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Commento al CANTO I

di Vincenzo Casano Rivolgo un cordiale saluto ed un sentito ringraziamento a tutti i colleghi, ai giovani, che stasera vedo tanto numerosi, agli amici che, intervenendo a questo incontro con la poesia promosso dal Liceo-Ginnasio di Castelvetrano, stanno a testimoniare con la loro presenza che linteresse per lopera di Dante, lungi dallessere spento o caduto nelloblio, invece ancora oggi vivo e presente nella coscienza culturale ed estetica di ciascuno di noi. Un ringraziamento particolare rivolgo poi al preside Francesco Fiordaliso per avermi invitato a tenere questo commento al canto primo del Paradiso che credo si inserisca in una pi vasta ed ambiziosa Lectura Dantis con scansione annuale. Leggere la Divina Commedia certamente unimpresa assai ardua e difficile ma voglio subito aggiungere che rileggerla un obbligo, una inderogabile necessit per tutti, anche per coloro che presumono di conoscerla, perch La Divina Commedia unopera che non finisce mai di dire quel che ha da dire e, come tutti i grandi capolavori della letteratura mondiale, si presenta al lettore con una sua inconfondibile caratteristica: tanto pi si crede, o si pretende, di conoscerla tanto pi vi si trovano aspetti nuovi, inediti, impensati. Io stasera, nel breve volgere di alcuni minuti, dovrei esaurire il mio compito che quello, come dicevo, di commentare il primo canto del Paradiso, e perci, preferisco non attardarmi in oziose divagazioni ed entrare subito in medias res per non togliere eccessivo tempo a quella che sar la parte essenziale di questo mio intervento. Il Paradiso dantesco si presenta diviso in dieci parti: nove cieli rotanti attorno alla terra e lEmpireo che un cielo immobile. Anche lInferno ed il Purgatorio ripetevano questa ripartizione: essendo la prima cantica composta di un antiferno e nove cerchi, la seconda di un antipurgatorio, la valletta dei principi negligenti, le sette cornici e lEden. Il dieci, come noto, un sottomultiplo di cento, numero che corrisponde ai canti complessivi de La Divina Commedia. Ma se si eccettua il canto primo dellInferno, che funge da introduzione a tutta lopera, i canti si riducono a novantanove, numero multiplo di tre. Nella numerologia dantesca il tre considerato perfetto perch simbolo della Trinit. Tre sono infatti le cantiche del poema, tre le guide che accompagnano Dante nel suo viaggio (Virgilio, Beatrice e San Bernardo), tre la fiere (la lonza, il leone e la lupa) che egli incontra nella selva. Contrariamente a quanto avveniva nellInferno e nel Purgatorio, i beati del Paradiso non hanno sede nei vari cieli ma si trovano tutti nellEmpireo ed in particolare in una struttura chiamata Candida rosa. Essi tuttavia appaiono a Dante e Beatrice nei vari cieli per dimostrare la loro maggiore o minore perfezione. Nel Paradiso inoltre tutti i beati fruiscono dello stesso grado di beatitudine, qualunque siano i meriti per cui sono ascesi al cielo; e ci appare ovvio ai beati stessi perch, come spiegher Piccarda Donati nel canto III, se le anime desiderassero di essere pi superne, cio di fruire di un grado maggiore di beatitudine, i loro voleri sarebbero discordi dal volere di Dio, e ci nel Paradiso non neppure immaginabile. Quanto al susseguirsi dei cieli, i primi sette sono chiamati cieli corporali, appunto perch ciascuno di essi contiene un corpo astrale: nel primo, o cielo della Luna, compaiono le anime mancanti ai voti; nel secondo, o cielo di Mercurio, gli spiriti che furono troppo intenti alle glorie terrene; nel terzo, o cielo di Venere, gli spiriti amanti; nel quarto, o cielo del Sole, gli spiriti