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1Italia
Disavventure nel mondo

VACANZE DA DIMENTICARE. ANCHE I VIP SOFFRONO

Barche che esplodono, soggiorni al mare senza mare, prenotazioni


fantasma...
Piccola galleria degli errori (e degli orrori) di vacanzieri famosi.
Raccontati
e fotografati direttamente dagli interessati.
a cura di GIACOMO AMADORI e DAVIDE BURCHIELLARO

Se l'estate si vede dal mattino... Negli ultimi giorni abbiamo


appreso che tre personaggi più o meno celebri sono già caduti sul
«lavoro» vacanziero:
il giornalista Rai Puccio Corona naufragato con la sua barca a vela
al largo della Calabria; il critico gastronomico Edoardo Raspelli
coinvolto nella notte di paura del viaggio inaugurale sul
maxitraghetto Genova-Olbia; il direttore di Smemoranda Nico Colonna
(nonché consulente per l'immagine dell'Inter di Moratti) che non
riesce a tornare da New York e dopo 36 ore in aeroporto paga qualche
milione in più per agguantare in extremis un biglietto in prima
classe...
Insomma, figuriamoci quante altre piccole disavventure nel mondo
stanno succedendo in questo istante. In effetti, è bastato chiedere a
qualche celebrità se fosse stata vittima di sfortune (o ingiustizie)
vacanziere e si è scoperto un esercito di Fantozzi.

Alba Parietti (attrice): «Quando una vacanza parte male, non c'è
nulla da fare, andrà male. A me è capitato due volte. La prima in una
barca a nolo nel Tirreno.
Ci avevano giurato che era un affare. Invece questa barca si rompeva
in continuazione e abbiamo finito per passare il resto della vacanza
sulla spiaggia di Viareggio. Poi ho fatto la vacanza più sfigata
della mia vita a Formentera.
In aereo, all'andata, un cane nella stiva si è mangiato la valigia.
Una volta arrivata nella casa in affitto non funzionava nulla. E come
se non bastasse mi ha preso fuoco la macchina a noleggio».
Gavino Sanna (pubblicitario): «Era l'anno scorso. Alcuni amici mi
convinsero a
seguirli nella loro pesca al traino nel golfo d'Alghero. A un certo
punto la
barca si ferma e inizia a ondeggiare. E io a soffrire. Gli amici mi
dicono che
resteremo fermi un po' di ore. Prendo i vestiti e le scarpe, me li
lego sulla
testa e raggiungo a nuoto una piccola baia. Il mare era pieno di
meduse e ho
dovuto passare tutto il giorno su uno scoglio. Quando sono venuti a
recuperarmi
mi ero preso una mezza insolazione».
Cesara Buonamici (giornalista Tg5): «Con amici abbiamo affittato una
barca per
una minicrociera agostana nel mar Egeo. Un pomeriggio, mentre
attraccavamo a
Paxos, c'è stata un'esplosione a bordo. Cosa era successo?
Probabilmente
l'ambiente era saturo di gas e per farlo scoppiare è bastata una
scintilla.
Quella che doveva essere una vacanza in barca, divenne un soggiorno
sull'isola,
in una casa in affitto».

Dacia Maraini (scrittrice): «Io, Moravia e Pasolini stavamo facendo


un viaggio
in un paese dell'Africa centrale. Viaggiavamo su una Land Rover che a
un certo
punto si è bloccata in una strada dove non passava anima viva. Dopo
qualche ora
si è fermata una lussuosa Mercedes scura. È uscito un prelato locale
che ci ha
invitato alla sua Missione, offrendoci gentilmente assistenza e
ospitalità per
la notte. Il posto era meraviglioso e il prete si è rivelato subito
un grande
esperto di calcio italiano, anche se non conosceva né Moravia né
Pasolini. Le
due stanze erano accoglienti e la cena buonissima. Il mattino dopo
eravamo in
imbarazzo: non sapevamo se lasciare o no un'offerta. "Magari si
offendono"
abbiamo pensato. Mentre discutevamo è arrivata una cameriera africana
e ci ha
consegnato il conto. Salatissimo. Come quello di un grande albergo
europeo».
Franco Savorelli di Lauriano (conte viaggiatore): «Crociera
attraverso fiumi e
laghi da Mosca a San Pietroburgo. Una vacanza di grande charme,
rovinata
dall'abitudine di subappaltare i servizi di ristorazione. A causa
dell'azienda
finlandese responsabile del catering l'unico piatto servito a bordo
della nave
era una scatoletta di piselli freddi. Solo piselli. Per tutta la
durata del
viaggio. Esasperato, a ogni tappa correvo a comprare verdura e
pomodori che
condivo con l'olio d'oliva portato da casa».

