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La Tebaide/Libro quinto

La Tebaide/Libro quinto
LA MORTE DEL BAMBINO OFELTE Spenta la sete, e saccheggiato e scemo il fiume donde, nescon fuor le schiere: pi vivace il destrier trita larena; pi lieti van per la campagna i fanti; ogni guerrier lusato ardir riprende, e le prime minacce e i primi voti: sembra che nuovo fuoco abbian con londe bevuto, e accese a guerreggiar le menti: torna ciascuno alle sue insegne, a duci, allordin primo; e gi schierato il campo si muove e marcia: alzasi immensa polve, e al balenar di cotantarmi e a lampi par ne sfavilli la gran selva ed arda. S dal tepido Egitto, ove le nevi fuggr dellaspro verno, a noi sen viene stormo di gr dal Paretonio Nilo, allor che scioglie primavera il ghiaccio: esse volan gracchiando, ed al rumore laria risuona, e tutte accolte insieme fannombra colle penne a campi e a mari: gi piaccion loro i freddi venti e i nembi, ed han diletto di nuotar pe fiumi sciolti dal gelo, e limportuna estate passar su monti scarichi di neve. Il figlio allor di Talaone, Adrasto, dun orno allombra, e dognintorno cinto da maggior duci, ed appoggiato a lasta di Polinice, a Isifile favella: - O tu, chiunque sei, chhai gloria e vanto daver data salute a tante schiere, (onor di cui si pregierebbe Giove) deh ci racconta, ora che stiam dintorno, tua gran mercede, alle benefichonde, qual la tua patria sia, qual la tua stirpe, da qual astro discenda e da qual padre. Certo, sebben te la fortuna prema,

La Tebaide/Libro quinto il tuo sangue da numi, e lo palesi al nobil volto, e da lafflitto aspetto esce splendor che riverenza induce. Sospira allor la donna, e l viso bagna dalquante lagrimucce; indi risponde: - Tu mi comandi, o Re, chio rinnovelli lacerbe piaghe ed il furor di Lenno, lorrido tradimento, e l viril sesso spento da infame ferro. Ah che di nuovo parmi veder labbominata impresa, e sento al cuor della gelosa Erinni il velen freddo. Oh sfortunate donne da Furie invase! Oh scelerata notte! Io quella, o duci (acciocch a voi s vile non sembri il mio soccorso) io quella sono che, il genitor celando, a morte tolsi. A che tutti riandar s lunghi affanni? Voi chiaman larmi e i bellici apparati: basti saper che Isifile son io, figlia di Toante, e di Licurgo or serva. Stupiro; e parve lor pi grande e degna donore, e a cui debban salute e vita; e di saper suoi casi in lor saccese maggior la brama; onde di nuovo Adrasto: - Anzi noi ti preghiam, mentre che l calle sgombran le prime schiere, e non s tosto saran laltre spedite in tanta selva intralciata di rami e dombre eterne; narra gli altrui misfatti e le tue lodi, e di Regina chi ti fece ancella. Giova il dolore mitigar parlando a miseri, e trovar chi li compianga. Ed essa allor: - Lenno dallonde cinta del procelloso Egeo: sovente in essa Vulcan riposa dagli etnei sudori; lAto sublime tutta intorno intorno lisola adombra, e di sue molte selve stende lopaca immagine nel mare: stanno i Traci a rimpetto a noi fatali,

La Tebaide/Libro quinto e dogni nostro mal prima cagione. Di popoli fioriva e di ricchezze lisoletta felice; e a Samo, e a Delo cotanto per gli Oracoli famosa, e a quantaltre ne abbraccia il vasto Egeo, non cedeva di fama e di valore. Ma piacque a Dei turbar le nostre case, n senza nostra colpa. I tempii e i fuochi non fur fra noi a Venere concessi. Anche ne Dei sdegno si desta; e a noi giungon con tardo pi le giuste pene. Fama che accesa di furor la dea lasci lantica Pafo e i cento altari, e mutata daspetto e dornamenti si sciolse il cinto coniugal da fianchi, e deglIdalii augei pi non le calse. Molte vi fur che nella buia notte la vider penetrar ne chiusi alberghi, di maggior face e maggior dardi armata, in mezzo a le tre figlie dAcheronte. Ma non s tosto le pi interne stanze infest colle serpi, e sparse intorno odi, timori, gelosie e sospetti, sparr da Lenno i lusinghieri amori: Imeneo sen fugg, le nuzali tede rimaser spente; e fur incolti i legittimi letti: alcun piacere non ha seco la notte; e in dolci e casti amplessi pi non dorme alcun marito. Sorgon risse per tutto, ire e rancori, e in ogni letto la Discordia giace. Era solo piacer del viril sesso pugnar co Traci negli opposti lidi, e col ferro domar la fiera gente; e bench in faccia abbian le case e i figli, aman piuttosto le bistonie nevi e gli Aquiloni; e di riposo invece dopo il pugnar, con subite ruine torrenti udir precipitar da monti.

La Tebaide/Libro quinto Io era allor in giovinetta etade vergine ancora e dogni cura scarca. Ma le donne di Lenno afflitte e immerse in un continuo lutto, ora con gli occhi pendon da tracii lidi, ora il dolore cercano insieme mitigar parlando. Tenea sospeso in su l meriggio il carro Febo, come se stesse e i suoi destrieri riprendessero lena; e dognintorno era sereno e senza nubi il cielo: quando ben quattro volte orribil tuono udissi, e quattro volte il mar turbossi senza venti e procelle; ed altrettante gli antri del nostro Dio vomitr fiamme. Ed ecco uscir contro lusato fuori del chiuso albergo dalle Furie invasa la canuta Polisso: appunto come suol Menade Baccante, allor che il Nume leccita e chiama alle sue feste insane, al suon de bossi, onde rimbomba il monte. Costei torve le luci e sanguinose, orribile in sembianza e furibonda, la deserta citt confonde e turba: batte le porte, e un reo concilio aduna. Dietro le vanno glinfelici figli. Ella insta e preme; e gi lasciati i tetti, tutte corriamo alla Palladia rocca: senzordine e confuse empiamo il tempio. Ma la crudele impon silenzio, e l ferro nudo tenendo in man, feroce parla: - Vedove donne, al memorabil fatto, che ispirata da Numi io vi propongo, gli animi ergete, ed obblate il sesso. Se in odio a voi nelle deserte case viver solinghe, e delletade il fiore veder marcir negletto, e menar gli anni sempre infecondi in su le fredde piume: il modo io so (n mancheranne il Cielo) di trovar nuove nozze e nuovi amori,