sapienti; nel quinto, o cielo di Marte, gli spiriti militanti; nel sesto, o cielo di Giove, gli spiriti giudicanti; nel settimo, o cielo di Saturno, gli spiriti contemplanti. Ai cieli corporali segue lottavo cielo nel quale non c alcun pianeta, ma sono presenti le innumerevoli Stelle fisse, con i beati e gli angeli, che realizzano il trionfo di Cristo e di Maria; ed il nono cielo, o Primo Mobile, che il pi veloce di tutti, eternamente in moto per la sua stessa vicinanza a Dio. Al di sopra del Primo Mobile si trova infine lEmpireo, cielo metafisico, privo di materia, in cui Dante colloca la sede di Dio e dei beati. Questi ultimi disposti in un grande anfiteatro luminoso, detto Candida rosa. Dio, superiormente alla Candida rosa, raffigurato come

un punto attorno al quale sono le nove gerarchie angeliche che fanno muovere i cieli con un atto puramente intellettivo. Il primo canto del Paradiso contiene in s i temi essenziali dellintera terza cantica, essendo fondamentalmente dominato da due motivi di pensiero e di poesia: lo splendore di Dio, aristotelicamente inteso come motore immobile, che diffonde la sua luce e si manifesta, anche se in vario modo e misura, in tutte le parti delluniverso; il volo dellanima di Dante per giungere a Lui, meta ultima del suo desiderio. Come prescritto dalla retorica del tempo, ed in perfetta simmetria con lInferno e con il Purgatorio, anche la cantica del Paradiso si apre con un proemio, costituito da una protasi e da una invocazione. Ma mentre nellInferno il proemio era limitato ad una sola terzina (allinizio del canto II), e nel Purgatorio, in considerazione delle migliori acque che Dante si accingeva a solcare, era stato allargato a quattro terzine, nel Paradiso, che alla coscienza del Poeta appariva come una delle pi alte prove del suo ingegno, esso viene ulteriormente dilatato fino ad occupare lo spazio di ben dodici terzine: quattro destinate alla protasi e otto allinvocazione. Gi nelle quattro terzine proemiali del Purgatorio appariva molto chiaramente la diversa atmosfera poetica della seconda cantica rispetto alla prima; lampio proemio del Paradiso si diversifica ulteriormente da quello del Purgatorio per la maggiore solennit dellapertura, per laffermazione (da parte del poeta) della coscienza del proprio valore, per la dichiarata ineffabilit della materia affrontata. Nella protasi (vv. 1-12) Dante esalta la gloria di Dio considerato motore delluniverso. Come canta il salmo XVIII caeli enarrant gloria Dei. Ma se i cieli nella loro perfezione sono meglio atti a glorificare la potenza divina, anche le cose pi umili ed imperfette sono rivolte - qual pi qual meno - alla medesima glorificazione. Dio, infatti, non presenza dallalto e dal di fuori, ma costituisce, come Dante spiegher nel canto seguente, il modo dessere dogni creatura. E gloria per Dante significa luce: divinus radius sive divina gloria, chiarisce egli stesso nellepistola a Cangrande della Scala (Ep. XIII, 64). Dante identifica dunque Dio col concetto di luce la quale, man mano che lanima procede nella sua elevazione ai cieli, si fa sempre pi intensa e trionfale sino a diventare, al di sopra dei cieli corporali, unicamente luce intellettuale. La luce di Dio, perci, risplende in ogni dove: e tuttavia Dante, visitando il Paradiso, ha avuto il grande privilegio di godere da vivo di quella massima luce divina. Ma, accanto al ricordo del privilegio, anche quello della debolezza, della insufficienza sua e di tutti gli umani non solo a concepire Dio, ma persino a ricordarne la visione. Dante infatti confessa apertamente che non sa n pu ridire le cose che ha visto nel Paradiso; non sa perch la