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LA NUTRIZIONE IN

RIANIMAZIONE
Epidemiologia
Numerosi studi epidemiologici hanno
dimostrato come la presenza di
malnutrizione calorico-proteica nel
paziente ospedalizzato spesso si associa a:

morbilità e mortalità
aumento della durata della degenza
ospedaliera e dei costi sanitari
Definizione di malnutrizione
Secondo la definizione del “Council on
food and nutrion, American Medical
Association” il termine malnutrizione
indica
“stato di alterazione funzionale, strutturale e
di sviluppo dell’organismo, conseguente
alla discrepanza tra fabbisogni nutrizionali
specifici ed introito o utilizzazione dei
nutrienti essenziali”
Uno stato di malnutrizione
Uno stato
risulta essere di malnutrizione
una situazione molto pericolosa
per il paziente e più in particolare
risulta essere una situazione
per il paziente critico molto
in cui si presentapericolosa
con notevole frequenza
ed è uno dei fattori determinanti per la prognosi
per il paziente e più in particolare per il
paziente critico.
La denutrizione nel paziente critico
riconosce molteplici motivi:

• Eventuale precedente denutrizione


• Risposta catabolica allo stress
• Perdita di sostanze azotate
La valutazione dello stato di denutrizione nel
paziente critico dà la possibilità di correggere
questo fattore di rischio al fine di
ridurre le infezioni, la morbilità e la mortalità

deficit nutritivo rianimazione nutrizionale


Tale rianimazione si deve basare su
approfondita conoscenza
 del fabbisogno organismico
 dei meccanismi fisiopatologici tipici delle
situazioni del paziente critico

al fine di ristabilire l’equilibrio mediante


l’impiego di diverse tecniche adattate alle
circostanze
Fabbisogno fisiologico
Varia molto in funzione di
diversi fattori
Peso età Sesso

e diverse situazioni patologiche

febbre postoperatorio
ustioni
Dal punto di vista quantitativo
il fabbisogno calorico basale è mediamente 30-40 kcal/m ²/h
2.700 kcal/die
(soggetto adulto normale, mediamente 70 Kg, a riposo, e a
digiuno)

Dal punto di vista qualitativo


il fabbisogno calorico è essenzilamente coperto
dall’apporto glucidico e lipidico
Le proteine non partecipano al metabolismo se non in caso di
insufficiente apporto calorico
Glucidi
Rappresentano la sorgente calorica principale

Il valore calorico di un grammo di glucosio è 4


kcal.
L’apporto calorico glucidico quotidiano di una
dieta standard di 4 g/kg/die rappresenta circa
il 50-75% della quota calorica globale.
L’apporto minimo deve essere di 100-150 g/die
se si vuole evitare la comparsa di chetosi.
Lipidi

Rappresentano una sorgente calorica


importante

Il loro apporto è di circa 1g/kg/die che


corrisponde al 20-40% della quota calorica
globale.
Protidi
Dal punto di vista quantitativo il fabbisogno
basale di proteine è di circa 0.60-1
g/kg/die.
Tale fabbisogno è aumentato in corso di:
 Accrescimento
 cicatrizzazione di ferite e ustioni
 aumento del catabolismo (infezioni) per
cui può salire sino a 3 g/kg/die.
Dal punto di vista qualitativo è di capitale
importanza fornire i composti azotati opportuni.

Esistono 8 amminoacidi essenziali che


l’organismo non può sintetizzare e che devono
essere necessariamente assunti con
l’alimentazione: leucina, isoleucina, valina,
lisina, triptofano, treonina, metionina,
fenilalanina.
A questi 8 aa essenziali si deve aggiungere
qualche amminoacido semiessenziale che
l’organismo non è sempre in grado di
sintetizzare in quantità sufficiente: l’istidina nel
bambino e nell’insufficienza renale, la cisteina
nel prematuro.
Importante è il rapporto fra AA essenziali e AA
totali

Condizioni di equilibro: fabbisogno di


mantenimento = 20% di AA essenziali in
rapporto agli AA totali
Condizioni particolari (accrescimento, chirurgia,
traumi) aumentare il rapporto fra AA essenziali
e AA totali fino a valori superiori al 45%
Altri fabbisogni
Ai fabbisogni glucidici, protidici e lipidici
bisogna aggiungere il fabbisogno idrico più
oligoelementi e vitamine

Tale fabbisogno è abbastanza conosciuto


per individui sani ma può essere
insufficiente nei pazienti critici e va valutato
accuratamente secondo la tecnica di
alimentazione adottata
Fisiopatologia del digiuno

Sebbene una condizione di digiuno assoluto


e prolungato sia piuttosto rara, una
condizione di digiuno intermedio è
abbastanza frequente specie in pazienti
con malattie gastro-epatiche o che
abbiano subito interventi all’apparato
digerente
L’adattamento dell’organismo al digiuno
costituisce uno degli esempi più tipici di
regolazione metabolica

Apporto alimentare bruscamente ridotto

l’organismo utilizza glucosio extracellulare e


glicogeno epatico, o se tali riserve sono
scarse ricorre a lipidi e proteine
Digiuno di breve durata
(ca. 21 h dall’assunzione di nutrienti)

circa 75 g di proteine tissutali e 160 g di


tessuto adiposo vengono catabolizzati ogni
giorno per assicurare 1800 Kcal

Il segno clinico più evidente della perdita


proteica è la massa muscolare ipotrofica
Digiuno di media durata
( da 24 h a 24 giorni)

riduzione progressiva del metabolismo basale:


riduzione dell’attività muscolare
aumento della durata del sonno
diminuzione della temperatura centrale

