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ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

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VIETATA LA DUPLICAZIONE
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

Amedeo De Santis
Mario Cacciaglia
> EdizioneMista
Giandomenico Petrollini
Carlo Saggese

Tecnologie
e progettazione
di sistemi
informatici e di
telecomunicazioni/1

Area tecnica
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

ISBN 978-88-5280607-0

© 2012 RCS Libri S.p.A. – Milano

Prima edizione: febbraio 2012

Ristampe:
2012 2013 2014 2015 2016
1 2 3 4 5 6 7 8 9

Stampa: Centro Poligrafico Milano S.p.A., Casarile (MI)

Coordinamento editoriale Barbara Speziali


Impaginazione CDC Arti Grafiche S.r.l., Città di Castello (PG)
Redazione Studio Arcobaleno S.r.l., Villasanta (MB)
Copertina Studio Mizar, Bergamo

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marchi di proprietà di National Instruments.
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della National Instruments.
L’utilizzo dei software Circuit Design Suite versione Education e NI LabVIEW Student Edition è limitato a fini didattici
in ambito domestico.

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to alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633, ovvero dell’accordo
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dicembre 2000.

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Le immagini utilizzate in questo libro non vanno interpretate come una scelta di merito da parte dell’editore, né come
invito all’acquisto di prodotti. Le illustrazioni o riproduzioni sono state riportate a scopo esclusivamente didattico.

I contenuti del tuo libro non si trovano solo sulla carta. Adesso puoi trovare esercizi, espansioni e molto altro sul web,
all’indirizzo www.auladigitale.rcs.it.
Tali strumenti ti consentiranno di integrare lo studio sul testo cartaceo con la possibilità di ripassare, prepararti alle
verifiche orali e scritte, approfondire quanto affrontato in classe, ecc.
Su ogni pagina del sito troverai un campo in cui digitare il codice che hai trovato nel volume, così avrai accesso
diretto ai materiali digitali ad esso relativi. Potrai scaricare e salvare i materiali sul tuo computer in modo che tu possa
poi ritrovarli facilmente in qualsiasi momento.
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Presentazione

Il progetto didattico del corso Tecnologie e progettazione di sistemi informatici e di


telecomunicazioni è stato redatto al fine di far acquisire agli studenti del nuovo indirizzo di
Informatica e telecomunicazioni degli Istituti Tecnici, settore Tecnologico, le conoscenze e le
abilità previste dalle nuove linee guida.
Tutti i volumi possono essere adottati sia per l’articolazione Informatica, sia per l’articolazione
Telecomunicazioni, sarà il docente a scegliere e approfondire i diversi argomenti in base alle differenti
esigenze didattiche. Nella sezione digitale del corso, disponibile su www.auladigitale.rcs.it, sono
stati trattati ulteriori argomenti mentre altri sono stati approfonditi.
Gli argomenti dei volumi si intersecano e si integrano vicendevolmente con quelli relativi
alla disciplina di Sistemi e reti, trattati nei testi prodotti dagli stessi autori, con lo scopo di
far acquisire allo studente, al termine del percorso quinquennale, specifiche competenze
nell’ambito del ciclo di vita del prodotto software e dell’infrastruttura di telecomunicazione,
declinate in termini di capacità di ideare, progettare, produrre e inserire nel mercato
componenti e servizi di settore.

Per conseguire gli obiettivi specifici della disciplina, i testi sono organizzati secondo una
struttura modulare e la ricchezza delle tematiche trattate consente al docente di organizzare una
programmazione flessibile adeguando le strategie formative alle sue esperienze professionali e ai
livelli di apprendimento delle classi.

Particolare attenzione è stata dedicata all’attività di laboratorio, intesa come momento di


apprendimento e di scoperta, finalizzata a trasmettere agli studenti le tecniche di progettazione e
di validazione dei parametri progettuali.

Il progetto didattico complessivo previsto nei tre volumi è suddiviso in blocchi tematici, dei quali:

◗ il primo prende in esame soprattutto gli aspetti relativi alla teoria dell’informazione e della
comunicazione fino ad arrivare all’analisi degli automi a stati finiti;
◗ il secondo blocco tematico sviluppa gli argomenti inerenti la struttura dei moderni
Sistemi Operativi e prevede un approfondimento che riguarda le politiche di gestione
dei processi e delle risorse (memoria centrale, memoria di massa e dispositivi di I/O),
le tecniche per la programmazione concorrente e la sincronizzazione dell’accesso a
risorse condivise, le caratteristiche e i casi significativi di funzionalità programmabili di
un Sistema Operativo;
◗ il terzo blocco tematico si occupa dei sensori, degli attuatori, dei componenti dei circuiti elettrici
e della simulazione circuitale attraverso i software Multisim e LabVIEW; affronta inoltre in
maniera esaustiva le problematiche legate ai microcontrollori e ai sistemi di acquisizione e
distribuzione dei dati;
◗ il quarto blocco tematico rappresenta una novità poiché tratta i concetti fondamentali
che sono alla base del Project Management e affronta le problematiche principali legate
all’ingegneria del software. In particolare vengono illustrate le fasi di un progetto nel
contesto del ciclo di sviluppo, i modelli, gli aspetti architetturali, le fasi per la progettazione,
le tecniche e gli strumenti per la gestione delle specifiche e dei requisiti nonché gli aspetti
legati alla qualità.

Il corso è corredato da numerosi progetti dalla valenza molto significativa poiché offrono spunti
per realizzare lavori interdisciplinari in collaborazione con i docenti delle altre materie d’indirizzo,
facilitando in tal modo l’integrazione tra le conoscenze teoriche e l’attività sperimentale.
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IV

L’ampiezza delle trattazioni consente di acquisire le seguenti macro-abilità:

◗ conoscere i princìpi della teoria e della codifica dell’informazione;


◗ acquisire le conoscenze sugli automi a stati finiti;
◗ conoscere la struttura e il funzionamento generale dei sistemi operativi;
◗ selezionare e comparare componenti per circuiti elettronici sulla base delle loro specifiche;
◗ effettuare misure su dispositivi elettrici utilizzando la strumentazione di laboratorio;
◗ verificare il funzionamento di semplici circuiti analogici e digitali;
◗ controllare in modo automatico la strumentazione di laboratorio;
◗ acquisire le conoscenze sulle caratteristiche dei componenti dei circuiti elettronici;
◗ acquisire le conoscenze sui princìpi di funzionamento degli strumenti di misura di grandezze
elettriche;
◗ operare con i software di simulazione circuitale analogico/digitale;
◗ conoscere la classificazione, la struttura e il funzionamento dettagliato dei sistemi operativi;
◗ conoscere le politiche di gestione dei processi;
◗ conoscere i moduli di gestione delle risorse del sistema operativo;
◗ conoscere le tecniche per la programmazione concorrente e per la sincronizzazione dell’accesso
a risorse condivise;
◗ progettare e realizzare applicazioni che interagiscono con le funzionalità dei sistemi operativi;
◗ individuare casi significativi di funzionalità programmabili di un sistema operativo;
◗ selezionare e dimensionare un sistema di elaborazione embedded per un’applicazione data;
◗ programmare il microcontrollore di un sistema embedded in presenza o meno del sistema
operativo;
◗ conoscere l’architettura e le tecniche di programmazione dei microcontrollori e dei sistemi
embedded;
◗ conoscere i dispositivi integrati in un microcontrollore;
◗ conoscere le problematiche e le tecniche legate all’interfacciamento analogico e digitale di un
microcontrollore;
◗ identificare e conoscere le fasi di un progetto nel contesto del ciclo di sviluppo;
◗ identificare e conoscere i modelli di gestione di un ciclo di sviluppo;
◗ documentare i requisiti e gli aspetti architetturali di un prodotto/servizio, anche in riferimento
agli standard di settore;
◗ conoscere le tecniche e gli strumenti per la gestione delle specifiche e dei requisiti di un
progetto;
◗ conoscere le tipologie di rappresentazione e di documentazione dei requisiti, dell’architettura
dei componenti di un sistema e delle loro relazioni e interazioni;
◗ rappresentare e documentare le scelte progettuali e di implementazione in riferimento a
standard di settore.

Gli Autori
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Guida alla lettura

In queste pagine trovi indicazioni utili per organizzare lo studio al meglio attraverso gli
strumenti che il corso di Tecnologie e progettazione di sistemi informatici e di
telecomunicazioni ti mette a disposizione:
• il tuo libro di testo cartaceo;
• le espansioni che puoi consultare o scaricare collegandoti all’indirizzo:
www.auladigitale.rcs.it.

Il libro cartaceo è suddiviso in moduli e unità; gli argomenti sono presentati in modo
semplice, corredati da esemplificazioni, tabelle, grafici, esempi di simulazioni e proposte
di verifiche sperimentali, al fine di facilitare la comprensione coinvolgendo gli studenti
con l’immediatezza e la praticità.

Un ricco e puntuale apporto grafico age-


vola la comprensione dei concetti teorici
più ostici della materia.

Tabelle e schemi puntuali accompa-


gnano la trattazione teorica.
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VI

Gli aspetti matematici della disciplina sono contenuti senza che la scientificità e la com-
pletezza della trattazione risultino penalizzate.

All’interno delle parti teoriche sono presenti numerosi


esempi svolti che consentono di acquisire i concentti
teorici.

Gli esercizi svolti e le attività di laboratorio


sono completate dall’analisi dei problemi
attraverso il foglio di calcolo o con program-
mi di simulazione.
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VII

Un’ampia trattazione è riservata ai programmi


CAD, quali LabVIEW e Multisim, nella loro ulti-
ma versione, largamente utilizzati in ambito
industriale e universitario.
I software National Instruments sono allegati al
Volume 1 del corso mentre i file di simulazione
degli esercizi e delle attività di laboratorio, sono
disponibili nella sezione digitale.

Numerosi esercizi proposti, collocati alla fine delle unità, permettono di consolidare le
conoscenze acquisite.

Test di verifica con-


sentono di fare il
punto sulle compe-
tenze acquisite al
termine dei princi-
pali argomenti.
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Il tuo libro sul web

I contenuti del tuo libro proseguono sul web all’indirizzo Internet:


www.auladigitale.rcs.it.
Sulle pagine del testo trovi i rimandi alle espansioni: digitando il codice che hai trovato
all’interno di questo volume, potrai accedervi direttamente e scaricarle sul tuo computer.

A partire dalla pagina iniziale, che vedi qui Strumenti sempre disponibili:
riportata, puoi navigare nei contenuti digi- • indicazioni utili per l’uso del foglio di
tali suddivisi per modulo: calcolo;
• approfondimenti, tabelle e grafici su • linkografia a siti di interesse dedicati ai
argomenti di particolare interesse; diversi ambiti tecnologici;
• esercizi di simulazione con LabVIEW e • calcolatrice;
Multisim; • tavola periodica;
• test di verifica. • unità di misura.
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Indice

Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti 1

Unità 1 Sistemi di numerazione 2


1.1 Numerazione decimale 3
1.2 Numerazione binaria 3
1.2.1 Trasformazione da decimale a binario 4
1.2.2 Trasformazione da decimale frazionario a binario 5
1.2.3 Numeri binari con segno 5
1.3 Numerazione esadecimale 8
1.3.1 Trasformazione da decimale frazionario a esadecimale 8
1.3.2 Somma di numeri esadecimali 10
1.4 Rappresentazione dei numeri reali 10
1.4.1 Rappresentazione dei numeri reali binari 11
1.4.2 Lo standard IEEE754 11

Esercizi svolti 14
Test di verifica 18
Esercizi proposti 19

Unità 2 Dalla logica cablata a quella programmabile 20


2.1 I primi componeneti elettromeccanici ed elettronici dei calcolatori 21
2.2 Sistemi logici binari 26
2.2.1 Circuiti logici programmabili 26
2.2.2 Sistemi logici combinatori e sequenziali 30
2.2.3 Esempi di reti logiche sequenziali 32

Unità 3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 34


3.1 Evoluzioni nel tempo di un sistema sequenziale 34
3.2 Modelli di Moore e Mealy 37
3.3 Automi riconoscitori di sequenze 38
3.4 Alcuni esempi di grafi di flusso per Moore e Mealy 40
3.5 Macchina di Turing 48
3.5.1 Algoritmi 00
3.5.2 Macchina di Turing 50
3.6 Storia ed evoluzione dei sistemi di elaborazione 59
3.7 Quadro storico dei primi processori 64

Test di verifica 66
Esercizi proposti 68
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X

Unità 4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 69


4.1 L’informazione 70
4.2 Sistema di comunicazione 71
4.3 L’informazione e la probabilità 76
4.3.1 Misura dell’informazione di un sistema discreto 76
4.3.2 Entropia 78
Test di verifica 81
Esercizi proposti 82

Unità 5 Sistemi di codifica dell’informazione 83


5.1 I codici 83
5.2 Codici per la gestione degli errori 87
5.3 Protocollo 88
Esercizi svolti 89
Test di verifica 90
Esercizi proposti 92
Laboratorio 93

Approfondimenti
• Componenti elettromeccanici ed elettronici
• Richiami di logica e dispositivi logici

Modulo

2 Sistemi operativi 103

Unità 1 Architettura software di un elaboratore 104


1.1 Il software del PC 104
1.2 Le partizioni del disco rigido 104
1.3 Il file system 105
1.4 Il ROM BIOS 106
1.4.1 Il BIOS SETUP 106
1.4.2 Il bootstrap da disco rigido (C:) 108
1.5 Linguaggi a basso e alto livello 109
Test di verifica 111

Unità 2 Classificazione e struttura dei sistemi operativi 112


2.1 I sistemi operativi 112
2.1.1 Caratteristiche di base di MS-DOS 113
2.1.2 Caratteristiche dei sistemi operativi Windows 9x 114
2.1.3 Caratteristiche di base di Windows XP 114
2.1.4 Caratteristiche di base di Windows Vista 115
2.1.5 Caratteristiche di base di Windows 7 115
2.1.6 Struttura del sistema operativo LINUX 117
Test di verifica 118
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XI

Unità 3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 120


3.1 Il sistema operativo MS-DOS 120
3.1.1 File e directory in MS-DOS 120
3.1.2 Avvio del DOS 121
3.1.3 Analisi di alcuni comandi interni del DOS 123
3.2 Il sistema operativo Windows XP 125
3.2.1 L’interfaccia grafica di Windows 125
3.2.2 Esecuzione di operazioni base in Windows XP 129
3.2.3 Operazioni con il pulsante destro del mouse 131
3.2.4 Opzioni Cartelle 134
3.2.5 Ripristino configurazione di sistema 135
3.2.6 Scrittura di file su CD/DVD 136
3.2.7 Gli account utente 137
3.2.8 I MalWare 137
Test di verifica 140
Laboratorio 142

Unità 4 Il sistema operativo Windows 7 144


4.1 L’interfaccia grafica di Windows 7 144
4.2 Il menu Start 146
4.3 Il file manager Esplora risorse 149
4.4 Operazioni sui file e sulle cartelle 152
4.5 Il desktop AERO 157
4.6 Windows Firewall 158
4.7 Masterizzazione 159
Test di verifica 163

Approfondimenti
• Comandi esterni del DOS
• Il sistema operativo GNU/LINUX

Modulo

3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori 165

Unità 1 Componenti elementari elettrici ed elettronici 165


1.1 Componenti elettrici 167
1.1.1 Resistore elettrico 167
1.1.2 Condensatore elettrico 168
1.1.3 Induttore 170

Unità 2 Sensori e trasduttori 173


2.1 Sensore e trasduttore 173
2.2 Parametri caratteristici del trasduttore 174
2.3 Criteri pratici di scelta dei trasduttori 176
2.4 Classificazione dei trasduttori 176
Esercizi proposti 179
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XII

Unità 3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 180


3.1 Trasduttore di posizione lineare – potenziometro 180
3.2 Trasduttore di posizione angolare (potenziometro rotativo) 185
Esercizi svolti 186
Esercizi proposti 188

Unità 4 Trasduttori di temperatura a variazioni di resistenza 189


4.1 Termoresistenza RTD (PT100) 189
4.2 Trasduttore KTY 192
4.2.1 Trasduttore KTY81-122 193
4.3 Termistori 194
Esercizi svolti 196
Esercizi proposti 197

Unità 5 Trasduttori di luminosità a variazione di resistenza 198


5.1 Fotoresistore NORP-12 198
Esercizi svolti 200
Esercizi proposti 202

Unità 6 Attuatori ON/OFF 203


6.1 Relè 203
6.1.1 Logica con relè 205
6.1.2 Relè Reed 206
6.2 Transistor 208
Esercizi svolti 211
Esercizi proposti 212

Modulo

4 Applicazioni per la simulazione 213

Unità 1 Principi di funzionamento degli strumenti di misura 214


1.1 Strumenti di misura 214
1.2 Misura di tensione 222
1.3 Misura di intensità di corrente 222

Unità 2 L’ambiente grafico di Multisim 224


2.1 L’ambiente grafico di Multisim 225
2.2 I menu di Multisim 226
2.3 Disegno di schemi elettrici 227
2.4 Nome del componente 230
2.5 Categorie componenti 230
2.6 Simboli componenti 230
2.7 Componenti 3D 231
2.8 Basetta Breadboard 231
2.9 Cattura dell’area di schermo 231
2.10 Trasduttori di Multisim 232
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XIII

Unità 3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 233


3.1 Alimentazione e segnali 233
3.2 Strumenti indicatori 233
3.2.1 Voltmetro e Amperometro 234
3.2.2 Probe (Sonde) 235
3.2.3 Strumenti luminosi 237
3.2.4 Convertitore logico 238
3.2.5 Generatore di parole 240

Unità 4 Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 245


4.1 Strumenti di Multisim 245
4.1.1 Multimetro 245
4.1.2 Multimetro reale 247
4.1.3 Generatore di funzioni virtuale 247
4.1.4 Generatore di funzioni reale 248
4.1.5 Frequenzimetro virtuale 249
4.1.6 Oscilloscopi virtuali 249
Esercizi svolti 250
4.1.7 Oscilloscopi reali 252

Unità 5 Analisi in Multisim 263


5.1 Analisi in Multisim 263
5.1.1 DC Operating Point 263
5.1.2 Analysis Transient 266
5.1.3 AC Analysis 270
Esercizi svolti 279

Unità 6 LabVIEW® 284


6.1 L’ambiente di LabVIEW 286
6.2 Menu Controls, Functions e Tools 287
6.2.1 Controls Palette 289
6.2.2 Functions Palette 290
6.2.3 Tools Palette 291
6.2.4 ToolBAR 292
6.2.5 Alcuni controlli e funzioni delle Controls e Functions Palette 293
6.2.6 Tipi di dati 295
6.3 Realizzazione di semplici VI 296
6.4 Realizzazione di un VI 298
6.5 Realizzazione di un subVI 301
6.6 Utilizzazione del subVI realizzato 303
Esercizi proposti 310

Simulazioni
• Simulazione con LabVIEW del controllo del livello di un liquido in un serbatoio
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Informazione, Modulo
comunicazione
e automi
a stati finiti

Prerequisiti
1
Unità 1 Sistemi di numerazione
Unità 2 Dalla logica cablata a quella
programmabile
Unità 3 Gli automi a stati finiti
e la macchina di Turing
■ Conoscenza delle regole fondamentali del sistema
di numerazione decimale. Unità 4 Elementi di teoria dell’informazione
■ Conoscenza degli elementi fondamentali e della comunicazione
dell’elettronica e dell’elettrotecnica.
Unità 5 Sistemi di codifica dell’informazione
■ Conoscenza di base dell’algebra di Boole.
■ Conoscenze di base dei dispositivi logici. Laboratorio

Obiettivi Informazione,
comunicazione e automi
■ Conoscere i sistemi di numerazione non decimali. a stati finiti
■ Saper eseguire la conversione tra sistemi diversi
di numerazione. U.1
■ Saper svolgere le operazioni aritmetiche Sistemi di numerazione
fondamentali con i numeri binari.
■ Conoscere l’evoluzione storica degli elementi U.2
che hanno portato alla nascita degli elaboratori
elettronici. Dalla logica cablata a
quella programmabile
■ Apprendere le modalità di passaggio dalla logica
cablata a quella programmabile. U.3
■ Conoscere le differenze tra i sistemi logici
Gli automi a stati finiti
combinatori e quelli sequenziali. e la macchina di Turing
■ Apprendere gli elementi di base della teoria
degli automi a stati finiti. U.4
■ Conoscenza di base della Macchina di Turing. Elementi di teoria
■ Saper strutturare una semplice catena dell’informazione e
di trasmissione per la comunicazione digitale della comunicazione
di messaggi.
U.5
Codifica dell’informazione

Approfondimenti
■ Componenti elettromeccanici ed elettronici Laboratorio
■ Richiami di logica e dispositivi logici
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unità 1 Sistemi di numerazione

Un sistema di numerazione indica se due insiemi di diversa natura, rappresentati in modo


diverso, hanno lo stesso significato. Nella età della pietra l’uomo identificava il numero dei
suoi animali con segni tracciati su un grosso masso o sul tronco di un albero. Il sistema
di numerazione più antico (circa 3 000 a.C.), attribuito agli Egiziani, era basato sulla pro-
prietà additiva: i simboli grafici cuneiformi utilizzati si ripetevano una, due volte, ecc. per
indicare i multipli di una stessa quantità e il sistema di numerazione non faceva uso del
simbolo zero ( figura 1.1 ).

figura 1.1 1 10 100 1 000 100 100 100 10 10 1 321

Un sistema di numerazione dovuto alla civiltà Sumerica (scomparsa nel 2 000 a.C.) e basa-
to ancora sulla proprietà additiva, rappresentava i valori uno, cento, mille con simboli
cuneiformi.
In seguito i Babilonesi introdussero un sistema di numerazione di tipo sessagesimale e
posizionale (base 60) che utilizzava anche il simbolo zero. Il sistema era adatto per
l’esecuzione di calcoli molto complessi e la posizione del numero, nella sequenza di sim-
boli, indicava il corrispondente valore relativo.
L’antica civiltà dei Maya (nota per aver determinato con elevata precisione la durata dell’an-
no solare) utilizzava ancora il sistema posizionale a base 20 (vigesimale) con simboli
da 0 a 19 ( figura 1.2 ).

0 1 2 5 6 10 11 15 19

figura 1.2 5 0 8 5 · 20 2 0 · 20 1 8 · 20 0 2 000 + 0 + 8 = 2 008

Il sistema Romanico (secolo VIII a.C.), ancora oggi in uso, è sempre di tipo addizionale
senza il simbolo zero ( figura 1.3 ). Un simbolo può sottrarsi a un altro se lo precede e som-
marsi se lo segue.

I V X C D M MD V C 1 595

figura 1.3 1 5 10 100 500 1 000 MMV III 2 008


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Unità
1Sistemi di numerazione 3
Il sistema oggi universalmente utilizzato e introdotto intorno all’anno 1 000 d.C., è di ori-
gine Indo-Araba. Inizialmente era una numerazione solo intera, di tipo posizionale e in
base 10 in cui ogni cifra araba (0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9) assumeva due significati: uno
intrinseco che indicava il valore reale del numero e uno posizionale che indicava la posi-
zione assunta all’interno del numero utilizzato. La numerazione frazionaria con
l’introduzione della virgola risale circa all’anno 1 600 d.C.

1.1 Numerazione decimale


Nel sistema decimale la rappresentazione numerica posizionale contiene dieci diversi sim-
boli (0 ÷ 9), definiti cifre o meglio digit e la numerazione è detta in base 10 (indica il
numero di simboli che la compongono). Per rappresentare un numero superiore a 9 è
necessario adoperare una sequenza di digit affiancati. In pratica a ogni digit è attribuito un
peso (indica il fattore di moltiplicazione del digit per confrontare il numero con altri siste-
mi di numerazioni) diverso in relazione alla posizione in cui esso si trova e secondo le
potenze crescenti di 10. La figura 1.4 mostra che il numero 324 può essere rappresentato
con una somma di singoli digit (3, 2, 4), moltiplicati per le rispettive potenze (102, 101, 100),
dette gruppi (centinaia, decine, unità) e ot-
Numero decimale 324 tenute moltiplicando per 10 il gruppo pre-
cedente.
Numero delle cifre 3 2 4
Per i numeri decimali con la virgola a ogni
Gruppo Centinaia Decine Unità digit a destra della virgola viene attribuito un
Pesi

Potenze del 10 10 2
10 1
10 0 peso decrescente e l’esponente della base
10 è negativo. Al primo digit a destra della
3 • 10 2 2 • 10 1 4 • 10 0
Risultato virgola è attribuito il peso 10-1, alla seconda
300 20 4 324 -2
figura 1.4 10 , ecc. Per il numero 324,75 si ha:

3 ⋅ 102 + 2 ⋅ 101 + 4 ⋅ 100 + 7 ⋅ 10−1 + 5 ⋅ 10−2 = 300 + 20 + 4 + 0,7 + 0,05 = 324,75

1.2 Numerazione binaria


La numerazione posizionale binaria, utilizzata in tutte le applicazioni relative ai calcolato-
ri e in particolare ai microprocessori (dispositivo elettronico che presiede al coordinamen-
to di tutte le funzioni di un computer), fa uso di cifre binarie (bit, binary digit = cifra con
due valori) che possono assumere due soli simboli (0 e 1) e la numerazione è detta in
base 2.
Volendo rappresentare un numero binario con più cifre, si deve utilizzare un numero di
bit maggiore di uno.
Utilizzando due bit si possono
Cifre Binarie Rappresentazione numeri Quantità numeri rappresentare quattro (22 = 4) nu-
(Bit) binari binari meri binari, con tre bit 8 numeri
1 1 0 21 = 2 (23) e con n bit 2n (figura 1.5).
Ad esempio il numero decimale
2 11 10 01 00 22 = 4
2 deve essere rappresentato ne-
3 ... 100 011 010 001 000 23 = 8 cessariamente con le due cifre
4 ... 0100 0011 0010 0001 0000 4
2 = 16 binarie 1 e 0, e volendo verifica-
- - - - - - -
re la corrispondenza tra numero
8
binario e decimale utilizzando il
8 ... ... 00000001 00000000 2 = 256
metodo dei pesi, si ha:
- - - - - - -
n ... 00000000000000000000000000 2n 1 ⋅ 21 + 0 ⋅ 20 = 1 ⋅ 2 + 0 ⋅ 1 = 2
figura 1.5
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4 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

1.2.1 Trasformazione da decimale a binario


La trasformazione da numeri decimali interi a quelli binari si esegue dividendo ripetuta-
mente il numero decimale per 2 fino a quando il quoziente risulta uguale a zero. Il nume-
ro in binario è dato dalla stringa dei resti (figura 1.6).
La figura 1.6 mostra una applicazione per trasformare il numero decimale 29, ad esempio, corri-
sponde al numero binario 1 1 1 0 1: il primo resto della divisione è il bit meno significativo o
LSB (Least Significant Bit) e l’ultimo resto è il bit più significativo o MSB (Most Significant Bit).
MSB ⇒ 1 1 1 0 1 ⇐ LSB
o

i
er

or
m

vis
Nu

Allo stesso risultato si perviene se si utilizza-


Di

sti

29 2
Re

no i gruppi. Il numero decimale 29 è costi-


14 2 1 LSB Numero binario
tuito dal gruppo 24 = 16, 23 = 8, 22 = 4 e 20 = 1
1 1 1 0 1
7 2 0 ma non dal gruppo 21 = 2. La presenza dei
Quozienti

MSB LSB
3 2 1 gruppi si ottiene sottraendoli al numero da
1 2 1 convertire (figura 1.7).
figura 1.6 0 1 MSB

2 4=16 Insieme del


numero 29 Gruppo Sottrazione N° binario
4
2 =16 29 - 16 = 13 1 MSB
3
23=8 2 =8 13 - 8 = 5 1

2
2 2=4 5-4 =1 1
2 =4
21=2 2 1=2 1 - 2 = impossibile 0
2 0=1
0
2 =1 1-1=0 1 LSB
1 1 1 0 1
figura 1.7

Un numero binario può essere trasformato in decimale attribuendo a ogni cifra un peso
diverso, in relazione alla posizione occupata, espresso come potenza di 2. Ad esempio il
numero binario 1101 corrisponde al numero decimale 13.
1 ⋅ 23 + 1 ⋅ 22 + 0 ⋅ 21 + 1 ⋅ 20 = 8 + 4 + 0 + 1 = 13
MSB Un metodo pratico per la trasformazione è
LSB
1 1 0 1
l’algoritmo che moltiplica per 2 il bit più
significativo e somma al risultato il valore
[( 1 2 ) 1 ] 2 0 2 1 13 del bit successivo. Si ripete l’operazione di
figura 1.8 prodotto e somma fino al bit meno significa-
tivo (figura 1.8).
Nello studio dei calcolatori e dei sistemi a microprocessore si utilizzano molto spesso
numeri binari formati da 8, 16, 32, 64 o più bit. Un numero binario formato da 8 bit viene
definito Byte, da 16 bit Word (parola), da 32 bit Doubleword (doppia parola) e da 64 bit
Quadword (quadrupla parola). La tabella 1.1 riporta i multipli del byte.

tabella 1.1
k ⇒ Chilo 1 kByte 1 024 Byte
M ⇒ Mega 1 MByte 1 024 kByte 1 048 576 Byte
G ⇒ Giga 1 GByte 1 024 MByte 1 073 741 824 Byte
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1Sistemi di numerazione 5

1.2.2 Trasformazione da decimale frazionario a binario


La parte intera di un numero decimale si trasforma, come già visto, con le divisioni ripetu-
te per due. La parte frazionaria, invece, si trasforma con le moltiplicazioni ripetute per due
attribuendo un 1 quando il risultato dell’operazione contiene la parte intera 1 e 0 se è an-
cora frazionaria. L’algoritmo utilizzato si arresta se il risultato dell’operazione diviene solo
parte intera, oppure fino a ottenere la precisione dovuta. La figura 1.9 mostra una applica-
zione di trasformazione per il numero decimale frazionario 4,625.

Parte intera Parte frazionaria


o

i
er

or
m

vis
Nu

Divisione per 2 Moltiplicazione per 2


Di

sti

4 2
Re

2 2 0 LSB Modulo binario 0,625 • 2 = 1,25 Parte int. 1


Quozienti

1 0 0 0,50
1 2 0 0,25 • 2 = Parte int. 0
MSB LSB
0 1 MSB 0,50 • 2 = 1,00 Parte int. 1

figura 1.9 4,625 1 0 0 ,1 0 1

La trasformazione dei numeri binari con la virgola, segue le stesse regole di quelli deci-
mali con la virgola. Il numero binario, precedentemente calcolato, 100,101 può rappre-
sentarsi con pesi crescenti per la parte a sinistra della virgola e pesi decrescenti per la parte
a destra della virgola. Si ha:

1 ⋅ 22 + 0 ⋅ 21 + 0 ⋅ 20 + 1 ⋅ 2−1 + 0 ⋅ 2−2 + 1 ⋅ 2−3 =


1 1 1
=1⋅4+0⋅2+0⋅1+1⋅ +0⋅ +1⋅ = 4 + 0,5 + 0,125 = 4,625
2 4 8

1.2.3 Numeri binari con segno


Il vantaggio nell’utilizzazione dei numeri binari nei sistemi di elaborazione risiede nel fatto
che la loro rappresentazione fa uso solo di due simboli che possono essere rappresentati
con segnali elettrici a due soli livelli. Questo fatto li rende indispensabili nei sistemi a
microprocessore in cui i due valori 0 e 1 possono essere facilmente associati a due diver-
si livelli di tensione o di corrente (figura 1.10).

Livello HIGT
alto 1 5V
H Segnale di scansione (Clock) Personal
computer

LOW Livello 0 1 0 0 1 1 1 0 0
basso 0V Segnale con informazione binaria
figura 1.10 L
Segnale logico TTL

Sarebbe quindi complesso e fisicamente difficile introdurre un altro simbolo per assegna-
re al numero binario il segno (+ o −). Per tale motivo il bit di segno è attribuito al bit più
significativo (MSB):
◗ se il bit di segno è 1 il numero binario è da considerarsi negativo;
◗ se il bit di segno è 0 il numero binario è da considerarsi positivo, compreso lo zero bi-
nario.
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1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Si deduce che il sistema di numerazione binario con segno diminuisce il campo dei nume-
ri rappresentabili con un certo numero di bit. Se, infatti, con n bit è possibile avere 2n
numeri positivi diversi, con il bit di segno se ne potranno avere solo 2n-1. Per esempio con
un byte (8 bit) si hanno 28 = 256 numeri positivi, mentre si ottengono 28-1 = 128 numeri
positivi (con lo zero) e 127 numeri negativi.
Individuare i numeri negativi con il solo bit di segno, non risolve completamente il pro-
blema, perché tale rappresentazione conduce, a volte, a risultati non corretti quando si
eseguono alcune operazioni. Per rendere possibili tutte le operazioni con i numeri binari
con segno, senza commettere errori, è necessario che i numeri binari negativi siano
rappresentati in complemento a 2.

■ Complemento a 2 di un numero binario


Senza entrare in merito al significato del complemento a 2, si descrive il metodo da
seguire:
◗ si complementano tutti i bit del numero binario (in pratica si invertono i bit);
◗ si somma 1 al numero complementato ( figura 1.11 ).
Un metodo pratico e veloce per ottenere il complemento a 2 di un numero binario è quel-
lo di lasciare inalterati i bit a partire dal meno significativo fino al primo bit 1 compreso e
invertire tutti i successivi ( figura 1.11 ).

1 0 1 0 Numero binario 1 0 1 0 Numero binario


0 1 0 1 + Numero negato
Complemento a 1
1 =
Negati
figura 1.11 0 1 1 0 Complemento a 2 0 1 1 0 Complemento a 2

tabella 1.2 Numeri binari con segno

Nella tabella 1.2 sono rappresentati i


Bit di segno

Bit di segno

Complemento
Valori
numeri binari positivi e negativi con
Modulo

Modulo

a 2 dei numeri 4 bit (un bit per il segno e tre bit


decimali
negativi
per il modulo del numero).
Come si può osservare la tabella
0 111 0 111 7 contiene la numerazione sia con il
0 110 0 110 6 metodo convenzionale (colonna 1)
0 101 0 101 5 sia quello con complemento a 2
0 100 0 100 4 (colonna 3).
0 011 0 011 3
0 010 0 010 2 Al numero binario negativo 1 0 0 0
0 001 0 001 1 è attribuito il valore −8 (in realtà esso
0 000 0 000 0 dovrebbe corrispondere a −0). Con
1 001 111 1 111 −1 4 bit si possono rappresentare 8 nu-
1 010 110 1 110 −2 meri positivi (0 ÷ 7) e 8 negativi
1 011 101 1 101 −3 (−1 ÷ −8).
1 100 100 1 100 −4
1 101 011 1 011 −5 Nella tabella 1.3 si riportano alcuni
1 110 010 1 010 −6 campi di rappresentazione con un
1 111 001 1 001 −7 numero di bit superiore a quattro.
1 000 000 1 000 −8
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1Sistemi di numerazione 7
tabella 1.3

Numero di bit Numero senza segno Numero con segno

8 0 ÷ 255 − 128 ÷ 127


16 0 ÷ 65 535 − 32 768 ÷ 32 767
24 0 ÷ 16 777 215 − 8 388 608 ÷ 8 388 607
32 0 ÷ 4 294 967 295 − 2 147 483 648 ÷ 2 147 483 647

Per mettere in evidenza la semplicità dell’utilizzo dei numeri binari con segno, rappre-
sentati con complemento a 2, si eseguono alcune operazioni di sottrazione.

■ Sottrazione di numeri positivi (minuendo > sottraendo)

Bit di segno La sottrazione 2310 − 1210 può essere vista come


0 1 0 1 1 1 + + 23
23 + (−12). Il modulo del numero positivo 23, si
rappresenta in binario con 5 bit ai quali è stato
1 1 0 1 0 0 = – 12
aggiunto, a sinistra, il bit 0 per il segno positivo
1 0 0 1 0 1 1 11 (2310 ⇒ 0 1 0 1 1 12). Il numero −12 (1 0 1 0 02),
figura 1.12 Riporto da scartare invece, può essere rappresentato con 5 bit, inclu-
so il segno (figura 1.12). In tal caso vale la regola
di estensione del bit di segno, per cui se uno dei
due numeri su cui si opera è rappresentato con un numero di bit inferiore rispetto all’al-
tro, bisogna ripetere il bit di segno tante volte fino a parificare il numero di bit tra mi-
nuendo e sottraendo. Per quanto detto, il numero −12 decimale diviene 1 1 0 1 0 02
nel sistema binario con complemento a 2.
Il risultato è positivo perché il bit di segno è 0 e quindi esso rappresenta il modulo del
valore numerico. Infatti 0 1 0 1 12 corrisponde a 1110.

■ Sottrazione di numeri positivi (minuendo < sottraendo)


Bit di segno La sottrazione 1610 − 1810 può essere vista come
0 1 0 0 0 0 + + 16 somma 16 + (−18):
1 0 1 1 1 0 = – 18 Il risultato (figura 1.13) è negativo perché il bit di
segno è 1 e deve essere visto come complemento
1 1 1 1 1 0 – 2
a due del numero senza il bit di segno. Il comple-
figura 1.13 Risultato negativo
mento a 2, compreso il bit di segno, di 1 1 1 1 02
è 0 0 0 1 02 che corrisponde a 210.

■ Somma di numeri negativi


Bit di segno La figura 1.14 riporta la somma di due numeri
1 0 1 0 + – 6
negativi − 6 10 + (− 8 10) a tre bit, comprensivi del
bit di segno. Come si può osservare entrambi i
1 0 0 0 = – 8
numeri sono espressi in complemento a 2
1 0 0 1 0 Risultato positivo – 14 ( tabella 1.3 ).
figura 1.14 Riporto Il risultato ha come bit di segno lo 0 che indica il
valore positivo della somma. Il risultato è errato
in quanto si è verificato un superamento di capacità (overflow) e il modulo del numero
14 non può essere rappresentato con tre bit.
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1.3 Numerazione esadecimale


La conoscenza della numerazione esadecimale è essenziale per lo studio dei sistemi a
microprocessore. Il sistema esadecimale richiede un minor numero di cifre per rappre-
sentare un numero con conseguente diminuzione di commettere errori di scrittura.
Il sistema di scrittura esadecimale è posizionale con base uguale a 16. Per la rappresenta-
zione di un numero sono necessari 16 simboli diversi costituiti dalle cifre 0 ÷ 9 e A ÷ F
( figura 1.15 ).

Base 10 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

figura 1.15 Base 16 (Cifre Ex) 1 2 3 4 5 6 7 8 9 A B C D E F

La trasformazione da numeri decimali interi a quelli esadecimali si esegue dividendo ripe-


tutamente il numero decimale per 16 fino a quando il quoziente è uguale a zero. Il nume-
ro in esadecimale è dato dalla stringa dei resti (cifre da 0 a F) a partire dall’ultimo otte-
nuto ( figura 1.16 ).
Un numero esadecimale può
essere trasformato in decimale
o

i
er

or
m

vis

con la stessa procedura utilizzata


Nu

Di

sti

58 765 16 per i numeri binari (potenze di


Re

3 672 16 13 D LSB 3 672 , 16 = 58 752+13 16). Ad esempio il numero esa-


decimale E58Dh (dove il suffisso
Quozienti

229 16 8 8
Numero esadecimale
14 16 5 5 h o H indica la base esadecima-
E 5 8 D
figura 1.16 0 14 E MSB MSB LSB le) corrisponde al numero deci-
male 58 765.

E ⋅ 163 + 5 ⋅ 162 + 8 ⋅ 161 + D ⋅ 160 = 14 ⋅ 163 + 5 ⋅ 162 + 8 ⋅ 161 + 13 ⋅ 160 =


= 14 ⋅ 4 096 + 5 ⋅ 256 + 8 ⋅ 16 + 13 ⋅ 1 = 57 344 + 1280 + 128 + 13 = 58 765

1.3.1 Trasformazione da decimale frazionario a esadecimale


La parte intera di un numero decimale si trasforma in esadecimale, come già visto, con le
divisioni ripetute per 16. La parte frazionaria, invece, è trasformata in esadecimale ese-
guendo le moltiplicazioni ripetute per 16 e attribuendo alla parte intera del risultato dell’ope-
razione le lettere per numeri maggiori di 9. L’algoritmo utilizzato si arresta se la parte
frazionaria diviene solo parte intera oppure fino a ottenere la precisione dovuta. La figura 1.17
mostra una applicazione di trasformazione in esadecimale del numero decimale fraziona-
rio 19,71.

Parte intera Parte frazionaria


o

i
er

or

Divisione per 16 Moltiplicazione per 16


m

vis
Nu

Di

sti

25 16
Re

Modulo Ex 0,71 • 16 = 11,36 Parte int. B


1 16 9 LSB
1 9 5,76
0,36 • 16 = Parte int. 5
0 1 MSB MSB LSB
0,76 • 16 = 12,16 Parte int. C
figura 1.17 75,71 1 9 , B 5 C
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La trasformazione dei numeri esadecimali con la virgola, segue le stesse regole di quelli
decimali con virgola. Il numero esadecimale 19,B5C, precedentemente calcolato, può esse-
re rappresentato con pesi crescenti per la parte del numero a sinistra della virgola e pesi
decrescenti per la parte a destra.
11 5 12
1 ⋅ 161 + 9 ⋅ 160 + B ⋅ 16−1 + 5 ⋅ 16−2 + C ⋅ 16−3 = 16 + 9 + + + =
16 256 4 096
= 16 + 9 + 0,6875 + 0,01953125 + 0,002929687 = 25,709960937

La tabella 1.4 riporta la numerazione decimale, quella esadecimale e quella binaria a 4 bit.
La conoscenza di tali corrispondenze tra i tre tipi di numerazione è fondamentale.
tabella 1.4
Decimale Esadecimale Binaria
0 0 0000
1 1 0001
2 2 0010
3 3 0011
4 4 0100
5 5 0101
6 6 0110
7 7 0111
8 8 1000
9 9 1001
10 A 1010
11 B 1011
12 C 1100
13 D 1101
14 E 1110
15 F 1111

A volte, per non eseguire laboriosi calcoli, può essere più conveniente effettuare il pas-
saggio esadecimale ⇒ binario ⇒ decimale. Con riferimento al numero E58Dh, utilizzan-
do la tabella 1.4 , si ha:
E58D
E 5 8 D
1110 0101 1000 1101

E58Dh ⇒ 1110 0101 1000 1101 ⇒


⇒ 32 768 + 16 384 + 8 192 + 1 024 + 256 +128 + 8 + 4 + 1 = 58 765
La trasformazione esadecimale ⇒ binario e viceversa è particolarmente semplice e riveste
particolare importanza nello studio dei sistemi a microprocessore in quanto ogni cifra esa-
decimale può essere rappresentata da un numero binario a 4 bit.

C3h ABh 1F2h 94ADh


C 3 A B 1 F 2 9 4 A D
1100 0011 1010 1011 0001 1111 0010 1001 0100 1010 1101

1101 0110 1110 1000 1011 0111 0101 1111 1111 0000 1001
D 6 E 8 B 7 5 F F 0 9
D6h E8h B75h FF09h
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1.3.2 Somma di numeri esadecimali


La somma tra numeri esadecimali utilizza le stesse regole del sistema decimale (figura 1.18).
Riporti 1 1 1 1 1 1
A h + E h + F h + 2 B h + 3 D h + F F h + F F h +
3 h = 3 h = F h = C 1 h = F 2 h = F A h = F F h =

figura 1.18 D h 11 h 1 E h E C h 1 2 F h 1 F 9 h 1 F E h

1.4 Rappresentazione dei numeri reali


La rappresentazione dei numeri, indipendentemente dal tipo di numerazione utilizzata
(decimale, binaria, esadecimale), può essere fatta in più modi. I più usati sono in virgola
fissa e in virgola mobile.

Virgola FISSA (V.F.) Virgola MOBILE (V.M.)


Le operazioni sono eseguite con un numero Le operazioni sono eseguite con un numero
fisso di cifre. fisso di cifre significative.

L’esempio del prodotto dei numeri decimali 4,001 e 0,001234 (= 0,004937234) mette in evi-
denza i problemi derivanti dai due diversi modi di rappresentazione. Supponendo di uti-
lizzare 3 cifre per entrambi i modi, eseguendo l’operazione di prodotto, si ha:

Virgola FISSA (V.F.) Virgola MOBILE (V.M.)


4,00 ⋅ 0,001 = 0,004 4,00 ⋅ 0,00123 = 0,00492

dove le cifre 1, 2 e 3 sono le cifre significative dopo lo 0,00 per la rappresentazione in vir-
gola mobile. Come si può osservare, il risultato che più approssima quello esatto è quel-
lo ottenuto applicando il sistema in virgola mobile, anche se esso non risolve tutti i pro-
blemi derivanti dalle operazioni elementari.

Un numero con qualsiasi base è sempre rappresentabile in forma esponenziale dalla se-
guente formula:
± M ⋅ B ± E (notazione scientifica) [1.1]
dove ± indica il segno, M la mantissa, B la base e ± E l’esponente con segno. Utilizzando
la [1.1], ad esempio, il numero decimale − 31,4 può essere rappresentato in più modi
( tabella 1.5 ). Tale formula ha il vantaggio di rappresentare numeri molto piccoli e molto
grandi con un esiguo numero di cifre.
tabella 1.5
− 31,4 ⋅ 100 La formula esponenziale contiene:
− 3,14 ⋅ 101 • il segno del numero;
− 31,4 − 0,314 ⋅ 102 • le cifre signilcative del numero;
− 314 ⋅ 10-1 • il segno dell’esponente E con base B = 10;
− 3140 ⋅ 10-2 • le cifre dell’esponente E.

La tabella 1.5 mostra che l’esponente E può assumere valori sia positivi che negativi e defi-
nisce la posizione della virgola all’interno della mantissa. La forma esponenziale − 0,314 ⋅ 102
è la rappresentazione numerica utilizzata. Poiché la mantissa M è compresa tra 0,1 = 1/B e
1, la rappresentazione è detta normalizzata in virgola mobile (Floating Point).
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1.4.1 Rappresentazione dei numeri reali binari


Il PC elabora i dati numerici binari in virgola mobile, anche se inizialmente utilizzava la
modalità in virgola fissa. I dati numerici, introdotti in forma decimale frazionaria, sono tra-
sformati in binario in forma esponenziale e la [1.1] diviene:
(–1) S ⋅ M ⋅ B E ⇒ (–1) S ⋅ M ⋅ 2 E [1.2]
dove:
◗ S è il segno del numero (S = 0 per il segno positivo ed S = 1 per quello negativo);
◗ E è l’esponente, con relativo segno;
◗ M è la mantissa;
◗ B = 2 è la base.
La memorizzazione delle stringhe di bit in memoria è costituita da tre campi ( tabella 1.6 )
e, come si può osservare, l’esponente E è disposto tra il bit di segno S e la mantissa M.
tabella 1.6
Campo segno Campo esponente Campo mantissa
(–1) S E M

In verità il PC memorizza il dato numerico binario in forma esponenziale normalizzata.


Tale condizione si ottiene con un opportuno esponente in modo che il bit più significati-
vo della mantissa sia uguale a 1:
1,XXXXX⋅2 XXX Espressione normalizzata
dove X indica, indifferentemente, il bit 0 oppure 1. Poiché il primo bit della mantissa è
sempre uguale a 1 si può anche omettere, come si vedrà in seguito.
Nella tabella 1.7 è riportata la trasformazione del numero decimale frazionario 25,71.
tabella 1.7
Numero Numero esponenziale Numero normalizzato

Decimale 25,71 25,71⋅100 0,2571⋅102


Binario 11001,1011 1 1 0 0 1 , 1 0 1 1 ⋅ 20 1 , 1 0 0 1 0 1 ⋅ 24
Esadecimale 19,B5C 1 9 , B 5 C ⋅ 16 0
0, 1 9 B 5 C ⋅ 162

1.4.2 Lo standard IEEE754


La IEEE754 ha fissato lo standard di rappresentazione dei numeri reali binari eliminando le
diverse rappresentazioni personalizzate delle case costruttrici (IBM, Intel, ecc.) rendendo
il software di calcolo adatto per ogni tipo PC.
Lo standard IEEE754, definito rappresentazione in modulo e segno poiché il bit di segno
è separato dalla rappresentazione numerica, prevede tre formati: a singola precisione, a
doppia precisione e a precisione estesa (figura 1.19).
figura 1.19
Segno Esponente Mantissa Rappresentazione N° bit N° Byte

1 bit 8 bit 23 bit Singola precisione 32 4


1 bit 11 bit 52 bit Doppia precisione 64 8
1 bit 15 bit 64 bit Precisione estesa 80 10

Per ogni rappresentazione l’esponente E è sempre positivo. A tal fine si utilizza un numero deci-
male costante positivo detto Bias, aggiunto all’esponente E espresso in decimale ( tabella 1.8 di
pagina seguente).
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12 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

tabella 1.8
Rappresentazione Bias N° Negativi (Bias + E) N° Positivi (Bias + E)

Singola precisione (32 bit) 127 (E = 0) 1 ÷ 126 128 ÷ 255


Doppia precisione (64 bit) 1 024 (E = 0) 1 ÷ 1 023 1 025 ÷ 2 047
Precisione estesa (80 bit) 16 383 (E = 0) 1 ÷ 16 382 16 384 ÷ 32 767

Dalla figura 1.19 si evidenzia che, nel campo esponente, il numero decimale Bias + E è
memorizzato in binario e, pertanto, i valori numerici decimali riportati nella tabella 1.7
devono essere convertiti in binario. Tale conversione, nella rappresentazione a semplice
precisione, rende il primo bit uguale a 0 per i numeri con esponente negativo (1 ÷ 126 ⇒
0XXX XXX) ed 1 per quelli positivi (128 ÷ 255 ⇒ 1XXX XXX).
Lo standard IEEE754 prevede alcuni valori speciali:
◗ la mantissa con tutti 0 e l’esponente con tutti 1 rappresenta il valore ∞;
◗ la mantissa con bit diversa da 0 e l’esponente con tutti 1 rappresenta un valore non va-
lido (NaN, cioè Not a Number);
◗ tutti i bit 0 (segno, esponente e mantissa) rappresenta il valore 0,0.

esempio 1.1
Un algoritmo (Unità 3 par. 3.5.1) per convertire il numero decimale + 25,75 in virgola mobile con singola
precisione può essere il seguente.
I passi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
25,75 ⇒ 1 1 0 0 1 , 1 1
◗ rappresentare il numero binario in forma esponenziale normalizzata. Nel campo mantissa saranno
riportati solo i bit a destra dopo la virgola della forma esponenziale normalizzata, omettendo il bit 1
a sinistra della virgola
1 1 0 0 1 , 1 1 ⇒ 1 , 1 0 0 1 1 1 ⋅ 24
◗ dalla forma esponenziale normalizzatasi ricava l’esponente E = 4
◗ calcolare l’esponente sempre positivo Bias + E dove Bias = 127
Bias + E = 127 + 4 = 131
◗ trasformare il nuovo esponente decimale sempre positivo Bias + E = 131 in binario
131 ⇒ 1 0 0 0 0 0 1 1
◗ definire il bit di segno del numero
Il numero + 25,75 è positivo e pertanto il bit di segno è S = 0
◗ riportare i numeri binari calcolati rispettivamente nel campo segno, esponente e mantissa ( tabella 1.9 ).
Quest’ultima deve essere completata con i bit 0 nel rispetto dei complessivi 23 bit. Considerato che
la rappresentazione è in semplice precisione, il bit 1 della parte intera della mantissa non è riportato.
tabella 1.9
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
0 1000 0011 100 1110 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

La memorizzazione del numero decimale frazionario −25,75 si discosta da quella con segno positivo
per il solo bit di segno S = 1 (numero negativo).
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Unità
1Sistemi di numerazione 13

esempio 1.2
L’esempio mostra l’operazione inversa dell’esempio precedente (Esempio 1.1) riportato nella
tabella 1.10 .
tabella 1.10
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 10000001 100 0111 0000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

Il segno S = 1. Il numero è negativo.


L’esponente Bias + E è 1000 0001 ⇒ 129. Da cui E = 129 − 127 = 2
La mantissa M, con il bit 1 nascosto, è 1 0 0 0 1 1 1. Il numero binario in forma esponenziale è
1,1000111⋅ 22. Il numero binario frazionario è 110,00111.
110,00111 ⇒ 22 + 2 + 0,125 + 0,0625 + 0, 03125 = 24,21875

esempio 1.3
Un algoritmo (Unità 3 par 3.5.1) per convertire il numero decimale + 0,5 in virgola mobile con singola
precisione può essere il seguente.
I passi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
0,5 ⇒ 0, 1
◗ rappresentare il numero binario in forma esponenziale normalizzata. Nel campo mantissa saranno
riportati solo i bit a destra dopo la virgola della forma esponenziale normalizzata, omettendo il bit 1
a sinistra della virgola
0 , 1 ⇒ 1 ⋅ 2−1
◗ dalla forma esponenziale normalizzatasi ricava l’esponente E = −1
◗ calcolare l’esponente sempre positivo Bias + E dove Bias = 127
Bias + E = 127 −1 = 126
◗ trasformare il nuovo esponente decimale sempre positivo Bias + E = 126 in binario
126 ⇒ 0 1 1 1 1 1 1 0
◗ definire il bit di segno del numero
Il numero + 0,5 è positivo e pertanto il bit di segno è S = 0
◗ riportare i numeri binari calcolati rispettivamente nel campo segno, esponente e mantissa (tabella 1.11).
Quest’ultima deve essere completata con i bit 0 nel rispetto dei complessi 23 bit. Considerato che la
rappresentazione è in semplice precisione, il bit 1 della parte intera della mantissa non è riportato.
tabella 1.11
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
0 0111 1110 000 0000 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

Si verifichi, con l’operazione inversa, l’esattezza del risultato dell’esempio 3.


Il segno S = 0. Il numero è positivo.
L’esponente Bias + E è 0111 1110 ⇒ 126. Da cui E = 127 − 126 = − 1
La mantissa M, con il bit 1 nascosto, è 0 0 0 0 0 0 0. Il numero binario in forma esponenziale è
1,0000000 ⋅ 2−1. Il numero binario è 0,10000000.
0,10000000 ⇒ 0 ⋅ 20 + 1 ⋅ 2−1 = 1/2 = 0,5
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14 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esercizi
svolti

1 Si converta il numero decimale intero 250 in numero binario. Si utilizzi il metodo delle divisioni per due
ripetute e quello delle differenze ripetute dei gruppi.

sti
250 2 Re 250 – 128 = 122 1 MSB
125 2 0 LSB 122 – 64 = 58 1
62 2 1 Gruppi 256 128 64 32 16 8 4 2 1 58 – 32 = 26 1
31 2 0 26 – 16 = 10 1
15 2 1 10 – 8 = 2 1
Numero binario
7 2 1 2 – 4 = ? 0
1 1 1 1 1 0 1 0
3 2 1 MSB LSB 2 – 2 = 0 1
1 2 1 0 – 1 = ? 0 LSB
figura 1.20 0 1 MSB

2 Si converta il numero decimale frazionario 18,25 in numero binario con il metodo delle divisioni ripetute
per due per la parte intera e quello delle moltiplicazioni ripetute per due per la parte frazionaria.

Parte intera Parte frazionaria


2
sti

18
Re

9 2 0 LSB 0,25 • 2 = 0,50 Parte int. 0


18,25 1 0 0 1 0 , 0 1
4 2 1 0,50 • 2 = 1 Parte int. 1
2 2 0
1 2 0
figura 1.21 0 1 MSB

3 Si trasformino i numeri binari in decimali 1 1 1 1 1 0 1 0 e 1 0 0 1 0 , 0 1


1 1 1 1 1 0 1 0 ⇒ 1 ⋅ 27 + 1 ⋅ 26 + 1 ⋅ 25 + 1 ⋅ 24 + 1 ⋅ 23 + 0 ⋅ 22 + 1 ⋅ 21 + 0 ⋅ 20 =
= 27 + 26 + 25 + 24 + 23 + 21 = 128 + 64 + 32 + 16 + 8 + 2 = 250

Utilizzando l’algoritmo si perviene allo stesso risultato.


1 1 1 1 1 0 1 0 ⇒ [({[({[(1 ⋅ 2) + 1] ⋅ 2 + 1} ⋅ 2) + 1] ⋅ 2 + 1} ⋅ 2 + 0) ⋅ 2 +1] ⋅ 2 + 0 = 250

1 0 0 1 0 , 0 1 ⇒ 1 ⋅ 24 + 0 ⋅ 23 + 0 ⋅ 22 + 1 ⋅ 21 + 0 ⋅ 20 + 0 ⋅ 2−1 + 1 ⋅ 2−2 =
= 24 + 21 + 2−2 = 16 + 2 + 0,25 = 18,25

4 Si eseguano le seguenti operazioni di somma e sottrazione binaria.

1 1 0 0 0 1 + 49 +
1 0 0 1 1 1 + 39 +
2 7 + 2 3 + 2 1 + 2 0 = 128 + 8 + 2 + 1 = 139
1 1 0 0 1 1 = 51 =
figura 1.22 1 0 0 0 1 0 1 1 139
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Unità
1Sistemi di numerazione 15
1 0 1 1 0 – 22 –
1 1 0 1 = 13 = 1 0 0 1 23 + 20 = 8 + 1 = 9

figura 1.23 1 0 0 1 9

Utilizzando il metodo del complemento a 2, si ha:

1 0 1 1 0 + 22 – 1 0 1 1 0 +
1 0 0 1 1 = (Complemento a 2) 13 = (Complemento a 1) 1 0 0 1 0 +

1 0 1 0 0 1 9 1 =

Indica che il risultato non è in complemento a 2 1 0 1 0 0 1


figura 1.24 Riporto da scartare Riporto da scartare

0 1 1 0 1 + + 13 Risultato 1 0 1 1 1
0 1 0 1 0 = Complemento a 2 – 22
Complemento a 2 di 1 0 1 1 1 è 0 1 0 0 1
1 0 1 1 1 – 9
figura 1.25 Indica che il risultato è in complemento a 2 ed è negativo
1 0 0 1 23 + 20 = 8 + 1 = – 9

5 Si trasformino i numeri decimali 30 880, 2 750 e 128 in numeri esadecimali.


Resti

Resti

Resti
30 880 16 2 750 16 128 16
1 930 16 0 0 LSB 171 16 14 E 8 16 0 0
120 16 10 A 10 16 11 B 0 8 8
7 16 8 8 0 10 A
0 7 7 MSB
figura 1.26 30 880 7 8 A 0 2 750 A B E 128 8 0

6 Si converta il numero decimale frazionario 191,45 in numero esadecimale con il metodo delle divisioni
ripetute per 16 per la parte intera e quello delle moltiplicazioni ripetute per 16 per la parte frazionaria.

Parte intera Parte frazionaria


Resti

191 16 0,45 • 16 = 7,2 Parte int. 7


191,45 B F , 7 3
11 16 15 LSB 0,20 • 16 = 3,2 Parte int. 3

0 11 MSB L'algoritmo termina perché 0,2 ⋅ 16 è periodico


figura 1.27

7 Si trasformino i numeri esadecimali 78A0h e ABEh in numeri decimali.

78A0 ⇒ 7 ⋅ 163 + 8 ⋅ 162 + 10 ⋅ 161 + 0 ⋅ 160 = 7 ⋅ 4 096 + 8 ⋅ 256 + 10 ⋅ 16 + 0 ⋅ 16 =


= 28 672 + 2 048 + 160 = 30 880

ABE ⇒ 10 ⋅ 162 + 11 ⋅ 161 + 14 ⋅ 160 = 2 560 + 176 + 14 = 2 750


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16 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

8 Si trasformino i numeri esadecimali 78A0h e ABEh in numeri binari, utilizzando la tabella 1.4 , e succes-
sivamente in decimali:

7 8 A 0
0111 1000 1010 0000 ( tabella 1.4 )
14
2 + 213 + 212 + 211 + 27 + 25 = 16 384 + 8 192 + 4 096 + 2 048 + 128 + 32 = 30 880

A B E
1010 1011 1110 ( tabella 1.4 )
211 + 29 + 27 + 25 + 24 + 23 + 22 + 21 = 2 048 + 512 + 128 + 32 +16 + 84 + 2 = 2 750

9 Si trasformino i numeri esadecimali frazionari 70,6D6h e A1,EFh in numeri decimali:

70,6D6 ⇒ 7 ⋅ 161 + 0 ⋅ 160 + 6 ⋅ 16-1 + 13 ⋅ 16-2 + 6 ⋅ 16-3 =


= 7⋅16 + 6/16 + 13/256 + 6/4 096 = 112 + 0,375 + 0,05078125 + 0,001464843 =
= 112,884277343

A1,EF ⇒ 10 ⋅ 161 + 1 ⋅ 160 + 14 ⋅ 16-1 + 15 ⋅ 16-2 = 160 + 1 + 14/16 + 15/256 =


= 161,93359375

1
10 Si calcoli, in virgola mobile a semplice precisione, il numero binario del numero decimale 54,375.

Le fasi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
54,375 ⇒ 1 1 0 1 1 , 0 1 1

◗ rappresentare il numero binario in forma esponenziale normalizzata


1 1 0 1 1 , 0 1 1 ⇒ 1 1 0 1 1 , 0 1 1 ⋅ 25

◗ calcolare l’esponente Bias (127) + E (= 5)


Bias + E = 127 + 5 = 132

◗ trasformare il numero decimale dell’esponente (Bias + E = 132) in binario


132 ⇒ 1 0 0 0 0 1 0 0

◗ definire il bit di segno del numero


Il numero + 54,375 è positivo. Il bit di segno è S = 0
◗ rappresentare i numeri binari calcolati rispettivamente nel campo segno, esponente e mantissa (tabella 1.12). Si
ricorda che, poiché la rappresentazione è in semplice precisione, il bit 1 della parte intera della mantissa
non è riportato.

tabella 1.12
S Esponente Mantissa Rappresentazione
0 10000100 101 1001 1000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
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Unità
1Sistemi di numerazione 17

8
11 Si vuole convertire il numero decimale + 1 in virgola mobile con singola precisione.

Le fasi sono:
◗ convertire il numero decimale in binario
1 ⇒ 1
◗ rappresentare il numero binario in forma esponenziale normalizzata. Nel campo mantissa saranno ripor-
tati solo i bit a destra dopo la virgola della forma esponenziale normalizzata, omettendo il bit 1 a sinistra
della virgola
1 ⇒ 1 ⋅ 20
◗ dalla forma esponenziale normalizzatasi ricava l’esponente E = 0
◗ calcolare l’esponente sempre positivo Bias (= 127) + E
Bias + E = 127 − 0 = 127
◗ trasformare il nuovo esponente decimale sempre positivo Bias + E = 127 in binario
127 ⇒ 0 1 1 1 1 1 1 1
◗ definire il bit di segno del numero
Il numero + 1 è positivo e pertanto il bit di segno è S = 0
◗ riportare i numeri binari calcolati rispettivamente nel campo segno, esponente e mantissa ( tabella 1.13).
Quest’ultima deve essere completata con i bit 0 nel rispetto dei complessi 23 bit. Considerato che la rap-
presentazione è in semplice precisione, il bit 1 della parte intera della mantissa non è riportato.
tabella 1.13
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
0 0111 1111 000 0000 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

12 Si calcoli il numero decimale del dato binario memorizzato riportato nella tabella 1.14 .
tabella 1.14
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
1 10000110 110 0110 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

Il segno S = 1. Il numero è negativo.


L’esponente Bias + E è 1000 0110 ⇒ 134. Da cui E = 134 − 127 = 7
La mantissa M, con il bit 1 nascosto, è 1 1 0 0 1 1 0. Il numero binario in forma esponenziale è
1,1100110 ⋅ 27. Il numero binario è 1110 0110 corrispondente al numero decimale – 230.

13 Si calcoli il numero decimale del dato binario memorizzato riportato nella tabella 1.15 .
tabella 1.15
S Esponente Mantissa Rappresentazione a 32 bit
1 10000010 010 0100 0000 0000 0000 0000 Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

Il segno S = 1. Il numero è negativo.


L’esponente Bias + E è 1000 0010 ⇒ 130. Da cui E = 130 − 127 = 3
La mantissa M, con il bit 1 nascosto, è 1 0 1 0 0 0 0 0. Il numero binario in forma esponenziale è
1,0100000 ⋅ 23. Il numero binario è 1010.
1 0 1 0 ⇒ 1 ⋅ 23 + 0 ⋅ 22 + 1 ⋅ 20 ⋅ 21 + 0 ⋅ 20 = 8 + 2 = 10
Il numero binario memorizzato corrisponde al numero decimale −10.
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18 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Test di verifica
■ Individua la risposta corretta tra quelle propo- 6. Quanto vale il peso del digit 1 nel numero
ste. binario 1 0 0 0?
...........................................................................
1. Il sistema di numerazione binario: ...........................................................................
❑ permette una semplilcazione della numerazione; 7. Che cosa fornisce come somma e riporto
❑ permette la scrittura dei numeri per il PC; l’addizione di 1 + 1 in binario?
❑ ha base due e quindi utilizza solo due cifre; ...........................................................................
❑ è un sistema di numerazione non pesato. ...........................................................................
8. Quale segno numerico indica il digit 1 per la
2. La moltiplicazione tra due numeri binari a 3 numerazione binaria?
cifre ha come risultato massimo:
❑ 4 cifre; ❑ 6 cifre; 9. Come si ottiene il complemento a 2 di un
❑ 5 cifre; ❑ 7 cifre. numero binario?
...........................................................................
3. Nel sistema di numerazione esadecimale la ...........................................................................
cifra più grande è: 10. Con quanti bit si rappresenta la differenza tra
❑ 8; ❑ F; la parola Word e la parola Byte?
❑ E; ❑ H. ...........................................................................
...........................................................................
4. La parola Word è costituita da: 11. Con quante cifre diverse si rappresenta il
❑ 4 bit; ❑ 16 bit; sistema di numerazione esadecimale?
❑ 8 bit; ❑ 32 bit. ...........................................................................
...........................................................................
5. Nel sistema di numerazione binaria la somma 12. Per quale motivo si utilizza il sistema di nume-
di 1 + 1 + 1: razione esadecimale?
❑ non è possibile; ...........................................................................
❑ fornisce la somma 0 e il riporto 1; ...........................................................................
❑ fornisce la somma 1 e il riporto 0; 13. Il sistema di numerazione ottale (base 8) con
❑ fornisce la somma 1 e il riporto 1. quale cifra massima è rappresentato?
...........................................................................
...........................................................................
■ Rispondi alle seguenti domande. 14. Quando l’operazione di sottrazione può esse-
re sostituita dalla operazione di somma?
1. Che cosa indica la base in un sistema di ...........................................................................
numerazione? ...........................................................................
........................................................................... 15. L’uso del complemento a 2 per i numeri binari
........................................................................... negativi quale vantaggio comporta nel sistema
2. Quale è la base del sistema di numerazione di numerazione con segno?
binaria? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 16. Per quale motivo il sistema di numerazione
3. Che cosa indica la posizione in un sistema di binario è utilizzato nei µP?
numerazione pesato? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 17. Quale è la differenza tra la rappresentazione in
4. Come si converte la parte frazionaria del virgola mobile e virgola fissa?
numero decimale in binario? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 18. Per quale motivo la rappresentazione di nume-
5. Con quali pesi si rappresenta la parte fraziona- ri in virgola mobile è più precisa rispetto a
ria in un sistema di numerazione binaria? quella in virgola fissa?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
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Unità
1Sistemi di numerazione 19
esercizi proposti
1. Si trasformino in binario i numeri decimali 1 500 e 6. Trasformare in decimale i seguenti numeri esade-
180,61. cimali FFh e BAC0h.

2. Si trasformino in decimale i numeri binari 1001100 7. Si trasformino in binario e poi in decimale i nume-
e 1110,11. ri esadecimali AAh e ABCDh.

3. Si eseguano le seguenti operazioni: 8. Trasformare in decimale i seguenti numeri esade-


cimali frazionari 9F,F9h e BA,C0h.
110011 + 10101 11011 − 1001
9. Si calcoli, in virgola mobile a semplice precisione,
4. Si eseguano le seguenti operazioni di sottrazione
il numero binario del numero decimale 6241,5.
con il metodo del complemento a 2.
12 – 9– 18 – 10. Si calcoli, in virgola mobile a semplice precisione,
10 = 14 = 18 = il numero binario del numero decimale −1.

5. Si trasformino in esadecimale i numeri decima- 11. Si calcoli, in virgola mobile a semplice precisione, il
li 7 777 e 555. numero binario del numero decimale −66,25.

12. Si calcoli il numero decimale del dato memorizzato in virgola mobile a semplice precisione riportato nella
tabella 1.16 .

tabella 1.16
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 01111110 100 0001 1111 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

13. Si calcoli il numero decimale del dato memorizzato in virgola mobile a semplice precisione riportato nella
tabella 1.17 .

tabella 1.17
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 01111100 111 0001 0000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

14. Si calcoli il numero decimale del dato memorizzato in virgola mobile a semplice precisione riportato nella
tabella 1.18 .

tabella 1.18
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 01111101 101 1000 0000 0000 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte

tabella 1.19
S Esponente Mantissa Rappresentazione
1 00001111 100 0001 0000 1111 0000 0000 32 bit Singola precisione
1 bit 8 bit 23 bit (1 bit nascosto) 4 byte
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unità 2 Dalla logica cablata a


quella programmabile
Un calcolatore elettronico può essere definito come un sistema capace di elaborare i dati
in esso immessi, seguendo opportunamente una serie di istruzioni, e di fornire in uscita i
risultati delle elaborazioni.
Un programma è l’insieme delle istruzioni, disposte in modo organico, necessarie per
elaborare convenientemente i dati.
La storia degli elaboratori, realizzati con dispositivi elettronici, inizia intorno agli anni
’40.
Per comprendere bene quali sono i principi di funzionamento dei primi elaboratori elet-
tronici, e poi di quelli successivi, fino ad arrivare ai moderni sistemi di calcolo, è neces-
sario fornire alcune informazioni di base sui dispositivi elettronici utilizzati e sui metodi
usati da essi per l’elaborazione dei dati.
È fondamentale, nello studio dei sistemi di elaborazione, conoscere il ruolo che hanno
avuto e hanno, nella evoluzione della loro architettura, i circuiti logici binari.
I dispositivi logici binari sono quelli che utilizzano solamente segnali con due valori, per
esempio due tensioni di valore diverso. Nella figura 2.1 è rappresentato un segnale logico
ideale (tensione) a due livelli.

figura 2.1 Tensione a due livelli.

Ai due livelli vengono attribuiti convenzionalmente i valori logici 0 o 1 o anche H (High)


e L (Low).
Lavorando i dispositivi logici binari con solo due livelli 0 e 1, per il loro studio si posso-
no utilizzare i principi dell’algebra di Boole e tutte le regole della numerazione binaria
(Æ Unità 1, paragrafo 1.2 del presente Modulo).
L’algebra di Boole, fu sviluppata nella metà del 1800 dal matematico inglese George Boole,
e in essa sono definiti tre operatori logici fondamentali:
◗ AND esegue il prodotto logico tra due (o più) variabili;
◗ OR esegue la somma logica tra due (o più) variabili;
◗ NOT esegue un’operazione unaria (–), detta complementazione, su una variabile.
La combinazione dei tre operatori logici di base, permette di sviluppare qualsiasi funzione
logica più complessa.
L’applicazione pratica dei tre operatori booleani è eseguita con la realizzazione delle por-
te logiche AND, OR e NOT. Queste porte non sono altro che dei dispositivi fisici (che
possono essere di tipo idraulico, meccanico, elettromeccanico, elettronico, ecc.) che rea-
lizzano le funzioni logiche dei tre operatori.
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Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 21
Nel 1938 il matematico Shannon, applicò i principi teorici dell’algebra binaria booleana, a
circuiti elettromeccanici costituiti da relè e interruttori. Da allora, a partire dai primi sistemi
di elaborazione realizzati con i relè, l’algebra di Boole, è alla base della realizzazione di
ogni sistema di calcolo.

2.1 I primi componenti elettromeccanici


ed elettronici dei calcolatori
I primi dispositivi elettronici adoperati nella costruzione dei calcolatori furono le valvole
termoioniche.

■ I relè
Prima dell’uso delle valvole termoioniche, erano utilizzati, nella costruzione degli elabora-
tori, dei componenti elettromeccanici detti relè. Un relè è un dispositivo realizzato con una
bobina (costituita da filo di rame smaltato, avvolto su un rocchetto di materiale isolante) e
da una serie di contatti elettrici che si chiudono quando alla bobina è applicata una oppor-
tuna tensione (vedere per maggiori dettagli il Modulo 3, Unità 6, paragrafo 6.1). Nella
figura 2.2 è schematizzato un relè con due contatti elettrici NA (Normalmente Aperto) e NC
(Normalmente Chiuso) ed è mostrata una sua foto. Se la bobina viene eccitata con una
opportuna tensione, si apre il contatto NC÷COM e si chiude quello NA÷COM; se si toglie
l’alimentazione alla bobina si torna alla situazione di riposo. In altri termini il contatto COM
(Comune) viene collegato con NA se la bobina è eccitata o con NC se non eccitata.

figura 2.2 Relè.

L’utilizzazione dei contatti elettrici dei relè permette di associare a ciascun contatto due
stati possibili:
◗ bobina non eccitata contatto NA÷COM aperto: non scorre corrente nel circuito collegato
ai contatti; a questo stato può essere fatto corrispondere convenzionalmente uno 0 logi-
co detto anche livello basso L (Low);
◗ bobina eccitata contatto NA÷COM chiuso: scorre corrente nel circuito, a questo stato può
essere fatto corrispondere un 1 logico detto anche livello alto H (High).
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22
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Se si utilizza il contatto NC÷COM la situazione è invertita rispetto alla precedente.


Gli stati logici 1 e 0 possono essere considerarti i due simboli presenti in un sistema di
numerazione con due soli numeri: la numerazione binaria.
Con la numerazione binaria (Æ Unità 1, paragrafo 1.2 del presente Modulo) possono es-
sere svolte tutte le operazioni matematiche che normalmente si eseguono con la numera-
zione decimale, utilizzata nella vita quotidiana.
È fondamentale il fatto che la numerazione binaria può essere associata molto facilmente
con dispositivi elettromeccanici (relè) o elettronici (valvole termoioniche, transistor, porte
logiche).
Si veda il paragrafo 6.1.1 del Modulo 3, Unità 6 per avere un’idea di come con questi dispo-
sitivi possano essere effettuate operazioni aritmetiche e logiche utilizzando i numeri binari.

■ Le valvole termoioniche
Una valvola termoionica può essere assimilata a un bulbo di vetro dal quale è stata estrat-
ta l’aria ed entro il quale sono posti alcuni elettrodi metallici e un filamento, simile a
quello delle lampadine, che, quando è portato all’incandescenza, emette elettroni. Per
facilitare l’emissione degli elettroni, il filamento è rivestito da particolari ossidi metallici ed
è denominato catodo.
Il funzionamento del dispositivo è legato essenzialmente all’emissione di elettroni da par-
te del catodo e all’azione che esercitano su di essi gli elettrodi, posti all’interno della val-
vola, polarizzati con opportune tensioni.

Nella figura 2.3 è rappresentata una valvola e, accanto a essa, un’altra a cui è stato rimosso
l’involucro di vetro per mostrare gli elettrodi presenti al suo interno. I tubi a vuoto raffi-
gurati, sono una versione più recente rispetto a quelli usati nei primi computer (di dimen-
sioni più grandi).
Una valvola, può essere utilizzata come amplificatrice di segnali o come interruttore elet-
tronico. Nel primo caso, inserita in un opportuno circuito, è in grado di amplificare l’am-
piezza (o la potenza) di un segnale elettrico.
Come interruttore, opportunamente comandata (con un segnale elettrico), può interrom-
pere la corrente che scorre in un circuito (così come un relè).
È proprio con questa modalità di funzionamento che la valvola è stata introdotta negli
elaboratori elettronici costruiti intorno al 1940.

figura 2.3
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 23
■ I transistor
Gli elaboratori elettronici che furono realizzati con le valvole erano di dimensioni enormi
e necessitavano di una notevole energia elettrica per poter funzionare. Solo dopo la rea-
lizzazione del transistore bipolare (avvenuta nel 1947) e utilizzato negli elaboratori nel 1955
i sistemi di elaborazione assumono dimensioni più compatte e necessitano per il funzio-
namento di un minor quantitativo di energia (figura 2.4).
Il principio di funzionamento del transistore bipolare (Æ Modulo 3, Unità 6, paragrafo 6.2)
detto anche BJT (Bipolar Junction Transistor), è legato al flusso di cariche elettriche all’interno
di un sottile pezzo di silicio opportunamente trattato (all’interno del silicio vengono inseriti
atomi di materiali diversi come il fosforo, l’arsenico, il boro, l’indio o altri elementi). Esternamente
un BJT ha tre elettrodi a cui vengono applicate opportune tensioni di polarizzazione. I primi
transistor erano al germanio e non al silicio. Nella figura 2.4 è rappresentato un vecchio tran-
sistore al germanio (OC72) e un altro, sempre al germanio, a cui è stato tolto l’involucro.
Accanto è mostrata la giunzione ingrandita. Si nota la lamina di nichel che sorregge un sottile
disco di germanio, detto wafer, sulle due facce del quale sono state fatte fondere delle picco-
le palline di indio. Sulle zone di fusione sono posti i contatti (che fanno capo agli elettrodi
esterni). Il tipo di giunzione del BJT rappresentato è detto alloy-junction (giunzione per lega)
e, storicamente, è il secondo tipo di giunzione sviluppato. Il primo tipo di giunzione realizza-
to fu la grown-junction (giunzione ad accrescimento). In realtà il primo transistor sviluppato
nel 1947 nei laboratori della Bell non era a giunzione, ma a punte di contatto (point contact
transistor), realizzato con sottili fili d’oro, posti a contatto con una lamina di germanio.

lamina di
nichel
germanio

indio

germanio indio

lamina
di nichel
figura 2.4

I primi esemplari del BJT OC72 furono introdotti sul mercato intorno all’anno 1955.
Così come la valvola, il transistor può essere utilizzato come amplificatore di segnali o
come interruttore elettronico.
Il reticolo posto sotto la foto nella parte alta della figura 2.4 ha i quadratini pari a 2,54 mm
di lato. Questo fa capire che le dimensioni della giunzione, nel transistor raffigurato, sono
abbastanza grandi (il wafer ha il diametro di circa 1,5 mm, ovvero una superficie di circa
1,7 mm2 ). Negli anni successivi la tecnologia impiegata per la realizzazione dei transistor
diviene più raffinata e si inizia a pensare di inserire su un unico substrato di semicondut-
tore più componenti collegati tra loro.
Con l’uso dei transistor diviene semplice realizzare le porte logiche, ovvero i circuiti elet-
tronici che implementano le funzioni logiche (AND, OR, NOT, NAND, NOR, ecc.) e ope-
rano con l’algebra di Boole (che utilizza i soli due simboli logici 0 e 1).
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24
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

■ I circuiti integrati
Un notevole impulso alla costruzione degli elaboratori elettronici viene dato dallo studio
e realizzazione dei primi circuiti integrati.
L’idea di inserire su un’unica piastrina di semiconduttore più transistor fu brevettata nel
1949 dal tedesco W. Jacobi. Nel 1958 J. Kilby (che lavorava presso la Texas Instruments),
realizzò un primo circuito funzionante, integrando su una piastrina di semiconduttore
(detta chip), alcuni transistor, collegati opportunamente tra loro. Nella sua realizzazione
Kilby utilizzò un chip di germanio. Nello stesso periodo ma indipendentemente, R. Noyce
(presso la Fairchild Semiconductor), realizzava a sua volta un circuito monolitico utilizzan-
do un substrato di silicio.
I circuiti integrati sono ottenuti integrando su un unico strato di semiconduttore (inizial-
mente germanio, poi silicio) transitori e altri componenti (diodi, resistori, condensatori)
con i relativi collegamenti, realizzando così completi circuiti elettronici che possono svol-
gere le stesse funzioni degli analoghi circuiti discreti (ovvero con i componenti collegati
tra loro con dei fili o delle piste di rame, se posti su una basetta).
La piastrina di semiconduttore, sulla quale sono integrati i vari componenti, viene spesso
chiamata chip o die.
Nel corso degli anni ’60, i BJT presenti su un integrato assumono tipicamente la dimen-
sione di circa 0,03 mm2 (50 mil2) ben inferiore a quella del transistor di figura 2.4 (1,7 mm2).
Su un chip con superficie pari a 1,6 mm2 (2500 mil2) vengono integrati circa 50 compo-
nenti. I chip, con un numero di componenti integrati inferiore a 100, vengono definiti a
bassa scala d’integrazione SSI (Small Scale Integration).
Con questa scala d’integrazione sono realizzati i primi circuiti logici contenenti un certo
numero di porte logiche AND, NAND, OR, NOR (a due o più ingressi) e NOT.
Sempre nel corso degli anni ’60 con chip di 15 mm2 si passa alla media scala di integra-
zione MSI (Medium Scale Integration), con un numero di componenti tra 100 e 1000
(ovvero che possono contenere un numero massimo di porte logiche pari a un centinaio).
Alla fine degli anni ’60 inizio anni ’70 si ha una larga scala di integrazione LSI (Large Scale
Integration) con un numero di componenti tra 1000 e 10 000 (e un numero massimo di
porte logiche pari al migliaio).
Un grande impulso all’aumento dei componenti posti sui chip è dato dalla scoperta (nei
primi anni ’60) di un tipo di transistor realizzato con tecnologia diversa da quella bipolare
(BJT), detto MOSFET (Metal-Oxide Semiconductor Field-Effect Transistor) o più semplice-
mente MOS. Un MOSFET occupa sul die un’area circa 10 volte più piccola del transistor
bipolare (per esempio 0,003 mm2 contro i 0,03 mm2 del BJT), permettendo quindi una più
grande scala d’integrazione.
L’utilizzazione dei MOS nella realizzazione degli integrati diviene fondamentale per la
costruzione di molti dispositivi relativi ai sistemi di calcolo.
◗ Le memorie RAM (a lettura e scrittura), realizzate precedentemente con i BJT, possono
memorizzare un numero maggiore di bit (16 000 bit nel 1973).
◗ Le memorie a sola lettura ROM, programmabili solo in fase di produzione, introdotte nel
1965 con tecnologia a BJT, aumentano la capacità di memorizzazione e, con successivi
sviluppi, vengono affiancate dalle PROM (memorie a sola lettura programmabili dall’uten-
te), e nel 1971 dalle EPROM (memorie a sola lettura programmabili e cancellabili con i
raggi ultravioletti).
◗ Nel 1971 nei laboratori della INTEL, un gruppo di lavoro, tra cui è presente l’italiano
Faggin, realizza il primo microprocessore (con parola a 4 bit). Su un chip di 12 mm2
vengono integrati circa 2500 transistor MOS. I segnali vengono portati verso l’esterno
attraverso 16 pin. L’Intel 4004 (così viene chiamato il dispositivo), è la prima CPU (Cen-
tral Processing Unit) completa disponibile commercialmente. È realizzata con un proces-
so di produzione di 10 mm (1 micron = 1/1000 di mm). Frequenza del clock 740 kHz.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 25
◗ Nel 1972 viene prodotto, sotto la supervisione di Faggin, il microprocessore Intel 8008 a
8 bit con frequenza massima del segnale di clock pari a 800 kHz e con contenitore a
18 pin.
◗ Nel 1974, con tecnologia di processo a 6 mm l’Intel produce l’8080.
Nella figura 2.5 è raffigurato il chip di una me-
moria EPROM con capacità di memorizzazione
pari a 2k × 8 bit di tipo NMOS (2716) prodotta
nel 1977. Il die ha una superficie di circa
15 mm2. Sono visibili nella figura i sottili fili per
il collegamento del chip con i piedini esterni.
Si è ormai entrati nell’era dei sistemi integrati
con un numero sempre crescente di compo-
nenti presenti sui chip. Le scale di integrazione
diventano VLSI (Very Large Scale Integration)
con un numero di componenti tra centomila e
un milione e poi ULSI (Ultra Large Scale
Integration) con oltre un milione di componen-
ti integrati.

