Sei sulla pagina 1di 254

RENEE ROSE

His Queen
of Clubs
Vegas Underground vol.6
Queen Edizioni
www.queenedizioni.com

Titolo originale: His Queen of Clubs: A Bratva


Copyright © 2019 Renee Rose
Immagine in copertina: shutterstock.com
Traduzione di: Valentina Chioma

Copyediting: Linda Greggio

Copertina realizzata da: Elira Pulaj


Impaginazione a cura di: Elira Pulaj

ISBN: 9788892890806

Tutti i diritti riservati

2022 © Queen Edizioni

Prima Edizione Narrativa Queen Edizioni Gennaio 2022

Tutti i personaggi e gli eventi descritti in questo libro sono frutto


dell’immaginazione dell’autrice e qualsiasi somiglianza
con persone reali, viventi e non, è puramente casuale.
INDICE

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
Epilogo
1
Vlad

Cazzo, non ci credo. Proprio quando mi convinco di essere il


bastardo più scalognato del continente, ho un colpo di fortuna.
Ormai sono due mesi che tengo d’occhio il Bellissimo e
Nico Tacone.
I Tacone hanno eliminato tutta la mia cellula. Mentre ero a
Mosca per occuparmi degli affari di mia madre, Junior Tacone
e i suoi fratelli hanno smantellato l’operazione di Chicago.
Certo, quell’idiota del mio vice, Ivan, aveva intenzione di farli
fuori e di mettere per sempre fine al loro regno nella Città
Ventosa. Ma ha fallito, e sei dei miei uomini sono stati trovati
morti in un bar italiano.
Victor aveva ordinato a Ivan di organizzare il giro d’affari
per le strade, ma lui era troppo ottuso e ambizioso per fare un
granché di utile. Allora sono stato mandato io, ma l’altro uomo
mi ha visto come una minaccia alla sua autonomia. Ho fissato
un incontro con Junior per coinvolgere la famiglia Tacone nel
mio sistema di riciclaggio del denaro – per diversificare gli
interessi – e Ivan ha mandato tutto all’aria. Quando mia madre
è morta e sono dovuto tornare a Mosca, ha usato la mia
assenza per cercare di eliminare gli italiani e di conquistare il
mondo criminale di Chicago.
Ha sottovalutato Junior Tacone. Erano in sei ad aspettarlo
armati, e lui li ha fatti fuori tutti da solo.
Non sono particolarmente dispiaciuto per la perdita
dell’operazione di Chicago. Sono maggiormente interessato ad
attività più fruttuose, essendo l’uomo che gestisce il
riciclaggio del denaro sporco della Bratva. Ma l’uccisione di
tutti gli uomini della mia cellula è inaccettabile. E Victor, il
nostro pakhan, il capo, mi ha ordinato di vendicarli, così sono
qui per fare proprio questo.
I Tacone avranno anche fatto un favore alla Fratellanza
levando di mezzo Ivan, ma sono ancora in debito con me.
Victor vorrebbe il sangue. Ucciderebbe ogni persona cara a
Junior Tacone. È così che agisce, ma io non sono come lui. Sì,
sono stato cresciuto tra la violenza e gli omicidi
dell’organizzazione, ma sono l’uomo dei soldi.
E i Tacone hanno il denaro. In abbondanza.
Ma la loro ricchezza non proviene dalle loro attività di
Chicago. A quanto pare hanno iniziato a interrompere la
maggior parte dello strozzinaggio negli ultimi anni, e da
quando sono tornato hanno chiuso del tutto bottega.
Così sono venuto a Las Vegas, dove hanno uno dei casinò
più redditizi del paese, e sto tenendo d’occhio i due Tacone
che lo gestiscono, cercando di decidere la mia mossa. Stavo
pensando di prendere una delle loro donne. Una classica
richiesta di riscatto. È chiaro che entrambi gli uomini siano
devoti alle loro mogli, o ragazze, o quel che sono.
Ma si è appena fatto tutto più semplice. Questo pomeriggio
sono arrivate due limousine, portando l’intera famiglia Tacone:
i tre fratelli di Chicago, una fidanzata, la madre e la splendida
sorellina ventenne.
Ho convinto una cameriera pettegola a dirmi tutto ciò che
sapeva. Ho scoperto che sono qui per il matrimonio di Junior
Tacone, una faccenda dell’ultimo secondo. Gli ultimi piani del
casinò sono stati chiusi per i festeggiamenti. Pare che Stefano,
il fratello più giovane, potrebbe sposarsi con la sua ragazza
nello stesso giorno.
Ma a me non frega un cazzo del loro status coniugale.
Mi importa solo di una Tacone.
L’incantevole Alessia, la sorellina dei cinque fratelli
multimilionari. Stavo cercando di scegliere la donna da rapire,
di capire quale fratello sarebbe stato disposto a pagare di più
per la propria compagna. Ma ora è facile. Prenderò quella a cui
tengono tutti.
E non intendo la madre.
Ovviamente la mia decisione di rapire Alessia invece della
vecchia signora ha molto a che vedere con quel corpo perfetto
da modella, le gambe chilometriche e il viso magnifico. Se
devo nascondermi con una donna Tacone, almeno che sia una
che valga la pena guardare.
Non devo fare altro che stendere uno dei camerieri prima
che porti il cibo alla festa e rubargli l’uniforme e il posto.

Alessia

Mio fratello Junior è un vero stronzo.


In realtà tutti e cinque i miei fratelli sono dei bastardi, ma
Junior è il peggiore. Ci ha informato solo questa mattina che
lui e la sua fidanzata incinta si sarebbero sposati a Las Vegas.
Questa sera stessa.
Ci siamo tutti precipitati in città per assistere alla
cerimonia.
La verità è che non mi sarei persa questo momento per
niente al mondo, nonostante viaggiare sia una gran fatica, tra
mia madre che è da tenere tranquilla e la mia glicemia che è da
monitorare di continuo. Rende anche più difficile nascondere
alla mia attenta famiglia la stanchezza provocata dal mio
disturbo ai reni. Loro non ne sono a conoscenza, e io voglio
che continui a essere così il più a lungo possibile.
Ci troviamo in uno degli ultimi piani del Bellissimo, in una
reception dalle pareti finestrate che danno su Las Vegas. Un
prete cattolico celebra il matrimonio, che si è appena
trasformato in un doppio evento.
Stefano, il più alla mano tra i miei fratelli – non che questo
lo renda meno letale degli altri – ha fatto la proposta alla sua
ragazza Corey proprio questa mattina, e hanno deciso di
raddoppiare i festeggiamenti.
«Maria, Regina della Pace, prega per noi», mormoro,
facendomi il segno della croce insieme agli altri invitati e al
prete.
Non riesco a credere che Junior si stia risposando. Beh, non
sono tanto sconvolta dal suo secondo matrimonio, quanto dalla
felicità che trasmette ora che è di fronte a Desiree, la sua
determinatissima sposa. Le stringe entrambe le mani tra le
proprie, e la fissa come se fosse tutto il suo mondo. Accanto a
lui c’è il giovane figlio di Desiree. Vedere il suo silenzioso
legame con il bambino mi fa venire da piangere. Anni fa
Junior ha perso la figlioletta in un tragico incidente e da allora
si è completamente chiuso. Non pensavo che avrebbe mai
riaperto il suo cuore all’amore. E invece adesso sta per avere
un bambino, ed è anche diventato padre adottivo.
«Non è incredibile?» bisbiglia mia madre tra i singhiozzi,
tenendomi una mano.
«Assolutamente perfetto», concordo, piangendo insieme a
lei.
Sondra, la moglie incinta di Nico, ha fatto le cose in grande
con le decorazioni. Nella sala devono esserci diecimila dollari
di fiori. Le colonne e le viti vere intrecciate ai tralicci danno la
sensazione di trovarsi nel vecchio continente.
Raffinata e stravagante, e nonostante tutto discreta, la
cerimonia è perfetta per entrambe le coppie. Ci sono solo una
quarantina di membri della famiglia nella sala, e l’evento è
reso più tenero da due pance in dolce attesa, perché sia Sondra
che Desiree sono incinte.
Sono felice di diventare zia, i bambini sono la mia passione.
Ho una laurea in Educazione della Prima Infanzia, anche se
probabilmente non avrò mai il permesso di lavorare. Né la mia
famiglia, né qualsiasi marito che verrà scelto per me, me lo
lascerà fare.
Soffro sapendo che non avrò mai niente di tutto questo: il
sentimento, la fuga d’amore, dei figli.
Quello che spetta a me, la principessa della famiglia, è un
grande matrimonio virginale in chiesa con un uomo d’onore
scelto da mio padre o dai miei fratelli. Non fisserò mai negli
occhi la persona che amo. Sarà un matrimonio combinato in
tutto e per tutto.
Un tempo, quando ancora credevo che mi sarei sposata e
avrei avuto bambini miei, desideravo ardentemente un’unione
d’amore. Sono scoppiata di gioia venendo a sapere che Nico
aveva potuto prendere in moglie una donna scelta da lui invece
della sposa a cui era stato promesso dall’età di dieci anni.
Mi sono anche state concesse libertà che non credevo avrei
mai avuto.
Sono potuta andare all’università. Ho dovuto insistere per
anni perché Junior lo prendesse in considerazione, ma alla fine
ha ceduto. Per poco il diabete non gli faceva cambiare idea. Mi
considerano una persona fragile. La mamma non voleva
perdermi di vista. I miei fratelli credevano che non potessi
badare a me stessa.
Volevano che restassi dove potevano proteggermi, a
Chicago o a Las Vegas.
Ma alla fine abbiamo raggiunto un compromesso. Ho
frequentato un’università nel vecchio continente, dove sono
stata tenuta d’occhio da La Famiglia, i parenti siciliani. E per
parte del tempo c’è stato anche Stefano a sorvegliarmi.
Mi hanno sempre controllata come una principessa in un
convento. Ciò non significa che non sia riuscita a fare qualche
esperienza di soppiatto. Mi sono scambiata baci con un
ragazzo italiano molto carino che si è preso la mia verginità
nel modo più rispettoso possibile. Ma quando ha scoperto che
appartenevo alla Famiglia, se l’è data a gambe levate. È stato
meglio così, non avrei voluto che gli fosse fatto del male.
Stavo solo cercando di vivere un po’ prima che fosse troppo
tardi.
Perché quello che la mia famiglia non sa, è che ho
un’insufficienza renale al terzo stadio per via del diabete. Mi è
stato detto che avere dei figli potrebbe uccidermi.
Quindi non avrò mai un’unione d’amore e dei bambini
miei.
In effetti, se non mi prenderò cura di me, potrei non arrivare
viva al mio venticinquesimo compleanno.
Vlad

Torno al Bellissimo con un piano e tutto ciò che mi serve


per metterlo in atto: una siringa piena di tranquillante, corda
per legarle polsi e caviglie, nastro adesivo per la bocca, e
Mikhael – Mika, come è soprannominato – il mio complice
dodicenne, e unico membro vivente della Bratva di Chicago,
per guidare l’auto della fuga.
Esco dall’ascensore con indosso la linda uniforme da
cameriere del Bellissimo, spingendo il carrello dentro cui ho
intenzione di portare fuori la ragazza.
Lascio il carrello appena fuori dalla porta e mi fermo
all’ingresso, studiando la stanza. Tengo la testa bassa e le dita
tatuate intrecciate dietro la schiena. Se i fratelli Tacone di
Chicago mi riconoscono, sarò un uomo morto prima di riuscire
a tirare il fiato. Non che mi importi. Se volessi vivere a lungo,
non sarei qui. Ironicamente, è proprio grazie al mio sprezzo
del pericolo che esco sempre vincitore.
Corro dei rischi. Non mi lascio mai dominare dalla paura.
Ho visto da giovane come opera la Bratva e ho capito subito
come ergermi sugli altri. Mi sono reso indispensabile. Non con
la violenza, anche se non mi è mancata, ma tramite la
conoscenza.
Ho imparato ad hackerare, a riciclare il denaro. Ho
imparato a parlare in inglese, in tedesco e in francese. Così ho
ottenuto il controllo del denaro della Bratva, ho accumulato
una fortuna e sono sopravvissuto a innumerevoli aggressioni.
Se non fosse stato per il casino con quella traditrice di Sabine,
sarei ancora al vertice in Russia invece di nascondermi qui in
America.
Prendo mentalmente nota di ogni arma che intravedo nella
stanza… almeno ventiquattro. Tutti gli uomini presenti sono
armati, persino gli sposi. Al posto della paura, una familiare
scarica d’adrenalina mi pervade la pelle.
Un’occhiata furtiva alla stanza e individuo la principessa
della mafia. La ragazza che userò per mettere in ginocchio i
Tacone.
E che imparerà un po’ di umiltà per mano mia.
Dovrei odiare la sorella del mio nemico, e considerarla una
nemica, ma è difficile provare odio per una creatura tanto
bella. Non è colpa sua se è nata in una famiglia senza scrupoli.
Gli italiani mantengono pure le loro donne. Non
partecipano mai agli affari. Non vedono mai sangue e morte.
Diavolo, questa ragazza potrebbe persino essere vergine.
Blyat1, ora ho il cazzo duro. Ma non è il momento per farsi
venire un durello per una donna che ho intenzione di drogare e
legare. Peccato che sia un perverso figlio di puttana, perché il
pensiero me lo fa rizzare ancora di più.
Alessia indossa un abito scollato rosa acceso che incornicia
e presenta il suo seno in una maniera assolutamente deliziosa.
Le scarpe e la borsa dello stesso colore devono costare un
migliaio di dollari.
La fortuna mi sorride, perché la ragazza si allontana dal
gruppo per dirigersi verso la porta, come per andare alla
toilette.
Mi muovo rapidamente, spingendo il carrello nel corridoio
dietro di lei e stringendo la siringa nel palmo. Rimuovo la finta
parte superiore del carrello, rivelando il fondo vuoto che in
realtà è uno dei cesti del bucato su ruote del Bellissimo.
Aspetto che esca dal bagno – da sola, per fortuna – e
l’aggredisco da dietro. Se fosse un uomo la stenderei con un
pugno, come ho fatto con il cameriere al piano di sotto, ma
non riesco a convincermi a colpire una donna, a prescindere da
quanto sarebbe facile ed efficace.
Sento il suo profumo di vaniglia e rose mentre le copro la
bocca e le infilo l’ago ipodermico nel collo. La ragazza si
oppone ma i farmaci le invadono le vene. Tra un minuto
avranno effetto.
«Shh, printsessa», le mormoro all’orecchio, mantenendo
una presa ferrea sulle sue braccia e sulle sue labbra. «Rilassati
e non ti verrà fatto alcun male.» Il mio accento è più pesante
del solito. Probabilmente perché mi si è appena ingrossato
l’uccello alla sensazione del suo sedere morbido premuto
contro di me. «Tranquilla, zaika. Dormi.»
Il suo inebriante aroma floreale mi riempie le narici mentre
respiro sul suo collo, in attesa. Alla fine si affloscia, e il suo
corpo flessibile crolla tra le mie braccia.
Le passo un avambraccio sotto le ginocchia per sollevarla e
lasciarla cadere nel carrello, poi rimetto il coperchio e sistemo
la coperta sopra il tutto. Ventinove secondi più tardi sono
nell’ascensore. Uno degli uomini dei Tacone sale con me.
Mantengo un’ espressione impassibile ma formale.
Il tizio non mi guarda. Io stringo in mano il coltello che ho
in tasca, pronto a usarlo se devo.
Finalmente l’uomo scende a un piano più basso e sale
qualcun altro, dei turisti.
Scrivo a Mika che sto arrivando. Cerco di usare l’inglese
quando comunico con lui, per insegnargli a leggerlo e a
scriverlo.
Lui mi risponde in russo che è già in posizione. Non avrei
dovuto coinvolgere quel ragazzino in questa merda. Diavolo,
non avrei dovuto portarlo qui da Chicago. Ma che altro avrei
dovuto fare con lui? Sono tornato dal funerale di mia madre a
Mosca e ho trovato sei membri della Fratellanza morti e tutti
gli altri spariti. Tutti tranne Mika.
Viveva da solo nel condominio che avevamo occupato, e
chissà come era riuscito a cavarsela. Probabilmente
consegnarlo al sistema assistenziale americano sarebbe stato il
gesto più misericordioso. Ma non ci sono riuscito. Sarà anche
una seccatura però è un membro della Bratva, e noi ci
prendiamo cura dei nostri. E lui si sta impegnando molto per
rendersi utile.
Nel corridoio di uno dei piani più bassi, mi sfilo la divisa da
cameriere e metto una camicia da manutentore. Tolgo il
coperchio da catering dal carrello e lo spingo fuori, come se
stessi portando via la biancheria sporca. Pulisco le mie
impronte dalla borsetta della ragazza e la getto nella
spazzatura.
Mika arriva alla porta e frena di colpo. Già, permetto a un
dodicenne di guidare la mia auto. Non ho nemmeno dovuto
insegnarglielo, era già capace. Ed è dannatamente bravo.
«Apri il bagagliaio», gli borbotto in russo, e lui obbedisce
mentre io porto il carrello dietro la Jetta nera. Sollevo la
principessa Tacone drogata e la lascio cadere nel bagagliaio,
per poi richiuderlo in fretta.
Ventitré secondi e ce la stiamo filando.
Missione compiuta. Ora ho tutto il vantaggio che mi serve
contro quegli stronzi dei Tacone.
2
Alessia

Mi viene da vomitare. Nell’istante in cui la luce del sole mi


penetra tra le palpebre, ricordo di essere stata catturata. La
puntura di un ago. Braccia muscolose e forti strette attorno a
me. Nocche tatuate premute contro la mia bocca. Un pesante
accento russo. Un respiro caldo contro il mio orecchio, non
sgradevole nonostante il mio terrore.
Sono nei guai.
Cerco di aprire gli occhi, ma non mi obbediscono. Sono
debole e ho la vista offuscata. Mi batte forte il cuore ma non
riesco a riscuotermi. Un sudore freddo mi incolla addosso il
vestito. Non capisco se sia l’effetto della sostanza che mi ha
iniettato o se stia per entrare in un coma diabetico. In ogni
caso sono fregata.
Mi sforzo di muovere la bocca e chiedere aiuto.
Se non riesco a svegliarmi subito, non lo farò mai più.