Paolo Virzì (regista): «A Cuba ho perso il portafoglio e mi sono


trovato senza
un soldo per pagare l'albergo. Ho chiesto qualche dollaro in prestito
a David
Riondino e mi sono cercato una stanza in affitto a poco prezzo
nell'Avana
underground. Mi ha ospitato una parrucchiera cicciona di nome
Gladis».
Donatella Girombelli (imprenditrice): «A raccontarlo viene da ridere,
anche se
l'episodio è drammatico. Stavo rientrando a Milano dopo un soggiorno
a New York,
quando, a mezz'ora dal decollo, ci hanno avvertito che, a causa di un
problema
tecnico, dovevamo rientrare. Panico tra i passeggeri. Con un sospiro
di sollievo
siamo atterrati e ci hanno comunicato che il problema tecnico era
dovuto alla
morte del pilota».
Antonella Clerici (presentatrice tv): «Panico in Oman, dove ho volato
su un
vecchio aereo degli anni 40 che saliva e scendeva continuamente in un
canyon.
Già ho una fifa blu degli aerei, in più causa il vento non riusciva a
scendere e
il carburante ha cominciato a scarseggiare. Atterriamo in una zona
militare, io
non lo sapevo, faccio qualche foto per rilassarmi e le guardie mi
sequestrano la
macchina».
Marina Salamon (imprenditrice): «In Centrafrica con un gruppo di
amici ho
litigato con il capospedizione che non valeva nulla e mi sono
sostituita a lui.
Un'altra disavventura di viaggio mi è capitata su un volo Alitalia
con i miei
bambini. Più che una disavventura è stata una rissa. Per fare
smettere di fumare
un signore americano gli ho rovesciato una birra addosso. Ma ho
colpito anche la
signora che stava vicino a lui e che mi ha rovesciato addosso la sua
birra.
Morale, all'atterraggio mi aspettava la polizia».
Chiara Boni (stilista): «Treno. Mi stavo sistemando il trucco quando
lo
specchietto che avevo in mano è caduto e si è rotto. Raccogliendo i
cocci mi
sono tagliata. Il vestito bianco che indossavo si è inzuppato di
sangue.
Nell'imbarazzo più completo sono andata a cambiarmi e poi ho fatto un
fagotto
inquietante con i pezzi di specchio e il vestito macchiato. Ho
lasciato tutto
sul vagone dentro una busta».
Paolo Villaggio (attore): «Estate 1970, Adolfo Celi, Vittorio
Gassman, Lino
Toffolo e io. Eravamo nel deserto algerino per le riprese di
Brancaleone alle
crociate. Convinco i miei tre compagni ad avventurarci sulle grandi
dune di
sabbia. Mi danno fiducia, un errore clamoroso. Partiamo su una
magnifica Rover
con aria condizionata e arriviamo a El Atef. C'è un bagno moro, una
piscina
bollente in pieno deserto. Persuado gli altri che l'acqua è
pulitissima. Il più
dubbioso è Gassman che è terribilmente schizzinoso. Alla fine si
butta. Ma
mentre siamo a mollo, a nostra insaputa, si tuffa anche un lebbroso.
Con la coda
dell'occhio lo vedo. Gassman no. Gli consiglio, per evitargli
l'infarto, di
uscire. Lui mi dice che sta benissimo. Prima di finire la frase si
trova a
faccia a faccia con il lebbroso. Gli mancavano molte dita e il naso.
Ma le
nostre disavventure quel giorno non finirono lì: fummo persino
arrestati dalla
polizia con l'accusa di essere spie e minacciati di fucilazione. Ci
salvammo per
