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Amedeo De Santis
Mario Cacciaglia
> EdizioneMista
Giandomenico Petrollini
Carlo Saggese
Tecnologie
e progettazione
di sistemi
informatici e di
telecomunicazioni/1
Area tecnica
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
ISBN 978-88-5280607-0
Ristampe:
2012 2013 2014 2015 2016
1 2 3 4 5 6 7 8 9
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I contenuti del tuo libro non si trovano solo sulla carta. Adesso puoi trovare esercizi, espansioni e molto altro sul web,
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verifiche orali e scritte, approfondire quanto affrontato in classe, ecc.
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ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Presentazione
Per conseguire gli obiettivi specifici della disciplina, i testi sono organizzati secondo una
struttura modulare e la ricchezza delle tematiche trattate consente al docente di organizzare una
programmazione flessibile adeguando le strategie formative alle sue esperienze professionali e ai
livelli di apprendimento delle classi.
Il progetto didattico complessivo previsto nei tre volumi è suddiviso in blocchi tematici, dei quali:
◗ il primo prende in esame soprattutto gli aspetti relativi alla teoria dell’informazione e della
comunicazione fino ad arrivare all’analisi degli automi a stati finiti;
◗ il secondo blocco tematico sviluppa gli argomenti inerenti la struttura dei moderni
Sistemi Operativi e prevede un approfondimento che riguarda le politiche di gestione
dei processi e delle risorse (memoria centrale, memoria di massa e dispositivi di I/O),
le tecniche per la programmazione concorrente e la sincronizzazione dell’accesso a
risorse condivise, le caratteristiche e i casi significativi di funzionalità programmabili di
un Sistema Operativo;
◗ il terzo blocco tematico si occupa dei sensori, degli attuatori, dei componenti dei circuiti elettrici
e della simulazione circuitale attraverso i software Multisim e LabVIEW; affronta inoltre in
maniera esaustiva le problematiche legate ai microcontrollori e ai sistemi di acquisizione e
distribuzione dei dati;
◗ il quarto blocco tematico rappresenta una novità poiché tratta i concetti fondamentali
che sono alla base del Project Management e affronta le problematiche principali legate
all’ingegneria del software. In particolare vengono illustrate le fasi di un progetto nel
contesto del ciclo di sviluppo, i modelli, gli aspetti architetturali, le fasi per la progettazione,
le tecniche e gli strumenti per la gestione delle specifiche e dei requisiti nonché gli aspetti
legati alla qualità.
Il corso è corredato da numerosi progetti dalla valenza molto significativa poiché offrono spunti
per realizzare lavori interdisciplinari in collaborazione con i docenti delle altre materie d’indirizzo,
facilitando in tal modo l’integrazione tra le conoscenze teoriche e l’attività sperimentale.
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IV
Gli Autori
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
In queste pagine trovi indicazioni utili per organizzare lo studio al meglio attraverso gli
strumenti che il corso di Tecnologie e progettazione di sistemi informatici e di
telecomunicazioni ti mette a disposizione:
• il tuo libro di testo cartaceo;
• le espansioni che puoi consultare o scaricare collegandoti all’indirizzo:
www.auladigitale.rcs.it.
Il libro cartaceo è suddiviso in moduli e unità; gli argomenti sono presentati in modo
semplice, corredati da esemplificazioni, tabelle, grafici, esempi di simulazioni e proposte
di verifiche sperimentali, al fine di facilitare la comprensione coinvolgendo gli studenti
con l’immediatezza e la praticità.
Gli aspetti matematici della disciplina sono contenuti senza che la scientificità e la com-
pletezza della trattazione risultino penalizzate.
Numerosi esercizi proposti, collocati alla fine delle unità, permettono di consolidare le
conoscenze acquisite.
A partire dalla pagina iniziale, che vedi qui Strumenti sempre disponibili:
riportata, puoi navigare nei contenuti digi- • indicazioni utili per l’uso del foglio di
tali suddivisi per modulo: calcolo;
• approfondimenti, tabelle e grafici su • linkografia a siti di interesse dedicati ai
argomenti di particolare interesse; diversi ambiti tecnologici;
• esercizi di simulazione con LabVIEW e • calcolatrice;
Multisim; • tavola periodica;
• test di verifica. • unità di misura.
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Indice
Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti 1
Esercizi svolti 14
Test di verifica 18
Esercizi proposti 19
Test di verifica 66
Esercizi proposti 68
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X
Approfondimenti
• Componenti elettromeccanici ed elettronici
• Richiami di logica e dispositivi logici
Modulo
Approfondimenti
• Comandi esterni del DOS
• Il sistema operativo GNU/LINUX
Modulo
Modulo
Simulazioni
• Simulazione con LabVIEW del controllo del livello di un liquido in un serbatoio
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Informazione, Modulo
comunicazione
e automi
a stati finiti
Prerequisiti
1
Unità 1 Sistemi di numerazione
Unità 2 Dalla logica cablata a quella
programmabile
Unità 3 Gli automi a stati finiti
e la macchina di Turing
■ Conoscenza delle regole fondamentali del sistema
di numerazione decimale. Unità 4 Elementi di teoria dell’informazione
■ Conoscenza degli elementi fondamentali e della comunicazione
dell’elettronica e dell’elettrotecnica.
Unità 5 Sistemi di codifica dell’informazione
■ Conoscenza di base dell’algebra di Boole.
■ Conoscenze di base dei dispositivi logici. Laboratorio
Obiettivi Informazione,
comunicazione e automi
■ Conoscere i sistemi di numerazione non decimali. a stati finiti
■ Saper eseguire la conversione tra sistemi diversi
di numerazione. U.1
■ Saper svolgere le operazioni aritmetiche Sistemi di numerazione
fondamentali con i numeri binari.
■ Conoscere l’evoluzione storica degli elementi U.2
che hanno portato alla nascita degli elaboratori
elettronici. Dalla logica cablata a
quella programmabile
■ Apprendere le modalità di passaggio dalla logica
cablata a quella programmabile. U.3
■ Conoscere le differenze tra i sistemi logici
Gli automi a stati finiti
combinatori e quelli sequenziali. e la macchina di Turing
■ Apprendere gli elementi di base della teoria
degli automi a stati finiti. U.4
■ Conoscenza di base della Macchina di Turing. Elementi di teoria
■ Saper strutturare una semplice catena dell’informazione e
di trasmissione per la comunicazione digitale della comunicazione
di messaggi.
U.5
Codifica dell’informazione
Approfondimenti
■ Componenti elettromeccanici ed elettronici Laboratorio
■ Richiami di logica e dispositivi logici
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Un sistema di numerazione dovuto alla civiltà Sumerica (scomparsa nel 2 000 a.C.) e basa-
to ancora sulla proprietà additiva, rappresentava i valori uno, cento, mille con simboli
cuneiformi.
In seguito i Babilonesi introdussero un sistema di numerazione di tipo sessagesimale e
posizionale (base 60) che utilizzava anche il simbolo zero. Il sistema era adatto per
l’esecuzione di calcoli molto complessi e la posizione del numero, nella sequenza di sim-
boli, indicava il corrispondente valore relativo.
L’antica civiltà dei Maya (nota per aver determinato con elevata precisione la durata dell’an-
no solare) utilizzava ancora il sistema posizionale a base 20 (vigesimale) con simboli
da 0 a 19 ( figura 1.2 ).
0 1 2 5 6 10 11 15 19
Il sistema Romanico (secolo VIII a.C.), ancora oggi in uso, è sempre di tipo addizionale
senza il simbolo zero ( figura 1.3 ). Un simbolo può sottrarsi a un altro se lo precede e som-
marsi se lo segue.
I V X C D M MD V C 1 595
Potenze del 10 10 2
10 1
10 0 peso decrescente e l’esponente della base
10 è negativo. Al primo digit a destra della
3 • 10 2 2 • 10 1 4 • 10 0
Risultato virgola è attribuito il peso 10-1, alla seconda
300 20 4 324 -2
figura 1.4 10 , ecc. Per il numero 324,75 si ha:
i
er
or
m
vis
Nu
sti
29 2
Re
MSB LSB
3 2 1 gruppi si ottiene sottraendoli al numero da
1 2 1 convertire (figura 1.7).
figura 1.6 0 1 MSB
2
2 2=4 5-4 =1 1
2 =4
21=2 2 1=2 1 - 2 = impossibile 0
2 0=1
0
2 =1 1-1=0 1 LSB
1 1 1 0 1
figura 1.7
Un numero binario può essere trasformato in decimale attribuendo a ogni cifra un peso
diverso, in relazione alla posizione occupata, espresso come potenza di 2. Ad esempio il
numero binario 1101 corrisponde al numero decimale 13.
1 ⋅ 23 + 1 ⋅ 22 + 0 ⋅ 21 + 1 ⋅ 20 = 8 + 4 + 0 + 1 = 13
MSB Un metodo pratico per la trasformazione è
LSB
1 1 0 1
l’algoritmo che moltiplica per 2 il bit più
significativo e somma al risultato il valore
[( 1 2 ) 1 ] 2 0 2 1 13 del bit successivo. Si ripete l’operazione di
figura 1.8 prodotto e somma fino al bit meno significa-
tivo (figura 1.8).
Nello studio dei calcolatori e dei sistemi a microprocessore si utilizzano molto spesso
numeri binari formati da 8, 16, 32, 64 o più bit. Un numero binario formato da 8 bit viene
definito Byte, da 16 bit Word (parola), da 32 bit Doubleword (doppia parola) e da 64 bit
Quadword (quadrupla parola). La tabella 1.1 riporta i multipli del byte.
tabella 1.1
k ⇒ Chilo 1 kByte 1 024 Byte
M ⇒ Mega 1 MByte 1 024 kByte 1 048 576 Byte
G ⇒ Giga 1 GByte 1 024 MByte 1 073 741 824 Byte
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Unità
1Sistemi di numerazione 5
i
er
or
m
vis
Nu
sti
4 2
Re
1 0 0 0,50
1 2 0 0,25 • 2 = Parte int. 0
MSB LSB
0 1 MSB 0,50 • 2 = 1,00 Parte int. 1
La trasformazione dei numeri binari con la virgola, segue le stesse regole di quelli deci-
mali con la virgola. Il numero binario, precedentemente calcolato, 100,101 può rappre-
sentarsi con pesi crescenti per la parte a sinistra della virgola e pesi decrescenti per la parte
a destra della virgola. Si ha:
Livello HIGT
alto 1 5V
H Segnale di scansione (Clock) Personal
computer
LOW Livello 0 1 0 0 1 1 1 0 0
basso 0V Segnale con informazione binaria
figura 1.10 L
Segnale logico TTL
Sarebbe quindi complesso e fisicamente difficile introdurre un altro simbolo per assegna-
re al numero binario il segno (+ o −). Per tale motivo il bit di segno è attribuito al bit più
significativo (MSB):
◗ se il bit di segno è 1 il numero binario è da considerarsi negativo;
◗ se il bit di segno è 0 il numero binario è da considerarsi positivo, compreso lo zero bi-
nario.
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6 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Si deduce che il sistema di numerazione binario con segno diminuisce il campo dei nume-
ri rappresentabili con un certo numero di bit. Se, infatti, con n bit è possibile avere 2n
numeri positivi diversi, con il bit di segno se ne potranno avere solo 2n-1. Per esempio con
un byte (8 bit) si hanno 28 = 256 numeri positivi, mentre si ottengono 28-1 = 128 numeri
positivi (con lo zero) e 127 numeri negativi.
Individuare i numeri negativi con il solo bit di segno, non risolve completamente il pro-
blema, perché tale rappresentazione conduce, a volte, a risultati non corretti quando si
eseguono alcune operazioni. Per rendere possibili tutte le operazioni con i numeri binari
con segno, senza commettere errori, è necessario che i numeri binari negativi siano
rappresentati in complemento a 2.
Bit di segno
Complemento
Valori
numeri binari positivi e negativi con
Modulo
Modulo
Per mettere in evidenza la semplicità dell’utilizzo dei numeri binari con segno, rappre-
sentati con complemento a 2, si eseguono alcune operazioni di sottrazione.
Base 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
i
er
or
m
vis
Di
sti
229 16 8 8
Numero esadecimale
14 16 5 5 h o H indica la base esadecima-
E 5 8 D
figura 1.16 0 14 E MSB MSB LSB le) corrisponde al numero deci-
male 58 765.
i
er
or
vis
Nu
Di
sti
25 16
Re
La tabella 1.4 riporta la numerazione decimale, quella esadecimale e quella binaria a 4 bit.
La conoscenza di tali corrispondenze tra i tre tipi di numerazione è fondamentale.
tabella 1.4
Decimale Esadecimale Binaria
0 0 0000
1 1 0001
2 2 0010
3 3 0011
4 4 0100
5 5 0101
6 6 0110
7 7 0111
8 8 1000
9 9 1001
10 A 1010
11 B 1011
12 C 1100
13 D 1101
14 E 1110
15 F 1111
A volte, per non eseguire laboriosi calcoli, può essere più conveniente effettuare il pas-
saggio esadecimale ⇒ binario ⇒ decimale. Con riferimento al numero E58Dh, utilizzan-
do la tabella 1.4 , si ha:
E58D
E 5 8 D
1110 0101 1000 1101
1101 0110 1110 1000 1011 0111 0101 1111 1111 0000 1001
D 6 E 8 B 7 5 F F 0 9
D6h E8h B75h FF09h
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10 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
figura 1.18 D h 11 h 1 E h E C h 1 2 F h 1 F 9 h 1 F E h
L’esempio del prodotto dei numeri decimali 4,001 e 0,001234 (= 0,004937234) mette in evi-
denza i problemi derivanti dai due diversi modi di rappresentazione. Supponendo di uti-
lizzare 3 cifre per entrambi i modi, eseguendo l’operazione di prodotto, si ha:
dove le cifre 1, 2 e 3 sono le cifre significative dopo lo 0,00 per la rappresentazione in vir-
gola mobile. Come si può osservare, il risultato che più approssima quello esatto è quel-
lo ottenuto applicando il sistema in virgola mobile, anche se esso non risolve tutti i pro-
blemi derivanti dalle operazioni elementari.
Un numero con qualsiasi base è sempre rappresentabile in forma esponenziale dalla se-
guente formula:
± M ⋅ B ± E (notazione scientifica) [1.1]
dove ± indica il segno, M la mantissa, B la base e ± E l’esponente con segno. Utilizzando
la [1.1], ad esempio, il numero decimale − 31,4 può essere rappresentato in più modi
( tabella 1.5 ). Tale formula ha il vantaggio di rappresentare numeri molto piccoli e molto
grandi con un esiguo numero di cifre.
tabella 1.5
− 31,4 ⋅ 100 La formula esponenziale contiene:
− 3,14 ⋅ 101 • il segno del numero;
− 31,4 − 0,314 ⋅ 102 • le cifre signilcative del numero;
− 314 ⋅ 10-1 • il segno dell’esponente E con base B = 10;
− 3140 ⋅ 10-2 • le cifre dell’esponente E.
La tabella 1.5 mostra che l’esponente E può assumere valori sia positivi che negativi e defi-
nisce la posizione della virgola all’interno della mantissa. La forma esponenziale − 0,314 ⋅ 102
è la rappresentazione numerica utilizzata. Poiché la mantissa M è compresa tra 0,1 = 1/B e
1, la rappresentazione è detta normalizzata in virgola mobile (Floating Point).
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Unità
1Sistemi di numerazione 11
Per ogni rappresentazione l’esponente E è sempre positivo. A tal fine si utilizza un numero deci-
male costante positivo detto Bias, aggiunto all’esponente E espresso in decimale ( tabella 1.8 di
pagina seguente).
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12 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
tabella 1.8
Rappresentazione Bias N° Negativi (Bias + E) N° Positivi (Bias + E)
Dalla figura 1.19 si evidenzia che, nel campo esponente, il numero decimale Bias + E è
memorizzato in binario e, pertanto, i valori numerici decimali riportati nella tabella 1.7
devono essere convertiti in binario. Tale conversione, nella rappresentazione a semplice
precisione, rende il primo bit uguale a 0 per i numeri con esponente negativo (1 ÷ 126 ⇒
0XXX XXX) ed 1 per quelli positivi (128 ÷ 255 ⇒ 1XXX XXX).
Lo standard IEEE754 prevede alcuni valori speciali:
◗ la mantissa con tutti 0 e l’esponente con tutti 1 rappresenta il valore ∞;
◗ la mantissa con bit diversa da 0 e l’esponente con tutti 1 rappresenta un valore non va-
lido (NaN, cioè Not a Number);
◗ tutti i bit 0 (segno, esponente e mantissa) rappresenta il valore 0,0.
esempio 1.1
Un algoritmo (Unità 3 par. 3.5.1) per convertire il numero decimale + 25,75 in virgola mobile con singola
precisione può essere il seguente.
I passi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
25,75 ⇒ 1 1 0 0 1 , 1 1
◗ rappresentare il numero binario in forma esponenziale normalizzata. Nel campo mantissa saranno
riportati solo i bit a destra dopo la virgola della forma esponenziale normalizzata, omettendo il bit 1
a sinistra della virgola
1 1 0 0 1 , 1 1 ⇒ 1 , 1 0 0 1 1 1 ⋅ 24
◗ dalla forma esponenziale normalizzatasi ricava l’esponente E = 4
◗ calcolare l’esponente sempre positivo Bias + E dove Bias = 127
Bias + E = 127 + 4 = 131
◗ trasformare il nuovo esponente decimale sempre positivo Bias + E = 131 in binario
131 ⇒ 1 0 0 0 0 0 1 1
◗ definire il bit di segno del numero
Il numero + 25,75 è positivo e pertanto il bit di segno è S = 0
◗ riportare i numeri binari calcolati rispettivamente nel campo segno, esponente e mantissa ( tabella 1.9 ).
Quest’ultima deve essere completata con i bit 0 nel rispetto dei complessivi 23 bit. Considerato che
la rappresentazione è in semplice precisione, il bit 1 della parte intera della mantissa non è riportato.
tabella 1.9
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
0 1000 0011 100 1110 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
La memorizzazione del numero decimale frazionario −25,75 si discosta da quella con segno positivo
per il solo bit di segno S = 1 (numero negativo).
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Unità
1Sistemi di numerazione 13
esempio 1.2
L’esempio mostra l’operazione inversa dell’esempio precedente (Esempio 1.1) riportato nella
tabella 1.10 .
tabella 1.10
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 10000001 100 0111 0000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
esempio 1.3
Un algoritmo (Unità 3 par 3.5.1) per convertire il numero decimale + 0,5 in virgola mobile con singola
precisione può essere il seguente.
I passi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
0,5 ⇒ 0, 1
◗ rappresentare il numero binario in forma esponenziale normalizzata. Nel campo mantissa saranno
riportati solo i bit a destra dopo la virgola della forma esponenziale normalizzata, omettendo il bit 1
a sinistra della virgola
0 , 1 ⇒ 1 ⋅ 2−1
◗ dalla forma esponenziale normalizzatasi ricava l’esponente E = −1
◗ calcolare l’esponente sempre positivo Bias + E dove Bias = 127
Bias + E = 127 −1 = 126
◗ trasformare il nuovo esponente decimale sempre positivo Bias + E = 126 in binario
126 ⇒ 0 1 1 1 1 1 1 0
◗ definire il bit di segno del numero
Il numero + 0,5 è positivo e pertanto il bit di segno è S = 0
◗ riportare i numeri binari calcolati rispettivamente nel campo segno, esponente e mantissa (tabella 1.11).
Quest’ultima deve essere completata con i bit 0 nel rispetto dei complessi 23 bit. Considerato che la
rappresentazione è in semplice precisione, il bit 1 della parte intera della mantissa non è riportato.
tabella 1.11
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
0 0111 1110 000 0000 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
esercizi
svolti
1 Si converta il numero decimale intero 250 in numero binario. Si utilizzi il metodo delle divisioni per due
ripetute e quello delle differenze ripetute dei gruppi.
sti
250 2 Re 250 – 128 = 122 1 MSB
125 2 0 LSB 122 – 64 = 58 1
62 2 1 Gruppi 256 128 64 32 16 8 4 2 1 58 – 32 = 26 1
31 2 0 26 – 16 = 10 1
15 2 1 10 – 8 = 2 1
Numero binario
7 2 1 2 – 4 = ? 0
1 1 1 1 1 0 1 0
3 2 1 MSB LSB 2 – 2 = 0 1
1 2 1 0 – 1 = ? 0 LSB
figura 1.20 0 1 MSB
2 Si converta il numero decimale frazionario 18,25 in numero binario con il metodo delle divisioni ripetute
per due per la parte intera e quello delle moltiplicazioni ripetute per due per la parte frazionaria.
18
Re
1 0 0 1 0 , 0 1 ⇒ 1 ⋅ 24 + 0 ⋅ 23 + 0 ⋅ 22 + 1 ⋅ 21 + 0 ⋅ 20 + 0 ⋅ 2−1 + 1 ⋅ 2−2 =
= 24 + 21 + 2−2 = 16 + 2 + 0,25 = 18,25
1 1 0 0 0 1 + 49 +
1 0 0 1 1 1 + 39 +
2 7 + 2 3 + 2 1 + 2 0 = 128 + 8 + 2 + 1 = 139
1 1 0 0 1 1 = 51 =
figura 1.22 1 0 0 0 1 0 1 1 139
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
1Sistemi di numerazione 15
1 0 1 1 0 – 22 –
1 1 0 1 = 13 = 1 0 0 1 23 + 20 = 8 + 1 = 9
figura 1.23 1 0 0 1 9
1 0 1 1 0 + 22 – 1 0 1 1 0 +
1 0 0 1 1 = (Complemento a 2) 13 = (Complemento a 1) 1 0 0 1 0 +
1 0 1 0 0 1 9 1 =
0 1 1 0 1 + + 13 Risultato 1 0 1 1 1
0 1 0 1 0 = Complemento a 2 – 22
Complemento a 2 di 1 0 1 1 1 è 0 1 0 0 1
1 0 1 1 1 – 9
figura 1.25 Indica che il risultato è in complemento a 2 ed è negativo
1 0 0 1 23 + 20 = 8 + 1 = – 9
Resti
Resti
30 880 16 2 750 16 128 16
1 930 16 0 0 LSB 171 16 14 E 8 16 0 0
120 16 10 A 10 16 11 B 0 8 8
7 16 8 8 0 10 A
0 7 7 MSB
figura 1.26 30 880 7 8 A 0 2 750 A B E 128 8 0
6 Si converta il numero decimale frazionario 191,45 in numero esadecimale con il metodo delle divisioni
ripetute per 16 per la parte intera e quello delle moltiplicazioni ripetute per 16 per la parte frazionaria.
8 Si trasformino i numeri esadecimali 78A0h e ABEh in numeri binari, utilizzando la tabella 1.4 , e succes-
sivamente in decimali:
7 8 A 0
0111 1000 1010 0000 ( tabella 1.4 )
14
2 + 213 + 212 + 211 + 27 + 25 = 16 384 + 8 192 + 4 096 + 2 048 + 128 + 32 = 30 880
A B E
1010 1011 1110 ( tabella 1.4 )
211 + 29 + 27 + 25 + 24 + 23 + 22 + 21 = 2 048 + 512 + 128 + 32 +16 + 84 + 2 = 2 750
1
10 Si calcoli, in virgola mobile a semplice precisione, il numero binario del numero decimale 54,375.
Le fasi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
54,375 ⇒ 1 1 0 1 1 , 0 1 1
tabella 1.12
S Esponente Mantissa Rappresentazione
0 10000100 101 1001 1000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
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Unità
1Sistemi di numerazione 17
8
11 Si vuole convertire il numero decimale + 1 in virgola mobile con singola precisione.
Le fasi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
1 ⇒ 1
◗ rappresentare il numero binario in forma esponenziale normalizzata. Nel campo mantissa saranno ripor-
tati solo i bit a destra dopo la virgola della forma esponenziale normalizzata, omettendo il bit 1 a sinistra
della virgola
1 ⇒ 1 ⋅ 20
◗ dalla forma esponenziale normalizzatasi ricava l’esponente E = 0
◗ calcolare l’esponente sempre positivo Bias (= 127) + E
Bias + E = 127 − 0 = 127
◗ trasformare il nuovo esponente decimale sempre positivo Bias + E = 127 in binario
127 ⇒ 0 1 1 1 1 1 1 1
◗ definire il bit di segno del numero
Il numero + 1 è positivo e pertanto il bit di segno è S = 0
◗ riportare i numeri binari calcolati rispettivamente nel campo segno, esponente e mantissa ( tabella 1.13).
Quest’ultima deve essere completata con i bit 0 nel rispetto dei complessi 23 bit. Considerato che la rap-
presentazione è in semplice precisione, il bit 1 della parte intera della mantissa non è riportato.
tabella 1.13
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
0 0111 1111 000 0000 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
12 Si calcoli il numero decimale del dato binario memorizzato riportato nella tabella 1.14 .
tabella 1.14
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
1 10000110 110 0110 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
13 Si calcoli il numero decimale del dato binario memorizzato riportato nella tabella 1.15 .
tabella 1.15
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
1 10000010 010 0100 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
Test di verifica
■ Individua la risposta corretta tra quelle propo- 6. Quanto vale il peso del digit 1 nel numero
ste. binario 1 0 0 0?
...........................................................................
1. Il sistema di numerazione binario: ...........................................................................
❑ permette una semplilcazione della numerazione; 7. Che cosa fornisce come somma e riporto
❑ permette la scrittura dei numeri per il PC; l’addizione di 1 + 1 in binario?
❑ ha base due e quindi utilizza solo due cifre; ...........................................................................
❑ è un sistema di numerazione non pesato. ...........................................................................
8. Quale segno numerico indica il digit 1 per la
2. La moltiplicazione tra due numeri binari a 3 numerazione binaria?
cifre ha come risultato massimo:
❑ 4 cifre; ❑ 6 cifre; 9. Come si ottiene il complemento a 2 di un
❑ 5 cifre; ❑ 7 cifre. numero binario?
...........................................................................
3. Nel sistema di numerazione esadecimale la ...........................................................................
cifra più grande è: 10. Con quanti bit si rappresenta la differenza tra
❑ 8; ❑ F; la parola Word e la parola Byte?
❑ E; ❑ H. ...........................................................................
...........................................................................
4. La parola Word è costituita da: 11. Con quante cifre diverse si rappresenta il
❑ 4 bit; ❑ 16 bit; sistema di numerazione esadecimale?
❑ 8 bit; ❑ 32 bit. ...........................................................................
...........................................................................
5. Nel sistema di numerazione binaria la somma 12. Per quale motivo si utilizza il sistema di nume-
di 1 + 1 + 1: razione esadecimale?
❑ non è possibile; ...........................................................................
❑ fornisce la somma 0 e il riporto 1; ...........................................................................
❑ fornisce la somma 1 e il riporto 0; 13. Il sistema di numerazione ottale (base 8) con
❑ fornisce la somma 1 e il riporto 1. quale cifra massima è rappresentato?
...........................................................................
...........................................................................
■ Rispondi alle seguenti domande. 14. Quando l’operazione di sottrazione può esse-
re sostituita dalla operazione di somma?
1. Che cosa indica la base in un sistema di ...........................................................................
numerazione? ...........................................................................
........................................................................... 15. L’uso del complemento a 2 per i numeri binari
........................................................................... negativi quale vantaggio comporta nel sistema
2. Quale è la base del sistema di numerazione di numerazione con segno?
binaria? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 16. Per quale motivo il sistema di numerazione
3. Che cosa indica la posizione in un sistema di binario è utilizzato nei µP?
numerazione pesato? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 17. Quale è la differenza tra la rappresentazione in
4. Come si converte la parte frazionaria del virgola mobile e virgola fissa?
numero decimale in binario? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 18. Per quale motivo la rappresentazione di nume-
5. Con quali pesi si rappresenta la parte fraziona- ri in virgola mobile è più precisa rispetto a
ria in un sistema di numerazione binaria? quella in virgola fissa?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
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Unità
1Sistemi di numerazione 19
esercizi proposti
1. Si trasformino in binario i numeri decimali 1 500 e 6. Trasformare in decimale i seguenti numeri esade-
180,61. cimali FFh e BAC0h.
2. Si trasformino in decimale i numeri binari 1001100 7. Si trasformino in binario e poi in decimale i nume-
e 1110,11. ri esadecimali AAh e ABCDh.
5. Si trasformino in esadecimale i numeri decima- 11. Si calcoli, in virgola mobile a semplice precisione, il
li 7 777 e 555. numero binario del numero decimale −66,25.
12. Si calcoli il numero decimale del dato memorizzato in virgola mobile a semplice precisione riportato nella
tabella 1.16 .
tabella 1.16
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 01111110 100 0001 1111 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
13. Si calcoli il numero decimale del dato memorizzato in virgola mobile a semplice precisione riportato nella
tabella 1.17 .
tabella 1.17
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 01111100 111 0001 0000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
14. Si calcoli il numero decimale del dato memorizzato in virgola mobile a semplice precisione riportato nella
tabella 1.18 .
tabella 1.18
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 01111101 101 1000 0000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
tabella 1.19
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 00001111 100 0001 0000 1111 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
■ I relè
Prima dell’uso delle valvole termoioniche, erano utilizzati, nella costruzione degli elabora-
tori, dei componenti elettromeccanici detti relè. Un relè è un dispositivo realizzato con una
bobina (costituita da filo di rame smaltato, avvolto su un rocchetto di materiale isolante) e
da una serie di contatti elettrici che si chiudono quando alla bobina è applicata una oppor-
tuna tensione (vedere per maggiori dettagli il Modulo 3, Unità 6, paragrafo 6.1). Nella
figura 2.2 è schematizzato un relè con due contatti elettrici NA (Normalmente Aperto) e NC
(Normalmente Chiuso) ed è mostrata una sua foto. Se la bobina viene eccitata con una
opportuna tensione, si apre il contatto NC÷COM e si chiude quello NA÷COM; se si toglie
l’alimentazione alla bobina si torna alla situazione di riposo. In altri termini il contatto COM
(Comune) viene collegato con NA se la bobina è eccitata o con NC se non eccitata.
L’utilizzazione dei contatti elettrici dei relè permette di associare a ciascun contatto due
stati possibili:
◗ bobina non eccitata contatto NA÷COM aperto: non scorre corrente nel circuito collegato
ai contatti; a questo stato può essere fatto corrispondere convenzionalmente uno 0 logi-
co detto anche livello basso L (Low);
◗ bobina eccitata contatto NA÷COM chiuso: scorre corrente nel circuito, a questo stato può
essere fatto corrispondere un 1 logico detto anche livello alto H (High).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
22
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
■ Le valvole termoioniche
Una valvola termoionica può essere assimilata a un bulbo di vetro dal quale è stata estrat-
ta l’aria ed entro il quale sono posti alcuni elettrodi metallici e un filamento, simile a
quello delle lampadine, che, quando è portato all’incandescenza, emette elettroni. Per
facilitare l’emissione degli elettroni, il filamento è rivestito da particolari ossidi metallici ed
è denominato catodo.
Il funzionamento del dispositivo è legato essenzialmente all’emissione di elettroni da par-
te del catodo e all’azione che esercitano su di essi gli elettrodi, posti all’interno della val-
vola, polarizzati con opportune tensioni.
Nella figura 2.3 è rappresentata una valvola e, accanto a essa, un’altra a cui è stato rimosso
l’involucro di vetro per mostrare gli elettrodi presenti al suo interno. I tubi a vuoto raffi-
gurati, sono una versione più recente rispetto a quelli usati nei primi computer (di dimen-
sioni più grandi).
Una valvola, può essere utilizzata come amplificatrice di segnali o come interruttore elet-
tronico. Nel primo caso, inserita in un opportuno circuito, è in grado di amplificare l’am-
piezza (o la potenza) di un segnale elettrico.
Come interruttore, opportunamente comandata (con un segnale elettrico), può interrom-
pere la corrente che scorre in un circuito (così come un relè).
È proprio con questa modalità di funzionamento che la valvola è stata introdotta negli
elaboratori elettronici costruiti intorno al 1940.
figura 2.3
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 23
■ I transistor
Gli elaboratori elettronici che furono realizzati con le valvole erano di dimensioni enormi
e necessitavano di una notevole energia elettrica per poter funzionare. Solo dopo la rea-
lizzazione del transistore bipolare (avvenuta nel 1947) e utilizzato negli elaboratori nel 1955
i sistemi di elaborazione assumono dimensioni più compatte e necessitano per il funzio-
namento di un minor quantitativo di energia (figura 2.4).
Il principio di funzionamento del transistore bipolare (Æ Modulo 3, Unità 6, paragrafo 6.2)
detto anche BJT (Bipolar Junction Transistor), è legato al flusso di cariche elettriche all’interno
di un sottile pezzo di silicio opportunamente trattato (all’interno del silicio vengono inseriti
atomi di materiali diversi come il fosforo, l’arsenico, il boro, l’indio o altri elementi). Esternamente
un BJT ha tre elettrodi a cui vengono applicate opportune tensioni di polarizzazione. I primi
transistor erano al germanio e non al silicio. Nella figura 2.4 è rappresentato un vecchio tran-
sistore al germanio (OC72) e un altro, sempre al germanio, a cui è stato tolto l’involucro.
Accanto è mostrata la giunzione ingrandita. Si nota la lamina di nichel che sorregge un sottile
disco di germanio, detto wafer, sulle due facce del quale sono state fatte fondere delle picco-
le palline di indio. Sulle zone di fusione sono posti i contatti (che fanno capo agli elettrodi
esterni). Il tipo di giunzione del BJT rappresentato è detto alloy-junction (giunzione per lega)
e, storicamente, è il secondo tipo di giunzione sviluppato. Il primo tipo di giunzione realizza-
to fu la grown-junction (giunzione ad accrescimento). In realtà il primo transistor sviluppato
nel 1947 nei laboratori della Bell non era a giunzione, ma a punte di contatto (point contact
transistor), realizzato con sottili fili d’oro, posti a contatto con una lamina di germanio.
lamina di
nichel
germanio
indio
germanio indio
lamina
di nichel
figura 2.4
I primi esemplari del BJT OC72 furono introdotti sul mercato intorno all’anno 1955.
Così come la valvola, il transistor può essere utilizzato come amplificatore di segnali o
come interruttore elettronico.
Il reticolo posto sotto la foto nella parte alta della figura 2.4 ha i quadratini pari a 2,54 mm
di lato. Questo fa capire che le dimensioni della giunzione, nel transistor raffigurato, sono
abbastanza grandi (il wafer ha il diametro di circa 1,5 mm, ovvero una superficie di circa
1,7 mm2 ). Negli anni successivi la tecnologia impiegata per la realizzazione dei transistor
diviene più raffinata e si inizia a pensare di inserire su un unico substrato di semicondut-
tore più componenti collegati tra loro.
Con l’uso dei transistor diviene semplice realizzare le porte logiche, ovvero i circuiti elet-
tronici che implementano le funzioni logiche (AND, OR, NOT, NAND, NOR, ecc.) e ope-
rano con l’algebra di Boole (che utilizza i soli due simboli logici 0 e 1).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
24
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
■ I circuiti integrati
Un notevole impulso alla costruzione degli elaboratori elettronici viene dato dallo studio
e realizzazione dei primi circuiti integrati.
L’idea di inserire su un’unica piastrina di semiconduttore più transistor fu brevettata nel
1949 dal tedesco W. Jacobi. Nel 1958 J. Kilby (che lavorava presso la Texas Instruments),
realizzò un primo circuito funzionante, integrando su una piastrina di semiconduttore
(detta chip), alcuni transistor, collegati opportunamente tra loro. Nella sua realizzazione
Kilby utilizzò un chip di germanio. Nello stesso periodo ma indipendentemente, R. Noyce
(presso la Fairchild Semiconductor), realizzava a sua volta un circuito monolitico utilizzan-
do un substrato di silicio.
I circuiti integrati sono ottenuti integrando su un unico strato di semiconduttore (inizial-
mente germanio, poi silicio) transitori e altri componenti (diodi, resistori, condensatori)
con i relativi collegamenti, realizzando così completi circuiti elettronici che possono svol-
gere le stesse funzioni degli analoghi circuiti discreti (ovvero con i componenti collegati
tra loro con dei fili o delle piste di rame, se posti su una basetta).
La piastrina di semiconduttore, sulla quale sono integrati i vari componenti, viene spesso
chiamata chip o die.
Nel corso degli anni ’60, i BJT presenti su un integrato assumono tipicamente la dimen-
sione di circa 0,03 mm2 (50 mil2) ben inferiore a quella del transistor di figura 2.4 (1,7 mm2).
Su un chip con superficie pari a 1,6 mm2 (2500 mil2) vengono integrati circa 50 compo-
nenti. I chip, con un numero di componenti integrati inferiore a 100, vengono definiti a
bassa scala d’integrazione SSI (Small Scale Integration).
Con questa scala d’integrazione sono realizzati i primi circuiti logici contenenti un certo
numero di porte logiche AND, NAND, OR, NOR (a due o più ingressi) e NOT.
Sempre nel corso degli anni ’60 con chip di 15 mm2 si passa alla media scala di integra-
zione MSI (Medium Scale Integration), con un numero di componenti tra 100 e 1000
(ovvero che possono contenere un numero massimo di porte logiche pari a un centinaio).
Alla fine degli anni ’60 inizio anni ’70 si ha una larga scala di integrazione LSI (Large Scale
Integration) con un numero di componenti tra 1000 e 10 000 (e un numero massimo di
porte logiche pari al migliaio).
Un grande impulso all’aumento dei componenti posti sui chip è dato dalla scoperta (nei
primi anni ’60) di un tipo di transistor realizzato con tecnologia diversa da quella bipolare
(BJT), detto MOSFET (Metal-Oxide Semiconductor Field-Effect Transistor) o più semplice-
mente MOS. Un MOSFET occupa sul die un’area circa 10 volte più piccola del transistor
bipolare (per esempio 0,003 mm2 contro i 0,03 mm2 del BJT), permettendo quindi una più
grande scala d’integrazione.
L’utilizzazione dei MOS nella realizzazione degli integrati diviene fondamentale per la
costruzione di molti dispositivi relativi ai sistemi di calcolo.
◗ Le memorie RAM (a lettura e scrittura), realizzate precedentemente con i BJT, possono
memorizzare un numero maggiore di bit (16 000 bit nel 1973).
◗ Le memorie a sola lettura ROM, programmabili solo in fase di produzione, introdotte nel
1965 con tecnologia a BJT, aumentano la capacità di memorizzazione e, con successivi
sviluppi, vengono affiancate dalle PROM (memorie a sola lettura programmabili dall’uten-
te), e nel 1971 dalle EPROM (memorie a sola lettura programmabili e cancellabili con i
raggi ultravioletti).
◗ Nel 1971 nei laboratori della INTEL, un gruppo di lavoro, tra cui è presente l’italiano
Faggin, realizza il primo microprocessore (con parola a 4 bit). Su un chip di 12 mm2
vengono integrati circa 2500 transistor MOS. I segnali vengono portati verso l’esterno
attraverso 16 pin. L’Intel 4004 (così viene chiamato il dispositivo), è la prima CPU (Cen-
tral Processing Unit) completa disponibile commercialmente. È realizzata con un proces-
so di produzione di 10 mm (1 micron = 1/1000 di mm). Frequenza del clock 740 kHz.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 25
◗ Nel 1972 viene prodotto, sotto la supervisione di Faggin, il microprocessore Intel 8008 a
8 bit con frequenza massima del segnale di clock pari a 800 kHz e con contenitore a
18 pin.
◗ Nel 1974, con tecnologia di processo a 6 mm l’Intel produce l’8080.
Nella figura 2.5 è raffigurato il chip di una me-
moria EPROM con capacità di memorizzazione
pari a 2k × 8 bit di tipo NMOS (2716) prodotta
nel 1977. Il die ha una superficie di circa
15 mm2. Sono visibili nella figura i sottili fili per
il collegamento del chip con i piedini esterni.
Si è ormai entrati nell’era dei sistemi integrati
con un numero sempre crescente di compo-
nenti presenti sui chip. Le scale di integrazione
diventano VLSI (Very Large Scale Integration)
con un numero di componenti tra centomila e
un milione e poi ULSI (Ultra Large Scale
Integration) con oltre un milione di componen-
ti integrati.
Le porte logiche AND e OR operano con due o più ingressi e un’uscita. La porta NOT con
un ingresso e un’uscita.
Con le porte logiche (AND, OR, NAND, ecc.) possono essere create reti logiche di vario
tipo in modo da sintetizzare funzioni logiche o aritmetiche più o meno complesse.
In un circuito logico in genere sono da evidenziare uno o più terminali d’ingresso e una o più
uscite. Agli ingressi sono applicati i livelli logici (0 o 1) e le uscite assumono anch’esse valori
Si vuole qui illustrare come sia possibile realizzare una rete logica in grado di eseguire
una serie di diverse funzioni (logiche o matematiche), al variare di un codice (binario)
posto su alcuni ingressi della rete stessa.
Si prendano in esame le porte logiche AND, OR e NOT (che si trovano alla base di tutti i
circuiti logici) osservando la loro rappresentazione grafica e le tabelle della verità di cia-
scuna di esse ( figura 2.7 ).
figura 2.7
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 27
La tabella della verità mette in relazione i livelli assunti dagli ingressi di una porta con il
livello che si ha in uscita in base alla funzione logica svolta dalla porta stessa.
Le espressioni delle funzioni logiche delle tre porte sono:
–
◗ NOT: Y = A il livello d’uscita della porta è l’inverso di quello d’ingresso (se l’ingresso ha
un livello alto l’uscita si porta a livello basso
e viceversa).
◗ AND: Y = A ⋅ B o anche Y = A B (prodot-
to logico); come si può osservare dalla
tabella della verità l’uscita si porta a livel-
lo alto solamente quando ambedue gli
ingressi sono alti.
◗ OR: Y = A + B (somma logica); l’uscita si
porta a livello alto quando almeno uno
degli ingressi è alto.
Dalle porte AND e OR si ottengono imme-
figura 2.8
diatamente altre due porte logiche NAND
e NOR, collegando alla loro uscita una NOT.
Nella figura 2.8 sono rappresentate le due porte con la relativa tabella della verità.
figura 2.9
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
28
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
La funzione logica U = AC + AB + BC è stata ottenuta dalla tabella della verità con op-
portuni metodi di minimizzazione. La rete logica può essere disegnata partendo diretta-
mente dalla tabella della verità con il programma di simulazione Multisim (Æ Modulo 4,
Unità 2, paragrafo 2.3.1).
Nel semplice esempio possono essere eseguite solamente due diverse operazioni (logiche),
ma, se portiamo a due le linee del codice, è già possibile eseguire sul dato, quattro
operazioni diverse.
Nella tabella 2.1, per esempio, si eseguono le operazioni AND, OR, NAND, NOR con un
dato sempre di due bit, ma con un codice di due bit (2n operazioni diverse, con n = 2 c’è
la possibilità di eseguire quattro operazioni).
tabella 2.1
Linee codice Linee dato
A B C D U
0 0 0 0 0
A
0 0 0 1 0
N
0 0 1 0 0
D
0 0 1 1 1
0 1 0 0 1
N
0 1 0 1 0
O
0 1 1 0 0
R
0 1 1 1 0
1 0 0 0 0
1 0 0 1 1 O
1 0 1 0 1 R
1 0 1 1 1
1 1 0 0 1
N
1 1 0 1 1 A
1 1 1 0 1 N
D
1 1 1 1 0
Si può affermare quindi, che aumentando il numero di bit del codice diviene sempre
maggiore il numero di operazioni diverse che possono essere effettuate. Per esempio, con
un codice a otto bit si possono eseguire 256 (28) operazioni diverse. Possono poi essere
aumentate anche le linee dei dati operando quindi su parole con maggior numero di bit.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 29
figura 2.10
Si tenga presente che con le reti logiche possono essere realizzati anche sistemi che ese-
guono operazioni aritmetiche (somma, sottrazione, ecc. vedere nella sezione digitale
Modulo 1, Unità 2 un sommatore) e pertanto, è possibile realizzare sistemi che, attraverso
dei codici di comando, eseguono sia operazioni logiche che aritmetiche.
L’ALU nella struttura dei calcolatori, come elemento di calcolo, fu introdotta per la prima
volta intorno all’anno 1945, dal matematico John von Neuman, e applicata successivamen-
te nella costruzione dell’elaboratore EDSAC (Electronic Delay Storage Automatic Calculator)
in Inghilterra (terminata nel 1949) e
dell’EDVAC (Electronic Discrete
Variable Automatic Calculator) negli
Stati Uniti (terminata nel 1952).
L’architettura di von Neuman (che
comprende tra l’altro l’ALU), è quel-
la poi adottata nei moderni elabora-
tori.
Al crescere delle operazioni a cui è
preposta l’ALU, aumenta la comples-
sità della rete logica. Per questo, nor-
malmente, per realizzare l’ALU, si
esegue uno schema di progettazione
modulare come quello riportato in
figura 2.11.
figura 2.11
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
30
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Una serie di blocchi eseguono ciascuno un’operazione (logica o aritmetica). Solo un risul-
tato alla volta delle operazioni eseguite (scelto in base al codice) viene posto in uscita per
mezzo di un circuito logico detto multiplexer.
Nel sistema della figura 2.11 le quattro funzioni logiche (AND, NAND, OR e NOR) sono
svolte dalle rispettive quattro porte logiche al cui ingresso, in parallelo, sono inviati i due
bit di dati. Le uscite delle quatto porte, confluiscono nel multiplexer, che in base al codi-
ce posto sugli ingressi A e B, invia all’uscita U, solo quello di una delle porte. Anche il
multiplexer è realizzato con una rete logica.