Gradualmente la fornitura di energia si compie a


spese dei grassi
contributo dei glucidi
riutilizzazione degli AA
(catabolismo proteico passa da 75 a 20 g/die)
Digiuno prolungato
(oltre il 24esimo giorno)

il SNC utilizza i corpi chetonici a scopo


energetico e dopo 3 settimane di digiuno
basta una piccola quantità di glucosio
Il tessuto adiposo diventa allora la
principale fonte di energia
Risposta metabolica all’aggressione

Quando al digiuno si associa un’aggressione come


un intervento chirurgico, un trauma, un
infezione etc, compaiono modificazioni
particolari descritte per la prima volta da
Cuthbertson che evolvono in tre fasi:
1. Prima fase immediata, in genere breve (24-36
ore).
2. Seconda fase (6-10 giorni)
3. Terza fase o fase di convalescenza.
Prima fase: è contrassegnata dalla secrezione
di catecolammine in risposta alle brusche
aggressioni quali ipossia, restrizioni di
liquidi, disturbi emodinamici etc
Sul piano metabolico essa ha lo scopo di
mettere rapidamente a disposizione un
importante quantità di substrati energetici a
rapido utilizzo
L’aumento delle catecolamine porta una
mobilizzazione del glicogeno epatico e una
diminuzione della secrezione di insulina con
successiva comparsa di iperglicemia
Seconda fase: è caratterizzata da un
considerevole aumento della spesa
energetica quindi è una fase catabolica
E’ caratterizzata da un considerevole
aumento del consumo di ossigeno e delle
perdite urinarie azotate
L’intensità di questa fase è proporzionale
all’aggressione ed è regolata dal sistema
ormonale
Terza fase: è preannunciata da alcune
modificazioni metaboliche che preludono ad
un’evoluzione favorevole con

 miglioramento delle condizioni generali

 ripresa del peso corporeo


All’iperglicemia fa seguito una fase in cui l’apporto
glucidico può essere aumentato senza apporto
esogeno di insulina e addirittura compare una
tendenza all’ipoglicemia
La proteolisi muscolare diminuisce e cala
bruscamente l’escrezione urinaria di azoto. Il
bilancio azotato si positivizza ed anche il tessuto
adiposo torna nella norma
In questa fase un apporto calorico eccessivo in
rapporto a quello azotato è inutile e può anzi
portare inconvenienti (steatosi epatica,
encefalopatia)
La valutazione dello stato
nutrizionale

Tale valutazione è fondamentale in quanto


condiziona il decorso clinico del paziente
soprattutto se è critico. Molti sono i
parametri clinico biologici proposti per la
valutazione di tale stato
L’esame obiettivo risulta indubbiamente utile
e comprende il controllo dell’aspetto
generale, della cute e degli annessi; anche
questi segni sono spesso difficilmente
valutabili e rilevabili nei pazienti ricoverati
in rianimazione
Gli indici antropometrici consentono di ottenere
dati quantitativi utili per documentare nel tempo
variazione dello stato nutrizionale.

Le misurazioni più frequentemente utilizzate sono :


 Peso corporeo
 Statura
 Circonferenza diametri corporei
 Pliche cutanee misurate in diverse zone
Questi indici presentano però più fattori di
imprecisione se impiegati in pazienti critici
per le difficoltà tecniche e operative e le
rapide fluttuazione dell’idratazione.
La ricerca dei parametri immunologici
consente di mettere in evidenza
modificazioni dello stato immunitario tipico
dei pazienti manutriti.
Le variazioni nelle concentrazioni di
sostanze chimiche nei tessuti e liquidi
biologici e/o la comparsa di metaboliti
specifici possono evidenziare un grado di
malnutrizione ancora reversibile
Tutti questi parametri offrono dei dati
indicativi sullo stato nutrizionale ma non
riflettono correttamente le condizioni dei
vari compartimenti corporei quale si può
ottenere con
l’analisi dell’ impedenza bioelettrica
Nella valutazione dello stato nutrizionale, allo scopo di
mantenere i pazienti per quanto possibile in equilibrio
azotato, un posto importante è ricoperto dalla
determinazione di:

 Bilancio azotato
 Creatinuria nelle 24 ore
 Albuminemia
 Transferrinemia
 Analisi della composizione corporea
Bilancio Azotato (B.A.)

Per valutarlo si utilizza il calcolo dell’azoto urinario


totale.
Il B.A. si ottiene per differenza fra l’azoto
introdotto(gr.di proteine somministrate / 6.25) e
l’azoto eliminato (perdite azotate comprensive
della perdita azotata urinaria e della perdita
azotata con le feci, pelle, capelli, unghie)
calcolato secondo Lee:
Urea urinaria x (g/24h) x 0.56
La seguente tabella evidenzia il grado di
denutrizione

MODESTO 5-10 gr. N

MODERATO 10-15 gr.N

SEVERO  15 gr. N
Creatinuria nelle 24 ore

La determinazione deve essere effettuata


sulla raccolta delle urine delle 24 ore ed
eseguita per 3 gg consecutivi, solo in tal
modo aumenta il grado di correlazione tra
l’escrezione urinarie di creatinina e massa
muscolare
Uomini Donne
Altezza Creat. Altezza Creat.
La creatinuria 157.5 1288 147.3 830
viene 162.6 1359 152.4 875
espressa in 167.6 1426 157.5 925
rapporto al 172.7 1513 162.6 977
177.8 1596 167.6 1044
peso e
180.3 1462 170.2 1076
all’altezza del
182.9 1691 172.7 1109
paziente
185.4 1739 175.3 1141
188.0 1785 177.8 1174
190.5 1831 180.3 1206
L’escrezione urinaria nelle 24 ore, a rene integro
e relativamente costante ed è in rapporto alla
massa muscolare.