Vlad

Ormai la ragazza avrebbe dovuto svegliarsi. Non sono un


esperto di narcotici, ma ho già visto usare quel mix. Ho
studiato quanto dargliene e dubito di aver malgiudicato il suo
peso.
L’ho legata al letto nel piano di sopra della casa che ho
affittato. Mika è sulla soglia, sta giocando con una palla
mentre controllo le pulsazioni di Alessia. È debole e
irregolare. Le afferro il viso e lo giro da un lato all’altro per
accertarmi che non stia fingendo. Il modo in cui la sua testa
ciondola mi dice che non è così. Le sue palpebre sfarfallano,
ma riesco a vedere solo il bianco dei suoi occhi, come se
fossero rovesciati all’indietro nel cranio.
Una scarica di puro allarme mi fa battere forte il cuore.
«Alessia. Svegliati, printsessa.» Le do qualche leggero
colpetto sulle guance. «Svegliati.»
Le sue labbra si muovono ma non riesco a sentire cosa dice.
«Che cosa?»
«Insulina.» Lascia cadere una mano verso di me ed è allora
che noto il suo braccialetto medico. È in oro rosa e sembra
costoso, quindi non ho fatto caso al simbolo.
Cazzo.
Lo rovescio per leggere cosa dice.
Diabetica.
Doppio cazzo.
Tiro fuori il cellulare e cerco su Google cosa fare in caso di
emergenza con una persona diabetica.
Cazzo. Leggo sullo schermo che ha bisogno di cure
mediche d’urgenza, ma non ho alcuna intenzione di portarla
all’ospedale locale. Ma se morisse non mi servirebbe a niente.
E non voglio la sua morte sulla mia coscienza. Ne ho già fin
troppe.
Mi sono liberato della sua borsa nel caso il suo telefono
fosse rintracciabile, ma ora mi sto prendendo a calci da solo.
Grido a Mika di portarmi una lattina di Coca-Cola dalla
cucina.
Non appena arriva, gli dico in russo: «Ho bisogno che torni
al casinò per riprendere la sua borsetta. L’ho buttata in un
cassonetto fuori dagli ascensori, davanti alla porta dove mi sei
venuto a prendere. È molto importante, potrebbe andarne della
sua vita. Ma non farti prendere. Hai capito?»
Il mio tono lo spaventa, ma annuisce subito.
«Puoi farcela, Mika. Chiamami se non riesci a trovarla.»
«Ce la farò», promette lui, lanciando uno sguardo spaurito
alla ragazza legata al letto.
«E non portare il suo telefono con te! Lascialo nella
spazzatura. Solo la borsa e il suo contenuto, okay? Ora
muoviti.»
Mika mi fa un segno d’assenso e corre via.
Apro la lattina e sollevo le spalle della ragazza per
appoggiarmela addosso. «Bevi, zaika.» Cerco di versare la
Coca-Cola dalla latta alla bocca della principessa della mafia.
Diabetica.
Questa non me l’aspettavo.
I Tacone sono perfetti e ricchi. Questa ragazza è bellissima;
credevo che l’infermità o la sorte avversa non potessero
raggiungerli.
Ma ovviamente la malattia è immune alla ricchezza, al
potere o persino alla bellezza.
Cazzo. Per qualche motivo, la sua invalidità mi rende
ancora più difficile odiarla. E già prima facevo fatica. Non è
facile odiare le persone belle. È come non apprezzare un
cagnolino o un gattino.
Il suo viso è di una perfezione quasi impossibile. Labbra
piene a forma di cuore, folte sopracciglia leggermente arcuate,
ciglia lunghe. La sua pelle olivastra è impeccabile e liscia.
Alessia stringe le palpebre e muove le labbra sulla lattina.
Deglutisce. «Sì», mormora, intuendo cosa voglio fare.
«Brava ragazza.»
Continuo per alcuni lunghi e dolorosi istanti. La riscuoto
dal suo stato d’incoscienza, cercando di farle mandare giù
quella sostanza zuccherosa in gola per alzare il suo tasso
glicemico.
«Mika è andato a prendere la tua insulina, printsessa»,
sussurro, versandole altra Coca-Cola tra le labbra. «Non
morirai oggi.»
Bofonchia qualcosa deglutendo. Mi ha capito. Sa cosa sta
succedendo. Riesce a tenere sempre di più gli occhi aperti. Mi
guarda in faccia, aggrottando le sopracciglia.
«Perché?» ansima.
«Perché rapirti?» Non so perché senta il bisogno di fare
conversazione con lei. Non merita alcuna gentilezza né
trattamento speciale da parte mia. Ma è come se non potessi
evitare di risponderle. «Tuo fratello ha sterminato i miei
uomini.»
Alessia chiude di nuovo gli occhi.
Le riappoggio la lattina sulle labbra. «Bevi. Non mi servi a
niente da morta.»
Mormora qualcosa, le sue labbra carnose umide del liquido
ambrato. Vorrei ripulirle con la lingua. Morderle. Punirla per
essere una Tacone. Per essere così bella. «Cos’hai detto?»
«Vaffanculo.»
Ridacchio. «Sei ancora combattiva, eh? Bene. Mi è piaciuto
lottare con te al casinò. Me lo ha fatto venire duro.»
Alessia sgrana di scatto gli occhi e mi fissa, le sue pupille
ristrette per la paura.
Le rivolgo un sorriso malvagio.
Batte ripetutamente le ciglia, ma tenere gli occhi aperti
sembra costarle troppa fatica, perché li rotea e sviene di nuovo.
Ops.
La scarica d’adrenalina causata dalla mia minaccia deve
averla esaurita.
Sono un bastardo più perverso di quanto pensassi perché
vorrei scoparla nonostante sia priva di sensi.
Con forza.
Violentemente.
Vorrei montare la principessa della mafia fino a farla
gridare e supplicarmi di lasciarla venire.
Dopo quella che mi sembra un’eternità, sento i passi di
Mika salire rapidamente su per le scale.
«L’ho presa», annuncia in russo, tenendo la borsa rosa.
«Non mi ha visto nessuno.»
«Ottimo lavoro.»
Rovescio il contenuto sul letto. Un rossetto, un portafoglio.
Ma cadono anche una siringa e una boccetta di insulina,
insieme a un kit per il test con delle istruzioni scritte a mano
attaccate sopra. In caso di incoscienza, somministrare il
glucagone. Il glucagone è in un kit rosso segnato con lo stesso
pennarello nero. Seguendo le istruzioni al suo interno mescolo
la polvere con la soluzione salina nella siringa. Mentre lavoro,
do ordini a Mika. «Controlla se c’è qualche dispositivo di
rilevamento elettronico nella borsa. Potrebbe essere qualcosa
di piccolo e sottile, come la batteria di un orologio.»
Continuo a seguire le indicazioni e pizzico la pelle sul
ventre della ragazza per infilare l’ago nello strato di grasso e
premere lentamente lo stantuffo della siringa di insulina.
Controllo l’orologio. Quanto tempo ci vorrà? Quanto ha
prima che il suo corpo si arrenda del tutto? Non conosco
abbastanza il diabete per sapere cosa mi aspetta.
«Niente», mi informa Mika.
Studio cosa c’è sul letto. Il contenuto della borsa sembra
innocuo.
«Dammela.» Tendo una mano per prendere la borsetta. Il
viso del ragazzo non cambia – è sempre stoico – ma in qualche
modo capisco che l’ho offeso. «Mi fido di te, Mika, voglio
solo ricontrollare.» Indico le cose sul letto. «Tu ricontrolla
quello ho guardato io.»
Lui annuisce e si avvicina al materasso, sollevando e
analizzando ogni oggetto come ho fatto io.
Non è un bravo ragazzo. Non sono sicuro nemmeno che
abbia un senso morale. L’ho visto picchiare coetanei grossi
due volte lui per nessun motivo particolare. È pericoloso da
morire.
Ma è legato a me, come un cane randagio con la persona
che lo nutre. Fa tutto ciò che gli dico senza alcuna esitazione.
Rapire una donna e legarla a un letto? Nessun problema.
Guidare un’auto fino alla tana del nemico? Qualsiasi cosa
tu dica, capo.
E nonostante sappia che gli sto facendo un torto, non lo
lascerei mai nelle mani di nessun altro. È danneggiato. Quella
stronza di sua madre ha cominciato l’opera… e Junior Tacone
l’ha completata quando lo ha lasciato orfano della Bratva. Io
ho poco da offrirgli, ma almeno posso dargli la dignità e le
capacità per sopravvivere.
Alessia si muove. Apre gli occhi.
Cazzo, meno male.
Geme, rotolandosi su un fianco. «Sto per vomitare.»
Mi serve un momento per tradurre la parola “vomitare”, ma
l’espressione sul suo viso è d’aiuto. «Mika, passami il cesto
della spazzatura», ordino in russo.
Il ragazzo agisce in fretta, la sua intelligenza e i suoi riflessi
pronti per ogni emergenza. Deve averne viste di tutti i colori.
Una ragazza che rimette non è niente rispetto a quello che ha
passato.
Arrivo appena in tempo perché lei perda il suo pranzo nel
cestino.
Mika emette un verso disgustato.
«Puoi andare», lo congedo.
Non è perché voglio rimanere da solo con la ragazza.
Già, come no.
Vorrei spogliarla e legarla a questo letto. Stuzzicarla con il
mio uccello e registrare le sue suppliche.
Invece prendo un panno umido e glielo porto. Ha le mani
legate, così le asciugo io la bocca.
Alessia mi guarda di traverso. Siamo vicini. Torreggio su di
lei controllando se c’è altro da pulire. La ragazza fissa le mie
nocche tatuate, segue l’inchiostro sui miei avambracci con lo
sguardo, fermandosi sui miei bicipiti rigonfi.
Deglutisce.
Mi si rizza l’uccello. Che trovi attraente la mia forza? Il
modo in cui le sue pupille si dilatano mi fa pensare di sì. Ma
d’altra parte, chissà se si è mai trovata vicina a un uomo che
non fosse uno dei suoi fratelli.
«Avresti potuto uccidermi», mi accusa.
Permetto a un angolo delle mie labbra di sollevarsi in un
sorriso privo di divertimento. «Posso ancora farlo, printsessa.»
Guardo un brivido di paura scorrerle attraverso, e poi lei
prova a sollevarsi a sedere senza usare le mani. La lascio
faticare, godendomi il modo in cui il suo vestito rosa acceso le
si solleva sulle cosce ben tornite. Ha gambe lunghe, snelle e
forti, e polpacci aggraziati. Chissà come ha ancora le scarpe
con il tacco ai piedi.
Si lecca le labbra, e la mia erezione si gonfia. «Devo
controllarmi la glicemia.»

Alessia

«Questo?» Il russo solleva la confezione del test. Batto le


ciglia e lo guardo meglio ora che riesco a mettere a fuoco. Ha
capelli color sabbia, penetranti occhi azzurri e numerose
cicatrici sulla mascella ispida. Indossa una semplice maglietta
bianca, tesa sui suoi muscoli rigonfi, e le sue braccia e le sue
dita sono coperte di tatuaggi.
Mio malgrado lo trovo sexy. È un tipo alla James Dean in
versione moderna. O la versione “street” dell’attore Jeremy
Renner.
Mi terrorizza e mi eccita allo stesso tempo. Forse è stato
sentire tutta quella pura forza mascolina quando mi ha
afferrata. O forse ho gli ormoni in subbuglio dopo aver visto
due dei miei fratelli convolare a nozze.
Il mio rapitore reclina la testa e inarca un sopracciglio con
aria severa.
«Sì, quello. Slegami.»
«Oh, zaika. Chiariamo subito una cosa. Non sei tu a dare gli
ordini qui.»
Non dovrei trovare sexy il suo forte accento, e invece è
così.
Gli rispondo per le rime, sollevando un sopracciglio a mia
volta. «Ti servo viva. Significa mantenere stabile la mia
glicemia. Quindi slegami le mani e lasciamela controllare.»
«Nyet.»
Una parola dal suono così deciso, il no russo.
Esamina il glucometro, scoprendo come funziona mentre io
lo guardo senza offrirgli alcun aiuto. Ma non è uno stupido.
Solleva la lancetta. «Da un polpastrello, immagino?»
Non rispondo.
Mi afferra i polsi legati e separa un dito dalle altre. Il suo
tocco non è crudele, ma scelgo questo momento per
comunicargli la mia insoddisfazione, usando entrambe le mani
per sferrargli un pugno sul naso.
Beh, un pugno è una definizione approssimativa. Non
riesco a stringere le mani né e dargli forza con i polsi legati.
Lo sapevo prima di provarci, ma ho pensato che ne valesse
comunque la pena per fare un gesto di ribellione.
Un segnale di guerra.
Non gli rompo il naso. Non sanguina nemmeno. Cristo,
probabilmente non gli ho fatto nemmeno male, ma lui reagisce
di scatto, afferrandomi le mani per premerle sul materasso,
stesa su un fianco. Si staglia su di me con occhi accesi.
Oh, cazzo.
È eccitato?
Troppo tardi, ricordo il suo avvertimento. Mi ha detto
quanto si fosse infervorato lottando con me.
E il mio stupido corpo reagisce. Il calore mi riempie tra le
cosce come se questo fosse una specie di rituale
d’accoppiamento, e non un brutale rapimento.
Okay, forse non è così brutale.
«Non colpirmi, zaika. Non ti piacerebbe la punizione.»
Perché la parola punizione fa formicolare le mie parti
femminili?
Mi lecco le labbra. «Quale sarebbe?» Non gli dovrei dare la
soddisfazione di chiederglielo, ma lo faccio.
Il suo sorriso è perverso. Mi sfila una delle scarpe rosa con
il tacco e la getta a terra. «Colpiscimi di nuovo, e perderai il
diritto di stare vestita. Ti priverò del tuo abito, printsessa.» Mi
sfila l’altra scarpa. Divento consapevole delle mie mutandine
bagnate e del fatto che c’è solo un sottile pezzo di stoffa tra la
mia apertura e quelle mani rudi.
Mi sento palpitare tra le gambe e mi si inturgidiscono i
capezzoli. So che sto arrossendo violentemente, parlo in fretta
per distrarci entrambi. «Cosa significa zaika?»
Il suo sorriso feroce riappare. «Coniglietta. Ora dammi il
dito come una brava ragazza.»
Sollevo il dito medio.
Gli brillano gli occhi, come se apprezzasse la mia sfida. Un
brivido d’eccitazione sessuale mi colpisce in pieno quando lo
afferra per affondare la punta della lancetta nel polpastrello e
poi spremere una goccia di sangue su una striscia reattiva. La
inserisce nel misuratore e accende lo schermo per mostrarmi la
lettura.
«Ancora troppo bassa», gli dico. «Ho bisogno di insulina.»
L’uomo prende un ago ipodermico e la boccetta. Di nuovo,
capisce da solo come fare e riempie la siringa. «Dove?»
Questa volta arrossisco di sicuro. «Puoi iniettarmelo nel
braccio.»
Socchiude gli occhi, notando il mio disagio. «Di solito dove
lo fai?»
Sollevo il mento. «Non sono affari tuoi.»
Lui incurva un angolo della bocca. «Sul culo?» tira a
indovinare.
«Sulla pancia!» sbotto.
Abbassa le mani sull’orlo del mio vestito con occhi che
luccicano. «Che c’è, zaika? Hai paura che veda le tue
mutandine rosa?»
Il calore mi risale sul collo fino alle orecchie mentre mi alza
lentamente la stoffa fino all’ombelico, esponendo le cosce, e
poi l’intimo.
Mi passa una nocca sul davanti delle mutandine,
mandandomi brividi lungo l’interno coscia. «Credi che non
abbia già visto queste belle cosette quando eri nel mio
bagagliaio? O legata al mio letto?»
Mi si stringe lo stomaco. Oh, Santa Maria. È il suo letto?
Sono davvero fregata.
Forse comprendo finalmente a pieno la realtà della
situazione. Oppure sono assalita dal suo buon senso e dai sani
timori. Ma per qualche ragione, i miei occhi improvvisamente
si riempiono di lacrime. Distolgo lo sguardo, battendo le
palpebre, furiosa che mi veda turbata.
Mi pizzica un piccolo lembo di carne sul ventre e mi inietta
l’insulina, poi mi appoggia una mano su una guancia. «Non
piangere. Se ti comporti bene non ti farò del male. Voglio
punire i tuoi fratelli, non te.»
Incontro i suoi occhi, sorpresa da quell’improvviso cambio
di atteggiamento.
Mi lascia andare il mento e dandomi la schiena si allontana.
Chiudo gli occhi, bloccando la sua vista. Bloccando la vista
di tutta la stanza.
La mia nuova prigione.
3
Vlad

«Aspetta.»
Merda. Devo allontanarmi da questa donna. È una
tentazione troppo forte. Potrei guardare il suo viso tutto il
giorno senza stancarmene mai. Ecco quanto è bella. E la sua
bellezza mi spinge a fare cose stupide. Mi fa venire voglia di
essere gentile.
E qui non c’è spazio per la gentilezza, cazzo.
Peggio, non voglio solo guardare il suo viso. Voglio
mordere quelle labbra, scopare quella bocca, ammirare il modo
in cui gli occhi le roteano nella testa quando la sbatto con
violenza.
E non ho intenzione di fare nessuna di queste cose.
Non stupro le donne.
Posso non fidarmi di loro e ritenerle bugiarde manipolatrici
che vogliono attirarti nella loro tana per divorarti il cuore, ma
non prenderei ciò che non viene offerto liberamente.
Potrei farlo credere alla piccola principessa della mafia, ma
non oserei mai.
«Che c’è?» Non mi disturbo a girarmi.
«Devo fare la pipì. E ho fame.»
Cazzo. Mi volto e le punto addosso uno sguardo severo.
Un rossore le sale su per il collo. Si finge una dura – e
adoro quando lo fa – ma io conosco la verità. La spavento.
E la eccito un po’.
«Okay, printsessa. Alzati.»
Solleva le sopracciglia e cerca di scivolare verso i piedi del
letto.
La guardo per un momento perché il modo in cui le si alza
il vestito sulle cosce è arrapante da morire e desidero con tutto
me stesso rivedere quelle mutandine rosa.
Quando finalmente arriva in fondo al materasso, la
raggiungo e le slego le caviglie.
«Vai.» La sollevo in piedi con una sculacciata sul sedere,
abbastanza forte perché faccia da avvertimento.
Lei strilla balzando in avanti, poi si volta porgendomi i
polsi legati. «E questi?»
Scuoto la testa. «Accontentati. Il bagno è lì. Lascia porta
aperta.» La sua vicinanza mi ispessisce l’accento, e mi fa
dimenticare l’articolo prima di porta.
«Vaffanculo», borbotta Alessia, procedendo.
La colpisco di nuovo sul culo.
Che sia dannato se non si getta alle spalle i lunghi capelli
folti e ondeggia i fianchi mentre attraversa la stanza fino al
bagno.
Adorabile.
Questa ragazza è davvero speciale.
È proprio il mio giorno fortunato. I Tacone non avrebbero
potuto farmi un regalo migliore della loro incantevole sorellina
dal viso fresco.
Mi immobilizzo, e un brivido mi attraversa la pelle quando
sono colto da un pensiero.
No.
È un’idea terribile.
Alzo gli occhi su Alessia, che è giunta a un compromesso,
lasciando la porta aperta di una quindicina di centimetri. Bene.
Sa che la punirei come le ho promesso.
Torno alla mia tremenda idea. Potrei farlo?
Probabilmente no.
Dovrei?
Decisamente no.
Il mio cellulare usa e getta vibra. È Victor, il mio pakhan. Il
Papa, il boss della nostra Bratva. Quello che mi ha mandato
via dopo che Sabina mi ha fregato. L’unico ad avere questo
numero, dato che è un telefono nuovo.
«Da, Pakhan.»
«Torna. Zima è morto», mi dice in russo.
Zima è il motivo per cui Victor mi ha ordinato di
andarmene. Voleva farmi fuori ma Victor non glielo ha
permesso. In quanto derzhatel obschaka – il contabile
dell’organizzazione – sono troppo importante. O forse è per
rispetto nei confronti di mia madre, che è stata a lungo la sua
amante. In ogni caso, sono stato bandito e mandato con il
soldato Ivan a organizzare la cellula a Chicago. Un lavoro di
merda, per cui ero decisamente sprecato. Quindi ho lasciato
che Ivan si divertisse e ho continuato con i miei sistemi di
riciclaggio.
Dal bagno viene il rumore dello sciacquone.
Mi batte forte il cuore per la temerarietà della mia idea.
«Da. Tornerò subito. Non appena avrò sbrigato le scartoffie
per potermi portare dietro la mia nuova sposa. Prenderò in
moglie la ragazza Tacone. Mi pagheranno perché la mantenga
viva e in salute. È la migliore vendetta.»
Per un momento Victor non dice niente. Il matrimonio è
proibito dal Codice di Condotta criminale, ma un’unione per
vendicarsi di un nemico è una situazione diversa.
«Bene. Ti voglio qui entro domenica. Gli affari vanno male
senza di te.»
«Ci vediamo domenica, Papa.»
Chiude la telefonata senza salutare mentre io continuo a
fissare la porta del bagno. Quando Alessia emerge con un
nuovo altezzoso gesto del capo, mi si gonfia il cazzo lungo la
gamba dei pantaloni.
Sì.
Non c’è modo migliore di fottere i Tacone che sposare un
membro della loro famiglia. Prendere in moglie la loro
sorellina e pretendere un pagamento sotto forma di dote.
Per farla vivere negli agi a cui è abituata, ovviamente.
Non che non abbia già denaro in abbondanza.
No, questo è solo lavoro. Sto marcando il mio territorio nel
modo più crudele possibile, creando il legame tra la mafia
americana e quella russa che stavo cercando di formare in
passato.
E prendendomi allo stesso tempo il trofeo più spettacolare
che esista.
Alessia Tacone, la mia sposa.
«Vieni.»

Alessia

Il russo fa segno di avvicinarmi.