Non si parla più della grandezza dei transistor,


ma di processo di produzione o tecnologia
figura 2.5 produttiva o Process Technology in quanto si
debbono valutare, oltre che la grandezza del transistor, anche i collegamenti tra i vari
componenti (integrati essi stessi sul semiconduttore) e dei processi litografici usati nella
produzione. Si ricorda che la realizzazione degli integrati viene eseguita attraverso l’inci-
sione della piastrina di semiconduttore (con opportuni processi chimici), dopo aver trat-
tato la superficie con sostanze fotosensibili e dopo averla esposta a fonti di energia lumi-
nose, attraverso maschere che sono opache in alcuni tratti.
Si passa quindi, negli anni seguenti, dal processo di produzione a 10 μm usato con l’Intel
4004, con 2500 transistor MOS, agli attuali microprocessori prodotti con tecnologia produt-
tiva a 32 nm, (ovvero 0,032 mm essendo 1 nanometro = 1/1000 di μm) con oltre 4 800 000
transistor per mm2 di die (per esempio un Intel
core i7 con tecnologia a 32 nm e con 6 core
ha 1170 milioni di transistor).
Nella figura 2.6 sono messi a confronto:
◗ un piccolo relè;
◗ una valvola del tipo utilizzata nei primi cal-
colatori elettronici;
◗ un transistor al germanio (OC 44);
◗ un integrato (7408) contenente 4 porte AND
realizzate con transistor BJT con scala d’inte-
grazione MSI (con un numero di componen-
ti inferiore a 100);
◗ la CPU 8088 prodotta inizialmente nel 1979
con tecnologia a 3 mm contenente 29000 tran-
sistor MOS. Fu utilizzata nei primi personal
computer IBM (1981). L’esemplare rappre-
sentato nella figura è del 1983.
figura 2.6
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
26
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

2.2 Sistemi logici binari


Per la realizzazione degli elaboratori elettronici, dopo l’utilizzazione delle valvole e poi dei
transistor, sono stati usati i circuiti integrati con sempre maggiore numero di componenti,
contenuti al loro interno (con scala di integrazione inizialmente LSI, poi VLSI e infine ULSI).
Inizialmente nei chip erano integrate semplici funzioni logiche (AND, OR, NAND, ecc.) e
poi anche circuiti logici più complessi.
La realizzazione di integrati contenenti porte logiche (e poi circuiti logici sempre più com-
plessi), ha permesso di rendere più semplice la costruzione degli elaboratori elettronici.
Come mostrato nella sezione digitale del corso (Modulo 1, Unità 2), con le porte logiche, è
possibile realizzare facilmente circuiti addizionatori, che sono alla base di più complessi
circuiti per l’esecuzione delle altre operazioni aritmetiche (sempre servendosi della numera-
zione binaria).

Le porte logiche AND e OR operano con due o più ingressi e un’uscita. La porta NOT con
un ingresso e un’uscita.
Con le porte logiche (AND, OR, NAND, ecc.) possono essere create reti logiche di vario
tipo in modo da sintetizzare funzioni logiche o aritmetiche più o meno complesse.
In un circuito logico in genere sono da evidenziare uno o più terminali d’ingresso e una o più
uscite. Agli ingressi sono applicati i livelli logici (0 o 1) e le uscite assumono anch’esse valori

2.2.1 Circuiti logici programmabili

Si vuole qui illustrare come sia possibile realizzare una rete logica in grado di eseguire
una serie di diverse funzioni (logiche o matematiche), al variare di un codice (binario)
posto su alcuni ingressi della rete stessa.

logici in relazione alla funzione logica implementata.


Per la comprensione del testo è necessario introdurre in modo sintetico alcune nozioni
sulle porte logiche di base. Si fa presente che spesso, la conoscenza delle funzioni relati-
ve alle porte logiche, è necessaria anche nella programmazione con linguaggi a basso (ma
anche ad alto livello).

Si prendano in esame le porte logiche AND, OR e NOT (che si trovano alla base di tutti i
circuiti logici) osservando la loro rappresentazione grafica e le tabelle della verità di cia-
scuna di esse ( figura 2.7 ).

figura 2.7
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 27

La tabella della verità mette in relazione i livelli assunti dagli ingressi di una porta con il
livello che si ha in uscita in base alla funzione logica svolta dalla porta stessa.
Le espressioni delle funzioni logiche delle tre porte sono:

◗ NOT: Y = A il livello d’uscita della porta è l’inverso di quello d’ingresso (se l’ingresso ha
un livello alto l’uscita si porta a livello basso
e viceversa).
◗ AND: Y = A ⋅ B o anche Y = A B (prodot-
to logico); come si può osservare dalla
tabella della verità l’uscita si porta a livel-
lo alto solamente quando ambedue gli
ingressi sono alti.
◗ OR: Y = A + B (somma logica); l’uscita si
porta a livello alto quando almeno uno
degli ingressi è alto.
Dalle porte AND e OR si ottengono imme-
figura 2.8
diatamente altre due porte logiche NAND
e NOR, collegando alla loro uscita una NOT.
Nella figura 2.8 sono rappresentate le due porte con la relativa tabella della verità.

■ Rete logica con ingresso programmabile


Si voglia realizzare una rete logica con tre ingressi (A, B e C) e un’uscita (U). Sugli ingres-
si B e C sono posti due bit che possono assumere i valori 00 01 10 11 (vedere la tabella
riportata nella figura 2.9).
L’insieme dei due bit rappresenta il dato d’ingresso della rete.
Sull’ingresso A è posto un codice di comando che può assumere (in questo caso)
solo due valori (livello basso o alto). In corrispondenza del codice posto sull’ingresso A,
la rete logica deve eseguire sul dato posto sugli ingressi B e C l’operazione logica AND (se
A = 0) o OR (se A = 1).
Nella figura 2.9 è illustrato il sistema con la tavola della verità e la rete logica che svolge le
funzioni richieste.

figura 2.9
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
28
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

La funzione logica U = AC + AB + BC è stata ottenuta dalla tabella della verità con op-
portuni metodi di minimizzazione. La rete logica può essere disegnata partendo diretta-
mente dalla tabella della verità con il programma di simulazione Multisim (Æ Modulo 4,
Unità 2, paragrafo 2.3.1).

Nel semplice esempio possono essere eseguite solamente due diverse operazioni (logiche),
ma, se portiamo a due le linee del codice, è già possibile eseguire sul dato, quattro
operazioni diverse.

La rete realizzata può essere considerata un semplice esempio di sistema programma-


bile, nel senso che, ponendo sulla linea d’ingresso A (linea del codice) un livello alto o
basso, e sulle linee B e C (linee dati) un dato di due bit (che può essere: 00 01 10 11),
viene eseguita sul dato l’operazione logica AND o OR in base al codice presente sulla
linea A (il risultato è posto sull’uscita U).

Nella tabella 2.1, per esempio, si eseguono le operazioni AND, OR, NAND, NOR con un
dato sempre di due bit, ma con un codice di due bit (2n operazioni diverse, con n = 2 c’è
la possibilità di eseguire quattro operazioni).

tabella 2.1
Linee codice Linee dato

A B C D U
0 0 0 0 0
A
0 0 0 1 0
N
0 0 1 0 0
D
0 0 1 1 1
0 1 0 0 1
N
0 1 0 1 0
O
0 1 1 0 0
R
0 1 1 1 0
1 0 0 0 0
1 0 0 1 1 O
1 0 1 0 1 R
1 0 1 1 1
1 1 0 0 1
N
1 1 0 1 1 A
1 1 1 0 1 N
D
1 1 1 1 0

La funzione logica minimizzata è:


– – – ––
U = ACD + BCD + ACD + BCD
Nella figura 2.10 è riportata la rete logica che realizza la funzione (www.auladigitale.rcs.it,
Modulo 1, Unità 2).

Si può affermare quindi, che aumentando il numero di bit del codice diviene sempre
maggiore il numero di operazioni diverse che possono essere effettuate. Per esempio, con
un codice a otto bit si possono eseguire 256 (28) operazioni diverse. Possono poi essere
aumentate anche le linee dei dati operando quindi su parole con maggior numero di bit.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 29

figura 2.10

Si tenga presente che con le reti logiche possono essere realizzati anche sistemi che ese-
guono operazioni aritmetiche (somma, sottrazione, ecc. vedere nella sezione digitale
Modulo 1, Unità 2 un sommatore) e pertanto, è possibile realizzare sistemi che, attraverso
dei codici di comando, eseguono sia operazioni logiche che aritmetiche.

Un dispositivo in grado di eseguire operazioni logiche e aritmetiche è comunemente


chiamato ALU (Arithmetic Logic Unit) ed è inserito all’interno della CPU (Central Processing
Unit) che costituisce l’elemento fondamentale, dei sistemi di elaborazione. La CPU è
anche chiamata microprocessore.

L’ALU nella struttura dei calcolatori, come elemento di calcolo, fu introdotta per la prima
volta intorno all’anno 1945, dal matematico John von Neuman, e applicata successivamen-
te nella costruzione dell’elaboratore EDSAC (Electronic Delay Storage Automatic Calculator)
in Inghilterra (terminata nel 1949) e
dell’EDVAC (Electronic Discrete
Variable Automatic Calculator) negli
Stati Uniti (terminata nel 1952).
L’architettura di von Neuman (che
comprende tra l’altro l’ALU), è quel-
la poi adottata nei moderni elabora-
tori.
Al crescere delle operazioni a cui è
preposta l’ALU, aumenta la comples-
sità della rete logica. Per questo, nor-
malmente, per realizzare l’ALU, si
esegue uno schema di progettazione
modulare come quello riportato in
figura 2.11.

figura 2.11
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
30
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Una serie di blocchi eseguono ciascuno un’operazione (logica o aritmetica). Solo un risul-
tato alla volta delle operazioni eseguite (scelto in base al codice) viene posto in uscita per
mezzo di un circuito logico detto multiplexer.
Nel sistema della figura 2.11 le quattro funzioni logiche (AND, NAND, OR e NOR) sono
svolte dalle rispettive quattro porte logiche al cui ingresso, in parallelo, sono inviati i due
bit di dati. Le uscite delle quatto porte, confluiscono nel multiplexer, che in base al codi-
ce posto sugli ingressi A e B, invia all’uscita U, solo quello di una delle porte. Anche il
multiplexer è realizzato con una rete logica.
Nella sezione digitale del corso viene proposto un esempio con sommatore a due bit
(Modulo 1, Unità 2).

2.2.2 Sistemi logici combinatori e sequenziali

Nello studio dei sistemi è necessario identificare i loro elementi fondamentali e le azioni
che intercorrono tra essi, in altre parole individuare le grandezze, suscettibili di modifiche,
direttamente o indirettamente, definite variabili del sistema.
Tali variabili sono suddivise in:
◗ variabili d’ingresso I0, I1, ... (sono le sollecitazioni che possono essere variate direttamen-
te dall’intervento dell’uomo);
◗ variabili che rappresentano i disturbi N0, N1, ... (sollecitazioni non manipolabili);
◗ variabili d’uscita U0, U1, ... (sono le azioni che il sistema esercita sull’ambiente);
◗ variabili di stato Q0, Q1, ... (o variabili interne, sono le grandezze che descrivono l’evo-
luzione interna del sistema e contengono informazioni sulla sua storia passata e consen-
tono di determinarne gli stati futuri).

Sistemi logici combinatori - Se in una rete i livelli logici assunti dalle uscite in un
certo istante dipendono solamente dai livelli presenti sugli ingressi del sistema in
quell’istante, il circuito è detto combinatorio.

■ Esempio di rete logica combinatoria


Si vuole azionare la serratura di una cassaforte con apertura a combinazione, servendosi
di otto interruttori ognuno dei quali fornisce al sistema un livello alto o basso (a seconda
della posizione in cui si trova).
Gli interruttori sono collegati a un comparatore di uguaglianza che confronta i livelli for-
niti da essi con quelli impostati all’interno del dispositivo. Quando c’è uguaglianza tra i
valori impostati e i livelli forniti dagli interruttori (combinazione esatta), l’uscita del com-
paratore si porta a un livello alto e, il sistema di azionamento della serratura, porta l’usci-
ta Us (uscita serratura) a livello alto (per sbloccare la serratura di apertura). Se la combi-
nazione è errata, l’uscita del comparatore è bassa e l’uscita Us (uscita serratura) si trova
anch’essa a un livello basso (per bloccare la serratura).

Gli otto interruttori possono fornire al sistema 256 (28) combinazioni da 0000 0000 (tutti
livelli bassi) a 1111 1111 (tutti livelli alti). Una sola delle combinazioni è in grado di sbloc-
care la serratura e accendere il LED verde. Le altre 255 combinazioni mantengono il LED
rosso acceso e la serratura bloccata (figura 2.12).
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Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 31

figura 2.12

Il sistema è combinatorio perché le uscite sono attivate o disattivate tenendo conto solo
della combinazione che hanno gli interruttori, posti in ingresso, in un certo istante.

Sistemi logici sequenziali - Sono definiti sistemi sequenziali (o con memoria) quei
sistemi in cui i valori assunti dalle variabili d’uscita, all’istante generico ti, dipendono
dalla storia passata del sistema e non possono essere determinati conoscendo solamen-
te il valore assunto dalle variabili d’ingresso in quell’istante.

Nei sistemi sequenziali quindi, i valori assunti dalle variabili d’uscita in un certo istante
non possono essere determinati conoscendo solamente il valore assunto dalle variabili
d’ingresso in quell’istante poiché dipendono anche dalla storia passata del sistema. Nelle
reti sequenziali debbono essere presenti elementi di memoria che tengano conto dei
precedenti stati della rete.
Nella figura 2.13 sono rappresentate schematicamente una rete combinatoria e una rete
sequenziale. In quest’ultima sono evidenziati gli elementi di memoria. Si tenga presente
che generalmente gli elementi di memoria sono dei circuiti sequenziali detti flip-flop
(www.auladigitale.rcs.it, Modulo 1, Unità 2).
È da notare che le uscite delle memorie diventano altri ingressi (Q0÷Qp), considerati come
ingressi interni della rete combinatoria.

figura 2.13
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
32
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

2.2.3 Esempi di reti logiche sequenziali

■ Azionamento sistema di apertura di una cassaforte


Si riprenda l’esempio precedente della cassaforte. Si vuole aumentare il tempo necessario
nella ricerca della combinazione adatta ad aprirla. È da tenere presente che variando di
volta in volta la posizione degli interruttori prima o poi (dopo aver provato un massimo
di 256 combinazioni) si giunge alla combinazione esatta.
Con gli otto interruttori la probabilità di individuare la combinazione è di 1/256. Se si
aumentano gli interruttori, portandoli per esempio a dieci, si hanno 1024 combinazioni
(210) e la probabilità diviene di 1/1024. Con sedici interruttori si hanno 65 536 combina-
zioni (216) e la probabilità diviene di 1/65 536.
Senza però aumentare il numero di interruttori, si renda almeno più lungo il periodo ne-
cessario per individuare la combinazione.
Si ricorra alla seguente procedura:

figura 2.14

Si aggiunga agli otto interruttori un pulsante (P) in ingresso che fornisce al sistema un
livello alto ogni volta che viene premuto. La combinazione impostata sugli interruttori è
letta dal sistema solo quando viene premuto il pulsante.
Il sistema, inoltre, dopo aver letto la combinazione, se essa risulta errata, accetta ancora
un’altra combinazione e, se esatta sblocca il sistema di apertura della serratura (Us a li-
vello alto), altrimenti blocca la possibilità di altre letture per un periodo di tempo predeter-
minato (figura 2.14).
L’aggiunta del pulsante è resa necessaria perché altrimenti il sistema acquisirebbe la com-
binazione ogni volta che si aziona un interruttore.
Il timer serve per ritardare l’introduzione di una nuova combinazione, dopo che ne sono
state introdotte due errate.

In questo caso il sistema per lo sblocco dell’apertura non può più essere combinato-
rio perché, se la combinazione impostata non è corretta, esso deve ricordare che è
stata già impostata una combinazione, per poter bloccare poi l’apertura se anche la
successiva è errata.
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Unità
2 Dalla logica cablata a quella programmabile 33
Deve quindi essere implementato un sistema a logica sequenziale con elementi di memoria,
che memorizzino il numero di combinazioni errate impostate.

■ Distributore di bevande
Si consideri come semplice esempio di rete sequenziale un distributore di bevande auto-
matico. Per non rendere complesso il sistema si fanno le seguenti ipotesi semplificative:
◗ viene distribuita una lattina di un solo tipo di bevanda;
◗ la lattina viene rilasciata dopo aver inserito nella macchina una moneta del valore ri-
chiesto e dopo aver premuto un pulsante che fornisce al sistema un segnale di valore alto;
◗ il controllo del valore esatto della moneta è affidato a un meccanismo separato che, quando
il valore della moneta corrisponde a quello desiderato, fornisce al sistema un segnale logico
a livello alto per tornare poi a livello basso dopo 1 secondo (figura 2.15);

figura 2.15

Nel sistema sono presenti due ingressi (M moneta e P pulsante) e una sola uscita (B be-
vanda). Si possono quindi definire le seguenti variabili ( tabella 2.2 ):

tabella 2.2 Ingresso M=0 Moneta non introdotta


M=1 Moneta introdotta
P =0 Pulsante non premuto
P =1 Pulsante premuto
Uscita B =0 Bevanda non rilasciata
B =1 Bevanda rilasciata

Introducendo la moneta, una volta che ne è stato riscontrato il valore esatto, il meccanismo di
riconoscimento monete porta alto l’ingresso M per 1 secondo. Il sistema rimane quindi in atte-
sa che venga premuto il pulsante, avendo memorizzato l’introduzione della moneta. Se l’utente
che ha introdotto la moneta si allontana non avendo premuto il pulsante, un altro utente può
ricevere la bevanda senza introdurre un’altra moneta, premendo semplicemente il pulsante.

In questo caso il sistema per il rilascio della bevanda non può essere combinatorio,
perché deve essere in grado di memorizzare l’avvenuta introduzione della moneta.

Quando i circuiti sequenziali diventano complessi la loro rappresentazione con i diagram-


mi di stato diviene difficile ed è quindi conveniente utilizzare, in questi casi, dispositivi
a logica programmabile.
In questi, le funzioni che il sistema deve svolgere sono realizzate per mezzo di un programma
che controlla il dispositivo programmabile: un microprocessore, un PLC o ancora un mi-
crocontroller, dispositivo simile a un microprocessore, in genere con ridotto set d’istruzioni
e con funzioni dedicate al controllo di porte d’input/output (già implementate nel chip stesso).
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unità 3 Gli automi a stati finiti


e la macchina di Turing
3.1 Evoluzioni nel tempo di un sistema sequenziale
Per descrivere le evoluzioni nel tempo di un sistema sequenziale, ovvero come esso pas-
si da uno stato all’altro quando è sottoposto alle sollecitazioni degli ingressi esterni, pos-
sono essere utilizzati i grafi di flusso (detti anche diagrammi degli stati) e le tabelle di
transizione degli stati.
Nella rappresentazione mediante i grafi di flusso ogni stato è rappresentato con un cerchio
o nodo, al cui interno ne è indicato il nome (S1, S2), e i vari nodi sono collegati con archi
orientati che indicano il verso di percorrenza.
I grafi di flusso sono completati aggiungendo indicazioni sulla situazione degli ingressi
esterni che determinano la transizione da uno stato all’altro, e dal valore assunto dalle
uscite in ciascuno di essi.
Le tabelle di transizione, invece, sintetizzano il grafo, specificando lo stato interno suc-
cessivo e il valore assunto dall’uscita in corrispondenza del segnale d’ingresso e dello
stato interno in cui si è portato il sistema.
In genere un sistema sequenziale, con il variare dei livelli presenti sugli ingressi esterni
(ma anche di quelli interni), passa da uno stato a un altro, modificando eventualmente i
livelli delle uscite.

■ Distributore di bevande
Si riprenda l’esempio del distributore di bevande e si compili la tabella 3.1.
tabella 3.1 Ingresso M= 0 Moneta non introdotta
M= 1 Moneta introdotta
P =0 Pulsante non premuto
P =1 Pulsante premuto
Uscita B =0 Bevanda non rilasciata
B =1 Bevanda rilasciata

Dall’esame della tabella 3.1 si può affermare quanto segue:


◗ in un primo momento il sistema si trova in uno stato iniziale (che definiamo S0) in cui è
in attesa che venga introdotta una moneta (è M = 0).
◗ Quando viene introdotta una moneta (M = 1), il sistema passa a un secondo stato (S1) senza
erogare la bevanda (uscita B = 0) e vi rimane in attesa che venga premuto il pulsante.
◗ Nel momento in cui viene premuto il pulsante (P = 1), il sistema passa a un terzo stato
(S2) erogando in questo caso la bevanda (B = 1) e rimane in esso in attesa che il livello
del segnale fornito dal pulsante torni a livello basso.
◗ Quando il segnale torna a livello basso (P = 0), il sistema si riporta allo stato iniziale (S0)
pronto per iniziare un nuovo ciclo.
Le fasi riportate nella discussione possono essere riprodotte per mezzo di un diagramma,
detto grafo di flusso, con le seguenti convenzioni:
◗ ogni stato è rappresentato con un cerchio all’interno del quale è posto il suo nome (per
esempio S0) e il valore che assume l’uscita (o le uscite) in esso;
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 35
◗ il collegamento tra i vari stati è fatto con
degli archi orientati al di sopra dei quali è
posto il valore che assume l’ingresso (o gli
ingressi) che portano il sistema da uno
stato all’altro.
Nella figura 3.1 è riportato il grafo di flusso
del sistema distributore di bevande.

Il grafo di flusso (o diagramma degli stati) può


essere posto anche in forma di tabella (tabel-
la degli stati) rappresentata nella tabella 3.2.
figura 3.1
tabella 3.2

Valori assunti dagli Ingressi e stati a cui si porta il sistema


Stato di partenza
M=0 P=0 M=0 P=1 M=1 P=1 M=1 P=0
S0 [B = 0] ⇒ S0 [B = 0] S0 [B = 0] S0 [B = 0] S1 [B = 0]
S1 [B = 0] ⇒ S1 [B = 0] S2 [B = 1] S1 [B = 0] S1 [B = 0]
S2 [B = 1] ⇒ S0 [B = 0] S2 [B = 1] S2 [B = 1] S2 [B = 1]

Come è possibile vedere dal grafo di flusso (o dalla tabella degli stati), il sistema si porta
dallo stato S0 a quello S1 quando si introduce la moneta (ingresso M = 1 e P = 0) e, solo
quando si preme il pulsante (ingresso P = 1), il sistema si porta allo stato S2 ed eroga la
bevanda (uscita B = 1). Esso poi torna allo stato iniziale con M = 0 e P = 0.
Come è possibile osservare dalla tabella 3.2, si è scelto, in modo del tutto arbitrario, di
mantenere il sistema allo stato in cui si trova nel caso che gli ingressi assumano la confi-
gurazione non utilizzata P = 1 e M = 1

■ Azionamento sistema di apertura di una cassaforte


Si riprenda ora l’esempio del sistema sequenziale per l’apertura della cassaforte e se ne
tracci il relativo grafo di flusso.
Per semplificare il problema si supponga che l’insieme degli otto interruttori che forniscano
la combinazione facciano capo a un circuito che confronti il codice fornito dagli interrut-
tori, con quello esatto di apertura e, se uguali, fornisca al sistema un valore alto.
Nel sistema sono presenti quindi due ingressi (C combinazione esatta e P pulsante) e una
sola uscita (A apertura). Per semplicità non si tiene conto del ritardo da introdurre dopo la
seconda combinazione errata.
Si possono quindi definire le seguenti variabili riportate nella tabella 3.3:

tabella 3.3 Ingresso C=0 Combinazione errata


C=1 Combinazione esatta
P=0 Pulsante non premuto
P=1 Pulsante premuto: lettura combinazione
Uscita Us = 0 Serratura bloccata
Us = 1 Serratura sbloccata
ULr = 0 LED rosso spento: serratura sbloccata
ULr = 1 LED rosso acceso: serratura bloccata
ULv = 0 LED verde spento: serratura bloccata
ULv = 1 LED verde acceso: serratura sbloccata
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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

◗ Inizialmente il sistema si trova in uno stato iniziale (S0) in cui è in attesa che venga pre-
muto il pulsante e la serratura è bloccata (Us = 0).
◗ Nel momento in cui viene premuto il pulsante (P = 1):
1. se la combinazione è errata (C = 0) il sistema passa allo stato (S1) e la serratura è
mantenuta bloccata (Us = 0).
2. se la combinazione è esatta (C = 1), il sistema passa allo stato (S2) e sblocca la serra-
tura (uscita Us = 1).
◗ Nello stato S1 il sistema rimane in attesa che il pulsante venga rilasciato e diventi P = 0.
Poi si porta nello stato S3.
◗ Il sistema rimane nello stato S3 in attesa che l’utente, non sbloccandosi la serratura, di-
giti una nuova combinazione e poi prema il pulsante (P = 1):
1. se la combinazione è errata (C = 0) il sistema passa allo stato (S5) e la serratura è
mantenuta bloccata (Us = 0).
2. se la combinazione è esatta (C = 1), il sistema passa allo stato (S2) e sblocca la serra-
tura (uscita Us = 1).
◗ Nello stato S2 il sistema attende che l’utente, dopo aver aperto la cassaforte, la richiuda
e poi imposti una combinazione errata (C = 0) e quindi prema di nuovo il pulsante (P = 1).
Con P = 1 e C = 0, il sistema si porta nello stato S4 in attesa che il pulsante venga rila-
sciato e diventi P = 0. Quindi ritorna allo stato iniziale (S0) pronto per cominciare un
nuovo ciclo. Se non viene impostata una combinazione errata e non viene premuto il
pulsante, il sistema rimane nello stato S2.
◗ Nello stato S5 il sistema rimane in attesa che termini il tempo di ritardo impostato nel
timer (per impedire che venga introdotta una nuova combinazione), dopo di che si ri-
porta allo stato iniziale (S0) pronto per cominciare un nuovo ciclo.

È necessario introdurre lo stato S1 per evitare che il sistema con il pulsante ancora premuto
(P = 1), si porti allo stato S3 e subito dopo (essendo ancora P = 1 e C = 0) in S5, rendendo
impossibile l’introduzione di una nuova combinazione. Lo stesso dicasi per lo stato S4.
Si tenga presente che il passaggio da uno stato all’altro è legato alla frequenza del segna-
le di clock applicato al sistema. Per esempio con un clock a f = 10 Hz (con periodo
T = 1/f = 0.1 s), il passaggio da uno stato all’altro avviene con questo intervallo di tempo.
Nella figura 3.2 è rappresentato il grafo di flusso del sistema.

figura 3.2
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 37

Se un sistema sequenziale ha un insieme finito di stati interni, di variabili d’ingresso


e di variabili d’uscita e se è possibile identificare in esso uno stato iniziale e uno fina-
le, il sistema è definito macchina sequenziale a stati finiti o AUTOMA a stati finiti.

Un sistema logico sequenziale, se risponde alle ipotesi precedentemente fatte, può pertan-
to essere rappresentato con un automa a stati finiti. Si può procedere quindi alla proget-
tazione di una rete logica sequenziale utilizzando la teoria degli automi.
Spesso le evoluzioni nel tempo che compie un sistema sequenziale sono legate a un segnale
impulsivo a esso applicato detto segnale di clock.

I sistemi sequenziali sono definiti:


• sincroni quando la variazione delle variabili d’ingresso influenza il sistema solo in
sincronismo con il segnale di clock applicato al sistema stesso;
• asincroni quando la variazione delle variabili d’ingresso influenza subito (a parte i
ritardi interni) l’evoluzione del sistema.

3.2 Modelli di Moore e Mealy


Nello studio della teoria degli automi sono presi in considerazione due modelli, detti di
Moore e di Mealy, che pur essendo diversi per il modo con cui definiscono l’evoluzione
del sistema, possono essere considerati equivalenti.
Nei due modelli di Moore e di Mealy le indicazioni aggiuntive poste nei grafi di flusso
sono disposte in forma diversa.
Esplicitando lo schema generico di un sistema sequenziale riportato nella figura 3.1, dividendo
la rete combinatoria in due distinte reti, una per l’ingresso e l’altra per l’uscita, si ottengono le
due tipologie relative agli automi di Moore e di Mealy rappresentate nella figura 3.3.

figura 3.3

Si deve mettere in evidenza che:


◗ per l’automa di Moore gli ingressi della rete d’uscita sono le sole variabili di stato;
◗ per l’automa di Mealy gli ingressi della rete d’uscita sono le variabili di stato e gli in-
gressi esterni.
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38
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Nella figura 3.2, la scelta fatta nell’attribuire i nomi alle uscite degli elementi di memoria (Q1,
Q2, ... QP) e ai rispettivi ingressi (D0, D1, ... DP), anche se arbitraria, è legata al fatto che, come
si vedrà nel seguito, tali elementi di memoria saranno costituiti da flip-flop di tipo D, o di
tipo T o di tipo J-K. Pertanto, mentre le uscite saranno denominate sempre Q1, Q2, ... QP, gli
ingressi di volta in volta, in base ai flip-flop utilizzati, assumeranno la denominazione D0, D1,
... DP (con flip-flop di tipo D), T0, T1, ... TP (con il tipo T), J0-K0, J1-K1, ... JP -KP (con il tipo J-K).
Inoltre, trattandosi di reti sincrone, gli elementi di memoria (ovvero i flip-flop) saranno pi-
lotati con un opportuno segnale di clock.
Ai due modelli descritti, corrispondono poi anche due diverse rappresentazioni grafiche
realizzate con il diagramma degli stati.
Modello di Moore: all’interno d’ogni cerchio è riportata la configurazione delle variabili
d’uscita corrispondenti allo stato attuale in cui si trova il sistema, e accanto agli archi
orientati il valore che debbono assumere le variabili d’ingresso per portare il sistema
nello stato successivo ( figura 3.4 ). A volte è usato per la rappresentazione un modello
semplificato in cui sono omessi i nomi delle variabili d’ingresso I e di uscita U. È anche
possibile che il sistema non cambi stato per alcuni valori degli ingressi.

figura 3.4

Modello di Mealy: all’interno d’ogni cerchio è riportato il solo simbolo indicante lo stato.
Accanto agli archi orientati invece è posta la configurazione delle variabili d’ingresso che
portano il sistema in un nuovo stato e il valore delle variabili d’uscita corrispondenti allo
stato in cui esso si è portato ( figura 3.5 ).

figura 3.5

3.3 Automi riconoscitori di sequenze


Particolare importanza assumono nell’informatica gli automi riconoscitori di sequenze (o
anche di stringhe) appartenenti a un certo linguaggio. Si hanno le seguenti definizioni:
◗ alfabeto: insieme finito di simboli;
◗ stringa: un insieme (finito) di simboli, appartenenti a un certo alfabeto, non separati da
spazi o virgole, posti uno dopo l’altro;
◗ linguaggio: un’insieme di stringhe (appartenenti a un certo alfabeto).
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 39
Esempi:
Σ {a, b, c, d, e, f, g, h, i, j, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, u, v, w, x, y, z} alfabeto composto
dalle lettere minuscole. Esempio di stringhe di questo alfabeto: if, then, while, add.
Σ {A, R} alfabeto composto dalle due sole lettere A e R. Esempio di stringhe di questo
alfabeto: ARA, ARR, AARR, AAAR.
Σ {0, 1} alfabeto composto dai due soli numeri 0 e 1. Esempio di stringhe di questo alfa-
beto: 010, 001101, 11.
Gli automi riconoscitori di sequenze sono quelli sul cui ingresso viene posta una sequen-
za di bit (o più in generale di simboli di un certo alfabeto) e, sono in grado di riconosce-
re se la sequenza corrisponde esattamente a una data configurazione. I bit della sequenza
vengono introdotti in successione a intervalli di tempo prestabiliti, uno dopo l’altro.
Sono automi riconoscitori anche quelli che sono capaci di riconoscere se una stringa ap-
partiene a un certo linguaggio. È chiaro che, in questo caso, per implementare l’automa
non sono utilizzate le porte logiche, ma si ricorre ad algoritmi software utilizzando un
qualche linguaggio di programmazione.

esempio 3.1
Si ricavi il grafo di flusso di un automa al cui ingresso sono inviati caratteri di un alfabeto composto dai
soli due caratteri A e R. Il sistema deve essere in grado di attivare una sua uscita se riconosce nei
caratteri ricevuti la stringa ARA.
Per tracciare il diagramma a blocchi dell’automa potrebbe essere presa in considerazione la seguen­
te regola: dallo stato iniziale S0 si procede verso lo stato finale, ogni volta che viene riconosciuto un
carattere della sequenza d’ingresso (ARA). Se il carattere successivo a uno corretto è errato, si ritorna
allo stato iniziale. Quando si giunge allo stato S3, l’uscita è portata a livello alto e si ritorna a S0 (sia
che il carattere successivo sia A che R) per iniziare il riconoscimento di una nuova sequenza. Questa
procedura però non tiene conto di percorsi alternativi più brevi che rendono l’automa più efficiente. Si
segua pertanto, per tracciare il diagramma di flusso, la procedura seguente ( figura 3.6 ).

figura 3.6

Se per esempio i caratteri ricevuti sono ...ARR ARA RARR...:


1. al primo carattere, se è A, l’automa si porta in S1, altrimenti rimane in S0;
2. al secondo, se è R, si porta in S2, se invece è A rimane in S1 in quanto esso potrebbe essere il
primo carattere della stringa che deve essere riconosciuta; rimane in questo stato fino all’arrivo di
un carattere R;
3. in S2, se il carattere è R, torna in S0 in quanto il riconoscimento della sequenza deve iniziare da
capo; se invece si riceve A, si porta in S3 e il riconoscimento della sequenza è completo;
4. con l’arrivo di un nuovo carattere (dopo il riconoscimento della sequenza), se esso è R il sistema ri­
torna in S0, se è A si porta in S1 in quanto potrebbe essere il primo carattere di una nuova stringa.
Questo automa, non riconosce sequenze concatenate. Se infatti si osserva la serie di caratteri ricevu­
ti, si può osservare che concatenata con la prima sequenza ARA ce ne è una seconda non rilevata
dall’automa:
...ARR ARA RARR...
È possibile implementare un automa che riconosce anche la seconda sequenza concatenata.
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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esempio 3.2
Si ricavi il grafo di flusso di un automa al cui ingresso sono inviati caratteri di un alfabeto composto dai
soli due caratteri A e R. Il sistema deve essere in grado di attivare una sua uscita se riconosce nei
caratteri ricevuti la stringa ARA. L’automa deve essere in grado di riconoscere anche stringhe conca-
tenate.
La modifica da apportare al precedente diagramma è minima.
Nello stato S3, quando si è ricevuto l’ultimo carattere (A) della stringa ARA, poiché esso potrebbe
essere anche il primo carattere della stringa concatenata, se viene ricevuto R ci si deve portare nello
stato S2 (e non in S0) in modo che al successivo carattere (se è A) viene completato il riconoscimen­
to della seconda stringa concatenata ( figura 3.7 ).

figura 3.7

3.4 Alcuni esempi di grafi di flusso per Moore e Mealy

esempio 3.3
Si realizzi il diagramma degli stati di un automa di Moore che descriva un sistema (con un solo ingresso
I e una sola uscita U) realizzato con un interruttore connesso all’ingresso I e un Led all’uscita U.
Il sistema deve cambiare stato ogni volta che l’interruttore fornisce un livello che passa dallo stato
basso a quello alto (fronte di salita).

Si tenga presente che, essendo il sistema sincrono, le variazioni di livello che avvengono sull’ingresso
influenzano le uscite degli elementi di memoria (variabili di stato) solamente con l’arrivo del segnale di
clock.
Sia S1 lo stato iniziale in cui si presuppone che l’uscita si trovi a livello basso (LED spento).

– Se I = 0 il sistema permane nello stato iniziale.


– Quando diviene I = 1, si genera un fronte di salita sull’ingresso e quindi il sistema passa allo stato
S2 e vi rimane fin quando I = 1. In tale stato l’uscita assume livello alto (LED acceso).
– Quando I = 0 non si può ritornare subito allo stato S1 perché diverrebbe U = 0 e invece l’uscita
deve cambiare stato solamente con un fronte di salita generato con l’interruttore.
Si deve quindi portare il sistema allo stato S3 dove U = 1.
– Solo quando diviene I = 1 (fronte di salita) si passa allo stato S4 che porta U = 0.
– Quando poi diviene nuovamente I = 0 si torna allo stato iniziale con il LED spento.

Il diagramma degli stati del sistema descritto è riportato nella figura 3.8.
Essendo presenti nel sistema 4 stati, esso ha 2 variabili di stato (Q1 e Q0).
Lo stesso sistema può essere descritto con l’automa di Mealy ottenendo il diagramma riportato in

figura 3.9 .
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3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 41


Unità

I=0 I=0
U=0
S1
S1 I=1
U=0 I=0 U=1
I=0 I=1 U=0

I=1 I=1
I=1 I=1 U=0 U=1
S4 S2
S4 S2
U=0 U=1

S3 I=0 I=1 I=0


I=1 U=0 S3 U=1
U=1

I=0 I=0
figura 3.8 figura 3.9 U=1

Tabella di transizione degli stati per il diagramma di Moore


Dal diagramma tracciato si può ricavare la tavola di transizione degli stati. Essendo presenti nel si­
stema 4 stati denominati S1, S2, S3 e S4, occorrono 2 variabili di stato (Q1 e Q0 ) che possono
essere associate arbitrariamente agli stati come nella tabella 3.4 . In tale tabella sono riportati anche
i livelli che assume l’uscita nei vari stati.
Nella tabella 3.5 , nella prima colonna, è indicato lo stato da cui si parte, e nelle altre colonne quello
in cui si porta il sistema in base al livello assunto dall’ingresso.
In questa tabella sono riportati, accanto agli stati, anche i valori assunti dalle variabili di stato (tra
parentesi quadre).

tabella 3.4 tabella 3.5

Stato Q1 Q0 U I
Stato di partenza
0 1
S1 0 0 0
S2 0 1 1 S1 [0 0] ⇒ S1 [0 0] S2 [0 1]
S3 1 1 1 S2 [0 1] ⇒ S3 [1 1] S2 [0 1]
S4 1 0 0 S3 [1 1] ⇒ S3 [1 1] S4 [1 0]

Nota: associare con lo stato S3 il valore S4 [1 0] ⇒ S1 [0 0] S4 [1 0]


1 1 delle variabili di stato invece di 1 0
semplifica le successive procedure di
sintesi della rete.

Tabella di transizione degli stati per il diagramma di Mealy


Si associano arbitrariamente agli stati i valori delle variabili di stato ma non dell’uscita ( tabella 3.6 ).
Nella tabella 3.7 , nella prima colonna è indicato lo stato da cui si parte e nelle altre colonne quello in
cui si porta il sistema in base al livello assunto dall’ingresso. Accanto a ogni stato è riportato il valore
assunto dall’uscita.

tabella 3.6 tabella 3.7

Stato Q1 Q0 I
Stato di
partenza 0 1
S1 0 0
S2 0 1 S1 [0 0] ⇒ S1/0 S2/1
S3 1 1 S2 [0 1] ⇒ S3/1 S2/1
S4 1 0 S3 [1 1] ⇒ S3/1 S4/0
S4 [1 0] ⇒ S1/0 S4/0
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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esempio 3.4
Si voglia realizzare un sistema digitale che effettui il controllo di un dispositivo elettromeccanico come
quello illustrato nella figura 3.10. Questo sistema è costituito da un asse (vite senza fine), posto in ro-
tazione da un motore; su esso si muove una chiocciola che può variare il senso di marcia facendo
ruotare il motore nel verso opposto a quello precedente. In prossimità delle due estremità dell’asse
sono posti due switch di fine corsa azionati dalla chiocciola. I fine corsa forniscono in condizione di
riposo un livello basso e, quando attivati, un livello alto.
Il sistema di controllo deve essere in grado di variare il verso di marcia della chiocciola, invertendo il
senso di rotazione del motore, ogni volta che essa giunge su una delle estremità dell’asse e aziona il
corrispondente fine corsa (SW1 o SW2).

VITE SENZA FINE

CHIOCCIOLA
SW1 SW2

figura 3.10

Per invertire il senso di marcia del motore, che si suppone sia in corrente continua, si deve invertire la
polarità di alimentazione dell’armatura.
La rete logica da realizzare deve quindi avere un’uscita (U) che alimenta un relè (per l’inversione dell’ali­
mentazione) e due ingressi (I1 e I2) collegati agli switch.
Le caratteristiche che deve avere il sistema logico possono così essere descritte:
◗ si supponga che la chiocciola si trovi in movimento verso lo switch SW1 quando l’uscita U della
rete logica si trova a livello basso e verso lo switch SW2 con U a livello alto.
◗ Durante il movimento della chiocciola lungo l’asse in un verso o nell’altro i due fine corsa danno
livelli bassi (I1 = 0 e I2 = 0).
◗ Quando la chiocciola aziona il fine corsa SW1 esso fornisce un livello alto (I1 = 1) fin quando, inver­
tendo il verso del movimento, la chiocciola non rilascia lo switch.
◗ Quando la chiocciola aziona il fine corsa SW2 esso fornisce un
livello alto (I2 = 1) fin quando, invertendo il verso del movimento,
la chiocciola non rilascia lo switch.
◗ Gli switch SW1 e SW2 non possono mai fornire contemporanea­
mente livello alto.

Riassumendo quindi si ha:


1. durante la marcia è I1 = 0 e I2 = 0;
2. con U = 0 il movimento avviene verso SW1;
3. quando viene azionato SW1 si ha I1 = 1 e I2 = 0; in tali condizio­
ni deve essere invertito il senso di rotazione del motore;
4. con U = 1 il movimento avviene verso SW2;
5. quando viene azionato SW2 si ha I1 = 0 e I2 = 1; in tali condizio­
ni deve essere invertito il senso di rotazione del motore.

Servendosi delle precedenti affermazioni si può descrivere il funzio­


namento del sistema con un diagramma degli stati.
Si utilizzi a tale scopo la rappresentazione di Moore (figura 3.11).

figura 3.11
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 43
Il sistema con due stati, il primo con uscita U = 0 e il secondo con U = 1, si porta dallo stato S1 allo
stato S2 solamente quando I1 = 1 e I2 = 0 (è attivo SW1) e dallo stato S2 a S1 con I1 = 0 e I2 = 1
(attivo SW2). Per tutte le altre combinazioni degli ingressi il sistema rimane negli stati in cui si trova.
È stata presa in considerazione anche la combinazione degli ingressi I1 = 1 e I2 = 1 (che non si può
avere) ponendo anche per tale condizione la permanenza del sistema nello stato attuale.

Tabella di transizione degli stati


Dal grafo di flusso realizzato si risale alla tabella di transizione degli stati.
Essendo presenti nel sistema solamente due stati si avrà una sola variabile di stato, che sarà chiama­
ta Q. Si associ in modo arbitrario il valore assunto dalla variabile di stato con i singoli stati come illu­
strato nella tabella 3.8 .
Nella tabella è stato inserito anche il valore che assume l’uscita in corrispondenza dei singoli stati. La
tabella di transizione degli stati ( tabella 3.9 ) descrive le transizioni presenti nel diagramma in base
alle configurazioni che hanno gli ingressi.
Nella tabella 3.9 , nella prima colonna, è indicato lo stato da cui si parte e nelle altre colonne quello in
cui si porta il sistema in base alla combinazione che hanno gli ingressi. Nella tabella, accanto allo
stato, è riportato, tra parentesi, anche il valore assegnato alla variabile di stato Q che può desumersi
dalla tabella 3.8 .
tabella 3.8 tabella 3.9

Stato Q I2 I1
U Stato di
partenza 00 01 11 10
S1 1 1
S2 0 1 S1 [0] ⇒ S1[0] S2[1] S1[0] S1[0]
S2 [1] ⇒ S2[1] S2[1] S2[1] S1[0]

esempio 3.5
In un garage dei Vigili del Fuoco, che si affaccia su una strada con traffico di autoveicoli, è presente
un automezzo. Quando questo deve uscire, dirigendosi verso l’uscita, attiva la fotocellula F1. due
semafori con luce verde e rossa sono posti sulla strada e un altro all’uscita del garage. Con l’attiva-
zione della fotocellula F1 i semafori sulla strada passano dal verde al rosso e quello sull’uscita del
garage dal rosso al verde.
Una seconda fotocellula, posta sull’uscita del garage, intercetta l’autoveicolo e segnala quando esso
è completamente uscito in modo da ripristinare lo stato iniziale dei semafori ( figura 3.12 ).

Si può rappresentare il sistema con due ingressi (F1 e F2) e un’uscita U che controlla tutti i semafori.
La tabella 3.10 mette in relazione lo stato del veicolo in funzione dei livelli delle due fotocellule.

tabella 3.10

F2 F1 Stato del sistema

F2 0 0 Veicolo fermo o completamente uscito


0 1 Veicolo in movimento
F1 1 1 Veicolo in uscita
1 0 Veicolo in uscita

figura 3.12
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
44
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Si hanno due stati:


1. nel primo, l’automezzo si trova all’interno del garage, i semafori sulla strada sono verdi e quello
interno è rosso;
2. il sistema si porta nel secondo stato non appena viene intercettata la fotocellula F1 (automezzo in
uscita). I semafori sulla strada diventano rossi e quello interno verde. Il sistema ritorna allo stato
iniziale quando l’automezzo non intercetta più la fotocellula F2.

Nella figura 3.13 è rappresentato il diagramma degli stati del sistema.


Nella figura 3.14 è visibile la logica di controllo per il collegamento dei semafori all’uscita U secondo
le modalità indicate nella tabella 3.11 .

F2 = 0
F1 = 0
F2 = 1 S0 F2 = 1 U
F1 = 0 F1 = 1
impossibile U=0 impossibile
F2 = 0
figura 3.14
F2 = 0 F1 = 1
F1 = 0
veicolo veicolo in
uscito movimento
F2 = 1 F2 = 1 tabella 3.11
F1 = 0 S1 F1 = 1
veicolo in U =1 veicolo in
uscita uscita U Semafori stradali Semaforo interno
F2 = 0
F1 = 1
veicolo in 0 Verde Rosso
figura 3.13 movimento
1 Rosso Verde

Si fa la seguente ipotesi: l’automezzo rientra nel garage da una porta tabella 3.12
posteriore.
Essendo presenti nel sistema solamente due stati si avrà la variabile di Stato Q U
stato Q che verrà associata in modo arbitrario con i singoli stati come
S0 1 1
illustrato nella tabella 3.12 .
S1 0 0

Partendo dal diagramma degli stati si ricava la tabella di transizione degli stati ( tabella 3.13 ).
Accanto agli stati, tra parentesi quadre, è riportato anche il livello che assume la variabile di stato. La
seconda parte della tabella, che può anche non essere scritta, riporta i soli valori della variabile
di stato.

tabella 3.13

Stato di F2 F1 F2 F1
partenza Q(t)
00 01 11 10 00 01 11 10

S0 [0] ⇒ S0[0] S1[1] S0[0] S0[0] 0 ⇒ 0 1 0 0


S1 [1] ⇒ S0[0] S1[1] S1[1] S1[1] 1 ⇒ 0 1 1 1
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 45

esempio 3.6
Un’autorimessa dispone di due posti per autovetture. Il controllo delle autovetture in ingresso è fatto con
una fotocellula F2 e quello in uscita con la fotocellula F1 secondo le specifiche della tabella 3.14.
L’ingresso delle autovetture nell’autorimessa è controllato da un semaforo con luce verde (posti di-
sponibili) e luce rossa (posti esauriti).
Inizialmente nel garage non sono presenti vetture. Si deve realizzare un sistema in grado di rilevare le
vetture che entrano e che escono e che accenda il semaforo verde se sono disponibili posti e rosso
se non lo sono.
tabella 3.14 tabella 3.15

F2 F1 Stato del sistema U Semaforo

0 0 Nessun veicolo in entrata o uscita 0 Verde Posti disponibili


0 1 Veicolo in entrata 1 Rosso Posti non disponibili
1 1 Veicolo in entrata e veicolo in uscita
1 0 Veicolo in uscita

Nella figura 3.15 è rappresentato lo schema dell’autori­


messa.
Si può rappresentare il sistema con tre stati.
1. Nel primo stato non sono presenti autovetture nel
garage. Il semaforo è verde.
F1 F2
2. Si passa al secondo stato se entra un’autovettura.
Il semaforo rimane verde. Se esce un’autovettura si
ritorna al primo stato.
3. Si passa al terzo stato se entra un’altra autovettura.
figura 3.15
Il semaforo diventa rosso. Se esce un’autovettura si
ritorna al secondo stato.

F2= 0
Il diagramma degli stati del sistema è rappresentato in
F1= 0 figura 3.16.
F 2= 1 S0 F2= 1
F1= 0 F1= 1
impossibile U =0 impossibile Si deve osservare che il diagramma degli stati propo­
garage vuoto garage vuoto sto, soddisfa alle specifiche del progetto solamente se
F2= 1 F2= 0 il segnale fornito dalle fotocellule è sincronizzato con il
F1= 0 F1= 1 clock del sistema e rimane attivo per un periodo di
esce veicolo entra veicolo
tempo non superiore a quello del clock. Se questo non
S1 accade, il sistema si porta subito allo stato successivo.
F2= 1 F2= 0
F1= 1 U=0 F1= 0
Per evitare questo, è necessario dotare ciascuna fo­
F2= 1 F 2= 0 tocellula di un circuito di sincronizzazione o elaborare
F1= 0 F1= 1 un diagramma con nuovi stati che permettono l’evo­
esce veicolo entra veicolo
luzione del sistema verso il nuovo stato, solamente
S2 quando si disattiva il segnale fornito dalla fotocellula.
F2= 1 F2= 0
F1= 1 U =1 F1= 0 In questa maniera il diagramma diventa sempre più
F2= 0 complesso all’aumentare dei posti macchina di cui è
F1= 1 dotato il garage.
impossibile
garage pieno Nel sistema sono presenti tre stati e pertanto si hanno
due variabili di stato, denominate Q1 e Q0 associate
figura 3.16
arbitrariamente agli stati come nella tabella 3.16 .

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
46
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Nella tabella è inserito anche lo stato non utile S3, e si è supposto che da esso il sistema si riporti
allo stato iniziale. Presupponendo che sia verificato quanto premesso, partendo dal diagramma si ri­
cava la tavola di transizione degli stati ( tabella 3.17 ).
Nella tabella sono riportati, accanto agli stati, anche i valori assunti dalle variabili di stato (tra parente­
si quadre).

tabella 3.16 tabella 3.17

Stato Q1 Q0 U Stato di F2 F1
partenza
00 01 11 10
S0 0 0 0
S1 0 1 0 S0 [00] ⇒ S0[00] S1[01] S0[00] S0[00]
S2 1 1 0 S1 [01] ⇒ S1[01] S2[11] S1[01] S0[00]
S3 1 0 1 S2 [11] ⇒ S2[11] S2[11] S2[11] S1[01]
S3 [10] ⇒ S0[00] S0[00] S0[00] S0[00]

esempio 3.7
Attraverso un sistema di controllo, realizzato con due barriere a fotocellula (figura 3.17 ), si deve rileva-
re se le auto in ingresso in un cantiere abbiano lunghezza inferiore o superiore ai 5
metri. Nel caso gli automezzi siano di lunghezza superiore o uguale a 5 metri deve essere aperto un
cancello azionando un motore (M). Per regolare l’ingresso dei mezzi, prima delle barriere con le foto-
cellule, è posto un semaforo (S) che diviene rosso non appena un automezzo impegna la prima bar-
riera (F1) e si spegne quando esso passa oltre la seconda (F2). La chiusura del cancello avviene au-
tomaticamente.

S
M
F1 F2

5m

figura 3.17

Nella tabella 3.18 sono riportate le variazioni dei livelli delle fotocellule in relazione al passaggio dei
veicoli di diversa lunghezza.

tabella 3.18
Lunghezza < 5 m Lunghezza 5m
F1 F2 F1 F2

0 0 Nessun veicolo 0 0 Nessun veicolo


1 0 Veicolo su F1 1 0 Veicolo su F1
0 0 Veicolo tra F1 e F2 1 1 Veicolo su F1 e F2
0 1 Veicolo su F2 0 1 Veicolo su F2
0 0 Veicolo transitato 0 0 Veicolo transitato

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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 47
S0 Nella figura 3.18 è rappresentato il diagramma di tran­
F2=0 M=0 F2=0 sizione degli stati dell’automa. Per semplicità non sono
F1=0 S=0 F1=0 disegnati gli autoanelli (gli anelli che per alcune confi­
F2=0 gurazioni degli ingressi mantengono il sistema allo
F1=1
stesso stato) avendo fatto l’ipotesi che tutte le combi­
S3 S1 S4 nazioni degli ingressi non rappresentate (anche quelle
M=1 M=0 M=0 che non possono verificarsi) non cambiano stato al
S=1 F2=1
S=1 S=1 sistema.
F1=1
F2=0
auto $ 5m
F1=0
auto < 5m
S2 F2=1
M=0 F1=0
S=1

figura 3.18

Dal grafo di flusso realizzato si risale alla tavola di transizione degli stati.
Nel sistema sono presenti cinque stati e pertanto si hanno tre variabili di stato, denominate Q2,
Q1 e Q0 associate arbitrariamente agli stati come nella tabella 3.19 .

tabella 3.19
Stato Q2 Q1 Q0 M S

S0 0 0 0 0 0
S1 0 0 1 0 1
S2 0 1 0 0 1
S3 0 1 1 1 1
S4 1 0 0 0 1

Nella tabella 3.20 , nella prima colonna, si è indicato lo stato da cui si parte e nelle altre colonne
quello in cui si porta il sistema in base al livello assunto dagli ingressi (F2 e F1). Nella tabella sono
riportati, accanto agli stati, anche i valori assunti dalle variabili di stato (tra parentesi quadre).
Nella tabella 3.20 debbono essere inseriti anche i tre stati non utili S5, S6 e S7. Si è supposto che
da ciascuno di essi il sistema si riporti sempre allo stato iniziale.

tabella 3.20

Stato di F2 F1
partenza
Sx [Q2 Q1 Q0] 00 01 11 10

S0 [0 0 0] ⇒ S0 [0 0 0] S1 [0 0 1] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
S1 [0 0 1] ⇒ S2 [0 1 0] S1 [0 0 1] S3 [0 1 1] S1 [0 0 1]
S2 [0 1 0] ⇒ S2 [0 1 0] S2 [0 1 0] S2 [0 1 0] S4 [1 0 0]
S3 [0 1 1] ⇒ S0 [0 0 0] S3 [0 1 1] S3 [0 1 1] S3 [0 1 1]
S4 [1 0 0] ⇒ S0 [0 0 0] S4 [1 0 0] S4 [1 0 0] S4 [1 0 0]
S5 [1 0 1] ⇒ S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
S6 [1 1 1] ⇒ S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
S7 [1 1 0] ⇒ S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0] S0 [0 0 0]
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48
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

3.5 Macchina di Turing


Negli esempi visti con gli Automi a Stati Finiti (ASF), si è potuto osservare che con
essi è possibile realizzare una vasta gamma di applicazioni. Tuttavia, non sempre si
possono realizzare Automi che risolvano alcune classi di problemi. In particolare,
essendo macchine con un numero finito di stati, essi non sono utilizzabili quando si
hanno stringhe o insieme di dati illimitati (anche se finiti).

3.5.1 Algoritmi
Per realizzare un Automa in genere è necessario prima trovare un algoritmo che tracci
il suo modo di funzionare, attraverso la descrizione di una serie di passi (finiti) che det-
tano le azioni che esso deve via via compiere.
Un algoritmo è, volendone dare una definizione intuitiva, un insieme finito di istruzioni che fissa-
no, passo dopo passo, in modo esatto, le azioni da compiere per la risoluzione di un problema.
Le istruzioni, partendo da quella iniziale, devono essere eseguite per passi successivi e
non deve esserci alcun dubbio su quale di esse debba essere posta in esecuzione suc-
cessivamente. Ad ogni passo dovrà essere possibile determinare, senza incertezze,
l’istruzione da eseguire al passo successivo (determinismo).
Fin dagli anni ’30 si è iniziato a studiare, in modo approfondito, la calcolabilità delle
funzioni. Una funzione può essere considerata calcolabile se esiste un algoritmo (asso-
ciato alla funzione) che permetta, assegnati dei dati di input, di trovare un risultato
corretto, in relazione con la funzione, in un tempo finito.
La parola algoritmo deriva dal nome del matematico e astronomo arabo Muhammad ibn
Mùsã al-Khuwãrizmi (IX sec. d.C. deformato, nella traduzione latina, in Algoritmi).
La rappresentazione di un algoritmo può essere fatta in diversi modi:
◗ con una serie di istruzioni descrittive;
◗ usando uno pseudolinguaggio di programmazione (o pseudo codice);
◗ con un diagramma di flusso.

Uno pseudolinguaggio usa le parole tipiche dei linguaggi ad alto livello (C, C++, Pascal,
Java) per descrivere le singole istruzioni che implementano l’algoritmo, senza peraltro ri-
spettare la sintassi e le regole proprie del linguaggio. Non esiste inoltre alcuna regola che
fissi le parole chiave da utilizzare, né come utilizzarle.
In un diagramma di flusso sono usati dei simboli grafici che hanno un diverso significato
in relazione alla loro forma di rappresentazione (si veda l’esempio 1).

Per illustrare come realizzare un algoritmo si prendono in esame alcuni semplici esempi.

esempio 3.8
Si voglia trovare un algoritmo che implementi le regole per il calcolo della funzione f(n) = 2 + n, ovve-
ro che trovi un metodo per sommare due numeri naturali, di cui uno già assegnato.
La regola che permette di sommare un numero a un altro può essere così riassunta: si prenda il
primo numero e si aggiunga a esso l’unità (1) un numero di volte pari al secondo numero. Se per
esempio è n = 3, si deve aggiungere a 2 (il numero assegnato) tre volte uno (2 + 1 + 1 +1) che dà
come risultato 5.
È ora riportata una semplice descrizione testuale dell’algoritmo che permette di calcolare la funzione
assegnata:
1) si assegna un valore a n (per esempio n = 3);
2) si assegna alla variabile somma il valore 2 (somma = 2);

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 49
3) si assegna alla variabile x il valore di n (3) (x = 3);
4) si aggiunge 1 a somma (si incrementa di uno il valore di somma);
5) si toglie 1 a x (si decrementa di uno il valore di x);
6) se x > 0 si torna al punto 4 altrimenti si prosegue;
7) somma contiene il risultato dell’addizione in quanto, le istruzioni 4 e 5, vengono ripetute per tre
volte, prima che x diventi zero, e quindi, al valore iniziale di somma (2) si aggiunge tre volte 1.
Con uno pseudolinguaggio si ha:
/*funzione f(n) = 2 + n*/
somma = 2 /*a somma si dà il valore iniziale di 2*/
input n /*viene acquisito il valore di n*/
x=n
while x > 0
{
somma = somma + 1 /*ciclo ripetuto 3 volte con n = 3*/
x=x–1
}
output somma /*viene restituito il risultato della somma*/

Osservazioni:
◗ tra la coppia di caratteri /* …. */ sono posti i commenti;
◗ le parole chiave usate nello pseudolinguaggio sono: while (mentre), input, output;
◗ le istruzioni poste tra la coppia di caratteri { …. } sono quelle ripetute fino a quando x > 0.
Nella tabella 3.21 è mostrata la variazione che subisce la variabile x a ogni ciclo.

tabella 3.21
Modifica delle variabili nel ciclo
inizio 1° ciclo 2° ciclo 3° ciclo
x ingresso ciclo 3 x=3 x=2 x=1 x=0
somma 2 +1 +1 +1
somma = 2 somma = 3 somma = 4 somma = 5
x uscita ciclo x=2 x=1 x=0

La rappresentazione dell’algoritmo con un diagramma di flusso è mostrata nella figura 3.19.

figura 3.19
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
50
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esempio 3.9

Si voglia trovare un algoritmo che implementi le regole per il calcolo della funzione f(m,n) = m x n,
ovvero che trovi un metodo per eseguire il prodotto di due numeri naturali, da assegnare.
Con un procedimento simile a quello visto, è possibile calcolare anche il prodotto di due numeri.

La modalità che permette di moltiplicare due numeri può essere così riassunta: si prendano per esem­
pio i due numeri n = 2 e m = 4.
Il prodotto può essere espresso come somma di quattro volte due:
2 x 4 = 2 + 2 + 2 + 2 (la somma poi è realizzata aggiungendo ogni volta uno al primo addendo):
2+1+1=4
4+1+1=6
6+1+1=8

Quindi utilizzando per la somma il programma del precedente esempio, esso deve essere ripetuto per
tre volte.
Il programma in pseudolinguaggio è:

/*funzione f(n,m) = n x m*/


input n /*viene acquisito il valore di n*/
somma = n /*a somma si dà il valore iniziale di n*/
x=n
input m /*viene acquisito il valore di m*/
m=m–1 /*il ciclo deve essere ripetuto 3 volte*/
while m > 0
{ /*ciclo esterno ripetuto 3 volte*/
while x > 0
{
somma = somma + 1 /*ciclo interno ripetuto 2 volte ogni ciclo esterno*/
x=x–1
}
m=m–1 /*si decrementa m*/
}
prodotto = somma /*somma contiene dopo 3 cicli il risultato*/
output prodotto /*viene restituito il risultato del prodotto*/

Osservazioni:
◗ il ciclo interno viene ripetuto 2 volte per ogni ripetizione di quello esterno;
◗ il ciclo esterno viene ripetuto 3 volte.

3.5.2 Macchina di Turing


Nei primi decenni del ’900 diversi matematici (tra cui Hilbert e poi Gödel, Churh, Turing e altri)
si posero il problema della computabilità (o calcolabilità) di una funzione, ovvero se esistesse,
un algoritmo che permettesse di valutarla assegnati un insieme di valori (appartenenti al cam-
po di definizione della funzione), che producessero dei risultati corretti in un tempo finito.
Nel 1936 il matematico inglese Alan Mathison Turing (1912-1954) propose un modello
di macchina calcolatrice, astratto, in grado di eseguire qualsiasi algoritmo. Il dispositivo
teorico ideato da Turing, venne in seguito denominato macchina di Turing.
Egli asseriva che una funzione poteva considerarsi computabile se era computabile da
una delle sue macchine astratte.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 51
■ Struttura di una Macchina di Turing
La struttura di una generica macchina di Turing è abbastanza semplice. Essa è costituita da:
◗ un nastro, infinito nei due versi, e suddiviso in celle;
◗ una testina di lettura e scrittura che può essere posizionata su una singola cella
potendo essere spostata a destra (D) o a sinistra (S);
◗ un’unità di controllo che può assumere un numero finito di stati distinti Q0, Q1,
… , Qn ognuno dei quali è in relazione con i precedenti stati assunti dalla macchina;

Associato a ogni macchina c’è un alfabeto Σ{….} contenente un numero finito di sim-
boli. Questo alfabeto è detto a volte alfabeto di input. Ogni cella può contenere un
solo simbolo o essere vuota. Per tenere conto delle celle vuote si introduce un sim-
bolo (arbitrario) che le contraddistingue, per esempio b (per blank), #, ∧, £, D, @, o
anche altri caratteri. In questo testo sarà assunto come simbolo per un cellula vuota
l’asterisco (*).
All’alfabeto di input (Σ{….}) va aggiunto il simbolo di blank (*), ottenendo così il nuo-
vo alfabeto Σb = Σ ∪ * (unione dell’alfabeto di input con il carattere blank), detto a
volte alfabeto esterno o alfabeto di lavoro.

La testina, posizionata su una cella può:


◗ leggere il simbolo memorizzato in essa;
◗ scrivere sulla cella lo stesso simbolo che ha letto;
◗ sostituire il simbolo letto con uno nuovo (sempre appartenente all’alfabeto associato
con la macchina);
◗ cancellare il contenuto di una cella scrivendo in essa il carattere blank (*).

Per operare su una nuova cella la testina deve spostarsi a destra o a sinistra.

Si presuppone che sul nastro, inizialmente siano scritti una serie (finita) di simboli, ap-
partenenti all’alfabeto della macchina, e che le celle, non occupate dai simboli, siano
vuote (blank).
Come esempio si consideri una macchina con alfabeto Σ{0,1}.
Nella figura 3.20 è rappresentata schematicamente una macchina di Turing con tale alfa-
beto.

figura 3.20
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
52
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Per convenzione si assume che la testina inizialmente sia ferma sulla prima cella non
vuota sulla parte sinistra del nastro.

Nella macchina rappresentata nella figura 3.20, la testina legge, nella posizione iniziale, il
simbolo 1 e si trova nello stato Q0.
L’insieme dello stato interno (Q0) in cui si trova la macchina e del simbolo letto, costi-
tuiscono la configurazione della macchina (Q0, 1).

A ogni macchina, è associato un programma che essa deve eseguire per effettuare una
determinata procedura di calcolo, utilizzando i simboli scritti sul nastro. Si presuppone
che i simboli siano stati precedentemente posti su di esso.
Seguendo le istruzioni del programma, l’unità di controllo, legge o scrive un simbolo su
una cella, sposta la testina a destra o a sinistra, ed eventualmente, se necessario, cambia
stato.
Quindi alla coppia (Q0, 1) della configurazione deve essere associata l’azione che la
macchina deve svolgere indicata con una terna di valori dati da:
◗ simbolo che deve essere scritto sul nastro (può essere anche lo stesso simbolo letto);
in questo caso nella cella non c’è cambiamento del simbolo;
◗ direzione di spostamento della testina (D o S);
◗ nuovo stato in cui si porta la macchina (può anche non cambiare).

La quintupla configurazione → azione costituisce un’istruzione per la macchina. Per


esempio:

(Q0, 1) (0, D, Q0)

◗ (Q0, 1) indica che la macchina si trova nello stato Q0 e legge il simbolo 1;


◗ (0, D, Q0) indica che la macchina deve poi scrivere sulla cella attuale il simbolo
0, spostare la testina a destra (D) sulla cella successiva e deve rimanere nello sta-
to Q0.

Nella figura 3.20 è rappresentata la nuova configurazione della macchina. Il simbolo 1 è


stato sostituito con 0, la macchina è rimasta nello stato Q0.

Nella stessa figura è visualizzata anche l’istruzione (Q0, 1) (0, D, Q0) rappresentata con
un grafo di flusso.
◗ Il semicerchio con la freccia che parte da Q0 e rientra su esso, indica che non c’è
cambiamento di stato;
◗ il simbolo 1/0 sta a significare che viene letto il simbolo 1 e scritto al suo posto 0;
◗ con D si indica che la testina deve essere spostata a destra.

Essendo la Macchina di Turing deterministica (non ci debbono essere incertezze


sulla scelta del passo successivo dopo l’esecuzione di una istruzione), a ogni cop-
pia di configurazione non possono essere associate più triple diverse di esecu-
zione.
Perché l’esecuzione di un programma si arresti è necessario che a una o più coppie di
configurazione non corrisponda nessuna tripla. Si dice che la macchina va in halt.
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 53

esempio 3.10
■ Programmi di esempio

Sostituzione di simboli.
Si vuole costruire una macchina di Turing con alfabeto Σ{0,1} che sia in grado di sostituire tutti
i simboli 0 con 1. La stringa di partenza è la seguente:

* * * * * * 1 1 0 1 1 0 1 0 * * * * *
dove gli asterischi indicano celle vuote. La testina inizialmente si trova sulla prima cella a sinistra al
termine delle celle vuote (figura 3.21).

figura 3.21

Il sistema inizialmente si trova nello stato Q0 e rimane in esso, effettuando le sostituzioni. La testina, di
volta in volta, viene spostata verso destra, e, quando si incontra un 1 scrive di nuovo 1 sulla cella,
mentre se incontra uno 0 lo sostituisce con il simbolo 1. Quando la testina incontra una cella vuota, il
sistema la lascia vuota, passando quindi allo stato Qf, ponendo termine all’esecuzione del programma.
Alla fine del programma si ha la seguente stringa (le celle in colore sono quelle in cui è stato sostitui­
to 0 con 1):

* * * * * * 1 1 1 1 1 1 1 1 * * * * *
Nella figura 3.21 è mostrato anche il grafo di flusso che descrive il funzionamento della macchina. Il
set di quintuple che realizzano il programma sono:

configurazione azione
(Q0, 1) (1, D, Q0) Legge 1, scrive 1, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, 0) (1, D, Q0) Legge 0, scrive 1, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, * ) ( * , D, Qf ) Legge * , scrive * , Halt

Si può anche descrivere una macchina di Turing con una matrice funzionale. In una colonna verti­
cale si riportano gli stati interni e in una riga orizzontale i simboli; all’incrocio tra simboli e stati sono
poste le corrispondenti triple:

stato simboli
↓ 0 1
*
Q0 1, D, Q0 1, D, Q0
* , D, Qf
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54
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esempio 3.11

Complemento a uno di un numero binario.


Sia dato un numero binario di lunghezza qualsiasi. Si vuole costruire una macchina di Turing
con alfabeto Σ{0,1} che sia in grado di effettuare il complemento a uno del numero, ovvero
complementare tutti i suoi bit (1 ⇒ 0 e 0 ⇒ 1).
Sia, per esempio, assegnato il seguente numero binario:

* * * * * * 0 1 1 0 0 1 0 0 * * * * *
Si deve ottenere:

* * * * * * 1 0 0 1 1 0 1 1 * * * * *
La testina inizialmente si trova sulla prima cella a sinistra, al termine delle celle vuote.
Si può pensare di agire in questo modo:

1. la testina viene spostata verso destra, e, per ogni cella, se si legge uno 0 si scrive al suo posto un
1; se si legge un 1 si scrive al suo posto uno 0;
2. quando si arriva alla prima cella vuota, il programma termina.

Il set di quintuple che realizzano il programma sono:

configurazione azione
(Q0, 1) (0, D, Q0) Legge 1, scrive 0, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, 0) (1, D, Q0) Legge 0, scrive 1, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, * ) (* , D, Qf ) Legge * , scrive * , Halt

La matrice funzionale della macchina è:

stato simboli
↓ 0 1
*
Q0 1, D, Q0 0, D, Q0 * , D, Qf
Nella figura 3.22 è rappresentato il diagramma di stato della macchina. C’è un solo stato nel quale
viene fatto il complemento dei bit del numero binario, spostando ogni volta la testina a destra.
Quando si incontra il simbolo blank (*), il sistema si porta nello stato Qf e il programma finisce.

figura 3.22
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 55

esempio 3.12
Sostituzione di simboli in una stringa.
Si vuole costruire una macchina di Turing con alfabeto Σ{A, B, C} che sia in grado di sostituire
il simbolo C con B, la prima volta che viene incontrato e con A la seconda volta. Se nella strin-
ga sono presenti più di due caratteri C si procede alternativamente alla loro sostituzione.
Quando si incontra una cella vuota (al termine della stringa), il programma si arresta. La stringa
di partenza è la seguente (dove gli asterischi indicano celle vuote):

Stringa iniziale

B A C B C B C
* * * * * * * * * * * *
⇑ Posizione iniziale testina

B A B B A B B
* * * * * * * * * * * *
Stringa finale

La testina inizialmente si trova sulla prima cella a sinistra, al termine delle celle vuote.
Si può pensare di agire in questo modo:
1. la testina viene spostata verso destra, e se si incontrano i caratteri A e B essi vengono riscritti
nella stessa cella in cui si trovano (stato Q0);
2. se viene incontrato il carattere C, esso è sostituito con B, si sposta ancora la testina a destra e si
passa allo stato Q1;
3. anche nello stato Q1 i caratteri A e B essi vengono riscritti nella stessa cella in cui si trovano;
4. se si incontra il carattere C, esso è sostituito con A, si sposta ancora la testina a destra e si passa
allo stato Q0;
5. quando si incontra una cella vuota si passa allo stato Qf e il programma si arresta.

Il set di quintuple che realizzano il programma sono:

configurazione azione
(Q0, A) (A, D, Q0) Legge A, scrive A, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, B) (B, D, Q0) Legge B, scrive B, si sposta a Destra, rimane in Q0
(Q0, C) (B, D, Q1) Legge C, scrive B, si sposta a Destra, si porta in Q1
(Q1, A) (A, D, Q1) Legge A, scrive A, si sposta a Destra, rimane in Q1
(Q1, B) (B, D, Q1) Legge B, scrive B, si sposta a Destra, rimane in Q1
(Q1, C) (A, D, Q0) Legge C, scrive A, si sposta a Destra, si porta in Q0
(Q0, * ) ( , D, Qf )
* Legge
* , scrive * , Halt
(Q1, )
* ( , D, Qf )
* Legge
* , scrive , Halt
*
Nella figura 3.23 è visualizzato il diagramma di stato della macchina.

figura 3.23
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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

La matrice funzionale della macchina è la seguente:

stato simboli

↓ A B C *
Q0 A, D, Q0 B, D, Q0 B, D, Q1
* , D, Qf
Q1 A, D, Q1 B, D, Q1 A, D, Q0 * , D, Qf
Si verifichi il funzionamento della macchina con stringhe diverse da quelle dell’esempio (per lunghez­
za e diversa distribuzione dei simboli dell’alfabeto). Per esempio:

A B C C B C C A B C

C C B A A B C C C A

■ Numeri unari: programmi di esempio


I numeri naturali possono essere rappresentati con un alfabeto di un solo simbolo (quin-
di sono numeri in base 1), scelto arbitrariamente.
◗ Numeri unari con lo zero: se per esempio l’alfabeto unario è Σ{|} (avendo scelto in
modo del tutto arbitrario il carattere | per la rappresentazione dei numeri) si ha:

0⇒| 1⇒|| 2⇒||| 3⇒|||| 4⇒||||| 5⇒||||||


e così via, aggiungendo sempre un simbolo | al numero successivo.
Quindi se il numero naturale è n, si hanno per ogni numero n + 1 simboli.
◗ Numeri unari senza lo zero: se non si vuole considerare lo zero, si possono abbina-
re a ogni numero n, esattamente n simboli.

1⇒| 2⇒|| 3⇒||| 4⇒|||| 5⇒||||| 6⇒||||||


La numerazione con rappresentazione unaria si presta molto bene per essere utilizzata con
le Macchine di Turing. Si tenga presente che la numerazione unaria è quella che si usa
quotidianamente quando si contano degli oggetti, o si eseguono le operazioni elementari
su di essi (somma, sottrazione, ecc.). L’abaco (ai giorni nostri detto anche pallottoliere) è
uno strumento antichissimo di ausilio al calcolo che utilizza la numerazione unaria.

esempio 3.13
Incremento di un numero unario.
Realizzare una Macchina di Turing che, assegnato un numero naturale, espresso in notazione
unaria, lo incrementi di uno.
Sia Σ{|} l’alfabeto usato. Prima del numero e dopo di esso sul nastro sono presenti solo celle vuote.
Sia per esempio assegnato il numero 6 (rappresentazione con lo zero, in colore la cella con lo zero):

numero iniziale 6

* * * * * * | | | | | | | * * * * * *
⇑ Posizione iniziale testina (sullo zero)

* * * * * * | | | | | | | | * * * * *
numero finale 7

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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 57
Deve essere chiaro che il valore di n = 6 è solo un esempio in quanto il programma lavora con qual­
siasi valore di n.
Incrementare di uno il numero, significa sommare uno a esso, ovvero aggiungere un simbolo | al nu­
mero dato.
Il programma da abbinare alla macchina deve quindi:
1. spostare la testina a destra fino a trovare una cella vuota;
2. sostituire la cella vuota con un simbolo |.

La macchina nello stato Q0, per ogni simbolo unario (|) trovato,
riscrive nella cella lo stesso simbolo spostando la testina a destra.
Quando si arriva a una cella vuota (*) che indica la fine del nu­
mero, si mette in essa un simbolo unario (|) e si ferma il program­
ma (figura 3.24).

figura 3.24

Le quintuple del programma sono:

configurazione azione

(Q0, |) (|, D, Q0) Legge |, scrive |, si sposta a Destra, rimane in Q0


(Q0, * ) (|, D, Qf ) Legge * , scrive |, si sposta a Destra e si ferma

esempio 3.14
Somma di un due numeri unari.
Realizzare una Macchina di Turing che, assegnato due numeri naturali, espresso in notazione
unaria, li sommi e scriva sul nastro al loro posto il risultato della somma. I due numeri, posti sul
nastro, sono separati dal segno +.

Sia Σ{|, +} l’alfabeto usato. Prima del numero e dopo di esso sul nastro sono presenti solo celle vuote.
Siano per esempio assegnati i numeri 3 e 4 (rappresentazione, per semplicità, senza lo zero):

numeri iniziali 3 + 4

* * * * * | | | + | | | | * * * * * *
⇑ Posizione iniziale testina

* * * * * | | | | | | | | * * * * * *
⇑ Simbolo unario che sostituisce il +

* * * * * | | | | | | | * * * * * * *
numero finale 7 ⇑ Simbolo unario cancellato
Il programma che la macchina deve eseguire è espresso dai seguenti passi:
1. spostare la testina a destra fino a trovare il segno +;
2. sostituire il segno + con il simbolo unario (|) spostare la testina a destra. Si tenga presente che con
la sostituzione del + con il simbolo unario (|) è stato aggiunto un simbolo in più alla somma, e che

quindi bisogna cancellarne uno;


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1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

3. seguitare a spostare a destra la testina fino a quando si arriva a una cella vuota (*) che indica la
fine del secondo numero;
4. trovata quindi la cella vuota, si sposta la testina a sinistra e si sostituisce l’ultimo simbolo unario del
secondo numero con una cella vuota, eliminando così il simbolo in più.

Le quintuple del programma sono:

configurazione azione

(Q0, |) ( |, D, Q0) Legge |, scrive |, si sposta a Destra


(Q0, +) ( |, D, Q1) Legge +, scrive |, si sposta a Destra
(Q1, |) ( |, D, Q1) Legge |, scrive |, si sposta a Destra
(Q1, * ) (* , S, Q2) Legge * , scrive * , si sposta a Sinistra
(Q2, |) (* , D, Qf ) Legge |, scrive * , Halt (cancella simbolo | )

Il sistema può essere realizzato anche utilizzando uno stato in meno: rimanendo in Q0 quando si
trova il + e passando in Q1 solo quando si incontra un blank (*).
In questo caso le quintuple del programma sono:

configurazione azione

(Q0, |) (|, D, Q0) Legge |, scrive |, si sposta a Destra


(Q0, +) (|, D, Q0) Legge +, scrive |, si sposta a Destra
(Q0, * ) (* , S, Q1) Legge * , scrive * , si sposta a Sinistra
(Q1, |) (* , D, Qf) Legge |, scrive * , Halt (cancella simbolo |)

Nella figura 3.25 è rappresentato il diagramma di flusso relativo al set delle quattro quintuple.

figura 3.25

Sul WEB si trovano numerosi simulatori della macchina di Turing che permettono di ve-
rificare il funzionamento delle macchine realizzate.

Nei simulatori potrebbe risultare differente la disposizione degli stati e dei simboli presen-
ti nelle quintuple ed è quindi necessario disporli come richiesto dal simulatore stesso.