La Tebaide/Libro quinto pur cheguale allaffanno in voi si desti valor, ed or da lopra io l riconosca. E chi di voi (e gi la terza neve veduta abbiam) ne maritali letti gust piaceri occulti? E chi nel seno si scald del marito in casti amplessi? Chi Lucina invoc? Chi port il ventre gonfio, co voti accelerando i mesi? Giungonsi insieme pur e fere e augelli; e noi sole staremo? O vili! O pigre! Pot di ferro alle donzelle greche le mani armare il padre e i dolci sonni de generi mirar sparsi di sangue. E noi imbelle vulgo inulte stiamo? Che suopo ancor di pi vicini esempi: la gran donna di Tracia a far vendetta vinsegni ultrice delloffeso letto, che di al marito i propri figli in cibo. N innocente tra voi sola e sicura essere io voglio: io mostrer il cammino. Molti scherzano a me nelle paterne case miei figli e miei sudori insieme: quattro nho meco, cura e amor del padre: vo recarmeli in grembo, e questo ferro (n riterranmi i loro amplessi e i pianti) loro immerger nel cuore, e de fratelli mischiarvi insieme il sangue, e l genitore trucidar su cadaveri spiranti. Ma chi di voi soffre compagna allopra?". Pi volea dir, quando da lalto mare lungi fur viste biancheggiar pi vele: larmata era di Lenno; allor lofferta occason Polisso abbraccia, e segue: "Ecco, dio ce li manda: a tanto invito sarem noi sorde? Ei ce li pone in mano, e a le nostrire gli abbandona e guida, e limpresa giustissima seconda. Non fur vani i miei sogni: a me nel sonno Venere armata apparve, e cos disse:

La Tebaide/Libro quinto A che perder letade? Ite, e purgate da perfidi mariti i vostri letti. Io poi vaccender novelle faci, e dar nuove nozze. E questo ferro, partendo, mi lasci cader sul letto. A che pi consultar, se l tempo questo deseguire il gran fatto? Ecco gi spuma percosso il mar da remi, e in ogni nave forse vien qualche barbara consorte". Questa fu lesca chogni petto accese di rabbia e di furor; e orribil grido tutte ad un tempo alzr fino alle stelle. Con eguale rumor scendon da monti le Amazzoni feroci in curva schiera, qualora il padre lor pon larmi in mano ed apre della guerra il chiuso tempio. N gi fra lor, come del vulgo stile, son diversi i pareri: un sol furore in tutte fermo: desolar le case; e la canuta e lancor fresca etade mandar a morte; e i teneri bambini soffocar tra le tumide mammelle; e col ferro passar per tutti gli anni. Vicino al tempio di Minerva siede un sempre verde bosco, e a tergo salza sublime un monte, e nella geminombra rimane oscuro e quasi spento il Sole. Quivi si dier la fede, e fur presenti Proserpina e Bellona; e non chiamate venner le Furie; e non veduta serpe Venere in ogni petto; e l ferro in mano essa ci pone; essa ne istiga e accende. Fu duman sangue il sacrificio, e lempia di Caropo consorte il proprio figlio vittima offerse nel concilio orrendo. Saccinsero allimpresa, e l molle petto degno di maraviglia, anzi damore, squarcir co ferri; e colle destre unite, e sul sangue fumante e vivo ancora

La Tebaide/Libro quinto giurr la sceleraggine gradita. Vol intorno alla madre lombra esangue. Ahi qual mi feci allor! Quale mi scorse orror per lossa! Qual mi tinsi in viso! Cos cervetta intimorita e cinta da sanguinosi lupi, e che sol una speranza ha nella fuga, il corso affretta, e la salute sua fidando al piede, teme ognor desser presa, e a tergo sente suonar a vuoto lavide mascelle. Giunterano le navi, e ne le prime spiagge molte arenrsi; i padri e i sposi saltano da le poppe e da le sponde precipitosi e impazenti a terra. Miseri, cui non spense il tracio ferro in valorosa impresa, o il mar crudele non affond ne vortici spumosi! Traggon lostie votive a sacri tempii: fuman gli altari, e nera fiamma sorge, e in ogni fibra difettoso il Nume. Giove mosso a piet, finch l permise limmutabil Destino, in ciel sospese lumida notte, e con paterna cura tard il corso degli astri, e sovra noi (gi spento il Sol) venner pi lente lombre. Sorsero alfin le stelle; e Paro, e Taso per molti boschi ombrosa, e le frequenti Cicladi ne splendean di chiara luce. Tra le tenebre sola ascosa giace Lenno e da nebbie involta, e sopra lei, per non mirar, sammant l ciel di nubi; n la vider da lalto i naviganti. Gi gli uomini infelici, e per le case sparsi e pe sacri boschi, a laute mense siedon festosi, e tracannando il vino vuotano gli aurei nappi insin al fondo; e raccontando van laspre battaglie del Rodope, di Strimone e dellEmo. Stanno fra lor cinte di serti il crine,