Nella sezione digitale del corso viene proposto un esempio con sommatore a due bit
(Modulo 1, Unità 2).
Nello studio dei sistemi è necessario identificare i loro elementi fondamentali e le azioni
che intercorrono tra essi, in altre parole individuare le grandezze, suscettibili di modifiche,
direttamente o indirettamente, definite variabili del sistema.
Tali variabili sono suddivise in:
◗ variabili d’ingresso I0, I1, ... (sono le sollecitazioni che possono essere variate direttamen-
te dall’intervento dell’uomo);
◗ variabili che rappresentano i disturbi N0, N1, ... (sollecitazioni non manipolabili);
◗ variabili d’uscita U0, U1, ... (sono le azioni che il sistema esercita sull’ambiente);
◗ variabili di stato Q0, Q1, ... (o variabili interne, sono le grandezze che descrivono l’evo-
luzione interna del sistema e contengono informazioni sulla sua storia passata e consen-
tono di determinarne gli stati futuri).
Sistemi logici combinatori - Se in una rete i livelli logici assunti dalle uscite in un
certo istante dipendono solamente dai livelli presenti sugli ingressi del sistema in
quell’istante, il circuito è detto combinatorio.
Gli otto interruttori possono fornire al sistema 256 (28) combinazioni da 0000 0000 (tutti
livelli bassi) a 1111 1111 (tutti livelli alti). Una sola delle combinazioni è in grado di sbloc-
care la serratura e accendere il LED verde. Le altre 255 combinazioni mantengono il LED
rosso acceso e la serratura bloccata (figura 2.12).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 31
figura 2.12
Il sistema è combinatorio perché le uscite sono attivate o disattivate tenendo conto solo
della combinazione che hanno gli interruttori, posti in ingresso, in un certo istante.
Sistemi logici sequenziali - Sono definiti sistemi sequenziali (o con memoria) quei
sistemi in cui i valori assunti dalle variabili d’uscita, all’istante generico ti, dipendono
dalla storia passata del sistema e non possono essere determinati conoscendo solamen-
te il valore assunto dalle variabili d’ingresso in quell’istante.
Nei sistemi sequenziali quindi, i valori assunti dalle variabili d’uscita in un certo istante
non possono essere determinati conoscendo solamente il valore assunto dalle variabili
d’ingresso in quell’istante poiché dipendono anche dalla storia passata del sistema. Nelle
reti sequenziali debbono essere presenti elementi di memoria che tengano conto dei
precedenti stati della rete.
Nella figura 2.13 sono rappresentate schematicamente una rete combinatoria e una rete
sequenziale. In quest’ultima sono evidenziati gli elementi di memoria. Si tenga presente
che generalmente gli elementi di memoria sono dei circuiti sequenziali detti flip-flop
(www.auladigitale.rcs.it, Modulo 1, Unità 2).
È da notare che le uscite delle memorie diventano altri ingressi (Q0÷Qp), considerati come
ingressi interni della rete combinatoria.
figura 2.13
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
32
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
figura 2.14
Si aggiunga agli otto interruttori un pulsante (P) in ingresso che fornisce al sistema un
livello alto ogni volta che viene premuto. La combinazione impostata sugli interruttori è
letta dal sistema solo quando viene premuto il pulsante.
Il sistema, inoltre, dopo aver letto la combinazione, se essa risulta errata, accetta ancora
un’altra combinazione e, se esatta sblocca il sistema di apertura della serratura (Us a li-
vello alto), altrimenti blocca la possibilità di altre letture per un periodo di tempo predeter-
minato (figura 2.14).
L’aggiunta del pulsante è resa necessaria perché altrimenti il sistema acquisirebbe la com-
binazione ogni volta che si aziona un interruttore.
Il timer serve per ritardare l’introduzione di una nuova combinazione, dopo che ne sono
state introdotte due errate.
In questo caso il sistema per lo sblocco dell’apertura non può più essere combinato-
rio perché, se la combinazione impostata non è corretta, esso deve ricordare che è
stata già impostata una combinazione, per poter bloccare poi l’apertura se anche la
successiva è errata.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 33
Deve quindi essere implementato un sistema a logica sequenziale con elementi di memoria,
che memorizzino il numero di combinazioni errate impostate.
■ Distributore di bevande
Si consideri come semplice esempio di rete sequenziale un distributore di bevande auto-
matico. Per non rendere complesso il sistema si fanno le seguenti ipotesi semplificative:
◗ viene distribuita una lattina di un solo tipo di bevanda;
◗ la lattina viene rilasciata dopo aver inserito nella macchina una moneta del valore ri-
chiesto e dopo aver premuto un pulsante che fornisce al sistema un segnale di valore alto;
◗ il controllo del valore esatto della moneta è affidato a un meccanismo separato che, quando
il valore della moneta corrisponde a quello desiderato, fornisce al sistema un segnale logico
a livello alto per tornare poi a livello basso dopo 1 secondo (figura 2.15);
figura 2.15
Nel sistema sono presenti due ingressi (M moneta e P pulsante) e una sola uscita (B be-
vanda). Si possono quindi definire le seguenti variabili ( tabella 2.2 ):
Introducendo la moneta, una volta che ne è stato riscontrato il valore esatto, il meccanismo di
riconoscimento monete porta alto l’ingresso M per 1 secondo. Il sistema rimane quindi in atte-
sa che venga premuto il pulsante, avendo memorizzato l’introduzione della moneta. Se l’utente
che ha introdotto la moneta si allontana non avendo premuto il pulsante, un altro utente può
ricevere la bevanda senza introdurre un’altra moneta, premendo semplicemente il pulsante.
In questo caso il sistema per il rilascio della bevanda non può essere combinatorio,
perché deve essere in grado di memorizzare l’avvenuta introduzione della moneta.
■ Distributore di bevande
Si riprenda l’esempio del distributore di bevande e si compili la tabella 3.1.
tabella 3.1 Ingresso M= 0 Moneta non introdotta
M= 1 Moneta introdotta
P =0 Pulsante non premuto
P =1 Pulsante premuto
Uscita B =0 Bevanda non rilasciata
B =1 Bevanda rilasciata
Come è possibile vedere dal grafo di flusso (o dalla tabella degli stati), il sistema si porta
dallo stato S0 a quello S1 quando si introduce la moneta (ingresso M = 1 e P = 0) e, solo
quando si preme il pulsante (ingresso P = 1), il sistema si porta allo stato S2 ed eroga la
bevanda (uscita B = 1). Esso poi torna allo stato iniziale con M = 0 e P = 0.
Come è possibile osservare dalla tabella 3.2, si è scelto, in modo del tutto arbitrario, di
mantenere il sistema allo stato in cui si trova nel caso che gli ingressi assumano la confi-
gurazione non utilizzata P = 1 e M = 1
◗ Inizialmente il sistema si trova in uno stato iniziale (S0) in cui è in attesa che venga pre-
muto il pulsante e la serratura è bloccata (Us = 0).
◗ Nel momento in cui viene premuto il pulsante (P = 1):
1. se la combinazione è errata (C = 0) il sistema passa allo stato (S1) e la serratura è
mantenuta bloccata (Us = 0).
2. se la combinazione è esatta (C = 1), il sistema passa allo stato (S2) e sblocca la serra-
tura (uscita Us = 1).
◗ Nello stato S1 il sistema rimane in attesa che il pulsante venga rilasciato e diventi P = 0.
Poi si porta nello stato S3.
◗ Il sistema rimane nello stato S3 in attesa che l’utente, non sbloccandosi la serratura, di-
giti una nuova combinazione e poi prema il pulsante (P = 1):
1. se la combinazione è errata (C = 0) il sistema passa allo stato (S5) e la serratura è
mantenuta bloccata (Us = 0).
2. se la combinazione è esatta (C = 1), il sistema passa allo stato (S2) e sblocca la serra-
tura (uscita Us = 1).
◗ Nello stato S2 il sistema attende che l’utente, dopo aver aperto la cassaforte, la richiuda
e poi imposti una combinazione errata (C = 0) e quindi prema di nuovo il pulsante (P = 1).
Con P = 1 e C = 0, il sistema si porta nello stato S4 in attesa che il pulsante venga rila-
sciato e diventi P = 0. Quindi ritorna allo stato iniziale (S0) pronto per cominciare un
nuovo ciclo. Se non viene impostata una combinazione errata e non viene premuto il
pulsante, il sistema rimane nello stato S2.
◗ Nello stato S5 il sistema rimane in attesa che termini il tempo di ritardo impostato nel
timer (per impedire che venga introdotta una nuova combinazione), dopo di che si ri-
porta allo stato iniziale (S0) pronto per cominciare un nuovo ciclo.
È necessario introdurre lo stato S1 per evitare che il sistema con il pulsante ancora premuto
(P = 1), si porti allo stato S3 e subito dopo (essendo ancora P = 1 e C = 0) in S5, rendendo
impossibile l’introduzione di una nuova combinazione. Lo stesso dicasi per lo stato S4.
Si tenga presente che il passaggio da uno stato all’altro è legato alla frequenza del segna-
le di clock applicato al sistema. Per esempio con un clock a f = 10 Hz (con periodo
T = 1/f = 0.1 s), il passaggio da uno stato all’altro avviene con questo intervallo di tempo.
Nella figura 3.2 è rappresentato il grafo di flusso del sistema.
figura 3.2
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 37
Un sistema logico sequenziale, se risponde alle ipotesi precedentemente fatte, può pertan-
to essere rappresentato con un automa a stati finiti. Si può procedere quindi alla proget-
tazione di una rete logica sequenziale utilizzando la teoria degli automi.
Spesso le evoluzioni nel tempo che compie un sistema sequenziale sono legate a un segnale
impulsivo a esso applicato detto segnale di clock.
figura 3.3
Nella figura 3.2, la scelta fatta nell’attribuire i nomi alle uscite degli elementi di memoria (Q1,
Q2, ... QP) e ai rispettivi ingressi (D0, D1, ... DP), anche se arbitraria, è legata al fatto che, come
si vedrà nel seguito, tali elementi di memoria saranno costituiti da flip-flop di tipo D, o di
tipo T o di tipo J-K. Pertanto, mentre le uscite saranno denominate sempre Q1, Q2, ... QP, gli
ingressi di volta in volta, in base ai flip-flop utilizzati, assumeranno la denominazione D0, D1,
... DP (con flip-flop di tipo D), T0, T1, ... TP (con il tipo T), J0-K0, J1-K1, ... JP -KP (con il tipo J-K).
Inoltre, trattandosi di reti sincrone, gli elementi di memoria (ovvero i flip-flop) saranno pi-
lotati con un opportuno segnale di clock.
Ai due modelli descritti, corrispondono poi anche due diverse rappresentazioni grafiche
realizzate con il diagramma degli stati.
Modello di Moore: all’interno d’ogni cerchio è riportata la configurazione delle variabili
d’uscita corrispondenti allo stato attuale in cui si trova il sistema, e accanto agli archi
orientati il valore che debbono assumere le variabili d’ingresso per portare il sistema
nello stato successivo ( figura 3.4 ). A volte è usato per la rappresentazione un modello
semplificato in cui sono omessi i nomi delle variabili d’ingresso I e di uscita U. È anche
possibile che il sistema non cambi stato per alcuni valori degli ingressi.
figura 3.4
Modello di Mealy: all’interno d’ogni cerchio è riportato il solo simbolo indicante lo stato.
Accanto agli archi orientati invece è posta la configurazione delle variabili d’ingresso che
portano il sistema in un nuovo stato e il valore delle variabili d’uscita corrispondenti allo
stato in cui esso si è portato ( figura 3.5 ).
figura 3.5
esempio 3.1
Si ricavi il grafo di flusso di un automa al cui ingresso sono inviati caratteri di un alfabeto composto dai
soli due caratteri A e R. Il sistema deve essere in grado di attivare una sua uscita se riconosce nei
caratteri ricevuti la stringa ARA.
Per tracciare il diagramma a blocchi dell’automa potrebbe essere presa in considerazione la seguen
te regola: dallo stato iniziale S0 si procede verso lo stato finale, ogni volta che viene riconosciuto un
carattere della sequenza d’ingresso (ARA). Se il carattere successivo a uno corretto è errato, si ritorna
allo stato iniziale. Quando si giunge allo stato S3, l’uscita è portata a livello alto e si ritorna a S0 (sia
che il carattere successivo sia A che R) per iniziare il riconoscimento di una nuova sequenza. Questa
procedura però non tiene conto di percorsi alternativi più brevi che rendono l’automa più efficiente. Si
segua pertanto, per tracciare il diagramma di flusso, la procedura seguente ( figura 3.6 ).
figura 3.6
esempio 3.2
Si ricavi il grafo di flusso di un automa al cui ingresso sono inviati caratteri di un alfabeto composto dai
soli due caratteri A e R. Il sistema deve essere in grado di attivare una sua uscita se riconosce nei
caratteri ricevuti la stringa ARA. L’automa deve essere in grado di riconoscere anche stringhe conca-
tenate.
La modifica da apportare al precedente diagramma è minima.
Nello stato S3, quando si è ricevuto l’ultimo carattere (A) della stringa ARA, poiché esso potrebbe
essere anche il primo carattere della stringa concatenata, se viene ricevuto R ci si deve portare nello
stato S2 (e non in S0) in modo che al successivo carattere (se è A) viene completato il riconoscimen
to della seconda stringa concatenata ( figura 3.7 ).
figura 3.7
esempio 3.3
Si realizzi il diagramma degli stati di un automa di Moore che descriva un sistema (con un solo ingresso
I e una sola uscita U) realizzato con un interruttore connesso all’ingresso I e un Led all’uscita U.
Il sistema deve cambiare stato ogni volta che l’interruttore fornisce un livello che passa dallo stato
basso a quello alto (fronte di salita).
Si tenga presente che, essendo il sistema sincrono, le variazioni di livello che avvengono sull’ingresso
influenzano le uscite degli elementi di memoria (variabili di stato) solamente con l’arrivo del segnale di
clock.
Sia S1 lo stato iniziale in cui si presuppone che l’uscita si trovi a livello basso (LED spento).
Il diagramma degli stati del sistema descritto è riportato nella figura 3.8.
Essendo presenti nel sistema 4 stati, esso ha 2 variabili di stato (Q1 e Q0).
Lo stesso sistema può essere descritto con l’automa di Mealy ottenendo il diagramma riportato in
▼
figura 3.9 .
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I=0 I=0
U=0
S1
S1 I=1
U=0 I=0 U=1
I=0 I=1 U=0
I=1 I=1
I=1 I=1 U=0 U=1
S4 S2
S4 S2
U=0 U=1
I=0 I=0
figura 3.8 figura 3.9 U=1
Stato Q1 Q0 U I
Stato di partenza
0 1
S1 0 0 0
S2 0 1 1 S1 [0 0] ⇒ S1 [0 0] S2 [0 1]
S3 1 1 1 S2 [0 1] ⇒ S3 [1 1] S2 [0 1]
S4 1 0 0 S3 [1 1] ⇒ S3 [1 1] S4 [1 0]
Stato Q1 Q0 I
Stato di
partenza 0 1
S1 0 0
S2 0 1 S1 [0 0] ⇒ S1/0 S2/1
S3 1 1 S2 [0 1] ⇒ S3/1 S2/1
S4 1 0 S3 [1 1] ⇒ S3/1 S4/0
S4 [1 0] ⇒ S1/0 S4/0
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42
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
esempio 3.4
Si voglia realizzare un sistema digitale che effettui il controllo di un dispositivo elettromeccanico come
quello illustrato nella figura 3.10. Questo sistema è costituito da un asse (vite senza fine), posto in ro-
tazione da un motore; su esso si muove una chiocciola che può variare il senso di marcia facendo
ruotare il motore nel verso opposto a quello precedente. In prossimità delle due estremità dell’asse
sono posti due switch di fine corsa azionati dalla chiocciola. I fine corsa forniscono in condizione di
riposo un livello basso e, quando attivati, un livello alto.
Il sistema di controllo deve essere in grado di variare il verso di marcia della chiocciola, invertendo il
senso di rotazione del motore, ogni volta che essa giunge su una delle estremità dell’asse e aziona il
corrispondente fine corsa (SW1 o SW2).
CHIOCCIOLA
SW1 SW2
figura 3.10
Per invertire il senso di marcia del motore, che si suppone sia in corrente continua, si deve invertire la
polarità di alimentazione dell’armatura.
La rete logica da realizzare deve quindi avere un’uscita (U) che alimenta un relè (per l’inversione dell’ali
mentazione) e due ingressi (I1 e I2) collegati agli switch.
Le caratteristiche che deve avere il sistema logico possono così essere descritte:
◗ si supponga che la chiocciola si trovi in movimento verso lo switch SW1 quando l’uscita U della
rete logica si trova a livello basso e verso lo switch SW2 con U a livello alto.
◗ Durante il movimento della chiocciola lungo l’asse in un verso o nell’altro i due fine corsa danno
livelli bassi (I1 = 0 e I2 = 0).
◗ Quando la chiocciola aziona il fine corsa SW1 esso fornisce un livello alto (I1 = 1) fin quando, inver
tendo il verso del movimento, la chiocciola non rilascia lo switch.
◗ Quando la chiocciola aziona il fine corsa SW2 esso fornisce un
livello alto (I2 = 1) fin quando, invertendo il verso del movimento,
la chiocciola non rilascia lo switch.
◗ Gli switch SW1 e SW2 non possono mai fornire contemporanea
mente livello alto.
figura 3.11
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 43
Il sistema con due stati, il primo con uscita U = 0 e il secondo con U = 1, si porta dallo stato S1 allo
stato S2 solamente quando I1 = 1 e I2 = 0 (è attivo SW1) e dallo stato S2 a S1 con I1 = 0 e I2 = 1
(attivo SW2). Per tutte le altre combinazioni degli ingressi il sistema rimane negli stati in cui si trova.
È stata presa in considerazione anche la combinazione degli ingressi I1 = 1 e I2 = 1 (che non si può
avere) ponendo anche per tale condizione la permanenza del sistema nello stato attuale.
Stato Q I2 I1
U Stato di
partenza 00 01 11 10
S1 1 1
S2 0 1 S1 [0] ⇒ S1[0] S2[1] S1[0] S1[0]
S2 [1] ⇒ S2[1] S2[1] S2[1] S1[0]
esempio 3.5
In un garage dei Vigili del Fuoco, che si affaccia su una strada con traffico di autoveicoli, è presente
un automezzo. Quando questo deve uscire, dirigendosi verso l’uscita, attiva la fotocellula F1. due
semafori con luce verde e rossa sono posti sulla strada e un altro all’uscita del garage. Con l’attiva-
zione della fotocellula F1 i semafori sulla strada passano dal verde al rosso e quello sull’uscita del
garage dal rosso al verde.
Una seconda fotocellula, posta sull’uscita del garage, intercetta l’autoveicolo e segnala quando esso
è completamente uscito in modo da ripristinare lo stato iniziale dei semafori ( figura 3.12 ).
Si può rappresentare il sistema con due ingressi (F1 e F2) e un’uscita U che controlla tutti i semafori.
La tabella 3.10 mette in relazione lo stato del veicolo in funzione dei livelli delle due fotocellule.
tabella 3.10
figura 3.12
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44
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
F2 = 0
F1 = 0
F2 = 1 S0 F2 = 1 U
F1 = 0 F1 = 1
impossibile U=0 impossibile
F2 = 0
figura 3.14
F2 = 0 F1 = 1
F1 = 0
veicolo veicolo in
uscito movimento
F2 = 1 F2 = 1 tabella 3.11
F1 = 0 S1 F1 = 1
veicolo in U =1 veicolo in
uscita uscita U Semafori stradali Semaforo interno
F2 = 0
F1 = 1
veicolo in 0 Verde Rosso
figura 3.13 movimento
1 Rosso Verde
Si fa la seguente ipotesi: l’automezzo rientra nel garage da una porta tabella 3.12
posteriore.
Essendo presenti nel sistema solamente due stati si avrà la variabile di Stato Q U
stato Q che verrà associata in modo arbitrario con i singoli stati come
S0 1 1
illustrato nella tabella 3.12 .
S1 0 0
Partendo dal diagramma degli stati si ricava la tabella di transizione degli stati ( tabella 3.13 ).
Accanto agli stati, tra parentesi quadre, è riportato anche il livello che assume la variabile di stato. La
seconda parte della tabella, che può anche non essere scritta, riporta i soli valori della variabile
di stato.
tabella 3.13
Stato di F2 F1 F2 F1
partenza Q(t)
00 01 11 10 00 01 11 10
esempio 3.6
Un’autorimessa dispone di due posti per autovetture. Il controllo delle autovetture in ingresso è fatto con
una fotocellula F2 e quello in uscita con la fotocellula F1 secondo le specifiche della tabella 3.14.
L’ingresso delle autovetture nell’autorimessa è controllato da un semaforo con luce verde (posti di-
sponibili) e luce rossa (posti esauriti).
Inizialmente nel garage non sono presenti vetture. Si deve realizzare un sistema in grado di rilevare le
vetture che entrano e che escono e che accenda il semaforo verde se sono disponibili posti e rosso
se non lo sono.
tabella 3.14 tabella 3.15
F2= 0
Il diagramma degli stati del sistema è rappresentato in
F1= 0 figura 3.16.
F 2= 1 S0 F2= 1
F1= 0 F1= 1
impossibile U =0 impossibile Si deve osservare che il diagramma degli stati propo
garage vuoto garage vuoto sto, soddisfa alle specifiche del progetto solamente se
F2= 1 F2= 0 il segnale fornito dalle fotocellule è sincronizzato con il
F1= 0 F1= 1 clock del sistema e rimane attivo per un periodo di
esce veicolo entra veicolo
tempo non superiore a quello del clock. Se questo non
S1 accade, il sistema si porta subito allo stato successivo.
F2= 1 F2= 0
F1= 1 U=0 F1= 0
Per evitare questo, è necessario dotare ciascuna fo
F2= 1 F 2= 0 tocellula di un circuito di sincronizzazione o elaborare
F1= 0 F1= 1 un diagramma con nuovi stati che permettono l’evo
esce veicolo entra veicolo
luzione del sistema verso il nuovo stato, solamente
S2 quando si disattiva il segnale fornito dalla fotocellula.
F2= 1 F2= 0
F1= 1 U =1 F1= 0 In questa maniera il diagramma diventa sempre più
F2= 0 complesso all’aumentare dei posti macchina di cui è
F1= 1 dotato il garage.
impossibile
garage pieno Nel sistema sono presenti tre stati e pertanto si hanno
due variabili di stato, denominate Q1 e Q0 associate
figura 3.16
arbitrariamente agli stati come nella tabella 3.16 .
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Nella tabella è inserito anche lo stato non utile S3, e si è supposto che da esso il sistema si riporti
allo stato iniziale. Presupponendo che sia verificato quanto premesso, partendo dal diagramma si ri
cava la tavola di transizione degli stati ( tabella 3.17 ).
Nella tabella sono riportati, accanto agli stati, anche i valori assunti dalle variabili di stato (tra parente
si quadre).
Stato Q1 Q0 U Stato di F2 F1
partenza
00 01 11 10
S0 0 0 0
S1 0 1 0 S0 [00] ⇒ S0[00] S1[01] S0[00] S0[00]
S2 1 1 0 S1 [01] ⇒ S1[01] S2[11] S1[01] S0[00]
S3 1 0 1 S2 [11] ⇒ S2[11] S2[11] S2[11] S1[01]
S3 [10] ⇒ S0[00] S0[00] S0[00] S0[00]
esempio 3.7
Attraverso un sistema di controllo, realizzato con due barriere a fotocellula (figura 3.17 ), si deve rileva-
re se le auto in ingresso in un cantiere abbiano lunghezza inferiore o superiore ai 5
metri. Nel caso gli automezzi siano di lunghezza superiore o uguale a 5 metri deve essere aperto un
cancello azionando un motore (M). Per regolare l’ingresso dei mezzi, prima delle barriere con le foto-
cellule, è posto un semaforo (S) che diviene rosso non appena un automezzo impegna la prima bar-
riera (F1) e si spegne quando esso passa oltre la seconda (F2). La chiusura del cancello avviene au-
tomaticamente.
S
M
F1 F2
5m
figura 3.17
Nella tabella 3.18 sono riportate le variazioni dei livelli delle fotocellule in relazione al passaggio dei
veicoli di diversa lunghezza.
tabella 3.18
Lunghezza < 5 m Lunghezza 5m
F1 F2 F1 F2
figura 3.18
Dal grafo di flusso realizzato si risale alla tavola di transizione degli stati.
Nel sistema sono presenti cinque stati e pertanto si hanno tre variabili di stato, denominate Q2,
Q1 e Q0 associate arbitrariamente agli stati come nella tabella 3.19 .
tabella 3.19
Stato Q2 Q1 Q0 M S
S0 0 0 0 0 0
S1 0 0 1 0 1
S2 0 1 0 0 1
S3 0 1 1 1 1
S4 1 0 0 0 1
Nella tabella 3.20 , nella prima colonna, si è indicato lo stato da cui si parte e nelle altre colonne
quello in cui si porta il sistema in base al livello assunto dagli ingressi (F2 e F1). Nella tabella sono
riportati, accanto agli stati, anche i valori assunti dalle variabili di stato (tra parentesi quadre).
Nella tabella 3.20 debbono essere inseriti anche i tre stati non utili S5, S6 e S7. Si è supposto che
da ciascuno di essi il sistema si riporti sempre allo stato iniziale.
tabella 3.20
Stato di F2 F1
partenza
Sx [Q2 Q1 Q0] 00 01 11 10
S0 [0 0 0] ⇒ S0 [0 0 0] S1 [0 0 1] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
S1 [0 0 1] ⇒ S2 [0 1 0] S1 [0 0 1] S3 [0 1 1] S1 [0 0 1]
S2 [0 1 0] ⇒ S2 [0 1 0] S2 [0 1 0] S2 [0 1 0] S4 [1 0 0]
S3 [0 1 1] ⇒ S0 [0 0 0] S3 [0 1 1] S3 [0 1 1] S3 [0 1 1]
S4 [1 0 0] ⇒ S0 [0 0 0] S4 [1 0 0] S4 [1 0 0] S4 [1 0 0]
S5 [1 0 1] ⇒ S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
S6 [1 1 1] ⇒ S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
S7 [1 1 0] ⇒ S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
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Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
3.5.1 Algoritmi
Per realizzare un Automa in genere è necessario prima trovare un algoritmo che tracci
il suo modo di funzionare, attraverso la descrizione di una serie di passi (finiti) che det-
tano le azioni che esso deve via via compiere.
Un algoritmo è, volendone dare una definizione intuitiva, un insieme finito di istruzioni che fissa-
no, passo dopo passo, in modo esatto, le azioni da compiere per la risoluzione di un problema.
Le istruzioni, partendo da quella iniziale, devono essere eseguite per passi successivi e
non deve esserci alcun dubbio su quale di esse debba essere posta in esecuzione suc-
cessivamente. Ad ogni passo dovrà essere possibile determinare, senza incertezze,
l’istruzione da eseguire al passo successivo (determinismo).
Fin dagli anni ’30 si è iniziato a studiare, in modo approfondito, la calcolabilità delle
funzioni. Una funzione può essere considerata calcolabile se esiste un algoritmo (asso-
ciato alla funzione) che permetta, assegnati dei dati di input, di trovare un risultato
corretto, in relazione con la funzione, in un tempo finito.
La parola algoritmo deriva dal nome del matematico e astronomo arabo Muhammad ibn
Mùsã al-Khuwãrizmi (IX sec. d.C. deformato, nella traduzione latina, in Algoritmi).
La rappresentazione di un algoritmo può essere fatta in diversi modi:
◗ con una serie di istruzioni descrittive;
◗ usando uno pseudolinguaggio di programmazione (o pseudo codice);
◗ con un diagramma di flusso.
Uno pseudolinguaggio usa le parole tipiche dei linguaggi ad alto livello (C, C++, Pascal,
Java) per descrivere le singole istruzioni che implementano l’algoritmo, senza peraltro ri-
spettare la sintassi e le regole proprie del linguaggio. Non esiste inoltre alcuna regola che
fissi le parole chiave da utilizzare, né come utilizzarle.
In un diagramma di flusso sono usati dei simboli grafici che hanno un diverso significato
in relazione alla loro forma di rappresentazione (si veda l’esempio 1).
Per illustrare come realizzare un algoritmo si prendono in esame alcuni semplici esempi.
esempio 3.8
Si voglia trovare un algoritmo che implementi le regole per il calcolo della funzione f(n) = 2 + n, ovve-
ro che trovi un metodo per sommare due numeri naturali, di cui uno già assegnato.
La regola che permette di sommare un numero a un altro può essere così riassunta: si prenda il
primo numero e si aggiunga a esso l’unità (1) un numero di volte pari al secondo numero. Se per
esempio è n = 3, si deve aggiungere a 2 (il numero assegnato) tre volte uno (2 + 1 + 1 +1) che dà
come risultato 5.
È ora riportata una semplice descrizione testuale dell’algoritmo che permette di calcolare la funzione
assegnata:
1) si assegna un valore a n (per esempio n = 3);
2) si assegna alla variabile somma il valore 2 (somma = 2);
▼
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 49
3) si assegna alla variabile x il valore di n (3) (x = 3);
4) si aggiunge 1 a somma (si incrementa di uno il valore di somma);
5) si toglie 1 a x (si decrementa di uno il valore di x);
6) se x > 0 si torna al punto 4 altrimenti si prosegue;
7) somma contiene il risultato dell’addizione in quanto, le istruzioni 4 e 5, vengono ripetute per tre
volte, prima che x diventi zero, e quindi, al valore iniziale di somma (2) si aggiunge tre volte 1.
Con uno pseudolinguaggio si ha:
/*funzione f(n) = 2 + n*/
somma = 2 /*a somma si dà il valore iniziale di 2*/
input n /*viene acquisito il valore di n*/
x=n
while x > 0
{
somma = somma + 1 /*ciclo ripetuto 3 volte con n = 3*/
x=x–1
}
output somma /*viene restituito il risultato della somma*/
Osservazioni:
◗ tra la coppia di caratteri /* …. */ sono posti i commenti;
◗ le parole chiave usate nello pseudolinguaggio sono: while (mentre), input, output;
◗ le istruzioni poste tra la coppia di caratteri { …. } sono quelle ripetute fino a quando x > 0.
Nella tabella 3.21 è mostrata la variazione che subisce la variabile x a ogni ciclo.
tabella 3.21
Modifica delle variabili nel ciclo
inizio 1° ciclo 2° ciclo 3° ciclo
x ingresso ciclo 3 x=3 x=2 x=1 x=0
somma 2 +1 +1 +1
somma = 2 somma = 3 somma = 4 somma = 5
x uscita ciclo x=2 x=1 x=0
figura 3.19
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50
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
esempio 3.9
Si voglia trovare un algoritmo che implementi le regole per il calcolo della funzione f(m,n) = m x n,
ovvero che trovi un metodo per eseguire il prodotto di due numeri naturali, da assegnare.
Con un procedimento simile a quello visto, è possibile calcolare anche il prodotto di due numeri.
La modalità che permette di moltiplicare due numeri può essere così riassunta: si prendano per esem
pio i due numeri n = 2 e m = 4.
Il prodotto può essere espresso come somma di quattro volte due:
2 x 4 = 2 + 2 + 2 + 2 (la somma poi è realizzata aggiungendo ogni volta uno al primo addendo):
2+1+1=4
4+1+1=6
6+1+1=8
Quindi utilizzando per la somma il programma del precedente esempio, esso deve essere ripetuto per
tre volte.
Il programma in pseudolinguaggio è:
Osservazioni:
◗ il ciclo interno viene ripetuto 2 volte per ogni ripetizione di quello esterno;
◗ il ciclo esterno viene ripetuto 3 volte.
Associato a ogni macchina c’è un alfabeto Σ{….} contenente un numero finito di sim-
boli. Questo alfabeto è detto a volte alfabeto di input. Ogni cella può contenere un
solo simbolo o essere vuota. Per tenere conto delle celle vuote si introduce un sim-
bolo (arbitrario) che le contraddistingue, per esempio b (per blank), #, ∧, £, D, @, o
anche altri caratteri. In questo testo sarà assunto come simbolo per un cellula vuota
l’asterisco (*).
All’alfabeto di input (Σ{….}) va aggiunto il simbolo di blank (*), ottenendo così il nuo-
vo alfabeto Σb = Σ ∪ * (unione dell’alfabeto di input con il carattere blank), detto a
volte alfabeto esterno o alfabeto di lavoro.
Per operare su una nuova cella la testina deve spostarsi a destra o a sinistra.
Si presuppone che sul nastro, inizialmente siano scritti una serie (finita) di simboli, ap-
partenenti all’alfabeto della macchina, e che le celle, non occupate dai simboli, siano
vuote (blank).
Come esempio si consideri una macchina con alfabeto Σ{0,1}.
Nella figura 3.20 è rappresentata schematicamente una macchina di Turing con tale alfa-
beto.
figura 3.20
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52
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Per convenzione si assume che la testina inizialmente sia ferma sulla prima cella non
vuota sulla parte sinistra del nastro.
Nella macchina rappresentata nella figura 3.20, la testina legge, nella posizione iniziale, il
simbolo 1 e si trova nello stato Q0.
L’insieme dello stato interno (Q0) in cui si trova la macchina e del simbolo letto, costi-
tuiscono la configurazione della macchina (Q0, 1).
A ogni macchina, è associato un programma che essa deve eseguire per effettuare una
determinata procedura di calcolo, utilizzando i simboli scritti sul nastro. Si presuppone
che i simboli siano stati precedentemente posti su di esso.
Seguendo le istruzioni del programma, l’unità di controllo, legge o scrive un simbolo su
una cella, sposta la testina a destra o a sinistra, ed eventualmente, se necessario, cambia
stato.
Quindi alla coppia (Q0, 1) della configurazione deve essere associata l’azione che la
macchina deve svolgere indicata con una terna di valori dati da:
◗ simbolo che deve essere scritto sul nastro (può essere anche lo stesso simbolo letto);
in questo caso nella cella non c’è cambiamento del simbolo;
◗ direzione di spostamento della testina (D o S);
◗ nuovo stato in cui si porta la macchina (può anche non cambiare).
Nella stessa figura è visualizzata anche l’istruzione (Q0, 1) (0, D, Q0) rappresentata con
un grafo di flusso.
◗ Il semicerchio con la freccia che parte da Q0 e rientra su esso, indica che non c’è
cambiamento di stato;
◗ il simbolo 1/0 sta a significare che viene letto il simbolo 1 e scritto al suo posto 0;
◗ con D si indica che la testina deve essere spostata a destra.
esempio 3.10
■ Programmi di esempio
Sostituzione di simboli.
Si vuole costruire una macchina di Turing con alfabeto Σ{0,1} che sia in grado di sostituire tutti
i simboli 0 con 1. La stringa di partenza è la seguente:
* * * * * * 1 1 0 1 1 0 1 0 * * * * *
dove gli asterischi indicano celle vuote. La testina inizialmente si trova sulla prima cella a sinistra al
termine delle celle vuote (figura 3.21).
figura 3.21
Il sistema inizialmente si trova nello stato Q0 e rimane in esso, effettuando le sostituzioni. La testina, di
volta in volta, viene spostata verso destra, e, quando si incontra un 1 scrive di nuovo 1 sulla cella,
mentre se incontra uno 0 lo sostituisce con il simbolo 1. Quando la testina incontra una cella vuota, il
sistema la lascia vuota, passando quindi allo stato Qf, ponendo termine all’esecuzione del programma.
Alla fine del programma si ha la seguente stringa (le celle in colore sono quelle in cui è stato sostitui
to 0 con 1):
* * * * * * 1 1 1 1 1 1 1 1 * * * * *
Nella figura 3.21 è mostrato anche il grafo di flusso che descrive il funzionamento della macchina. Il
set di quintuple che realizzano il programma sono:
configurazione azione
(Q0, 1) (1, D, Q0) Legge 1, scrive 1, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, 0) (1, D, Q0) Legge 0, scrive 1, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, * ) ( * , D, Qf ) Legge * , scrive * , Halt
Si può anche descrivere una macchina di Turing con una matrice funzionale. In una colonna verti
cale si riportano gli stati interni e in una riga orizzontale i simboli; all’incrocio tra simboli e stati sono
poste le corrispondenti triple:
stato simboli
↓ 0 1
*
Q0 1, D, Q0 1, D, Q0
* , D, Qf
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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
esempio 3.11
* * * * * * 0 1 1 0 0 1 0 0 * * * * *
Si deve ottenere:
* * * * * * 1 0 0 1 1 0 1 1 * * * * *
La testina inizialmente si trova sulla prima cella a sinistra, al termine delle celle vuote.
Si può pensare di agire in questo modo:
1. la testina viene spostata verso destra, e, per ogni cella, se si legge uno 0 si scrive al suo posto un
1; se si legge un 1 si scrive al suo posto uno 0;
2. quando si arriva alla prima cella vuota, il programma termina.
configurazione azione
(Q0, 1) (0, D, Q0) Legge 1, scrive 0, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, 0) (1, D, Q0) Legge 0, scrive 1, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, * ) (* , D, Qf ) Legge * , scrive * , Halt
stato simboli
↓ 0 1
*
Q0 1, D, Q0 0, D, Q0 * , D, Qf
Nella figura 3.22 è rappresentato il diagramma di stato della macchina. C’è un solo stato nel quale
viene fatto il complemento dei bit del numero binario, spostando ogni volta la testina a destra.
Quando si incontra il simbolo blank (*), il sistema si porta nello stato Qf e il programma finisce.
figura 3.22
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 55
esempio 3.12
Sostituzione di simboli in una stringa.
Si vuole costruire una macchina di Turing con alfabeto Σ{A, B, C} che sia in grado di sostituire
il simbolo C con B, la prima volta che viene incontrato e con A la seconda volta. Se nella strin-
ga sono presenti più di due caratteri C si procede alternativamente alla loro sostituzione.
Quando si incontra una cella vuota (al termine della stringa), il programma si arresta. La stringa
di partenza è la seguente (dove gli asterischi indicano celle vuote):
Stringa iniziale
B A C B C B C
* * * * * * * * * * * *
⇑ Posizione iniziale testina
B A B B A B B
* * * * * * * * * * * *
Stringa finale
La testina inizialmente si trova sulla prima cella a sinistra, al termine delle celle vuote.
Si può pensare di agire in questo modo:
1. la testina viene spostata verso destra, e se si incontrano i caratteri A e B essi vengono riscritti
nella stessa cella in cui si trovano (stato Q0);
2. se viene incontrato il carattere C, esso è sostituito con B, si sposta ancora la testina a destra e si
passa allo stato Q1;
3. anche nello stato Q1 i caratteri A e B essi vengono riscritti nella stessa cella in cui si trovano;
4. se si incontra il carattere C, esso è sostituito con A, si sposta ancora la testina a destra e si passa
allo stato Q0;
5. quando si incontra una cella vuota si passa allo stato Qf e il programma si arresta.
configurazione azione
(Q0, A) (A, D, Q0) Legge A, scrive A, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, B) (B, D, Q0) Legge B, scrive B, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, C) (B, D, Q1) Legge C, scrive B, si sposta a Destra, si porta in Q1
(Q1, A) (A, D, Q1) Legge A, scrive A, si sposta a Destra, rimane in Q1
(Q1, B) (B, D, Q1) Legge B, scrive B, si sposta a Destra, rimane in Q1
(Q1, C) (A, D, Q0) Legge C, scrive A, si sposta a Destra, si porta in Q0
(Q0, * ) ( , D, Qf )
* Legge
* , scrive * , Halt
(Q1, )
* ( , D, Qf )
* Legge
* , scrive , Halt
*
Nella figura 3.23 è visualizzato il diagramma di stato della macchina.
▼
figura 3.23
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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
stato simboli
↓ A B C *
Q0 A, D, Q0 B, D, Q0 B, D, Q1
* , D, Qf
Q1 A, D, Q1 B, D, Q1 A, D, Q0 * , D, Qf
Si verifichi il funzionamento della macchina con stringhe diverse da quelle dell’esempio (per lunghez
za e diversa distribuzione dei simboli dell’alfabeto). Per esempio:
A B C C B C C A B C
C C B A A B C C C A
esempio 3.13
Incremento di un numero unario.
Realizzare una Macchina di Turing che, assegnato un numero naturale, espresso in notazione
unaria, lo incrementi di uno.
Sia Σ{|} l’alfabeto usato. Prima del numero e dopo di esso sul nastro sono presenti solo celle vuote.
Sia per esempio assegnato il numero 6 (rappresentazione con lo zero, in colore la cella con lo zero):
numero iniziale 6
* * * * * * | | | | | | | * * * * * *
⇑ Posizione iniziale testina (sullo zero)
* * * * * * | | | | | | | | * * * * *
numero finale 7
▼
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 57
Deve essere chiaro che il valore di n = 6 è solo un esempio in quanto il programma lavora con qual
siasi valore di n.
Incrementare di uno il numero, significa sommare uno a esso, ovvero aggiungere un simbolo | al nu
mero dato.
Il programma da abbinare alla macchina deve quindi:
1. spostare la testina a destra fino a trovare una cella vuota;
2. sostituire la cella vuota con un simbolo |.
La macchina nello stato Q0, per ogni simbolo unario (|) trovato,
riscrive nella cella lo stesso simbolo spostando la testina a destra.
Quando si arriva a una cella vuota (*) che indica la fine del nu
mero, si mette in essa un simbolo unario (|) e si ferma il program
ma (figura 3.24).
figura 3.24
configurazione azione
esempio 3.14
Somma di un due numeri unari.
Realizzare una Macchina di Turing che, assegnato due numeri naturali, espresso in notazione
unaria, li sommi e scriva sul nastro al loro posto il risultato della somma. I due numeri, posti sul
nastro, sono separati dal segno +.
Sia Σ{|, +} l’alfabeto usato. Prima del numero e dopo di esso sul nastro sono presenti solo celle vuote.
Siano per esempio assegnati i numeri 3 e 4 (rappresentazione, per semplicità, senza lo zero):
numeri iniziali 3 + 4
* * * * * | | | + | | | | * * * * * *
⇑ Posizione iniziale testina
* * * * * | | | | | | | | * * * * * *
⇑ Simbolo unario che sostituisce il +
* * * * * | | | | | | | * * * * * * *
numero finale 7 ⇑ Simbolo unario cancellato
Il programma che la macchina deve eseguire è espresso dai seguenti passi:
1. spostare la testina a destra fino a trovare il segno +;
2. sostituire il segno + con il simbolo unario (|) spostare la testina a destra. Si tenga presente che con
la sostituzione del + con il simbolo unario (|) è stato aggiunto un simbolo in più alla somma, e che
▼
3. seguitare a spostare a destra la testina fino a quando si arriva a una cella vuota (*) che indica la
fine del secondo numero;
4. trovata quindi la cella vuota, si sposta la testina a sinistra e si sostituisce l’ultimo simbolo unario del
secondo numero con una cella vuota, eliminando così il simbolo in più.
configurazione azione
Il sistema può essere realizzato anche utilizzando uno stato in meno: rimanendo in Q0 quando si
trova il + e passando in Q1 solo quando si incontra un blank (*).
In questo caso le quintuple del programma sono:
configurazione azione
Nella figura 3.25 è rappresentato il diagramma di flusso relativo al set delle quattro quintuple.
figura 3.25
Sul WEB si trovano numerosi simulatori della macchina di Turing che permettono di ve-
rificare il funzionamento delle macchine realizzate.
Nei simulatori potrebbe risultare differente la disposizione degli stati e dei simboli presen-
ti nelle quintuple ed è quindi necessario disporli come richiesto dal simulatore stesso.
A volte gli stati sono indicati semplicemente con dei numeri (0 per Q0, 1 per Q1) e lo
stato iniziale in alcuni casi non è Q0 ma Q1.
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 59
era dotata di un sistema di memorizzazione del programma e quindi non poteva essere
considerata completamente Macchina di tipo Turing.
◗ Nel dicembre del 1943 viene realizzato in Inghilterra, durante la seconda guerra mon-
diale, il Colossus Mark I, un elaboratore a valvole, utilizzato per decifrare i messaggi
della macchina tedesca Enigma. Conteneva 1500 valvole ed entrò in funzione nel feb-
braio del 1944. Pur essendo stato realizzato tenendo presente il principio di funziona-
mento della Macchina di Turing, non può essere considerato un calcolatore vero e
proprio in quanto non controllato da un programma interno e privo di memoria.
◗ A giugno dello stesso anno viene sostituito dal Colossus Mark II con 2500 valvole. Al
termine della guerra tutti gli esemplari del Colossus vengono distrutti.
◗ Nel 1946 viene messo in funzione all’Università della Pennsylvania l’elaboratore elettro-
nico ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Calculator): nel calcolatore è usata
come tecnologia costruttiva quella dei tubi a vuoto per sostituire i relè e si aumenta
così enormemente la velocità di calcolo. La macchina, di dimensioni ragguardevoli, pur
essendo di tipo digitale (poiché trasferiva sulle linee di collegamento segnali impulsivi),
lavorava tuttavia con numeri in rappresentazione decimale e non binaria.
Nel 1949 fu costruito in Inghilterra, l’EDSAC che può essere effettivamente considerato,
per la sua struttura interna, il capostipite dei moderni calcolatori. Fu realizzato secondo
i principi esposti dal matematico Von Neumann e fu il primo elaboratore elettronico con
programma completamente memorizzato all’interno della macchina.
Si tenga ben presente che le istruzioni del programma, da inserire nell’elaboratore, do-
vevano essere in formato binario e ogni istruzione forniva alla macchina un codice che
indicava al sistema quali operazioni dovessero essere effettuate sui dati (anch’essi pre-
senti in memoria).
