEmbrione dImmortalit. Nel sufismo simbolo del passaggio verso le vette spirituali. Nel Cantico dei Cantici la sposa, simbolo di rigenerazione spirituale, si definisce giglio delle valli. Anche in questo caso, si potrebbe continuare allinfinito. So bene (ascolto gi le grida) che Tolkien di tutte queste cose non sapeva niente, e di certo nulla di ci gli pass per la testa mentre scriveva la sua trilogia. Ma non ha alcuna importanza. Ci che conta, nel leggere tradizionalmente questi testi, non quanto lautore abbia deliberatamente voluto mettervi, ma quanto vi appare. Come gi detto, laccesso privilegiato al Mondo 3 prerogativa dei poeti. Un tempo, i vates pronunciavano frasi di cui loro stessi non capivano il senso, ma che sincidevano egualmente nellanimo profondo di coloro cui erano dirette. A questo, si pu credere o non credere. Ma negare capacit di suggestione profonda alla vera poesia, cancellarne il potere di sommuovere simboli profondamente infissi dentro di noi, mi sembra dimostrazione di grettezza ferina. Sembra impossibile, ma c chi vive immerso in un tale strato di torpore intellettuale. Ho detto allesordio che in genere, quando parlo del valore perenne dellalchimia, vengo gratificato di una serie di epiteti che vanno dal credulone al proditorio propalatore di false dottrine. successo anche per il mio articolo citato, che si valso critiche basate sullassunto che lunico valore del simbolo sia quello di portare significati di livello orizzontale, senza alcuna sollecitazione allascesa. Questo equivale a scambiare i simboli con le segnalazioni stradali. Ci che irrita, in realt, i portatori di tali concetti lidea che possa esservi comunque unascesa identificabile dal punto di vista spirituale. Un atto di leso realismo. Delitto grave. Mi confesso colpevole. Aristofane, nella commedia intitolata Le nuvole, divideva anche lui il mondo in tre livelli. Il primo era quello della vita di tutti i giorni. Il secondo era quello del filosofo, una parodia di Socrate, che viveva a mezzaria, in un cesto di vimini tenuto sospeso con delle corde. Il terzo mondo era quello delle nuvole, a cui si affacciava la testa calva del filosofo, che davano responsi. Ancora una volta, sono i tre mondi di Popper. Noi viviamo tutti nel mondo in basso ma con la mediazione della filosofia, ovvero dellamore per il sapere, possiamo guardare alle nuvole, con buona pace di chi preferisce grufolare nel fango.

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Lattesa del re promesso in Tolkien e Herbert


di Igor Comunale
e opere letterarie di genere fantastico si sono spesso valse della figura messianica del re promesso. Due delle pi importanti in questo senso sono Il signore degli anelli di J. R. R. Tolkien e Dune di Frank Herbert. Nel caso de Il signore degli anelli il ritorno del re rappresenta lanelata speranza di un ritorno della legittima casata reale sul trono di Gondor e del ristabilimento del buon governo. In Dune, invece, lattesa letteralmente messianica. I Fremen aspettano MuadDib, re-profeta che condurr il loro popolo alla Guerra Santa. Le streghe Bene Gesserit, invece, attendono il Kwisatz Haderach, colui in grado di scrutare in tutti i passati. Il trait dunion tra i due romanzi lavvento del re atteso che ristabilisce ordine in una situazione di malgoverno o non conforme al sentimento di grandezza di un popolo.

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Ne Il signore degli anelli, la prima comparsa di Aragorn, sotto lo pseudonimo di Grampasso, nel capitolo Allinsegna del Puledro Impennato: Dun tratto Frodo not un individuo dallaria strana, segnato dalle intemperie, che sedeva in ombra vicino al muro (...) e fumava una lunga pipa dal lungo cannello intagliato stranamente (...). Portava gli stivali alti di una pelle morbida e di ottima fattura, ma ormai alquanto logori e ricoperti di fango. Un mantello di pesante panno verde scuro scolorito dal tempo lo avviluppava interamente, (...) portava un cappuccio che gli faceva ombra al volto: ma i suoi occhi (...) brillavano nella mezza oscurit (1). La descrizione avvolge di mistero la figura di Aragorn. Ma i dettagli rivelano che egli non soltanto un vagabondo. Alle domande di Frodo al locandiere Cactaceo, le risposte ricevute sono vaghe. Lo chiamano Grampasso per la lunga falcata della sua camminata. Appartiene ai Raminghi, popolo di misteriosi vagabondi. Lopinione del locandiere non elevata: egli considera tutti i Raminghi una stranezza. Cactaceo attribuisce per al forestiero la capacit di raccontare storie meravigliose. Questultimo dettaglio merita unanalisi pi attenta. Grampasso conosce molte storie dei tempi andati, possiede una saggezza insospettabile, che proviene dai racconti della tradizione orale riguardanti le grandi casate elfiche e quelle dei re degli uomini. Il Ramingo possiede insomma una conoscenza degna di un saggio o di un nobile. Laspetto randagio di Grampasso stona con una certa attitudine del personaggio. Aragorn caratterizzato in tutto il romanzo dal suo aspetto senza et; un Numenoreano, erede del popolo che nellantichit ebbe contatti con gli elfi ricevendone la benedizione della longevit. anche un guerriero, ma questa apparenza destinata a cambiare nella maturazione del personaggio; questi svela le sue origini regali malgrado i tentativi, consci o meno, di nasconderle. Giunti a Collevento, Aragorn e gli Hobbit vengono aggrediti dai Cavalieri Neri e Frodo viene ferito da una delle armi nemiche, un pugnale Morgul. Una volta al sicuro, Aragorn ad occuparsi della ferita, curandola con unerba che chiama athelas, che in grado di individuare con facilit sentendone lodore. Tolkien riprende una credenza molto diffusa nel Medioevo attribuendola come capacit speciale di Aragorn e dei re di Gondor in generale: il potere taumaturgico del tocco del re (2). Il nome comune della athelas infatti foglia di re, erba dalle incredibili capacit di guarigione nelle mani del legittimo erede al trono di Gondor. Questa erba verr utilizzata nuovamente da Aragorn per curare i suoi amici: La chiamano anche foglia di re, disse Aragorn; e forse la conosci sotto questo nome, poich ormai la gente delle campagne la chiama cos (3). Emerge una prova pu che contribuire ad avvalorare la rivendicazione del diritto al trono del Ramingo: Re! Hai sentito che cosha detto? Che ti dicevo? Le mani di un guaritore, dicevo. E presto si sparse la voce che il re era davvero tornato fra loro, e che dopo la guerra portava la guarigione (4). Linserire tale mito da parte di Tolkien lennesimo sapiente utilizzo di una tematica mitica del mondo reale nella costruzione della storia. Spetta a Gandalf rendere palese quali siano le vere origini di Aragorn: i misteriosi Raminghi sono gli eredi dei re del passato. una razza grandiosa, in grado di superare i limiti dei comuni esseri umani, ma ormai in declino. La sorte di costoro e degli elfi sembra essere intrecciata in un simile malinconico destino. Elrond rivela un altro tassello che porter a chiarire lorigine regale di Aragorn facendo un riassunto delle vicende dellUnico Anel-

lo: L nei cortili del Re cresceva un albero bianco, nato dal seme portato da Isildur attraverso acque profonde, e quel seme proveniva da Eressa, e prima ancora dallEstremo Occidente, nel Giorno prima dei giorni allorch giovane era ancora il mondo (5). Lalbero bianco piantato nei cortili del castello reale a Minas Tirith simbolo e metro della salute del reame. La sorte dellarbusto fortemente legata a quella di Gondor stessa. Elrond descrive il declino del regno rapportandolo al disseccarsi dellalbero e allindebolimento del sangue puro dei Numenoreani. La decadenza della casata reale porta con s un effetto visibile. Cos anche il ritorno di Aragorn sul trono che gli spetta deve essere accompagnato da un segno affine: questi piant il nuovo albero nel cortile presso la fontana, ed esso crebbe rapido e felice (6). Il nuovo albero bianco segna linizio di una nuova et delloro per Gondor. Il ritorno del re pu dirsi veramente concluso e benedetto. Ristabilito il buongoverno, Gondor torna ad essere un reame prospero. Per dare prova della sua discendenza, Aragorn porta al Consiglio di Elrond la Spada che fu Rotta, appartenuta al suo avo Elendil e un tempo conosciuta con il nome di Narsil. Essa viene riforgiata, con il nome di Anduril, fiamma dellOccidente, a Gran Burrone e posta integra al fianco di Aragorn, elemento regale che va ad aggiungersi alla lista man mano che Grampasso accetta leredit dei suoi avi. Il primo riconoscimento di Aragorn in qualit del re di Gondor tanto atteso avviene a Gran Burrone davanti ad un ristretto gruppo di rappresentanti dei popoli liberi della Terra di Mezzo. Ma il vero e proprio riconoscimento ufficiale avviene alla fine della guerra, dopo la distruzione dellUnico Anello. I cittadini del regno aspettano da molto che la stirpe reale ritorni sul trono, tanto che Faramir, ora Sovrintendente dopo la morte di Boromir e Denethor, dice: finalmente giunto colui che rivendica il titolo di Re. Ecco Aragorn, figlio di Arathorn, capo dei Dnedain di Arnor, Capitano dellEsercito dellOvest, portatore della Stella del Nord, possessore della Spada Forgiata a nuovo, vittorioso in battaglia, mani di guaritore, Gemma Elfica, Elassar della linea di Valandil, figlio dIsildur, figlio di Elendil di Nmenor. Volete che egli sia Re ed entri nella Citt e vi dimori?. E tutto lesercito e lintera popolazione gridarono S, allunisono (7). I principali segni della regalit di Aragorn andati man mano a stratificarsi fino a delineare la figura del re atteso sono: il lignaggio, il possesso della Spada che fu Rotta, le doti di comando e la capacit taumaturgica; elementi che sono stati inseriti un po alla volta nel corso della vicenda per condurre Grampasso a riconoscersi come Aragorn, erede di Isildur e nuovo sovrano. Il processo che trasforma il Ramingo Grampasso nel Re Aragorn avviene in modo molto affine ad una iniziazione. Il raggiungimento di ogni traguardo richiede il superamento di un ostacolo. Il monarca si dimostra degno del trono e costruisce agli occhi del popolo del regno i segni del proprio riconoscimento. Gandalf il maestro delleroe, la sua guida spirituale. Nellopera si evidenzia la forte presenza di unattesa messianica. Il fatto che tale topos sia presente in quella che viene considerata la pi importante opera fantasy attesta come gli scrittori di narrativa abbiano subito il fascino di queste tematiche, tanto da costruire complesse mitologie come quella ideata da Tolkien. ora il momento di passare ad altri scenari. Nel deserto del pianeta Dune, gli indigeni Fremen lottano per sopravvivere allambiente ostile e desiderano la libert dalloppressione straniera. Attendono la venuta di MuadDib, un liberatore promesso che riporter Arrakis allo splendore e il popolo dei Fremen alla riscossa. Questa figura si attesta a met strada tra messianismo politico e religioso.

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Paul Atreides, figlio del Duca Leto, finisce per essere identificato con questo personaggio dopo essere sopravvissuto al colpo di stato degli Harkonnen. Il giovane ha ereditato dalla madre Jessica, una Bene Gesserit, la facolt della prescienza, divenendo il Kwisatz Haderach, lunico essere umano di sesso maschile in grado di padroneggiarla. Questa figura attesa dalle Bene Gesserit per la sua capacit di vedere il passato sia in linea maschile che femminile. Paul si ritrova ad essere protagonista contemporaneamente del messianismo Fremen e di quello Bene Gesserit, legame tra passato e futuro. Nemmeno la strada di Paul esente da prove iniziatiche. La prima presentata dallanziana Reverenda Madre delle Bene Gesserit, la quale vuole mettere alla prova Paul per stabilire se possa diventare il Kwisatz Haderach. Fa inserire a Paul una mano allinterno di una scatola che manda impulsi estremamente dolorosi; egli non deve ritrarre la mano per nessun motivo e deve dominare il dolore e la paura. Fallire la prova significa morte certa. Paul resiste al dolore terribile e quando alla fine ritrae la mano la ritrova perfettamente intatta. Egli potrebbe essere latteso Kwisatz Haderach, ma le capacit di visione possono essere sbloccate solo con lausilio di una particolare droga che si scoprir essere sintetizzata dal melange. Paul scopre che essa ha su di lui degli effetti che lo trascinano in sogni lucidi di visione. Il primo importante accenno alla profezia dei Fremen si ha quando Jessica incontra la sua nuova servitrice, una donna di nome Mapes. Lintento di costei capire se Jessica possa essere la madre di MuadDib annunciata dalla profezia. Per scoprire la verit, Mapes estrae un cryss, pugnale tipico del pianeta, e chiede a Jessica di dirle di cosa si tratti. Grazie ai suoi poteri di Bene Gesserit, la madre di Paul supera la prova rispondendo un Creatore. Dunque, Jessica pens alla profezia () lo Shari-a e tutto il panoplia propheticus. Una Bene Gesserit della Missionaria Protectiva era stata inviata su Arrakis molti secoli prima. Era morta da lungo tempo, senza dubbio, ma la sua missione era compiuta: leggende protettrici solidamente impiantate fra queste genti, nel caso che, un giorno, unaltra Bene Gesserit ne avesse bisogno. Ecco: quel giorno era venuto (8). La profezia si rivela un meccanismo di difesa impiantato dalle Bene Gesserit per essere sfruttato in un secondo momento. Jessica coglie loccasione per procurare nuovi alleati al figlio giocando bene la sua parte di madre di MuadDib: lastuto trucco politico sfugge facilmente al controllo di chi lha creato e si trasforma con altrettanta facilit in verit. Le due nature diverse di Paul, Kwisatz Haderach e MuadDib si fondono in qualcosa di differente. Perso nel deserto, Paul dice alla madre: Tu pensi che io sia lo Kwisatz Haderach disse Paul Cancella questidea dalla tua mente. Io sono qualcosa dinatteso (9). Alla domanda della madre, Paul poco dopo intravede il proprio futuro: Allora i Fremen ci daranno ospitalit?. Paul alz lo sguardo, e attraverso la verde luminosit della tenda fiss il suo viso dai tratti raffinati, patrizi: S disse, una delle strade. Annu. Mi chiameranno MuadDib, Colui che Indica la Strada. S, cos mi chiameranno (10). Le Bene Gesserit vedono nello Kwisatz Haderach uno strumento, i Fremen percepiscono MuadDib come un condottiero verso la Guerra Santa contro il resto dellUniverso. Queste aspettative sono destinate ad essere deluse o esaudite in maniera differente da come ci si sarebbe aspettati. Dopo essere stato riconosciuto dai Fremen, Paul viene messo di

fronte alla scelta di assumere unessenza concentrata di melange in grado di sbloccare il pieno potenziale dei suoi poteri di prescienza: Allimprovviso cap che una cosa era la visione del passato nel presente, ma che lautentica prova della preveggenza era ben diversa: vedere il passato nellavvenire (11). Paul sopravvive allordalia, ottenendo cos la piena accettazione dei Fremen. Diventa ancora pi potente delle Bene Gesserit, in quanto in grado di scrutare anche nel futuro. Ogni passo dellavventura di Paul si dimostra una prova iniziatica verso la costruzione dellidentit di messia promesso. In Dune il messianismo uno strumento politico: anche la ricerca del Kwisatz Haderach finalizzata a trovare un comodo mezzo da utilizzare per ottenere la supremazia. Ma lattesa dei Fremen reale ed assume proporzioni spropositate. Quindi Paul diventa davvero MuadDib e sfugge ai desideri di controllo delle Bene Gesserit, assumendo le fattezze di profeta e leader politico. Il ruolo della profezia e dellattesa messianica viene preso sul serio ed utilizzato come espediente narrativo per creare una mitologia. La narrativa fantastica riprende temi del mondo reale per rielaborarli e presentarli in un contesto nuovo e inaspettato. Per concludere, diremo che Il signore degli anelli e Dune contengono tematiche assai simili. Si tratta della costruzione di mitologie, vere e proprie epiche fantastiche. Lattesa messianica si sviluppa come la costruzione di una narrazione a tutti gli effetti epica. Nella narrativa latteso re o profeta alla fine compare: grazie allimmaginazione possibile realizzare quello che nella realt non pu accadere. Lattesa premiata con leffettivo ritorno del re, che porta al ristabilimento di un ordine perduto. lunica possibilit per immaginare cosa accadrebbe se davvero unattesa messianica si realizzasse. Come fa notare Lecuppre (12), il mito del ritorno del re rappresenta storicamente un fattore secondario nei confronti dellimpostura, tuttal pi da considerarsi accessorio. Diversamente, nelle opere di genere fantastico prese in esame il ritorno della figura messianica avviene e influisce sulla realt come ci si aspettava. compito della fantasia intervenire a riempire lo spazio vuoto lasciato nella storia prospettandone gli effetti. Per questo possibile assegnare un ruolo centrale alle opere di genere fantastico allinterno della storia della filosofia e della storia delle idee. Pi che ritenerle semplicemente appartenenti ad un genere letterario di evasione, si dovrebbe valutarne le possibilit euristiche nel considerarle eventualit di cui non possiamo altrimenti ottenere evidenze fattuali nel reale storico.
(1) J. R. R. Tolkien, Il signore degli anelli, Rusconi, Milano 1993, p. 210. (2) Cfr., in merito a queste tematiche, M. Bloch, I re taumaturghi, Einaudi, Torino 2005. (3) J. R. R. Tolkien, op. cit., p. 1037. (4) Ivi, p. 1039. (5) Ivi, p. 310. (6) Ivi, p. 1160. (7) Ivi, p. 1154. (8) F. Herbert, Dune, Sperling & Kupfer, Milano 1999, pp. 51-52. (9) Ivi, p. 186. (10) Ivi, p. 187. (11) Ivi, pp. 333-334. (12) Cfr. G. Lecuppre, Limpostura politica nel Medioevo, Dedalo, Bari 2007.