memoria umana non in grado di tenere dietro al volo sublime dellintelletto; non pu perch, anche se fosse capace di ricordarle, egli non avrebbe la forza per esprimerle a parole. Appare qui per la prima volta uno dei costanti modi della poesia del Paradiso: la recusatio. Come ha notato E. Paratore, la protesta della propria insufficienza rispetto al tema trattato era abituale nei poeti augustei, ma ora in Dante assume un diverso significato: lo sgomento del poeta dinanzi alla grandezza e alla magnificenza della materia da affrontare. Alla protasi segue poi una lunga invocazione ad Apollo (vv. 13-36) che, come abbiamo ricordato, si estende per otto terzine. Se, infatti, per le altre due cantiche era stato sufficiente laiuto delle Muse, cio di uno dei due gioghi di Parnaso, adesso, considerata laltezza della materia che si accinge a trattare, Dante non pu fare a meno di chiedere lausilio di ambedue i gioghi, quello sacro alle Muse e laltro sacro ad Apollo, cio al dio stesso della poesia. Apollo deve entrare nel suo petto e ispirarlo con quella stessa pienezza di canto con la quale una volta aveva vinto e tratto de la vagina delle membra sue il satiro Marsia che aveva osato sfidarlo. Anche allinizio del Purgatorio, nel chiedere laiuto delle Muse, Dante aveva rievocato unaltra sfida fatta da mortali ad immortali e unaltra inevitabile sconfitta con la conseguente punizione: quella delle Piridi trasformate in piche dalle Muse. Ma perch questa insistenza del Poeta su episodi in fondo simili? Qual il fine di questa ripetuta, ostinata rievocazione? La risposta semplice: nel ricordare le due punizioni, Dante vuole rivolgere a se stesso un monito che sar

solennemente ribadito anche allinizio del canto seguente. Egli convinto che in poesia possibile affrontare anche i temi pi ardui e difficili per le forze dellintelletto umano, ma a patto che si sappia che la poesia un dono divino, una sorta di platonica :, e che, nel momento dellispirazione, la stessa divinit a parlare per la bocca del poeta. Dante, perci, si pone in guardia contro quella che egli sa bene essere la sua maggiore nemica, la superbia. Marsia e le Piridi furono mortali che credettero stoltamente di poter confidare solo sulle loro forze umane, senza laiuto della divinit, anzi opponendosi ad essa: e per questo furono con irrisoria facilit sconfitti e duramente puniti. Lingegno delluomo deve dunque essere costantemente guidato dal pensiero di Dio se si vuole aspirare alla fronda peneia ed acquistare quella gloria cui nessuno ai tempi di Dante pi aspira, colpa e vergogna delle basse voglie umane. Perci se gli uomini riconosceranno la sua eccellenza poetica, se lo premieranno con la corona di alloro, egli sa bene che il merito non suo, ma dellaltezza della materia trattata e della divinit che lo ha sorretto: vedrami al pi del tuo diletto legno / venire, e coronarmi de le foglie / che la materia e tu mi farai degno (vv. 25-27). Dallumilt verso Dio scaturisce naturalmente lumilt verso gli uomini e la speranza che, dopo di lui, altri poeti possano pregare Apollo con voce pi suadente per ottenere da lui il dono divino dellispirazione: Poca favilla gran fiamma seconda: / forse di retro a me con miglior voci / si pregher perch Cirra risponda (34-36). Alla parte proemiale fa seguito quindi la narrazione: Dante e Beatrice si trovano ancora sulla cima del Purgatorio, pi esattamente nellEden, presso la sorgente comune del Let e dellEuno: uno scenario ancora terrestre, dalle linee concretamente realistiche, anche se impregnate di simbolo, li circonda. Poi, tutto ad un tratto, quel paesaggio scompare per cedere il posto a un altro scenario, insieme