Il programma, normalmente, era predisposto da un tecnico programmatore che scriveva
le istruzioni, non in binario, ma usando delle parole specifiche (mnemonici) come Load
(per trasferire qualche dato), add, Sub (per eseguire operazioni di somma o sottrazione
sui dati), Jump (per saltare a qualche specifica istruzione del programma) e così via. I
tecnici traducevano poi le istruzioni da passare alla macchina in binario. Fu proprio con
l’EDSAC che fu creato il primo programma (che può essere chiamato assemblatore), il
quale traduceva automaticamente i mnemonici in codici binari.
I dati erano immessi nella macchina con schede perforate (o nastro perforato) e i
risultati dell’elaborazione potevano essere letti su nastro perforato o su una telescri-
vente.
L’invenzione nel 1947 del transistor, permette di costruire sistemi più compatti, meno in-
gombranti, con un consumo energetico molto inferiore e con maggiore potenza di calcolo.
◗ 1958 studio e realizzazione dei primi circuiti integrati (Texas Instruments e Fairchild);
◗ 1964 viene creato il linguaggio BASIC;
◗ 1967 sviluppo da parte della Fairchild Semiconductor del primo chip di memoria RAM
(Random Access Memory) da 256 bit contenente più di mille transistor;
◗ 1967 l’IBM realizza il floppy disk da 8 pollici, con capacità di 80 kByte, per utilizzarlo
con il mainframe System/370; è a sola lettura.
◗ 1967 La IBM produce un nuovo chip con celle di memoria dinamica (per ogni cella
di memoria è usato un solo transitor).
◗ 1967 Douglas Engelbart ottiene il brevetto per il primo mouse.
Nella figura 3.28 è riportata una scheda perforata per l’immissione dei dati su un sistema
UNIVAC 1100 (ancora utilizzata agli inizi degli anni ’70). Ogni scheda conteneva una sola
istruzione (o un solo dato) del linguaggio di programmazione (il FORTRAN per applica-
zioni scientifiche). Un programma completo era realizzato con un gran numero di schede,
poste in ordine, e inserite in un apposito lettore. I risultati dell’elaborazione erano stam-
pati su un modulo di carta.
figura 3.28
Negli anni successivi, grazie alle nuove scoperte tecnologiche, ai primi sistemi ne segui-
rono altri via via più potenti e più veloci (e anche meno ingombranti) nei quali erano
introdotte consistenti innovazioni hardware, come l’unione dell’unità di controllo e
dell’ALU, in un unico blocco detto CPU (Central Processing Unit ovvero Unità Centrale
di Processo), la presenza di memorie di massa con maggiori capacità e migliori tempi
di accesso ai dati, l’utilizzazione delle memorie a semiconduttore.
Nella figura 3.29 sono posti a raffronto tre tipi di floppy disk (da 31/2, 8 e 51/4 pollici).
figura 3.29
Famiglia x86: comprende numerosi processori prodotti dall’INTEL con caratteristiche via
via salienti a partire dai primi processori della serie lo iAPX 88 e iAPX 86. Sono tutti soft-
ware compatibili verso il basso.
◗ 8086 (1978): ha un bus dati a 16 bit, un bus indirizzi formato da 20 linee e può indiriz-
zare 1 MByte di memoria. Contenitore a 40 pin.
figura 3.30
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 65
◗ 8088 (1979): è una variante semplificata dell’8086 con bus dati esterno a 8 bit e interno
a 16 bit. Il bus indirizzi è formato da 20 linee e può quindi indirizzare 1 MByte di me-
moria. Il contenitore è a 40 pin. Nella figura 3.30 è raffigurato un 8088.
◗ 80286 (1982): ha un bus dati a 16 bit e un bus indirizzi di 24 linee, può indirizzare
16 MByte di memoria fisica e può gestire anche memoria virtuale di 1 GByte. Ha una
coda di 6 byte.
◗ 80386 o 80386 DX (1985): ha un bus dati a 32 bit. Il bus indirizzi è formato da 32 linee
e può indirizzare 4 GByte di memoria fisica (1 Gigabyte = 230 Byte). Può inoltre gestire
64 TByte di memoria virtuale (1 Terabyte = 240 byte). Ha una coda di 16 byte.
◗ 80386 SX (1988): è la versione ridotta dell’80386, ha un bus dati esterno a 16 bit e in-
terno a 32 bit. Il bus indirizzi ha 24 linee.
◗ 80486 o 80486 DX (1989): è un processore a 32 bit, ha il coprocessore matematico e 8
kByte di cache (per istruzioni e dati). Ha una coda di 32 byte e un bus indirizzi bidire-
zionale formato da 32 linee. Nel chip è presente anche un gestore della memoria MMU
(Memory Management Unit). Con questo modello di CPU viene cambiato il tipo del
socket, abbandonando il formato dual in line perché non aveva un numero di pin suf-
ficienti per connettere tutte le linee interne del processore.
Nella figura 3.31 è rappresentata una CPU 80486 DX e sul lato destro della figura il
socket PGA (Pin Grid Array) a 168 pin. Successivamente questo tipo di socket fu
sostituito nei processori 40486 con il socket 1 a 169 pin (con l’aggiunta di un pin) per
impedire un’errata inserzione dei modelli successivi del processore, in motherboard
più vecchie.
figura 3.31
◗ 80486 DX2 (1989): ha le stesse caratteristiche dell’80486 DX, ma lavora con doppio clock.
Il DX2-50 ha clock interno a 50 Mhz ed esterno a 25 MHz; il DX2-66 ha clock interno
a 66 MHz ed esterno a 33 MHz.
◗ 80486 SX (1991): è un microprocessore a 32 bit che può ritenersi una versione ridotta
dell’80486. Non ha incluso nel chip il processore matematico.
◗ 80486 DX4 (1994): lavora con clock interno più elevato rispetto a quello esterno. Il
DX4-100 ha un clock interno a 100 MHz ed esterno a 33 MHz.
I processori della serie illustrata sono stati realizzati non solo dalla INTEL, ma anche da
molti altri produttori tra cui la AMD. Dopo il microprocessore 80486 inizia una produzio-
ne di CPU con microarchitetture nettamente differenziate realizzate, in particolare, dalla
stessa INTEL e dalla AMD.
Nel 1993 la INTEL avvia la produzione dei Pentium con caratteristiche via via salienti (a
partire dalla microarchitettura P5) e nel 1996 la AMD mette in commercio il K5.
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66 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 6. Un circuito logico programmabile permette di
false. eseguire operazioni logiche o aritmetiche di
tipo diverso, in base a un codice applicato ad
1. I primi elaboratori elettronici furono realizzati alcune delle sue linee d’ingresso.
con i transistor. ❑ vero
❑ vero ❑ falso
❑ falso
7. L’ALU è anche chiamata microprocessore o
2. Il relè è un componente elettromeccanico uti- CPU.
lizzato nei primi calcolatori. ❑ vero
❑ vero ❑ falso
❑ falso
8. In un sistema logico combinatorio sono pre-
3. La valvola termoionica è un componente elet- senti elementi di memoria.
tronico realizzato con lamine di semicondutto- ❑ vero
re (germanio o silicio). ❑ falso
❑ vero
❑ falso 9. Nei sistemi logici sequenziali i valori assunti
dalle variabili d’uscita, dipendono anche dalla
4. La piastrina di semiconduttore, sulla quale storia passata del sistema.
sono integrati i vari componenti di un circuito ❑ vero
integrato, viene chiamata chip o die. ❑ falso
❑ vero
❑ falso 10. I sistemi sequenziali sono detti sincroni quan-
do la variazione delle variabili d’ingresso
5. I primi circuiti integrati erano realizzati con influenza il sistema solo in sincronismo con un
larga scala d’integrazione (LSI). segnale di clock applicato al sistema stesso.
❑ vero ❑ vero
❑ falso ❑ falso
1. Elencare in ordine temporale le scale d’inte- 3. Quale era la lunghezza della parola nel primo
grazione con cui sono stati successivamente processore Intel 4004?
realizzati i circuiti integrati. ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
2. Per quale motivo i transistor di tipo MOS 4. Che cosa è l’ALU e quale è il suo principale
hanno permesso di ottenere una più grande utilizzo?
scala d’integrazione? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 67
5. Esporre le differenze che sono presenti tra un 11. Rappresentare per mezzo di un diagramma di
circuito logico combinatorio e uno sequenziale. flusso un algoritmo che esegua l’incremento di
........................................................................... uno (1) di un numero binario di due bit.
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
6. Dare la definizione di un automa a stati finiti. ...........................................................................
...........................................................................
12. Spiegare come è realizzata una macchina di
........................................................................... Turing e come essa funziona.
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
7. Rappresentare con uno schema a blocchi un
automa con il modello di Moore e uno con ...........................................................................
quello di Mealy. ...........................................................................
...........................................................................
13. La figura 3.32 mostra il grafo di flusso di una
........................................................................... macchina di Turing in grado di sommare uno
........................................................................... (1) a un numero binario di lunghezza arbitraria.
........................................................................... Descrivere le modalità di funzionamento della
macchina raffigurata. La testina inizialmente è
posta sul bit più significativo del numero.
8. Dire quali sono gli ingressi della rete combina-
toria d’uscita per l’automa di Moore e per ...........................................................................
quello di Mealy. ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
14. Trovare la matrice funzionale e il set di quintu-
ple che descrivono la macchina di Turing della
9. Descrivere le differenze, tra il modello di
figura 3.32.
Moore e quello di Mealy nella loro rappresen-
tazione con i grafi di flusso. ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
esercizi proposti
1. Rappresentare con un grafo di flusso, usando switch (Isw) prima dell’introduzione della moneta.
il modello di Moore, un automa distributore di Il sistema, inizialmente nello stato S0, dopo l’intro
bevande. Il dispositivo accetta un unico tipo di duzione della moneta si porta nello stato S1 con
moneta (M) ed è in grado di erogare due bevande M = 1 e Isw = X (qualsiasi valore) e da questo,
diverse (B1 o B2) che sono scelte premendo, dopo quando diviene M = 0, in due stati diversi (S2 o S3)
l’introduzione della moneta, due diversi pulsanti (P1 in base alla posizione impostata sullo switch. Con
o P2). Isw = 1 si porta nello stato S2 portando alta l’uscita
Il sistema, inizialmente nello stato S0, dopo l’introdu B2 ed erogando la bevanda selezionata, mentre
zione della moneta si porta nello stato S1 e da que con Isw = 0 si porta nello stato S3 portando alta
sto in due stati diversi (S2 o S3) in base al pulsante l’uscita B1 ed erogando l’altro tipo di bevanda.
premuto. Dopo aver distribuito la bevanda esso Dopo la erogazione esso torna da S2 o S3 allo
torna allo stato iniziale con M = 0 P1 = 0 P2 = 0. Si stato iniziale con qualsiasi valore degli ingressi.
assume che le combinazioni degli ingressi non utiliz Le uscite B1 o B2, quando vanno alte, attivano un
zate (M = 0 P1 = 1 P2 = 1, M = 1 P1 = 0 P2 = 1, sistema di sgancio della bevanda desiderata. Si fa
M = 1 P1 = 1 P2 = 0, M = 1 P1 = 1 P2 = 1) riportino l’ipotesi che per una nuova erogazione, le uscite B1
il sistema sempre allo stato iniziale. o B2 debbano ritornare prima a livello logico basso.
La gettoniera che riceve la moneta, quando il valore La gettoniera che riceve la moneta, quando il valore
della moneta corrisponde a quello desiderato, for della moneta corrisponde a quello desiderato, for
nisce al sistema un segnale logico a livello alto per nisce al sistema un segnale logico a livello alto per
tornare poi a livello basso dopo 1 secondo. tornare poi a livello basso dopo 1 secondo.
Le uscite B1 o B2, quando vanno alte, attivano un
sistema di sgancio della bevanda desiderata. Si fa 6. Realizzare per l’automa dell’esercizio 5, la tabella di
l’ipotesi che per una nuova erogazione, le uscite transizione degli stati secondo il modello di Moore
B1 o B2 debbano ritornare prima a livello logico e la tabella che associa le variabili di stato ai vari
basso. stati e alle uscite del sistema (vedere come esempio
tabella 3.4 e tabella 3.5 del paragrafo 3.4 della
2. Realizzare per l’automa dell’esercizio 1, la tabella di presente Unità).
transizione degli stati secondo il modello di Moore
e la tabella che associa le variabili di stato ai vari 7. Rappresentare con un grafo di flusso, usando il
stati e alle uscite del sistema (vedi come esempio modello di Mealy, l’automa distributore di bevande
tabella 3.4 e tabella 3.5 del paragrafo 3.4 della dell’esercizio 5.
presente Unità).
8. Realizzare per l’automa dell’esercizio 5, la tabella di
3. Rappresentare con un grafo di flusso, usando il transizione degli stati secondo il modello di Mealy e
modello di Mealy, l’automa distributore di bevande la tabella che associa le variabili di stato ai vari stati
dell’esercizio 1. (vedere come esempio tabella 3.6 e tabella 3.7 del
paragrafo 3.4 della presente Unità).
4. Realizzare per l’automa dell’esercizio 1, la tabella di
transizione degli stati secondo il modello di Mealy e 8. Il complemento a due di un numero binario si ottiene
la tabella che associa le variabili di stato ai vari stati facendone il complemento ad uno e poi sommando
(vedere come esempio tabella 3.6 e tabella 3.7 del uno (1) al complemento ottenuto. Tracciare il grafo
paragrafo 3.4 della presente Unità 3). di flusso di una macchina di Turing che esegua il
complemento a due di un numero binario. Si utilizzi
5. Rappresentare con un grafo di flusso, usando per realizzare la macchina l’unione di quella per il
il modello di Moore, un automa distributore di complemento a uno illustrata nell’esercizio 3.11
bevande. Il dispositivo accetta un unico tipo di (opportunamente modificata) e quella che esegue
moneta (M) ed è in grado di erogare due bevande la somma di uno (1) al numero binario, ripotata in
diverse (B1 o B2) che sono scelte per mezzo di uno figura 3.32.
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figura 4.1
figura 4.2
Satellite
Buon Buon
giorno giorno
Tx Rx
Connessione Stazione Stazione Connessione
telefonica satellitare satellitare telefonica
terrestre terrestre
figura 4.3
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70 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
4.1 L’informazione
La comunicazione (dal latino communicatio che esprime l’azione di mettere in comune
qualcosa) è un processo per trasmettere a distanza un messaggio costituto da una sequen-
za di simboli diversi (informazioni elementari), da disegni, dalla voce, da suoni, da
immagini fisse o in movimento, da dati, ecc. Esempi di messaggi sono:
◗ il valore di una misura;
◗ una frase scritta in una qualsiasi lingua;
◗ un rigo di un brano musicale scritto all’interno di un pentagramma;
◗ una successione d’immagini;
◗ una sequenza di dati (anagrafici, bancari, ecc.).
La parola informare, invece, vuol dire dare forma. L’informazione appartiene a colui
che la deve trasmette in forma tale da farla comprendere a colui che la riceve.
L’informazione è tale solo se è in grado di ridurre le incertezze nella mente dell’interlocu-
tore che la riceve.
L’informazione elementare è di natura astratta, ossia è priva di corrispondenza con la
realtà oggettiva e può essere formata da una singola lettera, da una singola nota musica-
le, da una singola immagine, da un evento (ciò che può accadere o è accaduto).
L’informazione elementare, indicata con I(x), è emessa da sorgenti di diverso tipo
( figura 4.4 ).
SORGENTI
D
DS ALL
18 AS
S2
0
TO
-92 Mente umana
Sensore-Trasduttore
I(x) Informazione
Notebook
ON OFF
MENU W T
Fotocamera
◗ Discreta (numerica): è costituita da un numero finito di valori come quelli che si otten-
gono con il lancio di una monetina (2 valori), di un dado (6 valori) o quelli dovuti ai
simboli di un qualsiasi alfabeto (figura 4.6). Quando il numero di valori utilizzati sono solo
due, l’informazione è binaria e la grandezza informativa è rappresentata con un codice
binario (figura 4.7).
A A A
t t
t
Grandezza informativa analogica Grandezza informativa numerica Grandezza informativa binaria
Canale
Sorgente
Informazione di Informazione Utilizzatore
emittente
comunicazione
figura 4.8
figura 4.9
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72
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Mezzo di
comunicazione
Segnale Informazione
digitale analogica
11100101
Codifica
Segnale analogico
Ampiezza
00001101
Codifica
11100101
Decodifica
Ampiezza
00001101
Decodifica
Segnale analogico ricostruito
Di seguito sono descritti le funzioni essenziali svolte dai singoli blocchi presenti nel siste-
ma di comunicazione di figura 4.10.
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Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 73
Sorgente (figura 4.13): è il dispositivo che emette l’informazione di tipo analogica (telefono,
trasduttore analogico, telecamera analogica, ecc.) o di tipo digitale (personal computer,
trasduttore digitale, fotocamera, telecamera digitale, ecc.).
Videoconferenza
Telecom Italia
5
31 Dic 09:1
Fotocamera
ON OFF
* 0
figura 4.13
Codifica di sorgente: è il processo che trasforma una qualsiasi informazione in una configu-
razione di cifre binarie che conferiscono alla trasmissione di tipo digitale una maggiore affida-
bilità. Tale operazione rende indipendente il trasmettitore sia dal tipo di sorgente sia dal tipo
di messaggio. Ad esempio le lettere dell’alfabeto e i numeri vengono codificati con la tastiera
di un PC con una sequenza di bit che costituiscono parole binarie di ugual lunghezza (codi-
ce ASCII). La figura 4.14 mostra il messaggio di richiesta di soccorso SOS (nel codice Morse è
costituito da tre punti [emissione breve], tre linee [emissione lunga] e tre punti), codifica-
to in ASCII.
O 0 1 0 0 1 1 1 1
figura 4.14 S 0 1 0 1 0 0 1 1
Codifica di canale: il processo di codifica aggiunge al codice di sorgente alcuni bit utiliz-
zati, successivamente, dalla decodifica di canale per la rilevazione degli eventuali errori.
La tecnica più diffusa per il rilievo degli errori è quella a ridondanza di codice che basa il
principio sul controllo di parità. Il metodo consiste nell’aggiungere in testa (o in coda) alla
sequenza del codice sorgente un bit in modo che il codice di canale sia trasmesso con un
numero complessivo pari di 1 (parità pari) o dispari di 1 (parità dispari).
Nella figura 4.15 è riportato il codice di canale del messaggio SOS con l’aggiunta del bit di
parità pari a destra su ogni stringa del codice sorgente ( figura 4.14 ).
S 0 1 0 1 0 0 1 1 0
O 0 1 0 0 1 1 1 1 1
S 0 1 0 1 0 0 1 1 0
Amplificatore a radiofrequenza
S. Modulato FSK amplificato
FET
Segnale di ingresso Segnale di uscita amplificato
NMOS
Triodo
figura 4.17
Cono d'accettazione
Rivestimento
Raggio luminoso Mantello
Nucleo
La capacità di canale, coincidente con la capacità informativa, è la quantità di bit che pos-
sono essere instradati su un canale ideale (ossia privo di errori) nell’unità di tempo.
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Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 75
Segnale di disturbo: i segnali di disturbo degradano la qualità dell’informazione. I distur-
bi più comuni sono la distorsione, l’interferenza e il rumore.
La distorsione è dovuta alla circuite- L’interferenza è dovuta a segnali elet- Il rumore è un segnale elettrico casuale,
ria elettronica e si manifesta con una al- trici estranei che si sovrappongono a non prevedibile, che si aggiunge a quel-
terazione del segnale. quello utile. A causarli è il mezzo di tra- lo utile.
smissione che capta segnali dovuti a
onde elettromagnetiche.
Segnale Segnale
Demodulatore
modulato modulante
digitale 1 1 Segnale modulante
FSK digitale
0 0
figura 4.19 Informazione codificata
Decodifica di canale: è il processo che estrae dalla codifica di canale i bit ridondanti e
ricostruisce la codifica di sorgente. I bit aggiunti, invece, sono utilizzati per la rilevazione
degli errori (figura 4.20). Il ricevitore controlla se la parola trasmessa contiene un numero
di bit pari ed in caso affermativo accetta il codice, altrimenti richiede una nuova trasmis-
sione. Questo metodo non è molto efficace perché il ricevitore non rileva errori quando
si modificano coppie di bit contemporaneamente.
Codice ASCII a 8 bit con bit di parità
0 0 1 0 1 0 0 1 1 S
1 0 1 0 0 1 1 1 1 O
0 0 1 0 1 0 0 1 1 S
0 1 0 1 0 0 1 1 S
Decodifica di sorgente
0 1 0 0 1 1 1 1 O
figura 4.21 0 1 0 1 0 0 1 1 S
SOS
figura 4.22
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76
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
L’utilizzo della mano destra o sinistra per la scrittura di un documento fornisce eventi non
equiprobabili. Se un interlocutore chiede allo scrivente con quale mano scrive e ha come
risposta “mano destra”, riceve poca informazione in quanto molte persone scrivono con la
mano destra e, di conseguenza, la quantità d’incertezza rimossa è minima.
Indicando con xi l’evento, p(xi) la probabilità che essa si verifica e I(xi) l’informazione si
ha:
Si deduce, quindi, che un evento xi molto probabile contiene poca informazione I(xi), al
contrario un evento poco probabile contiene molta informazione. In conclusione il con-
tenuto informativo I(xi) è correlato alla probabilità p(xi) secondo la relazione:
1
I (xi) = [4.1]
p(xi)
Dalla [4.1] si deduce che un evento certo non contiene alcuna informazione perché la sua
probabilità di verificarsi è unitaria.
2 1
4 2
8 3
16 4
32 5
... ...
2N N
Si conclude che la quantità di informazione I dipende dal numero degli eventi secondo la
relazione:
1
I = log2 (N° Eventi) = ⋅ log10 (N° Eventi) = 3,3219 ⋅ log10 (N° Eventi) [4.2]
log102
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78
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
esempio 4.1
Per la [4.2] un messaggio con 2n eventi equiprobabili contiene n bit di informazione. Poiché ogni bit
comporta una scelta binaria, un messaggio può essere completamente compreso con le opportu-
ne scelte.
Si supponga di individuare il numero decimale 13 nei primi 16 numeri dell’insieme numerico natu-
rale (0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15) con scelte binarie che permettono di elimi-
nare, di volta in volta, una metà dell’insieme numerico. Ogni scelta, quindi, fornisce un bit informa-
tivo. Per poter individuare il numero incognito è necessario sapere in quale semigruppo si trova. Si
attribuisce, ad esempio, il bit 0 se il numero 13 è nel semigruppo inferiore e il bit 1 se è nel semi-
gruppo superiore.
La prima scelta del bit 1 indica che il numero è nel semigruppo superiore e si elimina il semigruppo
inferiore 0 – 7 che non contiene il numero 13 (figura 4.23). Continuando con la seconda scelta (bit 1)
si elimina il semigruppo inferiore 8 – 11, con la terza (bit 0) il semigruppo superiore 14 – 15 e infine
(bit 1) il semigruppo inferiore costituito dal solo numero 12.
Come si può osservare con 4 bit informativi (4 scelte binarie) si perviene a selezionare il numero deci-
male 13 individuato dal numero binario 1101.
1° Scelta
Bit 0 Bit 1
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 8 9 10 11 12 13 14 15 1 (1° bit)
Semigruppo inferiore
Bit 0 Bit 1
8 9 10 11 12 13 14 15 12 13 14 15 1 (2° bit)
Bit 0 Bit 1
12 13 14 15 12 13 0 (3° bit)
0 1
Quantità informativa I = 4 bit (1101)
figura 4.23 12 13 13 1 (4° bit)
4.3.2 Entropia
Quando il sistema informativo è costituito da eventi xi non equiprobabili ma statistica-
mente indipendenti, la quantità d’informazione di ogni singolo evento cambia [vedi la 4.3]
e quella complessiva è definita quantità media d’informazione H o entropia (analoga
all’entropia dei sistemi termodinamici. Lo stato molecolare disordinato è analogo all’incer-
tezza dell’informazione).
M M
H = – ∑ p ( xi ) log 2 p ( xi ) ∑ p ( xi ) = 1 [4.4]
1 1
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Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 79
La [4.4] è detta formula di Shannon e p(xi) indica la probabilità del generico evento xi. In
questo caso la quantità d’informazione diminuisce perché i simboli più probabili hanno
un minore contenuto informativo.
Ad esempio, attribuendo una probabilità del 90% all’evento con scrittura della mano destra
e una probabilità del 10% all’evento con scrittura della mano sinistra, per la [4.4] l’entropia
o quantità d’informazione è:
H = – 0,9 ⋅ log2 0,9 – 0,1 ⋅ log2 0,1 = – 0,9 ⋅ (– 0,15) – 0,1 ⋅ (– 3,32) = 0,464 bit
Risulta evidente che se i due eventi sono equiprobabili, la qual cosa è impossibile,
l’entropia H coincide con la quantità d’informazione I.
H = – 0,5 ⋅ log2 0,5 – 0,5 ⋅ log2 0,5 = – 0,5 ⋅ (– 1) – 0,5 ⋅ (– 1) = 1 bit
Anche nella corrente scrittura della lingua italiana i simboli delle lettere non si susseguo-
no con la stessa probabilità. La lettera “e” è certamente quella che ricorre con maggior pro-
babilità (nel codice Morse è codificata con un solo impulso breve rappresentato con un
punto) e la lettera “h” con minor probabilità. Inoltre è da considerare la probabilità che
alcune lettere possono essere seguite solo da simboli particolari e non da altri (la lettera
“q” può essere seguita solo dalla “u” e solamente in un caso dalla “q”, ma non dalle altre
consonanti).
esempio 4.2
Si consideri una sorgente che emette 3 simboli A, B e C statisticamente indipendenti con le probabi-
lità p(A) = 0,25, p(B) = 0,25 e p(C) = 0,5. Si calcoli la quantità d’informazione di ogni singolo simbolo
e la quantità d’informazione media.
Dai risultati si evidenzia che i simboli aventi minor probabilità contengono una maggiore informazione.
La quantità media d’informazione è:
esercizi
svolti
3 Si consideri una sorgente che emette 4 simboli le cui probabilità sono riportate nella tabella seguente e
si calcoli la quantità d’informazione di ogni simbolo.
Simboli A B C D
Probabilità 0,125 0,175 0,275 0,425
Dai valori ricavati si può osservare che i simboli con probabilità minore hanno una quantità d’informazione
maggiore.
4 Si calcoli la quantità d’informazione (entropia) di una sorgente che emette 3 simboli con le seguenti pro-
babilità: 10%, 30% e 60%.
H = − 0,10 ⋅ log2 0,10 − 0,30 ⋅ log2 0,30 − 0,60 ⋅ log2 0,60 =
= − 0,10 ⋅ (− 3,32) − 0,30 ⋅ (− 1,73) − 0,60 ⋅ (− 0,73) =
5 Si calcoli l’entropia di una sorgente che emette 4 simboli con le seguenti probabilità: 1/2, 1/4, 1/8, 1/8.
H = − 0,5 ⋅ log2 0,5 − 0,25 ⋅ log2 0,25 − 0,125 ⋅ log2 0,125 − 0,125 ⋅ log2 0,125 =
= − 0,5 ⋅ (− 1) − 0,25 ⋅ (− 2) − 0,125 ⋅ (− 3) − 0,125 ⋅ (− 3) =
6 Si consideri una sorgente che emette 4 simboli A, B, C e D, statisticamente indipendenti e con le proba-
bilità p(A) = p(B) = 0,0625, p(C) = p(D) = 0,4375. Si calcoli la quantità d’informazione di ogni singolo simbo-
lo e la quantità d’informazione media.
Test di verifica
■ Individua la risposta corretta tra quelle proposte. 6. Quando una sorgente è detta analogica?
...........................................................................
1. Il bit dell’unità di misura unitaria dell’informa ...........................................................................
zione è riferita a: 7. Quando una sorgente è detta numerica?
❑ un solo evento possibile; ...........................................................................
❑ più eventi possibili equiprobabili; ...........................................................................
❑ due eventi possibili non equiprobabili;
8. Quale funzione ha il codice di sorgente?
❑ due eventi possibili equiprobabili.
...........................................................................
2. L’entropia di una sorgente assume il massimo ...........................................................................
valore quando: 9. Quale funzione ha il codice di canale?
❑ un solo simbolo ha una probabilità diversa da ...........................................................................
tutti gli altri; ...........................................................................
❑ i simboli sono tutti equiprobabili; 10. Quale è la differenza tra codice di sorgente e
❑ il primo e l’ultimo simbolo sono equiprobabili; codice di canale?
❑ i simboli hanno tutti una differente probabilità. ...........................................................................
...........................................................................
3. L’amplificatore di potenza:
❑ riduce la tensione del segnale; 11. Quando l’entropia sostituisce l’unità di misura
❑ amplifica l’intensità di corrente del segnale; dell’informazione?
❑ amplifica la tensione e riduce l’intensità di cor- ...........................................................................
rente del segnale; ...........................................................................
❑ amplifica la tensione e l’intensità di corrente del 12. Quale relazione intercorre tra la probabilità di
segnale. un evento e la sua quantità d’informazione?
...........................................................................
4. L’informazione è detta binaria quando è costi ...........................................................................
tuita da: 13. Per quale motivo viene introdotta l’entropia
❑ un solo valore; nella teoria dell’informazione?
❑ due valori; ...........................................................................
❑ quattro valori; ...........................................................................
❑ un numero infinito di valori.
14. Quale legame esiste tra l’entropia relativa
all’informazione e quella dei sistemi termodi
■ Rispondi alle seguenti domande. namici?
...........................................................................
1. Come viene definito tutto ciò che diminuisce ...........................................................................
l’incertezza? 15. Quando diviene massima l’entropia di una sor
........................................................................... gente?
........................................................................... ...........................................................................
2. Perché l’informazione elementare è di natura ...........................................................................
astratta? 16. Perché l’interferenza degrada la qualità dell’in
........................................................................... formazione?
........................................................................... ...........................................................................
3. Che cosa rappresenta un messaggio? ...........................................................................
........................................................................... 17. Perché nella comunicazione viene utilizzata la
........................................................................... modulazione del segnale da trasmettere?
4. Quando gli eventi sono detti equiprobabili? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 18. Quali mezzi si utilizzano per trasferire l’infor
5. Quando gli eventi sono detti non equiprobabili? mazione a distanza?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
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82 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
esercizi proposti
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o false. 7. L’amplificatore di potenza elimina gli errori
nella trasmissione a distanza?
1. La trasmissione di un messaggio è una infor
❑ vero
mazione elementare?
❑ falso
❑ vero
❑ falso
8. Il rumore, segnale elettrico casuale, è un
2. L’informazione analogica è costituita da un segnale di disturbo nella trasmissione dell’in
numero finito di valori? formazione?
❑ vero ❑ vero
❑ falso ❑ falso
1. Si calcoli la quantità d’informazione di una sorgen- 7. Si calcoli la quantità d’informazione dovuta al lan-
te che emette 4 simboli equiprobabili. cio contemporaneo di due dadi identici.
2. Si calcoli la quantità d’informazione di una sorgen- 8. Si calcoli la quantità d’informazione di ogni singolo
te che emette 25 simboli equiprobabili. simbolo e la quantità d’informazione media (entro-
pia) di una sorgente che emette 4 simboli A, B, C e
3. Si calcoli la quantità d’informazione media (entro- D, statisticamente indipendenti e con le probabilità
pia) di una sorgente che emette 4 simboli con le p(A) = 0,05, p(B) = 0,15, p(C) = 0,25 e p(D) = 0,55.
seguenti probabilità: 5%, 15%, 35% e 45%.
4. Si consideri una sorgente che emette 4 simboli le cui 9. Si calcoli l’entropia di una sorgente che emette
probabilità sono riportate nella tabella seguente e si due simboli non equiprobabili. Sia p = 0,25 la pro-
calcoli la quantità d’informazione media (entropia). babilità di emissione di uno dei due simboli.
Simboli A B C D 10. Una sorgente emette solo due simboli non equipro-
Probabilità 0,125 0,175 0,275 0,425
babili e si attribuisca a un simbolo una probabilità p
variabile da 0 a 1 con incrementi del ∆p = 10%.
◗ Si calcoli l’entropia in funzione della probabilità.
5. Si calcoli la quantità d’informazione dovuta al lan-
◗ Si tracci con EXCEL il grafico dell’entropia in
cio di due monete identiche.
funzione della probabilità.
6. Si calcoli la quantità d’informazione dovuta al lan- ◗ Si individui, dal grafico, la probabilità che rende
cio di un dado. massima l’entropia.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
5.1 I codici
Il primo codice di sorgente è stato realizzato da Morse per trasmissioni seriali telegrafiche.
Il sistema di codifica, costruito con apparecchiature elettromeccaniche, era molto sempli
ce e utilizzava solo due simboli (codifica binaria) per gestire 53 caratteri: il punto (tempo
di durata breve di circa 1 s) e la linea (con durata tripla di quella del punto). La codifica
Morse è a lunghezza variabile ed è molto efficiente poiché associa ai caratteri dell’alfabe
to più probabili i simboli codificati più corti. La lettera “e”, ad esempio, è codificata con
un solo simbolo (il punto), mentre i simboli di punteggiatura, meno ricorrenti, sono codi
ficati con sei simboli.
Il primo codice sorgente binario a lunghezza fissa, introdotto da Baudot per telescriventi,
utilizza parole binarie a 5 bit e permette la rappresentazione di 25 = 32 caratteri diversi,
minori della somma dei dieci numeri decimali e delle 26 lettere dell’alfabeto.
■ Codice BCD
Il codice BCD (Binary Code Decimal ovvero sistema numerico decimale codificato nel
sistema numerico binario) configura solo i numeri decimali da 0 a 9 con 4 bit, secondo i
pesi delle potenze del 2 come per i numeri binari puri ( figura 5.1 ).
Codice BCD
N° Binario puro
N° Decimale
8 4 2 1
Cifre ridondandi
0 0 0 0 0 N° Binario puro
N° Dec. Ex
1 0 0 0 1 8 4 2 1 Conversione in BCD
2 0 0 1 0 10 A 1 0 1 0 BCD Binario puro
3 0 0 1 1 11 B 1 0 1 1
13 13
4 0 1 0 0 12 C 1 1 0 0
1 3
5 0 1 0 1 13 D 1 1 0 1
6 0 1 1 0 14 E 1 1 1 0 0 0 0 1 0 0 1 1 1 1 0 1
7 0 1 1 1 15 F 1 1 1 1
8 1 0 0 0
figura 5.1 9 1 0 0 1
■ Codice ASCII
Il codice standard ASCII (American Standard Code for Informazion Interchange) è quel
lo più noto e più utilizzato nei sistemi di elaborazione. È un codice a 7 bit (realizzato ini
zialmente con solo 6 bit) con cui possono essere rappresentati 128 caratteri diversi (nume
ri, lettere, punteggiatura e controlli), sufficienti per la lettura da una tastiera di un Personal
Computer.
In alcune applicazioni, e in particolare nei sistemi di video scrittura, si utilizza un codice
ASCII esteso con codifica a 8 bit. In tal caso sono disponibili 256 caratteri.
I caratteri estesi contengono segni grafici, scientifici e matematici.
È bene osservare che esistono diverse varianti dei codici ASCII estesi che, pur conservan
do le codifiche di base, apportano variazioni ad alcuni codici per adattarli alle esigenze
linguistiche nazionali.
Nel codice ASCII standard ( tabella 5.1 ), i primi 32 simboli sono associati a codici di con
trollo di formato, controllo di trasmissione e controllo di dispositivi oltre che a separatori
d’informazione e caratteri ausiliari.
Tra i codici di controllo formato si tengano presenti:
Esistono diverse codifiche che, pur lasciando inalterata la parte relativa ai codici standard
da 32 a 127, utilizzano set di caratteri diversi per i codici da 128 a 255.
La tabella 5.2, nella quale sono stati omessi i codici da 0 a 127, si riferisce al set di caratteri
denominato 437 Inglese.
Alcuni caratteri possono essere diversi per esigenze nazionali come il simbolo della mo
neta.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
5 Sistemi di codifica dell’informazione 85
tabella 5.1
tabella 5.2
■ Codice UNICODE
Il codice Unicode, strutturato con norme definite dalla ISO, aumenta il numero di bit di
codifica in modo da rappresentare:
◗ caratteri dell’alfabeto latino;
◗ caratteri dell’alfabeto cirillico, arabo, ebraico, ecc.;
◗ caratteri dell’alfabeto Braille;
◗ simboli speciali e ideogrammi cinesi e giapponesi;
◗ simboli delle discipline moderne, ecc.
Inizialmente i 16 bit utilizzati permettevano la rappresentazione di solo 65 536 caratteri. In
seguito il codice a 32 bit ha permesso di rappresentare milioni di caratteri per gestire tutte
le lingue del mondo. In pratica Unicode ha lo scopo di produrre una codifica adatta a scri-
vere documenti leggibili in ogni paese del mondo (Internet) e indipendenti dal software
utilizzato.
Lo standard ISO/IEC 10464 è stato adottato da Microsoft per i sistemi operativi di
Windows, da Apple, dall’IBM, da HP, da JustSystem, da Sybase, ecc. ed è supportato da
molti standard della programmazione come Java (per la codifica dei caratteri), JavaScript,
XML, Cobra 3.0, ecc.
Sia Word che WordPad della Microsoft permettono di salvare un documento in formato
Unicode: Word con “Testo codificato”, WordPad con “Documento di testo Unicode”.
WordPad visualizza i caratteri disattivando la funzione del tasto Bloc Num e, con il tasto
Alt premuto, digitando i numeri con la tastiera numerica ( figura 5.2 ).
55 ⇒ 7 66 ⇒ B 88 ⇒ X
figura 5.2
S O S
0053 004F 0053
figura 5.3
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
5 Sistemi di codifica dell’informazione 87
■ Codice 8 B/10 B
Lo schema 8 bit/10 bit è una codifica che utilizza apposite tabelle per trasformare gli 8 bit
di trasmissione in 10 bit. I motivi dell’utilizzo di tale trasformazione sono:
◗ limitare in lunghezza le sequenze di 0 e 1 consecutivi;
◗ non far perdere al ricevitore la traccia di inizio e fine del bit;
◗ recuperare il clock di sincronizzazione alla ricezione;
◗ possibilità di introdurre parole di controllo;
◗ possibilità di rilevare errori sui bit mediante il controllo di parità.
Le applicazioni più comuni sono nel PCI Express, Serial ATA, FireWire (IEEE 1394b), DVI,
ecc.
Sistema di
figura 5.4 controllo
Il sistema più semplice per la verifica degli errori nella comunicazione digitale seriale,
nella quale i singoli bit sono trasmessi uno di seguito all’altro ( figura 5.5 ), è quello di
aggiunge alcuni bit non significativi al codice sorgente. In questo modo si costruisce il
codice di canale con una sequenza di bit più estesa e con un tempo di trasmissione più
elevato.
■ Codice di parità
La tecnica più diffusa per il rilevamento degli errori è quella a ridondanza di codice che
basa il principio sul controllo di parità aggiungendo in testa (o in coda) alla sequenza
informativa del codice un bit (ridondanza) tale da rendere la parità pari (parola con un
numero pari di 1) o dispari (parola con un numero dispari di 1). La parità si definisce:
◗ dispari se il bit aggiunto (0,1) rende dispari il numero di bit 1 trasmessi (bit di codice più
il bit di parità);
◗ pari se il bit aggiunto (0,1) rende pari il numero di bit 1 trasmessi (bit di codice più il bit
di parità).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
88
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Nella figura 5.5 è riportato un generico codice sorgente a 8 bit con il controllo di parità
pari inserito in coda alla sequenza da trasmettere.
■ Codice CRC
Il codice CRC (Cycle Redundancy Checking) è un codice binario a ridondanza ciclica da
calcolare con una operazione matematica e da aggiungere alla sequenza dei bit informati
vi. Questo codice è costituito da un consistente numero di bit ed è il sistema più efficace
per rilevare molti tipi di errore.
■ Codice Hamming
È un codice in grado di rilevare e correggere errori senza la richiesta di ripetizione del
messaggio. I bit aggiunti sono bit definiti secondo il controllo di parità su gruppi diversi del
codice sorgente. Ad esempio con 3 bit aggiunti si possono controllare 23 − 1 = 7 bit del
codice di canale dove 3 bit sono per il controllo errore e 4 bit per la codifica del mes
saggio (codice sorgente).
5.3 Protocollo
Due persone possono comunicare e comprendersi solo se utilizzano lo stesso linguaggio
stabilito precedentemente.
Due sistemi a microprocessori ( figura 5.6 ) possono scambiarsi dati solo se sono in grado
di comprendersi utilizzando una logica prestabilita che, ad esempio, fissa:
◗ il codice del messaggio;
◗ la lunghezza del codice;
◗ il tipo di controllo (errori);
◗ il numero di bit di controllo;
◗ ecc.
Protocollo
ollo
Protoc
figura 5.6
esercizi
svolti
3 7
0011 0111
Codice di sorgente
O 0 1 0 0 1 1 1 1
figura 5.7 K 0 1 0 0 1 0 1 1
3 Si aggiunga al codice sorgente dell’esempio precedente il bit di parità dispari in modo da ottenere il co-
dice di canale.
Codifica di canale
O 0 1 0 0 1 1 1 1 0
K 0 1 0 0 1 0 1 1 1
figura 5.8 Bit di parità dispari
Utilizzando la mappa dei caratteri di Windows XP (con Start, Tutti i Programmi, Accessori, Utilità di Sistema)
si ha:
Simboli Codifica
O 0 0 4 F
K 0 0 4 B
Codice di sorgente
8 0 0 1 1 1 0 0 0
: 0 0 1 1 1 0 1 0
= 0 0 1 1 1 1 0 1
4 0 0 1 1 0 0 1 0
6 Si aggiunga al codice sorgente dell’esempio precedente il bit di parità pari in modo da ottenere il codi-
ce di canale.
Codice di canale
8 0 0 1 1 1 0 0 0 1
: 0 0 1 1 1 0 1 0 0
= 0 0 1 1 1 1 0 1 1
4 0 0 1 1 0 0 1 0 1
Bit di parità pari
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90 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Test di verifica
■ Rispondi alle seguenti domande. 9. A che cosa serve il codice di parità?
………………………………………………………
1. Che cosa si intende per codifica di un mes-
saggio? ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
………………………………………………………
10. Su quale proprietà è basata la tecnica del
………………………………………………………
controllo di parità per il rilevamento degli
errori?
2. Quando un codice è detto alfanumerico?
……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
3. Perché il codice BCD è detto ridondante? 11. Che cosa si intende per controllo di parità
……………………………………………………… pari?
……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
5 Sistemi di codifica dell’informazione 91
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 7. Il codice 8B/10B trasforma gli 8 bit di trasmis-
false. sione in 16 bit?
❑ vero
1. La codifica trasforma un qualsiasi messaggio ❑ falso
in una sequenza di bit?
❑ vero 8. Il codice di parità è solo di tipo pari?
❑ falso ❑ vero
❑ falso
2. Il codice a lunghezza fissa modifica il numero
di bit nelle sequenze digitali trasmesse? 9. Il codice di parità pari rende dispari il numero
❑ vero di bit trasmessi?
❑ falso ❑ vero
❑ falso
3. Il codice numerico BCD è configurato con 3
bit? 10. Il codice CRC è più efficace del codice di pari-
❑ vero tà nel rilevare errori?
❑ falso ❑ vero
❑ falso
4. I primi 32 caratteri del codice ASCII contengo-
no le lettere dell’alfabeto? 11. Il codice Hamming richiede la ripetizione della
❑ vero trasmissione del messaggio per correggere
❑ falso l’errore?
❑ vero
5. Il codice UNICODE è strutturato con 16 bit? ❑ falso
❑ vero
❑ falso 12. Le regole standard del protocollo sono stabili-
te dagli Enti Internazionali?
6. Il codice UNICODE contiene i caratteri dell’al- ❑ vero
fabeto Braille? ❑ falso
❑ vero
❑ falso
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92 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
esercizi proposti
1. Si codifichi il numero decimale 73 con il codice BCD. 8. Si codifichi il messaggio HELP secondo il codice
Unicode.
2. Si codifichi il numero decimale 258 con il codice BCD.
9. Si codifichi il messaggio AIUTO in giapponese con
3. Si calcoli il bit di parità pari e dispari del codice a 16 il codice Unicode.
bit.
10. Si codifichi il messaggio AIUTO in cinese con il
codice Unicode.
1 1 0 0 1 1 1 1 0 1 0 0 1 0 1 1
11. Si codifichi il messaggio 10 : 5 = 2 con il codice
4. Si calcoli il bit di parità pari per l’esempio 3. ASCII Standard.
laboratorio
■ Esercitazione 1
In Windows XP è presente una calcolatrice scientifica con la quale è possibile effettuare le operazioni con
i sistemi di numerazione decimale, binaria, ottale ed esadecimale, nonché le conversioni tra le numerazio-
ni delle diverse basi.