Vorrei rifiutarmi, ma ho paura di quello che potrebbe
succedere. Sembra abbastanza normale, ma non significa che
non sia pericoloso. Soprattutto se ha un conto in sospeso con
la mia famiglia. Sono sicura che mi abbia detto la verità.
Mio fratello – non so nemmeno quale, ma non importa, può
essere stato chiunque tra di loro – ha ucciso tutti i suoi uomini.
Non mi rende felice sapere che i miei fratelli hanno
commesso un atto del genere, ma so che siamo mafiosi, e che
la violenza è all’ordine del giorno, anche più di quanto vorrei
credere.
Quindi farei meglio a collaborare con questo russo, almeno
fino a quando la mia famiglia non mi avrà tirata fuori di qui.
Lo raggiungo, e non posso fare a meno di notare il modo in
cui il suo sguardo si muove sul mio corpo. Indosso un abito
che abbraccia le mie curve, di un colore che valorizza il mio
viso. Approfittando del suo velato apprezzamento, spingo in
avanti le mani legate. «Alessia Tacone. E tu sei?»
«Vlad», risponde con semplicità.
La sua mancanza di esitazione nel dirmelo mi manda
segnali d’allarme su per la spina dorsale. O non uscirò viva di
qui, o non sa che i siciliani non si placano prima di essersi
vendicati.
Ovviamente vuole punirli usando me.
Avvolge le dita tatuate attorno al mio braccio e mi trascina
verso la porta. «Muoviti, zaika.»
«Dove stiamo andando?»
«In cucina. Per mangiare.»
Scendo le scale di quella che in realtà è una bella casetta a
schiera. Luminoso e arioso, il salotto ha un sottotetto a vista e
c’è una televisione moderna appesa alla parete.
Rimango sorpresa vedendo un ragazzetto con un disperato
bisogno di un taglio di capelli, arrampicato sullo schienale di
un costoso divano di pelle, con i piedi appoggiati sui cuscini,
intento a guardare Disney Channel con la testa reclinata di
lato. Si gira per guardarmi, la sua espressione circospetta.
L’insegnante che è in me inorridisce trovando un bambino
in questa situazione. Sta assistendo a un rapimento,
abituandosi a violenza e crimini. La parte peggiore è che non
sembra spaventato né scosso.
«Perché ho la sensazione che questo non sia il suo primo
rodeo?» borbotto, più tra me e me che verso Vlad.
«Non lo è.»
Il russo mi guida attraverso la zona giorno fino a una cucina
piccola ma ben arredata, dove mi spinge su una sedia davanti a
un tavolo, alla quale mi lega le gambe.
«È tuo figlio?»
Okay, ora che ho visto il ragazzo sono meno sicura della
situazione mentale di Vlad. Chi, nel pieno possesso delle
proprie facoltà, coinvolgerebbe un bambino in un rapimento?
Perché non è a scuola? Che diavolo sta succedendo? La mia
passione per i bambini ha il sopravvento, e il bisogno di
interferire sale in superficie.
«No.»
Il ragazzo ci lancia un’occhiata come se ci stesse ascoltando
e incrocia rapidamente lo sguardo di Vlad, prima di
riabbassare gli occhi.
«Mika è un orfano, grazie a tuo fratello.»
Tiro un brusco respiro, con il petto stretto in una morsa
dolorosa. So che ho sempre nascosto la testa nella sabbia a
proposito delle attività di famiglia… è quello che ci si
aspettava da me. Ma non avrei mai voluto venire a sapere una
cosa del genere. Mai.
Batto le ciglia per scacciare le mie calde lacrime.
Vlad mi fissa, e l’intensità del suo sguardo mi brucia.
«Mi dispiace.» Incontro i suoi occhi con fermezza per
dimostrargli che dico sul serio. Ho lo sguardo offuscato dalle
lacrime, ma non piango.
Gli pulsa un muscolo sulla mascella serrata. «Ti credo.» La
sua voce è burbera. Accende il forno e tira fuori una pizza
surgelata dal freezer.
So che sono una prigioniera, ma quest’uomo mi vuole viva,
quindi tiro fuori la voce. «Vlad, quella non posso mangiarla.»
Lui guarda prima la pizza e poi di nuovo me. «Perché no? Il
diabete?»
Annuisco, non volendo parlare dei miei reni. Cerco di non
pensarci. «Adoro la pizza, la pasta e il pane, ma devo mangiare
cibi a basso contenuto di carboidrati, come carne e verdure.»
Vlad getta la pizza sul ripiano e apre un pensile. Tira fuori
una scatola di sardine. «Pochi carboidrati. Okay.» Apre la
lattina e prende una forchetta.
«Che cosa sai delle attività dei tuoi fratelli?» Scarta la pizza
e la infila nel forno senza aspettare che sia caldo.
«Niente.»
«Niente», ripete lui con il suo forte accento. Suona più
come un nuiente. «I siciliani tengono le loro donne lontane
dagli affari, no?»
«Sì», ammetto piano io.
Apre il frigo e tira fuori una busta di carotine. Come un
leone che si avvicina a una preda in trappola, mi raggiunge e
me ne porta una alle labbra.
Incontro i suoi occhi azzurro ghiaccio, sorpresa.
Lui scrolla le spalle. «Non ho intenzione di slegarti. Se vuoi
mangiare devi accettare che ti imbocchi, quindi farai meglio a
imparare a essere gentile.»
Mi si contrae il basso ventre. Non dovrei trovarlo eccitante,
ma il mio corpo non ha recepito il messaggio. A quanto pare
essere imboccata da un gangster russo mi stuzzica. O forse è
sapere che sono alla sua mercé. Il modo in cui mi ha ordinato
di essere gentile.
In ogni caso, un brivido di consapevolezza mi attraversa la
pelle, inturgidendomi i capezzoli mentre do un morso
all’ortaggio offerto. Il russo incombe su di me, osservandomi.
Giuro che ha uno sguardo famelico.
La carota è deliziosa, o forse sto solo morendo di fame.
Deglutisco il boccone e alzo le labbra per averne ancora.
Le linee dure del suo volto si addolciscono man mano che
mi dà da mangiare l’altra metà della carota, e poi ne tira fuori
un’altra. «Non sai niuente, quindi te lo dirò io. A febbraio
Junior ha ucciso sei dei miei uomini in un ristorante chiamato
Caffè Milano.»
Smetto di mangiare, improvvisamente senza più appetito.
«Lo sapevi?» mi chiede con un tono falsamente
amichevole.
«E chi ha sparato a mio fratello?» ribatto io. Gio è stato
colpito da un proiettile proprio a febbraio. Junior si è rifiutato
di portarlo in ospedale e invece ha chiamato un’infermiera
perché si prendesse cura di lui in casa.
La stessa infermiera che ha sposato oggi.
Nuove lacrime mi pizzicano gli occhi al pensiero di aver
rovinato il loro matrimonio con il mio rapimento. Devono
essere così in pena per me.
«Sei pazzo se credi che i miei fratelli non ti ammazzeranno
per questo.»
Vlad si stringe nelle spalle. «Oh, lo so che mi vorranno
morto. Ma non mi uccideranno.»
Ho paura di sentire la risposta alla mia domanda seguente.
«Perché no?»
Un sorriso feroce gli appare sulle labbra. Mi dà da mangiare
un’altra carotina. «Perché non ho intenzione di restituirti,
zaika. E loro non vorranno che ti venga fatto del male, capisci?
Oltretutto, sarà molto difficile trovarci in Russia.»
Russia.
Non vuole restituirmi.
Il panico mi sboccia nel ventre, riempiendomi il corpo di
adrenalina. Cerco di alzarmi dalla sedia, cosa che serve solo a
ribaltarla in avanti e a farmi sbattere il petto contro il tavolo.
Apparentemente poco colpito, mi raddrizza con un colpetto
su una spalla.
«Non verrò in Russia con te», dichiaro. Come se bastasse
dirlo con sufficiente fermezza per renderlo vero.
«Invece sì. Sarai la mia sposa, zaika. E imparerai a obbedire
a tuo marito. Fai la brava, e col tempo potresti guadagnarti la
libertà.»
Il cuore mi batte forte nel petto. «No.»
«Izvinyayus.»
«Che cosa significa?»
«Vuol dire mi dispiace. Il tuo destino è segnato, printsessa.
Sei mia. I tuoi fratelli mi pagheranno per tenerti con me.»
Mi si serra lo stomaco in un nodo.
«Non preoccuparti, ti renderò felice.» Mi tende un’altra
carotina, ma io giro bruscamente la testa.
Mi afferra per il mento e gira il mio volto verso di sé. Il
tocco è gentile ma nei suoi occhi brilla una luce autoritaria.
«Mangerai. Non mettermi alla prova.»
Gli lancio uno sguardo in cagnesco, ma con mio orrore il
suo bel viso crudele si fa sfocato perché mi si riempiono gli
occhi di lacrime.
Mi accarezza la guancia con il pollice, ma la sua
espressione resta la stessa.
Ancora una volta sento quella stretta nel mio basso ventre.
Come se il mio corpo adorasse l’idea di essere prigioniero di
quest’uomo, nonostante la mia mente si ribelli.
Dall’occhio destro mi cade una lacrima, che gli gocciola
sulle dita.
Sostenendo il mio sguardo porta le nocche alla bocca e la
lecca via. Poi piega la testa di lato. «Magari ti lascerò andare»,
dice, come se stesse decidendo dove andare a mangiare, e non
del mio futuro. «Tra uno o due anni. Vedremo.»
«Vlad, non puoi…»
«Oh, sì che posso, zaika.» Sbatte la mano sul tavolo dove
ha appoggiato la busta delle carotine. «Basta discussioni.
Dimostrami che puoi fare la brava e mangia.» Me ne porta
un’altra alle labbra.
Scuoto la testa, con l’intenzione di rifiutare. Ci guardiamo
negli occhi, le sue iridi azzurre fisse nelle mie, e io apro la
bocca e deglutisco, proprio come mi ha ordinato.
Maledetto.
In silenzio, continuiamo la nostra gara di sguardi. Vlad è
ritto sopra di me e mi imbocca, prima le carote e poi le
sardine. Io accetto ogni boccone, guardandolo di traverso con
tutto il disprezzo che oso esprimere. Per tutto il tempo il mio
corpo traditore reagisce alla sua vicinanza. Alla sua decisa
mascolinità, al potere dietro i muscoli rigonfi, alla forza della
sua presenza.
«Brava ragazza», dice quando finisco. Il timer del forno
suona. Vlad tira fuori la pizza e la getta sulla scatola di cartone
da cui l’ha estratta. «Mika. Vieni.»
Il ragazzo solleva le gambe oltre lo schienale del divano e
salta giù. Potrebbe essere più giovane di quando ho pensato
all’inizio.
Quando arriva in cucina, glielo chiedo. «Mika, quanti anni
hai?»
Lui lancia un’occhiata a Vlad, che scrolla le spalle. «Puoi
rispondere.»
«Ne ho dodici», borbotta. Ha uno sguardo rabbioso, ma non
guarda me. Fissa il tavolo.
Vlad gli tende una fetta di pizza su un piatto e gli appoggia
vicino un’arancia. «Ecco qui. Prendi anche un bicchiere di
latte.»
Il ragazzo obbedisce e io mi sento leggermente rassicurata.
Almeno il russo si sta prendendo cura delle sue esigenze
alimentari di base. Ma in ogni caso Mika dovrebbe essere a
scuola.
«In che classe sei?»
«Nessuna», risponde il ragazzo con tono difensivo. Come
se mi stesse sfidando a costringerlo ad andare a scuola.
«Vuoi tornare in Russia, Mika?» gli chiede Vlad.
La paura gli attraversa il viso e il mio cuore si spezza.
«Nyet», replica in fretta.
L’uomo sembra capire la sua ansia. «Con me», chiarisce.
«Porterò la ragazza a Volgograd.»
Mika continua ad apparire riluttante.
«Starai con me, a meno che tu non preferisca che ti affidi
alle cure di qualcun altro.»
Percepisco l’esitazione nell’offerta di Vlad, come se non
fosse del tutto convinto di volersi prendere cura per sempre di
questo ragazzo, ma il sollievo sul viso di Mika mi fa venire
voglia di abbracciarlo e baciare il russo.
Povero piccolo. Rimasto orfano da poco, deve avere una
gran paura di essere abbandonato o ceduto a qualcun altro.
Vuole solo un legame con qualcuno che soddisfi le sue
necessità.
All’improvviso andare in Russia con Vlad mi turba di
meno. Qualcuno deve badare a questo ragazzino, dargli
un’educazione e assicurarsi che sia trattato come si deve. Se
sarò con lui, potrò assicurarmi che stia bene. Glielo devo,
considerando che è stato Junior a lasciarlo orfano.
4
Vlad

In camera da letto, slego i polsi di Alessia per controllare la


pelle sotto la corda. Sono irritati e scorticati, quindi li avvolgo
nel ritaglio di una delle mie magliette prima di legarla di
nuovo.
Per tutto il tempo lei rimane in silenzio, sulle sue.
Prendo il glucometro per controllare la sua glicemia prima
che vada a dormire.
«Non c’è bisogno che controlli di nuovo. Ora dovrei essere
stabile», borbotta.
La ignoro e le prelevo ugualmente una goccia di sangue.
Non mi sembra il tipo che si suiciderebbe, ma preferisco non
affidarmi a lei per tutte le mie informazioni. Ma ha ragione, i
numeri sono nella norma, secondo i valori che mi ha dato.
Mi appunto mentalmente di fare ogni tipo di ricerca sulla
sua malattia, per potermi prendere cura di lei.
Provo già un intenso istinto di protezione nei suoi confronti,
che è insolito per me. Non mi fido delle donne. Nella mia
esperienza, sono le creature più subdole e disoneste che
esistano. Ma questa ragazza sembra completamente alla mia
mercé, cosa che cambia la dinamica in maniera significativa.
Ed è anche bellissima.
Questo non dovrebbe avere importanza. Non dovrebbe fare
la differenza, e invece è così.
Ovviamente, anche Sabina era bellissima, e guarda cosa ha
fatto. Mi ha quasi fatto ammazzare. Ancora non so cosa
volesse… per quale motivo volesse incastrarmi.
Slego la corda attorno alle caviglie di Alessia e la
accompagno in bagno. In un cassetto trovo uno spazzolino
chiuso. «Puoi usare questo.» Lo lascio cadere sul ripiano.
«Come ti aspetti che mi lavi i denti con i polsi legati?»
Faccio spallucce. «La scelta è tua. Capisci come fare
oppure no. E lascia la porta aperta.» Esco dal bagno per
lasciarle un briciolo di privacy.
Qualche minuto più tardi ritorna e io la lego al letto, per poi
spegnere le luci.
E ora non so che cazzo fare. Stendermi accanto a lei mi
farebbe venire il cazzo tanto duro da rischiare di spezzarsi, ma
non ho nemmeno intenzione di lasciarla da sola.
Vado a dare un rapido sguardo a Mika, non che il ragazzino
abbia mai bisogno di qualcosa. È rannicchiato sul divano dove
dorme sempre, e sta guardando la televisione. Non gli dico che
è ora di dormire. È troppo autosufficiente per avere bisogno di
cose di questo tipo. Mi limito a spegnere tutte le luci come
faccio ogni notte, lasciandone una accesa a bassa luminosità in
cucina, nel caso si alzi.
«Dobri nochi, Mika.» Mi tendo oltre lo schienale del
divano e gli do una stretta a un braccio.
«Dobri nochi», bofonchia assonnato, premendo il pulsante
sul telecomando per spegnere la televisione.
Al piano di sopra mi lavo i denti e mi sfilo le scarpe.
Decido che la migliore opzione è dormire completamente
vestito sopra le coperte. Se durante la notte mi strofinassi
contro la pelle morbida e giovane di Alessia, non so cosa
potrei fare.
«Che cosa è successo ai genitori di Mika?» bisbiglia
Alessia nell’oscurità.
Cristo. È per questo che era così silenziosa? Ha pensato a
Mika per tutto il tempo? Mi si stringe il petto in una morsa.
Cazzo. Non voglio sapere che è così compassionevole.
«Te l’ho già detto», sbotto, anche se non se lo merita.
Anche se quello che le ho detto non è del tutto vero.
«Junior li ha uccisi?» Il suo tono tremulo mi strappa la
verità.
«Nyet. No. Il ragazzo non ha padre, per quanto ne so»,
ammetto. «Sua madre era una puttana della Bratva. Lei e Mika
sono venuti qui con Aleksi, uno degli uomini della mia cellula.
Poi è scappata, lasciando il figlio con il suo amante. Aleksi si
prendeva cura di lui, ma tuo fratello lo ha ucciso.»
«Sua madre… lo ha lasciato con la mafiya russa?»
«Da. La stronza è scappata via. Ha abbandonato il figlio
non appena sono arrivati in America. Immagino abbia visto il
viaggio come il biglietto per la libertà. Ha detto a Mika di
esserci fedele così ci saremmo presi cura di lui.»
In effetti il ragazzo è leale da morire. Ma questo non
significa che avrei voluto diventarne responsabile.
«E lo avete fatto?» Nella sua voce c’è un tono allarmato.
«Da.» È più o meno vero. Addestrare i ragazzini di strada
fa da sempre parte della mafiya russa. «Ero via quando tuo
fratello ha ucciso tutti. Non appena sono tornato l’ho trovato
che sopravviveva da solo. Aveva finito il cibo che c’era in casa
e stava rubando dai negozi del quartiere per vivere. Si era
nascosto dalla polizia quando sono venuti a perquisire il
posto.»
«Oh, Dio. Quel povero bambino.» Rimane in silenzio per
un momento. «È andato a scuola?»
«No.» Integrare Mika nella società americana non faceva
parte dei miei piani. Non gli va peggio di quanto non sarebbe
stato in Russia con quella puttana di sua madre. Le sue
possibilità di sopravvivere – e di avere una vita dignitosa –
sono cresciute quando è diventato una mia responsabilità. Lo
so, perché mi sta attaccato addosso come la colla. Mi è
estremamente grato e fa tutto ciò che dico senza esitare.
«Sta ancora imparando l’inglese. E ho scelto di tenerlo con
me, vicino. Ma è una sistemazione a breve termine.»
«Qual è quella a lungo termine?»
Restituirlo ai ranghi inferiori della Bratva. «Non l’ho
ancora deciso.»
«Stai ricattando la mia famiglia, giusto? Gli chiederai dei
soldi in cambio della mia vita?»
«Sì.»
«Una parte di quel denaro dovrebbe andare al ragazzo.» Lo
dice con decisione, come se fosse pronta a discutere con me su
questo punto. Vorrei dire che non sono colpito dalla sua
compassione per Mika, ma una sensazione colpevole e
dolorosa si muove dentro il mio petto.
È possibile che questa donna non sia la principessa egoista
e viziata che credevo. È ingenua, dolce e cresciuta nella
bambagia, come dovrebbe essere una figlia ben protetta. Ma
apprezzo la sua passione per il ragazzino.
«Da. Okay. Aprirò un conto per lui. Ovviamente off-shore
ed esentasse.»
Alessia si gira nel buio, alzando lo sguardo su di me. Devo
lottare contro la tentazione di toccarla, scostare i capelli
castani dal suo bel viso e accarezzarle quelle labbra
imbronciate con il pollice. E di spingerle l’uccello in bocca per
farglielo succhiare.
«Me lo prometti?»
«Hai la mia parola.»
Lei riappoggia la testa al cuscino e sospira.
Non riesco a resistere. Le affondo le dita tra i capelli e le
massaggio gentilmente lo scalpo.
La ragazza emette un basso verso di resa, e io continuo fino
a quando non si addormenta.
Poi mi costringo ad allontanarmi da lei, sull’altro lato del
letto, e di girarmi dall’altra parte.
5
Alessia