La creatinuria del soggetto in esame rapportato


al volume ideale x 100 esprime l’indice
creatinina altezza i cui valori normali sono:
 Uomini 8.5/cm /24 h
 Donne 5.8/cm/24h
Albumina (Alb)

L’albumina è segno tardivo della carenza


proteica in quanto il deficit albuminico si
rende manifesto solo quando il pool
corporeo totale si riduce ad 1/3 del suo
volume totale; inoltre l’Alb ha una lunga
emivita(20 gg)
Transferrina (TRF)

La TRF è un segno più precoce e più


specifico di carenza proteica (range di
riferimento 200-400 mg/die)
Un elevato valore prognostico è determinato
dalla diminuzione contemporanea
dell’albumina e della transferrina
Analisi della composizione corporea tramite
impedenza bioelettrica (B.I.A.)
La B.I.A. valuta resistenza e reattanza
dell’organismo al passaggio di un impulso
elettrico.
Poiché il tessuto magro ha una resistenza
elettrica notevolmente inferiore a quella del
grasso e la reattanza è collegata alla presenza
di membrane cellulari, che si comportano come
condensatori, in base ai dati B.I.A. e
teoricamente possibile quantificare le
dimensioni dei diversi settori corporei
L’analisi è :
 Semplice
 Non invasiva
 Eseguibile al letto del paziente
 Ripetibile
 Economica

Queste caratteristiche la rendono particolarmente


adatta per valutazioni routinarie della composizione
corporea
NUTRIZIONE ARTIFICIALE

La nutrizione artificiale è uno strumento


indispensabile per il successo di numerose
importanti patologie.
Risulta quindi necessario stabilire un
programma terapeutico che deve tener
conto di
 una terapia nutrizionale mirata allo
scopo di fornire al paziente non soltanto i
principi nutritivi necessari ma anche i
nutrimenti indispensabili all’organismo in
modo da ottenere una loro effettiva
utilizzazione realizzando quella che puo’
essere definita una vera
terapia metabolica
Scopo della nutrizione
artificiale

Portare il paziente da
una fase catabolica Ad una fase anabolica
Tipi di nutrizione artificiale
 PARENTERALE (consistente in infusione
di soluzioni di nutrienti in vena centrale o
periferica)

 ENTERALE (consistente nella


somministrazione di nutrienti per os o
tramite sonda per via gastrointestinale)
I criteri di scelta dell’uno o dell’altro tipo di
intervento nutrizionale devono tener conto
innanzi tutto della funzionalità del tratto
gastrointestinale: se questa è presente anche solo
parzialmente si deve scegliere la nutrizione
enterale

“Se l’intestino funziona usalo”


 Ogni qualvolta è possibile, la terza possibilità
da preferire è quella di associare la via
parenterale e quella enterale in quanto si ha
così il vantaggio di migliorare la quota calorica
e contemporaneamente mantenere l’apparato
digerente in condizioni parafisiologiche
Nutrizione parenterale
 Il ricorso alla nutrizione parenterale,totale
o parziale è frequente in rianimazione ma
le sue indicazioni e la sua sorveglianza
devono essere rigorose
Indicazioni della npt
 situazioni di utilizzo elettivo
 situazione in cui la npt e’ potenzialmente utile
 situazione in cui la npt e’ poco utile
 situazione in cui non si dovrebbe usare la npt
Situazioni di utilizzo elettivo
 grave malnutrizione in pazienti con apparato
gastrointestinale non funzionante
 malassorbimento intestinale
 pancreatite acuta
 pazienti candidati a radioterapia,chemio o
trapianto di midollo osseo
Situazione in cui la npt e’ potenzialmente utile
 chirurgia maggiore
 fistole enterocutanee
 malattie infiammatorie intestinali
 pazienti sottoposti a terapia medica
antineoplastica aggressiva
 iperemesi gravidica
 pz con ileo meccanico del piccolo intestino per
aderenze infiammatorie
Situazione in cui la npt e’ poco utile
 immediato periodo post-traumatico o post-
operatorio
 pz con malattie intrattabili
 condizioni di stress o trauma minimo in pz
ben nutriti con intestino ben agibile per un
periodo non superiore a 10 gg
Situazione in cui non si dovrebbe
usare la npt
 tratto gastroenterico funzionante
 rifiuto del paziente
 pazienti terminali
 pz la cui prognosi non richiede un
supporto nutrizionale aggressivo
 durata prevista della npt inferiore a 5 gg
Valutazione del fabbisogno nutrizionale

 La NPT consiste nel sopperire alle


esigenze nutrizionali del paziente critico
tramite somministrazione di:
acqua,elettroliti,lipidi,glucidi,protidi,vitamin
e ed oligoelementi in genere,tramite una
grossa vena centrale.
 E’ necessario stabilire in forma
individualizzata la composizione
qualitativa e quantitativa delle miscele
per NPT da usare per un determinato
paziente,al fine di fornire un apporto
nutritivo adeguato dal punto di vista
quali-quantitativo ed evitare complicanze
metaboliche dovute al sovradosaggio.
Dovranno essere definiti:

 volume di liquidi da infondere


 fabbisogno di elettroliti
 fabbisogno calorico
 fabbisogno proteico
Volume di liquido da infondere
 IN MEDIA 30-40 ml/Kg/die (da ridurre a
10-20 ml/Kg/die nel soggetto con
insufficienza cardiaca o renale, e da
aumentare fino a 60 ml/Kg/24 ore nei
soggetti iperpiretici,ustionati o con fistole
gastroenteriche.
 La congruità dell’apporto di liquidi andrà
valutata tramite la monitorizzazione
della diuresi dell’osmolarità plasmatica
ed urinaria e la misurazione della PVC.
Fabbisogno di elettroliti