concreto e astratto. Il poeta non sente neanche il bisogno di avvicinare il lettore con gradualit a questo secondo scenario; lo stacco avviene in maniera repentina e totale, tutto ci che era terreno e transeunte improvvisamente viene dimenticato ed al posto del paesaggio montano dellEden appare agli occhi di Dante una visione quasi divina nel suo simbolismo: limmenso orizzonte illuminato dal sole. Il Poeta pu cos precisare, attraverso una solenne determinazione astronomica (vv. 37-42), le cui coordinate formano segni e numeri pieni di arcane significazioni - quattro cerchi e tre croci - il momento della sua ascesa al cielo, cio lequinozio di primavera, stagione che corrisponde ad una condizione astrale particolarmente favorevole, trovandosi il sole nella costellazione dellAriete, come al momento della creazione del mondo; lora quella di mezzogiorno, la pi luminosa e lieta. A questo punto Dante si accorge che Beatrice, volta a sinistra, sta fissando il sole con unintensit superiore a quella di unaquila ed anchegli indotto a compiere lo stesso gesto: e fissi gli occhi al sole oltre nostruso. Ma qui si presenta il primo nodo da sciogliere: infatti proprio questo il momento in cui il Poeta e Beatrice si distaccano dalla terra? Dante non lo dice con precisione, ma molti e autorevoli studiosi ritengono di s, e adducono, a sostegno di questa loro ipotesi, il fatto che il Poeta adesso avverte attorno a s un raddoppiarsi dellintensit della luce, come se Dio avesse aggiunto un secondo sole al primo. Ma questa ipotesi non pu essere condivisa per una ragione assai semplice: Dante spiega che la possibilit che egli ebbe allora di fissare il sole oltre luso umano era dipesa unicamente dal suo trovarsi nel loco / fatto per proprio de lumana specie (vv. 56-57), cio nel Paradiso terrestre: dunque nellistante in cui guarda il sole il Poeta si trova ancora sulla cima del Purgatorio. Se ne distaccher subito dopo quando, rimovendo gli occhi dal sole, li fisser in quelli di Beatrice: allora soltanto avverr la sua ascensione al cielo ed egli sentir dentro di s un profondo mutamento: la transumanazione, lexcessus mentis, landare della mente al di l da s, come aveva teorizzato san Bonaventura nellopera pi alta della teologia mistica, lItinerarium mentis in Deum. Linnalzarsi oltre i limiti dellumano non per unesperienza descrivibile a parole, per questo motivo Dante fa ricorso allexplanatio per argumenta exemplorum degli scolastici e cita lesempio di Glauco, pescatore della Beozia, il quale accorgendosi che i pesci da lui catturati, a contatto con unerba miracolosa, tornavano a nuova vita, volle anchegli assaggiare di quellerba e fu trasformato in una divinit marina.

Si accennato alla questione del momento dellascensione al cielo non perch importi molto farsi pedanti cronometristi del viaggio dantesco ma perch, se essa stata rilevata e posta dalla critica, ci vuol dire che il Poeta non indica con esattezza il momento del suo distacco dalla terra. E non lo indica perch esso non un evento materiale, ma un fatto tutto spirituale, fuori dello spazio e del tempo; il cambiamento non esterno ma solo interiore. Dante continua dunque ad elevarsi sempre pi in alto. Ma questa sua ascesa pone un secondo nodo da districare: soltanto la sua anima a salire in cielo, o anche il corpo sale con essa? E, se vera questultima ipotesi, come pu ci accadere, dato che il corpo dotato di peso? Nessun dubbio che il Poeta immagini che la sua ascesa al cielo sia avvenuta anche col corpo ma altres certo che egli non lo dichiara esplicitamente: Si era sol di me quel che creasti / novellamente, amor che l ciel governi, / tu l sai, che col tuo lume