Per accedere alla calcolatrice si faccia clic sul pulsante Start ⇒ Programmi, acceSSori ⇒ calcolatrice
( figura 1 ).
figura 1
La calcolatrice si presenta nella modalità standard (figura 2). Per accedere a quella scientifica si faccia clic
su ViSualizza e si selezioni Scientifica ( figura 3 ). In Windows 7 selezionare VISUALIZZA e scegliere la cal-
colatrice “Programmatore”.
figura 2 figura 3
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
94 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Ad esempio si vuole convertire il numero 1010 1111 0010 dal sistema binario a quello esadecimale, si
selezioni l’opzione Bin (binario), si inserisca il numero con la tastierina della calcolatrice o con la tastiera del
figura 4
figura 5
Per eseguire le operazioni si selezioni prima il sistema di numerazione e si utilizzi il programma come una
normale calcolatrice. Come esempio si riporta l’operazione di somma in esadecimale 3Dh + F2h = 12Fh
( figura 6 ).
figura 6
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Laboratorio 95
■ Esercitazione 2
Per effettuare la conversione si applica il metodo della divisione intera per la base 2, divisione da ripetere
finché il quoziente non è nullo.
figura 7
Nell’esempio riportato nella figura 7 è stata inserita la formula INT(F12/$F$10) nella cella F13 e la formu-
la RESTO(F12;$F$10) nella cella G13. Le formule sono state poi copiate in quelle sottostanti per otte-
nere il risultato della conversione nella base binaria. Il risultato ovviamente deve essere letto dal basso
verso l’alto.
Per ottenere la conversione in un’altra base <10, ad esempio in base ottale, è sufficiente aggiornare il
valore inserito nella cella F10.
■ Esercitazione 3
Per effettuare la conversione si applica l’algoritmo riportato nella Unità 1, figura 1.8 :
◗ si inserisca nella cella H16 la formula =G13*2+H13 e la si copi nelle celle da I16÷N16;
◗ si scriva il numero binario di 8 bit da convertire nelle celle da G13÷N13.
Nella cella R16 può essere inserito un riferimento alla cella N16, contenente il risultato ( figura 8 ).
figura 8
Per comprendere la funzione del generatore di parità pari si consideri, per semplicità, un codice sorgente
costituito da soli 2 bit. Poiché la parità pari rende complessivamente pari il numero di bit 1 (bit del codice
sorgente e bit di parità), si costruisca la tabellina di figura 9 dove A e B sono i bit del codice sorgente e P
è il bit di parità pari.
A B P
A 0 1
0 0 0 A
Rete 0 0
0 1 1 P B
logica
1 0 1 B
figura 9 1 1 0 0 1
P
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Laboratorio 97
figura 10
figura 11
La funzione della rete combinatoria ricavata è quella di anticoincidenza svolta dalla porta logica OR
Esclusivo (EXOR). L’uscita della EXOR (somma modulo 2 senza riporto) assume il livello logico alto solo
quando i due ingressi sono con livelli discordi ( figura 12 ). Tale condizione genera il bit di parità pari per una
parola a due bit. Risulta evidente che il bit i parità dispari si ottiene negando l’uscita Y.
0 1 1 0 0
B
1 A 1 A 1 0 1 Funzione
Y 0 Y 1 0 1
1 B 0 B 1 1 0 A B Y Y
figura 12
Poiché le porte logiche EXOR sono solo a due ingressi, per estendere il numero di bit della parola è neces-
sario utilizzare più porte EXOR che sommano i bit del codice sorgente due a due. Per una parola a 4 bit
si possono utilizzare gli schemi della figura 13 .
figura 13
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98 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
Per verificare la funzionalità degli schemi proposti si utilizza un software di simulazione. Ad esempio, utilizzando
Multisim, si disegna lo schema di figura 14 dove si possono vedere:
◗ 4 interruttori attivabili con un clic del Mouse per fissare il livello logico d’ingresso;
◗ le probe per visualizzare lo stato dei livelli logici d’ingresso e d’uscita;
◗ i Voltmetri per visualizzare i valori numerici dei livelli logici;
◗ i Led riquadrati che contengono il commento.
figura 14
Con i 4 interruttori aperti tutti gli ingressi sono a livello logico alto e l’uscita del bit di parità è a livello basso
( figura 14 ). Se si chiude l’interruttore J1 (ingresso basso) l’uscita si porta a livello alto ( figura 15 ) concorde
con il bit di parità pari.
figura 15
Inserendo il bit di parità in coda al codice sorgente si forma il codice di canale ( figura 16 ).
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Laboratorio 99
D3
D2 Codice
D1 sorgente
D0 Codice
D3 Bit parità PARI canale
P Generatore
D2
Bit parità DISPARI di parità
D1
P
D0
figura 16
Nella figura 16 è riportato uno schema di generatore di parità che permette di selezionare il tipo di parità
con una porta EXOR funzionante come invertitore.
D3
D2
D1
D0
D3 Generatore parità
D2
D1
Bit parità
D0 P
figura 17 Pari/dispari
1 1 1 1 1 1 Dispari
1 1 1 1 0 0 Pari
0 1 1 1 0 1 Dispari
0 1 1 1 1 0 Pari
figura 18
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100 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
■ Esercitazione 5
Sommatore
Nella Unità 1 è stato illustrato il metodo della sottrazione con il complemento a 2 che può essere vista
come una somma. In questo contesto si vuole illustrare l’operazione di somma tra due numeri binari e
come tale operazione possa essere effettuata o con circuiti integrati o attraverso la simulazione. Se, ad
esempio, si suppone di dover sommare due numeri binari A e B, è necessario tener conto anche dei
riporti come mostra la tabellina di verità (figura 19). In questo caso la rete combinatoria ha due ingressi (A
e B) e due uscite, una relativa alla somma S ed una al riporto R.
Tabellina di verità
Ingressi Uscite
Somma
A B Somma Riporto A S
Rete
0 0 0 0 combinatoria Riporto
0 1 1 0 B R
1 0 1 0
figura 19 1 1 0 1
La rete combinatoria che esegue la somma S è stata ricavata nell’esempio precedente (figura 11) con
Multisim ed è costituita dalla porta EXOR ( figura 20 ).
A B S
A A B S
A 0 0 0
S EXOR S
B 0 1 1
B 1 0 1
figura 20 1 1 0
La tabella di verità del riporto R è un prodotto logico (AND). Il circuito completo, detto semi-sommatore
perché non tiene conto degli eventuali riporti, assume la configurazione di figura 21.
Semi-sommatore
A B S R
EXOR S Semi- S
A A 0 0 0 0
sommatore
0 1 1 0
B B
AND R (Half-adder) R 1 0 1 0
figura 21 1 1 0 1
Per verificare la funzionalità dello schema proposto si utilizza il software di simulazione di Multisim. A tal fine
si disegna lo schema di figura 22 nel quale sono presenti:
figura 22
Con i due interruttori aperti il led del riporto è acceso e quello della somma spento (R = 1, S = 0).
Modificando lo stato degli interruttori si può verificare la tabella completa di figura 19.
Il circuito di figura 21 non tiene conto di eventuali riporti derivanti da somme di bit precedenti. Per risolve-
re tale problema si utilizza il semi-sommatore 2 che addiziona l’eventuale riporto R In alla somma di A e B
e la porta OR che controlla la presenza del riporto precedente ed attuale. Il circuito del sommatore com-
pleto è riportato nella figura 23.
B R' R''
AND AND
OR Riporto R Out
R In
figura 23
Lo schema disegnato con Multisim verifica la funzionalità del circuito di figura 23 . Con A = B = 1 e
R In = 0, la somma è zero (S spento) con il riporto di uno (R acceso) come mostra la figura 24.
figura 24
Quando i tre interruttori sono aperti sia gli ingressi A e B sia R In sono a livello logico alto (A = B = R In = 1).
In questo caso il circuito somma 1 + 1 + 1 ed il risultato è 1 con riporto di 1 (3 in decimale) come mostra
il circuito di figura 25.
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102 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti
figura 25
Volendo effettuare la somma di numeri a 4 bit riportata in figura 26 è necessario utilizzare due sommatori
completi. Poiché non c’è riporto iniziale, l’ingresso R0In è posto uguale a 0.
A
1 R0
Sommatore S 1 1 A1 A0
completo
B 1 0 B1 B0
(Full-adder) R Out 1 1 1 R1 S1 S0
R In
A1 A0
Sommatore 2 R 1 In R0 Out Sommatore 1
R0 In = 0
(Full-adder) (Full-adder)
S
B1 B0
figura 26 R 1 Out S1 S0
figura 27
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Sistemi Modulo
operativi
2
Unità 1 Architettura software
di un elaboratore
Unità 2 Classificazione e struttura
dei sistemi operativi
Unità 3 I sistemi operativi MS-DOS e XP
Sistemi operativi
U.1
Architettura software di un elaboratore
Prerequisiti U.2
Classificazione e struttura
■ Conoscenza dei sistemi di numerazione binario dei sistemi operativi
ed esadecimale e della codifica delle informazioni.
■ Conoscenza dei dispositivi logici di base.
U.3
I sistemi operativi MS-DOS e XP
Obiettivi U.4
Il sistema operativo Windows 7
■ Acquisire le informazioni di base sui file system
e sulle partizioni del disco rigido.
■ Conoscere le funzioni principali del BIOS Setup.
■ Conoscere le caratteristiche principali dei linguaggi di
programmazione a basso e alto livello.
■ Apprendere le nozioni sugli aspetti più significativi Approfondimenti
di un sistema operativo con interfaccia grafica
■ Comandi esterni del DOS
ed essere in grado di utilizzarlo in modo corretto.
■ Il sistema operativo GNU/LINUX
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Le funzioni fondamentali del BIOS che sono eseguite nella prima fase di avvio di un com-
puter sono le seguenti:
◗ test dei componenti hardware fondamentali del sistema;
◗ caricamento in memoria RAM del sistema operativo prelevato dal disco.
Il BIOS acquisisce le informazioni di base relative alla configurazione hardware del sistema
(floppy installato, se presente, tipi di disco rigido, disco da cui caricare il sistema operati-
vo, data e ora e altro) da una piccola memoria RAM di tipo C-MOS che mantiene le infor-
mazioni rimanendo sempre alimentata, anche a computer spento, per mezzo di
una batteria in tampone presente all’interno del computer.
L’azione svolta dal BIOS inizia nella prima fase di messa in servizio del PC. Quando esso
viene acceso (power-up), la CPU legge il contenuto della ROM (o della memoria FLASH),
a partire da una locazione ben precisa (locazione di reset), eseguendo le istruzioni conte-
nute in essa e nelle successive locazioni.
Le prime operazioni eseguite sono relative a un test di funzionalità della memoria, delle
periferiche di base e di particolari circuiti del calcolatore; questo test è denominato POST
(Power On Self Test).
Se vengono riscontrate anomalie di funzionamento sono emessi sul video messaggi di
errore o, a seconda della circostanza, attivati dei suoni (beep). Se la procedura di self-test
viene superata senza rilevamento di errori, il BIOS inizia la fase di bootstrap, ovvero di
lettura e caricamento dal disco del sistema operativo, nella RAM.
figura 1.2
Nella figura 1.3 è visualizzata la pagina iniziale del BIOS AMI (American Megatrends Inc.). Nel
sistema è presente un disco SATA e un driver per dischi ottici sempre del tipo SATA. Spostando
il cursore su uno dei dispositivi e dando invio, sono mostrate le caratteristiche dettagliate del
disco. Con System Information si ottengono informazioni sulla CPU e sulla memoria installata.
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108 Modulo
2 Sistemi operativi
figura 1.3
figura 1.4
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
1 Architettura software di un elaboratore 109
Con 8 bit si possono avere, per esempio, 256 codici diversi (28 = 256), con 16 bit 65 536
codici (216 = 65 536).
Per questo nei primi processori, essendo il numero delle linee del bus dati limitato a otto
(anzi nei primissimi processori tali linee erano solo quattro), per ottenere un numero più
elevato di codici disponibili si formavano alcuni codici utilizzando due o più byte (1 byte = 8 bit).
È per tale motivo che nei nuovi processori in cui il set di istruzioni è compatibile con i
vecchi processori, pur essendo aumentato il numero di linee del bus dati, i codici del set
di istruzioni di base sono formati da uno o più byte.
È quello che succede nella famiglia di processori utilizzati sui PC che discendono dalla
vecchia CPU 8088 che aveva un bus dati formato da solo otto linee.
È da tenere tuttavia presente che nei nuovi processori della famiglia 8088/86 il set di istru-
zioni di base è stato ampliato. Per esempio un PENTIUM (INTEL) o un K6 (AMD) sono in
grado di riconoscere tutto il set d’istruzioni della CPU 8088, ma nel loro set di istruzioni
ne sono presenti altre non implementate nel processore 8088.
Nello sviluppo dei vari tipi di processori sono andati confermandosi due modi diversi di
implementare in essi il set di istruzioni di base. I microprocessori che riconoscono un ri-
dotto numero di codici di base e che per eseguire funzioni più complesse utilizzano solo
tali codici, sono detti RISC (Reduced Instruction Set Computing).
I processori in grado invece di lavorare con un esteso numero di codici di base sono det-
ti CISC (Complex Instruction Set Computing). I processori della famiglia 8088/86 sono di
questo secondo tipo.
I codici macchina del set d’istruzioni scritti in binario sono per i programmatori di diffici-
le utilizzazione. Un primo passo per semplificare il compito di programmazione è stato
fatto utilizzando al posto di codici binari, codici scritti in esadecimale.
I codici scritti in esadecimale non sono però direttamente interpretabili dal microprocessore.
Già questo piccolo passo di semplificazione per la scrittura di un programma comporta la
presenza di un qualche metodo che provveda a tradurre i codici esadecimali in codici binari.
La traslazione potrebbe essere effettuata via software usando un apposito programma in grado
di effettuare direttamente la traslazione esadecimale-binario o per mezzo di hardware utiliz-
zando appositi circuiti. Si tenga comunque presente che i codici di un programma da svolge-
re, prelevati da un processore dalla memoria a esso collegata, sono sempre scritti in binario.
È per questo che ogni programma da eseguire, comunque codificato, deve sempre essere
prima posto in memoria in formato binario.
Per poter semplificare ulteriormente il compito dei programmatori sono stati sviluppati lin-
guaggi che associano ai codici esadecimali, di difficile memorizzazione da parte del program-
matore, dei mnemonici ovvero delle sigle abbreviate che indicano un’azione da svolgere.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
110 Modulo
2 Sistemi operativi
I linguaggi assembly sono linguaggi a basso livello in quanto associano a ogni loro singo-
la istruzione una sola istruzione corrispondente scritta in linguaggio macchina. Ovvero, esiste
un rapporto uno a uno tra un’istruzione in assembly e un’istruzione in codice macchina.
Le istruzioni scritte in linguaggio assembly non sono direttamente interpretabili dal proces-
sore, occorre quindi effettuare una traslazione del programma in istruzioni eseguibili in co-
dice macchina. La traslazione viene operata con particolari programmi detti assemblatori.
Anche i linguaggi assembly sono di difficile utilizzazione perché richiedono una profonda
conoscenza delle risorse del processore.
Per permettere una più semplice possibilità di utilizzazione degli elaboratori sono stati
sviluppati i linguaggi ad alto livello, più facilmente utilizzabili dai programmatori, anche
senza una profonda conoscenza dell’hardware del sistema; per utilizzare questi linguaggi
sono però necessari particolari programmi, detti compilatori, per effettuare la traslazione
dei linguaggi ad alto livello nel linguaggio macchina relativo all’elaboratore utilizzato.
Partendo dal file sorgente, scritto con un linguaggio ad alto livello, si ottiene, dopo la com-
pilazione, un file binario eseguibile (in genere con estensione .exe). Una volta ottenuto l’ese-
guibile non è più necessario utilizzare il compilatore e il file sorgente (a meno di modifiche).
A volte sono utilizzati per l’esecuzione di un programma scritto con un linguaggio ad alto li-
vello gli interpreti. In questo caso non viene creato un eseguibile, ma ogni istruzione viene
analizzata ed eseguita immediatamente dall’interprete. Ogni volta che il programma deve es-
sere posto in esecuzione è necessario utilizzare di nuovo sia il sorgente che l’interprete.
1011 0000 0000 1010 1011 0011 0001 0010 0000 0000 1101 1000
B0h 0Ah B3h 12h 00h D8h
Codice istruzione Dato Codice istruzione Dato Codice istruzione a due byte
Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 2. Il POST (Power On Self Test) è:
false. ❑ un programma che esegue il test del Sistema
Operativo;
1. Su un disco non possono essere create più di
❑ un test che compie il BIOS all’avvio del sistema;
quattro partizioni logiche. ❑ il test che viene compiuto in fabbrica sul calco-
❑ vero latore;
❑ falso ❑ il test che compie il BIOS per controllare se il
sistema è alimentato.
2. Il sistema operativo, presente sulla partizione
attiva, è quello che viene avviato. 3. La Boot Sequenze è la sequenza che indica
❑ vero l’ordine:
❑ falso ❑ delle unità da cui deve essere effettuato l’av-
vio;
3. Una partizione estesa può essere suddivisa in ❑ dei file del sistema operativo da caricare in suc-
più partizioni primarie. cessione;
❑ vero ❑ con cui all’avvio deve essere fatto il test delle
❑ falso varie unità presenti nel sistema;
❑ con cui sono effettuati i test dei vari componen-
4. Windows XP non può usare la FAT32. ti hardware del sistema.
❑ vero
❑ falso 4. L’MBR (Master Boot Record) è il settore:
❑ di avvio della partizione attiva;
5. Window Vista usa un file system diverso da
quello usato da Windows XP. ❑ che contiene la tabella delle partizioni sul disco;
❑ vero ❑ con la descrizione di tutti i file su disco;
❑ falso ❑ più grande presente sul disco.
unità 2 Classificazione
e struttura dei sistemi
operativi
2.1 I sistemi operativi
Per ottenere una gestione migliore delle risorse hardware del computer (ovvero la parte
elettronica comprendente anche la memoria centrale e quella di massa), sono usati i siste-
mi operativi, ovvero un insieme di programmi, di gestione del sistema, inizialmente scrit-
ti in linguaggio assembly, e poi in linguaggio “C” o “C++”.
I sistemi operativi permettono agli utenti del computer un più facile accesso alle unità
di ingresso e di uscita dati, alla gestione dei dispositivi di memorizzazione di massa (dischi
magnetici, ottici), alla gestione dei processi e all’avvio delle varie applicazioni.
Un sistema operativo, in base al numero di bit con cui sono formati i dati e il codice che
utilizza, è definito a 16, 32 o 64 bit.
I primi PC, con processori della famiglia 8088/86, erano dotati del sistema operativo a linea
di comando, denominato MS-DOS (MicroSoft Disk Operating System). In realtà nei primi
PC della IBM esso si chiamava PC DOS. L’azione da svolgere (comando) doveva essere
indicata al sistema operativo scrivendola su una linea del video. Ciò costringeva l’utente a
conoscere un gran numero di parole chiave (i comandi del DOS) che dovevano essere di
volta in volta impartiti all’OS (Operating System) scrivendoli da tastiera.
Alla prima versione dell’MS-DOS ne seguirono altre con caratteristiche più avanzate, fino
ad arrivare alla 6.22 (nel 1994) l’ultima venduta separatamente da Windows. La versione
7.0 è invece inclusa in Windows 95.
Le varie versioni del DOS sono a 16 bit e il file system è la FAT (dapprima a 12 bit e poi
a 16 bit).
Intorno al 1985 la Microsoft, per semplificare l’utilizzazione dei PC, introduce un sistema
operativo che lavora con un ambiente grafico detto GUI (Graphical User Interface), ma
che opera però ancora utilizzando le risorse di MS-DOS. Il nuovo sistema è chiamato
Windows 1.0. Si ricorda che nel 1984 l’APPLE aveva prodotto il MACINTOSH, il primo
PC con interfaccia GUI.
L’interfaccia grafica, permette di interagire con l’OS, per eseguire numerose funzioni, in un
ambiente a finestre, servendosi di particolari piccole immagini, presenti sul video, denomi-
nate icone. Il comando viene impartito al sistema, quindi, con un semplice clic sull’icona.
Seguono le versioni Windows 2.0, Windows 3.0 e infine nel 1992 l’ultima versione 3.1
(seguita poi da alcuni aggiornamenti).
I Sistemi Operativi Windows, 3.x anche se utilizzano un’interfaccia GUI, sono da conside-
rarsi degli ambienti operativi, lavorando ancora con il Sistema Operativo MS-DOS e sono
quindi a 16 bit e con file system FAT (a 16 bit).
Nel 1995 la Microsoft immette sul mercato Windows 95. Esso, a differenza delle prece-
denti versioni di Windows, opera senza la presenza dell’MS-DOS. Nel 1998 è poi presen-
tato Windows 98 e dopo qualche tempo Windows ME. I sistemi operativi Windows 9.x
sono a 32 bit ma possono operare anche con dati a 16 bit. Il file system è la FAT a 32 bit
(introdotta con la versione OSR2 di Windows 95). Alla fine del 2002, è messo in commer-
cio Windows XP, presente sul mercato nella versione Home, destinata prevalentemente
ai PC che operano nell’ambiente domestico, e una versione Professional per l’ambito
aziendale. È un OS a 32 bit con disponibilità di una versione a 64 bit per la piattaforma
PC (XP Professional x64). Windows XP lavora con il file system NTFS.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Classificazione e struttura dei sistemi operativi 113
Windows Vista, è stato reso disponibile, per alcune fasce di utenti, alla fine del 2006, e
ufficialmente messo in vendita alla fine di gennaio 2007. Sono presenti in commercio le
seguenti versioni: Starter, Home Basic, Home Premium, Business, Enterprise e Ultimate. Il
sistema operativo è a 32 bit (con disponibilità di una versione a 64 bit) e lavora con file
system NTFS.
Windows 7, l’ultimo sistema operativo della Microsoft, è stato reso disponibile nel mese
di ottobre del 2009. È un sistema operativo con codice a 32 o 64 bit distribuito in varie
versioni. Il file system è rimasto lo stesso di Windows Vista (NTFS).
Nel mese di febbraio del 2011 è avvenuto il rilascio del Service Pack 1.
Al nuovo sistema operativo sono state apportate notevoli ottimizzazioni come un miglio-
ramento dell’aspetto e delle funzionalità del desktop, una modalità di ricerca di file e
cartelle ottimizzata, miglioramento delle prestazioni, una più facile gestione delle reti LAN
cablate e wireless, migliore protezione offerta dal Firewall integrato, disponibilità del pac-
chetto Windows Live, nuove funzionalità multimediali e altro.
Contemporaneamente alle versioni di Windows destinate per lo più ai desktop, sono sta-
te rilasciate dalla Microsoft anche versioni specifiche per workstation e server (del tipo
multitasking e multiutente) con file system NTFS: nel 1993 è presentato Windows NT 3.1.
È un OS a 32 bit, destinato soprattutto a essere utilizzato come server di rete. Successivamente
sono messi in commercio Windows NT 3.5 e Windows NT 3.51. Nel 1996 è presentato
Windows NT 4.0 e poi nel 2000 Windows 2000 destinati soprattutto ai server e alle
workstation. Alla fine del 2002 esce la versione per server di XP: Windows Server 2003.
In ottobre 2009 è stata commercializzata la versione Windows Server 2008 R2 (di Windows 7)
per il mercato server. Per la piattaforma PC sono disponibili anche altri sistemi operativi
tra cui si citano le varie implementazioni di UNIX e LINUX, sistema operativo simile a
UNIX, open source. La struttura iniziale di LINUX fu realizzata nel 1991 da Linus Torvalds
e distribuita gratuitamente su Internet perché venisse ampliata da altri programmatori.
Esistono diverse distribuzioni di LINUX realizzate da varie software-house; tra le più note si
citano: Mandriva Linux, Caldera Open Linux, Red Hat, SuSE Linux, Debian Gnu/Linux, Ubuntu.
Il file system, lo stesso di Windows XP e di Vista, è l’NTFS (sono supportati anche i file
system di tipo FAT16 e FAT32).
Le unità a disco possono essere utilizzate come:
◗ dischi di base - è la modalità tradizionale di utilizzo dei dischi usata anche negli altri
sistemi operativi. I dischi di base possono essere suddivisi in partizioni. Le partizioni
prima di essere utilizzate debbono essere formattate con il tipo di file system scelto.
◗ dischi dinamici - (introdotti con Windows 2000 e utilizzati anche con Windows XP Pro-
fessional e Vista) presentano caratteristiche non utilizzabili con i dischi di base. Possono
essere suddivisi in volumi (corrispondenti alle partizioni). Un volume può anche essere
esteso su più dischi ed è identificato come un’unica unità. Possono essere anche creati
volumi a tolleranza di errore per garantire l’integrità dei dati. Il volume semplice occupa
un singolo disco. I volumi, prima dell’utilizzazione devono essere formattati.
L’utilizzazione dei dischi dinamici è implementata solo nelle versioni Ultimate ed Enterprise.
Le principali innovazioni introdotte con Windows 7 sono:
◗ possibilità di scegliere all’atto dell’installazione di WINDOWS 7, se caricare e installare
come browser predefinito uno alternativo a Explorer 8 (è disponibile anche Explorer 9).
◗ firewall integrato con filtro dei dati sia in ingresso sia in uscita;
◗ possibilità di eseguire la deframmentazione dei dischi automaticamente;
◗ masterizzazione dei CD e DVD con il pulsante masterizza presente nella barra degli
strumenti delle varie finestre di esplora risorse;
◗ interfaccia utente Aero (non presente nelle edizioni Starter e Home Basic) con ambienti
tridimensionali e altre funzioni innovative;
◗ supporto alle DirectX 11;
◗ nuovo Windows Media Player 12;
◗ sono state rimosse le applicazioni Windows Movie Maker, Windows Calendar e Windows
Sidebar (è presente comunque Windows DVD Maker);
◗ non è più presente Windows Mail, ma bisogna scaricare e installare il nuovo programma
di posta elettronica Windows Live Mail (appartenente alla suite Live Essentials);
◗ una nuova versione di Windows Media Center;
◗ supporto di Hard Disk virtuali con il formato VHD;
◗ supporto alle funzionalità dei dischi allo stato solido (SSD);
◗ è presente la funzione Gruppo Home che permette di condividere contenuti multimedia-
li tra i diversi computer di una rete domestica;
◗ completamente rinnovati il programma di grafica Paint e l’editore di testi WordPad dota-
ti di nuove funzionalità;
◗ sono state potenziate le caratteristiche della calcolatrice;
◗ la barra delle applicazioni (task bar) è stata ridisegnata, non c’è più la barra avvio veloce;
◗ dopo l’installazione, è possibile creare un’immagine della partizione su cui è installato il
sistema operativo e creare anche un disco di ripristino;
◗ è disponibile la funzionalità Windows XP Mode (solo per le versioni Professional, Enterprise
e Ultimate). XP mode offre la possibilità di eseguire le applicazioni usando Windows XP;
◗ Crittografia di cartelle e file con EFS (Encrypting File System) solo per le versioni Profes-
sional, Enterprise e Ultimate e solo con il file system NTFS.
La Modalità XP mode, gratuita, deve essere scaricata dal sito della Microsoft e deve essere
poi installata. Permette di eseguire le applicazioni compatibili con XP, ma non con Windows 7,
direttamente sul desktop del nuovo sistema operativo. XP mode non è altro che una mac-
china virtuale sulla quale viene posto in esecuzione il sistema operativo Windows XP.
Le risorse hardware per utilizzare Windows 7 senza problemi sono le seguenti:
• processore a 32 o 64 bit, con frequenza del clock almeno di 1 GHz;
• 1 GByte di memoria RAM (2 GByte per versioni con codice a 64 bit);
• hard disk da 40 GByte con liberi almeno 16 GByte (20 GByte per versioni a 64 bit);
• scheda grafica compatibile con le DirectX 9 con almeno 128 MByte di memoria grafica.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Classificazione e struttura dei sistemi operativi 117
Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 10. Window 7 usa un file system diverso da quello
false. usato da Windows XP.
❑ vero
1. MS-DOS è un sistema operativo a 32 bit. ❑ falso
❑ vero
❑ falso 11. KDE e GNOME sono due ambienti grafici per
GNU/LINUX.
❑ vero
2. Il primo sistema operativo con interfaccia GUI
❑ falso
è stato realizzato dalla Microsoft.
❑ vero 12. GNU/LINUX non è un sistema operativo multi-
❑ falso tasking.
❑ vero
3. MS-DOS è un sistema operativo multitasking. ❑ falso
❑ vero 13. SAMBA è un’applicazione che permette lo
❑ falso scambio di dati tra computer in rete anche se
gestiti da sistemi operativi diversi.
4. Windows XP non può utilizzare il file system ❑ vero
NTFS. ❑ falso
❑ vero
14. Nei dischi dinamici un volume può anche
❑ falso
essere esteso su più dischi.
❑ vero
5. EXT3 è il file system di Windows Vista. ❑ falso
❑ vero
❑ falso 15. Il firewall integrato di Windows 7 non filtra i
dati in ingresso.
❑ vero
6. Il file system di MS-DOS è FAT32.
❑ falso
❑ vero
❑ falso 16. APACHE è un Web Server.
❑ vero
7. MS-DOS è un sistema operativo che può ❑ falso
essere usato da più utenti contemporanea-
mente. 17. Windows 7 non può usare la FAT32.
❑ vero ❑ vero
❑ falso
❑ falso
figura 3.1
I nomi dei file possono essere completati con un’estensione, formata (nelle vecchie ver-
sioni del DOS) al massimo da tre caratteri, e separata dal nome del file da un punto.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 121
Alcune estensioni identificano in modo univoco specifici tipi di file e possono pertanto
essere usate solo con essi; le principali sono:
◗ .COM indica un eseguibile (file che contiene un programma che può essere posto in
esecuzione, in ambiente DOS, digitando il suo nome e dando invio).
◗ .EXE è ancora un eseguibile (file di programma), con caratteristiche leggermente di-
verse dal precedente.
◗ .SYS sono file di sistema.
◗ .BAT particolari file, detti batch, contengono un insieme di comandi del DOS.
◗ .BAK (backup) copie di sicurezza;
◗ .HLP (help) file di aiuto.
Altre estensioni sono, a volte, comunemente utilizzate per identificare il tipo di file realiz-
zati con particolari applicazioni;
◗ .ASM file per i programmi che utilizzano il linguaggio assembly (MASM e TASM);
◗ .TXT file di testo;
◗ .DOC documenti.
Per poter usare in modo più semplice i file, è possibile creare sul disco delle suddivisioni,
dette directory; ognuna di esse è contraddistinta da un proprio nome e può contenere
un certo numero di file.
Con questo sistema è possibile accedere ai file di una certa directory ignorando quelli
presenti nelle altre. Il disco intero è considerato come una directory a cui è assegnato il
nome di directory principale o radice.
Nei sistemi operativi con interfaccia grafica le directory sono dette cartelle.
Si possono, inoltre, creare all’interno di una certa directory, altre directory. Il procedimen-
to può essere ripetuto per le nuove directory, creando così una struttura ad albero.
tabella 3.1
cd Accede a una subdirectory diversa da quella attuale.
copy Esegue la copia di file su disco.
date Visualizza la data attuale permettendo anche di variarla.
del Permette di cancellare i file del disco.
dir Visualizza l’elenco dei file e delle direttrici contenuti sul disco.
echo Visualizza un messaggio o ne attiva (echo on) o disattiva (echo off) la visualizzazione.
md Crea una nuova subdirectory.
path Stabilisce i percorsi di ricerca dei file eseguibili.
pause Sospende l’esecuzione di un file di comandi (file batch).
prompt Imposta un nuovo tipo di prompt del DOS.
rd Elimina una subdirectory.
ren Cambia il nome a un file presente su disco.
time Visualizza l’orario attuale permettendo anche di variarlo.
type Visualizza su video il contenuto di un file, se scritto in formato ASCII.
ver Visualizza la versione corrente del DOS.
◗ I comandi esterni non sono contenuti in memoria, ma si trovano sul disco sotto for-
ma di file eseguibili, con estensione .COM o .EXE. Per essere eseguiti debbono effetti-
vamente trovarsi sul disco rigido o su qualsiasi altro supporto di memorizzazione.
Quando si digita un comando, seguito da invio, il DOS controlla come prima cosa se è un
comando interno. Nel caso non lo sia, effettua una ricerca nel drive corrente; se viene
trovato, il sistema operativo carica in memoria il file relativo al comando lo avvia e poi gli
cede controllo. Se invece il file associato al comando non viene trovato, compare sul video
un messaggio di avvertimento e viene di nuovo visualizzato il prompt.
Da quanto precedentemente affermato è chiaro che i comandi esterni possono essere
eseguiti solo se presenti, sotto forma di eseguibili, nel disco inserito nell’unità corrente (di
default), contraddistinto dalla lettera che compare nel prompt (per esempio C:\> se si è
avviato il sistema dal disco rigido).
Se sul disco ci sono presenti altre directory, il file relativo al comando digitato deve risie-
dere nella directory root.
È possibile, attraverso il comando interno path, fare ricercare automaticamente il file anche
in altre directory o altre unità a disco.
Volendo eseguire un comando presente su un’unità di memorizzazione diversa da quella
corrente, è necessario cambiarla con il seguente comando (si supponga di trovarsi in C:):
C:\ > E: ↵
Con tale comando si seleziona l’unità E: (per esempio una chiavetta USB) e il nuovo prompt
diventa:
E:\ > _
figura 3.2
■ Caratteri speciali
Al fine di rendere più efficace l’utilizzazione dei comandi per la gestione dei file, il DOS
permette di adoperare due caratteri jolly, l’asterisco (*) e il punto interrogativo (?), che,
inseriti opportunamente nei nomi dei file, possono sostituire parti del nome o dell’esten-
sione o i singoli caratteri del nome stesso.
La parte del nome del file o dell’estensione al cui posto viene inserito l’asterisco può as-
sumere un valore qualsiasi. Il punto interrogativo invece può sostituire i singoli caratteri.
◗ DIR
Per vedere l’elenco dei file contenuti su un disco bisogna digitare il comando DIR e bat-
tere il tasto di invio (return). Supponendo di essere sul drive C, si ha:
C:\ DIR ↵
Il DOS visualizza il nome di ogni file con la relativa estensione (se esiste). Inoltre per ogni
file sono fornite altre informazioni quali la sua dimensione, espressa in byte, la data e l’ora
di creazione o dell’ultima modifica effettuata. Insieme ai file sono visualizzate anche le
directory. Esse si distinguono in quanto sono precedute nell’elenco dalla scrittura partico-
lare <DIR>. L’elenco dei file è, naturalmente, quello relativo alla directory da cui si è dato
il comando.
Quando il numero dei file è elevato, sul video avviene uno scorrimento verso l’alto dell’im-
magine e alla fine rimane visibile solo l’ultima parte dell’elenco. Per poter osservare i file
precedenti occorre far scorrere la barra verticale presente al lato della finestra quando
l’elenco eccede le sue dimensioni.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
124 Modulo
2 Sistemi operativi
Con i caratteri jolly del comando DIR è possibile digitare solo una parte dei file:
C:\ > DIR ∗.EXE ↵
farà apparire sul video tutti i file con nome qualsiasi e con estensione EXE memorizzati
sulla directory radice del disco C:.
C:\> DIR LIBRO.∗ ↵
farà apparire sul video tutti i file di nome LIBRO, memorizzati sul disco rigido nella direc-
tory radice, qualunque sia la loro estensione.
Il punto interrogativo, a differenza dell’asterisco, sostituisce solo un carattere nel nome o
nell’estensione di un file.
◗ DEL
Il comando DEL serve per cancellare uno o più file. La sintassi del comando richiede di
specificare il nome e l’estensione del file che si vuole cancellare:
C:\> DEL nomefile ↵
Si possono cancellare in una sola volta tutti i file aventi la stessa estensione utilizzando il
carattere jolly asterisco (*):
E:\> DEL *.BAS ↵
Per cancellare tutti i file con qualsiasi nome e qualsiasi estensione presenti in E: si deve
digitare:
E:\ DEL *.*
◗ MD (o MKDIR)
Il comando MD serve per creare una nuova directory. La sintassi è:
C:\> MD nomedirectory ↵
◗ CD (o CHDIR)
Il comando CD permette di passare dalla directory radice a una subdirectory o da una
subdirectory all’altra.
La sintassi del comando è:
C:\> CD nomedirectory ↵
La nuova directory a cui si deve accedere deve essere attigua a quella attuale, altrimenti
bisogna fornire il percorso completo per raggiungerla.
Per uscire da una directory (supponendo che essa abbia il nome SISTEMI) e tornare alla
directory madre (che in questo caso coincide con la radice) basta digitare:
C:\SISTEMI> CD .. ↵
Il DOS interpreta i due punti (..) posti dopo il comando CD come nome della directory
superiore.
Da qualsiasi subdirectory si torna alla radice con il comando:
CD \ ↵
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 125
In tal caso la barra rovesciata (\) rappresenta la directory radice. Quindi si deve tenere
presente che ogni volta che si deve risalire di un livello verso la radice si deve usare il
comando CD ..; mentre se si vuole ritornare direttamente alla radice, in qualsiasi livello ci
si trovi, si usa CD \.
◗ RD (o RMDIR)
Il comando RD è utilizzato per cancellare le directory. Perché il comando possa esplicare la
sua funzione è necessario che le directory siano vuote ossia che non contengano alcun file.
La sintassi del comando è:
C:\> RD nomedirectory ↵
dove nomedirectory è il nome della subdirectory che si vuole cancellare. Per eliminare una
subdirectory, una volta svuotata, ci si deve mettere fuori di essa per poterla cancellare.
Se la subdirectory da eliminare, oltre ai file, contenesse anche altre subdirectory, si dovreb-
bero eliminare prima le subdirectory più interne e gli eventuali file in esse contenuti, e poi
procedere alla sua cancellazione. Esiste una opzione (/s) che permette di cancellare una
directory anche se non vuota.
◗ COPY
Il comando COPY permette di copiare uno o più file, da un disco all’altro o da una subdi-
rectory a un’altra o anche nella stessa subdirectory in cui si trova, cambiandovi però il nome.
La sintassi del comando è la seguente:
La sorgente deve contenere il nome del file che si vuole copiare preceduto dal percorso
completo per raggiungerlo, mentre nella destinazione deve esserci il nome che deve es-
sere attribuito al file da copiare e il percorso completo di dove esso deve essere copiato.
Se il nome del file sorgente è lo stesso di quello di destinazione, esso può essere omesso.
■ Il desktop
Al termine dell’installazione si presenta un desktop con una sola icona (quella del Cestino)
e in basso la Barra delle applicazioni con a sinistra, il pulsante Start, che consente di
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
126 Modulo
2 Sistemi operativi
■ Menu Start
Nel menu START possono distinguersi le seguenti parti:
■ Pannello di controllo
Il Pannello di controllo (figura 3.6), permette di eseguire attività fondamentali per la ge-
stione del computer. Alcune di esse sono:
rinominA Permette di cambiare il nome dell’unità (per esempio Floppy) ma non la lettera che la
contraddistingue.
propriEtà Fornisce informazioni sull’unità selezionata. è visualizzato lo spazio occupato e quello
libero delle unità a disco. è possibile eseguire la pulizia dell’unità per eliminare alcuni tipi
di file. Si può, selezionando l’opzione Strumenti nella finestra ProPrietà, eseguire la
scansione del disco (per la ricerca di errori) e la sua defragmentazione.
figura 3.7
■ Uscita da Windows XP
Si esce da Windows con il pulsante START ⇒ SPEGNI COMPUTER della Barra delle ap-
plicazioni. Nella finestra che si apre facendo clic su CHIUDI SESSIONE è possibile sce-
gliere tra le seguenti scelte:
– Spegni;
– riaVVia;
– StandBy.
■ Recupero di un file
I file spostati nel cestino possono essere recuperati fin quando questo non viene svuotato.
Si noti che i file del disco A: non sono posti nel cestino, ma cancellati definitivamente. Per
il loro recupero è necessario usare il comando undelete del DOS. Fare clic con il tasto
destro sul cestino, dal menu scegliere apri. Poi fare clic con il tasto destro sull’elemento
da recuperare, dal menu scegliere ripriStina.
■ Avvio di un programma
Fare due volte clic (rapidamente) sull’icona del file. Se il file sulla cui icona si fa clic non
è un eseguibile ma un file documento, un file grafico o altro, viene attivata l’applicazione
correlata con il tipo di file e poi aperto automaticamente il file.
In alternativa fare clic con il pulsante destro sul file. Dal menu a tendina scegliere apri o
apri con... per scegliere l’applicazione con cui aprire il file.
Nome
Dimensione
Tipo
Ultima modifica
Disponi icone per
▲
Visualizza in gruppi
Aggiorna Disposizione automatica
Incolla Allinea alla griglia
Incolla collegamento Mostra icone del desktop
Annulla eliminazione Blocca elementi Web sul desktop
Nuovo
▲
Avvia Pulitura guidata desktop
Proprietà
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Disconnetti unità di rete...
Crea collegamento
Elimina Con Proprietà si accede a un menu
Rinomina a cartelle (Ripristino configurazio-
Proprietà ne di sistema, Nome computer,
Hardware, Connessione remota,
Aggiornamenti automatici)
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Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 133
Su una unità diversa da A: Sull’unità A:
Apri Apri
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Condivisione e protezione Condivisione e protezione
Formatta... Copia disco
Copia Formatta...
Crea collegamento Taglia
Rinomina Copia
Proprietà Incolla
Crea collegamento
Rinomina
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Cartella compressa
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◗ Con la cartella generale è possibile tra l’altro scegliere se utilizzare una sola finestra o
più finestre sovrapposte nell’apertura delle cartelle e la possibilità di selezione degli
oggetti con uno o due clic del mouse.
◗ Con la cartella V iSualizzazione ( figura 3.8 ) è possibile effettuare importanti scelte
sulla visualizzazione dei file. Innanzi tutto è bene togliere il segno di spunta sul
rigo naScondi l’eStenSione per i tipi di File conoSciuti poiché, spesso, non è possibile
distinguere due file che hanno stesso nome ma estensione diversa (per esempio:
setup.exe e setup.ini).
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figura 3.9
figura 3.8
figura 3.10
figura 3.11
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Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 137
◗ Account Administrator. L’utente con questo account ha le più ampie prerogative di ge-
stione del sistema; esso può creare nuovi account, eliminare quelli esistenti, cambiare
tipo di account agli altri utenti, assegnare, eliminare o modificare le password.
L’Administrator è l’utente che può installare e disinstallare programmi e hardware, ac-
cedere a tutte le cartelle e file (tranne quelli privati), apportare modifiche al sistema. In
un computer possono esserci più utenti con l’account di amministratore. Durante l’in-
stallazione del sistema operativo, è creato un account Administrator.
◗ Account limitato. Gli utenti con account limitato possono solamente modificare o elimi-
nare la loro password. Possono utilizzare il software presente nel PC, ma non hanno
facoltà di installare altri programmi né altro hardware.
◗ Account Guest. Gli utenti a cui non è assegnato nessun account (e quindi non hanno
password) sono definiti utenti con Account Guest (ospite). Se l’Account Guest è abili-
tato, gli utenti con questo tipo di account, pur non potendo installare nuovi programmi
e nuovo hardware, possono accedere a molte delle risorse del computer. Nella finestra
di figura 3.12 è presente anche un nuovo account limitato, creato successivamente all’in-
stallazione del sistema operativo con il pulsante crea account utente.
La creazione degli account fatta per mezzo del menu del Pannello di controllo (con il
pulsante account utente) permette di scegliere la creazione di utenti Administrator o
Limitati. Se si sceglie di creare un utente Administrator, dopo il completamento della pro-
cedura, il nuovo utente viene inserito sia nel gruppo Administrators che in quello Users
(utenti limitati). La creazione di utenti limitati invece inserisce il nuovo utente nel gruppo
Users.
Una gestione più ampia degli account può essere fatta con Strumenti di amminiStrazione
⇒ geStione computer ⇒ utenti e gruppi locali del Pannello di controllo.
3.2.8 I MalWare
I virus e le altre forme a essi associate (definiti anche come MalWare, ovvero Malicious
softWare) sono costituiti da programmi, in genere di piccole dimensioni, che una volta
presenti in un computer, possono arrecare danni al software del sistema o, nei casi miglio-
ri, creare effetti di disturbo. Agli inizi degli anni ’80, si ebbe la diffusione dei primi virus
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138 Modulo
2 Sistemi operativi
informatici, che entravano nei computer attraverso i programmi scambiati tra gli utenti, in
genere per mezzo dei floppy disk.
Attualmente, l’utilizzazione di Internet e della posta elettronica da parte di un numero sem-
pre maggiore di utenti, ha permesso la diffusione dei virus in modo sempre più massiccio.
I meccanismi di diffusione, e la natura stessa dei virus, hanno subito negli anni sostan-
ziali modifiche e per questo, sono stati creati nuovi nomi per distinguere i virus veri e
propri da altri tipi di software che apportano danno ai sistemi che li ospitano. In termi-
ni tecnici l’azione che i virus svolgono nel computer ospite, una volta attivati, si defini-
sce payload.
Il codice che costituisce un virus può essere inserito:
◗ in un qualsiasi programma eseguibile con estensione .EXE, .COM (e altri tipi di ese-
guibile);
◗ nelle macro contenute nei file prodotti dalle applicazioni di Microsoft Office come i
documenti con estensione .doc (Word), .xlm (file di Excel), .ppt (file di Power Point).
Le macro sono costituite da parti di codice, scritto in genere in Visual Basic, che per-
mette l’esecuzione ripetuta di una serie di comandi. Se per esempio in un documento
Word, evidenziando una parte di testo, si vuole operare su di esso una certa formatta-
zione più o meno complessa, si attiva una macro che esegue la formattazione premen-
do solo uno o due tasti. Tutte le volte che si vuole operare la stessa formattazione su
una parte di testo, si attiva quella macro.
◗ nel settore di avvio dei dischi.