 In genere si usa somministrare


 35- mmoli/di Na++
 30 mmoli di K+ PER LITRO
 2,5 mmoli di Mg+ DI VOLUME
 2,25 mmoli di Ca++ INFUSO
 40 mmoli di Cl
Risulta essenziale
il monitoraggio
delle varie specie ioniche
per evitare complicanze
da ipo o iper dosaggio
Fabbisogno calorico
 Può essere calcolato con la formula di
Harris e Benedict
REE (Uomini)= 66,473+(13,7516xW)+(5,0033xH)-
(6,755xA)
REE (Donne)= 655,0955+(9,5634xW)+(1,8496xh)-
(4,6756xA)
REE= spesa energetica a riposo,W è il peso corporeo
ideale in Kg
H è l’altezza in cm, A l’età in anni.
 Si considera adeguato un apporto
calorico di 30-40 Kcal/Kg/die da
aumentare fino a 60 Kcal/Kg/die nei
pazienti con trauma,sepsi,ustioni e da
ridurre fino a 20 Kcal/Kg/die nel digiuno
cronico e nella ventilazione meccanica
Aumento stimato del ree nel
paziente critico a riposo

Chirurgia di elezione REEx1,2

Politrauma REEx1,35

Grande Ustionato REEx2,1


Fabbisogno proteico
 E’ un’importante frazione del fabbisogno
calorico ; in genere si somministrano 0,15-
0,30 gr/Kg/die di azoto sottoforma di
amminoacidi cristallini. Nella miscela va
favorita la presenza di amminoacidi
essenziali.
Realizzazione pratica
 Stabiliti i 4 punti precedenti si tratta di
decidere la composizione quali-
quantitativa della miscela necessaria per il
soddisfacimento del fabbisogno
dell’organismo
Preparazione
 Stabilito l’apporto di Azoto si decide
l’apporto calorico non proteico,che verrà
somministrato,per comodità e salvo
controindicazioni all’uso dei lipidi per il:
 GLUCOSIO 60%
 LIPIDI 40%
Tipi di soluzioni glucidiche
 Normalmente vengono impiegate soluzioni di
glucosio al 10%, 30%, 51%.
 L’apporto calorico e’, tuttavia, limitato dalla
capacità di assimilazione del glucosio da parte
dell’organismo, vale a dire dalla quantità che
può essere somministrata senza che compaia
glicosuria e senza che la glicemia superi 2 g/l.
 Questa capacità di assorbimento è di circa
0,40g/kg/h ma può essere aumentata dalla
somministrazione di insulina.
Emulsioni lipidiche
 Queste emulsioni vengono utilizzate per
coprire il 40% dell’apporto calorico.
 Hanno il vantaggio di fornire grandi
quantità di calorie in un volume liquido
piccolo.
 Sono ben tollerate, se vengono eseguite
alcune precauzioni (nessun additivo,
flusso lento e continuo).
Tipi di emulsioni lipidiche
 Attualmente vengono utilizzate solo le
emulsioni a base di olio di soia (Intralipid).
 L’apporto quotidiano è di circa 1-1,5
g/kg/die, ma può essere aumentato fino a
4 g/kg/die.
Soluzioni di aminoacidi
 Disponiamo di due tipi di soluzioni di
aminoacidi:
IDROLISATI PROTEICI
SOLUZIONI SINTETICHE
 Il sangue, il plasma e l’albumina non
possono essere considerati come un
apporto proteico, dato che la loro
degradazione in aminoacidi richiede
almeno venti giorni.
Idrolisati proteici
 Il loro contenuto in aminoacidi essenziali e
non essenziali è variabile ed è simile a
quello delle proteine originarie.
 L’apporto liquido per somministrare l’azoto
necessario è ingente e ciò spiega perché
vengono utilizzati sempre meno.
Soluzioni di aminoacidi sintetici
 Hanno una composizione costante e
possono essere distinti in tre tipi:
1) soluzioni aa essenziali e non
essenziali
2) soluzioni aa essenziali e
alcuni aa semi essenziali
3) soluzioni arricchite con aa
ramificati
Micro e macro nutrienti
 Tali sostanze vanno disciolte in un
adeguato volume di acqua tale da
garantire un congruo apporto di liquidi.Si
aggiungeranno elettroliti e micronutrienti
nelle quantità stabilite.
 Allo scopo di evitare picchi iperglicemici
conviene addizionare la miscela con
insulina pronta(cristallina) nella
proporzione di 1 U.I ogni 8-10 gr di
glucosio,nochè regolare la velocità di
infusione che non dovrà superare i 5-7
mg/di glucosio/Kg/min
Vie di approccio
 Le miscele vengono somministrate
normalmente tramite accessi venosi
centrali da gestire con i massimi criteri di
asepsi per evitare complicanze infettive.
 La via venosa viene scelta in base alla
prevedibile durata dell’alimentazione,ma
soprattutto in base all’osmolarità della
soluzione.
Vie di approccio
 VENE PERIFERICHE (Offrono il
vantaggio di un facile approccio e di uno
scarso rischio,ma tollerano male le
soluzioni ipertoniche).
 LE VENE PROFONDE (Permettono di
somministrare soluzioni iperosmolari,sono
ben tollerate dal paziente ma espongono a
più rischi).
Scelta del catetere
 Cateteri di polietilene o poliuretano per
alimentazioni di breve durata

 cateteri di silicone o di teflon per


alimentazioni di lunga durata (> ad 1
mese)
Principi per la collocazione dei
cateteri
 Tutte le tecniche necessitano di una
rigorosa ASEPSI, di un sicuro FISSAGGIO
e di una accurata SORVEGLIANZA. La
posizione dell’estremità del catetere deve
essere controllata tramite controllo
radiografico.
 Ugualmente indispensabile è di assicurarsi
un abbondante riflusso di sangue nel
catetere e di un flusso elevato.
 il catetere deve essere riservato
all’alimentazione parenterale. la
somministrazione di altre soluzioni ,
farmaci ,le trasfusioni e i prelievi
sanguigni o la misurazione della pvc si
devono effettuare su altre vie di
accesso.
Complicanze della npt