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Tolkien: sacro e potere


di Emanuele Guarnieri e Rita Catania Marrone
a storia della riflessione sul rapporto del potere politico con il sacro curvilinea: se nel Medioevo i due temi sono inscindibilmente uniti, nella modernit si dividono nettamente, per tornare poi a collegarsi nella riflessione contemporanea nella filosofia della religione, nel dibattito a proposito delle origini del potere stesso (1). Nel pensiero medievale il potere politico (temporale) e quello religioso sono intrecciati: celebre in questo senso la lunga storia della cosiddetta lotta per le investiture, la diatriba che oppose per secoli Papato e Sacro Romano Impero, a proposito di quale dei due avesse il potere di nominare i vescovi, questione ovviamente connessa alla grande autorit che derivava a coloro cui veniva concessa la carica dellepiscopato. In questo contesto appare la cosiddetta dottrina delle due spade, la teoria secondo la quale Dio avrebbe affidato al Papa o allImperatore

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il primato nella gestione dei due poteri. Mentre i teologi di parte imperiale o papale si battevano nei concili per affermare la supremazia del loro partito, gli eserciti di fazione guelfa e ghibellina insanguinavano lEuropa: indice di quanto la questione apparisse dimportanza vitale e decisiva e non fosse un mero gioco teoretico. Dal tramonto del Medioevo, per tutta la durata dellet moderna, la curva mostra una flessione: la separazione dei poteri laico e religioso infatti un tratto fondamentale del pensiero politico moderno; non si tratta tanto della scissione dellunit politico-religiosa, quanto piuttosto del concetto stesso di separazione in s del potere. Celebre in questo senso la teoria di matrice inglese del balance of powers, secondo la quale una societ giusta dipende necessariamente da una frammentazione atomistica dei quanta di potere per un medioevale, questa divisione sarebbe apparsa quanto meno paradossale. La questione muta significativamente nella riflessione contemporanea. Nella genealogia del potere di Giorgio Agamben, ad esempio, i due temi tornano ad intrecciarsi in maniera sostanziale: il filosofo individua nella liturgia (2) il motore e insieme il fine della capacit di governare ci significa che il potere assomiglia ad una ruota che gira a vuoto, al tempo stesso poggiando e trovando il proprio scopo nella celebrazione di s, vale a dire nel fenomeno della Gloria. Questa ultima, scrive Agamben, tanto in teologia che in politica, precisamente ci che prende il posto di quel vuoto impensabile che linoperosit del potere; e, tuttavia, proprio questa indicibile vacuit ci che nutre e alimenta il potere (). Nelliconografia del potere, tanto profano che religioso, questa vacuit centrale della gloria, questa intimit di maest e inoperosit, ha trovato un simbolo esemplare nellheitomasia tou thronou, cio nellimmagine del trono vuoto (3). Questo modo di impostare la questione, per, presenta numerosi problemi. In primo luogo, com possibile che il divino, di cui la ruota nota iconografia si pensi per esempio al parmenideo Sfero o alla descrizione che Dante fa della Trinit

La rottura, suggerita da Sauron, del legame del potere con la trascendenza fu il primo passo verso la catastrofe dell'isola di Nmenor. Ma ora l'albero fiorisce nuovamente, a Minas Tirith: una nuova Golden Age pu avere inizio

nellultimo canto del Paradiso diventi per Agamben il simbolo del moto improduttivo, della vacuit di ogni potere, sic et simpliciter? In secondo luogo, la liturgia si configura come espressione del divino in quanto momento simbolico, da symballein, ossia mettere insieme. I simboli hanno il potere di riassumere in ununit superiore significati materialmente contrapposti, risolvendo le contraddizioni della condizione umana in una superiore sintesi, nella quale gli opposti divengono complementari. Per questo il simbolico si oppone al diabolico, da dia-ballein, ossia dividere. Stando cos le cose, come pu la liturgia essere assimilata ad una mera celebrazione del nulla? Ma gli aspetti problematici non finiscono qui. Le considerazioni sopra riportate conducono infatti Agamben ad affermare lassenza di qualsivoglia fondamento di potere: Lo dico qui e ora misurando le mie parole: oggi non vi sulla terra alcun potere legittimo e i potenti della terra sono essi stessi convinti di illegittimit (4). Riflessione adeguata, tuttavia solo se riferita alla realt di oggi e solo ad essa troppe sono le voci di coloro che, in preda alla frenesia moderna di volere tutto classificare, applicano le etichette del materialismo storico anche a fenomeni passati che sfuggono alla loro comprensione. La testimonianza di J. R. R. Tolkien si rivela un modo alternativo di affrontare la faccenda, superando limpasse denunciato da Agamben. In uno dei suoi saggi pi famosi, infatti, il filologo inglese scriveva: A volte capita di intravedere, nella mitologia, qualcosa di davvero superiore: la Divinit, il diritto al potere (in quanto distinto dal suo monopolio), il tributo di adorazione. In una parola, religione (5). Nella definizione tolkieniana, insomma, il rapporto tra le istanze di cui sopra viene ribaltato: la religione spontaneamente sbilanciata verso lesercizio del potere, il quale impensabile a sua volta senza il ricorso alla trascendenza. Ecco comparire allora il diritto al potere, di natura sacrale, ed il potere legato al possesso materiale, che si traduce immediatamente in un monopolio. Questa tematica innerva profondamente lopera e il pensie-

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ro di Tolkien, presentandosi talvolta in maniera dirompente, come nel celebre episodio, riportato nel Silmarillion, della caduta dei re nmenreani, il cui dominio sacro in quanto traente legittimit dal crisma dei Valar. Ma quando lultimo re, Ar-Pharazn, disobbedisce al loro volere oltrepassando il limite da essi pattuito, sotto il suggerimento nefasto di Sauron, Nmenor condannata allinabissamento. La scansione di hybris e nemesis viene tratta dal grande mito di Atlantide, la cui leggenda venne portata in Occidente da Platone, nel Timeo e nel Crizia (6). Laddove lesercizio della sovranit cessi di coniugarsi alla spiritualit, essa condannata alla catastrofe. Anche nel Lord la tematica del potere onnipresente: ogni personaggio della saga messo costantemente alla prova dallAnello, che incarna una forma deleteria di dominio potremmo addirittura dire che la geografia spirituale dei popoli liberi di Tolkien, simboleggiati dai membri della Compagnia dellAnello, dipenda proprio dal grado di questa resistenza. Boromir, Frodo, Gandalf e Aragorn sono i paradigmi di come il potere possa essere amministrato in maniera differente. E Aragorn il re promesso, colui che fa da legame vivente tra lera passata e quella a seguire che egli stesso dovr riaprire, in quanto legittimo re di Gondor (7). Certo, affinch questo passaggio di testimone sia effettivo, la prova a cui Tolkien sottopone la regalit di una difficolt inaudita. Il vero sovrano colui che, sottoposto alla tentazione di un dominio solo materiale, vi rinuncia, sublimando questo possesso inferiore in una signoria orientata verso il sacro. Il che avviene allinterno della visione ciclica che permea Il signore degli anelli. Le nuove ere si aprono proprio con la restaurazione della Sovranit e la vittoria seppur temporanea, in quanto eterno , ahinoi, il potere di Sauron della trascendenza. Due sono i simboli che accompagnano questa svolta: al magnetismo dellUnico Anello, che mira allasservimento dei popoli liberi, Tolkien oppone la fondazione del nuovo potere per il tramite della restituzione a Minas Tirith di un nuovo albero e la riforgiatura della spada che fu rotta tra le mani di Isildur. Albero e spada, tradizionalmente, sono simboli dellaxis mundi, legame che garantisce la linea di continuit tra alto e basso, eroi e di, terra e cielo, potere e trascendenza. Aragorn pianta di nuovo a Minas Tirith il seme di quellalbero bianco che fu sradicato proprio da Ar-Pharazn a Nmenor. La rottura di questo legame su suggerimento di Sauron, che poi ebbe a forgiare lUnico Anello della sacralit del potere fu il primo passo appunto verso la catastrofe dellisola. Ma ora questo albero fiorisce nuovamente: una nuova Golden Age pu avere inizio. Lo stesso dicasi per la spada Narsil, riforgiata con il nuovo epiteto il che ci riporta a taluni discorsi iniziatici, allinterno dei quali il mutamento del nome connesso ad una metamorfosi ontologica di Anduril, fiamma dellOccidente. Gli errori di unintera stirpe vengono riscattati dalla ricostituzione dellaxis mundi che fa da supporto metafisico al potere legittimo. Questa virt analogica, che lega il potere temporale alla trascendenza, assai peculiare alla visione tolkieniana. Se allinterno del Lord, infatti, non vi traccia di una religione organizzata, questo non significa che la saga si svolga in una dimensione atea secondo quanto ebbe ad affermare lo stesso Tolkien. Nel Legendarium legato a Il signore degli anelli il potere legittimo ad essere trascendente in s visione, que-

sta ultima, che non pu non rimandare a talune tonalit ghibelline, presenti, ad esempio nel De Monarchia del gi citato Dante. Questi esempi mostrano come nellopera tolkieniana il potere sia delineato in numerose sfaccettature, tutte riconducibili alla dicotomia diritto al potere-possesso del potere. Forse il problema del nostro tempo proprio questo: perch la giustizia sia realizzata, necessario che il diritto al potere resti sempre separato dal suo monopolio materiale. Certo, questo non facilita le cose: come si esplicita infatti questo paradosso? Di certo la questione non pu essere liquidata in questa sede: tuttavia, resta pur vero che possiamo trovare nelle pagine tolkieniane un indice assai preciso per saggiare il nostro tempo, che reca indelebile il sigillo di Barad-dr e Isengard, le due torri. Non un caso che Tolkien, nelle lettere al figlio composte durante la Seconda Guerra Mondiale, parlasse degli stati belligeranti come succursali delloscurit di Sauron: Stiamo tentando di conquistare Sauron utilizzando lAnello. E ci riusciremo (sembra). Ma lo scotto sar, come tu ben sai, di nutrire nuovi Sauron e di trasformare lentamente uomini ed elfi in orchi (8). il corto circuito del potere ottenuto con il possesso, il quale non pu venire impiegato in quanto condurrebbe alla rovina anche le migliori cause ma deve essere distrutto in se stesso. Sebbene, come gi accennato, una disamina della questione richieda uno spazio maggiore, le poche indicazioni contenute nelle suggestioni tolkieniane riportate sono sufficienti ad indicare nei poteri senza scettro del nostro presente un fenomeno di decadenza. Il potere di questepoca, che non conosce legittimit ma schiavi, altro non che il monopolio di cui sopra. Gi il semplice riconoscerlo potrebbe condurre ad uninversione di marcia, contro gli orchi di Sauron che oggi abitano le sedi del potere organizzato: solo allora una nuova epoca potrebbe dirsi possibile.

(1) Cfr. R. Gunon, Autorit temporale e potere spirituale, Luni, Milano 2005. (2) Liturgia, dal greco laos (popolo) e ergon (azione), significa azione del popolo: linsieme delle azioni rituali simboliche messe in atto dal popolo dei credenti, dallumanit fondata dal dio, allo scopo di invocare la presenza del dio stesso nella comunit. (3) G. Agamben, Il Regno e la Gloria, Neri Pozza, Vicenza 2007, pp. 265-267. (4) G. Agamben, La Chiesa e il Regno, Nottetempo, Roma 2010, p. 18. Corsivo nostro. (5) J. R. R. Tolkien, Sulle fiabe, in Albero e foglia, Bompiani, Milano 2008, p. 40. Corsivo nostro. (6) Cfr. D. Bigalli, Il mito della terra perduta. Da Atlantide a Thule, Bevivino, Milano 2009. Non sar inutile ricordare che Tolkien considerava questo plesso mitografico come un suo vero e proprio chiodo fisso, un complesso da cui era afflitto. (7) Non un caso, peraltro, che la sua investitura regale verr coadiuvata da Frodo e da Gandalf, coloro che, allinterno della Compagnia, hanno avuto unesperienza pi ravvicinata con il potere dellAnello e chi lo forgi. (8) J. R. R. Tolkien, La realt in trasparenza, Bompiani, Milano 2002, p. 91.

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Alcune riessioni sul linguaggio di Tolkien ne Il signore degli anelli


di Riccardo Rosati

n articolo uscito non troppo tempo fa sul Corriere della Sera, a firma di Dario Fertilio (1), ripercorreva le pi sensazionali, e in molti casi inspiegabili, bocciature per il Premio Nobel per la letteratura; a conferma del fatto che forse pi illustre la lista degli esclusi che quella di coloro a cui stato conferito il celeberrimo riconoscimento (2). Tra coloro giudicati non allaltezza compare anche il nome di J. R. R. Tolkien. Il motivo della bocciatura ha del sorprendente, ovvero sembra che linglese utilizzato dallo scrittore e linguista nei suoi romanzi non fosse degno di un tale premio. In questa analisi intendiamo fornire, per ovvi motivi di spazio, solo delle prime indicazioni e chiavi di lettura su un argomento decisamente complesso e quasi per nulla studiato dalla letteratura di settore in lingua italiana.

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Tornando al succitato articolo di Fertilio, leggiamo come i giurati scelti dalla Accademia Reale Svedese delle Scienze abbiano a suo tempo etichettato lopera tolkieniana quale prosa di seconda categoria, e poco importa se si ha a che fare con uno degli autori pi letti e apprezzati nella intera storia della letteratura mondiale. Lassurdo lo si raggiunge quando si pensa che non solo Tolkien stato professore di Letteratura Inglese Medievale a Oxford, ma persino esperto traduttore di testi antichi (3). Su questo tema, potrebbe essere utile citare un interessante saggio dellaccademico anglosassone Ross Smith, nel quale si evidenzia la passione di Tolkien per linglese antico, dunque per le radici stesse di questa lingua: Una relazione del professor Tom Shippey intitolata Tolkien and the Beowulf-Poet comincia con la seguente domanda retorica: Tolkien si mai chiesto se lui potesse essere il poeta del Beowulf reincarnato? (4). Ciononostante, linglese di Tolkien stato considerato da molti e per lungo tempo non abbastanza buono. Giudizio avventato? Svista clamorosa o semplice miopia intellettuale? In fondo, non si diceva la stessa cosa di Joseph Conrad, altro mostro sacro della letteratura anglosassone? Se per questultimo la ragione della sua presunta inadeguatezza letteraria era da imputare al fatto di essere di origine straniera (5), linglese non essendo in effetti la sua prima lingua, per quanto riguarda Tolkien, crediamo di non azzardare un giudizio privo di fondamento se affermiamo che la sua colpa risiedeva proprio nella forma di letteratura in cui si esprimeva: il (6) Fantasy. Tuttavia, Tolkien non fu lunico a essere maltrattato, in quella occasione, dai giurati del Nobel (7). Non un mistero per nessuno del resto che la distribuzione geografica fra i paesi e un equilibrio fra destra e sinistra (con una prevalenza per questultima) presiedano da sempre ai criteri di scelta. Il preconcetto storico nei confronti di Tolkien principalmente legato alla accusa di fuggire dalla realt, di non essere un autore impegnato ma solo un buon mestierante che si cimenta a scrivere complesse favole per bambini troppo cresciuti. Lo scrittore Howard Jacobson, tanto per citare uno dei numerosi casi di ostilit intellettuale susseguitesi negli anni, reag con rabbioso disprezzo allincredibile successo delle opere del nostro autore: Tolkien quello per bambini, no? O per adulti ritardati. Raramente un romanzo ha causato tante controversie e il vetriolo della critica ha messo in evidenza lo scisma culturale tra i letterati illuminati e il pubblico dei lettori. A difesa di Tolkien, qualche anno addietro, si levato con vigore Patrick Curry, il quale in un suo studio (8) afferma senza mezze parole che Il signore degli

Il signore degli anelli non una fuga dalla realtma una proposta concreta per una riscoperta della tradizione occidentale

anelli tutto tranne che una fuga dalla realt. Per Curry, Tolkien non ci fa solo la predica, come avviene in John Ruskin o G. K. Chesterton, sui pericoli del mondo moderno. Egli ha infatti tessuto con la sua opposizione alla modernit una narrazione ricca e intricata che offre una alternativa, con la creazione di un mondo completamente diverso, ma che a sua volta una proposta per una riscoperta della nostra Tradizione. Gli ostracismi nel mondo anglosassone verso Tolkien si ritrovano anche nelle parole di Chris Woodhead, dal 1994 al 2000 a capo del Servizio Ispezioni Scolastiche in Inghilterra, il quale stigmatizzava le basse aspettative culturali della opera tolkieniana, affermando in pi occasioni come Il signore degli anelli un libro che si legge benissimo, ma non il prodotto migliore della letteratura inglese di questo secolo. Woodhead dava voce alle preoccupazioni di molti pedagogisti presi alla sprovvista dal successo di Tolkien. Dunque, da un lato il malcelato snobismo intellettuale di molta critica, dallaltro il timore degli educatori che romanzi quali Il signore degli anelli potessero deviare i giovani dallapprendimento di un perfetto inglese e dal costruirsi una solida cultura, grazie alla frequentazione di autori canonici. La ostilit verso Tolkien ha avuto anche la sua scena italiana (9). Difatti, sin dalla sua prima edizione, quella del 1970, nella quale compare anche quel dotto e suggestivo riassunto introduttivo a firma di Elmire Zolla, intorno al nostro autore nacquero vari pregiudizi. Non potendo ovviamente svalutare il linguaggio di una opera in traduzione, a Il signore degli anelli venne imputato di essere una storia reazionaria, vicina alle simpatie di una destra neofascista. Tuttavia, sulle qualit di quello che lo stesso Zolla defin il maggior studioso di letteratura anglosassone e medievale (10) si volle tacere, poich Tolkien era tab e lo rest per molto tempo. Se si intende analizzare le capacit linguistiche di Tolkien, fondamentale tenere a mente come il suo primo lavoro al ritorno dal fronte della Prima Guerra Mondiale fu quello di assistente presso il prestigiosissimo Oxford English Dictionary (OED) (11). Lo stesso Tolkien ha affermato di aver imparato di pi in questi due anni che in nessun altro uguale lasso di tempo nella sua vita. Pochi sono gli autori che hanno tratto cos tanta della loro vena creativa dalla storia e dai mutamenti dei singoli vocaboli. Dal suo amore per le parole e il modo di utilizzarle possiamo trarre una ulteriore prova di come egli ricercasse con assiduit un linguaggio ricco, quanto vario, come si afferma nellattento studio The Ring of Words (12), nel quale si parla di Tolkien anche come un creatore di parole (13).

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Tolkien stato inoltre un traduttore puntiglioso (14). Sempre Ross Smith evidenzia quanto la traduzione come concetto fosse onnipresente nel nostro scrittore, persino nei suoi lavori creativi: Parlando ora della prosa di Tolkien, interessante notare come nella Appendice F de Il signore degli anelli ci dica che tutta la sua storia epica per lappunto una traduzione (15). Chiaramente i personaggi della Terra di Mezzo non parlano inglese, difatti il loro linguaggio o lingua-franca il Westron. Il trucco escogitato da Tolkien quello di affermare di aver solo tradotto in inglese Il signore degli anelli, cos da rendere comprensibile anche alluomo moderno questa storia. Ovviamente, lautore si diverte solo ad ammiccare alla possibile veridicit del proprio romanzo, creandone per un piacevole divertissement letterario. Tornando allargomento chiave di questo nostro breve ragionamento, un fatto decisamente curioso che una persona tanto attenta al significato delle parole questa infatti la qualit principale di un traduttore non fosse tuttavia capace di utilizzare un inglese di qualit. Questo crediamo sia un altro punto abbastanza solido a favore di chi sostiene, e chi scrive tra questi, che per lungo tempo i romanzi di Tolkien sono stati vittima di pi di un mero fraintendimento e che il suo linguaggio sia degno di uno studio attento e imparziale. Parlando ora pi da vicino proprio del linguaggio di Tolkien, riteniamo che esso sia ricco, grazie alla presenza di un vocabolario vario e ricercato. In pi occasioni lo scrittore ci offre descrizioni meravigliose, con un tono evocativo che fa talvolta della lingua virt. Soprattutto, egli crea un universo di mito, magia e archetipi che risuona nei pi remoti recessi della memoria e dellimmaginazione del mondo occidentale. Tolkien era uno studioso di primordine che attingeva dalla vitale eredit anglosassone. Giunti a questo punto, analizzeremo ora alcuni brevi estratti dal tomo I della Trilogia, presenti nel capitolo intitolato Il ponte di Khazad-Dm (16). Si scelta questa particolare sezione della opera tolkieniana per due motivi. Il primo che essa tra le parti pi conosciute della saga de Il signore degli anelli. Il secondo, come vedremo, perch in questo capitolo si trovano molti degli elementi distintivi dello stile narrativo

Tolkien il creatore di un logos tipico del fantasy, nel quale si incarna l'idea del mito come linguaggio e grazie a cui non solo stato codificato un genere narrativo, ma anche un modo di scrivere

dellautore. I brani sono tre, a dimostrazione di altrettanti aspetti del linguaggio del Tolkien scrittore. Il primo un significativo esempio di quanto la presenza di una idea della cultura antica (in inglese lore) aiutasse lautore a pensare al suo lavoro come a un libro dentro un libro, creando in tal modo un significativo esempio di metaletteratura e ipertestualit. Cos avviene durante la lettura da parte di Gandalf del diario del popolo nanico che un tempo abitava le Miniere di Moria. Le parole pronunciate dal mago si fondono con le vicende dei protagonisti della storia, lorrore che un tempo distrusse gli abitanti di quei luoghi, pagina dopo pagina, mentre il mago grigio intento a leggere, si sta per riabbattere sulla Compagnia dellAnello: A sudden dread and horror of the chamber fell on the Company, We cannot get out, muttered Gimli. It was well for us that the pool had sunk a little, and that the Watcher was sleeping down at the southern end (423) (17). Il secondo brano che abbiamo scelto potrebbe essere definito un classico, ovvero un esempio di come Tolkien abbia in buona parte codificato il linguaggio delle scene di azione del fantasy, con lutilizzo di determinate parole per rappresentare azioni e suoni: There was a crash on the door, followed by crash after crash. Rams and hammers were beating against it. It cracked and staggered back, and the opening grew suddenly wide. Arrows came whistling in, but struck the northern wall, and fell harmlessly to the floor (18) (426). Che le frecce sibilino (whistle) ormai un modo di dire codificato in questo genere narrativo e tutto limpianto linguistico delle scene dazione in Tolkien, come ben dimostra questo estratto, rappresenta il canone di ogni battaglia fantasy scritta dopo Il signore degli anelli. Infine, lautore inglese possiede anche quella visibilit (19) del linguaggio tanto cara a Italo Calvino: The flames roared up to greet it, and wreathed about it; and a black smoke swirled in the air. Its streaming mane kindled, and blazed behind it (20) (432). Qui la narrazione tolkieniana dimostra di avere quella fondamentale capacit di creare una astrazione nel lettore, grazie alluso del linguaggio, cos da suggestionarlo e, proprio come afferma Calvino, che riprende le parole di Dante, portarlo in luogo altro, quello della pura letteratura: O immaginazione, che hai il potere dimporti alle nostre facolt e alla nostra vo-

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lont e di rapirci in un mondo interiore strappandoci al mondo esterno, tanto che anche se suonassero mille trombe non ce ne accorgeremmo (21). Forse alla giuria del Nobel saranno sfuggite le qualit linguistiche e letterarie di Tolkien o, pi verosimilmente, non era possibile dare un premio tanto blasonato a un autore di storie per ragazzi. Magari i giurati avranno giustificato la scelta di cassarlo, individuando, ad esempio, qualche incoerenza nella sua scrittura, come nel posizionamento di alcuni avverbi prima o dopo gli ausiliari, nel diverso modo di scrivere parole come toward e towards, addirittura a distanza di poche righe (458) o, sempre a breve distanza (454), lalternanza nello scrivere il verbo essere (to be) al congiuntivo, con la grafia sia giusta (were), ma anche con quella sbagliata (was), bench da anni questa ultima sia accettata dalla maggioranza dei linguisti. Concludendo, anche se la scrittura di Tolkien ha le sue piccole debolezze, come del resto avviene praticamente per ogni autore, esse sono davvero cos tante e gravi da offuscare la vastit della sua visione, la fecondit della sua immaginazione, il potere ritmico del suo linguaggio? Riteniamo di no, considerato che abbiamo a che fare con uno scrittore in cui la lingua e la letteratura sono una cosa sola: Tutte pagine di un unico libro, di un esperimento linguistico prima e culturale poi (22). Dunque, Tolkien andrebbe apprezzato anche come creatore di un logos tipico del fantasy magari provando a leggerlo in lingua originale nelle cui pagine si incarna la idea del mito come linguaggio (23) e grazie al quale non solo stato codificato un genere narrativo, ma anche un modo di scrivere.