«Toglimele di dosso», gemo non appena mi sveglio, le mie


braccia doloranti per averle tenute nella stessa posizione
troppo a lungo. Tendo i polsi a Vlad, senza molta speranza
nella sua acquiescenza. Dopo tutto, sono sua prigioniera.
Ma non è un tiranno. L’ho già capito. La notte scorsa mi ha
bendato i polsi quando ha visto che la corda mi stava irritando
la pelle. E mi ha massaggiato la testa fino a farmi
addormentare. Non credo di aver mai provato niente di così
piacevole in tutta la mia vita.
Non ho idea se lui abbia chiuso occhio.
È seduto sul letto, ancora vestito, con le dita che volano
sulla tastiera del suo portatile. Buffo, avrei detto che fosse il
tipo di dattilografo che deve cercare tasto per tasto. A quanto
pare l’ho mal giudicato.
Senza una parola allunga una mano e mi slega, come se
niente fosse. Io mugugno e scuoto le braccia, strofinandomi i
polsi per liberarli del formicolio prima di piegarmi e sfilarmi la
corda dalle caviglie.
«Voglio andare a casa.»
Lo so che sembro una bambina. E so che lui non mi
risponderà: «Okay», per poi rispedirmi indietro. Ma credo che
debba sentire le mie lamentele.
«Izvinyayus.»
Mi dispiace. Pare che stia imparando il russo. Questo me lo
ricordo da ieri.
Mi tende un muffin ai mirtilli su un piatto e mi controlla la
glicemia come un professionista. È chiaro che durante la notte
ha svolto delle ricerche. Sono colpita dal fatto che sapesse di
dover avere del cibo pronto per me non appena mi fossi
svegliata. E lo sono ancora di più da come mi sta
somministrando la dose corretta di insulina senza che glielo
debba dire io. Come ieri, non appena mi scopre la pancia
arrossisco alla visione delle mie mutandine. Al suo tocco sulla
mia pelle. Al modo in cui il mio corpo reagisce alla sua
vicinanza.
Finisco il muffin, cercando di fingermi tranquilla. Quando
appoggio il piatto, Vlad indica il bagno. «Vai. Fatti una doccia.
Lavati i denti.»
Sono a metà strada verso il bagno prima di fermarmi e
girarmi. «Vlad.»
«Da?»
«Mi porterai davvero in Russia?»
Giuro che vedo il rimpianto balenargli sul viso prima che si
trasformi in un’espressione decisa. «Da. Verrai con me. Ormai
mi appartieni.»
Qualcosa mi si agita nel ventre. Non è solo paura. È
qualcosa di primordiale e animalesco. La consapevolezza della
pura mascolinità di Vlad. La sua certezza che sia sua.
Nonostante la mia rabbia e il mio rifiuto di sottomettermi, mi
si bagnano le mutandine alla sola idea.
E questo mi fa incazzare.
«È il tuo funerale, amico.» So per certo che i miei fratelli lo
uccideranno non appena mi troveranno.
Ma perché questo pensiero mi fa stringere lo stomaco?
Perché sono troppo compassionevole. Troppo facile ai
legami, se è possibile. Sento già il bisogno di proteggere e
occuparmi del giovane Mika. E i miei sentimenti per Vlad…
non sono completamente negativi.
Ma questo non significa che gli permetterò di portarmi in
Russia.
Devo trovare un modo per andarmene di qui. E inizierò
cercando qualche tipo di arma nel bagno.
Chiudo la porta e giro la serratura.
Meno di trenta secondi più tardi Vlad la spalanca,
riempiendo la soglia con il suo ampio petto e il suo viso
severo.
Sento un brivido scorrermi lungo la schiena prima che mi
afferri e mi strappi il vestito da sopra la testa. Sono scioccata
dalla sua punizione. Resto in mutande, lottando contro il
tremito che sento cominciare tra le cosce.
Dietro le ginocchia.
Su per il collo.
«Cosa ti avevo detto che sarebbe successo se mi avessi
sfidato?» Il suo accento è più forte del solito, gli occhi azzurri
gelidi.
Che sia dannata se mi lascio intimidire da lui. Mi costringo
a non muovermi e sollevo il mento.
Vlad mi afferra per un gomito e mi volta verso lo specchio,
poi mi appoggia una mano tra le scapole per spingermi a
faccia in giù sul mobile.
I miei seni si schiacciano sul marmo fresco.
«Cattiva coniglietta.» Mi colpisce sul sedere tre volte, con
forza. Tutte e tre le sculacciate sullo stesso punto.
Oh mio Dio, mi ha chiamata coniglietta. Nella mia lingua.
Il mio stupido corpo deve credere che siano preliminari,
perché mi si infradiciano le mie mutandine. Corro il rischio di
alzare gli occhi sullo specchio e incrociare il suo sguardo. Le
sue iridi azzurre sembrano più scure. Tempestose. Non le
distoglie mentre mi sculaccia di nuovo.
Mi si contrae la vagina.
Cristo, non dovrebbe essere così eccitante. Il sedere mi
formicola e mi pizzica dove l’ha schiaffeggiato. L’altra natica
brama lo stesso trattamento. L’oscura fantasia di essere
maltratta, presa con violenza, persino costretta, si annida ai
confini della mia coscienza sessuale. È un desiderio che non
ho mai ammesso.
Un fetish perverso.
Vlad non ha ancora abbassato gli occhi. Mi sculaccia
sull’altra natica – grazie a Dio! – e appoggia lì la mano,
stringendomi con forza. Con l’altra mi afferra per la gola,
sollevandomi il torace fino a premermi contro il suo petto.
È proprio dietro di me, il suo sesso rigonfio appoggiato sul
mio sedere coperto dalle sole mutandine.
Oh, Gesù. Lo sfarfallio nel mio ventre è incredibile. Il mio
respiro è corto e tremante. Il suo è bollente, proprio contro il
mio orecchio.
«Ti rimangono solo le mutandine, zaika. Cosa succede se
mi disobbedisci di nuovo?»
Il mio basso ventre si contrae.
Non rispondo perché sembra una domanda retorica, ma lui
mi morde sul punto dove il collo incontra la spalla.
Abbastanza forte da lasciare il segno.
Ansimo.
«Rispondimi, printsessa.»
Fremo. Di nuovo. In tutto il corpo. Ovunque.
«P-perderò anche quelle?»
Oh mio Dio, sembro la stupida protagonista di un ridicolo
video porno.
Vlad ridacchia cupamente. «Esatto, printsessa. Resterai
nuda per me.» Muove indietro i fianchi per poi rispingerli in
avanti, premendomi il bacino tra il ripiano del lavandino e il
suo cazzo duro tra le mie gambe. «E se reagisco così alla tua
biancheria, cosa credi che farò quando sarai nuda?»
Un brivido in tutto il corpo.
Sposta i fianchi di lato e mi colpisce di nuovo sul culo,
proprio dove voglio.
Mi esce un gemito dalle labbra senza che riesca a
soffocarlo. Vlad si spinge con forza tra le mie gambe,
serrandomi la mano attorno al collo. Io piagnucolo.
«Blyat», borbotta lui. «Continua a fare questi versi e ti
scoperò qui e ora, printsessa. Sto cercando di trattenermi, ma
me lo stai rendendo difficile.»
Oh, Santa Maria. Mi roteano gli occhi dentro la testa. Sono
talmente eccitata che è come se fossi ubriaca di lussuria.
Vlad segue la linea della mia mascella con il pollice, le sua
dita ancora strette attorno alla mia gola. «Mi piace il modo in
cui tremi, Alessia.»
Sobbalzo più forte. Il mio ventre piatto sussulta con ogni
respiro faticoso. «Vlad», sussurro.
Si spinge di nuovo contro di me. «Dillo ancora.»
«Vlad.» Sto rabbrividendo. La mia pelle è calda e
formicola, il mio sesso è bollente.
Lui abbassa la mano per strizzarmi rudemente un seno.
Questa volta gemo senza cercare di fermarmi.
«Hai davvero bisogno di una scopata.» C’è sorpresa nella
sua voce.
Provo a deglutire, ma non posso. Socchiudo le labbra e lui
mi spinge dentro il pollice.
Lo mordo, forte.
Vlad lo tira fuori, premendosi di nuovo contro la mia
apertura. Il tassello delle mie mutandine è così fradicio che
temo se ne accorga attraverso i jeans.
Mi rispinge giù il torace e prende a sculacciarmi con colpi
brutali che piovono prima su un lato e poi sull’altro.
Gemo vogliosa. Il dolore è un sollievo. Proprio ciò che mi
serve per smorzare la tensione sessuale che minaccia di farmi a
pezzi dall’interno.
Neanche lui si trattiene. Ogni schiaffo brucia e mi ferisce,
lasciandomi ansimante e fradicia. Quando piega la mano per
colpirmi tra le cosce, sono attraversata da un piccolo orgasmo.

Vlad
La ragazza è appena venuta.
Ammetto di aver scelto Alessia perché è un bel vedere, ma
nemmeno in un milione di anni avrei pensato di godermi uno
spettacolo tanto bollente. Se vendessi i biglietti per questo
show farei mezzo milione in una giornata. Non che permetterei
mai a nessun altro uomo di vedere ciò che sto ammirando. No,
sono già ferocemente possessivo nei suoi confronti.
Alessia Tacone è la materia di cui sono fatte le fantasie
sessuali. Ha un viso che farebbe partire un migliaio di navi. Un
corpo che metterebbe in ginocchio un milione di uomini. E
dopo questo sfoggio di sfrenata sessualità non riuscirò mai più
a guardare nessun’altra donna.
È una fortuna che abbia deciso di tenerla con me.
«Blyat», ansimo nel suo orecchio. «Per colpa tua mi fanno
così male le palle che rischiano di cadermi.»
Il suo bel corpo morbido trema contro il mio. Vorrei
infilarle una mano tra le gambe e farla venire di nuovo. So che
non ci vorrebbe molto, dato è ancora eccitata, bagnata e
pronta.
Ma se lo facessi, finirei per strapparle le mutandine e
sbattermi dentro di lei fino a quando non finiremmo entrambi
senza fiato, e non posso.
Non mentre è mia prigioniera.
Non prima che sia diventata mia moglie. Al sicuro nella
mia proprietà fuori da Volvograd.
Non senza essere certo che lo voglia.
Io non stupro le donne.
Quindi mi costringo ad allontanarmi da lei e le sculaccio di
nuovo quel culo delizioso. «Fatti una doccia.» Il mio accento è
tanto forte che mi sorprende riesca a capirmi. «Lascia aperta la
porta o ne pagherai le conseguenze.»
Lei barcolla verso la doccia e non si guarda indietro,
infilandosi dietro la tenda senza aprire l’acqua o sfilarsi
l’intimo.
Cazzo, è davvero eccitante. Non solo per la sua bellezza,
ma per il mix di matura innocenza e insolenza. Il coraggio e
l’orgoglio, nonostante le circostanze. La compassione che ha
dimostrato nei confronti di Mika.
Voglio possederla in ogni modo. Voglio sculacciarla,
dominarla, viziarla. La voglio in ginocchio mentre mi guarda
con quei grandi occhioni siciliani, ansiosa di compiacermi.
E ora mi sento obbligato a guadagnarmi la fiducia che una
scena simile richiederebbe. Voglio insegnarle a obbedirmi e
onorarmi, e premiarla per i suoi sforzi.
Generosamente.
Con orgasmi, ricchezze, attenzioni, lodi, altri orgasmi.
Posso farle piacere la Russia?
Posso convincerla a restare?
Perché se non ci riuscirò, so già che non potrò tenerla
contro la sua volontà a lungo.
Prenderò i soldi dei suoi fratelli e alla fine la lascerò libera,
se non vorrà rimanere con me.
Ma se invece restasse?
Lascia cadere le mutandine fuori dalla tenda della doccia e
sento scorrere l’acqua.
Via. Devo andarmene subito, cazzo.
Mi costringo a uscire dal bagno, strizzandomi il sesso
pulsante attraverso i jeans. Dovrò farmi una sega prima della
fine della giornata o finirò per girarla sulla pancia per scoparla
da dietro nel bel mezzo della notte.
Ma adesso ho delle questioni da sbrigare.
Passaporti da fare, documenti da falsificare. Voli privati da
prenotare.
Prendo il suo vestito e lo chiudo nel doppio fondo della mia
valigia insieme agli altri oggetti di valore, poi torno al mio
portatile. Ho quasi finito di alterare la traccia elettronica di
Anya Popov, la madre di Mika. Ho cambiato la sua età perché
abbia ventotto anni e al posto della sua foto ne ho messa una di
Alessia che ho preso dal suo account Instagram. Dovrebbe
stare più attenta alle sue impostazioni di privacy, non che non
avrei potuto hackerarle. Ora sembra che la stronza che è
venuta qui e ha abbandonato il figlio stia tornando in Russia,
portando con sé il bambino e i loro visti che all’improvviso
non sono più scaduti.
L’hackeraggio è un’abilità che mi ha insegnato Igor
Ivanovich, il capo della cellula a cui sono stato affidato
quando mia madre è diventata l’amante di Victor. Potrei fare lo
stesso con Mika. Conoscere i computer lo terrebbe lontano
dalle strade e gli darebbe un mestiere che potrebbe usare per
farsi strada nella Bratva e rendersi troppo utile per essere
ucciso. E per arricchirsi, se è abbastanza furbo.
Io ho del denaro nascosto in conti aperti in tutto il mondo,
sotto troppi nomi da elencare. Ho organizzato sistemi di
riciclaggio del denaro per i pezzi grossi della Bratva, per
politici corrotti, non solo russi, ma anche ucraini, sloveni e
sudafricani.
Non ho bisogno di farmi pagare dai Tacone. È solo il mio
modo preferito di vendicarmi.
I soldi sono sempre stati un gioco per me. Numeri sullo
schermo, dentro i miei conti. Trasferimenti, dividendi e reddito
passivo, non solo mi hanno tenuto vivo fino a ora, ma mi
hanno anche reso incredibilmente ricco. Una ricchezza che per
lo più nascondo a chi mi circonda, persino alla Bratva. Solo
Victor sa quanto possiedo veramente. Con lui sono stato
limpido perché se lo avesse scoperto in altro modo avrebbe
pensato che lo avessi derubato.
Nonostante i miei risentimenti, il dodicenne in me ha
ancora bisogno della sua approvazione. È ancora il Papa
dell’organizzazione e della mia vita.
Persino ora che mia madre è morta.
Nel bagno l’acqua smette di scorrere. Non mi permetto di
guardare attraverso la porta aperta, perché vedere Alessia
bagnata e nuda mi farebbe impazzire. E anche così mi si
gonfia il sesso contro la zip, costringendomi ad agitarmi sul
letto.
Chiamo un pilota irlandese che conosco e gli do
disposizioni perché per mezzanotte al massimo sia qui con un
jet privato, pronto a partire. Non mi fiderei mai di un pilota
americano, perché i Tacone hanno spie ovunque.
Alessia esce con i lunghi capelli bagnati ricadenti sulle
spalle e un asciugamano avvolto attorno al corpo.
Io scuoto la testa e lei si blocca.
«Giù il telo», ringhio. «Hai perso il privilegio di poterti
vestire.»
La ragazza dilata le narici. Non è più eccitata e ora è
incazzata. «Figlio di puttana!»
Non parlo italiano, ma capisco il concetto. «Attenta,
printsessa, o ti arroventerò di nuovo il culo.»
Le sue guance si tingono di rosso.
Il mio cazzo si fa duro come il marmo.
Dannazione, quanto vorrei sbattermi tra quelle gambe fino a
farla urlare.
Mi schiarisco la gola. «L’asciugamano.»
Lei getta all’indietro i capelli, schizzando gocce d’acqua in
giro per la stanza. Con uno scatto del polso, si toglie il telo e
me lo getta in faccia. Fortunatamente per entrambi, sotto porta
le mutandine.
Ciò non impedisce al mio uccello di pulsare.
«Vieni qui.» Sembro molto più burbero di quanto non
vorrei. È l’effetto che mi fanno le palle blu. Mi costringo a
tirare il fiato prima di avvicinarmi a lei e di legarle i polsi per
assicurarla al letto.
Profuma di mele e miele. Il mio shampoo aveva questo
odore? Non è possibile. Non ho mai sentito niente di così
erotico e allettante in tutta la mia vita.
Le avvolgo il lembo di stoffa attorno ai polsi per evitare che
la corda la graffi, e poi le lego insieme le mani. Gliele attacco
alla testata del letto per buona misura, ma le lascio libere le
caviglie. Non ha niente a che vedere con il mio desiderio di
ammirare il moto delle sue lunghe gambe mentre cerca di
sollevarsi.
Assolutamente niente.
Cazzo.
Non riuscirò a concludere niente se rimango qui con lei.
Almeno niente che non sia pornografico.
Non appena sono certo di averla legata con cura, mi alzo e
me ne vado. Devo procurarle qualcosa di più di un muffin da
mangiare.
Devo assicurarmi che Mika abbia fatto colazione.
Ma soprattutto, devo allontanarmi dalla seduttrice legata al
mio letto.
6
Alessia

«Fiocchi d’avena?» chiedo quando Vlad torna portando una


scodella.
Lui abbassa lo sguardo sul piatto. «Già, immagino di sì.» Fa
spallucce. «A Mika piacciono.»
Questo non dovrebbe scaldarmi il cuore. E non dovrebbe
farlo nemmeno il fatto che mi abbia messo una banana tagliata
a fette in mezzo ai fiocchi d’avena e mi abbia portato una tazza
di caffè fumante. Sembra un tipo tosto e violento fino al
midollo, ma nel profondo non è peggio di uno qualsiasi dei
miei fratelli.
Sfila la corda che lega i miei polsi alla testata del letto e mi
aiuta a sollevarmi, facendomi accomodare al centro del
materasso con un cuscino dietro la schiena. Si siede accanto a
me, brandendo il cucchiaio.
«Davvero? Vuoi imboccarmi di nuovo? Non hai niente di
meglio da fare con il tuo tempo?»
Si ferma con la posata sospesa davanti alla mia bocca, come
se stesse riflettendo davvero sulla mia domanda. Poi si stringe
ancora una volta nelle spalle. «Sì e no.»
«Spiega.» Deglutisco una cucchiaiata di fiocchi d’avena,
che è proprio quello di cui avevo bisogno.
«Sì, ho del lavoro da fare. Ma non posso permettere alla
mia prigioniera di finire di nuovo in un coma diabetico.»
«Mi hai già dato l’insulina.»
«Mi piace averti alla mia mercé.»
Ed eccolo lì. Il punto focale della nostra relazione, e temo la
fonte della nostra mutua attrazione. È perverso e sbagliato su
ogni livello. E il motivo per cui devo sfuggire subito dalle
grinfie di quest’uomo. Prima che mi porti in Russia. Prima che
mi affezioni ancora di più a lui.
Solleva il bordo della tazza alle mie labbra e io sorseggio
cautamente il caffè.
E quasi lo risputo fuori. «Oh mio Dio! È caffè istantaneo?»
Vlad scrolla le spalle. «Quindi?»
Faccio una smorfia. «Disgustoso.»
Si porta la tazza alla bocca e la manda giù in un solo sorso,
poi si asciuga le labbra con il dorso della mano. «Oggi niente
espresso, printsessa.»
Io fisso il recipiente vuoto, assalita da un autentico senso di
delusione. Certo, ho problemi più grossi a cui pensare, come il
fatto che sono quasi nuda e legata al letto di un uomo. Che
devo scappare prima che mi trascini dall’altra parte del mondo.
Ma quel caffè aveva un buon profumo.
E a me piace davvero bere un caffè al mattino, dannazione.
«È così che i russi preparano il caffè?» Se mi vuole dare
della principessa, tanto vale che mi comporti come tale.
Vlad mi infila un’altra cucchiaiata di fiocchi d’avena in
bocca. «I russi bevono il tè. Chi beve il caffè, usa quello
istantaneo. Di solito.»
Devo continuare a farlo parlare. Più imparo di lui, meglio è.
Oltretutto, prima riesco a convincerlo a fidarsi di me, e prima
troverò un modo per scappare. Basta chiudere la porta quando
mi dice di non farlo. Devo comportarmi da prigioniera
obbediente e cullarlo nella compiacenza.
Riflettere sull’obbedienza mi spinge ad agitare il sedere sul
letto. Non sento più il bruciore della sculacciata. Se quella è la
sua idea di punizione, non corro nemmeno il rischio di
rompermi un’unghia. Sembra che preferisca l’umiliazione al
dolore e alla paura.
Che è una cosa positiva, perché nemmeno a me piacciono.
Mentre l’umiliazione… è stata piuttosto sexy.
«E tu?»
Sul suo volto appare un’espressione sorpresa, come se
nessuno gli avesse mai chiesto che cosa bevesse. Quando alza
le spalle nell’ennesimo scrollone, mi rendo conto che è una
sua caratteristica distintiva. «Mi piacciono tutti e due.»
«Ma non l’espresso?» Permetto alle mie labbra di
incurvarsi in un’espressione maliziosa.
Per tutta risposta ricevo un sorriso che mi toglie il fiato.
Vlad mi studia per un momento, come se fossi la creatura più
affascinante che abbia mai camminato sul pianeta terra, e poi
mi porge un’altra cucchiaiata di fiocchi d’avena. «Non mi ci
sono mai appassionato. A te come piace?»
Finisco di masticare e deglutisco. «Cappuccino
decaffeinato.»
«Decaffeinato?» Fa una smorfia di derisione. «Che senso
ha?»
«La caffeina incide di più sulla glicemia.» E sulla pressione
sanguigna, che non mi aiuta con il mio problema ai reni, ma
preferisco non pensarci.
Il suo viso si addolcisce in un’espressione
compassionevole. «Ah.» Con il pollice mi pulisce una goccia
di latte dal labbro inferiore. «L’esterno è così perfetto che è
difficile credere che l’interno sia danneggiato.» Io sussulto e
lui scuote la testa. «Non intendevo in questo senso. Mi
rammaricavo solo del mio errore. La principessa della mafia
non ha la vita incantata che credevo, ecco tutto.»
Per qualche motivo la sua affermazione mi fa pizzicare gli
occhi. Forse perché non mi aspettavo tanta comprensione da
parte del mio rapitore.
Ovviamente se ne accorge. Abbassa le sopracciglia e mi
passa il pollice sulla guancia. «Shh. Mi prenderò io cura di te,
Alessia. Ho fatto un errore quando ti ho drogato perché non lo
sapevo, ma non succederà di nuovo. Il tuo corpo ha bisogno di
attenzioni. Deve mantenere un delicato equilibrio. Mi
occuperò del tuo diabete. Non devi più preoccuparti.»
Qualcosa vibra dietro il mio sterno. Un tremito che non
riesco a identificare. Mi si riempiono gli occhi di lacrime,
anche se non riesco a capire il perché. Ho sempre odiato il
fatto che la mia famiglia mi ritenga debole e fragile, che si
preoccupi per me, e invece l’idea che quest’uomo prenda il
controllo è un sollievo.
Vlad ha bisogno di tenermi viva. Mi sta usando per il
riscatto. Non è un compagno di vita che sta giurando di farsi
carico del peso del mio diabete. O se è quello che sta facendo,
è da pazzi. Non sarò la sua sposa prigioniera. Non rimarrò qui
abbastanza a lungo perché succeda.
Giro la testa, rifiutando altro cibo. Tanto ho lo stomaco
troppo annodato per continuare a mangiare.
Vlad borbotta qualcosa in russo e senza tante cerimonie mi
stende sulla schiena, strattonandomi le cosce con le sue dita
tatuate. Mi si infilano le mutandine tra le natiche e mi
contorco, cercando di toglierle.
«Blyat.» Lui scuote la testa e mi afferra i polsi per legarli di
nuovo alla testata.
È ovviamente un qualche tipo di imprecazione. Chiederei
una traduzione, ma sono troppo infelice.
Quando Vlad lascia la stanza, mi concedo qualche lacrima.