Il virus introdotto nel sistema con uno dei metodi precedentemente elencati, tende a re-
plicarsi infettando altri file o inserendosi nel boot sector (Æ Unità 1, paragrafo 1.4.2) del
computer ospite. Inoltre, il codice aggiunto può produrre effetti diversi come il danneg-
giamento di dati, la visualizzazione di messaggi o altri effetti visivi (a volte non dannosi
per l’integrità di dati) o il danneggiamento del settore di avvio del disco o anche la sua
formattazione.
■ Worm
Sono file autonomi autoreplicanti che non hanno bisogno di essere inseriti in un esegui-
bile per funzionare. Alterano il sistema operativo divenendo a tutti gli effetti delle appli-
cazioni dello stesso. Entrano nei computer attraverso la posta elettronica o durante i
collegamenti a Internet sfruttando le falle del sistema operativo. In genere si replicano
creando copie di se stessi su altri computer collegati in rete.
■ Cavalli di Troia
Sono applicazioni installate nel computer inavvertitamente in quanto presentate sotto
una veste ingannevole che ne cela la vera identità. Spesso i trojan si presentano come
allegati delle e-mail con false estensioni del file. È importante disattivare la funzione
Nascondi le estensioni per i tipi di file conosciuti ( figura 3.8 ) in modo da poter vede-
re l’effettiva estensione del file allegato che non deve essere assolutamente un esegui-
bile. Per esempio, un allegato con nome figura.bmp potrebbe essere in realtà figura.
bmp.exe (la estensione .exe potrebbe essere non vista se è attivata la funzione prece-
dente). Altra possibilità di nascondere l’estensione reale dell’allegato è quella di sepa-
rarla con un numero molto elevato di spazi. Una volta installato un trojan nel computer
le attività che possono essere da esso svolte sono le più varie: installazione di un virus
vero e proprio, alterazione di dati e programmi, installazione di spyware o dialer o
anche installazioni di applicazioni che permettono il controllo remoto del computer
attraverso Internet.
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Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 139
■ Spyware
Sono programmi che una volta attivati forniscono a sistemi remoti, attraverso Internet,
informazioni sull’utente, sul software da esso usato, sulle abitudini di navigazione e altro.
Sono inseriti nel computer in modo inconsapevole, per esempio per mezzo di trojan, o
in modo consapevole come parti integranti di programmi di tipo shareware o freeware.
In questo caso spesso l’utente, pur avendo caricato consapevolmente il software, non è
a conoscenza della possibilità che esso usi degli spyware in quanto non ha letto con
attenzione la licenza d’uso. A volte, anche i cookie possono essere utilizzati come spy-
ware.
Si possono elencare le seguenti categorie di spyware:
◗ Cookie: sono dei piccoli file di testo che i siti visitati installano sul computer, in
genere per tenere traccia delle preferenze dell’utente durante la navigazione nel sito
o della sua identità. La lettura dei cookie memorizzati è permessa solo ai siti che li
depongono, ma esiste la possibilità che anche altri siti, sfruttando falle del sistema,
accedano ai cookie deposti nel computer da altri. Spesso anche siti collegati con
quello visitato creano cookie sul computer (cookie di terze parti). A volte, i cookie,
possono essere utilizzati in modo improprio permettendo l’accesso da parte di terzi
a informazioni sull’utente per scopi commerciali o altro. Si veda nella guida in linea
di Windows un’ampia panoramica sui cookie (Start ⇒ guida in linea e Supporto
tecnico ⇒ cerca ⇒ cookie).
◗ Adware (ADvertisement softWARE): sono programmi gratuiti installati consapevolmente
dall’utente in cui, in cambio dell’uso gratuito, si accetta la visualizzazione di banner
(annunci) pubblicitari durante l’utilizzazione del programma. Si tenga presente che i
banner non sono direttamente inseriti nell’adware ma vengono di volta in volta attivati
durante il collegamento. Spesso gli adware non si limitano alla visualizzazione dei ban-
ner, ma raccolgono anche informazioni sull’utente.
◗ Key logger programmi che tengono traccia di tutte le attività svolte in un computer per
mezzo della tastiera e possono quindi catturare codici delle password, numeri delle
carte di credito, indirizzi di posta elettronica e quanto altro viene digitato.
■ Dialer
Sono programmi che, una volta entrati in esecuzione, disconnettono l’utente dal provider
ed effettuano un collegamento con un numero diverso da quello su cui si sta operando.
In genere il nuovo collegamento è a pagamento. I dialer possono essere installati sul com-
puter con dei semplici clic sui banner, accettando poi condizioni che non sempre sono
particolarmente evidenti. Il problema non si presenta con connessioni ADSL in condizioni
normali.
■ Spamming
Lo spamming (o spam) è effettuato inviando sull’indirizzo di posta elettronica dell’utente
un gran numero di e-mail contenenti pubblicità per lo più indesiderata. I provider, per
quanto possibile, cercano di eliminare lo spamming servendosi di una lista di indirizzi IP
di siti che effettuano gli invii.
■ Phishing
Attraverso e-mail, si invitano gli utenti ad attivare link che riproducono in modo molto
fedele il sito di istituti di credito, istituzioni, aziende e altro e a inserire password, numeri
di carte di credito o altri dati personali. Le informazioni quindi vengono inviate a siti di-
versi da quelli ingannevolmente rappresentati.
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140 Modulo
2 Sistemi operativi
Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 7. Con Windows XP non è possibile masterizzare
false. un CD o DVD senza utilizzare un software spe-
cifico.
MS-DOS ❑ vero
❑ falso
1. Il comando del DOS DIR (o dir) visualizza
l’elenco delle unità presenti nel sistema.
❑ vero
❑ falso ■ Rispondi alle seguenti domande.
MS-DOS
2. Il comando del DOS C:\> DEL *.* cancella tutti
i file presenti nella radice dell’unità C. 1. Quali funzioni svolge il file command.com nel
❑ vero DOS?
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
3. Il comando del DOS C:\> RD Disegni rimuove ...........................................................................
la directory Disegni solo se è vuota.
❑ vero 2. Con quale comando si cambia unità nel DOS?
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
Windows XP ...........................................................................
1. Per eliminare un’applicazione basta cancellare 3. Qual è la differenza tra i comandi interni e
il file eseguibile relativo a essa. quelli esterni?
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
2. I file eliminati non possono più essere recuperati.
❑ vero 4. In quale modo funziona il carattere jolly * (aste-
❑ falso risco)?
...........................................................................
3. Facendo clic con il tasto destro su una cartel- ...........................................................................
la si ottiene un menu che permette tra l’altro di ...........................................................................
cambiarle il nome.
❑ vero 5. In quale modo funziona il carattere jolly ?
❑ falso (punto interrogativo)?
...........................................................................
4. Facendo clic con il tasto destro sul nome di un ...........................................................................
file si ottiene un menu che permette tra l’altro ...........................................................................
di eliminare il file.
❑ vero 6. Qual è il comando che si deve impartire in
❑ falso ambiente DOS per copiare tutti i file presenti
nella directory C:\grafica in D:\disegni?
5. Con clic con il tasto destro su un punto libero del ...........................................................................
Desktop e scegliendo poi dal menu che si ottie- ...........................................................................
ne Nuovo è possibile creare una nuova cartella. ...........................................................................
❑ vero
❑ falso 7. Qual è il comando che si deve impartire in
ambiente DOS per eliminare tutti i file presenti
6. Con clic con il tasto destro sull’icona Risorse in C:\grafica che hanno il nome che inizia con
del computer e scegliendo poi dal menu che si la lettera A e hanno estensione .jpg?
ottiene Apri è possibile aprire un file. ...........................................................................
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
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Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 141
Test di verifica
Windows XP 8. Come si può cancellare un file?
...........................................................................
1. Come si accede al Pannello di controllo? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
........................................................................... 9. Come è possibile ricercare tutti i file presenti in
D:\ con nome qualsiasi ed estensione *.bmp?
2. Come si accede a Risorse del computer? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
10. Come è possibile ricercare tutti i file presenti in
3. Come si accede all’utilità di deframmentazio- D:\ col nome disegnoxx.jpg dove xx è un nume-
ne del disco? ro di due cifre?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
11. Come è possibile attivare o disattivare la
4. Come si crea una Nuova cartella sul desktop? visualizzazione delle estensioni dei file?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
5. Come si cambia il nome a un file? 12. Come è possibile visualizzare o non visualiz-
........................................................................... zare file e cartelle nascosti?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
6. Come si può spostare un file da una cartella a
un’altra? 13. A cosa serve il Ripristino configurazione di
........................................................................... sistema?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
7. Come si può copiare un file da una cartella a
un’altra? 14. Come si possono creare nuovi account utente?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
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142 Modulo
2 Sistemi operativi
laboratorio WInDOWS XP
1. Creare una barra degli strumenti con RisoRse del computeR sul desktop
La presenza di una barra con riSorSe del comPuter sulla parte alta del desktop o, volendo, anche late-
ralmente, rende molte delle operazioni che si è soliti compiere con le unità a dischi molto più semplici e
veloci.
Sulla barra saranno posizionate tutte le unità presenti nel sistema incluso il drive (o i drive) per CD/DVD.
Inoltre saranno presenti le cartelle Documenti e Documenti condivisi e il Pannello di controllo. Saranno poi
visualizzate sulla barra le eventuali unità USB, quando vengono collegate, e i dischi esterni (figura 3.13).
L’apertura delle unità e delle cartelle avviene con un semplice clic del mouse.
Posizionando il cursore del mouse su una delle unità è visualizzato lo spazio disponibile e le dimensioni totali.
◗ Porre sul desktop l’icona di riSorSe del comPuter:
aprire il menu Start ⇒ clic con il tasto destro su riSorSe del comPuter ⇒ clic su ViSualizza Sul deSktoP.
◗ Creare la barra con riSorSe del comPuter in alto sullo schermo: clic col tasto sinistro sull’icona riSorSe
del comPuter (posta sul desktop) e, tenendo il tasto premuto, trascinare verso l’alto l’icona fino a rag-
giungere il bordo superiore dello schermo. Rilasciare il tasto. Si apre la barra in alto (figura 3.13).
Clic con il tasto destro sul bordo sinistro della barra (o su un punto libero) e dal menu che si apre mettere
segno di spunta (se non già presente) su moStra teSto e moStra titolo (con un clic su di essi).
Se la barra non contiene tutte le unità allargarla agganciando (col tasto sinistro) il bordo inferiore trascinan-
dolo in basso.
figura 3.13
Clic con il tasto destro su riSorSe del comPuter (icona posta sul desktop) ⇒ geStione.
Nella finestra geStione comPuter che si apre scegliere geStione diSco. è visualizzata la figura 3.14.
Sono mostrate in formato grafico e in formato descrittivo tutte le unità a disco presenti nel sistema, con le
partizioni presenti su di esse e i relativi file system. Sono fornite inoltre le grandezze delle singole partizioni
e la parte occupata.
Facendo clic con il tasto destro su una delle partizioni si apre un menu che permette di eseguire sulle
partizioni diverse attività:
Si faccia attenzione che alcune operazioni sono pericolose per il corretto funzionamento del sistema e per
l’integrità dei dati.
◗ contraSSegna Partizione come attiVa: su una unità a disco non possono esserci due partizioni attive
contemporaneamente.
◗ Formatta: vengono distrutti tutti i dati presenti sulla partizione.
◗ elimina Partizione: viene eliminata la partizione e tutto il suo contenuto è perso.
figura 3.14
◗ cambia lettera e PercorSo di unità: con questa opzione è possibile modificare il nome (d:, e:, F:, ecc.)
assegnato alla partizione. è anche possibile nascondere la partizione.
Con clic su uno spazio sul disco non utilizzato (se presente), è possibile creare una nuova partizione che
può essere Primaria o eSteSa. Nel caso che lo spazio libero si trovi all’interno di una partizione eSteSa, si
può creare una nuova partizione logica.
Si ricorda che su un disco non possono essere presenti più di quattro partizioni primarie e che una parti-
zione estesa può contenere più partizioni logiche.
Windows 7 fornisce la procedura per eseguire le due operazioni. È anche possibile, dopo
aver installato delle applicazioni, creare nuove immagini del sistema contenenti anche le
applicazioni installate.
figura 4.1
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 145
Come è possibile osservare sul desktop è posta, in alto a sinistra, la sola icona del cestino.
In basso è possibile osservare invece la Barra delle applicazioni (Taskbar), completa-
mente ridisegnata, rispetto alle precedenti versioni di Windows.
Sulla barra, dopo l’installazione, sono presenti alcune icone predefinite, disposte, alcune
sulla sinistra della barra e le altre sulla destra.
Nella figura 4.2 sono visualizzate, in modo più dettagliato, le icone poste sul lato sinistro
della barra delle applicazioni e, nella figura 4.4, quelle del lato destro.
Come è possibile osservare dalla figura 4.2 accanto al pulsante del menu Start non è più
presente la barra di avvio veloce presente nelle precedenti versioni di Windows.
figura 4.2
figura 4.3
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146 Modulo
2 Sistemi operativi
sposta il cursore del mouse dall’icona, all’anteprima viene visualizzata la finestra dell’ap-
plicazione aperta che subito si richiude togliendo il cursore del mouse da sopra l’antepri-
ma. Se invece si fa clic sulla finestra dell’anteprima, l’applicazione rimane aperta.
Sul lato destro della barra delle applicazioni, c’è una zona riservata alle icone di alcune
applicazioni (in parte appartenenti al sistema operativo) che lavorano in background,
detta area di notifica (system tray o systray). In questa zona vengono poste, senza inter-
ferire con il desktop, notifiche e stato delle applicazioni in esecuzione. Come è possibile
vedere dalla figura 4.4 , in questa area sono posti:
◗ il pulsante moStra deSktop;
◗ l’orologio di sistema e la data (in Windows Vista era presente solo l’orario);
◗ l’icona del riproduttore audio;
◗ l’icona delle attività in rete;
◗ l’icona del centro operativo;
◗ pulsante ( ) per l’apertura del menu in cui son raggruppate tutte le icone di notifica
non visibili (non presente in Vista);
◗ barra della lingua.
figura 4.4
figura 4.6
La parte destra del menu Start contiene un elenco per mezzo del quale è possibile acce-
dere ad alcune risorse che svolgono un ruolo fondamentale nella gestione del sistema.
La prima voce in alto, apre la cartella personale dell’utente che ha effettuato l’accesso al
sistema, offrendo la possibilità di consultare tra l’altro la cartella Documenti, quella dei
Download, il Desktop e altro ( figura 4.7 ).
figura 4.7
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148 Modulo
2 Sistemi operativi
figura 4.8
La voce Computer è fondamentale per l’accesso alle risorse hardware del sistema. Nella
figura 4.8 sono presenti tre dischi rigidi, un masterizzatore per DVD (Unità DVD RW) e un
masterizzatore per dischi Blue Ray (Unità BD-RE). È poi presente un disco rimovibile
(chiavetta USB) da 8 GByte.
Al di sotto di ogni unità è indicata la capacità totale del disco e lo spazio occupato. Nella
finestra in basso sono visualizzati anche il nome del PC (MARIO-PC0), il gruppo di lavoro
(WORKGROUP), la memoria installata nel sistema (8 GByte) e il tipo di processore (AMD
Athlon II quad core).
figura 4.9
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 149
figura 4.10
Nella figura 4.10 è mostrata la finestra di Esplora risorse in cui sono elencate le principali
categorie disponibili per le quali è possibile avviare una rapida esplorazione espandendo
i relativi menu con un semplice clic sul triangolino (). Nella finestra sono distinguibili le
seguenti parti:
❶ Barra degli indirizzi o di navigazione: in essa è visualizzato il nome della cartella sele-
zionata o il percorso per raggiungerla. Con la casella Cerca si eseguono le ricerche di
file e cartelle presenti nella cartella selezionata.
❷ Barra degli strumenti: contiene una serie di opzioni che in parte variano in base alla
cartella selezionata sul riquadro di spostamento (❸) e permettono di accedere a risorse
idonee alla cartella selezionata (o al file). Sulla destra della barra sono presenti dei pul-
santi che selezionano le varie modalità di visualizzazione di quanto presente nel pannel-
lo dei contenuti (❹).
❹ Pannello dei contenuti: quando viene selezionata una risorsa nel pannello di navigazio-
ne, in questo riquadro ne viene mostrato il contenuto.
Nella figura 4.12 è rappresentata la finestra di Esplora risorse in cui sono visualizzate tutte
le risorse disponibili espanse. Nel riquadro di spostamento (❸) è selezionata la risorsa
Computer e quindi nel pannello dei contenuti (❹) sono visualizzati i dispositivi di memo-
rizzazione presenti nel sistema: quattro Unità disco rigido, tre Dispositivi con archivi re-
movibili e una Cartella condivisa in Modalità Protetta creata da una suite di sicurezza.
Si tenga presente che le risorse mostrate, sono quelle che vengono visualizzate utilizzando
il pulsante Computer posto sul menu Start.
figura 4.12
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 151
Nella figura 4.13 è ancora rappresentata la finestra di Esplora risorse in cui sono visualizza-
te tutte le risorse di Preferiti e di Raccolte che sono state espanse. Nel riquadro di sposta-
mento (❸) è selezionata la risorsa Desktop e quindi nel pannello dei contenuti (❹) sono
visualizzati i contenuti presenti in esso.
figura 4.13
Come precedentemente affermato, il contenuto della Barra degli strumenti, come è possi-
bile osservare nella figura 4.14 , varia in base alla cartella selezionata sul riquadro di spo-
stamento (❸) rendendo disponibili, di volta in volta, attività che si adattano alla risorsa
selezionata.
figura 4.14
Notare come al Desktop sia associata, tra l’altro, la voce maSterizza, che permette di ma-
sterizzare direttamente su CD o DVD, il contenuto di cartelle o file presenti sul desktop,
e ancora, la possibilità di creare in modo rapido una nuova cartella.
■ Jump List
Le Jump List sono state introdotte con Windows 7. Sulla Barra delle applicazioni (TaskBar),
come visto, sono poste le icone di applicazioni che permettono di essere avviate rapida-
mente o quelle di programmi in esecuzione. Facendo clic con il tasto destro su una di
esse, si apre una lista che contiene i collegamenti con gli oggetti più utilizzati o usati di
recente dall’applicazione o dal programma. In questo modo è possibile accedere a quegli
elementi che sono più frequentemente utilizzati quando si usa una certa applicazione o
programma.
Perché si crei la lista di collegamenti è necessario che sulla finestra Proprietà della barra
delle applicazioni e del menu Start, nella scheda Menu Start (CliC taSto deStro Su barra
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152 Modulo
2 Sistemi operativi
appliCazioni ⇒ proprietà ⇒ menu Start) sia posto il segno di spunta sulla casella arChivia
e viSualizza gli elementi aperti di reCente nel menu Start e nella barra delle appliCazioni
(figura 4.6 ).
Se un’applicazione si trova anche sul menu Start, la Jump List (se presente) è accessibile
anche dal menu Start per mezzo del triangolino () posto accanto al nome dell’applica-
zione.
I collegamenti alle applicazioni di uso più frequente (Recenti), presenti nelle Jump List,
possono essere bloCCati nella lista ponendo il cursore del mouse su di essi e facendo poi
clic sulla puntina ( ) posta accanto al collegamento ( figura 4.15 ). Per toglierli dall’elenco
Bloccati, e spostarli in quello reCenti, si procede in modo analogo.
figura 4.15
Per togliere un elemento da una Jump List: CliC Con taSto deStro Sull’elemento ⇒ rimuovi
da queSto elenCo.
Per cancellare le Jump List del menu Start e della Barra delle applicazioni, bisogna dese-
lezionare le caselle di figura 4.6 riportate in figura 4.16 .
figura 4.16
Oltre al comando apri (specifico per l’apertura della cartella), sono poi da mettere in
evidenza i seguenti comandi:
◗ taglia per togliere la cartella dalla posizione in cui si trova e porla poi (con inColla)
in un’altra posizione;
◗ Copia per copiare la cartella e porla eventualmente in un’altra posizione, senza però
eliminarla dalla posizione in cui si trova;
◗ elimina per cancellare la cartella e il suo contenuto (viene posta nel cestino);
◗ rinomina per cambiare nome alla cartella.
Con proprietà si apre la finestra di figura 4.18 con 5 cartelle (il numero dipende dal tipo
di cartella di cui si stanno esaminando le proprietà). In generale si possono osservare
diverse caratteristiche della cartella: il percorso in cui si trova, le dimensioni, il contenu-
to di sottocartelle e file, la data di creazione e gli attributi.
figura 4.18
Con la scheda perSonalizza è possibile scegliere un file da visualizzare sulla sua icona
o cambiare l’icona che rappresenta la cartella scegliendo tra un vasto menu che viene
proposto.
La scheda CondiviSione viene utilizzata per attivare o meno la sua condivisione in rete
mentre la scheda SiCurezza imposta o cambia le autorizzazioni che hanno gli utenti e i
gruppi sulla cartella.
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154 Modulo
2 Sistemi operativi
Nella figura 4.19 è invece mostrato il menu che si apre se si fa clic con il tasto destro su
una cartella contenente immagini.
figura 4.19
Come è possibile osservare dalla figura il menu contiene una parte di voci uguali a quel-
lo precedente mentre altre sono diverse e specifiche per il tipo di file in essa contenuti
(Aggiungi a elenco Windows Media Player, Riproduci con Windows Media Player).
figura 4.20
figura 4.21
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156 Modulo
2 Sistemi operativi
In particolare è possibile:
◗ ricercare i file e i contenuti nei percorsi indi-
cizzati (ricerca più veloce);
◗ includere o meno nella ricerca le sottocartelle;
◗ ricercare anche file compressi e/o includere
le directory di sistema.
figura 4.23
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 157
◗ ponendo il cursore del mouse sul pulsante moStra deSktop (in basso a destra, figura 4.4 ),
tutte le finestre aperte sul desktop diventano trasparenti e vengono mostrate le icone
presenti su di esso. Quando il cursore non si trova più sul pulsante si ritorna alla visua-
lizzazione precedente. Se poi, si fa clic sul pulsante, la visione del desktop senza finestre
aperte diviene permanente. Per tornare nuovamente alla visualizzazione con le finestre
aperte bisogna di nuovo fare clic sul pulsante moStra deSktop (questa funzionalità è
detta Aero Peek).
◗ Sulla Barra delle applicazioni sono inserite le icone delle applicazioni aperte. Passando
il pulsante su di esse si apre una piccola finestra di anteprima. Se si sposta il cursore
del mouse dall’icona, all’anteprima viene visualizzata la finestra dell’applicazione aper-
ta che subito si richiude togliendo il cursore del mouse da sopra l’anteprima. Se inve-
ce, si fa clic sulla finestra dell’anteprima, l’applicazione rimane aperta. Questo è un
metodo che permette di esaminare in modo rapido le varie finestre aperte sul desktop
(Aero Peek).
◗ Per semplificare l’azione di spostamento o copiatura di oggetti
tra due finestre è fornita la funzione di Aero Snap. Si aggancia
la Barra del titolo ( figura 4.21 ) di una prima finestra (clic con il
tasto sinistro, mantenendo premuto il pulsante del mouse) e si
trascina la finestra verso uno dei due lati del desktop (destro o
sinistro). Quando il cursore del mouse raggiunge il bordo late-
rale, la finestra trascinata occupa metà dello schermo. Si aggan-
cia poi l’altra finestra e si trascina dal lato opposto. Anche in
questo caso quando il cursore del mouse raggiunge il bordo
laterale (opposto al precedente), la finestra va a occupare l’altra
metà dello schermo. Per rendere più veloce l’operazione è con-
veniente posizionare il cursore del mouse sulla Barra del titolo,
verso l’estremità della finestra dal lato in cui deve essere sposta-
ta. In questa maniera è facile copiare o spostare oggetti da una
finestra all’altra (con Copia o taglia e inColla o trascinandoli
direttamente da una finestra all’altra). Si ricorda che aggan-
ciando l’oggetto con il tasto destro è possibile, dopo lo spo-
stamento con trascinamento, quando si rilascia il pulsante,
decidere l’azione da compiere ( figura 4.24 ).
◗ Se si vuole ingrandire a tutto schermo una finestra aperta sul desktop,
si deve agganciare la Barra del titolo (clic con il tasto sinistro, man-
figura 4.24 tenendo premuto il pulsante del mouse) e trascinare la finestra
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
158 Modulo
2 Sistemi operativi
verso il bordo superiore dello schermo. Quando si trascina la finestra verso il basso, distac-
candola dal bordo superiore del video, essa torna alle dimensioni precedenti (Aero Snap).
◗ Se sono aperte diverse finestre sul desktop e si vogliono ridurre a icona tutte tranne una
in particolare, si deve agganciare la Barra del titolo di quest’ultima finestra e, tenendola
agganciata, scuoterla orizzontalmente. Ripetendo l’operazione si torna alla situazione
precedente (Aero Shake).
◗ Uno scorrimento 3D delle finestre si ottiene tenendo premuto, sulla tastiera, il tasto logo
di Windows ( ) e contemporaneamente premendo e rilasciando tab. Ogni volta che si
preme nuovamente tab c’è una rotazione delle finestre. Se si rilascia il tasto logo di Win-
dows ( ), viene visualizzata la finestra alla sommità della pila. Con i tasti Ctrl e logo di
Windows ( ) più tab la pila di finestre 3D rimane sullo schermo anche dopo aver rila-
sciato i tasti. Con tab possono essere esplorate tutte le finestre ( figura 4.25 ).
figura 4.25
figura 4.26
4.7 Masterizzazione
Windows 7 offre funzioni di masterizzazione che permettono di creare CD/DVD senza
utilizzare un software di terze parti.
La masterizzazione può essere eseguita direttamente con Esplora risorse, ma anche con
Windows Media Player (CD/DVD audio) o con Windows DVD Maker (per DVD video).
• Sessione unica: dopo la scrittura dei dati sul disco, esso viene finalizzato (chiuso) e non
è possibile aggiungere altri dati. Un disco finalizzato può essere letto anche in altri
computer.
• Multisessione: possono essere create sul disco più sessioni ognuna finalizzata nella qua-
le non possono essere aggiunti o eliminati dati. Possono essere aggiunti altri dati al
disco utilizzando altre sessioni. Nei CD-R/DVD±R possono essere create più sessioni. I
CD-RW o DVD±RW (Rewritable) possono essere masterizzati più volte dopo averli can-
cellati.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
160 Modulo
2 Sistemi operativi
Per masterizzare quindi i file presenti su una cartella questa deve essere aperta e si deve fare
clic sul pulsante maSterizza. Viene visualizzata la finestra SCrittura Su diSCo di figura 4.27 , che
invita a inserire un disco nel masterizzatore e, nello stesso tempo, si apre lo sportello del ma-
sterizzatore.
figura 4.27
Inserito il CD/DVD e richiuso il cassetto del drive, dopo pochi istanti, viene visualizzata
la finestra MASTERIZZA DISCO di figura 4.28 .
È possibile quindi scegliere il file system per la masterizzazione C ome un’unità memoria
flaSh USB (Live File System) o Con un lettore CD/DVD (Mastered).
figura 4.28
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 161
È possibile poi impostare un titolo per il disco sostituendo quello mostrato per default.
Effettuata la scelta si preme il pulsante avanti.
Vicino ai pulsanti per la scelta del tipo di file system, è presente anche una breve spiega-
zione sull’utilizzazione del formato.
Viene ora visualizzata la finestra in cui sono presenti i file da masterizzare ( figura 4.29 ). Deve
quindi essere effettuata la selezione dei file che si desidera trasferire sul supporto ottico. Se
si deve scegliere più di un file si deve tenere premuto il tasto Ctrl durante la selezione.
Effettuata la scelta si preme il pulsante maSterizza.
figura 4.29
Si tenga presente che i dati scelti per la masterizzazione, vengono posti dal sistema ope-
rativo, prima di essere trasferiti sul CD/DVD, in una particolare area temporanea del disco
rigido e vengono mostrati prima di procedere alla masterizzazione su una cartella che
porta il nome dell’unità di masterizzazione (nella figura 4.30 Unità BD-RE).
figura 4.30
Questo permette eventualmente di aggiungere altri file (per esempio trascinandoli sulla
cartella aperta o eliminare alcuni di quelli presenti (o anche tutti).
Se non sono da apportare modifiche si procede alla scrittura dei file sul disco ottico usan-
do il pulsante SCrivi Su diSCo.
Nel caso che il CD/DVD contenga già dei file è visualizzata la finestra di figura 4.31 (vedi
pagina seguente).
È quindi possibile aggiungere i nuovi file da masterizzare selezionandoli tra quelli presen-
ti in: File pronti per la SCrittura Sul diSCo. Si tenga presente che se si usa la formattazione
Mastered gli eventuali file già presenti sul disco appartengono a una sessione già chiusa
(perché il disco è stato precedentemente espulso).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
162 Modulo
2 Sistemi operativi
figura 4.31
Il pulante Elimina file temporanei serve per cancellare i file presenti nella zona File pronti
per la SCrittura Sul diSCo.
Prima di avviare l’effettiva masterizzazione si apre la finestra di figura 4.32 che permette a
volte di scegliere la velocità di registrazione.
figura 4.32
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 163
Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 9. Nel cestino di Windows 7 vengono posti solo i
false. file con estensione .doc cancellati.
❑ vero
1. Un’immagine del sistema operativo Windows 7 ❑ falso
rappresenta il desktop.
❑ vero 10. In Windows 7 non è più presente Windows
❑ falso mail.
❑ vero
2. La Barra delle applicazioni di Windows 7 è ❑ falso
uguale a quella di XP.
❑ vero
❑ falso
■ Rispondi alle seguenti domande.
3. Nell’area di notifica di Windows 7 vengono
poste notifiche e stato delle applicazioni in
1. Come si esce da Windows 7?
esecuzione.
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
4. Dal Pannello di controllo si accede ai collega
menti per l’amministrazione e controllo del 2. A quali risorse si accede con la voce Computer
sistema. presente sul menu Start?
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
5. Le Jump list contengono una lista dei collega
menti con gli oggetti più utilizzati da un’appli
3. Quali sono le funzionalità di base del file
cazione.
manager Esplora Risorse?
❑ vero
...........................................................................
❑ falso
...........................................................................
6. In Windows 7 è possibile cancellare diretta ...........................................................................
mente le applicazioni installate senza proce
dere alla loro disinstallazione. 4. Quali sono i principali collegamenti presenti
❑ vero sul Pannello di controllo nella visualizzazione
per categorie?
❑ falso
...........................................................................
7. Il pulsante Mostra desktop in Windows 7 si ...........................................................................
trova in basso a sinistra del video.
...........................................................................
❑ vero
❑ falso 5. Come si eliminano le applicazioni dall’elenco
del menu Start?
8. Con Windows 7 non è possibile masterizzare ...........................................................................
un CD o DVD senza utilizzare un software spe
cifico. ...........................................................................
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
164 Modulo
2 Sistemi operativi
6. Come si gestisce la modalità di inserimento 12. Come si visualizzano le estensioni per i tipi di
delle applicazioni sul menu Start? file conosciuti?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
7. Che cosa sono e come vengono utilizzate le 13. Come si visualizzano i file, le cartelle e le unità
Jump list? nascosti?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
11. Come si apre il menu Layout per una cartella e 17. Quali sono le modalità di masterizzazione di
cosa permette di eseguire? un CD/DVD eseguite con Esplora risorse?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Componenti, Modulo
sensori,
trasduttori
e attuatori 3
Unità 1 Componenti elementari elettrici
ed elettronici
Unità 2 Sensori e trasduttori
dimensioni. Posizione
■ Conoscere le caratteristiche dei trasduttori.
di resistenza
unità 1 Componenti
elementari elettrici
ed elettronici
Un sistema complesso può essere scomposto, secondo la teoria classica, in parti elemen-
tari, chiamate componenti. Il resistore, il condensatore e l’induttore sono, per esempio, i
componenti elementari di sistemi elettrici semplici, mentre la massa di un corpo, la molla
e lo smorzatore costituiscono i componenti fondamentali di un sistema meccanico.
Per poter studiare un sistema complesso, dunque, è fondamentale conoscere i principi e
le leggi fisiche che regolano il comportamento dei componenti elementari, perché tali
conoscenze permettono poi di costruire il loro modello matematico e di comprendere
come essi interagiscono quando sono utilizzati per formare un sistema complesso. Per
definire il modello matematico di un componente elementare è necessario in primo luogo
individuare le grandezze fisiche utili per descrivere il comportamento di quel componen-
te e le relazioni matematiche che legano le grandezze: la temperatura, la pressione, la
tensione, l’intensità della corrente elettrica, la forza, ecc., possono essere variabili indi-
pendenti e/o variabili dipendenti. Le prime sono le sollecitazioni applicate al sistema
e le seconde le risposte. Le variabili dipendenti, studiate principalmente in funzione del
tempo considerato come variabile indipendente, possono essere classificate in trasversa-
li e passanti in relazione al modo con cui sono misurate ( figura 1.1 ).
figura 1.3
Componenti elettrici
Resistore
Condensatore
Induttore
1V
R 1V R = 1Ω =
1A
Se tra gli estremi del resistore rappresentato in figura 1.5 si applica una tensione istantanea
vi(t) variabile nel tempo, il resistore è attraversato da una corrente istantanea di intensità
i(t) uguale a:
1
i (t ) = vi (t ) [1.1]
R
Osservando la [1.1] si rileva che l’intensità della corrente e la tensione sono entrambe fun-
1
zioni del tempo, mentre è, entro limiti prefissati, una costante.
R
Reoforo Q=1
Armatura A Coulomb
Dielettrico 1Q
(ε) C 1V C=1F=
1V
Armatura B
Reoforo Simbolo
figura 1.5
Sperimentalmente si trova che il rapporto tra il valore assoluto della carica in eccesso ac-
cumulata sull’armatura A o B e la d.d.p. misurata tra le stesse armature è una costante,
detta capacità del condensatore, grandezza che rappresenta la proprietà del componente
di accumulare cariche elettriche ed energia elettrostatica. Nel Sistema Internazionale (SI)
l’unità di misura della capacità è il farad (F).
La capacità elettrica esprime la quantità di carica richiesta per produrre una variazione
unitaria della differenza di potenziale tra le due armature di un condensatore.
1 coulomb
1 farad =
1 volt
Nella pratica si usano anche i sottomultipli del farad, microfarad (1 µF = 10–6 farad), na-
nofarad (1 µF = 10–9 farad) e picofarad (1 ρF = 10–12 farad).
L’energia elettrostatica accumulata nel campo elettrico che si genera tra le armature del
condensatore durante la carica è direttamente proporzionale, a parità di differenza di po-
tenziale tra le armature, alla capacità C e viene restituita, come si vedrà in seguito, quando
il condensatore si scarica.
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Unità
1Componenti elementari elettrici ed elettronici 169
Si consideri il circuito di figura 1.6 e all’istante t = 0 il
i(t) condensatore sia scarico V c(0) = 0 (condizioni iniziali
nulle). Se nell’intervallo di tempo ∆t la tensione misu-
i(t) vc(t) rata agli estremi del condensatore subisce una variazio-
C
ne ∆v c(t), allora la variazione ∆Q(t) della quantità di
carica è:
Dividendo ambo i membri della [1.2] per l’intervallo ∆t durante il quale si verifica la varia-
zione delle grandezze e facendo tendere a zero detto intervallo (∆t → 0), si hanno il valor
medio IM della corrente e quello istantaneo i(t):
∆Q (t ) ∆v (t )
IM = =C⋅ c [1.3]
∆t ∆t
dv c (t ) 1 t
i (t ) = C ⋅
dt
v c (t ) = ⋅
C
∫ i (t ) dt [1.3]
0
esempio 1.1
I [mA]
5
VC [V] 4
5
3
4
2
3
1
2
0
1 2 3 4 5 7 8 9 10 t [ms]
1
1
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 t [ms] 2
▼
Nella tabella 1.1 sono riportati i valori dell’intensità di corrente calcolati in corrispondenza degli inter-
valli di tempo considerati.
tabella 1.1
Variazione ∆VC
Intervallo di tempo Valore medio della corrente I M = C ⋅
della tensione ∆t
∆VC 5
0 ms÷2 ms ∆Vc = 5 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ = 5 mA
∆t 2 ⋅ 10− 3
∆VC 0
2 ms÷6 ms ∆Vc = 0 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ =0 A
∆t 4 ⋅ 10− 3
∆VC −5
6 ms÷11 ms ∆Vc = –5 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ = − 2 mA
∆t 5 ⋅ 10− 3
∆VC 0
t > 11 ms ∆Vc = 0 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ =0 A
∆t 4 ⋅ 10− 3
Dalla rappresentazione di figura 1.8 si rileva come il valore della corrente non dipenda solo dalla va-
riazione dell’intensità della tensione ma anche dalla sua rapidità di variazione ∆Vc/∆t.
Quando la tensione applicata ai capi di un condensatore è costante, l’intensità della corrente che lo
attraversa è nulla e, pertanto, può essere rappresentato come un elemento avente “resistenza” infini-
ta (circuito aperto). L’intensità di corrente è, invece, molto elevata quando la variazione di tensione,
anche di debole intensità, avviene in un intervallo di tempo molto piccolo.
1.1.3 Induttore
I=1A
I
1V s
L 1V L=1H= Ω⋅s
1A
1 volt ⋅ secondo
L = = [1 ohm ⋅ secondo ] = [1 Henry ]
1 ampere
Con riferimento al circuito di figura 1.10, si consideri un induttore percorso da una corren-
te avente intensità i(t) variabile nel tempo. Si supponga che all’istante t = 0 l’intensità
della corrente sia I(0) = 0 A (condizioni iniziali nulle).
i(t)
i(t) L vL (t)
figura 1.10
∆I
VL M = − L ⋅ [1.5]
∆t
∆I
Se l’intervallo di tempo ∆t → 0, il rapporto tende alla derivata della
∆t
i(t) rispetto al tempo e il valor medio VIM della tensione tende al suo valore istantaneo:
di (t )
v L (t ) = − L ⋅ [1.6]
dt
La differenza di potenziale VL(t) agli estremi di un induttore dipende, dunque, dalla ra-
pidità di variazione della corrente nell’intervallo di tempo considerato ma non dal suo
valore.
Il segno meno delle f.e.m. di autoinduzione è dato dalla legge di Lenz. È un effetto d’iner-
zia dovuto al moto degli elettroni: la reazione d’inerzia tende a rallentare un aumento di
corrente mentre tende a conservarla quando diminuisce, come la reazione d’inerzia nei
confronti della velocità di un corpo in movimento. Per meglio dire la f.e.m.i. tende a op-
porsi all’azione che la genera.
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3
172 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
esempio 1.2
Si calcoli e si rappresenti il valor medio della tensione VL agli estremi di un induttore avente induttanza
L = 4 mH quando è attraversato da una corrente avente l’andamento rappresentato in figura 1.11.
I [mA]
VL [mV]
10
40
9
35
8
30
7
25
6
20
5
15
4
10
3
5
2
0
1 1 2 3 5 6 7 8 10 t [ms]
5
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 t [ms] 10
Dalla rappresentazione di figura 1.12 si rileva come il valore della tensione non dipenda solo dalla va-
riazione dell’intensità della corrente ∆I ma anche dalla sua rapidità di variazione ∆I/∆t.
Una corrente di intensità costante non genera una tensione agli estremi dell’induttore che, pertanto,
può essere rappresentato come un elemento avente “resistenza” nulla (corto circuito). La differenza di
potenziale ai capi dell’induttore è, invece, molto elevata quando la variazione di corrente, anche di
debole intensità, avviene in un intervallo di tempo molto piccolo.
Nella tabella 1.2 sono riportati i valori della tensione calcolati in corrispondenza degli intervalli di tempo
considerati.
tabella 1.2
Variazione dell’intensità ∆I
Intervallo di tempo Valore medio della tensione VLM = L ⋅
di corrente ∆t
∆I 10 ⋅ 10− 3
0 ms÷2 ms ∆I = 10 mA VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ = 40 mV
∆t 1 ⋅ 10− 3
∆I 0
2 ms÷4 ms ∆I = 0 A VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ =0 V
∆t 2 ⋅ 10− 3
∆I −10 ⋅ 10− 3
4 ms÷9 ms ∆I = –10 mA VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ = − 8 mV
∆t 5 ⋅ 10− 3
∆I 0
t > 9 ms ∆I = 0 VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ =0 V
∆t 2 ⋅ 10− 3
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
figura 2.1
Considerato che in un controllo di processo sono presenti circuiti elettrici che non posso-
no utilizzare direttamente la grandezza elettrica (resistenza, capacità, ecc.) generata dal
sensore, è necessario trasformare tale grandezza elettrica in un’altra, generalmente una
tensione, direttamente manipolabile dal sistema di controllo.
In figura 2.3 è riportato un esempio di schema a blocchi per la conversione temperatura/
resistenza/tensione, con l’uso di energia esterna.
I T
Intensità corrente costante (DC)
figura 2.3 Energia elettrica esterna
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174 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
Nelle pagine che seguono verrà utilizzato il solo termine trasduttore, perché, in realtà, anche
i sensori, molto spesso (in modo improprio), sono definiti trasduttori.
tabella 2.1
Parametri caratteristici principali del trasduttore
te). È una funzione continua perché assume infiniti valori in un intervallo finito, Lineare
può essere lineare e non, passare e non passare per l’origine. Se la caratteri-
Non lineare
stica del trasduttore è lineare crescente (trasduttore di precisione), allora la
variazione della grandezza d’uscita è direttamente proporzionale a quella d’in-
gresso. L’offset è il valore dell’uscita U diverso da zero per l’ingresso I = 0.
Grandezza d'ingresso I
Linearità
È il parametro del trasduttore che evidenzia la deviazione (errore) tra la ca- U
Caratteristica ideale
ratteristica ingresso/uscita ideale (teorica) e quella reale. La deviazione è cal-
colata rispetto alla retta d’equazione che meglio approssima la caratteristica
reale del trasduttore. In realtà non esiste uno standard definito di tale para-
metro. L’errore di linearità è: Errore o max
scostamento
εL% = (∆Umax/UFS) ⋅ 100 [2.1]
Caratteristica reale
Sensibilità
È il rapporto tra la variazione della grandezza d’uscita ∆U (presumibilmente U
Caratteristica
più sensibile
grande) e la variazione di quella d’ingresso ∆I che la provoca (possibilmente
piccola). Per un trasduttore con caratteristica ingresso/uscita lineare la sen-
sibilità è: U2
S = ∆U/∆I [2.2]
U1
Un buon trasduttore deve avere una grande sensibilità, ossia a una piccola
I
variazione della grandezza d’ingresso ∆I deve corrispondere una grande va-
riazione di quella d’uscita ∆U. I
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Sensori e trasduttori 175
Isteresi
U
Molti trasduttori hanno una caratteristica non univoca, nel senso che essa è
diversa a seconda che la grandezza d’ingresso vari da un valore minimo a
uno massimo o viceversa. Un trasduttore ideale non presenta isteresi e la sua
caratteristica ingresso/uscita è unica.
Campo di funzionamento I
Risoluzione
È la più piccola variazione della grandezza d’uscita U che può essere rilevata. Se la risoluzione è riferita alla sola gran-
dezza d’uscita U, esprime il rapporto formulato in percentuale tra la minima variazione della grandezza d’uscita e il va-
lore di fondo scala. Un buon trasduttore deve avere una risoluzione molto bassa e una sensibilità elevata.
Accuratezza
È il rapporto tra l’errore massimo e il valore di fondo scala.
Affidabilità
È la capacità di mantenere nel tempo le stesse caratteristiche.
Ripetibilità
Fornisce gli stessi risultati in eguali condizioni di funzionamento.
Resistenza d’uscita
È la resistenza misurata sui morsetti d’uscita.
Stabilità termica
È la risposta alla variazione unitaria della grandezza d’ingresso.
Risposta in frequenza
È la gamma di frequenza per le quali non esiste distorsione.
Rumore
È il segnale in uscita con ingresso in cortocircuito.
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3
176 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
Una prima classificazione dei trasduttori è basata sulla presenza o meno di una fonte di
energia esterna necessaria per il loro funzionamento ( figura 2.4 ).
Nella tabella 2.2 di pagina seguente sono riportati i trasduttori senza utilizzo di energia
esterna.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Sensori e trasduttori 177
tabella 2.2
Classificazione dei trasduttori
Trasduttori integrati
Forniscono in uscita una grandezza elettrica (tensione o corrente). Questi
trasduttori, complessi e costosi, integrano nel chip il circuito di condiziona-
mento, ossia alcuni componenti elettronici che rendono la grandezza elettrica
d’uscita amplificata, filtrata e lineare crescente rispetto a quella fisica rilevata.
Una seconda classificazione è basata sul tipo di segnale d’uscita riportati nella tabella 2.3
( figura 2.5 ).
Analogici Digitali
Posizione V (LVDT) T f
Segnale d’uscita in alternata
(STM160-30)
ω (Velocità .ang.) V (D.T.)
Segnale d'uscita in continua Segnale tipico TTL
figura 2.5
tabella 2.3
Classificazione dei trasduttori
Trasduttori analogici
Presentano una caratteristica ingresso/uscita costituita da una funzione con-
tinua. La grandezza d’uscita e quella d’ingresso variano con continuità assu-
mendo tutti i valori appartenenti a un sottoinsieme dei numeri reali. È il caso
di alcuni trasduttori passivi (termistore, fotoresistenza, ecc.) che forniscono in
uscita una grandezza elettrica (Resistenza, Capacità, ecc.) e di molti trasdut-
tori che forniscono in uscita una tensione o una intensità di corrente.
Trasduttori digitali
Presentano una caratteristica ingresso/uscita che può assumere solo due
distinti valori: alto o basso. Al valore alto si associa il livello logico “1”, mentre
a quello basso si associa il livello logico “0”. Esempio di trasduttore digitale
sono la lamina bimetallica, vista come un relè termico, o l’encoder incremen-
tale che genera un treno d’impulsi TTL compatibili.