Le complicanze della NPT possono


essere numerose e si distinguono in:
• Complicanze legate all’inserimento
del catetere di accesso venoso
centrale
• Complicanze legate al mantenimento
dell’accesso venoso centrale
• Complicanze metaboliche
Complicanze legate all’inserimento del
catetere venoso centrale
Compaiono al momento dell’inserimento del
CVC e sono proprie della via di introduzione.
Si può verificare:
• mal posizione
• ostruzione del catetere da parte di un coagulo
• puntura accidentale di vasi arteriosi
• lesione di strutture nervose o di vasi linfatici di
grosso calibro
• pneumotorace
• embolia gassosa
Complicanze legate all’inserimento del
catetere venoso centrale

Il cateterismo delle vene centrali è sempre


stato il principale ostacolo per la messa
in atto di un’adeguata nutrizione
parenterale che permettesse di fornire
calorie sufficienti per positivizzare il
bilancio azotato con soluzioni
concentrate ad alta osmolarità
Tipi di catetere
 Cateteri corti hanno un’azione
sclerotizzante se usati per infondere
soluzioni iperosmolari nelle vene
periferiche.
 Cateteri lunghi introdotti nelle vene
cefaliche e basilica del braccio terminanti in
cava superiore producono trombo flebiti
anche gravi e non sono quindi adatti ad un
uso prolungato
Cateterismo della vena
succlavia
 E’ la sede di entrata da preferire,
eccellente per l’asepsi, perché si trova al
di sotto della clavicola, in un piano
relativamente fisso, senza scorrimenti che
possono veicolare secreti in modo che il
braccio del paziente sono liberi di
muoversi.
Frequenza delle complicanze
E’ in generale inversamente proporzionale
all’esperienza dell’operatore.
E’ alta in casi urgenti.
L’inserzione di un catetere centrale è un
procedimento chirurgico che deve essere svolto
con tecnica asettica e con particolare attenzione
alla posizione del paziente, all’adeguatezza
dell’attrezzatura, all’anestesia e all’assistenza
infermieristica.
Sedi più frequenti di cateterismo
centrale
1. Cateterismo infraclavicolare della vena
succlavia
2. Cateterismo sovraclavicolare della vena
succlavia
3. Cateterismo della vena giugulare interna
Situazioni anatomiche
particolari
 Pazienti portatori di tracheostomia, in cui la
vicinanza della breccia chirurgica aumenta
sensibilmente il rischio di sepsi.
E’ bene in questi casi allontanarsi il più
possibile dallo stomaco tracheale mediante
tunnellizzazione sottocutanea.
 Pazienti con drenaggi toracici: è
consigliabile usare quel lato in quanto la
toracostomia ha valore preventivo di un
eventuale pneumotorace.
Sostituzione di catetere
 Se ad un paziente deve essere sostituito il
catetere centrale, è bene reinserirlo dalla
parte opposta in modo da evitare
potenziali ematomi nel tratto tra la cute la
vena, evitando l’occasionale trombosi
della stessa.
Complicanze legate al mantenimento
del cvc
Le complicanze infettive rappresentano gli eventi
più temuti.
Possono esser localizzate (tromboflebiti settiche) o
generalizzate (sepsi, shock settico).
I fattori favorenti sono:
1. Permanenza troppo prolungata del catetere
2. Perfusione con soluzioni nutritizie iperosmolari
3. Manipolazioni troppo frequenti dei flaconi e dei
raccordi.
Sepsi del catetere
Si manifesta con: edema ed arrossamento in
corrispondenza del sito di inserzione del catetere,
associato o meno a:
-febbre di tipo settico
-tachicardia,
-leucocitosi,
-iperglicemia
-glicosuria
 Esaminato il paziente per escludere infezioni a
carico delle vie urinarie, respiratorie e bilio-
digestive, si potrà eseguire una emocoltura
che, confermando la diagnosi permetterà, con
l’esecuzione dell’antibiogramma di impostare
una adeguata terapia antibiotica sistemica
 Inoltre si procederà alla rimozione del CVC per
eliminare la porta di ingresso dei germi e per
eseguire l’esame colturale della punta.
Si può avere trombosi della punta
del catetere per la cui disostruzione
si possono usare 2ml di una
soluzione di urokinasi 5000UI/ml da
lasciare in situ per 3 ore, seguita da
lavaggio rapido con 25ml di SF con
eparina a concentrazioni di 100UI/ml
Nel caso in cui l’ostruzione sia dovuta a Sali di
Calcio precipitati si può provare ad iniettare nel
catetere 2 ml di soluzione contenente HCl 0,1
normale lasciati in situ per 2 ore e seguita da
lavaggio con fisiologica
Se l’ostruzione è dovuta a deposito di
lipidi si iniettano 3 ml di una soluzione di
etanolo al 70%, si lasciano agire per un ora
, nonché si esegue lavaggio con
fisiologica.
Cateteri a lunga permanenza
Nei cateteri di più lungo utilizzo ad
uso domiciliare, si può assistere alla
formazione di un film lipido-proteico