mi levasti (vv. 73-75). Dante in questa terzina ha tenuto certamente presente le parole di san Paolo che, nellEpistola II ai Corinzi, aveva anchegli lasciata indeterminata quale parte di lui fosse salita al terzo cielo: sive in corpore sive extra corpus nescio, Deus scit (se in corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio). E probabile che, di fronte alle dispute che il passo paolino aveva suscitate tra i teologi, Dante non voglia prendere, anche se indirettamente, posizione; ma forse pi probabile, come ha notato il Sapegno, che il poeta scelga volutamente lambiguit per non precisare troppo unesperienza, che resta pur sempre ineffabile, e dove la coscienza della corporeit, se pur sopravvive, ad ogni modo rarefatta e sottratta in gran parte alle normali leggi del mondo fisico. Ma c ancora unaltra osservazione da fare: quel corpo umano, che tanto aveva fatto faticare Dante nel percorrere i gironi pi bassi del Purgatorio e che aveva sempre continuato a proiettare lombra, suscitando cos spesso la meraviglia delle anime espianti, si era tuttavia sempre pi alleggerito nel corso della salita, che per questo era diventata sempre pi agevole. Ora, nel Paradiso, Dante pur sempre vestito de la carne dAdamo, ma il suo corpo non pi propriamente tale; esso ormai non ha pi peso fisico come non ha pi consistenza, perci non pu pi essere dimpaccio allanima ma tuttuna cosa con essa; il dualismo anima-corpo scomparso. Dante, pur avendo il corpo, non lo avverte. E per questo che egli, utilizzando la forma dubitativa, ci dice: salii certamente col corpo, ma questo era come se non esistesse. Come ci potesse accadere, io non lo so; lo sa Dio che con la sua luce mi lev in alto. Il Paradiso si palesa subito a Dante come dolcezza ed ebriet di musica e di luce. La musica armonia prodotta dalle sfere celesti nel loro girare. Evidentemente Dante qui non tiene conto dellopinione di Aristotele e di tutta la Scolastica, che quellarmonia non avevano ammessa, e si affida invece al Cicerone del Somnium Scipionis, facendo prevalere la ragion poetica su quella filosofica. Le sfere inoltre rotano in eterno per il desiderio di Dio e i suoni che emettono, pur se distinti, sono tutti fusi e temperati insieme dalla legge dellarmonia divina: limmensamente molteplice e vario resta tale, ma stretto in concordia e unit da Dio. E, insieme col suono, la luce che allaga distesamente tutto il cielo. E opinione di molti che qui Dante stia per attraversare la sfera del fuoco. Contro questa ipotesi non sembra avere rilevanza il fatto che la scienza del tempo riteneva che quella sfera non era in s rilucente; sappiamo infatti, e labbiamo visto poco fa, che Dante talvolta trascura le opinioni scientifiche pi autorevoli. La novit del suono e l grande lume accendono nel Poeta, ancora ignaro di essersi staccato dalla terra, lacuto desiderio di conoscere la ragione delluno e dellaltro. E Beatrice, sempre sollecita ad ogni sua richiesta, gli chiarisce questo primo dubbio dicendo: tu, col tuo falso immaginare, rendi ottusa la tua mente; adesso infatti non sei pi sulla terra come continui a credere, ma stai tornando in cielo dove la vera sede della tua anima, giacch per luomo la dimora terrena solo un provvisorio esilio; e questo tuo ritorno avviene con la stessa velocit con cui la folgore, fuggendo il proprio sito celeste, fa il cammino inverso per scaricarsi sulla terra: Tu non se in terra, s come tu credi; / ma folgore, fuggendo il proprio sito, / non corse come tu chad esso riedi. Sono queste le sorrise parolette brevi che Beatrice amorevolmente pronuncia e che, colorandosi di affettuosa indulgenza, diventano sorriso esse stesse.