il rotto della cuffia. Al ritorno, sotto l'albergo Gassman mi guardò
e mi disse:
"Questa è l'ultima volta che mi prendi per il culo"».
Niki Grauso (editore): «Colpo di stato alle Maldive, 1988. Ero con la
mia
famiglia sull'isola di Kudaiti, un piccolo paradiso. Vengo informato
all'alba
che 300 tamil rossi avevano occupato la capitale, Malè. Eravamo
totalmente
isolati, senza energia elettrica e con cibo e acqua razionati. Un
incubo. Sino a
quando una mattina sulle nostre teste passano 30-40 caccia indiani e
veniamo a
sapere che i soldati di New Delhi sono sbarcati anche via mare. E i
ribelli
armati? Circola il sospetto che potrebbero prendere ostaggi su
un'isola. Non
credevo di reagire così: sono scappato su un'isola più sicura».
Roberto Vecchioni (cantautore): «Estati fa ho avuto la pessima idea
di unire
tourné e vacanze. E sono partito con moglie e figli su un camper
senza aria
condizionata. A Ferragosto dopo uno sfortunato concerto a Catanzaro,
pieno di
problemi tecnici, mi ero rifugiato incazzatissimo sulla costa ionica
per
dormire. Finii in un campeggio lager: orari fissi per fare le docce e
andare in
bagno (anche a far pipì). Litigai con tutti, moglie e figli compresi.
Ero così
nervoso che, io interista doc, mandai a quel paese anche un gruppo di
tifosi
nerazzurri rompipalle».
Mario Spagnol (editore): «Ero ai Caraibi sulla barca a vela del
finanziere
Francesco Micheli con Giorgio Forattini. C'è un gran vento, la barca
è un po'
inclinata. Un'onda mi trascina in acqua. Penso: "Adesso mi tirano a
bordo". Ma
loro proseguono. Ho paura degli squali, ma cerco di non agitarmi.
Quando si
accorgono della mia scomparsa sono ormai lontani. Mezz'ora in acqua.
E quando
tornano Forattini aveva già pronta una vignetta».
Gregorio Paolini (dirigente tv): «Aeroporto di Bangkok in attesa di
partire per
l'Italia. La Philippine Airlines informa che l'aereo è pieno e che
non possiamo
imbarcarci. Gli italiani si imbizzarriscono e salgono anche sui
nastri
trasportatori. Allora la compagnia decide di trovarci una
sistemazione per la
notte. Ci portano in uno dei quartieri più malfamati di Bangkok.
L'albergo
sembrava il set di un video musicale, tutto pieno di scarafaggi
giganteschi. Ci
dicono di attendere. Dopo poco dagli ascensori esce un nugolo di
prostitute
piene di bagagli: le avevano fatte sloggiare per lasciare il posto a
noi».
Paolo Crepet (psichiatra): «Ero sulla sfortunata barca a vela del
vignettista di
Repubblica Mojmir Jezek, uno skipper disastroso. Non sapevamo mai
dove fossimo.
E così, la prima notte, ci siamo insabbiati davanti alle coste
dell'Albania.
Proprio sotto i riflettori delle guardie costiere del regime
comunista. Durante
una tempesta il nostro mozzo ci annunciò che a prua c'erano i segnali
rosso e
verde di un porto. Erano le luci di un camion, posteggiato sul molo.
Abbiamo
rischiato di entrare direttamente nel camion. Qualche anno dopo la
barca colò
miseramente a picco sugli scogli di Ventotene. E ancora oggi Jezek
fatica a
trovare un equipaggio».
Stefano Zecchi (docente universitario): «Ero in Giappone insieme alla
mia