La Tebaide/Libro quinto e de pi vaghi fregi adorne e belle le crudeli consorti. In quellestreme ore Venere avea deglinfelici sposi placati i cuori, e breve fiamma in loro accesa, e momentanea pace. Posto fine a conviti, a poco a poco cessano i salti e i giuochi e de la prima notte il tumulto. E di gi il Sonno asperso dinfernale vapor, e de la Morte fratello, versa sopra il viril sesso grave e mortal sopor da tutto il corno. Ma le spose e le vergini al delitto vegliano attente: ognuna il ferro arruota, ognuna ha in petto la sua propria Erinne. Non altrimenti le leonze ircane da fame spinte a lo spuntar del giorno, per gli scitici campi i vili armenti cingon dintorno, e gli avidi lor parti aspettan desosi il nuovo latte. In dubbio sto, buon Re, qual pria, qual poi di tanti casi, a te parlando, esponga. Alto dormia sopra tappeti assirii Edimo il crin cinto di frondi, e l vino iva esalando: allor liniqua Gorge il sen gli scopre, e cerca ove pi certa faccia la piaga; e l sen gli fere: ei muore, e nel morir si sveglia, e gli occhi gira, e linimica sua damplessi cinge: ella senza pietade il crudo ferro nuovamente glimmerge infra le coste a dentro s, che fuor del petto uscendo a piagar giunge di se stessa il seno. Ei langue e manca, e con tremante sguardo in lei rimira, e singhiozzando dice: - Gorge, o mia Gorge, - e da lindegno collo non sa staccar linnamorate braccia. Taccio le stragi de lignobil vulgo, bench crudeli; e sol del regio sangue scegliendo narro, e di mia stirpe, i lutti.

La Tebaide/Libro quinto Dir di voi (che meco aveste il latte) figli del padre mio, ma daltra donna; di te, biondo Cidon, di te, Cremea, cui le non tronche chiome in su le spalle ondeggiavan lascive; e del feroce Ga mio vicino sposo, e da me al pari e temuto e bramato; che per mano de la fiera Mirmidona cadro. Stava Opopeo cinto di serto il crine tra le mense scherzando e i lieti cori; e la madre crudel da tergo il passa. Geme su Cidimone a lei fratello, ed eguale det, fatta pietosa Licaste disarmata: il volto mira gi vicino al morir, che a lei somiglia, e le fiorite guance e i biondi crini, chessa orn di sua mano; e geme e plora: giunge la fiera madre che l consorte svenato aveva, e la minaccia e spinge al fratricidio, e in man le pone il ferro. Come fiera, cui placido custode tolto abbia luso del natio furore, lenta si mostra a lira, e ancor che punta sia da colpi talor di sferza cruda, non per torna a la fierezza antica: cos Licaste sabbandona e cade sovra l fratello, e nel cader lo fere, e in sen ne accoglie lo stillante sangue, e col lacero crin la piaga preme. Ma quando vidi Alcidame spietata portar in man del venerabil padre il capo tronco e mormorante ancora, mi sarriccir le chiome, e per le vene mi scorse un freddo orrore: il mio Toante allor mi venne in mente; e la mia destra di ferro armata abominando, io corsi turbata e mesta a le paterne case. Desto ei giaceva: e chi pu gli occhi al sonno chiuder tra mille cure? Ancor che lungi

La Tebaide/Libro quinto da la citt lalbergo avesse, a lui era giunto il susurro: - E donde mai (tra s dicea) il gran tumulto nasce? Qual rumor ne la notte? E perch i sonni turbati son da fremiti e lamenti? Tutto per ordin narro: qual dolore le donne instighi; quel chan fisso in mente: ch nulla puote a la lor rabbia opporsi. Vieni meco, infelice: in su le porte gi ci son quelle Furie: e se pi tardi, forse insieme cadremo. - Egli commosso balza dal letto. Per rimote vie la deserta citt passiam scorgendo (cinti dintorno di mirabil nube) accatastati in ogni parte i morti, ne gli atti stessi e in quella stessa guisa che la notte crudel pe sacri boschi gli avea sparsi e distesi: altri del letto alle morbide piume affissa tiene la morta faccia, altri supino in seno immerso ha il brando insino allelsa; i tronchi miransi qui de laste infrante, ed ivi su freddi corpi le squarciate vesti; qua rovesciati i vasi, e l disperse le vivande nuotar ne lempia strage, e a le tazze tornar quasi torrente da le fauci trafitte il vin col sangue. Giaccion confusi i giovani feroci e i venerandi vecchi, che da larmi esser dovean sicuri, e sovra i padri, languidi e moribondi, i semivivi figli, che a lo spuntar de la primalba trovr del viver lor lultima sera. Non con tanto furor su l gelidOssa turban le mense i Lapiti feroci, se i Centauri biformi e della nube figli muovongli a sdegno: appena i volti veggonsimpallidir, dar segno dira, che sossopra le tavole volgendo,

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La Tebaide/Libro quinto corrono a larmi minacciosi e insani. Trepidi fuggivam, quando fra lombre Bacco napparve, e dimprovvisa luce ne rischiar il cammin, gli estremi aiuti mesto portando al figlio suo Toante. Il riconobbi: ei non avea le tempie cinte di frondi, e non il crine adorno di pampinosi fregi: il volto a terra mesto teneva; e bench Nume, in pianto gli occhi stillando, a lui pietoso parla: "Fin tanto, o figlio, che a te diede il Fato di Lenno possedere il nobil regno, e farlo formidabile e temuto a le straniere genti, ogni paterna e giusta cura in tuo favore oprai. Ma le crudeli Parche il primo stame han gi troncato; n le preci e i pianti, che vanamente io sparsi, hanno potuto Giove mutar, n disturbar la strage. Egli questempio onor diede a la figlia. Affrettate la fuga. E tu ben degna duscir dal sangue mio, vergine illustre, col conduci il padre, ove in due braccia diviso il muro si distende al lido: l da quellaltra porta, ov maggiore lo strepito e l tumulto, armata stassi Venere infesta, e le furiose donne instiga e accende. E donde mai cotanto sdegno e furor nellamorosa Dea? Chi guerra le ispir nel molle petto? Tu vanne, e l padre affida al mar profondo". Cos parlando, in aria si disciolse, e l calle tenebroso a noi segnato lasci con striscia di mirabil luce. Seguo il celeste segno; e l genitore a cavo legno affido, e a quanti Numi regnano in mare il raccomando, e a venti e a lEgeo che le Cicladi circonda. Mai non avremmo posto fine a pianti,