A volte gli stati sono indicati semplicemente con dei numeri (0 per Q0, 1 per Q1) e lo
stato iniziale in alcuni casi non è Q0 ma Q1.
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 59

3.6 Storia ed evoluzione dei sistemi di elaborazione


Un calcolatore elettronico può essere definito come un sistema capace di elaborare i dati
immessi, seguendo opportunamente una serie di istruzioni, e di fornire in uscita i risultati
dell’elaborazione.
Un programma è l’insieme delle istruzioni, disposte in modo organico, necessarie per
elaborare convenientemente i dati.
La storia degli elaboratori elettronici, realizzati con valvole termoioniche, inizia intorno agli
anni ’40.
Per comprendere come si sia arrivati alla costruzione del primo calcolatore elettronico, è
necessario esaminare alcuni punti particolarmente rilevanti relativi alla realizzazione (o
allo studio) di sistemi di elaborazione meccanici ed elettromeccanici secondo l’evoluzione
avvenuta nei secoli precedenti.
◗ Nel 1642 Pascal costruisce un dispositivo meccanico, chiamato Pascalina, che è in grado
di eseguire somme e sottrazioni.
◗ Intorno al 1674 Leibnitz realizza una macchina in grado di eseguire le moltiplicazioni e
le divisioni. Nel 1679 pubblica un’opera in cui descrive la numerazione binaria, utiliz-
zando tra l’altro i simboli 1 e 0 (Æ Modulo 1, Unità 1). La numerazione binaria era già
conosciuta anticamente dai cinesi.
◗ Nel 1820 Thomas costruisce un dispositivo (aritmometro), capace di svolgere le quattro
operazioni e che utilizzava i principi della macchina studiata da Leibnitz.
◗ Intorno al 1833 Babbage studia una macchina analitica fondata su principi molto vi-
cini a quelli utilizzati dai moderni calcolatori. Nella macchina, in grado di eseguire
calcoli ricorrenti, erano introdotte delle schede perforate, unite una all’altra a forma di
nastro. Ogni scheda con un certo numero di fori, forniva al sistema un codice univoco,
derivante dalla disposizione che essi avevano sulla scheda stessa e che indicavano il
tipo di operazione da svolgere. Un secondo nastro di schede, introdotto da un altro
lato della macchina, conteneva i dati costanti e variabili su cui si dovevano eseguire le
operazioni. La macchina era formata da due unità:
– la prima (unità di calcolo) conteneva il programma costituito dai codici introdotti con
il primo nastro;
– la seconda (la memoria) doveva memorizzare i dati variabili, le costanti (introdotte
con il secondo nastro) e i risultati dei calcoli effettuati.
◗ Nel 1847 il matematico George Boole elabora le regole per l’applicazione degli opera-
tori logici sui numeri binari (algebra di Boole).
◗ Nel 1904 arriva l’invenzione della valvola termoionica da parte di Fleming. Il disposi-
tivo elettronico, può funzionare sia come amplificatore di segnali elettrici, sia come
interruttore elettronico. Con questa seconda funzione la valvola è utilizzata nello svilup-
po dei successivi elaboratori elettronici.
◗ Nell’anno 1930 il matematico Turing espone i concetti per la realizzazione di una mac-
china detta Macchina di Turing (Æ Unità 3, paragrafo 3.5).
◗ Nel 1938 viene creato dall’ingegnere Konrad Zuse, in Germania, un elaboratore elettro-
meccanico che utilizza dei relè e funziona con i numeri binari. Il relè è in grado di at-
tivare, su un circuito, un flusso di corrente (corrispondente a 1 logico) o interromperlo
(0 logico). Il relè sarà sostituito nei successivi elaboratori dalla valvola termoionica usa-
ta come interruttore elettronico.
◗ Nel 1939 nell’Università dello Stato dello Iowa Atanasoff e Berry realizzarono il primo
calcolatore elettronico (detto ABC Atanasoff Berry Computer) che utilizzava i numeri
binari e una separazione tra dati e istruzioni del programma. La macchina, però, non
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60
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

era dotata di un sistema di memorizzazione del programma e quindi non poteva essere
considerata completamente Macchina di tipo Turing.
◗ Nel dicembre del 1943 viene realizzato in Inghilterra, durante la seconda guerra mon-
diale, il Colossus Mark I, un elaboratore a valvole, utilizzato per decifrare i messaggi
della macchina tedesca Enigma. Conteneva 1500 valvole ed entrò in funzione nel feb-
braio del 1944. Pur essendo stato realizzato tenendo presente il principio di funziona-
mento della Macchina di Turing, non può essere considerato un calcolatore vero e
proprio in quanto non controllato da un programma interno e privo di memoria.
◗ A giugno dello stesso anno viene sostituito dal Colossus Mark II con 2500 valvole. Al
termine della guerra tutti gli esemplari del Colossus vengono distrutti.
◗ Nel 1946 viene messo in funzione all’Università della Pennsylvania l’elaboratore elettro-
nico ENIAC (Electronic Numerical Integrator and Calculator): nel calcolatore è usata
come tecnologia costruttiva quella dei tubi a vuoto per sostituire i relè e si aumenta
così enormemente la velocità di calcolo. La macchina, di dimensioni ragguardevoli, pur
essendo di tipo digitale (poiché trasferiva sulle linee di collegamento segnali impulsivi),
lavorava tuttavia con numeri in rappresentazione decimale e non binaria.

Nel 1949 fu costruito in Inghilterra, l’EDSAC che può essere effettivamente considerato,
per la sua struttura interna, il capostipite dei moderni calcolatori. Fu realizzato secondo
i principi esposti dal matematico Von Neumann e fu il primo elaboratore elettronico con
programma completamente memorizzato all’interno della macchina.
Si tenga ben presente che le istruzioni del programma, da inserire nell’elaboratore, do-
vevano essere in formato binario e ogni istruzione forniva alla macchina un codice che
indicava al sistema quali operazioni dovessero essere effettuate sui dati (anch’essi pre-
senti in memoria).
Il programma, normalmente, era predisposto da un tecnico programmatore che scriveva
le istruzioni, non in binario, ma usando delle parole specifiche (mnemonici) come Load
(per trasferire qualche dato), add, Sub (per eseguire operazioni di somma o sottrazione
sui dati), Jump (per saltare a qualche specifica istruzione del programma) e così via. I
tecnici traducevano poi le istruzioni da passare alla macchina in binario. Fu proprio con
l’EDSAC che fu creato il primo programma (che può essere chiamato assemblatore), il
quale traduceva automaticamente i mnemonici in codici binari.
I dati erano immessi nella macchina con schede perforate (o nastro perforato) e i
risultati dell’elaborazione potevano essere letti su nastro perforato o su una telescri-
vente.

L’EDSAC era dotato di:


• ALU (Arithemetic Logic Unit), preposta all’esecuzione dei calcoli (→ in questo Modulo,
U2, paragrafo 2.2.1);
• unità di controllo, utilizzata per la supervisione di tutte le operazioni che si svolgeva-
no nel sistema (ordine di esecuzione delle istruzioni, prelievo dei dati dalla memoria,
deposito in questa dei risultati ottenuti dopo i calcoli svolti dalla ALU, sincronizzazione
delle azioni svolte dai dispositivi di ingresso e di uscita);
• memoria centrale in cui risiedevano programma e dati; la memoria centrale dell’ela-
boratore era realizzata con linee di ritardo a mercurio; un altro tipo di memoria utiliz-
zata all’epoca erano i tubi a raggi catodici (come quelli dei televisori).
• unità di ingresso, ovvero quei dispositivi attraverso i quali l’operatore poteva immet-
tere nella memoria, dati e programmi;
• unità di uscita, cioè dispositivi atti a presentare all’operatore i risultati delle elabo-
razioni svolte.
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 61
Schematicamente, quindi, l’ela-
boratore può essere rappre-
sentato come nella figura 3.26.
◗ Nel 1951 fu inventata la me-
moria a nuclei di ferrite, che
presentava una più facile mo-
dalità di utilizzo e una capaci-
tà di memorizzazione più ele-
vata, con ingombri ridotti, ri-
spetto agli altri tipi allora in uso.

Dopo l’EDSAC si esce dalla


figura 3.26 fase sperimentale e sono rea-
lizzati calcolatori con requisiti
commerciali.
Nella figura 3.27 è posta a confronto una valvola del tipo usata nell’ENIAC con un diodo al
germanio, un transistor e un integrato.

L’invenzione nel 1947 del transistor, permette di costruire sistemi più compatti, meno in-
gombranti, con un consumo energetico molto inferiore e con maggiore potenza di calcolo.

◗ Nel 1951 viene prodotto l’UNIVAC 1, il


primo computer commerciale. È ancora a
valvole e utilizza una consolle per l’ingres-
so dei dati e per la stampa e otto unità di
memorizzazione di massa a nastro.
◗ Nel 1952 la IBM produce l’IBM 701, nel
1953 l’IBM 650 con memoria a tamburo
magnetico, nel 1955 l’IBM 704 (con me-
moria a nuclei magnetici) e l’IBM 702
(completamente a transistor).
◗ Nel 1959 è prodotto l’ultimo computer
(scientifico) a valvole (l’IBM 709) e l’IBM
7090 a transistor.
◗ Nel 1961 la Digital Equipment Corporation
(DEC) realizza il PDP-1; ha prestazioni
figura 3.27 simili all’IBM 7090 e una memoria di 4k
parole da 18 bit. Ha una tastiera per l’in-
gresso dei dati e un monitor.
◗ Nel 1965 la Digital Equipment Corporation produce il primo minicomputer PDP-8 di
dimensioni ridotte rispetto ai grandi elaboratori dell’epoca ma comparabile con essi a
livello di calcolo.
Nella successiva evoluzione dei computer punti essenziali che hanno giocato un ruolo
fondamentale nel loro sviluppo sono:
◗ 1954 è realizzata l’unità a nastro magnetico IBM 726 con caratteristiche avanzate;
◗ 1954 creazione del linguaggio di programmazione scientifica FORTRAN (FORmula
TRANslation) da usare nell’IBM 704;
◗ 1956 è realizzato dall’IBM il primo esemplare di disco rigido il RAMAC 350 con 50
piatti e velocità di rotazione di 1200 giri/min. Ha una capacità di 5 MByte;
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62 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

◗ 1958 studio e realizzazione dei primi circuiti integrati (Texas Instruments e Fairchild);
◗ 1964 viene creato il linguaggio BASIC;
◗ 1967 sviluppo da parte della Fairchild Semiconductor del primo chip di memoria RAM
(Random Access Memory) da 256 bit contenente più di mille transistor;
◗ 1967 l’IBM realizza il floppy disk da 8 pollici, con capacità di 80 kByte, per utilizzarlo
con il mainframe System/370; è a sola lettura.
◗ 1967 La IBM produce un nuovo chip con celle di memoria dinamica (per ogni cella
di memoria è usato un solo transitor).
◗ 1967 Douglas Engelbart ottiene il brevetto per il primo mouse.

Nell’anno 1971 la INTEL realizza il primo microprocessore denominato INTEL 4004.


Al suo interno sono integrati 2300 transistor.

Nella figura 3.28 è riportata una scheda perforata per l’immissione dei dati su un sistema
UNIVAC 1100 (ancora utilizzata agli inizi degli anni ’70). Ogni scheda conteneva una sola
istruzione (o un solo dato) del linguaggio di programmazione (il FORTRAN per applica-
zioni scientifiche). Un programma completo era realizzato con un gran numero di schede,
poste in ordine, e inserite in un apposito lettore. I risultati dell’elaborazione erano stam-
pati su un modulo di carta.

figura 3.28

Negli anni successivi, grazie alle nuove scoperte tecnologiche, ai primi sistemi ne segui-
rono altri via via più potenti e più veloci (e anche meno ingombranti) nei quali erano
introdotte consistenti innovazioni hardware, come l’unione dell’unità di controllo e
dell’ALU, in un unico blocco detto CPU (Central Processing Unit ovvero Unità Centrale
di Processo), la presenza di memorie di massa con maggiori capacità e migliori tempi
di accesso ai dati, l’utilizzazione delle memorie a semiconduttore.

Contemporaneamente all’evoluzione dell’hardware, ovvero della parte elettronica che co-


stituisce il calcolatore, si andava perfezionando anche il software, cioè i programmi. In
effetti, nelle prime macchine, i programmi dovevano necessariamente essere scritti utiliz-
zando particolari codici facilmente interpretabili dalla macchina (linguaggio macchina),
ma alla portata di soli tecnici specializzati. I programmi, scritti in tale maniera, erano di
difficile implementazione e suscettibili in fase di realizzazione di numerosi errori.
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Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 63
Anche i linguaggi con codici mnemonici (detti linguaggi assembly) erano di difficile
utilizzazione perché il programmatore doveva conoscere il funzionamento interno del-
la macchina e anche perché legati al tipo di elaboratore. Furono quindi creati i cosid-
detti linguaggi ad alto livello, più facilmente utilizzabili dai programmatori, anche
senza che questi avessero una profonda conoscenza dell’hardware, e quindi necessa-
riamente dovettero essere realizzati anche i compilatori, necessari per effettuare la
traslazione dei linguaggi ad alto livello nel linguaggio macchina relativo all’elaborato-
re utilizzato.
Tra i primi linguaggi ad alto livello apparsi è molto noto il FORTRAN, le cui prime appli-
cazioni avvennero intorno al 1957, e poi successivamente il COBOL (1960).
Divenendo i calcolatori sempre più potenti e sofisticati, nacque la necessità di ottenere
una gestione migliore delle risorse hardware in relazione al software utilizzato. Per questo
vennero realizzati i cosiddetti sistemi operativi, ovvero un insieme di programmi, che
permettevano ai programmatori un più facile accesso alle risorse hardware della macchi-
na, con particolare riferimento alle unità di ingresso e di uscita dati, e alla gestione dei
dispositivi di memorizzazione di massa.
Intanto la tecnologia costruttiva passava all’impiego prima dei transistor (intorno al 1960)
e poi dei circuiti integrati (1964).
Accanto ai grossi sistemi di elaborazione dati sono andati diffondendosi in maniera sem-
pre più capillare i Personal Computer, ovvero dei sistemi che pur essendo di minimo
ingombro offrono al singolo utente notevoli possibilità di elaborazione, sicuramente
uguali se non addirittura superiori a quelle dei grossi elaboratori delle precedenti gene-
razioni. Si pensi che un mainframe degli anni ’80 poteva disporre al massimo di una
memoria di 32 MByte; attualmente un Personal Computer utilizza 8 GByte di memoria
o anche più.
Il Personal Computer fa la sua prima apparizione intorno al 1975.
Il precursore dei PC moderni può essere ritenuto l’APPLE I, comparso sul mercato nell’apri-
le del 1976. Doveva essere assemblato dall’utente aggiungendo a una scheda (mainboard)
su cui era posta la CPU e tutti gli altri circuiti integrati, l’alimentatore, la tastiera, un video
esterno e un eventuale lettore di nastri a cassette collegato a un circuito di interfaccia
separato. Nel 1977 è commercializzato, già assemblato, l’APPLE II, dotato di monitor, ta-
stiera, unità di memorizzazione di massa su floppy disk da 5’’1/4. Possedeva anche un’in-
terfaccia per stampante.
Nel 1980 sono presenti sul mercato sostanzialmente tre tipi di PC: il PET, l’APPLE (basati
sul microprocessore 6502, con bus dati a 8 bit e il TRS80 (con microprocessore Z80 sempre
a 8 bit). Tutti e tre i tipi sono dotati di memorie di massa con dischi magnetici flessibili
(floppy disk) e come linguaggio di programmazione utilizzano il BASIC.
Come verrà meglio specificato nel seguito, il bus dati di un processore, è formato da un
insieme di linee su cui transitano i dati a esso diretti o che escono da esso. Il numero di
linee che compongono il bus dati viene normalmente assunto per definire il tipo di pro-
cessore (a 8 bit, a 16 bit, a 32 bit, a 64 bit).
Alla fine dell’anno 1981 compare sul mercato il primo PC, realizzato dalla IBM, dotato
della CPU 8088, prodotta dall’INTEL, con bus esterno a 8 bit e interno a 16 bit. Con tal
evento i PC subiscono un salto di qualità. Da questo momento si susseguono numerosi
modelli con sempre maggiori potenzialità, prodotti oltre che dalla IBM anche da altre ca-
se costruttrici, basati sulla famiglia di processori 8088/86.
I nuovi modelli sono dotati di memorie di massa sempre più capaci e ai primi sistemi
a dischi flessibili si affiancano i dischi rigidi adatti a una maggiore capacità di memoriz-
zazione. Il primo disco rigido in dotazione al PC prodotto dalla IBM, aveva una capaci-
tà di 10 MByte. Oggi si hanno dischi con capacità di memorizzazione di centinaia (o
anche migliaia) di GByte.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
64
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Nella figura 3.29 sono posti a raffronto tre tipi di floppy disk (da 31/2, 8 e 51/4 pollici).

figura 3.29

3.7 Quadro storico dei primi processori


◗ INTEL 4004 (novembre 1971): la INTEL realizza la prima CPU (Central Processing Unit)
con bus a 4 bit. In un unico chip sono integrati:
una ALU a 4 bit, una decodifica per le istruzioni, un circuito temporizzatore e di control-
lo, vari registri (tra cui un accumulatore), uno stack e il buffer per le linee dati di I/O.
La CPU è in grado di pilotare direttamente 32000 Bit (4 kByte) di memoria ROM e 5120 bit
di RAM. Lavora con un clock che può andare da 500 kHz a 750 kHz. Il processore è
alloggiato in un socket a 16 pin dual in-line.
◗ 8080: presentato dalla INTEL nel 1973 può essere considerato il capostipite della famiglia
dei microprocessori INTEL. È un microprocessore a 8 bit, con 16 linee d’indirizzo, capa-
ce quindi d’indirizzare 64 kByte di memoria.
◗ 6800: introdotto dalla MOTOROLA nel 1974 ebbe una larga diffusione per la sua sem-
plicità d’uso. Costruito in tecnologia NMOS, è un microprocessore a 8 bit con 16 linee
d’indirizzo.
◗ Z80: realizzato dalla ZILOG nel 1976. È un processore a 8 bit con bus indirizzi di 16
linee che ha avuto una grandissima diffusione. Fu utilizzato, tra l’altro, nei primi tipi di
PC basati su microprocessore a 8 bit.
◗ 8085: prodotto dall’INTEL nel 1977 è la versione aggiornata dell’8080. Ha una parola
dati di 8 bit e 16 linee d’indirizzo.

Famiglia x86: comprende numerosi processori prodotti dall’INTEL con caratteristiche via
via salienti a partire dai primi processori della serie lo iAPX 88 e iAPX 86. Sono tutti soft-
ware compatibili verso il basso.

◗ 8086 (1978): ha un bus dati a 16 bit, un bus indirizzi formato da 20 linee e può indiriz-
zare 1 MByte di memoria. Contenitore a 40 pin.

figura 3.30
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 65
◗ 8088 (1979): è una variante semplificata dell’8086 con bus dati esterno a 8 bit e interno
a 16 bit. Il bus indirizzi è formato da 20 linee e può quindi indirizzare 1 MByte di me-
moria. Il contenitore è a 40 pin. Nella figura 3.30 è raffigurato un 8088.
◗ 80286 (1982): ha un bus dati a 16 bit e un bus indirizzi di 24 linee, può indirizzare
16 MByte di memoria fisica e può gestire anche memoria virtuale di 1 GByte. Ha una
coda di 6 byte.
◗ 80386 o 80386 DX (1985): ha un bus dati a 32 bit. Il bus indirizzi è formato da 32 linee
e può indirizzare 4 GByte di memoria fisica (1 Gigabyte = 230 Byte). Può inoltre gestire
64 TByte di memoria virtuale (1 Terabyte = 240 byte). Ha una coda di 16 byte.
◗ 80386 SX (1988): è la versione ridotta dell’80386, ha un bus dati esterno a 16 bit e in-
terno a 32 bit. Il bus indirizzi ha 24 linee.
◗ 80486 o 80486 DX (1989): è un processore a 32 bit, ha il coprocessore matematico e 8
kByte di cache (per istruzioni e dati). Ha una coda di 32 byte e un bus indirizzi bidire-
zionale formato da 32 linee. Nel chip è presente anche un gestore della memoria MMU
(Memory Management Unit). Con questo modello di CPU viene cambiato il tipo del
socket, abbandonando il formato dual in line perché non aveva un numero di pin suf-
ficienti per connettere tutte le linee interne del processore.
Nella figura 3.31 è rappresentata una CPU 80486 DX e sul lato destro della figura il
socket PGA (Pin Grid Array) a 168 pin. Successivamente questo tipo di socket fu
sostituito nei processori 40486 con il socket 1 a 169 pin (con l’aggiunta di un pin) per
impedire un’errata inserzione dei modelli successivi del processore, in motherboard
più vecchie.

figura 3.31

◗ 80486 DX2 (1989): ha le stesse caratteristiche dell’80486 DX, ma lavora con doppio clock.
Il DX2-50 ha clock interno a 50 Mhz ed esterno a 25 MHz; il DX2-66 ha clock interno
a 66 MHz ed esterno a 33 MHz.
◗ 80486 SX (1991): è un microprocessore a 32 bit che può ritenersi una versione ridotta
dell’80486. Non ha incluso nel chip il processore matematico.
◗ 80486 DX4 (1994): lavora con clock interno più elevato rispetto a quello esterno. Il
DX4-100 ha un clock interno a 100 MHz ed esterno a 33 MHz.

I processori della serie illustrata sono stati realizzati non solo dalla INTEL, ma anche da
molti altri produttori tra cui la AMD. Dopo il microprocessore 80486 inizia una produzio-
ne di CPU con microarchitetture nettamente differenziate realizzate, in particolare, dalla
stessa INTEL e dalla AMD.
Nel 1993 la INTEL avvia la produzione dei Pentium con caratteristiche via via salienti (a
partire dalla microarchitettura P5) e nel 1996 la AMD mette in commercio il K5.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
66 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 6. Un circuito logico programmabile permette di
false. eseguire operazioni logiche o aritmetiche di
tipo diverso, in base a un codice applicato ad
1. I primi elaboratori elettronici furono realizzati alcune delle sue linee d’ingresso.
con i transistor. ❑ vero
❑ vero ❑ falso
❑ falso
7. L’ALU è anche chiamata microprocessore o
2. Il relè è un componente elettromeccanico uti- CPU.
lizzato nei primi calcolatori. ❑ vero
❑ vero ❑ falso
❑ falso
8. In un sistema logico combinatorio sono pre-
3. La valvola termoionica è un componente elet- senti elementi di memoria.
tronico realizzato con lamine di semicondutto- ❑ vero
re (germanio o silicio). ❑ falso
❑ vero
❑ falso 9. Nei sistemi logici sequenziali i valori assunti
dalle variabili d’uscita, dipendono anche dalla
4. La piastrina di semiconduttore, sulla quale storia passata del sistema.
sono integrati i vari componenti di un circuito ❑ vero
integrato, viene chiamata chip o die. ❑ falso
❑ vero
❑ falso 10. I sistemi sequenziali sono detti sincroni quan-
do la variazione delle variabili d’ingresso
5. I primi circuiti integrati erano realizzati con influenza il sistema solo in sincronismo con un
larga scala d’integrazione (LSI). segnale di clock applicato al sistema stesso.
❑ vero ❑ vero
❑ falso ❑ falso

■ Svolgere i seguenti test.

1. Elencare in ordine temporale le scale d’inte- 3. Quale era la lunghezza della parola nel primo
grazione con cui sono stati successivamente processore Intel 4004?
realizzati i circuiti integrati. ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................

2. Per quale motivo i transistor di tipo MOS 4. Che cosa è l’ALU e quale è il suo principale
hanno permesso di ottenere una più grande utilizzo?
scala d’integrazione? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Gli automi a stati finiti e la macchina di Turing 67

5. Esporre le differenze che sono presenti tra un 11. Rappresentare per mezzo di un diagramma di
circuito logico combinatorio e uno sequenziale. flusso un algoritmo che esegua l’incremento di
........................................................................... uno (1) di un numero binario di due bit.
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
6. Dare la definizione di un automa a stati finiti. ...........................................................................
...........................................................................
12. Spiegare come è realizzata una macchina di
........................................................................... Turing e come essa funziona.
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
7. Rappresentare con uno schema a blocchi un
automa con il modello di Moore e uno con ...........................................................................
quello di Mealy. ...........................................................................
...........................................................................
13. La figura 3.32 mostra il grafo di flusso di una
........................................................................... macchina di Turing in grado di sommare uno
........................................................................... (1) a un numero binario di lunghezza arbitraria.
........................................................................... Descrivere le modalità di funzionamento della
macchina raffigurata. La testina inizialmente è
posta sul bit più significativo del numero.
8. Dire quali sono gli ingressi della rete combina-
toria d’uscita per l’automa di Moore e per ...........................................................................
quello di Mealy. ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
14. Trovare la matrice funzionale e il set di quintu-
ple che descrivono la macchina di Turing della
9. Descrivere le differenze, tra il modello di
figura 3.32.
Moore e quello di Mealy nella loro rappresen-
tazione con i grafi di flusso. ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................

10. Spiegare cosa sono gli automi riconoscitori di


sequenze.
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
........................................................................... figura 3.32
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68 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esercizi proposti
1. Rappresentare con un grafo di flusso, usando switch (Isw) prima dell’introduzione della moneta.
il modello di Moore, un automa distributore di Il sistema, inizialmente nello stato S0, dopo l’intro­
bevande. Il dispositivo accetta un unico tipo di duzione della moneta si porta nello stato S1 con
moneta (M) ed è in grado di erogare due bevande M = 1 e Isw = X (qualsiasi valore) e da questo,
diverse (B1 o B2) che sono scelte premendo, dopo quando diviene M = 0, in due stati diversi (S2 o S3)
l’introduzione della moneta, due diversi pulsanti (P1 in base alla posizione impostata sullo switch. Con
o P2). Isw = 1 si porta nello stato S2 portando alta l’uscita
Il sistema, inizialmente nello stato S0, dopo l’introdu­ B2 ed erogando la bevanda selezionata, mentre
zione della moneta si porta nello stato S1 e da que­ con Isw = 0 si porta nello stato S3 portando alta
sto in due stati diversi (S2 o S3) in base al pulsante l’uscita B1 ed erogando l’altro tipo di bevanda.
premuto. Dopo aver distribuito la bevanda esso Dopo la erogazione esso torna da S2 o S3 allo
torna allo stato iniziale con M = 0 P1 = 0 P2 = 0. Si stato iniziale con qualsiasi valore degli ingressi.
assume che le combinazioni degli ingressi non utiliz­ Le uscite B1 o B2, quando vanno alte, attivano un
zate (M = 0 P1 = 1 P2 = 1, M = 1 P1 = 0 P2 = 1, sistema di sgancio della bevanda desiderata. Si fa
M = 1 P1 = 1 P2 = 0, M = 1 P1 = 1 P2 = 1) riportino l’ipotesi che per una nuova erogazione, le uscite B1
il sistema sempre allo stato iniziale. o B2 debbano ritornare prima a livello logico basso.
La gettoniera che riceve la moneta, quando il valore La gettoniera che riceve la moneta, quando il valore
della moneta corrisponde a quello desiderato, for­ della moneta corrisponde a quello desiderato, for­
nisce al sistema un segnale logico a livello alto per nisce al sistema un segnale logico a livello alto per
tornare poi a livello basso dopo 1 secondo. tornare poi a livello basso dopo 1 secondo.
Le uscite B1 o B2, quando vanno alte, attivano un
sistema di sgancio della bevanda desiderata. Si fa 6. Realizzare per l’automa dell’esercizio 5, la tabella di
l’ipotesi che per una nuova erogazione, le uscite transizione degli stati secondo il modello di Moore
B1 o B2 debbano ritornare prima a livello logico e la tabella che associa le variabili di stato ai vari
basso. stati e alle uscite del sistema (vedere come esempio
tabella 3.4 e tabella 3.5 del paragrafo 3.4 della
2. Realizzare per l’automa dell’esercizio 1, la tabella di presente Unità).
transizione degli stati secondo il modello di Moore
e la tabella che associa le variabili di stato ai vari 7. Rappresentare con un grafo di flusso, usando il
stati e alle uscite del sistema (vedi come esempio modello di Mealy, l’automa distributore di bevande
tabella 3.4 e tabella 3.5 del paragrafo 3.4 della dell’esercizio 5.
presente Unità).
8. Realizzare per l’automa dell’esercizio 5, la tabella di
3. Rappresentare con un grafo di flusso, usando il transizione degli stati secondo il modello di Mealy e
modello di Mealy, l’automa distributore di bevande la tabella che associa le variabili di stato ai vari stati
dell’esercizio 1. (vedere come esempio tabella 3.6 e tabella 3.7 del
paragrafo 3.4 della presente Unità).
4. Realizzare per l’automa dell’esercizio 1, la tabella di
transizione degli stati secondo il modello di Mealy e 8. Il complemento a due di un numero binario si ottiene
la tabella che associa le variabili di stato ai vari stati facendone il complemento ad uno e poi sommando
(vedere come esempio tabella 3.6 e tabella 3.7 del uno (1) al complemento ottenuto. Tracciare il grafo
paragrafo 3.4 della presente Unità 3). di flusso di una macchina di Turing che esegua il
complemento a due di un numero binario. Si utilizzi
5. Rappresentare con un grafo di flusso, usando per realizzare la macchina l’unione di quella per il
il modello di Moore, un automa distributore di complemento a uno illustrata nell’esercizio 3.11
bevande. Il dispositivo accetta un unico tipo di (opportunamente modificata) e quella che esegue
moneta (M) ed è in grado di erogare due bevande la somma di uno (1) al numero binario, ripotata in
diverse (B1 o B2) che sono scelte per mezzo di uno figura 3.32.
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unità 4 Elementi di teoria


dell’informazione
e della comunicazione
Fin dagli albori della civiltà l’uomo comunicava mediante i gesti e/o la voce trasferendo
informazioni a distanze limitate ( figura 4.1 ).

figura 4.1

L’uso dei tamburi (tam-tam) e degli specchi hanno consenti-


to di estendere il raggio d’azione delle comunicazioni.

L’invenzione della scrittura e della stampa, l’uso dell’ener-


gia elettrica, che ha consentito le trasmissioni di segnali
elettrici su fili conduttori, l’invenzione del telegrafo di
figura 4.2 (scrittura a distanza) e del telefono (fonia a
distanza) hanno rivoluzionato il processo di comunicazio-
ne permettendo collegamenti tra Città, Stati e Continenti.

figura 4.2

Oggi la comunicazione attraverso lo spazio con onde elettromagnetiche e l’utilizzo dei


satelliti per telecomunicazioni consentono lo scambio di informazioni di diversa natura,
sull’intera superficie terrestre con una velocità di trasmissione pari a quella della luce
( figura 4.3 ).

Satellite

ROMA NEW YORK

Buon Buon
giorno giorno

Tx Rx
Connessione Stazione Stazione Connessione
telefonica satellitare satellitare telefonica
terrestre terrestre

figura 4.3
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70 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

4.1 L’informazione
La comunicazione (dal latino communicatio che esprime l’azione di mettere in comune
qualcosa) è un processo per trasmettere a distanza un messaggio costituto da una sequen-
za di simboli diversi (informazioni elementari), da disegni, dalla voce, da suoni, da
immagini fisse o in movimento, da dati, ecc. Esempi di messaggi sono:
◗ il valore di una misura;
◗ una frase scritta in una qualsiasi lingua;
◗ un rigo di un brano musicale scritto all’interno di un pentagramma;
◗ una successione d’immagini;
◗ una sequenza di dati (anagrafici, bancari, ecc.).
La parola informare, invece, vuol dire dare forma. L’informazione appartiene a colui
che la deve trasmette in forma tale da farla comprendere a colui che la riceve.
L’informazione è tale solo se è in grado di ridurre le incertezze nella mente dell’interlocu-
tore che la riceve.
L’informazione elementare è di natura astratta, ossia è priva di corrispondenza con la
realtà oggettiva e può essere formata da una singola lettera, da una singola nota musica-
le, da una singola immagine, da un evento (ciò che può accadere o è accaduto).
L’informazione elementare, indicata con I(x), è emessa da sorgenti di diverso tipo
( figura 4.4 ).

SORGENTI
D
DS ALL
18 AS
S2
0
TO
-92 Mente umana

Sensore-Trasduttore

I(x) Informazione
Notebook
ON OFF

MENU W T

Fotocamera

figura 4.4 Videocamera

Lo scambio di informazioni tra due interlocutori avviene, generalmente, con domande e


risposte. Si supponga che un interlocutore ponga una domanda a un altro che, nel rispon-
dere, informa il richiedente con soluzioni diverse. Si può verificare che l’interlocutore:
◗ non risponda e quindi non comunichi alcuna informazione;
◗ risponda con un Sì o un No e comunichi una informazione minima, perché elimina
una minima quantità di incertezza all’interlocutore che ha posto la domanda;
◗ risponda in modo più esauriente rispetto a un Sì o un No, aggiungendo forse Sì o for-
se No. In tal caso fornisce più informazione perché riduce in misura maggiore l’incer-
tezza.
Si conclude che il concetto d’informazione è legato strettamente alla rimozione, o meglio
alla riduzione, dell’incertezza. Più elevata è l’incertezza rimossa, tanto maggiore è la quan-
tità di informazione ricevuta.
Risulta evidente che un evento certo (o un messaggio prevedibile) non contiene incertez-
za e quindi non trasmette alcuna informazione (ad esempio l’evento del sorgere del sole
ogni mattina). Al contrario l’informazione associata a un evento impossibile, come l’uomo
che corre alla velocità della luce, è infinita.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 71
L’informazione può essere analogica o discreta a seconda del numero dei possibili va-
lori che la grandezza informativa può assumere.
◗ Analogica: è costituita da un numero illimitato (infinito) di valori (figura 4.5) come, ad
esempio, i valori della temperatura, dell’umidità, della pressione, ecc. Le onde sonore
generate dalla voce o da uno strumento musicale sono segnali continui nell’ampiezza e
continui nel tempo.

◗ Discreta (numerica): è costituita da un numero finito di valori come quelli che si otten-
gono con il lancio di una monetina (2 valori), di un dado (6 valori) o quelli dovuti ai
simboli di un qualsiasi alfabeto (figura 4.6). Quando il numero di valori utilizzati sono solo
due, l’informazione è binaria e la grandezza informativa è rappresentata con un codice
binario (figura 4.7).
A A A

t t

t
Grandezza informativa analogica Grandezza informativa numerica Grandezza informativa binaria

figura 4.5 figura 4.6 figura 4.7

4.2 Sistema di comunicazione


La comunicazione è la funzione utilizzata per trasferire le informazioni a distanza. Un sem-
plice sistema di comunicazione è costituito da una sorgente che emette l’informazione, da
un canale di trasmissione e da un utilizzatore che la riceve (figura 4.8).

Canale
Sorgente
Informazione di Informazione Utilizzatore
emittente
comunicazione
figura 4.8

Un sistema naturale di trasmissione vocale può essere costituito (figura 4.9):


◗ da un sistema intelligente (mente umana) che pensa;
◗ dall’apparato (laringe, bocca) che emette il segnale vocale sotto forma di onde sonore;
◗ dal mezzo, in questo caso l’aria, che permette la propagazione delle onde sonore me-
diante la variazione della pressione;
◗ dalle orecchie di un altro sistema intelligente che percepiscono le onde sonore;
◗ dal cervello che interpreta e decodifica le onde sonore come segnale vocale.
Risulta evidente che, a livello di comunicazione umana, due persone possono compren-
dersi solo se utilizzano lo stesso linguaggio (codice).

figura 4.9
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72
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Un sistema di comunicazione digitale è rappresentato in figura 4.10 .


Informazione Segnale
analogica digitale

Sorgente Codifica di Trasmettitore


analogica sorgente
Codifica di Modulatore Amplificatore Segnale modulato trasmesso
canale digitale di potenza
Sorgente Informazione digitale
digitale
Segnale di DISTURBO

Mezzo di
comunicazione

Segnale Informazione
digitale analogica

Ricevitore Decodifica Utilizzatore


di sorgente
Segnale modulato ricevuto Demodulatore Decodifica
digitale di canale
Informazione digitale
Utilizzatore
figura 4.10

Per trasferire l’informazione a distanza su un supporto fisico, come le reti telefoniche, è


necessario che essa sia trasformata in un segnale elettrico variabile nel tempo. Un segna-
le determinato (noto a priori) non contiene alcun contenuto informativo, mentre un segna-
le aleatorio (con valori non noti a priori) contiene un contenuto informativo. Considerato
che il segnale elettrico che meglio si presta alla trasmissione a distanza è quello numeri-
co, è necessario digitalizzare il segnale analogico con un processo di codifica in modo da
associare a ogni valore campionato una sequenza di cifre binarie (figura 4.11).

11100101
Codifica
Segnale analogico
Ampiezza

00001101
Codifica

figura 4.11 Livello segnale codificato

In ricezione il segnale trasmesso è decodificato al fine di ricostruire il segnale analogico


contenente l’informazione e renderlo comprensibile al destinatario (figura 4.12).

11100101
Decodifica
Ampiezza

00001101
Decodifica
Segnale analogico ricostruito

figura 4.12 LIvello segnale ricostruito

Di seguito sono descritti le funzioni essenziali svolte dai singoli blocchi presenti nel siste-
ma di comunicazione di figura 4.10.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 73
Sorgente (figura 4.13): è il dispositivo che emette l’informazione di tipo analogica (telefono,
trasduttore analogico, telecamera analogica, ecc.) o di tipo digitale (personal computer,
trasduttore digitale, fotocamera, telecamera digitale, ecc.).

Videoconferenza

Telefono Personal Computer Videocamera

Telecom Italia
5
31 Dic 09:1
Fotocamera

ON OFF

1 ABC 2 DEF 3 MENU W T


JKL 5 MNO
6
GHI 4
Z9
PQRS 7 TUV 8 WXY

* 0

figura 4.13

Codifica di sorgente: è il processo che trasforma una qualsiasi informazione in una configu-
razione di cifre binarie che conferiscono alla trasmissione di tipo digitale una maggiore affida-
bilità. Tale operazione rende indipendente il trasmettitore sia dal tipo di sorgente sia dal tipo
di messaggio. Ad esempio le lettere dell’alfabeto e i numeri vengono codificati con la tastiera
di un PC con una sequenza di bit che costituiscono parole binarie di ugual lunghezza (codi-
ce ASCII). La figura 4.14 mostra il messaggio di richiesta di soccorso SOS (nel codice Morse è
costituito da tre punti [emissione breve], tre linee [emissione lunga] e tre punti), codifica-
to in ASCII.

Codice ASCII a 8 bit


SOS
S 0 1 0 1 0 0 1 1

O 0 1 0 0 1 1 1 1

figura 4.14 S 0 1 0 1 0 0 1 1

Codifica di canale: il processo di codifica aggiunge al codice di sorgente alcuni bit utiliz-
zati, successivamente, dalla decodifica di canale per la rilevazione degli eventuali errori.
La tecnica più diffusa per il rilievo degli errori è quella a ridondanza di codice che basa il
principio sul controllo di parità. Il metodo consiste nell’aggiungere in testa (o in coda) alla
sequenza del codice sorgente un bit in modo che il codice di canale sia trasmesso con un
numero complessivo pari di 1 (parità pari) o dispari di 1 (parità dispari).
Nella figura 4.15 è riportato il codice di canale del messaggio SOS con l’aggiunta del bit di
parità pari a destra su ogni stringa del codice sorgente ( figura 4.14 ).

Codice ASCII a 8 bit con bit di parità

S 0 1 0 1 0 0 1 1 0

O 0 1 0 0 1 1 1 1 1

S 0 1 0 1 0 0 1 1 0

figura 4.15 Bit di parità pari


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74 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Modulatore digitale (codificatore di linea): è un dispositivo che genera un segnale


avente caratteristiche idonee alla trasmissione a distanza. In pratica un segnale, general-
mente sinusoidale, utilizzato come vettore per la trasmissione (portante), con frequenza e
ampiezza predefinita, è modulato (modificato) dalle variazioni del segnale contenente l’in-
formazione (modulante).
La modulazione è detta d’ampiezza quando il segnale contenente l’informazione modifica
l’ampiezza della portante e di frequenza quando il segnale dell’informazione modifica la
frequenza della portante.
Nella figura 4.16, ad esempio, è rappresentato un sistema di modulazione digitale di fre-
quenza FSK (Frequency Shift Keying – Modulazione a slittamento di frequenza): il segna-
le modulato sinusoidale assume solo due valori di frequenza f1 e f2, rispettivamente per il
bit 1 e il bit 0.
Segnale portante
OSCILLATORE f1
Segnale Segnale FSK
Modulatore
modulante modulato
digitale 1 1 S. Modulante
digitale FSK OSCILLATORE f2
0 0
Segnale portante
analogico Segnale di f1 f2 S. Modulato FSK
controllo
figura 4.16 binario 0/1

Amplificatore di potenza: è un dispositivo (figura 4.17) che fornisce potenza al segnale


modulato digitale per renderlo adatto alla trasmissione a distanza (amplificazione dei para-
metri della potenza: tensione e intensità di corrente).

Amplificatore a radiofrequenza
S. Modulato FSK amplificato

S. Modulato FSK BJT

FET
Segnale di ingresso Segnale di uscita amplificato

NMOS
Triodo
figura 4.17

Mezzo o canale di comunicazione: è il mezzo utilizzato per trasferire l’informazione a


distanza. Può essere costituito da una linea elettrica (doppino telefonico, cavo coassiale),
da una fibra ottica o guida d’onda per segnale luminoso, dal vuoto o dall’aria. La
figura 4.18 mostra il percorso di un raggio luminoso all’interno di una fibra ottica.

Cono d'accettazione
Rivestimento
Raggio luminoso Mantello
Nucleo

Costituzione fibra ottica

Segnale Canale di trasmissione Fibra ottica Segnale


Convertitore Convertitore elettrico
elettrico
segnale segnale
elettrico/ottico ottico/elettrico
figura 4.18 Giuda d'onda per segnali ottici

La capacità di canale, coincidente con la capacità informativa, è la quantità di bit che pos-
sono essere instradati su un canale ideale (ossia privo di errori) nell’unità di tempo.
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Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 75
Segnale di disturbo: i segnali di disturbo degradano la qualità dell’informazione. I distur-
bi più comuni sono la distorsione, l’interferenza e il rumore.

Distorsione Interferenza Rumore

La distorsione è dovuta alla circuite- L’interferenza è dovuta a segnali elet- Il rumore è un segnale elettrico casuale,
ria elettronica e si manifesta con una al- trici estranei che si sovrappongono a non prevedibile, che si aggiunge a quel-
terazione del segnale. quello utile. A causarli è il mezzo di tra- lo utile.
smissione che capta segnali dovuti a
onde elettromagnetiche.

Demodulatore digitale: svolge la funzione inversa a quella del modulatore digitale. Il


dispositivo estrae l’informazione dal segnale modulato ricostruendo il segnale modulante
digitale ( figura 4.19 ).
f1 f2 S. Modulato FSK

Segnale Segnale
Demodulatore
modulato modulante
digitale 1 1 Segnale modulante
FSK digitale
0 0
figura 4.19 Informazione codificata

Decodifica di canale: è il processo che estrae dalla codifica di canale i bit ridondanti e
ricostruisce la codifica di sorgente. I bit aggiunti, invece, sono utilizzati per la rilevazione
degli errori (figura 4.20). Il ricevitore controlla se la parola trasmessa contiene un numero
di bit pari ed in caso affermativo accetta il codice, altrimenti richiede una nuova trasmis-
sione. Questo metodo non è molto efficace perché il ricevitore non rileva errori quando
si modificano coppie di bit contemporaneamente.
Codice ASCII a 8 bit con bit di parità

0 0 1 0 1 0 0 1 1 S

1 0 1 0 0 1 1 1 1 O

0 0 1 0 1 0 0 1 1 S

figura 4.20 Bit di rilevazione errore

Decodifica di sorgente: è il processo che rigenera il segnale analogico con il contenuto


informativo trasmesso ( figura 4.21 ).

Codice ASCII a 8 bit

0 1 0 1 0 0 1 1 S
Decodifica di sorgente
0 1 0 0 1 1 1 1 O

figura 4.21 0 1 0 1 0 0 1 1 S

Utilizzatore: è l’elemento terminale che utilizza l’informazione ricevuta correttamente


( figura 4.22 ).

SOS

figura 4.22
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76
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

4.3 L’informazione e la probabilità


Una sorgente discreta è costituita da un numero finito di simboli o eventi e questi sono
emessi in modo casuale. Poiché il contenuto informativo che il simbolo contiene è corre-
lato alla sua probabilità di emissione è necessario stabilire il legame tra informazione e
probabilità di ricorrenza. Per meglio comprendere il legame esistente tra il contenuto infor-
mativo e la probabilità si considerino gli esempi di seguito riportati.
Il lancio di una moneta comporta un risultato incerto in quanto gli eventi possibili che si
possono verificare sono solo due (testa o croce). Gli eventi sono statisticamente indipen-
denti, ossia equiprobabili poiché hanno la stessa probabilità di verificarsi. In questo caso
sia l’informazione e sia l’incertezza rimossa sono identiche, così come la probabilità che
l’evento si verifichi. Indicando con xi l’evento, con p(xi) la probabilità che essa si verifichi
e I(xi) l’informazione risulta:

Evento Probabilità Informazione

x1 = Testa p(x1) = 0,5 I(x1) = 0,5


x2 = Croce p(x2) = 0,5 I(x2) = 0,5
Si evidenzia che p(x1) + p(x1) = 1

L’utilizzo della mano destra o sinistra per la scrittura di un documento fornisce eventi non
equiprobabili. Se un interlocutore chiede allo scrivente con quale mano scrive e ha come
risposta “mano destra”, riceve poca informazione in quanto molte persone scrivono con la
mano destra e, di conseguenza, la quantità d’incertezza rimossa è minima.
Indicando con xi l’evento, p(xi) la probabilità che essa si verifica e I(xi) l’informazione si
ha:

Evento Probabilità Informazione

x1 = mano destra p(x1) = alta I(x1) = bassa


x2 = mano sinistra p(x2) = bassa I(x2) = alta
Sempre con p(x1) + p(x1) = 1

Si deduce, quindi, che un evento xi molto probabile contiene poca informazione I(xi), al
contrario un evento poco probabile contiene molta informazione. In conclusione il con-
tenuto informativo I(xi) è correlato alla probabilità p(xi) secondo la relazione:
1
I (xi) = [4.1]
p(xi)
Dalla [4.1] si deduce che un evento certo non contiene alcuna informazione perché la sua
probabilità di verificarsi è unitaria.

4.3.1 Misura dell’informazione di un sistema discreto


Una generica informazione contiene sia un significato concettuale sia uno quantitativo. Il
primo è di natura soggettiva (ad es. alto o basso, buono o cattivo, dolce o amaro) e,
pertanto, non risulta utile per definire l’unità di misura dell’informazione. Il secondo, di
natura oggettiva, contiene conoscenze quantificabili che conducono alla definizione
dell’unità di misura dell’informazione, detta peso oggettivo. Risulta evidente che l’unità di
misura deve essere indipendente dalla sorgente dell’informazione e dal destinatario.
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Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 77
Per meglio definire l’unità di misura dell’informazione è conveniente riferirsi a un sistema
discreto avente un numero definito di simboli o eventi equiprobabili.
Il sistema discreto più semplice è quello contenente un solo evento possibile (evento
certo) che, come già detto, non contiene alcuna informazione. Tale sistema non conduce
a fare scelte e quindi non induce a prendere alcuna decisione.
Un sistema contenente un minimo d’informazione è costituito da due eventi possibili (Vero
o Falso, Sì o No, On o Off, Alto o Basso, 1 oppure 0, ecc.) aventi uguali probabilità di
verificarsi. In questo secondo caso la quantità d’informazione del sistema dipende dai due
eventi e la conoscenza di uno di essi (Vero, Sì, On, Alto, 1) diminuisce certamente la quan-
tità di incertezza sulla conoscenza o meno del sistema.
Se, invece, il sistema comporta più eventi equiprobabili (ad esempio Vero, Quasi Vero,
Quasi Falso, Falso) la trasmissione di uno dei quattro eventi diminuisce di molto la incer-
tezza relativa alla conoscenza del sistema e, di conseguenza, la quantità di informazione
ricevuta è maggiore rispetto al sistema con due soli eventi equiprobabili.
Da quanto detto si conclude che l’aumento del numero di eventi aumenta la quantità
d’informazione.
L’esempio del lancio delle monetine chiarisce quanto detto e porta alla definizione mate-
matica dell’unità di misura dell’informazione per un sistema discreto equiprobabile.
Il lancio di una sola monetina comporta due eventi possibili con probabilità di ricor-
renza del 50% (eventi equiprobabili: testa o croce). La scelta di uno dei due eventi pos-
sibili o la comunicazione di uno dei due eventi implica l’esclusione dell’altro. In tal caso
la quantità d’informazione è minima, unitaria e la si assume uguale a un bit (contrazio-
ne di Binary digIT [in inglese Bit = pezzettino]). Se prima del lancio della monetina vi
era incertezza, dopo il lancio l’incertezza è eliminata e la quantità d’informazione ricevu-
ta è uguale a 1 bit.
Il lancio contemporaneo di due monetine identiche comporta quattro possibili eventi equi-
probabili (testa-testa, testa-croce, croce-testa, croce-croce) e la quantità d’informazione è
pari a due bit poiché, in questo caso, occorrono due scelte per poter discriminare il risul-
tato. Incrementando il lancio di una monetina per volta si deduce che:
◗ tre monetine comportano 8 eventi equiprobabili con una quantità d’informazione pari a
tre bit;
◗ quattro monetine comportano 16 eventi equiprobabili con una quantità d’informazione
pari a quattro bit;
◗ N monetine comportano 2N eventi con un contenuto informativo di N bit (tabella 4.1).
tabella 4.1

N° Eventi Quantità Informativa

2 1
4 2
8 3
16 4
32 5
... ...
2N N

Si conclude che la quantità di informazione I dipende dal numero degli eventi secondo la
relazione:
1
I = log2 (N° Eventi) = ⋅ log10 (N° Eventi) = 3,3219 ⋅ log10 (N° Eventi) [4.2]
log102
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78
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esempio 4.1
Per la [4.2] un messaggio con 2n eventi equiprobabili contiene n bit di informazione. Poiché ogni bit
comporta una scelta binaria, un messaggio può essere completamente compreso con le opportu-
ne scelte.
Si supponga di individuare il numero decimale 13 nei primi 16 numeri dell’insieme numerico natu-
rale (0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 e 15) con scelte binarie che permettono di elimi-
nare, di volta in volta, una metà dell’insieme numerico. Ogni scelta, quindi, fornisce un bit informa-
tivo. Per poter individuare il numero incognito è necessario sapere in quale semigruppo si trova. Si
attribuisce, ad esempio, il bit 0 se il numero 13 è nel semigruppo inferiore e il bit 1 se è nel semi-
gruppo superiore.
La prima scelta del bit 1 indica che il numero è nel semigruppo superiore e si elimina il semigruppo
inferiore 0 – 7 che non contiene il numero 13 (figura 4.23). Continuando con la seconda scelta (bit 1)
si elimina il semigruppo inferiore 8 – 11, con la terza (bit 0) il semigruppo superiore 14 – 15 e infine
(bit 1) il semigruppo inferiore costituito dal solo numero 12.
Come si può osservare con 4 bit informativi (4 scelte binarie) si perviene a selezionare il numero deci-
male 13 individuato dal numero binario 1101.

1° Scelta
Bit 0 Bit 1
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 8 9 10 11 12 13 14 15 1 (1° bit)
Semigruppo inferiore
Bit 0 Bit 1
8 9 10 11 12 13 14 15 12 13 14 15 1 (2° bit)

Bit 0 Bit 1
12 13 14 15 12 13 0 (3° bit)

0 1
Quantità informativa I = 4 bit (1101)
figura 4.23 12 13 13 1 (4° bit)

Volendo determinare la quantità d’informazione I(x) dovuta al verificarsi di un generico


evento m(x) appartenente all’insieme degli eventi equiprobabili, la [4.2] diviene:
1
I(x) = log2 m(x) = log2 = – log2 p(x) [4.3]
p(x)
dove con p(x) si è indicata la probabilità dell’evento uguale a 1/m(x).

4.3.2 Entropia
Quando il sistema informativo è costituito da eventi xi non equiprobabili ma statistica-
mente indipendenti, la quantità d’informazione di ogni singolo evento cambia [vedi la 4.3]
e quella complessiva è definita quantità media d’informazione H o entropia (analoga
all’entropia dei sistemi termodinamici. Lo stato molecolare disordinato è analogo all’incer-
tezza dell’informazione).
M  M 
H = – ∑ p ( xi ) log 2 p ( xi )  ∑ p ( xi ) = 1 [4.4]
1  1 
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Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 79
La [4.4] è detta formula di Shannon e p(xi) indica la probabilità del generico evento xi. In
questo caso la quantità d’informazione diminuisce perché i simboli più probabili hanno
un minore contenuto informativo.

Ad esempio, attribuendo una probabilità del 90% all’evento con scrittura della mano destra
e una probabilità del 10% all’evento con scrittura della mano sinistra, per la [4.4] l’entropia
o quantità d’informazione è:
H = – 0,9 ⋅ log2 0,9 – 0,1 ⋅ log2 0,1 = – 0,9 ⋅ (– 0,15) – 0,1 ⋅ (– 3,32) = 0,464 bit
Risulta evidente che se i due eventi sono equiprobabili, la qual cosa è impossibile,
l’entropia H coincide con la quantità d’informazione I.
H = – 0,5 ⋅ log2 0,5 – 0,5 ⋅ log2 0,5 = – 0,5 ⋅ (– 1) – 0,5 ⋅ (– 1) = 1 bit
Anche nella corrente scrittura della lingua italiana i simboli delle lettere non si susseguo-
no con la stessa probabilità. La lettera “e” è certamente quella che ricorre con maggior pro-
babilità (nel codice Morse è codificata con un solo impulso breve rappresentato con un
punto) e la lettera “h” con minor probabilità. Inoltre è da considerare la probabilità che
alcune lettere possono essere seguite solo da simboli particolari e non da altri (la lettera
“q” può essere seguita solo dalla “u” e solamente in un caso dalla “q”, ma non dalle altre
consonanti).

esempio 4.2

Si consideri una sorgente che emette 3 simboli A, B e C statisticamente indipendenti con le probabi-
lità p(A) = 0,25, p(B) = 0,25 e p(C) = 0,5. Si calcoli la quantità d’informazione di ogni singolo simbolo
e la quantità d’informazione media.

Per la [4.3], si ha:


1
I(A) = log2 m(A) = log2 = – log2 p(A) = – log2 0,25 = 2 bit
p(A)

I(B) = – log2 p(B) = – log2 0,25 = 2 bit

I(C) = – log2 p(C) = – log2 0,5 = 1 bit

Dai risultati si evidenzia che i simboli aventi minor probabilità contengono una maggiore informazione.
La quantità media d’informazione è:

H = – 0,25 ⋅ log2 0,25 – 0,25 ⋅ log2 0,25 – 0,5 ⋅ log2 0,5 =

= – 0,25 ⋅ (– 2) – 0,25 ⋅ (– 2) – 0,5 ⋅ (– 1) = (0,5 + 0,5 + 0,5) = 1,5 bit


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80 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esercizi
svolti

1 Si calcoli la quantità d’informazione di una sorgente che emette 3 simboli equiprobabili.


I = log2 3 = 1,58 bit

2 Si calcoli la quantità d’informazione di una sorgente che emette 16 simboli equiprobabili.


I = log2 16 = 4 bit

3 Si consideri una sorgente che emette 4 simboli le cui probabilità sono riportate nella tabella seguente e
si calcoli la quantità d’informazione di ogni simbolo.

Simboli A B C D
Probabilità 0,125 0,175 0,275 0,425

I (A) = − log2 0,125 = − (− 3) = 3

I (B) = − log2 0,175 = − (− 2,51) = 2,51

I (C) = − log2 0,275 = − (− 1,86) = 1,86

I (D) = − log2 0,425 = − (− 1,23) = 1,23

Dai valori ricavati si può osservare che i simboli con probabilità minore hanno una quantità d’informazione
maggiore.

4 Si calcoli la quantità d’informazione (entropia) di una sorgente che emette 3 simboli con le seguenti pro-
babilità: 10%, 30% e 60%.
H = − 0,10 ⋅ log2 0,10 − 0,30 ⋅ log2 0,30 − 0,60 ⋅ log2 0,60 =
= − 0,10 ⋅ (− 3,32) − 0,30 ⋅ (− 1,73) − 0,60 ⋅ (− 0,73) =

= 0,33 + 0,51 + 0,43 = 1,27 bit

5 Si calcoli l’entropia di una sorgente che emette 4 simboli con le seguenti probabilità: 1/2, 1/4, 1/8, 1/8.
H = − 0,5 ⋅ log2 0,5 − 0,25 ⋅ log2 0,25 − 0,125 ⋅ log2 0,125 − 0,125 ⋅ log2 0,125 =
= − 0,5 ⋅ (− 1) − 0,25 ⋅ (− 2) − 0,125 ⋅ (− 3) − 0,125 ⋅ (− 3) =

= 0,5 + 0,5 + 0,375 + 0,375 = 1,75 bit

6 Si consideri una sorgente che emette 4 simboli A, B, C e D, statisticamente indipendenti e con le proba-
bilità p(A) = p(B) = 0,0625, p(C) = p(D) = 0,4375. Si calcoli la quantità d’informazione di ogni singolo simbo-
lo e la quantità d’informazione media.

Per la [4.3] le singole informazioni, sono:


I(A) = I(B) = log2 1 = − log2 p(A) = − log2 0,0625 = 4 bit
p(A)
I(C) = I(D) = − log2 p(C) = − log2 0,4375 = 1,19 bit

Per la [4.4] la quantità media d’informazione risulta:

H = 2 ⋅ (− 0,0625 ⋅ log2 0,0625) + 2 ⋅ (− 0,25 ⋅ log2 0,25) =

= 2 ⋅ [− 0,0625 ⋅ (− 4)] + 2 ⋅ [− 0,4375 ⋅ (− 1,19)] = (0,5 + 1,04) = 1,54 bit


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Unità
4 Elementi di teoria dell’informazione e della comunicazione 81

Test di verifica
■ Individua la risposta corretta tra quelle proposte. 6. Quando una sorgente è detta analogica?
...........................................................................
1. Il bit dell’unità di misura unitaria dell’informa­ ...........................................................................
zione è riferita a: 7. Quando una sorgente è detta numerica?
❑ un solo evento possibile; ...........................................................................
❑ più eventi possibili equiprobabili; ...........................................................................
❑ due eventi possibili non equiprobabili;
8. Quale funzione ha il codice di sorgente?
❑ due eventi possibili equiprobabili.
...........................................................................
2. L’entropia di una sorgente assume il massimo ...........................................................................
valore quando: 9. Quale funzione ha il codice di canale?
❑ un solo simbolo ha una probabilità diversa da ...........................................................................
tutti gli altri; ...........................................................................
❑ i simboli sono tutti equiprobabili; 10. Quale è la differenza tra codice di sorgente e
❑ il primo e l’ultimo simbolo sono equiprobabili; codice di canale?
❑ i simboli hanno tutti una differente probabilità. ...........................................................................
...........................................................................
3. L’amplificatore di potenza:
❑ riduce la tensione del segnale; 11. Quando l’entropia sostituisce l’unità di misura
❑ amplifica l’intensità di corrente del segnale; dell’informazione?
❑ amplifica la tensione e riduce l’intensità di cor- ...........................................................................
rente del segnale; ...........................................................................
❑ amplifica la tensione e l’intensità di corrente del 12. Quale relazione intercorre tra la probabilità di
segnale. un evento e la sua quantità d’informazione?
...........................................................................
4. L’informazione è detta binaria quando è costi­ ...........................................................................
tuita da: 13. Per quale motivo viene introdotta l’entropia
❑ un solo valore; nella teoria dell’informazione?
❑ due valori; ...........................................................................
❑ quattro valori; ...........................................................................
❑ un numero infinito di valori.
14. Quale legame esiste tra l’entropia relativa
all’informazione e quella dei sistemi termodi­
■ Rispondi alle seguenti domande. namici?
...........................................................................
1. Come viene definito tutto ciò che diminuisce ...........................................................................
l’incertezza? 15. Quando diviene massima l’entropia di una sor­
........................................................................... gente?
........................................................................... ...........................................................................
2. Perché l’informazione elementare è di natura ...........................................................................
astratta? 16. Perché l’interferenza degrada la qualità dell’in­
........................................................................... formazione?
........................................................................... ...........................................................................
3. Che cosa rappresenta un messaggio? ...........................................................................
........................................................................... 17. Perché nella comunicazione viene utilizzata la
........................................................................... modulazione del segnale da trasmettere?
4. Quando gli eventi sono detti equiprobabili? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... 18. Quali mezzi si utilizzano per trasferire l’infor­
5. Quando gli eventi sono detti non equiprobabili? mazione a distanza?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
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82 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esercizi proposti
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o false. 7. L’amplificatore di potenza elimina gli errori
nella trasmissione a distanza?
1. La trasmissione di un messaggio è una infor­
❑ vero
mazione elementare?
❑ falso
❑ vero
❑ falso
8. Il rumore, segnale elettrico casuale, è un
2. L’informazione analogica è costituita da un segnale di disturbo nella trasmissione dell’in­
numero finito di valori? formazione?
❑ vero ❑ vero
❑ falso ❑ falso

3. L’informazione discreta è detta anche numerica? 9. La decodifica di canale ricostruisce il segnale


❑ vero analogico dell’informazione?
❑ falso ❑ vero
❑ falso
4. Una sorgente emette solo informazioni di tipo
analogiche? 10. La probabilità di più eventi è maggiore di 1?
❑ vero ❑ vero
❑ falso ❑ falso
5. La codifica di canale contiene anche i bit per
la rilevazione di errori? 11. Il bit è una informazione unitaria?
❑ vero ❑ vero
❑ falso ❑ falso

6. La modulazione d’ampiezza modifica la fre­ 12. L’entropia H è la quantità media dell’informa­


quenza del segnale portante? zione?
❑ vero ❑ vero
❑ falso ❑ falso

■ Svolgere i seguenti esercizi.

1. Si calcoli la quantità d’informazione di una sorgen- 7. Si calcoli la quantità d’informazione dovuta al lan-
te che emette 4 simboli equiprobabili. cio contemporaneo di due dadi identici.

2. Si calcoli la quantità d’informazione di una sorgen- 8. Si calcoli la quantità d’informazione di ogni singolo
te che emette 25 simboli equiprobabili. simbolo e la quantità d’informazione media (entro-
pia) di una sorgente che emette 4 simboli A, B, C e
3. Si calcoli la quantità d’informazione media (entro- D, statisticamente indipendenti e con le probabilità
pia) di una sorgente che emette 4 simboli con le p(A) = 0,05, p(B) = 0,15, p(C) = 0,25 e p(D) = 0,55.
seguenti probabilità: 5%, 15%, 35% e 45%.

4. Si consideri una sorgente che emette 4 simboli le cui 9. Si calcoli l’entropia di una sorgente che emette
probabilità sono riportate nella tabella seguente e si due simboli non equiprobabili. Sia p = 0,25 la pro-
calcoli la quantità d’informazione media (entropia). babilità di emissione di uno dei due simboli.

Simboli A B C D 10. Una sorgente emette solo due simboli non equipro-
Probabilità 0,125 0,175 0,275 0,425
babili e si attribuisca a un simbolo una probabilità p
variabile da 0 a 1 con incrementi del ∆p = 10%.
◗ Si calcoli l’entropia in funzione della probabilità.
5. Si calcoli la quantità d’informazione dovuta al lan-
◗ Si tracci con EXCEL il grafico dell’entropia in
cio di due monete identiche.
funzione della probabilità.
6. Si calcoli la quantità d’informazione dovuta al lan- ◗ Si individui, dal grafico, la probabilità che rende
cio di un dado. massima l’entropia.
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unità 5 Sistemi di codifica


dell’informazione
La codifica è l’insieme delle operazioni da eseguire per trasformare i vari tipi di messag­
gi (testo, suono, immagini fisse e in movimento) in un insieme costituto da una sequenza
di bit. Tale tecnica consente di adattare qualsiasi tipo di informazione al trasmettitore, al
canale di comunicazione e al ricevitore.

I raggruppamenti di bit, detti codici, devono avere due caratteristiche fondamentali:


◗ tutte le sequenza di bit devono essere diverse tra loro;
◗ tutte le sequenze hanno lo stesso numero di bit (codice a lunghezza fissa).
I problemi più importanti per la loro costruzione sono:
◗ stabilire il numero minimo di bit da utilizzare;
◗ la inequivocabilità dei simboli nel processo di codifica.

5.1 I codici
Il primo codice di sorgente è stato realizzato da Morse per trasmissioni seriali telegrafiche.
Il sistema di codifica, costruito con apparecchiature elettromeccaniche, era molto sempli­
ce e utilizzava solo due simboli (codifica binaria) per gestire 53 caratteri: il punto (tempo
di durata breve di circa 1 s) e la linea (con durata tripla di quella del punto). La codifica
Morse è a lunghezza variabile ed è molto efficiente poiché associa ai caratteri dell’alfabe­
to più probabili i simboli codificati più corti. La lettera “e”, ad esempio, è codificata con
un solo simbolo (il punto), mentre i simboli di punteggiatura, meno ricorrenti, sono codi­
ficati con sei simboli.
Il primo codice sorgente binario a lunghezza fissa, introdotto da Baudot per telescriventi,
utilizza parole binarie a 5 bit e permette la rappresentazione di 25 = 32 caratteri diversi,
minori della somma dei dieci numeri decimali e delle 26 lettere dell’alfabeto.

■ Codice BCD
Il codice BCD (Binary Code Decimal ovvero sistema numerico decimale codificato nel
sistema numerico binario) configura solo i numeri decimali da 0 a 9 con 4 bit, secondo i
pesi delle potenze del 2 come per i numeri binari puri ( figura 5.1 ).

Il codice BCD ha le seguenti caratteristiche:


◗ è un codice binario naturale (puro);
◗ è un codice pesato;
◗ è utilizzato per i sistemi di visualizzazione numerica (Display);
◗ è ridondante (non utilizza tutte le combinazioni dei 4 bit);
◗ viene definito anche come codice 8421 (23 = 8, 22 = 4, 21 = 2, 20 = 1);
◗ permette un rapido passaggio al codice decimale;
◗ le 6 combinazioni ridondanti non possono essere utilizzate per tutte le lettere dell’alfa­
beto nazionale perché non sono sufficienti. A volte le combinazioni ridondanti sono uti­
lizzate per la numerazione esadecimale e sono rappresentate con le prime 6 lettere
dell’alfabeto (A, B, C, D, E, F). La combinazione dei 10 numeri e delle 6 lettere permettono
un rapido passaggio dal codice esadecimale a quello decimale.
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84 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Volendo codificare un numero decimale costituito da più cifre è necessario codificare in


BCD le singole cifre decimali ( figura 5.1 ).

Codice BCD
N° Binario puro
N° Decimale
8 4 2 1
Cifre ridondandi
0 0 0 0 0 N° Binario puro
N° Dec. Ex
1 0 0 0 1 8 4 2 1 Conversione in BCD
2 0 0 1 0 10 A 1 0 1 0 BCD Binario puro
3 0 0 1 1 11 B 1 0 1 1
13 13
4 0 1 0 0 12 C 1 1 0 0
1 3
5 0 1 0 1 13 D 1 1 0 1
6 0 1 1 0 14 E 1 1 1 0 0 0 0 1 0 0 1 1 1 1 0 1

7 0 1 1 1 15 F 1 1 1 1
8 1 0 0 0
figura 5.1 9 1 0 0 1

■ Codice ASCII
Il codice standard ASCII (American Standard Code for Informazion Interchange) è quel­
lo più noto e più utilizzato nei sistemi di elaborazione. È un codice a 7 bit (realizzato ini­
zialmente con solo 6 bit) con cui possono essere rappresentati 128 caratteri diversi (nume­
ri, lettere, punteggiatura e controlli), sufficienti per la lettura da una tastiera di un Personal
Computer.
In alcune applicazioni, e in particolare nei sistemi di video scrittura, si utilizza un codice
ASCII esteso con codifica a 8 bit. In tal caso sono disponibili 256 caratteri.
I caratteri estesi contengono segni grafici, scientifici e matematici.
È bene osservare che esistono diverse varianti dei codici ASCII estesi che, pur conservan­
do le codifiche di base, apportano variazioni ad alcuni codici per adattarli alle esigenze
linguistiche nazionali.
Nel codice ASCII standard ( tabella 5.1 ), i primi 32 simboli sono associati a codici di con­
trollo di formato, controllo di trasmissione e controllo di dispositivi oltre che a separatori
d’informazione e caratteri ausiliari.
Tra i codici di controllo formato si tengano presenti:

STX = Inizio (02h)


ETX = Fine messaggio (03h)
BS = Back Space (08h)
CR = Carriage Return (0Dh)
LF = Line Feed (0Ah)
Nul (carattere nullo) con codice 00h
SP (spazio) con codice 20h

adoperati spesso in molte applicazioni di programmazione.

Esistono diverse codifiche che, pur lasciando inalterata la parte relativa ai codici standard
da 32 a 127, utilizzano set di caratteri diversi per i codici da 128 a 255.
La tabella 5.2, nella quale sono stati omessi i codici da 0 a 127, si riferisce al set di caratteri
denominato 437 Inglese.
Alcuni caratteri possono essere diversi per esigenze nazionali come il simbolo della mo­
neta.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
5 Sistemi di codifica dell’informazione 85
tabella 5.1

0 00h NUL 26 1Ah SUB 52 34h 4 78 4Eh N 104 68h h


1 01h SOH 27 1Bh ESC 53 35h 5 79 4Fh O 105 69h i
2 02h STX 28 1Ch FS 54 36h 6 80 50h P 106 6Ah j
3 03h ETX 29 1Dh GS 55 37h 7 81 51h Q 107 6Bh k
4 04h EOT 30 1Eh RS 56 38h 8 82 52h R 108 6Ch l
5 05h ENQ 31 1Fh US 57 39h 9 83 53h S 109 6Dh m
6 06h ACK 32 20h SP 58 3Ah : 84 54h T 110 6Eh n
7 07h BEL 33 21h ! 59 3Bh ; 85 55h U 111 6Fh o
8 08h BS 34 22h “ 60 3Ch < 86 56h V 112 70h p
9 09h HT 35 23h # 61 3Dh = 87 57h W 113 71h q
10 0Ah LF 36 24h $ 62 3Eh > 88 58h X 114 72h r
11 0Bh VT 37 25h % 63 3Fh ? 89 59h Y 115 73h s
12 0Ch FF 38 26h & 64 40h @ 90 5Ah Z 116 74h t
13 0Dh CR 39 27h ‘ 65 41h A 91 5Bh [ 117 75h u
14 0Eh SO 40 28h ( 66 42h B 92 5Ch \ 118 76h v
15 0Fh SI 41 29h ) 67 43h C 93 5Dh ] 119 77h w
16 10h DLE 42 2Ah * 68 44h D 94 5Eh ^ 120 78h x
17 11h DC1 43 2Bh + 69 45h E 95 5Fh _ 121 79h y
18 12h DC2 44 2Ch , 70 46h F 96 60h ` 122 7Ah z
19 13h DC3 45 2Dh - 71 47h G 97 61h a 123 7Bh {
20 14h DC4 46 2Eh . 72 48h H 98 62h b 124 7Ch |
21 15h NAK 47 2Fh / 73 49h I 99 63h c 125 7Dh }
22 16h SYN 48 30h 0 74 4Ah J 100 64h d 126 7Eh ~
23 17h ETB 49 31h 1 75 4Bh K 101 65h e 127 7Fh DEL
24 18h CAN 50 32h 2 76 4Ch L 102 66h f
25 19h EM 51 33h 3 77 4Dh M 103 67h g

tabella 5.2

128 80h « 160 A0h á 192 C0h 224 E0h a


129 81h ü 161 A1h í 193 C1h 225 E1h β
130 82h é 162 A2h ñ 194 C2h 226 E2h G
131 83h â 163 A3H Ñ 195 C3h 227 E3h P
132 84h ä 164 A4h ª 196 C4h 228 E4h S
133 85h à 165 A5h º 197 C5h 229 E5h s
134 86h å 166 A6h ¿ 198 C6h 230 E6h m
135 87h ç 167 A7h 199 C7h 231 E7h g
136 88h ê 168 A8h ¬ 200 C8h 232 E8h F
137 89h ë 169 A9h 201 C9h 233 E9h q
138 8Ah è 170 AAh 202 CAh 234 EAh W
139 8Bh ï 171 ABh 203 CBh 235 EBh d
140 8Ch î 172 ACh 204 CCh 236 ECh ∞
141 8Dh ì 173 ADh ¡ 205 CDh 237 EDh ∅
142 8Eh ƒ 174 AEh « 206 CEh 238 EEh ε
143 8Fh Å 175 AFh ª 207 CFh 239 EFh ∩
144 90h É 176 B0h 208 D0h 240 F0h ≡
145 91h æ 177 B1h 209 D1h 241 F1h ±
146 92h Æ 178 B2h 210 D2h 242 F2h .
147 93h ô 179 B3h 211 D3h 243 F3h ≤
148 94h ö 180 B4h 212 D4h 244 F4h ⌠
149 95h ò 181 B5h 213 D5h 245 F5h ⌡
150 96h û 182 B6h 214 D6h 246 F6h ÷
151 97h ù 183 B7h 215 D7h 247 F7h ≈
152 98h ÿ 184 B8h 216 D8h 248 F8h °
153 99h Ö 185 B9h 217 D9h 249 F9h ⋅
154 9Ah Ü 186 BAh 218 DAh 250 FAh ⋅
155 9Bh ¢ 187 BBh 219 DBh 251 FBh √
156 9Ch £ 188 BCh 220 DCh 252 FCh n

157 9Dh ¥ 189 BDh 221 DDh 253 FDh 2

158 9Eh § 190 BEh 222 DEh 254 FEh 

159 9Fh É 191 BFh 223 DFh 255 FFh


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86 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

■ Codice UNICODE
Il codice Unicode, strutturato con norme definite dalla ISO, aumenta il numero di bit di
codifica in modo da rappresentare:
◗ caratteri dell’alfabeto latino;
◗ caratteri dell’alfabeto cirillico, arabo, ebraico, ecc.;
◗ caratteri dell’alfabeto Braille;
◗ simboli speciali e ideogrammi cinesi e giapponesi;
◗ simboli delle discipline moderne, ecc.
Inizialmente i 16 bit utilizzati permettevano la rappresentazione di solo 65 536 caratteri. In
seguito il codice a 32 bit ha permesso di rappresentare milioni di caratteri per gestire tutte
le lingue del mondo. In pratica Unicode ha lo scopo di produrre una codifica adatta a scri-
vere documenti leggibili in ogni paese del mondo (Internet) e indipendenti dal software
utilizzato.
Lo standard ISO/IEC 10464 è stato adottato da Microsoft per i sistemi operativi di
Windows, da Apple, dall’IBM, da HP, da JustSystem, da Sybase, ecc. ed è supportato da
molti standard della programmazione come Java (per la codifica dei caratteri), JavaScript,
XML, Cobra 3.0, ecc.
Sia Word che WordPad della Microsoft permettono di salvare un documento in formato
Unicode: Word con “Testo codificato”, WordPad con “Documento di testo Unicode”.
WordPad visualizza i caratteri disattivando la funzione del tasto Bloc Num e, con il tasto
Alt premuto, digitando i numeri con la tastiera numerica ( figura 5.2 ).

55 ⇒ 7 66 ⇒ B 88 ⇒ X

figura 5.2

Windows XP e Windows 7 visualizza-


no la mappa dei caratteri a cui si acce-
de con i comandi StArt ⇒ tutti i pro-
grAmmi ⇒ AcceSSori ⇒ utilità di SiSte-
mA ⇒ mAppA cArAtteri ( figura 5.3 ).

Il codice Unicode è espresso in esa-


decimale con 4 cifre ed è identico per
ogni set di caratteri (Arial, Times New
Roman, ecc.).
Ad esempio per scrivere il messaggio
SOS il codice è:

S O S
0053 004F 0053

figura 5.3
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Unità
5 Sistemi di codifica dell’informazione 87
■ Codice 8 B/10 B
Lo schema 8 bit/10 bit è una codifica che utilizza apposite tabelle per trasformare gli 8 bit
di trasmissione in 10 bit. I motivi dell’utilizzo di tale trasformazione sono:
◗ limitare in lunghezza le sequenze di 0 e 1 consecutivi;
◗ non far perdere al ricevitore la traccia di inizio e fine del bit;
◗ recuperare il clock di sincronizzazione alla ricezione;
◗ possibilità di introdurre parole di controllo;
◗ possibilità di rilevare errori sui bit mediante il controllo di parità.
Le applicazioni più comuni sono nel PCI Express, Serial ATA, FireWire (IEEE 1394b), DVI,
ecc.

5.2 Codici per la gestione degli errori


L’informazione codificata trasmessa a distanza con un sistema di comunicazione può giun­
gere al ricevitore modificata. Infatti alcuni bit della sequenza possono assumere valori
diversi da quelli inviati per disturbi di varia natura (rumore, distorsioni, segnali impulsivi,
mal funzionamento di qualche apparato elettronico, fenomeni atmosferici, ecc.). A volte il
ricevitore può interpretare un bit con un livello diverso da quello trasmesso. Occorre rile­
vare e, se possibile, correggere gli errori, con specifiche tecniche, per essere certi che
l’informazione ricevuta sia perfettamente identica a quella trasmessa. La figura 5.4 mostra
uno schema a blocchi per il controllo degli errori: il sistema di controllo elabora la sequen­
za binaria ricevuta, individua l’eventuale errore e lo segnala al ricevitore.

Canale di trasmissione digitale


Sorgente Trasmettitore Ricevitore Utilizzatore

Sistema di
figura 5.4 controllo

Il sistema più semplice per la verifica degli errori nella comunicazione digitale seriale,
nella quale i singoli bit sono trasmessi uno di seguito all’altro ( figura 5.5 ), è quello di
aggiunge alcuni bit non significativi al codice sorgente. In questo modo si costruisce il
codice di canale con una sequenza di bit più estesa e con un tempo di trasmissione più
elevato.

■ Codice di parità
La tecnica più diffusa per il rilevamento degli errori è quella a ridondanza di codice che
basa il principio sul controllo di parità aggiungendo in testa (o in coda) alla sequenza
informativa del codice un bit (ridondanza) tale da rendere la parità pari (parola con un
numero pari di 1) o dispari (parola con un numero dispari di 1). La parità si definisce:
◗ dispari se il bit aggiunto (0,1) rende dispari il numero di bit 1 trasmessi (bit di codice più
il bit di parità);
◗ pari se il bit aggiunto (0,1) rende pari il numero di bit 1 trasmessi (bit di codice più il bit
di parità).
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88
1
Modulo Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Bit di parità pari

Linea di riposo Linea di riposo


Livello alto
0 1 0 1 0 0 1 1 0

figura 5.5 DATI a 8 bit P

Nella figura 5.5 è riportato un generico codice sorgente a 8 bit con il controllo di parità
pari inserito in coda alla sequenza da trasmettere.

■ Codice CRC
Il codice CRC (Cycle Redundancy Checking) è un codice binario a ridondanza ciclica da
calcolare con una operazione matematica e da aggiungere alla sequenza dei bit informati­
vi. Questo codice è costituito da un consistente numero di bit ed è il sistema più efficace
per rilevare molti tipi di errore.

■ Codice Hamming
È un codice in grado di rilevare e correggere errori senza la richiesta di ripetizione del
messaggio. I bit aggiunti sono bit definiti secondo il controllo di parità su gruppi diversi del
codice sorgente. Ad esempio con 3 bit aggiunti si possono controllare 23 − 1 = 7 bit del
codice di canale dove 3 bit sono per il controllo errore e 4 bit per la codifica del mes­
saggio (codice sorgente).

5.3 Protocollo
Due persone possono comunicare e comprendersi solo se utilizzano lo stesso linguaggio
stabilito precedentemente.
Due sistemi a microprocessori ( figura 5.6 ) possono scambiarsi dati solo se sono in grado
di comprendersi utilizzando una logica prestabilita che, ad esempio, fissa:
◗ il codice del messaggio;
◗ la lunghezza del codice;
◗ il tipo di controllo (errori);
◗ il numero di bit di controllo;
◗ ecc.

Protocollo
ollo
Protoc

figura 5.6

Per rendere la comunicazione efficiente, affidabile e corretta è necessario stabilire a priori


regole, convenzioni e criteri e rispettarli scrupolosamente sia da parte di chi trasmette,
sia da parte di chi riceve.
L’insieme delle regole standard prende il nome di protocollo stabilito dagli Enti Interna­
zionali, anche se non bisogna prescindere da alcune caratteristiche del segnale elettrico e
dei circuiti “fisici”.
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Unità
5 Sistemi di codifica dell’informazione 89

esercizi
svolti

1 Si codifichi il numero decimale 37 con il codice BCD.

3 7
0011 0111

2 Si codifichi il messaggio OK utilizzando il codice ASCII.

Codice di sorgente
O 0 1 0 0 1 1 1 1

figura 5.7 K 0 1 0 0 1 0 1 1

3 Si aggiunga al codice sorgente dell’esempio precedente il bit di parità dispari in modo da ottenere il co-
dice di canale.

Codifica di canale
O 0 1 0 0 1 1 1 1 0

K 0 1 0 0 1 0 1 1 1
figura 5.8 Bit di parità dispari

4 Si codifichi il messaggio OK utilizzando il codice Unicode.

Utilizzando la mappa dei caratteri di Windows XP (con Start, Tutti i Programmi, Accessori, Utilità di Sistema)
si ha:
Simboli Codifica
O 0 0 4 F
K 0 0 4 B

5 Si codifichi il messaggio 8 : 2 = 4 con il codice ASCII Standard.

Codice di sorgente
8 0 0 1 1 1 0 0 0

: 0 0 1 1 1 0 1 0

= 0 0 1 1 1 1 0 1

4 0 0 1 1 0 0 1 0

6 Si aggiunga al codice sorgente dell’esempio precedente il bit di parità pari in modo da ottenere il codi-
ce di canale.

Codice di canale
8 0 0 1 1 1 0 0 0 1

: 0 0 1 1 1 0 1 0 0

= 0 0 1 1 1 1 0 1 1

4 0 0 1 1 0 0 1 0 1
Bit di parità pari
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90 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Test di verifica
■ Rispondi alle seguenti domande. 9. A che cosa serve il codice di parità?