(1) Si fa riferimento al numero uscito il 7/1/2012. (2) Ricordiamo, ad esempio, la triplice bocciatura di Yukio Mishima, per motivi esclusivamente politici. Costui considerato ormai da anni dalla critica internazionale come uno dei pi importanti scrittori giapponesi del Dopoguerra. (3) Sue sono varie importanti traduzioni, tra tutte quella della pietra miliare della letteratura medievale inglese (Old English e Middle English), il Beowulf, il cui autore e la datazione di composizione sono tuttora incerti. A Tolkien si deve inoltre quello che viene ancora oggi ritenuto il maggior lavoro critico, del 1936, su questo testo antico: The Monsters and the Critics and other Essays, HarperCollins, Londra 1997. (4) R. Smith, J. R. R. Tolkien and the art of translating English into English, pubblicato nella rivisita online English Today, 99, settembre 2009, p. 1. Il saggio a cui fa riferimento Smith : T. Shippey, Roots and Branches: Selected Papers on Tolkien, Walking Tree Publishers, Zurigo-Berna 2007, p. 1. Traduzione mia. (5) Il suo vero nome era Jzef Teodor Nacz Konrad Korzeniowski, nato a Berdicev (Polonia) nel 1857. A esser precisi, linglese fu la terza lingua che impar: la prima fu, ovviamente, il polacco e la seconda il francese. Ciononostante, molta critica ritiene che linglese di Conrad sia decisamente ricco, con un uso del linguaggio evocativo e a tratti simbolico. Lo scrittore non aveva forse competenze da madrelingua nel parlato, visto che il suo accento tradiva una origine straniera. (6) Preferiamo non seguire il costume abbastanza diffuso in Italia di utilizzare questo termine al femminile, dunque la fantasy, visto che la lingua inglese non attribuisce generi ai sostantivi. Ragion per cui, crediamo sia pi corretta una interpretazione legata alla locuzione ellittica: il genere fantasy. (7) Vi furono altri illustri bocciati nel fatidico 1961. Fra questi, due

colossi della letteratura del Novecento come Graham Greene e Karen Blixen. Questi ultimi, tuttavia, ebbero un trattamento ben diverso da quello riservato a Tolkien, giacch si piazzarono rispettivamente al secondo e al terzo posto, dopo essere stati attentamente soppesati per le loro qualit letterarie. (8) P. Curry, Defending Middle-Earth: Tolkien: Myth and Modernity, HarperCollins, Londra 1998. (9) Uno dei pi attenti studiosi tolkieniani italiani, Gianfranco de Turris, ha tracciato una precisa evoluzione storica di questo fenomeno, evidenziando come il periodo di maggiore ostracismo verso Tolkien nel nostro paese sia individuabile tra il 1977 e la fine degli anni 80. Cfr. Dal terriccio alle foglie, in Albero di Tolkien. Come il signore degli anelli ha segnato la cultura del nostro tempo, a cura di G. de Turris, Bompiani, Milano 2007. (10) J. R. R. Tolkien, La compagnia dellanello, Bompiani, Milano 2006, p. 11. (11) Questo dizionario da tempo considerato come il canone per linglese britannico ed spesso messo in contrapposizione con il suo rivale storico, il Cambridge Dictionary. Se il primo, difatti, rappresenta la tradizione linguistica inglese, il secondo tende a incoraggiare lutilizzo di un International English di chiara impronta americana. Non un caso dunque che Tolkien, futuro filologo e linguista, sia uscito dalla scuola dellOED. (12) P. Gilliver, J. Marshall, E. Weiner, The Ring of Words: Tolkien and the Oxford English Dictionary, University Press, Oxford 2006. (13) La sua vasta conoscenza del lessico inglese dimostrata dal gran numero di arcaismi presenti nella sua scrittura. Una lista di questi si pu trovare anche su Internet: http://www.glyphweb.com/arda/words.html. (14) Ha tradotto specialmente opere medievali della letteratura anglosassone. Un suo altro importante lavoro in questo campo rappresentato dalla traduzione del poema anonimo del XIV secolo: Sir Gawain and the Green Knight, Pearl and Sir Orfeo, a cura di C. Tolkien, Allen & Unwin, Londra 1975. (15) R. Smith, op. cit., p. 9. Traduzione mia. (16) Trattasi del capitolo V del primo tomo della Trilogia. Il titolo originale The Bridge of Khazad-Dm. (17) In corpo al testo i numeri di pagina della edizione originale in inglese: The Fellowship of the Ring, HarperCollins, Londra 2001. In nota, invece, sono riportate le traduzioni in italiano, a cura di Vicky Alliata di Villafranca, dei brani citati. Una paura e un orrore improvvisi di quella stanza simpadronirono della Compagnia. Non possiamo pi uscire, mormor Gimli. stato un bene per noi che lo stagno sia sceso leggermente, e che lOsservatore stesse dormendo allestremit sud. J. R. R. Tolkien, La compagnia dellanello, cit., p. 424. (18) Un colpo risuon con fracasso contro la porta, seguito da un altro e da altri ancora. Arieti e martelli battevano con forza sempre maggiore. Il battente scricchiol vacillando, e la fessura si apr improvvisamente. Delle frecce entrarono sibilando, ma urtando contro la parete caddero in terra inoffensive. Ivi, p. 427. (19) Ci riferiamo ovviamente allomonimo capitolo, facente parte del celeberrimo testo di Italo Calvino: Lezioni americane, Mondadori, Milano 1993, pp. 89-110. (20) Con un ruggito le fiamme sinnalzarono in segno di saluto, intrecciandosi intorno a lui; un fumo nero turbin nellaria. La criniera svolazzante delloscura forma prese fuoco, avvampandolo. J. R. R. Tolkien, La compagnia dellanello, cit., p. 433. (21) I. Calvino, op. cit., p. 92. (22) A. Bonomo, Nostalgia di uninnocenza perduta: disobbedienza e sacrificio in The Hobbit di J. R. R. Tolkien, in Rivista di Studi Italiani, Anno XXIX, n 1, Giugno 2011, p. 291. (23) Ivi, p. 288.

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Lovecraft e Tolkien. Due mondi a confronto


di Mauro Scacchi

ue mostri sacri della letteratura dellimmaginario del XX secolo. Due precursori: Lovecraft di un peculiare concetto di horror, Tolkien di quel che si pu agevolmente definire fantasy classico. In questa sede si prover a tracciare un parallelo, uno studio comparato tra il viaggiatore onirico americano e il professore inglese. Lacune, mancanze, inesattezze (spero poche) saranno forse presenti ma la sfida troppo intrigante per non accettarla. La visione del mondo di HPL e Tolkien, la loro Weltanschauung, va analizzata da due prospettive che sono luna lo specchio dellaltra: la prima da riferirsi alla vita reale dei due autori, la seconda alle loro opere. Unanalisi tanto minuziosa e approfondita richiederebbe un intero volume, perci qui si passeranno in rassegna i punti di contatto e le divergenze pi importanti, seguendo velocemente un flusso costituito da coppie di elementi, a volte eguali, altre molto differenti.

Per iniziare, non forse sbagliato asserire che erano entrambi dei conservatori. Lovecraft, da giovane, era affascinato dallIslam e dallet classica (antichi Romani in particolare) ma poi divenne ateo e materialista. Tolkien fu un cattolico ma per tutta la vita fu appassionato di saghe nordiche dal sapore, per cos dire, magico e pagano. Entrambi amavano il mito e non tolleravano la modernit. Entrambi, inoltre, erano incantati dalla natura. Tanto luno quanto laltro hanno riempito le proprie produzioni letterarie di nomi inventati fatti risalire a linguaggi fantasiosi, bench Tolkien fosse un vero creatore in questo senso, mentre Lovecraft lasciava ai lettori la sensazione che esistessero lingue morte collegate a terribili culti segreti senza, per, inventare mai un linguaggio vero e proprio. In Tolkien vi la battaglia eterna tra il bene e il male, ma il primo, anche quando assediato, non mai sconfitto nella sua essenza, sempre presente un eroismo pregno di speranza, di

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potenza interiore in grado di scacciare le tenebre. In Lovecraft invece il male associato allignoranza rispetto a ci che abita negli abissi cosmici, creature innominabili di cui, non appena sintuisce anche solo lesistenza, si ha terrore e da cui perci si deve assolutamente scappare, pena nella migliore delle ipotesi, scrive HPL la pazzia o la morte. Quindi in Tolkien il bene vince sul male, mentre in Lovecraft il bene come un lumicino che si spegne di fronte allinsondabile minaccia aliena. Entrambi scrissero saggi e poesie in difesa dei generi narrativi cui si sentivano pi vicini. I mondi a cui hanno dato vita sono diversi sotto molti aspetti: la Terra di Mezzo lEuropa di un tempo dimenticato, mentre le ambientazioni lovecraftiane riguardano per lo pi il mondo reale, anche se poi si scopre che esso pieno di entit oscure che, con la loro presenza, lo alterano nei suoi significati pi profondi. In Lovecraft il mondo onirico descritto in modo tale che pare emergere dalle nebbie di ricordi che sfumano non appena ci si sveglia, e i suoi abitanti non necessitano di essere inseriti in una cornice dettagliata poich la loro funzione quella di essere delle comparse, quasi ombre che sfiorano il protagonista nei suoi vagabondaggi. Uninclinazione palesemente pessimistica che ha riscontri con la sua vita reale: era un solitario, malato di nervi (nonch ipocondriaco), sua madre fu una figura opprimente, il suo matrimonio fin male ed egli si chiuse sempre pi in se stesso. Affermava di non credere a quello che scriveva, ad altri universi e spiritualit, eppure la sua vita era in quei mondi, in quegli esseri a cavallo tra il concreto e limmateriale provenienti da regioni intermedie e oscure; una vita, la sua, piena di mostri e di contrizioni spaventose al punto che unaffermazione del genere sembra pi un modo ingenuo per esorcizzare le proprie paure e le proprie inadeguatezze, che una dichiarazione sincera. Tolkien era credente, e comunque mai ha detto n scritto di non ritenere come vera lesistenza di una dimensione spirituale. Aveva una famiglia che amava e da cui era amato. Era un importante professore di Oxford e i suoi romanzi ebbero un successo incredibile, pur se inaspettato. Lovecraft, in vita, ebbe successo solo tra gli addetti ai lavori, ma economicamente visse sempre sulla soglia della povert e non si laure dato che i problemi di salute gli impediva-

Se la Terra di Mezzo lEuropa di un tempo dimenticato, le ambientazioni di HPL riguardano per lo pi il mondo reale, anche se poi si scopre che esso pieno di entit oscure che lo alterano profondamente

no di recarsi alluniversit. Tolkien era un uomo di successo, Lovecraft un emarginato. In breve, si pu affermare che il primo era aperto verso la societ, nonostante ebbe modo di contestarne leccessiva tecnologia, il secondo era chiuso, introverso. Le foto che li ritraggono danno limpressione di un Tolkien appagato, con la pipa in mano seduto comodamente nel salotto di casa sua, e di un Lovecraft smunto e dalle spalle strette, non proprio la felicit in persona. Eppure in altre foto, meno note, Lovecraft sorride, e il sorriso quello di un ragazzo (altro che vecchio, come lui si sentiva!) ricco di sentimenti, che infatti possedeva e che indirizzava probabilmente pi verso i gatti che verso le persone. Un elemento che presente in entrambi, e non di poco conto, il fatto che sia per HPL che per Tolkien i veri protagonisti non erano gli individui che popolavano le loro storie. Per Tolkien il protagonista, il cardine assoluto attorno cui tutto ruotava, era il linguaggio. Egli dapprima invent una lingua melodiosa, quella elfica (anche se non solo quella), per poi creare un mondo in cui potesse venir parlata. Ecco allora lo scritto epico de Il Silmarillion, la grande avventura de Il signore degli anelli e, prima di questo, Lo Hobbit. Opere in cui Tolkien descrisse con unaccuratezza impareggiabile, senza risultare mai noiosa, usanze e tradizioni dinteri popoli: dal modo in cui si vestivano e mangiavano a quello in cui cavalcavano ed erigevano case e torrioni, fino alle tecniche di guerra. Elfi, nani, uomini e Dnedain, e perfino orchi e trolls vennero inquadrati allinterno di schemi di pensiero e di vita, per assolvere al compito principale dutilizzare un certo linguaggio anzich un altro: musicale e leggiadro per gli elfi, pratico per gli uomini, gutturale e dal vocabolario limitato per gli orchi, ecc. Per Lovecraft, invece, il protagonista era lorrore. I personaggi delle sue narrazioni erano gli strumenti e i catalizzatori degli orrori che il lettore doveva condividere con lautore: immedesimandosi in essi, si avrebbe provata la stessa paura, lo stesso brivido gelido di fronte al caos idiota, fuori da ogni legge di natura, che governa luniverso. La natura, per HPL, se da un lato classica e amabile nelle sue forme esteriori e armoniose, dallaltro una menzogna che nasconde unaltra natura, quella che sta

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alla base di tutta la creazione, terrificante e priva di senso. Il meccanicismo razionale , in Lovecraft, uno specchio per le allodole con il quale unumanit impotente vuol convincere se stessa di poter dare risposte a quesiti al di l delle proprie capacit di soluzione; di ci HPL lesempio vivente, colui che trasferendo sulla carta le pi intime fobie sembra volerle allontanare da s, convincendosi di essere al di sopra di esse, non credendo nemmeno alla loro esistenza, n tanto meno ad una loro personificazione. Il suo materialismo e ateismo assolvono perci alla funzione di totem apotropaici che non gli impediscono, per, di continuare a sognare terre e creature dellincubo, le quali, attraverso un processo dintegrazione del tutto particolare, gli consentono di temere meno quella natura spaventosa di cui sono emblemi. HPL, con i suoi racconti, sment continuamente le proprie convinzioni a-spiritualiste, anzi accostandosi vieppi ai propri mostri immaginari inizi a condividere con essi un mondo altro rispetto al nostro, la cui percezione in certo qual modo lo rendeva pi simile alle entit descritte nei suoi lavori che non agli altri esseri umani. Il modello di Pickman, in cui un pittore risulta poi essere imparentato con i mangiatori di carogne, i ghouls, che dipingeva sulle sue tele, pu ben illustrare questo concetto. In sostanza, il mondo dellorrore non pi cos terrificante se si inizia a farne parte. La natura, per HPL, lessenza stessa dellorrore. In Tolkien, invece, paesaggio vivente (si pensi agli Ent, i pastori di alberi, pi che mai simbolo di una natura che partecipa attivamente alla vita del mondo); bella e rigogliosa o scura e terribile, essa romantica (nel senso del sublime di byroniana memoria) e riflette lanimo di chi vi immerso, di coloro che la abitano. La terra della Contea curata e produce frutti perch vi abitano gli hobbits, a differenza delle paludi (moltissime), pericolose e sinistre, abitate da spiriti inquieti. Ci che accomuna i due autori , senza dubbio, anche luso dei simboli. Un uso che, consapevole o meno, non si pu negare: farlo significherebbe offendere la cultura imponente dei padri dellhorror e del fantasy. I simboli pi manifesti nelle rispettive produzioni sono quelli del viaggio, della porta, della montagna, delle isole e della selva oscura, ma anche il mondo crepuscolare e la descrizione delle citt sacre. Ve ne sono molti altri, alcuni caratteristici di un solo autore (come la spada, in Tolkien), altri comuni come quello della fisiognomica deforme di alcuni umanoidi (labbrutimento interiore dellindividuo?), su cui non ci soffermeremo. Il viaggio, tanto per cominciare. Esso pu essere breve o lungo ma sempre un cammino iniziatico. Durante il tragitto, la Compagnia dellAnello si sfalda e si ricompatta, acquista consapevolezza di s e della propria missione. Ogni tappa ha un colore proprio: il verde dei boschi, il nero delle miniere, il rosso del Balrog e del Monte Fato, il blu dei fiumi ecc., ed ogni volta uno o tutti i membri della Compagnia crescono, spesso immolandosi (come Gandalf e Boromir, ma solo il primo sar meritevole di una nuova e pi alta incarnazione). In Lovecraft il viaggio, anche solo una breve ma perigliosa salita (si pensi a La casa misteriosa lass nella nebbia), ha come meta finale la scoperta dellesistenza di antichi segreti, di luoghi e dimensioni ultraterreni, che inevitabilmente inizia chi lo compie segnandolo per sempre. Il viaggio come una strada maestra su cui insistono altri simboli. La porta, ad esempio, simbolo di passaggio fin dagli albori dellumanit.

Porte e cancelli consentono di entrare in luoghi protetti, ma pure in zone infernali, e quindi di uscirne (ma sempre dopo aver superato qualche genere di prova). Il signore degli anelli pieno di queste soglie che danno accesso a veri micromondi e dinanzi alle quali si compiono profezie. Le porte di Lovecraft sono varchi al di l dei quali vi sono altre dimensioni. La montagna, come centro del mondo, testimonia epoche dimenticate, visibile sin da lontano e giganteggia quando vi si giunge, nascondiglio di sapienza segreta e di coloro che gelosamente la custodiscono. nei luoghi elevati che accadono molti eventi portentosi, al pari che nelle loro viscere. Lisola un altro simbolo che, pur comparendo poche volte, fondamentale. Si pensi a Nmenor, che come Atlantide sprofond per la superbia e lorgoglio degli antichi re, e allisola dove sorge Rlyeh, la citt dove dorme Cthulhu, il Grande Antico. Sono luoghi di potere lontani ma che possono sempre essere riscoperti da chi sa dove cercarli. La selva oscura la foresta tenebrosa, un simbolo su cui non occorre soffermarsi tanto stato studiato fino ad oggi. Il mondo crepuscolare, quello onirico di Randolph Carter e quello dellombra in cui vivono i Nazgl (e che diviene visibile a chi sinfila lUnico anello), un limbo di congiunzione tra differenti stati di coscienza, mortale per chi non vi arriva attrezzato. Ma se in Lovecraft esso non necessariamente il male, in Tolkien il territorio degli Spettri, la negazione della vita che infetta e avvelena gli incauti che vi si attardano. In ultimo, per quel che ci compete, vi sono le citt. In Alla ricerca del misterioso Kadath di Lovecraft, la citt del sogno, difficile da raggiungere, descritta secondo lo stile di Lord Dunsany (la citt di Sardathrion in Tempo e gli dei), e larchitettura comprende terrazze altissime che ricordano, ancora, le montagne; in Tolkien la citt per eccellenza Minas Tirith (invero, anchessa difficile da raggiungere), in cui si pu ravvisare il simbolo delle mura concentriche con la torre svettante nel mezzo, altro centro del mondo. Vi sono anche altre citt nella Terra di Mezzo, ognuna con il suo significato (Rivendell, per esempio, luogo di unarmonia in larga parte perduta tra gli esseri viventi ed il creato). In HPL le citt, in genere, sono per quelle del New England e sono descritte in modo da evidenziarne la nobile decadenza al fine di preparare psicologicamente il lettore a ci che seguir nel racconto, solitamente qualcosa di sinistro, di antico eppur pregno di aristocratica conoscenza (come ne Il caso di Charles Dexter Ward). Tolkien e Lovecraft, di primo acchito, non potrebbero sembrare pi diversi. Battaglie epiche ed eroi solari nel primo, viaggiatori solitari il pi delle volte sconfitti e terrorizzati nel secondo; divinit non manifeste ma alleate degli Uomini in Tolkien, divinit malevole e disgustose (tranne in un caso: lantropomorfo Nodens, signore delle profondit) in HPL. Tutte differenze che, a un esame pi attento, si assottigliano fino a rivelare, in molti casi, somiglianze di fondo. Anche perch ad accostare questi due autori una visione mitica del mondo, accompagnata dal disprezzo di un iperrealismo tanto narrativo quanto esistenziale. Che si tratti di miti positivi o negativi poco importa. Il mito resta il tratto distintivo di chi giudica insufficiente e deludente la realt che ci circonda, e ci era vero sia per Lovecraft che per Tolkien. Sognare, inventare storie, linguaggi e mondi, entrare in contatto con una dimensione potente e magica: ecco il segreto dei due autori e di tutti coloro che li hanno letti e che continueranno a farlo.