In tal caso si utilizzano 10 ml di una


soluzione di HCl 0,1 normale infusi alla
velocità di 1 ml/h, seguiti da 2 ore di
lavaggio del catetere con 2 ml della
stessa soluzione. Si procede quindi al
lavaggio per 3 ore con SF
Una complicanza più grave del
mantenimento dell’accesso venoso
centrale è la trombosi venosa centrale,
favorita da infezioni sistemiche, anomalie
lipoproteiche e trombofilia.
Si manifesta con turgore delle giugulari ed
edema nel territorio della vena cava
superiore.
Il trattamento si basa sull’uso di
trombolitici seguito da eparinizzazione
sistemica
Complicanze metaboliche

Le complicanze metaboliche sono per lo


più dovute a:
 infusione di nutrienti a velocità o in
quantità eccessive
 carenza di micronutrienti quali ferro,
zinco, rame, magnesio, vitamine.
.
Le complicanze metaboliche possono
essere secondarie all’apporto di:

• glucosio
• lipidi
• aminoacidi
Complicanze metaboliche secondarie
all’apporto di glucosio
La più frequente complicanza di questo tipo è
l’iperglicemia che si verifica nei primi giorni di
alimentazione parenterale o subito dopo un’
“aggressione” La principale causa dell’iperglicemia
in corso di NPT è la somministrazione di glucosio a
velocità o in quantità eccessiva. Alcune circostanze
però la favoriscono come il diabete mellito, le
infezioni e l’uso di corticosteroidi
Nei casi più estremi si può giungere a glicosuria con
diuresi osmotica, disidratazione e coma
iperosmolare
Queste complicanze devono esser prevenute
aumentando progressivamente le quantità di
glucosio somministrate con un flusso regolare,
ripartito nelle 24h, sull’utilizzo di insulina e
monitorando regolarmente la glicosuria e la
glicemia
Una sospensione brusca
dell’infusione può causare al
contrario ipoglicemia, che si
manifesta con letargia fino al coma

Anche qui si può ovviare riducendo


progressivamente la velocità di
infusione del glucosio
Complicanze metaboliche
secondarie all’apporto lipidico

Le emulsioni di lipidi attualmente disponibili


sono di solito ben tollerate, ma si possono
osservare reazioni di intolleranza con
febbre, dolori diffusi, sudorazione e brividi.
In caso di somministrazione prolungate può
comparire anemia.
Infusioni troppo rapide o in quantità
eccessive, per lungo tempo, di miscele
lipidiche possono provocare:

alterazioni del profilo lipoproteico


plasmatico
steatosi epatica con epatomegalia
embolia grassosa.
Complicanze metaboliche
secondarie all’apporto di
aminoacidi
In caso di impiego di idrolisati proteici,
soprattutto nel soggetto con
insufficienza epatica si può avere un
iperammoniemia con encefalopatia
epatica e acidosi metabolica
Complicanze elettrolitiche
Frequenti complicanze in corso di NPT sono gli
squilibri elettrolitici.
Si può verificare:
1. Iperpotassiemia ( con possibili aritmie cardiache)
2. Ipocalcemia
3. Ipofosforemia
4. Ipomagnesemia
5. Iposodiemia
6. Carenze vitaminiche
Sorveglianza
Come abbiamo visto numerose possono essere
le complicazioni della nutrizione parenterale,
ma sono evitabili con una regolare e stretta
sorveglianza clinica.
E’ opportuno sottoporre il paziente ad uno
stretto monitoraggio clinico e strumentale; si
valuteranno giornalmente la temperatura
corporea, la diuresi e la PVC.
Si rende opportuno anche la
sorveglianza ematochimica con la
determinazione quotidiana di
parametri ematici (glicemia,
azotemia, creatinina, elettroliti
plasmatici, fosforemia, equilibrio
acido-base) ed urinari (urea,
elettroliti urinari, glicosuria)
ALIMENTAZIONE ENTERALE

L’alimentazione enterale consiste nella


somministrazione di nutrienti per os o tramite
sonda per via gastrointestinale

Fra le tecniche di alimentazione artificiale,


l’alimentazione enterale è da preferire in tutti i
casi in cui è mantenuta la funzionalità del
tratto gastrointestinale
Tale tecnica possiede il più largo
campo di applicazione per:

• facilità di utilizzo

• grande efficacia

• buona tollerabilità
Vantaggi della nutrizione enterale
A) Consente di mantenere l’integrità strutturale e
funzionale dell’intestino, con lo sviluppo
funzionale e del numero dei villi.
Questo fatto è probabilmente dovuto al miglior
equilibrio ormonale che sarebbe responsabile
della tolleranza dell’alimentazione enterale.
La secrezione dei gastrina, infatti, svolge un
ruolo trofico sulla mucosa gastrointestinale.
B) La risposta insulinica è maggiore che

nell’NPT giustificando il miglior utilizzo dei


nutrimenti ed il maggiore incremento
ponderale.

