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1Italia
Disavventure nel mondo
Alba Parietti (attrice): «Quando una vacanza parte male, non c'è
nulla da fare, andrà male. A me è capitato due volte. La prima in una
barca a nolo nel Tirreno.
Ci avevano giurato che era un affare. Invece questa barca si rompeva
in continuazione e abbiamo finito per passare il resto della vacanza
sulla spiaggia di Viareggio. Poi ho fatto la vacanza più sfigata
della mia vita a Formentera.
In aereo, all'andata, un cane nella stiva si è mangiato la valigia.
Una volta arrivata nella casa in affitto non funzionava nulla. E come
se non bastasse mi ha preso fuoco la macchina a noleggio».
Gavino Sanna (pubblicitario): «Era l'anno scorso. Alcuni amici mi
convinsero a
seguirli nella loro pesca al traino nel golfo d'Alghero. A un certo
punto la
barca si ferma e inizia a ondeggiare. E io a soffrire. Gli amici mi
dicono che
resteremo fermi un po' di ore. Prendo i vestiti e le scarpe, me li
lego sulla
testa e raggiungo a nuoto una piccola baia. Il mare era pieno di
meduse e ho
dovuto passare tutto il giorno su uno scoglio. Quando sono venuti a
recuperarmi
mi ero preso una mezza insolazione».
Cesara Buonamici (giornalista Tg5): «Con amici abbiamo affittato una
barca per
una minicrociera agostana nel mar Egeo. Un pomeriggio, mentre
attraccavamo a
Paxos, c'è stata un'esplosione a bordo. Cosa era successo?
Probabilmente
l'ambiente era saturo di gas e per farlo scoppiare è bastata una
scintilla.
Quella che doveva essere una vacanza in barca, divenne un soggiorno
sull'isola,
in una casa in affitto».
Dal lavoro alle tasse, dalla spesa pubblica alle pensioni, la Banca
d'Italia è
sempre più critica verso il governo. «Panorama» ha raccolto le
convinzioni più
ferme (e riservate) di Antonio Fazio e del suo staff. Ecco, punto per
punto, la
controricetta di un protagonista scomodo.
di ROBERTO SEGHETTI
Romano Prodi ha ringraziato gli italiani per l'aggancio con l'euro.
Ma avrebbe
dovuto ringraziare anche la Banca d'Italia: il nostro rigore, certo
un po'
scomodo per il governo, è stato un elemento decisivo per il
successo».
Palazzo Koch, via Nazionale, sede della Banca d'Italia. Panorama è
andato a far
visita nel fortino della lira per raccontarne umori e idee mentre il
governo
dell'Ulivo sparge ottimismo e a Francoforte muove i primi passi la
Banca
centrale europea. Da via Nazionale, invece, filtrano parole gonfie di
orgoglio.
Parole, soprattutto, che lasciano capire il pensiero di Antonio
Fazio: il
governatore continua a sfornare stime e ricette così diverse da
quelle di
Palazzo Chigi da essere considerato dall'esecutivo una spina nel
fianco. In
pratica, un oppositore.
Fazio però tiene duro. È convinto di avere la soluzione giusta per
l'occupazione, anche se mette in imbarazzo il governo, oltre a
mandare su tutte
le furie Cgil, Cisl e Uil. Di più. Dopo il fallimento della
Bicamerale, le
incertezze sulla sorte dell'esecutivo e le bizze dei partiti, il
governatore e i
suoi uomini si considerano addirittura l'ancora che garantisce
l'Europa contro
la leggerezza degli italiani. Contro quello che in via Nazionale
definiscono,
con una battuta, «il fattore tre B: Bicamerale, Bertinotti e Bossi».
«È il
simbolo di una transizione politica incompleta» aggiungono,
ricordando che
l'unica certezza sono i dati di fatto. Eccoli.
La guerra del pil. Il governo ha basato tutto su una crescita
dell'economia del
2,5 per cento. Fazio avvertì un mese fa che non ci si sarebbe
arrivati. Ora la
Confindustria prevede un magro 2,3 per cento. E lo stesso ministro
del Tesoro,
Carlo Azeglio Ciampi, ammette il ridimensionamento. Ma i tecnici di
via
Nazionale in privato fanno previsioni anche più cupe: «Potremmo
arrivare appena
a superare il due».
Entrate a rischio. Una crescita del 2,3 o addirittura del 2-2,1 per
cento,
anziché del 2,5, ridurrebbe le entrate dello Stato. Mezzo punto in
meno di
crescita farebbe mancare all'appello circa 10 mila miliardi di pil,
cioè fino a
5 mila miliardi di entrate. Come l'eurotassa pagata nel 1997.
Mercoledì 1 luglio
il Tesoro ha dovuto fare una prima ammissione: a giugno l'avanzo
dello Stato si
è fermato a 18 mila miliardi, 11 mila in meno del '97. Tuttavia
continua a
spargere ottimismo: «Il dato non ci preoccupa, sono solo ritardi nel
pagamento
delle imposte». Ma la Banca d'Italia insiste. Sono stati previsti 3
mila
miliardi di incassi per la lotta all'evasione? «Tutti ancora da
verificare»
dicono in via Nazionale. Non solo. Nessuno sa con certezza,
aggiungono, quanto
porterà nelle casse dello Stato la nuova Irap.