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Lo splendore dellessere in Tolkien


di Chiara Nejrotti

l tema della bellezza traspare nellintera opera tolkieniana, sia nelle descrizioni dei paesaggi, sia nei personaggi stessi. La bellezza di un luogo pu colpire a tal punto da suscitare un sentimento di struggimento verso ci che va oltre lapparenza ed il presente, per riconnettersi al tempo in cui il mondo era giovane e tutto appariva fresco e nuovo. Quando giunge a Lothlorien, ed in particolare nella radura del Cerin Amroth, cuore del reame elfico, sembra a Frodo di essere passato su un ponte del tempo e di essere giunto in un angolo dei tempi remoti (). Gli sembrava di essere volato gi da unalta finestra aperta su un mondo svanito (). Non vedeva colori ignoti al suo sguardo, ma qui loro ed il bianco, il blu ed il verde erano freschi ed acuti e gli pareva di percepirli per la prima volta e di creare per essi nomi nuovi e meravigliosi (1).

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Dopo il disastro di Moria e la caduta di Gandalf, la Compagnia prostrata dal dolore giunge al lago di Kheled-zram, gioiello dellantico reame dei nani di Moria, ove giace la corona di Durin. La descrizione suscita nel lettore quel senso di lontananza e mistero che Tolkien cita spesso come essenziale per la riuscita del suo mondo secondario: Si chinarono sulle acque scure (...), lentamente ai loro occhi apparvero le forme delle montagne dintorno specchiate in un azzurro cupo, e i picchi erano come piume di bianche fiamme su di esse; pi in alto ancora si estendeva il cielo. Pari a gioielli incastonati negli abissi, le stelle brillanti scintillavano; eppure il cielo sulle loro teste era illuminato dal sole (2). Nel saggio sulle fiabe Tolkien afferma che uno dei compiti della fiaba quello di donare ristoro il che ha molto a che fare con la bellezza. Cos come accade a Frodo a Lothlorien, a cui pare di scoprire loro ed il bianco dei fiori ed il verde dellerba come se non li avesse mai visti, cos afferma il suo Autore: Dovremmo ancora guardare il verde, ed essere nuovamente stupiti (ma non accecati) dallazzurro, dal giallo, dal rosso; () il ristoro (che implica il ritorno alla salute e il suo rinnovamento) un riguadagnare, un ritrovare una visione chiara. Non dico vedere le cose come sono, non voglio trovarmi alle prese con i filosofi, anche se potrei azzardarmi a dire vedere le cose come siamo (o eravamo) destinati a vederle, vale a dire quali entit separate da noi stessi. Dobbiamo, in ogni caso, pulire le nostre finestre, in modo che le cose viste con chiarezza possano essere liberate dalla tediosa opacit del banale o del familiare dalla possessivit (3). Aristotele affermava che la filosofia nasce dallo stupore per la realt e, anche se Tolkien dice di non volersi ritrovare invischiato nelle discussioni dei filosofi, possiamo comunque individuare nella filosofia del 900 unassonanza tra le sue parole e latteggiamento indicato dalla fenomenologia di Husserl. Secondo il filosofo tedesco, la crisi delle scienze e del pensiero occidentale nasce proprio dallaver perduto quello sguardo originario sullessere in seguito allo sguardo analitico e meccanicistico della scienza. Tornare alle cose il motto di Husserl: significa innanzitutto mettere in discussione le certezze immediate che luomo ha di s e del mondo, superare la scontatezza ed il pregiudizio, inteso come presunzione di conoscenza, per tornare a cogliere i fenomeni nel loro puro apparire, ossia ci che dato immediatamente e con evidenza alla coscienza e che viene descritto senza aggiungere niente di estraneo alloggetto stesso. Lepoch, ossia la sospensione delle nostre credenze sulle cose, non ha un esito scettico, ma piuttosto il superamento dellidea che il mondo sia in nostro possesso e a nostra disposizione per essere usato e manipolato. La realt torna cos a manifestare la sua presenza in quanto evento rivelativo dellessenza che viene colta dalla coscienza attraverso lintuizione. Lespressione di Tolkien: vedere le cose come siamo (o eravamo) destinati a vederle si riferisce sicuramente al tema, tanto caro allAutore, che luomo, seppur caduto, rimanga sempre fatto ad immagine e somiglianza del Creatore. Deve per riguadagnare uno sguardo sulla realt che gli permetta di uscire dal proprio orizzonte limitato e la bellezza della natura costituisce il tramite ideale. Gi Platone sosteneva che, tra tutte le idee, la bellezza quella che pi facilmente attira luomo, poich si pu cogliere attraverso la vista che il pi nobile tra i sensi; affascinato dalla bellezza terrena luomo

passa alla contemplazione di quella divina che reca con s le altre idee, poich vi una coincidenza tra bello, vero e bene. Tolkien non era dichiaratamente un platonico come lo fu il suo amico C. S. Lewis, ma si pu ritrovare comunque nella sua poetica una eco di elementi platonici, filtrati attraverso il pensiero medievale, a lui cos caro. Platone infatti fu il filosofo che per primo venne cristianizzato ed il suo influsso rimase fondamentale fino al 1200, quando Tommaso dAquino ripropose invece la filosofia di Aristotele. In realt i due grandi, almeno nella loro versione cristiana, vennero visti dalla filosofia medievale pi come complementari che come antagonisti. Di Platone centrale la spinta verso il trascendente e la concezione della realt naturale come segno che rimanda ad un mondo divino, sede degli archetipi; di Aristotele si sottolinea la presenza dellessere nelle cose stesse e la possibilit per luomo di cogliere tale essenza. La bellezza degli elfi e la luminosit che li accompagna assumono, ne Il signore degli anelli, il significato di un richiamo alla bellezza eterna delle Terre imperiture, di cui gli elfi stessi provano nostalgia, poich lanimo umano anela allInfinito e allAssoluto. Gli elfi incarnano la bellezza e la difendono preservandola nella Terra di Mezzo; i loro tre anelli, infatti, hanno proprio lo scopo di conservare intatti e senza macchia i luoghi ove queste creature dimorano, in particolare Lothlorien e Imladris. Lincontro con gli elfi di Gildor, ancora nella Contea, infonde nei quattro hobbit il coraggio e la determinazione per andare avanti, suscitando nel cuore di ciascuno il desiderio per qualcosa di pi alto e nobile. Anche i cibi quotidiani assumono un altro gusto grazie alla loro presenza e tutto inondato dalla luce e dal canto. Tommaso afferma che la natura della bellezza deriva da Dio in quanto egli la causa dellarmonia e dello splendore di tutti gli enti. Ogni cosa pu essere considerata bella in quanto ha in s il fulgore della sua forma, spirituale o corporale, e in quanto in armonia, allinterno della gerarchia e dellordine finalistico del cosmo. Tommaso mostra poi come Dio sia la causa dello splendore del creato, oltre che dellarmonia ordinata del cosmo, in quanto Egli diffonde negli enti un raggio della sua luminosit che fonte di luce che risplende nelle cose. E Tolkien, come afferma lo studioso Mark Sebank, era profondamente innamorato delle forme dellesistenza, in quanto la luce, che si identifica nella teologia cristiana con il Logos, rivela una splendida ricchezza di forme e realt sensibili (4). Il tema della luce particolarmente presente nella sua opera, essa stessa simbolo dello splendore supremo e rivela la bellezza intrinseca degli oggetti; a Lothlorien Frodo colpito dalla luminosit che pervade il paesaggio: La luce in cui era immerso non aveva nome nella sua lingua. Tutto ci che vedeva era armonioso, ma i contorni erano allo stesso tempo precisi, come se concepiti e disegnati al momento in cui gli venivano scoperti gli occhi ed antichi, come se fossero esistiti da sempre (5); gli elfi stessi sembrano accompagnati da un alone di luce che brilla nella notte. Il chiarore che rivela la forma, ossia lessenza degli enti, e larmonia che rasserena lanimo sono dunque anche per Tolkien gli elementi fondamentali di una poetica del bello. Secondo Verlyn Flieger (6) tutta lopera tolkieniana si pu

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leggere come un opposizione tra luce e tenebre: nella Terra di Mezzo la bellezza della luce si manifesta, pi ancora che nello splendore del sole, nella luminosit delle stelle che incendiano il buio della notte e risplendono come gioielli incastonati nella volta celeste, tanto pi brillanti proprio in quanto contrastanti con loscurit. Dama Galadriel dona a Frodo una fiala che contiene la luce di Erendil, la stella del mattino e della sera, la pi amata dagli elfi, perch gli sia di guida e di conforto nei luoghi pi oscuri, l ove ogni luce dovesse spegnersi. La luce di Erendil, divenuto una stella, quella di uno dei Silmaril, i gioielli in cui era conservata la luce originaria degli Alberi di Valinor, la Terra Beata dei Valar; le stelle, inoltre, sono opera di Varda, la Regina celeste, moglie di Manw, il Vala supremo dellaria e del cielo. Varda la signora della luce, la pi adorata dagli elfi che la invocano dal loro esilio nella Terra di Mezzo col nome di Elbereth, mentre Melkor, il maligno, la teme. In lei e nella figura di Galadriel, che svolge un ruolo analogo per gli hobbit, sono confluite, secondo le parole dello stesso Tolkien, tutte le sue considerazioni sulla bellezza e lo splendore, cos come si sono espresse nella devozione mariana del popolo cristiano in tutta la sua storia: Su di essa si basa tutta la mia piccola percezione di bellezza, sia come maest, sia come semplicit (7). Per Tolkien la luce solare e lunare illumina il mondo successivo alla Caduta nel quale ormai viviamo, mentre le stelle richiamano in noi la nostalgia per il Paradiso perduto e sono insieme spinta a non smettere di sperare: desiderare deriva etimologicamente da de-sidera: ossia dalle stelle. Quando Sam sembra aver perduto ogni speranza a Mordor, il bagliore di una stella compare debolmente nel buio ed egli, contemplandola, ricorda che al di l delloscurit vi sempre la luce e ritrova il coraggio. La frammentazione progressiva della luce per anche ci che permette lo sviluppo delle diverse realt, popolazioni e

Il mondo delle fiabe, secondo Tolkien, contiene s la magia ma anche le cose semplici e fondamentali della natura, come la pietra e il fuoco, il pane e il vino, manifestate per nel loro splendore rivelativo, come se fosse la prima volta che ci imbattiamo in esse

storie della Terra di Mezzo, quindi il dispiegarsi della Storia. La sua diffusione va di pari passo con la nascita del linguaggio e la sua successiva moltiplicazione nelle diverse lingue; ma questo permette la ricchezza della subcreazione artistica ed il manifestarsi perci della luce e della bellezza originarie attraverso lopera delluomo. Il teologo tedesco Hans Urs Von Balthasar, nel primo volume del Gloria, testo dedicato a formulare una teologia estetica, afferma: La bellezza la maniera in cui il bonum di Dio si dona e pu essere compreso dalluomo come verum. Il bello si manifesta nella confluenza di forma e splendore, come sosteneva Tommaso dAquino; ma il mondo moderno ha perso la capacit di riconoscerlo e di affermarlo, per questo, continua Balthasar, ha perso di vista anche il bene e il vero. Essa la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidit e alla sua tristezza (). In un mondo senza bellezza (), in un mondo che non ne forse privo, ma che non pi in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione () e luomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perch non deve piuttosto preferire il male (). La testimonianza dellessere diventa incredibile per colui il quale non riesce pi a cogliere il bello (8). Nel suo saggio sulle fiabe, Tolkien afferma che la nostra unepoca di mezzi migliori per scopi peggiori; a proposito dellaccusa di escapismo sostiene che un racconto pu decidere di non menzionare i lampioni semplicemente perch sono brutte lampade; inoltre le fiabe parlano di elementi ben pi fondamentali e permanenti rispetto ai manufatti della tecnica che sembra sappiano esprimere soltanto bruttezza. Il mondo delle fiabe, infatti, contiene s la magia, ma anche le cose semplici e fondamentali della natura, come la pietra e il fuoco, il pane e il vino, manifestate

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per nel loro splendore rivelativo, in quanto incastonate in un contesto che ce le mostra come se fosse la prima volta che ci imbattiamo in esse. A questo riguardo, sostiene lAutore, la fantasia creatrice svolge un compito ancora superiore al semplice recupero della freschezza della visione: in quanto tale, infatti, essa tenta di creare il nuovo rivelando relazioni e percorsi inediti nella realt quotidiana; questo tipo di fantasia, che mi sembra corrispondere al termine tedesco Einbildungskraft, limmaginazione produttiva, capace di aprire il vostro forziere e di farne volar via tutte le cose racchiusevi, come uccelli da una gabbia. Le gemme si trasformano tutte in fiori e fiamme, e vi accorgerete allora che tutto ci che avevate (o sapevate) era pericoloso e dotato di poteri, nientaffatto saldamente impastoiato, s anzi libero e selvaggio; e tanto poco vostro quanto quelle cose non erano voi stessi (9). Il termine Einbildungskraft ci riporta alla poetica del romanticismo tedesco, in particolare a Novalis. Certo, Tolkien non avrebbe accettato di considerarsi un romantico nel pieno senso del termine, in quanto accusava il movimento filosofico-letterario di essere comunque figlio della modernit; tuttavia innegabile che vi siano nella sua opera molte suggestioni romantiche. La concezione novalisiana dellidealismo magico ci permette di comprendere meglio il ruolo dellartista-narratore e poeta e dellarte stessa rispetto alla rivelazione dellessere della natura. Secondo Novalis tutto si basa sulla legge dellanalogia ed il poeta colui che sa cogliere la struttura analogica del reale: egli diventa quindi il tramite che permette alla natura di rivelarsi nella sua essenza divina pi profonda. Secondo il poeta tedesco il finito manifestazione dellinfinito e dellassoluto, ma occorre saperne cogliere la presenza al di l dellapparenza immediata, per far venire alla luce il divino presente nelle cose, che si manifesta attraverso la capacit dellartista di creare immagini. Scoprire la struttura poetica dellesistere conduce a svelare la miracolosit dellesistenza, quel carattere di magia cio, che proprio di ogni cosa liberata dalla gabbia della esclusiva comprensibilit (10). Novalis afferma che occorrerebbe formulare una Enciclopedia romantica delle scienze che racconti come il mondo sia divenuto visibile e molteplice attraverso lEinbildungskraft (11). Ogni opera allora un riscoprire il segno delloriginaria rivelazione divina, riconoscere in ogni realt ed in particolare in quelle che si evidenziano per la loro bel-

La fantasia creatrice secondo Tolkien in grado di generare il nuovo rivelando relazioni e percorsi inediti nella nostra realt quotidiana

lezza il fluire di ununica forza cosmica. La capacit creativa e larte del narratore si realizzano sia per Novalis sia per Tolkien attraverso il linguaggio. Secondo tale concezione, che Tolkien medi dal suo amico Owen Barfield, la parola creatrice ed esprime la natura profonda dellessere delloggetto nominato, facendone emergere la luminosit in tutti i suoi aspetti. Tolkien considerava la parola come una strada verso la percezione del soprannaturale; al di l dellimmaginazione, era giunto ad una autentica visione di ci che scriveva, cos che la parola stessa era diventata la luce che permetteva di vedere. La parola uno dei significati del termine Logos: nella concezione greca esso indica il pensiero ed il discorso che lo esprime, ma anche il principio organizzatore, lordine e la struttura stessa del cosmo. Nel vangelo di Giovanni il Logos Cristo stesso, Egli il Verbo incarnato, lalfa e lomega, la Luce stessa che rende possibile ogni vera conoscenza. Per Tolkien, dunque, la parola poetica contiene in s un frammento della bellezza e della luce divina. La mitologia nata dalla capacit narrativa dellumanit che attraverso la creazione di storie ha dato voce al sacro; come afferma il nostro Autore parafrasando il grande filologo ottocentesco Max Mller, la mitologia non una malattia del linguaggio, semmai lopposto. Secondo la teoria di Barfield in origine le parole possedevano ununit semantica con le cose: mito, linguaggio e percezione della realt, intesa come mondo naturale e soprannaturale, erano tuttuno. Il linguaggio quindi espressione di una visione mitica del mondo. Nella cosmogonia tolkieniana la creazione di Arda avviene come attuazione della musica degli Ainur, che contiene in potenza ogni manifestazione visibile della Terra di Mezzo. La musica il suono iniziale di ci che sar, non latto fisico della creazione; per volere di Eru essa diventa visibile agli occhi delle Potenze angeliche che la renderanno reale in risposta alla parola di Eru: E, Che sia!. In questa prima fase, la bellezza contenuta nella musica deve farsi realt: nemmeno il dissidio ed il fragore introdotti da Melkor riescono a rovinarla, poich vengono riassorbiti in un nuovo tema che contiene in s anche note di malinconia struggente, proprio per questo ancor pi meraviglioso: lultimo tema, quello che annuncia la venuta di uomini ed elfi, nella cui creazione gli Ainur non hanno parte. La musica armonia e Tolkien fa sicuramente riferimento alla con-

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cezione pitagorica, ben conosciuta in et medioevale, della musica delle sfere; la ribellione ed il conflitto introdotti da Melkor sono quindi innanzitutto disarmonia ed il male anche negazione della bellezza. Nella seconda fase, il linguaggio si frammenta e nasce la coscienza: fase che corrisponde alla nascita dei figli di Iluvatar, uomini ed elfi, e soprattutto alla formazione ed allo sviluppo dei diversi linguaggi elfici. Nelle sue lettere Tolkien ha pi volte affermato che gli elfi sono gli esseri pi belli della Terra di Mezzo. Essi rappresentano uomini con facolt estetiche e creative molto potenziate. Il loro regno quello dellArte, ma ad un livello talmente elevato da condurre il soggetto che vi si trova coinvolto in una vera e propria Realt secondaria, tanto da poter essere definito come Incantesimo. Essi hanno insegnato larte della parola agli uomini, ma hanno anche insegnato ad esprimersi a tutti gli esseri viventi ed in particolare agli alberi. al vecchio Ent Barbalbero che Tolkien affida la descrizione di ci che per lui il linguaggio: I nomi propri narrano le vicende delle cose a cui appartengono, nella mia lingua (12). La concezione della lingua come unentit originariamente costituita da nomi propri, in cui lessenza e la sua espressione fonologica e semantica coincidono, presente anche nellopera di un grande filosofo e scienziato russo: Pavel Florenskij. Bench Tolkien non abbia probabilmente mai conosciuto le sue opere, n sia accaduto il contrario, possibile indicare molti punti di contatto tra le loro convinzioni, in particolare riguardo alla natura della bellezza e al tema del nome. Anche per Florenskij il nome, come ogni parola, sidentifica con la realt che per suo tramite viene indicata. Perci per il nome () vale, e in sommo grado, quella che la definizione del simbolo: esso pi di se stesso. Allo stesso tempo il nome ed in particolare il nome proprio, non una parola qualsiasi ma una parola di densit maggiore. Esso come forma o essenza sostanziale, plasma il suo portatore, essendo il suo e sia! (13). E, e sia! lesclamazione di Iluvatar che d lavvio alla manifestazione concreta della Musica, ossia alla creazione di Arda e che, secondo la Flieger, continua a permanere in ogni espressione successiva sia nella realt sia nel linguaggio. Lidentit tra essere, pensiero e parola risale nella civilt occidentale a Parmenide ma presente anche nella concezione biblica. Florenskij chiama la sua teoria metafisica concreta; essa si fonda sullaffermazione che il nome il denominato, essendo infatti la forma manifesta, carica di uno spessore ontologico e quindi avente carattere rappresentativo-realistico. Secondo il filosofo ha le stesse caratteristiche dellicona, che nella tradizione russa pi di una semplice immagine, in quanto porta in s il sacro che rappresenta. Il nome, pertanto, svela il proprio contenuto spirituale permettendo lascesa dallimmagine allarchetipo, ossia il contatto ontologico con larchetipo. Come tale il nome deve essere considerato un segno sensibile che () diventa non una rappresentazione, bens unonda propagatrice () della realt stessa che lha suscitata (14). Florenskij, pur essendo un grande matematico e fisico, ritenne sempre che la natura parlasse innanzitutto alla sua immaginazione. Egli ebbe nei confronti della realt una visione estetico-simbolica, anzich analitica e frammentaria, che, sosteneva, aveva elaborato durante linfanzia e costituiva anche il fondamento del suo pensiero scientifico.