Vlad

Mi tengo alla larga dalla camera da letto al piano di sopra


per quasi tutta la mattina. Quella ragazza è una tentazione
troppo forte per me, soprattutto senza vestiti.
La sua punizione è diventata anche mia.
Ma per tutto il tempo la sua voce continua a suonarmi nelle
orecchie. Il suo profumo mi stuzzica il naso. Mi sembra di
sentire i suoi capelli setosi tra le dita, o il suo bel culetto
principesco sotto la mano.
È davvero seducente. E molto diversa dalla mocciosa
viziata che credevo fosse.
Ma questo non significa che possa slegarla. O fidarmi di lei.
O lasciarla andare.
I suoi fratelli sono ancora in debito con me.
Nonostante questo, quando mando Mika a prendere gli
hamburger da In-N-Out, gli chiedo di passare da Starbucks per
prendere un grande cappuccino decaffeinato da asporto.
Che cosa posso dire?
Quella ragazza mi è già entrata nel cuore.
Per essere un membro della Bratva di livello così alto, sono
troppo tenero. Probabilmente è per questo che Victor mi ha
tenuto dietro le quinte. Questo, e per fare un favore a mia
madre. Per tenermi al sicuro. Non che non abbia visto la mia
parte di violenza.
Al ritorno di Mika, porto il cibo al piano di sopra.
Alessia solleva la testa per guardarmi in cagnesco, ma i suoi
bei capezzoli rosa scuro sono duri.
Cristo, è eccitata? Perché è nuda e legata?
Di certo io lo sono. Il mio cazzo fa un balzo acrobatico
verso la mia zip.
Merda. Non può funzionare. Non riuscirò mai a darle da
mangiare senza premerla al materasso e succhiarle entrambi i
capezzoli eretti fino a farla gemere e bagnare.
Appoggio il cibo sul comò e prendo una delle mie magliette
da un cassetto. «Ti concedo una breve uscita», annuncio, come
se la stessi portando allo zoo o in un posto simile.
Lei socchiude gli occhi. «Un’uscita dove?»
«In cucina.»
Sbuffa.
Le slego le mani e ispeziono i suoi polsi. Non mi piace
vedere dei segni, nonostante la protezione. Li strofino per
ripristinare la circolazione. Poi, quando mi ritrovo a serrare i
denti per via della vicinanza ai suoi splendidi seni, le infilo la
maglietta sopra la testa.
Dopo averle permesso di usare il bagno, le dico: «Andiamo,
printsessa», e me la getto sopra una spalla. Probabilmente
sarebbe meglio farla camminare. Sono certo che un po’ di
movimento le gioverebbe. Ma mi piace prendere il controllo
del suo corpo. Mostrarle che appartiene a me.
Fanculo, mi piace toccarla e basta. Sentire la sua carne
contro la mia, soprattutto in una posizione umiliante ma sexy.
La trasporto giù per le scale e la deposito sulla sedia della
cucina dove l’ho messa l’ultima volta. La lego lasciandole
libere le braccia, ma incrocio la corda dietro lo schienale in
modo che non possa andare da nessuna parte, poi punto un
dito su di lei. «Non muoverti.»
Mi fissa di traverso, spingendo in fuori quelle labbra
imbronciate in una maniera che me lo fa rizzare all’istante.
Vorrei affondarle l’uccello dentro la bocca carnosa e soffocarla
con la mia mole.
«Mika.» Chiamo il ragazzo. «Tienila d’occhio mentre
prendo da mangiare.» Lo manderei a recuperare il cibo che ho
lasciato al piano di sopra ma so che piace ad Alessia.
Lo so. Mi sto già rammollendo.
Mika si piazza sulla soglia tra il soggiorno e la cucina,
incrociando le braccia sul petto in una perfetta imitazione di un
membro adulto e pericoloso della Bratva. Una fitta di senso di
colpa penetra lo scudo della mia indifferenza nei suoi
confronti.
Non voglio davvero offrirgli una vita migliore di quella in
cui sono stato spinto io? Una vita di pericoli e oscurità?
Violenza e sospetto?
Alessia ha notato la sua innocenza. Come ho fatto io a non
accorgermene?
Forse è qualcosa che non voglio vedere.
Corro su per le scale e recupero il caffè e il cibo del fast
food. Quando torno al piano di sotto, Alessia ha già coinvolto
il ragazzo in una conversazione. Lui sta tagliando una mela
con il suo coltellino da tasca per offrirgliene una fetta.
Che incantevole principessina. Probabilmente ottiene tutto
ciò che vuole grazie alla sua bellezza. Quella e una naturale
dolcezza. È pura. Sì, è privilegiata, ma non direi che è viziata.
Deve aver avuto il mondo stretto nel suo piccolo pugno sin
dall’inizio della sua breve vita più o meno incantata, quindi si
aspetta solo il meglio dalle persone.
E probabilmente la gente glielo offre. Soprattutto chi sa del
suo diabete.
Sentendomi propenso a concederle una tregua, le appoggio
il cibo davanti e per una volta le lascio usare le sue mani.
Lo sguardo di gratitudine che mi lancia dà un senso a quel
momento di debolezza.
Tiro fuori la sedia accanto a lei e faccio segno a Mika di
accomodarsi sull’altra.
Eccoci qui, una grande famiglia felice. Le controllo la
glicemia per vedere se ha bisogno di insulina, nonostante
secondo lei basterebbe farlo una volta al mattino e una alla
sera. Ha ragione, sta bene.
«Qual è il tuo cibo americano preferito?» chiede la ragazza
a Mika.
Lui da un grosso morso al suo doppio cheeseburger.
«Pizza», risponde con la bocca piena.
Alessia annuisce saggiamente. «La pizza è fantastica. Ma io
vado matta per le patatine fritte.» Ne immerge una nel ketchup
e se l’infila in bocca, roteando gli occhi come se fosse un
boccone d’ambrosia.
Mika sbuffa, ma il modo in cui incurva le labbra mi dice
che è affascinato quanto me. Chi non lo sarebbe?
Mi siedo e la guardo all’opera mentre tira fuori Mika dal
suo guscio di scontrosità e divora il cibo che le ho comprato,
per poi appoggiarsi allo schienale e sorseggiare il suo caffè. Di
tanto in tanto mi lancia uno sguardo in tralice.
Una volta finito, Mika si alza e se ne va, e io mi tendo per
slegare Alessia. Ed è in questo momento che va tutto storto.

Alessia

Stringo il coltello di Mika nel palmo sudato.


Posso farcela?
Devo.
Se non mi libero subito, finirò su un aereo per la Russia, e
le mie possibilità di scappare o essere ritrovata diminuiranno
drasticamente.
Vlad si china su di me, slegando i nodi che mi tengono
bloccata alla sedia. Non appena avrà finito dovrò fare la mia
mossa. È la mia migliore possibilità. Sarò slegata, e dovrò
sopraffare solo lui. Ho sentito Mika andare in bagno, quindi il
ragazzino non dovrà assistere al mio gesto violento. E se lo
farò bene – un grosso se, considerando che ho zero pratica nel
pugnalare la gente – Vlad vivrà per prendersi cura di lui.
Perché non potrei sopportare il senso di colpa se lo rendessi
orfano un’altra volta.
In realtà, se fossi spietata come uno dei miei fratelli, mirerei
alla giugulare. Colpirei per uccidere.
Ma non posso farlo.
Mi viene la nausea al solo pensiero di lacerare la sua pelle.
Finisce di slegarmi e mi stringe gli avambracci per
sollevarmi dalla sedia.
È il mio momento.
Con un rapido movimento verso l’alto, gli affondo la corta
lama nelle viscere.
Lui grida qualcosa in russo e scatta all’indietro, facendomi
perdere la presa prima di riuscire a spingere del tutto il
coltello.
Sfreccio accanto a lui, o almeno ci provo. Si frappone tra
me e la porta, stringendo il manico del coltello. Il sangue cola
macchiandogli la maglietta.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime alla vista della ferita,
ma ci provo di nuovo, lanciandomi in avanti per oltrepassarlo.
Un feroce ringhio in russo mi ferma.
No, non è il ringhio, è la pistola.
E l’espressione.
Il giovane Mika è dietro Vlad, il suo viso pallido e
tormentato. L’arma gli ondeggia tra le sue mani tremanti.
«Nyet!» Il russo si strappa il coltellino dalle costole e lo
getta a terra, poi si volta e afferra la pistola.
Non parlo la loro lingua, ma è facile capire che qualsiasi
cosa stia gridando a Mika non è gentile. È una ramanzina di
proporzioni epiche. Mentre urla, toglie il caricatore dell’arma e
se la infila dietro i pantaloni, continuando a sanguinare a
profusione.
Mi sento come se stessi per vomitare.
Vlad continua a sgridare Mika. Non capisco se è perché mi
ha permesso di prendergli il coltellino o perché mi ha puntato
contro la pistola, ma le orecchie del ragazzo diventano rosse e
lui muove a destra e a sinistra la mascella, il suo mento
tremante.
Avrebbe potuto uccidermi ma mi dispiace per lui.
Sembra che Mika tenti di difendersi, indicandomi e
bofonchiando in russo, ma Vlad lo interrompe con una sfilza
di brusche dichiarazioni.
Non riesco a muovermi dalla mia posizione. Tanto non
potrei andare da nessuna parte. Tremo ovunque, anche se non
ho idea se sia più turbata da ciò che ho fatto a Vlad,
dall’umiliazione del ragazzino o da ciò che sta per succedermi.
Alla fine Mika affonda le mani nelle tasche e distoglie lo
sguardo, battendo rapidamente le ciglia, e Vlad si placa.
Abbassa la voce. Si fa più suadente. Gli appoggia una mano
sulla spalla e gli dice qualcos’altro in toni più gentili. Gli
scompiglia i capelli.
Mika si volta e scappa come avrei voluto fare io.
Non appena l’uomo si gira verso di me, mi sprofonda lo
stomaco.
«Vlad», bisbiglio.
Non so cosa vorrei dire. Mi dispiace? Non farmi del male?
Non stavo cercando di ucciderti? O forse solo Ti prego, non
morire.
Non so perché ci tenga, ma a quanto pare è così.
Batto furiosamente la ciglia ma mi si inumidiscono lo
stesso gli occhi.
L’uomo fa un passo verso di me, scuotendo la testa.
«Risparmia le lacrime per la tua punizione, printsessa. Io
vivrò.»
Emetto un suono – per metà risata e per metà singhiozzo –
quando mi getta sopra una spalla anche se a questo punto
dovrei essere io a portarlo su.
Si muove più lentamente del solito, ma mi trasporta al
piano di sopra e mi lascia cadere sul letto, per poi strapparmi
di dosso la maglietta che mi ha infilato.
«Vlad», gracchio di nuovo.
Mi sollevo sui gomiti, il respiro veloce, i miei capezzoli
duri anche se non è sesso. Che cosa ha intenzione di farmi?
Mi lega di nuovo le mani davanti, i suoi movimenti abili e
sicuri. Poi mi afferra per i polpacci e mi trascina giù
dall’estremità del letto, rivoltandomi perché appoggi i piedi sul
pavimento e abbia il torace premuto sul materasso.
Già, a culo in fuori.
Un’altra sculacciata.
È così sproporzionato rispetto a ciò che gli ho fatto io che
mi viene da ridere.
Mi abbassa le mutandine sulle cosce e mi dà qualche colpo
a destra e a sinistra del sedere.
Accolgo con gratitudine la sensazione. Se questo è il peggio
che vuole fare, sono felice di subirlo. È solo che penso che nel
frattempo dovrebbe andare in ospedale.
Mi spinge una mano in fondo alla schiena per tenermi
ferma e mi sculaccia con forza. È sensuale; tutto in questa
punizione lo è: la mia nudità, il fatto che sia legata, ed essere
colpita così vicino al mio sesso, ma quando mi infila il pollice
tra le natiche e lo spinge contro il mio ano, la mia risposta
sessuale scatta alle stelle.
Qualcosa mi stringe e mi monta nel basso ventre, e mi
eccito, bagnandomi le cosce. Il verso che si alza dalla mia
bocca suona nettamente come un gemito di piacere.
Vlad continua a sculacciarmi il culo a destra e a sinistra una
mezza dozzina di volte, muovendomi i fianchi, ma
mantenendo il contatto con il suo pollice. Non mi penetra per
davvero, ma è sempre lì, nel mio posto più intimo.
E poi si ferma di colpo.
«Non. Muoverti», ringhia.
È un ordine impossibile. Perché, ecco, il mio corpo sta per
esplodere. Il calore si torce e si flette dentro di me, pulsando
nella mia vagina. Mi ha liberata, ma sono intensamente
consapevole del mio sedere. Della mia apertura. Del bisogno
che scorre dentro di me.
Giro la testa e lo guardo mentre va in bagno e si toglie la
maglia insanguinata per esaminare la ferita allo specchio.
Non dovrei essere eccitata in un momento come questo.
È come se tutta la paura si fosse trasformata in qualcosa di
oscuro e sessuale. Il mio sedere è bollente e brucia. Ancora
denudato per lui.
È pura virilità. Ha appena preso una coltellata senza fare
neanche una smorfia. Ha tirato fuori la lama e l’ha gettato a
terra come se lo avessi graffiato con un’unghia. E l’unica
rabbia che ha dimostrato è stata nei confronti di Mika!
Mi muovo stringendo insieme le cosce, cercando di trovare
sollievo.
«Devi restare nella posizione in cui ti ho messa», sbotta
l’uomo dal bagno, il suo accento molto forte. «Se ti muovi ti
sculaccerò così forte che lo sentiranno fino in Russia.»
È ridicolo. Ora sono certa che non ha intenzione di farmi
del male. Se questo è il peggio che può succedere dopo che ho
provato a ucciderlo, non ho alcuna paura. La sua maggiore
crudeltà è lasciarmi qui in questa posizione umiliante, eccitata
e alla sua mercé.
Forse voglio quella sculacciata.
Spingo i gomiti verso il petto e mi sposto per abbassare le
mani tra le mie cosce. Ho assoluto bisogno di sollievo.
È una tortura non poter girare le mani e mettere le dita
come voglio, ma mi strofino sui pugni legati, per creare
frizione sul mio clitoride.
Sento provenire un brusco respiro dal bagno.

Vlad

Ty che, blyat2.
Lascio cadere la confezione di colla attaccatutto sul
lavandino, folgorato da ciò che vedo sul letto.
Il mio bellissimo ostaggio è dove l’ho lasciato. E si sta
masturbando.
Mi pulsa l’uccello, e la lussuria saetta dentro di me. Mi
costringo a muovermi lentamente, inspirando dalle narici –
espirando dalla bocca – mentre mi avvicino alle sue spalle.
«Che cosa ti avevo detto sul muoverti?» La voce non
sembra la mia. È profonda e roca. Le infilo un braccio attorno
alla vita per sollevarla per i fianchi e tirarle fuori le mani,
stendendogliele sopra la testa.
Le premo il palmo sulla fica e mi chino per parlarle
all’orecchio. «Ti faccio palpitare tra le gambe, Alessia?»
La sua apertura è bagnata fradicia, le pieghe gonfie e
accoglienti. Senza volerlo, affondo una delle mie dita nel suo
umido calore.
Lei geme, ondeggiando i fianchi per prendermi più a fondo.
«Credi di meritare il piacere dopo quello che mi hai fatto?»
Emette un impercettibile piagnucolio. Il suo viso è premuto
contro il materasso quindi non riesco a vedere la sua
espressione, ma le mordicchio un orecchio, accarezzando la
sua carne.
Mi si tende il cazzo.
«Chiedimi scusa», le ordino.
«Mi dispiace», dice immediatamente lei.
Povero cucciolo. Credo che sia dispiaciuta per davvero.
L’orrore sul suo volto nel momento in cui mi ha accoltellato ha
detto tutto. Non conosce la violenza, non voleva perpetrarla. E
questo mi spinge ad ammirare il suo tentativo. È coraggiosa.
Forte, per una persona con una debolezza fisica. Più forte di
me, probabilmente.
Infilo di nuovo un dito in lei. È stretta ma riesco ad
affondargliene dentro un secondo.
Si agita contro il letto.
«Supplicami, zaika. Supplicami e ti aiuterò a venire», la
sfido. Il suo profumo mi riempie le narici, dolce come una
torta al miele.
«No», geme nel materasso.
Fermo le dita. «No?»
Scuote la testa, strofinando la faccia sul copriletto.
Beh, non sono uno stronzo che continua quando gli viene
detto di no. Anche se il suo corpo mi sta supplicando senza
orgoglio. Rimuovo la mano dalla sua fica bagnata e mi
raddrizzo.
E poi, forse perché sono arrabbiato, o forse perché voglio
darle ugualmente ciò che le serve, inizio a sculacciarla di
nuovo.
Forte.
Inarca la schiena, sollevando il sedere per i miei colpi e
allargando le gambe.
Dovrei farla soffrire. Dovrebbe patire la frustrazione
sessuale che sto provando io. Ma non riesco a torturarla. Le
sferro una dozzina di colpi forti e regolari, e poi le
schiaffeggio la fica. Una volta.
Due.
Alla terza, Alessia grida e viene. Stringe le natiche e perde
l’equilibrio, sollevandosi sulla punta dei piedi.
Se non stessi soffrendo tanto, sorriderei perché sono
dannatamente orgoglioso di averle dato un orgasmo,
nonostante le sue parole. Ma il mio testosterone impazza, e
sono attraversato da un senso di forza e urgenza. Le strappo le
mutandine abbassate dalle gambe, e poi affondo le dita tra i
suoi capelli e li uso per sollevarle la testa, chinandomi su di
lei. «Ti ho detto che potevi venire, Alessia?»
Il suo viso è splendidamente arrossato, i suoi occhi sfocati e
vitrei. Le serve un momento per elaborare le mie parole e
puntare lo sguardo sul mio volto. «No», sussurra con quelle
labbra turgide.
«No. Nyet. Non l’ho fatto.» Le mostro le mutandine. «Hai
perso anche il diritto di portare queste.» Le lascio cadere e le
colpisco di nuovo il culo. «Presto questa passera apparterrà a
me. Sono l’unico che può toccarla, a meno che non ti dia il
permesso di toccarti tu stessa. I tuoi orgasmi appartengono a
me e a me soltanto. Se vorrai venire, dovrai imparare a
supplicare, sulle ginocchia e con il mio cazzo in fondo alla
gola. Sono stato chiaro?»
Sto esagerando, ma sembra che non riesca a trattenermi. La
lussuria e la frustrazione si mescolano in una potente furia.
Lei deglutisce, e poi sibila: «Fottiti».
Distendo le labbra in un sorriso feroce. «No, printsessa.
Sarai tu quella che fotterò per tutta la notte.»
La ragazza impallidisce, e io inizio a tornare in me. Allento
la presa sui suoi capelli, strofinandole lo scalpo per scacciare il
dolore.
«La prossima volta che verrai senza permesso, proverai la
mia cintura sul tuo bel culetto», la avverto.
La lascio andare del tutto e lei nasconde il viso tra le
braccia con un singhiozzo.
Mi raddrizzo e abbasso lo sguardo sull’immagine del suo
corpo perfetto sul mio letto. Le accarezzo il sedere arrossato,
non capendo perché mi provochi tanta tenerezza. Forse non è
tenerezza, è solo il bisogno di dimostrarle che è mia,
dimostrarle il mio controllo.
In ogni caso, le strofino la pelle arroventata in lenti cerchi
fino a quando non si rilassa. Poi la sollevo del tutto sul letto e
copro il suo corpo nudo con un angolo della mia coperta.
7
Alessia