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178 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
La classificazione più comune e forse più significativa dei trasduttori è fatta in base alla
grandezza fisica che essi devono rilevare. Secondo tale classificazione si hanno:
◗ trasduttori di temperatura;
◗ trasduttori di umidità;
◗ trasduttori di pressione;
◗ trasduttori di luminosità;
◗ trasduttori di posizione;
◗ trasduttori di forza (celle di carico);
◗ trasduttori di gas;
◗ trasduttori di velocità;
◗ trasduttori piezoelettrici;
◗ trasduttori magnetici;
◗ trasduttori fotoelettrici;
◗ trasduttori di prossimità e di contatto;
◗ trasduttori per l’industria automobilistica;
◗ ecc.
esercizi
svolti
1 Sapendo che lo scostamento massimo ∆Vmax = 0,015 V e il valore di fondo scala VFS = 5 V, calcolare
l’errore di linearità εL%.
3 Sapendo che la risoluzione R % = 0,5% e il valore di tensione di fondo scala VFS = 5 V, calcolare la
variazione minima ∆Vmin.
La risoluzione, per un generico trasduttore, è espressa dalla relazione [2.3]. Riferendosi alle variazioni di
tensione, dalla [2.3] si ha:
R % ⋅ VFS 5 ⋅ 0, 5
∆Vmin = = = 0, 025 V
100 100
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Unità
2 Sensori e trasduttori 179
esercizi proposti
■ Rispondi alle seguenti domande.
figura 3.2
Si consideri il potenziometro a slitta mostrato in figura 3.3 e sia L1 la posizione generica del
cursore (grandezza fisica d’ingresso) a cui corrisponde un valore normalizzato della lun-
ghezza x = L1/L compreso tra 0 e 1. Per L1 = 0 risulta x = 0, mentre per L1 = L risulta x = 1.
R
Potenziometro SLIDER
(1– x) R R
xR
0 x 1 R
C
F xR
I
0 x
L1
Inizio Centro Fine
L x 1 x
Il valore della resistenza (grandezza elettrica d’uscita) in funzione della posizione L1 del
cursore è:
L
R ( L1 ) = 1 ⋅ R = x ⋅ R
L
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Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 181
dove:
◗ R è il valore nominale della resistenza del potenziometro;
◗ x = L1/L è la lunghezza normalizzata.
Variando la posizione del cursore nell’intervallo normalizzato da 0 a 1, si ottiene la carat-
teristica riportata in figura 3.3 che esprime la relazione tra la posizione x assunta dal cur-
sore (variabile indipendente) e il valore della resistenza corrispondente R(L1) = x · R
(variabile dipendente). Per convertire la variazione di resistenza R(L1) nella tensione V0 si
può utilizzare lo schema di figura 3.4.
E
V0 = ( x ⋅ R ) ⋅ = E ⋅ x [3.1]
R
1
V0
I x=1
(1-- x) R E Tensione
Lunghezza MODELLO MATEMATICO d’uscita
R x
E x Potenziometro slider V0
x xR
x=0 V0
0 1 x
figura 3.4
esercizio 3.1
Si realizzi un controllo di posizione lineare che rilevi anche la posizione dello zero centrale (posizione
di riferimento).
Il potenziometro a slitta si presta a tale tipo di controllo se inserito in un ponte di Wheatstone, costituito
da due resistenze R e da un potenziometro lineare con valore nominale 2 ⋅ R ( figura 3.5a ).
x 1 x 1
R R R 1 2 (1-- x) R L1
R1 R x
1 V0 2L
V0 C 2L x C
E 2 E L1
R2 R 2R L1
R R R2 2 x R
x 0 x 0
Il ponte è in equilibrio (V0 = 0 V) quando il cursore è nella posizione centrale e sbilanciato (V0 ≠ 0 V)
quando il cursore è in una qualsiasi posizione diversa da quella centrale.
Indicando con 2 ⋅ L l’intero spostamento e con L1 la posizione generica del cursore si può definire la
variabile x come rapporto tra L1 e 2 ⋅ L (x = L1/2 ⋅ L). Quando il cursore è nella posizione centrale
L1 = L (x = 1/2) e il ponte è in equilibrio poiché R1 = R2 = 2 ⋅ R ⋅ x = R. Se si sposta il cursore verso
l’alto, rispetto alla posizione centrale, le resistenze delle due parti del potenziometro cambiano
( figura 3.5b ): una diminuisce (R1 = 2 ⋅ R − 2 ⋅ R ⋅ x = 2 ⋅ R ⋅ (1 − x) e l’altra aumenta della stessa quan-
tità (R2 = 2 ⋅ R ⋅ x). La tensione V0 risulta:
R2 R 2⋅R⋅ x E 1
V0 = ⋅E − ⋅E = ⋅E − = x − ⋅ E [3.2]
R2 + R1 2⋅R 2⋅R 2 2
3
182 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
L1 E
V0 = E ⋅ x = E ⋅ = ⋅ L1
L L
Sistema di posizione
figura 3.6
I x=1 I
(1– x) R Carico del (1– x) R
trasduttore
R x
E E
xR
x=0 Vu RC R eq Vu
figura 3.7
( x ⋅ R ) ⋅ RC x ⋅ RC
Req = Vu = ⋅E [3.3]
x ⋅ R + RC RC + x ⋅ R − x 2 ⋅ R
La [3.3] è il modello matematico del sistema di figura 3.7 rappresentato con lo schema a
blocchi di figura 3.8. La tensione d’uscita Vu dipende dalla posizione x del cursore e dalla
resistenza di carico RC.
MODELLO MATEMATICO
Posizione Tensione dÕuscita
x Potenziometro con Vu
carico RC
figura 3.8 R RC
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Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 183
La non linearità è tanto più accentuata quanto minore è la resistenza di carico RC nei con-
fronti della resistenza complessiva R del potenziometro. Per RC = 0 la tensione d’uscita è
uguale a zero per ogni valore di x.
Per ridurre la non linearità dovuta al carico RC si utilizzano, come si vedrà nelle applica-
zioni riportate di seguito, gli amplificatori operazionali che, per le loro caratteristiche,
separano il potenziometro dal carico RC ( figura 3.9 ). In base a tale configurazione il poten-
ziometro vede sempre la resistenza d’ingresso Ri, teoricamente infinita, dell’amplificatore
operazionale.
Circuito
separatore
I Potenziometro
V Carico del
trasduttore
A.O.
R Ideale
E
V RC Vu
V Ri Ru 0
figura 3.9
esercizio 3.2
Si realizzi un sistema elettromeccanico per il rilievo del livello d’acqua in un serbatoio tra un livello
minimo e un livello massimo di 0,5 m.
Il sistema è costituito da un serbatoio, da un potenziometro a slitta, da un sistema cinematico, da un
galleggiante e da due molle di richiamo che mantengono in tensione le funicelle ( figura 3.10 ).
D F
H max C
5 cm
0,5 m
I
H min
figura 3.10
Utilizzando un potenziometro slider con corsa di 5 cm e considerato che il livello d’acqua da control-
lare è Hmax − Hmin = 50 cm, si ricava il legame tra i diametri delle due ruote le cui gole accolgono le
funicelle in tensione. Si ha:
π ⋅ D 500
= = 10 D = 10 · d
π⋅d 50
5V
F F
H max
H max H max
5V C 5V
Rp Rp
C 0V
H min
I I
H min H min
▼
figura 3.11
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3
184 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
Utilizzando LabVieW
Per mettere in relazione il livello del liquido nel serbatoio e la posizione del cursore del potenzio-
metro bisogna utilizzare la proporzione:
Considerando che:
Per quanto riguarda la tensione d’uscita Vu sul punto centrale del potenziometro si ha:
L1 L1
Vu = E × =5× [3.6]
L 0, 05
dove L è la lunghezza totale della corsa del cursore del potenziometro, L1 lo scostamento del
cursore dalla posizione di partenza ed E = 5 V la tensione posta ai capi del potenziometro.
Le relazioni [3.5] e [3.6] saranno utilizzate per inserire le funzioni sul Block Diagram di LabVIEW
di figura 3.12 di pagina seguente.
Si attivi la visualizzazione sul Tank sull’indicatore della posizione del cursore degli indicatori digita-
li. Si converta il serBatoio in un controllo (clic con il tasto destro sul Tank ⇒ Change to Control).
1. due blocchi funzione per la moltiplicazione, uno per la divisione e un altro per la sottrazione
(Express ⇒ Arithemetic & Comparison ⇒ Numeric ⇒ Multiply o Divide o Subtract);
2. tre blocchi per le costanti (Express ⇒ Arithemetic & Comparison ⇒ Numeric ⇒ Num
Cost).
Si trasformino due delle costanti di tipo DouBle, si eseguano i collegamenti come in figura 3.12 del
Diagramma a Blocchi e si inseriscano i valori numerici all’interno delle funzioni costanti. La
figura 3.13 di pagina seguente mostra il Pannello Frontale.
▼
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Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 185
Per modificare il livello del liquido si deve trascinare il puntatore del mouse sul controllo di livello
(serbatoio) del pannello di controllo e fare scorrere il cursore.
Rα C
I I
Inizio Centro Fine
VCC
α max
RI A.O.
Ideale
E Rα
RU 0
α 0° V (Rα ) RC V0
figura 3.16
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186 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
esercizi
svolti
V0
x =1
figura 3.17
(1 x ) R
R x A
E
Vmax = RP ⋅ I = 10 ⋅103 ⋅ 10 ⋅ 10–3 = 10 V xR
S = Vmax/L = 10/25 = 0,4 V/mm x =0 V0
B
figura 3.18
x ⋅R
2 Perché il potenziometro a filo, costruito con V0 = ⋅E = E ⋅x
spire avvolte antinduttive, peggiora la risoluzione x ⋅ R + (1 − x ) ⋅ R
rispetto a quello a strati sottili di materiale con-
duttivo uniformemente distribuito? La tensione d’uscita V0 è direttamente proporzio-
nale alla posizione x del cursore.
La variazione minima di resistenza è quella dovu- La caratteristica del trasduttore è una retta pas-
ta a una spira che corrisponde al salto nel pas- sante per l’origine.
saggio da una spira alla successiva.
Per RC ≠ ∞ si ricava (figura 3.19):
x ⋅ R ⋅ RC
Vu = ⋅E =
x ⋅ R ⋅ RC
+ (1 − x ) ⋅ R
x ⋅ R + RC
3 Utilizzando un potenziometro lineare come
partitore di tensione per la conversione tensione/ x ⋅ RC
= ⋅E [3.7]
posizione, calcolare la sensibilità massima del RC + x ⋅ R − x 2 ⋅ R
sistema. Sia Pmax = 0,25 W, RP = 10 kΩ,
L = 5 cm ed E = 12 V.
E 12 V
S= = = 0, 24
L 50 mm
E max 50 V
Smax = = =1
L 50 mm figura 3.19
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Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 187
La [3.7] è il modello matematico del sistema di generico carico resistivo RC, è necessario linea-
figura 3.19, rappresentato con lo schema a bloc- rizzare, in modo opportuno, la caratteristica del
chi di figura 3.20 . La tensione d’uscita Vu dipen- potenziometro.
de dalla posizione x del cursore e dalla resistenza
di carico RC. 5 Si calcoli la tensione d’uscita Vu dello schema
La caratteristica tensione/posizione non è lineare di figura 3.22 sapendo che RL = RC. Sia per RC =
perché è una funzione fratta nella quale la varia- ∞, RC1 = 100 kΩ, RC2 = 10 kΩ, RC3 = 1 kΩ.
bile indipendente x è presente sia al numeratore
che al denominatore.
Resistenza di
x =1 linearizzazione
MODELLO MATEMATICO Tensione
Posizione d’uscita (1 x) R R L = RC
x Potenziometro
con carico RC Vu x
E R
xR
x =0 RC Vu
R xR RC
figura 3.20
figura 3.22
Nella tabella 3.1 sono riassunti i valori della ten-
sione d’uscita a vuoto V0 e a carico Vu del poten- La tensione di uscita Vu è:
ziometro, utilizzato come partitore di tensione, in
funzione della posizione x del cursore e per i x ⋅ R − x 2 + x ⋅ RC
diversi valori della resistenza di carico RC. Vu = ⋅E [3.8]
2 ⋅ x ⋅ R + RC − 2 ⋅ x 2 ⋅ R
Dall’analisi dei risultati si evince che la caratteri-
stica reale si discosta tanto più da quella ideale
(potenziometro senza carico) quanto minore è il Sostituendo i valori delle resistenze nella [3.8] si
valore di RC nei confronti della resistenza com- ottiene la tabella 3.2 .
plessiva R del potenziometro figura 3.21.
tabella 3.2
tabella 3.1
Posizione Tensione di uscita
0,25 0,25 ⋅ E 0,2453 ⋅ E 0,2105 ⋅ E 0,0869 ⋅ E 0,50 0,50 ⋅ E 0,5000 ⋅ E 0,5000 ⋅ E 0,5000 ⋅ E
0,50 0,50 ⋅ E 0,4878 ⋅ E 0,4000 ⋅ E 0,1428 ⋅ E 0,75 0,75 ⋅ E 0,7409 ⋅ E 0,6818 ⋅ E 0,5500 ⋅ E
1 E E E E
Dall’analisi dei dati riportati in tabella 3.2 si rileva
che per x = 0,5 (potenziometro con asta a mezza
V0 ,Vu corsa) la tensione d’uscita è Vu = 0,5 ⋅ E, qualun-
E
que sia il valore della resistenza di carico.
0,75 E (Rc di carico)
Infinita
0,50 E 100 k Ω
10 k Ω
0,25 E
1 kΩ
figura 3.21
esercizi proposti
1. Calcolare la sensibilità del sistema di conversione nell’ipotesi che R = 2,2 kΩ, E = 5 V ed L = 10 mm
( figura 3.24 ).
R/L = 0,22 kΩ/mm
I S = (R/L) ⋅ I = 0,22 ⋅ (5/2,2 ⋅ 10–3) = 0,5 V/mm
R Oppure:
E
V0
Vmax = 5 V S = Vmax /L = 5/10 = 0,5 V/mm
figura 3.24
2. Calcolare la relazione tra la tensione Vu e lo spostamento del cursore x del circuito di figura 3.25 sapendo che
la resistenza interna Ri della f.e.m. E è diversa da zero.
Ri
I x=1
(1-- x)R Carico del
x ⋅ R ⋅ Rc ⋅ E
trasduttore
E
R x Vu =
xR x ⋅ Ri ⋅ R + Ri ⋅ Rc + x ⋅ R 2 − x 2 ⋅ R 2 + R ⋅ Rc
x=0 Vu RC
figura 3.25
3. Sapendo che R = 10 kΩ, E = 12 V, Ri = 1 kΩ, RC = 4,7 kΩ, graficare con EXCEL la tensione d’uscita dell’eser-
cizio precedente.
4. Con riferimento alla figura 3.25, sapendo che R = 5 kΩ, E = 12 V, Ri = 0 Ω, RC = 100 kΩ, calcolare la tensione
d’uscita Vu per x = 0 – 0,25 – 0,5 – 0,75 – 1.
figura 3.26
Vu =
( x ⋅ R 2 ⋅ Rc − x 2 ⋅ R 2 ⋅ Rc + x ⋅ R ⋅ Rc2 ) ⋅ E
x ⋅ R 2 ⋅ Ri + R ⋅ Rc ⋅ Ri − x 2 ⋅ R 2 ⋅ Ri + Rc2 ⋅ Ri + 2 ⋅ x ⋅ R 2 ⋅ Rc − 2 ⋅ x 2 ⋅ R 2 ⋅ Rc + R ⋅ Rc
8. Con riferimento alla figura 3.26, sapendo che R = 1 kΩ, E = 12 V, Ri = 100 Ω, RC = RL = 5 kΩ, graficare con
EXCEL la tensione d’uscita Vu dell’esercizio 7.
9. Con riferimento alla figura 3.26, sapendo che R = 5 kΩ, E = 12 V, Ri = 1 kΩ, RC = RL = 5 kΩ, graficare con
EXCEL la tensione d’uscita Vu dell’esercizio 7.
10. Con riferimento alla figura 3.26, sapendo che R = 10 kΩ, E = 12 V, Ri = 1 kΩ, RC = RL = 5 kΩ, graficare con
EXCEL la tensione d’uscita Vu dell’esercizio 7.
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unità 4 Trasduttori
di temperatura
a variazione di resistenza
Alcuni materiali metallici e alcuni materiali a semiconduttore hanno la proprietà di modi-
ficare sensibilmente il valore della resistenza elettrica a causa di una variazione termica.
La caratteristica resistenza/temperatura può essere crescente lineare, crescente non lineare
e decrescente non lineare. Nella figura 4.1 sono riportate le caratteristiche normalizzate di
alcuni trasduttori di temperatura a variazione di resistenza.
RT
Termistore Termosensore
R0
NTC KTY
4
l
3 Niche Termoresistenze
RTD
Rame
2 ( Metalli )
Platino
figura 4.2
La legge di variazione della resistenza RT con la temperatura T anche per valori negativi,
lineare e crescente è riportata nella [4.1], dove:
RT = R0 · (1 + a · T) [4.1]
La termoresistenza RTD è indicata anche con PRT (Platinum Resistor Thermometers) o con
PT100 quando il valore resistivo a 0 °C è uguale a 100 Ω. La PT100 è un trasduttore com-
merciale di precisione in pellicola di platino, robusta, economica, di dimensioni contenute
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3
190 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
e con caratteristica pressoché lineare. La variazione della resistenza RT , al variare della tem-
peratura, può essere convertita in una variazione di tensione Vu da utilizzare nei circuiti elet-
trici. La conversione R/V può essere realizzata alimentando la PT100 con un generatore di
corrente d’intensità costante I ( figura 4.3 ).
I = 2 mA
RTD
PT100
RT Vu V
figura 4.3
esempio 4.1
Utilizzando il circuito di figura 4.3, rilevare la variazione della tensione ai capi della termoresistenza
PT100 nell’ipotesi che la temperatura vari nel range 0 °C÷100 °C a passi di 20 °C. Il circuito sia ali-
mentato da un generatore di corrente d’intensità costante I = 2 mA tale da non procurare l’effetto
Joule sul trasduttore.
Applicando la [4.1] si ricavano i valori teorici della termoresistenza RT e della tensione Vu al variare
della temperatura T ( tabella 4.1 ).
tabella 4.1
T [°C] 0 20 40 60 80 100
RT [Ω] = R0 = (1 + a ⋅ T) 100 107,70 115,40 123,10 130,80 138,50
Dall’analisi della tabella 4.1 si deduce che la caratteristica tensione/temperatura è lineare perché le
variazioni di tensioni ΔV sono sempre uguali in corrispondenza di quelle della temperatura ΔT.
esempio 4.2
Si utilizzi lo schema di figura 4.4 per calcolare la tensione Vu in funzione della temperatura T rilevata
con la termoresistenza PT100.
RT
R
RTD
Vu
B A
E
R1 R
M
figura 4.4
▼
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Unità
4 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 191
Si bilancia il ponte a temperatura T = 0 °C ponendo R1 = R = 100 Ω. Dalla figura 4.4 si ricava:
R R1 1 R1
Vu = VAM − VBM = ⋅E− ⋅E = − ⋅E [4.2]
2⋅R R1 + RT 2 R1 + RT
1 100 RT − R1
Vu (T = 0 ) = − ⋅E =0 Vu (T ) = ⋅E
2 100 + 100
[4.3]
2 ⋅ ( R1 + RT )
La tensione di uscita Vu(T) non è una funzione lineare della temperatura T, perché il circuito utilizzato
per la conversione R/V introduce una non linearità. Per verificare la non linearità della caratteristica
tensione/resistenza nel range 0 °C÷100 °C si possono utilizzare i valori teorici della resistenza RT ri-
portati nella tabella 4.1 e la [4.3] per calcolare i valori teorici della tensione di uscita Vu riportati nella
tabella 4.2.
Al fine di trascurare l’effetto Joule sulla termoresistenza, si pone E = 1,2 V, ottenibile con dispositivi per
tensioni di riferimento di precisione (tipo LM 185 – 1,2 V), per non superare l’intensità di corrente di
6 mA riferita alle peggior condizione quando RT = 100 Ω e T = 0 °C.
tabella 4.2
T [°C] 0 20 40 60 80 100
RT [Ω] 100 107,70 115,40 123,10 130,80 138,50
Vu [mV] 0 22,24 42,89 62,12 80,06 96,85
L’analisi dei dati conferma che a uguali incrementi della temperatura non corrispondono decrementi
proporzionali della tensione d’uscita.
I risultati riportati nella tabella 4.2 possono essere controllati con la simulazione. Si disegna con Multi-
sim la figura 4.5 con il trasduttore HEL-775-AT0 con range −55 °C ÷ +150 °C. Per T = 20 °C il valore
misurato della termoresistenza è RT = 107,793 Ω.
Si attiva la simulazione per visualizzare l’intensità di corrente nel ramo che contiene il trasduttore e la
tensione reale d’uscita misurata dal multimetro (Æ Modulo 4, Unità 4).
figura 4.5
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3
192 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
α (T − T a )
RT = Ra ⋅ e [4.4]
La figura 4.7 mostra la caratteristica RT /T per la serie KTY81. Le curve sono ricavate con la
[4.4]. La curva a con a = 0,75%/K, le curve b con a = 0,82%/K (T ≤ 25 °C) e
a = 0,75%/K (T > 25 °C).
R T [ kΩ]
b
4,0
3,2
a
2,4
b
1,6
KTY81-2
0,8
KTY81-1
0
– 100 – 50 0 25 50 100 150 T [°C]
figura 4.7
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Unità
4 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 193
1,6
KTY81
122
3
0,8
NC
0
figura 4.8 2 1 –100 –50 0 50 100 150 200 T [°C]
Nella tabella 4.3 sono riportati i valori della resistenza in funzione della temperatura.
tabella 4.3 Valori trasduttore KTY81-122 [Icont = 1 mA]
Temperatura Resistenza [Ω]
[°C] Min Tipica Max
– 50 505 520 535
– 40 558 573 588
− 30 615 630 645
− 20 676 690 705
− 10 741 755 769
0 810 823 836
10 883 895 907
20 960 971 982
25 1000 1010 1020
30 1039 1050 1062
40 1120 1134 1148
50 1204 1221 1238
60 1291 1312 1332
70 1382 1406 1430
80 1477 1505 1533
90 1574 1607 1639
100 1676 1713 1750
R Vu
figura 4.9
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3
194 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
esempio 4.3
Si ricavi la caratteristica temperatura/tensione del trasduttore di temperatura KTY81-122 ( tabella 4.3 )
nel range da 0 °C a 50 °C a passi di 10 °C sapendo che E = 5 V ed R = 1 kΩ.
La tensione d’uscita Vu è:
R
Vu = R ⋅ I = ⋅E [4.5]
R + RT
Utilizzando la [4.5] si ricava la tabella 4.4 utilizzando i valori tipici della resistenza RT.
tabella 4.4
T [°C] 0 10 20 30 40 50
RT [Ω] 823 895 971 1010 1050 1134
Vu [V] 2,74 2,63 2,53 2,48 2,43 2,34
4.3 Termistori
I termistori (Thermistor: THERMally sensitive resISTOR) sono trasdut-
tori di temperatura a semiconduttore drogato. La quantità di drogaggio
fissa il coefficiente di temperatura ( figura 4.10 ). La variazione della
resistenza all’aumentare della temperatura può essere crescente (PTC)
o decrescente (NTC). Le caratteristiche resistenza/temperatura di en-
trambi presentano una elevata non linearità. Sono utilizzati come ri-
velatori e come dispositivi per compensare le variazioni di resistenze
dovute a escursioni termiche. figura 4.10
La legge di variazione della resistenza con la temperatura di un ter-
mistore NTC è: B
RT = A ⋅ e T [4.6]
1 1 T −T
B ⋅ − B⋅ a
T Ta Ta ⋅ T
RT = RTa ⋅ e = RTa ⋅ e [4.7]
In verità la temperatura di riferimento Ta = 20 °C può essere diversa, in tal caso è fornita dal
costruttore.
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Unità
4 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 195
In figura 4.11 sono riportate le caratteristiche di quattro termistori NTC della famiglia K22
prodotti dalla Siemens.
R T [ Ω] K22
10 8
7
10
6
10
5 250 k Ω
10
4
40 k Ω
10
3
10 k Ω
10
2
1 kΩ
10
1
10
10 0
– 60 – 40 – 20 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200
figura 4.11 T [°C]
esempio 4.4
Si progetti un circuito di conversione temperatura/tensione per un termistore NTC K25-1k nel range
di temperatura 10 °C÷70 °C sapendo che R = 1 kΩ (Ta = 20 °C) e B = 3530 K.
Utilizzando la [4.7] si possono tabulare i valori assunti dal trasduttore NTC nel campo di funzionamen-
to per incrementi di temperatura ΔT = 10 °C ( tabella 4.5 ).
tabella 4.5
T [°C] 10 20 30 40 50 60 70
R [Ω] 1529 1000 671 463 326 235 172
12 V
T
12 V
10 [˚C] 70
2 7
5,6 k R NTC
6 T
CA3140 VT
V IN =5V 3 V =5V 283 [K] 343
1k
4
LM336-5 V VT
330
Reg. 5 V
10 k RL 0,88 [V] 3,28
figura 4.12
Poiché la caratteristica del termistore è decrescente e non lineare, nel circuito di conversione s’introdu-
ce la resistenza RL = 330 Ω (resistenza di linearizzazione) sulla quale è calcolata la tensione d’uscita VT.
La presenza della resistenza di linearizzazione RL, scelta in modo opportuno, rende la caratteristica VT /T
crescente e quasi lineare all’aumentare della temperatura T (tabella 4.6).
tabella 4.6
T [°C] 10 20 30 40 50 60 70
RT [Ω] 1529 1000 671 463 326 235 172
VT [V] 0,88 1,24 1,64 2,08 2,51 2,92 3,28
esercizi
svolti
1 Perché la sensibilità del termistore NTC è maggiore di quella della termoresistenza RTD?
A parità d’incrementi ΔT la variazione ΔR della NTC è più alta di quella della RTD (figura 4.1).
2 Perché la linearità della caratteristica del trasduttore KTY è inferiore rispetto a quella della termoresi-
stenza RTD?
La relazione [4.4] della KTY è esponenziale a differenza della [4.1] della RTD che è di tipo lineare.
3 Per rilevare sperimentalmente la caratteristica R/T di un termistore di tipo NTC, quali strumenti occor-
rono?
Termistore NTC
Alimentatore in DC variabile 0÷12 V
Riscaldatore in DC 12 V
Multimetro per la misura della resistenza
Sonda di temperatura e multimetro per la misura della temperatura
Supporto metallico riscaldato solidale con la NTC
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Unità
3 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 197
esercizi proposti
1. Il principio fisico del funzionamento della termore- 9. Utilizzando il foglio di ExCEL:
sitenza RTD è:
◗ calcolare i valori delle resistenze per incrementi
............................................................................. di 5 °C utilizzando la [4.7] nel range 0 °C÷100
............................................................................. °C. Sia R (Ta = 20 °C) = 250 kΩ e B = 4560 K;
◗ tracciare il grafico della resistenza R in funzione
2. Il principio fisico del funzionamento della KTY è: della temperatura T.
.............................................................................
10. I circuiti proposti di figura 4.13 convertono la tem-
............................................................................. peratura rilevata dalla NTC in tensione V0. Sapendo
che R(Ta = 20 °C) = 4 kΩ e B = 3420 K, tracciare le
3. Il principio fisico del funzionamento del termistore due caratteristiche V0 /T ed evidenziare la differen-
NTC è: za.
.............................................................................
............................................................................. I I
NTC R
............................................................................. R V0 NTC V0
.............................................................................
RT
R3
7. Utilizzando la [4.7] e sapendo che R(Ta = 20 °C) 1KTY81-122
= 6 kΩ e B = 3950 K, calcolare i valori che assume
il trasduttore NTC (K25-6 kΩ), nel range –20 °C ÷ figura 4.14
+120 °C per incrementi di ΔT = 10 °C. Tracciare il
grafico della caratteristica R in funzione della tem- ◗ si dimensionino i componenti per equilibrare il
peratura T utilizzando ExcEl. ponte alla temperatura T di 0 °C;
◗ si calcolino i valori della tensione d’uscita VAB per
8. Utilizzando il foglio di ExcEl tracciare, su uno stes- incrementi ΔT = 10 °C;
so riferimento, le caratteristiche R/T dei due eser- ◗ si tracci il grafico della tensione VAB in funzione
cizi precedenti ed evidenziare le differenze. della temperatura T con ExCEL.
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R = A · E –α
Risposta spettrale %
tabella 5.1
Caratteristiche elettriche Valori Unità di misura
Nella tabella 5.2 sono riportate le caratteristiche principali del fotoresistore NORPS-12 della
Silonex (www.silonex.com).
tabella 5.2
Caratteristiche elettriche Valori Unità di misura
Resistenza di oscurità 1 MΩ
Resistenza minima con luce 5,4 kΩ
Resistenza massima con luce 12,6 Ω
Tensione di picco (AC e DC) 250 V
Potenza max (a 30 °C) 250 mW
Range di temperatura − 60 ÷ +75 °C
Reazione spettrale di picco 550 nm
I1 I2
RL RL R Lux
I
B
VAB
E R E
R1 A
RP RL Vu
R Lux
esercizi
svolti
Posto E = 12 V (per limitare l’intensità di corrente che attraversa la fotoresistenza) e posta RL = 330 Ω si
dimensiona la resistenza R1 = Rlx = 9 kΩ (R = 8,2 kΩ, RP = 1 kΩ) che bilancia il ponte di Wheatstone per il
minimo illuminamento.
Le tensioni d’uscita rispettivamente VAB (ponte di Wheatstone) e Vu (partitore resistivo di tensione) sono
ricavate dalle relazioni che seguono e riportate nella tabella 5.3 .
R1 R lx RL
VAB = − ⋅E Vu = ⋅E
R1 + RL Rlx + RL RL + Rlx
tabella 5.3
Dall’analisi dei risultati emerge che entrambe le tensioni d’uscita sono crescenti e quasi lineari all’aumen-
tare dell’illuminamento, anche se la caratteristica R/lx del trasduttore è fortemente non lineare e decrescen-
te per la scelta opportuna del valore della resistenza di linearizzazione RL.
La fotoresistenza al solfuro di cadmio NORP-12 può essere inserita in un circuito a transistor funzionante
in ON/OFF per attivare un diodo LeD. Il LeD deve essere acceso quando è buio, mentre deve essere
spento quando c’è luce solare.
Nella figura 5.4 è riportato lo schema funzionale.
R1
680 Ω
R2
15 k Ω
9V
E R3
TR
1,5 k Ω 2N2222
Rlx
NORP–12
figura 5.4
Le resistenze R2 ed Rlx polarizzano (unitamente alla resistenza R3 che limita l’intensità di corrente) la base
del transistor. Quando c’è luce la fotoresistenza assume un valore resistivo trascurabile che porta il transi-
stor nello stato di OFF (LeD spento). Quando è buio, la fotoresistenza assume un valore resistivo relativa-
mente alto tale da mandare in conduzione il transistor portandolo nello stato di ON (LeD acceso). La
resistenza R1 limita l’intensità di corrente che attraversa il LeD. La tensione d’alimentazione uguale a 9 V
può essere fornita da una batteria commerciale.
Risulta chiaro che con opportune modifiche il LeD può essere sostituito con un relè di media potenza per
controllare un buon numero di lampade alimentate dalla tensione di rete.
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Unità
5 Trasduttori di luminosità a variazione di resistenza 201
Nella figura 5.5 è riportato lo schema per simulare il funzionamento dell’impianto d’illuminazione con
Multisim. La fotoresistenza Rlx è stata sostituita con il deviatore J1 e due resistenze di 220 kΩ (condizione
di buio) e 390 Ω (condizione di luce). La strumentazione inserita ha lo scopo di evidenziare il funzionamen-
to ON/OFF del transistor.
Attivare la simulazione e osservare i risultati interagendo con il circuito mediante la barra spaziatrice per
modificare la posizione del deviatore J1.
figura 5.5
NC NA
Fusibile
1N4001
R1
15 k Ω
12 V R2
2N2222 Gruppo di lampade controllate 220 V (AC)
VCC 470 Ω
Illuminamento
R lx
NORP–12
figura 5.6
Si utilizza un BJT, funzionante in ON/OFF, con tensione di alimentazione VCC = 12 V identica a quella del
relè. Sia RB = 1 550 Ω la resistenza della bobina ( figura 5.6 ).
Quando c’è luce la fotoresistenza assume un valore di resistenza trascurabile (R 100 Ω) che porta il tran-
sistor nello stato di OFF (lampade spente).
Quando è buio, la fotoresistenza assume un valore resistivo alto (R 1 MΩ) tale da mandare in conduzione
il transistor portandolo nello stato di ON (lampade accese).
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202 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
esercizi proposti
1. Il principio fisico del funzionamento della fotoresisten- 5. Quali sono le unità di misura della intensità lumino-
za è: sa (illuminamento)?
............................................................................... .............................................................................
............................................................................... .............................................................................
2. La sensibilità di una generica fotoresistenza è: 6. Qual’è l’unità di misura della lunghezza d’onda l?
............................................................................... .............................................................................
............................................................................... .............................................................................
4. La caratteristica della fotoresistenza di figura 5.2 del- 8. La variazione della resistenza RT della fotoresi-
la presente Unità è riportata in figura 5.7 ed è di tipo: stenza dipende solo dall’illuminamento E.
❑ vero ❑ falso
...............................................................................
............................................................................... 9. 1 lm/m2 corrisponde a 1 W/m2.
❑ vero ❑ falso
Resistenza [k Ω]
1000
10. La temperatura di funzionamento condiziona la
100 potenza dissipata dalla fotoresistenza.
10 ❑ vero ❑ falso
1
11. Il valore della costante dimensionale α dipende dal
0,1 tipo di semiconduttore utilizzato per la costruzione
0,1 1 10 100 1000 lx della fotoresistenza.
figura 5.7 ❑ vero ❑ falso
12. Con riferimento alla caratteristica di figura 5.2 calcolare l’intensità della corrente I che fluisce nel circuito di
figura 5.8 e la potenza dissipata dalla fotoresistenza quando l’illuminamento è uguale a 10 lm/m2.
10 lm/m 2
RT
I I
E NORP-12 E
5V 5V
figura 5.8
13. Definire, spiegandone il motivo, la condizione di funzionamento del relè nei due circuiti di figura 5.9 quando la
fotoresistenza è nella totale oscurità.
NORP-12 12 V 12 V
50 kΩ
12 V 1N4001 12 V 1N4001
110 Ω 110 Ω
330 Ω
1,5 kΩ 1,5 kΩ
2N3053 2N3053
330Ω NORP-12
5 kΩ
figura 5.9
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Gli attuatori sono dispositivi adatti a pilotare dispositivi di potenza con deboli segnali di
controllo. In generale sono dispositivi elettromeccanici che convertono un segnale elettri-
co in un azionamento, anche se possono produrre un qualsiasi fenomeno fisico.
Esempi di attuatori sono il relè elettromeccanico, il transistor BJT, ecc. Il relè è utilizzato per il
comando d’interruzione o di commutazione di grandi potenze elettriche.
Il transistor può essere utilizzato come interruttore elettronico per fornire potenza elettrica al
circuito utilizzatore.
figura 6.1
6.1 Relè
Il relè è un attuatore di tipo elettromeccanico costituito da una bobina con un elevato
numero di spire, da un circuito magnetico con una parte fissa (nucleo) ancorata al basa-
mento del dispositivo, da una parte mobile (ancora) e da un traferro interposto tra la
parte mobile e quella fissa ( figura 6.2 ).
Isolante
Contatti a molla
NA B NC NA
COM Ancora
NC
Flusso di
comando
B COM
figura 6.2
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3
204 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
tabella 6.1
Caratteristiche relè elettromagnetico in DC Valori Unità di misura
Tempo di eccitazione 4 ms
Tempo di rilascio 3 ms
N° di scambi 2 –
Terminali c.s. –
12 V
220 V (AC)
Lampade controllate
(I = 100 mA)
figura 6.3
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Unità
6 Attuatori ON/OFF 205
Alcune applicazioni particolari richiedono relè con tempi di ritardo all’attrazione e/o alla
caduta. Questi tipi di relè (detti relè temporizzati) si ottengono con l’opportuna connes-
sione di alcuni componenti elettrici (resistenze, condensatori o resistenze dipendenti dalla
temperatura NTC e PTC). In figura 6.4 è mostrato un relè elettromeccanico in D.C. ritarda-
to sia all’attrazione sia alla chiusura. Il circuito aggiunto RC carica e scarica il condensato-
re con tempi dipendenti dalla costante di tempo τ [ms] = R [kΩ] · C [μF].
T R NC NA
12 V
C
figura 6.4
COM
esempio 6.1
Utilizzando una fotoresistenza come interruttore si può controllare un relè in modo diretto (relè fotoelettrico).
Si consideri la fotoresistenza NORP-12 e il relè della MATSUSHITA-HC3 12 V-DC che presenta una
resistenza di 170 Ω ( figura 6.5 ). Se l’illuminamento è elevato il relè diviene attivo quando l’intensità di
corrente supera 42 mA (inferiore a quella nominale di 70 mA). Quando l’illuminamento diminuisce, il
relè si diseccita poiché l’intensità di corrente che attraversa la bobina scende al di sotto di quella di
tenuta (14 mA).
Illuminamento NC NA
NORP-12
12 V
Matsushita
HC3 12 V-DC
R = 170Ω
figura 6.5 COM
0 0 1
(NA) A
0 1 1
(NA) B 1 0 1
1 1 0
OUT A (5 V) (5 V) B
figura 6.6
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3
206 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
Lo schema di figura 6.7 evidenzia il significato fisico della porta logica NAND utilizzato per
la simulazione.
La resistenza R = 330 Ω limita l’intensità di corrente nel diodo LED e non cortocircuita la
batteria quando entrambi gli interruttori sono chiusi.
Si disegna con Multisim lo schema di figura 6.8 con le due resistenze R1 = R2 = 50 Ω per
limitare l’intensità di corrente nelle bobine.
Il componente relè è prelevabile con Basic ⇒ Basic_Virtual ⇒ Relay1A_Virtual.
Per il simbolo DIN di figura 6.8 occorre: Options ⇒ Global Preferences ⇒ Parts.
Il relè è attivo quando l’intensità di corrente supera quella di attivazione (ION > 50 mA) e si
disattiva quando l’intensità di corrente scende al di sotto di quella di mantenimento (IOFF <
25 mA).
La figura 6.8 della simulazione riporta lo stato dell’ultima riga della tabellina della verità.
figura 6.8
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Unità
6 Attuatori ON/OFF 207
figura 6.9
d
Ree e ale
cro pol
la ert min
olu s in Ter
Inv Am Ga
Magnete permanente
Il magnete permanente o il campo magnetico generato dalla bobina inducono sulle lami-
ne magnetiche (Stato di OFF) polarità magnetiche opposte a quelle proprie tale da attrar-
le e chiudere il contatto (Stato di ON). Le principali caratteristiche del relè Reed sono:
◗ una bassa resistenza di contatto (mΩ);
◗ una elevata velocità di commutazione OFF/ON;
◗ una vita lunga dei contatti per la presenza di atmosfera neutra;
◗ una piccola dimensione tali da disporlo in contenitori DIP;
◗ la possibilità di eliminare antirimbalzi dei contatti con una minima presenza di mercurio;
◗ la commutabilità di potenze dell’ordine di un centinaio di VA (in alternata).
Il relè Reed di tipo A, per il suo principio di funzionamento, può essere classificato come
un sensore magnetico utilizzabile nel rilievo di presenza di campo magnetico (sensore
magnetico di prossimità).
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208 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
Un’applicazione del relè Reed, visto come sensore magnetico, può essere quella di un
controllo di una finestra aperta o chiusa come mostra la figura 6.11. Il relè Reed, sensore
magnetico, all’atto dell’apertura della finestra, non rilevando più presenza di campo ma-
gnetico, attiva un circuito d’allarme.
+ 12 V + 12 V + 12 V
Sirena
Reed NA NC
g ne
te Attivo
Ma
10 kΩ
10 kΩ
22 kΩ
a
ert Aperto 2N1711
ap
a
e str
Fin ON
27 kΩ
2N1711
OFF
10 kΩ
6.2 Transistor
Il transistor bipolare BJT è un attuatore a semiconduttore il cui principio di funzionamento
come interruttore elettronico (ON/OFF) è dovuto all’intensità di corrente di base IB. Se la IB
è trascurabile (IB = 0) anche quella di collettore è trascurabile (IC = 0) e il transistor si com-
porta come un circuito aperto (VCE = VCC). Se, invece, l’intensità di corrente iniettata nella
base è elevata (IB = IB-Sat), anche quella di collettore IC è elevata e il transistor è in saturazio-
ne (VCE-Sat = 0). In tal caso il transistor si comporta come un circuito chiuso ( figura 6.12 ).
I B(Sat) C
IC IC IC
C
IB RC RB RC I C(Sat) ON B ON
B
TR VCE
VBE IB E
E C
RB
VBB VCC VCC
IB(Int) B OFF
I C(Int) OFF
esempio 6.2
Si calcoli il valore dell’intensità di corrente IB di un transistor BJT sapendo che hFE = 500 e l’intensità di
corrente IC = 10 mA.
IC 10 ⋅ 10− 3
IB = = = 0, 02 mA = 20 µA
hFE 500
esempio 6.3
Sapendo che VF(LEd) = 1,7 V e Id(LEd) = 10 mA, applicando un’onda quadra di tipo TTL (0 V o 5 V) all’in-
gresso del circuito, si dimensionino i componenti per il transistor 2N2222.
Si assuma:
hFE-min = 75 (IC = 10 mA)
VCE-Sat = 0,3 V
VBE-Sat = 0,6 V
VCC = 12 V
IC
RC
RB
5V IB VCC
0V
VBB
TTL
figura 6.13
IC-Sat 10 ⋅ 10 –3
IB-Sat = = = 133, 3 ⋅ 10 −6 A = 133 µA
hFE-min 75
VBB − VBE-Sat 5 − 0, 6
RB = = = 33082, 7 (33 kΩ )
IB-Sat 13, 3 ⋅ 10−6
▼
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3
210 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
Lo schema elettrico di figura 6.13 può essere disegnato con Multisim come in figura 6.14 per la si-
mulazione.
figura 6.14
esercizi
svolti
1 Utilizzando un relè Reed come interruttore si può controllare un relè di potenza che attiva un carico.
Si consideri il relè Reed di tipo A inserito nel circuito di figura 6.15a e il relè della MATSUSHITA-HC3 12 V-DC.
Se il relè Reed rileva presenza di campo magnetico diviene attivo ed eccita il relè di controllo. Il relè Reed
si diseccita quando non c’è presenza di campo magnetico. Il sistema può essere utilizzato, ad esempio,
per l’accensione di lampade controllate da un sensore magnetico ( figura 6.15b ).
NA NC NA
NC
Magnete
12 V 12 V 12 V
R 120 Ω
Com
Com 220 V
figura 6.15 a) b)
2 Si realizzi un controllo di luminosità, di tipo ON/OFF, per l’accensione di un gruppo di lampade da uti-
lizzare in un impianto d’illuminazione.
Si utilizza un transistor funzionante in ON/OFF con una tensione d’alimentazione VCC = 12 V identica a
quella del relè. Sia RB = 1550 Ω la resistenza della bobina.
Lo schema di base è quello di figura 5.4 (Æ Unità 5 del presente modulo) dove il LeD e la resitenza
R1 sono sostituite da un relè con resistenza interna RB = 1550 Ω e con l’alimentazione VCC = 12 V
( figura 6.16 ).
Attuatore di potenza
NC NA
Fusibile
1N4001
R1
15 k Ω
12V
R2
Gruppo di lampade controllate 220V (AC)
VCC 470 Ω
2N2222
Illuminamento
R lx
NORP-12 Attuatore
Trasduttore ON/OFF
figura 6.16
Quando c’è luce la fotoresistenza assume un valore di resistenza trascurabile che porta il transistor nello
stato di OFF (lampade spente). Quando è buio, la fotoresistenza assume un valore resistivo alto tale da
mandare in conduzione il transistor portandolo nello stato di ON (lampade accese).
L’esempio proposto è un semplice sistema di controllo di luminosità a catena aperta. Il trasduttore rileva la
luminosità, il transistor è l’attuatore ON/OFF che attiva, a sua volta, il relè (attuatore di potenza) per azio-
nare il gruppo di lampade. La figura 6.17 schematizza il sistema a blocchi.
figura 6.17
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212 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori
esercizi proposti
1. Che cosa è un generico attuatore? 6. Si può invertire la posizione del diodo LeD nello
............................................................................. schema di figura 6.18.
............................................................................. ❑ vero
............................................................................. ❑ falso
2. Il termine elettromeccanico, per un relè, indica: 7. Il relè elettromeccanico può essere classificato
come un amplificatore ON/OFF.
.............................................................................
❑ vero
.............................................................................
❑ falso
.............................................................................
10 V RB IB
2N1711 12. Il termine hFE ⋅ IB del transistor è un generatore
0V
C_MOS ideale di corrente.