Il piccolo Pavel ricercava una conoscenza mistica e ontologica del mondo, interamente concentrata sullunit sostanziale delle cose, per questo motivo tutto il mondo per lui era una fiaba, in alcuni punti nascosta e in altri svelata (15). Anche il tema della luce ricorre spesso nelle riflessioni di Florenskij: la bellezza che rintraccia soprattutto nella natura gli appare come pervasa di aria e di luminosit; la sua percezione colpita innanzitutto dai colori, di cui coglie le minime sfumature, cos come accade a Frodo a Lothlorien. Il fenomeno, ci che appare, viene inteso come manifestazione, apparizione e rivelazione dellessere stesso. Ci che accomuna Tolkien e Florenskij, nonostante la lontananza tra larea culturale anglosassone e quella russa, sicuramente la comune concezione cristiana, che si unisce per a elementi tratti dal romanticismo. Florenskij si riferisce esplicitamente allidealismo magico di Novalis, Tolkien non lo cita mai, ma, come indicato, si possono scoprire notevoli assonanze. In entrambi inoltre vi leredit del platonismo cristiano, proveniente dallet medievale, che fa della bellezza la via privilegiata per accedere al Vero e al Bene divini. La fauna mistica delle fiabe, racconta il filosofo russo, era per lui pi naturale di qualsiasi fatto scientifico, in quanto il mondo della fiaba non costituiva una semplice raffigurazione bens una vera e propria trasfigurazione della realt e della vita, un rovesciamento della sua prospettiva, un capovolgimento dellorizzonte lineare dellapparire visibile in quello dellessere sostanzialmente invisibile. Non si tratta di un percorso lineare ed armonico, ma di una strada fatta di discese nellabisso ed improvvise risalite luminose, verso la bellezza di una vita trasfigurata dal mistero (16). In queste parole facile scoprire unassonanza con la concezione tolkieniana della fiaba: il tema delleucatastrofe, limprovviso capovolgimento che dalla sofferenza conduce alla felicit assoluta, l dove delizie e dolori divengono ununica cosa e la gioia acuta come una spada: sia il Silmarillion sia Il Signore degli Anelli ne sono lespressione.

(1) J. R. R. Tolkien, Il Signore degli anelli, Rusconi, Milano 1980, pp. 433-435. (2) Ivi, pp. 415-416. (3) J. R. R. Tolkien, Albero e foglia, Rusconi, Milano 1976, p. 72. (4) M. Sebank, Tolkien e il Logos: un amore incompreso, in Mitus versus Fantasy, Communio n. 218, ottobre-dicembre 2008, p. 50. (5) J. R. R. Tolkien, Il Signore degli anelli, cit., p. 435. (6) V. Flieger, Schegge di luce, Marietti 1820, Genova-Milano 2007. (7) J. R. R. Tolkien, La realt in trasparenza, lettera n. 142, Rusconi, Milano 1990, p. 195. (8) H. U. Von Balthasar, Gloria, vol.1: La percezione della forma, Jaca Book, Milano 1971, p. 10 e segg. (9) J. R. R. Tolkien, Albero e foglia, cit., p. 74. (10) G. Moretti, Lestetica di Novalis, Rosenberg e Selliers, Torino 1991, p. 87. (11) Ivi, p. 142. (12) J. R. R. Tolkien, Il Signore degli anelli, cit., p. 569. (13) P. Florenskij, Ai miei figli, Mondadori, Milano 2009, p. 350n. (14) Ivi, p. 370n. (15) Ivi, p. 210. (16) N. Valentini, Introduzione, in Ivi, p. 24.

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Il lologo papista ed il protestante di Ulster


di Luca Siniscalco

namicizia autentica, in quanto insediata saldamente in una consonanza di spiriti magni capaci di interpretare nel senso pi genuino quella tensione interiore che scaturigine prima di ogni realizzazione artistica: questo fu il legame stabilitosi fra J. R. R. Tolkien e C. S. Lewis. Tollers e Jack, come erano soliti chiamarsi confidenzialmente i due intellettuali britannici, esperirono una relazione intensa e dialettica, inadatta a configurare una sintesi pienamente esaustiva che fissi in maniera ineluttabile una storia di affinit elettive vorticosa e rizomatica. Appellandosi alla convinzione di Lewis in base a cui non puoi studiare gli uomini, puoi soltanto conoscerli (1), intendiamo proporre uno sguardo sfuggente ma penetrante in una amicizia elusiva e complessa (2), scaturita fra due grandi della letteratura novecentesca, in cerca del trascendente fra i cunicoli della modernit. Provenienti da esperienze radicalmente eterogenee, Tolkien, inglese, cattolico praticante grazie allinsegnamento culturale ed affettivo impartitogli dalla madre e dal

tutore Padre Francis Morgan, e Lewis, nato nellUlster lealista e protestante per poi divenire ateo radicale attraverso gli studi condotti sotto la supervisione di William Kirkpatrick, si incontrarono per la prima volta ad Oxford, centro universitario idoneo a stimolare gli studi di entrambi. Lewis, novello tutor di Lingua e Letteratura inglese e fellow del Magdalen College, era nel 1926 un possibile avversario per Tolkien, recentemente promosso alla carica di professore di Studi Anglosassoni. Il primo contatto fra i due, avvenuto in occasione di una discussione sullorganizzazione del piano di studi universitario, non suscit certamente sentimenti di entusiasmo, tanto da indurre Lewis a definire il collega un ometto tranquillo, placido, loquace (), innocuo: tuttal pi si tentati di dargli un buffetto (3). Si sarebbe tuttavia ricreduto di l a poco, giungendo ad appoggiare listanza pedagogica tolkeniana, destinata a rivelarsi in breve tempo vincente, dopo avere percepito il carisma ed il

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fascino promanante dallaura del creatore della Terra di Mezzo. A far sbocciare il fiore imperituro dellamicizia furono fattori molteplici: la passione comune per i miti nordici, la poesia e la letteratura, il desiderio di condivisione intellettuale e la battaglia culturale antimodernista; sono i medesimi elementi responsabili della nascita dei diversi circoli culturali concepiti dai due letterati e confluiti nella forma pi nobile ed affascinante nelle riunioni degli Inklings, svoltesi regolarmente il marted mattina ed il gioved sera a partire dagli anni 30 sino al 1949. La relazione fra Tolkien e Lewis ebbe tuttavia una portata superiore ai rapporti istituitisi nei confronti degli altri membri del circolo, sia per il reciproco supporto critico e letterario, sia per la durata del legame (dal 1926 alla morte di Lewis nel 1963), sia ancora per una serie di coincidenze significative della loro biografia, quali lepifania del magnifico e dellimmaginazione come centri propulsori delle loro vicissitudini, la perdita delle rispettive figure materne e la partecipazione alla Grande Guerra; ma soprattutto in virt di una inimitabile intimit e sim-patia, nel senso etimologico di sympatheia, che attitudine a condividere sentimenti, emozioni e sofferenze, che i due autori si scambiarono il prezioso dono dellamicizia. Tale percezione fu maggiormente radicata in Tolkien, pi selettivo e geloso nelle proprie relazioni, rispetto a Lewis, che dai differenti amici affermava apertamente di apprezzare egualmente virt diverse, in una concezione comunitaria e aperta di quel sentimento che per Hlderlin in grado di rigenerare il mondo (4). Ciononostante, anche per Lewis si pu affermare, a mio avviso, una preminenza del rapporto di fraternit con Tolkien, a motivo dellincidenza irrefutabile esercitata da questultimo sulla percezione esistenziale del primo. In Tolkien Lewis non trov soltanto un sodale con cui condividere e spartire progetti, aspirazioni e conoscenze, ma unincarnazione di una dimensione religiosa e spirituale a cui rivolgere integralmente la propria persona. nella conversione di Lewis al cristianesimo che si pu comprendere il radicamento di una relazione trascendente il semplice ambito accademico e letterario. Giunto a Oxford, Lewis stava gi abbandonando limpostazione materialista e riduzionista adottata sulla scia degli insegnamenti giovanili ricevuti. Sotto questo profilo lo studio di G. K. Chesterton, sostenitore di una lettura paradossale della teofania cristiana, era stato dirimente; grazie ad esso Lewis aveva riflettuto sulla possibilit di interpretare la morte e resurrezione di Cristo come un mito dotato di valore simbolico destinato a divenire fatto reale. Questo il miracolo che diventando fatto non cessa di essere mito. () Per essere veri cristiani dobbiamo allo stesso tempo accettare il fatto storico e accogliere il mito, il fatto nella modalit secondo la quale si realizzato, con lo stesso abbraccio immaginativo con cui accostiamo tutti i miti (5). La vitalit e potenza espressiva di Chesterton colpirono profondamente il giovane britannico ateo e cinico, accostatosi ai passi dellautore in un ospedale francese, durante la convalescenza seguita ad una ferita subita nella Prima Guerra Mondiale. Lewis rimase in particolare sbalordito dallatteggiamento di lieta ribellione cristiana tramite cui Chesterton scelse di fronteggiare i drammi dellesistenza, arrivando a cogliere probabilmente unindicazione della strada da percorrere, la strada per un ritorno a casa (6). Tale visione spirituale, improntata sullaccettazione del paradosso e dello scandalo come fondamento di fede, sulla scia della

massima tertullianea Credo quia absurdum, come della ben pi recente riflessione kierkegaardiana, attecch progressivamente in Lewis; unita a riflessioni sulla razionalit della religione, letture filosofiche ed esperienze di amici, quali lo steineriano Barfield, questa visione spinse Lewis ad una scelta decisiva. Narra efficacemente lo scrittore: Durante il trimestre della Trinit del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai per pregare: fui forse, quella sera, il convertito pi disperato e riluttante dInghilterra (7). La contrastata conversione di Lewis segn linizio di un approccio teista alla questione religiosa, basato su una precisa e consapevole scelta di campo compiuta con le armi della logica. Il passo successivo, tuttavia, consistente nelladesione alla fede cristiana, poneva a Lewis problemi filosofici maggiori, a cui la ragione non poteva trovare una valida soluzione: Egli cominciava a rendersi conto che il ragionamento non lo avrebbe portato oltre. Laccettazione di Dio non lo condusse automaticamente allaccettazione del cristianesimo. Sentiva crescere in s la certezza di volerlo accettare (). Nel frattempo il suo attuale teismo puro e semplice gli appariva inadeguato. Daltronde () se anche fosse arrivato ad accettare la storicit del racconto cristiano () non riusciva a comprendere come la morte e la resurrezione di Cristo potessero avere rilevanza per la storia dellumanit (8). in questo dilemma angosciante ed insolubile che la personalit di Tolkien assurse ad autentico martire incruento di Cristo, segnando una svolta fatale per un uomo destinato a superare lhabitus mentis giovanile sino a meritare la dichiarazione del Pontefice Giovanni Paolo II: Lewis sapeva qual era il suo apostolato e lha fatto! (9). Per giungere allesercizio di questo apostolato, concretizzatosi in unintensa campagna apologetica condotta tramite le numerosissime pubblicazioni e gli interventi radiofonici, espressione costruttiva di una propulsione spirituale radicata in interiore hominis, Lewis dovette confrontarsi con le discussioni condotte in materia con il collega oxoniense. Lintenso scambio intellettuale quotidiano deve aver lavorato come il tafano socratico, pungendo le ultime difese erette dal razionalismo di Jack. Vi tuttavia un episodio cardine nel processo di conversione, adatto a sunteggiare egregiamente un cammino lungo e faticoso grazie alla forza del simbolo, di quel symbolon che un mettere insieme tramite cui lo spirito umano in grado di sintetizzare il molteplice sensibile in unoperazione poietica creatrice di senso. a partire dallo studium della mitologia pagana, classica ma soprattutto nordica, che Lewis si era appassionato al mito. Anche successivamente allaccettazione del cristianesimo, amava definirsi un pagano convertito in un mondo di puritani apostati. E non un gioco di parole affermare che la sua opera stata tutta dedicata a che un mondo di puritani credenti e non si riscoprisse pagano: uomini magari confusi ma desiderosi cos di poter diventare autenticamente cristiani (10). Su questa sensibilit nei riguardi del ponte gettato verso la trascendenza (11) Tolkien oper spontaneamente a partire dalla medesima istanza spirituale, consapevole che valori perenni trovano dimora nella tradizione di tutte le civilt e che solo attingendo ad essa si potr affrontare il crollo della Kultur occidentale. Questo spirito antimoderno e simbolista si erse ad origo prima tanto della fede di Tollers, quanto della conversione di Jack, nonch di ampia parte della produzione letteraria di entrambi.

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in questa affinit che il canto di Aslan e lAinulindal si prestano ad una lettura comparata mediata da un profondo sentire comune. Lewis aveva affermato: Io non ho mai provato lesperienza di cercare Dio (). Lui era il cacciatore (o almeno cos mi sembrava) ed io ero il cervo (12). In questa circostanza il cacciatore divino si manifest nelle vesti di un professore di Oxford, un cattolico apostolico romano, fedele alla tradizione, conservatore, ostile allabbandono del latino allinterno della liturgia, esplicitamente contrario al divorzio, legato alla predicazione di Chesterton (13). Al mio arrivo al mondo ero stato (implicitamente) avvertito di non fidarmi mai di un papista, e al mio arrivo allEnglish school (esplicitamente) di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era luno e laltro (14). Sabato 19 settembre 1931 Tolkien e Lewis si incontrarono per cenare insieme. Con loro vi era Hugo Dyson, assistente di Letteratura inglese alla Reading University e brillante intellettuale cristiano. Terminata la cena il trio usc per una passeggiata, allietata da un vivace dibattito sul tema del mito. Di fronte alla convinzione di Lewis dellassenza di verit sostanziale nei miti, Tolkien replic tenacemente, sostenendo che veniamo da Dio e, inevitabilmente, i miti da noi tessuti, pur contenendo errori, rifletteranno anche una scintilla della luce vera: la verit eterna che con Dio. Infatti solo creando miti, solo diventando un subcreatore di storie, luomo pu aspirare a tornare allo stato di perfezione che conobbe prima della caduta (15). Queste parole stupende, contenenti il nucleo della teorizzazione tolkeniana della sub-creazione e del potere del mito, spunto per Mitopoeia, composta sulla scia del ricordo della discussione, trafissero lo spirito di Lewis, che dodici giorni pi tardi scrisse all amico Arthur Greeves: Da poco sono passato dal credere in Dio al credere in maniera definitiva in Cristo, nel cristianesimo (...). La mia lunga chiacchierata notturna con Dyson e Tolkien ha avuto una grossa parte in questo (16). Lewis speriment unautentica conversione, che un convertere, un movimento, una trasformazione, un rivolgersi verso una nuova prospettiva, ma anche una marcia militare in direzione contraria: la precisa scelta di campo che avrebbe influenzato radicalmente lintera sua esistenza era stata compiuta. Lewis si convert a Cristo, ma anche al Mito, aderendo con il tipico ardore del neofita ad una spiritualit fondata sui trascendentali di Vero, Giusto e Bello, legata alla preponderanza dellimportanza dei miracoli, dellimmaginazione e della gioia, temi ampiamente presenti nelle proprie opere, tanto saggistiche quanto narrative. Bench segnata da differenze di sensibilit, tale Weltanschauung cristiana conservatrice fu fondamento imprescindibile dellamicizia fra i due letterati, proseguita fra alti e bassi sino al decesso dellinfaticabile persona (17). Eppure gli screzi fra i due furono disparati, legati a due ambiti distinti: lapproccio religioso e la vita privata. Per quanto concerne il primo terreno, nonostante la condivisione dei nuclei spirituali dirimenti, fu inevitabile la comparsa di alcuni dissidi, tanto nel campo della dottrina quanto in quello della pratica religiosa, fra il papista J. R. R. T. ed il protestante C. S. L., contrario alladesione al cattolicesimo sia per ragioni teologiche che per linfluenza dellambiente ulsteriano ove si era formato. Tolkien rimase profondamente deluso dal rifiuto da parte dellamico di una conversione a suo avviso integrale e, dopo aver propugnato assunzioni teoriche forti, quali la difesa del matrimonio religioso, il ruolo imprescindibile dei sacramenti e della partecipazione

alla messa, si rivel pungentemente critico nei confronti dellattivit apologetica dellamico, ormai insediatosi in un ruolo proprio agli uomini di Chiesa, e del suo orientamento protestante, tanto da sentenziare: Lewis voleva regredire. Non sarebbe rientrato nel cristianesimo attraverso una nuova porta, ma attraverso quella vecchia: per lo meno nel senso che accettandolo nuovamente avrebbe anche accettato, o risvegliato, i pregiudizi cos diligentemente radicati nella sua infanzia. Sarebbe nuovamente diventato un protestante dellIrlanda del Nord (18). Per quanto riguarda invece il secondo terreno, la subitanea e radicale amicizia di Lewis con Charles Williams, nonch il suo matrimonio con Joy Gresham, di cui Tolkien non era stato messo al corrente, resero lautore del secolo (19) geloso e rancoroso nei riguardi di Lewis, verso cui tuttavia, nonostante lormai ridotta frequentazione, non cess mai di indirizzare il proprio affetto. Poich tempo di vagliare lentit di unamicizia, le riflessioni sperimentate da J. R. R. T. dopo la morte dellamico, tramandate nel suo corpus epistolare, non possono che testimoniare con unintonazione commovente lindissolubilit del legame instauratosi fra il filologo papista e il protestante di Ulster: Finora ho provato le sensazioni comuni ad un uomo della mia et come un vecchio albero che sta perdendo tutte le sue foglie, una per una: questo colpo come unaccetta che mi abbia colpito vicino alle radici. molto triste che negli ultimi anni ci siamo allontanati tanto; ma i tempi in cui eravamo pi vicini restano nel ricordo di entrambi (). Noi abbiamo un grosso debito reciproco e quel legame, con il profondo affetto che lha generato, resta. Era un grande uomo (20).
(1) H. Carpenter, J. R. R. Tolkien. La biografia, Lindau, Torino 2009, p. 199. (2) C. Duriez, Tolkien and C. S. Lewis. The gift of friendship, Hiddenspring, Mahwah 2003, p. XI. Traduzione mia. (3) H. Carpenter, Gli Inklings, Marietti 1820, Genova-Milano 2011, p. 38. (4) il celebre aforisma dellIperione di Hlderlin: Lamore gener il mondo, lamicizia lo rigenerer. (5) P. Gulisano, C. S. Lewis tra Fantasy e Vangelo, Ancora, Milano 2005, p. 15. (6) Ivi, p. 41. (7) Ivi, p. 47. (8) H. Carpenter, Gli Inklings, cit., p. 62. (9) Cit. in E. Rialti, Langlicano scomodo, ne Il Foglio quotidiano, 18 settembre 2010. (10) Ibidem. (11) A. Gnoli, F. Volpi, I prossimi titani, Adelphi, Milano 1997, p. 97. (12) C. Duriez, Tolkien and C. S. Lewis, cit., p. 46. Traduzione mia. (13) Cfr. A. Milbank, Chesterton and Tolkien as Theologians, T&T Clark Intl, Londra 2009. (14) H. Carpenter, J. R. R. Tolkien, cit., pp. 222-223. (15) Ivi, p. 225. (16) Ivi, p. 226. (17) J. R. R. Tolkien, La realt in trasparenza, Bompiani, Milano 2001, p. 80. (18) H. Carpenter, J. R. R. Tolkien, cit., p. 231. (19) Definizione attribuita a Tolkien da Tom Shippey nellomonima opera. (20) J. R. R. Tolkien, La realt in trasparenza, cit., pp. 383-384.