C) Permette di utilizzare la via fisiologica


della digestione
Vie di somministrazione
L’accesso al sistema gastrointestinale
dipende dalle condizioni cliniche del
paziente.
Le principali vie di somministrazione sono:

•alimentazione per via orale


•alimentazione con sonda naso-
gastrica o naso-duodenale
•alimentazione mediante digiuno-
stomia
Alimentazione per via orale
L’indicazione per l’alimentazione per altre vie
trova una giustificazione soltanto nella
controindicazione della via orale: disturbi della
coscienza, della deglutizione, immediato periodo
post-operatorio…
In realtà succede che, anche quando
l’alimentazione orale è tecnicamente possibile, la
frequente anoressia dei pazienti in rianimazione
rende spesso difficile assicurare un apporto
calorico e azotato sufficienti. E’ talvolta quindi
utile supplementare la dieta con preparati
ipercalorici e iperproteici.
E’ indispensabile controllare la
quantità di alimenti realmente
ingeriti dai pazienti. Questo
atteggiamento permette di scoprire
precocemente l’esistenza di un
insufficiente apporto nutritizio che
deve essere corretto con altri
metodi di nutrizione
Alimentazione con sonda naso-
gastrica o naso-duodenale
 La sonda naso-gastrica rappresenta il
metodo più comunemente usato perché la
meno invasiva.L’infusione avviene goccia a
goccia preferibilmente a flusso continuo
attraverso una sonda o catetere
 Le sonde vengono classificate per calibro:
 GRANDI superiori ai 12 Charriere;
 MEDIE tra 8 e 10 Charriere
 PICCOLE tra 3 e 7 Charriere
E in base al materiale di cui sono
composte:

•silicone
• PVC
• cloruro di polivinile
• poliuretano
Le sonde siliconate di diametro più piccolo
sembrano meglio tollerate delle comuni sonde in
polietilene che pur essendo di facile collocazione
espongono il paziente ad un alto rischio di
reflusso gastro-esofageo e ad esofagiti
Le sonde in poliuretano hanno il vantaggio di
non modificare la propria elasticità con la
temperatura
La miglior soluzione è rappresentata oggi
dall’utilizzo di sonde in elastomero di silicone,
sostanza ben tollerata dalla mucosa esofagea e
gastrica
La posizione della sonda deve esser
sempre controllata con una
radiografia, iniettando qualche
millilitro di prodotto di contrasto se la
sonda stessa non è radiopaca.
La verifica della pervietà della sonda
deve esser praticata più volte nella
giornata e la sostituzione deve
avvenire settimanalmente.
Alimentazione con sonda naso-
duodenale
Alcune sonde zavorrate di diametro molto piccolo
permettono un accesso diretto al duodeno e sono
di particolare interesse nel caso debba essere
attuata una nutrizione a lungo termine
Non di meno la loro collocazione si rivela difficile
Durante un intervento chirurgico addominale la
collocazione perioperatoria di una sonda naso-
duodenale si rivela utile
Alimentazione mediante digiuno-stomia
Le vie di accesso tramite stomia sono più
facilmente adottate in seguito ad intervento
chirurgico
Questo tipo di alimentazione ha riguadagnato
interesse dopo un periodo in cui era stata
abbandonata, periodo in cui la digiunostomia non
possedeva che poche indicazioni limitate ad
alcuni problemi chirurgici (gastrectomia totale,
pancreatite acuta…)
Accanto alla tecnica classica “alla Witzel”, la
digiunostomia “di minima”, mediante un
catetere sottile a tragitto intraparietale,
sembra particolarmente interessante
Un caso particolare è costituito dalle fistole
digestive alte, in cui il chimo raccolto viene
reiniettato attraverso l’apertura a valle
assieme o senza miscela nutritizia
Miscele nutritizie
Esistono numerosi tipi di miscele nutritizie
in grado di fornire l’apporto energetico in
glucidi e lipidi, l’apporto plastico in
proteine e coprire contemporaneamente il
fabbisogno idro-elettrolitico in vitamine e
oligoelementi
La composizione delle diete deve essere
adattata alla patologia primaria del
paziente e alle eventuali complicanze
Caratteristiche fisico-chimiche ed
energetiche delle diete
Per attuare un giusto protocollo dietologico, di
ogni dieta è necessario conoscere:
• osmolarità: deve esser il più possibile vicina a
quella fisiologica
I problemi di intolleranza sopraggiungono a valori
di 800 mOsm/l. L’osmolarità richiesta per le varie
miscele nutritive deve oscillare tra 250 e 650
mOsm/l
•viscosità: deve esser contenuta tra 3 ed 8
centopoises, solo in casi di diarrea si possono
raggiungere i valori di 13 cp
• pH: tra 7 e 7.6
• temperatura: ambientale
• concentrazione: per una renutrizione gastrica
si inizia con il 15-20% aumentando
progressivamente con gradualità
• rapportocalorie/ml: 1
La tollerabilità del prodotto a parità di calorie è
tanto maggiore quanto minore è la velocità di
flusso. Co n calorie e velocità idrali per un dato
paziente la tollerabilità è strettamente correlata
alla osmolarità endoluminale
Tipi di dieta
Le diete enterali si distinguono in:

• Naturali: ad elevato valore biologico (uova,


carne omogeneizzata, olio, latte, verdura,
farinacei)

