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Saggi di riferimento:
Stefano Brugnolo, White Noise ovvero la realtà come ritorno del represso
Leonard Wilcox, Baudrillard, DeLillo’s White Noise, and the end of heroic
narrative
Ora, l’immagine non può più immaginare il reale, poiché coincide con esso. Non può
più sognarlo, poiché ne costituisce la realtà virtuale. È come se le cose avessero
inghiottito il loro specchio [...].
Non si sa più che fare del mondo reale. Non si comprende più la necessità di questo
residuo, divenuto ingombrante. Problema filosofico cruciale: quello del reale in
cassa integrazione.
- Chi lo sa che cosa ho voglia di fare? Chi lo sa che cosa ha voglia di fare in genere la gente?
Come si fa a esserne sicuri? Non è tutta una questione di chimica cerebrale, di segnali che
vanno avanti e indietro, di energia elettrica nella corteccia? Come si fa a sapere se una
cosa è esattamente ciò che si vuole fare, oppure soltanto una qualche specie di impulso
nervoso nel cervello? [...] È tutta questione di attività cerebrale, per cui non si sa che cosa
dipenda dalla propria persona e che cosa da un neurone che ha appena fatto fuoco o
magari cilecca.
Talmente forte che, nel momento in cui cade e rivela il soggetto nella
propria nudità, lo porta a riempirsi d’altro pur di non guardarsi dentro.
Comperavo con abbandono incurante. Comperavo per bisogni immediati ed
eventualità remote. Comperavo per il piacere di farlo, guardando e toccando,
esaminando merce che non avevo voglia di acquistare ma che finivo per comperare.
[...] Cominciai a crescere in valore e autoconsiderazione. Mi espansi, scoprii aspetti
nuovi di me stesso, individuai una persona della cui esistenza mi ero dimenticato. Mi
trovai circondato dalla luce
J. Baudrillard, L’America
Tuttavia, al di sotto del mormorio superficiale e della banalità quotidiana
vi è un rumore di fondo costante e pervasivo, più forte di ogni distrazione:
l’angoscia della morte.
Il Dylar non funziona il reale resiste.
Punto di svolta: “evento tossico aereo“
- Accidenti, che bracciale! Cosa significa SIMUVAC? Una cosa importante, si direbbe.
- Un’abbreviazione di simulated evacuation. [...]
- Ma questa evacuazione non è simulata. È reale.
- Lo sappiamo. Ma abbiamo pensato che poteva servirci come modello.
- Una forma di addestramento? Vuol dire che avete visto l’opportunità di servirvi dell’evento reale per
provare la simulazione? [...]
- E come va? - chiesi.
- [...] Non abbiamo le nostre belle vittime lì dove vorremmo se questa fosse una vera simulazione. In
altre parole siamo costretti a prendere le vittime dove le troviamo. Non ci troviamo di fronte a una
cosa preparata al computer. Di punto in bianco ci salta fuori dal vero, tridimensionale, dappertutto. Si
deve tenere conto del fatto che tutto quello che vediamo stasera è reale. Dobbiamo ancora dargli
una gran ripassata. Ma l’esercizio serve proprio a quello.
Il cronista sulle prime parve assumere semplicemente un tono di scusa. Ma a mano a mano che
procedeva nel commentare l’assenza di uno sterminio di massa, diventava sempre più disperato,
indicando gli scavatori, scuotendo la testa, quasi pronto a implorare la nostra simpatia e comprensione. Il
senso di aspettativa delusa era totale.
Sulla scena aleggiava una sensazione di tristezza e vuoto. Di abbattimento, di dispiaciuta cupezza.
- Ci sono personaggi più grandi della vita. Hitler è più grande della morte. E tu pensavi che ti
avrebbe protetto. [...]
- Volevi essere aiutato e protetto. La massa dell’orrore non avrebbe dovuto lasciare spazio
per la tua morte. «Sommergimi», hai detto. «Assorbi la mia paura». A un certo livello
avresti desiderato nasconderti in Hitler e nelle sue opere. A un altro avresti invece voluto
servirtene per crescere in importanza e forza.