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C'era (ancora) una volta: Il signore degli anelli di Peter Jackson


di Claudio Bartolini e Alice Cucchetti

Il signore degli anelli nato da un linguaggio. Un linguaggio inventato, il Quenya, ispirato a Tolkien dalla lingua finlandese. Larte della creazione di mondi opera complessa e misteriosa: Tolkien inventa la lingua (suoni, accenti, pronunce, grammatiche, sintassi, parole), dalla lingua scaturisce la Storia, dalla Grande Storia scivola fuori una piccola storia che poi germoglia in tanti differenti rivoli narrativi. E che, infine, confluisce nuovamente nella Storia con la S maiuscola, anzi, per usare le parole di Frodo Baggins, nella Storia alla fine di ogni cosa. Il signore degli anelli pi di un romanzo, per svariati motivi. Lo in origine, come infinitesima porzione di racconto di un universo sconfinato, e lo conseguentemente allo smisurato successo ottenuto dalla sua pubblicazione a oggi. Il libro pi letto al mondo dopo la Bibbia non solo un libro: d vita alle societ tolkieniane, al fiorire rigoglioso

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della letteratura fantasy, allinvenzione dei giochi di ruolo, a una moltiplicazione delle identificazioni e (ahinoi e ahiTolkien) a forzati appropriamenti ideologici. Ho letto Il signore degli anelli quando avevo 18 anni, e appena finito non vedevo lora di vedere il film. Sono passati quasi ventanni e ho cominciato a diventare impaziente. Quando si inizia a parlare di un adattamento per il grande schermo de Il signore degli anelli, nel 1995, Peter Jackson ha 34 anni, ha appena finito di girare Sospesi nel tempo ed da poco approdato a Hollywood. Il signore degli anelli Il film un progetto semi abortito (se ne erano interessati perfino i Beatles e Stanley Kubrick!), pi volte messo in cantiere e poi abbandonato: ne esiste una versione animata del 1978 (molto amata da Jackson) realizzata da Ralph Bakshi, il quale riuscito s a condensare in una sola pellicola i primi due volumi della trilogia, ma non a ottenere la possibilit di girare lultima parte a degna conclusione. John Boorman avrebbe voluto provarci, ma rinunci per leccessiva complessit del testo di partenza e ripieg su qualcosa di paradossalmente pi semplice, il Ciclo Bretone, firmando Excalibur. Peter Jackson, nel 1995, un ragazzotto neozelandese decisamente sovrappeso, con i capelli arruffati e gli occhiali tondi a fondo di bottiglia. un regista di genere (inizialmente, lhorror splatter): ancora meglio, un regista di genere e un mago degli effetti speciali fatti a mano. I primi film, Bad Taste e Braindead, realizzati con maniacale controllo su ogni aspetto produttivo da parte del regista (che, soprattutto nel primo, fa anche lattore, il montatore, laddetto agli effetti) sono gi piccoli cult, dal sapore irresistibilmente artigianale e genuinamente divertente, demenziale, iconoclasta. Ai circuiti dautore noto per Creature del cielo, Leone dargento a Venezia, da un certo punto di vista pi convenzionale nella forma, ma ugualmente proiettato in una dimensione inquietante, onirica, affascinante. Pi di ogni altra cosa, Peter Jackson un fan de Il signore degli anelli e delluniverso tolkieniano. La combinazione di tutti questi elementi accende la scintilla dellimponderabile: fare Il signore degli anelli per il cinema si pu. Dunque, Peter Jackson, regista indipendente dalleccellenza artigianale, si trova per le mani il suo primo blockbuster hollywoodiano, budget imponente, battage pubblicitario assordante, aspettative titaniche dallalto (la produzione) e dal basso (il fandom). E quel che decide di fare quanto di pi anticommerciale ci si aspetti: tre film, da almeno tre ore luno, da distribuire in sala a un anno di distanza luno dallaltro. Oggi pare scontato che la trilogia cinematografica de Il signore degli anelli sia stata una straordinaria hit da botteghino, ma chi lavrebbe mai detto, in quella fine anni 90, che un film di genere lungo oltre nove ore (quasi dodici, per le versioni estese) si sarebbe rivelato il terzo incasso al box office di tutti i tempi? La prima scommessa di Jackson questa: non cedere alla Miramax che pretende un solo film. Anzi, ampliare a tre capitoli come i volumi cartacei liniziale progetto diviso in due parti. Filmare la quasi totalit delle sequenze dei tre film tutta di seguito, quindici mesi intensissimi dal Nord al Sud della Nuova Zelanda, per evitare il rischio, in caso di flop commerciale, di incorrere nello stesso destino di Bakshi. Ma non solo una questione di tempo. Nove, dieci, dodici ore di pellicola non celano una verit evidente: Il signo-

re degli anelli non materia cinematografica ( infilmabile, dice Jackson). Ci sono singole scene che durano cinquanta pagine, intere linee narrative riportate solo attraverso lunghi dialoghi, descrizioni fitte di dettagli, progressione ondivaga, digressioni vertiginose. Per trasporre Il signore degli anelli in immagini impensabile riprodurre pedissequamente la narrazione tolkieniana. E soggiacere a dettami hollywoodiani, a tagli indiscriminati in nome dellentertainment, dellaccessibilit, del ritmo da blockbuster movie equivarrebbe a un fallimento. necessario ri-raccontare la storia. Inventarsi un linguaggio, agganciandosi a quello cinematografico, proprio come fece Tolkien con il Quenya e i tanti dialetti elfici, la lingua dei nani e quella oscura di Mordor. Nellequilibrio innovativo e spiazzante tra registro cinematografico e letterario risiede probabilmente il vero miracolo della saga cinematografica. Jackson riesce a dare forma a tre periodi di un discorso filmico ininterrotto, limitando se non eliminando del tutto la punteggiatura grammaticale e narrativa solitamente atta a scandire la progressione dei capitoli di qualunque ciclo hollywoodiano. Dagli autosufficienti episodi di franchise produttivi quali Frankenstein, Sherlock Holmes, Alien, Nightmare, ai testi concatenati di Star Wars o Harry Potter, il format del blockbuster seriale si da sempre misurato con i parametri della coerenza e della coesione, nel primo caso rinunciandovi in larga parte, nel secondo anelando (invano) filologicamente alla totale orizzontalit del mondo convocato. Nelle dinamiche produttive (tre opere concepite e filmate simultaneamente) e nel registro sintattico, Il signore degli anelli scardina il limite e tracima nel linguaggio letterario per immagini, anticipando alcune dinamiche proprie su schermo soltanto alla serialit televisiva. Luniverso di segni messo in quadro da Jackson non soltanto coerente e coeso (lo erano, a conti fatti, anche quelli di Star Wars e Ritorno al futuro; lo saranno quelli di Harry Potter e Twilight), ma supera i personaggi che lo popolano e le loro singole vicende a beneficio della totale compattezza estetica e linguistica. Pur nel totale rispetto degli standard mainstream alta spettacolarizzazione, registri enfatici su storie di amore, sacrificio ed eroismo, ellissi narrative su passaggi particolarmente prolissi del testo di Tolkien il creatore di mondi riesce a trasformare la carta in celluloide e a rendere il testo filmico sfogliabile in un possibile continuum fruitivo. Se lo spettatore di Star Wars naturalmente indotto a dividere la visione della saga in sei momenti (temporali e/o emotivi), a quello de Il signore degli anelli viene lasciata come avviene nella lettura di un libro la possibilit ideale di personalizzarla senza coercizioni narrative. La verticalit delle singole microstorie collocata in un macrotesto (concetto assolutamente postmoderno), i cui tre testi che ne fanno parte scorrono secondo modalit di flusso (altro concetto postmoderno) ininterrotto, ma interrompibile in qualunque momento: una nuova tipologia di interazione mediale, profondamente interattiva e letteraria. Mai unoperazione blockbuster aveva osato tanto, soprattutto se proveniente dal territorio infilmabile dellepica su carta. Nel Silmarillion la creazione inizia con la musica e la parola. La sceneggiatura della trilogia cinematografica prende il via da un trattamento scritto da Peter Jackson e da sua moglie Fran Walsh che condensa in un centinaio di pagine

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la storia (il nucleo narrativo) di Frodo, dellAnello e della Battaglia contro Sauron che chiude la Terza Era delluniverso tolkieniano. La chiave di volta sta negli artefici di questo racconto: Jackson e Walsh sono, prima di tutto, fan del romanzo. Esattamente come i tantissimi e agguerritissimi difensori delleredit tolkieniana sparsi per il globo, uno dei fandom pi poderosi mai esistiti (insieme alle opposte fazioni degli appassionati di Star Trek e Star Wars). I fan nutrono per il proprio oggetto di culto una sorta damore e devozione, conoscono il canone narrativo a menadito, ne rispettano lo spirito e le intenzioni. Vivono un processo di transfert emotivo nei confronti della propria materia di adorazione e si sentono, in ragione di ci, liberi e giustificati ad appropriarsene per elaborarlo, manipolarlo, rimetterlo in scena. Stendendo la sceneggiatura de Il signore degli anelli, Peter Jackson e Fran Walsh, con laggiunta poco successiva di Philippa Boyens, mettono in atto questo processo di rimaneggiamento amoroso del testo. Ci sono modifiche sostanziali (almeno per i filologi pi puri) rispetto al punto di partenza romanzesco, soprattutto nelladattamento de Le due torri (in tutta evidenza, il pi difficile da riarrangiare, perch privo di un inizio e di una fine, eppure stipato di nuovi personaggi da introdurre, basato sulla lunga attesa di una battaglia neanche risolutiva e, per finire, come confessa la Boyens, senza la morte di un protagonista a fare da climax emotivo): dallet di Frodo (che nel libro ha cinquantanni, nel film laspetto di un ventenne) alleliminazione di Tom Bombadil (una delle assenze pi rimpiante dai fan), dallinserimento prepotente di una storia damore in Tolkien solo accennata (e relegata alle Appendici) a spostamenti cronologici di porzioni di racconto e avvicendamenti di dialoghi. Pochi puristi gridano allo scandalo, la stragrande maggioranza dei fan va in visibilio, gli impreparati neofiti si appassionano. La riscrittura di Jackson, Walsh e Boyens ri-narra la storia per il pubblico degli anni Zero. Lavora sui personaggi, approfondisce conflitti (il lun-

Peter Jackson, regista indipendente dalleccellenza artigianale, si trova per le mani il suo primo blockbuster hollywoodiano, budget imponente, aspettative titaniche dallalto (la produzione) e dal basso (il fandom)

go percorso daccettazione del proprio destino di Aragorn, la lotta interiore di Faramir quando cattura Frodo nei pressi di Osgiliath, ma, soprattutto, la potenza del personaggio di Gollum, con la sua schizofrenia dilaniante e modernissima, la profonda umanit nei suoi abissi disumani intessuti di sopraffina computer graphic e della maestria di Andy Serkis), scivola attraverso le trame, sorvola la Terra di Mezzo in panoramiche travolgenti, e cos via, restituendo intatto lo spirito e il respiro epico del volume di partenza. Si pensi alla scena dellarrivo degli Elfi al fosso di Helm: non ve n traccia in Tolkien (lAlleanza tra uomini ed Elfi fu spezzata con il tradimento di Isildur), ma allinterno del racconto la sequenza appare emozionante e motivata, una luce di speranza che riesce a ricreare per qualche tempo quella solidariet nostalgica tra popoli che permea tutto il romanzo. Ma la sceneggiatura solo unimpalcatura scheletrica. Dopo aver ri-raccontato Il signore degli anelli con la competenza, la passione e la reverenza che solo un fan accanito possiede, per Peter Jackson si apre la sfida pi difficile, il confronto con la straordinaria capacit di costruzione mitopoietica che ha differenziato Tolkien da altri autori del genere fantastico. La qute al contrario di Frodo e della Compagnia, e poi la Battaglia per la Terra di Mezzo, si inseriscono in un universo altro dettagliatamente arredato, sviluppato dal professore britannico attraverso una gigantesca rielaborazione di miti, culture, ispirazioni (dallimpianto di derivazione cattolica della vicenda alle suggestioni del romanticismo ottocentesco, dalle architetture basate sulle leggende celtiche, scandinave, anglosassoni, germano-barbariche, alle colonne archetipiche di ogni narrazione epica, etc.). La magia del Mondo tolkieniano si costruisce su questa complessit mitologica che apre continuamente finestre potenziali su tutto ci che non viene direttamente raccontato o messo in scena, ma che resta sullo sfondo in attesa di essere illuminato (proprio da qui si creato il fandom tolkieniano, dalla possibilit data dallautore di inserire se stessi e ulte-

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riori racconti nelle pieghe di un universo sconfinato). Peter Jackson, appartenente al fandom, comprende che per portare in pellicola Il signore degli anelli non sufficiente ri-narrarne la storia, ma necessario ricrearne il mondo. Per questo la straordinariet della trilogia filmica non sta (solo) nella durata fiume o nella spettacolarit delle location e delle scene di battaglia, ma nellaccuratezza e profusione di dettagli spesso invisibili a una prima visione, quasi mai direttamente al centro dellattenzione. Consigliata la visione, per gli interessati, dei contenuti extra presenti nei dvd e nei Bluray delle versioni estese: il sense of wonder causato dalle grandiose battaglie al Fosso di Helm o sui Campi del Pelennor quasi surclassato dalla mole di lavoro artigianale e tecnologico che ne ha permesso la realizzazione. A partire dai bozzetti (ai quali hanno lavorato, prima e anche parallelamente alle riprese, Alan Lee e John Howe, gli storici illustratori di Tolkien) allindividuazione degli scenari, passando per i costumi, le decorazioni, la ricostruzione degli ambienti, la fabbricazione di armi e armature, ogni civilt della Terra di Mezzo possiede una sua estetica, ispirata certo alla nostra Storia e Storia dellArte, ma rimaneggiata filtrando le indicazioni del romanzo con unintensa visionariet cinematografica. Gli Elfi indossano un floreale stile art nouveau, gli Hobbit assomigliano a uomini di campagna britannici del XIX secolo, i gondoriani ricordano un Medioevo prerinascimentale, i Nani le popolazioni barbariche, i Rohirrim sono come Vichingi ma con cavalli al posto delle navi: ogni popolo stato studiato approfonditamente in ogni aspetto, e ritratto su pellicola, grazie allunione delle pi disparate competenze pratiche e artistiche (fabbri, esperti di armi, carpentieri, scultori, pittori e tutte le altre professionalit presenti sul set). Una maniacalit essenza stessa dellautorialit jacksoniana profondamente artigianale, combinata fluidamente con leccellenza tecnologica degli effetti speciali e della computer

La magia tolkieniana si costruisce su questa complessit mitologica che apre continuamente finestre potenziali su tutto ci che non viene direttamente raccontato o messo in scena, ma che resta sullo sfondo in attesa di essere illuminato

grafica allavanguardia per il periodo. Dovete convincervi che tutto quello che stiamo rappresentando sia realmente successo, che la Battaglia per la Terra di Mezzo sia veramente avvenuta, e che migliaia di anni prima i Numenoreani abbiano abitato e costruito qui, ai tempi dellAlleanza fra Elfi e uomini: con queste parole Peter Jackson ha dato il via alla lavorazione per la costruzione dei set, con il determinato intento di restituire, forse per la prima volta, un fantasy realistico. Ancora una volta, Gollum/Smeagol pu essere preso a metafora di questa straordinaria sintesi tra verit (il corpo, la mimica e la voce del bravissimo Andy Serkis, catturati attraverso le tecniche di motion capture) e tecnologia digitale, per un risultato finale che appassiona e commuove nella restituzione di sentimenti profondamente umani dentro unestetica di fantasia. Proprio come Tolkien, autore di una narrazione universale di speranza, amicizia, lotta alla corruzione del potere capace di offrire ad ogni lettore un rispecchiamento possibile, Peter Jackson coltiva larte di creare immaginari e mitologie, coniugando il grande e il piccolo, la spettacolarit del blockbuster e lanima artigianale, la prospettiva del totale e laccuratezza del dettaglio; e proprio come Il Signore degli Anelli letterario, la trilogia cinematografica partecipa dello stesso afflato epico ma, soprattutto, di unidentica nostalgia malinconica. Nostalgia che anche grafica, palesandosi in una fotografia dei quadri pi vicina nonostante di fantasy si parli a quella dei grandi peplum di epoca classica, rispetto allestetica fumettistica delle recenti produzioni epiche la 300, modulate su unastrazione stilizzata lontana anni luce dalla consistenza materica del digitale di Jackson. Nostalgia che non , forse, quella per un passato mai esistito, ma pi quella di chi anela costantemente a tornare a casa, in un reale fantastico, nei territori familiari di una storia da raccontare ancora, e ancora, su ogni supporto che la comunicazione contemporanea pu offrire.

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Ricordi di un Hobbit
di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco
ella primavera 2011 Giampiero Rubei, ideatore e realizzatore da molti anni dellormai famoso Festival Internazionale del Jazz di Villa Celimontana a Roma, e da poco direttore della Casa del Jazz, ci chiam per chiederci un testo ispirato allopera di Tolkien, dopo che in precedenza aveva fatto rappresentare unopera jazz di un musicista americano. Vecchio appassionato de Il signore degli anelli, gli sarebbe piaciuto riproporlo al pubblico romano nel contesto atipico di amatori di jazz e di narrativa fantastica insieme. Che cosa fare per non cadere nellovvio? Sceneggiare i testi di Tolkien stesso? E quali e con quali criteri? Inventarsi qualcosa totalmente nuovo, ma ambientato nella Terra di Mezzo? Ma non sarebbe stato presuntuoso? E poi competere con Tolkien sarebbe stata una cosa assurda e impossibile. Decidemmo allora di tentare una via mediana, parte nostra, parte tolkieniana. Situazioni e personaggi del professore, ma spostati nel tempo e che rispondessero alla domanda: cosa sarebbe successo dopo?. Dopo la conclusione de Il signore degli anelli, ovviamente. Il risultato fu Ricordi di Sam, poi diventato pi giustamente Ricordi di un Hobbit. Consegnato nel giugno 2011, per una serie di problemi stato messo ottimamente in scena allinizio del 2012. I nostri ringraziamenti vanno al direttore della Casa del Jazz che ci ha fornito questa occasione, alla estrosa regista, agli attori perfettamente immedesimati nei personaggi e agli straordinari musicisti che hanno fatto diventare una realt le nostre fantasie. G. d. T. S. F. La trama. Il racconto ambientato a Hobbiville dove Sam Gamgee sempre sindaco, quindici anni dopo la partenza di Frodo e Gandalf dai Porti Grigi, salpati sulle navi degli Elfi verso il Vero Occidente, verso il sole al tramonto. Dietro di loro, molti ricordi e poche speranze. Un ciclo si chiude, ma sar ancora lunga lattesa prima che se ne apra un altro. I pensieri di Sam ritornano a ci che stato: la figlia adolescente Elanor gli pone domande, e i figli non vanno delusi, anche se tormentoso ripercorrere le vie aspre dellascesa, il buio dellabisso, i labirinti del male. Sam racconta, con lemozione pi che con la ragione, i pericoli che ha corso, i mostri che ha incontrato, le meraviglie che ha visto, le sofferenze che ha patito, affidandosi alle voci dei compagni, rievocati dal fondo dellanima. con un pianto, pi che con un grido, che volge al termine lEt di Mezzo. Il mondo si trasforma: ma i fiori sono sempre gli stessi, sempre la stessa la voce del vento nella foresta, le stelle brillano sempre nel cielo come campanelli dargento. Si chiude la Terza Era, declinano gli di e gli eroi, e sorge luomo, solo con la nuda spada in pugno.