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La Tebaide/Libro quinto n a gli amplessi reciprochi, se in cielo non vedevam Lucifero cacciarsi le stelle innanzi, e gi spuntar laurora. Ci dividiamo alfine: io mi divello da lui, dal lido, rivolgendo in mente molti funesti e timidi pensieri; e de lo stesso Dio mi fido appena. Io vado, e col pensiero indietro torno, e non ho pace. Febo sorge intanto; e da ogni colle io vo guardando il mare. Ma gi risplende il vergognoso giorno, e Febo nel varcar gli usati segni torce il lume da Lenno, e tra l suo carro e i nostri monti una densombra stende. Scopriro allor gli empii furor notturni le insane donne, e bench ree del pari, guardrsi in viso, e nebber onta e scorno. Altre celan sotterra il reo misfatto e lempia strage; altre con presti fuochi i cadaveri tronchi ardono in fretta. Da lafflitta citt partono intanto lEumenidi spietate, e di vendetta Venere gi satolla. Allor potero riconoscer le misere il lor fallo, e strapparsene i crini e pianger tardi. Unisola di campi e di moltoro ricca, e famosa per mirabil sito, darmi e deroi possente, e via pi chiara fatta pur or dal getico tronfo; non da laria nociva, non dal mare, non da nemici vinta, orba rimase del viril sesso, e svelta fu dal mondo: non resta alcun che con gli aratri solchi i campi, e colle navi il mar sonante: tutte le case alto silenzio ingombra; scorre a torrenti per le strade il sangue, tutto lordo di strage; e in cos vasta citt sole noi siamo, e sole intorno gemon lombre sdegnose a nostri tetti.

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La Tebaide/Libro quinto Anchio frattanto del mio regio albergo ne pi segreti chiostri alzo una pira di vasta fiamma, e larmi e laureo scettro del padre, e l manto e le reali insegne sopra vi gitto; indi col ferro in pugno tinto di sangue assisto al rogo e a fuochi, e pianger fingo sovra il corpo vano per timor de le femmine omicide; ma prego i Dei che sia laugurio vano, e cessi ogni timor de la sua morte. Tal merto macquist lordito inganno, che lo scettro paterno a me le donne ne diero in premio, e fu supplicio e pena. Come negar da le lor forze cinta? A lor voler marresi; ma co Numi protestai la mia fede, e le mie mani de lo scettro del padre essere indegne. Prendo limbelle impero, e senza forze Lenno deserta. O infame gloria! O regno! Gi fra noi cresce il pentimento, e deste ci tien le menti, e le flagella ed ange. Non son pi occulti i pianti; e l lor delitto detestan tutte, ed han Polisso in ira. Gi si permette alzar altari a lombre, e chieder pace al cenere sepolto. Cos qualor le attonite giovenche vider squarciato da leon Massile il lor duce e marito, e delle selve gloria, e decoro delladulto gregge; meste van senza guida; e l Rege estinto piangon i campi e i fiumi e i muti armenti. Ed ecco intanto con ferrata prora fender lintatto mar tessala nave, vr noi prendendo il rombo. I Minii audaci ne son duci e nocchieri: e dambo i lati lEgeo diviso ne biancheggia e freme. Diresti qui dalle radici svelta nuotar Ortigia, o sopra lacque un monte. Ma poi chin alto fur sospesi i remi,

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La Tebaide/Libro quinto e tacque il mare, da leccelsa poppa voce nusc pi dolce e pi soave de moribondi cigni e della cetra del gran nume di Delo; ed al concento corse Nettuno, e avvicinossi al legno. Era il cantor (come fu poscia noto) dEagro il figlio, limmortale Orfeo, che in mezzo a tanti eroi sedendo in alto, collaureo plettro a lor rendea soavi le magnanime imprese e le fatiche. Essi il lor corso verso il freddo Scita avean drizzato, e a perigliosi vadi delle Ciani sassose: e noi credemmo che fosse un legno trace a noi nemico. Corriamo per le strade e per le case timide a guisa di smarrite agnelle, o di fugaci augelli. Ahi dove allora eran le Furie? Indi ascendiamo al porto, e sovra il muro che circonda i lidi e su leccelse torri; e sassi e travi quivi portiamo, e de consorti estinti trepide prendiam larmi e i lordi ferri dellancor fresca strage: i petti imbelli copriam dusberghi, e i delicati visi chiudiam negli elmi; e non nabbiam vergogna. Mirocci Palla, ed arrossissi in volto; e il Dio guerriero rimirocci e rise. Da le attonite menti allor si scosse il passato furor; e quella nave pi che nave ci parve, e che de Numi la vendetta portasse a noi su londe. Gi fatta era vicina un tirar darco: quando sovra di lei ceruleo nembo di pioggia colmo condens il Tonante; pi non riluce il Sole; e un denso velo il Cielo ammanta, e se noscuran lacque; spezzan le cave nubi i venti in guerra, e sconvolgono il mare, e gli spumosi vortici turban larenoso lido;