………………………………………………………
1. Che cosa si intende per codifica di un mes-
saggio? ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
………………………………………………………
10. Su quale proprietà è basata la tecnica del
………………………………………………………
controllo di parità per il rilevamento degli
errori?
2. Quando un codice è detto alfanumerico?
……………………………………………………… ………………………………………………………

……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………

3. Perché il codice BCD è detto ridondante? 11. Che cosa si intende per controllo di parità
……………………………………………………… pari?
……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………

4. Quali sono i limiti del codice BCD? ………………………………………………………


………………………………………………………
12. Quali sono i limiti del controllo di parità?
………………………………………………………
………………………………………………………
………………………………………………………
………………………………………………………
5. Perché il codice ASCII è detto a lunghezza fissa?
………………………………………………………
………………………………………………………
……………………………………………………… 13. Perché il codice Hamming è superiore rispetto
……………………………………………………… al codice di parità?
………………………………………………………
6. Quale è la differenza tra il codice Morse e
ASCII? ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
………………………………………………………
……………………………………………………… 14. Che cosa indica un protocollo di comunicazio-
ne?
7. Quali sono i limiti del codice ASCII? ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
………………………………………………………
………………………………………………………
………………………………………………………
15. I bit aggiunti per il controllo degli errori contri-
8. Perché il codice Unicode è superiore rispetto
buiscono a definire il protocollo?
al codice ASCII?
……………………………………………………… ………………………………………………………

……………………………………………………… ………………………………………………………
……………………………………………………… ………………………………………………………
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
5 Sistemi di codifica dell’informazione 91

■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 7. Il codice 8B/10B trasforma gli 8 bit di trasmis-
false. sione in 16 bit?
❑ vero
1. La codifica trasforma un qualsiasi messaggio ❑ falso
in una sequenza di bit?
❑ vero 8. Il codice di parità è solo di tipo pari?
❑ falso ❑ vero
❑ falso
2. Il codice a lunghezza fissa modifica il numero
di bit nelle sequenze digitali trasmesse? 9. Il codice di parità pari rende dispari il numero
❑ vero di bit trasmessi?
❑ falso ❑ vero
❑ falso
3. Il codice numerico BCD è configurato con 3
bit? 10. Il codice CRC è più efficace del codice di pari-
❑ vero tà nel rilevare errori?
❑ falso ❑ vero
❑ falso
4. I primi 32 caratteri del codice ASCII contengo-
no le lettere dell’alfabeto? 11. Il codice Hamming richiede la ripetizione della
❑ vero trasmissione del messaggio per correggere
❑ falso l’errore?
❑ vero
5. Il codice UNICODE è strutturato con 16 bit? ❑ falso
❑ vero
❑ falso 12. Le regole standard del protocollo sono stabili-
te dagli Enti Internazionali?
6. Il codice UNICODE contiene i caratteri dell’al- ❑ vero
fabeto Braille? ❑ falso
❑ vero
❑ falso
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
92 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

esercizi proposti
1. Si codifichi il numero decimale 73 con il codice BCD. 8. Si codifichi il messaggio HELP secondo il codice
Unicode.
2. Si codifichi il numero decimale 258 con il codice BCD.
9. Si codifichi il messaggio AIUTO in giapponese con
3. Si calcoli il bit di parità pari e dispari del codice a 16 il codice Unicode.
bit.
10. Si codifichi il messaggio AIUTO in cinese con il
codice Unicode.
1 1 0 0 1 1 1 1 0 1 0 0 1 0 1 1
11. Si codifichi il messaggio 10 : 5 = 2 con il codice
4. Si calcoli il bit di parità pari per l’esempio 3. ASCII Standard.

12. Si codifichi il numero decimale 87 con il codice


5. Si codifichi il messaggio HELP con il codice ASCII. BCD.

13. Si codifichi il messaggio SOS utilizzando il codice


6. Si codifichi il messaggio Ångström (lunghezza d’on-
ASCII.
da) con il codice ASCII.
14. Si codifichi il numero decimale 574 con il codice
7. Si calcoli il bit di parità dispari per l’esempio 6. BCD.
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Laboratorio 93

laboratorio

■ Esercitazione 1

Operazioni aritmetiche e di conversione con la calcolatrice di Windows


Utilizzando la calcolatrice di Windows si eseguano gli esercizi di somma, sottrazione, prodotto e divisione
con i sistemi di numerazione binario ed esadecimale e le operazioni di conversione tra i diversi sistemi di
numerazione.

In Windows XP è presente una calcolatrice scientifica con la quale è possibile effettuare le operazioni con
i sistemi di numerazione decimale, binaria, ottale ed esadecimale, nonché le conversioni tra le numerazio-
ni delle diverse basi.
Per accedere alla calcolatrice si faccia clic sul pulsante Start ⇒ Programmi, acceSSori ⇒ calcolatrice
( figura 1 ).

figura 1

La calcolatrice si presenta nella modalità standard (figura 2). Per accedere a quella scientifica si faccia clic
su ViSualizza e si selezioni Scientifica ( figura 3 ). In Windows 7 selezionare VISUALIZZA e scegliere la cal-
colatrice “Programmatore”.

figura 2 figura 3
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
94 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Ad esempio si vuole convertire il numero 1010 1111 0010 dal sistema binario a quello esadecimale, si
selezioni l’opzione Bin (binario), si inserisca il numero con la tastierina della calcolatrice o con la tastiera del

figura 4

computer come illustrato nella figura 4 .


Infine si selezioni Hex (esadecimale) per ottenere la conversione ( figura 5 ).

figura 5

Per eseguire le operazioni si selezioni prima il sistema di numerazione e si utilizzi il programma come una
normale calcolatrice. Come esempio si riporta l’operazione di somma in esadecimale 3Dh + F2h = 12Fh
( figura 6 ).

figura 6
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Laboratorio 95

■ Esercitazione 2

Conversione con l’utilizzo di Excel


Utilizzando il foglio elettronico Excel si esegua l’operazione di conversione di un numero dalla base deci-
male alla base binaria.

Per effettuare la conversione si applica il metodo della divisione intera per la base 2, divisione da ripetere
finché il quoziente non è nullo.

Le funzioni da utilizzare sono:

INT(n) che restituisce la parte intera di n


RESTO(dividendo; divisore) che restituisce il resto della divisione dividendo/divisore

figura 7

Nell’esempio riportato nella figura 7 è stata inserita la formula INT(F12/$F$10) nella cella F13 e la formu-
la RESTO(F12;$F$10) nella cella G13. Le formule sono state poi copiate in quelle sottostanti per otte-
nere il risultato della conversione nella base binaria. Il risultato ovviamente deve essere letto dal basso
verso l’alto.
Per ottenere la conversione in un’altra base <10, ad esempio in base ottale, è sufficiente aggiornare il
valore inserito nella cella F10.

■ Esercitazione 3

Conversione binario/decimale di un numero di 8 bit con l’algoritmo


Utilizzando il foglio elettronico Excel si esegua l’operazione di conversione di un numero binario in deci-
male.
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96 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Per effettuare la conversione si applica l’algoritmo riportato nella Unità 1, figura 1.8 :

◗ si inserisca nella cella H16 la formula =G13*2+H13 e la si copi nelle celle da I16÷N16;
◗ si scriva il numero binario di 8 bit da convertire nelle celle da G13÷N13.

Nella cella R16 può essere inserito un riferimento alla cella N16, contenente il risultato ( figura 8 ).

figura 8

■ Esercitazione Interdisciplinare (Sistemi-Elettronica) 4

Generatore di parità con simulazione


Il generatore di parità fornisce un bit di ridondanza da aggiungere al codice sorgente. Ad esempio, il codi-
ce sorgente a 4 bit 0101 diviene 01010 per la parità pari e 01011 per quella dispari. Il circuito elettrico deve
generare uno 0 quando la parità è pari ed un 1 quando la parità è dispari.

Per comprendere la funzione del generatore di parità pari si consideri, per semplicità, un codice sorgente
costituito da soli 2 bit. Poiché la parità pari rende complessivamente pari il numero di bit 1 (bit del codice
sorgente e bit di parità), si costruisca la tabellina di figura 9 dove A e B sono i bit del codice sorgente e P
è il bit di parità pari.

Tabellina di Rete Cronogramma


funzionamento combinatoria

A B P
A 0 1

0 0 0 A
Rete 0 0
0 1 1 P B
logica
1 0 1 B
figura 9 1 1 0 0 1
P
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Laboratorio 97

Per determinare la rete combinatoria logica si utilizza


il software di simulazione Multisim (marchio registrato
della National Instruments). Digitando sul convertito-
re logico la tabellina di figura 9 ed attivando la con-
versione taVola Verità → eSPreSSione booleana
SemPlificata, Multisim fornisce la funzione boleana
semplificata A’B + AB’ ( figura 10 ).
Attivando successivamente la conversione A/B → cir­
cuito con Porte logiche Multisim visualizza la rete
combinatoria (figura 11).

figura 10

figura 11

La funzione della rete combinatoria ricavata è quella di anticoincidenza svolta dalla porta logica OR
Esclusivo (EXOR). L’uscita della EXOR (somma modulo 2 senza riporto) assume il livello logico alto solo
quando i due ingressi sono con livelli discordi ( figura 12 ). Tale condizione genera il bit di parità pari per una
parola a due bit. Risulta evidente che il bit i parità dispari si ottiene negando l’uscita Y.

Simbolo circuitale Tabellina di Simbolo con Cronogramma


funzionamento qualificatore
0 A 0 A A B Y A 1
Y 0 Y 1 Y
0 B 1 B
0 0 0 B A 0 1

0 1 1 0 0
B
1 A 1 A 1 0 1 Funzione
Y 0 Y 1 0 1
1 B 0 B 1 1 0 A B Y Y

figura 12

Poiché le porte logiche EXOR sono solo a due ingressi, per estendere il numero di bit della parola è neces-
sario utilizzare più porte EXOR che sommano i bit del codice sorgente due a due. Per una parola a 4 bit
si possono utilizzare gli schemi della figura 13 .

Circuiti di parità pari


0 0 D3 D2 D1 D0 P
D3 0 0 D3
0 0
D2 0 0 D2
0 0 P 0 1 0 1 0
D1 0 1 D1
0 1 P
D0 D0 0 0 0 1 1

figura 13
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98 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

Per verificare la funzionalità degli schemi proposti si utilizza un software di simulazione. Ad esempio, utilizzando
Multisim, si disegna lo schema di figura 14 dove si possono vedere:

◗ 4 interruttori attivabili con un clic del Mouse per fissare il livello logico d’ingresso;
◗ le probe per visualizzare lo stato dei livelli logici d’ingresso e d’uscita;
◗ i Voltmetri per visualizzare i valori numerici dei livelli logici;
◗ i Led riquadrati che contengono il commento.

figura 14

Con i 4 interruttori aperti tutti gli ingressi sono a livello logico alto e l’uscita del bit di parità è a livello basso
( figura 14 ). Se si chiude l’interruttore J1 (ingresso basso) l’uscita si porta a livello alto ( figura 15 ) concorde
con il bit di parità pari.

figura 15

Inserendo il bit di parità in coda al codice sorgente si forma il codice di canale ( figura 16 ).
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Laboratorio 99

D3
D2 Codice
D1 sorgente
D0 Codice
D3 Bit parità PARI canale
P Generatore
D2
Bit parità DISPARI di parità
D1
P
D0

figura 16

Nella figura 16 è riportato uno schema di generatore di parità che permette di selezionare il tipo di parità
con una porta EXOR funzionante come invertitore.

D3
D2
D1
D0
D3 Generatore parità
D2
D1
Bit parità
D0 P
figura 17 Pari/dispari

Il software di simulazione di Multisim permette di verificare il funzionamento dello schema proposto e di


ricavare la tabella di seguito riportata ( figura 18 ).

D3 D2 D1 D0 OUT Selezione Parità

1 1 1 1 1 1 Dispari
1 1 1 1 0 0 Pari
0 1 1 1 0 1 Dispari
0 1 1 1 1 0 Pari

figura 18
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100 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

■ Esercitazione 5

Sommatore
Nella Unità 1 è stato illustrato il metodo della sottrazione con il complemento a 2 che può essere vista
come una somma. In questo contesto si vuole illustrare l’operazione di somma tra due numeri binari e
come tale operazione possa essere effettuata o con circuiti integrati o attraverso la simulazione. Se, ad
esempio, si suppone di dover sommare due numeri binari A e B, è necessario tener conto anche dei
riporti come mostra la tabellina di verità (figura 19). In questo caso la rete combinatoria ha due ingressi (A
e B) e due uscite, una relativa alla somma S ed una al riporto R.

Tabellina di verità
Ingressi Uscite
Somma
A B Somma Riporto A S
Rete
0 0 0 0 combinatoria Riporto
0 1 1 0 B R
1 0 1 0
figura 19 1 1 0 1

La rete combinatoria che esegue la somma S è stata ricavata nell’esempio precedente (figura 11) con
Multisim ed è costituita dalla porta EXOR ( figura 20 ).

A B S
A A B S
A 0 0 0
S EXOR S
B 0 1 1
B 1 0 1
figura 20 1 1 0

La tabella di verità del riporto R è un prodotto logico (AND). Il circuito completo, detto semi-sommatore
perché non tiene conto degli eventuali riporti, assume la configurazione di figura 21.

Semi-sommatore
A B S R
EXOR S Semi- S
A A 0 0 0 0
sommatore
0 1 1 0
B B
AND R (Half-adder) R 1 0 1 0
figura 21 1 1 0 1

Per verificare la funzionalità dello schema proposto si utilizza il software di simulazione di Multisim. A tal fine
si disegna lo schema di figura 22 nel quale sono presenti:

◗ lo schematico del sommatore costituito dalle porte EXOR ed AND;


◗ due interruttori attivabili da tastiera o con il Mouse per fissare il livello logico sulle linee d’ingresso A e B;
◗ le probe per visualizzare lo stato dei livelli logici d’ingresso e d’uscita;
◗ i Voltmetri per visualizzare i valori numerici dei livelli logici.
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Laboratorio 101

figura 22

Con i due interruttori aperti il led del riporto è acceso e quello della somma spento (R = 1, S = 0).
Modificando lo stato degli interruttori si può verificare la tabella completa di figura 19.

Il circuito di figura 21 non tiene conto di eventuali riporti derivanti da somme di bit precedenti. Per risolve-
re tale problema si utilizza il semi-sommatore 2 che addiziona l’eventuale riporto R In alla somma di A e B
e la porta OR che controlla la presenza del riporto precedente ed attuale. Il circuito del sommatore com-
pleto è riportato nella figura 23.

Sommatore completo (Full-adder)


Semisommatore 1 Semisommatore 2
S' S'' S
A EXOR EXOR Somma S

B R' R''
AND AND
OR Riporto R Out
R In
figura 23

Lo schema disegnato con Multisim verifica la funzionalità del circuito di figura 23 . Con A = B = 1 e
R In = 0, la somma è zero (S spento) con il riporto di uno (R acceso) come mostra la figura 24.

figura 24

Quando i tre interruttori sono aperti sia gli ingressi A e B sia R In sono a livello logico alto (A = B = R In = 1).
In questo caso il circuito somma 1 + 1 + 1 ed il risultato è 1 con riporto di 1 (3 in decimale) come mostra
il circuito di figura 25.
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102 Modulo
1 Informazione, comunicazione e automi a stati finiti

figura 25

Volendo effettuare la somma di numeri a 4 bit riportata in figura 26 è necessario utilizzare due sommatori
completi. Poiché non c’è riporto iniziale, l’ingresso R0In è posto uguale a 0.

A
1 R0
Sommatore S 1 1 A1 A0
completo
B 1 0 B1 B0

(Full-adder) R Out 1 1 1 R1 S1 S0
R In

A1 A0
Sommatore 2 R 1 In R0 Out Sommatore 1
R0 In = 0
(Full-adder) (Full-adder)
S
B1 B0

figura 26 R 1 Out S1 S0

Lo schematico di Multisim di figura 27 permette la verifica del circuito sommatore a 4 bit.

figura 27
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Sistemi Modulo
operativi
2
Unità 1 Architettura software
di un elaboratore
Unità 2 Classificazione e struttura
dei sistemi operativi
Unità 3 I sistemi operativi MS-DOS e XP

Unità 4 Il sistema operativo Windows 7

Sistemi operativi

U.1
Architettura software di un elaboratore

Prerequisiti U.2
Classificazione e struttura
■ Conoscenza dei sistemi di numerazione binario dei sistemi operativi
ed esadecimale e della codifica delle informazioni.
■ Conoscenza dei dispositivi logici di base.
U.3
I sistemi operativi MS-DOS e XP

Obiettivi U.4
Il sistema operativo Windows 7
■ Acquisire le informazioni di base sui file system
e sulle partizioni del disco rigido.
■ Conoscere le funzioni principali del BIOS Setup.
■ Conoscere le caratteristiche principali dei linguaggi di
programmazione a basso e alto livello.
■ Apprendere le nozioni sugli aspetti più significativi Approfondimenti
di un sistema operativo con interfaccia grafica
■ Comandi esterni del DOS
ed essere in grado di utilizzarlo in modo corretto.
■ Il sistema operativo GNU/LINUX
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unità 1 Architettura software


di un elaboratore
1.1 Il software del PC
Un elaboratore, essendo un sistema programmabile, per poter funzionare ha bisogno del
software, ovvero di programmi che ne permettano prima l’avvio, all’atto dell’accensione,
e che poi siano in grado di utilizzare la macchina in modo appropriato per ottenere le
volute elaborazioni. Si può fare una prima classificazione del software dividendolo in sof-
tware di sistema (ROM BIOS e Sistema Operativo) e software applicativo (linguaggi di
programmazioni e applicazioni di vario genere).
◗ Software di sistema, ha il compito di effettuare il collegamento tra le applicazioni e
l’hardware del computer e può essere suddiviso in:
1. ROM BIOS (Basic Input Output System) memorizzato su una memoria non volatile
(FLASH EEPROM) inserita sulla piastra madre. Ha il compito di presiedere all’avvio
del computer.
2. Sistema Operativo presente invece su un disco (in genere il disco fisso C: o, a volte,
su altro supporto).
Nel momento della messa in funzione del PC, il BIOS, memorizzato su una memoria
che non perde le informazioni anche con il sistema spento, provvede a tutte le funzio-
ni necessarie per un corretto avvio del computer e poi, al caricamento del Sistema
Operativo dal disco, che presiede poi a tutte le fondamentali operazioni di gestione
dell’elaboratore: avvio delle applicazioni, trattamento dei file su disco, gestione del
video, della tastiera, della stampante e delle altre periferiche presenti nel sistema.
◗ Software applicativo è costituito dai linguaggi di programmazione e da programmi spe-
cifici come per esempio gli editori di testo, i fogli elettronici, i data base, i programmi per
la grafica o altri tipi di applicazioni necessarie per svolgere particolari elaborazioni.
Esempi di software applicativo, oltre ai linguaggi di programmazione, sono i vari pro-
grammi noti col nome di Word processor che permettono di scrivere, correggere e archi-
viare testi; i database, specifici per la creazione e gestione di archivi; i fogli elettronici che
permettono di manipolare tabelle di dati per ottenere grafici di varia natura, risolvere
equazioni e svolgere altre funzioni statistiche e matematiche; i programmi di grafica ado-
perati per il disegno tecnico o per il fotoritocco; gli editori multimediali per creare testi
che possono richiamare (facendo click con il mouse su particolari parole o su pulsanti)
immagini, filmati, suoni e che hanno una struttura per la lettura non sequenziale.
Esempi di linguaggi di programmazione sono: BASIC, PASCAL, C, C++, VISUAL BASIC, C#
(C sharp), VISUAL C++, VISUAL C#, DELPHI (Object Pascal), JAVA, C++ BUILDER e altri.
Alcuni dei linguaggi e applicazioni specifiche per la creazione di siti WEB sono: HTML,
XML, PHP, JAVA, ASP NET, Visual Web Developer, Macromedia DreamWeaver MX, Ajax.
A volte i compilatori e gli assemblatori sono classificati come appartenenti al Software
di Sistema.

1.2 Le partizioni del disco rigido


I dischi rigidi, in cui sono memorizzati sia il sistema operativo che i vari tipi di programmi
e i dati, hanno raggiunto capacità di memorizzazione molto elevate e pertanto spesso è
necessario procedere alla loro suddivisione in unità con capacità di memorizzazione più
piccole, dette partizioni. La creazione di più partizioni sul disco è necessaria poi nel
caso si debbano installare due o più Sistemi Operativi.
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Unità
1 Architettura software di un elaboratore 105
I tipi di partizioni possibili sono:
◗ Partizione primaria. Su un disco non possono essere create più di quattro partizioni
primarie. Ogni partizione primaria può eventualmente essere formattata in modo diverso
dalle altre per contenere un determinato sistema operativo. Su un disco, se esistono più
partizioni primarie, ne può essere attiva una sola per volta; il sistema operativo presen-
te sulla partizione attiva è quello che viene avviato. Le altre partizioni possono essere
nascoste (ovvero rese non visibili dal sistema operativo avviato) e pertanto i dati presen-
ti su di esse non sono accessibili.
È possibile anche rendere visibili le altre partizioni, fermo restando il fatto che una so-
la deve essere quella attiva, in modo da rendere accessibili i dati presenti su di esse.
◗ Partizione estesa. Una delle quattro partizioni primarie può divenire partizione estesa
suddividendola in partizioni logiche (senza limite di numero).
◗ Partizione logica. Le partizioni logiche sono le suddivisioni di una partizione estesa. Le
partizioni logiche sono visibili tutte contemporaneamente.
Alcuni sistemi operativi (come MS-DOS, Windows 95/98) possono essere avviati solamen-
te da una partizione primaria (attiva) presente sul primo disco rigido.
La creazione e manutenzione delle partizioni può essere eseguita (in modo limitato) con il
comando FDISK del DOS o con programmi specifici (per esempio Partition Magic, Paragon
Partition Manager o Acronis Partition Expert). Dopo la creazione di una partizione questa
deve essere formattata in modo logico in base al file system relativo al sistema operativo
che dovrà essere installato in essa. I sistemi operativi Windows 2000, XP, Vista e Windows 7
permettono di effettuare con proprie utilità la formattazione delle partizioni presenti sul
disco. Anche il sistema operativo LINUX ha una sua utility di formattazione. Si ricordi che
la formattazione di una partizione distrugge tutti i dati e i programmi in essa memorizzati.

1.3 Il file system


Il file system rappresenta la modalità con cui un sistema operativo organizza i file sul
disco rigido. Il file system tiene conto dei nomi delle directory e dei nomi dei file, del-
la allocazione dei file nei diversi cluster, e dello spazio occupato sul disco.
Alcuni dei principali file system sono:
◗ FAT (File Allocation Table). È il file system proprio del DOS e di Windows 3.x e può
essere utilizzato anche da Windows 95/98. Usa tabelle di allocazione file (FAT) a 16 bit.
I file vengono memorizzati in cluster che costituiscono un raggruppamento di settori. La
dimensione dei cluster è legata alle dimensioni del disco
MASTER BOOT RECORD WINME 8 GByte
FAT32 PRIMARIA
(o della partizione).
DATI 3 GByte WINXP 5 GByte ◗ FAT32 (FAT a 32 bit). È il file system di Windows 95/98/
FAT32 ESTESA NTFS PRIMARIA
D: 2 GByte LINUX 3 GByte
ME. Usa tabelle di allocazione file (FAT) a 32 bit.
FAT32 LOGICA EXT2 PRIMARIA ◗ NTFS (New Tecnology File System). È il file system pro-
E: 1 GByte
FAT32 LOGICA prio di Windows NT, di Windows 2000, di Windows XP,
di Vista e Windows 7. Tiene traccia della allocazione
dei file usando una MFT (Master File Table). I file sono
memorizzati nei cluster che però hanno una dimensio-
ne indipendente dalle dimensioni del disco e possono
essere grandi anche come un solo settore (512 byte).
SPAZIO NON ◗ LINUX EXT2 e EXT3. Sono i file system di LINUX.
UTILIZZATO

Nella figura 1.1 è schematizzato un disco partizionato con


figura 1.1 più sistemi operativi.
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106 Modulo
2 Sistemi operativi

1.4 Il ROM BIOS


Il BIOS (Basic Input Output System) è un programma memorizzato in una ROM (nei mo-
derni sistemi in una memoria riscrivibile di tipo FLASH per poter essere aggiornato senza
cambiare il chip di memoria e in tal caso è detto FLASH BIOS). Serve per la gestione a
più basso livello dei dispositivi di ingresso e d’uscita del sistema.

Le funzioni fondamentali del BIOS che sono eseguite nella prima fase di avvio di un com-
puter sono le seguenti:
◗ test dei componenti hardware fondamentali del sistema;
◗ caricamento in memoria RAM del sistema operativo prelevato dal disco.
Il BIOS acquisisce le informazioni di base relative alla configurazione hardware del sistema
(floppy installato, se presente, tipi di disco rigido, disco da cui caricare il sistema operati-
vo, data e ora e altro) da una piccola memoria RAM di tipo C-MOS che mantiene le infor-
mazioni rimanendo sempre alimentata, anche a computer spento, per mezzo di
una batteria in tampone presente all’interno del computer.
L’azione svolta dal BIOS inizia nella prima fase di messa in servizio del PC. Quando esso
viene acceso (power-up), la CPU legge il contenuto della ROM (o della memoria FLASH),
a partire da una locazione ben precisa (locazione di reset), eseguendo le istruzioni conte-
nute in essa e nelle successive locazioni.
Le prime operazioni eseguite sono relative a un test di funzionalità della memoria, delle
periferiche di base e di particolari circuiti del calcolatore; questo test è denominato POST
(Power On Self Test).
Se vengono riscontrate anomalie di funzionamento sono emessi sul video messaggi di
errore o, a seconda della circostanza, attivati dei suoni (beep). Se la procedura di self-test
viene superata senza rilevamento di errori, il BIOS inizia la fase di bootstrap, ovvero di
lettura e caricamento dal disco del sistema operativo, nella RAM.

1.4.1 Il BIOS SETUP

In genere prima di attivare per la prima volta un computer è fondamentale eseguire il


programma di setup del BIOS in modo da fissare i parametri fondamentali che regolano il
funzionamento della macchina memorizzandoli nella memoria C-MOS.
È possibile accedere al programma di setup del BIOS premendo un apposito tasto indica-
to in un messaggio visualizzato sul video durante la fase di POST (in genere il tasto CANC
o la barra spaziatrice).
Debbono essere eseguite con attenzione le regolazioni secondo quanto esposto nel ma-
nuale di sistema (è sempre possibile comunque effettuare un caricamento di default
dei parametri del BIOS).
Le utility del BIOS setup, legate soprattutto al tipo di piastra madre e all’hardware imple-
mentato su di esse, subiscono continue evoluzioni. Attualmente i due principali BIOS
presenti sulle motherboard sono l’AMI BIOS (prodotto dalla American Megatrends) e l’Award
BIOS (della Phoenix Tecnologie).
Verranno per questo elencate sinteticamente solo alcune delle specifiche più generali del
BIOS setup.
Si ricorda che i parametri impostati, prima di uscire dall’utility del BIOS, possono essere
salvati nella memoria di tipo C-MOS tenuta attiva, anche con il computer spento, per mez-
zo di una piccola batteria al litio. Tra le altre cose, sono memorizzate in tale memoria,
anche l’orario e la data attuale del sistema.
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Unità
1 Architettura software di un elaboratore 107
In genere si identificano nel programma di setup le seguenti funzioni.
◗ Menu principale: serve per rilevare quali sono le unità a disco attive con le relative
caratteristiche ed eventualmente modificarne i parametri di configurazione; impostare la
data e l’orario corrente.
◗ Menu per il settaggio delle caratteristiche della CPU e dei chipset: settaggio della
frequenza del FSB (Front Side Bus) e del PCIe (PCI Express); configurazione di alcune
caratteristiche della memoria; aggiustamento delle tensioni della CPU e dei chipset nor-
thbridge e soutbridge.
◗ Setup delle periferiche integrate: permette di selezionare alcune delle caratteristiche
e alcuni indirizzi delle periferiche integrate sulla piastra come la porta seriale, la porta
parallela della stampante (se presente), il controller USB (Universal Serial Bus), l’audio
HD, i controllori SATA, la LAN.
◗ Configurazione PCI PnP: il PNP (Plug and Play) è una caratteristica posseduta dai siste-
mi che permette il riconoscimento automatico dei dispositivi hardware presenti nel com-
puter. I dispositivi per essere individuati debbono essere essi stessi del tipo PNP. Con
questa opzione si possono eventualmente assegnare i vari livelli di interrupt alle periferiche.
◗ Setup delle caratteristiche d’alimentazione: l’APM (Advanced Power Management)
permette di impostare alcune caratteristiche legate al risparmio energetico, alle modali-
tà di funzionamento del pulsante d’accensione del PC e fornisce anche informazioni
sull’hardware (temperatura della CPU e della piastra madre, livello della tensione di
alimentazione della CPU, velocità di rotazione delle ventole di raffreddamento).
◗ Setup della sequenza di boot: è utilizzato per l’impostazione dell’ordine con cui viene
effettuato l’avvio del PC dai diversi dispositivi, presenti nel sistema e da cui può essere
eseguito il boot (per esempio prima il CD/DVD, poi il floppy, e infine il disco C:).
Nella figura 1.2 è visualizzata la pagina iniziale del BIOS Award della Phoenix.
Si può rilevare come nel sistema siano presenti due hard disk (configurati l’uno come Master
l’altro come Slave) e due driver per dischi ottici. Se rilevati, vengono pure mostrati il modello
e la marca dei dispositivi. È visualizzata anche la quantità di memoria presente nel computer.

figura 1.2

Nella figura 1.3 è visualizzata la pagina iniziale del BIOS AMI (American Megatrends Inc.). Nel
sistema è presente un disco SATA e un driver per dischi ottici sempre del tipo SATA. Spostando
il cursore su uno dei dispositivi e dando invio, sono mostrate le caratteristiche dettagliate del
disco. Con System Information si ottengono informazioni sulla CPU e sulla memoria installata.
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108 Modulo
2 Sistemi operativi

figura 1.3

1.4.2 Il bootstrap da disco rigido (C:)


Eseguito il POST, il BIOS si predispone a caricare nella memoria il sistema operativo. Il
disco da cui deve avvenire il caricamento è indicato nella C-MOS con la Boot Sequenze
(impostata con uno dei menu del BIOS setup). Oltre al disco rigido C: può essere anche
indicato come primo dispositivo di avvio un CD-ROM (o DVD), il floppy A:, o anche un
disco removibile o altro supporto (se il BIOS lo consente). Nella fase di bootstrap la CPU,
seguendo il programma del BIOS, legge sul disco di avvio il primo settore denominato
Master Boot Record (MBR) che contiene la tabella delle partizioni presenti sul disco e
un piccolo programma (Master Boot Program).
Il BIOS cede quindi il controllo al Master Boot Program che controlla se sul disco sono
presenti partizioni primarie avviabili (cioè contenenti un sistema operativo) e nel caso ce
ne sia più di una quale di esse sia attiva.
Ogni partizione primaria avviabile ha un proprio settore di avviamento (bootstrap sector)
che contiene un piccolo programma, specifico per il sistema operativo contenuto nella
partizione. Quindi il controllo viene ceduto al programma di caricamento (loader) della
partizione avviabile attiva che procede al caricamento del sistema operativo in memoria.
Dopo di che, il controllo del sistema passa al sistema operativo stesso.
Nella figura 1.4 è mostrata tutta la sequenza di avvio.

figura 1.4
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Unità
1 Architettura software di un elaboratore 109

1.5 Linguaggi a basso e alto livello


Nelle prime macchine i programmi dovevano necessariamente essere scritti utilizzando
particolari codici facilmente interpretabili dalla macchina (linguaggio macchina), ma alla
portata di soli tecnici specializzati.
I codici del linguaggio macchina direttamente interpretabili dalla CPU debbono essere
espressi sotto forma di numeri binari.
Questi codici in binario vengono introdotti nel microprocessore attraverso le linee del bus
dati. Combinando in modo diverso i singoli bit, si ottiene un insieme di codici diversi,
ognuno dei quali può rappresentare un’istruzione del microprocessore.
È evidente che solo aumentando il numero di linee del bus dati si può aumentare il nu-
mero di codici ottenibili.

Con 8 bit si possono avere, per esempio, 256 codici diversi (28 = 256), con 16 bit 65 536
codici (216 = 65 536).
Per questo nei primi processori, essendo il numero delle linee del bus dati limitato a otto
(anzi nei primissimi processori tali linee erano solo quattro), per ottenere un numero più
elevato di codici disponibili si formavano alcuni codici utilizzando due o più byte (1 byte = 8 bit).
È per tale motivo che nei nuovi processori in cui il set di istruzioni è compatibile con i
vecchi processori, pur essendo aumentato il numero di linee del bus dati, i codici del set
di istruzioni di base sono formati da uno o più byte.
È quello che succede nella famiglia di processori utilizzati sui PC che discendono dalla
vecchia CPU 8088 che aveva un bus dati formato da solo otto linee.
È da tenere tuttavia presente che nei nuovi processori della famiglia 8088/86 il set di istru-
zioni di base è stato ampliato. Per esempio un PENTIUM (INTEL) o un K6 (AMD) sono in
grado di riconoscere tutto il set d’istruzioni della CPU 8088, ma nel loro set di istruzioni
ne sono presenti altre non implementate nel processore 8088.
Nello sviluppo dei vari tipi di processori sono andati confermandosi due modi diversi di
implementare in essi il set di istruzioni di base. I microprocessori che riconoscono un ri-
dotto numero di codici di base e che per eseguire funzioni più complesse utilizzano solo
tali codici, sono detti RISC (Reduced Instruction Set Computing).
I processori in grado invece di lavorare con un esteso numero di codici di base sono det-
ti CISC (Complex Instruction Set Computing). I processori della famiglia 8088/86 sono di
questo secondo tipo.

I codici macchina del set d’istruzioni scritti in binario sono per i programmatori di diffici-
le utilizzazione. Un primo passo per semplificare il compito di programmazione è stato
fatto utilizzando al posto di codici binari, codici scritti in esadecimale.
I codici scritti in esadecimale non sono però direttamente interpretabili dal microprocessore.
Già questo piccolo passo di semplificazione per la scrittura di un programma comporta la
presenza di un qualche metodo che provveda a tradurre i codici esadecimali in codici binari.

La traslazione potrebbe essere effettuata via software usando un apposito programma in grado
di effettuare direttamente la traslazione esadecimale-binario o per mezzo di hardware utiliz-
zando appositi circuiti. Si tenga comunque presente che i codici di un programma da svolge-
re, prelevati da un processore dalla memoria a esso collegata, sono sempre scritti in binario.
È per questo che ogni programma da eseguire, comunque codificato, deve sempre essere
prima posto in memoria in formato binario.
Per poter semplificare ulteriormente il compito dei programmatori sono stati sviluppati lin-
guaggi che associano ai codici esadecimali, di difficile memorizzazione da parte del program-
matore, dei mnemonici ovvero delle sigle abbreviate che indicano un’azione da svolgere.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
110 Modulo
2 Sistemi operativi

I linguaggi che utilizzano questi mnemonici sono detti linguaggi assembly.


Questi linguaggi pur avendo caratteristiche simili e pur utilizzando a volte mnemonici
uguali sono in genere diversi per i vari tipi di processori.

I linguaggi assembly sono linguaggi a basso livello in quanto associano a ogni loro singo-
la istruzione una sola istruzione corrispondente scritta in linguaggio macchina. Ovvero, esiste
un rapporto uno a uno tra un’istruzione in assembly e un’istruzione in codice macchina.

Le istruzioni scritte in linguaggio assembly non sono direttamente interpretabili dal proces-
sore, occorre quindi effettuare una traslazione del programma in istruzioni eseguibili in co-
dice macchina. La traslazione viene operata con particolari programmi detti assemblatori.
Anche i linguaggi assembly sono di difficile utilizzazione perché richiedono una profonda
conoscenza delle risorse del processore.

Per permettere una più semplice possibilità di utilizzazione degli elaboratori sono stati
sviluppati i linguaggi ad alto livello, più facilmente utilizzabili dai programmatori, anche
senza una profonda conoscenza dell’hardware del sistema; per utilizzare questi linguaggi
sono però necessari particolari programmi, detti compilatori, per effettuare la traslazione
dei linguaggi ad alto livello nel linguaggio macchina relativo all’elaboratore utilizzato.

Partendo dal file sorgente, scritto con un linguaggio ad alto livello, si ottiene, dopo la com-
pilazione, un file binario eseguibile (in genere con estensione .exe). Una volta ottenuto l’ese-
guibile non è più necessario utilizzare il compilatore e il file sorgente (a meno di modifiche).
A volte sono utilizzati per l’esecuzione di un programma scritto con un linguaggio ad alto li-
vello gli interpreti. In questo caso non viene creato un eseguibile, ma ogni istruzione viene
analizzata ed eseguita immediatamente dall’interprete. Ogni volta che il programma deve es-
sere posto in esecuzione è necessario utilizzare di nuovo sia il sorgente che l’interprete.

◗ Esempi di codice nei vari tipi di linguaggi.

Alto livello (linguaggio C):


a = 10; /* si assegnano alle variabili a e b dei valori*/
b = 18;
c = a + b; /* somma tra i valori assegnati ad a e b e risultato in c*/

Assembly (processori X86):


MOV AL,0Ah ;nel registro AL viene caricato 0Ah (10 in decimale)
MOV BL, 12h ;nel registro BL viene caricato 12h (18 in decimale)
ADD AL,BL ;si somma contenuto di AL e BL e il risultato è posto in AL

Stesso programma rappresentato con i codici macchina in esadecimale (X86):


B0h 0Ah ;(MOV AL,0Ah)
B3h 12h ;(MOV BL, 12h)
00h D8h ;(ADD AL, BL AL)

Stesso programma rappresentato con i codici macchina in binario:

1011 0000 0000 1010 1011 0011 0001 0010 0000 0000 1101 1000
B0h 0Ah B3h 12h 00h D8h
Codice istruzione Dato Codice istruzione Dato Codice istruzione a due byte

Ogni codice è posto in una locazione di memoria di un byte.


ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
1 Architettura software di un elaboratore 111

Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 2. Il POST (Power On Self Test) è:
false. ❑ un programma che esegue il test del Sistema
Operativo;
1. Su un disco non possono essere create più di
❑ un test che compie il BIOS all’avvio del sistema;
quattro partizioni logiche. ❑ il test che viene compiuto in fabbrica sul calco-
❑ vero latore;
❑ falso ❑ il test che compie il BIOS per controllare se il
sistema è alimentato.
2. Il sistema operativo, presente sulla partizione
attiva, è quello che viene avviato. 3. La Boot Sequenze è la sequenza che indica
❑ vero l’ordine:
❑ falso ❑ delle unità da cui deve essere effettuato l’av-
vio;
3. Una partizione estesa può essere suddivisa in ❑ dei file del sistema operativo da caricare in suc-
più partizioni primarie. cessione;
❑ vero ❑ con cui all’avvio deve essere fatto il test delle
❑ falso varie unità presenti nel sistema;
❑ con cui sono effettuati i test dei vari componen-
4. Windows XP non può usare la FAT32. ti hardware del sistema.
❑ vero
❑ falso 4. L’MBR (Master Boot Record) è il settore:
❑ di avvio della partizione attiva;
5. Window Vista usa un file system diverso da
quello usato da Windows XP. ❑ che contiene la tabella delle partizioni sul disco;
❑ vero ❑ con la descrizione di tutti i file su disco;
❑ falso ❑ più grande presente sul disco.

6. In un linguaggio a basso livello a ogni istruzio-


ne corrispondono più istruzioni in linguaggio ■ Rispondi alle seguenti domande.
macchina.
1. Che cosa è una porzione esterna?
❑ vero
...........................................................................
❑ falso
2. Che cosa è il file sistem?
7. In un linguaggio ad alto livello le istruzioni
...........................................................................
sono scritte con codici esadecimali.
3. Che cosa sono i Cluster?
❑ vero
❑ falso ...........................................................................
4. Perché il BIOS deve essere memorizzato su
8. Il compilatore è utilizzato per produrre codice
una memoria di tipo non volatile?
eseguibile con i linguaggi ad alto livello.
...........................................................................
❑ vero
❑ falso 5. Cosa è il Boot Sector?
...........................................................................
■ Individua la risposta corretta tra quelle proposte. 6 . Cosa è il Boot Loader?
1. Per file system si intende: ...........................................................................
❑ l’insieme di file che costituiscono il Sistema 7. Che cosa è il linguaggio macchina?
Operativo;
...........................................................................
❑ il modo in cui sono organizzati i file e le cartelle
sul disco; 8. Che cosa è un linguaggio ad alto livello inter-
❑ i file che appartengono al software di sistema; pretato?
❑ i file con contenuto multimediale. ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

unità 2 Classificazione
e struttura dei sistemi
operativi
2.1 I sistemi operativi
Per ottenere una gestione migliore delle risorse hardware del computer (ovvero la parte
elettronica comprendente anche la memoria centrale e quella di massa), sono usati i siste-
mi operativi, ovvero un insieme di programmi, di gestione del sistema, inizialmente scrit-
ti in linguaggio assembly, e poi in linguaggio “C” o “C++”.
I sistemi operativi permettono agli utenti del computer un più facile accesso alle unità
di ingresso e di uscita dati, alla gestione dei dispositivi di memorizzazione di massa (dischi
magnetici, ottici), alla gestione dei processi e all’avvio delle varie applicazioni.
Un sistema operativo, in base al numero di bit con cui sono formati i dati e il codice che
utilizza, è definito a 16, 32 o 64 bit.
I primi PC, con processori della famiglia 8088/86, erano dotati del sistema operativo a linea
di comando, denominato MS-DOS (MicroSoft Disk Operating System). In realtà nei primi
PC della IBM esso si chiamava PC DOS. L’azione da svolgere (comando) doveva essere
indicata al sistema operativo scrivendola su una linea del video. Ciò costringeva l’utente a
conoscere un gran numero di parole chiave (i comandi del DOS) che dovevano essere di
volta in volta impartiti all’OS (Operating System) scrivendoli da tastiera.
Alla prima versione dell’MS-DOS ne seguirono altre con caratteristiche più avanzate, fino
ad arrivare alla 6.22 (nel 1994) l’ultima venduta separatamente da Windows. La versione
7.0 è invece inclusa in Windows 95.
Le varie versioni del DOS sono a 16 bit e il file system è la FAT (dapprima a 12 bit e poi
a 16 bit).
Intorno al 1985 la Microsoft, per semplificare l’utilizzazione dei PC, introduce un sistema
operativo che lavora con un ambiente grafico detto GUI (Graphical User Interface), ma
che opera però ancora utilizzando le risorse di MS-DOS. Il nuovo sistema è chiamato
Windows 1.0. Si ricorda che nel 1984 l’APPLE aveva prodotto il MACINTOSH, il primo
PC con interfaccia GUI.
L’interfaccia grafica, permette di interagire con l’OS, per eseguire numerose funzioni, in un
ambiente a finestre, servendosi di particolari piccole immagini, presenti sul video, denomi-
nate icone. Il comando viene impartito al sistema, quindi, con un semplice clic sull’icona.
Seguono le versioni Windows 2.0, Windows 3.0 e infine nel 1992 l’ultima versione 3.1
(seguita poi da alcuni aggiornamenti).
I Sistemi Operativi Windows, 3.x anche se utilizzano un’interfaccia GUI, sono da conside-
rarsi degli ambienti operativi, lavorando ancora con il Sistema Operativo MS-DOS e sono
quindi a 16 bit e con file system FAT (a 16 bit).
Nel 1995 la Microsoft immette sul mercato Windows 95. Esso, a differenza delle prece-
denti versioni di Windows, opera senza la presenza dell’MS-DOS. Nel 1998 è poi presen-
tato Windows 98 e dopo qualche tempo Windows ME. I sistemi operativi Windows 9.x
sono a 32 bit ma possono operare anche con dati a 16 bit. Il file system è la FAT a 32 bit
(introdotta con la versione OSR2 di Windows 95). Alla fine del 2002, è messo in commer-
cio Windows XP, presente sul mercato nella versione Home, destinata prevalentemente
ai PC che operano nell’ambiente domestico, e una versione Professional per l’ambito
aziendale. È un OS a 32 bit con disponibilità di una versione a 64 bit per la piattaforma
PC (XP Professional x64). Windows XP lavora con il file system NTFS.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Classificazione e struttura dei sistemi operativi 113
Windows Vista, è stato reso disponibile, per alcune fasce di utenti, alla fine del 2006, e
ufficialmente messo in vendita alla fine di gennaio 2007. Sono presenti in commercio le
seguenti versioni: Starter, Home Basic, Home Premium, Business, Enterprise e Ultimate. Il
sistema operativo è a 32 bit (con disponibilità di una versione a 64 bit) e lavora con file
system NTFS.
Windows 7, l’ultimo sistema operativo della Microsoft, è stato reso disponibile nel mese
di ottobre del 2009. È un sistema operativo con codice a 32 o 64 bit distribuito in varie
versioni. Il file system è rimasto lo stesso di Windows Vista (NTFS).
Nel mese di febbraio del 2011 è avvenuto il rilascio del Service Pack 1.
Al nuovo sistema operativo sono state apportate notevoli ottimizzazioni come un miglio-
ramento dell’aspetto e delle funzionalità del desktop, una modalità di ricerca di file e
cartelle ottimizzata, miglioramento delle prestazioni, una più facile gestione delle reti LAN
cablate e wireless, migliore protezione offerta dal Firewall integrato, disponibilità del pac-
chetto Windows Live, nuove funzionalità multimediali e altro.
Contemporaneamente alle versioni di Windows destinate per lo più ai desktop, sono sta-
te rilasciate dalla Microsoft anche versioni specifiche per workstation e server (del tipo
multitasking e multiutente) con file system NTFS: nel 1993 è presentato Windows NT 3.1.
È un OS a 32 bit, destinato soprattutto a essere utilizzato come server di rete. Successivamente
sono messi in commercio Windows NT 3.5 e Windows NT 3.51. Nel 1996 è presentato
Windows NT 4.0 e poi nel 2000 Windows 2000 destinati soprattutto ai server e alle
workstation. Alla fine del 2002 esce la versione per server di XP: Windows Server 2003.
In ottobre 2009 è stata commercializzata la versione Windows Server 2008 R2 (di Windows 7)
per il mercato server. Per la piattaforma PC sono disponibili anche altri sistemi operativi
tra cui si citano le varie implementazioni di UNIX e LINUX, sistema operativo simile a
UNIX, open source. La struttura iniziale di LINUX fu realizzata nel 1991 da Linus Torvalds
e distribuita gratuitamente su Internet perché venisse ampliata da altri programmatori.
Esistono diverse distribuzioni di LINUX realizzate da varie software-house; tra le più note si
citano: Mandriva Linux, Caldera Open Linux, Red Hat, SuSE Linux, Debian Gnu/Linux, Ubuntu.

2.1.1 Caratteristiche di base di MS-DOS


Il sistema operativo MS-DOS è presente sul disco memorizzato in tre file distinti; il primo
è chiamato command.com e costituisce il cosiddetto interprete dei comandi (la shell); gli
altri, che sono due file nascosti, assumono nomi diversi a seconda delle implementazioni
del DOS.
Durante la fase di bootstrap vengono prima caricati in memoria i due file nascosti (IBMBIO.
SYS e IBMDOS.SYS) ed eseguito, se presente, il file CONFIG.SYS. Subito dopo è caricato
in memoria il file COMMAND.COM e infine viene ricercato ed eseguito (sempre se pre-
sente) il file AUTOEXEC.BAT. Al termine del caricamento, è visualizzata sul video la se-
quenza di caratteri:
C:\>_
poi il controllo passa alla shell (COMMAND.COM), che rimane in attesa che venga digita-
to un comando valido da tastiera seguito da invio (↵).
I caratteri visualizzati dopo l’avvio del DOS indicano: C:, la lettera del drive da cui è av-
venuto il boot; la barra rovesciata (\), la direttrice radice; il segno di maggiore (>), il prompt
di sistema; il cursore lampeggiante ( _ ), la posizione in cui verrà inserito il carattere digi-
tato da tastiera e che si sposta man mano che si inserisce il testo. Il file COMMAND.COM
è chiamato interprete dei comandi, in quanto analizza i comandi digitati da tastiera e pas-
sa, se validi, alla loro esecuzione.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
114 Modulo
2 Sistemi operativi

Le singole unità di memorizzazione di massa contengono una directory principale (detta


radice) che può essere suddivisa in altre subdirectory con una struttura ad albero. La di-
rectory radice e le subdirectory contengono i file.
Il file rappresenta una raccolta ordinata di informazioni memorizzate sul disco.
L’MS-DOS è un sistema operativo monoutente (può essere utilizzato da una sola persona
per volta) e monotask (può lavorare con una sola applicazione per volta).

2.1.2 Caratteristiche dei sistemi operativi Windows 9x


I sistemi operativi Windows 95/98 (l’ultima versione è chiamata Windows ME) sono definiti
sistemi a 32 bit (Windows 3.1 è a 16 bit), in quanto usano un’organizzazione dei dati e del
codice a 32 bit. Tuttavia per compatibilità con i precedenti sistemi possono utilizzare anche
il codice a 16 bit. Il passaggio dei sistemi da 16 a 32 bit è legato strettamente alle funzioni
della CPU montata sui computer su cui tali sistemi operativi debbono lavorare.
◗ La prima CPU 8088 che lavorava con il DOS aveva un bus dati esterno a 8 bit e interno
a 16 bit e i registri interni a 16 bit. I registri della CPU sono memorie interne che il pro-
cessore utilizza per svolgere le elaborazioni dei dati provenienti dalla memoria.
Ricordando che attraverso il bus dati nel processore confluiscono sia i codici delle istru-
zioni che i dati, la CPU 8088 acquisisce dalla memoria un byte alla volta che poi inter-
namente compone formando una word (2 byte = 16 bit).
◗ Con la CPU 80286 vengono introdotte due nuove funzioni fondamentali: la possibilità di
gestire l’esecuzione di più applicazioni contemporaneamente (multitasking) e la funzio-
ne di macchina a memoria virtuale ovvero un sistema in grado di gestire (virtualmente)
un quantitativo di memoria molto più grande di quella indirizzabile fisicamente (1 GByte
di memoria virtuale contro i 16 MByte fisici).
◗ Con la CPU 80386 (versione DX) si ha un bus dati e i registri interni a 32 bit. Anche le linee
d’indirizzo dell’80386 diventano 32 e quindi l’area di memoria indirizzabile va dall’indiriz-
zo 00000000h a FFFFFFFFh ed è uguale a 4 GByte (232 = 4 295 000 000 = 4 GByte).
Quindi a partire dalla CPU 80386 si possono avere sistemi a 32 bit di tipo multitasking.
Il sistema operativo Windows 98 è quindi un sistema multitasking, in quanto può lavorare
con più applicazioni a 32 bit contemporaneamente.

2.1.3 Caratteristiche di base di Windows XP


Pur conservando molte delle caratteristiche dei precedenti sistemi, Windows XP ha subito
una profonda trasformazione nella sua architettura interna che lo ha reso certamente più
stabile introducendo anche un certo controllo sulle intrusioni indesiderate nei collegamenti
con Internet. Le due versioni (Home e Professional) sono basate sullo stesso nucleo centra-
le (kernel). È possibile installare Windows XP utilizzando lo stesso file system delle prece-
denti versioni (FAT 32) oppure il file system di Windows 2000 (NTFS). Solo scegliendo l’NTFS
è possibile utilizzare una robusta protezione dei file che ne impedisce l’accesso, senza op-
portuna autorizzazione, e la loro cancellazione non voluta. Per correggere alcuni bug pre-
senti nel sistema operativo e per eliminare i punti deboli che più si prestano ad attacchi
provenienti dal Web, la Microsoft mette a disposizione dei propri utenti sul sito Windows
Update delle patch di correzione. L’insieme di tutti gli aggiornamenti e correzioni è conte-
nuto nei Service Pack1, Service Pack2 e il Service Pack 3 (l’ultimo fornito per il sistema
operativo). Per sapere con quale Service Pack il sistema operativo è stato aggiornato si apra
la finestra RisoRse del computeR e si faccia clic sul punto interrogativo (?) posto in alto a de-
stra sulla Barra dei menu e quindi ancora clic su infoRmazioni su WindoWs.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 Classificazione e struttura dei sistemi operativi 115

2.1.4 Caratteristiche di base di Windows Vista


È un sistema operativo con versioni per codice a 32 o a 64 bit. Il file system è lo stesso
di Windows XP e può essere di tipo FAT, FAT32 o NTFS.
Le unità a disco possono essere utilizzate come:
◗ dischi di base - è la modalità tradizionale di utilizzo dei dischi usata anche negli altri sistemi
operativi. I dischi di base possono essere suddivisi in partizioni. Le partizioni (Æ nel pre-
sente modulo, Unità 1, paragrafo 1.2) prima di essere utilizzate devono essere formattate con
il tipo di file system scelto.
◗ dischi dinamici - (introdotti con Windows 2000 e utilizzati anche con Windows XP
Professional) presentano caratteristiche non utilizzabili con i dischi di base.
Possono essere suddivisi in volumi (corrispondenti alle partizioni). Un volume può anche
essere esteso su più dischi e identificato come un’unica unità. Possono essere anche creati
volumi a tolleranza di errore per garantire l’integrità dei dati. Il volume semplice occupa un
singolo disco. Anche i volumi, prima dell’utilizzazione debbono essere formattati.
Le principali innovazioni introdotte con Windows Vista sono:
◗ distribuzione per l’installazione in un unico file binario;
◗ sistema operativo costituito da moduli indipendenti con possibilità di aggiunta o rimo-
zione di driver di periferiche, linguaggi nazionali, patch;
◗ Internet Explorer 7, la nuova versione del browser con la navigazione a schede;
◗ nuova interfaccia verso il sistema operativo basata su .NET Framework 3.0 (WinFX);
compatibilità con le vecchie API (Application Programming Interface Win32);
◗ firewall integrato con filtro dei dati sia in ingresso sia in uscita;
◗ possibilità di eseguire la deframmentazione dei dischi automaticamente;
◗ supporto per la masterizzazione dei DVD che avviene con un drag&drop;
◗ interfaccia utente Aero (non presente nelle edizioni Starter e Home Basic) con ambienti
tridimensionali e altre funzioni innovative;
◗ supporto alle DirectX 10;
◗ Windows Media Player 11;
◗ Windows Movie Maker rinnovato con l’aggiunta di Windows DVD Maker.
Le risorse hardware per utilizzare Vista senza problemi sono le seguenti:
• processore a 32 o 64 bit, con frequenza del clock almeno di 1 GHz (800 MHz per l’edi-
zione Home Basic);
• 1 GByte di memoria RAM (512 MByte per l’edizione Home Basic);
• hard disk da 40 GByte con liberi almeno 15 GByte (20 GByte per l’edizione Home Basic);
• scheda grafica compatibile con le DirectX 9 con almeno 128 MByte di memoria grafica.

2.1.5 Caratteristiche di base di Windows 7


Windows 7 è un sistema operativo con versioni per codice a 32 o a 64 bit. È distribuito
nelle versioni:
• per uso personale o uso domestico: Windows 7 Starter, Windows 7 Home Basic, Windows
7 Home Premium;
• per uso professionale e aziendale: Windows 7 Professional, Windows 7 Enterprise,
Windows 7 Ultimate.
La versione Windows 7 Starter (solo a 32 bit) è destinata generalmente per i netbook,
mentre Windows 7 Home Basic è riservata solo a particolari mercati.
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116 Modulo
2 Sistemi operativi

Il file system, lo stesso di Windows XP e di Vista, è l’NTFS (sono supportati anche i file
system di tipo FAT16 e FAT32).
Le unità a disco possono essere utilizzate come:
◗ dischi di base - è la modalità tradizionale di utilizzo dei dischi usata anche negli altri
sistemi operativi. I dischi di base possono essere suddivisi in partizioni. Le partizioni
prima di essere utilizzate debbono essere formattate con il tipo di file system scelto.
◗ dischi dinamici - (introdotti con Windows 2000 e utilizzati anche con Windows XP Pro-
fessional e Vista) presentano caratteristiche non utilizzabili con i dischi di base. Possono
essere suddivisi in volumi (corrispondenti alle partizioni). Un volume può anche essere
esteso su più dischi ed è identificato come un’unica unità. Possono essere anche creati
volumi a tolleranza di errore per garantire l’integrità dei dati. Il volume semplice occupa
un singolo disco. I volumi, prima dell’utilizzazione devono essere formattati.
L’utilizzazione dei dischi dinamici è implementata solo nelle versioni Ultimate ed Enterprise.
Le principali innovazioni introdotte con Windows 7 sono:
◗ possibilità di scegliere all’atto dell’installazione di WINDOWS 7, se caricare e installare
come browser predefinito uno alternativo a Explorer 8 (è disponibile anche Explorer 9).
◗ firewall integrato con filtro dei dati sia in ingresso sia in uscita;
◗ possibilità di eseguire la deframmentazione dei dischi automaticamente;
◗ masterizzazione dei CD e DVD con il pulsante masterizza presente nella barra degli
strumenti delle varie finestre di esplora risorse;
◗ interfaccia utente Aero (non presente nelle edizioni Starter e Home Basic) con ambienti
tridimensionali e altre funzioni innovative;
◗ supporto alle DirectX 11;
◗ nuovo Windows Media Player 12;
◗ sono state rimosse le applicazioni Windows Movie Maker, Windows Calendar e Windows
Sidebar (è presente comunque Windows DVD Maker);
◗ non è più presente Windows Mail, ma bisogna scaricare e installare il nuovo programma
di posta elettronica Windows Live Mail (appartenente alla suite Live Essentials);
◗ una nuova versione di Windows Media Center;
◗ supporto di Hard Disk virtuali con il formato VHD;
◗ supporto alle funzionalità dei dischi allo stato solido (SSD);
◗ è presente la funzione Gruppo Home che permette di condividere contenuti multimedia-
li tra i diversi computer di una rete domestica;
◗ completamente rinnovati il programma di grafica Paint e l’editore di testi WordPad dota-
ti di nuove funzionalità;
◗ sono state potenziate le caratteristiche della calcolatrice;
◗ la barra delle applicazioni (task bar) è stata ridisegnata, non c’è più la barra avvio veloce;
◗ dopo l’installazione, è possibile creare un’immagine della partizione su cui è installato il
sistema operativo e creare anche un disco di ripristino;
◗ è disponibile la funzionalità Windows XP Mode (solo per le versioni Professional, Enterprise
e Ultimate). XP mode offre la possibilità di eseguire le applicazioni usando Windows XP;
◗ Crittografia di cartelle e file con EFS (Encrypting File System) solo per le versioni Profes-
sional, Enterprise e Ultimate e solo con il file system NTFS.
La Modalità XP mode, gratuita, deve essere scaricata dal sito della Microsoft e deve essere
poi installata. Permette di eseguire le applicazioni compatibili con XP, ma non con Windows 7,
direttamente sul desktop del nuovo sistema operativo. XP mode non è altro che una mac-
china virtuale sulla quale viene posto in esecuzione il sistema operativo Windows XP.
Le risorse hardware per utilizzare Windows 7 senza problemi sono le seguenti:
• processore a 32 o 64 bit, con frequenza del clock almeno di 1 GHz;
• 1 GByte di memoria RAM (2 GByte per versioni con codice a 64 bit);
• hard disk da 40 GByte con liberi almeno 16 GByte (20 GByte per versioni a 64 bit);
• scheda grafica compatibile con le DirectX 9 con almeno 128 MByte di memoria grafica.
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Unità
2 Classificazione e struttura dei sistemi operativi 117

2.1.6 Struttura del sistema operativo LINUX

Il sistema operativo GNU/LINUX (denominato anche semplicemente LINUX) è formato dal


kernel LINUX (che costituisce il nucleo centrale) integrato con il sistema GNU (che signi-
fica GNU Not Unix). Il sistema è un software libero distribuito con licenza GNU GPL
(General Public License). Fa parte del sistema operativo anche una shell, in genere la
BASH (Bourne Again Shell), anche se ne esistono altre. Una shell è l’interprete dei coman-
di (simile, ma molto più potente, al command.com del DOS) che legge e interpreta i co-
mandi digitati dall’utente inviandoli poi al kernel che li esegue. Volendo lavorare in un
ambiente simile a Windows (finestre e icone), al sistema va poi aggiunto un ambiente
grafico specifico: KDE (K Desktop Environment) o GNOME (GNU Network Object Model
Environment), che sono i due ambienti più diffusi.
LINUX è un sistema operativo multiutente (più persone possono condividere lo stesso
computer) e multitasking (possono essere eseguite più applicazioni contemporaneamen-
te). Attualmente LINUX è compatibile con la maggior parte dei dispositivi periferici in
commercio ed esistono moltissime applicazioni open source che lavorano nell’ambiente
LINUX. Si elencano alcune di esse:
◗ Mozilla Firefox, potente browser per la navigazione a schede con la possibilità di bloc-
care i pop-up;
◗ Samba, applicazione che permette lo scambio di dati tra computer collegati in rete anche
se gestiti da sistemi operativi diversi (Linux, Windows, Unix, Mac OS);
◗ Open Office.org, una suite con editor di testi, database, foglio di calcolo, formule ma-
tematiche, editore di pagine HTLM, presentazione e ambiente grafico per disegno vet-
toriale;
◗ AbiWord, word processor;
◗ Gimp, programma per il fotoritocco e per la gestione delle immagini;
◗ Apache, Web Server adatto al trasferimento di informazioni sulla rete. È una applicazio-
ne (installata su un computer denominato a sua volta Web Server) in grado di fornire,
dietro richiesta del browser (per esempio Firefox), una pagina WEB.
Del sistema operativo GNU/LINUX, e delle varie applicazioni, sono forniti anche i file
sorgente (in genere in C). L’utente potrebbe creare un proprio sistema operativo compi-
lando direttamente i file. Il software open source viene rilasciato con una licenza che
permette agli sviluppatori, singoli o in collaborazione, di apportarne modifiche in modo
da avere un prodotto con caratteristiche aggiornate e migliorate. Le distribuzioni di
GNU/LINUX sono versioni del sistema operativo, compilate da un’azienda o da associa-
zioni, configurate in modo opportuno per essere utilizzate da particolari tipi di utenti.
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118 Modulo
2 Sistemi operativi

Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 10. Window 7 usa un file system diverso da quello
false. usato da Windows XP.
❑ vero
1. MS-DOS è un sistema operativo a 32 bit. ❑ falso
❑ vero
❑ falso 11. KDE e GNOME sono due ambienti grafici per
GNU/LINUX.
❑ vero
2. Il primo sistema operativo con interfaccia GUI
❑ falso
è stato realizzato dalla Microsoft.
❑ vero 12. GNU/LINUX non è un sistema operativo multi-
❑ falso tasking.
❑ vero
3. MS-DOS è un sistema operativo multitasking. ❑ falso
❑ vero 13. SAMBA è un’applicazione che permette lo
❑ falso scambio di dati tra computer in rete anche se
gestiti da sistemi operativi diversi.
4. Windows XP non può utilizzare il file system ❑ vero
NTFS. ❑ falso
❑ vero
14. Nei dischi dinamici un volume può anche
❑ falso
essere esteso su più dischi.
❑ vero
5. EXT3 è il file system di Windows Vista. ❑ falso
❑ vero
❑ falso 15. Il firewall integrato di Windows 7 non filtra i
dati in ingresso.
❑ vero
6. Il file system di MS-DOS è FAT32.
❑ falso
❑ vero
❑ falso 16. APACHE è un Web Server.
❑ vero
7. MS-DOS è un sistema operativo che può ❑ falso
essere usato da più utenti contemporanea-
mente. 17. Windows 7 non può usare la FAT32.

❑ vero ❑ vero
❑ falso
❑ falso

8. MS-DOS è un sistema operativo a linea di coman-


do. ■ Rispondi alle seguenti domande.
❑ vero
1. In un elaboratore quali funzioni svolge il siste-
❑ falso
ma operativo?
...........................................................................
9. Windows XP non può usare la FAT32.
...........................................................................
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

2 Classificazione e struttura dei sistemi operativi 119


Unità

2. In un sistema operativo con interfaccia GUI 7. Cosa sono KDE e GNOME?


cosa sono le icone? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
8. Cosa è Windows Live Mail?
3. Come si impartiscono i comandi nel sistema ...........................................................................
operativo MS-DOS? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
........................................................................... 9. Quali sono le versioni in distribuzione di
Windows 7?
4. Cosa è la shell di MS-DOS? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
10. In Windows 7 la modalità XP Mode cosa per-
5. Cosa sono i Service Pack per i sistemi opera- mette di fare?
tivi Windows? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
11. In Windows 7 quale funzione svolge il Gruppo
6. Cosa è il software open source? Home?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

unità 3 I sistemi operativi


MS-DOS e XP

3.1 Il sistema operativo MS-DOS


Il sistema operativo MS-DOS ha dominato per molti anni la scena dei Personal Computer.
Anche se i nuovi sistemi operativi, che utilizzano un ambiente grafico, hanno di molto di-
minuito la sua importanza, si ritiene che la conoscenza di MS-DOS, anche se limitata agli
elementi essenziali, sia sicuramente utile per particolari applicazioni. Si ricorda che molti
comandi per il controllo delle reti (ping, netstat, ecc.) debbono essere utilizzati con il prompt
dei comandi (presente nei sistemi Windows) e, inoltre, la consolle di ripristino di
Windows XP (che risolve molti problemi per la riattivazione dell’OS), va utilizzata con co-
mandi che sono un’estensione di quelli presenti in MS-DOS. Infine l’uso di un sistema
operativo a linea di comando può costituire un buon punto di partenza per l’uso di LINUX.
Nella figura 3.1 è visualizzata la finestra che si apre con il prompt dei comandi di
Windows XP (Start ⇒ tutti i programmi ⇒ acceSSori ⇒ prompt dei comandi).
Il colore di sfondo della finestra del prompt dei comandi (solitamente nero) è stato cam-
biato con clic con il tasto destro sull’icona del prompt dei comandi e poi scegliendo
proprietà ⇒ colori. Con proprietà ⇒ carattere possono essere cambiate anche le dimen-
sioni e il tipo di carattere.
La console di ripristino si attiva con il boot dal disco CD originale del sistema operativo.

figura 3.1

3.1.1 File e directory in MS-DOS


Tutte le informazioni presenti su un disco sono memorizzate in particolari strutture denomi-
nate file. Il file rappresenta quindi una raccolta ordinata d’informazioni memorizzate sul disco.
Un file, contenente quindi programmi o dati, ha un nome d’identificazione costituito (nel-
le vecchie versioni del DOS) da un massimo di otto caratteri. Il DOS non fa distinzione
tra caratteri maiuscoli e minuscoli.
Non si possono usare, per i nomi, i seguenti caratteri:

< > + = / \ [ ] “ : , . ? * spazio

I nomi dei file possono essere completati con un’estensione, formata (nelle vecchie ver-
sioni del DOS) al massimo da tre caratteri, e separata dal nome del file da un punto.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 121
Alcune estensioni identificano in modo univoco specifici tipi di file e possono pertanto
essere usate solo con essi; le principali sono:
◗ .COM indica un eseguibile (file che contiene un programma che può essere posto in
esecuzione, in ambiente DOS, digitando il suo nome e dando invio).
◗ .EXE è ancora un eseguibile (file di programma), con caratteristiche leggermente di-
verse dal precedente.
◗ .SYS sono file di sistema.
◗ .BAT particolari file, detti batch, contengono un insieme di comandi del DOS.
◗ .BAK (backup) copie di sicurezza;
◗ .HLP (help) file di aiuto.

Altre estensioni sono, a volte, comunemente utilizzate per identificare il tipo di file realiz-
zati con particolari applicazioni;
◗ .ASM file per i programmi che utilizzano il linguaggio assembly (MASM e TASM);
◗ .TXT file di testo;
◗ .DOC documenti.

Per poter usare in modo più semplice i file, è possibile creare sul disco delle suddivisioni,
dette directory; ognuna di esse è contraddistinta da un proprio nome e può contenere
un certo numero di file.
Con questo sistema è possibile accedere ai file di una certa directory ignorando quelli
presenti nelle altre. Il disco intero è considerato come una directory a cui è assegnato il
nome di directory principale o radice.
Nei sistemi operativi con interfaccia grafica le directory sono dette cartelle.
Si possono, inoltre, creare all’interno di una certa directory, altre directory. Il procedimen-
to può essere ripetuto per le nuove directory, creando così una struttura ad albero.

3.1.2 Avvio del DOS


Quando si inizia a lavorare con il DOS, dopo un riuscito bootstrap, sul video è visualiz-
zato il prompt del sistema operativo, ovvero dei caratteri particolari, che rendono pos-
sibile all’utente di capire di essere entrati nell’ambiente DOS. Dopo di che il computer
rimane in attesa dei comandi che l’utente deve digitare sulla tastiera, chiudendoli con il
tasto invio.
Se il DOS è stato avviato dal drive A compare il prompt A:\ > _ se invece è stato avvia-
to dall’hard disk il prompt si ha il prompt C:\ > _ dove la lettera seguita dai due punti
(:) indica l’unità a disco da cui è stato operato l’avvio, la barra retroversa (\) che ci si
trova nella directory root (radice) e il trattino lampeggiante dopo il segno di maggiore
(>) rappresenta il cursore, in altre parole il punto in cui verranno inseriti eventuali carat-
teri digitati da tastiera. La riga del video su cui è visualizzato il prompt, viene definita
riga di comando. I comandi che possono essere digitati su tale riga possono essere divi-
si in comandi interni ed esterni.
I comandi interni sono quelli contenuti in command.com (la shell dell’OS) e vengono
caricati in memoria insieme con tale file. Essi sono immediatamente disponibili per l’uten-
te e sono riconosciuti dal DOS anche se viene tolto il disco di avvio. Nella tabella 3.1, ri-
portata nella pagina seguente, sono elencati i fondamentali comandi interni.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
122 Modulo
2 Sistemi operativi

tabella 3.1
cd Accede a una subdirectory diversa da quella attuale.
copy Esegue la copia di file su disco.
date Visualizza la data attuale permettendo anche di variarla.
del Permette di cancellare i file del disco.
dir Visualizza l’elenco dei file e delle direttrici contenuti sul disco.
echo Visualizza un messaggio o ne attiva (echo on) o disattiva (echo off) la visualizzazione.
md Crea una nuova subdirectory.
path Stabilisce i percorsi di ricerca dei file eseguibili.
pause Sospende l’esecuzione di un file di comandi (file batch).
prompt Imposta un nuovo tipo di prompt del DOS.
rd Elimina una subdirectory.
ren Cambia il nome a un file presente su disco.
time Visualizza l’orario attuale permettendo anche di variarlo.
type Visualizza su video il contenuto di un file, se scritto in formato ASCII.
ver Visualizza la versione corrente del DOS.

◗ I comandi esterni non sono contenuti in memoria, ma si trovano sul disco sotto for-
ma di file eseguibili, con estensione .COM o .EXE. Per essere eseguiti debbono effetti-
vamente trovarsi sul disco rigido o su qualsiasi altro supporto di memorizzazione.

Quando si digita un comando, seguito da invio, il DOS controlla come prima cosa se è un
comando interno. Nel caso non lo sia, effettua una ricerca nel drive corrente; se viene
trovato, il sistema operativo carica in memoria il file relativo al comando lo avvia e poi gli
cede controllo. Se invece il file associato al comando non viene trovato, compare sul video
un messaggio di avvertimento e viene di nuovo visualizzato il prompt.
Da quanto precedentemente affermato è chiaro che i comandi esterni possono essere
eseguiti solo se presenti, sotto forma di eseguibili, nel disco inserito nell’unità corrente (di
default), contraddistinto dalla lettera che compare nel prompt (per esempio C:\> se si è
avviato il sistema dal disco rigido).
Se sul disco ci sono presenti altre directory, il file relativo al comando digitato deve risie-
dere nella directory root.
È possibile, attraverso il comando interno path, fare ricercare automaticamente il file anche
in altre directory o altre unità a disco.
Volendo eseguire un comando presente su un’unità di memorizzazione diversa da quella
corrente, è necessario cambiarla con il seguente comando (si supponga di trovarsi in C:):

C:\ > E: ↵

Con tale comando si seleziona l’unità E: (per esempio una chiavetta USB) e il nuovo prompt
diventa:

E:\ > _

Qualsiasi comando, d’ora in poi, si riferirà all’unità E:.

Per cambiare unità si deve semplicemente digitare la lettera corrispondente alla


nuova unità seguita dai due punti (:), senza interporre spazi, e chiudere il comando
con invio (↵).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 123

3.1.3 Analisi di alcuni comandi interni del DOS


I comandi interni sono tutti disponibili immediatamente e possono essere eseguiti da qual-
siasi directory. La loro azione però, è diretta sempre alla directory corrente, salvo che sul
comando non sia inserito il percorso che indica l’unità su cui esplicare l’attività. Per esem-
pio, nella figura 3.2, è stato lanciato nella finestra aperta del prompt dei comandi, il coman-
do interno DIR stando all’interno della directory c:\document and SettingS\mario>.
Il file command.com che interpreta il comando DIR, si trova sul disco rigido in tutt’altra
directory (c:\WindoWS\SyStem32) l’esecuzione avviene anche trovandosi in altra direc-
tory e viene visualizzato sul video il contenuto della directory Mario (che si trova all’in-
terno della directory Documents anD settings).

figura 3.2

■ Caratteri speciali
Al fine di rendere più efficace l’utilizzazione dei comandi per la gestione dei file, il DOS
permette di adoperare due caratteri jolly, l’asterisco (*) e il punto interrogativo (?), che,
inseriti opportunamente nei nomi dei file, possono sostituire parti del nome o dell’esten-
sione o i singoli caratteri del nome stesso.
La parte del nome del file o dell’estensione al cui posto viene inserito l’asterisco può as-
sumere un valore qualsiasi. Il punto interrogativo invece può sostituire i singoli caratteri.

◗ DIR
Per vedere l’elenco dei file contenuti su un disco bisogna digitare il comando DIR e bat-
tere il tasto di invio (return). Supponendo di essere sul drive C, si ha:

C:\ DIR ↵

Il DOS visualizza il nome di ogni file con la relativa estensione (se esiste). Inoltre per ogni
file sono fornite altre informazioni quali la sua dimensione, espressa in byte, la data e l’ora
di creazione o dell’ultima modifica effettuata. Insieme ai file sono visualizzate anche le
directory. Esse si distinguono in quanto sono precedute nell’elenco dalla scrittura partico-
lare <DIR>. L’elenco dei file è, naturalmente, quello relativo alla directory da cui si è dato
il comando.
Quando il numero dei file è elevato, sul video avviene uno scorrimento verso l’alto dell’im-
magine e alla fine rimane visibile solo l’ultima parte dell’elenco. Per poter osservare i file
precedenti occorre far scorrere la barra verticale presente al lato della finestra quando
l’elenco eccede le sue dimensioni.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
124 Modulo
2 Sistemi operativi

Con i caratteri jolly del comando DIR è possibile digitare solo una parte dei file:
C:\ > DIR ∗.EXE ↵
farà apparire sul video tutti i file con nome qualsiasi e con estensione EXE memorizzati
sulla directory radice del disco C:.
C:\> DIR LIBRO.∗ ↵
farà apparire sul video tutti i file di nome LIBRO, memorizzati sul disco rigido nella direc-
tory radice, qualunque sia la loro estensione.
Il punto interrogativo, a differenza dell’asterisco, sostituisce solo un carattere nel nome o
nell’estensione di un file.

◗ DEL
Il comando DEL serve per cancellare uno o più file. La sintassi del comando richiede di
specificare il nome e l’estensione del file che si vuole cancellare:
C:\> DEL nomefile ↵
Si possono cancellare in una sola volta tutti i file aventi la stessa estensione utilizzando il
carattere jolly asterisco (*):
E:\> DEL *.BAS ↵
Per cancellare tutti i file con qualsiasi nome e qualsiasi estensione presenti in E: si deve
digitare:
E:\ DEL *.*

Bisogna utilizzare con cautela questo comando.

◗ MD (o MKDIR)
Il comando MD serve per creare una nuova directory. La sintassi è:
C:\> MD nomedirectory ↵

◗ CD (o CHDIR)
Il comando CD permette di passare dalla directory radice a una subdirectory o da una
subdirectory all’altra.
La sintassi del comando è:
C:\> CD nomedirectory ↵
La nuova directory a cui si deve accedere deve essere attigua a quella attuale, altrimenti
bisogna fornire il percorso completo per raggiungerla.
Per uscire da una directory (supponendo che essa abbia il nome SISTEMI) e tornare alla
directory madre (che in questo caso coincide con la radice) basta digitare:
C:\SISTEMI> CD .. ↵
Il DOS interpreta i due punti (..) posti dopo il comando CD come nome della directory
superiore.
Da qualsiasi subdirectory si torna alla radice con il comando:
CD \ ↵
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 125
In tal caso la barra rovesciata (\) rappresenta la directory radice. Quindi si deve tenere
presente che ogni volta che si deve risalire di un livello verso la radice si deve usare il
comando CD ..; mentre se si vuole ritornare direttamente alla radice, in qualsiasi livello ci
si trovi, si usa CD \.

◗ RD (o RMDIR)
Il comando RD è utilizzato per cancellare le directory. Perché il comando possa esplicare la
sua funzione è necessario che le directory siano vuote ossia che non contengano alcun file.
La sintassi del comando è:

C:\> RD nomedirectory ↵

dove nomedirectory è il nome della subdirectory che si vuole cancellare. Per eliminare una
subdirectory, una volta svuotata, ci si deve mettere fuori di essa per poterla cancellare.
Se la subdirectory da eliminare, oltre ai file, contenesse anche altre subdirectory, si dovreb-
bero eliminare prima le subdirectory più interne e gli eventuali file in esse contenuti, e poi
procedere alla sua cancellazione. Esiste una opzione (/s) che permette di cancellare una
directory anche se non vuota.

◗ COPY
Il comando COPY permette di copiare uno o più file, da un disco all’altro o da una subdi-
rectory a un’altra o anche nella stessa subdirectory in cui si trova, cambiandovi però il nome.
La sintassi del comando è la seguente:

C:\> COPY sorgente destinazione

La sorgente deve contenere il nome del file che si vuole copiare preceduto dal percorso
completo per raggiungerlo, mentre nella destinazione deve esserci il nome che deve es-
sere attribuito al file da copiare e il percorso completo di dove esso deve essere copiato.
Se il nome del file sorgente è lo stesso di quello di destinazione, esso può essere omesso.

3.2 Il sistema operativo Windows XP


Windows XP, conserva molte delle funzioni presenti nei precedenti sistemi operativi, of-
frendo al tempo stesso molte nuove particolarità. Si tenga ben presente che il Sistema
Operativo esercita un controllo rigoroso sull’accesso alle periferiche. Per questo, non è
possibile utilizzare la porta parallela o quella seriale senza ricorrere a chiamate specifiche
al Sistema Operativo per mezzo delle API (Application Programming Interface).
Windows XP introduce elementi innovativi sia nella sua architettura che nell’ambiente di
lavoro. Verso il termine dell’installazione è richiesto l’inserimento degli utenti che dovran-
no utilizzare lo stesso PC. Se ce n’è più di uno, questi una volta inseriti i loro nomi ed
eventualmente una password, potranno utilizzare indipendentemente uno dall’altro un
desktop personale, cartelle e file propri.

3.2.1 L’interfaccia grafica di Windows

■ Il desktop
Al termine dell’installazione si presenta un desktop con una sola icona (quella del Cestino)
e in basso la Barra delle applicazioni con a sinistra, il pulsante Start, che consente di
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
126 Modulo
2 Sistemi operativi

aprire una finestra con un menu che differisce


completamente da quello delle precedenti
versioni di Windows.
Nella figura 3.3 è visualizzata una parte del
desktop con aperta la finestra del menu Start.
Su di esso è stata aggiunta l’icona Risorse del
computer (dal menu Start clic con il pulsan-
te destro su riSorSe del computer ⇒ ViSualizza
Sul deSktop).

Per un accesso più immediato alle unità (A:,


C:, ecc.), conviene inserire una barra con il
contenuto di Risorse del computer sulla parte
alta del video com’è visibile nella figura 3.3.
Si procede ponendo il cursore del mouse
sull’icona di Risorse del computer e, tenendo
premuto il tasto sinistro, trascinandola in alto
verso il bordo superiore del video, rilasciando
infine il pulsante. Prima di questa operazione
conviene, dopo aver aperto la finestra relativa
a Risorse del computer, usare il pulsante
ViSualizza ⇒ elenco, in modo da raggruppa-
re tutte le unità disco (figura 3.4).

Se la nuova barra è larga, restringerla trasci-


nandone il bordo inferiore in alto. Facendo
figura 3.3 poi clic con il tasto destro sul nome della
barra (Risorse del computer), si tolga il segno
di spunta dalla casella moStra titolo, in mo-
do da riservare più spazio per la visualizza-
zione delle unità. Per eliminare la nuova bar-
ra inserita, si deve fare clic con il tasto destro
sul lato sinistro della barra e usare il comando
chiudi Barra degli Strumenti.

Le icone poste sul desktop possono essere spo-


state in qualsiasi punto del video semplicemen-
te portando su di esse il cursore del mouse (a
forma di freccia), premendo il pulsante sinistro
e, tenendolo premuto, trascinando l’icona e,
successivamente rilasciando il pulsante, una
volta raggiunta la posizione desiderata.

Quando sul desktop sono rese attive delle fi-


nestre, nel loro angolo superiore destro, com-
paiono quasi sempre i tre pulsanti (in alto a
destra nella figura 3.6) che servono per ridurre
la finestra a icona (), ampliare le dimensioni
della finestra () e chiuderla (). Quando poi
la finestra si trova alla massima grandezza il sim-
bolo centrale si trasforma () e serve in tal caso
figura 3.4 per riportare le dimensioni a quelle precedenti.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 127
Se la finestra è ridotta a icona, sulla Barra delle applicazioni compare un pulsante con il
nome dell’applicazione stessa. Facendo clic su di esso si apre di nuovo la finestra relativa
all’applicazione.

■ Menu Start
Nel menu START possono distinguersi le seguenti parti:

◗ menu aVVio, in esso possono essere visualizzate:


– le icone per il lancio del browser per la navigazione (Internet Explorer o altro) e per
l’accesso alla posta elettronica (per esempio Outlook Express) attivabili con un clic del
tasto destro sulla Barra delle applicazioni ⇒ proprietà ⇒ menu di aVVio ⇒ perSonaliz-
za … ⇒ moStra nel menu d’aVVio;
– i programmi preferiti che possono essere inseriti direttamente dal menu Start ⇒ pro-
grammi scegliendo sull’elenco a discesa che si apre, l’applicazione che si vuole inserire
sul menu di avvio. Clic con tasto destro su di essa ⇒ aggiungi al menu di aVVio.

◗ Le applicazioni di più recente utilizzazione.

◗ L’accesso a cartelle e risorse: Documenti, Documenti recenti, Immagini, Musica,


Impostazione delle Stampanti e fax, Risorse del computer, Connessioni di rete, Pannello
di controllo, Guida in linea.