❑ vero
figura 6.18 ❑ falso
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Applicazioni Modulo
per la
simulazione
4
Unità 1 Principi di funzionamento
degli strumenti di misura
Unità 2 L’ambiente grafico di Multisim
Unità 3 Alimentazione e strumentazione di
Multisim
Unità 4 Strumentazione per la generazione
di segnali e misurazioni
Prerequisiti Unità 5 Analisi di Multisim
■ Conoscenza dell’ambiente Windows. Unità 6 LabVIEW
Obiettivi
■ Conoscere il principio di funzionamento degli Applicazioni
strumenti di misura. per la simulazione
■ Disegnare, modificare e dimensionare un circuito
elettronico ed elettrotecnico.
■ Saper scegliere la strumentazione adatta per la
simulazione e verificare la validità dei risultati. U.1 U.2 U.6
■ Conoscere le diverse tipologie dei programmi CAD. Strumenti L’ambiente grafico
LabVIEW
■ Saper dimensionare i componenti di un circuito di misura di Multisim
elettronico ed elettrotecnico anche in base ai risultati
della simulazione. U.3
■ Saper utilizzare gli strumenti software per lo studio di Alimentazione
sistemi complessi. e strumentazione
■ Saper verificare la validità dei risultati confrontando di Multisim
due o più grafici.
■ Conoscere l’ambiente di programmazione grafica e
U.4
le caratteristiche di base di LabVIEW.
Strumentazione
■ Saper realizzare semplici applicazioni Virtual per la generazione
Instruments (VI) con LabVIEW. di segnali
e misurazioni
U.5
Analisi di Multisim
Simulazioni
■ Simulazione con LabVIEW del controllo
del livello di un liquido in un serbatoio
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unità 1 Principi
di funzionamento
degli strumenti di misura
1.1 Strumenti di misura
Le grandezze fondamentali del Sistema Internazionale S.I. di misura
sono la Lunghezza (Metro), la Massa (Kilogrammo), il Tempo (
Secondo), la Intensità di corrente elettrica (Ampere), la Temperatura
(Kelvin) la Intensità luminosa (Candela) e la Quantità di sostanza
(Mole).
Magnete permanente
Ri 1 mA
Simbolo
mA
0 Scala 1
1A Ri 1 mA
Corrente
continua
na
bi
Bo
I
Ri 0Ω S Shunt
figura 1.2 RS
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Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 215
In commercio esistono vari tipi di misuratori di intensità di corrente come:
• il Galvanometro (rivelatore di zero);
• l’Amperometro elettromagnetico o a ferro mobile (misuratore di intensità di corrente con-
tinua e alternata);
• lo Strumento a filo caldo che sfrutta la dilatazione termica subita da un corpo metallico
per effetto della temperatura;
• lo Strumento a spirale metallica che sfrutta la dilatazione termica di due metalli diversi;
• lo Strumento a termocoppia ( figura 1.3 ) che sfrutta gli effetti termici (Seebeck, Peltier e
Thomson).
mA
Termocoppia
I
Filo
riscaldatore
Bulbo vuoto
figura 1.3
E B
R
A
0 Volt 30
mA Ri
RV
Voltmetro
figura 1.5
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4
216 Modulo Applicazioni per la simulazione
I RX
mA RX Ri
Ri
E Ohm
0
R
figura 1.6
■ Tester analogico
Il tester analogico utilizza, per le misure, gli schemi analizzati precedentemente lette su
una unica scala tarata con le relative unità di misura. La selezione del tipo di misura e di
portata si ottiene mediante due commutatori o una serie di boccole ( figura 1.7 ). Lo stru-
mento presenta una bassa impedenza di ingresso e non ha alcuna protezione, pertanto
una inserzione errata nella misura lo distrugge.
V
Convertitore
V
AC / DC
Partitore
V Convertitore Decoder
resistivo
Convertitore A/D driver
I di precisione
I/V
Convertitore
W
R/V
figura 1.9
■ Generatore di funzioni
Il generatore di funzioni (figura 1.10) è uno strumento di
grande flessibilità che genera sia segnali di forme e
ampiezze diversi quali sinusoidali, quadri, triangolari e
a rampa sia il segnale TTL con frequenze da qualche
Hz fino a una decina di MHz. I generatori di funzioni
professionali sono dotati di un controllo di simmetria
(Duty Cycle), di un offset (somma di una componente
continua) e generano anche segnali modulati in
ampiezza (AM), in frequenza (FM) e altri.
figura 1.10
4
218 Modulo Applicazioni per la simulazione
Frequenza
Generatore
TTL Uscita
onda quadra
Circuito Amplificatore
Attenuatore Uscita
integratore segnale
Formatore
di sinusoide Offset Ampiezza
figura 1.11
■ Frequenzimetro digitale
Il frequenzimetro digitale (figura 1.12) misura e visualizza
la frequenza di un segnale periodico con un conteggio
dei periodi contenuti nella unità di tempo. Questa unità,
detta anche tempo base, è realizzata con un livello alto
di un segnale della durata di 1 secondo applicato ad una
porta logica AND vista come sistema di controllo. All’in-
terno del segnale della unità base sono contenuti i perio-
di del segnale di ingresso, contati, memorizzati e visua-
lizzati da alcuni display. Lo schema a blocchi, semplifi-
figura 1.12
cato, è riportato nella figura 1.13.
f Circuito
Ingresso squadratore
Contatore
AND Memoria
BCD
Tempo Unità di
base controllo
figura 1.13
■ Oscilloscopio
L’oscilloscopio (figura 1.14) visualizza su uno schermo
fluorescente un qualsiasi segnale elettrico (in tensione)
variabile nel tempo. L’elemento principale è il Tubo a
Raggi Catodici (TRC) riportato in figura 1.15. Un filamen-
to (F) riscalda il catodo (K) che genera ed emette elet-
troni controllati da una griglia (G), collimati in un
fascio, accelerati e focalizzati (A) e deflessi da due cop-
pie di placche in senso orizzontale (X) e verticale (Y).
figura 1.14
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 219
Il fascio di elettroni acquisisce energia che la restituisce in forma luminosa puntiforme
colpendo lo schermo. Per effetto della doppia deflessione il punto luminoso si sposta sullo
schermo descrivendo la traccia del segnale (figura 1.15).
G A
F K X X
Y X
figura 1.15
AC
GND Amplificatore
Ingresso Attenuatore Preamplificatore
Y
DC
Int
Generatore Amplificatore
Ext Trigger
di rampa X
figura 1.16
• l’oscilloscopio a doppia traccia (permette il confronto tra due tracce e la misura di fase
tra due segnali isofrequenziali);
• l’oscilloscopio con memoria (mantiene la traccia sullo schermo);
• l’oscilloscopio campionatore (ricostruisce per punti la forma d’onda campionando il
segnale di ingresso).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
220 Modulo Applicazioni per la simulazione
■ Analizzatore logico
L’analizzatore logico (figura 1.17) acquisisce da un circuito
logico complesso e memorizza un certo numero di segna-
li digitali secondo un ordine scandito da un segnale di
riferimento (Clock). La struttura di principio è costituita da:
• un sistema di acquisizione dati;
• un sistema di sincronizzazione;
• un sistema di elaborazione;
• uno schermo fluorescente per la visualizzazione delle
figura 1.17 tracce digitali.
La rappresentazione grafica sullo schermo può essere sotto forma di tabella con cifre bina-
rie, ottale o esadecimale e sotto forma di diagrammi temporali.
■ Analizzatore di spettro
L’analizzatore di spettro (figura 1.18) visualizza, nel domi-
nio della frequenza, la distribuzione spettrale delle am-
piezze delle armoniche di un segnale periodico. Le am-
piezze delle singole armoniche possono essere misurate.
Senza entrare in merito al complesso principio di fun-
zionamento, per il quale si rimanda a testi specifici, il
rilievo delle singole armoniche, sotto forma di righe, si
può ottenere, ad esempio, variando l’accordo di un fil-
figura 1.18 tro molto selettivo lungo tutta la banda passante del
segnale periodico di ingresso.
La struttura dell’analizzatore di spettro, non riportata come schema a blocchi, risulta molto
complessa. Nella figura 1.19 si riporta, invece:
• una rappresentazione grafica, traslata nel dominio del tempo, delle finestre che conten-
gono i singoli segnali sinusoidali rilevati dal filtro selettivo;
• una rappresentazione spettrale nel dominio della frequenza, rappresentate da una sequenza
di righe, che mostra le ampiezza delle armoniche del segnale periodico ad onda quadra.
za
en
qu
Fre
f
5°
le
tra
pet
3° n es
zio
ta
se
re
pp
Riga
Ra
Fondamentale ( 1° armonica)
figura 1.20
1,5 [V]
figura 1.21
0,5 A LM117VH
IN OUT
Adj
R1
1N4002
100 nF
75 VA 240Ω
1N4002 3,3 mF D2
220 V AC 36 V V0
100 nF
Rp
100 μF
4 x 1N4002 4,7 kΩ 10 μF
figura 1.22
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
222 Modulo Applicazioni per la simulazione
La tensione di uscita è regolata dalla potenziometro Rp. I diodi D1 e D2 sono necessari per
la presenza rispettivamente dei condensatori C2 e C1. Si raccomanda di fissare il regolato-
re LM117VH su un dissipatore.
Come esempio si riporta uno schema semplice per la misura di tensione con un voltmetro
su una resistenza R di una maglia chiusa costituita da una f.e.m. E = 12 V e due resisten-
ze uguale di valore R = 10 MW. La misura di tensione reale ( figura 1.23a), in assenza di
voltmetro, è pari a 6 V
E E
V REALE = R ⋅ = =6 V
2⋅ R 2
E
V MISURATA = ( R // RV ) ⋅ =
R + ( R // RV )
5 ⋅ 10 −6 5
= 12 ⋅ = 12 ⋅ = 4 V
( 10 + 5 ) ⋅ 10 −6 15
R R
10 MΩ 10 MΩ
Voltmetro
E E
R R
VREALE VMISURATA
12 V 10 MΩ 12 V 10 MΩ RV
10 MΩ
a) b)
figura 1.23
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 223
L’esempio di figura 1.24 dimostra come sono diversi i valori di intensità di corrente in una
maglia chiusa costituita da una f.e.m. E = 12 V e due resistenze uguali di valore R = 1 W
senza l’amperometro ( figura 1.24a) e con l’amperometro ( figura 1.24b) la cui resistenza inter-
na è RI = 0,1 W.
E 12 E 12
I REALE = = =6 A I MISURATA = = = 5, 71 A
2⋅ R 2 2 ⋅ R + RI 2, 1
I REALE R 1Ω I Misurato R 1Ω
E E Amperometro
RI 0,1Ω
12 V 12 V
a) R 1Ω b) R 1Ω
figura 1.24b
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figura 2.1
figura 2.2
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 L’ambiente grafico di Multisim 225
Dopo alcuni istanti si visualizza il foglio di lavoro di figura 2.3 con l’ambiente di Multisim.
figura 2.3
figura 2.4
◗ la barra degli strumenti (mUltimeteR, ..., oscilloscope, ..., Bode plotteR, ..., tektRonics
oscilloscope, ..., pRoBe, ecc.) dalla quale è possibile prelevare le strumentazioni neces-
sarie per la simulazione ( figura 2.5 ).
figura 2.5
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
226 Modulo Applicazioni per la simulazione
■ Menu File
Mette a disposizione dell’utente i comandi necessari alla gestione dei file con estensioni
[*.ms11] nella sotto-directory stabilita dall’operatore. Si ricorda che le versioni V4 e V5 di
Electronics Workbench e successive di Multisim assegnavano ai file l’estensione rispettiva-
mente [*.ca, *.cd], [*.ewb], [*.msm], [*.m10].
I comandi più utilizzati sono neW, open, close, save, save as, pRint, exit.
■ Menu Edit
Consente di tagliare, copiare, incollare ed eliminare file, nodi, componenti, strumenti, ecc.
Per copiare e incollare un componente o un gruppo di componenti è necessario selezio-
nare il componente e attivare edit ⇒ copy. Multisim copia uno o più componenti selezio-
nati nella memoria temporanea (Clipper Board). Per incollare edit ⇒ paste.
Il comando delete (Elimina) consente di cancellare definitivamente uno o più componen-
ti selezionati, mentre il comando cUt (Taglia) cancella e li ricopia nella memoria tempo-
ranea consentendo con il comando paste di incollarli in un’altra parte dell’area di lavoro.
Infine il comando Undo (Ripristina) recupera l’ultimo elemento cancellato.
■ Menu View
Consente la visualizzazione delle barre (toolBaRs), del bordo (sHoW BoRdeR), della finestra
(GRapHeR), della griglia (sHoW GRid), l’ingrandimento e la riduzione del disegno (Zoom in
e Zoom oUt), ecc.
■ Menu Place
Consente di piazzare sull’area di lavoro componenti (component), giunzioni (JUnction),
testo (text), commenti (comment ⇒ led) connettori (connectoRs), tracciare bus (BUs), ecc.
■ Menu Simulate
Mette a disposizione numerosi comandi per l’impostazione e l’esecuzione dell’analisi del cir-
cuito. I comandi RUn (avvia simulazione) e paUse (pausa) sono riportati anche in alto a destra
dell’area di lavoro (bottoni Pause e 0/I). Il menu consente all’operatore di piazzare sull’area di
lavoro gli strumenti (Instruments) e scegliere il tipo di analisi per la simulazione (Analyses).
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Unità
2 L’ambiente grafico di Multisim 227
■ Menu Transfert
Consente di collegare il circuito disegnato per la simulazione a Ultiboard al fine di realiz-
zare il master del circuito stampato (PCB Layout).
■ Menu Tools
Consente di creare e modificare componenti.
■ Menu Options
Permette di visualizzare il numero dei nodi di connessione (sHeet pRopeRties... ⇒ ciRcUit
⇒ sHoW all), modificare il fondo dell’area di lavoro di disegno e il colore delle linee (sHeet
pRopeRties... ⇒ ciRcUit ⇒ WHite BlackGRoUnd), impostare lo spessore delle linee (sHeet
pRopeRties... ⇒ WiRinG ⇒ WiRe WidtH ⇒ digitare il numero da 1 a 15), selezionare il Font
di scrittura (sHeet pRopeRties... ⇒ Font ⇒ selezionare Font, Font Style e Size), ecc.
Ad esempio, per visualizzare il numero dei nodi di uno schema elettrico, utili per effettua-
re alcune simulazioni, su uno schema elettrico ( figura 2.6a ) è necessario attivare options
(di menu) ⇒ sHeet pRopeRties... ⇒ ciRcUit ⇒ sHoW all ⇒ ok.
Il numero del nodo può essere modificato (personalizzato) con un doppio clic (sinistro)
sul nodo o sul filo di collegamento. Alla comparsa della finestra di net settinG digitare,
nel campo pReFeRRend net name, il nuovo nome. Nella figura 2.6a è stato sostituito il nodo
4 con il nuovo nome V04 ( figura 2.6b ).
figura 2.6
Dalla figura 2.6 si evidenzia che Multisim attribuisce il numero “0” al nodo di massa e as-
segna il numero anche alle connessioni tra due componenti (vedi nodi 2, 3 e 5), poiché
il simulatore permette l’analisi in un qualsiasi punto di connessione, compreso quella tra
due componenti adiacenti del circuito.
figura 2.7
figura 2.8
Per collocare un strumento si deve fare clic sulla icona dello strumento (es.: mUltimeteR)
collocata sulla barra strumentazione e trascinarlo sull’area di lavoro (figura 2.9 ). Per visua-
lizzare lo schermo dello strumento doppio clic (tasto sinistro) sul riquadro (figura 2.10 ).
figura 2.11
La figura 2.12 mostra uno schematico di Multisim per la misura di potenza attiva fornita dal
generatore di tensione. È opportuno piazzare tutti i componenti con la rotazione adatta,
la strumentazione, senza dimenticare la massa. Effettuare i collegamenti ed eventualmente
visualizzare la numerazione dei nodi.
figura 2.12
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
230 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
figura 2.13
figura 2.14
L’operatore comunque può utilizzare per uno stesso schematico sia i componenti a norme
ANSI sia a norme DIN. Si ricorda che se si utilizzano le norme DIN i successivi compo-
nenti catturati sono tutti a norme DIN. Per tornare ai componenti ANSI occorre riattivarli.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 L’ambiente grafico di Multisim 231
2.7 Componenti 3D
Multisim consente di disegnare
schemi elettrici con componenti
elettronici 3D catturabili con Wiev
⇒ toolBaRs ⇒ 3D components
oppure selezionando 3D viRtUal
dal gruppo Basic. In figura 2.15 è
riportato uno schema elettrico con
transistor funzionante in ON/OFF
per accendere un LED interagen-
do con l’interruttore dopo aver
attivato la simulazione.
figura 2.15
figura 2.18
figura 2.21
figura 2.22
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
unità 3 Alimentazione
e strumentazione
di Multisim
3.1 Alimentazioni e segnali
Multisim mette a disposizione dell’utente numerosi segnali per l’alimentazione degli sche-
mi elettrici sia in tensione sia in corrente come:
◗ sorgenti d’alimentazione in tensione (AC e DC);
◗ sorgenti d’alimentazione in corrente (AC e DC);
◗ sorgenti d’alimentazione in tensione trifase (Stella e Triangolo);
◗ segnale a onda quadra (Clock);
◗ segnale a onda triangolare;
◗ segnale di clock digitale;
◗ segnali modulati;
◗ ecc.
figura 3.1
Multisim consente di utilizzare più strumenti uguali sullo stesso schema elettrico.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
234 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
figura 3.2
figura 3.3
Il voltmetro e l’amperometro sono utilizzati nello schema elettrico di figura 3.4 per calco-
lare la differenza di potenziale V e l’intensità di corrente I.
Dopo avere disegnato lo schema elettrico comprensivo di massa e con la strumentazione
si attiva la simulazione. Sugli strumenti sono visualizzati il valore della tensione V = 6,000 V
e quello dell’intensità di corrente I = 20 mA.
figura 3.4
■ Probe
Questa probe, catturabile dall’archivio IndIcatorS, indica il livello alto (ON) o basso (OFF) in un
punto di un circuito digitale. La figura 3.5 riporta una maglia chiusa e un circuito aperto che
utilizzano le probe per il controllo del livello digitale. Nel primo si controllano i livelli prima e
dopo della porta logica alimentata da un clock con frequenza di 1 Hz, mentre nel secondo,
alimentato con una tensione TTL (5 V), il livello d’uscita interagendo con l’interruttore.
figura 3.5
figura 3.6
La tensione d’uscita dalla Probe può essere misurata con un multimetro come mostra la figura 3.7 .
figura 3.7
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
236 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
■ Measurement Probe
È una probe di misurazione catturabile dalla barra degli strumenti che permette misure di
tensioni e correnti come mostra la figura figura 3.8 .
figura 3.8
Per selezionare il tipo di misura occorre fare doppio clic sulla Probe e selezionare la finestra
Parameters ( figura 3.9 ). Si disattiva il campo Show rendendo disattive tutte le misure (No).
Per attivare la singola misura fare clic su quella voluta (Yes) come mostra la figura 3.10 .
Ad esempio si vuole misurare l’intensità di corrente in DC nella maglia di figura 3.7 sosti-
tuendo l’amperometro con la sonda. Si attiva la funzione I (dc) con YES sulla finestra
Parameters e si chiude con OK. Si attiva la simulazione con i risultati di figura 3.11 .
figura 3.11
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 237
La Probe permette, inoltre, misure di guadagno (Vgain) e di fase (Phase). In questi due
casi le misure devono essere effettuate rispetto a un riferimento stabilito dall’operatore.
figura 3.12
Esempio
Si disegna con Multisim lo schema elettrico di figura 3.13 dove i quattro interruttori D, C,
B, e A realizzano i livelli logici di tipo TTL per la visualizzazione del numero binario con
le Probe (conteggio in binario) e per la visualizzazione della cifra in esadecimale con il
Display (conteggio in esadecimale). La figura 3.13 riporta la visualizzazione del numero
decimale 9 e il corrispondente numero in binario 1001.
figura 3.13
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
238 Modulo Applicazioni per la simulazione
figura 3.14
Per ricavare la tabella di verità del circuito di figura 3.15 e la relativa espressione booleana
si deve fare clic su cIrcuIto/tavola verItà. Per ricavare invece l’espressione booleana sem-
plificata si deve fare clic su tavola verItà/eSpreSSIone booleana SemplIfIcata.
figura 3.15
Dai risultati della simulazione si deduce che il circuito proposto è equivalente a una
porta OR a tre ingressi perché è Y = A + B + C.
Multisim permette di determinare la rete combinatoria (anche con sole porte NAND) una
volta assegnata la tabellina di verità come mostra l’esempio che segue.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 239
esempio 3.1
Progettare un circuito combinatorio con porte NAND in grado di controllare un processo industria-
le in accordo con la tabella di verità di figura 3.16 . Siano A, B, C le variabili di ingresso e Y quella di
uscita.
A B C Y
0 0 0 0
0 0 1 1
0 1 0 1
0 1 1 1
1 0 0 0
1 0 1 0
1 1 0 0
figura 3.16 1 1 1 1
Dopo aver catturato dalla barra degli strumenti il convertitore logico è necessario fare clic sui tre in-
gressi A, B, e C per visualizzare la tabella e digitare i livelli d’uscita sulla colonna Y sostituendo a “?” il
livello 0 (un clic) o il livello 1 (due clic). Dopo aver attivato il pulsante Tavola veriTà/espressione boole-
ana semplificaTa, Multisim mostra la figura 3.17 .
figura 3.17
Per analizzare il circuito combinatorio con sole porte NAND è necessario selezionare espressione
booleana/NAND ( figura 3.18 ).
figura 3.18
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
240 Modulo Applicazioni per la simulazione
Per scrivere una parola in esadecimale si deve attivare Hex nel campo dISplay e digitare la
parola. Per cancellarla è necessario digitare Set, attivare clear buffer e accept. Le modalità
del flusso di parole all’uscita sono Step (a passi), burSt (in sequenza) e cycle (ciclicamente).
figura 3.19
Nella figura 3.19 il generatore di parole è utilizzato per osservare i caratteri di scrittura dei nu-
meri esadecimali da 0 a F su un display a sette segmenti decodificato. Per simulare il funziona-
mento del circuito si deve selezionare il numero di parole (16) in buffer SIze di Set, impostare
la sequenza delle parole esadecimali e attivare, ad esempio, la simulazione a passi con Step.
esempio 3.2
Si progetti un circuito combinatorio che segnali la condizione di pericolo nel caso in cui i segnali d’in-
gresso A e B siano a livello logico diverso.
figura 3.20
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 241
Multisim fornisce la risposta di figura 3.21 . Dai risultati della figura si evidenzia che la rete combinato-
ria è quella di una porta logica EX-OR ( Y = AB + AB = A ⊕ B ).
figura 3.21
La funzione della rete combinatoria ricavata è quella di anticoincidenza svolta dalla porta logica OR
Esclusivo (EXOR). L’uscita della EXOR (somma modulo 2 senza riporto) assume il livello logico alto
solo quando i due ingressi sono con livelli discordi (figura 3.22 ). Tale condizione genera il bit di parità
pari per una parola a due bit. Risulta evidente che il bit di parità dispari si ottiene negando l’uscita Y.
0 1 1 0 0
B
1 A 1 A 1 0 1 Funzione
Y 0 Y 1 0 1
1 B 0 B 1 1 0 A B Y Y
figura3.22
esempio 3.3
Si progetti un circuito semisommatore a 2 bit con riporto.
La rete combinatoria deve avere due ingressi (A e B) e 2 uscite, una relativa alla somma S e una al
riporto R (figura 3.23 ).
figura 3.23
La rete combinatoria che esegue la somma S è stata ricavata nell’esempio precedente con Multisim (con
solo porte logiche NAND) ed è costituita dalla porta EXOR di figura 3.24 con porte logiche diverse.
A B S
A A B S
A 0 0 0
S EXOR S
B 0 1 1
B 1 0 1
1 1 0
figura 3.24
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
242 Modulo Applicazioni per la simulazione
La tabella della verità del riporto R è un prodotto logico (AND). Il circuito completo, detto semisomma-
tore che tiene conto degli eventuali riporti, assume la configurazione di figura 3.25 .
Semisommatore
A B S R
EXOR S Semi- S 0 0 0 0
A A
sommatore
0 1 1 0
B B (Half-adder) 1 0 1 0
AND R R
figura 3.25 1 1 0 1
Per verificare la funzionalità dello schema proposto si utilizza Multisim. A tal fine si disegna lo schema
di figura 3.26 nel quale sono presenti:
◗ lo schematico del sommatore costituito dalle porte EXOR e AND;
◗ due interruttori attivabili da tastiera o con il mouse per fissare il livello logico sulle linee d’ingresso A e B;
◗ le Probe per visualizzare lo stato dei livelli logici d’ingresso e d’uscita;
◗ i Voltmetri per visualizzare i valori numerici dei livelli logici.
figura 3.26
esempio 3.4
Si realizzi un formatore d’impulsi.
Formatore d'impulsi
CLOCK d'ingresso Uscita
Contatore Rete Com.
16 Clock
2T 6T 2T 6T 2T
figura 3.27
▼
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Dopo aver realizzato la tabellina di funzionamento di figura 3.28 da caricare sul Convertitore Logico e
aver attivato la A/B ⇒ Simp e A/B ⇒ NAND, Multisim fornisce la rete combinatoria con porte NAND
( figura 3.29 ).
Tabellina di funzionamento
DEC A B C D Y
0 0 0 0 0 1
1 0 0 0 1 1
2 0 0 1 0 0
3 0 0 1 1 0
4 0 1 0 0 0
5 0 1 0 1 0
6 0 1 1 0 0
7 0 1 1 1 0
8 1 0 0 0 1
9 1 0 0 1 1
10 1 0 1 0 0
11 1 0 1 1 0
12 1 1 0 0 0
13 1 1 0 1 0
14 1 1 1 0 0
15 1 1 1 1 0
figura 3.30
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
244 Modulo Applicazioni per la simulazione
esempio 3.5
figura 3.31
Questi ultimi strumenti possono essere catturati e utilizzati per controlli su schemi elettro-
nici anche complessi. L’operatore, in questo caso, costruisce un banco di misurazioni
virtuale con strumentazioni reali ma simulabili.
Multisim consente di utilizzare più strumenti uguali sullo stesso schema elettrico.
4.1.1 Multimetro
Il multimetro virtuale ( figura 4.1 ) consente misure di tensioni e d’intensità di correnti in DC e
in AC, misure di resistenze e misure in decibel (dB).
La strumentazione può essere sempre adattata al tipo di misura richiesta. Per modificare i
parametri del multimetro è necessario attivare Set per entrare in ambiente multImeter
SettIngS ( figura 4.1 ).
figura 4.1
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
246 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
Prima di attivare la simulazione è necessario che tutti i componenti, unitamente alla stru-
mentazione adatta alla misura, siano collocati sul piano di lavoro e siano collegati rispet-
tando lo schema elettrico.
Ogni circuito deve avere un nodo di massa al quale Multisim associa il nodo 0 ( figura 4.2 ).
La simulazione del circuito di figura 4.3 segnala un errore dovuto alla mancanza del termi-
nale di massa.
Nella figura 4.4 , ad esempio, si riportano due schemi per la misura di resistenze collegate
in parallelo e in serie. In tal caso Multisim permette la simulazione su entrambi i circuiti
elettrici con la visualizzazione dei due display.
figura 4.4
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 247
figura 4.5
figura 4.6
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
248 Modulo Applicazioni per la simulazione
Ad esempio, s’imposta sul G.d.F. il valore picco-picco del segnale sinusoidale uguale a
20 V e dai risultati della simulazione si rileva che il valore efficace della tensione sinusoi-
dale misurata ai capi della resistenza R2 è:
20 1
Veff = ⋅ = 7 , 07 V
2 2
La figura 4.7 mostra la misura con il multimetro reale, in valore efficace (RMS), della
ampiezza di un segnale sinusoidale ( f = 1 kHz e Vpp = 10 V). L’ampiezza del segnale
sinusoidale è regolabile con la manopola e con i pulsanti su (mVpp) e giù (mVrms) del
G. d. F. reale. Si ha:
V pp 10
V ( rms ) = = = 3, 53553 V
2⋅ 2 2⋅ 2
figura 4.7
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 249
Nella figura 4.8 è riportata una misura di frequenza di un segnale sinusoidale prodotto
dal generatore di funzioni virtuale.
figura 4.8
■ Oscilloscopio a 2 canali
Per visualizzare lo schermo e per modificare la scala dell’asse dei tempi, quella dei cana-
li e quella di trigger è necessario fare doppio clic sull’oscilloscopio. I modi di funziona-
mento dello strumento sono:
◗ Y/T ⇒ rappresentazione temporale dei segnali;
◗ A/B e B/A ⇒ combina i segnali applicati agli ingressi A e B;
◗ X/Y ⇒ per le figure di Lissajous.
esercizi
svolti
1 Utilizzare l’oscilloscopio per misurare il periodo, le ampiezze del segnale d’ingresso e d’uscita e l’ango-
lo di sfasamento φ tra i due segnali del filtro passa basso riportato in figura 4.9 .
figura 4.9
Per eseguire le misure fare clic due volte sull’oscilloscopio per visualizzare il pannello, selezionare le opzioni
opportune delle scale e attivare la simulazione. Al termine delle operazioni compare la figura 4.10 che mostra
il segnale d’ingresso (nero) e quello d’uscita (rosso).
figura 4.10
La posizione dei due cursori può essere settata dall’operatore. Go to next Y MIN = >
Con un clic (destro) sul cursore Multisim apre la finestra riporta- Go to next Y MIN < =
ta nella tabella 4.1 . Show Select Marks on Trace
Selezionare Set X Value, per l’asse X e digitare nel campo Value
Select a Trace
il nuovo valore.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 251
Disponendo i due cursori nelle posizioni del passaggio dello zero dei due segnali ( figura 4.11 ), dopo aver
modificato la scala dei tempi, Multisim visualizza un ΔT (T2 – T1) = 11,935 µs, ritardo del segnale d’uscita
rispetto a quello d’ingresso. Conoscendo il periodo T si ricava l’angolo di sfasamento ϕ dalla proporzione:
figura 4.11
■ Oscilloscopio a 4 canali
I parametri dei singoli canali dell’oscilloscopio a 4 canali s’impostano facendo clic su una
delle lettere riportate sulla manopola dello strumento.
Nella figura 4.12 è mostrato un contatore modulo 8 realizzato con 3 F/F di tipo J-K. L’oscilloscopio
a 4 canali visualizza i segnali d’uscita del contatore QC, QB, QA contemporaneamente al se-
gnale di clock ( figura 4.13 ) in modo da poter analizzare l’andamento nel tempo dei segnali.
figura 4.12
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
252 Modulo Applicazioni per la simulazione
figura 4.13
figura 4.14
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 253
■ Oscilloscopio reale Tektronix
È un oscilloscopio reale a 4 ingressi della Tektronix (TDS2024) ma simulabile.
La figura 4.15 mostra il frontale dello strumento con 4 cassetti di ingresso (CH1, CH2, CH3,
CH4) e le rispettive manopole di controllo, il cassetto della base dei tempi come un nor-
male oscilloscopio commerciabile.
L’oscilloscopio visualizza le 4 tracce (se tutte attivate) con colori propri.
figura 4.15
L’operatore può osservare che ogni segnale ha un periodo doppio rispetto al segnale che
lo precede (divisione di frequenza per 2).
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4
254 Modulo Applicazioni per la simulazione
esempio 4.1
Con riferimento al circuito di figura 4.16 si calcoli l’intensità di corrente I che attraversa la resistenza di
carico RC applicando il teorema di Thevenin.
1 kΩ 12 V I
A
R4 V2
R3
1 kΩ R1 R2 RC
1 kΩ 1 kΩ 1 kΩ
12 V B
V 1
figura 4.16
Dopo aver disegnato lo schema elettrico del circuito e aver inserito l’amperometro nel punto di misu-
ra si attiva la simulazione. Al termine del processo di simulazione si ha I = - 1,500 mA. Il segno meno
indica che la corrente scorre da B verso A (figura 4.17 ).
figura 4.17
figura 4.18
◗ cortocircuitare i generatori di tensione e sostituirli con la propria resistenza interna (se diversa da
zero);
◗ disporre il multimetro per la misura della resistenza equivalente di Thevenin vista dai morsetti A e B
e attivare la simulazione;
◗ la resistenza equivalente è Req = 600 W (figura 4.19 );
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 255
figura 4.19
◗ costruire lo schema elettrico di figura 4.20 , contenente il bipolo e la resistenza equivalente di Theve-
nin e attivare la simulazione. Il valore dell’intensità di corrente misurata dalla sonda (Probe) è
I = - 1,500 mA (figure 4.20 e 4.17 ).
figura 4.20
esempio 4.2
Si visualizzino i valori di resistenza utilizzando il trasduttore di temperatura (termoresistenza RTD HEL-
700-T0A) con range di temperatura da 0 °C a 100 °C.
I valori del trasduttore di temperatura HEL-700-T0A, ad esempio, possono essere misurati con il
multimetro interagendo con il cursore del dispositivo (figura 4.21 ).
figura 4.21
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4
256 Modulo Applicazioni per la simulazione
Nel range di temperatura T da 0 °C a 100 °C i valori reali della termoresistenza rilevati sono riportati
nella tabella 4.2.
tabella 4.2
T [°C] 0 20 40 60 80 100
R [W] 100 107,79 115,54 123,24 130,89 138,50
esempio 4.3
Si rilevino i valori di tensione sulla diagonale del ponte di Wheatstone della figura 4.22 (Æ Modulo 3,
Unità 4, figura 4.4 ) utilizzando il trasduttore di temperatura (Termoresistenza RTD) HEL-775-AT0 con
un range di temperatura –20 °C ÷ + 100 °C.
figura 4.22
Si disegna lo schema elettrico con Multisim utilizzando un Amperometro per misurare l’intensità di
corrente in DC che percorre il ramo della termoresistenza RTD e il Multimetro per la misura della
tensione richiesta sulla diagonale del ponte.
L’operatore, dopo aver attivato la simulazione interagendo con il cursore del trasduttore o con i tasti
T (per decrementare) e t (per incrementare), può costruire la tabella Temperatura/Tensione con un ΔT
a piacere e costruire, con EXCEL la tabella Temperatura/Tensione come nell’esempio 4.2.
esempio 4.4
Si calcoli il valore del rapporto della tensione d’uscita vu(t), quella d’ingresso vi (t) e lo sfasamento tra i
due segnali del circuito di figura 4.23 . Siano vi (t) = 12 V ed f = 10 kHz rispettivamente il valore mas-
simo e la frequenza del segnale sinusoidale d’ingresso.
C
vi (t) vu (t)
▼
figura 4.23
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 257
Nella figura 4.24 è riportato il circuito elettrico di Multisim. Come si può notare i due segnali control-
lati dall’oscilloscopio hanno, come unico riferimento, la massa.
figura 4.24
Nelle figura 4.25 è riportato lo schermo dell’oscilloscopio che visualizza le ampiezze dei due segnali
(cursori 1 e 2). L’attenuazione A = Vu /Vi è:
canale A = 11,998 V (12 V) canale B = 190,817 mV A = 0,0159
figura 4.25
L’attenuazione A può essere calcolata anche con le Probe. Per semplificare lo schema elettrico il G.d.F.
è stato sostituito con il generatore in AC che fornisce un segnale sinusoidale con caratteristiche iden-
tiche a quelle dello schema di figura 4.24 (V = 12 Vpp, f = 10 kHz).
Si disegna con Multisim lo schema elettrico con le due Probe per le misure delle tensioni e si attiva la simula-
zione. I risultati sono mostrati nella figura 4.26 dove le tensioni sono espresse in RMS (12 Vpp → 8,49 RMS).
figura 4.26
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4
258 Modulo Applicazioni per la simulazione
Si dispone la 3° Probe per la misura del guadagno A dopo la Probe 2. Per disporre il riferimento occorre:
◗ aprire la finestra della sonda con un clic sulla freccia figura 4.27 ) e attivare Voltage with reference
to probe;
◗ sulla finestra di figura 4.28 attivare Probe 1 come riferimento (rispetto alla Probe 2) e chiudere con Ok;
◗ attivare Vgain (AC);
◗ attivare la simulazione. Il guadagno è indicato dalla Probe 3 con il triangolino ( figura 4.29 ) in 15,7 m
(quasi identico a quello precedentemente calcolato 0,0159).
figura 4.29
Disponendo i due cursori sul passaggio dello zero delle due forme d’onda ( figura 4.30 ) si visualizza
T2 – T1 = ΔT = 24,839 ms. Essendo f = 10 kHz, risulta T = 10– 4 s. Lo sfasamento ϕ è:
360 360
ϕ = ⋅ ∆T = ⋅ 24, 839 ⋅ 10−6 = 89, 4°
T 10−4
figura 4.30
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 259
L’operatore può ripetere l’esercitazione modificando:
◗ un solo parametro del circuito elettrico;
◗ i parametri del circuito elettrico;
◗ la frequenza del segnale sinusoidale d’ingresso;
◗ l’ampiezza del segnale sinusoidale d’ingresso;
Anche la fase, come già visto per l’attenuazione, può essere calcolata anche con le Probe. In questo
caso il G.d.F. è stato sostituito con il generatore in AC che fornisce un segnale sinusoidale con carat-
teristiche identiche a quelle dello schema di figura 4.24 (V = 12 Vpp, f = 10 kHz).
Si disegna con Multisim lo schema elettrico con le Probe per le misure e si attiva la simulazione. I ri-
sultati sono mostrati nella figura 4.31 .
figura 4.31
Attenzione: nella figura 4.32 è riportato lo schema della figura 4.33 modificato solo nella posizione
dei componenti per collegare l’oscilloscopio nella configurazione differenziale è possibile solo per la
simulazione mentre non lo è per oscilloscopi commerciali che non permettono questo tipo di configu-
razione. In questo caso si visualizzano contemporaneamente la tensione sulla resistenza e quella sul
condensatore.
figura 4.32
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4
260 Modulo Applicazioni per la simulazione
figura 4.33
esempio 4.5
Si rilevi la tensione vc(t) sul condensatore C1 = 220 mF del circuito elettrico di figura 4.34 (Trigger di
Schmitt).
Lo schema proposto in figura 4.34 utilizza la porta logica NAND a 4 ingressi (7413), una resistenza
R1 = 100 W e una variabile R2 = 1 kW per modificare il periodo dell’onda quadra. La costante di tempo
del sistema t = (R1 + R2) ⋅ C varia da un minimo di 22 ms a un massimo di 242 ms.
figura 4.34
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 261
I risultati della simulazione sono riportati in figura 4.35 . Modificando il valore di R2 si varia il periodo
dell’onda quadra. Spostando i cursori dell’oscilloscopio è possibile calcolare il periodo T (nell’esempio
127,419 ms) dell’onda quadra generata, la sua ampiezza e i valori di soglia VT+ e VT- del Trigger di Schmitt.
figura 4.35
esempio 4.6
Si progetti un contatore in avanti modulo 10 completo di oscillatore.
Il circuito elettrico contiene ( figura 4.36 ):
◗ un oscillatore Trigger di Schmitt ( figura 4.34 ) che genera il clock con una frequenza regolabile a 1 Hz
con il trimmer R2;
◗ una decade di conteggio 7490 predisposta per il conteggio in sequenza decimale (BCD) collegando
l’uscita QA all’ingresso B (pin 1);
◗ un display per il conteggio in decimale (BCD).
figura 4.36
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4
262 Modulo Applicazioni per la simulazione
esempio 4.7
Si progetti un generatore di clock per un contasecondi con la precisione del decimo di secondo.
Si ipotizza che il sistema di conteggio sia sincronizzato con la frequenza della tensione di rete. Lo
schema elettrico proposto contiene ( figura 4.37 ):
◗ un circuito squadratore del segnale sinusoidale d’ingresso con ampiezze - 0,6 V e + 5,6 V (R1, D1 e D2);
◗ un timer LM555 con uscita TTL che genera un’onda quadra con frequenza f = 50 Hz;
◗ un divisore di frequenza per 5 (7490) che genera la frequenza f = 10 Hz per il conteggio del decimo
di secondo (T = 0,1s).
figura 4.37
Le forme d’onda generate sono visibili sullo schermo dell’oscilloscopio a 4 tracce ( figura 4.38 ).
figura 4.38
Come si può osservare, l’onda a onda quadra è sovrapposta a quella sinusoidale d’uscita dal trasfor-
matore T1 per evidenziare il sincronismo tra le due forme d’onda.
I due cursori dell’oscilloscopio, posizionati sui fronti di salita dell’onda quadra richiesta, rilevano il pe-
riodo ( figura 4.38 ) T2 – T1 = 100 ms.
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esempio 5.1
Nella figura 5.1 è riportato un semplice schema elettrico costituito da una sola maglia che contiene
una f.e.m. in continua V1 e due resistenze R1 = R2 = 1 kW collegate in serie.
Si disegna lo schema elettrico con Multisim di figura 5.2 con i numeri dei nodi e con il nodo di massa
per non incorrere in errori.
R1
R2
V1
4
264 Modulo Applicazioni per la simulazione
figura 5.3
figura 5.4
Dai risultati di figura 5.4 occorre chiarire il significato dei segni positivi e negativi riferiti alle tensioni,
correnti e potenze. Multisim non rispetta i segni convenzionali, ma sono così definiti:
◗ le tensioni sono riferite al simbolo di massa (no-
do 0) disposto sul circuito elettrico (nel caso
dell’esempio entrambe positive);
◗ le correnti che attraversano le f.e.m. sono po-
sitive se entrano dal polo positivo;
◗ le correnti sono positive se le resistenze sono
percorse da destra a sinistra;
◗ le correnti sono positive se le resistenze sono
percorse dall’alto verso il basso.
Nella figura 5.5 sono state utilizzate le Probe per
le misure di correnti e tensioni. Le correnti sono
positive rispetto al verso indicato dalla Probe men-
tre le tensioni sono positive rispetto alla massa. figura 5.5
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esempio 5.2
Calcolare le tensioni sul nodo N e sui rami di collegamento dei componenti e le intensità di correnti
che attraversano le f.e.m. nel circuito di figura 5.6.
R1 N R2
R3
V1 V2
R4
Si disegna con Multisim lo schema di figura 5.7 e si attiva la simulazione con: Simulate, analySeS, DC
Operating pOint, selezionare le variabili di simulazione, Simulate.
I risultati delle tensioni e delle correnti sono riportati nella figura 5.8.
figura 5.8
figura 5.9
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4
266 Modulo Applicazioni per la simulazione
Una tipica applicazione è la carica di un condensatore C scarico, ossia con tensione ini-
ziale VC (t = 0) = 0 V.
esempio 5.3
Si analizzi l’andamento in funzione del tempo t del circuito di figura 5.10 :
vi(t)
ic(t) C
vi(t) E 12 V vc(t)
t
figura 5.10
Si disegna lo schema elettrico di figura 5.11 con il riferimento di massa e si visualizzano i numeri dei
nodi con OptiOnS ⇒ preferenCeS ⇒ Attivare ShOw nODe nameS ⇒ Ok.
figura 5.11
figura 5.12
figura 5.13
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4
268 Modulo Applicazioni per la simulazione
◗ si seleziona nel campo Variables in circuit la variabile tensione V(1) (nodo 1) riferita a massa per
trasferirla nel campo Select variables for analysis con aDD;
◗ si ripete l’operazione per la variabile V(2) (nodo 2);
◗ si ripete l’operazione anche per la variabile dell’intensità di corrente di carica del condensatore I(C1);
◗ mOre per aggiungere eventuali altre variabili di simulazione;
◗ remOVe per rimuovere la variabile indesiderata.
Per la simulazione:
◗ Simulate (di Transient Analysis). Si visualizza la finestra Grapher View con il grafico di figura 5.14
che contiene la tensione d’alimentazione V(1) (verde), la tensione di carica del condensatore V(2)
(blu) e la traccia dell’intensità di corrente di carica I(C1) = 0 (rossa).
figura 5.14
◗ attivare l’icona blaCk baCkgrOunD (di Grapher View) per il fondo bianco;
◗ attivare l’icona ShOw legenD (di Grapher View) per visualizzare le variabili e le tracce con i rispettivi
colori;
◗ attivare l’icona ShOw CurSOrS (di Grapher View) per visualizzare i cursori e i dati a essi riferiti. Di-
sporre il cursore 1 con x1 = t = 10 ms (costante di tempo) e il cursore 2 con x2 = 5×t = 50 ms (5
costanti di tempo). I valori numerici di x1 e x2 si possono settare con:
Multisim modifica i dati x1 come in figura 5.15 . Si vuol far notare che y1 = V(2) = 7,5789 V corrispon-
de al 63 % del valore finale (12 V) dopo una costante di tempo, mentre y2 = V(2) = 11,9201 V (circa
12 V) indica che il condensatore è quasi carico dopo 5 costanti di tempo.
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Unità
5 Analisi in Multisim 269
figura 5.15
figura 5.16
Il lettore può visualizzare i cursori e disporli nella posizione opportuna per osservare i dati.
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4
270 Modulo Applicazioni per la simulazione
5.1.3 AC Analysis
Multisim consente di determinare il punto di lavoro in AC in un circuito alimentato con
tensioni alternate. La simulazione fornisce i valori di tensione dei punti (nodi o linee di
collegamento tra due componenti) rispetto alla massa (nodo 0) e delle intensità di corren-
ti in modulo e fase.
Gli esempi che seguono mostrano l’analisi in AC di semplici circuiti elettrici.
esempio 5.4
Circuito puramente resistivo
Si disegna con Multisim lo schema elettrico di figura 5.17 con un generatore in alternata V1 = 220 V
(RMS) e una resistenza R1 = 1 kW.