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La Tebaide/Libro quinto su le penne de venti insino al cielo il mar sinalza, indi ricade al centro. Non ha pi certo corso il legno afflitto, ma gemendo si scuote, ed ora in alto lo solleva Tritone, or il deprime. De Semidei guerrieri vana ogni opra. Lalbero ondeggia, e pria leccelsa poppa flagella; indi si spezza, e in gi ruina, e piombando nel mare il fende e solca. Cade su banchi resupina, e suda la ciurma, e i remi tornan vuoti al petto. Mentressi in pugna stan col mar, co venti, noi pure da gli scogli e da le torri lanciamo (o folle ardire!) imbelli dardi contro il gran Talamon, contro Peleo, e gli archi nostri osan sfidare Alcide. Al novello periglio i generosi raddoppiano i ripari, e con gli scudi altri copron la nave, ed altri al mare rendono il mare; altri al pugnar saccingono, ma non stan fermi, e vanno i colpi a vuoto. Noi lanciam aste e dardi, e l ferreo nembo col turbine gareggia e colle nubi: volano e sassi e travi, e faci ardenti cadon or su la nave, or dentro londe. Scrosciano i tavolati; ed apre i fianchi il tormentato pino. In cotal guisa di grandine iperborea i verdi campi Giove copre talor: armenti e fere cadon oppressi, e non vha augel che scampi: satterrano le spiche: i fiumi inondano; e dorribil fragor suonano i monti. Ma poi che Giove fulmin da lalto, e squarci il nembo, e rischiaronne il cielo, e chiaro ci mostr de grandi eroi la terribil sembianza, a noi di mano cadder larmi non nostre e l folle ardire, e ripigliammo la vilt del sesso. Verano i figli dEaco e dAnceo,

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La Tebaide/Libro quinto che minacciavan crudelmente i muri; ed Ifitone, che spezzava i scogli con asta noderosa; e sbigottite fra lor vedemmo torreggiare il grande figlio dAnfitrione, e col suo peso far inclinar or luna, or laltra sponda, e ad or ad or star per lanciarsi in mare. Ma veloce Giason (Giasone, ahi lassa! non a me noto ancor) sen va scorrendo per li banchi e pe remi e sovra l dorso de naviganti afflitti, e chiama e spinge or Talaone, or Ida, ora dEneo il magnanimo figlio, ed ora i figli di Tindaro, di spuma aspersi e molli, e con la voce e con i cenni esorta i figli dAquilon, cherano ascesi nelle paterne nubi, e che allantenna gan raccogliendo le squarciate vele. Sferzan costoro or con i remi il mare, ora collaste fanno a muri offesa; ma il mar non cede, e laste e larmi indietro ricadono nellonde o sopra il legno. Lo stesso Tifi impallidito e lasso siede al timone, e lo governa appena. Muta spesso comandi, ed or rivolge la prora a destra, or a sinistra, e i flutti seconda, e schiva i perigliosi scogli. Quando dal bordo dellestrema nave il figliuolo dEson sospese in alto, a Mopso tolto, un ramuscel doliva, e (fremendone gli altri) a noi richiede accordo e pace. Le procelle e i venti cen portaron la voce. Allor cessaro le nostre offese, e quasi a un tempo stesso si calm la tempesta, e l Sole apparve pallido ancora e con incerta luce. Gittano il ponte, e baldanzosi a terra, deposte lire, e placidi in sembiante, que cinquanta guerrier scendono insieme,

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La Tebaide/Libro quinto gloria e splendor de padri; e ci fur noti a le divise lor famose e conte. In cotal guisa scendon gi dalletra (se il ver narra la fama) i Numi eterni, qualor piacer li prende a parche mense dentro i tugurii de gli Etiopi adusti, abitatori del purpureo mare, seder gustando il villereccio pasto: dan luogo i monti e i fiumi, e sotto lorme del divin piede si rallegra il suolo, e si riposa dal suo peso Atlante. Era fra questi il gran Teseo superbo del maratonio onore; e li due figli de lismaro Aquilon, chambe le tempie aveano armate di purpuree penne; e Admeto, a cui degn servire Apollo; e Orfeo, che nulla in s ritien di Trace; e l calidonio Meleagro; e l prode genero di Nereo; li due simli di Tindaro gemelli ivan del pari, de gli occhi inganno: ambi uno stesso manto adorna e copre; ambi hanno unasta in pugno; ambi nude le spalle, e liscio il volto; e portan ambi unegual stella in fronte. Colle tenere piante Hila fanciullo osa lorme seguir del grande Alcide; e bench tardo il generoso muova i lenti passi, egli, correndo appena che laggiunga; e di scudiero in vece dietro larmi gli porta; e sudar gode de la faretra sotto il grave peso. Ecco di nuovo ne feroci petti de le donne di Lenno occulta serpe Venere, e seco il lusinghiero Amore; e le tenta e le infiamma; e Giuno istessa pi vaghi a noi dimostra i nuovi visi, gli abiti nuovi e le famose imprese de gli estrani guerrieri. Apriamo a gara i chiusi alberghi, e gli ospiti novelli

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La Tebaide/Libro quinto allegre riceviamo; ardon le fiamme di nuovo in su gli altari, ed i nefandi passati errori ricopriam doblio: allor lieti conviti, allor felici sonni godiamo, allor tranquille notti. N certo fu senza voler de Numi, che confessando noi le colpe nostre piacemmo a Semidei: ma forse, o duci, qual trovi scusa al fallo mio amoroso saper vi giova. In testimonio io chiamo de gli antenati miei le Furie e lOmbre: non da lascivo amor, non di mio grado corsi a straniere nozze (e ben lo sanno leterne Menti); il lusinghier Giasone, pur troppo avvezzo ad ingannar donzelle, me pur deluse: de suoi finti amori fede pu farne il crudel Fasi e Colco. Ma gi in s stesso rientrando lanno, sciolte le nevi con pi lunghi Soli, rendea tepidi il cielo, e gli astri e l mondo; e Lenno gi di non sperata prole era ripiena, e gi sudian per tutto il gemito e l vagir de nuovi Alunni. Io pur dal nostro non spontaneo letto ebbi due figli ad un medesmo parto; e bench sposa a barbaro marito, a lun del mio Toante il nome imposi. Dal d che li lasciai, qual sia lor sorte dir non saprei; ma se Licaste mia (qual mi promise) ha di lor cura preso, il quarto lustro avran compiuto appena. Ma gi calmati i burrascosi venti invita lAustro i naviganti al mare: la stessa nave par che aborra il porto, e spezzar brami il canape dal lido. Dispongono la fuga i Minii ingrati, e Giasone i compagni affretta e guida. Deh cos l vento in pi remote spiagge sospinto avesse il traditor, cui nulla