Ma se la spiegazione di Beatrice bastevole a disvestire Dante del primo dubbio, non pu tuttavia evitare che egli rimanga irretito in un secondo e pi pressante dubbio. Come pu egli, essendo ancora vivo e legato al corpo, trascendere attraverso elementi leggeri, quali sono la sfera dellaria e quella del fuoco? E Beatrice, simile ad una madre che guarda pietosamente il figlio che, nel delirio della febbre, dice cose senza senso, esaudisce ancora una volta la richiesta di Dante con una spiegazione che travalica la domanda particolare per abbracciare tutto luniverso. Ella infatti non risponde rigorosamente a ci che il Poeta le ha chiesto, cio come mai la gravit del suo corpo possa trascendere gli elementi leggeri dellaria e del fuoco, ma allarga il problema della naturale tendenza dellanima a Dio, ad una straordinaria visione dellordine universale; ne risulta cos una pagina di grande efficacia e potenza. La grandiosa immagine dellUniverso, dove le cose tutte quante / hanno ordine tra loro (vv. 103-104) e che, proprio in virt di questordine, simile a Dio, imprime al discorso di Beatrice un tono di altissima poesia e solo ad una lettura distratta e superficiale pu apparire freddamente didascalico. In questo ordine universale afferma Beatrice le alte creature, cio gli esseri razionali, riconoscono limpronta di Dio, il quale il fine ultimo da cui origina e a cui tende la toccata norma, cio lordine universale suddetto. In questo ordine tutte le specie naturali sono provviste di un impulso, di una naturale inclinazione che, pur essendo diversa a seconda della condizione loro assegnata, le spinge a muoversi per lo gran mar dellessere col fine di realizzare ciascuna la propria essenza. Con una martellante anafora, in cui il pronome dimostrativo questi ricorre per ben tre volte, Beatrice spiega che questordine porta il fuoco verso lalto, questordine muove e regola negli esseri privi di ragione la vita sensitiva, ed ancora questordine, esplicandosi come forza di gravit, stringe e aduna in s la terra rendendola compatta. Tuttavia continua Beatrice lordine universale non indirizza ad un fine determinato soltanto le creature che son fore / dintelligenza, ma anche quelle chhanno intelletto e amore, che sono cio provviste di amore di elezione, di volont. La provvidenza divina che ordina luniverso, appaga della sua luce lEmpireo dentro il quale ruota la pi veloce delle sfere celesti, il Primo Mobile. E adesso proprio nellEmpireo sostiene Beatrice come a sito decreto, cio stabilito ab aeterno, cen porta la virt di quella corda / che ci che scocca drizza in segno lieto (vv. 125-126). Lanima umana, simile ad una freccia, perci saettata da Dio verso un segno infallibile; raggiungere quel bersaglio per luomo unesigenza insopprimibile. LEmpireo dunque il fine a cui tende naturalmente luomo; non c perci da meravigliarsi se Dante ora sta innalzandosi ad esso: il suo salire non violazione di una norma, ma piuttosto obbedienza ad una legge di ordine universale. Come, per, vero aggiunge Beatrice che molte volte la forma dellopera realizzata non saccorda allintenzione dellartista perch la materia sorda a rispondere, cos anche vero che luomo, essendo dotato di libero arbitrio, pu talora allontanarsi dalla via del bene e rivolgersi al male, simile in questo ad un fulmine che, invece di salire in alto verso la sfera del fuoco, si schianta rovinosamente sulla terra. Perci conclude Beatrice rivolgendosi al Poeta tu non devi meravigliarti della tua ascesa al cielo pi di quanto non ti meraviglieresti se vedessi un fiume scendere dal monte a valle; sarebbe invece cosa miracolosa se tu, libero dal peccato e puro e disposto a salire a le stelle, fossi rimasto assiso gi in terra; come sulla terra sarebbe un evento miracoloso vedere un fuoco vivo restare immobile e non salire verso lalto. Dopo la solenne e grandiosa rievocazione dellordine e del fine delluniverso, il primo canto del Paradiso si conclude suggellato dal silenzioso sguardo di Beatrice fisso al cielo: Quinci rivolse inver lo cielo il viso (v. 142). Il volo di lei in quello sguardo, in quel desiderio di volo senza moto. Gi al principio del canto, tra le innumerevoli perifrasi per indicare Dio, Dante aveva scelta quella di Dio come desiderio: appressando s al suo disire (v. 7). Pi oltre, egli aveva nel desiderio di Dio indicata la causa del moto dei cieli e della loro eternit: Quando la rota che tu sempiterni / desiderato... (v. 76). Ebbene, questo desiderio di Dio uno dei temi pi alti del canto ed anche il motivo essenziale di tutto il Paradiso. Dio non fuori di noi ma dentro di noi, cio nel bisogno che noi abbiamo e sentiamo di lui.

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