compagna. Mi trovavo in un piccolo villaggio e non c'era da dormire.
Finii in
una specie di colonia estiva in un bosco. Ci sistemarono in una
camerata per un
paio di giorni con gli educatori. Nessuno parlava una parola
d'inglese. In
cambio dell'ospitalità mi chiesero di accudire ai bambini».
Emanuele Filiberto di Savoia (nobile): «Anni fa i miei genitori
decisero di
affittare una splendida villa di due piani in Kenya con piscina e
spiaggia
bianchissima. Per lo meno così appariva nel dépliant. All'arrivo la
sorpresa: la
piscina riempita a metà aveva l'acqua verde e la spiaggia era
completamente nera
di catrame. La prima notte fummo svegliati dai ladri che stavano
saccheggiando
la casa».
Piero Chiambretti (comico): «Alla fine degli anni Ottanta facevo
l'animatore su
vecchie navi russe vestito da leopardo. Erano crociere a metà prezzo
per
italiani e i 700 disperati a bordo visitavano dodici porti in una
settimana. Una
volta per un disguido sbagliarono a caricare le provviste in cambusa:
i cibi
freschi vennero sbarrati da tonnellate di derrate semiavariate,
caricate a bordo
per le emergenze. Che il cuoco fu costretto a utilizzare. I poveri
vecchietti a
bordo passarono una settimana sul water».
Franco Cardini (storico): «Ero appena giunto all'aeroporto di San
Paolo, in
Brasile. Un portabagagli urta il mio carrello allontanandolo di
qualche metro.
Cerco di recuperare il bagaglio, anche perché c'è il passaporto.
Faccio due
passi e mi salta addosso un uomo della sorveglianza. Inizia a
strattonarmi. Ne
arriva un altro e anche lui inizia a spingermi. Mi difendo e grido in
spagnolo,
che parlo meglio del portoghese. Ci insultiamo. Le mie valigie erano
finite in
una zona off limits. Mi portano in un ufficio, davanti a un
funzionario. Sfodero
la classica frase «Lei non sa chi sono io» e chiedo l'intervento del
mio
console. Lo chiamano. Arriva, ma purtroppo è il console spagnolo.
Quella era la
lingua che avevo parlato sino a quel momento».
Milo Manara (fumettista): «India. Eravamo due coppie e viaggiavamo su
un camper
militare. Nelle campagne si celebrava un'importante festa popolare e
i bambini
facevano posti di blocco chiedendo offerte ai passanti. Erano tutti
dipinti,
colorati da testa a piedi ed erano moltissimi. Dopo i primi pedaggi
finimmo le
monete e ci rimasero solo banconote di grosso taglio. Decidemmo di
forzare i
blocchi. I ragazzini tiravano pietre e ci spaccarono i vetri: fummo
costretti a
sostituirli con lamiere. Il momento peggiore era la notte. Cercavamo
rifugi
isolati per non sentire le grida di quelle torme di bambini che ci
davano la
caccia».
Clemente Mimun (direttore Tg2): «Un anno fa completamente bollito ho
insolitamente deciso di concedermi una vacanza. Partenza immediata.
Un'agenzia
ha proposto a me e a mia moglie il Kenya. Via. L'albergo era una roba
tristarella, da pensione della riviera adriatica. Ma la cosa più
terribile era
il mare. Di mattina c'erano le alghe, di pomeriggio se ne andavano,
ma con loro
il mare: arrivava infatti la bassa marea. A 100 metri c'era un
villaggio con un
mare splendido».
(03.07.1998)