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La Tebaide/Libro quinto de figli calse e de la data fede! Dicesi chegli del Monton di Frisso in Grecia abbia portato il vello doro. Ma poi che Tifi da le note stelle conobbe, e dal rossor de lOccidente, sereno il nuovo giorno e la stagione di gi fatta sicura: al nuovo albore intim la partita. Allor fra noi si rinnovaro i pianti, e laspra notte fu di nuovo per noi la notte estrema. Appena spunt il d, che da la poppa diede Giasone il segno e fe dal lido scioglier la nave, ed ei primier la fune tagli dun colpo. Noi da gli alti scogli e dal monte miriam veloce il pino fender con lungo solco il mar spumante, fin che fur stanchi gli occhi, e la distanza ci fe parer che l mar sunisse al cielo. Giunge intanto novella che Toante de la fraterna Chio regna sul trono, che fur vani i miei roghi e che innocente sola fra tante fui. Freme liniqua turba; e l rimorso suo vie pi linaspra, e del mio non peccar ragion mi chiede, e gi fra l vulgo il mormorar ne cresce. Costei sola pietosa, e noi crudeli de la strage godemmo? Ah non lo soffra il nume e l Fato che su noi presiede! Da cotai voci spaventata io veggio gi certa la mia morte, e che non giova a mia salute il regno. Occulta e sola minvolo, e scendo al lido ove gi l padre fugg pocanzi, e in abbandono io lascio la funesta citt; ma non gi allora Bacco a me venne: una crudel masnada di corsari rapimmi, e in questi regni al re Licurgo mi vend per serva. Mentre in tal guisa con gli argivi duci Isifile rinnova i propri affanni

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La Tebaide/Libro quinto ed inganna il dolor con lungo pianto, posto in obblio (cos volendo i Fati) lAlunno, che lasci tra fiori e lerba: ei dopo aver pargoleggiato assai, sul fiorito terren posa le membra e gli occhi gravi in dolce sonno chiude: ha una man sotto l capo, e laltra, stesa sul prato, carpe leggermente lerba. Quandecco che sen viene orribil angue, nato dal suolo, sacro orror del bosco, che dispiegando le ritorte squamme, del corpo enorme parte innanzi spinge, parte addietro ne lascia, ed in se stesso ora rientra e si raccoglie, or nesce: ha di livida fiamma i lumi accesi, e di verde velen spuman le fauci: ha tre schiere di denti, e vibrar sembra tre lingue, e daurea cresta ha l capo adorno. Disser gli agricoltor che al loro Giove sacro era il drago, e ne guardava il luogo e i boscherecci altari e l parco culto. Ei con lubrici giri or ne circonda il tempio, or nel passar la selva scuote, or co suoi nodi i pini atterra e gli olmi. Sovente avvien che nel varcare i fiumi, posa col capo su una sponda, e laltra colla coda ancor preme, e da le squamme londa divisa ne gorgoglia e bolle. Ma poi che per voler del Dio Tebano seccrsi lacque, e lassetate Ninfe si nascoser negli antri, ei pi feroce di qua, di l con tortuosi giri si tragge e volge, e si dibatte e smania per lo calor de larido suo tosco: serpe per stagni e laghi, e cerca i fonti, e gli arsi letti de gli asciutti fiumi; e di s incerto colle fauci aperte or lumidaria attragge, ora solcando lo squallido terren, cerca fra lerbe,

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La Tebaide/Libro quinto se di segreto umor fossero pregne; ma da qualunque parte il capo ei volga, il pestifero fiato ogni erba strugge; e al sibilar muoion dintorno i campi. Tale divide il ciel con dritta riga da lArtico gelato al Mezzogiorno il celeste Dragon da polo a polo: tale, o Febo, fu quel che l tuo Parnaso attorcigliando, fe crollar pi volte, finch da cento e pi piaghe trafitto port una selva de tuoi strali addosso. Qual Dio, picciol fanciul, ti diede in sorte morir oppresso da s grave fato? E perch mai ne gli anni tuoi primieri da s grande avversario estinto giaci? Forse per far alle pelasghe genti sacro il tuo nome? E la tua picciolombra render pi degna di s illustre avello? Passa il serpente, e collestrema coda, senza mirare, il tocca e s luccide. Si risente il meschino, e gli occhi aprendo lultima volta, li riserra in morte: qual uom che sogna e parla in tronchi accenti, ma non pu intera proferir parola, mise un vagito, ed in eterno tacque. Isifile sentillo, e semiviva e tremante se stessa al corso affretta: gi del suo mal presaga il guardo gira per tutto e l cerca, e collusate voci invan lo chiama. Il reo velen consunto lavea cos che non ne appar vestigio. Vede il serpente, che gran tratto ingombra il prato intorno, ancor che in s ristretto e in mille giri avvolto, e sotto il ventre tenga celato il capo: inorridisce la misera, e dun lungo acuto strido tutta fa risuonar lampia foresta. Ei, come nulla fosse, immoto giace. Ludiro i Greci, e larcade garzone