La realizzazione. Nato con la collaborazione della Societ Tolkieniana Italiana, Ricordi di un hobbit tra le note di Keith Jarret ha visto la partecipazione degli attori Antonino Anzaldi, Rita Pasqualoni, Carlotta Piraino, Antonio Radazzo, Gennaro Saveriano, e dei musicisti Alessandro Gwis al pianoforte e Michael Rosen al sax tenore e soprano. La regia stata curata da Ilaria dAlberti, i costumi da Francesco Bufali. Personaggi (in ordine dapparizione): Coro, Gandalf, Sam Gamgee, Elanor (sua figlia), Aragorn, Arwen, Gimli, Frodo. Scena: sul palco al centro c Sam con accanto la figlia. Alla sua sinistra c il coro. Alla sua destra, una serie di pedane o cubi su ognuno dei quali situato uno degli altri cinque personaggi che man mano a loro volta intervengono. Sono al buio, quindi non si distinguono, ma allorch intervengono parlando sono illuminati da un faro (eventualmente ognuno di diverso colore). Sullo sfondo un grande schermo bianco sul quale vengono proiettate le immagini che corrispondono pi o meno a quanto Sam e gli altri dicono o rievocano (disegni dei grandi illustratori tolkieniani o fotogrammi dei tre film di Jackson). Incipit Coro Tre anelli ai re degli elfi furon dati, che dimorano eterni sotto il cielo. Ai signori dei nani, sette anelli entro i saloni incisi nella pietra. Nove anelli alla stirpe degli umani alla morte del corpo condannati. AllOscuro Signore, uno soltanto nella terra di Mrdor, che nellombra alle tenebre eterne consegnata. Un anello soltanto, per domarli un anello soltanto, per trovarli un anello soltanto, per ghermirli e nel perpetuo buio incatenarli nella terra di Mrdor, che nellombra alle tenebre eterne consegnata. Gandalf Porta la strada molto lontano ma sempre inizia dal tuo giardino se vuoi affrontare il tuo lungo cammino fatti coraggio, e dammi la mano. Lunga la strada e si deve partire, non si pu attendere pi un altro giorno, ma non pensare al nostro ritorno dopo ogni alba, c limbrunire.

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Prima domanda Elanor Gamgee Nel tuo lungo viaggio, babbo, hai incontrato anche i mostri? Sam Gamgee Bimba mia, tu vuoi che ti racconti delle paurose cose che ho veduto. Certo, ho incontrato mostri spaventosi creature orrende uscite dallabisso. Gli orchi ho affrontato, dalle gialle zanne terribili a vedersi, ricoperti di piaghe purulente e verminose, gonfi di bile e bave di veleno, ghiotti di carne umana, sempre pronti a scannarsi lun laltro. I nazgul ho visto roteare nei cieli della notte: e laria stessa urlava di paura nel contatto con le ali nere che la laceravano. I Re-demonio ho visto ricercarci nelle foreste, nei burroni, in fondo a cupe valli chiuse nel terrore: orrendo il loro aspetto, ed hanno voce come il gelido fiato dun sepolcro. Il lionfante ho veduto, mostruosa montagna di carname che cammina su gambe come querce: ad ogni passo trema la terra, scossa alla radice. Shelob ho poi affrontato, la regina terribile dei ragni che dimora in gallerie scavate nel profondo della terra ove regna la paura. Con la spada nel pugno lho affrontata, le ho spezzato un artiglio, le ho cavato un occhio, lho costretta a fuggire nel suo botro gonfia di rabbia e di disperazione. Cos ho difeso Frodo, il mio padrone. Intermezzo Aragorn Fredda la mano, c gelo nel cuore, freddo anche il sonno sul letto di marmo, non c risveglio prima che il Sole nel cielo si spenga insieme alla Luna. Un nero vento scaccia le stelle, i re dun tempo anchessi morranno sopra i giacigli doro e di gemme. Alza la mano lOscuro Signore sopra una terra deserta ed immota, sopra le acque dun gelido mare. Cerca la spada che un giorno sinfranse: nel Gran Burrone ha trovato rifugio. Con la sapienza degli antichi saggi andr dispersa lombra di Mrgul. Si leva un Sole nuovo e fulgente:

cerca i suoi raggi, e in essi vedrai splendere il Segno che ti guider. Coro Il giorno del giudizio ormai vicino, s ridestato il flagello dIsldur ed il Mezzuomo ha gi preso il cammino. Seconda domanda Elanor E non hai avuto paura, babbo, di fronte a tutte queste cose spaventose? Sam La paura, ho imparato, unillusione: se hai saldo il cuore, mani ferme e gambe ben piantate sul dorso della terra nulla devi temere in questo mondo. Nasce nellanimo nostro, la paura, non tassale da fuori, ma di dentro se sei debole, incerto, e non hai fisso il tuo destino, oltre lorizzonte. Ma nellanimo mio cera una luce, la luce di una stella sempre viva nel golfo della notte, che risplende quando dogni altra fiamma anche lultimo guizzo s consunto. Quella luce alimenta la speranza, e la speranza scaccia la paura. La luce di Galdriel ci ha guidato, e il nostro cuore non ha mai tremato. Elanor E lOscuro Signore, lhai mai visto? Sam No, non lho visto, ma il suo sguardo sempre come un chiodo rovente era nel cuore. Senza la stella fulgida nel cielo che ci guidava per lincerta via sarei caduto in preda alla follia. Intermezzo Coro A Elbereth Gilthoniel silivren penna miriel o menel aglarel enath! Bianca come la neve, mia Signora, Regina delle sponde occidentali! Luce che guidi i nostri passi incerti nel cupo di foreste tenebrose! Gilthoniel! O Elbereth! Chiaro il tuo sguardo, fresco il tuo respiro, bianca come la neve, mia Signora, dalla terra remota doltremare a te leviamo il canto, o beneamata!

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Nellera della tenebra, col Sole morto nel cielo come tizzo spento, la notte ricamasti con le stelle. Il vento soffia sopra la brughiera, brillano in alto i tuoi fiori dargento. Arwen Non tuttoro quel che riluce, non tutti i viandanti smarriscon la strada. Un vecchio, se forte, ha schiena diritta, il gelo non tocca i rami robusti. Sotto la cenere son vive le braci, dal buio sprizza una nuova favilla. La lama ch infranta sar riforgiata, di nuovo una testa sar coronata. Terza domanda Elanor Gli elfi, gli elfi li hai conosciuti? vero che son cos belli? Sam Son belli come il giorno, s, ma in loro c la tristezza dolce della sera. S consumato ormai il loro cammino e vedon gi la notte che non ha mattino. Il loro sguardo brilla duna luce che non ricorda lalba, ma il tramonto. Molto hanno fatto, molto hanno veduto ed il destino loro s compiuto. Son lievi i loro passi come il vento, nelle voci hanno uneco dargento nei loro gesti c tutto il rimpianto per quanto hanno vissuto ed hanno amato, per un modo perduto, e mai pi ritrovato. Coro Gil-galad degli Elfi era il signore. Si leva triste il canto degli aedi a ricordare i tempi del suo regno che sulla terra e il mare si stendeva, dalle cime dei monti alla radura, donando a tutti sicurezza e pace, concordia, fratellanza e gioia pura. Lunga la spada, aguzza era la lancia, lelmo splendeva di fulgida luce, ed ogni stella che c in firmamento si rispecchiava sullo scudo dargento. Poi mont un giorno sullalto cavallo per galoppare lontano lontano. Nessuno sa ora dove si trovi e la sua stella ormai tramontata nella terra di Mrdor, che nellombra alle tenebre eterne consegnata.

Intermezzo Arwen O voi che nel buio vagate dispersi non disperate! Il bosco pi tetro a un certo punto sallarga e finisce cedendo il passo al sole che sorge. Sole del vespro, sole dellalba, giorno che muore, giorno che nasce. A Oriente e Occidente ogni bosco svanisce Quarta domanda Elanor Com fatto, babbo, il mondo oltre la Contea? Sam In lungo e in largo io lho attraversato, ho scalato montagne e fiumi navigato, ho percorso foreste e praterie ma per me oggi tutto come un sogno. Quel che di grande ho visto ormai svanito. Seduto qui, davanti al fuoco, penso alle piccole cose che ho veduto, ai fiori in mezzo ai campi e alle farfalle di estati ormai remote, in altri luoghi. Penso alle gialle foglie di un autunno che mai pi rivedr, le ragnatele su grandi rami che mai pi scoster. Ad albe penso immerse nella nebbia, a notti illuminate dalle stelle, ai miei capelli che scompiglia un vento che mai pi sentir sulla mia pelle. Seduto qui, davanti al fuoco, penso al nuovo mondo che dovr venire quando cadr linverno a cui per me non seguir una nuova primavera. O quante, quante ancora son le cose che non ho mai conosciuto e non sapr! In ogni campo, ogni siepe, ogni bosco c un lampo verde che io non conosco. Seduto qui, davanti al fuoco, penso alle tante persone che ho incontrato ed a persone che vedranno un mondo che a me sar per sempre sconosciuto. Ma mentre sono qui seduto e penso, sento i passi di voi che ritornate e gioia alla mia casa riportate. Intermezzo Gimli Si stende sulla terra unombra immensa che ad Occidente muta in nera tenebra. Trema la Torre dalle fondamenta.

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Il destino sapprossima ai sepolcri che racchiudono il sonno dei sovrani. Sorgono i morti dagli avelli loro, reclamano il riscatto ai traditori. Lo squillare dun corno alto riecheggia dalla Roccia dErec nelle vallate. Ma chi lo suona? Chi nellabisso sceso a radunare la perduta gente? Lerede di colui che tronc il dito ornato con il primo degli Anelli, lerede di colui che aveva in pugno la spada che sinfranse ed ora nuova, sceso gi dai vertici del mondo a varcare la soglia che separa i reami dei morti e dei viventi. Quinta domanda Elanor Ora che il Re tornato, babbo, non cambier pi nulla? Sam Tutto cambiato e tutto cambier. Corre via il tempo come un lungo fiume e non mai lo stesso sotto i ponti. Nelle remote terre occidentali dove del Sole sirradia lo splendore si schiudono i boccioli in primavera zampillano le fonti, e degli uccelli si sente tra le fronde il cinguettare. Nel cielo senza nubi della notte portano le betulle fra le chiome i fiori bianchi come quelle stelle che gli Elfi ricamano nel cielo. Io son giunto alla fine del mio viaggio ma qui, seduto avanti al focolare, al di l delle torri alte e possenti, al di l delle valli e le montagne, al di l delle ombre, vedo il Sole, vedo le stelle ornare il firmamento. Non dir che il giorno gi passato non dir addio a quegli astri dargento. Frodo Dietro ogni angolo, ancora si trova unaltra soglia, un nuovo sentiero; spesso li ho visti, tirando dritto: ma presto o tardi verr quel giorno, se cos vuole la mia fortuna chio passi il varco senza ritorno a est del Sole, a ovest della Luna. Ricordiamoci, noi che ancor viviamo in queste lande dal buio opprimente, le stelle chiare del cielo dOccidente. Coro Cantate, genti della Torre di Anor, perch il regno di Sauron finito, e la Torre del Buio diroccata.

Gioite, genti della Torre di Guardia, ch non avete vigilato invano: caduto in pezzi il Nero Cancello, ed il Re tanto atteso lha varcato, coronato di gloria e di vittoria. Cantate e gioite, figli dOccidente: il vostro Re torner a voi di nuovo, ancora regner sovra il suo popolo per tutti i giorni della vita sua. Rifiorisce lAlbero antico, verr ripiantato sopra ogni vetta. La nostra Patria sia benedetta. Finis Gandalf Macina il tempo con il suo mulino leterna processione delle ore, si succedon le albe ed i tramonti, ruota lasse del mondo sotto i poli, nuove stelle saffacciano nel cielo. Verso il Vero Occidente son partiti gli Elfi seguendo un sogno ed un ricordo. Mai pi li vedremo in questi lidi. Una nuova Contea hanno trovato nelle leggende gli Hobbit: solo ai fanciulli dato di vederli, ascoltando le fiabe. LUomo rimasto solo, ma al suo fianco ci son le due compagne che da sempre ha portato con s: la sua spada, e la Morte. Solo combatte lUomo il suo destino, senza certezze sopra cui contare se non le due compagne che da sempre ha portato con s. Mute compagne che gli son fedeli e resistono al volgere dei tempi, allentano la presa dei fantasmi senza sostanza delle mode vane e deglincerti credi che senza frutto infestano i bastioni sempiterni del cielo e della terra. Delleffimero troncano i legami e libero lo fanno daffrontare leternit da solo. Macina il tempo con il suo mulino leterna processione delle ore: nuove albe verranno, nuovi soli a illuminare mondi sconosciuti. E lUomo sar l: perennemente riforgiato da una nascita nuova, che della Morte dono, e stretta in pugno la sua spada dacciaio. Tutti i diritti riservati. Copyright 2012 Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco.

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Tolkien e la tradizione europea


A colloquio con Franco Cardini
di Giuseppe Losapio
D. Uno dei paradossi che contraddistingue il successo de Il signore degli anelli quello di esprimere un messaggio contro la globalizzazione e di raggiungere attraverso i media global il suo massimo successo, come con il film di Peter Jackson. Quali sono, professor Cardini, i principali elementi della critica al mondialismo presenti nel romanzo? R. Ci sono certamente degli elementi di critica alla globalizzazione. Attualizzando le intenzioni di Tolkien, evidente che lo scrittore inglese in realt ha un progetto civile: con questo suo libro vuole difendere lesistenza di una verit, di una verit assoluta e di una possibilit di scelta delluomo dalla parte del bene e dalla parte del male. Questo non vuol dire che nella storia il bene e il male si identifichino sempre per forze reali. Del resto il colore prevalente ne Il signore degli anelli non n il bianco n il nero, ma il grigio, e questo vorr dire pure qualcosa. Nel bene c sempre un elemento di male, il caso di Saruman. Nel male c sempre una pulsione o un elemento di bene o unorigine positiva del male stesso, come la storia personale di Sauron dimostra. Quindi il bene e il male sono nella storia assolutamente mischiati. Ma quello che importante, nel mondo di Tolkien, la difesa delle diversit e della compresenza delle diversit. La difesa di un mondo in cui vi sono molte razze umane, razze non-umane, razze spirituali, razze semiumane. Non siamo davanti ad un discorso biologico, ma ad un discorso che si ricollega alla sostanza di tutta la tradizione del Mito, che ha radici in quella celtica per un verso, nella grande epica indoeuropea per un altro. evidente che Il signore degli anelli va letto tenendo sempre presente che un gioco, che un racconto scritto da un filologo con una grande fantasia. Non bisogna intendere lopera come se fosse una sacra scrittura. Daltra parte Tolkien ha usato in questo libro una tessitura tipica di un vero e proprio evento epico, che si sostanzia su una certa visione del mondo, ha sentito il bisogno di scrivere la bibbia che sta alla base dellepos de Il signore degli anelli, la storia del Silmarillion. Con la creazione di un mondo parallelo, che ha continua allusione con il mondo presente, con la cultura, con la nostra civilt, evidente che le critiche alla modernit sono quelle di un conservatore del XX secolo: egli vede avanzare il regno del potere delleconomico e del tecnologico, il regno della cancellazione dello spirituale, oppure della subordinazione dello spirituale alleconomia e alla tecnologia. Ha paura di questa avanzata perch la ritiene distruttiva nei confronti dei valori della Civilt. D. Unaltra peculiarit che caratterizza lopera e la vita di Tolkien, lelemento religioso, schiettamente cattolico: Il signore degli anelli risulta essere la pi importante opera del Novecento della narrativa inglese, per larga parte di tradizione protestante. Come stata accolta lopera del filologo di Oxford dalla critica inglese? R. Con una certa sufficienza. Tolkien un autore cattolico che scrive in un universo anglicano e puritano, soprattutto anglicano perch nellUniversit di Oxford la maggioranza degli studiosi soprattutto anglicana. Scrive da cattolico, da convertito al cattolicesimo, in un mondo profondamente laicizzato. Allo stesso tempo appartiene al circolo degli Inklings, frequenta gli Oxford Christians, gruppo abbastanza noto nel mondo culturale inglese della met del XX secolo, con caratteristiche molto eterogenee. Infatti si chiamano Oxford Christians, ma non tutti sono cattolici e non tutti sono, addirittura, nemmeno cristiani; troviamo spesso dei libertari, e alcuni hanno simpatie per il socialismo; chi fa parte di questi circoli dalla dimensione tipicamente inglese e anglo-americana, definiti allepoca Happy Few, sono persone coinvolte intellettualmente e che preferiscono i circoli a modo loro chiusi, ma non segreti, si sentono degli

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aristocratici che sono in qualche modo toccati dalla grazia. Bisogna ricordare che in quel periodo i cattolici non godevano della piena parit di diritti rispetto ai cittadini protestanti: un inglese cattolico, per esempio non pu ascendere al trono, forti erano le limitazioni per i cattolici nellesercito, nella Magistratura e nelle alte cariche dello Stato. Un cattolico non poteva avere grandi speranze, e pur essendo state queste cose rimosse quasi del tutto dalla memoria della societ inglese attuale, segni di discriminazione in parte perdurano ancora, in particolare nel caso pietosissimo dellUlster, dove la discriminazione ancora molto forte, anche se noi europei facciamo finta di non saperne pi niente. D. Il signore degli anelli ha visto una lunga e travagliata gestazione: come idea nasce durante la Prima Guerra Mondiale per svilupparsi nel periodo seguente e trovare compimento nel secondo dopoguerra, durante la ricostruzione dellEuropa. Alla luce di questo excursus storico, giusto considerare il romanzo di Tolkien parte della cultura di destra del Novecento, o meglio considerarlo unopera scritta con sensibilit conservatrice? R. I concetti di destra e di sinistra vanno storicizzati. Nascono nella Francia del Settecento. Durante la Rivoluzione francese di destra il difensore del trono e della tradizione, mentre di sinistra il difensore della nazione, cio del gruppo etnico che si contrappone alle realt dei diritti dinastici e cerca di strappare il potere a quelle realt. Successivamente avviene uno slittamento per cui i valori nazionali passano gradualmente a destra, vengono accettati dalle borghesie conservatrici, mentre la sinistra si qualifica soprattutto sul piano dellapertura rispetto ai valori sociali. Ora, alla luce di questo mi limiterei a dare ai valori di destra e sinistra un esclusivo significato politico, anche se i termini destra e sinistra nellOttocento e nel Novecento europeo sono stati usati anche in una maniera pi globale e totalizzante. Per esempio, da parte di certi ambienti tradizionalisti si usato un concetto di destra e sinistra piuttosto metafisico, con un riferimento alluso delle parole destra e sinistra nellApocalisse di San Giovanni. Il rispetto della Tradizione, dellAutorit, il rispetto del diritto allesercizio del Potere distinto dalla pratica dellesercizio del potere, sono valori che la cultura e la politica europea considerano valori di destra, pi di una destra metafisica che di una politica. In questo senso si pu certamente parlare del romanzo di Tolkien come di un romanzo di destra, tenendo presente che senza dubbio John Ronald Reul Tolkien un conservatore inglese. Aderisce a valori che sono politicamente ed economicamente di destra: rispetto della propria Patria, rispetto delle libert personali, ecc.. Tolkien un buon conservatore a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta ed i suoi valori condivisi sono evidentemente quelli. Si pu parlare anche di un Tolkien anticomunista, e su questa definizione esprimo qualche dubbio, nonostante il rispetto che ho nei confronti di Marco Tangheroni, il quale sostiene che nellultima parte de Il signore degli anelli sia presente una critica soprattutto ai regimi comunisti. Mi sembra, invece, che ci sia una critica molto forte verso qualsiasi tipo di regime fondato sul prevalere delleconomico e del tecnologico, rispetto al politico e allo spirituale. Tolkien non critica soltanto i comunisti, ma anche la degenerazione economicistica e tecnologica del Potere. D. Tolkien ascrivibile alla cultura della destra contemporanea? E chi si riconosce nella destra pu ritrovare nel filologo inglese un punto di riferimento culturale? R. Direi che stiamo su un piano di valori qualitativamente diversi. Forse un Tolkien riletto dallonorevole Schifani, quindi una lettura da conservatore, potrebbe essere considerato ancora un Tolkien politicamente di destra. Ma letto alla luce dei valori storici, una