Cerco di fermare i tremiti nelle mie membra mentre saliamo a


bordo dell’aereo. Avevo il piano – la mia ultima speranza – di
gridare a qualcuno, chiunque, che sono una prigioniera.
Ma non c’è nessuno. Fuori è buio, siamo su un volo privato
ed è palese che ogni uomo qui presente lavori per Vlad.
Non posso avvertire nessuno. Nessuno può aiutarmi.
Vlad mi stringe il braccio in una presa ferrea mentre mi fa
salire rapidamente a bordo del mezzo e mi spinge su un sedile.
Noto che si protegge il lato ferito, e gli sta bene.
Non riesco a capire come un russo e un dodicenne possano
evitare la vasta rete della famiglia criminale dei Tacone.
Com’è possibile che tutto questo stia succedendo davvero?
Io, diretta verso la Russia per sposare il nemico.
«Stai tremando», osserva Vlad, legandomi alla poltrona.
«Non voglio andare in Russia.»
«Peccato», risponde subito lui. «Ci stai andando.»
«E tu sei uno stronzo», borbotto. È infantile, ma cos’altro
posso fare? Posso solo insultarlo ora che sono legata sul sedile
di un jet privato, circondata da uomini dall’aria pericolosa.
Senza le mutandine.
Sì, mi ha rimesso il vestito, ma si è rifiutato di lasciarmi
indossare la biancheria. Ha detto che sono ancora in punizione.
Lo so, che sarà mai? Ho problemi più gravi del fatto che
sono a passera al vento sotto il vestito, ma mi sta incasinando
la testa.
Mi fa sentire accaldata, eccitata e vulnerabile. Mi sta
facendo ripensare alle sculacciate che mi ha dato oggi.
Agli orgasmi.
Vlad è tutto ciò di oscuro, sporco e autoritario che non ho
mai immaginato ma che a quanto pare ho sempre voluto,
perché mi turba fin nel profondo. Esco cambiata da ogni
interazione con lui.
Si china accanto a me e mi controlla la glicemia. Di norma,
con una dieta controllata e iniezioni regolari, lo devo fare solo
una volta al mattino e una alla sera.
Ma ha avuto ragione a controllare. Ho un violento calo di
zuccheri causato dall’adrenalina che mi sta facendo tremare.
Riempie una siringa con l’insulina come se lo avesse fatto per
tutta la vita.
Quando fa per sollevarmi il vestito sobbalzo. Non porto le
mutande e Mika è seduto ad appena qualche metro di distanza.
Vlad si ferma e invece mi fa l’iniezione nel braccio.
È uno dei motivi per cui mi sconvolge tanto. È uno stronzo
di prima classe, certo. Un criminale che mi sta strappando a
tutto ciò che ho sempre conosciuto e amato. Mi sta tenendo
prigioniera in cambio di un riscatto. Anzi, non vuole nemmeno
i soldi, dice che vuole tenermi e basta. Ma nonostante tutto, è
premuroso. Attento alle mie reazioni e alle mie necessità. Può
ringhiare e minacciarmi. Può fingersi cattivo, ma è andato
apposta a prendere il caffè che mi piace. E si è fermato quando
ho detto di no.
Ho dovuto… non potevo supplicarlo.
Assolutamente no.
Questo non significa che il mio corpo non si sia
completamente ribellato quando lui si è fermato. Ero a due
respiri da un orgasmo.
E non posso credere di essere venuta lo stesso. Solo perché
mi ha sculacciata.
È questo che intendo quando dico che mi sconvolge.
Nessun uomo mi aveva mai colpita sul sedere prima. Non
sapevo quanto mi eccitasse. Non avevo idea del desiderio che
si sarebbe alzato rovente, sibilando e fumando come lava che
sgorga lungo il lato di un vulcano.
Una volta finito, mi accarezza sul sito dell’iniezione, e poi
si siede accanto a me per il decollo.
Dall’altra parte del corridoio, Mika sembra pallido. I suoi
grandi occhi marroni sono inquieti e sta stringendo i braccioli
della sua poltrona.
Alzo il mento nella sua direzione. «Ha paura di volare?»
Vlad tira fuori un’arancia dalla borsa e inizia a sbucciarla,
osservandolo. «Non lo so», mormora poi. «Magari la Russia
gli riporta alla mente dei brutti ricordi.»
«Peggiori dell’America?» gli chiedo seccamente. Qui il
povero ragazzo è stato abbandonato dalla sua stessa madre.
Il russo mi dà da mangiare uno spicchio d’arancia. «Sì.»
Dietro quella parola si nasconde così tanto… In qualche
modo percepisco una vita intera di dolore, sia per Vlad che per
Mika. Ma forse è solo frutto della mia immaginazione.
«Forse è preoccupato per il futuro che avrà là», riflette
l’uomo.
Mi irrigidisco leggermente, io stessa ero in ansia. «Lo terrai
con te, vero? Ti prenderai cura di lui.»
Qualcosa nell’atteggiamento del ragazzo mi dice che ci sta
ascoltando. Le sue spalle si tendono e si fa perfettamente
immobile.
Vlad si prende un momento prima di rispondermi,
peggiorando la situazione. «Sì, se sopravvivrò a questa storia.»
«A quale storia?» Il mio tono è secco. Sento la travolgente
urgenza di assicurare un futuro al ragazzo.
Lui cerca di darmi un’altra fetta d’arancia, ma io volto la
faccia. «Ai tuoi tentativi di fuga.»
Sbuffo perché sappiamo entrambi quanto il mio attacco sia
stato patetico. È impossibile che abbia davvero paura che io lo
uccida.
Scrolla le spalle. «Ai tuoi fratelli», si corregge.
Un brivido gelido mi attraversa la pelle, perché ha ragione a
temerli. Se lo prendono lo ammazzeranno. Non ho alcun
dubbio.
Distolgo lo sguardo per guardare fuori dall’oblò dell’aereo
verso le luci di Las Vegas che brillano sotto di noi. Ora i miei
fratelli sono laggiù. Mi stanno cercando, facendo di tutto per
trovarmi.
E io sono qua. Così vicina, eppure fuori dalla loro portata.
Presto sarò lontana dalla loro influenza. In un paese dove
non parlo la lingua e non ho un solo amico.
Lancio un’occhiata a Mika.
Forse anche lui si sente così, barriera linguistica esclusa.
Vlad mi dà un altro pezzo d’arancia, poi si china e pesca un
altro frutto dalla sua sacca di pelle. «Mika», lo chiama.
Il ragazzo si gira a e lui solleva l’agrume.
Mika scuote la testa.
«Mangia», gli dice l’uomo con fermezza, gettandolo al
ragazzo, che l’afferra con una mano. «Hai bisogno delle
vitamine.»
Un sorriso gli appare brevemente agli angoli delle labbra
per poi svanire subito. China la testa sull’arancia e inizia a
sbucciarla, mentre io e Vlad ci riappoggiamo soddisfatti allo
schienale.
Quando raggiungiamo la quota, il russo mi slega e mi
mostra come reclinare i sedili per trasformarli in un letto.
Mentre lui va a prendere cuscini e coperte, io aiuto Mika con il
suo.
«Hai bisogno di qualcosa? Uno snack? Qualcosa da bere?»
mi chiede l’uomo.
«Sei il nostro assistente di volo?» Non dovrei provocarlo
quando si sta comportando in modo tanto gentile.
Ma a lui non sembra dispiacere. Mi dà una lieve pacca sul
sedere. «Zitta e dormi. Fai la brava o ti lego al letto.»
«Tu non hai intenzione di dormire?» gli chiedo. Non ha
ancora preparato un letto per sé.
Vlad si stringe nelle spalle.
Aspetto una risposta più esaustiva che non arriva.
Okay, quindi quest’uomo non dorme.
Probabilmente è una scelta furba, considerando che oggi ho
provato a ucciderlo.
Mi siedo sull’orlo del letto. Sono esausta ma non ho sonno.
Troppa adrenalina. Troppa ansia. «Cosa c’è da bere?» chiedo
pigramente.
Vlad mi lancia uno sguardo dalla poltrona di pelle accanto
al mio posto. «Che cosa vuoi?» Si alza. Si muove con grazia
ed eleganza, come una pantera. Mi sollevo per seguirlo, felice
di camminare sulle mie gambe tanto per cambiare. Di essere
slegata e libera di potermi muovere.
Nella minuscola cucina c’è un frigo pieno di ogni tipo di
bevanda raffinata.
Lui lo apre e tira fuori una bottiglia di Chardonnay. «Ti
piace il vino?»
Non dovrebbe farmi battere forte il cuore. Questo non è un
appuntamento.
Lo berrei volentieri, ma non credo che i miei reni
potrebbero sopportarlo.
«Un’acqua tonica», gli dico.
Mi versa l’acqua e mi tende il bicchiere. Poi apre un
cassetto e tira fuori un apribottiglie. Dopo aver estratto il tappo
ed essersi riempito un bicchiere, mi guarda e si infila lo
strumento in tasca.
«Credi che lo userei su di te?»
Cristo. Sto flirtando?
«So che ci stai pensando.» Il suo tono è sereno come se la
gente attorno a lui pensasse spesso di ucciderlo e la cosa non
lo turbasse affatto.
Mi giro per superarlo e lasciare il cucinotto, ma Vlad si
sposta, impedendomi di andarmene. Mi spinge contro la
parete, premendo il petto al mio e infilandomi una gamba tra le
cosce. Solleva il bicchiere di vino accanto al mio orecchio e
reclina la testa verso il mio viso.
Sussulto. I miei battiti si fanno più rapidi e il mio corpo si
riempie di calore.
«Devi sapere», dice con forte accento, «che sto facendo una
gran fatica a tenere le mani lontane da te, sapendo che ho le
tue mutandine in tasca.»
Mi sfugge un basso gemito. «M-magari dovresti ridarmele,
allora», replico. La mia voce è un roco ansimo.
La sua erezione si gonfia contro il mio ventre. Mi strofino
involontariamente sulla sua coscia e il contatto mi fa bagnare.
«Domani», mi promette. «Ma solo se durante questo volo
mi dimostrerai che puoi fare la brava. E poi non dovrò più
tenerti legata.»
Lo fisso. «Che ne dici di non tenermi affatto?»
Lui indietreggia, ed è una delusione e un sollievo allo stesso
tempo. «Scusa, printsessa. La tua libertà non rientra nei miei
piani. Ormai sei mia.»
Mi pizzica il naso e devo prendere fiato per nascondere le
lacrime, ma mi si inumidiscono gli occhi prima che riesca a
distoglierli.
Vlad aggrotta la fronte e mi prende con delicatezza il viso
tra le mani. Mi accarezza una guancia con il pollice. «Non per
sempre, zaika.»
«Per quanto tempo?» chiedo con voce strozzata.
Mi osserva e io ho la netta impressione che stia
improvvisando. Non c’è nessun piano. È incoraggiante e
spaventoso allo stesso tempo. Di positivo c’è che questo
significa che è flessibile. Mutevole. Posso influenzarlo.
E magari cambiare il mio futuro.
«Fino a quando non mi stancherò di te», dice, e abbassa la
mano. Fa un passo indietro per lasciarmi passare.
Mentre gli cammino davanti sono acutamente consapevole
di ogni mio passo. Gli umori tra le mie cosce. Il fatto che il
suo sguardo è certamente incollato al mio sedere. Raggiungo
la fila di poltrone davanti al mio letto e mi siedo su quella
vicina al finestrino.
Vlad resta indietro, seguendomi con la bottiglia di vino in
una mano e il bicchiere nell’altra, fissandomi con occhi
socchiusi.
Io indico la poltrona accanto a me. «Non vuoi sederti?»
Non sono riuscita a scappare prima della partenza per la
Russia. Ora Vlad è la mia migliore possibilità. Devo essere
carina. Fargli tenerezza. Supplicarlo di ridarmi la libertà.
Ha già ammesso che prima o poi me la concederà.
Il mio compito è assicurarmi che succeda prima piuttosto
che poi.

Vlad

È pericolosa.
So cosa ha in mente. Sta cercando di conquistarmi.
È quello in cui eccelle.
Conosco questa trappola. È quella che usano tutte le donne.
Sfruttano la loro bellezza, il loro sex appeal. Tessono una tela
per catturarti e poi ti ritrovi con le palle in una morsa.
È così che la madre di Mika si è fatta portare in America.
Così che mia madre si è ingraziata Victor. E così che Sabina
mi ha quasi fatto ammazzare.
E tuttavia mi è impossibile rifiutare. Sono già assuefatto
alla sua vicinanza, e ancora di più se è gentile con me.
Mi accomodo accanto a lei e la guardo bere la sua acqua
tonica. Avrei giurato che volesse il vino, ma forse non può per
via del diabete. Mi alzo per andare a prendere la bottiglia e
riempirle il bicchiere. Alessia mi mormora un ringraziamento
e prende un altro sorso.
La ammiro, come sempre affascinato dalla sua bellezza. Dal
suo portamento.
Lei punta gli occhi fuori dalla finestra, anche se non c’è
niente da vedere al di fuori di un’oscurità nera come
l’inchiostro. «Dove stiamo andando? Volvograd?»
«Sì.» Non elaboro. Mi diverte guardarla all’opera.
«È una grande città?»
«Una città piccola. Un milione di persone. Un buon posto
dove vivere.»
«Parlamene.»
Eccolo. Un semplice ordine. Uno a cui dovrei resistere,
giusto per interromperla, ma non posso. Non quando mi punta
addosso quei suoi grandi occhioni marroni e si sporge verso di
me, in attesa, con le labbra socchiuse.
Sorseggio il mio vino. «In passato Volvograd si chiamava
Stalingrado. Prima ancora, Tsaritsyn. Si trova nel sud-ovest
della Russia, sulle rive del fiume Volga. È bellissima in estate.
Ti piacerà.» È stupido. Non so perché voglia far sì che
l’apprezzi, ma mi scopro a desiderare che ami la mia città.
Alessia distoglie lo sguardo. Probabilmente è ferita
dall’accenno al fatto che diventerà la sua casa.
«Lì hai spazio per Mika?»
Ed ecco che torna a preoccuparsi per il ragazzino. Se me lo
chiede, probabilmente crede che abbia un posto piccolo, come
quello a Las Vegas. Mi diverte pensare a quanto rimarrà
sorpresa dalla mia proprietà.
«Sì, Alessia», rispondo tranquillo. «C’è molto spazio.»
Muove la bocca come se stesse per parlare, ma poi cambia
idea. Ci riprova. «Cosa… farò lì?»
Ci rifletto. «Che cosa facevi a Chicago?»
La luce è fioca, ma credo stia arrossendo. «Mia madre è
stata operata qualche mese fa, quindi la sto aiutando da quando
mi sono laureata a dicembre.»
Non riesco a trattenere un sorriso. «Non ti devi giustificare
con me perché non lavori. Sapevo che eri una principessina
mantenuta. Con me non sarà diverso. I tuoi fratelli mi
forniranno il denaro per continuare ad assicurarti lo stile di vita
a cui eri abituata.»
Il dolore le lampeggia sul viso, ma lo nasconde
rapidamente. Distoglie lo sguardo.
Ciò non dovrebbe turbarmi. Quando prendi una donna
come tributo, non puoi aspettarti che si inginocchi ai tuoi piedi
e ti ringrazi.
Quando si volta, sta serrando la mascella e ha
un’espressione di sfida negli occhi. «Ho bisogno di un corso di
lingue, tipo il Rosetta Stone.»
Rischio di strozzarmi con il mio vino. «Vuoi imparare il
russo?»
Lei annuisce con aria determinata.
È una scelta intelligente. Conoscendo la lingua sarebbe
meno indifesa in Russia. Scappare o chiedere aiuto le sarebbe
più facile. Ma ci vorrà del tempo, e non sarà facile. La ammiro
anche solo per averci pensato.
«Certo che puoi averlo. Avrai tutto ciò che vuoi, zaika.»
«Tutto tranne la libertà?»
«Da.»
Le trema leggermente il mento, ma si riprende e guarda
fuori dai finestrini scuri.
«Cosa hai studiato all’università, Alessia?» Ora sono io a
fare conversazione.
Lei torna a girarsi verso di me. «Educazione della Prima
Infanzia.»
Inarco le sopracciglia, sorpreso. Mi aspettavo qualcosa di
futile come storia dell’arte, o letteratura inglese. Qualche
materia umanistica dalle scarse applicazioni pratiche.
«Vorresti insegnare?»
«Sì. Amo i bambini.»
Certo che sì. Lancio un’occhiata a Mika, che sta dormendo
nel suo letto. Non c’è da sorprendersi che abbia un tale
interesse nei suoi confronti.
Conoscere questo suo lato umanitario, questa devozione per
i bambini, smuove qualcosa dentro di me.
«Vuoi dei figli?» L’improvvisa immagine di Alessia incinta
del mio bambino riempie la mia mente. Mi tira fuori un certo
senso primitivo di protezione. Non ho mai desiderato una
progenie, ma l’idea di metterla incinta e creare una famiglia
con lei capovolge tutto il mio mondo.
Ma la ragazza sobbalza alle mie parole e distoglie lo
sguardo. «Non posso.»
La mia delusione è ridicola quanto lo è stato il pensiero di
avere dei figli con lei. Ma forse sto solo percependo il suo
dolore. È chiaro quanto l’argomento la ferisca.
«Perché no?»
Non mi risponde.
«Il diabete?»
Fa un minuscolo cenno affermativo, continuando a guardare
dall’altra parte.
Oh, Alessia.
Di certo le persone con il diabete hanno dei bambini. Mi
appunto mentalmente di fare qualche ricerca, ma sono pervaso
da un brivido. Questa ragazza deve avere avuto a disposizione
i migliori dottori che i soldi possano comprare. Se crede di non
potere avere figli, avranno buone ragioni.
Non dovrei esserne dispiaciuto.
Forse è meglio così, considerando che il nostro matrimonio
non durerà a lungo.
«Mi dispiace», borbotto, e lei mi lancia uno sguardo. La
vulnerabilità che intravedo sul suo viso mi distrugge.