■ Barra delle applicazioni


La Barra delle applicazioni può essere personalizzata, ponendo accanto al pulsante di
Start i pulsanti delle altre applicazioni che sono di uso più frequente.
Per porre questi pulsanti sulla barra si deve aprire il menu Start ⇒ programmi e sull’elen-
co a discesa che si apre, scegliere l’applicazione che si vuole inserire sulla barra e fare
clic con tasto destro su di essa. Dal menu che si apre scegliere inVia A ⇒ deSktop. Una
volta posta l’icona sul desktop è possibile trascinarla poi sulla barra e quindi eliminare
quella presente sul desktop (tasto destro su di essa ⇒ elimina). Molte applicazioni di uso
figura 3.5 frequente si trovano in Start ⇒ tutti i programmi ⇒ acceSSori (per esempio Blocco
note, Word Pad, Paint, Calcolatrice,
Window Movie Maker, Prompt dei
comandi, Window Media Player e
Registratore di suoni (nella cartella
Svago), Ripristino configurazione di
sistema (nella cartella Utilità di
Sistema).
Prima di procedere allo spostamento
delle icone sulla barra, è necessario
fare clic con il tasto destro sulla bar-
ra stessa delle applicazioni e, dal me-
nu che si apre, scegliere proprietà,
mettere il segno di spunta su aVVio
Veloce e togliere invece quello su
Blocca la Barra delle applicazioni
(figura 3.5).
È necessario poi allargare lo spazio
destinato all’aVVio Veloce aggancian-
do e trascinando la linea punteggiata
posta sulla barra.
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128 Modulo
2 Sistemi operativi

■ Pannello di controllo
Il Pannello di controllo (figura 3.6), permette di eseguire attività fondamentali per la ge-
stione del computer. Alcune di esse sono:

◗ installazione applicazioni di WINDOWS;


◗ disinstallazione o modifica delle applica-
zioni;
◗ impostazione di data e ora;
◗ installazione del nuovo hardware;
◗ visualizzazione delle stampanti installate
e aggiunta di nuove;
◗ installazione guidata di una rete;
◗ visualizzazione delle connessioni di rete;
◗ operazioni varie sugli account.

Nel Pannello di controllo, le varie attività


cui si può accedere sono divise in gruppi
funzionali. Facendo clic sul comando a destra
paSSa alla ViSualizzazione claSSica, vengono
mostrate tutte le icone del pannello di con-
trollo.
figura 3.6 ■ Risorse del computer
Aperta la finestra riSorSe del computer ( figura 3.4 ), si selezioni una delle icone delle unità
a disco (facendo clic su di essa una sola volta), questa diviene di colore più scuro. La
Barra dei menu visibile in alto sulla finestra aperta della figura 3.4

File modiFica ViSualizza preFeriti Strumenti


permette di eseguire varie operazioni sull’unità selezionata. Facendo clic su una delle voci
della barra, si attiva per ognuna di esse un menu a tendina che però subisce alcune varia-
zioni in base all’unità selezionata. Dopo aver selezionato una delle unità, si faccia clic sul
nome file. Il menu a tendina (per le unità a disco fisso) è configurato come nella tabella 3.2.
Lo stesso menu si apre direttamente con clic con il tasto destro su una delle unità.
tabella 3.2
Apri Permette di aprire l’unità selezionata mostrando le cartelle e i file in essa contenuti.
EsplorA Visualizza una struttura ad albero delle cartelle e dei file contenuti nell’unità selezionata.
Sulla barra dei menu, posta in alto, sono presenti i comandi con cui è possibile, tra
l’altro, creare nuove cartelle.
CErCA... Ricerca di file e cartelle contenute nell’unità selezionata.
CondivisionE E protEzionE Permette di impostare i criteri di condivisione dell’unità.
FormAttA... Permette di formattare l’unità selezionata.
CrEA CollEgAmEnto è possibile creare collegamenti con le applicazioni presenti in determinate cartelle dupli-
cando l’icona a esse relative e spostandola poi sul desktop o su altre cartelle.

rinominA Permette di cambiare il nome dell’unità (per esempio Floppy) ma non la lettera che la
contraddistingue.
propriEtà Fornisce informazioni sull’unità selezionata. è visualizzato lo spazio occupato e quello
libero delle unità a disco. è possibile eseguire la pulizia dell’unità per eliminare alcuni tipi
di file. Si può, selezionando l’opzione Strumenti nella finestra ProPrietà, eseguire la
scansione del disco (per la ricerca di errori) e la sua defragmentazione.

Chiudi Chiude la finestra.


ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 129
Nella figura 3.7 è rappresentata la finestra proprietà dell’unità C:. Notare in alto a sinistra
la possibilità di accesso alla cartella Strumenti (per utilizzare Defrag e Scandisk), hardWare
(che fornisce un elenco dei dischi con marca e modello) e condiViSione che permette di
condividere in rete le cartelle con altri utenti.

figura 3.7

3.2.2 Esecuzione di operazioni base in Windows XP


Sono riportate nel seguito alcune delle operazioni più comuni che possono essere effet-
tuate dall’operatore sui file e sulle cartelle. Si tenga presente che spesso, le operazioni il-
lustrate, possono essere eseguite in più di un modo.

■ Uscita da Windows XP
Si esce da Windows con il pulsante START ⇒ SPEGNI COMPUTER della Barra delle ap-
plicazioni. Nella finestra che si apre facendo clic su CHIUDI SESSIONE è possibile sce-
gliere tra le seguenti scelte:
– Spegni;
– riaVVia;
– StandBy.

■ Apertura di una finestra


Per aprire una finestra relativa a una unità o a una cartella:
◗ fare clic due volte sull’icona corrispondente all’unità o alla cartella desiderata;
◗ selezionare l’unità o la cartella e usare il comando del menu File ⇒ apri;
◗ fare clic sull’icona con il pulsante destro del mouse e poi usare il comando APRI del
menu che viene visualizzato.

■ Spostamento di una finestra


Selezionare la finestra facendo clic su di essa in un punto qualsiasi (la barra superiore
della finestra attiva cambia colore); porre il cursore sulla barra superiore e, tenendo pre-
muto il pulsante sinistro, trascinare la finestra nel punto voluto rilasciando poi il pulsante.
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130 Modulo
2 Sistemi operativi

■ Modifica delle dimensioni di una finestra


Posizionando il cursore sul bordo di una finestra esso assume la forma di una freccia con
doppia punta (↔). Trascinando il mouse, tenendo premuto il pulsante sinistro, la finestra
si allarga o si restringe. Rilasciare il pulsante una volta raggiunte le dimensioni desiderate.
È possibile anche agire sugli angoli della finestra, variando contemporaneamente le dimen-
sioni di due lati.

■ Creazione di una nuova cartella


Le cartelle possono essere create sul desktop, su un’unità a disco o all’interno di un’altra
cartella.
◗ Sul desktop: fare clic con il pulsante destro del mouse su un punto qualsiasi del desktop
su cui non sono aperte finestre; sul menu a tendina che si apre scegliere NUOVO e poi
fare clic su CARTELLA. Viene inserita sul video un’icona con il nome Nuova cartella. È
possibile quindi assegnare subito alla cartella un nuovo nome digitandolo dalla tastiera
(attenzione a non fare clic con il pulsante del mouse prima di aver scritto il nome).
◗ Su una unità (solo dischi) della finestra riSorSe del computer: si apre la finestra rela-
tiva all’unità desiderata facendo doppio clic su di essa e poi si procede come nel
caso precedente. In alternativa si può selezionare l’unità desiderata e poi utilizzare il
comando del menu File ⇒ apri e poi di nuovo, nella finestra aperta: File ⇒ nuoVo
⇒ cartella.
◗ Su una finestra aperta: si esegue lo stesso procedimento del desktop facendo clic con
il pulsante destro del mouse su un punto qualsiasi della finestra aperta.

■ Cambiare il nome a una cartella


Fare clic con il pulsante destro sulla cartella. Dal menu a tendina scegliere rinomina.

■ Copia o spostamento di un file


Molto spesso, il metodo più rapido per copiare o spostare un file in un’altra cartella o
unità, è quello del copia o taglia e incolla. Una volta localizzato il file da copiare o spo-
stare, si fa clic con il tasto destro su di esso e dal menu a tendina che si apre si sceglie
copia se si vuole copiare il file o taglia se lo si vuole spostare. Si apre poi la cartella,
dove esso deve essere copiato o spostato, e si fa clic ancora con il tasto destro su un
punto vuoto della cartella. Dal menu a tendina che si apre si sceglie incolla. Per copiare
o spostare un file nella radice di una delle unità (A:, C:, D:, ecc.) basta trascinare il file
sull’icona dell’unità presente sulle riSorSe del computer.

■ Copia o spostamento di una cartella


Un’intera cartella con tutto il suo contenuto può essere spostata o copiata all’interno di
una unità o di un’altra cartella. Si possono eseguire gli stessi procedimenti utilizzati per la
copia o lo spostamento di un file.
Attenzione a non spostare cartelle che contengono applicazioni eseguibili installate sotto
Windows.

■ Cancellazione di un file o di una cartella


Si trascina l’icona del file o della cartella nel cestino; in alternativa si fa clic con il tasto
destro sull’oggetto e dal menu a tendina si sceglie elimina.
Attenzione, i file eseguibili delle applicazioni installate (e altri file a esse collegate)
non debbono essere eliminati. Le applicazioni vanno rimosse eseguendo l’apposita
procedura.
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Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 131
■ Rimozione delle applicazioni
Dal Pannello di controllo fare doppio clic su inStallazione applicazioni. Dall’elenco delle
applicazioni aperto, selezionare quella da rimuovere e premere il pulsante camBia/rimuoVi.

■ Recupero di un file
I file spostati nel cestino possono essere recuperati fin quando questo non viene svuotato.
Si noti che i file del disco A: non sono posti nel cestino, ma cancellati definitivamente. Per
il loro recupero è necessario usare il comando undelete del DOS. Fare clic con il tasto
destro sul cestino, dal menu scegliere apri. Poi fare clic con il tasto destro sull’elemento
da recuperare, dal menu scegliere ripriStina.

■ Ricerca di un file o di una cartella


Fare clic con il pulsante destro sulla cartella. Dal menu a tendina scegliere cerca. Viene
visualizzata una nuova finestra che permette di impostare i criteri di ricerca. È possibile
effettuare la ricerca sull’unità selezionata, o anche cambiarla, ed eventualmente scegliere
una cartella all’interno dell’unità in cui effettuare la ricerca. Si possono anche impostare
criteri di ricerca relativamente alla data di creazione o modifica dei file.

■ Avvio di un programma
Fare due volte clic (rapidamente) sull’icona del file. Se il file sulla cui icona si fa clic non
è un eseguibile ma un file documento, un file grafico o altro, viene attivata l’applicazione
correlata con il tipo di file e poi aperto automaticamente il file.
In alternativa fare clic con il pulsante destro sul file. Dal menu a tendina scegliere apri o
apri con... per scegliere l’applicazione con cui aprire il file.

■ Esecuzione delle applicazioni


Con il pulsante di aVVio (in basso sul desktop) è poi possibile scegliere alcune applica-
zioni da eseguire. Facendo clic su Start si apre un menu a tendina. Si scelga tutti i
programmi e poi l’applicazione desiderata. Quando accanto a una applicazione è presente
un triangolino ( ) portando il cursore su di essa si apre una nuova finestra con l’elenco

di altri programmi tra cui è possibile effettuare la scelta.


Per l’avvio di un programma eseguibile (in particolare per installare nuove applicazioni)
si può ricorrere al comando Start ⇒ eSegui. In tal caso deve essere digitato sia il nome
del programma da eseguire che il percorso. Tuttavia è sempre possibile raggiungere il file
seguendo il percorso in cui si trova con l’opzione SFoglia.

■ Creazione di un collegamento con un file


A volte conviene avere sul desktop le icone delle applicazioni che si usano più frequen-
temente in modo da poterle attivare rapidamente. Scelta l’applicazione di cui si vuole
creare il collegamento, con Start ⇒ tutti i programmi usando il pulsante destro del mou-
se, sul menu che si apre rilasciando il pulsante, scegliere inVia a ⇒ deSktop.

3.2.3 Operazioni con il pulsante destro del mouse


Facendo clic con il tasto destro del mouse, avendo posizionato il cursore nei punti indi-
cati, si aprono menu che permettono un’ampia scelta di utili funzioni eseguibili con rapi-
dità. Si tenga presente che alcuni dei menu possono subire alcune variazioni in base al
software installato. Si fa riferimento a una versione di XP Professional con SP2.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
132 Modulo
2 Sistemi operativi

Su un punto libero del desktop

Nome
Dimensione
Tipo
Ultima modifica
Disponi icone per


Visualizza in gruppi
Aggiorna Disposizione automatica
Incolla Allinea alla griglia
Incolla collegamento Mostra icone del desktop
Annulla eliminazione Blocca elementi Web sul desktop
Nuovo


Avvia Pulitura guidata desktop
Proprietà

Cartella
Collegamento
Sincronia file
Immagine bitmap
Documento WordPad
Documento RTF
Documento di testo
Audio Wave
Cartella compressa

Nota: Annulla eliminazione è presente nel menu solamente se si è eliminato preceden-


temente qualche file o cartella.

Sull’icona Risorse del computer

Apri
Esplora
Cerca...
Gestione
Connetti unità di rete...
Disconnetti unità di rete...
Crea collegamento
Elimina Con Proprietà si accede a un menu
Rinomina a cartelle (Ripristino configurazio-
Proprietà ne di sistema, Nome computer,
Hardware, Connessione remota,
Aggiornamenti automatici)
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 133
Su una unità diversa da A: Sull’unità A:

Apri Apri
Esplora Esplora
Cerca... Cerca...
Condivisione e protezione Condivisione e protezione
Formatta... Copia disco
Copia Formatta...
Crea collegamento Taglia
Rinomina Copia
Proprietà Incolla
Crea collegamento
Rinomina
Proprietà

Nota: Copia disco equivale al diskcopy del DOS.

Su una finestra (diversa da Risorse del computer)

Anteprima
Titoli
Icone
Elenco
Dettagli
Visualizza
▲ ▲

Disponi icone per Nome


Aggiorna Dimensione
Incolla Tipo
Incolla collegamento Ultima modifica
Annulla ridenominazione Visualizza in gruppi

Nuovo Disposizione automatica


Proprietà Allinea alla griglia

Cartella
Collegamento
Sincronia file
Immagine bitmap
Documento WordPad
Documento RTF
Documento di testo
Audio Wawe
Cartella compressa
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134 Modulo
2 Sistemi operativi

Su una cartella

Apri
Esplora
Cartella compressa
Cerca...
Desktop (crea collegamento)
Condivisione e protezione
Destinatario posta


Invia a
Documenti
Taglia
Floppy da 3.5 pollici (A:)
Copia
Unità DVD-RAM (D:)
Crea collegamento
Elimina
Rinomina
Proprietà

Nota: Unità DVD-RAM (o CD) se è presente il masterizzatore:

file di testo file grafici

Apri Anteprima
Stampa Modifica
Apri con... Stampa
Invia a Apri con
Taglia Invia a
Copia Taglia
Crea collegamento Copia
Elimina Crea collegamento
Rinomina Elimina
Proprietà Rinomina
Proprietà

3.2.4 Opzioni Cartelle


Con una qualsiasi finestra aperta (per esempio riSorSe del computer di figura 3.4 ), sulla
barra dei menu in alto fare clic su Strumenti. Si apre la finestra a cartelle riportata in figura 3.8
(alla pagina seguente) nella quale è mostrata la cartella ViSualizzazione.

◗ Con la cartella generale è possibile tra l’altro scegliere se utilizzare una sola finestra o
più finestre sovrapposte nell’apertura delle cartelle e la possibilità di selezione degli
oggetti con uno o due clic del mouse.
◗ Con la cartella V iSualizzazione ( figura 3.8 ) è possibile effettuare importanti scelte
sulla visualizzazione dei file. Innanzi tutto è bene togliere il segno di spunta sul
rigo naScondi l’eStenSione per i tipi di File conoSciuti poiché, spesso, non è possibile
distinguere due file che hanno stesso nome ma estensione diversa (per esempio:
setup.exe e setup.ini).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 135


Unità

Se poi si vogliono visualizzare anche file e cartelle nascoste è necessario selezionare


l’opzione ViSualizza cartelle e File naScoSti che è presente all’inizio del menu di scelta.
Perché le scelte fatte siano estese a tutte le cartelle è necessario premere alla fine il
pulsante applica a tutte le cartelle.
◗ Con la cartella tipi di File è possibile impostare l’applicazione che sarà aperta per un
determinato tipo di file, avente una certa estensione. A volte, installando alcune appli-
cazioni, sono modificate le opzioni impostate e quindi, volendo ripristinarle, occorre
utilizzare la cartella tipi di File (figura 3.9) dopo aver scelto, dall’elenco visualizzato,
l’estensione del file si usa il pulsante camBia.
Sono proposte una serie di applicazioni adatte per aprire il tipo di file con l’estensione
selezionata tra cui si deve scegliere quella desiderata. Nel caso non sia presente nell’elen-
co con SFoglia si deve ricercare il percorso dell’applicazione da utilizzare.

figura 3.9

figura 3.8

3.2.5 Ripristino configurazione di sistema


L’installazione di nuove applicazioni può rendere il sistema operativo instabile. È possibi-
le con Windows XP ripristinare il sistema nelle condizioni precedenti a quelle in cui si è
verificata l’installazione, seguendo la procedura guidata accessibile attraverso il Pannello
di controllo. È anzi possibile creare punti di ripristino in qualsiasi momento si desideri.
Le impostazioni sul monitoraggio delle unità a disco per il ripristino della configurazione
di sistema è fatto attraverso il menu pannello di controllo ⇒ SiStema ⇒ ripriStino con-
Figurazione di SiStema ( figura 3.10 , vedi pagina seguente). È possibile attivare o disattivare
il ripristino della configurazione sulle singole unità. Con il pulsante impoStazioni si accede
a una nuova finestra che permette di variare lo spazio necessario sui dischi per salvare i
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
136 Modulo
2 Sistemi operativi

file di ripristino. Si tenga presente che aumentando lo


spazio possono essere ottenuti un maggior numero di
punti di ripristino a discapito di una maggiore occu-
pazione delle unità a disco.
Per gestire invece i punti di ripristino si deve aprire il
Pannello di controllo con ViSualizzazione per categorie.
Scegliere preStazioni e manutenzione ⇒ ripriStino
conFigurazione di SiStema (in alto a sinistra sulla finestra)
o anche Start ⇒ tutti i programmi ⇒ acceSSori ⇒ utilità
di SiStema ⇒ ripriStino conFigurazione di SiStema.
È consigliabile aggiungere l’icona del Ripristino configu-
razione di sistema al menu di aVVio o porla sul desktop.
Una volta avviata la procedura guidata è possibile ripri-
stinare uno stato precedente del computer o creare un
nuovo punto di ripristino.

figura 3.10

3.2.6 Scrittura di file su CD/DVD


Con Windows XP, se il computer è dotato di masterizzatore, è possibile scrivere diretta-
mente dei file su un CD o DVD, senza utilizzare programmi specifici.
Si deve seguire il seguente procedimento:
◗ Selezionare i file e le cartelle da copiare sul CD o DVD (anche un singolo file o cartel-
la). Il file e le cartelle selezionate non devono avere una grandezza superiore al conte-
nuto del CD/DVD. Si ricorda che per selezionare file non contigui da un elenco, si
deve tenere premuto il tasto CTRL mentre si fa la selezione.
◗ Fare clic con il tasto destro sul file o sul gruppo di file selezionati e dal menu che si
apre scegliere inVia a ⇒ unità dVd-ram (X:) (X rappresenta la lettera che contraddi-
stingue il masterizzatore nel sistema).
◗ Aprire la finestra relativa all’unità del masterizzatore. Se si è creata la barra riSorSe del
computer sullo schermo in alto, come in figura 3.3 , basta fare clic sull’unità del masteriz-
zatore. Viene visualizzata una finestra come in figura 3.11 . In essa sulla destra compare
l’elenco dei file e delle cartelle da copiare sul CD.
◗ Inserire un CD vuoto o anche parzialmente scritto ma in modalità Session AT Once
(Æ Unità 2, paragrafo 2.8) nel masterizzatore.
◗ Fare clic su ScriVi File Su cd in alto a sinistra sulla finestra di figura 3.11 . Viene avviata la
masterizzazione.
Note

◗ È possibile selezionare anche separatamente cartelle o file da


copiare sul CD. In questo caso si deve ogni volta inviare con
il tasto destro il componente selezionato alla cartella del CD.
◗ Per eliminare i file pronti per la masterizzazione (prima che si
avvii il processo di scrittura) si deve fare clic su elimina File
temporanei. Per eliminare un singolo file o cartella fare clic con
il tasto destro su di esso e poi elimina.

figura 3.11
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 137

3.2.7 Gli account utente


Con il pulsante account utente presente sul Pannello di controllo ( figura 3.6 ) è possibile
creare nuovi utenti, modificare quelli esistenti, assegnare le password e modificarle, stabi-
lire i criteri di accesso alle risorse del computer e cambiare in modo rapido l’utente che
sta utilizzando il PC.
L’account utente indica le attività che esso può
svolgere nella gestione del sistema. Ogni utente,
in base all’account a esso assegnato dall’ammini-
stratore del sistema, può quindi accedere o meno
a specifiche risorse del computer. Nella figura 3.12
è rappresentata la finestra che si apre con il pul-
sante account utente. In un computer autonomo,
o collegato in rete e appartenente a un gruppo di
lavoro (insieme di computer collegati in rete) o a
un dominio, si possono distinguere i seguenti tipi
figura 3.12 di account.

◗ Account Administrator. L’utente con questo account ha le più ampie prerogative di ge-
stione del sistema; esso può creare nuovi account, eliminare quelli esistenti, cambiare
tipo di account agli altri utenti, assegnare, eliminare o modificare le password.
L’Administrator è l’utente che può installare e disinstallare programmi e hardware, ac-
cedere a tutte le cartelle e file (tranne quelli privati), apportare modifiche al sistema. In
un computer possono esserci più utenti con l’account di amministratore. Durante l’in-
stallazione del sistema operativo, è creato un account Administrator.
◗ Account limitato. Gli utenti con account limitato possono solamente modificare o elimi-
nare la loro password. Possono utilizzare il software presente nel PC, ma non hanno
facoltà di installare altri programmi né altro hardware.
◗ Account Guest. Gli utenti a cui non è assegnato nessun account (e quindi non hanno
password) sono definiti utenti con Account Guest (ospite). Se l’Account Guest è abili-
tato, gli utenti con questo tipo di account, pur non potendo installare nuovi programmi
e nuovo hardware, possono accedere a molte delle risorse del computer. Nella finestra
di figura 3.12 è presente anche un nuovo account limitato, creato successivamente all’in-
stallazione del sistema operativo con il pulsante crea account utente.

La creazione degli account fatta per mezzo del menu del Pannello di controllo (con il
pulsante account utente) permette di scegliere la creazione di utenti Administrator o
Limitati. Se si sceglie di creare un utente Administrator, dopo il completamento della pro-
cedura, il nuovo utente viene inserito sia nel gruppo Administrators che in quello Users
(utenti limitati). La creazione di utenti limitati invece inserisce il nuovo utente nel gruppo
Users.
Una gestione più ampia degli account può essere fatta con Strumenti di amminiStrazione
⇒ geStione computer ⇒ utenti e gruppi locali del Pannello di controllo.

3.2.8 I MalWare
I virus e le altre forme a essi associate (definiti anche come MalWare, ovvero Malicious
softWare) sono costituiti da programmi, in genere di piccole dimensioni, che una volta
presenti in un computer, possono arrecare danni al software del sistema o, nei casi miglio-
ri, creare effetti di disturbo. Agli inizi degli anni ’80, si ebbe la diffusione dei primi virus
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
138 Modulo
2 Sistemi operativi

informatici, che entravano nei computer attraverso i programmi scambiati tra gli utenti, in
genere per mezzo dei floppy disk.
Attualmente, l’utilizzazione di Internet e della posta elettronica da parte di un numero sem-
pre maggiore di utenti, ha permesso la diffusione dei virus in modo sempre più massiccio.
I meccanismi di diffusione, e la natura stessa dei virus, hanno subito negli anni sostan-
ziali modifiche e per questo, sono stati creati nuovi nomi per distinguere i virus veri e
propri da altri tipi di software che apportano danno ai sistemi che li ospitano. In termi-
ni tecnici l’azione che i virus svolgono nel computer ospite, una volta attivati, si defini-
sce payload.
Il codice che costituisce un virus può essere inserito:

◗ in un qualsiasi programma eseguibile con estensione .EXE, .COM (e altri tipi di ese-
guibile);
◗ nelle macro contenute nei file prodotti dalle applicazioni di Microsoft Office come i
documenti con estensione .doc (Word), .xlm (file di Excel), .ppt (file di Power Point).
Le macro sono costituite da parti di codice, scritto in genere in Visual Basic, che per-
mette l’esecuzione ripetuta di una serie di comandi. Se per esempio in un documento
Word, evidenziando una parte di testo, si vuole operare su di esso una certa formatta-
zione più o meno complessa, si attiva una macro che esegue la formattazione premen-
do solo uno o due tasti. Tutte le volte che si vuole operare la stessa formattazione su
una parte di testo, si attiva quella macro.
◗ nel settore di avvio dei dischi.

Il virus introdotto nel sistema con uno dei metodi precedentemente elencati, tende a re-
plicarsi infettando altri file o inserendosi nel boot sector (Æ Unità 1, paragrafo 1.4.2) del
computer ospite. Inoltre, il codice aggiunto può produrre effetti diversi come il danneg-
giamento di dati, la visualizzazione di messaggi o altri effetti visivi (a volte non dannosi
per l’integrità di dati) o il danneggiamento del settore di avvio del disco o anche la sua
formattazione.

■ Worm
Sono file autonomi autoreplicanti che non hanno bisogno di essere inseriti in un esegui-
bile per funzionare. Alterano il sistema operativo divenendo a tutti gli effetti delle appli-
cazioni dello stesso. Entrano nei computer attraverso la posta elettronica o durante i
collegamenti a Internet sfruttando le falle del sistema operativo. In genere si replicano
creando copie di se stessi su altri computer collegati in rete.

■ Cavalli di Troia
Sono applicazioni installate nel computer inavvertitamente in quanto presentate sotto
una veste ingannevole che ne cela la vera identità. Spesso i trojan si presentano come
allegati delle e-mail con false estensioni del file. È importante disattivare la funzione
Nascondi le estensioni per i tipi di file conosciuti ( figura 3.8 ) in modo da poter vede-
re l’effettiva estensione del file allegato che non deve essere assolutamente un esegui-
bile. Per esempio, un allegato con nome figura.bmp potrebbe essere in realtà figura.
bmp.exe (la estensione .exe potrebbe essere non vista se è attivata la funzione prece-
dente). Altra possibilità di nascondere l’estensione reale dell’allegato è quella di sepa-
rarla con un numero molto elevato di spazi. Una volta installato un trojan nel computer
le attività che possono essere da esso svolte sono le più varie: installazione di un virus
vero e proprio, alterazione di dati e programmi, installazione di spyware o dialer o
anche installazioni di applicazioni che permettono il controllo remoto del computer
attraverso Internet.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 139
■ Spyware
Sono programmi che una volta attivati forniscono a sistemi remoti, attraverso Internet,
informazioni sull’utente, sul software da esso usato, sulle abitudini di navigazione e altro.
Sono inseriti nel computer in modo inconsapevole, per esempio per mezzo di trojan, o
in modo consapevole come parti integranti di programmi di tipo shareware o freeware.
In questo caso spesso l’utente, pur avendo caricato consapevolmente il software, non è
a conoscenza della possibilità che esso usi degli spyware in quanto non ha letto con
attenzione la licenza d’uso. A volte, anche i cookie possono essere utilizzati come spy-
ware.
Si possono elencare le seguenti categorie di spyware:

◗ Cookie: sono dei piccoli file di testo che i siti visitati installano sul computer, in
genere per tenere traccia delle preferenze dell’utente durante la navigazione nel sito
o della sua identità. La lettura dei cookie memorizzati è permessa solo ai siti che li
depongono, ma esiste la possibilità che anche altri siti, sfruttando falle del sistema,
accedano ai cookie deposti nel computer da altri. Spesso anche siti collegati con
quello visitato creano cookie sul computer (cookie di terze parti). A volte, i cookie,
possono essere utilizzati in modo improprio permettendo l’accesso da parte di terzi
a informazioni sull’utente per scopi commerciali o altro. Si veda nella guida in linea
di Windows un’ampia panoramica sui cookie (Start ⇒ guida in linea e Supporto
tecnico ⇒ cerca ⇒ cookie).
◗ Adware (ADvertisement softWARE): sono programmi gratuiti installati consapevolmente
dall’utente in cui, in cambio dell’uso gratuito, si accetta la visualizzazione di banner
(annunci) pubblicitari durante l’utilizzazione del programma. Si tenga presente che i
banner non sono direttamente inseriti nell’adware ma vengono di volta in volta attivati
durante il collegamento. Spesso gli adware non si limitano alla visualizzazione dei ban-
ner, ma raccolgono anche informazioni sull’utente.
◗ Key logger programmi che tengono traccia di tutte le attività svolte in un computer per
mezzo della tastiera e possono quindi catturare codici delle password, numeri delle
carte di credito, indirizzi di posta elettronica e quanto altro viene digitato.

■ Dialer
Sono programmi che, una volta entrati in esecuzione, disconnettono l’utente dal provider
ed effettuano un collegamento con un numero diverso da quello su cui si sta operando.
In genere il nuovo collegamento è a pagamento. I dialer possono essere installati sul com-
puter con dei semplici clic sui banner, accettando poi condizioni che non sempre sono
particolarmente evidenti. Il problema non si presenta con connessioni ADSL in condizioni
normali.

■ Spamming
Lo spamming (o spam) è effettuato inviando sull’indirizzo di posta elettronica dell’utente
un gran numero di e-mail contenenti pubblicità per lo più indesiderata. I provider, per
quanto possibile, cercano di eliminare lo spamming servendosi di una lista di indirizzi IP
di siti che effettuano gli invii.

■ Phishing
Attraverso e-mail, si invitano gli utenti ad attivare link che riproducono in modo molto
fedele il sito di istituti di credito, istituzioni, aziende e altro e a inserire password, numeri
di carte di credito o altri dati personali. Le informazioni quindi vengono inviate a siti di-
versi da quelli ingannevolmente rappresentati.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
140 Modulo
2 Sistemi operativi

Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 7. Con Windows XP non è possibile masterizzare
false. un CD o DVD senza utilizzare un software spe-
cifico.
MS-DOS ❑ vero
❑ falso
1. Il comando del DOS DIR (o dir) visualizza
l’elenco delle unità presenti nel sistema.
❑ vero
❑ falso ■ Rispondi alle seguenti domande.

MS-DOS
2. Il comando del DOS C:\> DEL *.* cancella tutti
i file presenti nella radice dell’unità C. 1. Quali funzioni svolge il file command.com nel
❑ vero DOS?
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
3. Il comando del DOS C:\> RD Disegni rimuove ...........................................................................
la directory Disegni solo se è vuota.
❑ vero 2. Con quale comando si cambia unità nel DOS?
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
Windows XP ...........................................................................

1. Per eliminare un’applicazione basta cancellare 3. Qual è la differenza tra i comandi interni e
il file eseguibile relativo a essa. quelli esterni?
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
2. I file eliminati non possono più essere recuperati.
❑ vero 4. In quale modo funziona il carattere jolly * (aste-
❑ falso risco)?
...........................................................................
3. Facendo clic con il tasto destro su una cartel- ...........................................................................
la si ottiene un menu che permette tra l’altro di ...........................................................................
cambiarle il nome.
❑ vero 5. In quale modo funziona il carattere jolly ?
❑ falso (punto interrogativo)?
...........................................................................
4. Facendo clic con il tasto destro sul nome di un ...........................................................................
file si ottiene un menu che permette tra l’altro ...........................................................................
di eliminare il file.
❑ vero 6. Qual è il comando che si deve impartire in
❑ falso ambiente DOS per copiare tutti i file presenti
nella directory C:\grafica in D:\disegni?
5. Con clic con il tasto destro su un punto libero del ...........................................................................
Desktop e scegliendo poi dal menu che si ottie- ...........................................................................
ne Nuovo è possibile creare una nuova cartella. ...........................................................................
❑ vero
❑ falso 7. Qual è il comando che si deve impartire in
ambiente DOS per eliminare tutti i file presenti
6. Con clic con il tasto destro sull’icona Risorse in C:\grafica che hanno il nome che inizia con
del computer e scegliendo poi dal menu che si la lettera A e hanno estensione .jpg?
ottiene Apri è possibile aprire un file. ...........................................................................
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 I sistemi operativi MS-DOS e XP 141

Test di verifica
Windows XP 8. Come si può cancellare un file?
...........................................................................
1. Come si accede al Pannello di controllo? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
........................................................................... 9. Come è possibile ricercare tutti i file presenti in
D:\ con nome qualsiasi ed estensione *.bmp?
2. Come si accede a Risorse del computer? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
10. Come è possibile ricercare tutti i file presenti in
3. Come si accede all’utilità di deframmentazio- D:\ col nome disegnoxx.jpg dove xx è un nume-
ne del disco? ro di due cifre?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
11. Come è possibile attivare o disattivare la
4. Come si crea una Nuova cartella sul desktop? visualizzazione delle estensioni dei file?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................

5. Come si cambia il nome a un file? 12. Come è possibile visualizzare o non visualiz-
........................................................................... zare file e cartelle nascosti?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
6. Come si può spostare un file da una cartella a
un’altra? 13. A cosa serve il Ripristino configurazione di
........................................................................... sistema?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
7. Come si può copiare un file da una cartella a
un’altra? 14. Come si possono creare nuovi account utente?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
142 Modulo
2 Sistemi operativi

laboratorio WInDOWS XP

1. Creare una barra degli strumenti con RisoRse del computeR sul desktop

La presenza di una barra con riSorSe del comPuter sulla parte alta del desktop o, volendo, anche late-
ralmente, rende molte delle operazioni che si è soliti compiere con le unità a dischi molto più semplici e
veloci.
Sulla barra saranno posizionate tutte le unità presenti nel sistema incluso il drive (o i drive) per CD/DVD.
Inoltre saranno presenti le cartelle Documenti e Documenti condivisi e il Pannello di controllo. Saranno poi
visualizzate sulla barra le eventuali unità USB, quando vengono collegate, e i dischi esterni (figura 3.13).
L’apertura delle unità e delle cartelle avviene con un semplice clic del mouse.
Posizionando il cursore del mouse su una delle unità è visualizzato lo spazio disponibile e le dimensioni totali.
◗ Porre sul desktop l’icona di riSorSe del comPuter:
aprire il menu Start ⇒ clic con il tasto destro su riSorSe del comPuter ⇒ clic su ViSualizza Sul deSktoP.
◗ Creare la barra con riSorSe del comPuter in alto sullo schermo: clic col tasto sinistro sull’icona riSorSe
del comPuter (posta sul desktop) e, tenendo il tasto premuto, trascinare verso l’alto l’icona fino a rag-
giungere il bordo superiore dello schermo. Rilasciare il tasto. Si apre la barra in alto (figura 3.13).

Clic con il tasto destro sul bordo sinistro della barra (o su un punto libero) e dal menu che si apre mettere
segno di spunta (se non già presente) su  moStra teSto e  moStra titolo (con un clic su di essi).
Se la barra non contiene tutte le unità allargarla agganciando (col tasto sinistro) il bordo inferiore trascinan-
dolo in basso.

figura 3.13

◗ Eliminare la barra Risorse del computer:


clic con il tasto destro sul bordo sinistro della barra (o su un punto libero) e dal menu che si apre fare
clic su chiudi barra degli Strumenti.
◗ Cambiare nome all’unità: clic con il taSto deStro Sull’unità ⇒ rinomina. è possibile modificare il nome
(per esempio NT02) che precede la lettera che indica l’unità ma non la lettera stessa dell’unità (per
esempio D:). Per modificare i nomi delle cartelle documenti e documenti condiViSi si devono ricercare le
due cartelle su C: e poi effettuare la modifica del nome come per le altre cartelle.

2. Analisi della configurazione delle unità a disco

Clic con il tasto destro su riSorSe del comPuter (icona posta sul desktop) ⇒ geStione.
Nella finestra geStione comPuter che si apre scegliere geStione diSco. è visualizzata la figura 3.14.
Sono mostrate in formato grafico e in formato descrittivo tutte le unità a disco presenti nel sistema, con le
partizioni presenti su di esse e i relativi file system. Sono fornite inoltre le grandezze delle singole partizioni
e la parte occupata.
Facendo clic con il tasto destro su una delle partizioni si apre un menu che permette di eseguire sulle
partizioni diverse attività:

clic Su una Partizione


aPri
eSPlora
contraSSegna Partizione come attiVa
cambia lettera e PercorSo di unità
Formatta
elimina Partizione
ProPrietà
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Laboratorio 143

Si faccia attenzione che alcune operazioni sono pericolose per il corretto funzionamento del sistema e per
l’integrità dei dati.
◗ contraSSegna Partizione come attiVa: su una unità a disco non possono esserci due partizioni attive
contemporaneamente.
◗ Formatta: vengono distrutti tutti i dati presenti sulla partizione.
◗ elimina Partizione: viene eliminata la partizione e tutto il suo contenuto è perso.

figura 3.14

◗ cambia lettera e PercorSo di unità: con questa opzione è possibile modificare il nome (d:, e:, F:, ecc.)
assegnato alla partizione. è anche possibile nascondere la partizione.

Con clic su uno spazio sul disco non utilizzato (se presente), è possibile creare una nuova partizione che
può essere Primaria o eSteSa. Nel caso che lo spazio libero si trovi all’interno di una partizione eSteSa, si
può creare una nuova partizione logica.
Si ricorda che su un disco non possono essere presenti più di quattro partizioni primarie e che una parti-
zione estesa può contenere più partizioni logiche.

3. Deframmentazione dei dischi


Se si scrive un file su disco, il sistema cerca di memorizzarlo in settori contigui. La scrittura di file e la succes-
siva modifica o cancellazione crea una frammentazione per cui i file non si trovano più memorizzati solo in
settori contigui del disco, ma anche in aree diverse. Con l’eccessiva frammentazione viene rallentato il sistema.
L’utilità di deframmentazione consente di riallocare i file in settori contigui.

clic taSto deStro Su unità da deFrammentare ⇒ ProPrietà ⇒ Strumenti ⇒ eSegui deFrag.


Se si è eseguita l’esercitazione precedente, la lettera dell’unità (C:, D:, ecc.) può essere anche quella posta
sulla barra contenente riSorSe del comPuter.
Nella finestra utilità di deFrammentazione diSchi premere il pulsante deFrammenta.
Si avvia la deframmentazione che, a seconda dei casi, può durare un tempo abbastanza lungo. Nel caso
l’operazione non dà risultati completamente soddisfacenti (che possono essere osservati anche grafica-
mente) è consigliabile ripetere la deframmentazione.
La cartella ProPrietà ⇒ Strumenti permette anche di eseguire la scansione del disco (eSegui ScandiSk) alla
ricerca di errori nel file system.
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unità 4 Il sistema operativo


Windows 7
L’installazione del sistema operativo è eseguita con la solita procedura partendo dal DVD
contenente la versione acquistata. Il tempo necessario per ultimare l’installazione è stret-
tamente legato all’hardware del sistema su cui si sta operando e, in ogni caso, è un po’
più breve di quella necessaria per l’installazione di Windows Vista.
Dopo l’installazione si deve attivare il sistema operativo usando la procedura automatica
di collegamento al sito della Microsoft, oppure quella per via telefonica.
Il processo di attivazione può essere ritardato (ed è consigliabile farlo per controllare la
corrispondenza dell’hardware) per un mese.
Subito dopo l’attivazione, prima dell’istallazione delle applicazioni, è consigliabile creare un’im-
magine della partizione su cui è installato il sistema operativo e un disco (CD) di ripristino.

Un’immagine permette di ripristinare il computer nelle identiche condizioni in cui si


trovava all’atto della creazione dell’immagine stessa. Il disco di ripristino è necessario
per avviare il computer e ripristinare il sistema operativo in caso di gravi danni subiti
dallo stesso. Il disco di ripristino è poi necessario per utilizzare l’immagine creata.

Windows 7 fornisce la procedura per eseguire le due operazioni. È anche possibile, dopo
aver installato delle applicazioni, creare nuove immagini del sistema contenenti anche le
applicazioni installate.

4.1 L’interfaccia grafica di Windows 7


■ Il desktop e la barra delle applicazioni
Il desktop di Windows 7 si presenta inizialmente, dopo l’installazione, come in figura 4.1.

figura 4.1
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 145
Come è possibile osservare sul desktop è posta, in alto a sinistra, la sola icona del cestino.
In basso è possibile osservare invece la Barra delle applicazioni (Taskbar), completa-
mente ridisegnata, rispetto alle precedenti versioni di Windows.
Sulla barra, dopo l’installazione, sono presenti alcune icone predefinite, disposte, alcune
sulla sinistra della barra e le altre sulla destra.
Nella figura 4.2 sono visualizzate, in modo più dettagliato, le icone poste sul lato sinistro
della barra delle applicazioni e, nella figura 4.4, quelle del lato destro.
Come è possibile osservare dalla figura 4.2 accanto al pulsante del menu Start non è più
presente la barra di avvio veloce presente nelle precedenti versioni di Windows.

figura 4.2

Sulla destra della barra sono posti:


◗ il pulsante che apre il menu Start;
◗ l’icona per aprire il browser Internet explorer;
◗ l’icona, completamente nuova, che apre la finestra del fIle manager;
◗ l’icona per l’avvio di WIndoWS medIa player.
Non è più presente l’icona di Windows Mail, in quanto non è più installato di default il
programma di gestione della posta elettronica. Volendo utilizzare l’applicazione offerta
gratuitamente dalla Microsoft, bisogna scaricare e installare il nuovo programma di posta
elettronica Windows Live Mail (appartenente alla suite Live Essentials).
È sempre possibile aggiungere sulla taskbar, altre icone per lanciare velocemente le ap-
plicazioni più utilizzate.
Sempre sulla Barra delle applicazioni verranno inserite automaticamente le icone delle
applicazioni aperte.
Passando il pulsante su di esse si apre una piccola finestra di anteprima ( figura 4.3 ). Se si

figura 4.3
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
146 Modulo
2 Sistemi operativi

sposta il cursore del mouse dall’icona, all’anteprima viene visualizzata la finestra dell’ap-
plicazione aperta che subito si richiude togliendo il cursore del mouse da sopra l’antepri-
ma. Se invece si fa clic sulla finestra dell’anteprima, l’applicazione rimane aperta.
Sul lato destro della barra delle applicazioni, c’è una zona riservata alle icone di alcune
applicazioni (in parte appartenenti al sistema operativo) che lavorano in background,
detta area di notifica (system tray o systray). In questa zona vengono poste, senza inter-
ferire con il desktop, notifiche e stato delle applicazioni in esecuzione. Come è possibile
vedere dalla figura 4.4 , in questa area sono posti:
◗ il pulsante moStra deSktop;
◗ l’orologio di sistema e la data (in Windows Vista era presente solo l’orario);
◗ l’icona del riproduttore audio;
◗ l’icona delle attività in rete;
◗ l’icona del centro operativo;
◗ pulsante ( ) per l’apertura del menu in cui son raggruppate tutte le icone di notifica
non visibili (non presente in Vista);
◗ barra della lingua.

figura 4.4

4.2 Il menu Start


Dopo l’installazione la finestra che si apre con il
pulsante Start è mostrata nella figura 4.5 (si tenga
presente che questo menu può essere modificato
dal produttore del computer).
È subito da notare, in basso a destra, il pulsante
arreSta Il SIStema (accessibile direttamente senza
espandere ulteriormente il menu come avveniva
con Vista).
Sulla sinistra della finestra è presente un elenco
con le icone di alcune applicazioni che permetto-
no il loro avvio immediato (con un solo clic su di
esse).
L’elenco di applicazioni avviabili, con il tempo cam-
bia in quanto il sistema operativo aggiunge a esso
le nuove applicazioni installate e quelle più utiliz-
zate. L’utente può comunque eliminarle dall’elenco
(CliC Con taSto deStro Sull’iCona ⇒ rimuovi da que-
figura 4.5 Sto elenCo) o aggiungere a esso nuove icone di
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 147
applicazioni (CliC Con taSto deStro Sull’iCona ⇒ aggiungi al menu Start). Per gestire il
modo con cui il sistema operativo inserisce le icone delle applicazioni sul menu Start può
essere usata la finestra che si apre con: CliC Con taSto deStro Su un punto libero della
barra delle appliCazioni ⇒ proprietà ⇒ menu Start (figura 4.6 ).
Con il pulsante tutti i programmi (presente nella figura 4.5 in basso a sinistra nel menu
Start aperto) viene mostrato l’elenco di tutte le applicazioni installate.

figura 4.6

La parte destra del menu Start contiene un elenco per mezzo del quale è possibile acce-
dere ad alcune risorse che svolgono un ruolo fondamentale nella gestione del sistema.
La prima voce in alto, apre la cartella personale dell’utente che ha effettuato l’accesso al
sistema, offrendo la possibilità di consultare tra l’altro la cartella Documenti, quella dei
Download, il Desktop e altro ( figura 4.7 ).

figura 4.7
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148 Modulo
2 Sistemi operativi

figura 4.8

La voce Computer è fondamentale per l’accesso alle risorse hardware del sistema. Nella
figura 4.8 sono presenti tre dischi rigidi, un masterizzatore per DVD (Unità DVD RW) e un
masterizzatore per dischi Blue Ray (Unità BD-RE). È poi presente un disco rimovibile
(chiavetta USB) da 8 GByte.
Al di sotto di ogni unità è indicata la capacità totale del disco e lo spazio occupato. Nella
finestra in basso sono visualizzati anche il nome del PC (MARIO-PC0), il gruppo di lavoro
(WORKGROUP), la memoria installata nel sistema (8 GByte) e il tipo di processore (AMD
Athlon II quad core).

Di notevole rilevanza è la cartella pannello dI Controllo, che contiene tutti i collegamen-


ti per l’amministrazione e il controllo del sistema: come per esempio la disinstallazione
dei programmi, la gestione del collegamento di rete, l’impostazione della sicurezza del
computer e altro.
Nella figura 4.9 , è mostrata una visualizzazione del pannello di Controllo per categorie. È
possibile tuttavia, con il pulsante in alto a destra (viSualizza per:), rendere visibile anche
l’elenco di tutte le singole categorie (Icone grandi o Icone piccole).

figura 4.9
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 149

4.3 Il file manager Esplora risorse


Facendo clic sull’icona eSplora riSorSe, posta sulla Barra delle applicazioni, è possibile
accedere in modo rapido alle varie risorse del computer.

figura 4.10

Nella figura 4.10 è mostrata la finestra di Esplora risorse in cui sono elencate le principali
categorie disponibili per le quali è possibile avviare una rapida esplorazione espandendo
i relativi menu con un semplice clic sul triangolino (). Nella finestra sono distinguibili le
seguenti parti:

❶ Barra degli indirizzi o di navigazione: in essa è visualizzato il nome della cartella sele-
zionata o il percorso per raggiungerla. Con la casella Cerca si eseguono le ricerche di
file e cartelle presenti nella cartella selezionata.

❷ Barra degli strumenti: contiene una serie di opzioni che in parte variano in base alla
cartella selezionata sul riquadro di spostamento (❸) e permettono di accedere a risorse
idonee alla cartella selezionata (o al file). Sulla destra della barra sono presenti dei pul-
santi che selezionano le varie modalità di visualizzazione di quanto presente nel pannel-
lo dei contenuti (❹).

❸ Riquadro di spostamento: in questo riquadro è visualizzata la struttura delle risorse di-


sponibili.

❹ Pannello dei contenuti: quando viene selezionata una risorsa nel pannello di navigazio-
ne, in questo riquadro ne viene mostrato il contenuto.

❺ Riquadro dei dettagli: vengono visualizzate informazioni relative all’oggetto selezionato,


posto sul pannello dei contenuti.
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150 Modulo
2 Sistemi operativi

Sulla parte alta della finestra di esplora risorse


(figura 4.10 e figura 4.11 ) sono sempre presenti:

◗ i pulsanti di navigazione: con i due pulsanti


Avanti-Indietro si possono richiamare le risorse
già utilizzate. Con il pulsante pagine recenti, si
apre l’elenco delle pagine già visualizzate.
◗ il pulsante modalità di visualizzazione: ogni
volta che viene premuto cambia ciclicamente il
modo in cui sono rappresentati i contenuti del
relativo pannello (❹).
◗ il pulsante di selezione modalità di visualizza-
zione: apre un menu che permette di scegliere
figura 4.11 il modo in cui vengono rappresentati i contenu-
ti del relativo pannello.
◗ il pulsante di attivazione anteprima: permette di aprire (o chiudere) un riquadro, sulla
destra del pannello dei contenuti, su cui vengono visualizzate le anteprime delle risorse
selezionate (immagini, file, ecc.).

Nella figura 4.12 è rappresentata la finestra di Esplora risorse in cui sono visualizzate tutte
le risorse disponibili espanse. Nel riquadro di spostamento (❸) è selezionata la risorsa
Computer e quindi nel pannello dei contenuti (❹) sono visualizzati i dispositivi di memo-
rizzazione presenti nel sistema: quattro Unità disco rigido, tre Dispositivi con archivi re-
movibili e una Cartella condivisa in Modalità Protetta creata da una suite di sicurezza.
Si tenga presente che le risorse mostrate, sono quelle che vengono visualizzate utilizzando
il pulsante Computer posto sul menu Start.

figura 4.12
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 151
Nella figura 4.13 è ancora rappresentata la finestra di Esplora risorse in cui sono visualizza-
te tutte le risorse di Preferiti e di Raccolte che sono state espanse. Nel riquadro di sposta-
mento (❸) è selezionata la risorsa Desktop e quindi nel pannello dei contenuti (❹) sono
visualizzati i contenuti presenti in esso.

figura 4.13

Come precedentemente affermato, il contenuto della Barra degli strumenti, come è possi-
bile osservare nella figura 4.14 , varia in base alla cartella selezionata sul riquadro di spo-
stamento (❸) rendendo disponibili, di volta in volta, attività che si adattano alla risorsa
selezionata.

figura 4.14

Notare come al Desktop sia associata, tra l’altro, la voce maSterizza, che permette di ma-
sterizzare direttamente su CD o DVD, il contenuto di cartelle o file presenti sul desktop,
e ancora, la possibilità di creare in modo rapido una nuova cartella.

■ Jump List
Le Jump List sono state introdotte con Windows 7. Sulla Barra delle applicazioni (TaskBar),
come visto, sono poste le icone di applicazioni che permettono di essere avviate rapida-
mente o quelle di programmi in esecuzione. Facendo clic con il tasto destro su una di
esse, si apre una lista che contiene i collegamenti con gli oggetti più utilizzati o usati di
recente dall’applicazione o dal programma. In questo modo è possibile accedere a quegli
elementi che sono più frequentemente utilizzati quando si usa una certa applicazione o
programma.
Perché si crei la lista di collegamenti è necessario che sulla finestra Proprietà della barra
delle applicazioni e del menu Start, nella scheda Menu Start (CliC taSto deStro Su barra
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
152 Modulo
2 Sistemi operativi

appliCazioni ⇒ proprietà ⇒ menu Start) sia posto il segno di spunta sulla casella arChivia
e viSualizza gli elementi aperti di reCente nel menu Start e nella barra delle appliCazioni
(figura 4.6 ).
Se un’applicazione si trova anche sul menu Start, la Jump List (se presente) è accessibile
anche dal menu Start per mezzo del triangolino () posto accanto al nome dell’applica-
zione.
I collegamenti alle applicazioni di uso più frequente (Recenti), presenti nelle Jump List,
possono essere bloCCati nella lista ponendo il cursore del mouse su di essi e facendo poi
clic sulla puntina ( ) posta accanto al collegamento ( figura 4.15 ). Per toglierli dall’elenco
Bloccati, e spostarli in quello reCenti, si procede in modo analogo.

figura 4.15

Per togliere un elemento da una Jump List: CliC Con taSto deStro Sull’elemento ⇒ rimuovi
da queSto elenCo.
Per cancellare le Jump List del menu Start e della Barra delle applicazioni, bisogna dese-
lezionare le caselle di figura 4.6 riportate in figura 4.16 .

figura 4.16

4.4 Operazioni sui file e sulle cartelle


Molte delle operazioni sui file e le cartelle sono legate al menu che si apre facendo clic
con il tasto destro del mouse su una cartella o su un file.
Si tenga presente che il menu, in parte,
assume un aspetto diverso in relazione
al tipo di file o al contenuto della cartel-
la e anche in base a particolari applica-
zioni installate nel computer come anti-
virus, programmi per la gestione dei
backup, ecc.
Nella figura 4.17 è visualizzato il menu
che si apre quando si fa clic (con il de-
stro) su una cartella contenente file di
tipo diverso. È mostrato aperto anche il
sottomenu invia a che permette, tra l’al-
figura 4.17 tro, di creare un collegamento alla car-
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 153
tella sul desktop, copiarla nella cartella Documenti, inviarla alle unità di masterizzazione
(DVD RW, BD-RE) o all’unità USB (STORE N GO).
Con Cartella CompreSSa, si crea una nuova cartella, nella stessa posizione dove si trova
l’originale, in formato compresso (*.zip).

Oltre al comando apri (specifico per l’apertura della cartella), sono poi da mettere in
evidenza i seguenti comandi:
◗ taglia per togliere la cartella dalla posizione in cui si trova e porla poi (con inColla)
in un’altra posizione;
◗ Copia per copiare la cartella e porla eventualmente in un’altra posizione, senza però
eliminarla dalla posizione in cui si trova;
◗ elimina per cancellare la cartella e il suo contenuto (viene posta nel cestino);
◗ rinomina per cambiare nome alla cartella.

Con proprietà si apre la finestra di figura 4.18 con 5 cartelle (il numero dipende dal tipo
di cartella di cui si stanno esaminando le proprietà). In generale si possono osservare
diverse caratteristiche della cartella: il percorso in cui si trova, le dimensioni, il contenu-
to di sottocartelle e file, la data di creazione e gli attributi.

figura 4.18

Con la scheda perSonalizza è possibile scegliere un file da visualizzare sulla sua icona
o cambiare l’icona che rappresenta la cartella scegliendo tra un vasto menu che viene
proposto.

La scheda CondiviSione viene utilizzata per attivare o meno la sua condivisione in rete
mentre la scheda SiCurezza imposta o cambia le autorizzazioni che hanno gli utenti e i
gruppi sulla cartella.
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154 Modulo
2 Sistemi operativi

Nella figura 4.19 è invece mostrato il menu che si apre se si fa clic con il tasto destro su
una cartella contenente immagini.

figura 4.19

Come è possibile osservare dalla figura il menu contiene una parte di voci uguali a quel-
lo precedente mentre altre sono diverse e specifiche per il tipo di file in essa contenuti
(Aggiungi a elenco Windows Media Player, Riproduci con Windows Media Player).

◗ Creare una nuova cartella


Per creare una nuova cartella sul Desktop o su una finestra, si fa clic con il pulsante destro su
un punto libero e quindi dal menu che si apre: nuovo ⇒ Cartella. La cartella creata ha il
nome Nuova cartella selezionato, quindi da tastiera è possibile scrivere un altro nome, sovrap-
ponendolo a quello presente che viene cancellato automaticamente (figura 4.20 ).
Per aprire la finestra relativa a una cartella si deve fare doppio clic su di essa (con il pul-
sante sinistro) oppure: CliC Su di eSSa Con il deStro ⇒ apri.

figura 4.20

◗ Cambiare il nome a una cartella


Fare clic con il pulsante destro sulla cartella. Dal menu a tendina scegliere rinomina.

◗ Copiare o spostare un file o una cartella


Molto spesso, il metodo più rapido per copiare o spostare un file in un’altra cartella o
unità, è quello del Copia o taglia e inColla. Una volta localizzato il file da copiare o spo-
stare, si fa clic con il tasto destro su di esso e dal menu a tendina che si apre si sceglie
Copia se si vuole copiare il file o taglia se lo si vuole spostare. Si apre poi la cartella,
dove esso deve essere copiato o spostato, e si fa clic ancora con il tasto destro su un
punto vuoto della cartella. Dal menu a tendina che si apre si sceglie inColla. Per copiare
o spostare un file nella radice di una delle unità (C:, D:, ecc.) basta aprire Computer e
trascinare (con il tasto destro) il file sull’icona dell’unità desiderata (C:, D:, ecc.). Al rilascio
del tasto del mouse viene chiesto se si desidera copiare o spostare il file.
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 155
Con gli stessi procedimenti un’intera cartella con tutto il suo contenuto può essere sposta-
ta o copiata all’interno di una unità o di un’altra cartella.
Attenzione a non spostare cartelle che contengono applicazioni eseguibili installate
sotto Windows.
◗ Cancellare un file o una cartella
Si trascina l’icona del file o della cartella nel cestino; in alternativa si fa clic con il tasto
destro sull’oggetto e dal menu a tendina si sceglie Elimina.
Attenzione, i file eseguibili delle applicazioni installate (e gli altri file a esse collegati)
non debbono essere eliminati. Le applicazioni vanno rimosse eseguendo l’apposita
procedura.
◗ Rimozione delle applicazioni
Aprire il pannello di Controllo dal menu Start. Attivando la visualizzazione per Categorie.
Nella categoria programmi fare clic su diSinStalla programma ( figura 4.9 ). Dall’elenco delle
applicazioni aperto, selezionare quella da rimuovere e premere il pulsante diSinStalla o
diSinStalla/Cambia.
◗ Recuperare un file o una cartella dal cestino
I file spostati nel cestino possono essere recuperati fin quando questo non viene svuotato.
Fare clic con il tasto destro sul cestino, dal menu scegliere apri. Poi fare clic con il tasto
destro sull’elemento da recuperare, dal menu scegliere ripriStina.

■ Opzioni sulle cartelle e i file


Sulla barra degli strumenti di una finestra aperta, con un clic su organizza si apre un me-
nu a tendina che permette di eseguire diverse operazioni sui file presenti nella finestra.
Nella figura 4.21 è stato aperto il menu relativo a layout. Con questo menu è possibile
visualizzare:
• la Barra dei menu (❻) al di sopra della Barra degli strumenti (❷);
• il Riquadro dettagli (❺);
• il Riquadro di spostamento (❸);
• il Riquadro di anteprima (la stessa funzione si ottiene con il pulsante posto sulla Barra
degli strumenti).

figura 4.21
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156 Modulo
2 Sistemi operativi

Sempre dal menu organizza è possibile selezio-


nare opzioni Cartella e riCerCa che apre la fine-
stra di figura 4.22 .

Nella finestra opzioni Cartella sono presenti tre


schede:
1. Generale: in questa scheda è possibile im-
postare, tra l’altro, l’apertura delle cartelle
usando un’unica finestra o più finestre distin-
te. E c’è anche la possibilità di aprire gli og-
getti (cartelle e file) con uno o due clic del
pulsante del mouse.
2. Visualizzazione: mostrata nella figura 4.23 .
In questa scheda è possibile effettuare im-
portanti scelte sulla visualizzazione dei file.
Innanzi tutto è bene togliere il segno di spun-
ta sul rigo naSCondi l’eStenSione per i tipi di
file ConoSCiuti, poiché, spesso, non è possi-
bile distinguere due file che hanno stesso
nome ma estensione diversa (per esempio:
figura 4.22 setup.exe e setup.ini). Se poi si vogliono vi-
sualizzare anche file e cartelle nascoste è
necessario selezionare l’opzione viSualizza
Cartelle, file e unità naSCoSti che è presente
all’inizio del menu di scelta. A volte può es-
sere necessario visualizzare i file protetti di
sistema e per questo deve essere tolto il segno
di spunta sulla casella naSCondi i file protet-
ti di SiStema (ConSigliato). Perché le scelte
fatte siano estese a tutte le cartelle è neces-
sario premere alla fine il pulsante appliCa
alle Cartelle.

3. Cerca: in questa scheda sono poste alcune


opzioni per gli obiettivi e le modalità di ri-
cerca.

In particolare è possibile:
◗ ricercare i file e i contenuti nei percorsi indi-
cizzati (ricerca più veloce);
◗ includere o meno nella ricerca le sottocartelle;
◗ ricercare anche file compressi e/o includere
le directory di sistema.

figura 4.23
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 157

4.5 Il desktop AErO


Il desktop AERO, già introdotto con Windows VISTA, caratterizzato, tra l’altro, dalla tra-
sparenza delle finestre e dalla loro animazione 3D, caratteristiche queste che permettono
una loro più facile gestione, con Windows 7 è stato arricchito di nuove funzionalità.
AERO non è presente nelle versioni di Windows 7 Home Basic e Starter.
Se il sistema è dotato delle risorse necessarie, processore con clock di almeno 1 GHZ (a
32 o 64 bit), almeno 1 GByte di memoria RAM, scheda grafica con un minimo di 128 MByte
con supporto alle DirectX 9 e al driver WDDM (Windows Display Driver Model), la moda-
lità AERO si attiva automaticamente.

Tra le novità introdotte con AERO in Windows 7 si elencano le seguenti:

◗ ponendo il cursore del mouse sul pulsante moStra deSktop (in basso a destra, figura 4.4 ),
tutte le finestre aperte sul desktop diventano trasparenti e vengono mostrate le icone
presenti su di esso. Quando il cursore non si trova più sul pulsante si ritorna alla visua-
lizzazione precedente. Se poi, si fa clic sul pulsante, la visione del desktop senza finestre
aperte diviene permanente. Per tornare nuovamente alla visualizzazione con le finestre
aperte bisogna di nuovo fare clic sul pulsante moStra deSktop (questa funzionalità è
detta Aero Peek).
◗ Sulla Barra delle applicazioni sono inserite le icone delle applicazioni aperte. Passando
il pulsante su di esse si apre una piccola finestra di anteprima. Se si sposta il cursore
del mouse dall’icona, all’anteprima viene visualizzata la finestra dell’applicazione aper-
ta che subito si richiude togliendo il cursore del mouse da sopra l’anteprima. Se inve-
ce, si fa clic sulla finestra dell’anteprima, l’applicazione rimane aperta. Questo è un
metodo che permette di esaminare in modo rapido le varie finestre aperte sul desktop
(Aero Peek).
◗ Per semplificare l’azione di spostamento o copiatura di oggetti
tra due finestre è fornita la funzione di Aero Snap. Si aggancia
la Barra del titolo ( figura 4.21 ) di una prima finestra (clic con il
tasto sinistro, mantenendo premuto il pulsante del mouse) e si
trascina la finestra verso uno dei due lati del desktop (destro o
sinistro). Quando il cursore del mouse raggiunge il bordo late-
rale, la finestra trascinata occupa metà dello schermo. Si aggan-
cia poi l’altra finestra e si trascina dal lato opposto. Anche in
questo caso quando il cursore del mouse raggiunge il bordo
laterale (opposto al precedente), la finestra va a occupare l’altra
metà dello schermo. Per rendere più veloce l’operazione è con-
veniente posizionare il cursore del mouse sulla Barra del titolo,
verso l’estremità della finestra dal lato in cui deve essere sposta-
ta. In questa maniera è facile copiare o spostare oggetti da una
finestra all’altra (con Copia o taglia e inColla o trascinandoli
direttamente da una finestra all’altra). Si ricorda che aggan-
ciando l’oggetto con il tasto destro è possibile, dopo lo spo-
stamento con trascinamento, quando si rilascia il pulsante,
decidere l’azione da compiere ( figura 4.24 ).
◗ Se si vuole ingrandire a tutto schermo una finestra aperta sul desktop,
si deve agganciare la Barra del titolo (clic con il tasto sinistro, man-
figura 4.24 tenendo premuto il pulsante del mouse) e trascinare la finestra
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158 Modulo
2 Sistemi operativi

verso il bordo superiore dello schermo. Quando si trascina la finestra verso il basso, distac-
candola dal bordo superiore del video, essa torna alle dimensioni precedenti (Aero Snap).
◗ Se sono aperte diverse finestre sul desktop e si vogliono ridurre a icona tutte tranne una
in particolare, si deve agganciare la Barra del titolo di quest’ultima finestra e, tenendola
agganciata, scuoterla orizzontalmente. Ripetendo l’operazione si torna alla situazione
precedente (Aero Shake).
◗ Uno scorrimento 3D delle finestre si ottiene tenendo premuto, sulla tastiera, il tasto logo
di Windows ( ) e contemporaneamente premendo e rilasciando tab. Ogni volta che si
preme nuovamente tab c’è una rotazione delle finestre. Se si rilascia il tasto logo di Win-
dows ( ), viene visualizzata la finestra alla sommità della pila. Con i tasti Ctrl e logo di
Windows ( ) più tab la pila di finestre 3D rimane sullo schermo anche dopo aver rila-
sciato i tasti. Con tab possono essere esplorate tutte le finestre ( figura 4.25 ).

figura 4.25

4.6 Windows Firewall


In un computer con Windows 7 lo scambio di informazioni può essere gestito dal firewall
di cui è dotato, con controllo sia in ingresso che in uscita. Si accede alla scheda di confi-
gurazione del firewall dal pannello di Controllo (visualizzazione per Categoria, figura 4.9 )
facendo clic su SiStema e SiCurezza ⇒ WindoWS fireWall.
Si apre la finestra di figura 4.26 in cui si vede che il firewall è attivato sia per le reti priva-
te che per quelle pubbliche.
Sul pannello di destra sono presenti le icone che permettono di attivare o disattivare la
protezione o anche modificare le impostazioni del firewall. È possibile anche ripristinare
le impostazioni predefinite.
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Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 159

figura 4.26

4.7 Masterizzazione
Windows 7 offre funzioni di masterizzazione che permettono di creare CD/DVD senza
utilizzare un software di terze parti.
La masterizzazione può essere eseguita direttamente con Esplora risorse, ma anche con
Windows Media Player (CD/DVD audio) o con Windows DVD Maker (per DVD video).

■ Masterizzazione con Esplora risorse


Quando si apre una cartella in Esplora risorse, se essa contiene elementi che possono
essere masterizzati (immagini, documenti, ecc.) sulla Barra degli strumenti è visibile il
pulsante maSterizza ( figura 4.14 ), che permette di eseguire la scrittura sui supporti ottici.
Le modalità di masterizzazione di un CD/DVD possono essere:

• Sessione unica: dopo la scrittura dei dati sul disco, esso viene finalizzato (chiuso) e non
è possibile aggiungere altri dati. Un disco finalizzato può essere letto anche in altri
computer.
• Multisessione: possono essere create sul disco più sessioni ognuna finalizzata nella qua-
le non possono essere aggiunti o eliminati dati. Possono essere aggiunti altri dati al
disco utilizzando altre sessioni. Nei CD-R/DVD±R possono essere create più sessioni. I
CD-RW o DVD±RW (Rewritable) possono essere masterizzati più volte dopo averli can-
cellati.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
160 Modulo
2 Sistemi operativi

In Windows 7 sono disponibili due formati diversi di formattazione dei supporti:


1. Live File System (UDF Universal Disk Format): permette di scrivere ed eliminare i file
dal CD/DVD come se fosse una unità flash USB. Con i CD-RW o DVD±RW quando si
cancellano i file è recuperato anche lo spazio da essi occupato (cosa non possibile con
i CD-R/DVD±R). Non c’è molta compatibilità tra i dischi creati con le diverse versioni di
Windows. Prima di utilizzare un disco su un altro computer potrebbe essere necessario
finalizzarlo (chiuderlo). Dopo la chiusura non è più possibile aggiungere altri dati al CD/
DVD a meno di creare una nuova sessione se c’è spazio sufficiente.
Con questo tipo di formattazione è possibile scegliere se finalizzare o non finalizzare il
disco ogni volta che esso viene espulso.
2. Mastered: c’è buona compatibilità con le diverse versioni del sistema operativo. Possono
essere creati dischi a sessione unica o multisessione. Ogni volta che il disco viene espul-
so dal masterizzatore, viene automaticamente finalizzato. Per aggiungere altri dati deve
essere aperta una nuova sessione (se c’è spazio sul disco).

Se il computer è dotato di masterizzatore di tipo Blu-Ray Disc, il sistema operativo per-


mette di masterizzare anche dischi del tipo BD-R e BD-RE (riscrivibili).

Per masterizzare quindi i file presenti su una cartella questa deve essere aperta e si deve fare
clic sul pulsante maSterizza. Viene visualizzata la finestra SCrittura Su diSCo di figura 4.27 , che
invita a inserire un disco nel masterizzatore e, nello stesso tempo, si apre lo sportello del ma-
sterizzatore.

figura 4.27

Inserito il CD/DVD e richiuso il cassetto del drive, dopo pochi istanti, viene visualizzata
la finestra MASTERIZZA DISCO di figura 4.28 .
È possibile quindi scegliere il file system per la masterizzazione C ome un’unità memoria
flaSh USB (Live File System) o Con un lettore CD/DVD (Mastered).

figura 4.28
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 161
È possibile poi impostare un titolo per il disco sostituendo quello mostrato per default.
Effettuata la scelta si preme il pulsante avanti.
Vicino ai pulsanti per la scelta del tipo di file system, è presente anche una breve spiega-
zione sull’utilizzazione del formato.

Viene ora visualizzata la finestra in cui sono presenti i file da masterizzare ( figura 4.29 ). Deve
quindi essere effettuata la selezione dei file che si desidera trasferire sul supporto ottico. Se
si deve scegliere più di un file si deve tenere premuto il tasto Ctrl durante la selezione.
Effettuata la scelta si preme il pulsante maSterizza.

figura 4.29

Si tenga presente che i dati scelti per la masterizzazione, vengono posti dal sistema ope-
rativo, prima di essere trasferiti sul CD/DVD, in una particolare area temporanea del disco
rigido e vengono mostrati prima di procedere alla masterizzazione su una cartella che
porta il nome dell’unità di masterizzazione (nella figura 4.30 Unità BD-RE).

figura 4.30

Questo permette eventualmente di aggiungere altri file (per esempio trascinandoli sulla
cartella aperta o eliminare alcuni di quelli presenti (o anche tutti).
Se non sono da apportare modifiche si procede alla scrittura dei file sul disco ottico usan-
do il pulsante SCrivi Su diSCo.

Nel caso che il CD/DVD contenga già dei file è visualizzata la finestra di figura 4.31 (vedi
pagina seguente).
È quindi possibile aggiungere i nuovi file da masterizzare selezionandoli tra quelli presen-
ti in: File pronti per la SCrittura Sul diSCo. Si tenga presente che se si usa la formattazione
Mastered gli eventuali file già presenti sul disco appartengono a una sessione già chiusa
(perché il disco è stato precedentemente espulso).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
162 Modulo
2 Sistemi operativi

figura 4.31

Il pulante Elimina file temporanei serve per cancellare i file presenti nella zona File pronti
per la SCrittura Sul diSCo.
Prima di avviare l’effettiva masterizzazione si apre la finestra di figura 4.32 che permette a
volte di scegliere la velocità di registrazione.

figura 4.32
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4 Il sistema operativo Windows 7 163

Test di verifica
■ Stabilisci se le seguenti affermazioni sono vere o 9. Nel cestino di Windows 7 vengono posti solo i
false. file con estensione .doc cancellati.
❑ vero
1. Un’immagine del sistema operativo Windows 7 ❑ falso
rappresenta il desktop.
❑ vero 10. In Windows 7 non è più presente Windows
❑ falso mail.
❑ vero
2. La Barra delle applicazioni di Windows 7 è ❑ falso
uguale a quella di XP.
❑ vero
❑ falso
■ Rispondi alle seguenti domande.
3. Nell’area di notifica di Windows 7 vengono
poste notifiche e stato delle applicazioni in
1. Come si esce da Windows 7?
esecuzione.
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
4. Dal Pannello di controllo si accede ai collega­
menti per l’amministrazione e controllo del 2. A quali risorse si accede con la voce Computer
sistema. presente sul menu Start?
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
...........................................................................
5. Le Jump list contengono una lista dei collega­
menti con gli oggetti più utilizzati da un’appli­
3. Quali sono le funzionalità di base del file
cazione.
manager Esplora Risorse?
❑ vero
...........................................................................
❑ falso
...........................................................................
6. In Windows 7 è possibile cancellare diretta­ ...........................................................................
mente le applicazioni installate senza proce­
dere alla loro disinstallazione. 4. Quali sono i principali collegamenti presenti
❑ vero sul Pannello di controllo nella visualizzazione
per categorie?
❑ falso
...........................................................................
7. Il pulsante Mostra desktop in Windows 7 si ...........................................................................
trova in basso a sinistra del video.
...........................................................................
❑ vero
❑ falso 5. Come si eliminano le applicazioni dall’elenco
del menu Start?
8. Con Windows 7 non è possibile masterizzare ...........................................................................
un CD o DVD senza utilizzare un software spe­
cifico. ...........................................................................
❑ vero ...........................................................................
❑ falso ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
164 Modulo
2 Sistemi operativi

6. Come si gestisce la modalità di inserimento 12. Come si visualizzano le estensioni per i tipi di
delle applicazioni sul menu Start? file conosciuti?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................

7. Che cosa sono e come vengono utilizzate le 13. Come si visualizzano i file, le cartelle e le unità
Jump list? nascosti?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................

14. Quali sono le varie funzionalità del desktop Aero?


8. Come si crea una Nuova cartella sul desktop?
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
...........................................................................
15. Come si accede al pannello di controllo delle
9. Come si può copiare un file da una cartella a funzionalità del Firewall?
un’altra? ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
...........................................................................
16. Quali sono i formati di formattazione per i CD/
10. Come si rimuove un’applicazione installata? DVD e quali funzioni essi svolgono?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................

11. Come si apre il menu Layout per una cartella e 17. Quali sono le modalità di masterizzazione di
cosa permette di eseguire? un CD/DVD eseguite con Esplora risorse?
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
........................................................................... ...........................................................................
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

Componenti, Modulo
sensori,
trasduttori
e attuatori 3
Unità 1 Componenti elementari elettrici
ed elettronici
Unità 2 Sensori e trasduttori

Unità 3 Trasduttori di posizione


a variazione di resistenza
Unità 4 Trasduttori di temperatura
a variazione di resistenza
Unità 5 Trasduttori di luminosità
a variazione di resistenza
Prerequisiti Unità 6 Attuatori ON/OFF
■ Conoscenza delle unità di misura
e delle grandezze fisiche.
■ Conoscenza delle leggi fondamentali
dell’elettrotecnica.
■ Conoscenza delle regole per soluzione Componenti, sensori,
di reti elettriche lineari. trasduttori e attuatori
■ Elettronici di base.

U.1 U.2 U.6


Obiettivi Componenti Sensori Attuatori
elementari elettrici e trasduttori ON/OFF
■ Conoscere le caratteristiche fondamentali ed elettronici
dei componenti elettrici
■ Saper interpretare e costruire grafici a due U.3
Trasduttori a variazione

dimensioni. Posizione
■ Conoscere le caratteristiche dei trasduttori.
di resistenza

■ Saper scegliere il trasduttore in relazione U.4


alle grandezze fisiche da rilevare. Temperatura
■ Saper progettare il circuito adatto per la conversione
di una grandezza fisica in una grandezza elettrica. U.5
■ Saper dimensionare i circuiti per la conversione Luminosità
resistenza/tensione.
■ Conoscere il principio di funzionamento
di un relè elettromeccanico.
■ Saper dimensionare un circuito per pilotare
un attuatore in modalità ON/OFF.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

unità 1 Componenti
elementari elettrici
ed elettronici
Un sistema complesso può essere scomposto, secondo la teoria classica, in parti elemen-
tari, chiamate componenti. Il resistore, il condensatore e l’induttore sono, per esempio, i
componenti elementari di sistemi elettrici semplici, mentre la massa di un corpo, la molla
e lo smorzatore costituiscono i componenti fondamentali di un sistema meccanico.
Per poter studiare un sistema complesso, dunque, è fondamentale conoscere i principi e
le leggi fisiche che regolano il comportamento dei componenti elementari, perché tali
conoscenze permettono poi di costruire il loro modello matematico e di comprendere
come essi interagiscono quando sono utilizzati per formare un sistema complesso. Per
definire il modello matematico di un componente elementare è necessario in primo luogo
individuare le grandezze fisiche utili per descrivere il comportamento di quel componen-
te e le relazioni matematiche che legano le grandezze: la temperatura, la pressione, la
tensione, l’intensità della corrente elettrica, la forza, ecc., possono essere variabili indi-
pendenti e/o variabili dipendenti. Le prime sono le sollecitazioni applicate al sistema
e le seconde le risposte. Le variabili dipendenti, studiate principalmente in funzione del
tempo considerato come variabile indipendente, possono essere classificate in trasversa-
li e passanti in relazione al modo con cui sono misurate ( figura 1.1 ).

Variabili passanti Variabili trasversali


Corrente i(t)
Portata Q(t)
Flusso termico φ(t)
v(t) Tensione
p(t) Pressione

figura 1.1 T(t) Temperatura

Una variabile passante rappresenta il flusso di una grandezza che attraversa la


sezione dell’elemento costituente il mezzo nel quale si propaga. Esempi di variabili
passanti sono l’intensità della corrente elettrica, la portata, il flusso termico, ecc.

Una variabile trasversale è la grandezza misurata ai due estremi di un elemento.


Esempi di variabili trasversali sono la differenza di potenziale, la differenza di
pressione, la differenza di temperatura, ecc.

Il modello matematico di un componente elementare è caratterizzato, oltre che dalle va-


riabili trasversali e passanti, anche dalle sue caratteristiche geometriche e dalle sue pro-
prietà fisiche e chimiche (figura 1.2). Ciò è evidente se si considera che la resistenza elet-
trica R di un conduttore massiccio e la capacità elettrica C di un condensatore piano sono
date dalle seguenti leggi:
l S
R =ρ⋅ C =ε⋅
S d
dove la resistività ρ del materiale e la permeabilità e del dielettrico variano al variare del-
le proprietà chimiche e fisiche del materiale.
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Unità
1Componenti elementari elettrici ed elettronici 167
Reoforo
Armatura
Dielettrico
(ε)
l
S Resistività ρ Armatura
Reoforo
figura 1.2 Conduttore massiccio Condensatore piano

La resistenza, la capacità, la massa, ecc. sono definiti parametri del componente, e


possono essere determinati misurando la sollecitazione (variabile d’ingresso) applicata
all’elemento oggetto di studio (resistore, condensatore, ecc.) e la risposta ottenuta (varia-
bile d’uscita). Il parametro di un componente è una grandezza che varia con le sue con-
dizioni fisiche (temperatura, pressione, illuminamento) e deve essere stabilito se può
considerarsi costante oppure variabile.

1.1 Componenti elettrici


I componenti elettrici fondamentali utilizzati come elementi primari passivi nei sistemi di
controllo e di misura sono il resistore, l’induttore e il condensatore (figura 1.3). In un sistema
elettrico la tensione è la variabile trasversale perché è misurata agli estremi di questi ele-
menti, e l’intensità della corrente è la variabile passante perché è misurata in un punto. I
parametri dei componenti elettrici sono la resistenza, la capacità e l’induttanza.

figura 1.3
Componenti elettrici

Resistore
Condensatore
Induttore

Variabile trasversale Variabile passante Parametri


Tensione [V] Intensità di corrente [A] Resistenza [W]
Capacità [F]
Induttanza [H]

1.1.1 Resistore elettrico


Un resistore, come è noto, è un elemento passivo che si oppone al passaggio di corrente
ed è caratterizzato dal valore della sua resistenza R ( figura 1.4 ).

Conduttore resistivo a filo I=1


Ampere

1V
R 1V R = 1Ω =
1A

figura 1.4 Resistore a filo Simbolo


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168 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Se tra gli estremi del resistore rappresentato in figura 1.5 si applica una tensione istantanea
vi(t) variabile nel tempo, il resistore è attraversato da una corrente istantanea di intensità
i(t) uguale a:

1
i (t ) = vi (t ) [1.1]
R

Osservando la [1.1] si rileva che l’intensità della corrente e la tensione sono entrambe fun-
1
zioni del tempo, mentre è, entro limiti prefissati, una costante.
R

1.1.2 Condensatore elettrico


È noto che il condensatore è un componente costituito da due armature conduttrici sepa-
rate da un materiale isolante chiamato dielettrico ( figura 1.5 ).

Reoforo Q=1
Armatura A Coulomb
Dielettrico 1Q
(ε) C 1V C=1F=
1V

Armatura B
Reoforo Simbolo
figura 1.5

Sperimentalmente si trova che il rapporto tra il valore assoluto della carica in eccesso ac-
cumulata sull’armatura A o B e la d.d.p. misurata tra le stesse armature è una costante,
detta capacità del condensatore, grandezza che rappresenta la proprietà del componente
di accumulare cariche elettriche ed energia elettrostatica. Nel Sistema Internazionale (SI)
l’unità di misura della capacità è il farad (F).

La capacità elettrica esprime la quantità di carica richiesta per produrre una variazione
unitaria della differenza di potenziale tra le due armature di un condensatore.

Un condensatore ha la capacità di 1 farad se accumula la carica di 1 coulomb quando ai


suoi estremi è applicata la differenza di potenziale di 1 volt:

1 coulomb
1 farad =
1 volt

Nella pratica si usano anche i sottomultipli del farad, microfarad (1 µF = 10–6 farad), na-
nofarad (1 µF = 10–9 farad) e picofarad (1 ρF = 10–12 farad).