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La Tebaide/Libro quinto al comandar del Re vola, e ritorna, e l caso espone; e muovon tutti insieme. Al balenar de larmi, e de guerrieri al fremito e al rumor la sozza belva si scuote, spiega il dorso e gonfia il collo. Corre il feroce Ippomedonte, e un sasso svelle (meta de campi), e lalza e l vibra contro il dragon crudel con quella forza che macchina mural lavria sospinto; ma torce il collo la volubil fera, e cade il colpo a vuoto: il suol ne trema, e vanno in schegge della selva i rami. Ma Capaneo colla ferrata trave innanzi passa, e se gli ferma a fronte, e, - Tu non fuggirai (grida) i miei colpi, immane belva, o che del sacro bosco tu sia custode, o che agli Dei sii caro. Ed oh fossi tu pur diletto a Numi? Non se sul dorso tuo stesse un gigante a tua difesa. - Vola lasta, ed entra per lanelante bocca, e la trisulca lingua recide, e larruffate squamme penetra s, che tra laltera cresta del rilucente capo il ferro uscendo, simmerge entro il terreno infra le immonde cervella e latro sangue; in s gran mole tardi si sparse della piaga il duolo. Ei lasta annoda co suoi giri e svelle; e corre al tempio, e a pi de sacri altari vendetta chiede, e spira lalma e l tosco. Voi lo piangeste, perch forse trasse, laghi Lernei, dalla vostrIdra il sangue; voi che di fior lincoronaste, o Ninfe; e tu, campo Nemeo, per cui strisciando sen giva; e infrante le sonore canne lo pianser vosco i Fauni e i Dei Silvani. E Giove stesso il fulmine avea chiesto; e gi correano e turbini e procelle; pur per allor fren lo sdegno, e lira

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La Tebaide/Libro quinto ritenne, e riserbollo a maggior dardo. Ma dal fulmine scosso un lampo scese, che le creste lambgli in su lelmetto. Poi che il mostro fuggissi, allor di Lenno fatta sicura linfelice Donna pallida cerca il caro pegno, e giunta a quel cespuglio ove lasciollo, il vede porporeggiar di sanguinose stille: corre trafitta dal dolore, e certa scopre la sua sciagura. Ella sen cade qual da fulmin percossa in su linfame terreno, e della strage al primo aspetto resta senza aver voce e senza pianto; sol bacia i mesti avanzi, e par che voglia lanima intorno errante in s raccorre: pi non si scorge in lui duomo sembianza; il viso l petto deformati, lossa di carni ignude, le compagi e i nervi sudan di nuovo inusitato sangue, e fatto il corpo suo tutta una piaga. Cos poich sovra dunelce ombrosa sal un serpente, e gli augelletti e l nido desert, divor: torna la madre, e in non sentir del suo loquace albergo il solito garrir sospesa resta, e si libra in su lali, e l cibo lascia cader di bocca; e fuor che sangue e piume da che nullaltro scorge, e geme e plora. Ma quando linfelice in grembo accolse le misere reliquie, e le coperse col biondo crin disciolto, alfin concesse libero il varco a gemiti e a lamenti: - O dolce immago de lasciati figli, Archemoro, e del mio perduto regno e di mia povert solo conforto, gioia ed onor del mio servile stato, unica mia delizia e mio contento; qual crudel Nume mi ti ha tolto? Ahi lassa! Io pur qui ti lasciai ridente e lieto

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La Tebaide/Libro quinto brancolante su lerba: or qual ti trovo? Ove il bel volto? Ove la dolce voce e i tronchi accenti? Ov il vezzoso riso, e l balbettare da me sola inteso? O quante volte a te di Lenno e dArgo cantando i casi in placido riposo ti chiusi gli occhi! In guisa tal sovente consolava i miei danni; e gi qual madre ti porgeva le poppe. Or a chi serbo questo mio latte, che ridonda e stilla su le ferite tue misto al mio pianto? Conosco i Numi infesti, e i duri sogni del ver presaghi: non apparve indarno a lattonita mente in mezzo allombre Venere minaccevole e sdegnosa. Ma perch i Numi incolpo? E gi sicura della vicina morte il vero adombro? Qual follia mi sedusse? E qual mi prese oblio di tanto prezoso pegno? Io mentre troppo ambizosa narro lorigin nostra e i femminil furori, io quella fui che allor tesposi a morte. Quest la mia piet? quest lamore? Or sei pur paga, o Lenno: o duci, o Regi, se a voi fu caro il beneficio mio, chor sovra me ricade; e sa miei detti fede prestaste e onore: ah mi guidate al crudel drago, o colle vostre spade qui muccidete, anzi che l mesto aspetto de miei signori io veggia, e la dolente per mia sola cagion orba Euridice, quantunque il suo dolor sia pari al mio. Questempio dono io recher alla madre? Ah pria sapra la terra, e nel suo centro viva mingoi. - Cos dicendo il volto lorda darena e sangue, e a mesti duci co suoi sospir par che rinfacci londe. Ma gi pi nunzi col funesto avviso erano giunti in corte, e in grave lutto

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La Tebaide/Libro quinto laveano immersa, e l buon Licurgo in pianto: ei pure allor scendea dal sacro giogo dAfasanto sublime: ivi su lare aveva offerti sacrifici a Giove, mal graditi dal Nume; e in s volgendo le minacciose viscere, tornava turbato e mesto e dimenando il capo. Ei sol fra cotantarmi inerme e queto stava, non gi perch gli manchi ardire, ma l ritengon gli oracoli e gli altari: le risposte de Numi e le minacce de le profonde grotte ha fisse in mente: "Far Licurgo alla tebana guerra le prime esequie". Ei per fuggire il fato sen sta guardingo, ma l vicino Marte e de le trombe il suono il turba e lange, e songlin odio le infelici schiere. Ma chi fugge l destino? Ecco sen viene la figlia di Toante in mezzo a Greci, mesta portando del bambino estinto i lacerati avanzi: e furibonda le va incontro la madre, e accompagnata da la femminea schiera ed urla e geme. Ma la piet non ozosa e vile nel generoso padre, anzi pi forte vien ne disastri, e in lui lo sdegno ardente ristagna il pianto. Egli l cammin divora a lunghi passi alto gridando: - E dove, dov la scelerata, a cui non cale del nostro sangue e del mio mal sallegra? Vivella ancora? Ite veloci e pronti, o miei seguaci, e la guidate presa. Io far s che le usciran di mente le favole di Lenno, e di sua stirpe lorigin menzognera e i finti Numi. Dice; e gi tratto il ferro, irato corre per darle morte; ma Tideo feroce col grave scudo lo respinge, e grida: - O tu, chiunque sei, ferma o tuccido. -