• Sintetiche: che sono a loro volta suddivise, a


seconda del grado di digestione, in:
A) Diete semielementari polimeriche:
richiedeno per la loro utilizzazione sia la funzione
digestiva che di assorbimento.
Comprendono i tre nutrimenti in forma polimerica
così come gli oligoelementi e le vitamine. La loro
proporzione varia da un prodotto all’altro ma la
componente glicidica rappresenta sempre il 50-
60% dell’apporto calorico. Sono prodotti molto
ben tollerati e di facile impiego. Sono molto utili
nello svezzamento dall’alimentazione parenterale
( Nutrisond, Nutrisond Liquido, Ensure, Ensure
Plus, Osmolite)
B) Diete elementari monomeriche:
richiedono solamente l’assorbimento da parte
dell’enerocita. Sono composti che contengono
aminoacidi, glucidi, sottoforma di glucosio o
maltosio e poco o nulla in lipidi. Non sono
monomeriche in senso stretto in quanto i glucidi
sono presenti anche in forma polimerica. La
caratteristica di questi prodotti è la sede di
assorbimento duodenale e digiunale.
Diminuiscono inoltre il transito intestinale e lo
svuotamento gastrico, aumentano poco la
secrezione gastrica e pancreatica e sono privi di
residui (Nutrinaut, Peptinaut, Peptinaut Variant,
Precision Br, Precision R)
C) Integratori modulari:
composti di singoli nutrienti allo stato
elementare che aggiungono maggiore
flessibilità alle diete complete
rendendole adattabili alle esigenze
specifiche del paziente. Possono
essere sia polimeriche sia
parzialmente degradate (Dietoglucid,
Sondamin, Dietolipid, Dietosal,
Meritene, Controlyte)
Sorveglianza
 L’alimentazione enterale non deve essere
considerata come una terapia di secondo ordine
e la sua realizzazione richiede una tecnica
rigorosa
 L’alimentazione enterale deve essere
cominciata progressivamente. Si può
cominciare se l’intestino è sano con una razione
di 3-4000 calorie nel giro di 3-4 giorni. Se
l’intestino non è in condizioni normali, oltre a
ricorrere ad alimenti semplici, l’aumento
dell’apporto deve essere progressivo
Tipi di somministrazione
 Le miscele nutritizie utilizzate per l’N.E.
posono essere somministrate con diverse
modalità:

 Somministrazione discontinua
 Somministrazione a flusso lento continuo
Somministrazione discontinua

 Si tratta di somministrare boli di 200-600 ml di


miscela nutritizia più volte al giorno.
 Spesso tale tecnica è mal tollerata si può
avere vomito, rigurgito e diarrea. Quindi tale
tecnica è sempre meno usata. Possiede
comunque alcuni vantaggi, come lo
svuotamento dello stomaco fra due
somministrazione , è rispetta forse più di ogni
altra tecnica il periodo di digiuno fisiologico.
 Si inizia in genere con un flusso di 50
ml/ora o anche meno per la durata di 24
ore.
 In questo modo non si tiene conto del
periodo di digiuno notturno. Per eliminare
questo inconveniente si può infondere il
volume totale in 18 ore rispettando il ritmo
metabolico della fase post-assorbimento.
Somministrazione a flusso lento
continuo
 Questa tecnica di somministrazione enterale
è in grado di soddisfare molti imperativi
tecnici in quanto:
 1) Realizza una instillazione digestiva
automatica prolungata che limita al minimo
le manipolazioni
 2) Garantisce un flusso stabile costante
regolabile e con la possibilità di essere
adattato all’esigenza terapeutica.
Tipi di pompe
 Le pompe per nutrizione enterale sono quasi
tutte di tipo peristaltico, utilizzano ioè la
spremitura del deflussore da parte di rocchetti
rotanti.
 Esistono vari modelli:
 1) Modelli semplici a velocità fissa
 2) Modelli semplici a velocità variabile
 3) Modelli semplici refliggerati a velocità
variabile
Principali requisiti delle nutri pompe
 Evitare il rischio di contaminazione
durante la somministrazione

 Possibilità di pulizia e sterilizzazione dei


pezzi dopo l’utilizzo

 Garanzia di durata e affidabilità nel tempo


Vantaggi delle nutri-pompe
 Minor tempo richiesto per la sorveglianza
per la presenza di allarmi di funzione
 Maggiore sicurezza della quantità infusa
che può essere in alcune recentissime
pompe anche memorizzata
 Possibilità di modificazione del sistema
durante il funzionamento
Complicanze dell’alimentazione
enterale
 Il numero delle complicanze che
sopravvengono in corso di N.E. sono
numerose anche se meno gravi e meno
frequenti di quelle che si manifestano in corso
di N.P.T.
 Si possono distinguere in:
 Complicanze legate alla sonda
 Complicanze legate alla miscele nutritive
Complicanze legate alla sonda
 L’esofagite da sonda rappresenta una
complicazione relativamente frequente in caso di
prolungata collocazione della stessa e talvolta ha
conseguenze temibili (fistole tracheoesofagee in
caso siano contemporaneamente presenti tubo
tracheale e sonda gastrica). L’impiego di una sonda
di piccolo calibro in silicone, la contemporanea
somministrazione di antiacidi, il più spesso riescono
a prevenire la comparsa di una grave complicanza
 Più raramente possono intervenire altre
complicazioni: dispnea di tipo laringeo con creazione
di false vie, parotite
Complicanze legate alle miscele
nutritizie
 Diarrea
 E’ l’inconveniente più frequente e può
riconoscere diverse eziologie:
 1) Elevata velocità d’infusione che obblica ad
un arresto od a un rallentamento della
somministrazione;
 2) Elevata osmolarità dei prodotti in
particolare di quelli cmpleti monomerici il cui
apporto deve essere prudente
 3) Infettiva, che è sempre una
complicanza iatrogena e può richiedere
l’uso di antibiotici.

 L’asepsi durante la preparazione e la


refligerazione a 4 gradi risolverebbero
questo problema.
 Dumping Syndrome
 È caratterizzata da pesantezza e dolori
addominali, crampi e diarrea.
 È da attribuire a volumi troppo elevati
ed a elevate velocità di infusione.
 Anche l’ipertonicità dei soluti può
esserne responsabile.
 Può prendere origine anche
dall’intolleranza al lattosio.
 Vomito
 Fenomeno abbastanza raro con
l’utilizzo della tecnica a flusso lento e
continuo.
 Quando compare è necessario
controllare e modificare la posizione
della sonda nasogastrica.

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