L’energia elettrostatica accumulata nel campo elettrico che si genera tra le armature del
condensatore durante la carica è direttamente proporzionale, a parità di differenza di po-
tenziale tra le armature, alla capacità C e viene restituita, come si vedrà in seguito, quando
il condensatore si scarica.
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Unità
1Componenti elementari elettrici ed elettronici 169
Si consideri il circuito di figura 1.6 e all’istante t = 0 il
i(t) condensatore sia scarico V c(0) = 0 (condizioni iniziali
nulle). Se nell’intervallo di tempo ∆t la tensione misu-
i(t) vc(t) rata agli estremi del condensatore subisce una variazio-
C
ne ∆v c(t), allora la variazione ∆Q(t) della quantità di
carica è:

figura 1.6 ∆Q(t) = C · ∆vc(t) [1.2]

Dividendo ambo i membri della [1.2] per l’intervallo ∆t durante il quale si verifica la varia-
zione delle grandezze e facendo tendere a zero detto intervallo (∆t → 0), si hanno il valor
medio IM della corrente e quello istantaneo i(t):

∆Q (t ) ∆v (t )
IM = =C⋅ c [1.3]
∆t ∆t

dv c (t )  1 t 
i (t ) = C ⋅
dt
v c (t ) = ⋅
 C
∫ i (t ) dt  [1.3]
0

In un condensatore l’intensità istantanea i(t) della corrente è uguale al prodotto che si


ottiene moltiplicando la capacità C e la derivata rispetto al tempo della tensione pre-
sente ai suoi estremi. L’intensità istantanea i(t) della corrente dipende, dunque, dalla
rapidità di variazione della tensione agli estremi del condensatore nell’intervallo di
tempo considerato.

esempio 1.1

Si calcoli e si rappresenti il valore medio dell’intensità di corrente quando la tensione ai capi di un


condensatore di capacità C = 2 µF varia secondo l’andamento di figura 1.7 .

I [mA]
5

VC [V] 4

5
3

4
2

3
1

2
0
1 2 3 4 5 7 8 9 10 t [ms]
1
1

0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 t [ms] 2

figura 1.7 figura 1.8


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170 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Nella tabella 1.1 sono riportati i valori dell’intensità di corrente calcolati in corrispondenza degli inter-
valli di tempo considerati.

tabella 1.1

Variazione ∆VC
Intervallo di tempo Valore medio della corrente I M = C ⋅
della tensione ∆t
∆VC 5
0 ms÷2 ms ∆Vc = 5 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ = 5 mA
∆t 2 ⋅ 10− 3
∆VC 0
2 ms÷6 ms ∆Vc = 0 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ =0 A
∆t 4 ⋅ 10− 3
∆VC −5
6 ms÷11 ms ∆Vc = –5 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ = − 2 mA
∆t 5 ⋅ 10− 3
∆VC 0
t > 11 ms ∆Vc = 0 V IM = C ⋅ = 2 ⋅ 10− 6 ⋅ =0 A
∆t 4 ⋅ 10− 3

Dalla rappresentazione di figura 1.8 si rileva come il valore della corrente non dipenda solo dalla va-
riazione dell’intensità della tensione ma anche dalla sua rapidità di variazione ∆Vc/∆t.

Quando la tensione applicata ai capi di un condensatore è costante, l’intensità della corrente che lo
attraversa è nulla e, pertanto, può essere rappresentato come un elemento avente “resistenza” infini-
ta (circuito aperto). L’intensità di corrente è, invece, molto elevata quando la variazione di tensione,
anche di debole intensità, avviene in un intervallo di tempo molto piccolo.

1.1.3 Induttore

Un induttore è un elemento costituito da filo conduttore, generalmente smaltato, avvolto


in aria o attorno a nuclei di materiale magnetico.
Quando un induttore è percorso da una corrente elettrica avente intensità costante I si
genera un campo magnetico che, internamente al solenoide e “lontano” dai suoi estremi,
si può ritenere uniforme e tale che le sue linee di forza possono essere rappresentate
parallele all’asse del solenoide, equidistanti ed equiverse. Agli estremi del solenoide, inve-
ce, le linee del campo assumono un andamento uguale a quello di un magnete perma-
nente rettilineo ( figura 1.9 ).

I=1A
I
1V s
L 1V L=1H= Ω⋅s
1A

figura 1.9 Induttore in aria Simbolo


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Unità
1Componenti elementari elettrici ed elettronici 171

L’induttanza esprime l’incremento di tensione che deve essere applicato ai capi di


un induttore per produrre un incremento unitario dell’intensità di corrente in un
secondo.

Un induttore ha l’induttanza di 1 Henry quando è percorso da una corrente avente l’inten-


sità di 1 ampere e ai suoi estremi si ha la differenza di potenziale di 1 volt.

 1 volt ⋅ secondo 
L = = [1 ohm ⋅ secondo ] = [1 Henry ]
 1 ampere 

Con riferimento al circuito di figura 1.10, si consideri un induttore percorso da una corren-
te avente intensità i(t) variabile nel tempo. Si supponga che all’istante t = 0 l’intensità
della corrente sia I(0) = 0 A (condizioni iniziali nulle).

i(t)

i(t) L vL (t)

figura 1.10

Se nell’intervallo di tempo ∆t si ha una variazione ∆I dell’intensità della corrente, il valor


medio VIM della tensione agli estremi dell’induttore è proporzionale alla velocità di varia-
zione della corrente:

∆I
VL M = − L ⋅ [1.5]
∆t

∆I
Se l’intervallo di tempo ∆t → 0, il rapporto tende alla derivata della
∆t
i(t) rispetto al tempo e il valor medio VIM della tensione tende al suo valore istantaneo:

di (t )
v L (t ) = − L ⋅ [1.6]
dt

La differenza di potenziale VL(t) agli estremi di un induttore dipende, dunque, dalla ra-
pidità di variazione della corrente nell’intervallo di tempo considerato ma non dal suo
valore.
Il segno meno delle f.e.m. di autoinduzione è dato dalla legge di Lenz. È un effetto d’iner-
zia dovuto al moto degli elettroni: la reazione d’inerzia tende a rallentare un aumento di
corrente mentre tende a conservarla quando diminuisce, come la reazione d’inerzia nei
confronti della velocità di un corpo in movimento. Per meglio dire la f.e.m.i. tende a op-
porsi all’azione che la genera.
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3
172 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

esempio 1.2
Si calcoli e si rappresenti il valor medio della tensione VL agli estremi di un induttore avente induttanza
L = 4 mH quando è attraversato da una corrente avente l’andamento rappresentato in figura 1.11.

I [mA]
VL [mV]
10
40
9
35
8
30
7
25
6
20
5
15
4
10
3
5
2
0
1 1 2 3 5 6 7 8 10 t [ms]
5
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 t [ms] 10

figura 1.11 figura 1.12

Dalla rappresentazione di figura 1.12 si rileva come il valore della tensione non dipenda solo dalla va-
riazione dell’intensità della corrente ∆I ma anche dalla sua rapidità di variazione ∆I/∆t.

Una corrente di intensità costante non genera una tensione agli estremi dell’induttore che, pertanto,
può essere rappresentato come un elemento avente “resistenza” nulla (corto circuito). La differenza di
potenziale ai capi dell’induttore è, invece, molto elevata quando la variazione di corrente, anche di
debole intensità, avviene in un intervallo di tempo molto piccolo.

Nella tabella 1.2 sono riportati i valori della tensione calcolati in corrispondenza degli intervalli di tempo
considerati.

tabella 1.2

Variazione dell’intensità ∆I
Intervallo di tempo Valore medio della tensione VLM = L ⋅
di corrente ∆t

∆I 10 ⋅ 10− 3
0 ms÷2 ms ∆I = 10 mA VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ = 40 mV
∆t 1 ⋅ 10− 3
∆I 0
2 ms÷4 ms ∆I = 0 A VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ =0 V
∆t 2 ⋅ 10− 3
∆I −10 ⋅ 10− 3
4 ms÷9 ms ∆I = –10 mA VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ = − 8 mV
∆t 5 ⋅ 10− 3
∆I 0
t > 9 ms ∆I = 0 VLM = L ⋅ = 4 ⋅ 10− 3 ⋅ =0 V
∆t 2 ⋅ 10− 3
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unità 2 Sensori e trasduttori

Il controllo di un processo industriale utilizza tecnologie sempre più sofisticate al fine di


minimizzare i costi e contenere le dimensioni dei dispositivi adoperati.
In un sistema di riscaldamento di un’abitazione è necessario impiegare alcuni componenti per
rilevare la pressione dell’impianto e le temperature (caldaia, locali riscaldati ed esterna).
Qualsiasi controllo di processo deve affidare il suo funzionamento a dei dispositivi, detti
sensori o trasduttori ( figura 2.1 ), in grado di rilevare le grandezze fisiche da controllare.

figura 2.1

2.1 Sensore e trasduttore

Un sensore è un dispositivo sensibile in grado di rilevare le variazioni di una


grandezza fisica (temperatura, umidità, pressione, luminosità, ecc.) e di fornire in
uscita le variazioni di una grandezza elettrica (resistenza, capacità, ecc.) senza
utilizzo di fonti di energia.

Ad esempio un termistore di tipo NTC (Negative Temperature Coefficient) è un sensore


di temperatura poiché a un aumento della temperatura T corrisponde una diminuzione
del valore della resistenza R ( figura 2.2 ).

T Grandezza fisica Grandezza elettrica R


rilevata SENSORE d´uscita
(Temperatura) (NTC) (Resistenza)
figura 2.2 t T

Considerato che in un controllo di processo sono presenti circuiti elettrici che non posso-
no utilizzare direttamente la grandezza elettrica (resistenza, capacità, ecc.) generata dal
sensore, è necessario trasformare tale grandezza elettrica in un’altra, generalmente una
tensione, direttamente manipolabile dal sistema di controllo.
In figura 2.3 è riportato un esempio di schema a blocchi per la conversione temperatura/
resistenza/tensione, con l’uso di energia esterna.

Energia termica Energia elettrica


TRASDUTTORE
I
T R V
+ V (T) –
t SENSORE T CONVERTITORE T

R NTC (T ) R NTC (T)


Temperatura NTC R NTC (T ) V Tensione
(Grandezza fisica) Grandezza elettrica (Grandezza elettrica)

I T
Intensità corrente costante (DC)
figura 2.3 Energia elettrica esterna
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174 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Il sensore rileva la temperatura T e la trasforma in un valore di resistenza RNTC(T) che,


percorsa dall’intensità di corrente costante I, è convertita in tensione V(T) = RNTC(T) · I.
Il sensore e il convertitore RNTC(T)/V(T) formano, nel loro insieme, un trasduttore che
trasforma l’energia termica d’ingresso in energia elettrica d’uscita.

Si definisce trasduttore un dispositivo sensibile che trasforma una grandezza fisica


in una grandezza elettrica o, per meglio dire, trasforma energia termica (o di altro
tipo) in energia elettrica.

In verità la termocoppia è un trasduttore di temperatura (sensore di temperatura autoge-


nerante) che, pur non facendo uso di energia esterna, trasforma l’energia termica d’ingres-
so (temperatura) in energia elettrica (corrente o tensione).

Nelle pagine che seguono verrà utilizzato il solo termine trasduttore, perché, in realtà, anche
i sensori, molto spesso (in modo improprio), sono definiti trasduttori.

2.2 Parametri caratteristici del trasduttore


Un trasduttore di buona qualità deve possedere molteplici requisiti, anche in relazione al
costo. Le principali caratteristiche di un trasduttore sono definite ed elencate nella tabella 2.1 .

tabella 2.1
Parametri caratteristici principali del trasduttore

Caratteristica ingresso/uscita Lineare con offset


U
È la relazione matematica esistente tra la grandezza d’uscita, indicata con U
(variabile dipendente), e quella d’ingresso, indicata con I (variabile indipenden- Non lineare con offset
Grandezza d'uscita

te). È una funzione continua perché assume infiniti valori in un intervallo finito, Lineare
può essere lineare e non, passare e non passare per l’origine. Se la caratteri-
Non lineare
stica del trasduttore è lineare crescente (trasduttore di precisione), allora la
variazione della grandezza d’uscita è direttamente proporzionale a quella d’in-
gresso. L’offset è il valore dell’uscita U diverso da zero per l’ingresso I = 0.
Grandezza d'ingresso I

Linearità
È il parametro del trasduttore che evidenzia la deviazione (errore) tra la ca- U
Caratteristica ideale
ratteristica ingresso/uscita ideale (teorica) e quella reale. La deviazione è cal-
colata rispetto alla retta d’equazione che meglio approssima la caratteristica
reale del trasduttore. In realtà non esiste uno standard definito di tale para-
metro. L’errore di linearità è: Errore o max
scostamento
εL% = (∆Umax/UFS) ⋅ 100 [2.1]
Caratteristica reale

dove ∆Umax è lo scostamento max e UFS è il valore di fondo scala. I

Sensibilità
È il rapporto tra la variazione della grandezza d’uscita ∆U (presumibilmente U
Caratteristica
più sensibile
grande) e la variazione di quella d’ingresso ∆I che la provoca (possibilmente
piccola). Per un trasduttore con caratteristica ingresso/uscita lineare la sen-
sibilità è: U2
S = ∆U/∆I [2.2]
U1
Un buon trasduttore deve avere una grande sensibilità, ossia a una piccola
I
variazione della grandezza d’ingresso ∆I deve corrispondere una grande va-
riazione di quella d’uscita ∆U. I

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Unità
2 Sensori e trasduttori 175

Parametri caratteristici principali del trasduttore

Range di funzionamento o campo di lavoro


U
È la differenza tra il valore massimo e quello minimo che può assumere la
grandezza d’ingresso I. La caratteristica è fornita generalmente dal costrut-
tore e rappresenta il campo (range) di funzionamento ottimale entro il quale U
Campo
d´uscita
sono garantite le prestazioni del trasduttore, comprese la linearità e la inte-
grità.
I
Campo funzionamento

Isteresi
U
Molti trasduttori hanno una caratteristica non univoca, nel senso che essa è
diversa a seconda che la grandezza d’ingresso vari da un valore minimo a
uno massimo o viceversa. Un trasduttore ideale non presenta isteresi e la sua
caratteristica ingresso/uscita è unica.

Campo di funzionamento I

Tempo di risposta. Tempo di salita


% Transitorio
Il tempo di risposta è l’intervallo di tempo impiegato dal trasduttore a rag- 100
Regime
95
giungere un valore di regime conforme a quello della grandezza d’ingresso, 90
quando quest’ultima subisce una variazione improvvisa. In pratica il tempo
T. risposta
di risposta è il tempo necessario perché l’uscita raggiunga il 95% del valore Sollecitazione
finale.
Il tempo di salita è l’intervallo di tempo impiegato dal trasduttore per passa-
10
re dal 10 % al 90 % del valore finale.
T. salita t

Risoluzione
È la più piccola variazione della grandezza d’uscita U che può essere rilevata. Se la risoluzione è riferita alla sola gran-
dezza d’uscita U, esprime il rapporto formulato in percentuale tra la minima variazione della grandezza d’uscita e il va-
lore di fondo scala. Un buon trasduttore deve avere una risoluzione molto bassa e una sensibilità elevata.

 GRANDEZZA d ’uscita (min )  ∆Umin


Risoluzione % =   ⋅ 100 = ⋅ 100 [2.3]
 G. d ’ uscita (fondo scala )  UFS

Accuratezza
È il rapporto tra l’errore massimo e il valore di fondo scala.

Affidabilità
È la capacità di mantenere nel tempo le stesse caratteristiche.

Ripetibilità
Fornisce gli stessi risultati in eguali condizioni di funzionamento.

Resistenza d’uscita
È la resistenza misurata sui morsetti d’uscita.

Stabilità termica
È la risposta alla variazione unitaria della grandezza d’ingresso.

Risposta in frequenza
È la gamma di frequenza per le quali non esiste distorsione.

Rumore
È il segnale in uscita con ingresso in cortocircuito.
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3
176 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

2.3 Criteri pratici di scelta dei trasduttori


Dalle definizioni elencate nel paragrafo 2.2 si deduce che un trasduttore ideale dovrebbe
avere le seguenti specifiche:
◗ caratteristica ingresso/uscita lineare;
◗ range di funzionamento ampio;
◗ alta sensibilità;
◗ bassa risoluzione;
◗ tempo di risposta nullo;
◗ assenza d’isteresi.

Poiché un generico trasduttore commerciale presenta solo alcune di queste specifiche, è


compito del progettista scegliere il dispositivo che meglio si adatta all’apparato da realiz-
zare. In ogni caso la scelta del trasduttore non può prescindere dal costo e dalla riperibi-
lità del componente per eventuali, e a volte inevitabili, interventi di riparazione. Spesso la
scelta di un trasduttore risulta condizionata da un compromesso tra le varie specifiche. In
generale un buon trasduttore deve avere:
◗ elevato range della grandezza da controllare;
◗ perfetta linearità per ottenere la massima precisione;
◗ piccolo tempo di risposta;
◗ bassa resistenza di uscita.

Le altre specifiche possono essere valutate al fine di ottimizzare il rapporto costo/presta-


zioni.

2.4 Classificazione dei trasduttori


Esistono diverse classificazioni dei trasduttori, ognuna delle quali è riferita a particolari
elementi presi in considerazione, quali il tipo del segnale d’uscita, il principio fisico di
funzionamento, la natura della grandezza d’ingresso, ecc.

Una prima classificazione dei trasduttori è basata sulla presenza o meno di una fonte di
energia esterna necessaria per il loro funzionamento ( figura 2.4 ).

Classificazione di sensori e trasduttori

Senza energia Con energia


esterna esterna

Passivi Attivi Integrati


T R T V T V
(PT100) (Termocoppia) (TMP01)
figura 2.4

Nella tabella 2.2 di pagina seguente sono riportati i trasduttori senza utilizzo di energia
esterna.
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Unità
2 Sensori e trasduttori 177
tabella 2.2
Classificazione dei trasduttori

Trasduttori passivi (sensori)


I sensori sono dispositivi che trasformano una generica grandezza fisica d’in-
gresso in una grandezza elettrica (resistenza, capacità, ecc.) non utilizzabile
dai circuiti elettrici di elaborazione. Esempi di sensori sono il potenziometro,
la termoresistenza, il termistore NTC e PTC, la fotoresistenza, ecc.

Trasduttori attivi (trasduttori autogeneranti)


Forniscono in uscita una grandezza elettrica direttamente utilizzabile senza
consumo di energia esterna. In taluni casi il trasduttore fornisce in uscita una
grandezza elettrica che può essere manipolata dai circuiti elettronici di elabo-
razione. È il caso delle celle fotovoltaiche e delle termocoppie che generano
una tensione d’uscita in funzione rispettivamente della luminosità e della tem-
peratura.

Trasduttori integrati
Forniscono in uscita una grandezza elettrica (tensione o corrente). Questi
trasduttori, complessi e costosi, integrano nel chip il circuito di condiziona-
mento, ossia alcuni componenti elettronici che rendono la grandezza elettrica
d’uscita amplificata, filtrata e lineare crescente rispetto a quella fisica rilevata.

Una seconda classificazione è basata sul tipo di segnale d’uscita riportati nella tabella 2.3
( figura 2.5 ).

Classificazione dei trasduttori con segnale d’uscita

Analogici Digitali

Posizione V (LVDT) T f
Segnale d’uscita in alternata
(STM160-30)
ω (Velocità .ang.) V (D.T.)
Segnale d'uscita in continua Segnale tipico TTL
figura 2.5

tabella 2.3
Classificazione dei trasduttori

Trasduttori analogici
Presentano una caratteristica ingresso/uscita costituita da una funzione con-
tinua. La grandezza d’uscita e quella d’ingresso variano con continuità assu-
mendo tutti i valori appartenenti a un sottoinsieme dei numeri reali. È il caso
di alcuni trasduttori passivi (termistore, fotoresistenza, ecc.) che forniscono in
uscita una grandezza elettrica (Resistenza, Capacità, ecc.) e di molti trasdut-
tori che forniscono in uscita una tensione o una intensità di corrente.

Trasduttori digitali
Presentano una caratteristica ingresso/uscita che può assumere solo due
distinti valori: alto o basso. Al valore alto si associa il livello logico “1”, mentre
a quello basso si associa il livello logico “0”. Esempio di trasduttore digitale
sono la lamina bimetallica, vista come un relè termico, o l’encoder incremen-
tale che genera un treno d’impulsi TTL compatibili.
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178 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

La classificazione più comune e forse più significativa dei trasduttori è fatta in base alla
grandezza fisica che essi devono rilevare. Secondo tale classificazione si hanno:
◗ trasduttori di temperatura;
◗ trasduttori di umidità;
◗ trasduttori di pressione;
◗ trasduttori di luminosità;
◗ trasduttori di posizione;
◗ trasduttori di forza (celle di carico);
◗ trasduttori di gas;
◗ trasduttori di velocità;
◗ trasduttori piezoelettrici;
◗ trasduttori magnetici;
◗ trasduttori fotoelettrici;
◗ trasduttori di prossimità e di contatto;
◗ trasduttori per l’industria automobilistica;
◗ ecc.

esercizi
svolti

1 Sapendo che lo scostamento massimo ∆Vmax = 0,015 V e il valore di fondo scala VFS = 5 V, calcolare
l’errore di linearità εL%.

Utilizzando la [2.1], si ha:


∆Vmax 0, 015
εL% = ⋅ 100 = ⋅ 100 = 0, 3%
VFS 5

2 Siano U1 = 2 ⋅ I e U2 = 6 ⋅ I due caratteristiche ingresso/uscita per due generici trasduttori. Calcolare le


sensibilità sapendo che la variazione d’ingresso per entrambi è ∆I = 0,05.

Dalla [2.2] si ha:


∆U1 = 2 ⋅ ∆I = 2 ⋅ 0,05 = 0,1
∆U1 0,1
S1 = = =2
∆I 0, 05

∆U2 = 6 ⋅ ∆I = 6 ⋅ 0,05 = 0,3


∆U2 0, 3
S2 = = =6
∆I 0, 05

3 Sapendo che la risoluzione R % = 0,5% e il valore di tensione di fondo scala VFS = 5 V, calcolare la
variazione minima ∆Vmin.

La risoluzione, per un generico trasduttore, è espressa dalla relazione [2.3]. Riferendosi alle variazioni di
tensione, dalla [2.3] si ha:

R % ⋅ VFS 5 ⋅ 0, 5
∆Vmin = = = 0, 025 V
100 100
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Unità
2 Sensori e trasduttori 179
esercizi proposti
■ Rispondi alle seguenti domande.

1. Un generico sensore è: 9. Sapendo che la ∆Vmax = 0,05 e il valore di tensione


............................................................................... di fondo scala VFS = 10 V, calcolare la risoluzione
percentuale.
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
2. Un generico trasduttore è: ...............................................................................
............................................................................... ...............................................................................
...............................................................................
10. Sapendo che l’errore di linearità εL% = 0,2 e il valo-
............................................................................... re di fondo scala VFS = 8 V, calcolare lo scosta-
mento massimo ∆Vmax.
3. La sensibilità di un generico trasduttore è:
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
4. La risoluzione di un generico trasduttore è:
11. Quale caratteristica ha un trasduttore autogeneran-
...............................................................................
te?
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
5. L’offset di una caratteristica ingresso/uscita di un ...............................................................................
trasduttore è: ...............................................................................
...............................................................................
12. Quali sono le caratteristiche dei trasduttori integrati?
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
...............................................................................
6. Quale è la differenza tra sensibilità e risoluzione? ...............................................................................
............................................................................... ...............................................................................
...............................................................................
13. Quale è la differenza tra un trasduttore analogico
...............................................................................
ed uno digitale?
7. Quale differenza esiste tra una caratteristica univo- ...............................................................................
ca e una con isteresi? ...............................................................................
............................................................................... ...............................................................................
............................................................................... ...............................................................................
...............................................................................
14. Quali sono i criteri pratici per la scelta di un trasdut-
8. La risoluzione di un trasduttore analogico è alta o tore?
bassa? ...............................................................................
............................................................................... ...............................................................................
............................................................................... ...............................................................................
............................................................................... ...............................................................................
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unità 3 Trasduttori di posizione


a variazione di resistenza
I trasduttori di posizione a variazione di resistenza, lineari o angolari, sono realizzati con
potenziometri che permettono una variazione di resistenza in funzione della posizione
assunta dal cursore mobile ( figura 3.1). In genere la resistenza è costituita da uno strato
sottile (carbone o film metallico) o da filo avvolto. Quest’ultimi hanno un’elevata ripetibi-
lità, presentano una non linearità, a causa dei salti del cursore da una spira alla successiva,
e una caratteristica I/U a gradini.
Partitore tensione Potenziometro Potenziometro
Fine F
R R R
Centro C C
VIN R
VOUT ∆R ∆R
figura 3.1 Inizio Inizio I I I

3.1 Trasduttore di posizione lineare - potenziometro


Il potenziometro è un trasduttore di posizione lineare a variazione di resistenza (figura 3.2 ). Il
valore della sua resistenza, misurata tra uno dei due estremi e quello centrale, varia da
0 Ω (cursore nella posizione 0) a un valore massimo R (cursore nella posizione L).

figura 3.2

Si consideri il potenziometro a slitta mostrato in figura 3.3 e sia L1 la posizione generica del
cursore (grandezza fisica d’ingresso) a cui corrisponde un valore normalizzato della lun-
ghezza x = L1/L compreso tra 0 e 1. Per L1 = 0 risulta x = 0, mentre per L1 = L risulta x = 1.
R
Potenziometro SLIDER
(1– x) R R
xR
0 x 1 R
C
F xR
I
0 x
L1
Inizio Centro Fine
L x 1 x

figura 3.3 Potenziometro a slitta lineare (slider).

Il valore della resistenza (grandezza elettrica d’uscita) in funzione della posizione L1 del
cursore è:
L
R ( L1 ) = 1 ⋅ R = x ⋅ R
L
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Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 181
dove:
◗ R è il valore nominale della resistenza del potenziometro;
◗ x = L1/L è la lunghezza normalizzata.
Variando la posizione del cursore nell’intervallo normalizzato da 0 a 1, si ottiene la carat-
teristica riportata in figura 3.3 che esprime la relazione tra la posizione x assunta dal cur-
sore (variabile indipendente) e il valore della resistenza corrispondente R(L1) = x · R
(variabile dipendente). Per convertire la variazione di resistenza R(L1) nella tensione V0 si
può utilizzare lo schema di figura 3.4.
E
V0 = ( x ⋅ R ) ⋅ = E ⋅ x [3.1]
R

1
V0
I x=1
(1-- x) R E Tensione
Lunghezza MODELLO MATEMATICO d’uscita
R x
E x Potenziometro slider V0
x xR
x=0 V0

0 1 x

figura 3.4

esercizio 3.1
Si realizzi un controllo di posizione lineare che rilevi anche la posizione dello zero centrale (posizione
di riferimento).
Il potenziometro a slitta si presta a tale tipo di controllo se inserito in un ponte di Wheatstone, costituito
da due resistenze R e da un potenziometro lineare con valore nominale 2 ⋅ R ( figura 3.5a ).

x 1 x 1
R R R 1 2 (1-- x) R L1
R1 R x
1 V0 2L
V0 C 2L x C
E 2 E L1
R2 R 2R L1
R R R2 2 x R
x 0 x 0

a) Ponte in equilibrio b) Ponte squilibrato


figura 3.5

Il ponte è in equilibrio (V0 = 0 V) quando il cursore è nella posizione centrale e sbilanciato (V0 ≠ 0 V)
quando il cursore è in una qualsiasi posizione diversa da quella centrale.
Indicando con 2 ⋅ L l’intero spostamento e con L1 la posizione generica del cursore si può definire la
variabile x come rapporto tra L1 e 2 ⋅ L (x = L1/2 ⋅ L). Quando il cursore è nella posizione centrale
L1 = L (x = 1/2) e il ponte è in equilibrio poiché R1 = R2 = 2 ⋅ R ⋅ x = R. Se si sposta il cursore verso
l’alto, rispetto alla posizione centrale, le resistenze delle due parti del potenziometro cambiano
( figura 3.5b ): una diminuisce (R1 = 2 ⋅ R − 2 ⋅ R ⋅ x = 2 ⋅ R ⋅ (1 − x) e l’altra aumenta della stessa quan-
tità (R2 = 2 ⋅ R ⋅ x). La tensione V0 risulta:
R2 R 2⋅R⋅ x E  1
V0 = ⋅E − ⋅E = ⋅E − = x −  ⋅ E [3.2]
R2 + R1 2⋅R 2⋅R 2  2

Posto E = 12 V la tensione d’uscita V0 varia da −6 V (con x = 0) a + 6 V (con x = 1) assumendo il va-


lore di 0 V quando il cursore è nella posizione centrale (x = 1/2).
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3
182 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Il sistema di conversione proposto fornisce una caratteristica lineare tensione/posizione (V/x)


perché la tensione V0 è direttamente proporzionale alla posizione x del cursore mobile. Questa
condizione è verificata solo quando l’uscita del potenziometro non è chiusa su un carico.
La [3.1] è il modello matematico del trasduttore rappresentato con lo schema a blocchi di
figura 3.4. In realtà la sollecitazione applicata al sistema è la forza che sposta l’asta del
trasduttore.
La sensibilità del sistema di conversione R/V si ricava dalla relazione:

L1 E
V0 = E ⋅ x = E ⋅ = ⋅ L1
L L

Il rapporto E/L è la sensibilità S del sistema di conversione utilizzato. Aumentando la E,


aumenta la sensibilità che risulta limitata dalla massima tensione applicabile al potenzio-
(
metro E max = Pmax ⋅ R . )
Lo schema di figura 3.5 è un semplice sistema di controllo di posizione a catena aperta
( figura 3.6 ). Il potenziometro è il trasduttore che rileva la posizione x del cursore centrale
C e il ponte di Wheatstone trasforma la posizione x nella tensione V0.

Sistema di posizione

0 1 2 1 Posizione x Trasduttore R Conversione Tensione V 0 –6 V 0 +6 V


x Ingresso (Potenziometro) R/V Uscita V0

figura 3.6

Se il potenziometro è caricato con una resistenza RC ( figura 3.7 ), la caratteristica tensione/posi-


zione (V/x) non è più lineare perché la tensione d’uscita Vu è una funzione razionale fratta,
nella quale la variabile indipendente x è presente sia al numeratore che al denominatore.

I x=1 I
(1– x) R Carico del (1– x) R
trasduttore
R x
E E
xR
x=0 Vu RC R eq Vu

figura 3.7

( x ⋅ R ) ⋅ RC x ⋅ RC
Req = Vu = ⋅E [3.3]
x ⋅ R + RC RC + x ⋅ R − x 2 ⋅ R

La [3.3] è il modello matematico del sistema di figura 3.7 rappresentato con lo schema a
blocchi di figura 3.8. La tensione d’uscita Vu dipende dalla posizione x del cursore e dalla
resistenza di carico RC.

MODELLO MATEMATICO
Posizione Tensione dÕuscita
x Potenziometro con Vu
carico RC

figura 3.8 R RC
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Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 183
La non linearità è tanto più accentuata quanto minore è la resistenza di carico RC nei con-
fronti della resistenza complessiva R del potenziometro. Per RC = 0 la tensione d’uscita è
uguale a zero per ogni valore di x.
Per ridurre la non linearità dovuta al carico RC si utilizzano, come si vedrà nelle applica-
zioni riportate di seguito, gli amplificatori operazionali che, per le loro caratteristiche,
separano il potenziometro dal carico RC ( figura 3.9 ). In base a tale configurazione il poten-
ziometro vede sempre la resistenza d’ingresso Ri, teoricamente infinita, dell’amplificatore
operazionale.
Circuito
separatore
I Potenziometro
V Carico del
trasduttore
A.O.
R Ideale
E
V RC Vu
V Ri Ru 0
figura 3.9

esercizio 3.2
Si realizzi un sistema elettromeccanico per il rilievo del livello d’acqua in un serbatoio tra un livello
minimo e un livello massimo di 0,5 m.
Il sistema è costituito da un serbatoio, da un potenziometro a slitta, da un sistema cinematico, da un
galleggiante e da due molle di richiamo che mantengono in tensione le funicelle ( figura 3.10 ).

D F

H max C
5 cm

0,5 m
I
H min

figura 3.10

Utilizzando un potenziometro slider con corsa di 5 cm e considerato che il livello d’acqua da control-
lare è Hmax − Hmin = 50 cm, si ricava il legame tra i diametri delle due ruote le cui gole accolgono le
funicelle in tensione. Si ha:
π ⋅ D 500
= = 10 D = 10 · d
π⋅d 50

Si pone Rp = 10 kΩ ed E = 5 V, per limitare la potenza dissipata dal potenziometro a 50 mW. Dalla


figura 3.11 si evidenzia che per Hmin il cursore del potenziometro si è posizionato in basso con escur-
sione nulla (V0 = 0 V) e viceversa quando l’altezza del livello d’acqua è massima Hmax (V0 = 5 V).

5V
F F
H max
H max H max
5V C 5V
Rp Rp
C 0V
H min
I I
H min H min

figura 3.11
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3
184 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Utilizzando LabVieW
Per mettere in relazione il livello del liquido nel serbatoio e la posizione del cursore del potenzio-
metro bisogna utilizzare la proporzione:

( liv. serb. − 0,1) posiz. curs.


= [3.4]
0, 5 0, 05

Considerando che:

• 0,5 m è la variazione che può avere il liquido;


• 0,1 m rappresenta il livello minimo di liquido nel serbatoio;
• 0,05 m (5 cm) è la lunghezza L della corsa del cursore del potenziometro.

Dalla [3.4] si ricava la posizione del cursore:

( liv. serb. − 0,1)


posiz. curs. = × 0, 05 = 0,1 × ( liv. serb. − 0,1) [3.5]
0, 5

Per quanto riguarda la tensione d’uscita Vu sul punto centrale del potenziometro si ha:
L1 L1
Vu = E × =5× [3.6]
L 0, 05

dove L è la lunghezza totale della corsa del cursore del potenziometro, L1 lo scostamento del
cursore dalla posizione di partenza ed E = 5 V la tensione posta ai capi del potenziometro.
Le relazioni [3.5] e [3.6] saranno utilizzate per inserire le funzioni sul Block Diagram di LabVIEW
di figura 3.12 di pagina seguente.

Per realizzare il VI si proceda nel seguente modo.


Si avvii LabVIEW, scegliendo al solito Blank VI e quindi, aperta la controls Palette (menu
View ⇒ Controls Palette), si inseriscano sul Front Panel usando il menu ExprEss:

1. l’indicatore per visualizzare la posizione del cursore (Express ⇒ Numeric Indicators ⇒


Vertical Pointer Slide);
2. il serbatoio (Express ⇒ Numeric Indicators ⇒ Tank);
3. l’indicatore per visualizzare il valore della tensione (Express ⇒ Numeric Indicators ⇒ Meter).

Si attivi la visualizzazione sul Tank sull’indicatore della posizione del cursore degli indicatori digita-
li. Si converta il serBatoio in un controllo (clic con il tasto destro sul Tank ⇒ Change to Control).

Sul Block Diagram si inseriscano:

1. due blocchi funzione per la moltiplicazione, uno per la divisione e un altro per la sottrazione
(Express ⇒ Arithemetic & Comparison ⇒ Numeric ⇒ Multiply o Divide o Subtract);
2. tre blocchi per le costanti (Express ⇒ Arithemetic & Comparison ⇒ Numeric ⇒ Num
Cost).

Si trasformino due delle costanti di tipo DouBle, si eseguano i collegamenti come in figura 3.12 del
Diagramma a Blocchi e si inseriscano i valori numerici all’interno delle funzioni costanti. La
figura 3.13 di pagina seguente mostra il Pannello Frontale.

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 185

figura 3.12 figura 3.13

Per modificare il livello del liquido si deve trascinare il puntatore del mouse sul controllo di livello
(serbatoio) del pannello di controllo e fare scorrere il cursore.

3.2 Trasduttore di posizione angolare


(potenziometro rotativo)
Il trasduttore di posizione angolare ( figura 3.14) è costituito da un potenziometro il cui cur-
sore mobile, collegato meccanicamente a una molla di richiamo, ruota in modo da descri-
vere un angolo ( figura 3.15). Il dispositivo è utilizzato per misurare o controllare uno spo-
stamento angolare.

Rα C

I I
Inizio Centro Fine

figura 3.14 figura 3.15

Il circuito di figura 3.16 è un esempio di conversione spostamento angolare/tensione (α/V).


La resistenza d’utilizzazione RC è separata da quella del trasduttore con l’amplificatore
operazionale, a elevata resistenza d’ingresso, al fine di non caricare il trasduttore.

VCC
α max

RI A.O.
Ideale
E Rα
RU 0

α 0° V (Rα ) RC V0

figura 3.16
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186 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

esercizi
svolti

1 Un trasduttore di posizione lineare è alimenta- 4 Si consideri un potenziometro lineare, con


to con un generatore di corrente d’intensità valore nominale R = 10 kΩ, alimentato da un
costante I = 1 mA (figura 3.17). Calcolare la sen- generatore di tensione continua di valore E, e si
sibilità del sistema di conversione V/mm nell’ipo- supponga di collegare tra i morsetti A e B resi-
tesi che R = 10 kΩ ed L = 25 mm. stori diversi RC = ∞, RC1 = 100 kΩ, RC 2 = 10 kΩ
ed RC3 = 1 kΩ.
Sia x la generica posizione del cursore, Req il paral-
lelo della resistenza RC e della frazione x ⋅ R.
I
Per RC = ∞, potenziometro a vuoto, si ha
(figura 3.18):
R

V0
x =1
figura 3.17
(1 x ) R

R x A
E
Vmax = RP ⋅ I = 10 ⋅103 ⋅ 10 ⋅ 10–3 = 10 V xR
S = Vmax/L = 10/25 = 0,4 V/mm x =0 V0

B
figura 3.18

x ⋅R
2 Perché il potenziometro a filo, costruito con V0 = ⋅E = E ⋅x
spire avvolte antinduttive, peggiora la risoluzione x ⋅ R + (1 − x ) ⋅ R
rispetto a quello a strati sottili di materiale con-
duttivo uniformemente distribuito? La tensione d’uscita V0 è direttamente proporzio-
nale alla posizione x del cursore.
La variazione minima di resistenza è quella dovu- La caratteristica del trasduttore è una retta pas-
ta a una spira che corrisponde al salto nel pas- sante per l’origine.
saggio da una spira alla successiva.
Per RC ≠ ∞ si ricava (figura 3.19):
x ⋅ R ⋅ RC
Vu = ⋅E =
x ⋅ R ⋅ RC
+ (1 − x ) ⋅ R
x ⋅ R + RC
3 Utilizzando un potenziometro lineare come
partitore di tensione per la conversione tensione/ x ⋅ RC
= ⋅E [3.7]
posizione, calcolare la sensibilità massima del RC + x ⋅ R − x 2 ⋅ R
sistema. Sia Pmax = 0,25 W, RP = 10 kΩ,
L = 5 cm ed E = 12 V.

E 12  V 
S= = = 0, 24  
L 50  mm 

E max = Pmax ⋅ RP = 0, 25 ⋅10 ⋅103 = 25 ⋅102 = 50 V

E max 50  V 
Smax = = =1 
L 50  mm  figura 3.19
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Unità
3 Trasduttori di posizione a variazione di resistenza 187
La [3.7] è il modello matematico del sistema di generico carico resistivo RC, è necessario linea-
figura 3.19, rappresentato con lo schema a bloc- rizzare, in modo opportuno, la caratteristica del
chi di figura 3.20 . La tensione d’uscita Vu dipen- potenziometro.
de dalla posizione x del cursore e dalla resistenza
di carico RC. 5 Si calcoli la tensione d’uscita Vu dello schema
La caratteristica tensione/posizione non è lineare di figura 3.22 sapendo che RL = RC. Sia per RC =
perché è una funzione fratta nella quale la varia- ∞, RC1 = 100 kΩ, RC2 = 10 kΩ, RC3 = 1 kΩ.
bile indipendente x è presente sia al numeratore
che al denominatore.
Resistenza di
x =1 linearizzazione
MODELLO MATEMATICO Tensione
Posizione d’uscita (1 x) R R L = RC
x Potenziometro
con carico RC Vu x
E R

xR
x =0 RC Vu

R xR RC

figura 3.20
figura 3.22
Nella tabella 3.1 sono riassunti i valori della ten-
sione d’uscita a vuoto V0 e a carico Vu del poten- La tensione di uscita Vu è:
ziometro, utilizzato come partitore di tensione, in
funzione della posizione x del cursore e per i x ⋅ R − x 2 + x ⋅ RC
diversi valori della resistenza di carico RC. Vu = ⋅E [3.8]
2 ⋅ x ⋅ R + RC − 2 ⋅ x 2 ⋅ R
Dall’analisi dei risultati si evince che la caratteri-
stica reale si discosta tanto più da quella ideale
(potenziometro senza carico) quanto minore è il Sostituendo i valori delle resistenze nella [3.8] si
valore di RC nei confronti della resistenza com- ottiene la tabella 3.2 .
plessiva R del potenziometro figura 3.21.
tabella 3.2
tabella 3.1
Posizione Tensione di uscita

Posizione Tensione di uscita x V0 Vu1 Vu2 Vu3

x V0 Vu1 Vu2 Vu3 RC = ∞ RC1 = 100 kΩ RC2 = 10 kΩ RC3 = 1 kΩ

RC = ∞ RC1 = 100 kΩ RC2 = 10 kΩ RC3 = 1 kΩ 0 0 0 0 0

0 0 0 0 0 0,25 0,25 ⋅ E 0,2542 ⋅ E 0,3181 ⋅ E 0,4400 ⋅ E

0,25 0,25 ⋅ E 0,2453 ⋅ E 0,2105 ⋅ E 0,0869 ⋅ E 0,50 0,50 ⋅ E 0,5000 ⋅ E 0,5000 ⋅ E 0,5000 ⋅ E

0,50 0,50 ⋅ E 0,4878 ⋅ E 0,4000 ⋅ E 0,1428 ⋅ E 0,75 0,75 ⋅ E 0,7409 ⋅ E 0,6818 ⋅ E 0,5500 ⋅ E

0,75 0,75 ⋅ E 0,7361 ⋅ E 0,6315 ⋅ E 0,6315 ⋅ E 1 E E E E

1 E E E E
Dall’analisi dei dati riportati in tabella 3.2 si rileva
che per x = 0,5 (potenziometro con asta a mezza
V0 ,Vu corsa) la tensione d’uscita è Vu = 0,5 ⋅ E, qualun-
E
que sia il valore della resistenza di carico.
0,75 E (Rc di carico)
Infinita

0,50 E 100 k Ω

10 k Ω
0,25 E
1 kΩ

0,25 0,50 0,75 1 x

figura 3.21

Per aumentare la precisione del sistema, se viene


utilizzato come trasduttore di posizione con un figura 3.23 – Risposte qualitative
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188 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori 188

esercizi proposti
1. Calcolare la sensibilità del sistema di conversione nell’ipotesi che R = 2,2 kΩ, E = 5 V ed L = 10 mm
( figura 3.24 ).
R/L = 0,22 kΩ/mm
I S = (R/L) ⋅ I = 0,22 ⋅ (5/2,2 ⋅ 10–3) = 0,5 V/mm

R Oppure:
E
V0
Vmax = 5 V S = Vmax /L = 5/10 = 0,5 V/mm

figura 3.24

2. Calcolare la relazione tra la tensione Vu e lo spostamento del cursore x del circuito di figura 3.25 sapendo che
la resistenza interna Ri della f.e.m. E è diversa da zero.

Ri
I x=1
(1-- x)R Carico del

x ⋅ R ⋅ Rc ⋅ E
trasduttore

E
R x Vu =
xR x ⋅ Ri ⋅ R + Ri ⋅ Rc + x ⋅ R 2 − x 2 ⋅ R 2 + R ⋅ Rc
x=0 Vu RC

figura 3.25

3. Sapendo che R = 10 kΩ, E = 12 V, Ri = 1 kΩ, RC = 4,7 kΩ, graficare con EXCEL la tensione d’uscita dell’eser-
cizio precedente.

4. Con riferimento alla figura 3.25, sapendo che R = 5 kΩ, E = 12 V, Ri = 0 Ω, RC = 100 kΩ, calcolare la tensione
d’uscita Vu per x = 0 – 0,25 – 0,5 – 0,75 – 1.

5. Ripetere l’esercizio precedente per RC = 10 kΩ e 1 kΩ.

6. Graficare con EXCEL i risultati dei due esercizi precedenti.

7. Calcolare la relazione tra la tensione Vu e lo spostamento del cursore x


Ri
del circuito di figura 3.26 sapendo che la resistenza interna Ri della I x=1
Resistenza di
linearizzazione
f.e.m. E è diversa da zero. (1-- x) R RL RC
R x
E
xR
x=0 RC Vu

figura 3.26

Vu =
( x ⋅ R 2 ⋅ Rc − x 2 ⋅ R 2 ⋅ Rc + x ⋅ R ⋅ Rc2 ) ⋅ E
x ⋅ R 2 ⋅ Ri + R ⋅ Rc ⋅ Ri − x 2 ⋅ R 2 ⋅ Ri + Rc2 ⋅ Ri + 2 ⋅ x ⋅ R 2 ⋅ Rc − 2 ⋅ x 2 ⋅ R 2 ⋅ Rc + R ⋅ Rc

8. Con riferimento alla figura 3.26, sapendo che R = 1 kΩ, E = 12 V, Ri = 100 Ω, RC = RL = 5 kΩ, graficare con
EXCEL la tensione d’uscita Vu dell’esercizio 7.

9. Con riferimento alla figura 3.26, sapendo che R = 5 kΩ, E = 12 V, Ri = 1 kΩ, RC = RL = 5 kΩ, graficare con
EXCEL la tensione d’uscita Vu dell’esercizio 7.

10. Con riferimento alla figura 3.26, sapendo che R = 10 kΩ, E = 12 V, Ri = 1 kΩ, RC = RL = 5 kΩ, graficare con
EXCEL la tensione d’uscita Vu dell’esercizio 7.
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unità 4 Trasduttori
di temperatura
a variazione di resistenza
Alcuni materiali metallici e alcuni materiali a semiconduttore hanno la proprietà di modi-
ficare sensibilmente il valore della resistenza elettrica a causa di una variazione termica.
La caratteristica resistenza/temperatura può essere crescente lineare, crescente non lineare
e decrescente non lineare. Nella figura 4.1 sono riportate le caratteristiche normalizzate di
alcuni trasduttori di temperatura a variazione di resistenza.

RT
Termistore Termosensore
R0
NTC KTY
4
l
3 Niche Termoresistenze
RTD
Rame
2 ( Metalli )
Platino

figura 4.1 T0 T [°C]

4.1 Termoresistenza RTD (PT100)


La termoresistenza o RTD (Resistance Temperature Detector ⇒ rilevatore di temperatura a
resistenza) è un trasduttore di temperatura a variazione di resistenza, è costruito con ma-
teriali metallici antinduttivi come il platino, nichel, rame, ecc. ( figura 4.2 ).

figura 4.2

La legge di variazione della resistenza RT con la temperatura T anche per valori negativi,
lineare e crescente è riportata nella [4.1], dove:
RT = R0 · (1 + a · T) [4.1]

◗ R0 = 100 Ω è il valore nominale della termoresistenza per T = 0 °C;


◗ RT è il valore della termoresistenza alla temperatura generica T;
◗ a = 3,85 ⋅ 10−3 [°C−1] è la costante dimensionale. In verità a non è costante e la caratteri-
stica R/T presenta una lievissima non linearità.

La termoresistenza RTD è indicata anche con PRT (Platinum Resistor Thermometers) o con
PT100 quando il valore resistivo a 0 °C è uguale a 100 Ω. La PT100 è un trasduttore com-
merciale di precisione in pellicola di platino, robusta, economica, di dimensioni contenute
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3
190 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

e con caratteristica pressoché lineare. La variazione della resistenza RT , al variare della tem-
peratura, può essere convertita in una variazione di tensione Vu da utilizzare nei circuiti elet-
trici. La conversione R/V può essere realizzata alimentando la PT100 con un generatore di
corrente d’intensità costante I ( figura 4.3 ).

I = 2 mA

RTD
PT100
RT Vu V

figura 4.3

esempio 4.1
Utilizzando il circuito di figura 4.3, rilevare la variazione della tensione ai capi della termoresistenza
PT100 nell’ipotesi che la temperatura vari nel range 0 °C÷100 °C a passi di 20 °C. Il circuito sia ali-
mentato da un generatore di corrente d’intensità costante I = 2 mA tale da non procurare l’effetto
Joule sul trasduttore.
Applicando la [4.1] si ricavano i valori teorici della termoresistenza RT e della tensione Vu al variare
della temperatura T ( tabella 4.1 ).

tabella 4.1

T [°C] 0 20 40 60 80 100
RT [Ω] = R0 = (1 + a ⋅ T) 100 107,70 115,40 123,10 130,80 138,50

Vu [mV] = RT ⋅ I 200 215,40 230,80 246,20 261,60 277,00


ΔV [mV] – 7,70 7,70 7,70 7,70 7,70

Dall’analisi della tabella 4.1 si deduce che la caratteristica tensione/temperatura è lineare perché le
variazioni di tensioni ΔV sono sempre uguali in corrispondenza di quelle della temperatura ΔT.

esempio 4.2
Si utilizzi lo schema di figura 4.4 per calcolare la tensione Vu in funzione della temperatura T rilevata
con la termoresistenza PT100.

RT
R
RTD

Vu
B A
E

R1 R

M
figura 4.4

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Unità
4 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 191
Si bilancia il ponte a temperatura T = 0 °C ponendo R1 = R = 100 Ω. Dalla figura 4.4 si ricava:

R R1 1 R1 
Vu = VAM − VBM = ⋅E− ⋅E = − ⋅E [4.2]
2⋅R R1 + RT  2 R1 + RT 

Per T = 0 °C e per una generica temperatura T si ha:

1 100  RT − R1
Vu (T = 0 ) =  − ⋅E =0 Vu (T ) = ⋅E
 2 100 + 100 
[4.3]
2 ⋅ ( R1 + RT )

La tensione di uscita Vu(T) non è una funzione lineare della temperatura T, perché il circuito utilizzato
per la conversione R/V introduce una non linearità. Per verificare la non linearità della caratteristica
tensione/resistenza nel range 0 °C÷100 °C si possono utilizzare i valori teorici della resistenza RT ri-
portati nella tabella 4.1 e la [4.3] per calcolare i valori teorici della tensione di uscita Vu riportati nella
tabella 4.2.
Al fine di trascurare l’effetto Joule sulla termoresistenza, si pone E = 1,2 V, ottenibile con dispositivi per
tensioni di riferimento di precisione (tipo LM 185 – 1,2 V), per non superare l’intensità di corrente di
6 mA riferita alle peggior condizione quando RT = 100 Ω e T = 0 °C.

tabella 4.2

T [°C] 0 20 40 60 80 100
RT [Ω] 100 107,70 115,40 123,10 130,80 138,50
Vu [mV] 0 22,24 42,89 62,12 80,06 96,85

ΔV [mV] – 22,24 20,65 19,23 17,94 16,79

L’analisi dei dati conferma che a uguali incrementi della temperatura non corrispondono decrementi
proporzionali della tensione d’uscita.
I risultati riportati nella tabella 4.2 possono essere controllati con la simulazione. Si disegna con Multi-
sim la figura 4.5 con il trasduttore HEL-775-AT0 con range −55 °C ÷ +150 °C. Per T = 20 °C il valore
misurato della termoresistenza è RT = 107,793 Ω.
Si attiva la simulazione per visualizzare l’intensità di corrente nel ramo che contiene il trasduttore e la
tensione reale d’uscita misurata dal multimetro (Æ Modulo 4, Unità 4).

figura 4.5
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3
192 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

4.2 Trasduttore KTY


I trasduttori di tipo KTY, prodotti dalla Philips, svi-
luppati in alternativa ai trasduttori convenzionali
costituiti dai termistori a coefficiente negativo (NTC)
e positivo (PTC), sono realizzati con silicio drogato
di tipo n e basano il principio di funzionamento
sulla dipendenza della resistività del semiconduttore
dalla temperatura ( figura 4.6 ). Presentano un coeffi-
ciente di temperatura positivo, hanno dimensioni
contenute e una struttura a tronco di piramide e per
attribuire al trasduttore una protezione efficiente è
ricoperto completamente con vetro al fosforo. figura 4.6
Questa particolare struttura genera una caratteristica resistenza/temperatura crescente non
lineare e dipendente dal verso della corrente che percorre il trasduttore.
Per rendere la caratteristica R/T indipendente dal verso della corrente, la Philips costruisce
trasduttori KTY doppi (struttura a doppio tronco di piramide formata essenzialmente da
due trasduttori uguali collegati in serie ma aventi polarità opposte).
La resistenza RT è una funzione esponenziale crescente della temperatura T dove:

α (T − T a )
RT = Ra ⋅ e [4.4]

◗ RT è la resistenza del trasduttore alla temperatura generica T;


◗ Ra è la resistenza del trasduttore alla temperatura ambiente Ta = 25 °C;
◗ a è il coefficiente dimensionale dipendente dalla temperatura.

La figura 4.7 mostra la caratteristica RT /T per la serie KTY81. Le curve sono ricavate con la
[4.4]. La curva a con a = 0,75%/K, le curve b con a = 0,82%/K (T ≤ 25 °C) e
a = 0,75%/K (T > 25 °C).

R T [ kΩ]
b
4,0

3,2

a
2,4

b
1,6
KTY81-2
0,8
KTY81-1
0
– 100 – 50 0 25 50 100 150 T [°C]
figura 4.7
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Unità
4 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 193

4.2.1 Trasduttore KTY81-122

Il trasduttore di temperatura KTY81-122, con contenitore plastico, ha un valore resistivo tipico


di 1010 Ω alla temperatura T di 25 °C quando è percorso da una intensità di corrente I = 1
mA. Presenta un coefficiente di temperatura positivo, una caratteristica crescente non lineare
(figura 4.8) e risulta adatto sia per le misure di temperatura sia nei controlli di sistemi.
R [kΩ] 2,4

1,6
KTY81
122

3
0,8
NC

0
figura 4.8 2 1 –100 –50 0 50 100 150 200 T [°C]

Nella tabella 4.3 sono riportati i valori della resistenza in funzione della temperatura.
tabella 4.3 Valori trasduttore KTY81-122 [Icont = 1 mA]
Temperatura Resistenza [Ω]
[°C] Min Tipica Max
– 50 505 520 535
– 40 558 573 588
− 30 615 630 645
− 20 676 690 705
− 10 741 755 769
0 810 823 836
10 883 895 907
20 960 971 982
25 1000 1010 1020
30 1039 1050 1062
40 1120 1134 1148
50 1204 1221 1238
60 1291 1312 1332
70 1382 1406 1430
80 1477 1505 1533
90 1574 1607 1639
100 1676 1713 1750

Per la conversione temperatura/resistenza/tensione si può utilizzare


il circuito di figura 4.9. I
RT

R Vu

figura 4.9
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3
194 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

esempio 4.3
Si ricavi la caratteristica temperatura/tensione del trasduttore di temperatura KTY81-122 ( tabella 4.3 )
nel range da 0 °C a 50 °C a passi di 10 °C sapendo che E = 5 V ed R = 1 kΩ.
La tensione d’uscita Vu è:

R
Vu = R ⋅ I = ⋅E [4.5]
R + RT

Utilizzando la [4.5] si ricava la tabella 4.4 utilizzando i valori tipici della resistenza RT.

tabella 4.4

T [°C] 0 10 20 30 40 50
RT [Ω] 823 895 971 1010 1050 1134
Vu [V] 2,74 2,63 2,53 2,48 2,43 2,34

ΔV [V] – 0,11 0,10 0,05 0,05 0,09

4.3 Termistori
I termistori (Thermistor: THERMally sensitive resISTOR) sono trasdut-
tori di temperatura a semiconduttore drogato. La quantità di drogaggio
fissa il coefficiente di temperatura ( figura 4.10 ). La variazione della
resistenza all’aumentare della temperatura può essere crescente (PTC)
o decrescente (NTC). Le caratteristiche resistenza/temperatura di en-
trambi presentano una elevata non linearità. Sono utilizzati come ri-
velatori e come dispositivi per compensare le variazioni di resistenze
dovute a escursioni termiche. figura 4.10
La legge di variazione della resistenza con la temperatura di un ter-
mistore NTC è: B
RT = A ⋅ e T [4.6]

◗ RT è il valore nominale della NTC alla temperatura generica T;


◗ A e B sono costanti dipendenti dal materiale con 2000 K < B < 5500 K;
◗ T è la temperatura generica espressa in gradi Kelvin.
Dette R Ta e R T le resistenze rispettivamente alla temperatura di riferimento Ta = 293 K
(20 °C) e alla temperatura generica T, dalla [4.6] si ricava:
B B
RT = A ⋅ e T RTa = A ⋅ e Ta

1 1 T −T
B ⋅ −  B⋅ a
 T Ta  Ta ⋅ T
RT = RTa ⋅ e = RTa ⋅ e [4.7]

In verità la temperatura di riferimento Ta = 20 °C può essere diversa, in tal caso è fornita dal
costruttore.
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Unità
4 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 195
In figura 4.11 sono riportate le caratteristiche di quattro termistori NTC della famiglia K22
prodotti dalla Siemens.

R T [ Ω] K22
10 8

7
10

6
10

5 250 k Ω
10

4
40 k Ω
10

3
10 k Ω
10

2
1 kΩ
10

1
10

10 0
– 60 – 40 – 20 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200
figura 4.11 T [°C]

esempio 4.4
Si progetti un circuito di conversione temperatura/tensione per un termistore NTC K25-1k nel range
di temperatura 10 °C÷70 °C sapendo che R = 1 kΩ (Ta = 20 °C) e B = 3530 K.

Utilizzando la [4.7] si possono tabulare i valori assunti dal trasduttore NTC nel campo di funzionamen-
to per incrementi di temperatura ΔT = 10 °C ( tabella 4.5 ).
tabella 4.5

T [°C] 10 20 30 40 50 60 70
R [Ω] 1529 1000 671 463 326 235 172

Il circuito di conversione temperatura/resistenza/tensione è riportato in figura 4.12. Lo zener di preci-


sione LM336-5 V genera la tensione di 5 V che alimenta il trasduttore. Tale valore è rigorosamente
costante e indipendente dalle variazioni della tensione d’alimentazione esterna. L’amplificatore opera-
zionale svolge la funzione di buffer analogico poiché separa la resistenza del trimmer di 10 kΩ dal
partitore resistivo d’uscita in modo che quest’ultimo non carichi, ossia non modifichi il valore della
resistenza del trimmer.

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196 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

12 V
T
12 V
10 [˚C] 70
2 7
5,6 k R NTC
6 T
CA3140 VT
V IN =5V 3 V =5V 283 [K] 343
1k
4
LM336-5 V VT
330
Reg. 5 V
10 k RL 0,88 [V] 3,28

figura 4.12

Poiché la caratteristica del termistore è decrescente e non lineare, nel circuito di conversione s’introdu-
ce la resistenza RL = 330 Ω (resistenza di linearizzazione) sulla quale è calcolata la tensione d’uscita VT.
La presenza della resistenza di linearizzazione RL, scelta in modo opportuno, rende la caratteristica VT /T
crescente e quasi lineare all’aumentare della temperatura T (tabella 4.6).

tabella 4.6

T [°C] 10 20 30 40 50 60 70
RT [Ω] 1529 1000 671 463 326 235 172
VT [V] 0,88 1,24 1,64 2,08 2,51 2,92 3,28

ΔV [V] – 0,36 0,40 0,44 0,43 0,41 0,36

esercizi
svolti

1 Perché la sensibilità del termistore NTC è maggiore di quella della termoresistenza RTD?

A parità d’incrementi ΔT la variazione ΔR della NTC è più alta di quella della RTD (figura 4.1).

2 Perché la linearità della caratteristica del trasduttore KTY è inferiore rispetto a quella della termoresi-
stenza RTD?

La relazione [4.4] della KTY è esponenziale a differenza della [4.1] della RTD che è di tipo lineare.

3 Per rilevare sperimentalmente la caratteristica R/T di un termistore di tipo NTC, quali strumenti occor-
rono?

Termistore NTC
Alimentatore in DC variabile 0÷12 V
Riscaldatore in DC 12 V
Multimetro per la misura della resistenza
Sonda di temperatura e multimetro per la misura della temperatura
Supporto metallico riscaldato solidale con la NTC
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Unità
3 Trasduttori di temperatura a variazione di resistenza 197
esercizi proposti
1. Il principio fisico del funzionamento della termore- 9. Utilizzando il foglio di ExCEL:
sitenza RTD è:
◗ calcolare i valori delle resistenze per incrementi
............................................................................. di 5 °C utilizzando la [4.7] nel range 0 °C÷100
............................................................................. °C. Sia R (Ta = 20 °C) = 250 kΩ e B = 4560 K;
◗ tracciare il grafico della resistenza R in funzione
2. Il principio fisico del funzionamento della KTY è: della temperatura T.

.............................................................................
10. I circuiti proposti di figura 4.13 convertono la tem-
............................................................................. peratura rilevata dalla NTC in tensione V0. Sapendo
che R(Ta = 20 °C) = 4 kΩ e B = 3420 K, tracciare le
3. Il principio fisico del funzionamento del termistore due caratteristiche V0 /T ed evidenziare la differen-
NTC è: za.
.............................................................................
............................................................................. I I
NTC R

4. Il coefficiente di temperatura positivo per una NTC


implica che un aumento di temperatura genera: E E

............................................................................. R V0 NTC V0

.............................................................................

5. Utilizzando la [4.1], calcolare i valori che assume la figura 4.13


termoresistenza RTD, nel range –100 ÷ +250 °C
per incrementi di ΔT = 25 °C e tracciare il grafico 11. Si consideri il circuito a ponte di Wheatstone di
della caratteristica R in funzione della temperatura figura 4.14. Come trasduttore, per il rilievo della tem-
T utilizzando ExCEL. peratura nel range da –50 °C a +100 °C, si utilizzi il di-
spositivo KTY81-122 ( tabella 4.3 ) e:
6. Utilizzando la [4.4], calcolare i valori che assume la
resistenza R del trasduttore KTY nel range
0 °C÷100 °C per incrementi di ΔT = 5 °C sapendo R2 R1
che Ra = 2 kΩ (Ta = 25 °C) e a = 0,80 ⋅ 10–2/K.
Tracciare il grafico della caratteristica R/T utilizzan- P1 A VAB B
do Excel. E

RT
R3
7. Utilizzando la [4.7] e sapendo che R(Ta = 20 °C) 1KTY81-122
= 6 kΩ e B = 3950 K, calcolare i valori che assume
il trasduttore NTC (K25-6 kΩ), nel range –20 °C ÷ figura 4.14
+120 °C per incrementi di ΔT = 10 °C. Tracciare il
grafico della caratteristica R in funzione della tem- ◗ si dimensionino i componenti per equilibrare il
peratura T utilizzando ExcEl. ponte alla temperatura T di 0 °C;
◗ si calcolino i valori della tensione d’uscita VAB per
8. Utilizzando il foglio di ExcEl tracciare, su uno stes- incrementi ΔT = 10 °C;
so riferimento, le caratteristiche R/T dei due eser- ◗ si tracci il grafico della tensione VAB in funzione
cizi precedenti ed evidenziare le differenze. della temperatura T con ExCEL.
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unità 5 Trasduttori di luminosità


a variazione di resistenza
I fotoresistori o LDR (Light Depentent Resistor) sono trasduttori di luminosità a variazione
di resistenza utilizzati nell’ambito della luce visibile (figura 5.1). Sono costituiti con mate-
riali semiconduttori intrinseci o estrinseci. Quando la superficie sensibile del fotoresistore
viene esposta alla luce, l’energia luminosa assorbita provoca la rottura dei legami covalen-
ti e quindi l’aumento delle coppie lacuna-elettrone rispetto a quelle generate per effetto
termico. Questo fenomeno, noto come effetto fotoconduttivo, determina l’aumento della
conducibilità del semiconduttore. Le variazioni della resistenza R in funzione dell’illumina-
mento E è data dalla seguente legge:

R = A · E –α

◗ A [Ω/lx] è la costante dimensionale dipendente dalla forma geometrica della superficie


sensibile che condiziona la sensibilità del trasduttore;
 lm 
◗ E  lx =  è l’illuminamento (grandezza fotometrica di tipo soggettivo poiché
 m2 
dipende dalla sensibilità dell’occhio umano ed è utilizzata solo nel campo di radiazioni
visibili). L’illuminamento E è il flusso luminoso incidente per una superficie unitaria.
La scala metrica di tipo “radiometrica” definisce la stessa grandezza in termini energetici
che consente riferirsi sia a radiazioni visibili e sia a quelle non visibili (infrarosse e ultra-
violette). In questo caso l’illuminamento E è detto irradiamento e l’unità di misura diviene
lm W
[W/m2]. Si ha: 1l x = 1 2 = 1, 46 ⋅ 10 −3 2 ;
m m
◗ α è la costante adimensionale minore di 1 dipendente dal tipo di semiconduttore.

5.1 Fotoresistore NORP-12


La resistenza di un fotoresistore commerciale ( figura 5.1 ) varia
da alcuni MΩ, in condizioni di completa oscurità, ad alcune
decine di Ω quando è sottoposta a illuminamenti molto intensi.
La caratteristica resistenza/illuminamento del fotoresistore
NORP-12 [RS 651-507] (RS Componenti elettronici www.rs-com-
ponents.it) è instabile nel tempo e presenta un’accentuata non
linearità e una pendenza negativa ( figura 5.2 ).
figura 5.1

Risposta spettrale %

Resistenza [k Ω ] Potenza [mW] 90


80
CdS
250 70
Occhio umano
100 60
200 50
10 150 40
100 30
1 20
50 10
0,1
1 10 100 1000 0 10 20 30 40 50 60 70 80 400 500 600 700 800 900
figura 5.2 lx Temperatura [°C] Lunghezza d’onda λ [nm]
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Unità
5 Trasduttori di luminosità a variazione di resistenza 199
In generale i fotoresistori hanno bassa affidabilità, tempi di risposta lunghi quando passa-
no dalla luce al buio e una sensibilità che dipende dalla lunghezza d’onda e dalle carat-
teristiche costruttive (area utile, forma, ecc.).
Il fotoresistore è spesso utilizzato nei sistemi di puntamento o per pilotare direttamente
transistor, relè, ecc. Le sue caratteristiche lo rendono più adatto all’utilizzo in funzionamen-
to ON/OFF anche se, a volte, è utilizzato in applicazioni di tipo lineari. Le caratteristiche
principali elettriche del fotoresistore NORP-12 sono riportate nella tabella 5.1 .

tabella 5.1
Caratteristiche elettriche Valori Unità di misura

Resistenza di oscurità (min) 1 MΩ


Resistenza di cella a 10 lx 9 kΩ
Resistenza di cella a 1000 lx 400 Ω
Tensione max di picco (AC e DC) 320 V
Corrente max 75 mA
Potenza max a 25 °C (figura 5.2) 250 mW
Range di temperatura − 60 ÷ +75 °C
Capacità di oscurità (tipica) 3,6 pF
Reazione spettrale di picco 0,53 µm

Nella tabella 5.2 sono riportate le caratteristiche principali del fotoresistore NORPS-12 della
Silonex (www.silonex.com).

tabella 5.2
Caratteristiche elettriche Valori Unità di misura

Resistenza di oscurità 1 MΩ
Resistenza minima con luce 5,4 kΩ
Resistenza massima con luce 12,6 Ω
Tensione di picco (AC e DC) 250 V
Potenza max (a 30 °C) 250 mW
Range di temperatura − 60 ÷ +75 °C
Reazione spettrale di picco 550 nm

Per la conversione illuminamento/resistenza/tensione si possono utilizzare circuiti a parti-


tore di tensione o a ponte di Wheatstone ( figura 5.3 ). Negli schemi elettrici proposti com-
paiono le resistenze RL, dette resistenze di linearizzazione, che rendono la caratteristica del
trasduttore lx/V0 quasi lineare.

I1 I2
RL RL R Lux
I
B

VAB
E R E
R1 A
RP RL Vu
R Lux

figura 5.3 VAB senza offset Vu con offset


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200 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

esercizi
svolti

1 Si dimensionino i componenti e si calcolino le tensioni d’uscita dei due circuiti di conversione di


figura 5.3 , quando l’illuminamento varia nell’intervallo 10 lx÷1000 lx.

Posto E = 12 V (per limitare l’intensità di corrente che attraversa la fotoresistenza) e posta RL = 330 Ω si
dimensiona la resistenza R1 = Rlx = 9 kΩ (R = 8,2 kΩ, RP = 1 kΩ) che bilancia il ponte di Wheatstone per il
minimo illuminamento.
Le tensioni d’uscita rispettivamente VAB (ponte di Wheatstone) e Vu (partitore resistivo di tensione) sono
ricavate dalle relazioni che seguono e riportate nella tabella 5.3 .

 R1 R lx   RL 
VAB =  − ⋅E Vu =  ⋅E
 R1 + RL Rlx + RL   RL + Rlx 
tabella 5.3

Illuminamento [lx] 10 (min) 505 (med) 1000 (max)


Rlx [Ω] 9000 (tabella 5.1) 1000 (figura 5.2) 400 (tabella 5.1)
VAB [V] 0 2,5526 5,0016
Vu [V] 0,4244 2,9774 5,4246

Dall’analisi dei risultati emerge che entrambe le tensioni d’uscita sono crescenti e quasi lineari all’aumen-
tare dell’illuminamento, anche se la caratteristica R/lx del trasduttore è fortemente non lineare e decrescen-
te per la scelta opportuna del valore della resistenza di linearizzazione RL.

2 Utilizzare una fotoresistenza per realizzare un controllo di luminosità di tipo ON/OFF.

La fotoresistenza al solfuro di cadmio NORP-12 può essere inserita in un circuito a transistor funzionante
in ON/OFF per attivare un diodo LeD. Il LeD deve essere acceso quando è buio, mentre deve essere
spento quando c’è luce solare.
Nella figura 5.4 è riportato lo schema funzionale.

R1
680 Ω
R2
15 k Ω

9V
E R3
TR
1,5 k Ω 2N2222

Rlx
NORP–12

figura 5.4

Le resistenze R2 ed Rlx polarizzano (unitamente alla resistenza R3 che limita l’intensità di corrente) la base
del transistor. Quando c’è luce la fotoresistenza assume un valore resistivo trascurabile che porta il transi-
stor nello stato di OFF (LeD spento). Quando è buio, la fotoresistenza assume un valore resistivo relativa-
mente alto tale da mandare in conduzione il transistor portandolo nello stato di ON (LeD acceso). La
resistenza R1 limita l’intensità di corrente che attraversa il LeD. La tensione d’alimentazione uguale a 9 V
può essere fornita da una batteria commerciale.
Risulta chiaro che con opportune modifiche il LeD può essere sostituito con un relè di media potenza per
controllare un buon numero di lampade alimentate dalla tensione di rete.
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Unità
5 Trasduttori di luminosità a variazione di resistenza 201
Nella figura 5.5 è riportato lo schema per simulare il funzionamento dell’impianto d’illuminazione con
Multisim. La fotoresistenza Rlx è stata sostituita con il deviatore J1 e due resistenze di 220 kΩ (condizione
di buio) e 390 Ω (condizione di luce). La strumentazione inserita ha lo scopo di evidenziare il funzionamen-
to ON/OFF del transistor.

Attivare la simulazione e osservare i risultati interagendo con il circuito mediante la barra spaziatrice per
modificare la posizione del deviatore J1.

figura 5.5

3 Si realizzi un rilevatore di oscurità, per l’accensione di un gruppo di lampade da utilizzare in un impian-


to d’illuminazione.

NC NA

Fusibile
1N4001

R1
15 k Ω

12 V R2
2N2222 Gruppo di lampade controllate 220 V (AC)
VCC 470 Ω
Illuminamento

R lx
NORP–12

figura 5.6

Si utilizza un BJT, funzionante in ON/OFF, con tensione di alimentazione VCC = 12 V identica a quella del
relè. Sia RB = 1 550 Ω la resistenza della bobina ( figura 5.6 ).
Quando c’è luce la fotoresistenza assume un valore di resistenza trascurabile (R  100 Ω) che porta il tran-
sistor nello stato di OFF (lampade spente).
Quando è buio, la fotoresistenza assume un valore resistivo alto (R  1 MΩ) tale da mandare in conduzione
il transistor portandolo nello stato di ON (lampade accese).
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202 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

esercizi proposti
1. Il principio fisico del funzionamento della fotoresisten- 5. Quali sono le unità di misura della intensità lumino-
za è: sa (illuminamento)?
............................................................................... .............................................................................
............................................................................... .............................................................................

2. La sensibilità di una generica fotoresistenza è: 6. Qual’è l’unità di misura della lunghezza d’onda l?
............................................................................... .............................................................................
............................................................................... .............................................................................

3. La caratteristica della fotoresistenza R/lx è: 7. La pendenza della caratteristica Resistenza/


............................................................................... Illuminamento della fotoresistenza è positiva.
............................................................................... ❑ vero ❑ falso

4. La caratteristica della fotoresistenza di figura 5.2 del- 8. La variazione della resistenza RT della fotoresi-
la presente Unità è riportata in figura 5.7 ed è di tipo: stenza dipende solo dall’illuminamento E.
❑ vero ❑ falso
...............................................................................
............................................................................... 9. 1 lm/m2 corrisponde a 1 W/m2.
❑ vero ❑ falso
Resistenza [k Ω]
1000
10. La temperatura di funzionamento condiziona la
100 potenza dissipata dalla fotoresistenza.
10 ❑ vero ❑ falso

1
11. Il valore della costante dimensionale α dipende dal
0,1 tipo di semiconduttore utilizzato per la costruzione
0,1 1 10 100 1000 lx della fotoresistenza.
figura 5.7 ❑ vero ❑ falso

12. Con riferimento alla caratteristica di figura 5.2 calcolare l’intensità della corrente I che fluisce nel circuito di
figura 5.8 e la potenza dissipata dalla fotoresistenza quando l’illuminamento è uguale a 10 lm/m2.

10 lm/m 2

RT

I I
E NORP-12 E
5V 5V

figura 5.8

13. Definire, spiegandone il motivo, la condizione di funzionamento del relè nei due circuiti di figura 5.9 quando la
fotoresistenza è nella totale oscurità.

NORP-12 12 V 12 V
50 kΩ
12 V 1N4001 12 V 1N4001
110 Ω 110 Ω
330 Ω
1,5 kΩ 1,5 kΩ
2N3053 2N3053

330Ω NORP-12

5 kΩ

figura 5.9
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unità 6 Attuatori ON/OFF

Gli attuatori sono dispositivi adatti a pilotare dispositivi di potenza con deboli segnali di
controllo. In generale sono dispositivi elettromeccanici che convertono un segnale elettri-
co in un azionamento, anche se possono produrre un qualsiasi fenomeno fisico.
Esempi di attuatori sono il relè elettromeccanico, il transistor BJT, ecc. Il relè è utilizzato per il
comando d’interruzione o di commutazione di grandi potenze elettriche.
Il transistor può essere utilizzato come interruttore elettronico per fornire potenza elettrica al
circuito utilizzatore.

Nella figura 6.1 sono riportati alcuni attuatori di piccola potenza.

figura 6.1

6.1 Relè
Il relè è un attuatore di tipo elettromeccanico costituito da una bobina con un elevato
numero di spire, da un circuito magnetico con una parte fissa (nucleo) ancorata al basa-
mento del dispositivo, da una parte mobile (ancora) e da un traferro interposto tra la
parte mobile e quella fissa ( figura 6.2 ).

Isolante
Contatti a molla
NA B NC NA
COM Ancora
NC

Flusso di
comando
B COM

Relè con un contatto


Schema di principio Nucleo Bobina Traferro di scambio

figura 6.2
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3
204 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Quando la bobina è percorsa dalla opportuna intensità di corrente continua (corrente di


eccitazione o di comando) genera la magnetizzazione del nucleo, provocando l’attrazione
dell’ancora (circuito magnetico a minima riluttanza in assenza di traferro) azionando diret-
tamente o indirettamente dei contatti elettrici a bassissima resistenza. In assenza di corren-
te d’eccitazione la molla di richiamo ripristina il contatto iniziale.
Con particolari accorgimenti si costruiscono relè elettromeccanici eccitati con corrente alternata.
Un relè trasforma energia elettrica in energia meccanica, chiudendo i contatti elettrici mobi-
li, e separa galvanicamente il circuito pilota a bassa potenza da quello controllato a eleva-
ta potenza. In commercio sono disponibili relè elettromagnetici a uno o più scambi con
contatti normalmente aperti (NA) o normalmente chiusi (NC).
Nella tabella 6.1 sono riportate le specifiche di un relè commerciale.

tabella 6.1
Caratteristiche relè elettromagnetico in DC Valori Unità di misura

Portata max dei contatti (30 V DC) 2 A

Portata minima dei contatti (10 mV DC) 10 μA

Tensione max di commutazione (DC) 220 V

Corrente max di commutazione 2 A

Potenza max di commutazione 60 W

Tensione nominale della bobina 12 V

Resistenza della bobina 720 Ω

Materiale di contatto Argento –

Resistenza d’isolamento (500 V DC) 1000 MΩ

Tempo di eccitazione 4 ms

Tempo di rilascio 3 ms

N° di scambi 2 –

Terminali c.s. –

Vita meccanica 1 108 cicli

Nelle applicazioni pratiche il relè svolge la funzione di amplificatore di commutazione


ossia gestisce potenze molto elevate con piccole potenze di comando controllate dall’inter-
ruttore T ( figura 6.3 ).
T Max 10 A-1,5 kVA
250 V (AC) 6 A
Fusibile
NC NA

12 V

220 V (AC)
Lampade controllate

(I = 100 mA)

Circuito di comando Circuito di carico

figura 6.3
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Unità
6 Attuatori ON/OFF 205
Alcune applicazioni particolari richiedono relè con tempi di ritardo all’attrazione e/o alla
caduta. Questi tipi di relè (detti relè temporizzati) si ottengono con l’opportuna connes-
sione di alcuni componenti elettrici (resistenze, condensatori o resistenze dipendenti dalla
temperatura NTC e PTC). In figura 6.4 è mostrato un relè elettromeccanico in D.C. ritarda-
to sia all’attrazione sia alla chiusura. Il circuito aggiunto RC carica e scarica il condensato-
re con tempi dipendenti dalla costante di tempo τ [ms] = R [kΩ] · C [μF].
T R NC NA

12 V
C

figura 6.4
COM

esempio 6.1
Utilizzando una fotoresistenza come interruttore si può controllare un relè in modo diretto (relè fotoelettrico).
Si consideri la fotoresistenza NORP-12 e il relè della MATSUSHITA-HC3 12 V-DC che presenta una
resistenza di 170 Ω ( figura 6.5 ). Se l’illuminamento è elevato il relè diviene attivo quando l’intensità di
corrente supera 42 mA (inferiore a quella nominale di 70 mA). Quando l’illuminamento diminuisce, il
relè si diseccita poiché l’intensità di corrente che attraversa la bobina scende al di sotto di quella di
tenuta (14 mA).
Illuminamento NC NA

NORP-12

12 V

Matsushita
HC3 12 V-DC
R = 170Ω
figura 6.5 COM

6.1.1 Logica con relè


Una porta logica può essere realizzata con dispositivi di natura diversa da quelli a semicondut-
tori. Di seguito si propone la funzione di una porta logica NAND con due relè che, se eccitati,
attivano dei contatti di commutazione. La logica a relè può ritenersi una forma analoga a quel-
la dei circuiti elettronici anche se inizialmente i piccoli calcolatori erano gestiti mediante relè.
La porta logica NAND a relè è costituita dai contatti normalmente aperti (NA) di due relè
pilotati con segnali A e B che attivano le bobine quando il livello di tensione è alto (5 V).
In uscita (OUT) si ha il livello basso (0 V) solo quando entrambi i contatti NA sono chiu-
si, condizione possibile con gli ingressi A e B a livello alto ( figura 6.6 ).
5V 5V Tabellina della verità
NA NA
COM COM porta logica NAND TTL
1 kΩ NC NC 1 kΩ
OUT A B OUT

0 0 1
(NA) A
0 1 1
(NA) B 1 0 1
1 1 0
OUT A (5 V) (5 V) B

figura 6.6
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3
206 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Lo schema di figura 6.7 evidenzia il significato fisico della porta logica NAND utilizzato per
la simulazione.
La resistenza R = 330 Ω limita l’intensità di corrente nel diodo LED e non cortocircuita la
batteria quando entrambi gli interruttori sono chiusi.

R OUT Tabellina della verità NAND


330
A B OUT
(NA) A
0 0 1
5V LED
0 1 1
(NA) B
1 0 1
1 1 0
figura 6.7

Si disegna con Multisim lo schema di figura 6.8 con le due resistenze R1 = R2 = 50 Ω per
limitare l’intensità di corrente nelle bobine.
Il componente relè è prelevabile con Basic ⇒ Basic_Virtual ⇒ Relay1A_Virtual.
Per il simbolo DIN di figura 6.8 occorre: Options ⇒ Global Preferences ⇒ Parts.
Il relè è attivo quando l’intensità di corrente supera quella di attivazione (ION > 50 mA) e si
disattiva quando l’intensità di corrente scende al di sotto di quella di mantenimento (IOFF <
25 mA).
La figura 6.8 della simulazione riporta lo stato dell’ultima riga della tabellina della verità.

figura 6.8
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Unità
6 Attuatori ON/OFF 207

6.1.2 Relè Reed


La figura 6.9 mostra un particolare relè costituito da una coppia di lamine elastiche di ma-
teriale magnetico (Ferro-Nichel) in un bulbo di vetro (Ampolla Reed da cui il nome di
relè Reed) con atmosfera di gas inerte (Azoto).

figura 6.9

Le lamine aperte nel bulbo si chiudono in presenza di un campo magnetico prodotto da


un magnete permanente o da una bobina avvolta sul bulbo alimentata in DC con l’inser-
zione di un diodo polarizzato inversamente con la funzione di spegnimento ( figura 6.10 ).

d
Ree e ale
cro pol
la ert min
olu s in Ter
Inv Am Ga

Magnete permanente

figura 6.10 Tipo A (Magnete permanente) Tipo B (Bobina)

Il magnete permanente o il campo magnetico generato dalla bobina inducono sulle lami-
ne magnetiche (Stato di OFF) polarità magnetiche opposte a quelle proprie tale da attrar-
le e chiudere il contatto (Stato di ON). Le principali caratteristiche del relè Reed sono:
◗ una bassa resistenza di contatto (mΩ);
◗ una elevata velocità di commutazione OFF/ON;
◗ una vita lunga dei contatti per la presenza di atmosfera neutra;
◗ una piccola dimensione tali da disporlo in contenitori DIP;
◗ la possibilità di eliminare antirimbalzi dei contatti con una minima presenza di mercurio;
◗ la commutabilità di potenze dell’ordine di un centinaio di VA (in alternata).