forzatura che va a sradicare la sua operazione letteraria, e Tolkien va storicizzato allinterno del tempo in cui opera e di quelli che erano i suoi obiettivi polemici. D. Appassionanti risultano i brani che descrivono lo scontro tra lesercito degli Uomini contro quello di Sauron: per alcuni critici potrebbe rappresentare una allegoria dello scontro tra i popoli liberi contro gli stati totalitari. Quanto ha influenzato la Seconda Guerra Mondiale, e in particolar modo la guerra civile che ha coinvolto i popoli europei, lelaborazione del romanzo? R. Questa influenza c, ma va relativizzata. Tolkien scrive in tempi in cui la Seconda Guerra Mondiale lo impressiona. Ha molta paura dellelemento leviatanico presente allinterno del nazismo. Probabilmente, da buon inglese che ha fatto la Seconda Guerra Mondiale, ha pi paura dellelemento leviatanico del nazismo, che non del comunismo. Con la tipica mentalit di un conservatore inglese, Tolkien ritiene, in fondo, il comunismo lontano, comprende che parte da un impulso di giustizia sociale, che da un lato rispetta, ma dallaltro disprezza. Viceversa nei confronti del nazismo, sent quel tipo di avversione che avevano gli uomini allevati allinterno di valori europei e tradizionali. Prova disagio per un sistema politico che in qualche modo gli sembra non negare quei valori in cui crede, ma li utilizza stravolgendoli. In questo senso Tolkien ha paura del nazismo, perch si sente intrinseco al sistema di valori da cui nato lo stesso nazismo. Mentre il comunismo gli appare piuttosto una cosa molto lontana ed davvero interessante analizzare proprio il rapporto del Potere dellAnello con Sauron. Sauron e lAnello non sono estrinseci rispetto al mondo degli Uomini e degli Hobbit, tanto vero che entrambi sono continuamente attratti dal potere dellAnello, perch ne subiscono laffinit e il fascino. Tolkien ha paura e odia il nazismo, del resto lo ha anche scritto. Mentre viceversa nei confronti del comunismo non nutre certo simpatie, ma usa forse una forma di maggiore indifferenza perch lo sente pi estraneo, magari un pericolo socio-politico ma non un pericolo spirituale. Il nazismo , per un cattolico inglese del XX secolo, tradizionalista e conservatore, un reale pericolo spirituale. Credo che sia una sensazione giusta e corretta e condivisibile dal punto di vista del sentire di un inglese colto e tradizionalista a cavallo degli anni Trenta e Cinquanta. D. Possiamo inserire nel genere letterario dellepica Il signore degli anelli? Secondo Lei, Tolkien propone un mito originale oppure rielabora una tradizione mitologica preesistente? R. Certo un romanzo epico. Per bisogna tener presente una cosa, la fondazione del mito allinterno de Il signore degli anelli elaborata da un autore profondamente convinto che la civilt soprattutto linguaggio e lorigine di questultimo misteriosa: non si sa bene come sia stato creato, per bisogna tramandarlo, trasmetterlo alle future generazioni. Questo non vuol dire che il linguaggio deve essere osservato pedissequamente, tramandare vuol dire anche mutare, tradire, e nello stesso tempo gli si resta fedeli. Tolkien conosce questo paradosso e lo sfrutta nei minimi particolari, proprio nella fondazione del mito. Questo costruito tenendo fede ai suoi archetipi: non c un mithema, ovvero un mito-motore, un elemento costitutivo del mito che Tolkien costruisce, non si inventa niente, non ha un tema originale che crea direttamente. Come ci spiega Lvi Strauss, non c un nucleo di immagini mitiche che si allontana da un linguaggio a noi familiare, che fa parte della nostra tradizione. Tolkien prende a piene mani dal linguaggio mitologico ebraico, cristiano, celtico e germanico che la tradizione da cui nasce il nucleo della cultura europea. Quindi possiamo benissimo definire quella di Tolkien unepica europea.

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A. E. Colombo, I. Comunale, La terza via


di Davide Bigalli
Nel solco della tradizione del Fantasy dopo Tolkien, il romanzo steso a quattro mani da Colombo e Comunale propone il tema del viaggio come esperienza iniziatica, un viaggio che si muove in orizzontale come spostamento da un punto allaltro, come percorso, ma ancor pi si rivela come processo di inabissamento da parte dei protagonisti nel proprio Io profondo, fino al momento del riconoscimento della propria natura, del proprio essere genuino. Lelemento che di primo acchito colpisce il lettore lambientazione del romanzo, collocato certo in quella ucronia medievale che, nella tradizione Fantasy, consente di coniugare spaesamento e riconoscimento di una realt vicina, seppure passata, ancora viva nella memoria dellOccidente (basti pensare alla produzione di Ursula K. Le Guin, per citare un esempio alto nella letteratura di oggi). Ma gli autori reduplicano leffetto di spaesamento di cui si diceva e tolgono il momento rassicurante del ritrovarsi al postutto alle radici del nostro mondo, assumendo, come quadro delle vicende, un Giappone medievale, altrettanto ucronico e leggendario. Qui si sviluppano e si intrecciano le storie della geisha Saori e della sua allieva Aiko, del ronin Shinichi e del vagabondo Takeshi (nel quale si pu vedere una ulteriore incarnazione della figura del Trickster, del dio che si presenta sotto mentite spoglie e inganna i mortali tra il burlone e colui che attraverso il paradosso addita ben pi arcane verit). Ma il sottile gioco delle apparenze si moltiplica con la rivelazione della duplice natura di Saori e di Shinichi, che altro non sono se non spiriti che ricoprono la loro vera natura (drago Shinichi, volpe Saori) sotto sembianze umane, pronti ad abbandonarle allorch viene richiesta tutta la loro potenza. quindi una qute condotta da personaggi fuori dalla norma (il che vale anche per gli esseri umani: di Takeshi gi si detto, ma la stessa Aiko priva della parola, quindi si presenta come una figura liminare, tramite di pi mondi). Una ricerca che percorre un paesaggio infestato dalla presenza del male, lungo una curvatura tematica che dal ciclo arturiano (dalla leggenda del Re Pescatore) conduce al Sauron di Tolkien e alle angoscianti e rarefatte atmosfere della eliotiana Waste Land. Una terra sulla quale incombe la maledizione degli uomini ragno, che, senza lintervento degli eroi del romanzo, voterebbero allentropia il mondo. Va ancora sottolineata la capacit visionaria della scrittura, con una sensibilit al gioco dei colori e al ruotare metamorfico dellaspetto dei personaggi che tengono ben presente alcuni momenti alti della Graphic Novel e del Cartoon giapponesi: bene spesso la pagina sembra coinvolta in un rutilante movimento di forme sinuose e avvolgenti, alle quali si contrappongono pause di erotismo, dense di una perspicace analisi dellanimo femminile. Un romanzo con una forte ambizione, quella di indicare al lettore la scoperta di quella terza via nella quale sola si pu realizzare la vita buona: solo seguendo la via del cuore che il saggio vive felice. Ma chi segue la via della mente vive nel giusto. Puoi scegliere un sentiero, o cercare una terza via. Felice chi la trova, perch sar felice vivendo nel giusto (p. 97). Anna Eleonora Colombo, Igor Comunale, La terza via, A.Car Edizioni, Lainate 2011, pp. 774, 23,50.

H. P. Lovecraft,Il libro dei gatti


di Rita Catania Marrone
Chi apprezza lopera di H. P. Lovecraft conosce bene il legame che un il Demiurgo di Providence al gatto, il flessuoso, cinico ed indomito signore dei tetti. Pi che di semplice amore si dovrebbe per parlare di una incredibile affinit intellettuale, sentendosi Lovecraft, infatti, pi vicino alla razza felina di quanto non lo fosse a quella umana. Ogni gatto in s un microcosmo autosufficiente, archetipo di distaccata bellezza, aristocratica indipendenza, estrema grazia ed equilibrio, elementi tipici delle civilt classiche che secondo lo scrittore americano la societ contemporanea ha totalmente perduto, a favore di un servilismo intellettuale ed emotivo (aspetto che pu invece essere attribuito allanimale che naturalmente si oppone al gatto, ovvero il cane): Bellezza, autosufficienza, serenit e buone maniere: cosaltro pu desiderare una civilt? Queste qualit sono riassunte nel divino piccolo monarca che poltrisce gloriosamente sul suo cuscino di seta sotto il cuore (p. 47). Il saggio sulla diseguaglianza metafisica fra cane e gatto, che si rispecchia non solo nelle differenze tra gli aspetti caratteriali di cinofili e ailurofili ma anche nello scarto tra epoca classica ed epoca moderna, parte del volume recentemente pubblicato dalla societ editrice Il Cerchio, Il libro dei gatti, che raccoglie poesie, lettere, frammenti e racconti in cui il gatto protagonista delluniverso lovecraftiano. Si tratta di una seconda edizione accresciuta, curata da Gianfranco de Turris e dal compianto Claudio de Nardi, con la collaborazione di Pietro Guarriello, direttore di Studi Lovecraftiani, e una presentazione di Marina Alberghini, presidentessa dellAccademia dei Gatti Magici. A chiudere il volume troviamo un saggio di Massimo Berruti, il quale inquadra lailurofilia (dal greco , colui che dimena la coda, e , amore, amicizia) di Lovecraft allinterno della sua opera, riconoscendo al gatto un posto donore. Questi , infatti, misterioso e affine alle cose invisibili che luomo non potr mai conoscere: lanima dellantico Egitto, e il depositario di racconti che risalgono alle citt dimenticate di Meroe ed Ophir (...). La sfinge gli cugina, parla la stessa lingua, ma lui pi antico e ricorda cose che essa ha dimenticato (p. 55), recita lincipit de I gatti di Ulthar. Questa apparentemente innocua bestiola custode dellOltre, dimensione invisibile ed inafferrabile della realt che Lovecraft lascia intravedere nei suoi racconti. Il suo occhio pu scorgere linconoscibile che si nasconde al di l della realt; per questo gli antichi Egizi lo adoravano come una divinit e gli sciamani lo elessero a guardiano del mondo onirico. Funzione analoga svolse Old Man, gatto che lo scrittore incontr a sedici anni, spesso accovacciato ai piedi dellarcata buia di un ponte, e che lo accompagn fino ai trentotto. Egli lo immagin come il guardiano degli insondabili misteri oltre il nero archivolto (p. 97), sfinge custode di uno stargate che conduce oltre labisso siderale. La stirpe dei gatti musa dellopera lovecraftiana, in quanto chiave di accesso allimmaginazione cosmica. E Old Man, una volta oltrepassato definitivamente quel nero archivolto, diventer custode dei sogni dello scrittore di Providence, iniziandolo ai misteri dellUniverso, a cui egli dar voce nei propri racconti. Il libro dei gatti non , dunque, un testo imprescindibile solo per i lettori dellopera di Lovecraft ma, pi in generale, per ogni amante del mondo felino. Howard Phillips Lovecraft, Il libro dei gatti, a cura di G. de Turris e C. De Nardi, con la collaborazione di P. Guarriello, Il Cerchio, Rimini 2011, pp. 164, 16,00.

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E. Pound, Carta da visita


di Gian Piero Mattanza
Di fresca pubblicazione per i tipi di Bietti lopuscolo Carta da visita di Ezra Pound, curato da Luca Gallesi, giunto alla sua terza edizione dopo le precedenti, del 1942 e del 1974, rispettivamente di Edizioni Lettere dOggi e Scheiwiller. Una riedizione importante, che regala ai lettori doggi uno dei testi cardine per comprendere il Pound-pensiero. I trentadue frammenti, scritti direttamente in italiano, hanno come tema strutturale la teoria economica e politica poundiana: vengono elencati i mali (di origine puramente finanziaria) che affliggono la societ moderna e denunciate le cause dellusura, ossia dellimmorale prestito di denaro ad interesse da parte dei privati. La sopraffazione civilizzata degli strumenti economici, che si sostituita a quella barbara delle armi, ha assuefatto i popoli nel corso dei secoli, rendendoli incapaci di reagire a questa imposizione subdola e totalizzante operata dalle potenze liberaldemocratiche occidentali, Stati Uniti dAmerica in particolare. Scopo dellimpegno di Pound nel campo economico labbattimento di un simile meccanismo inumano. Lanalisi delleconomia si rivela necessaria per una profonda comprensione della storia. Un passo che ogni uomo dintelletto deve compiere per giungere a quella giustizia sociale che, partendo dallannus horribilis 1694 (quando fu fondata la Banca dInghilterra, primo istituto privato), venne annichilita dai politici per favorire gli speculatori. Studiando il passato si scoprono risvolti volontariamente trascurati dalla storiografia ufficiale, ancella del potere usuraio. Abramo Lincoln ad esempio afferm pubblicamente, parlando di una manovra contraria alla volont degli speculatori: Abbiamo dato a questo popolo (lamericano) il maggior beneficio che abbia mai avuto: la sua propria carta moneta per pagare i propri debiti. Poco dopo venne ucciso. Come sottolinea Gallesi nellapprofondito saggio introduttivo, Pound inizia la propria analisi con lo sguardo rivolto alle teorie eterodosse di C. H. Douglas, di Gesell e dalle esperienze politiche ed economiche del nonno (deputato repubblicano nellanno 1876): lesperienza del Credito Sociale, la teoria della moneta prescrittibile ed il biglietto pagabile al portatore in merce servono a spiegare, attraverso la prosa secca e paratattica del genio americano, una realt economica alternativa, organica e corporativa, anche secondo i canoni della rivoluzione fascista di cui il poeta fu sostenitore, identificandola con la struttura politica fondante gli Stati Uniti delle origini. Punto di vista purtroppo non compreso dagli statunitensi, con le conseguenze a tutti note: la prigionia a Pisa, prima, e nel manicomio criminale di St. Elizabeths dopo. Fitti i riferimenti alla filosofia moderna occidentale ma non meno pregnanti i richiami al pensiero cinese antico. sulle massime di Confucio che il poeta americano struttura la propria forma mentis: la rettificazione della parola, uno dei cardini del pensiero cinese antico, torna con insistenza in molti frammenti per denunciare lazione mistificatrice degli speculatori. Carta da visita si rivela testo di centrale importanza per comprendere la lucidit teoretica di colui che va considerato, prima di tutto, come sostenuto da Gallesi, un patriota americano. Ezra Pound, Carta da visita, a cura di L. Gallesi, Bietti, Milano 2012, pp. 120, 16,00.

P. H. Kocher, Il Maestro della Terra di Mezzo


di Andrea Scarabelli
La casa editrice Bompiani, la cui costanza nella diffusione dellopera tolkieniana ben nota a tutti gli studiosi delluniverso de Il signore degli anelli, ha recentemente pubblicato il pionieristico studio di Paul Harold Kocher, professore presso numerose universit statunitensi e attento lettore dellopera del filologo inglese. Il volumetto ripercorre ampie sezioni del corpus tolkieniano, attraverso una serie di chiavi di lettura che ne svelano lintima attualit. Tolkien era un ecologista, difendeva il meraviglioso ed era nemico del progresso, amava lartigianato e detestava la guerra assai prima che questi sentimenti divenissero una moda (pp. 53-54); il che lo rende, scrive Kocher, un interlocutore decisamente privilegiato per chi voglia sondare la stoffa del proprio presente. Le sue interpretazioni, che precorrono numerosi dibattiti successivi, sono assai variegate. Ad esempio, la mescolanza di mitografia e scenari contemporanei, secondo la tecnica dello strano ma non troppo strano (p. 25): i paesaggi dellopera del filologo inglese non appartengono ad una realt totalmente aliena dalla nostra ma presentano numerosi caratteri comuni, di modo che il lettore non li veda come un mondo dietro al mondo ma come una dimensione in qualche modo sempre possibile. Non mancano nemmeno numerosi riferimenti al temperamento antimoderno di Tolkien, che vedeva nei sacrifici compiuti dal mondo moderno a danno della bellezza e della natura un gesto disumanizzante, atto ad insediare la cupa Mordor nel pianeta che ci ospita. Cos, nello studio viene messa a fuoco la consueta vendetta di Tolkien contro la nostra Era delle Macchine (p. 53), ma anche le sue invettive contro il materialismo e lo scetticismo moderni (Ibidem). Nella onnicomprensiva operazione di Kocher limitata certo dal fatto di essere stata composta prima delluscita del Silmarillion e della History of Middle-Earth, i cui deficit vengono indicati nella curatela e nellapparato di note relativo trovano spazio le caratterizzazioni delle genti libere, ognuna con le proprie ineliminabili peculiarit, funzionali allarmonia del tutto. Importante laccento posto dal critico su come la cooperazione di tutti gli elementi del cosmos tolkieniano possa farsi Katechon, agente che ritarda di volta in volta un male mai eliminabile del tutto. Affinch il Sauron di turno possa venire ricacciato nel nulla, ad ogni individuo richiesto di sviluppare la propria natura, in unottica comunitaria, in senso ampio. Per poi non parlare dellinterpretazione di Bene e Male non come forze contrapposte in modo manicheo ma compresenti in ogni essere creato solo una visione di questa sorta, argomenta il nostro critico, in grado di conciliare Provvidenza e libero arbitrio. Linterpretazione del male nellopera tolkieniana poi particolarmente acuta: al contrario del bene, che ha una esistenza propria, esso una mera negazione incapace di porre dei valori e destinata cos a capitolare, rivolgendosi contro se stessa tragico destino incarnato ne Il signore degli anelli dalla creatura Gollum. Da qui, lidea di una Provvidenza non totalitaria, che non mutila cio il libero arbitrio delluomo ma richiede la sua collaborazione per potersi espletare totalmente. Queste alcune delle riflessioni kocheriane, le quali, nellottica di una ricostruzione della ricezione della produzione tolkieniana, possono dirsi del massimo ausilio. Paul Harold Kocher, Il Maestro della Terra di Mezzo, introduzione di G. de Turris, traduzione di R. Valla, Bompiani, Milano 2012, pp. 334, 12,00.

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ARRETRATI
www.antaresrivista.it

n. 03/2012

N. 00/2011

H.P. LOVECRAFT
Filosoa, creature, misteri e sogni del demiurgo di Providence

N. 01/2011

IL PENSIERO IN CAMMINO
Il camminare nelle sue valenze spirituali, losoche e metasiche

N. 02/2012

UNALTRA MODERNIT
Appunti per una critica metasica del nostro tempo

CHIETI: Home Movies Via Ortona 3D CREMONA: Libreria del Convegno Corso Campi 72 MILANO: Libreria Arethusa Via Napo Torriani, 1 Libreria Cortina Largo Richini 1 Spazio Ritter Via Maiocchi 28 Bistr del Tempo Ritrovato Via Foppa 4 Fiera del Libro Corso XXII Marzo 23 PERUGIA: LAltra Libreria Via Rocchi 3 Libreria Il Bafometto Via Alessi 36 ROMA: Foro 753 Via Beverino 49 Melbookstore Via Nazionale 254 Libreria Aseq Via dei Sediari 10 LUniversale Via Caracciolo 12 TORINO: Libreria
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LIBRERIE FIDUCIARIE

in questo numero:
Le RadiCi saCRe e simBoLiCHe deLLa LeTTeRaTURa FanTasTiCa I miti degli antichi e l heroic fantasy: sinergie archetipiche iL siGnoRe deGLi aneLLi: Un viaGGio neL CUoRe deLLa TeneBRa Le sfumature iniziatiche del Legendarium tolkieniano LaPoCaLisse BiFRonTe: soLovv, BaLLaRd e ToLKien La ri essione sul Sacro e la ne dei tempi: paradigmi e interpretazioni ToLKien e La TeCniCa Mordor tra noi: la critica della tecnica nell antimodernismo del Lord ToLKien, PoPPeR e iL senso nasCosTo TRa Le nUvoLe Elementi alchemici nell opera tolkieniana ToLKien: saCRo e PoTeRe La trascendenza della sovranit e la missione del Re Ramingo LaTTesa deL Re PRomesso in ToLKien e HeRBeRT Messianismo politico: la spada di Aragorn e il ritorno del re in Dune aLCUne RiFLessioni sUL LinGUaGGio di ToLKien Casi celebri di stroncature nelle giurie del Nobel LoveCRaFT e ToLKien. dUe mondi a ConFRonTo Il Bardo e il Demiurgo, tra Providence e Oxford Lo sPLendoRe deLLesseRe neLLoPeRa di J. R. R. ToLKien Bellezza, estetica e verit nell opera tolkieniana iL FiLoLoGo PaPisTa ed iL PRoTesTanTe di ULsTeR Un amicizia stellare: J. R. R. Tolkien e C. S. Lewis CeRa (anCoRa) Una voLTa: iL siGnoRe deGLi aneLLi di PeTeR JaCKson Tra blockbuster e artigianato, la sintesi cinematogra ca del regista neozelandese a CoLLoQUio Con FRanCo CaRdini Tolkien e la tradizione europea RiCoRdi di Un HoBBiT uando il Mondo Secondario incontra le note del jazz neL PRossimo nUmeRo: Politica ed economia: le profezie inascoltate degli economisti eretici

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