Romano, così non va. Parola di Governatore

Dal lavoro alle tasse, dalla spesa pubblica alle pensioni, la Banca
d'Italia è
sempre più critica verso il governo. «Panorama» ha raccolto le
convinzioni più
ferme (e riservate) di Antonio Fazio e del suo staff. Ecco, punto per
punto, la
controricetta di un protagonista scomodo.
di ROBERTO SEGHETTI
Romano Prodi ha ringraziato gli italiani per l'aggancio con l'euro.
Ma avrebbe
dovuto ringraziare anche la Banca d'Italia: il nostro rigore, certo
un po'
scomodo per il governo, è stato un elemento decisivo per il
successo».
Palazzo Koch, via Nazionale, sede della Banca d'Italia. Panorama è
andato a far
visita nel fortino della lira per raccontarne umori e idee mentre il
governo
dell'Ulivo sparge ottimismo e a Francoforte muove i primi passi la
Banca
centrale europea. Da via Nazionale, invece, filtrano parole gonfie di
orgoglio.
Parole, soprattutto, che lasciano capire il pensiero di Antonio
Fazio: il
governatore continua a sfornare stime e ricette così diverse da
quelle di
Palazzo Chigi da essere considerato dall'esecutivo una spina nel
fianco. In
pratica, un oppositore.
Fazio però tiene duro. È convinto di avere la soluzione giusta per
l'occupazione, anche se mette in imbarazzo il governo, oltre a
mandare su tutte
le furie Cgil, Cisl e Uil. Di più. Dopo il fallimento della
Bicamerale, le
incertezze sulla sorte dell'esecutivo e le bizze dei partiti, il
governatore e i
suoi uomini si considerano addirittura l'ancora che garantisce
l'Europa contro
la leggerezza degli italiani. Contro quello che in via Nazionale
definiscono,
con una battuta, «il fattore tre B: Bicamerale, Bertinotti e Bossi».
«È il
simbolo di una transizione politica incompleta» aggiungono,
ricordando che
l'unica certezza sono i dati di fatto. Eccoli.
La guerra del pil. Il governo ha basato tutto su una crescita
dell'economia del
2,5 per cento. Fazio avvertì un mese fa che non ci si sarebbe
arrivati. Ora la
Confindustria prevede un magro 2,3 per cento. E lo stesso ministro
del Tesoro,
Carlo Azeglio Ciampi, ammette il ridimensionamento. Ma i tecnici di
via
Nazionale in privato fanno previsioni anche più cupe: «Potremmo
arrivare appena
a superare il due».
Entrate a rischio. Una crescita del 2,3 o addirittura del 2-2,1 per
cento,
anziché del 2,5, ridurrebbe le entrate dello Stato. Mezzo punto in
meno di
crescita farebbe mancare all'appello circa 10 mila miliardi di pil,
cioè fino a
5 mila miliardi di entrate. Come l'eurotassa pagata nel 1997.
Mercoledì 1 luglio
il Tesoro ha dovuto fare una prima ammissione: a giugno l'avanzo
dello Stato si
è fermato a 18 mila miliardi, 11 mila in meno del '97. Tuttavia
continua a
spargere ottimismo: «Il dato non ci preoccupa, sono solo ritardi nel
pagamento
delle imposte». Ma la Banca d'Italia insiste. Sono stati previsti 3
mila
miliardi di incassi per la lotta all'evasione? «Tutti ancora da
verificare»
dicono in via Nazionale. Non solo. Nessuno sa con certezza,
aggiungono, quanto
porterà nelle casse dello Stato la nuova Irap.
Il tira e molla sui tassi. I nervi sono scoperti. Prodi e Ciampi
hanno
considerato già acquisiti non solo i risparmi di spesa che derivano
dal calo dei
tassi del passato, ma anche il beneficio di un'ulteriore, rapida
discesa del
costo del denaro. Così, dal 3 maggio, quando l'Italia ha agganciato
l'euro, sono
cominciati ad arrivare a Fazio, via via, sempre più critiche per il
ritardo
accumulato rispetto alla tabella di marcia fissata. In via Nazionale
questo
atteggiamento ha fatto andare in bestia tutti. Per due ragioni. La
prima,
dicono, è che, dopo aver scelto la strada dell'Europa, il governo e
le forze
politiche continuano a non capire che la Banca d'Italia deve
raccordarsi con gli
altri istituti europei, in attesa che la Bce accentri poi tutte le
scelte a
Francoforte. La seconda riguarda la politica. Osserva un alto
dirigente di via
Nazionale: «È stravagante pensare che un paese con una maggioranza e