Si visualizzano i numeri dei nodi con OptiOnS ⇒ preferenCeS ⇒ Attivare ShOw nODe nameS ⇒ Ok.
figura 5.17
◗ Simulate (menu);
◗ analySeS;
◗ aC analySiS;
◗ inserire nella finestra Frequency Parameters il campo di frequenza, ad esempio da 40 Hz a 70 Hz,
valori comprensivi della frequenza d’Italia e degli USA (l’operatore può scegliere nella gamma da 1 Hz
a 10 GHz per l’analisi in frequenza), tipo di spazzolamento (lineare) e la scala (si consiglia la scala lo-
garitmica);
◗ inserire nella finestra Output le variabili oggetto di simulazione trasferendole dal campo (VariableS
in CirCuit) nel campo di analisi (SeleCteD VariableS fOr analySiS) evidenziandole e cliccando su aDD
( figura 5.18 );
◗ attivare la simulazione con Simulate (AC Analysis).
▼
figura 5.18
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Unità
5 Analisi in Multisim 271
Attivare inoltre:
I risultati grafici compaiono nella finestra Grapher View in ampiezza (Magnitude) e fase (Phase) nel
campo di frequenza selezionato (figura 5.19).
figura 5.19
Con riferimento alla frequenza ƒ = 50 Hz Multisim fornisce i seguenti risultati riscontrabili sia sul grafico
che sulla cartella numerica. Tutti i risultati numerici di ampiezza sono normalizzati rispetto al valore
della tensione d’alimentazione di 220 V.
Ampiezza
Tensione d’alimentazione misurata x1 = V(1) = 1
Tensione d’alimentazione reale 1 ⋅ 220 = 220 V (RMS)
Corrente misurata y1 = I(R1) = 1 m
Corrente reale 1 ⋅ 10–3 ⋅ 220 = 220 mA
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272 Modulo Applicazioni per la simulazione
figura 5.20
Fase
Vettore corrente I(R1), rispetto al vettore tensione V(1), ϕ = 0°
La figura 5.21 mostra il valore dell’intensità di corrente misurata con la Probe di Multisim.
figura 5.21
v i (t) Vi sen ω t
Immg.
I i(t) Vi /R 1 sen ω t
Vi R1 t
220 V 1 kΩ Vu
I Vi R 1 Vi
Reale
figura 5.22
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Unità
5 Analisi in Multisim 273
Calcolo della corrente I
Vi 220
I = = = 220 mA
R 1 ⋅ 10 3
Fase
La corrente I è in fase con la tensione applicata Vi (ϕ = 0°).
esempio 5.5
Circuito puramente capacitativo
Calcolare l’intensità di corrente nel circuito costituito da un generatore in alternata V1 = 220 V e dal
condensatore C = 1mF.
Disegnare lo schema elettrico con Multisim di figura 5.23 ed evidenziare i numeri dei nodi.
figura 5.23
Attivare la simulazione con Simulate, analySeS, aC analySiS, campo di frequenza (ad esempio
10 Hz ÷ 100 Hz), scala (verticale logaritmica), Sweep type (lineare), variabili d’uscita (I(C1) e V(1)), Simulate.
Attivare blaCk baCkgrOunD (fondo bianco) e ShOw legenD (colore per la traccia dei grafici). I risultati
grafici sono riportati nella figura 5.24 .
figura 5.24
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4
274 Modulo Applicazioni per la simulazione
Attivando ShOw CurSOrS si visualizzano i risultati numerici ( figura 5.25 ) dell’ampiezza e della fase a
50,000 Hz e 60,000 Hz.
figura 5.25
Con riferimento alla frequenza ƒ = 50 Hz Multisim fornisce i seguenti risultati riscontrabili sia sul grafico
che sulla finestra numerica. Tutti i risultati numerici di ampiezza sono normalizzati rispetto al valore
della tensione d’alimentazione di 220 V.
Ampiezza
Tensione d’alimentazione misurata x1 = V(1) = 1
Tensione d’alimentazione reale 1 ⋅ 220 = 220 V (RMS)
Corrente misurata y1 = I(C1) = 314,1593 m
Corrente reale 314,1593 ⋅ 10-6 ⋅ 220 = 69,115 mA
Fase
Vettore tensione d’alimentazione V(1) ϕ = 0° (riferimento).
Vettore corrente I(C1), ϕ = – 90°. Il valore è esatto a meno del segno.
figura 5.26
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Unità
5 Analisi in Multisim 275
■ Calcolo con regole di Elettrotecnica
La figura 5.27 riporta lo schema elettrico, il grafico vettoriale e temporale.
I i(t) ωC Vi sen ( ωt π
)
2
C1 t
Vi I j ωCVi
220 V
Vu
1 µF π π
2 Vi 2
Reale
figura 5.27
Vi ω CVi
I = =− = j ω CVi = j 2 ⋅ 3,14 ⋅ 50 ⋅ 1 ⋅ 10 −6 ⋅ 2200 = j 69 , 08 ⋅ 10 −3
1 j
−j
ωC
Fase
La corrente I è in quadratura in anticipo rispetto alla tensione Vi (ϕ = 90°) con riferimento,
secondo la convenzione, che l’angolo è positivo se il vettore rappresentativo viene letto
in senso antiorario rispetto a quello di riferimento.
Come si può osservare dal confronto dei risultati, il segno della fase fornita da Multisim
non corrisponde a quella calcolata con le regole dell’elettrotecnica. Ciò è dovuto al fatto
che Multisim definisce il segno della fase secondo la convenzione di settaggio di default
come mostra la figura 5.28 alla quale si perviene con OptiOns ⇒ GlObal preferences ⇒
simulatiOn.
figura 5.28
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276 Modulo Applicazioni per la simulazione
esempio 5.6
Circuito resistivo capacitivo
Calcolare l’intensità di corrente I che scorre nella maglia e la tensione sulla resistenza R1 nel circuito
costituito da un generatore in alternata V1 = 220 V, dal condensatore C1 = 1 mF e dalla resistenza
R1 = 1 kW.
Disegnare lo schema elettrico con Multisim di figura 5.29 ed evidenziare i numeri dei nodi.
figura 5.29
Attivare la simulazione come per gli esercizi precedenti avendo cura di inserire nel campo frequenza il
valore desiderato e nelle variabili d’uscita tutte le variabili (All Variables).
I risultati grafici sono riportati nella figura 5.30 .
figura 5.30
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Unità
5 Analisi in Multisim 277
Nella figura 5.31 sono riportati quelli numerici.
figura 5.31
Con riferimento alla frequenza f = 50 Hz Multisim fornisce i seguenti risultati riscontrabili sia sul grafico
di figura 5.30 che sulla finestra numerica di figura 5.31. Tutti i risultati numerici di ampiezza sono nor-
malizzati rispetto al valore della tensione d’alimentazione di 220 V.
Ampiezza
Tensione d’alimentazione misurata x1 = V(1) = 1
Tensione d’alimentazione reale 1 ⋅ 220 = 220 V (RMS)
Tensione sulla resistenza R1 misurata y1 = V(2) = 299,7168 m
Tensione sulla resistenza R1 reale 299,7168 ⋅ 10-3 ⋅ 220 = 65,937 V
Corrente misurata y1 = I(C1) = 299,7168 m
Corrente reale 299,7168 ⋅ 10-6 ⋅ 220 = 65,937 mA
Fase
Vettore tensione d’alimentazione V(1) ϕ = 0° (riferimento)
Tensione sulla resistenza R1 = V(2) ϕ = 72,5594°
La figura 5.32 mostra le misure dell’intensità di corrente, della tensione sulla resistenza R1 e della fase
(a meno del segno) della tensione sulla R1 rispetto alla Probe 1 (tensione d’alimentazione) con le Pro-
be di Multisim.
figura 5.32
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278 Modulo Applicazioni per la simulazione
Immg.
C1 1 µF
vi (t) = Vi sen ωt
Reale
VC1
figura 5.33
Vi 220 ⋅ 10 −3
I = = = (19 , 80 + j 62, 97 ) ⋅ 10 −3
1 1 − j 3, 18
R1 − j
ω C1
I = 10 −3 ⋅ 392, 04 + 3965, 22 = 66 , 0 mA
V ( 2 ) = V R1 = 392, 04 + 3965, 22 = 66 , 0 V
1
VC1 = − j ⋅ I = − j 3, 18 ⋅ 103 ⋅ ( 19 , 80 + j 62, 97 ) ⋅ 10 −3 = 200 , 24 − j 62, 96
ω C1
Fase
esercizi
svolti
1 Calcolare le correnti che percorrono le 3 f.e.m. in continua E1, E2 ed E3 della figura 5.34. Verificare i
risultati di Multisim con il metodo delle correnti di maglia.
R E
R N R
12 V 1 kΩ
R
E E
figura 5.34
Si disegna con Multisim lo schema di figura 5.35. Si selezionano le variabili I(V1), I(V2), I(V3), V(1), V(2), V(3) e
V(4) e si attiva la simulazione con Simulate (di DC Operating Point Analysis).
figura 5.35
figura 5.36
Si ricorda che tutte le tensioni sono riferite al nodo di massa V(0) e che il segno meno (-) delle correnti I(V)
indica che scorre dal polo negativo a quello positivo.
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280 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
Utilizzando le Probe di Multisim si perviene allo stesso risultato (figura 5.37). Il segno meno sulle Probe
indica che il verso della corrente è contrario a quello indicato dal verso della sonda.
figura 5.37
R E
I3
R N R
12 V 1 kΩ
I1 R I2
E E
figura 5.38
S’imposta direttamente il sistema ordinato, con il metodo utilizzato negli esempi precedenti, letterario e
numerico.
2 ⋅ R ⋅ I1 + R ⋅ I2 + R ⋅ I3 = E
R ⋅ I1 + 2 ⋅ R ⋅ I2 − R ⋅ I3 = E
R⋅I − R ⋅ I2 + 3 ⋅ R ⋅ I3 = E
1
Risolvendo con kramer si determinano le tre correnti di maglia I1, I2, e I3.
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11 1
12 − 1 ⋅ 12 ⋅ 106
1 −1 3 12 ⋅ (2 + 1 + 3 − 6 + 1 + 1) ⋅ 106 24 ⋅ 106
I1 = = 9
= = − 8 mA
2 1 1 (2 + 2 + 3 − 12 + 1 + 1) ⋅ 10 − 3 ⋅ 109
1 2 − 1 ⋅ 109
1 −1 3
2 1 1
1 1 − 1 ⋅ 12 ⋅ 106
1 1 3 12 ⋅ (1 − 2 + 3 − 6 + 1 − 1)
I2 = 9
= ⋅ 103 = 16 mA
− 3 ⋅ 10 −3
2 1 1
1 2 − 1 ⋅ 12 ⋅ 106
1 −1 3 12 ⋅ (2 − 2 + 1 − 4 − 1 + 1)
I3 = 9
= ⋅ 103 = 12 mA
− 3 ⋅ 10 −3
Nella figura 5.39 sono riportate le intensità di correnti di ramo e le cadute di tensione sulle singole resistenze.
12 mA
1k Ω
12V 12 V
I2 12mA
4 mA 1k Ω 1k Ω 4 mA
ilverso opposto
Il segno - indica
4V 4V
16 mA
- 8 mA
I1 -8mA 8V 1k Ω I2 16mA
12 V 12 V
8 mA
figura 5.39
Nella figura 5.40 sono visualizzate le intensità di correnti di ramo dagli amperometri mediante la simulazio-
ne di Multisim. Si raccomanda di fare attenzione alle polarità degli amperometri inseriti nei singoli rami.
Si può osservare che i due risultati sono identici.
figura 5.40
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
282 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
2 Con riferimento al circuito di figura 5.41 si analizzi l’andamento in funzione del tempo t dell’intensità di
corrente iC(t) di carica per il condensatore C, della tensione vC(t) e della tensione sul nodo 2. Sia E = 12 V,
R1 = R2 = 1 kW, R3 = 500 W e C = 1 mF.
R1 R3
C
E R2 V2 VC
iC
R2 / / R3 333
V (3) = ⋅E = ⋅ 12 = 2, 99 V
R1 + R2 / / R3 1000 + 333
Dopo aver disegnato con Multisim la figura 5.42 comprensiva dei numeri dei nodi, si deve rispettare la
seguente procedura.
◗ Si selezioni Simulate ⇒ analySeS ⇒ tranSient analySiS;
◗ Si apre la cartella analySiS parameter (di Transient Analysis).
◗ Si selezioni Set to zero (di Initial Conditions), si digiti in Start time (di Parameters) = 0 s e in enD time (di
Parameters) = 0,01 s si tenga presente che 0,01 s è 10 volte il valore della costante di tempo t del
circuito elettrico in esame.
◗ Si apre la cartella Output VariableS. Multisim visualizza tutte le variabili dello schema elettrico. Si selezio-
nano quelle dell’esempio: V(2), V(3) e I(C1).
◗ Si selezioni Simulate (di Transient Analysis). Multisim mostra il grafico di figura 5.43 nella quale sono
riportati le tracce di V(2), di V(3) ≡ vc(t) e la traccia dell’intensità di carica del condensatore I(C1) = 0.
figura 5.43
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
5 Analisi in Multisim 283
Per visualizzare la traccia della I(C1) si deve:
◗ aprire la cartella graph prOpertieS con un clic (destro) sul grafico ⇒ prOpertieS (o un clic su graph (di
Grapher View) ⇒ prOpertieS);
◗ attivare All Traces;
◗ aprire la cartella right axiS (di Graph Properties);
◗ digitare ”Corrente [A]” (campo Label) per assegnare all’asse “Corrente [A]”;
◗ abilitare il campo enableD (di Axis) per aggiuntivo il nuovo asse a destra;
◗ digitare (nel Campo Range): min = 0 e max = 0.006 [6 mA], valore della corrente massima (per t = 0 s);
◗ digitare (nel Campo Divisions): tOtal tiCkS = 5, minOr tiCkS = 1;
◗ aprire la cartella traCeS;
◗ clic su apply (di Graph Properties). Compare l’asse verticale a destra di “Corrente [A]” e la terza traccia
della corrente di carica del condensatore (figura 5.44);
◗ Ok per chiudere la finestra.
figura 5.44
Come si può osservare le posizioni due cursori (settati) sono disposte rispettivamente per una e 5 costan-
ti di tempo. La figura 5.45 mostra i risultati numerici per x1 = t = 1,0000 ms e x2 = 5 t = 5,0000 ms.
figura 5.45
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
unità 6 LabVIEW®
figura 6.2
figura 6.3
figura 6.4
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
286 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
Nella figura 6.3 e nella figura 6.4 sono rappresentati il front panel e il Block diagram con
sovrapposte le relative controls palette e functions palette che possono essere spostate in
un altro punto dello schermo, agganciando la loro barra del titolo, con il pulsante sinistro
del mouse. Si osservi in alto a destra dei due Panel, l’icona associata al VI (figura 6.5 ) che
figura 6.5 può essere cambiata di forma per associarla al tema del VI in realizzazione ( paragrafo 6.5 ).
Dopo l’apertura della palette relativa al front panel o al Block diagram, si rende per-
manente la visualizzazione del menu aperto, se lo si desidera, con un clic sulla pun-
tina posta in alto a sinistra delle palette e, se necessario, si espandono le voci
visibili ( ). Si seleziona poi la voce desiderata del menu (per esempio modern sulla
controls palette o programming sulla functions palette) ed eventualmente, subito
dopo, un sottomenu. Si punta poi con il mouse il componente da inserire facendo clic
su di esso. Il puntatore del mouse cambia forma trasformandosi in manina . Si
sposta quindi la manina (senza premere alcun tasto) nella posizione del pannello
(front panel o Block diagram) in cui si desidera inserire l’oggetto, facendo di nuovo
clic. Il componente viene posto nella posizione desiderata.
figura 6.7
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
288 Modulo Applicazioni per la simulazione
Esercitazione 1
Usando direttamente il menu ExprEss senza rendere permanente la visualizzazione della Controls
palEttE, inserire sul Front panEl due controlli prelevati dal sottomenu Button (Button & switChEs)
del menu ExprEss della Controls palEttE, e due indicatori prelevati dal sottomenu LEDs. Control-
lare poi i corrispondenti blocchi che vengono inseriti automaticamente sul BloCk Diagram. Salvare
il VI realizzato.
figura 6.8
6. Fare clic con il sinistro su PuSh Button. La controlS Palette scompare e sul Pannello Frontale
viene visualizzata la sagoma del controllo con linee tratteggiate e il cursore cambia forma divenen-
do una manina (figura 6.9 ).
7. Spostare la sagoma tratteggiata sull’angolo sinistro del Front Panel e fare clic. Compare la forma
definitiva del controllo (figura 6.9 ).
figura 6.9
8. Ripetere i passi dal 4 al 7 inserendo questa volta un rocker ponendolo sotto il precedente control-
lo e allineandolo con esso.
9. Ripetere ancora la procedura di inserimento prelevando i nuovi componenti (squarE LED e rounD
lED) dal sottomenu LEDs. Disporre i due indicatori accanto ai controlli precedentemente inseriti. Al
termine della procedura.
10. Se non è visualizzato il Block diaGram aprirlo dal menu: WindoW ⇒ ShoW Block diaGram.
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 289
11. Controllare gli oggetti posti sul diaGramma a Blocchi corrisponden-
ti a quelli del Pannello Frontale. Dovrebbe essere visualizzata una
situazione simile a quella mostrata in figura 6.10. I nomi attribuiti ai
componenti che sono tutti Boolean x, con x assegnato come nu-
mero progressivo. Gli oggetti corrispondenti presenti sul Pannello
Frontale e sul diaGramma a Blocchi hanno le stesse label.
12. Dal menu: File ⇒ Save aS... salvare il VI realizzato con il nome:
Esercitazione 1.vi.
13. Uscire da LabVIEW con il menu: File ⇒ exit.
4
290 Modulo Applicazioni per la simulazione
Esercitazione 2
Aprire e consolidare la visualizzazione della Controls palEttE del Front panEl espandendo quindi la vi-
sualizzazione di tutte le voci del menu. Inserire sul Front panEl un controllo e poi un indicatore prelevati
ambedue dal sottomenu numEriC del menu moDErn della Controls palEttE. Controllare poi i corrispon-
denti blocchi inseriti automaticamente sul BloCk Diagram. Salvare il VI realizzato.
1. Lanciare LabVIEW con doppio clic sulla relativa icona.
2. Nella finestra GettinG Started ( figura 6.2 ) si scelga Blank VI.
3. Viene visualizzato il Front Panel (ed eventualmente anche il Block diaGram).
4. Se non è visualizzato il menu della controlS Palette, deve essere aperto facendo click con il tasto
destro sul Pannello Frontale.
5. Si ponga il cursore del mouse sulla puntina (posta in alto a sinistra della Palette) e si faccia clic
su di essa quando cambia forma ( ). La Palette rimane ora visualizzata, fino a quando non
viene chiusa. In alternativa alle operazioni 4 e 5, la Palette può essere aperta direttamente con il
menu vieW ⇒ controlS Palette.
6. Si chiuda il sottomenu exPreSS (con un clic su ). Si espandano le voci del menu con l’apposito
comando (posto nella parte bassa della Palette). Si apra il sottomenu modern (con un clic su ).
Si veda la figura 6.11.
7. Dal menu modern si prelevi dal sottomenu Numeric il controllo dial (modern ⇒ numeric ⇒ dial) e
lo si inserisca sul Front Panel e poi l’indicatore tank (modern ⇒ numeric ⇒ tank).
Nella figura 6.15 (vedere pagine seguenti) in alto, sono rappresentati i controlli e gli indicatori del
menu modern, del sottomenu numeric, posti sul Front Panel.
8. Si visualizzi il Block diaGram (vieW ⇒ Block diaGram) e si controllino i blocchi inseriti automatica-
mente su di esso. Nella figura 6.15, in basso, sono rappresentate le corrispondenti funzioni dei
controlli e degli indicatori, inseriti sul Block diaGram. Si salvi il VI realizzato.
figura 6.12
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 291
La tools palette ( figura 6.13 ) che si apre dal menu View ⇒ tools (pre-
sente in alto sia sul front panel che sul Block diagram), consente di
selezionare, ridimensionare, spostare, modificare, colorare gli oggetti
posti sul pannello frontale e sul diagramma a Blocchi. Inoltre permet-
te di effettuare i collegamenti tra i blocchi posti sul Block diagram.
L’utilizzo dei tool, presenti nella palette, è di fondamentale importanza
per la gestione dei VI di LabView.
In alto, sul tools palette, è presente un pulsante che abilita, in auto-
matico, la selezione di alcuni dei tool che possono essere svolti con la
palette, in base alla posizione che ha il puntatore del mouse sui vari
oggetti. Quando questo modo di operare è abilitato, è acceso il LED
figura 6.13 verde presente sul pulsante.
Per esempio, quando la modalità automatica è attiva, il puntatore del
mouse, può assumere una delle seguenti forme in relazione al tipo di con-
trollo su cui si trova o anche alla posizione sul controllo stesso su cui è posto.
Nella tabella 6.1 sono descritte le funzioni svolte dai vari pulsanti presenti sulla tools
palette.
tabella 6.1
Posiziona Seleziona gli oggetti. Dopo che l’oggetto è stato selezionato, esso
può essere mosso, cancellato, copiato o ridimensionato.
Modifica Modifica i valori dei controlli e degli indicatori posti sul Pannello
Frontale o il valore di costanti booleane del diaGramma a Blocchi.
Copia colore Permette di copiare i colori da oggetti esistenti e di utilizzarli poi con
lo strumento colore.
6.2.4 toolbar
Sotto le voci dei menu posti in alto sul front panel e sul Block diagram è presente una
toolBar con i pulsanti necessari per la gestione di una applicazione (figura 6.14 ).
Nella toolBar del Block diagram sono presenti quattro pulsanti in più che servono essen-
zialmente per il debug dell’applicazione.
Sulla ToolBar è presente anche un pulsante con menu a tendina necessario per editare il
testo delle label degli oggetti grafici e altri pulsanti utilizzabili per il loro allineamento.
Per editare il testo è necessario selezionarlo con il mouse ( ) e poi, aperto il menu a
tendina, scegliere il tipo di font, la grandezza, lo stile, il colore desiderati.
figura 6.14
tabella 6.2
Pulsante Nome Funzione
Esecuzione
Consente di osservare il flusso dei dati nel diagramma a blocchi.
evidenziata
figura 6.15
Nella figura 6.16 , sono riprodotti una parte di controlli e indicatori (suddivisi in base alla
loro funzionalità), per il sottomenu numeric del menu ClassiC. Nella parte alta sono posti
i controlli (con funzione di out) e gli indicatori (input) posti sul front panel e in basso
le corrispondenti funzioni poste sul Block diagram.
figura 6.16
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
294 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
Dall’analisi dei blocchi delle funzioni presenti sul Block diagram, è possibile osserva-
re le seguenti caratteristiche (figura 6.17 ):
◗ triangolino posto sul bordo: indica se la funzione è di input (rivolto verso l’interno)
o output (rivolto verso l’esterno);
◗ piccolo rettangolo posto sul bordo in basso: i caratteri al suo interno indicano il tipo
di dati con cui opera l’oggetto (tf: True/False dati di tipo booleani; dBl: dato nu-
merico in doppia precisione; ABC: stringa);
◗ spessore del bordo: i controlli hanno bordo più spesso rispetto agli indicatori;
◗ colore dei bordi: indica il tipo di dati (verde: boolean; arancio: numerici doppia pre-
cisione; rosa: stringhe).
figura 6.17
Una più ampia trattazione del tipo di dati si trova nel paragrafo 3.2.6.
Nella figura 6.18 sono rappresentate le funzioni della voce di menu programming, sottome-
nu Boolean.
figura 6.18
In questo sottomenu sono presenti, tra l’altro, le porte logiche di base (sono a due ingres-
si). Per usufruire di porte con più di due ingressi deve essere utilizzata la funzione compound.
Da notare anche le costanti booleane True e False.
Nella figura 6.19 sono rappresentate le funzioni della voce di menu programming, sottome-
nu numeric della functions palette.
figura 6.19
Oltre alle funzioni che svolgono le operazioni aritmetiche fondamentali (addizione, sottra-
zione, moltiplicazione, ecc.), sono presenti nel sottomenu anche funzioni più complesse
(radice quadrata, quadrato, valore assoluto, arrotondamento, ecc.) e costanti numeriche
(intere e floating point).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 295
Nella figura 6.20 sono rappresentate le funzioni della voce di menu programming, sottome-
nu comparison della functions palette.
figura 6.20
Oltre alle funzioni che eseguono il confronto tra gli operandi (uguaglianza, maggioranza,
minoranza, ecc.), ci sono anche quelle che riconoscono se un carattere può appartenere
al set di caratteri esadecimali (0÷9 A÷F), ottali (0÷7) o decimali (0÷9) e altre ancora che
esplicano operazioni particolari (separazione tra il massimo e minimo di due numeri, ri-
conoscere se un array è vuoto, se un carattere è stampabile e altro).
Nell’ultima colonna sono indicati i colori che assumono i blocchi delle funzioni e i colle-
gamenti sul Block diagram.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
296 Modulo Applicazioni per la simulazione
esempio 6.1
Porte logiche, controlli e indicatori booleani
Gli ingressi di una porta logica AND e una OR (ambedue a due ingressi) sono pilotate da due switch.
Alle uscite delle porte sono connessi due LED rettangolari. Verificare la tabella della verità delle due porte
facendo assumere ai due switch tutte le combinazioni possibili (Æ Modulo 1, Unità 2, paragrafo 2.2.1).
figura 6.22
figura 6.23
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 297
■ Editing degli oggetti
◗ Cambio delle label
Per cambiare la label posta accanto a ogni oggetto posizionato sul Pannello Frontale (e quindi au-
tomaticamente anche al corrispondente oggetto del diaGramma a Blocchi), si deve aprire la toolS
Palette e selezionare il pulsante per la modifica del testo . Posizionando il puntatore del mouse
sulla label è possibile modificarla con la tastiera. Modificare tutte le label come in figura 6.24 a) .
È possibile scegliere per gli switch comportamenti elettrici diversi in relazione all’azione meccanica
(clic con il tasto destro sul componente ⇒ mechanical action). Le varie modalità sono illustrate nella
figura 6.24 b) .
figura 6.24 b)
figura 6.24 a)
Per inserire i collegamenti tra i componenti posti sul Block diaGram si selezioni sulla toolS Palette il
pulsante per attivare i collegamenti (o si attivi il LED posto sulla parte alta della palette). Accostando
il cursore del mouse alle estremità dei componenti da collegare viene visualizzato il simbolo del col-
legamento . Fare clic con il mouse e portare il filo di collegamento visualizzato, verso il nuovo
componente. Fare nuovamente clic con il mouse per fissare il filo.
Per cancellare un collegamento sulla toolS Palette deve essere selezionato il pulsante puntatore
(o deve essere attivo il LED posto sulla parte alta della palette).
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
298 Modulo Applicazioni per la simulazione
Si fa clic con il tasto destro sul filo e poi dal menu pop-up che compare si sceglie delete Wire Branch.
Oppure, selezionare il collegamento con il tasto sinistro e poi cancellarlo con canc (dalla tastiera). Se
segmentato, viene rimosso solo un tratto del conduttore.
Salvare il progetto e poi porlo in esecuzione utilizzando l’apposita icona della toolBar (eSecuzione
riPetuta). Azionando gli interruttori I1 e I2, si verifica con i LED la tabella della verità delle porte.
L’esecuzione si ferma con lo StoP ( ).
6.4 Realizzazione di un VI
esempio 6.2
Si vuole realizzare come esempio un VI che simula il funzionamento della termoresistenza TP100
detta anche RTD (Resistance Temperature Detector).
La TP100 è un resistore di precisione al platino che alla temperatura di 0 °C ha una resistenza di 100
Ω. Il resistore modifica la sua resistenza al variare della temperatura secondo la relazione:
RT = R0 (1 + a T ) [6.1]
Il VI deve sostanzialmente implementare la relazione [6.1]. Si debbono quindi inserire sul Block diaGram
del VI un blocco che realizzi il prodotto R0 × (1 + a T ), uno per il prodotto a × T e un altro per la
somma 1 + a T .
Sul Front Panel deve invece essere inserito un controllo che permette di cambiare la temperatura e
un indicatore che mostri il valore che assume la PT100 al variare della temperatura. Per rendere più
funzionale l’applicazione si aggiunge al controllo che modifica la temperatura, un termometro che ne
fornisce un’indicazione visiva e anche un indicatore numerico che ne indica con precisione il valore.
Viene poi aggiunto un altro indicatore numerico per leggere con esattezza il valore della resistenza.
Si avvii quindi LabVIEW, scegliendo al solito Blank VI e quindi, aperta la controlS Palette (menu vieW
⇒ controlS Palette) si inseriscano sul Front Panel usando il menu exPreSS:
1. il controllo per variare la temperatura (exPreSS ⇒ numeric controlS ⇒ vertical Pointer Slide);
2. un termometro per visualizzare la temperatura (exPreSS ⇒ numeric indicatorS ⇒ thermometer);
3. l’indicatore per visualizzare il valore della resistenza (exPreSS ⇒ numeric indicatorS ⇒ meter).
figura 6.25
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 299
2. Visualizzazione degli indicatori digitali sotto il Pointer sliDe (T) e sotto il meter (RT). Per
visualizzare insieme con il controllo e l’indicatore gli strumenti digitali, bisogna fare clic con il destro
su ciascuno di essi e dal menu che si apre scegliere ProPertieS ⇒ aPPearance. Nella scheda
Appearance mettere poi il segno di spunta sulla casella ShoW diGital diSPlay.
3. Regolazione delle scale. Supponendo di utilizzare la PT100 nel range di temperatura da –50
°C a +50 °C dalla formula [6.1] si ricava che la termoresistenza assume i valori RTmin = 80,75 Ω
e RTmax = 119,25 Ω. Debbono quindi essere impostate in modo adeguato, servendosi dei dati
ricavati, le scale per il Pointer Slide e il thermometer (–50÷50) e per il meter (min 80÷max 120).
Per eseguire questa operazione si fa clic con il tasto destro sull’oggetto e dal menu che si apre
scegliere ProPertieS ⇒ Scale. Nella scheda Scale (figura 6.26 ) per ciascun oggetto, nelle ca-
selle Scale ranGe minimum e maximum si impostano i valori appropriati con riferimento alla
figura 6.25 .
figura 6.26
Sul Block diaGram sono stati posti gli stessi oggetti fin’ora inseriti (con forma di blocchi rettangolari
ma con gli stessi nomi).
Per completare il diaGramma a Blocchi, è necessario inserire su di esso gli operatori matematici di
moltiplicazione e somma e le costanti (a, R0 e 1).
Si visualizzi quindi il Block diaGram e aperta la FunctionS Palette (vieW ⇒ FunctionS Palette, usando
il menu exPreSS si inseriscano su di esso:
1. due operatori per il prodotto (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ multiPly);
2. un operatore per la somma (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ add).
3. tre blocchi per le costanti a , R 0 e 1 (e xPreSS ⇒ a rithmetic & c omPariSon ⇒ n umeric ⇒
n um c onSt ).
1. Scrittura della formula [6.1]. Per semplificare il compito della disposizione dei blocchi in modo
che siano posti ordinatamente (in base alle operazioni da eseguire) è consigliabile, facendo doppio
clic sulla parte alta del diaGramma a Blocchi, scrivere la relazione della PT100.
2. Assegnare i valori alle tre costanti. Prima di effettuare i collegamenti bisogna assegnare i valo-
ri alle tre costanti facendo due volte clic sui loro blocchi e scrivendo in essi il valore numerico
desiderato. Si tenga presente che tutti i blocchi delle costanti sono per default dati di tipo a dop-
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
300 Modulo Applicazioni per la simulazione
pia precisione. Per quando riguarda la costante a = 3,85 × 10–3, se si vuole che essa venga
scritta in formato esponenziale (3.85E-3), si deve fare clic con il tasto destro sul blocco della
costante e dal menu che si apre scegliere ProPertieS ⇒ diSPlay Format e nel riquadro tyPe sele-
zionare ScientiFic.
3. Ordinamento dei blocchi sul Block Diagram. Per ordinare i blocchi attivare il LED posto sulla
parte alta della toolS Palette (vieW ⇒ toolS Palette) portando il cursore su un componente
esso cambia forma assumendo la forma di freccia. Fare clic con il tasto sinistro e trascinare l’og-
getto nella posizione voluta.
4. Eseguire i collegamenti. Ordinati i blocchi debbono essere realizzati i collegamenti (Æ paragra-
fo 3.3). Accostando il cursore del mouse alle estremità dei componenti da collegare viene visua-
lizzato il simbolo del collegamento . Si fa clic con il mouse e si porta il filo visualizzato verso il
nuovo componente.
Nella figura 6.27 è mostrato il Block diaGram con tutti i collegamenti eseguiti. Al solo fine di ren-
dere più chiara la realizzazione dello schema a blocchi, sono state poste delle label che indicano
le grandezze presenti in alcuni punti del diagramma.
figura 6.27
Per salvare il VI realizzato si usa il menu File ⇒ Save aS... e nella finestra che si apre scegliendo la
cartella per il salvataggio (Salva in:) e inserendo il nome da attribuire all’applicazione in nome File: (per
esempio PT100.vi).
Per porre in esecuzione il programma si utilizza l’apposita icona (eSecuzione riPetuta) della toolBar
e si ferma con lo StoP ( ). Si veda il paragrafo 6.2.4.
Nella figura 6.28 è visualizzato il Front Panel durante l’esecuzione dell’applicazione. Il cursore del
Pointer Slide è stato spostato portandolo alla temperatura di 31,632 °C (letta sull’indicatore digitale).
Come può essere osservato dal meter, e letto con più precisione sull’indicatore digitale. Il valore che
ha la termoresistenza per la temperatura impostata è pari a 112,17 Ω.
figura 6.28
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Unità
6 LabVIEW® 301
figura 6.31
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
4
302 Modulo Applicazioni per la simulazione
Nella finestra di figura 6.31 , è aperta la cartella icon text che permette di scrivere quattro
righe di testo, assegnando a esso anche un determinato colore.
Aprendo invece la cartella glyphs si possono scegliere anche piccole immagini già pronte.
Nella figura 6.32 , è visualizzata la nuova icona editata in cui è stato scritto del testo, aggiun-
ta l’immagine del resistore e disegnata una freccia tra due lettere.
Con il pulsante OK si confermano le modifiche fatte e la nuova icona viene inserita sul
subVI.
figura 6.32
figura 6.33
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Unità
6 LabVIEW® 303
esempio 6.3
Si voglia realizzare un sistema che, in base alla temperatura presente in un serbatoio con un liquido,
accende un LED verde se essa è inferiore o uguale a 20 °C, un LED rosso se la temperatura è ugua-
le o superiore a 40 °C, un LED giallo se essa è maggiore di 20 °C e minore di 40 °C. Come rilevato-
re della temperatura si utilizzi una termoresistenza PT100.
figura 6.34
Il LED giallo deve essere acceso solo se sono spenti gli altri due LED. Quindi può essere attivato
attraverso una porta logica NOR (l’uscita si porta a livello alto solo se i due ingressi si trovano a livel-
lo basso). Lo schema di figura 6.34 è uno schema a blocchi realizzato facendo le seguenti ipotesi:
◗ i due comparatori e anche la porta logica, sono in grado di pilotare direttamente i diodi LED;
◗ non sono inserite nello schema resistenze di limitazione della corrente sui LED;
◗ i livelli logici in uscita dai comparatori sono idonei a pilotare la porta logica utilizzata.
Per realizzare il sistema è necessario conoscere la tensione presente sulla PT100 (VT) a 40 °C e a
20 °C. Questi due valori quindi debbono essere confrontati, istante per istante, con la tensione che
si ha sulla termoresistenza al variare della temperatura del liquido.
Si ha quindi con I = 2 mA (2 ⋅ 10–3 A):
4
304 Modulo Applicazioni per la simulazione
Pertanto se risulta VT (T) ≥ 0,2308 V deve essere acceso il LED rosso mentre se è VT (T) ≤ 0,2154 V
deve essere acceso il LED verde.
Il LED giallo è acceso per VT (T) < 0,2308 V e VT (T) > 0,2154 V.
◗ Realizzazione del VI
Per realizzare il VI debbono quindi essere posti sul Pannello Frontale i seguenti componenti (figura 6.35 ):
Sul diaGramma a Blocchi debbono invece essere posti (in aggiunta a quelli già inseriti sul Pannello
Frontale) i seguenti blocchi (figura 6.38 ):
figura 6.35
Si avvii LabVIEW, scegliendo al solito Blank VI e quindi, aperta la controlS Palette (menu vieW ⇒
controlS Palette) si inseriscano sul Front Panel usando il menu exPreSS:
1. il controllo per variare la temperatura (T) (exPreSS ⇒ numeric controlS ==> num ctrl);
2. il termometro per visualizzare la temperatura (exPreSS ⇒ numeric indicatorS ⇒ thermometer);
3. l’indicatore numerico (RT) per visualizzare la resistenza del PT100 (exPreSS ⇒ numeric indicatorS
⇒ num ind);
▼
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 305
4. l’indicatore numerico (VT) per visualizzare il valore della tensione ai capi della PT100 (exPreSS ⇒
numeric indicatorS ⇒ num ind);
5. tre LED rettangolari (LR, LG, LV) (exPreSS ⇒ ledS ⇒ Square led). Si assegni il colore appropria-
to a ciascun LED (clic con il destro sul LED e poi ProPertieS ⇒ aPPearance ⇒ colorS ⇒ clic Su
caSella on con colore).
figura 6.36
• Si modifichino le proprietà del numeric control: clic con tasto destro sull’oggetto:
1. ProPertieS ⇒ diSPlay Format ⇒ tyPe ⇒ Floating Point - hide trailinG zeroS ⇒ togliere il segno
di spunta sulla casella ¨.
2. ProPertieS ⇒ data entry ⇒ uSe deFault limitS ⇒ togliere il segno di spunta sulla casella
¨ – minimum = 0.0000, maximum = 50.0000, increment = 0.0000.
3. ProPertieS ⇒ aPPearance ⇒ ShoW increment/decrement ButtonS ⇒ inserire il segno di spun-
ta sulla casella .
• Si modifichino le proprietà del thermometer: clic con tasto destro sull’oggetto:
1. ProPertieS ⇒ diSPlay Format ⇒ tyPe ⇒ Floating Point.
2. ProPertieS ⇒ Scale ⇒ Scale ranGe minimum = 0, Scale ranGe maximum = 50.
3. ProPertieS ⇒ aPPearance ⇒ ShoW diGital diSPlay ⇒ inserire il segno di spunta sulla casella .
Si veda la figura 6.37 per una visione d’insieme dei settaggi effettuati.
figura 6.37
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306 Modulo Applicazioni per la simulazione
Si visualizzi ora il Block diaGram (WindoW ⇒ ShoW Block diaGram) e si inseriscano su di esso:
1. Il subVI precedentemente realizzato (clic con il destro su un punto vuoto del Block diaGram e poi
nella FunctionS Palette che si apre Select un vi... scegliendo quindi il subVI della PT100).
2. Tre blocchi per le costanti I, tensione a 20 °C (0,02154), tensione a 40 °C (0,023008) (exPreSS ⇒
arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ num conSt).
3. Un operatore per il prodotto (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ multiPly).
4. Un comparatore (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ comPariSon ⇒ Greater or equal).
5. Un comparatore (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ comPariSon ⇒ leSS or equal).
6. Una porta logica NOR (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ Boolean ⇒ not or).
figura 6.38
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 307
Si faccia attenzione che a causa della precisione interna dei dati, in particolare delle costanti,
può sembrare che non vengano eseguite correttamene le operazione di confronto. È infatti possibile
che, variando la temperatura con il controllo numerico a passi di 1 °C, a 20 °C, per esempio, riman-
ga acceso il LED verde (invece di accendersi il LED giallo). In realtà la commutazione avviene per
valori intorno ai 20 °C. Ciò può essere verificato inserendo manualmente sull’indicatore numerico il
valore di 20,0001 °C. Si vede che per questo valore c’è la commutazione del LED come può essere
osservato nella figura 6.39 .
figura 6.39
Una variazione al VI proposto, che aggira la precisione delle costanti, può essere ottenuta lavorando
con costanti intere e non in doppia precisione, usando la configurazione riportata in figura 6.40 che
rappresenta il diaGramma a Blocchi del VI, rimanendo inalterato la configurazione del Pannello Frontale.
Nello schema è stato moltiplicato per 104 il valore di VT in modo da poter poi utilizzare costanti intere (mol-
tiplicate anch’esse per 104).
figura 6.40
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308 Modulo Applicazioni per la simulazione
esempio 6.4
Si voglia realizzare un VI che implementa il sistema di rete logica con ingresso programmabile
proposto nel Modulo 1, Unità 2, paragrafo 2.2.1 (Circuiti logici programmabili).
La rete logica, in corrispondenza del codice posto sull’ingresso A, deve eseguire sul dato posto sugli
ingressi B e C l’operazione logica AND (se A = 0) o OR (se A = 1).
La funzione logica della rete è la seguente: U = AC + AB + BC. Nella figura 6.41 è riportato lo schema
della rete. In corrispondenza del codice posto sull’ingresso A, la rete logica deve eseguire sul
dato posto sugli ingressi B e C l’operazione logica AND (se A = 0) o OR (se A = 1).
Nella figura 6.41 è riportato la rete logica che implementa la funzione e la tabellina della verità.
figura 6.41
Nella figura 6.42 sono visualizzati il Front Panel e Block diaGram del VI realizzato.
Sul Pannello Frontale sono posti tre Flat Square Button (A, B e C) del menu claSSic ⇒ Boolean,
dove A serve per inserire il codice del comando e B e C sono i due bit del dato. Per l’uscita U è
stato utilizzato un laBeled Square Button dello stesso menu.
figura 6.42
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Unità
6 LabVIEW® 309
figura 6.43
Il diaGramma a Blocchi rispecchia il circuito logico di figura 6.41 . Le porte logiche sono state inserite
dal menu ProGramminG ⇒ Boolean.
Per realizzare la porta logica OR a tre ingressi è stato usato un comPound arithmetic (ProGramminG ⇒
Boolean ⇒ comPound arithmetic). Per questa funzione è stato aggiunto un ingresso (clic con tasto
destro ⇒ add inPut) ed è stata scelta la modalità OR (clic con tasto destro ⇒ chanGe mode ⇒ or).
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310 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione
esercizi proposti
1. Convertitore decimale/binario. Utilizzando un 4. Inserire sul Front Panel un vertical Pointer Slide,
controllo numerico con dati di tipo decimali, interi un tank e un meter (tutti con scala 0÷10). Realizzare
a 8 bit senza segno (0÷255) si visualizzi il numero un VI in cui con il Pointer Slide si controlla il livello
introdotto su un indicatore numerico in formato del liquido del serbatoio e con il meter ne viene
binario. Si vari la larghezza dell’indicatore in modo visualizzata l’altezza raggiunta.
da contenere tutti gli 8 bit del numero binario. Si
utilizzino per il controllo e l’indicatore la proprietà 5. Inserire sul Front Panel un vertical Pointer Slide,
data tyPe per impostare il tipo di dati (U8) e la pro- un tank e un diodo led. Realizzare un VI in cui con
prietà diSPlay Format ⇒ tyPe per selezionare la il Pointer Slide si controlla il livello del liquido del
rappresentazione (decimale o Binario). serbatoio. Quando esso raggiunge e poi supera il
valore 5, deve essere acceso il LED.
Indice
analitico
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ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Indice analitico
A C
B - di parità 87
- esadecimale 109
barra delle applicazioni 116, 127, 145 - Hamming 88
basetta Breadboard 231 - macchina 110
bit 27, 77 - per la gestione degli errori 87
Block Diagram 286 - Unicode 86
bootsector 138 - 8 B/10 B 87
bootstrap 108 Colossus Mark 60
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314 Indice analitico
informazione M
- analogica 71
- discreta 71 macchina
- elementare 70 - analitica 59
INTEL 24 - di Turing 34, 48, 50
interfaccia grafica 125, 144 macro 138
Internet Explorer 145 MalWare 137
interruttore elettronico 23 Mastered 160
masterizzazione 159
memoria
J - a nuclei di ferrite 61
- di massa 63
Jump List 151 - dinamica 62
junction menu
- alloy 23 - Controls 287
- grown 23 - di Multisim 226
- Edit 226
- file 226
K - Functions 287
- Options 227
Key logger 139 - Place 226
- principale 107
- Simulate 226
- Start 127, 146
L - Tools 227, 287
- Transfert 227
LabVIEW® 284 - View 226
- ambiente di 286 messaggio 70
layout 155 microcontroller 33
LED 237 microprocessore 33, 62
linea minicomputer 61
- dati 28 misura
- del codice 28 - di intensità di corrente 222
linguaggio - di resistenza 216
- a basso livello 109 - di tensione 215, 222
- ad alto livello 109 modello
- assembly 110 - di Mealy 37
- macchina 109 - di Moore 37
LINUX 105 MOS 24
logica MOSFET 24
- cablata 20 mouse 62
- programmabile 20 Mozilla Firefox 117
LSI 24 MS DOS 112, 113, 120
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316 Indice analitico
Palette S
- Controls 287, 289
- Functions 290 segnale
- Tools 291 - di clock 37
Pannello di controllo 128, 135, 148 - di disturbo 75
partizione 104 sensore 173
- estesa 105 - di temperanza 173
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Indice analitico 317
W Word 86
WordPad 86
wafer 23 worm 138
Windows 112 8080 25
- Firewall 158
- Media Player 116
- Vista 115
- XP 114 Z
- 7 115
- 9x 114 *.zip 153
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Appunti 319
Appunti
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320 Appunti
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Appunti 321
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322 Appunti
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