Alessia
Maledetto Vlad. Mi sento gli occhi caldi e lacrimosi sotto il
suo sguardo compassionevole, e devo girarmi di nuovo
dall’altra parte.
Vorrei che non fosse così dannatamente perspicace.
Non ho detto a nessuno dell’insufficienza renale al terzo
stadio. Non ai miei fratelli, e men che meno a mia madre. Così
non ho ancora dovuto affrontare questo momento, la
rivelazione della più crudele delusione della mia vita.
Sentendo il disperato bisogno di cambiare argomento,
faccio un respiro e mi volto verso di lui. «E tu, Vlad? Qual è il
tuo lavoro in Russia?»
«Sono derzhatel obschaka. Il contabile della Bratva.
L’uomo dei soldi. Sposto e riciclo il denaro. Lo nascondo. Mi
ero messo in contatto con tuo fratello non per causare
problemi, ma per offrire una soluzione. Riciclare anche i suoi
soldi. Ma poi mia madre è morta a Mosca. Sono dovuto
tornare in Russia, e Ivan, quell’idiota del mio compatriota, ha
deciso che uccidere la tua famiglia era un’idea migliore.»
Lo fisso battendo le palpebre, sorpresa da queste
informazioni. Non vorrei trovarlo così gradevole. Mi piace
sapere che non è uno spacciatore, un trafficante di donne o un
assassino, ma piuttosto un criminale dal colletto bianco. La
consapevolezza che ha – aveva – una madre lo rende più reale.
Normale. Umano.
«Mi dispiace per la tua perdita», dico.
Qualcosa di vulnerabile e feroce gli appare sul viso. Un
dolore inespresso. Ho la sensazione che non abbia ricevuto
condoglianze. O forse la perdita è troppo recente, oppure ci
sono ancora questioni irrisolte. China la testa e resta così.
«Mia madre… da. Ancora non riesco a credere che se ne sia
andata. È strano tornare e sapere che non ci sarà.»
Mi tendo per toccargli un braccio. Lui alza lo sguardo,
scioccato. Come se lo avessi marchiato a fuoco.
Ma poi piega le labbra in una smorfia amara. «Non essere
dispiaciuta per me. Non dovrebbe mancarmi. Era una stronza
manipolatrice, come ogni donna della mia vita.»
Tolgo la mano, ritraendomi, perché percepisco che in
qualche modo mi ha messa nella stessa categoria.
Capisco di avere ragione quando mi fissa con occhi
socchiusi. «Puoi smettere con questo tuo tentativo di
conquistarti la mia compassione. Vai a letto e mettiti a
dormire. Domani è il giorno del tuo matrimonio.»
Mi sobbalza lo stomaco e all’improvviso ho la nausea. Mi
alzo in piedi e raddrizzo le spalle, buttandomi in gola il resto
dell’acqua. «Dov’è il mio spazzolino da denti?» chiedo
imperiosa, come la marmocchia viziata che sembra credere io
sia.
Mi aspetto che mi mandi affanculo, e invece infila una
mano nella sua sacca e tira fuori lo spazzolino e il dentifricio
da viaggio in una bustina di plastica. Continua a prendersi cura
di me.
Non dovrebbe piacermi. Non dovrei volere nessuna
attenzione dall’uomo che mi ha rapita e che vuole costringermi
a sposarlo.
Gli strappo la busta dalle sue mani e marcio verso il bagno,
cercando con tutte le mie forze di rallentare il mio respiro e
placare i miei nervi.
Non vincerà questo gioco. Prima o poi scapperò. I miei
fratelli mi troveranno.
E sarà lui quello in ginocchio a supplicare pietà.
8
Alessia

Atterriamo il pomeriggio seguente dopo un volo di sedici


ore. Ho passato la mattina giocando a carte con Mika e
ignorando Vlad.
Sono tesa quando scendiamo dall’aereo e un nugolo di
uomini tatuati e armati in giacca e cravatta ci circonda per
guidarci a una limousine.
Se in America Vlad sembrava lavorare da solo, è chiaro che
nel suo territorio abbia molte conoscenze. Guardo fuori dal
finestrino oscurato, con le mani fredde e umide e lo stomaco
annodato.
«È normale che una sposa sia nervosa il giorno del suo
matrimonio», nota Vlad, e io gli lancio la mia migliore
occhiataccia.
«Vaffanculo.»
Mika si paralizza, come sempre chinato sul suo tablet, ma
chiaramente in ascolto. Che sia preoccupato per il mio
benessere ora che siamo diventati amici? Mi chiedo se non
possa convincerlo ad aiutarmi.
D’altra parte non sono certa di volerlo mettere nella
posizione di dover tradire l’unica figura genitoriale che ha al
mondo al momento.
Ma l’uomo si limita a ridacchiare. Non sembra irascibile,
almeno non con me.
La limousine si ferma davanti a una chiesa e il peso nel mio
stomaco si fa ancora più opprimente. Lo stiamo facendo
davvero.
«Credi di trovare un prete che sposerà una donna in un
aderente abitino rosa?» gli chiedo. Sono così stufa di questo
vestito che vorrei infilarlo in un tritatutto. E Vlad non mi ha
nemmeno ridato le mie dannate mutandine.
Vlad sogghigna. «Ho un vestito bianco per te. E una donna
che ti aiuti a prepararti. Non devi fare altro che attraversare la
navata.»
Socchiudo gli occhi. «Ti odio.»
«Come dovrebbe essere tra marito e moglie.» Esce
dall’auto e mi offre una mano. Io scuoto la testa, ma non mi
disturbo a commentare la sua scarsa opinione sull’amore, le
donne o il matrimonio. Mi sale il vestito mentre scivolo fuori e
i suoi occhi blu si incupiscono seguendo l’orlo sulle mie cosce.
Allontano la sua mano e mi tiro giù l’abito.
La chiesa è vuota. Almeno non mi sposerò davanti a una
folla di sconosciuti. Vlad mi lascia in una stanzetta dove mi
aspetta un’anziana signora. La donna mi si avvicina in fretta,
parlando in russo.
«Cinque minuti», mi informa lui, e poi dice rapidamente
qualcosa in russo all’anziana. Mentre se ne va mi punta contro
un dito con aria minacciosa. «Cerca di scappare e sarai
punita.» Reclina la testa verso l’altra donna.
Io rimango a bocca aperta e il mio cuore batte più in fretta.
È un bluff, mi dico mentre chiude la porta. Non farebbe del
male a una signora più di quanto ne farebbe a me. O a Mika. È
solo che ormai mi ha capita. Si è reso conto che provo
compassione per le persone che mi circondano e lo sta
sfruttando per manipolarmi.
Tuttavia sono riluttante a smascherare il suo bluff. Non
voglio assolutamente che questa anziana donna debba
affrontare la sua furia.
La signora mi parla in russo con un’espressione arcigna,
sollevando un bustino bianco e un paio di mutandine per poi
spingermi verso il bagno.
Deducendo che vuole che indossi il mio intimo in privato,
entro nel cubicolo e mi sfilo il vestitino. Questa mattina mi
sono fatta la doccia nel minuscolo bagno dell’aereo, ma
mettermi le mutande pulite è una sensazione gloriosa. Mi
stanno alla perfezione, come anche il bustino. Come faceva
Vlad a saperlo? Non aveva nemmeno un reggiseno da cui
prendere le misure.
Esco dal bagno. La donna mi mostra un abito da sposa. Non
è male per essere quel che è. Poteva andare peggio. È senza
spalline e con un semplice corpetto di seta. La parte superiore
è decorata da un nastro che forma un fiocco piatto sulla
schiena. È stretto in vita e sui fianchi, per poi allargarsi
all’altezza delle caviglie, e ha l’orlo davanti più alto che sul
retro.
La mia attempata assistente mi spinge tra le mani un
bouquet ricadente di rose color rosa pallido, e poi si china ai
miei piedi, disponendo diverse scatole da scarpe accanto a sé.
Dice qualcosa in russo e solleva un paio di sandaletti argentati.
Io arriccio il naso. «Non mi fanno impazzire, se è quello
che mi stai chiedendo.»
Lei fa un cenno affermativo con il capo e dice
qualcos’altro, mostrandomi un paio di semplici scarpe alte di
seta bianca.
Guardo la terza scatola. «Che altro hai lì?»
La apre. Sandaletti in seta bianca.
Indico le scarpe con il tacco. «Probabilmente queste.
Proviamole.»
Capisce il concetto e mi aiuta a infilarle. Vanno bene. Non
sono niente di speciale ma mi stanno. Non appena le ho
indosso, la donna mi spinge fuori dalla porta e verso la
cappella.
Il nodo che ho allo stomaco mi sale nel plesso solare,
togliendomi il fiato. Sono sudata e congelata allo stesso tempo.
Solo qualche giorno fa ero al doppio matrimonio dei miei
fratelli lamentandomi che non avrei mai avuto un’unione
d’amore come le loro. Ciononostante non avrei immaginato
che le mie nozze sarebbero state così. Che sarei stata una sposa
prigioniera in un paese straniero.
Non importa. Non è reale.
È quello che continuo a dirmi, ma la parte sentimentale di
me non ci crede. Questo è un matrimonio. Un matrimonio in
chiesa davanti a Dio e un prete russo ortodosso, che non può
essere molto diverso da uno cattolico.
Non c’è nessuno a suonare la marcia nuziale mentre
attraverso la navata. Non c’è musica. Non ci sono nemmeno
invitati, a meno che non si contino Mika e l’orda di agenti di
sicurezza di Vlad.
«Ma come, niente smoking?» gli chiedo quando mi
raggiunge in fondo alla chiesa. Lui mi ignora, prendendomi
per un gomito invece di offrirmi il suo. «Dov’è il mio
diadema? Sul serio, non ho intenzione di sposarmi senza una
tiara. Credevo di essere la tua printsessa o quel che è.»
Vlad incurva brevemente le labbra ma non mi guarda. «Non
hai bisogno di una tiara, hai già un’aureola lucente.» Il suo
accento è diventato più forte da quando siamo arrivati in
Russia.
Io sbuffo.
Non riesco a credere che sto attraversando la navata
scherzando con il mio sposo-rapitore.
Si ferma davanti al prete, che fa il segno della croce davanti
a noi e cantilena qualcosa in russo.
Parla. E poi continua.
Finalmente pare sia il turno delle promesse. Il prete mi
guarda.
«Nyet», dico con fermezza.
Mi ignora e procede con la cerimonia. Almeno è ciò che
credo stia succedendo, ma non posso esserne certa dato che è
tutto in russo.
Mentre sono lì, tremando accanto all’uomo che a quanto
pare sto sposando, capisco quanto sono nei guai. Non parlando
la lingua, trovarmi in un paese straniero è un enorme
svantaggio. Soprattutto considerando quante conoscenze
sembra avere Vlad.
Il prete dice qualcos’altro e Vlad mi appoggia una mano
dietro la testa per attirarmi in un rapido bacio sulle labbra.
Succede tutto così in fretta che non ho modo di oppormi, e poi
è finita.
Cazzo.
Sono sposata.
Faccio un singhiozzo.
Vlad mi solleva tra le braccia e mi porta fuori dalla chiesa
mentre io traggo respiri tremanti. Non piango. Emetto solo
pesanti singhiozzi irregolari, come quelli che farebbe
un’annegata cercando di riprendere fiato.
Mika ci cammina accanto, lanciandomi sguardi preoccupati.
L’uomo raggiuge rapidamente la limousine. Uno dei suoi
uomini gli apre la porta. Invece di lasciarmi cadere sul sedile,
si siede e ruota le gambe, senza lasciarmi andare.
Mika scivola davanti a noi, le sopracciglia corrucciate, la
testa china.
Vlad ordina seccamente qualcosa in russo all’autista e la
limousine parte, mentre io continuo a lottare per respirare. Il
mio finto sposo mi tiene in grembo, accarezzandomi le braccia
nude con un tocco leggero e delicato. Ha la fronte corrugata,
come Mika, e non mi guarda.
Io fisso il paesaggio che sfreccia fuori dal finestrino,
singhiozzando, sentendo gli ultimi frammenti di speranza che
scivolano via.

Vlad
Vorrei confortare la mia sposa, ma non c’è niente da dire.
Sono la causa della sua angoscia e ciò che è fatto, è fatto.
Tuttavia sentirla tremare tra le mie braccia e vederla andare
in pezzi mi disturba più di quanto vorrei ammettere.
«La lascerai andare?» bofonchia Mika in russo, a voce tanto
bassa che lo sento a malapena. Me lo chiede senza guardarmi.
«Sì. Prima o poi», gli rispondo nella stessa lingua.
Mi lancia un’occhiata diffidente e mi fa un cenno con il
capo prima di girare lo sguardo fuori dal finestrino.
«Non le farò del male e non la costringerò a fare sesso con
me.» Cazzo, è una conversazione dannatamente sgradevole da
avere con un dodicenne, ma sento di doverglielo dire. Non so
cos’abbia visto. Sua madre era una prostituta. Non ho idea di
come la trattassero Aleksi o gli altri clienti. Mika potrebbe
essere rimasto traumatizzato da ciò che le hanno fatto.
Peggio, potrebbe aver perso il concetto di consenso, e di
come una donna dovrebbe essere trattata. E io gli sto fornendo
un esempio di merda. Quindi ho bisogno che lo sappia.
Non mi risponde, e va bene così. Lo fisso fino a quando
non sposta gli occhi su di me.
«Non dovrai mai costringere una donna a fare sesso con te,
Mika. È sbagliato.»
Incertezza e dolore gli lampeggiano sul viso, e io sono
felice di aver insistito. È ferito.
«Sei d’accordo?» lo incalzo.
Lui annuisce rapidamente. «Da.»
«Bene.» Smetto di fissarlo. Sto ancora accarezzando le
braccia di Alessia. Ora si è calmata, anche se percepisco
ancora un tremito nelle sue membra.
«Vi piacerà dove abito», dico a entrambi in inglese. «È
molto confortevole.»
Nessuno dei due risponde.
Al tramonto la limousine si ferma davanti alla mia grande
casa di campagna sulle rive del fiume Volga. Le nubi tinte di
rosa fanno da splendido sfondo al palazzo signorile.
È strano essere di nuovo qui. Sono passati tredici mesi
dall’ultima volta che sono stato a casa. Bandito in America
perché una donna subdola mi ha portato nel suo letto con
l’inganno.
I domestici sanno del mio arrivo. La mia governante, Zoya
– la donna che ha aiutato Alessia in chiesa – è fuori con suo
marito Yegor. Anche i miei uomini si schierano per
accoglierci.
L’autista mi apre la porta e io sollevo Alessia per rimetterla
in piedi e seguirla fuori. Mika esce e osserva lo spettacolo,
senza lasciar trasparire niente sul viso.
«È bello», ammette la ragazza, muovendo lo sguardo sulla
mia enorme villa e i terreni recintati tutt’intorno. Indica in
direzione di una macchia di alberi. «Quello è il fiume?»
«Da.» Sorrido. Potrebbe tranquillamente fare la stronza,
decidere di detestare tutto e mostrarmi solo la sua ira. Ma non
lo fa. Le sue prime parole sono: «È bello».
È gentile.
Molto più di quanto immaginassi.
Il senso di colpa per averla strappata alla sua vita lotta, con
il desiderio di tenerla con me… per sempre.
Premio la sua dolcezza con la cortesia che non le ho
dimostrato in chiesa. «Alessia, hai già conosciuto Zoya, la mia
governante. Non parla inglese, ma si occuperà di tutte le tue
necessità. Ti procurerò un traduttore fino a quando non avrai
imparato con la tua Rosetta Stone.»
Lei tende una mano e Zoya gliela prende con riluttanza,
facendole un inchino.
«Suo marito, Yegor. È il custode.»
L’uomo si inchina.
In russo, presento Mika al mio staff. Li ho già avvisati della
mia prigioniera ma mi sono dimenticato di parlargli del
ragazzo sotto la mia tutela.
Zoya lo guarda di traverso, come se temesse che potesse
mettere in disordine la casa, ma ovviamente non dice nulla.
«Venite, tutti e due. Vi faccio fare un giro.» Gli mostro il
posto. Ho già dato istruzioni allo staff di rimuovere ogni
accesso ai telefoni o a internet, e i miei uomini circonderanno
tutte le uscite per impedire ad Alessia di andarsene. In questo
modo potrà essere libera di muoversi per la villa.
«Questa sarà la tua stanza, Mika.» Apro la porta di una
delle camere degli ospiti.
Lui entra e si siede sul letto, rimbalzando leggermente. Poi
mi guarda, i suoi occhi blu-grigio inquisitori. «Per quanto
tempo?»
Scrollo le spalle. «Vedremo.» Non è da me fare piani o
promesse. Non so quanto a lungo durerà questa faccenda con
Alessia, né se vorrò restare in Russia. Non ci tengo
particolarmente a tornare alla mia vita passata.
Ma è la cosa sbagliata da dire.
Alessia mi lancia un’occhiataccia, serrando le labbra.
Io la guardo di traverso a mia volta, poi sospiro e cerco di
rimediare.
«Puoi restare tutto il tempo che vorrai, Mika. È casa tua.»
A quanto pare neanche questa è la risposta giusta perché
Alessia scuote la testa verso di me.
Le rivolgo un gesto per chiederle “Che c’è?” e lei la scuote
più forte.
Lancio al ragazzino il telecomando della televisione della
sua stanza. «Sentiti libero. O vai a esplorare. Come preferisci.»
Faccio un cenno con una mano.
Una volta usciti, Alessia mi tira lungo il corridoio per
portarmi lontano dalla camera, cominciando subito a
riprendermi. «A Mika serve stabilità. Non gli puoi dire che
può restare quanto vuole. Non è un ospite. Gli devi dire che
starà con te, qui o altrove. Che è tuo e ti prenderai cura di lui.»
Poi punta i piedi e fa fermare entrambi. «Lo farai, vero?»
Sospiro.
Non è una responsabilità che ero pronto a prendermi. Il
ragazzo è finito automaticamente sotto la mia tutela, e non
perché lo abbia voluto io.
«Senti, non volevo diventare un padre. Sai che non sono la
persona adatta. L’ho coinvolto in crimini gravi e gli ho
impedito di ricevere un’adeguata istruzione.»
«Ha solo bisogno di qualcuno che si occupi di lui. Vuole un
legame. Non può diventare una persona decente se non saprà
che tieni a lui.»
Impreco in russo e mi infilo le dita tra i capelli. «Prendo
nota della tua opinione», borbotto. «Ora vieni, mia sposa, è ora
di chiedere la tua dote.»