Il tira e molla sui tassi. I nervi sono scoperti. Prodi e Ciampi
hanno
considerato già acquisiti non solo i risparmi di spesa che derivano
dal calo dei
tassi del passato, ma anche il beneficio di un'ulteriore, rapida
discesa del
costo del denaro. Così, dal 3 maggio, quando l'Italia ha agganciato
l'euro, sono
cominciati ad arrivare a Fazio, via via, sempre più critiche per il
ritardo
accumulato rispetto alla tabella di marcia fissata. In via Nazionale
questo
atteggiamento ha fatto andare in bestia tutti. Per due ragioni. La
prima,
dicono, è che, dopo aver scelto la strada dell'Europa, il governo e
le forze
politiche continuano a non capire che la Banca d'Italia deve
raccordarsi con gli
altri istituti europei, in attesa che la Bce accentri poi tutte le
scelte a
Francoforte. La seconda riguarda la politica. Osserva un alto
dirigente di via
Nazionale: «È stravagante pensare che un paese con una maggioranza e
un governo
instabili possa raggiungere e poi mantenere lo stesso livello di
tassi, a breve
e a lunga scadenza, che ha la Germania, dove Helmut Kohl è al potere
da 14
anni».
Pochi investimenti. Lo stato maggiore della Banca d'Italia, a
cominciare da
Fazio, ritiene che sugli investimenti il governo tiri troppo il
freno: per far
quadrare i conti, sborsa con il contagocce i soldi per le spese già
previste.
Ma, avverte il governatore, «la compressione dei pagamenti può
risultare
temporanea». Prima o poi quelle spese l'Italia dovrà farle,
soprattutto con
infrastrutture carenti o addirittura, come le Ferrovie, che cadono a
pezzi.
Risultato: per il futuro si rischia l'effetto bomba. Fazio e i suoi
sanno bene
che dire queste cose significa tirare la giacca a Ciampi, ex
governatore con una
fama da rigorista. Ma insistono. Anche a costo di un dissidio
pubblico, come a
fine giugno. La Banca d'Italia ha segnalato che la spesa pubblica
corrente
(stipendi e pensioni) è aumentata del 33,5 per cento nei primi
quattro mesi del
1998. Ciampi ha contestato la completezza dei dati forniti da via
Nazionale e ha
replicato, piccato: «La spesa corrente risulta in flessione, mentre
quella per
gli investimenti mostra un significativo incremento da 8 mila a 11
mila
miliardi».
Pensioni nel mirino. Fazio pensa che le spese da ridurre siano altre.
In sette
anni il deficit dell'Inps si è triplicato, toccando nel '97 i 20.601
miliardi.
Fazio considera insufficiente la riforma della previdenza, compresi
gli
aggiustamenti di Prodi. I suoi collaboratori lo hanno messo nero su
bianco: «I
livelli di spesa previsti dalla Ragioneria generale dello Stato
implicano un
ulteriore incremento delle aliquote contributive, già superiori a
quelle di
altri paesi, oppure un maggiore ricorso alla fiscalità». Come dire:
con questi
conti, sarà inevitabile aumentare contributi o tasse; mentre
bisognerebbe far
scendere costo del lavoro e pressione fiscale.
Sull'occupazione è guerra. Il governo promette 600 mila posti di
lavoro per il
2001? Fazio ne prevede la metà. Se poi passassero le 35 ore, addio.
Fazio è
convinto che in Europa, con 18 milioni di disoccupati, si rischia la
pace
sociale. «Ricordatevi l'Albania e guardate cosa sta accadendo in
Indonesia: la
disperazione è una cattiva consigliera» ammoniscono in via Nazionale.
È dal
febbraio del 1997 che Fazio ha lanciato la propria sfida: «Il livello
della
retribuzione deve tenere conto dei risultati dell'impresa». Oggi
rilancia,
convinto che sia venuto il momento di togliere di mezzo lacci e
lacciuoli. La
ricetta: «È necessario che la quota retributiva fissa, uguale per
tutti, si
riduca e che la componente variabile del salario possa aumentare e
diminuire».
Fazio continua a dirlo, inascoltato. Anche in recenti dossier inviati
al
governo. Che però lascia cadere, mentre i sindacati vanno su tutte le
furie. Ma
Fazio non demorde. Mercoledì 24 giugno, all'Ucid, l'associazione
degli
imprenditori e dei dirigenti cattolici, ha rincarato la dose: «Non è
possibile
avere gli stessi stipendi a Trieste e a Reggio Calabria. Così al Sud
il lavoro o
si trova in nero, oppure non si trova». Non solo. Due giorni dopo, il
26, ha
dato il benestare alla presenza di Giancarlo Morcaldo, capo del
servizio studi,
a un convegno di An, partito d'opposizione.
Noi come i tedeschi? Mah.... Cantare vittoria va bene. Ma,
suggeriscono il
governatore e i suoi, non bisogna montarsi la testa, dimenticando le
differenze
tra noi e gli altri paesi. Come quelle messe in luce in un libriccino
di
Salvatore Rossi, del servizio studi, uscito proprio in queste
settimane. Negli
ultimi 30 anni tra Italia e Germania il divario del reddito medio pro
capite è
salito dal 20,5 per cento al 35,6. Nello stesso periodo la
disuguaglianza nella
distribuzione del reddito tra i diversi ceti sociali è scesa in
Germania dal 31
al 26 per cento e in Italia dal 42 al 36. Il messaggio è chiaro: più
fatti, meno
brindisi.
(03.07.1998)
BORSA. Che cosa comprare e che cosa vendere prima delle vacanze