un governo
instabili possa raggiungere e poi mantenere lo stesso livello di
tassi, a breve
e a lunga scadenza, che ha la Germania, dove Helmut Kohl è al potere
da 14
anni».
Pochi investimenti. Lo stato maggiore della Banca d'Italia, a
cominciare da
Fazio, ritiene che sugli investimenti il governo tiri troppo il
freno: per far
quadrare i conti, sborsa con il contagocce i soldi per le spese già
previste.
Ma, avverte il governatore, «la compressione dei pagamenti può
risultare
temporanea». Prima o poi quelle spese l'Italia dovrà farle,
soprattutto con
infrastrutture carenti o addirittura, come le Ferrovie, che cadono a
pezzi.
Risultato: per il futuro si rischia l'effetto bomba. Fazio e i suoi
sanno bene
che dire queste cose significa tirare la giacca a Ciampi, ex
governatore con una
fama da rigorista. Ma insistono. Anche a costo di un dissidio
pubblico, come a
fine giugno. La Banca d'Italia ha segnalato che la spesa pubblica
corrente
(stipendi e pensioni) è aumentata del 33,5 per cento nei primi
quattro mesi del
1998. Ciampi ha contestato la completezza dei dati forniti da via
Nazionale e ha
replicato, piccato: «La spesa corrente risulta in flessione, mentre
quella per
gli investimenti mostra un significativo incremento da 8 mila a 11
mila
miliardi».
Pensioni nel mirino. Fazio pensa che le spese da ridurre siano altre.
In sette
anni il deficit dell'Inps si è triplicato, toccando nel '97 i 20.601
miliardi.
Fazio considera insufficiente la riforma della previdenza, compresi
gli
aggiustamenti di Prodi. I suoi collaboratori lo hanno messo nero su
bianco: «I
livelli di spesa previsti dalla Ragioneria generale dello Stato
implicano un
ulteriore incremento delle aliquote contributive, già superiori a
quelle di
altri paesi, oppure un maggiore ricorso alla fiscalità». Come dire:
con questi
conti, sarà inevitabile aumentare contributi o tasse; mentre
bisognerebbe far
scendere costo del lavoro e pressione fiscale.
Sull'occupazione è guerra. Il governo promette 600 mila posti di
lavoro per il
2001? Fazio ne prevede la metà. Se poi passassero le 35 ore, addio.
Fazio è
convinto che in Europa, con 18 milioni di disoccupati, si rischia la
pace
sociale. «Ricordatevi l'Albania e guardate cosa sta accadendo in
Indonesia: la
disperazione è una cattiva consigliera» ammoniscono in via Nazionale.
È dal
febbraio del 1997 che Fazio ha lanciato la propria sfida: «Il livello
della
retribuzione deve tenere conto dei risultati dell'impresa». Oggi
rilancia,
convinto che sia venuto il momento di togliere di mezzo lacci e
lacciuoli. La
ricetta: «È necessario che la quota retributiva fissa, uguale per
tutti, si
riduca e che la componente variabile del salario possa aumentare e
diminuire».
Fazio continua a dirlo, inascoltato. Anche in recenti dossier inviati
al
governo. Che però lascia cadere, mentre i sindacati vanno su tutte le
furie. Ma
Fazio non demorde. Mercoledì 24 giugno, all'Ucid, l'associazione
degli
imprenditori e dei dirigenti cattolici, ha rincarato la dose: «Non è
possibile
avere gli stessi stipendi a Trieste e a Reggio Calabria. Così al Sud
il lavoro o
si trova in nero, oppure non si trova». Non solo. Due giorni dopo, il
26, ha
dato il benestare alla presenza di Giancarlo Morcaldo, capo del
servizio studi,
a un convegno di An, partito d'opposizione.
Noi come i tedeschi? Mah.... Cantare vittoria va bene. Ma,
suggeriscono il
governatore e i suoi, non bisogna montarsi la testa, dimenticando le
differenze
tra noi e gli altri paesi. Come quelle messe in luce in un libriccino
di
Salvatore Rossi, del servizio studi, uscito proprio in queste
settimane. Negli
ultimi 30 anni tra Italia e Germania il divario del reddito medio pro
capite è
salito dal 20,5 per cento al 35,6. Nello stesso periodo la
disuguaglianza nella
distribuzione del reddito tra i diversi ceti sociali è scesa in
Germania dal 31
al 26 per cento e in Italia dal 42 al 36. Il messaggio è chiaro: più
fatti, meno
brindisi.
(03.07.1998)