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La Tebaide/Libro quinto E Capaneo vaccorre, e Ippomedonte non resta addietro, e lArcade garzone tien alto il brando; onde riman conquiso quel Re infelice di tantarmi al lampo. Ma daltre parti in sua difesa viene stuol di villani: il buon Adrasto allora e Anfiarao, che le sacrate bende del Re rispetta e di sua vita teme, vengon gridando: - Ah non si faccia: il ferro riponete, o guerrieri: un sangue siamo, siamo tutti una gente; ah cessin lire; e tu cedi primiero: - Allor Tideo, sdegnoso ancor, cos a Licurgo parla: - E pensi tu che soffrirem che cada, per vendicare dun fanciul la morte, su gli occhi nostri e di cotante schiere, la nostra duce e redentrice nostra vittima indegna su laltrui sepolcro? La figlia di Toante, e di Niseo la gran nipote? Anima vile, forse poco ti par che mentre corre allarmi la Grecia tutta, fra cotante trombe, stai neghittoso in ozio infame e lento? Goditi pur la pace, e le vittrici squadre trovinti ancor al lor ritorno piangente stare a le tue esequie accanto. Disse, e quel Re fatto pi mite e lira pur raffrenando, a lui cos rispose: - Io gi non mi credea che mentre a Tebe ven gite a vendicar le giuste offese, veniste a me nemici. Ors finite la vostra impresa, e me compagno vostro, me qui svenate; e se cotanta sete in voi di sangue, su versate il nostro, e de la nostra gente; e questi tempii di Giove a me nemico abbian le fiamme. Tutto lice al furor: io mi pensai come Rege e signor nella mia serva per s giusta cagione aver impero;

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La Tebaide/Libro quinto ma Dio se l vede, e bench tardi giunga, pur vien la pena a gran misfatti eguale. Cos dicendo, ode rumor, e l guardo alla sua reggia volge, e nuovo scopre tumulto darmi. La veloce Fama era arrivata a cavalieri argivi col periglio dIsifile: altri narra che la menano a morte; altri, ch morta colei che a loro fu cagion di vita. Tosto si crede, e l fren si lascia a lira. Corron con faci e dardi, e la cittade sveller dal fondo, incatenar Licurgo, e trasportare altrove il Nume e l culto minacciano in vendetta: i regii tetti di femminili gemiti rimbombano, e l primiero dolor fatto spavento. Ma il buon Adrasto i suoi destrieri al corso in giro affretta; ed ei sul carro in alto tien Isifile in braccio, e dove bolle pi la tenzon, la mostra a cuor feroci. ed, - Oh cessate (grida), ecco colei che vaddit le salutiferonde; nulla di mal occorso, e l buon Licurgo non merita da voi cotanto scempio. Cos qualora in varie parti tratto fra contrarie procelle il mar commosso quinci da lEuro e da Aquilon, e quindi dal torbidAustro, il chiaro d simbruna, e l fiero verno in grandine si scioglie: se sublime sen vien su regia conca co squammosi destrieri il gran Nettuno, e l gemino Triton precede il carro, e pace intma dognintorno a londe; tosto spianansi i flutti, e di gi i scogli scopron la cima, e gi veggonsi i lidi. Ma qual propizio Nume i lunghi pianti dIsifile pag dimmenso bene, e la colm di non sperata gioia? Tu de la stirpe sua principio e fonte,

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La Tebaide/Libro quinto tu fosti, o Bacco, che da Lenno a Neme guidasti i due gemelli, e di tua mano disponesti il mirabile destino. Givano in traccia de la madre, e giunti eran pur or negli ospitali tetti del buon Licurgo, quando a lui pervenne de lestinta sua prole il duro avviso; e lo seguiano a la vendetta: (o sorte! o de mortali mal presaghe menti!) favorivano il Re; ma quando intorno sentiron risuonar Lenno e Toante, tra linimiche e tra lamiche schiere, e tra le faci e i dardi apronsi il varco; e giunti ov la madre, a lei damplessi cingon il collo e i fianchi, ed a vicenda piangendo di piacer, le porgon baci. Essa di sasso in guisa immobil resta, n sa fidarsi de gli avversi Numi. Ma poi che riconobbe entro i lor volti limmagine del padre, e ne lor brandi limpresa dArgo incisa, e su lor manti le cifre di Giason da lei conteste, cessaro i lutti; e l subito contento loppresse s che semiviva cadde, e di pianto miglior rig le gote. Applaud l Cielo; e fra le nubi udrsi i timpani del Nume, i bossi, i cimbali percossi risuonar di lieto strepito. Allor dOcleo il venerabil figlio, poich dintorno a s tacite e attente vide le schiere, e gi placati i sdegni: - Udite (dice), o re di Nemea, e voi gran duci Argivi, ci che Apollo impone e a me l rivela. Questo a larmi nostre dolor gi da gran tempo era dovuto, e cel guidr per ordine le Parche: i fiumi asciutti, laspra sete, e l fiero serpente, ed il fanciul pocanzi ucciso detto Archmoro (ohim), da nostri fati,

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La Tebaide/Libro quinto tutto su noi da le superne menti de Numi scese. Deponete lire e laste e i dardi; e di perpetui onori coroniamo il fanciul, che n ben degno; e la nostra virtude a la santOmbra porga doni leggiadri ed immortali. Ed oh cos Febo sovente intessa nuove tardanze; e nuovi casi ognora differiscan le pugne; e da noi sempre pi sallontani la funesta Tebe. E voi felici, genitori, a cui fu dato superar dogni altro padre la gloria e l fato; e l di cui nome eterno fia sin che duri la Lernea palude, e che lInaco corra, e la Nemea selva con tremolombra i campi fera; non turbate co lutti i sacrifici; n piangete gli Dei, ch questi un Dio, n cambiera con la nestorea etade, o di Titon con gli anni il suo destino. Disse; e stese la notte il fosco velo.

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La Tebaide/Libro quinto Source: http://it.wikisource.org/w/index.php?oldid=823309 Contributors: Aubrey, Snark

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