Il relè Reed di tipo A, per il suo principio di funzionamento, può essere classificato come
un sensore magnetico utilizzabile nel rilievo di presenza di campo magnetico (sensore
magnetico di prossimità).
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208 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Un’applicazione del relè Reed, visto come sensore magnetico, può essere quella di un
controllo di una finestra aperta o chiusa come mostra la figura 6.11. Il relè Reed, sensore
magnetico, all’atto dell’apertura della finestra, non rilevando più presenza di campo ma-
gnetico, attiva un circuito d’allarme.

+ 12 V + 12 V + 12 V
Sirena
Reed NA NC
g ne
te Attivo
Ma
10 kΩ
10 kΩ
22 kΩ
a
ert Aperto 2N1711
ap
a
e str
Fin ON
27 kΩ
2N1711
OFF
10 kΩ

figura 6.11 220 V

6.2 Transistor
Il transistor bipolare BJT è un attuatore a semiconduttore il cui principio di funzionamento
come interruttore elettronico (ON/OFF) è dovuto all’intensità di corrente di base IB. Se la IB
è trascurabile (IB = 0) anche quella di collettore è trascurabile (IC = 0) e il transistor si com-
porta come un circuito aperto (VCE = VCC). Se, invece, l’intensità di corrente iniettata nella
base è elevata (IB = IB-Sat), anche quella di collettore IC è elevata e il transistor è in saturazio-
ne (VCE-Sat = 0). In tal caso il transistor si comporta come un circuito chiuso ( figura 6.12 ).

I B(Sat) C
IC IC IC
C
IB RC RB RC I C(Sat) ON B ON
B
TR VCE
VBE IB E
E C
RB
VBB VCC VCC
IB(Int) B OFF
I C(Int) OFF

VSat VInt VCE E


figura 6.12 Circuito di polarizzazione Funzionamento come interruttore Condizioni di lavoro Stati di funzionamento

Considerato che hFE = IC /IB, dal circuito di figura 6.12 si ricava:

VCC − VCE -Sat


I C -Sat = [6.1]
RC
I C -Sat
I B-Sat = [6.2]
hFE -min
V BB − V BE -Sat
I B-Sat = [6.3]
RB
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Unità
6 Attuatori ON/OFF 209

esempio 6.2
Si calcoli il valore dell’intensità di corrente IB di un transistor BJT sapendo che hFE = 500 e l’intensità di
corrente IC = 10 mA.

Poiché il guadagno statico in corrente è indicato dal parametro:


IC
hFE =
IB
si ha:

IC 10 ⋅ 10− 3
IB = = = 0, 02 mA = 20 µA
hFE 500

esempio 6.3
Sapendo che VF(LEd) = 1,7 V e Id(LEd) = 10 mA, applicando un’onda quadra di tipo TTL (0 V o 5 V) all’in-
gresso del circuito, si dimensionino i componenti per il transistor 2N2222.
Si assuma:
hFE-min = 75 (IC = 10 mA)

VCE-Sat = 0,3 V

VBE-Sat = 0,6 V

VCC = 12 V

IC
RC
RB

5V IB VCC
0V
VBB
TTL
figura 6.13

Applicando il principio di Kirchhoff alla maglia d’uscita e d’ingresso si ricavano:

VCC − VCE-Sat − VD ( LED ) 12 − 0, 3 − 1, 7


RC = = = 1 kΩ
IC-Sat 03
10 ⋅ 10

IC-Sat 10 ⋅ 10 –3
IB-Sat = = = 133, 3 ⋅ 10 −6 A = 133 µA
hFE-min 75

VBB − VBE-Sat 5 − 0, 6
RB = = = 33082, 7 (33 kΩ )
IB-Sat 13, 3 ⋅ 10−6

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3
210 Modulo Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

Lo schema elettrico di figura 6.13 può essere disegnato con Multisim come in figura 6.14 per la si-
mulazione.

figura 6.14

Si osservi il funzionamento ON/OFF (diodo LeD_Red acceso o spento) e contemporaneamente su


quale livello del segnale TTL il diodo LeD diviene luminoso.
Cambiare la frequenza del segnale TTL e osservare i tempi acceso/spento del diodo LeD.
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Unità
6 Attuatori ON/OFF 211

esercizi
svolti

1 Utilizzando un relè Reed come interruttore si può controllare un relè di potenza che attiva un carico.

Si consideri il relè Reed di tipo A inserito nel circuito di figura 6.15a e il relè della MATSUSHITA-HC3 12 V-DC.
Se il relè Reed rileva presenza di campo magnetico diviene attivo ed eccita il relè di controllo. Il relè Reed
si diseccita quando non c’è presenza di campo magnetico. Il sistema può essere utilizzato, ad esempio,
per l’accensione di lampade controllate da un sensore magnetico ( figura 6.15b ).

NA NC NA
NC
Magnete

12 V 12 V 12 V
R 120 Ω

Com
Com 220 V

figura 6.15 a) b)

2 Si realizzi un controllo di luminosità, di tipo ON/OFF, per l’accensione di un gruppo di lampade da uti-
lizzare in un impianto d’illuminazione.

Si utilizza un transistor funzionante in ON/OFF con una tensione d’alimentazione VCC = 12 V identica a
quella del relè. Sia RB = 1550 Ω la resistenza della bobina.
Lo schema di base è quello di figura 5.4 (Æ Unità 5 del presente modulo) dove il LeD e la resitenza
R1 sono sostituite da un relè con resistenza interna RB = 1550 Ω e con l’alimentazione VCC = 12 V
( figura 6.16 ).

Attuatore di potenza

NC NA

Fusibile
1N4001

R1
15 k Ω

12V
R2
Gruppo di lampade controllate 220V (AC)
VCC 470 Ω
2N2222
Illuminamento

R lx
NORP-12 Attuatore
Trasduttore ON/OFF

figura 6.16

Quando c’è luce la fotoresistenza assume un valore di resistenza trascurabile che porta il transistor nello
stato di OFF (lampade spente). Quando è buio, la fotoresistenza assume un valore resistivo alto tale da
mandare in conduzione il transistor portandolo nello stato di ON (lampade accese).

L’esempio proposto è un semplice sistema di controllo di luminosità a catena aperta. Il trasduttore rileva la
luminosità, il transistor è l’attuatore ON/OFF che attiva, a sua volta, il relè (attuatore di potenza) per azio-
nare il gruppo di lampade. La figura 6.17 schematizza il sistema a blocchi.

Luminosità Trasduttore R Conversione V Attuatore V Attuatore V Gruppo


luminosità potenza di
lx / R R/V (Transistor) (Relè) lampade

figura 6.17
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212 Modulo
3 Componenti, sensori, trasduttori e attuatori

esercizi proposti
1. Che cosa è un generico attuatore? 6. Si può invertire la posizione del diodo LeD nello
............................................................................. schema di figura 6.18.
............................................................................. ❑ vero
............................................................................. ❑ falso

2. Il termine elettromeccanico, per un relè, indica: 7. Il relè elettromeccanico può essere classificato
come un amplificatore ON/OFF.
.............................................................................
❑ vero
.............................................................................
❑ falso
.............................................................................

8. Il relè elettromeccanico può funzionare con ten-


3. Che cosa contiene l’ampolla di Reed?
sione alternata.
.............................................................................
❑ vero
............................................................................. ❑ falso
.............................................................................
9. Il relè reed di tipo A può essere classificato come
4. Quando un transistor è in interdizione? un dispositivo magneto-meccanico.
............................................................................. ❑ vero
............................................................................. ❑ falso
.............................................................................
10. Il relè reed può essere utilizzato in applicazioni
5. Si calcolino i valori delle resistenze R C ed R B lineari.
figura 6.18 perché il transistor vada in saturazione.
❑ vero
Sia VF(LEd) = 1,8 V, Id(LEd) = 10 mA, Vi = 0 V÷10 V
(Segnale C-MOS), hFE-min = 75 (con IC = 10 mA), ❑ falso
VCE-Sat = 0,2 V, VBE-Sat = 0,55 V, VCC = 18 V.
11. Il guadagno statico hFE del transistor è il rapporto
VCC tra la IB e la IC.
RC IC
❑ vero
LED
❑ falso

10 V RB IB
2N1711 12. Il termine hFE ⋅ IB del transistor è un generatore
0V
C_MOS ideale di corrente.
❑ vero
figura 6.18 ❑ falso
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Applicazioni Modulo
per la
simulazione
4
Unità 1 Principi di funzionamento
degli strumenti di misura
Unità 2 L’ambiente grafico di Multisim
Unità 3 Alimentazione e strumentazione di
Multisim
Unità 4 Strumentazione per la generazione
di segnali e misurazioni
Prerequisiti Unità 5 Analisi di Multisim
■ Conoscenza dell’ambiente Windows. Unità 6 LabVIEW

Obiettivi
■ Conoscere il principio di funzionamento degli Applicazioni
strumenti di misura. per la simulazione
■ Disegnare, modificare e dimensionare un circuito
elettronico ed elettrotecnico.
■ Saper scegliere la strumentazione adatta per la
simulazione e verificare la validità dei risultati. U.1 U.2 U.6
■ Conoscere le diverse tipologie dei programmi CAD. Strumenti L’ambiente grafico
LabVIEW
■ Saper dimensionare i componenti di un circuito di misura di Multisim
elettronico ed elettrotecnico anche in base ai risultati
della simulazione. U.3
■ Saper utilizzare gli strumenti software per lo studio di Alimentazione
sistemi complessi. e strumentazione
■ Saper verificare la validità dei risultati confrontando di Multisim
due o più grafici.
■ Conoscere l’ambiente di programmazione grafica e
U.4
le caratteristiche di base di LabVIEW.
Strumentazione
■ Saper realizzare semplici applicazioni Virtual per la generazione
Instruments (VI) con LabVIEW. di segnali
e misurazioni

U.5
Analisi di Multisim
Simulazioni
■ Simulazione con LabVIEW del controllo
del livello di un liquido in un serbatoio
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unità 1 Principi
di funzionamento
degli strumenti di misura
1.1 Strumenti di misura
Le grandezze fondamentali del Sistema Internazionale S.I. di misura
sono la Lunghezza (Metro), la Massa (Kilogrammo), il Tempo (
Secondo), la Intensità di corrente elettrica (Ampere), la Temperatura
(Kelvin) la Intensità luminosa (Candela) e la Quantità di sostanza
(Mole).

La intensità di corrente, ovvero la quantità di carica elettrica che


attraversa la sezione di un conduttore nell’unità di tempo, è la
grandezza elettrica fondamentale definita come segue.
figura 1.1

L’intensità di corrente elettrica I mantenuta costante in due conduttori rettilinei paral-


leli di lunghezza infinita produce, tra i due conduttori posti a 1 metro di distanza nel
vuoto, una forza elettromotrice F = 2 ⋅ 10-7 N per ogni metro di lunghezza.

Dalla grandezza elettrica fondamentale si derivano e definiscono le altre grandezze elettriche


come la Tensione V, la Resistenza R = V / I e la Potenza P = V ⋅ I (in corrente continua).

■ Misura della intensità di corrente (Amperometro)


Uno strumento misuratore di intensità di corrente continua (figura 1.1), in modo semplificato
è costituito da una bobina in rame con una resistenza Ri molto piccola (equipaggio mobile)
immerso in un campo magnetico generato da un magnete permanente (equipaggio fisso).
L’interazione tra i due campi elettromagnetici mette in rotazione, per effetto di una coppia
motrice contrastata da una molla antagonista, l’equipaggio mobile. Un ago, solidale con
l’equipaggio mobile, indica, su una scala tarata, il valore dell’intensità di corrente.
Il campo di misura di fondo scala IFS è compreso tra 1 mA e 1 A. Per aumentare la porta-
ta si utilizza una resistenza di valore molto piccolo collegata in parallelo alla resistenza
interna Ri dello strumento detta resistenza di Shunt ed indicata con RS ( figura 1.2 ).
Il dispositivo, così costituito, è detto amperometro magnetoelettrico e la casa costruttrice
ne indica il tipo con un simbolo riportato sul quadrante, come mostra la figura 1.2 .

Magnete permanente

Ri 1 mA

Simbolo

mA
0 Scala 1
1A Ri 1 mA
Corrente
continua
na
bi
Bo

I
Ri 0Ω S Shunt

figura 1.2 RS
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Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 215
In commercio esistono vari tipi di misuratori di intensità di corrente come:
• il Galvanometro (rivelatore di zero);
• l’Amperometro elettromagnetico o a ferro mobile (misuratore di intensità di corrente con-
tinua e alternata);
• lo Strumento a filo caldo che sfrutta la dilatazione termica subita da un corpo metallico
per effetto della temperatura;
• lo Strumento a spirale metallica che sfrutta la dilatazione termica di due metalli diversi;
• lo Strumento a termocoppia ( figura 1.3 ) che sfrutta gli effetti termici (Seebeck, Peltier e
Thomson).

mA

Termocoppia

I
Filo
riscaldatore
Bulbo vuoto
figura 1.3

Lo strumento a termocoppia è costituito da un bulbo sotto vuoto che contiene un filo


sottile riscaldatore e una termocoppia come rivelatore di intensità di corrente misurata da
un milliamperometro ( figura 1.3 ). È, in pratica, uno strumento di precisione adatto per la
misura di intensità di corrente in DC e in AC. Poiché la misura di intensità di corrente in
AC è indipendente dalla frequenza, il dispositivo è adatto e preciso nel campo di misure
in alta frequenza.

■ Misura di tensione (Voltmetro)


L’amperometro può essere utilizzato per la misura di dif-
ferenza di potenziale tra due punti espressa in Volt (misu-
ra di tensione) se si conosce la resistenza interna Ri dello
strumento e quella addizionale RV di valore molto grande
collegata in serie alla resistenza interna Ri ( figura 1.5 ). La
scala dell’amperometro tarata in Volt realizza il misuratore
di tensione detto voltmetro ( figura 1.4 ). Con una intensità
di corrente di fondo scala IFS si ottiene un Voltmetro con
fondo scala

VFS = (Ri + RV) ⋅ IFS.


figura 1.4

E B
R
A
0 Volt 30

mA Ri
RV

Voltmetro
figura 1.5
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4
216 Modulo Applicazioni per la simulazione

■ Misura di resistenza (Ohmmetro)


L’amperometro disposto in una maglia alimentata in tensione continua E, chiusa su una
resistenza aggiuntiva R e sulla resistenza incognita RX ( figura 1.6 ) permette la misura del
valore della resistenza. Se la RX = 0 W la corrente di cortocircuito ICC deve coincidere con
quella di fondo scala IFS. Si ha:

ICC = E / (Ri + R) = IFS

In presenza di una resistenza incognita RX si ha I = E / (Ri + R + RX ). Tarando la scala in


Ohm da ∞ (RX = ∞ circuito aperto) a 0 (RX = 0 W) si costruisce la scala in Ohm. Se, ad
esempio, la resistenza incognita è RX = (Ri + R), la intensità di corrente diviene IFS/2 e
l’indice si porta a metà scala ( figura 1.6 ).

I RX

mA RX Ri
Ri
E Ohm
0
R

figura 1.6

■ Tester analogico

È uno strumento analogico a portate multiple che permette


misure:
• di intensità di corrente (DC e AC);
• di tensione (DC e AC);
• di resistenze;
• di bassa frequenza (< 500 Hz);
• di capacità;
• di dB;
figura 1.7 • di continuità.

Il tester analogico utilizza, per le misure, gli schemi analizzati precedentemente lette su
una unica scala tarata con le relative unità di misura. La selezione del tipo di misura e di
portata si ottiene mediante due commutatori o una serie di boccole ( figura 1.7 ). Lo stru-
mento presenta una bassa impedenza di ingresso e non ha alcuna protezione, pertanto
una inserzione errata nella misura lo distrugge.

■ Multimetro numerico (Digitale)


È un dispositivo che ha sostituito il tester analogico. Le caratteristiche fondamentali sono:
• alta impedenza di ingresso (molto più elevata di quella del tester analogico);
• la lettura in forma numerica con indicazione di polarità, virgola e unità di misura;
• la selezione automatica delle portate;
• la protezione automatica;
• la elevate sensibilità e precisione;
• la possibilità di utilizzarlo in sistemi di misure automatiche se dotato di interfaccia.
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Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 217
Il multimetro digitale misura tutte quelle del tester ana-
logico e alcune particolari come la tensione del vero
valore efficace (True RMS), il guadagno statico hFE dei
BJT, ecc.

Qualsiasi sia la grandezza elettrica di ingresso, il multi-


metro digitale (DVM acronimo di Digital VoltMeter)
misura e visualizza numericamente solo la tensione.
Ogni grandezza elettrica, per essere misurata, deve esse-
re convertita in una tensione.

La struttura semplificata a blocchi è riportata nella


figura 1.9 dove si evidenziano:

• i circuiti di ingresso convertitori (ad esempio il con-


vertitore I/V, R/V, ecc.);
• una rete resistiva di precisione per la selezione delle
portate;
• un convertitore Analogico/Digitale A/D che converte la
tensione analogica di ingresso in un segnale digitale;
• un decoder/driver;
figura 1.8 • alcuni display visualizzatori di cifre decimali.

V
Convertitore
V
AC / DC
Partitore
V Convertitore Decoder
resistivo
Convertitore A/D driver
I di precisione
I/V

Convertitore
W
R/V

figura 1.9

■ Generatore di funzioni
Il generatore di funzioni (figura 1.10) è uno strumento di
grande flessibilità che genera sia segnali di forme e
ampiezze diversi quali sinusoidali, quadri, triangolari e
a rampa sia il segnale TTL con frequenze da qualche
Hz fino a una decina di MHz. I generatori di funzioni
professionali sono dotati di un controllo di simmetria
(Duty Cycle), di un offset (somma di una componente
continua) e generano anche segnali modulati in
ampiezza (AM), in frequenza (FM) e altri.

figura 1.10

Generalmente lo strumento produce internamente un segnale ad onda quadra dal quale


si ottiene, per integrazione, il segnale triangolare. Un circuito formatore di sinusoide
forma, dal segnale triangolare, l’onda sinusoidale approssimata con una bassa distorsione.
Nella figura 1.11 è riportato uno schema a blocchi molto semplificato.
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4
218 Modulo Applicazioni per la simulazione

Frequenza

Generatore
TTL Uscita
onda quadra

Circuito Amplificatore
Attenuatore Uscita
integratore segnale

Formatore
di sinusoide Offset Ampiezza

figura 1.11

■ Frequenzimetro digitale
Il frequenzimetro digitale (figura 1.12) misura e visualizza
la frequenza di un segnale periodico con un conteggio
dei periodi contenuti nella unità di tempo. Questa unità,
detta anche tempo base, è realizzata con un livello alto
di un segnale della durata di 1 secondo applicato ad una
porta logica AND vista come sistema di controllo. All’in-
terno del segnale della unità base sono contenuti i perio-
di del segnale di ingresso, contati, memorizzati e visua-
lizzati da alcuni display. Lo schema a blocchi, semplifi-
figura 1.12
cato, è riportato nella figura 1.13.

f Circuito
Ingresso squadratore

Contatore
AND Memoria
BCD

Tempo Unità di
base controllo

figura 1.13

■ Oscilloscopio
L’oscilloscopio (figura 1.14) visualizza su uno schermo
fluorescente un qualsiasi segnale elettrico (in tensione)
variabile nel tempo. L’elemento principale è il Tubo a
Raggi Catodici (TRC) riportato in figura 1.15. Un filamen-
to (F) riscalda il catodo (K) che genera ed emette elet-
troni controllati da una griglia (G), collimati in un
fascio, accelerati e focalizzati (A) e deflessi da due cop-
pie di placche in senso orizzontale (X) e verticale (Y).
figura 1.14
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Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 219
Il fascio di elettroni acquisisce energia che la restituisce in forma luminosa puntiforme
colpendo lo schermo. Per effetto della doppia deflessione il punto luminoso si sposta sullo
schermo descrivendo la traccia del segnale (figura 1.15).

G A
F K X X

Y X

figura 1.15

Lo schema semplificato a blocchi dell’oscilloscopio monotraccia è mostrato in figura 1.16.


Molto particolare è il circuito di ingresso con un selettore a tre posizioni che permette:

• nella posizione GND di posizionare la traccia di riferimento su una qualsiasi posizione


dello schermo;
• nella posizione DC visualizza la traccia effettiva del segnale d’ingresso;
• nella posizione AC visualizza la traccia eliminando la eventuale componente continua
associata al segnale di ingresso. Si tenga presente che un segnale sinusoidale non con-
tiene la componente continua a differenza di un segnale raddrizzato a semplice o dop-
pia semionda che contiene una componente continua.

AC

GND Amplificatore
Ingresso Attenuatore Preamplificatore
Y
DC

Int
Generatore Amplificatore
Ext Trigger
di rampa X

figura 1.16

L’oscilloscopio, oltre a visualizzare la traccia del segnale, permette misure di ampiezza e


di tempo (misura il periodo T di un segnale sinusoidale dal quale si definisce la frequen-
za f = 1 / T corrispondente). In commercio esistono vari tipi di oscilloscopi come:

• l’oscilloscopio a doppia traccia (permette il confronto tra due tracce e la misura di fase
tra due segnali isofrequenziali);
• l’oscilloscopio con memoria (mantiene la traccia sullo schermo);
• l’oscilloscopio campionatore (ricostruisce per punti la forma d’onda campionando il
segnale di ingresso).
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4
220 Modulo Applicazioni per la simulazione

■ Analizzatore logico
L’analizzatore logico (figura 1.17) acquisisce da un circuito
logico complesso e memorizza un certo numero di segna-
li digitali secondo un ordine scandito da un segnale di
riferimento (Clock). La struttura di principio è costituita da:
• un sistema di acquisizione dati;
• un sistema di sincronizzazione;
• un sistema di elaborazione;
• uno schermo fluorescente per la visualizzazione delle
figura 1.17 tracce digitali.

La rappresentazione grafica sullo schermo può essere sotto forma di tabella con cifre bina-
rie, ottale o esadecimale e sotto forma di diagrammi temporali.

■ Analizzatore di spettro
L’analizzatore di spettro (figura 1.18) visualizza, nel domi-
nio della frequenza, la distribuzione spettrale delle am-
piezze delle armoniche di un segnale periodico. Le am-
piezze delle singole armoniche possono essere misurate.
Senza entrare in merito al complesso principio di fun-
zionamento, per il quale si rimanda a testi specifici, il
rilievo delle singole armoniche, sotto forma di righe, si
può ottenere, ad esempio, variando l’accordo di un fil-
figura 1.18 tro molto selettivo lungo tutta la banda passante del
segnale periodico di ingresso.
La struttura dell’analizzatore di spettro, non riportata come schema a blocchi, risulta molto
complessa. Nella figura 1.19 si riporta, invece:
• una rappresentazione grafica, traslata nel dominio del tempo, delle finestre che conten-
gono i singoli segnali sinusoidali rilevati dal filtro selettivo;
• una rappresentazione spettrale nel dominio della frequenza, rappresentate da una sequenza
di righe, che mostra le ampiezza delle armoniche del segnale periodico ad onda quadra.

za
en
qu
Fre
f


le
tra
pet
3° n es
zio
ta
se
re
pp
Riga

Ra
Fondamentale ( 1° armonica)

figura 1.19 Segnale periodico (Onda quadra)


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Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 221
■ Alimentatore
Per alimentare i circuiti elettronici è
necessario convertire la tensione alter-
nata di rete, con dispositivi detti ali-
mentatori (figura 1.20), in una tensione
di valore opportuno continua e stabi-
lizzata ossia indipendente dal carico e
dai parametri dei fattori esterni.

figura 1.20

Lo schema a blocchi, riportato in figura 1.21 è costituito da:


• un trasformatore (modifica i parametri I e V della potenza);
• un ponte raddrizzatore (trasforma la tensione sinusoidale a valore medio nullo in una
tensione pulsate a valore medio diverso da zero);
• un filtro (generalmente capacitivo che rende la tensione pulsante in una tensione
“quasi” continua);
• un integrato regolatore o stabilizzatore (rende la tensione di uscita perfettamente con-
tinua indipendentemente dalle variazione sia del carico che da quelle della tensione di
rete).
Regolatore 0 IL 1,5
Trasformatore Ponte raddr. Filtro V
[V]
220 V AC 1,25-28 V0 [A]
317
Ingresso Uscita DC I L [A] 1,2 V0 28

1,5 [V]
figura 1.21

La figura 1.22 mostra lo schema funzionale di un alimentatore stabilizzato, limitato in cor-


rente (IL = 1,5 A) e protetto contro i cortocircuiti con tensione di uscita V0 compresa tra
1,25 V e 28 V. Come regolatore di tensione si utilizza l’integrato LM317VH della National
che ha le seguenti caratteristiche:
• tensione di uscita V0 regolabile da 1,2 V a 57 V;
• intensità massima di corrente 1,5 A;
• regolazione di tensione V0 = 1,25 ⋅ (1+ Rp/R1).
D1 1N4002

0,5 A LM117VH
IN OUT
Adj
R1
1N4002

100 nF
75 VA 240Ω
1N4002 3,3 mF D2
220 V AC 36 V V0
100 nF
Rp
100 μF
4 x 1N4002 4,7 kΩ 10 μF

figura 1.22
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4
222 Modulo Applicazioni per la simulazione

La tensione di uscita è regolata dalla potenziometro Rp. I diodi D1 e D2 sono necessari per
la presenza rispettivamente dei condensatori C2 e C1. Si raccomanda di fissare il regolato-
re LM117VH su un dissipatore.

■ Conclusioni (condizioni di misure)


Quando si effettua una misura su componenti di uno schema elettrico bisogna fare
attenzione alle resistenze (impedenze) di ingresso degli strumenti utilizzati, poiché
queste possono rendere la misura completamente errata come si può riscontrare di
seguito.

1.2 Misura di tensione


Qualsiasi strumento di misura inserito in parallelo, ad esempio a una resistenza (voltmetro,
tester, multimetro, oscilloscopio, ecc.), deve avere una resistenza (impedenza) interna
elevata, teoricamente infinita comunque non compatibile con quella sulla quale si effettua
la misura perché questa non sia falsata.

Come esempio si riporta uno schema semplice per la misura di tensione con un voltmetro
su una resistenza R di una maglia chiusa costituita da una f.e.m. E = 12 V e due resisten-
ze uguale di valore R = 10 MW. La misura di tensione reale ( figura 1.23a), in assenza di
voltmetro, è pari a 6 V

E E
V REALE = R ⋅ = =6 V
2⋅ R 2

mentre in presenza di voltmetro con resistenza interna RV = 10 MW la misura di tensione


( figura 1.23b) risulta pari a 4 V, valore misurato minore di quello reale.

E
V MISURATA = ( R // RV ) ⋅ =
R + ( R // RV )

5 ⋅ 10 −6 5
= 12 ⋅ = 12 ⋅ = 4 V
( 10 + 5 ) ⋅ 10 −6 15

R R
10 MΩ 10 MΩ
Voltmetro

E E
R R
VREALE VMISURATA
12 V 10 MΩ 12 V 10 MΩ RV

10 MΩ

a) b)
figura 1.23
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Unità
1Principi di funzionamento degli strumenti di misura 223

1.3 Misura di intensità di corrente


Qualsiasi strumento inserito in serie per la misura (amperometro, tester, multimetro) in una
maglia chiusa deve avere una resistenza interna RI molto piccola teoricamente di valore
zero comunque non compatibile con quelle della maglia perché questa non sia falsata.

L’esempio di figura 1.24 dimostra come sono diversi i valori di intensità di corrente in una
maglia chiusa costituita da una f.e.m. E = 12 V e due resistenze uguali di valore R = 1 W
senza l’amperometro ( figura 1.24a) e con l’amperometro ( figura 1.24b) la cui resistenza inter-
na è RI = 0,1 W.

E 12 E 12
I REALE = = =6 A I MISURATA = = = 5, 71 A
2⋅ R 2 2 ⋅ R + RI 2, 1

I REALE R 1Ω I Misurato R 1Ω

E E Amperometro
RI 0,1Ω
12 V 12 V

a) R 1Ω b) R 1Ω

figura 1.24b
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unità 2 L’ambiente grafico


di Multisim
Circuit Design Suite 11.0 (marchio registrato) è un pacchetto software, in ambiente
Windows, per la progettazione elettronica costituito da:
◗ Multisim che offre un potente schematico, un vasto database di componenti, la possibi-
lità di eseguire la simulazione del circuito e il trasferimento diretto dello schematico al
software Ultiboard;
◗ Ultiboard adatto alla realizzazione di schede per circuito stampato (Printed Circuit Board
PCB).
NI Multisim 11 è ideale per l’apprendimento dell’elettronica perché consente di disegnare
circuiti analogici, digitali e misti (analogici/digitali), effettuare su di essi prove di simula-
zione, confrontare lo studio teorico con i risultati della simulazione come in un laboratorio
virtuale/reale. Al termine di ogni simulazione è possibile variare la sollecitazione, appor-
tare modifiche al circuito, variare i parametri dei componenti e osservare immediatamente
come tali modifiche influenzino la risposta del circuito.
I segnali o sollecitazioni applicati ai circuiti analogici derivano da generatori di funzioni e
i risultati della simulazione possono essere osservati su una vasta strumentazione (multi-
metro, oscilloscopi, plotter, analizzatore di spettro, ecc.). I segnali applicati ai circuiti digi-
tali derivano dal generatore di parole e possono essere osservati sull’analizzatore di stati
logici. Il programma consente: l’interattività azionando interruttori e potenziometri, la me-
morizzazione e la stampa degli schemi elettrici e dei risultati della simulazione.
Multisim consente, anche, l’utilizzo interno di LabVIEW® che può acquisire i dati della
simulazione. Questa duplice possibilità permette all’utente di confrontare i risultati.
Con Ultiboard, inoltre, si può realizzare un ciclo di progettazione che inizia con il disegno,
prosegue con la simulazione e termina con la realizzazione del master PCB.
Multisim si attiva con la procedura di figura 2.1 .

figura 2.1

Compare, momentaneamente, la figura 2.2 che riporta marchio, proprietà e versione.

figura 2.2
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 L’ambiente grafico di Multisim 225
Dopo alcuni istanti si visualizza il foglio di lavoro di figura 2.3 con l’ambiente di Multisim.

figura 2.3

2.1 L’ambiente grafico di Multisim


Le tipologie di simulazione consentite da Multisim sono molteplici come:
◗ analisi di circuiti in AC e DC;
◗ analisi di circuiti nel dominio della frequenza;
◗ simulazione su schematici con strumentazione virtuale e di tipo commerciale (Agilent e
Tektronix) resi simulabili nell’ambiente di Multisim.
Nella figura 2.3 si distinguono, oltre al pulsante per l’avvio della simulazione e l’area di lavoro:
◗ la barra dei menu (File, edit, ..., tools, ..., WindoWs, Help);
◗ la barra di sistema (neW, open, ..., Undo, Redo, Zoom, ecc.);
◗ la barra archivio dei componenti (soURce, Basic, ..., indicatoR, ..., BUs) dalla quale è
possibile prelevare componenti e dispositivi passivi e attivi ( figura 2.4 );

figura 2.4

◗ la barra degli strumenti (mUltimeteR, ..., oscilloscope, ..., Bode plotteR, ..., tektRonics
oscilloscope, ..., pRoBe, ecc.) dalla quale è possibile prelevare le strumentazioni neces-
sarie per la simulazione ( figura 2.5 ).

figura 2.5
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

4
226 Modulo Applicazioni per la simulazione

2.2 I menu di Multisim


Multisim mette a disposizione dell’utente numerosi menu mediante i quali è possibile
aprire e salvare file, stampare gli schemi elettrici e i risultati delle simulazioni, copiare,
incollare e ruotare componenti, ecc.
Di seguito sono descritte le caratteristiche più significative dei menu.

■ Menu File
Mette a disposizione dell’utente i comandi necessari alla gestione dei file con estensioni
[*.ms11] nella sotto-directory stabilita dall’operatore. Si ricorda che le versioni V4 e V5 di
Electronics Workbench e successive di Multisim assegnavano ai file l’estensione rispettiva-
mente [*.ca, *.cd], [*.ewb], [*.msm], [*.m10].
I comandi più utilizzati sono neW, open, close, save, save as, pRint, exit.

New Crea un nuovo circuito

OpeN... Apre un file esistente

ClOse Chiude il lavoro in corso

save Salva con un nome già assegnato

save as... Salva con un nome da assegnare

priNt... Stampa con numerose opzioni

Exit Chiude il programma

■ Menu Edit
Consente di tagliare, copiare, incollare ed eliminare file, nodi, componenti, strumenti, ecc.
Per copiare e incollare un componente o un gruppo di componenti è necessario selezio-
nare il componente e attivare edit ⇒ copy. Multisim copia uno o più componenti selezio-
nati nella memoria temporanea (Clipper Board). Per incollare edit ⇒ paste.
Il comando delete (Elimina) consente di cancellare definitivamente uno o più componen-
ti selezionati, mentre il comando cUt (Taglia) cancella e li ricopia nella memoria tempo-
ranea consentendo con il comando paste di incollarli in un’altra parte dell’area di lavoro.
Infine il comando Undo (Ripristina) recupera l’ultimo elemento cancellato.

■ Menu View
Consente la visualizzazione delle barre (toolBaRs), del bordo (sHoW BoRdeR), della finestra
(GRapHeR), della griglia (sHoW GRid), l’ingrandimento e la riduzione del disegno (Zoom in
e Zoom oUt), ecc.

■ Menu Place
Consente di piazzare sull’area di lavoro componenti (component), giunzioni (JUnction),
testo (text), commenti (comment ⇒ led) connettori (connectoRs), tracciare bus (BUs), ecc.

■ Menu Simulate
Mette a disposizione numerosi comandi per l’impostazione e l’esecuzione dell’analisi del cir-
cuito. I comandi RUn (avvia simulazione) e paUse (pausa) sono riportati anche in alto a destra
dell’area di lavoro (bottoni Pause e 0/I). Il menu consente all’operatore di piazzare sull’area di
lavoro gli strumenti (Instruments) e scegliere il tipo di analisi per la simulazione (Analyses).
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 L’ambiente grafico di Multisim 227
■ Menu Transfert
Consente di collegare il circuito disegnato per la simulazione a Ultiboard al fine di realiz-
zare il master del circuito stampato (PCB Layout).

■ Menu Tools
Consente di creare e modificare componenti.

■ Menu Options
Permette di visualizzare il numero dei nodi di connessione (sHeet pRopeRties... ⇒ ciRcUit
⇒ sHoW all), modificare il fondo dell’area di lavoro di disegno e il colore delle linee (sHeet
pRopeRties... ⇒ ciRcUit ⇒ WHite BlackGRoUnd), impostare lo spessore delle linee (sHeet
pRopeRties... ⇒ WiRinG ⇒ WiRe WidtH ⇒ digitare il numero da 1 a 15), selezionare il Font
di scrittura (sHeet pRopeRties... ⇒ Font ⇒ selezionare Font, Font Style e Size), ecc.

Ad esempio, per visualizzare il numero dei nodi di uno schema elettrico, utili per effettua-
re alcune simulazioni, su uno schema elettrico ( figura 2.6a ) è necessario attivare options
(di menu) ⇒ sHeet pRopeRties... ⇒ ciRcUit ⇒ sHoW all ⇒ ok.

Il numero del nodo può essere modificato (personalizzato) con un doppio clic (sinistro)
sul nodo o sul filo di collegamento. Alla comparsa della finestra di net settinG digitare,
nel campo pReFeRRend net name, il nuovo nome. Nella figura 2.6a è stato sostituito il nodo
4 con il nuovo nome V04 ( figura 2.6b ).

figura 2.6

Dalla figura 2.6 si evidenzia che Multisim attribuisce il numero “0” al nodo di massa e as-
segna il numero anche alle connessioni tra due componenti (vedi nodi 2, 3 e 5), poiché
il simulatore permette l’analisi in un qualsiasi punto di connessione, compreso quella tra
due componenti adiacenti del circuito.

2.3 Disegno di schemi elettrici


Multisim consente di:
◗ catturare i componenti e la strumentazione;
◗ collegare i componenti o inserirli direttamente su linee di connessione già tracciate sen-
za doverle cancellare;
◗ spostare, ruotare componenti e strumentazione, selezionare, copiare e cancellare com-
ponenti e strumentazione;
◗ selezionare porzioni di disegno per spostarle o cancellarle;
◗ impostare etichette, cambiare il colore dei collegamenti (opzione utile quando si utilizza
la strumentazione), tracciare alcuni segni grafici e i Font di scrittura;
◗ aprire, salvare file, stampare gli schemi elettrici e i risultati della simulazione.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
228 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

Per collocare un componente si deve:


◗ fare clic su un campo archivio della barra dei componenti (es.: Basic) di figura 2.7 ;

figura 2.7

◗ selezionare sulla finestra il gruppo dei componenti occorrenti (es.: ResistoR);


◗ scegliere il valore nominale della resistenza (es.: 1 kΩ), fare clic su Ok e chiudere con
close ( figura 2.8 ).

figura 2.8

Per collocare un strumento si deve fare clic sulla icona dello strumento (es.: mUltimeteR)
collocata sulla barra strumentazione e trascinarlo sull’area di lavoro (figura 2.9 ). Per visua-
lizzare lo schermo dello strumento doppio clic (tasto sinistro) sul riquadro (figura 2.10 ).

figura 2.9 figura 2.10


ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 L’ambiente grafico di Multisim 229
Per tracciare le linee di connessione è necessario:
◗ trascinare il puntatore del mouse su un reoforo di un componente (punto d’ancoraggio)
e fare clic quando compare un pallino nero;
◗ tenere premuto il tasto e trascinare il puntatore sul reoforo di un altro componente. Si
tenga presente che Multisim traccia automaticamente la linea ortogonalizzata e dispone
il numero di connessione);
◗ rilasciare il tasto ( figura 2.11 ).

figura 2.11

La possibilità di scegliere il colore delle linee di collegamento è particolarmente utile per-


ché Multisim, come si vedrà in seguito, assegna ai segnali visualizzati sulla strumentazione
il colore delle linee di collegamento.
Per assegnare un colore a una linea è necessario trascinare il puntatore del mouse sulla
linea e fare clic con il tasto destro. Successivamente si deve fare clic su coloR seGment
della finestra, selezionare il colore da assegnare alla linea e chiudere con Ok.

Per cancellare un componente, un filo o un nodo si evidenzia uno o più elementi e si


cancella con canc, oppure facendo clic sul tasto destro su un componente e attivando
delete.

La figura 2.12 mostra uno schematico di Multisim per la misura di potenza attiva fornita dal
generatore di tensione. È opportuno piazzare tutti i componenti con la rotazione adatta,
la strumentazione, senza dimenticare la massa. Effettuare i collegamenti ed eventualmente
visualizzare la numerazione dei nodi.

figura 2.12
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
230 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

2.4 Nome del componente


Multisim assegna al componente selezionato, ad esempio il resistore di 1 kΩ, il nome, il
valore nominale e la tolleranza ( figura 2.13 ). Per modificare il valore si deve fare doppio
clic sul componente e accedere alla finestra che riporta il valore del componente. In alter-
nativa è necessario fare clic con il tasto destro e poi selezionare pRopeRties.

figura 2.13

2.5 Categorie componenti


Multisim utilizza due categorie di componenti:
◗ virtuali;
◗ reali.
Multisim permette di definire alcuni parametri dei componenti virtuali ma non il tipo di
contenitore. Questi componenti sono adatti per la simulazione ma non per Ultiboard che
disegna il circuito stampato (PCB).
I componenti reali sono definiti sia con tutti i parametri che per il tipo di contenitore
commerciale e sono adatti per la simulazione e per Ultiboard.

2.6 Simboli componenti


Multisim rappresenta i simboli dei componenti secondo le norme ANSI. Per passare a
quelle DIN occorre selezionare options ⇒ GloBal pReFeRences ⇒ paRts ⇒ din.
In elettronica sono normalmente usati i componenti con le norme ANSI ma in qualche
caso torna utile l’utilizzo delle norme DIN. La figura 2.14 riporta il relè con norme ANSI e
DIN. Il pallino accanto alla bobina del relè con norme DIN indica la polarità riferita al
polo negativo dell’alimentazione.

figura 2.14
L’operatore comunque può utilizzare per uno stesso schematico sia i componenti a norme
ANSI sia a norme DIN. Si ricorda che se si utilizzano le norme DIN i successivi compo-
nenti catturati sono tutti a norme DIN. Per tornare ai componenti ANSI occorre riattivarli.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
2 L’ambiente grafico di Multisim 231

2.7 Componenti 3D
Multisim consente di disegnare
schemi elettrici con componenti
elettronici 3D catturabili con Wiev
⇒ toolBaRs ⇒ 3D components
oppure selezionando 3D viRtUal
dal gruppo Basic. In figura 2.15 è
riportato uno schema elettrico con
transistor funzionante in ON/OFF
per accendere un LED interagen-
do con l’interruttore dopo aver
attivato la simulazione.

figura 2.15

2.8 Basetta Breadboard


Per la realizzazione di semplici circuiti Multisim mette a disposizione dell’utente la Breadboard
per il montaggio di componenti senza saldature. La basetta si cattura dalla barra Menu con
tools ⇒ sHoW BReadBoaRd (figura 2.16 ). Per utilizzarla occorre disporre sull’area di lavoro
tutti i componenti necessari per la costruzione dello schematico prima di catturarla poiché con
la visualizzazione della Breadboard compaiono, in basso, anche i componenti da utilizzare.
La figura 2.16 mostra il montaggio sulla Breadboard dello schematico di figura 2.15 . La pie-
dinatura dell’integrato si visualizza disponendo il cursore sui singoli piedini (figura 2.17 ).
Per uscire dalla Breadboard e tornare allo schematico clic su X oppure selezionare WindoW
⇒ close.

figura 2.16 figura 2.17

2.9 Cattura dell’area di schermo


Multisim consente riquadrare uno schematico o una porzione selezionando tools ⇒ captURe
scReen aRea, memorizzarlo nella memoria virtuale di Windows, copiarlo su un documento
Word oppure utilizzare Paint per modificarlo.
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232 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

Per la cattura del riquadro clic su copy


to clipBoaRd (in alto a sinistra del riqua-
dro) e close (in alto a destra del riqua-
dro) per uscire.
Come esempio nella figura 2.18 si riporta
lo schematico utilizzato per la Breadboard
della figura 2.16 comprensivo di riquadro.

figura 2.18

2.10 Trasduttori di Multisim


In Multisim sono disponibili anche numerosi trasduttori cattura-
bili dalla barra archivio misc selezionando tRansdUceRs (figura 2.19
e figura 2.20 ).

figura 2.19 figura 2.20

Dopo aver selezionato tRansdUceRs, Multisim


apre una finestra con una serie di trasduttori.
Selezionandone uno, ad esempio HEL-700-T0A,
si visualizza il simbolo (ANSI) del trasduttore e
la relativa funzione (figura 2.21 ).

figura 2.21

Nella figura 2.22 sono riportati alcuni tipi di trasduttori di


Multisim: di posizione, di temperatura (termoresistenze RTD
nel range – 200 °C ÷+ 540 °C con valori nominali di 100 Ω,
1 kΩ, 1854 Ω), di pressione, a effetto Hall, fototransistor
(Rx) e infrarosso (Tx).

figura 2.22
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

unità 3 Alimentazione
e strumentazione
di Multisim
3.1 Alimentazioni e segnali
Multisim mette a disposizione dell’utente numerosi segnali per l’alimentazione degli sche-
mi elettrici sia in tensione sia in corrente come:
◗ sorgenti d’alimentazione in tensione (AC e DC);
◗ sorgenti d’alimentazione in corrente (AC e DC);
◗ sorgenti d’alimentazione in tensione trifase (Stella e Triangolo);
◗ segnale a onda quadra (Clock);
◗ segnale a onda triangolare;
◗ segnale di clock digitale;
◗ segnali modulati;
◗ ecc.

La figura 3.1 mostra alcuni segnali e delle alimentazioni in tensione.

figura 3.1

3.2 Strumenti indicatori


Multisim mette a disposizione dell’utente numerosi strumenti che consentono di analizza-
re i risultati delle simulazioni.
Gli strumenti possono essere prelevati dalla barra dei componenti (IndIcator), dalla barra
degli strumenti e dal menu SImulate (InStrumentS).
L’archivio IndIcatorS contiene il voltmetro, l’amperometro e gli indicatori, mentre nella
barra strumenti sono raggruppati gli strumenti virtuali (multImetro, ..., oScIlloScopIo, ...,
analIzzatore dI Spettro, ..., probe (meaSurement), ..., ecc.).

Multisim consente di utilizzare più strumenti uguali sullo stesso schema elettrico.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
234 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

3.2.1 Voltmetro e Amperometro


Il voltmetro e l’amperometro sono contenuti nella barra dei componenti (archivio IndIcatorS
rappresentato con un display come mostra la figura 3.2 ).

figura 3.2

Per catturarli si fa clic sull’archivio IndIcatorS, si seleziona lo strumento con i reofori e le


polarità opportune e si trascina sul foglio di lavoro ( figura 3.3 ). Multisim consente di mo-
dificare i valori di default della resistenza interna e/o del modo di funzionamento (DC o
AC) aprendo la finestra con un doppio clic sullo strumento.

figura 3.3

Il voltmetro e l’amperometro sono utilizzati nello schema elettrico di figura 3.4 per calco-
lare la differenza di potenziale V e l’intensità di corrente I.
Dopo avere disegnato lo schema elettrico comprensivo di massa e con la strumentazione
si attiva la simulazione. Sugli strumenti sono visualizzati il valore della tensione V = 6,000 V
e quello dell’intensità di corrente I = 20 mA.

figura 3.4

L’utente può modificare il valore di un qualsiasi componente del circuito e riattivare la


simulazione per osservare i risultati aggiornati.
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Unità
3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 235

3.2.2 Probe (Sonde)


Multisim dispone di tre tipi di Probe:
◗ probe (di archivio Indicators);
◗ current probe (Barra Strumenti);
◗ meaSurement probe (Barra Strumenti).

■ Probe
Questa probe, catturabile dall’archivio IndIcatorS, indica il livello alto (ON) o basso (OFF) in un
punto di un circuito digitale. La figura 3.5 riporta una maglia chiusa e un circuito aperto che
utilizzano le probe per il controllo del livello digitale. Nel primo si controllano i livelli prima e
dopo della porta logica alimentata da un clock con frequenza di 1 Hz, mentre nel secondo,
alimentato con una tensione TTL (5 V), il livello d’uscita interagendo con l’interruttore.

figura 3.5

■ Current Probe (Barra Strumenti)


È una Probe di corrente in continua catturabile dalla barra degli strumenti. La Probe converte
la corrente in tensione con un rapporto che può essere modificato dall’operatore ( figura 3.6 ).

figura 3.6

La tensione d’uscita dalla Probe può essere misurata con un multimetro come mostra la figura 3.7 .

figura 3.7
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236 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

■ Measurement Probe
È una probe di misurazione catturabile dalla barra degli strumenti che permette misure di
tensioni e correnti come mostra la figura figura 3.8 .

figura 3.8

Per selezionare il tipo di misura occorre fare doppio clic sulla Probe e selezionare la finestra
Parameters ( figura 3.9 ). Si disattiva il campo Show rendendo disattive tutte le misure (No).
Per attivare la singola misura fare clic su quella voluta (Yes) come mostra la figura 3.10 .

figura 3.9 figura 3.10

Ad esempio si vuole misurare l’intensità di corrente in DC nella maglia di figura 3.7 sosti-
tuendo l’amperometro con la sonda. Si attiva la funzione I (dc) con YES sulla finestra
Parameters e si chiude con OK. Si attiva la simulazione con i risultati di figura 3.11 .

figura 3.11
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Unità
3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 237
La Probe permette, inoltre, misure di guadagno (Vgain) e di fase (Phase). In questi due
casi le misure devono essere effettuate rispetto a un riferimento stabilito dall’operatore.

3.2.3 Strumenti luminosi


Multisim mette a disposizione un buon numero di strumenti luminosi ( figura 3.12) come
LED (barra componenti dIode), Lamp, Hex Display e Bargraph (barra componenti IndIcator)
e le Probe riportate nel paragrafo 3.2.2 della presente unità.

figura 3.12

Esempio

Si vuole visualizzare un numero in esadecimale da 0 alla cifra F ed il corrispondente


numero binario.

Si disegna con Multisim lo schema elettrico di figura 3.13 dove i quattro interruttori D, C,
B, e A realizzano i livelli logici di tipo TTL per la visualizzazione del numero binario con
le Probe (conteggio in binario) e per la visualizzazione della cifra in esadecimale con il
Display (conteggio in esadecimale). La figura 3.13 riporta la visualizzazione del numero
decimale 9 e il corrispondente numero in binario 1001.

figura 3.13
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4
238 Modulo Applicazioni per la simulazione

3.2.4 Convertitore logico


Il convertitore logico è uno strumento virtuale che consente di verificare facilmente la
funzionalità di un circuito combinatorio con otto ingressi e una sola uscita. In particolare
il convertitore logico consente di effettuare le trasformazioni riportate nella figura 3.14 .

figura 3.14

Per ricavare la tabella di verità del circuito di figura 3.15 e la relativa espressione booleana
si deve fare clic su cIrcuIto/tavola verItà. Per ricavare invece l’espressione booleana sem-
plificata si deve fare clic su tavola verItà/eSpreSSIone booleana SemplIfIcata.

figura 3.15

Dai risultati della simulazione si deduce che il circuito proposto è equivalente a una
porta OR a tre ingressi perché è Y = A + B + C.

Multisim permette di determinare la rete combinatoria (anche con sole porte NAND) una
volta assegnata la tabellina di verità come mostra l’esempio che segue.
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 239

esempio 3.1
Progettare un circuito combinatorio con porte NAND in grado di controllare un processo industria-
le in accordo con la tabella di verità di figura 3.16 . Siano A, B, C le variabili di ingresso e Y quella di
uscita.

A B C Y

0 0 0 0
0 0 1 1
0 1 0 1
0 1 1 1
1 0 0 0
1 0 1 0
1 1 0 0
figura 3.16 1 1 1 1

Dopo aver catturato dalla barra degli strumenti il convertitore logico è necessario fare clic sui tre in-
gressi A, B, e C per visualizzare la tabella e digitare i livelli d’uscita sulla colonna Y sostituendo a “?” il
livello 0 (un clic) o il livello 1 (due clic). Dopo aver attivato il pulsante Tavola veriTà/espressione boole-
ana semplificaTa, Multisim mostra la figura 3.17 .

figura 3.17

Per analizzare il circuito combinatorio con sole porte NAND è necessario selezionare espressione
booleana/NAND ( figura 3.18 ).

figura 3.18
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4
240 Modulo Applicazioni per la simulazione

3.2.5 Generatore di parole


Il generatore di parole fornisce un insieme di 32 bit che consentono di simulare il com-
portamento di circuiti digitali. Per visualizzare lo schermo del generatore di parole si deve
fare doppio clic sullo strumento. Multisim ingrandisce il display dello strumento nel quale
sono riportati i campi Controlli, Trigger, Display e Frequenza di clock (figura 3.19 ).

Per scrivere una parola in esadecimale si deve attivare Hex nel campo dISplay e digitare la
parola. Per cancellarla è necessario digitare Set, attivare clear buffer e accept. Le modalità
del flusso di parole all’uscita sono Step (a passi), burSt (in sequenza) e cycle (ciclicamente).

figura 3.19

Nella figura 3.19 il generatore di parole è utilizzato per osservare i caratteri di scrittura dei nu-
meri esadecimali da 0 a F su un display a sette segmenti decodificato. Per simulare il funziona-
mento del circuito si deve selezionare il numero di parole (16) in buffer SIze di Set, impostare
la sequenza delle parole esadecimali e attivare, ad esempio, la simulazione a passi con Step.

esempio 3.2
Si progetti un circuito combinatorio che segnali la condizione di pericolo nel caso in cui i segnali d’in-
gresso A e B siano a livello logico diverso.

Dalla barra degli strumenti si cat-


tura lo strumento Logic Conver-
ter. Si selezionano gli ingressi A
e B e si combina la tabella di ve-
rità digitando i livelli d’uscita sul-
la colonna Y sostituendo a “?” il
livello logico 0 (un clic) oppure 1
(doppio clic) di figura 3.20 . Fare
clic su Tavola della verità/Espres-
sione booleana semplificata e
successivamente su Espressio-
ne booleana/NAND.

figura 3.20

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Unità
3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 241
Multisim fornisce la risposta di figura 3.21 . Dai risultati della figura si evidenzia che la rete combinato-
ria è quella di una porta logica EX-OR ( Y = AB + AB = A ⊕ B ).

figura 3.21

La funzione della rete combinatoria ricavata è quella di anticoincidenza svolta dalla porta logica OR
Esclusivo (EXOR). L’uscita della EXOR (somma modulo 2 senza riporto) assume il livello logico alto
solo quando i due ingressi sono con livelli discordi (figura 3.22 ). Tale condizione genera il bit di parità
pari per una parola a due bit. Risulta evidente che il bit di parità dispari si ottiene negando l’uscita Y.

Simbolo circuitale Tabellina di Simbolo con Cronogramma


funzionamento qualificatore
0 A 0 A A B Y A 1
Y 0 Y 1 Y
0 B 1 B
0 0 0 B A 0 1

0 1 1 0 0
B
1 A 1 A 1 0 1 Funzione
Y 0 Y 1 0 1
1 B 0 B 1 1 0 A B Y Y

figura3.22

esempio 3.3
Si progetti un circuito semisommatore a 2 bit con riporto.

La rete combinatoria deve avere due ingressi (A e B) e 2 uscite, una relativa alla somma S e una al
riporto R (figura 3.23 ).

Tabellina della verità


Ingressi Uscite
Somma
A B Somma Riporto A S
Rete
0 0 0 0 combinatoria Riporto
0 1 1 0 B R
1 0 1 0
1 1 0 1

figura 3.23

La rete combinatoria che esegue la somma S è stata ricavata nell’esempio precedente con Multisim (con
solo porte logiche NAND) ed è costituita dalla porta EXOR di figura 3.24 con porte logiche diverse.

A B S
A A B S
A 0 0 0
S EXOR S
B 0 1 1
B 1 0 1
1 1 0

figura 3.24

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

4
242 Modulo Applicazioni per la simulazione

La tabella della verità del riporto R è un prodotto logico (AND). Il circuito completo, detto semisomma-
tore che tiene conto degli eventuali riporti, assume la configurazione di figura 3.25 .
Semisommatore
A B S R
EXOR S Semi- S 0 0 0 0
A A
sommatore
0 1 1 0
B B (Half-adder) 1 0 1 0
AND R R
figura 3.25 1 1 0 1

Per verificare la funzionalità dello schema proposto si utilizza Multisim. A tal fine si disegna lo schema
di figura 3.26 nel quale sono presenti:
◗ lo schematico del sommatore costituito dalle porte EXOR e AND;
◗ due interruttori attivabili da tastiera o con il mouse per fissare il livello logico sulle linee d’ingresso A e B;
◗ le Probe per visualizzare lo stato dei livelli logici d’ingresso e d’uscita;
◗ i Voltmetri per visualizzare i valori numerici dei livelli logici.

figura 3.26

esempio 3.4
Si realizzi un formatore d’impulsi.

Volendo generare un’onda a impulsi con TH = 2 ⋅ T e TL = 6 ⋅ T sono necessari ( figura 3.27 ):


◗ un segnale d’ingresso a onda quadra con periodo T;
◗ un circuito combinatorio;
◗ un contatore esadecimale 7493.

Formatore d'impulsi
CLOCK d'ingresso Uscita
Contatore Rete Com.

16 Clock

2T 6T 2T 6T 2T

figura 3.27

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3 Alimentazione e strumentazione di Multisim 243


Unità

Dopo aver realizzato la tabellina di funzionamento di figura 3.28 da caricare sul Convertitore Logico e
aver attivato la A/B ⇒ Simp e A/B ⇒ NAND, Multisim fornisce la rete combinatoria con porte NAND
( figura 3.29 ).

Tabellina di funzionamento
DEC A B C D Y
0 0 0 0 0 1
1 0 0 0 1 1
2 0 0 1 0 0
3 0 0 1 1 0
4 0 1 0 0 0
5 0 1 0 1 0
6 0 1 1 0 0
7 0 1 1 1 0
8 1 0 0 0 1
9 1 0 0 1 1
10 1 0 1 0 0
11 1 0 1 1 0
12 1 1 0 0 0
13 1 1 0 1 0
14 1 1 1 0 0
15 1 1 1 1 0

figura 3.28 figura 3.29

Lo schema elettrico è riportato in figura 3.30 .

figura 3.30
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4
244 Modulo Applicazioni per la simulazione

esempio 3.5

Si progetti un alimentatore stabilizzato e protetto. Sia V0 = 5 V la tensione di uscita e I = 1 A l’inten-


sità di corrente.

L’alimentatore è costituito da:


◗ un trasformatore (120/12 V – 220/24 V) (basic Trasformer TS-PQ4_12);
◗ un circuito raddrizzatore a doppia semionda a ponte di Graetz;
◗ un regolatore di tensione 7805 (figura 3.31).

figura 3.31

L’interruttore S1 collega la resistenza di carico R2 all’uscita dell’alimentatore. L’amperometro misura


l’intensità di corrente.
L’operatore può dimensionare in modo opportuno la tensione d’uscita del trasformatore e sostituire
il regolatore di tensione con altri per realizzare alimentatori con tensioni d’uscita da 6 V, 8 V, 9 V, 12
V, 15 V, 18 V, 24 V.
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unità 4 Strumentazione per


la generazione di segnali
e misurazioni
4.1 Strumenti di Multisim
Multisim mette a disposizione dell’utente numerosi strumenti che consentono di analizza-
re i risultati delle simulazioni.
Gli strumenti possono essere prelevati dalla barra dei componenti (IndIcator), dalla barra
degli strumenti e dal menu SImulate (InStrumentS).
L’archivio IndIcatorS contiene il voltmetro, l’amperometro e gli indicatori, mentre nella
barra strumenti sono raggruppati gli strumenti virtuali (multImetro, ..., oScIlloScopIo, ...,
analIzzatore dI Spettro, ..., probe (meaSurement), ..., ecc.) e alcuni strumenti professionali
reali, esistenti in commercio, resi simulabili (multimetro agIlent 34401 a 4 ingressi, il ge-
neratore di funzioni agIlent 33120A, l’oscilloscopio agIlent 53662d e l’oscilloscopio
tektronIx tdS2024).

Questi ultimi strumenti possono essere catturati e utilizzati per controlli su schemi elettro-
nici anche complessi. L’operatore, in questo caso, costruisce un banco di misurazioni
virtuale con strumentazioni reali ma simulabili.

Multisim consente di utilizzare più strumenti uguali sullo stesso schema elettrico.

4.1.1 Multimetro
Il multimetro virtuale ( figura 4.1 ) consente misure di tensioni e d’intensità di correnti in DC e
in AC, misure di resistenze e misure in decibel (dB).
La strumentazione può essere sempre adattata al tipo di misura richiesta. Per modificare i
parametri del multimetro è necessario attivare Set per entrare in ambiente multImeter
SettIngS ( figura 4.1 ).

figura 4.1
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246 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

Prima di attivare la simulazione è necessario che tutti i componenti, unitamente alla stru-
mentazione adatta alla misura, siano collocati sul piano di lavoro e siano collegati rispet-
tando lo schema elettrico.

Ogni circuito deve avere un nodo di massa al quale Multisim associa il nodo 0 ( figura 4.2 ).
La simulazione del circuito di figura 4.3 segnala un errore dovuto alla mancanza del termi-
nale di massa.

figura 4.2 figura 4.3

Nella figura 4.4 , ad esempio, si riportano due schemi per la misura di resistenze collegate
in parallelo e in serie. In tal caso Multisim permette la simulazione su entrambi i circuiti
elettrici con la visualizzazione dei due display.

figura 4.4
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 247

4.1.2 Multimetro reale


Il multimetro della agIlent con 6 ½ digit (34401A) è uno strumento reale ma simulabile.
La figura 4.5 mostra una misura di intensità di corrente continua selezionata, dopo l’attiva-
zione di Power, con Shift e DC I.
Lo strumento visualizza - 12,24680 mADC dove:
• 12,24680 m indica il valore numerico in milliampere;
• A indica la misura di corrente;
• DC indica la misura in corrente continua;
• il segno meno indica che il verso reale della corrente è inverso rispetto a quello entran-
te nella boccola per la misura di corrente.

figura 4.5

4.1.3 Generatore di funzioni virtuale


Il generatore di funzioni dispone di segnali sinusoidali, triangolari, a onda quadra e l’uten-
te ne può variare la frequenza, l’ampiezza, l’offset e il duty cycle (non attivo sul segnale
sinusoidale). Il segno + e – sul G.d.F. indica che lo strumento fornisce due segnali sfasati
di 180° rispetto al riferimento di massa.
In figura 4.6 è riportato un semplice circuito per misurare il valore efficace del segnale si-
nusoidale prelevato sulla resistenza R2. Per selezionare i parametri della strumentazione
fare doppio clic sul G.d.F. e sul multimetro.

figura 4.6
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4
248 Modulo Applicazioni per la simulazione

Ad esempio, s’imposta sul G.d.F. il valore picco-picco del segnale sinusoidale uguale a
20 V e dai risultati della simulazione si rileva che il valore efficace della tensione sinusoi-
dale misurata ai capi della resistenza R2 è:

20 1
Veff = ⋅ = 7 , 07 V
2 2

4.1.4 Generatore di funzioni reale


Il generatore di funzioni della agIlent (33120A) è uno strumento reale ma simulabile che,
a differenza di quello virtuale, mette a disposizione dell’utente alcuni segnali particolari
come quelli modulati.
Per selezionare un segnale modulato, ad esempio quello modulato in ampiezza, occorre
attivare Shift e successivamente AM.

La figura 4.7 mostra la misura con il multimetro reale, in valore efficace (RMS), della
ampiezza di un segnale sinusoidale ( f = 1 kHz e Vpp = 10 V). L’ampiezza del segnale
sinusoidale è regolabile con la manopola e con i pulsanti su (mVpp) e giù (mVrms) del
G. d. F. reale. Si ha:

V pp 10
V ( rms ) = = = 3, 53553 V
2⋅ 2 2⋅ 2

figura 4.7
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 249

4.1.5 Frequenzimetro virtuale


Il frequenzimetro virtuale prelevabile dalla barra degli strumenti o dal menu SImulate
⇒ IntrumentS permette misure di frequenza e periodo.

Nella figura 4.8 è riportata una misura di frequenza di un segnale sinusoidale prodotto
dal generatore di funzioni virtuale.

figura 4.8

4.1.6 Oscilloscopi virtuali


Multisim dispone di oscilloscopi a due canali (A e B), a quattro canali (A, B, C, D).

■ Oscilloscopio a 2 canali
Per visualizzare lo schermo e per modificare la scala dell’asse dei tempi, quella dei cana-
li e quella di trigger è necessario fare doppio clic sull’oscilloscopio. I modi di funziona-
mento dello strumento sono:
◗ Y/T ⇒ rappresentazione temporale dei segnali;
◗ A/B e B/A ⇒ combina i segnali applicati agli ingressi A e B;
◗ X/Y ⇒ per le figure di Lissajous.

L’oscilloscopio doppia traccia funzionante in modalità Y/T (rappresentazione temporale dei


segnali) permette di determinare anche l’angolo di sfasamento tra due segnali sinusoidali
isofrequenziali ( figura 4.9 , vedi pagina seguente).
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250 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

esercizi
svolti

1 Utilizzare l’oscilloscopio per misurare il periodo, le ampiezze del segnale d’ingresso e d’uscita e l’ango-
lo di sfasamento φ tra i due segnali del filtro passa basso riportato in figura 4.9 .

figura 4.9

Per eseguire le misure fare clic due volte sull’oscilloscopio per visualizzare il pannello, selezionare le opzioni
opportune delle scale e attivare la simulazione. Al termine delle operazioni compare la figura 4.10 che mostra
il segnale d’ingresso (nero) e quello d’uscita (rosso).

figura 4.10

Dalla barra degli indicatori si rilevano i seguenti valori:


tabella 4.1
◗ tensione d’ingresso VA1 = 999,5 mV (1 V);
◗ tensione di uscita VB1 = 727,2 mV; Set X Value
◗ il periodo T del segnale d’ingresso può essere calcolato tra- Set Y Value = >
slando il cursore 1 sulla prima cuspide della sinusoide d’in-
Set Y Value < =
gresso e il cursore 2 sulla seconda cuspide della stessa sinu-
soide (l’oscilloscopio visualizza T2 – T1 = 100,000 µs) oppure Go to next Y MAX = >
determinato da 1/f = 0,1 ms. Go to next Y MAX < =

La posizione dei due cursori può essere settata dall’operatore. Go to next Y MIN = >
Con un clic (destro) sul cursore Multisim apre la finestra riporta- Go to next Y MIN < =
ta nella tabella 4.1 . Show Select Marks on Trace
Selezionare Set X Value, per l’asse X e digitare nel campo Value
Select a Trace
il nuovo valore.
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 251

Disponendo i due cursori nelle posizioni del passaggio dello zero dei due segnali ( figura 4.11 ), dopo aver
modificato la scala dei tempi, Multisim visualizza un ΔT (T2 – T1) = 11,935 µs, ritardo del segnale d’uscita
rispetto a quello d’ingresso. Conoscendo il periodo T si ricava l’angolo di sfasamento ϕ dalla proporzione:

360 : ϕ = T : ΔT ∆T 11, 935 ⋅ 10−6


ϕ = 360 ⋅ = 360 ⋅ = 42, 96°
T 0,1 ⋅ 10−3

figura 4.11

L’oscilloscopio di Multisim ha gli ingressi differenziali dei canali A e B a differenza degli


oscilloscopi commerciali nei quali i due ingressi sono sempre riferiti a una massa comune.
Tale caratteristica permette misure in circuiti anche complessi su due componenti distinti
non collegati a massa (Æ esempio svolto 4.4, figure 4.32 e 4.33 ).

■ Oscilloscopio a 4 canali
I parametri dei singoli canali dell’oscilloscopio a 4 canali s’impostano facendo clic su una
delle lettere riportate sulla manopola dello strumento.
Nella figura 4.12 è mostrato un contatore modulo 8 realizzato con 3 F/F di tipo J-K. L’oscilloscopio
a 4 canali visualizza i segnali d’uscita del contatore QC, QB, QA contemporaneamente al se-
gnale di clock ( figura 4.13 ) in modo da poter analizzare l’andamento nel tempo dei segnali.

figura 4.12
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4
252 Modulo Applicazioni per la simulazione

Dall’analisi delle tracce si rileva che:


◗ la frequenza del segnale QA è la metà di quella del clock;
◗ la frequenza del segnale QD è 1/8 della frequenza di clock;
◗ il cursore 1 è posizionato sul conteggio binario 001 (110) segnalato dalla Probe LSB;
◗ il cursore 2 è posizionato alla fine del ciclo di conteggio (contatore resettato).

figura 4.13

4.1.7 Oscilloscopi reali


Multisim dispone di due oscilloscopi reali ma simulabili della Agilent e della Tektronix.

■ Oscilloscopio reale Agilent


È un oscilloscopio reale della Agilent (53662D) ma simulabile a 2 ingressi. La figura 4.14
mostra lo strumento con 2 cassetti di ingresso (canale X e canale Y) e le rispettive mano-
pole di controllo, il cassetto della base dei tempi e relativa espansione.
Nella figura 4.14 è riportata una applicazione per la visualizzazione di un segnale modu-
lato in ampiezza prodotto dal generatore di funzioni reale della Agilent.

figura 4.14
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 253
■ Oscilloscopio reale Tektronix
È un oscilloscopio reale a 4 ingressi della Tektronix (TDS2024) ma simulabile.
La figura 4.15 mostra il frontale dello strumento con 4 cassetti di ingresso (CH1, CH2, CH3,
CH4) e le rispettive manopole di controllo, il cassetto della base dei tempi come un nor-
male oscilloscopio commerciabile.
L’oscilloscopio visualizza le 4 tracce (se tutte attivate) con colori propri.

figura 4.15

La figura 4.15 mostra lo schema funzionale di un contatore modulo 6 (conteggio numerico


da 0 a 5).
Sullo schermo sono visualizzati:

• il segnale di clock prodotto dal generatore di clock V1 (5 V TTL, f = 1 kHz);


• il segnale QA (meno significativo);
• il segnale QB;
• il segnale QC (più significativo).

L’operatore può osservare che ogni segnale ha un periodo doppio rispetto al segnale che
lo precede (divisione di frequenza per 2).
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4
254 Modulo Applicazioni per la simulazione

esempio 4.1
Con riferimento al circuito di figura 4.16 si calcoli l’intensità di corrente I che attraversa la resistenza di
carico RC applicando il teorema di Thevenin.
1 kΩ 12 V I

A
R4 V2
R3
1 kΩ R1 R2 RC
1 kΩ 1 kΩ 1 kΩ

12 V B
V 1

figura 4.16

Dopo aver disegnato lo schema elettrico del circuito e aver inserito l’amperometro nel punto di misu-
ra si attiva la simulazione. Al termine del processo di simulazione si ha I = - 1,500 mA. Il segno meno
indica che la corrente scorre da B verso A (figura 4.17 ).

figura 4.17

Dopo aver scollegato la resistenza di carico R5 (RC) = 1 kW è necessario:


◗ inserire tra i morsetti A e B il multimetro per la misura della tensione di Thevenin a vuoto;
◗ al termine del processo di simulazione si ha VAB = - 2,400 V dove il segno meno indica che il poten-
ziale di A è negativo rispetto alla massa (figura 4.18 );

figura 4.18

◗ cortocircuitare i generatori di tensione e sostituirli con la propria resistenza interna (se diversa da
zero);
◗ disporre il multimetro per la misura della resistenza equivalente di Thevenin vista dai morsetti A e B
e attivare la simulazione;
◗ la resistenza equivalente è Req = 600 W (figura 4.19 );

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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 255

figura 4.19

◗ costruire lo schema elettrico di figura 4.20 , contenente il bipolo e la resistenza equivalente di Theve-
nin e attivare la simulazione. Il valore dell’intensità di corrente misurata dalla sonda (Probe) è
I = - 1,500 mA (figure 4.20 e 4.17 ).

figura 4.20

esempio 4.2
Si visualizzino i valori di resistenza utilizzando il trasduttore di temperatura (termoresistenza RTD HEL-
700-T0A) con range di temperatura da 0 °C a 100 °C.

I valori del trasduttore di temperatura HEL-700-T0A, ad esempio, possono essere misurati con il
multimetro interagendo con il cursore del dispositivo (figura 4.21 ).

figura 4.21

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4
256 Modulo Applicazioni per la simulazione

Nel range di temperatura T da 0 °C a 100 °C i valori reali della termoresistenza rilevati sono riportati
nella tabella 4.2.

tabella 4.2

T [°C] 0 20 40 60 80 100
R [W] 100 107,79 115,54 123,24 130,89 138,50

esempio 4.3

Si rilevino i valori di tensione sulla diagonale del ponte di Wheatstone della figura 4.22 (Æ Modulo 3,
Unità 4, figura 4.4 ) utilizzando il trasduttore di temperatura (Termoresistenza RTD) HEL-775-AT0 con
un range di temperatura –20 °C ÷ + 100 °C.

figura 4.22

Si disegna lo schema elettrico con Multisim utilizzando un Amperometro per misurare l’intensità di
corrente in DC che percorre il ramo della termoresistenza RTD e il Multimetro per la misura della
tensione richiesta sulla diagonale del ponte.

L’operatore, dopo aver attivato la simulazione interagendo con il cursore del trasduttore o con i tasti
T (per decrementare) e t (per incrementare), può costruire la tabella Temperatura/Tensione con un ΔT
a piacere e costruire, con EXCEL la tabella Temperatura/Tensione come nell’esempio 4.2.

esempio 4.4
Si calcoli il valore del rapporto della tensione d’uscita vu(t), quella d’ingresso vi (t) e lo sfasamento tra i
due segnali del circuito di figura 4.23 . Siano vi (t) = 12 V ed f = 10 kHz rispettivamente il valore mas-
simo e la frequenza del segnale sinusoidale d’ingresso.

C
vi (t) vu (t)

figura 4.23
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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 257
Nella figura 4.24 è riportato il circuito elettrico di Multisim. Come si può notare i due segnali control-
lati dall’oscilloscopio hanno, come unico riferimento, la massa.

figura 4.24

Nelle figura 4.25 è riportato lo schermo dell’oscilloscopio che visualizza le ampiezze dei due segnali
(cursori 1 e 2). L’attenuazione A = Vu /Vi è:
canale A = 11,998 V (12 V) canale B = 190,817 mV A = 0,0159

figura 4.25

L’attenuazione A può essere calcolata anche con le Probe. Per semplificare lo schema elettrico il G.d.F.
è stato sostituito con il generatore in AC che fornisce un segnale sinusoidale con caratteristiche iden-
tiche a quelle dello schema di figura 4.24 (V = 12 Vpp, f = 10 kHz).
Si disegna con Multisim lo schema elettrico con le due Probe per le misure delle tensioni e si attiva la simula-
zione. I risultati sono mostrati nella figura 4.26 dove le tensioni sono espresse in RMS (12 Vpp → 8,49 RMS).

figura 4.26

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4
258 Modulo Applicazioni per la simulazione

Si dispone la 3° Probe per la misura del guadagno A dopo la Probe 2. Per disporre il riferimento occorre:

◗ aprire la finestra della sonda con un clic sulla freccia figura 4.27 ) e attivare Voltage with reference
to probe;

figura 4.27 figura 4.28

◗ sulla finestra di figura 4.28 attivare Probe 1 come riferimento (rispetto alla Probe 2) e chiudere con Ok;
◗ attivare Vgain (AC);
◗ attivare la simulazione. Il guadagno è indicato dalla Probe 3 con il triangolino ( figura 4.29 ) in 15,7 m
(quasi identico a quello precedentemente calcolato 0,0159).

figura 4.29

Disponendo i due cursori sul passaggio dello zero delle due forme d’onda ( figura 4.30 ) si visualizza
T2 – T1 = ΔT = 24,839 ms. Essendo f = 10 kHz, risulta T = 10– 4 s. Lo sfasamento ϕ è:
360 360
ϕ = ⋅ ∆T = ⋅ 24, 839 ⋅ 10−6 = 89, 4°
T 10−4

figura 4.30

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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 259
L’operatore può ripetere l’esercitazione modificando:
◗ un solo parametro del circuito elettrico;
◗ i parametri del circuito elettrico;
◗ la frequenza del segnale sinusoidale d’ingresso;
◗ l’ampiezza del segnale sinusoidale d’ingresso;

e osservare i risultati disponendo in modo appropriato i due cursori dell’oscilloscopio.

Anche la fase, come già visto per l’attenuazione, può essere calcolata anche con le Probe. In questo
caso il G.d.F. è stato sostituito con il generatore in AC che fornisce un segnale sinusoidale con carat-
teristiche identiche a quelle dello schema di figura 4.24 (V = 12 Vpp, f = 10 kHz).
Si disegna con Multisim lo schema elettrico con le Probe per le misure e si attiva la simulazione. I ri-
sultati sono mostrati nella figura 4.31 .

figura 4.31

Attenzione: nella figura 4.32 è riportato lo schema della figura 4.33 modificato solo nella posizione
dei componenti per collegare l’oscilloscopio nella configurazione differenziale è possibile solo per la
simulazione mentre non lo è per oscilloscopi commerciali che non permettono questo tipo di configu-
razione. In questo caso si visualizzano contemporaneamente la tensione sulla resistenza e quella sul
condensatore.

figura 4.32

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4
260 Modulo Applicazioni per la simulazione

figura 4.33

esempio 4.5
Si rilevi la tensione vc(t) sul condensatore C1 = 220 mF del circuito elettrico di figura 4.34 (Trigger di
Schmitt).

Lo schema proposto in figura 4.34 utilizza la porta logica NAND a 4 ingressi (7413), una resistenza
R1 = 100 W e una variabile R2 = 1 kW per modificare il periodo dell’onda quadra. La costante di tempo
del sistema t = (R1 + R2) ⋅ C varia da un minimo di 22 ms a un massimo di 242 ms.

figura 4.34

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Unità
4Strumentazione per la generazione di segnali e misurazioni 261
I risultati della simulazione sono riportati in figura 4.35 . Modificando il valore di R2 si varia il periodo
dell’onda quadra. Spostando i cursori dell’oscilloscopio è possibile calcolare il periodo T (nell’esempio
127,419 ms) dell’onda quadra generata, la sua ampiezza e i valori di soglia VT+ e VT- del Trigger di Schmitt.

figura 4.35

esempio 4.6
Si progetti un contatore in avanti modulo 10 completo di oscillatore.
Il circuito elettrico contiene ( figura 4.36 ):
◗ un oscillatore Trigger di Schmitt ( figura 4.34 ) che genera il clock con una frequenza regolabile a 1 Hz
con il trimmer R2;
◗ una decade di conteggio 7490 predisposta per il conteggio in sequenza decimale (BCD) collegando
l’uscita QA all’ingresso B (pin 1);
◗ un display per il conteggio in decimale (BCD).

figura 4.36
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4
262 Modulo Applicazioni per la simulazione

esempio 4.7
Si progetti un generatore di clock per un contasecondi con la precisione del decimo di secondo.
Si ipotizza che il sistema di conteggio sia sincronizzato con la frequenza della tensione di rete. Lo
schema elettrico proposto contiene ( figura 4.37 ):

◗ un circuito squadratore del segnale sinusoidale d’ingresso con ampiezze - 0,6 V e + 5,6 V (R1, D1 e D2);
◗ un timer LM555 con uscita TTL che genera un’onda quadra con frequenza f = 50 Hz;
◗ un divisore di frequenza per 5 (7490) che genera la frequenza f = 10 Hz per il conteggio del decimo
di secondo (T = 0,1s).

figura 4.37

Le forme d’onda generate sono visibili sullo schermo dell’oscilloscopio a 4 tracce ( figura 4.38 ).

figura 4.38

Come si può osservare, l’onda a onda quadra è sovrapposta a quella sinusoidale d’uscita dal trasfor-
matore T1 per evidenziare il sincronismo tra le due forme d’onda.
I due cursori dell’oscilloscopio, posizionati sui fronti di salita dell’onda quadra richiesta, rilevano il pe-
riodo ( figura 4.38 ) T2 – T1 = 100 ms.
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unità 5 Analisi in Multisim

5.1 Analisi in Multisim


Multisim dispone di numerose analisi di simulazione. Di seguito se ne propongono alcune.

5.1.1 DC Operating Point


Multisim consente di determinare il punto di lavoro in DC in un circuito alimentato con
tensioni continue. La simulazione fornisce:

◗ i valori di tensione di un punto (nodo o linea di collegamento tra due componenti)


rispetto alla massa (nodo 0);
◗ le intensità di correnti nei rami, con segno;
◗ le potenze erogate e dissipate.

esempio 5.1
Nella figura 5.1 è riportato un semplice schema elettrico costituito da una sola maglia che contiene
una f.e.m. in continua V1 e due resistenze R1 = R2 = 1 kW collegate in serie.
Si disegna lo schema elettrico con Multisim di figura 5.2 con i numeri dei nodi e con il nodo di massa
per non incorrere in errori.

R1

R2
V1

figura 5.1 figura 5.2

Per la simulazione è necessario attivare:


◗ Simulate (di menu);
◗ analySeS;
◗ DC Operating pOint;
◗ inserire nella cartella Output le variabili di simulazione del circuito. Si selezionano le variabili in VariableS
in CirCuit e si trasferiscono in SeleCteD VariableS fOr analySiS con un clic su aDD. La figura 5.3 mostra
le variabili I(R1), I(R2), I(V1), P(R1), P(R2), V(1) e V(2) trasferite e la P(V1) in via di trasferimento;

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4
264 Modulo Applicazioni per la simulazione

figura 5.3

◗ attivare la simulazione con Simulate (di DC Operating Point Analysis).


I risultati sono riportati nella figura 5.4.

figura 5.4

Dai risultati di figura 5.4 occorre chiarire il significato dei segni positivi e negativi riferiti alle tensioni,
correnti e potenze. Multisim non rispetta i segni convenzionali, ma sono così definiti:
◗ le tensioni sono riferite al simbolo di massa (no-
do 0) disposto sul circuito elettrico (nel caso
dell’esempio entrambe positive);
◗ le correnti che attraversano le f.e.m. sono po-
sitive se entrano dal polo positivo;
◗ le correnti sono positive se le resistenze sono
percorse da destra a sinistra;
◗ le correnti sono positive se le resistenze sono
percorse dall’alto verso il basso.
Nella figura 5.5 sono state utilizzate le Probe per
le misure di correnti e tensioni. Le correnti sono
positive rispetto al verso indicato dalla Probe men-
tre le tensioni sono positive rispetto alla massa. figura 5.5
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5 Analisi in Multisim 265


Unità

esempio 5.2
Calcolare le tensioni sul nodo N e sui rami di collegamento dei componenti e le intensità di correnti
che attraversano le f.e.m. nel circuito di figura 5.6.
R1 N R2

R3

V1 V2
R4

figura 5.6 figura 5.7

Si disegna con Multisim lo schema di figura 5.7 e si attiva la simulazione con: Simulate, analySeS, DC
Operating pOint, selezionare le variabili di simulazione, Simulate.

I risultati delle tensioni e delle correnti sono riportati nella figura 5.8.

figura 5.8

La simulazione con le Probe è riportata nella figura 5.9.

figura 5.9
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4
266 Modulo Applicazioni per la simulazione

5.1.2 Analysis Transient


Multisim consente di visualizzare il comportamento del circuito in funzione del tempo.
L’analisi permette di:
◗ fissare la condizione iniziale dallo zero o da un valore da stabilire (Start Time);
◗ fissare la condizione finale (End Time);
◗ scegliere il tipo di grafico (continuo, a punti o a punti e linea);
◗ inerire la griglia nel grafico;
◗ personalizzare il grafico e la scala (lineare, logaritmica, ecc.) degli assi;
◗ visualizzare i dati;
◗ assegnare il titolo al grafico;
◗ disporre la posizione dell’asse x (inferiore o superiore) e y (a destra o a sinistra);
◗ ecc.