BORSA. Che cosa comprare e che cosa vendere prima delle vacanze

Un listino che zoppica e matricole deludenti, ma anche azioni


dell'Eni che vanno
a ruba. Nuovi regolamenti del mercato e tasse sulle rendite
finanziarie, però
con risparmiatori senza alternative di investimento. «Panorama» ha
consultato
esperti e banche d'affari. Che suggeriscono come muoversi fra blue
chip, fondi e
«small cap». Per trascorrere un'estate tranquilla. E redditizia.
di ANGELO PERGOLINI
A riempire la valigia per le vacanze, obiettivo Isola d'Elba,
Giuliano Cesareo,
responsabile delle gestioni patrimoniali di Meliorbanca, penserà solo
ad agosto.
Per adesso è ancora troppo occupato a svuotare i dossier con i titoli
azionari
dei suoi facoltosi clienti (patrimonio minimo: 2 miliardi). «Per i
prossimi tre,
sei mesi non sono ottimista. Non mi aspetto tragedie, ma il rialzo di
borsa non
ha più spazio. Perciò se in primavera avevo in portafoglio il 50-60
per cento di
azioni, oggi questa quota non supera il 20-25 per cento». Parola
d'ordine per
fare una vacanza tranquilla? «Sell», vendere.
Alida Carcano, giovane e brillante numero uno del private banking del
Crédit
Suisse in Italia, è invece sul piede di partenza: destinazione Usa e
Canada. Ma
prima di salutare la clientela ha fatto una sola cosa: ha comprato,
comprato e
ancora comprato. «Perché io sono ottimista sulle borse europee e
soprattutto su
quella italiana. Lo ero un anno fa, lo sono ancora». Previsioni? «Nei
primi sei
mesi dell'anno piazza Affari ha guadagnato il 35 per cento. Nei
secondi salirà
ancora del 15». Dunque, prima di partire: «buy», comprare.
Chi ha ragione fra Cesareo e Carcano, che sembrano incarnare i due
eterni
partiti di borsa, quello del «toro» (i rialzisti) e quello
dell'«orso» (i
ribassisti)? Stando al clamoroso successo del collocamento della
quarta tranche
dell'Eni, che ha portato nelle casse del Tesoro quasi 13 mila
miliardi, non
dovrebbero esserci dubbi: il partito dei compratori, ferie o no, è il
più forte.
Ma non mancano segnali di tipo diverso. In vista dell'entrata in
vigore della
riforma Draghi e del nuovo regime fiscale sui guadagni di borsa
(articoli alle
pagine 40 e 41) molti risparmiatori hanno preferito vendere e
mettersi alla
finestra. Rientreranno sul mercato? Forse sì, ma negli ultimi tre
mesi il
listino ha perso, rispetto ai massimi toccati in aprile, più del 10
per cento.
Il volume degli scambi giornalieri, che aveva raggiunto il picco
degli 8 mila
miliardi, è sceso a 2 mila. E se il collocamento dell'Eni si è
risolto in un
trionfo, il debutto di molte matricole, dalla Buffetti alla Beghelli,
è finito
in una mezza delusione. Allora?
«E allora vale un antico detto romano: post coitum triste. Mi sembra
che
descriva bene lo stato attuale del mercato» dice Francesco Micheli,
protagonista
negli anni Ottanta di clamorose scalate di borsa che infiammarono il
listino e
oggi presidente della banca d'affari Micheli, Gotti & Co. «Il mercato
è solido,
e non vedo in prospettiva scivoloni o cadute. Ma i massimi raggiunti
non li
rivedremo per un bel po' di tempo. Almeno fino a dicembre». Dunque,
che fare?
«C'è ben poco da fare» risponde Micheli «perché in passato c'era
l'alternativa
dei Bot che rendevano l'8 o il 10 per cento. Oggi non più. Chi è nel
mercato è
un po' prigioniero, le sue azioni sono una sorta di risparmio
forzoso». Per
mancanza di alternative.
Concorda Ettore Fumagalli, ex numero uno degli agenti di cambio
milanesi e oggi
presidente di una Sim (società di intermediazione mobiliare), la
Banconapoli,
Fumagalli & Soldan: «È così. Parcheggiare gli investimenti sul
mercato
obbligazionario oggi rende il 4 o il 4,5 per cento. Nell'area del
dollaro si
arriva al 5, e qualcosa in più in quella della sterlina. Però c'è
anche il
rischio di cambio. E allora...».
Allora non resta che la borsa, magari vendendo titoli che potrebbero
riservare
sorprese, e sostituendoli con altri che appaiono più solidi (vedere i
consigli
delle banche d'affari a pagina 40). Carcano, la fuochista del Crédit
Suisse, non
ha dubbi: «Noi amiamo le "blue chip", i titoli a largo flottante.
Saranno loro a
trainare ancora il rialzo, e ad attirare la liquidità, soprattutto
quella
estera. Qualche indicazione? Beh, noi abbiamo «target price»
(previsioni di
prezzo, ndr) aggressivi: per esempio, Generali a 70 mila lire, ed
Edison a 19
mila».
E le «small cap», i cosiddetti titolini? Alla larga. Almeno su
questo, anche
Cesareo di Meliorbanca concorda con la collega: «Quando c'è
incertezza ci si
posiziona su titoli più liquidi, più facilmente vendibili senza
sacrifici di
prezzo». Un esempio? «La Beghelli è una bellissima azienda. Ma se
decido
improvvisamente di vendere un pacco di azioni e non trovo subito una
controparte
che acquista che cosa faccio? Meglio allora avere in portafoglio
titoli come Eni
o Generali».
Dunque, ecco la prima regola: grande è bello. Ma «grande» che cosa?
Cesareo
suggerisce di puntare sui titoli industriali «perché la ripresa
economica
comunque c'è». E, al contrario, di vendere i bancari: «A questi
prezzi sono
tutti cari, sopravvalutati». Anche la Invesco, un gruppo
angloamericano che
gestisce in tutto il mondo 450 mila miliardi di lire, è molto
prudente: nelle
ultime settimane ha venduto le azioni delle banche italiane per
comprare in
Francia. A chi vuole fare shopping in piazza Affari, Riccardo
Ricciardi,
responsabile degli investimenti della Invesco in Italia, suggerisce
di puntare
sull'Eni («Un titolo che non dovrebbe avere problemi») e sulla Tim
perché
«rispetto ai massimi è scesa di oltre il 20 per cento».
L'Eni piace anche a Fabio Basagni, presidente di Actinvest Group,
società
londinese specializzata in analisi del mercato italiano: «È una
società molto
internazionalizzata, per questo assai poco sensibile a eventuali
problemi
politici italiani. Semmai il titolo potrebbe essere influenzato da un
consistente rincaro del prezzo del petrolio». Molta cautela,
suggerisce invece
Basagni, per quanto riguarda i titoli industriali, perché dopo
Maastricht e
l'euro «non hanno più la valvola di sfogo della svalutazione
competitiva». Senza
dimenticare di tener d'occhio le azioni di banche con forti
prospettive di
ristrutturazione, come per esempio la Popolare di Verona.
Alle banche, e al settore finanziario-assicurativo più in generale,
guarda
Walter Ottolenghi, amministratore delegato di Mediolanum gestione
fondi. Ma non
sono titoli cari? «Sì, ma molte partite non sono ancora state
sistemate e
potrebbero esserci sorprese interessanti». Poi c'è la Telecom: «Da
mesi è al
centro di una saga infinita che indubbiamente ha penalizzato
l'andamento del
titolo. È un punto interrogativo, perché non sappiamo come la società
e il suo
management ne verranno fuori. Ma il settore telefonico è promettente,
e se
appena appena si diradasse un po' di nebbia...».
«Situazioni speciali» da tener d'occhio, così le chiama Fumagalli, ce
ne sono
parecchie. «In un'ottica speculativa si può pensare per esempio alla
galassia
Banca commerciale-Mediobanca-Generali: i prezzi, in fondo, sono
ragionevoli»
dice Marco Rosati, presidente della Pfm sim. «Alle Generali c'è pace
armata;
alla Comit non si sa, ma qualcosa dovrà accadere» ragiona Fumagalli.
«Poi c'è la
Fondiaria: è in vendita oppure no? Aggiungerei la Fiat, dove arriva
un Fresco
(Paolo Fresco, ndr) certo non per dare aria fresca. Più in generale,
non bisogna
perdere di vista tutto quello che ruota intorno agli interessi degli
Agnelli. E
le mosse di Torino potrebbero avere riflessi anche sul gruppo
Montedison, perché
l'Ifil punta su Eridania-Beghyn Say».
Dunque, prima delle vacanze occhio a cosa mettete in valigia ma anche
nel
portafoglio titoli. Senza dimenticare, avverte Ottolenghi, «che
agosto è spesso
il mese delle sorprese, in tutti i sensi. Per questo dico: "State in
campana",
anche se c'è attesa per un aumento degli utili delle società quotate
e per
un'ulteriore discesa dei tassi, e all'orizzonte non si intravedono
sgradevoli
sorprese». Massimo Tosato, responsabile dell'investment management
italiano
della banca d'affari Schroders, rassicura: «Anche chi compra ai
prezzi di oggi
nel medio periodo potrebbe avere delle belle soddisfazioni. E fra tre
anni chi
sarà rimasto nel listino italiano non se ne potrà pentire».
Altrimenti?
«Altrimenti» dice Fumagalli «comprate dei fondi e andate al mare. O
in montagna.
E non pensate più alla borsa». Buone vacanze.
(hanno collaborato Marco Fossi ed Edmondo Rho)
(03.07.1998)

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