Una tipica applicazione è la carica di un condensatore C scarico, ossia con tensione ini-
ziale VC (t = 0) = 0 V.

esempio 5.3
Si analizzi l’andamento in funzione del tempo t del circuito di figura 5.10 :

◗ della tensione d’alimentazione E = 12 V (segnale a gradino);


◗ della tensione vc(t);
◗ dell’intensità di corrente ic(t) di carica del condensatore.

vi(t)
ic(t) C
vi(t) E 12 V vc(t)
t
figura 5.10

Con R = 10 kW e C = 1 µF la costante di tempo è t = R ⋅ C = 104 ⋅ 10–2 = 10–2 s e l’intensità di massi-


ma corrente è Imax (t = 0) = E/R = 1,25 mA.

Si disegna lo schema elettrico di figura 5.11 con il riferimento di massa e si visualizzano i numeri dei
nodi con OptiOnS ⇒ preferenCeS ⇒ Attivare ShOw nODe nameS ⇒ Ok.

figura 5.11

Per l’analisi transitoria si deve rispettare la procedura che segue.



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Unità
5 Analisi in Multisim 267
Per iniziare la simulazione:
◗ Simulate ⇒ analySeS ⇒ tranSient analySiS;
◗ Compare la cartella analySiS parameterS (figura 5.12):

figura 5.12

1 - selezionare Set tO zerO (di Initial Conditions);


2 - digitare in Start time (Parameters) 0 s e in enD time (Parameters) 0,1 s. I valori impostati sono ri-
spettivamente il valore iniziale e finale del range di tempo di simulazione dove 0,1 s è pari a 10
volte la costante di tempo t.
◗ aprire la cartella Output VariableS (figura 5.13):

figura 5.13

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4
268 Modulo Applicazioni per la simulazione

◗ si seleziona nel campo Variables in circuit la variabile tensione V(1) (nodo 1) riferita a massa per
trasferirla nel campo Select variables for analysis con aDD;
◗ si ripete l’operazione per la variabile V(2) (nodo 2);
◗ si ripete l’operazione anche per la variabile dell’intensità di corrente di carica del condensatore I(C1);
◗ mOre per aggiungere eventuali altre variabili di simulazione;
◗ remOVe per rimuovere la variabile indesiderata.

Per la simulazione:

◗ Simulate (di Transient Analysis). Si visualizza la finestra Grapher View con il grafico di figura 5.14
che contiene la tensione d’alimentazione V(1) (verde), la tensione di carica del condensatore V(2)
(blu) e la traccia dell’intensità di corrente di carica I(C1) = 0 (rossa).

figura 5.14

◗ attivare l’icona blaCk baCkgrOunD (di Grapher View) per il fondo bianco;
◗ attivare l’icona ShOw legenD (di Grapher View) per visualizzare le variabili e le tracce con i rispettivi
colori;
◗ attivare l’icona ShOw CurSOrS (di Grapher View) per visualizzare i cursori e i dati a essi riferiti. Di-
sporre il cursore 1 con x1 = t = 10 ms (costante di tempo) e il cursore 2 con x2 = 5×t = 50 ms (5
costanti di tempo). I valori numerici di x1 e x2 si possono settare con:

1 - un clic con il destro sul cursore;


2 - un clic con il sinistro su Set X Value;
3 - sulla finestra che compare digitare il valore voluto (nel nostro caso si sostituisce 10,082 con
10.000);
4 - Ok.

Multisim modifica i dati x1 come in figura 5.15 . Si vuol far notare che y1 = V(2) = 7,5789 V corrispon-
de al 63 % del valore finale (12 V) dopo una costante di tempo, mentre y2 = V(2) = 11,9201 V (circa
12 V) indica che il condensatore è quasi carico dopo 5 costanti di tempo.

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Unità
5 Analisi in Multisim 269

figura 5.15

Per visualizzare anche la traccia della I(C1) si deve:


◗ aprire la cartella graph prOpertieS con un clic (destro) sul grafico ⇒ prOpertieS (o con un clic su
graph (di Grapher View) ⇒ prOpertieS);
◗ attivare all traCeS;
◗ aprire la cartella right axiS (di Graph Properties);
◗ digitare Corrente [A] (campo Label) per assegnare all’asse “Corrente [A]”;
◗ abilitare il campo enableD (di Axis) per aggiungere il nuovo asse a destra;
◗ digitare (nel Campo range): Min = 0 e Max 0,00125 (1,25 mA) valore della max corrente per t = 0 s;
◗ digitare (nel Campo Divisions): tOtal tiCkS = 5 minOr tiCkS = 1;
◗ aprire la cartella traCeS;
◗ abilitare righy axiS (di Y-Vertical axis);
◗ clic su Apply (di Grapher Properties). Compare l’asse verticale a destra di “Corrente [A]” e la terza
traccia (in rosso) della corrente di carica del condensatore;
◗ Ok per chiudere la finestra.
Attivare ShOw griD per visualizzare la griglia ( figura 5.16 ).

figura 5.16

Il lettore può visualizzare i cursori e disporli nella posizione opportuna per osservare i dati.
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4
270 Modulo Applicazioni per la simulazione

5.1.3 AC Analysis
Multisim consente di determinare il punto di lavoro in AC in un circuito alimentato con
tensioni alternate. La simulazione fornisce i valori di tensione dei punti (nodi o linee di
collegamento tra due componenti) rispetto alla massa (nodo 0) e delle intensità di corren-
ti in modulo e fase.
Gli esempi che seguono mostrano l’analisi in AC di semplici circuiti elettrici.

esempio 5.4
Circuito puramente resistivo

Si disegna con Multisim lo schema elettrico di figura 5.17 con un generatore in alternata V1 = 220 V
(RMS) e una resistenza R1 = 1 kW.
Si visualizzano i numeri dei nodi con OptiOnS ⇒ preferenCeS ⇒ Attivare ShOw nODe nameS ⇒ Ok.

figura 5.17

Per la simulazione occorre rispettare la seguente procedura:

◗ Simulate (menu);
◗ analySeS;
◗ aC analySiS;
◗ inserire nella finestra Frequency Parameters il campo di frequenza, ad esempio da 40 Hz a 70 Hz,
valori comprensivi della frequenza d’Italia e degli USA (l’operatore può scegliere nella gamma da 1 Hz
a 10 GHz per l’analisi in frequenza), tipo di spazzolamento (lineare) e la scala (si consiglia la scala lo-
garitmica);
◗ inserire nella finestra Output le variabili oggetto di simulazione trasferendole dal campo (VariableS
in CirCuit) nel campo di analisi (SeleCteD VariableS fOr analySiS) evidenziandole e cliccando su aDD
( figura 5.18 );
◗ attivare la simulazione con Simulate (AC Analysis).

figura 5.18
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Unità
5 Analisi in Multisim 271
Attivare inoltre:

◗ blaCk baCkgrOunD per avere il fondo bianco (figura 5.19);


◗ ShOw legenD per la visualizzazione dei colori delle tracce corrispondenti alle variabili bianco
( figura 5.19);
◗ ShOw CurSOrS per visualizzare i cursori 1 e 2 (figura 5.19) e contemporaneamente la finestra con i
risultati numerici di figura 5.20.

I risultati grafici compaiono nella finestra Grapher View in ampiezza (Magnitude) e fase (Phase) nel
campo di frequenza selezionato (figura 5.19).

figura 5.19

Posizionare il cursore “1” su x1 = 50 Hz e il cursore “2” su x2 = 60 Hz per una risposta in frequenza


rispettivamente a 50 Hz (Italia) e 60 Hz (USA) ed eventualmente settando il valore voluto (clic destro
sul cursore, clic sinistro su Set X Value, digitare il nuovo valore, Ok). I risultati numerici compaiono
nella finestra di figura 5.20 (alla pagina seguente).

Con riferimento alla frequenza ƒ = 50 Hz Multisim fornisce i seguenti risultati riscontrabili sia sul grafico
che sulla cartella numerica. Tutti i risultati numerici di ampiezza sono normalizzati rispetto al valore
della tensione d’alimentazione di 220 V.

Ampiezza
Tensione d’alimentazione misurata x1 = V(1) = 1
Tensione d’alimentazione reale 1 ⋅ 220 = 220 V (RMS)
Corrente misurata y1 = I(R1) = 1 m
Corrente reale 1 ⋅ 10–3 ⋅ 220 = 220 mA
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4
272 Modulo Applicazioni per la simulazione

figura 5.20

Fase
Vettore corrente I(R1), rispetto al vettore tensione V(1), ϕ = 0°

La figura 5.21 mostra il valore dell’intensità di corrente misurata con la Probe di Multisim.

figura 5.21

■ Calcolo con regole di Elettrotecnica


La figura 5.22 riporta lo schema elettrico, il grafico vettoriale e temporale.

v i (t) Vi sen ω t
Immg.
I i(t) Vi /R 1 sen ω t

Vi R1 t
220 V 1 kΩ Vu

I Vi R 1 Vi
Reale

figura 5.22
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Unità
5 Analisi in Multisim 273
Calcolo della corrente I

Vi 220
I = = = 220 mA
R 1 ⋅ 10 3

Fase
La corrente I è in fase con la tensione applicata Vi (ϕ = 0°).

esempio 5.5
Circuito puramente capacitativo

Calcolare l’intensità di corrente nel circuito costituito da un generatore in alternata V1 = 220 V e dal
condensatore C = 1mF.

Disegnare lo schema elettrico con Multisim di figura 5.23 ed evidenziare i numeri dei nodi.

figura 5.23

Attivare la simulazione con Simulate, analySeS, aC analySiS, campo di frequenza (ad esempio
10 Hz ÷ 100 Hz), scala (verticale logaritmica), Sweep type (lineare), variabili d’uscita (I(C1) e V(1)), Simulate.
Attivare blaCk baCkgrOunD (fondo bianco) e ShOw legenD (colore per la traccia dei grafici). I risultati
grafici sono riportati nella figura 5.24 .

figura 5.24
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4
274 Modulo Applicazioni per la simulazione

Attivando ShOw CurSOrS si visualizzano i risultati numerici ( figura 5.25 ) dell’ampiezza e della fase a
50,000 Hz e 60,000 Hz.

figura 5.25

Con riferimento alla frequenza ƒ = 50 Hz Multisim fornisce i seguenti risultati riscontrabili sia sul grafico
che sulla finestra numerica. Tutti i risultati numerici di ampiezza sono normalizzati rispetto al valore
della tensione d’alimentazione di 220 V.

Ampiezza
Tensione d’alimentazione misurata x1 = V(1) = 1
Tensione d’alimentazione reale 1 ⋅ 220 = 220 V (RMS)
Corrente misurata y1 = I(C1) = 314,1593 m
Corrente reale 314,1593 ⋅ 10-6 ⋅ 220 = 69,115 mA

Fase
Vettore tensione d’alimentazione V(1) ϕ = 0° (riferimento).
Vettore corrente I(C1), ϕ = – 90°. Il valore è esatto a meno del segno.

La figura 5.26 mostra la misura dell’intensità di corrente con la Probe di Multisim.

figura 5.26
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Unità
5 Analisi in Multisim 275
■ Calcolo con regole di Elettrotecnica
La figura 5.27 riporta lo schema elettrico, il grafico vettoriale e temporale.

Immg. v i(t) Vi sen ωt

I i(t) ωC Vi sen ( ωt π
)
2
C1 t
Vi I j ωCVi
220 V
Vu
1 µF π π
2 Vi 2

Reale

figura 5.27

Calcolo della corrente I

Vi ω CVi
I = =− = j ω CVi = j 2 ⋅ 3,14 ⋅ 50 ⋅ 1 ⋅ 10 −6 ⋅ 2200 = j 69 , 08 ⋅ 10 −3
1 j
−j
ωC

Fase
La corrente I è in quadratura in anticipo rispetto alla tensione Vi (ϕ = 90°) con riferimento,
secondo la convenzione, che l’angolo è positivo se il vettore rappresentativo viene letto
in senso antiorario rispetto a quello di riferimento.

Come si può osservare dal confronto dei risultati, il segno della fase fornita da Multisim
non corrisponde a quella calcolata con le regole dell’elettrotecnica. Ciò è dovuto al fatto
che Multisim definisce il segno della fase secondo la convenzione di settaggio di default
come mostra la figura 5.28 alla quale si perviene con OptiOns ⇒ GlObal preferences ⇒
simulatiOn.

figura 5.28
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4
276 Modulo Applicazioni per la simulazione

esempio 5.6
Circuito resistivo capacitivo

Calcolare l’intensità di corrente I che scorre nella maglia e la tensione sulla resistenza R1 nel circuito
costituito da un generatore in alternata V1 = 220 V, dal condensatore C1 = 1 mF e dalla resistenza
R1 = 1 kW.

Disegnare lo schema elettrico con Multisim di figura 5.29 ed evidenziare i numeri dei nodi.

figura 5.29

Attivare la simulazione come per gli esercizi precedenti avendo cura di inserire nel campo frequenza il
valore desiderato e nelle variabili d’uscita tutte le variabili (All Variables).
I risultati grafici sono riportati nella figura 5.30 .

figura 5.30

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Unità
5 Analisi in Multisim 277
Nella figura 5.31 sono riportati quelli numerici.

figura 5.31

Con riferimento alla frequenza f = 50 Hz Multisim fornisce i seguenti risultati riscontrabili sia sul grafico
di figura 5.30 che sulla finestra numerica di figura 5.31. Tutti i risultati numerici di ampiezza sono nor-
malizzati rispetto al valore della tensione d’alimentazione di 220 V.

Ampiezza
Tensione d’alimentazione misurata x1 = V(1) = 1
Tensione d’alimentazione reale 1 ⋅ 220 = 220 V (RMS)
Tensione sulla resistenza R1 misurata y1 = V(2) = 299,7168 m
Tensione sulla resistenza R1 reale 299,7168 ⋅ 10-3 ⋅ 220 = 65,937 V
Corrente misurata y1 = I(C1) = 299,7168 m
Corrente reale 299,7168 ⋅ 10-6 ⋅ 220 = 65,937 mA

Fase
Vettore tensione d’alimentazione V(1) ϕ = 0° (riferimento)
Tensione sulla resistenza R1 = V(2) ϕ = 72,5594°

La figura 5.32 mostra le misure dell’intensità di corrente, della tensione sulla resistenza R1 e della fase
(a meno del segno) della tensione sulla R1 rispetto alla Probe 1 (tensione d’alimentazione) con le Pro-
be di Multisim.

figura 5.32
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4
278 Modulo Applicazioni per la simulazione

■ Calcolo con regole di Elettrotecnica


La figura 5.33 riporta lo schema elettrico, il grafico vettoriale e temporale.

Immg.
C1 1 µF
vi (t) = Vi sen ωt

VR1 i(t) = | I | sen (ω t + 72°)


I
Vi R1 t
220 V 1 kΩ
Vu 72°
I Vi 72°

Reale

VC1

figura 5.33

Calcolo della corrente I

Vi 220 ⋅ 10 −3
I = = = (19 , 80 + j 62, 97 ) ⋅ 10 −3
1 1 − j 3, 18
R1 − j
ω C1

I = 10 −3 ⋅ 392, 04 + 3965, 22 = 66 , 0 mA

V ( 2 ) = V R1 = R1 ⋅ I = 103 ⋅ (19 , 80 + j 62, 97 ) ⋅ 10 −3 = 19 , 80 + j 62, 97

V ( 2 ) = V R1 = 392, 04 + 3965, 22 = 66 , 0 V

1
VC1 = − j ⋅ I = − j 3, 18 ⋅ 103 ⋅ ( 19 , 80 + j 62, 97 ) ⋅ 10 −3 = 200 , 24 − j 62, 96
ω C1

VC1 = 40096 , 05 + 44060 , 01 = 209 , 90 V

Fase

La corrente è in anticipo rispetto alla tensione Vi (ϕ = artg 62,97/19,80 = 72°).


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Unità
5 Analisi in Multisim 279

esercizi
svolti

1 Calcolare le correnti che percorrono le 3 f.e.m. in continua E1, E2 ed E3 della figura 5.34. Verificare i
risultati di Multisim con il metodo delle correnti di maglia.

R E

R N R

12 V 1 kΩ
R
E E

figura 5.34

Si disegna con Multisim lo schema di figura 5.35. Si selezionano le variabili I(V1), I(V2), I(V3), V(1), V(2), V(3) e
V(4) e si attiva la simulazione con Simulate (di DC Operating Point Analysis).

figura 5.35

I risultati sono riportati nella figura 5.36.

figura 5.36

Si ricorda che tutte le tensioni sono riferite al nodo di massa V(0) e che il segno meno (-) delle correnti I(V)
indica che scorre dal polo negativo a quello positivo.
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280 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

Utilizzando le Probe di Multisim si perviene allo stesso risultato (figura 5.37). Il segno meno sulle Probe
indica che il verso della corrente è contrario a quello indicato dal verso della sonda.

figura 5.37

Risoluzione con il metodo delle correnti di maglia

Si disegna lo schema elettrico di figura 5.38 con le correnti di maglia.

R E
I3
R N R

12 V 1 kΩ
I1 R I2
E E

figura 5.38

S’imposta direttamente il sistema ordinato, con il metodo utilizzato negli esempi precedenti, letterario e
numerico.

2 ⋅ R ⋅ I1 + R ⋅ I2 + R ⋅ I3 = E

 R ⋅ I1 + 2 ⋅ R ⋅ I2 − R ⋅ I3 = E
 R⋅I − R ⋅ I2 + 3 ⋅ R ⋅ I3 = E
 1

2 ⋅ 103 ⋅ I1 + 103 ⋅ I2 + 103 ⋅ I3 = 12


 3 3 3
10 ⋅ I1 + 2 ⋅ 10 ⋅ I2 − 10 ⋅ I3 = 12
 3 3 3
10 ⋅ I1 − 10 ⋅ I2 + 3 ⋅ 10 ⋅ I3 = 12

Risolvendo con kramer si determinano le tre correnti di maglia I1, I2, e I3.
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5 Analisi in Multisim 281


Unità

11 1
12 − 1 ⋅ 12 ⋅ 106
1 −1 3 12 ⋅ (2 + 1 + 3 − 6 + 1 + 1) ⋅ 106 24 ⋅ 106
I1 = = 9
= = − 8 mA
2 1 1 (2 + 2 + 3 − 12 + 1 + 1) ⋅ 10 − 3 ⋅ 109
1 2 − 1 ⋅ 109
1 −1 3

2 1 1
1 1 − 1 ⋅ 12 ⋅ 106
1 1 3 12 ⋅ (1 − 2 + 3 − 6 + 1 − 1)
I2 = 9
= ⋅ 103 = 16 mA
− 3 ⋅ 10 −3
2 1 1
1 2 − 1 ⋅ 12 ⋅ 106
1 −1 3 12 ⋅ (2 − 2 + 1 − 4 − 1 + 1)
I3 = 9
= ⋅ 103 = 12 mA
− 3 ⋅ 10 −3

Nella figura 5.39 sono riportate le intensità di correnti di ramo e le cadute di tensione sulle singole resistenze.

12 mA
1k Ω

12V 12 V
I2 12mA

4 mA 1k Ω 1k Ω 4 mA
ilverso opposto
Il segno - indica

4V 4V
16 mA
- 8 mA

I1 -8mA 8V 1k Ω I2 16mA
12 V 12 V
8 mA

figura 5.39

Nella figura 5.40 sono visualizzate le intensità di correnti di ramo dagli amperometri mediante la simulazio-
ne di Multisim. Si raccomanda di fare attenzione alle polarità degli amperometri inseriti nei singoli rami.
Si può osservare che i due risultati sono identici.

figura 5.40
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282 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

2 Con riferimento al circuito di figura 5.41 si analizzi l’andamento in funzione del tempo t dell’intensità di
corrente iC(t) di carica per il condensatore C, della tensione vC(t) e della tensione sul nodo 2. Sia E = 12 V,
R1 = R2 = 1 kW, R3 = 500 W e C = 1 mF.

R1 R3

C
E R2 V2 VC
iC

figura 5.41 figura 5.42

Il condensatore vede la resistenza complessiva RC = 1 kW parallelo di R1 con R2 in serie alla R3 (Teorema


di Thevenin).
Dai valori dei componenti del circuito si ricava la costante di tempo t = RC ⋅ C = 103 ⋅ 10-6 = 10-3 s e l’in-
tensità di corrente massima Imax (t = 0) = E/2 ⋅ 1/RC = 6 mA. Poiché inizialmente il condensatore è scarico
all’istante t = 0 è un corto-circuito e la tensione iniziale risulta:

R2 / / R3 333
V (3) = ⋅E = ⋅ 12 = 2, 99 V
R1 + R2 / / R3 1000 + 333

Dopo aver disegnato con Multisim la figura 5.42 comprensiva dei numeri dei nodi, si deve rispettare la
seguente procedura.
◗ Si selezioni Simulate ⇒ analySeS ⇒ tranSient analySiS;
◗ Si apre la cartella analySiS parameter (di Transient Analysis).
◗ Si selezioni Set to zero (di Initial Conditions), si digiti in Start time (di Parameters) = 0 s e in enD time (di
Parameters) = 0,01 s si tenga presente che 0,01 s è 10 volte il valore della costante di tempo t del
circuito elettrico in esame.
◗ Si apre la cartella Output VariableS. Multisim visualizza tutte le variabili dello schema elettrico. Si selezio-
nano quelle dell’esempio: V(2), V(3) e I(C1).
◗ Si selezioni Simulate (di Transient Analysis). Multisim mostra il grafico di figura 5.43 nella quale sono
riportati le tracce di V(2), di V(3) ≡ vc(t) e la traccia dell’intensità di carica del condensatore I(C1) = 0.

figura 5.43
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
5 Analisi in Multisim 283
Per visualizzare la traccia della I(C1) si deve:
◗ aprire la cartella graph prOpertieS con un clic (destro) sul grafico ⇒ prOpertieS (o un clic su graph (di
Grapher View) ⇒ prOpertieS);
◗ attivare All Traces;
◗ aprire la cartella right axiS (di Graph Properties);
◗ digitare ”Corrente [A]” (campo Label) per assegnare all’asse “Corrente [A]”;
◗ abilitare il campo enableD (di Axis) per aggiuntivo il nuovo asse a destra;
◗ digitare (nel Campo Range): min = 0 e max = 0.006 [6 mA], valore della corrente massima (per t = 0 s);
◗ digitare (nel Campo Divisions): tOtal tiCkS = 5, minOr tiCkS = 1;
◗ aprire la cartella traCeS;
◗ clic su apply (di Graph Properties). Compare l’asse verticale a destra di “Corrente [A]” e la terza traccia
della corrente di carica del condensatore (figura 5.44);
◗ Ok per chiudere la finestra.

figura 5.44

Come si può osservare le posizioni due cursori (settati) sono disposte rispettivamente per una e 5 costan-
ti di tempo. La figura 5.45 mostra i risultati numerici per x1 = t = 1,0000 ms e x2 = 5 t = 5,0000 ms.

figura 5.45
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

unità 6 LabVIEW®

LabVIEW1 (Laboratory Virtual Instrument Engineering Workbench) è un potente pacchet-


to software presentato dalla National Instruments verso la fine del 1986 ed è dedicato ad
applicazioni industriali, all’acquisizione e distribuzione dati mediante schede A/D (conver-
tono dati analogici in digitale) e D/A (convertono dati digitali in dati analogici), alla ge-
stione remota di strumentazione con interfaccia IEEE488 e seriale, ecc.
LabVIEW è basato su un ambiente di programmazione grafico, detto G language (graphi-
cal), in cui non sono presenti istruzioni testuali ma blocchi funzionali e collegamenti.
Tale tipo di programmazione facilita l’utente nello sviluppo di algoritmi perché utilizza
solo blocchi, collegati tra loro, e non il codice del programma, tipico della programmazio-
ne di tipo testuale di linguaggi di alto livello (Visual Basic, C, ecc.).
Per entrare in ambiente LabVIEW e realizzare una nuova applicazione, detta Virtual
Instruments o semplicemente VI, è necessario lanciare il programma (eventualmente con
doppio clic sulla relativa icona di collegamento, rappresentata nella figura 6.1 ).
Viene visualizzata la finestra Getting Started ( figura 6.2 ) nella quale si può scegliere Blank
VI, o eventualmente una delle altre opzioni (empty project, VI from template, More o
figura 6.1 Browse per aprire un’applicazione o un progetto preesistente).

figura 6.2

1 LabVIEW è un prodotto della National Instruments.


ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 285
Supponendo di scegliere Blank Vi al termine della procedura LabVIEW apre:
◗ la finestra del Front Panel (pannello frontale) e il menu Controls a esso associato
( figura 6.3 );
◗ la finestra del BloCk Diagram (Diagramma a Blocchi) e il menu FunCtions a esso asso-
ciato ( figura 6.4 );
◗ al front panel e al Block diagram di ogni VI è associata un’Icona editabile, posta in
alto sul lato destro dei pannelli ( figura 6.5 ).

figura 6.3

figura 6.4
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
286 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

■ Apertura della Controls Palette o Functions Palette


Se la controls palette o la functions palette non vengono visualizzate, è possibile aprirle:
1. facendo clic con il tasto destro rispettivamente sul front panel o sul Block diagram ren-
dendo poi permanente la visualizzazione del menu aperto, se lo si desidera, ponendo il
cursore del mouse sulla puntina (posta in alto a sinistra delle Palette) e facendo clic
su di essa, quando cambia forma ( ).
2. Aprire le due palette ricorrendo al menu View ⇒ controls palette (per il Front panel)
o View ⇒ functions palette (per il Block diagram).

Nella figura 6.3 e nella figura 6.4 sono rappresentati il front panel e il Block diagram con
sovrapposte le relative controls palette e functions palette che possono essere spostate in
un altro punto dello schermo, agganciando la loro barra del titolo, con il pulsante sinistro
del mouse. Si osservi in alto a destra dei due Panel, l’icona associata al VI (figura 6.5 ) che
figura 6.5 può essere cambiata di forma per associarla al tema del VI in realizzazione ( paragrafo 6.5 ).

6.1 L’ambiente di LabVIEW


Il front panel (pannello frontale), il Block diagram (diagramma a Blocchi) e l’icona a
essi associata, sono gli strumenti virtuali di LabVIEW.
◗ Front Panel (pannello frontale) è simile a quello di uno strumento reale. Su di esso,
servendosi della controls palette, possono essere posti oggetti grafici di vario tipo: in-
terruttori a levetta o a slitta, pulsanti, manopole graduate (sono questi i Controlli ovve-
ro dispositivi che consentono all’utente di inserire i dati), e poi, visualizzatori a LED (di
varie forme), indicatori numerici, pannelli per la visualizzazione di grafici o di forme
d’onda e molto altro ancora (oggetti questi, detti Indicatori, che consentono di visua-
lizzare i risultati delle operazioni eseguite nel diagramma a Blocchi, quando viene avvia-
ta l’esecuzione di un VI).

Contemporaneamente al posizionamento degli oggetti sul pannello frontale vengono


inseriti automaticamente sul Block diagram i corrispondenti controlli funzionali. Questi
serviranno poi, opportunamente collegati tra loro (e con altri componenti posti diretta-
mente sul diagramma a Blocchi per mezzo della functions palette), a creare il VI desi-
derato.

◗ BloCk Diagram (diagramma a Blocchi) è associato a ogni pannello frontale; su di esso,


oltre agli oggetti corrispondenti a quelli posti sul front panel (interruttori e visualizzatori di
vario tipo) possono essere inseriti, servendosi della functions palette, numerose altre fun-
zioni come operatori booleani, blocchi che eseguono operazioni di confronto, moltiplicazio-
ne, divisione, strutture di controllo, strumenti di misura e moltissimi altri oggetti.
◗ iCona è un simbolo grafico che LabVIEW associa automaticamente a ogni VI ed è collo-
cata nell’angolo in alto a destra del front panel e del Block diagram. L’iCona, consen-
te di trasformare un VI realizzato, in un sottoprogramma (o subVI) che può poi
essere utilizzato nella realizzazione di VI più complessi. Il numero presente sull’ico-
na indica quanti VI sono stati realizzati dall’utente nel caso si stia eseguendo un proget-
to con più VI. Per la realizzazione di un progetto si scelga empty project, sulla finestra
getting started (figura 6.2 ).
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Unità
6 LabVIEW® 287

6.2 Menu Controls, Functions e Tools


Come precedentemente affermato, per in-
serire sul front panel o sul Block diagram
i vari oggetti grafici, debbono essere uti-
lizzate le rispettive palette (c ontrols
palette e functions palette).

Le due palette, una volta aperte, e resa


permanente la loro visualizzazione con un
clic sulla puntina (in alto a sinistra)
e dopo aver chiuso gli eventuali sottome-
nu espandendo le voci visibili con l’appo-
sito comando (posto nella parte bassa),
si presentano come in figura 6.6 .
Esse forniscono all’utente un menu di co-
mandi a discesa da ciascuno dei quali si
può accedere a dei sottomenu. Spesso i
sottomenu contengono a loro volta altri
menu.
figura 6.6

■ Inserimento dei componenti


La modalità di inserimento dei componenti, prelevati dalle rispettive palette, è uguale sia
per il front panel che per il Block diagram.

Dopo l’apertura della palette relativa al front panel o al Block diagram, si rende per-
manente la visualizzazione del menu aperto, se lo si desidera, con un clic sulla pun-
tina posta in alto a sinistra delle palette e, se necessario, si espandono le voci
visibili ( ). Si seleziona poi la voce desiderata del menu (per esempio modern sulla
controls palette o programming sulla functions palette) ed eventualmente, subito
dopo, un sottomenu. Si punta poi con il mouse il componente da inserire facendo clic
su di esso. Il puntatore del mouse cambia forma trasformandosi in manina . Si
sposta quindi la manina (senza premere alcun tasto) nella posizione del pannello
(front panel o Block diagram) in cui si desidera inserire l’oggetto, facendo di nuovo
clic. Il componente viene posto nella posizione desiderata.

Nella figura 6.7 è visualizzato il sottomenu


Buttons (Buttons & switches) della voce di
menu express del controls palette. È stato
selezionato il componente t oggle s witch
(Vertical toggle switch) e il cursore del mou-
se si è trasformato in manina.
In breve, il percorso del componente è:
controls palette ⇒ express ⇒ Buttons ⇒
toggle switch.

figura 6.7
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4
288 Modulo Applicazioni per la simulazione

Esercitazione 1
Usando direttamente il menu ExprEss senza rendere permanente la visualizzazione della Controls
palEttE, inserire sul Front panEl due controlli prelevati dal sottomenu Button (Button & switChEs)
del menu ExprEss della Controls palEttE, e due indicatori prelevati dal sottomenu LEDs. Control-
lare poi i corrispondenti blocchi che vengono inseriti automaticamente sul BloCk Diagram. Salvare
il VI realizzato.

1. Lanciare LabVIEW con doppio clic sulla relativa icona.


2. Nella finestra GettinG Started ( figura 6.2 ) si scelga BLANK VI.
3. Viene visualizzato il Front Panel (ed eventualmente anche il Block diaGram).
4. Se non è visualizzato il menu della controlS Palette, deve essere aperto facendo click con il tasto
destro sul Pannello Frontale.
5. Senza fare clic spostare il puntatore del mouse su exPreSS e quindi sul sottomenu ButtonS, e infi-
ne sulla voce PuSh Button (figura 6.8 ).

figura 6.8

6. Fare clic con il sinistro su PuSh Button. La controlS Palette scompare e sul Pannello Frontale
viene visualizzata la sagoma del controllo con linee tratteggiate e il cursore cambia forma divenen-
do una manina (figura 6.9 ).
7. Spostare la sagoma tratteggiata sull’angolo sinistro del Front Panel e fare clic. Compare la forma
definitiva del controllo (figura 6.9 ).

figura 6.9

8. Ripetere i passi dal 4 al 7 inserendo questa volta un rocker ponendolo sotto il precedente control-
lo e allineandolo con esso.
9. Ripetere ancora la procedura di inserimento prelevando i nuovi componenti (squarE LED e rounD
lED) dal sottomenu LEDs. Disporre i due indicatori accanto ai controlli precedentemente inseriti. Al
termine della procedura.
10. Se non è visualizzato il Block diaGram aprirlo dal menu: WindoW ⇒ ShoW Block diaGram.

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 289
11. Controllare gli oggetti posti sul diaGramma a Blocchi corrisponden-
ti a quelli del Pannello Frontale. Dovrebbe essere visualizzata una
situazione simile a quella mostrata in figura 6.10. I nomi attribuiti ai
componenti che sono tutti Boolean x, con x assegnato come nu-
mero progressivo. Gli oggetti corrispondenti presenti sul Pannello
Frontale e sul diaGramma a Blocchi hanno le stesse label.
12. Dal menu: File ⇒ Save aS... salvare il VI realizzato con il nome:
Esercitazione 1.vi.
13. Uscire da LabVIEW con il menu: File ⇒ exit.

Si noti che le modalità di inserzione degli oggetti sul Front Panel è


leggermente diversa da quella descritta nel precedente punto Inserzione
dei componenti. Questo perché si è utilizzato direttamente il menu
exPreSS senza prima consolidare la visualizzazione della controlS figura 6.10
Palette facendo clic sulla puntina posta in alto a sinistra della
palette aperta.

6.2.1 Controls Palette


Il menu della controls palette contiene gli indicatori e i controlli che devono essere in-
seriti sul front panel.
Nella figura 6.11 sono visualizzati i sottomenu di alcune delle voci del menu principale
(modern, classic, express).
Si tenga presente che il menu dei controlli della
voce express, è un sottoinsieme di tutti i controlli
di LabVIEW. In express alcuni dei controlli sono
raggruppati per funzionalità (Controlli Numerici
e Indicatori Numerici, Controlli Testo e Indicatori
Testo), mentre nelle altre voci del menu (Modern,
ClassiC, ecc.) il raggruppamento è fatto per cate-
goria (Controlli e Indicatori Numerici, Controlli
e Indicatori Booleani, ecc.). Questo significa che
è necessario saper riconoscere, all’interno di que-
sti sottomenu, quali sono gli oggetti di controllo
e quali invece gli indicatori. Ad ogni modo, quan-
do si apre un sottomenu e si punta con il mouse
un componente in esso presente, in molti casi,
viene visualizzato sotto di esso, se è un indicato-
re o un controllo ( figura 6.11 b) ).

figura 6.11 a) figura 6.11 b)


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4
290 Modulo Applicazioni per la simulazione

Esercitazione 2
Aprire e consolidare la visualizzazione della Controls palEttE del Front panEl espandendo quindi la vi-
sualizzazione di tutte le voci del menu. Inserire sul Front panEl un controllo e poi un indicatore prelevati
ambedue dal sottomenu numEriC del menu moDErn della Controls palEttE. Controllare poi i corrispon-
denti blocchi inseriti automaticamente sul BloCk Diagram. Salvare il VI realizzato.
1. Lanciare LabVIEW con doppio clic sulla relativa icona.
2. Nella finestra GettinG Started ( figura 6.2 ) si scelga Blank VI.
3. Viene visualizzato il Front Panel (ed eventualmente anche il Block diaGram).
4. Se non è visualizzato il menu della controlS Palette, deve essere aperto facendo click con il tasto
destro sul Pannello Frontale.
5. Si ponga il cursore del mouse sulla puntina (posta in alto a sinistra della Palette) e si faccia clic
su di essa quando cambia forma ( ). La Palette rimane ora visualizzata, fino a quando non
viene chiusa. In alternativa alle operazioni 4 e 5, la Palette può essere aperta direttamente con il
menu vieW ⇒ controlS Palette.
6. Si chiuda il sottomenu exPreSS (con un clic su ). Si espandano le voci del menu con l’apposito
comando (posto nella parte bassa della Palette). Si apra il sottomenu modern (con un clic su ).
Si veda la figura 6.11.
7. Dal menu modern si prelevi dal sottomenu Numeric il controllo dial (modern ⇒ numeric ⇒ dial) e
lo si inserisca sul Front Panel e poi l’indicatore tank (modern ⇒ numeric ⇒ tank).
Nella figura 6.15 (vedere pagine seguenti) in alto, sono rappresentati i controlli e gli indicatori del
menu modern, del sottomenu numeric, posti sul Front Panel.
8. Si visualizzi il Block diaGram (vieW ⇒ Block diaGram) e si controllino i blocchi inseriti automatica-
mente su di esso. Nella figura 6.15, in basso, sono rappresentate le corrispondenti funzioni dei
controlli e degli indicatori, inseriti sul Block diaGram. Si salvi il VI realizzato.

6.2.2 FunCtions Palette

Il menu della functions palette contiene le


funzioni che devono essere inserite sul Block
diagram.
Per accedere alle diverse tipologie di funzio-
ni è necessario fare clic su una delle voci di
menu aprendo il corrispondente sottomenu,
scegliendo poi quello della categoria deside-
rata.

Nella figura 6.12 sono visualizzati i sottomenu


espansi di alcune delle voci (programming,
mathematics, express) del menu principale.
Facendo clic sul simbolo ( ) posto al di so-
pra di change VisiBle palettes, si ritorna alla
visualizzazione non espansa dei menu con-
tenuti nella functions palette.

figura 6.12
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Unità
6 LabVIEW® 291

6.2.3 tools Palette

La tools palette ( figura 6.13 ) che si apre dal menu View ⇒ tools (pre-
sente in alto sia sul front panel che sul Block diagram), consente di
selezionare, ridimensionare, spostare, modificare, colorare gli oggetti
posti sul pannello frontale e sul diagramma a Blocchi. Inoltre permet-
te di effettuare i collegamenti tra i blocchi posti sul Block diagram.
L’utilizzo dei tool, presenti nella palette, è di fondamentale importanza
per la gestione dei VI di LabView.
In alto, sul tools palette, è presente un pulsante che abilita, in auto-
matico, la selezione di alcuni dei tool che possono essere svolti con la
palette, in base alla posizione che ha il puntatore del mouse sui vari
oggetti. Quando questo modo di operare è abilitato, è acceso il LED
figura 6.13 verde presente sul pulsante.
Per esempio, quando la modalità automatica è attiva, il puntatore del
mouse, può assumere una delle seguenti forme in relazione al tipo di con-
trollo su cui si trova o anche alla posizione sul controllo stesso su cui è posto.

Nella tabella 6.1 sono descritte le funzioni svolte dai vari pulsanti presenti sulla tools
palette.

tabella 6.1

Strumento Nome Funzione

Posiziona Seleziona gli oggetti. Dopo che l’oggetto è stato selezionato, esso
può essere mosso, cancellato, copiato o ridimensionato.

Modifica Modifica i valori dei controlli e degli indicatori posti sul Pannello
Frontale o il valore di costanti booleane del diaGramma a Blocchi.

Testo Scrive testo o modifica quello esistente in un controllo. Può creare


anche nuove etichette.

Collega Collega gli oggetti posti sul diaGramma a Blocchi.

Pop-up Fa apparire il menu di pop-up di un oggetto quando viene puntato


sull’oggetto e premuto il tasto sinistro del mouse.

Scorrimento Fa scorrere il contenuto di una finestra senza utilizzare la barra di


scorrimento.

Breakpoint Inserisce un punto di interruzione nei VI, nelle funzioni e nelle


strutture.

Probe Consente di inserire delle sonde sui collegamenti del diaGramma a


Blocchi per visualizzare il flusso dei dati.

Copia colore Permette di copiare i colori da oggetti esistenti e di utilizzarli poi con
lo strumento colore.

Colora Seleziona il colore di primo piano e quelli di sfondo quando si vuole


personalizzare il colore di un oggetto posto nel pannello di controllo.
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292 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

6.2.4 toolbar

Sotto le voci dei menu posti in alto sul front panel e sul Block diagram è presente una
toolBar con i pulsanti necessari per la gestione di una applicazione (figura 6.14 ).
Nella toolBar del Block diagram sono presenti quattro pulsanti in più che servono essen-
zialmente per il debug dell’applicazione.
Sulla ToolBar è presente anche un pulsante con menu a tendina necessario per editare il
testo delle label degli oggetti grafici e altri pulsanti utilizzabili per il loro allineamento.
Per editare il testo è necessario selezionarlo con il mouse ( ) e poi, aperto il menu a
tendina, scegliere il tipo di font, la grandezza, lo stile, il colore desiderati.

figura 6.14

Nella tabella 6.2 sono illustrate le funzioni associate ai singoli pulsanti.

tabella 6.2
Pulsante Nome Funzione

Esegue il programma. Il pulsante cambia aspetto e assume la forma


Run
seguente quando il programma è in esecuzione.

Indica che il programma non può essere eseguito perché vi sono


Esecuzione errori. Per ricercare gli errori si deve fare clic sul pulsante. LabVIEW
bloccata apre una finestra nella quale sono elencati gli errori presenti nel
programma.

Esegue il programma in modo continuo. Il pulsante cambia aspetto e


Esecuzione
assume la forma seguente quando il programma è in esecuzio-
ripetuta
ne.

Stop Interrompe l’esecuzione del programma.

Arresta temporaneamente l’esecuzione del programma. Per riprende-


Pausa/Continua
re l’esecuzione è necessario fare clic sul pulsante.

Pulsanti presenti solo sul Block Diagram

Esecuzione
Consente di osservare il flusso dei dati nel diagramma a blocchi.
evidenziata

Abilita la modalità di esecuzione passo-passo di un programma, di un


Step Into
ciclo, di un subVI, ecc.

Abilita la modalità di esecuzione passo-passo e fa lampeggiare il


Step Over
nodo che in quel momento è eseguito.

Disabilita la modalità di esecuzione passo-passo di un ciclo, di un


Step Out
subVI, ecc. e ritorna al VI principale.
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6 LabVIEW® 293

6.2.5 Alcuni controlli e funzioni delle Controls e FunCtions Palette


Per il lettore, la presenza di una così elevata varietà di controlli e funzioni, può inizialmen-
te creare difficoltà nella scelta del componente da utilizzare.
Per questo, nella figura 6.15 , sono riprodotti una parte di controlli e indicatori (suddivisi in
base alla loro funzionalità), per il sottomenu numeric del menu moDern. Nella parte alta
sono posti i controlli (con funzione di out) e gli indicatori (input) posti sul front panel
e in basso le corrispondenti funzioni poste sul Block diagram.

figura 6.15

Nella figura 6.16 , sono riprodotti una parte di controlli e indicatori (suddivisi in base alla
loro funzionalità), per il sottomenu numeric del menu ClassiC. Nella parte alta sono posti
i controlli (con funzione di out) e gli indicatori (input) posti sul front panel e in basso
le corrispondenti funzioni poste sul Block diagram.

figura 6.16
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294 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

Dall’analisi dei blocchi delle funzioni presenti sul Block diagram, è possibile osserva-
re le seguenti caratteristiche (figura 6.17 ):
◗ triangolino posto sul bordo: indica se la funzione è di input (rivolto verso l’interno)
o output (rivolto verso l’esterno);
◗ piccolo rettangolo posto sul bordo in basso: i caratteri al suo interno indicano il tipo
di dati con cui opera l’oggetto (tf: True/False dati di tipo booleani; dBl: dato nu-
merico in doppia precisione; ABC: stringa);
◗ spessore del bordo: i controlli hanno bordo più spesso rispetto agli indicatori;
◗ colore dei bordi: indica il tipo di dati (verde: boolean; arancio: numerici doppia pre-
cisione; rosa: stringhe).
figura 6.17
Una più ampia trattazione del tipo di dati si trova nel paragrafo 3.2.6.
Nella figura 6.18 sono rappresentate le funzioni della voce di menu programming, sottome-
nu Boolean.

figura 6.18

In questo sottomenu sono presenti, tra l’altro, le porte logiche di base (sono a due ingres-
si). Per usufruire di porte con più di due ingressi deve essere utilizzata la funzione compound.
Da notare anche le costanti booleane True e False.

Nella figura 6.19 sono rappresentate le funzioni della voce di menu programming, sottome-
nu numeric della functions palette.

figura 6.19

Oltre alle funzioni che svolgono le operazioni aritmetiche fondamentali (addizione, sottra-
zione, moltiplicazione, ecc.), sono presenti nel sottomenu anche funzioni più complesse
(radice quadrata, quadrato, valore assoluto, arrotondamento, ecc.) e costanti numeriche
(intere e floating point).
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Unità
6 LabVIEW® 295
Nella figura 6.20 sono rappresentate le funzioni della voce di menu programming, sottome-
nu comparison della functions palette.

figura 6.20

Oltre alle funzioni che eseguono il confronto tra gli operandi (uguaglianza, maggioranza,
minoranza, ecc.), ci sono anche quelle che riconoscono se un carattere può appartenere
al set di caratteri esadecimali (0÷9 A÷F), ottali (0÷7) o decimali (0÷9) e altre ancora che
esplicano operazioni particolari (separazione tra il massimo e minimo di due numeri, ri-
conoscere se un array è vuoto, se un carattere è stampabile e altro).

6.2.6 Tipi di dati


Numerosi sono i dati con cui possono ope-
rare le funzioni del Block diagram.
Quando si pone sul diagramma a blocchi
un oggetto questo, per default, è abilitato
a operare con un certo tipo di dati.
Tuttavia, per alcuni controlli e indicatori
che operano con dati numerici, è possi-
bile, attraverso il menu di pop-up che si
apre facendo clic con il destro sull’ogget-
to, scegliendo la voce representation, mo-
figura 6.21 dificare il tipo di dati di default (si veda
la figura 6.21 ).
Si tenga ben presente che il collegamento con i fili tra i blocchi, può essere fatto solo se
i dati con cui essi operano sono congruenti tra loro.
Nella tabella 6.3 son riportati i principali tipi di dati.

tabella 6.3 64 - 32 - 16 - 8 bit 64 - 32 - 16 - 8 bit


integer Blu
unsigned (Ux) signed (Ix)
Numeric
Extended Double precision Single precision
Floating point Arancio
precision (EXT) (DBL) (SGL)
Complex single Complex double Complex extended
Floating point Arancio
precision (CSG) precision (CDB) precision (CXT)
Boolean Verde
String Rosa

Nell’ultima colonna sono indicati i colori che assumono i blocchi delle funzioni e i colle-
gamenti sul Block diagram.
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4
296 Modulo Applicazioni per la simulazione

6.3 Realizzazione di semplici VI


Per entrare nelle reali possibilità di realizzazione dei VI, si presentano alcuni semplici
esempi che guidano l’utente alla graduale introduzione dell’ambiente integrato di LabView.

esempio 6.1
Porte logiche, controlli e indicatori booleani
Gli ingressi di una porta logica AND e una OR (ambedue a due ingressi) sono pilotate da due switch.
Alle uscite delle porte sono connessi due LED rettangolari. Verificare la tabella della verità delle due porte
facendo assumere ai due switch tutte le combinazioni possibili (Æ Modulo 1, Unità 2, paragrafo 2.2.1).

■ Posizionamento degli oggetti


Si avvii LabVIEW e si scelga Blank vi ( figura 6.2 ). Si apra (se non aperto) dal Front Panel la controlS
Palette e si scelga la voce di menu exPreSS (figura 6.3 ) e si scelga il sottomenu ButtonS ( figura 6.7 ).
Si selezioni il vertical toGGle SWitch e se ne pongano due sul Front Panel come in figura 6.14 . Si
apra poi il sottomenu ledS e si pongano sul Pannello Frontale due LED rettangolari.
I due Switch e i due LED vengono posti automaticamente anche sul Block diaGram come mostrato
in figura 6.22 . Su tale pannello essi assumono la forma di blocco rettangolare, ma mantengono lo
stesso nome.
Operando ora con il Block diaGram, si apra la FunctionS Palette scegliendo la voce di menu
ProGramminG e si scelga il sottomenu Boolean ( figura 6.23 ). Porre sul diaGramma a Blocchi una AND
e una OR come in figura 6.22 .

figura 6.22

figura 6.23

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Unità
6 LabVIEW® 297
■ Editing degli oggetti
◗ Cambio delle label

Per cambiare la label posta accanto a ogni oggetto posizionato sul Pannello Frontale (e quindi au-
tomaticamente anche al corrispondente oggetto del diaGramma a Blocchi), si deve aprire la toolS
Palette e selezionare il pulsante per la modifica del testo . Posizionando il puntatore del mouse
sulla label è possibile modificarla con la tastiera. Modificare tutte le label come in figura 6.24 a) .

◗ Scelta dell’azione degli switch

È possibile scegliere per gli switch comportamenti elettrici diversi in relazione all’azione meccanica
(clic con il tasto destro sul componente ⇒ mechanical action). Le varie modalità sono illustrate nella
figura 6.24 b) .

figura 6.24 b)

figura 6.24 a)

◗ Collegamento dei componenti

Per inserire i collegamenti tra i componenti posti sul Block diaGram si selezioni sulla toolS Palette il
pulsante per attivare i collegamenti (o si attivi il LED posto sulla parte alta della palette). Accostando
il cursore del mouse alle estremità dei componenti da collegare viene visualizzato il simbolo del col-
legamento . Fare clic con il mouse e portare il filo di collegamento visualizzato, verso il nuovo
componente. Fare nuovamente clic con il mouse per fissare il filo.
Per cancellare un collegamento sulla toolS Palette deve essere selezionato il pulsante puntatore
(o deve essere attivo il LED posto sulla parte alta della palette).

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4
298 Modulo Applicazioni per la simulazione

Si fa clic con il tasto destro sul filo e poi dal menu pop-up che compare si sceglie delete Wire Branch.
Oppure, selezionare il collegamento con il tasto sinistro e poi cancellarlo con canc (dalla tastiera). Se
segmentato, viene rimosso solo un tratto del conduttore.
Salvare il progetto e poi porlo in esecuzione utilizzando l’apposita icona della toolBar (eSecuzione
riPetuta). Azionando gli interruttori I1 e I2, si verifica con i LED la tabella della verità delle porte.
L’esecuzione si ferma con lo StoP ( ).

6.4 Realizzazione di un VI

esempio 6.2
Si vuole realizzare come esempio un VI che simula il funzionamento della termoresistenza TP100
detta anche RTD (Resistance Temperature Detector).

La TP100 è un resistore di precisione al platino che alla temperatura di 0 °C ha una resistenza di 100
Ω. Il resistore modifica la sua resistenza al variare della temperatura secondo la relazione:
RT = R0 (1 + a T ) [6.1]

• RT è il valore della resistenza alla temperatura T;


• R0 = 100 Ω il valore della resistenza a 0 °C;
• a = 3,85 10–3 [°C –1] un coefficiente costante.

Il VI deve sostanzialmente implementare la relazione [6.1]. Si debbono quindi inserire sul Block diaGram
del VI un blocco che realizzi il prodotto R0 × (1 + a T ), uno per il prodotto a × T e un altro per la
somma 1 + a T .
Sul Front Panel deve invece essere inserito un controllo che permette di cambiare la temperatura e
un indicatore che mostri il valore che assume la PT100 al variare della temperatura. Per rendere più
funzionale l’applicazione si aggiunge al controllo che modifica la temperatura, un termometro che ne
fornisce un’indicazione visiva e anche un indicatore numerico che ne indica con precisione il valore.
Viene poi aggiunto un altro indicatore numerico per leggere con esattezza il valore della resistenza.

◗ Inserimento controlli e indicatori sul Pannello Frontale

Si avvii quindi LabVIEW, scegliendo al solito Blank VI e quindi, aperta la controlS Palette (menu vieW
⇒ controlS Palette) si inseriscano sul Front Panel usando il menu exPreSS:

1. il controllo per variare la temperatura (exPreSS ⇒ numeric controlS ⇒ vertical Pointer Slide);
2. un termometro per visualizzare la temperatura (exPreSS ⇒ numeric indicatorS ⇒ thermometer);
3. l’indicatore per visualizzare il valore della resistenza (exPreSS ⇒ numeric indicatorS ⇒ meter).

◗ Editing dei controlli e indicatori posti sul Pannello Frontale


1. Modifica delle label di default.
Facendo doppio clic sulle label
di default, poste accanto a cia-
scun componente, è possibile
editare i nomi rendendoli corri-
spondenti a quelli usati nell’ap-
plicazione (figura 6.25 ).

figura 6.25
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6 LabVIEW® 299
2. Visualizzazione degli indicatori digitali sotto il Pointer sliDe (T) e sotto il meter (RT). Per
visualizzare insieme con il controllo e l’indicatore gli strumenti digitali, bisogna fare clic con il destro
su ciascuno di essi e dal menu che si apre scegliere ProPertieS ⇒ aPPearance. Nella scheda
Appearance mettere poi il segno di spunta sulla casella  ShoW diGital diSPlay.
3. Regolazione delle scale. Supponendo di utilizzare la PT100 nel range di temperatura da –50
°C a +50 °C dalla formula [6.1] si ricava che la termoresistenza assume i valori RTmin = 80,75 Ω
e RTmax = 119,25 Ω. Debbono quindi essere impostate in modo adeguato, servendosi dei dati
ricavati, le scale per il Pointer Slide e il thermometer (–50÷50) e per il meter (min 80÷max 120).
Per eseguire questa operazione si fa clic con il tasto destro sull’oggetto e dal menu che si apre
scegliere ProPertieS ⇒ Scale. Nella scheda Scale (figura 6.26 ) per ciascun oggetto, nelle ca-
selle Scale ranGe minimum e maximum si impostano i valori appropriati con riferimento alla
figura 6.25 .

figura 6.26

◗ Inserimento di operatori e costanti sul Diagramma a Blocchi

Sul Block diaGram sono stati posti gli stessi oggetti fin’ora inseriti (con forma di blocchi rettangolari
ma con gli stessi nomi).
Per completare il diaGramma a Blocchi, è necessario inserire su di esso gli operatori matematici di
moltiplicazione e somma e le costanti (a, R0 e 1).
Si visualizzi quindi il Block diaGram e aperta la FunctionS Palette (vieW ⇒ FunctionS Palette, usando
il menu exPreSS si inseriscano su di esso:

1. due operatori per il prodotto (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ multiPly);
2. un operatore per la somma (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ add).
3. tre blocchi per le costanti a , R 0 e 1 (e xPreSS ⇒ a rithmetic & c omPariSon ⇒ n umeric ⇒
n um c onSt ).

Sul Block diaGram debbono poi essere eseguite le seguenti operazioni:

1. Scrittura della formula [6.1]. Per semplificare il compito della disposizione dei blocchi in modo
che siano posti ordinatamente (in base alle operazioni da eseguire) è consigliabile, facendo doppio
clic sulla parte alta del diaGramma a Blocchi, scrivere la relazione della PT100.
2. Assegnare i valori alle tre costanti. Prima di effettuare i collegamenti bisogna assegnare i valo-
ri alle tre costanti facendo due volte clic sui loro blocchi e scrivendo in essi il valore numerico
desiderato. Si tenga presente che tutti i blocchi delle costanti sono per default dati di tipo a dop-

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4
300 Modulo Applicazioni per la simulazione

pia precisione. Per quando riguarda la costante a = 3,85 × 10–3, se si vuole che essa venga
scritta in formato esponenziale (3.85E-3), si deve fare clic con il tasto destro sul blocco della
costante e dal menu che si apre scegliere ProPertieS ⇒ diSPlay Format e nel riquadro tyPe sele-
zionare ScientiFic.
3. Ordinamento dei blocchi sul Block Diagram. Per ordinare i blocchi attivare il LED posto sulla
parte alta della toolS Palette (vieW ⇒ toolS Palette) portando il cursore su un componente
esso cambia forma assumendo la forma di freccia. Fare clic con il tasto sinistro e trascinare l’og-
getto nella posizione voluta.
4. Eseguire i collegamenti. Ordinati i blocchi debbono essere realizzati i collegamenti (Æ paragra-
fo 3.3). Accostando il cursore del mouse alle estremità dei componenti da collegare viene visua-
lizzato il simbolo del collegamento . Si fa clic con il mouse e si porta il filo visualizzato verso il
nuovo componente.

Nella figura 6.27 è mostrato il Block diaGram con tutti i collegamenti eseguiti. Al solo fine di ren-
dere più chiara la realizzazione dello schema a blocchi, sono state poste delle label che indicano
le grandezze presenti in alcuni punti del diagramma.

figura 6.27

◗ Salvataggio del progetto ed esecuzione

Per salvare il VI realizzato si usa il menu File ⇒ Save aS... e nella finestra che si apre scegliendo la
cartella per il salvataggio (Salva in:) e inserendo il nome da attribuire all’applicazione in nome File: (per
esempio PT100.vi).
Per porre in esecuzione il programma si utilizza l’apposita icona (eSecuzione riPetuta) della toolBar
e si ferma con lo StoP ( ). Si veda il paragrafo 6.2.4.
Nella figura 6.28 è visualizzato il Front Panel durante l’esecuzione dell’applicazione. Il cursore del
Pointer Slide è stato spostato portandolo alla temperatura di 31,632 °C (letta sull’indicatore digitale).
Come può essere osservato dal meter, e letto con più precisione sull’indicatore digitale. Il valore che
ha la termoresistenza per la temperatura impostata è pari a 112,17 Ω.

figura 6.28
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 301

6.5 Realizzazione di un subVI


È possibile utilizzare un VI precedentemente realizzato, apportando a esso poche modifi-
che, inserendolo in altri VI. Perché esso possa essere collegato con gli altri oggetti di un
nuovo VI è necessario che sia dotato di terminali d’ingresso e di uscita.
Si voglia creare un subVI con il VI precedentemente realizzato
(PT100). Anche se è possibile partire direttamente dal progetto
salvato, è conveniente rimuovere da esso il termometro, non
strettamente necessario per il funzionamento della termoresi-
stenza. Riaperto il precedente VI, con il cursore selezionato
sulla tools palette, si evidenzi il Thermometer e lo si elimini
(edit ⇒ cut). Aperto poi il Block diagram, si faccia clic con il
destro sul collegamento sbagliato e lo si elimini con remoVe
loose ends (figura 6.29 ).
figura 6.29

Il front panel con la nuova disposizione dei componenti è


mostrato in figura 6.30 .
Nell’angolo in alto a destra è visibile l’icona del VI.
Per inserire i terminali d’ingresso e d’uscita è necessario editare
l’icona.

◗ Personalizzare l’icona del subVI


Nella figura 6.30 , nell’angolo in alto a destra, è visibile l’icona
che LabVIEW assegna per default ai VI realizzati.
Con doppio clic sull’Icona (o clic con il tasto desto su di essa
e poi edit icon), si apre la finestra di figura 6.31 (icon editor),
figura 6.30
che permette, tra l’atro, di ridisegnare o modificare l’immagine
dell’icona.
Se non si vogliono mantenere parti della vecchia icona con il menu edit ⇒ clear all si
cancella completamente l’immagine presente.

figura 6.31
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

4
302 Modulo Applicazioni per la simulazione

Nella finestra di figura 6.31 , è aperta la cartella icon text che permette di scrivere quattro
righe di testo, assegnando a esso anche un determinato colore.
Aprendo invece la cartella glyphs si possono scegliere anche piccole immagini già pronte.
Nella figura 6.32 , è visualizzata la nuova icona editata in cui è stato scritto del testo, aggiun-
ta l’immagine del resistore e disegnata una freccia tra due lettere.
Con il pulsante OK si confermano le modifiche fatte e la nuova icona viene inserita sul
subVI.

figura 6.32

◗ Inserire i terminali di ingresso e uscita


Facendo clic con il tasto destro sulla nuova icona scegliere dal menu a pop-up che si apre
show ⇒ connector. Poiché nel subVI che si sta realizzando è presente un solo terminale
d’ingresso (T) e uno solo di uscita (RT), sempre dal menu a pop-up si sceglie patterns e
poi la configurazione con due terminali, ovvero due rettangolini bianchi che sostituiscono
l’immagine dell’icona (figura 6.33 ).
Per inserire il terminale d’uscita (RT), con il simbolo del collegamento ( ) selezionato
sulla tools palette, si fa clic sul meter (RT) che viene racchiuso da una linea tratteggiata
e poi si sposta il cursore del mouse sul rettangolo bianco di destra (collegamento d’uscita,
figura 6.33 ) facendo clic su di esso. Il rettangolo diventa colorato. Si ripete l’operazione con
il pointer slide (T), posizionando questa volta il cursore sul rettangolino bianco di sinistra
(terminale d’ingresso) e facendo clic su di esso.
Salvare con il menu file ⇒ saVe as... il subVI realizzato attribuendo a esso un nome (per
esempio SubVI PT100.vi).

figura 6.33
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 303

6.6 Utilizzazione del subVI realizzato

esempio 6.3

Si voglia realizzare un sistema che, in base alla temperatura presente in un serbatoio con un liquido,
accende un LED verde se essa è inferiore o uguale a 20 °C, un LED rosso se la temperatura è ugua-
le o superiore a 40 °C, un LED giallo se essa è maggiore di 20 °C e minore di 40 °C. Come rilevato-
re della temperatura si utilizzi una termoresistenza PT100.

È possibile usare per realizzare il sistema il subVI precedentemente costruito (termoresistenza).


Per poter usare la PT100 come rilevatore di temperatura è necessario effettuare la conversione resi-
stenza → tensione. Un modo semplice per ottenere la trasformazione è quello di alimentare la ter-
moresistenza con un generatore di corrente costante. Per evitare l’autoriscaldamento della PT100
per effetto joule, è necessario mantenere il valore della corrente che attraversa il resistore a valori
molto bassi. Nell’esempio è stato scelto un generatore che eroga una corrente di 2 mA. Si fa l’ipo-
tesi che tutto il circuito a valle della termoresistenza non assorba corrente ( figura 6.34 ). Nello schema
di principio raffigurato nella figura 6.34 , la tensione ai capi della PT100 (VT) viene confrontata, per
mezzo di due comparatori, con il valore della tensione ai capi della termoresistenza VT(20) quando si
trova a 20 °C e VT(40) quando si trova a 40 °C.

figura 6.34

Il LED giallo deve essere acceso solo se sono spenti gli altri due LED. Quindi può essere attivato
attraverso una porta logica NOR (l’uscita si porta a livello alto solo se i due ingressi si trovano a livel-
lo basso). Lo schema di figura 6.34 è uno schema a blocchi realizzato facendo le seguenti ipotesi:

◗ i due comparatori e anche la porta logica, sono in grado di pilotare direttamente i diodi LED;
◗ non sono inserite nello schema resistenze di limitazione della corrente sui LED;
◗ i livelli logici in uscita dai comparatori sono idonei a pilotare la porta logica utilizzata.

Per realizzare il sistema è necessario conoscere la tensione presente sulla PT100 (VT) a 40 °C e a
20 °C. Questi due valori quindi debbono essere confrontati, istante per istante, con la tensione che
si ha sulla termoresistenza al variare della temperatura del liquido.
Si ha quindi con I = 2 mA (2 ⋅ 10–3 A):

◗ a 20 °C RT(20) = R0 + (1 + a T) = 107,70 Ω e quindi VT(20) = RT(20) × 2 ⋅ 10–3 = 0,2154 V


◗ a 40 °C RT(40) = R0 + (1 + a T) = 115,40 Ω e quindi VT(40) = RT(40) × 2 ⋅ 10–3 = 0,2308 V

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

4
304 Modulo Applicazioni per la simulazione

Quindi si desume che per:

• T ≤ 20 °C la tensione sulla PT100 è inferiore o uguale a 0,2154 V


• T ≥ 40 °C la tensione sulla PT100 è superiore o uguale a 0,2308 V

Pertanto se risulta VT (T) ≥ 0,2308 V deve essere acceso il LED rosso mentre se è VT (T) ≤ 0,2154 V
deve essere acceso il LED verde.
Il LED giallo è acceso per VT (T) < 0,2308 V e VT (T) > 0,2154 V.

◗ Realizzazione del VI

Per realizzare il VI debbono quindi essere posti sul Pannello Frontale i seguenti componenti (figura 6.35 ):

1. un controllo numerico per simulare la variazione di temperatura;


2. un termometro per leggere il valore della temperatura;
3. i tre LED;
4. un indicatore numerico per leggere il valore della resistenza RT (facoltativo);
5. un indicatore numerico per leggere il valore della tensione VT (facoltativo).

Sul diaGramma a Blocchi debbono invece essere posti (in aggiunta a quelli già inseriti sul Pannello
Frontale) i seguenti blocchi (figura 6.38 ):

1. il subVI della PT100;


2. tre blocchi per le costanti (per I = 2mA, per VT(20) e per VT(40);
3. un operatore per il prodotto (per ottenere la tensione ai capi della termoresistenza);
4. un comparatore (≤) e un comparatore (≥);
5. una porta logica NOR.

figura 6.35

◗ Inserimento dei componenti sul Front Panel

Si avvii LabVIEW, scegliendo al solito Blank VI e quindi, aperta la controlS Palette (menu vieW ⇒
controlS Palette) si inseriscano sul Front Panel usando il menu exPreSS:

1. il controllo per variare la temperatura (T) (exPreSS ⇒ numeric controlS ==> num ctrl);
2. il termometro per visualizzare la temperatura (exPreSS ⇒ numeric indicatorS ⇒ thermometer);
3. l’indicatore numerico (RT) per visualizzare la resistenza del PT100 (exPreSS ⇒ numeric indicatorS
⇒ num ind);

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 305
4. l’indicatore numerico (VT) per visualizzare il valore della tensione ai capi della PT100 (exPreSS ⇒
numeric indicatorS ⇒ num ind);
5. tre LED rettangolari (LR, LG, LV) (exPreSS ⇒ ledS ⇒ Square led). Si assegni il colore appropria-
to a ciascun LED (clic con il destro sul LED e poi ProPertieS ⇒ aPPearance ⇒ colorS ⇒ clic Su
caSella on con colore).

◗ Modifica delle proprietà dei componenti sul Front Panel


• Si modifichino le label dei componenti come in figura 6.35 . L’indicatore del valore della resistenza
della PT100 e l’indicatore della tensione ai suoi capi servono solo per un controllo. La larghezza
dei controlli e degli indicatori numerici deve essere aumentata in modo da contenere tutte le cifre
da visualizzare (clic con il tasto sinistro sul componente, agganciare una delle maniglie e stirare,
figura 6.36 ).

figura 6.36

• Si modifichino le proprietà del numeric control: clic con tasto destro sull’oggetto:
1. ProPertieS ⇒ diSPlay Format ⇒ tyPe ⇒ Floating Point - hide trailinG zeroS ⇒ togliere il segno
di spunta sulla casella ¨.
2. ProPertieS ⇒ data entry ⇒ uSe deFault limitS ⇒ togliere il segno di spunta sulla casella
¨ – minimum = 0.0000, maximum = 50.0000, increment = 0.0000.
3. ProPertieS ⇒ aPPearance ⇒ ShoW increment/decrement ButtonS ⇒ inserire il segno di spun-
ta sulla casella .
• Si modifichino le proprietà del thermometer: clic con tasto destro sull’oggetto:
1. ProPertieS ⇒ diSPlay Format ⇒ tyPe ⇒ Floating Point.
2. ProPertieS ⇒ Scale ⇒ Scale ranGe minimum = 0, Scale ranGe maximum = 50.
3. ProPertieS ⇒ aPPearance ⇒ ShoW diGital diSPlay ⇒ inserire il segno di spunta sulla casella .

Si veda la figura 6.37 per una visione d’insieme dei settaggi effettuati.

figura 6.37
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

4
306 Modulo Applicazioni per la simulazione

◗ Inserimento dei componenti sul Block Diagram

Si visualizzi ora il Block diaGram (WindoW ⇒ ShoW Block diaGram) e si inseriscano su di esso:

1. Il subVI precedentemente realizzato (clic con il destro su un punto vuoto del Block diaGram e poi
nella FunctionS Palette che si apre Select un vi... scegliendo quindi il subVI della PT100).
2. Tre blocchi per le costanti I, tensione a 20 °C (0,02154), tensione a 40 °C (0,023008) (exPreSS ⇒
arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ num conSt).
3. Un operatore per il prodotto (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ numeric ⇒ multiPly).
4. Un comparatore (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ comPariSon ⇒ Greater or equal).
5. Un comparatore (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ comPariSon ⇒ leSS or equal).
6. Una porta logica NOR (exPreSS ⇒ arithmetic & comPariSon ⇒ Boolean ⇒ not or).

◗ Modifica delle proprietà e collegamento degli oggetti del Block Diagram


• I blocchi delle costanti inserite sono di tipo Intere a 32 bit (I32), trasformarle in costanti a doppia
precisione (DBL) (clic con il destro sul blocco e poi ProPertieS ⇒ data tyPe ⇒ rePreSentation ⇒
Clic su i32 ⇒ Scegliere dBl).
• Modificare le label dei blocchi come in figura 6.38 .
• Effettuare i collegamenti. Attenzione! I collegamenti con gli ingressi dei comparatori debbono
essere effettuati come in figura 6.38 in quanto viene comparata la grandezza presente sul termi-
nale in alto del comparatore (x) con quella posta sul terminale in basso (y) effettuando essi l’ope-
razione (x ≤ y o x ≥ y).

Salvare il VI con il nome SUBVI1.vi

Ponendo in esecuzione l’applicazione, agendo sui bottoni di incremento/decremento del numeric


control, per variare la temperatura, si può controllare il funzionamento del sistema leggendo
sugli indicatori i valori della temperatura (T), della resistenza (RT) e della tensione presente sulla
PT100 (VT).

figura 6.38
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 307
Si faccia attenzione che a causa della precisione interna dei dati, in particolare delle costanti,
può sembrare che non vengano eseguite correttamene le operazione di confronto. È infatti possibile
che, variando la temperatura con il controllo numerico a passi di 1 °C, a 20 °C, per esempio, riman-
ga acceso il LED verde (invece di accendersi il LED giallo). In realtà la commutazione avviene per
valori intorno ai 20 °C. Ciò può essere verificato inserendo manualmente sull’indicatore numerico il
valore di 20,0001 °C. Si vede che per questo valore c’è la commutazione del LED come può essere
osservato nella figura 6.39 .

figura 6.39

Una variazione al VI proposto, che aggira la precisione delle costanti, può essere ottenuta lavorando
con costanti intere e non in doppia precisione, usando la configurazione riportata in figura 6.40 che
rappresenta il diaGramma a Blocchi del VI, rimanendo inalterato la configurazione del Pannello Frontale.
Nello schema è stato moltiplicato per 104 il valore di VT in modo da poter poi utilizzare costanti intere (mol-
tiplicate anch’esse per 104).

figura 6.40
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

4
308 Modulo Applicazioni per la simulazione

esempio 6.4

Si voglia realizzare un VI che implementa il sistema di rete logica con ingresso programmabile
proposto nel Modulo 1, Unità 2, paragrafo 2.2.1 (Circuiti logici programmabili).
La rete logica, in corrispondenza del codice posto sull’ingresso A, deve eseguire sul dato posto sugli
ingressi B e C l’operazione logica AND (se A = 0) o OR (se A = 1).
La funzione logica della rete è la seguente: U = AC + AB + BC. Nella figura 6.41 è riportato lo schema
della rete. In corrispondenza del codice posto sull’ingresso A, la rete logica deve eseguire sul
dato posto sugli ingressi B e C l’operazione logica AND (se A = 0) o OR (se A = 1).

Nella figura 6.41 è riportato la rete logica che implementa la funzione e la tabellina della verità.

figura 6.41

Nella figura 6.42 sono visualizzati il Front Panel e Block diaGram del VI realizzato.
Sul Pannello Frontale sono posti tre Flat Square Button (A, B e C) del menu claSSic ⇒ Boolean,
dove A serve per inserire il codice del comando e B e C sono i due bit del dato. Per l’uscita U è
stato utilizzato un laBeled Square Button dello stesso menu.

figura 6.42

ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Unità
6 LabVIEW® 309

figura 6.43

Quando l’applicazione è in esecuzione premendo il pulsante A si passa dalla configurazione AND a


quella OR e viceversa (si assegna il codice del comando).
Premendo i pulsanti B e C si assegnano i valori 0 e 1 agli ingressi della rete logica.
Su U viene visualizzato il risultato delle operazioni logiche effettuate.
Servendosi del menu a pop-up che si apre facendo clic con il tasto destro sugli oggetti posti sul Front
Panel con ProPertieS ⇒ aPPearance debbono essere settate alcune proprietà degli oggetti, per in-
serire al loro interno il testo e il colore appropriato, come riportato in figura 6.43 .
Per assegnare il colore ai pulsanti (Flat Square Button) e all’indicatore (laBeled Square Button) si
deve fare clic sui quadratini posti nel riquadro colorS (accanto a on e oFF) e scegliere poi il colore
appropriato (on roSSo - oFF verde).

Il diaGramma a Blocchi rispecchia il circuito logico di figura 6.41 . Le porte logiche sono state inserite
dal menu ProGramminG ⇒ Boolean.
Per realizzare la porta logica OR a tre ingressi è stato usato un comPound arithmetic (ProGramminG ⇒
Boolean ⇒ comPound arithmetic). Per questa funzione è stato aggiunto un ingresso (clic con tasto
destro ⇒ add inPut) ed è stata scelta la modalità OR (clic con tasto destro ⇒ chanGe mode ⇒ or).
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310 Modulo
4 Applicazioni per la simulazione

esercizi proposti
1. Convertitore decimale/binario. Utilizzando un 4. Inserire sul Front Panel un vertical Pointer Slide,
controllo numerico con dati di tipo decimali, interi un tank e un meter (tutti con scala 0÷10). Realizzare
a 8 bit senza segno (0÷255) si visualizzi il numero un VI in cui con il Pointer Slide si controlla il livello
introdotto su un indicatore numerico in formato del liquido del serbatoio e con il meter ne viene
binario. Si vari la larghezza dell’indicatore in modo visualizzata l’altezza raggiunta.
da contenere tutti gli 8 bit del numero binario. Si
utilizzino per il controllo e l’indicatore la proprietà 5. Inserire sul Front Panel un vertical Pointer Slide,
data tyPe per impostare il tipo di dati (U8) e la pro- un tank e un diodo led. Realizzare un VI in cui con
prietà diSPlay Format ⇒ tyPe per selezionare la il Pointer Slide si controlla il livello del liquido del
rappresentazione (decimale o Binario). serbatoio. Quando esso raggiunge e poi supera il
valore 5, deve essere acceso il LED.

2. Convertitore binario/decimale. Utilizzando un 6. Inserire sul Front Panel un controllo numerico di


controllo numerico con dati di tipo binari, interi a 8 tipo knoB (con scala 0÷10) e quattro Square led.
bit senza segno (0000 0000÷1111 1111) si visualizzi Utilizzando quattro compratori (Greater or equal)
il numero introdotto su un indicatore numerico in for- e quattro costanti si deve fare in modo che ogni
mato decimale. Si vari la larghezza dell’indicatore in volta che operando con la manopola si raggiungo-
modo da contenere tutti gli 8 bit del numero binario. no i valori 2, 4, 6 e 8, si accendano in successione
i LED (inizialmente sono tutti spenti). Si impostino
per il knoB e per le costanti valori di tipo interi senza
3. Si voglia realizzare un VI che implementa il sistema
segno a 8 bit (U8).
di rete logica con ingressi programmabili proposto
nel Modulo 1, Unità 2, paragrafo 2.2.1 la cui funzio-
7. Un vertical Pointer Slide (con scala –20 ÷+40 °C)
ne logica è:
simula le variazioni di temperatura (T) in un ambien-
te. La temperatura è visualizzata su un thermometer
U = A C D + B CD + A CD + B CD (con scala –20÷+40 °C). Quando è T ≤ 0 °C deve
essere acceso un LED blu, se invece è T > 30 °C
Il sistema ha due linee di comando (A e B) che per- viene acceso un LED rosso. In condizioni normali di
mettono di eseguire su un dato a 2 bit (linee C e D) temperatura (T > 0 °C e T ≤ 30 °C) deve rimanere
le operazioni logiche AND, OR, NAND e NOR. acceso un LED verde.
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Indice
analitico
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K

Indice analitico

A C

AC Analysis 270 canale di comunicazione 74


account capacità 167
- Administrator 137 - elettrica 168
- Guest 137 carattere speciale 123
- limitato 137 cartella
- utente 137 - compressa 153
Adware 139 - documenti 147
algebra di Boole 20 - personale 147
algoritmo 48, 50 catodo 22
alimentatore 221 cavallo di Troia 138
ALU 29 cestino 125
ambiente grafico 224 chip 24
amperometro 214, 234 Circuit Design Suite 224
amplificatore di potenza 74 circuito
Analysis Transient 266 - combinatorio 30
analizzatore - integrato 24
- di spettro 220 - logico binario 20
- logico 220 - logico programmabile 26
area di notifica 146 CISC 109
assemblatore 110 codifica
assembly 63 - di canale 73, 75
attuatore 203 - di sorgente 73
automa codice
- a stati finiti 37 - ASCII 84
- riconoscitore di sequenze 38 - BCD 83
avvio del DOS 121 - binario 109
- CRC 88

B - di parità 87
- esadecimale 109
barra delle applicazioni 116, 127, 145 - Hamming 88
basetta Breadboard 231 - macchina 110
bit 27, 77 - per la gestione degli errori 87
Block Diagram 286 - Unicode 86
bootsector 138 - 8 B/10 B 87
bootstrap 108 Colossus Mark 60
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314 Indice analitico

comando esplora risorse 149, 159, 160


- esterno 122 evento equiprobabile 76, 77
- interno 123
compilatore 63, 110
componente F
- elettrico 167
- parametri del 167 famiglia x86 64
condensatore elettrico 168 FAT 105
configurazione 107 file
convertitore logico 238 - manager 149
Cookie 139 - sorgente 110
CPU 29 - system 105
finestra 129
- aperta 130
firewall integrato 116
D flip-flop 31
floppy disk 62
DC Operating Point 263 FORTRAN 61
decodifica di sorgente 75 fotoresistore 198
demodulatore digitale 75 frequenzimetro
desktop 125, 147 - digitale 218
- AERO 157 - virtuale 249
diagramma degli stati 34 funzione
dialer 139 - aritmetica 26
die 24 - logica 26
directory root 121
disco
- di base 116 G
- dinamico 116
- rigido 61, 104 G language 284
download 147 generatore
- di funzioni 247
- di parole 240
E germanio 23
grafo di flusso 34, 40
elemento di memoria 31 grandezza fisica d’ingresso 180
energia Gruppo Home 116
- elettrica 174
- termica 174
ENIAC 60 I
entropia 78
EPROM 24 induttanza 167, 171
ESDAC 60 induttore 170
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Indice analitico 315

informazione M
- analogica 71
- discreta 71 macchina
- elementare 70 - analitica 59
INTEL 24 - di Turing 34, 48, 50
interfaccia grafica 125, 144 macro 138
Internet Explorer 145 MalWare 137
interruttore elettronico 23 Mastered 160
masterizzazione 159
memoria
J - a nuclei di ferrite 61
- di massa 63
Jump List 151 - dinamica 62
junction menu
- alloy 23 - Controls 287
- grown 23 - di Multisim 226
- Edit 226
- file 226
K - Functions 287
- Options 227
Key logger 139 - Place 226
- principale 107
- Simulate 226
- Start 127, 146
L - Tools 227, 287
- Transfert 227
LabVIEW® 284 - View 226
- ambiente di 286 messaggio 70
layout 155 microcontroller 33
LED 237 microprocessore 33, 62
linea minicomputer 61
- dati 28 misura
- del codice 28 - di intensità di corrente 222
linguaggio - di resistenza 216
- a basso livello 109 - di tensione 215, 222
- ad alto livello 109 modello
- assembly 110 - di Mealy 37
- macchina 109 - di Moore 37
LINUX 105 MOS 24
logica MOSFET 24
- cablata 20 mouse 62
- programmabile 20 Mozilla Firefox 117
LSI 24 MS DOS 112, 113, 120
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316 Indice analitico

MSI 24 - logica 105


multimetro - primaria 105
- numerico digitale 216 payload 138
- reale 246 peso oggettivo 76
- virtuale 245 Phishing 139
Multisim 224 PLC 33
porta logica 20
potenziometro 180
- rotativo 187
N processo di produzione 25
programma 59
numerazione - eseguibile 138
- binaria 3, 20 PROM 24
- decimale 3 protocollo 88
- esadecimale 8 Probe 235
- sistemi di 2
numero 4
- binario con segno 5 R
- binario negativo 6
- finito di stati 51 RAM 24
rappresentazione
- dei numeri reali 10
- dei numeri reali binari 10
O relè 203
- Reed 206
Ohmmetro 216 resistenza 167
operazione aritmetica 29 resistore elettrico 167
opzioni cartelle 134 rete
oscilloscopio 218 - logica sequenziale 32
- reale 252 - sincrona 38
- virtuale 249 RISC 109
Risorse del computer 126
ROM 24
ROM BIOS 106
P

Palette S
- Controls 287, 289
- Functions 290 segnale
- Tools 291 - di clock 37
Pannello di controllo 128, 135, 148 - di disturbo 75
partizione 104 sensore 173
- estesa 105 - di temperanza 173
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Indice analitico 317

Session AT Once 136 Toolbar 292


setup 106, 107 transistor 23, 61, 207
silicio 23 transistore bipolare 23
sistema trasduttore 173, 174
- di calcolo 24 - di Multisim 232
- di codifica dell’informazione 83 - di posizione angolare 185
- di comunicazione 71 - di posizione lineare 180
- discreto 76 - KTY 192
- logico binario 26 - KTY81-122 193
- logico combinatorio 30 trasformazione a binario
- logico sequenziale 31 - da decimale 4
- operativo 63, 112 - da decimale frazionario 5
- programmabile 28 trasformazione a esadecimale
- sequenziale 31, 34 - da decimale frazionario 8
socket 65 trojan 138
software 104
somma
- di numeri esadecimali 10
- di numeri negativi 7
sottrazione U
- di numeri positivi 7
spamming 139 ULSI 25
Spyware 139 utilizzatore 75
SSI 24
standard IEEE754 11
stringa 38
strumenti
- di misura 214 V
- luminosi 237
subVI 301 valvola termoionica 21, 59
variabile 30
- d’ingresso 30, 31
- d’uscita 30, 31
T - di stato 30
- dipendente 166
tabella di transizione 34 - indipendente 166
taskbar 145 - passante 166
termistore 194 - trasversale 166
termoresistenza 189 VI 296, 298
tester analogico 216 Virtual Instruments 284
testina visualizzazione 156
- di lettura 51 VLSI 25
- di scrittura 51 Voltmetro 215, 234
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318 Indice analitico

W Word 86
WordPad 86
wafer 23 worm 138
Windows 112 8080 25
- Firewall 158
- Media Player 116
- Vista 115
- XP 114 Z
- 7 115
- 9x 114 *.zip 153
ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
Appunti 319

Appunti
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320 Appunti

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Appunti 321

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ALESSANDRO CAPELLI CPLLSN07B02I496K
322 Appunti

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