Alessia

La mia dote.
«Chiamerai mio fratello?» chiedo mentre Vlad mi guida
dentro una camera padronale.
«Da.» Tira fuori un tablet dalla sacca di cuoio che ha
sempre con sé.
«Quale?»
«Junior. Non è lui il capofamiglia?»
Alzo una spalla. «Sì e no. Ufficialmente sì, ma Nico ha il
potere economico.»
«Già, Nico. Gestisce il Bellissimo.»
Ho lo stomaco in subbuglio. Anche solo parlare dei miei
fratelli me li fa sentire più vicini. Come se potessero trovarmi
e salvarmi più facilmente. «Posso parlare con loro?»
«Sì, se farai la brava. Ti riprenderò in video così vedranno
che stai bene. Ma niente scherzi.» Mi punta contro un dito con
aria severa.
Io abbasso lo sguardo sull’abito da sposa. Mi vedranno nel
giorno del mio matrimonio. Mi pizzicano gli occhi. Sposata
con un criminale. Questa parte era prevista, solo che credevo
lo avrebbero scelto loro.
Vlad si appoggia al comò e usa il telefono, poi accende il
tablet.
Un momento più tardi, il dispositivo inizia a squillare.
L’uomo sogghigna facendo scorrere un dito sullo schermo.
«Junior. Ti ricordi di me?»
«Vladimir.» Percepisco l’oscurità nel tono di mio fratello.
La minaccia.
«Ho qualcosa che ti appartiene. Qualcuno, in realtà.»
Junior impreca in italiano. Sullo sfondo sento le voci dei
miei altri fratelli.
«Se succede qualcosa ad Alessia ti strapperò la spina
dorsale. Dov’è?» rimbomba Junior dal tablet.
Accorro al fianco di Vlad per vedere. Mi aspetto quasi che
mi tenga lontano dallo schermo, ma non lo fa, e mi permette di
premermi accanto a lui, riempiendo la telecamera con il mio
viso.
Il volto di Junior riempie lo schermo dall’altra parte, ma
intravedo Nico e Stefano alle sue spalle.
«Alessia», esclama subito mio fratello. «Dimmi dove sei.»
Me lo chiede in italiano, buona idea.
«Volvograd!» grido.
Stupida, stupida, stupida.
Vlad mi allontana immediatamente dal tablet, sollevandolo
per aria e chiudendo la chiamata.
«No», singhiozzo quando spegne il dispositivo. «Aspetta…
ti prego. Mi dispiace.»
All’improvviso non mi importa più di essere ritrovata.
Voglio solo rivedere la mia famiglia. Parlare con loro. Fargli
sapere che sto bene. Ho visto i cerchi scuri sotto gli occhi di
Junior. Le rughe più profonde. In questo momento dovrebbe
essere in luna di miele, e non in ansia per me.
«Ora perderai i tuoi privilegi.» Vlad fa un passo minaccioso
nella mia direzione. Il suo volto è severo. Giuro che è più
arrabbiato ora di quando l’ho pugnalato.
«Lasciami parlare con loro. Ti prego. O almeno lasciameli
vedere. Metti in silenzioso il mio lato, non dirò una parola.»
«Nyet.»
«Per favore. Niente italiano. Niente cose strane… te lo
giuro.» Le lacrime mi scivolano sulle guance. Non riesco a
fermarle. All’improvviso sento una terribile nostalgia di casa.
Sono così sola.
Il tablet squilla di nuovo.
Vlad indica il letto. «Siedi.»
Vado dove dice, guardandolo con occhioni supplicanti da
cucciolo. Le scarpe bianche mi scivolano dai piedi.
Lui risponde alla chiamata. «Forse hai notato l’abito da
sposa di tua sorella. Oggi ci siamo sposati. Sono molto felice
di aver stretto questa alleanza con la mafia americana»,
annuncia, come se stesse facendo un brindisi al nostro
ricevimento. «Puoi essere certo che la tratterò bene fino a
quando mi invierai i fondi per assicurarle lo stile di vita a cui è
abituata.»
Sento uno dei miei fratelli imprecare a mezza voce in
italiano.
«Sei milioni. Un milione per ognuno degli uomini che hai
ucciso, pagati nel corso di ventiquattro mesi. È un quarto di
milione al mese. Ti manderò gli estremi e il numero di conto
corrente per messaggio. La prima scadenza è tra quattro ore.»
Guarda il proprio orologio.
«Mandiamo tutto subito e ci riprendiamo Alessia», ringhia
Junior.
«Nyet. È la mia sposa e resta qui con me. Ventiquattro mesi.
Come sarà trattata dipende da te.»
Un’altra imprecazione in italiano. Sembra la voce di
Stefano.
«Faccela vedere di nuovo.» Questo è Nico. «Dobbiamo
sapere che non le hai fatto del male.»
Vlad mi lancia un’occhiata e poi riporta lo sguardo sullo
schermo. «Parlate in italiano e chiuderò la chiamata. Come
dite voi… capiche?»
«È chiaro», replica Stefano.
Mi raddrizzo a sedere, asciugandomi gli occhi mentre il
mio rapitore si accomoda accanto a me, sollevando lo schermo
davanti a noi.
«Che cosa le hai fatto?» esplode Junior, notando le mie
lacrime.
Io scuoto la testa. «Non mi ha ferita.» Mi ripulisco le ciglia
ancora bagnate. «Sto solo facendo la bambina. È bello
vedervi.»
«Lessie», dice piano Stefano, con tanta compassione nella
voce che ricomincio a piangere.
«Sto bene.» Tiro su con il naso. «Ho solo nostalgia di casa.
Dite alla mamma che sto bene. E mandate il denaro. Andrà al
ragazzo che Junior ha lasciato orfano quando ha sparato a tutti
quei russi.»
Mio fratello si fa immobile.
Vlad riprende il tablet e si alza. «Da. Mandate il denaro.
Avete quattro ore.» Chiude la videochiamata e mi guarda. Il
suo volto è tutto linee severe. È irritato, forse persino
arrabbiato, è difficile capirlo. Anche se con me è stato gentile,
percepisco la minaccia in lui… il potenziale in agguato appena
sotto la superficie.
Afferro il bordo del letto con entrambe le mani. Mi si
riempie lo stomaco di farfalle.
Ora perderai i tuoi privilegi.
Quali? Il privilegio di portare vestiti? Quale sarà la mia
punizione? Mi spoglierà e mi legherà di nuovo al letto? Mi
sculaccerà?
Il ricordo dell’ultima sculacciata che mi ha dato, tenendomi
ferma con il pollice premuto contro il mio ano, mi riempie la
mente.
Mi si contrae il basso ventre e mi sudano i palmi.
Ma… «È difficile restare arrabbiati con te», è tutto quello
che dice mentre si dirige verso l’uscita. «Ci sono degli abiti
nel comò. L’essenziale. Domani possiamo comprare tutto
quello di cui hai bisogno.» Chiude la porta e sento una chiave
girare nella serratura.
Gli corro dietro e scuoto la maniglia. Batto sul legno.
«Vlad!» grido.
Non so perché sono così spaventata. Dovrei essere felice di
non essere legata. Sono solo chiusa dentro una camera da letto,
e per di più una molto lussuosa. Ma non mi piace. La
solitudine mi stringe il petto in una morsa disperata.
«Vlad!» urlo.
«Tranquilla, zaika.» La chiave scivola di nuovo dentro la
serratura e la porta si apre di qualche centimetro. L’uomo si
appoggia allo stipite, il suo viso vicino al mio. «Per stanotte
hai perso la tua libertà. Devi restare nella stanza. Domani
possiamo riprovarci… Se farai la brava, ti lascerò uscire.»
La mia gola sobbalza, ma non riesco a deglutire. «Tornerai
indietro?» dico con voce tremante.
È patetico. Sto davvero supplicando per avere la sua
compagnia?
Sì, è così.
Non voglio restare da sola questa notte. Sono in un paese
straniero, a migliaia di chilometri dalla mia grande e rumorosa
famiglia italiana. Senza nessuna speranza di rivederli a breve.
Ho disperatamente bisogno di interazione umana di
qualsiasi tipo. E in particolare mi sto abituando – se non
addirittura apprezzando – la sua compagnia.
La sua espressione si addolcisce e lui mi studia per un
momento.
Cerco di scacciare la vulnerabilità dal mio viso, ma dubito
di esserci riuscita.
«Questa è la mia stanza, zaika», dice con tono pacato.
«Tornerò.»
Sembrano più parole d’avvertimento che di conforto, ma
sono ugualmente sollevata. Quando chiude la porta, mi siedo
sul letto e mi concedo un bel pianto.

Vlad

Mando Zoya da Alessia con un vassoio di cibo e cammino


avanti e indietro per la villa. Mika si è messo comodo nella sua
camera, e sta già mangiando il cibo sul suo vassoio. Bene.
Zoya si prenderà cura di lui. Me lo sentivo. Nonostante la sua
aria arcigna, sotto il suo aspetto burbero batte un cuore d’oro.
Blyat, mi ha quasi ucciso allontanarmi quando ho sentito
Alessia piangere dietro la porta. Me ne sono andato solo
perché dubitavo che mi volesse intorno. E perché non ho osato
punirla togliendole i vestiti. O colpendo il suo bel culetto.
Perché seriamente, se dovessi rivederla venire mentre la
punisco non riuscirei a trattenermi. La terrei giù e la scoperei
senza pietà.
Ma poi mi ha chiesto se sarei tornato… come se non
volesse che me ne andassi.
Cazzo.
Ora non posso restarle lontano. Lasciarla da sola è
impossibile.
Controllo i miei conti bancari e scopro che i fratelli di
Alessia mi hanno già inviato il denaro. Mi aspettavo che
obbedissero, ma vedere la velocità con cui hanno reagito mi
soddisfa. È bello sapere che tengono a lei quanto dovrebbero e
non corrono rischi con la sua sicurezza.
Mi aggiro per la proprietà, facendo un elenco mentale dei
lavori di aggiornamento e mantenimento che devono essere
fatti, e poi torno in camera.
Il vassoio di cibo è sparito e Alessia si sta muovendo nel
bagno. Sento svuotarsi la vasca e qualche minuto più tardi esce
indossando una delle mie magliette e un paio di mutandine che
le ho fatto comprare da Zoya, insieme a qualche capo
d’abbigliamento base.
In America sarebbe notte, anche se qui è solo mezzogiorno.
Probabilmente si sta preparando per andare a letto.
Mi si ingrossa l’uccello. Alessia profuma di fresco, come di
cetrioli e frutta.
Sembra tanto buona da mangiare.
Per tutto il pomeriggio.
Quando mi vede si blocca, trattenendo il fiato. «Non
consumeremo il matrimonio.»
«Alla fine mi supplicherai di farlo, zaika.»
Lei sbuffa. «Continua a ripetertelo.» Ma intreccia insieme
le dita come se fosse nervosa.
«Vieni», do una pacca sul letto, «devo controllarti la
glicemia.»
Alessia avanza, con passo incerto.
Le analizzo il sangue e mi sembra stia bene. Sono in parte
deluso e in parte sollevato di non doverle sollevare la maglietta
e vedere come sta nel nuovo paio di mutandine mentre le
inietto l’insulina.
La ragazza sbadiglia.
«Sei già pronta per andare a dormire? Dovresti aspettare
fino a quando non calerà il buio per riprogrammare il tuo
orologio interno. O almeno così dicono.»
Lei si avvicina alle finestre e chiude le imposte. «Ecco. Ora
è buio.»
Cerco inutilmente di trattenere un sorriso. C’è qualcosa di
così fresco e semplice in lei. È impertinente ma non viziata.
Non è cattiva. Al di là della crisi dopo la chiamata con i suoi
fratelli, ha sopportato bene il suo rapimento.
È davvero unica.
Vorrei baciarla. Questo pensiero mi sorprende, perché non
sono uno a cui piacciono i baci. Sono più il tipo che prende
una donna da dietro senza chiederle il suo nome. Ma lei ha
queste labbra turgide e carnose. Vorrei assaporarle.
Selvaggiamente.
E lentamente.
E in ogni modo possibile.
Tira via le coperte dal letto e si infila tra le lenzuola.
All’improvviso sono esausto anche io. Negli ultimi giorno
ho dormito solo qualche ora, preferendo non abbassare la
guardia. Ma ora che sono in Russia, circondato dai soldati
della Bratva a guardia del mio regno, posso dormire.
Mi alzo e mi lavo i denti, e poi mi spoglio fino ai boxer.
Alessia mi guarda dal letto, il suo sguardo fisso sulla ferita
che mi ha inflitto. La tocco. Sta guarendo bene. È ancora
sensibile ma non si è infettata.
Mi infilo sotto le coperte insieme a lei e sento il suo respiro
farsi più leggero. Ovviamente mi teme, o forse è eccitata.
Entrambe le cose, probabilmente.
Dopo cinque minuti di silenzio mi dice: «Puoi accarezzarmi
i capelli se lo vuoi».
Sorrido e mi sollevo su un gomito. È girata dall’altra parte,
piegata su un fianco. «Vuoi che ti massaggi di nuovo la testa?»
«Sì?» mi risponde con voce fioca. La sua sembra una
domanda, come se non fosse sicura di ciò che mi sta
chiedendo. Forse sa che non dovrebbe invitarmi a toccarla.
«Chiedimelo per favore. Pozhaluysta.» Le dico la parola in
russo.
«Ti piace sentirmi supplicare, vero?»
Le affondo le dita tra i capelli.
Lei emette un basso gemito in risposta.
«Pozhaluysta», le ordino di nuovo.
«Mmh. Va bene. Pozhaluysta.» La sua pronuncia non è
affatto male.
La premio con carezze regolari. Trovo le suture del suo
cranio e gliele massaggio gentilmente in cerchio, stringendo le
mani nella sua chioma e strattonandogliela dalla radice.
Emette bassi versi di soddisfazione per qualche minuto e
poi, a giudicare dalla lentezza del suo respiro, piomba nel
sonno.
9
Alessia

Mi sveglio alle dieci di sera. Vlad aveva ragione, avrei dovuto


aspettare che si facesse buio per andare a dormire, ma rivedere
i miei fratelli e sentire tutta quella nostalgia di casa mi ha
provocato un enorme sforzo emotivo e non sarei riuscita a
restare sveglia nemmeno volendo.
Lui sta riposando accanto a me. È la prima volta che lo
vedo dormire.
Lo studio. Esamino i tatuaggi da vicino. Sono rozzi e brutti,
ma lui è bellissimo. Il bisogno di toccarlo, di tracciare quei
muscoli ben definiti e tastare i suoi addominali scolpiti è
travolgente.
Voglio fare sesso con lui. Vorrei salirgli sopra a cavalcioni e
scoprire com’è averlo dentro di me.
Ma non posso farglielo sapere. Mi ha tolto tutto il resto…
non gli cederò l’unica cosa che mi ha lasciato.
Mi alzo dal letto e controllo la stanza. Quando sono arrivata
ero troppo annebbiata, ma ora cerco qualsiasi dispositivo
elettronico – il suo telefono, il tablet – che possa usare per
contattare i miei fratelli.
Ovviamente non trovo niente.
È attento, il mio russo. Più furbo di quanto non sembri. Ma
d’altra parte bisogna essere svegli per essere l’uomo dei soldi
dell’intera Bratva russa.
Studio i suoi oggetti, alla ricerca di indizi su di lui, ma non
c’è niente di natura personale. Nessuna foto, niente documenti,
nemmeno un documento d’identità.
«Smettila di ficcanasare, coniglietta.» La voce di Vlad,
arrochita dal sonno, proviene dal letto.
Sobbalzo e mi giro. Ho delle scuse sulla punta della lingua
ma non sono veramente dispiaciuta, quindi lascio perdere.
«Hai fame? Fammi controllare la tua glicemia.»
Inizio a tremare. «È bassa», gli dico.
Lui impreca e salta fuori dal letto, afferrando il kit prima di
raggiungermi.
Ha una vigorosa erezione. Almeno credo sia vigorosa. In
realtà non saprei dirlo. Fisso l’alzabandiera che gli riempie i
boxer.
«Supplicami, zaika, e sarà tuo», mormora mentre si curva
sul mio dito.
«Vai all’inferno, Vladimir.»
Incurva brevemente la bocca, ma non distoglie l’attenzione
dalla siringa.
«È il tuo vero nome?»
«Da.» Mi afferra per la vita per farmi sedere sul suo comò,
poi mi solleva la maglietta che ho usato come pigiama e mi fa
l’iniezione nel ventre.
«Qual è il tuo cognome?»
«Putin.» È chino su di me, così vicino che sento il suo
calore.
«Molto divertente.»
Abbassa lo sguardo sulle mie mutandine. «Queste sono
carine.»
Ho le ginocchia aperte e prima che riesca a chiuderle di
scatto, mi passa una nocca sull’apertura coperta di stoffa.
I miei muscoli interni si contraggono per il piacere, ma io
stringo insieme le cosce, allontanandogli la mano.
Solleva un angolo delle labbra, ma non fa nient’altro. «Di
cosa hai voglia?»
«Sinceramente? Di pancake. Ma sono troppo ricchi di
carboidrati, quindi un’omelette di spinaci e funghi.»
«Chiamo Zoya.»
«Non starà dormendo?»
Lui fa spallucce. «Lavora quando ho bisogno che lo
faccia.»
«Questa è una frase da stronzo.»
«Da. Lo sono. Ormai dovresti saperlo.» Si infila una
maglietta sulla testa e mette un paio di jeans. «Vieni.» Mi
tende una mano.
Non vorrei prenderla, ma non voglio nemmeno rifiutarmi,
non quando sembra mi stia offrendo un’occasione per uscire
da questa stanza.
Lo prendo per mano e Vlad mi guida attraverso la sua
enorme villa fino a una bella cucina. Tutto è nuovo e moderno:
elettrodomestici eleganti in stile europeo e ripiani di granito.
Mi avvicino al frigo e lo apro. C’è una confezione di uova,
che afferro.
Mi irrigidisco sentendo Vlad alle mie spalle, ma lui non
prova a fare niente. Si limita a sporgersi sopra di me per tirare
fuori burro, formaggio e latte, insieme a qualche tipo di
insalata fresca, di cui non riconosco le foglie.
«Un’omelette?»
«Sì, per favore.»
Nonostante abbia detto che avrebbe chiamato Zoya, prende
una padella e prepara rapidamente due perfette omelette al
formaggio con la verdura.
Non appena me ne serve una – con tanto di cipollotti verdi
tagliati sottili in cima – mi siedo su uno sgabello e la divoro.
«Avevi davvero fame», nota, sedendosi al mio fianco e
affondando la forchetta nel suo cibo. «Hai mangiato qualcosa
prima di andare a letto?»
«Non molto», ammetto. Ero troppo stressata per mangiare.
Porto il mio piatto al lavandino, lo sciacquo e lo infilo nella
lavastoviglie. «Da quanto tempo vivi qui?»
«Ho comprato questo posto sei anni fa, ma negli ultimi
tredici mesi sono stato in America.»
«Sì, ovviamente. Ma perché?»
«Perché cosa?»
«Perché avresti lasciato questo splendido posto per vivere a
Chicago? Voglio dire, è ovvio che qui te la cavi
egregiamente.»
Lui corruga la fronte e la sua espressione si fa tesa. «Mi è
stato ordinato di andarmene. Da Victor, il Papa.»
«Papà?»
«È così che chiamiamo il capo della Bratva.» Trascina la
forchetta sul piatto, radunando ciò che resta delle sue uova.
C’è sotto qualcosa. L’energia nella stanza è cambiata, da
rilassata che era si è fatta nervosa.
«È stata una punizione?» gli chiedo.
Mi lancia uno sguardo di sottecchi e poi scrolla le spalle.
«In un certo senso.» Si alza e si avvicina al lavello. «Troppe
domande, printsessa.»
«Cos’altro posso fare? Sono completamente sveglia alle
dieci di sera e ci sei solo tu a farmi compagnia.»
Il suo sguardo si abbassa sui miei seni, nudi sotto la
maglietta sottile, e la sua espressione si fa feroce. «Posso
pensare a diverse cose che potremmo fare.»
«Ci scommetto.» Faccio del mio meglio per sembrare
disgustata, ma la verità è che il mio cuore sta battendo
all’impazzata. I miei capezzoli sono diventati duri e la mia fica
palpita.
«Presto, printsessa…»
«Lo so, ti supplicherò. Continua a sognare, russo.» Vado
verso la porta. «Vuoi farmi fare un giro?» domando, con una
certa cadenza nella voce. Un invito.
Lo sguardo di Vlad si fa cupo, i suoi occhi fissi sulle mie
gambe nude. Avrei dovuto indossare più vestiti prima di uscire
dalla camera. «Continua a flirtare, zaika, e per te non finirà
bene.»
Spingo un fianco in avanti. «E questo che cosa vorrebbe
dire?»
Lui si aggiusta l’erezione e a me non serve più una risposta.
Il rigonfiamento nei suoi jeans è impressionante, per non dire
altro. «Il mio autocontrollo si sta esaurendo.»
Le mie guance si fanno bollenti. Le mie mutandine si
bagnano.
Vlad mi si avvicina come un leone che segue la sua preda.
Io faccio un sorrisetto e scatto a correre.
«Blyat», impreca lui. Mi raggiunge in cinque passi,
stringendomi un braccio attorno alla vita e sollevandomi da
terra.
«Vlad», ridacchio, senza fiato.
«Vuoi davvero essere punita», mi ringhia all’orecchio. Il
suo respiro è bollente contro il mio collo mentre mi trascina
verso la camera da letto.
«No.» Faccio una risatina, contorcendomi tra le sue braccia.
È uno di quei no che significa senz’altro sì.
Non vedo l’ora.
E allo stesso tempo so che è una pessima idea. Il gioco
sbagliato da fare. Non dovrei invitarlo a toccarmi e dargli
l’impressione sbagliata. Non quando ho intenzione di
rifiutarmi di fare sesso con lui.
Ma è come se al mio corpo non importasse. La mia carne
brucia e brama il suo tocco dominante.
E lui me lo concede.
Mi porta nella sua stanza e usa una delle sue cravatte per
legarmi i polsi alla testata del letto.
«No, aspetta», ansimo, agitando le gambe su e giù sul suo
copriletto costoso.
«Troppo tardi, printsessa. Sei scappata e ora ti devo
legare.» I suoi occhi solitamente azzurro chiaro, luccicano cupi
mentre fissa desideroso il mio corpo. Si lascia cadere sulle
mani e sulle ginocchia sopra di me e io riprendo fiato
spingendo in su i fianchi.
Mi appoggia i palmi su entrambe le cosce e mi separa le
ginocchia. Si abbassa tra le mie gambe, mi mordicchia al
centro, facendo scivolare i denti sul tassello di seta delle
mutandine che ho trovato nel cassetto, insieme ad altri abiti
della mia taglia.
«Scegli la tua punizione.» La sua voce è roca e profonda.
«La mia mano sul tuo culo o la mia bocca sulla tua fica.»
«Bocca.» Riesco a malapena a pronunciare la parola. È più
uno squittio.
In realtà vorrei entrambi. Tutto. L’intero affare. Ma la bocca
sembra assolutamente deliziosa.
Sono premiata da un ghigno leonino. Mi abbassa le
mutandine sulle gambe per gettarsele alle spalle. Poi scivola
tra le mie cosce con chiaro intento.
Rabbrividisco prima ancora che mi tocchi, e quando mi
lecca lungo la mia apertura, alzo di scatto i fianchi dal
materasso. Mi lecca di nuovo. Il suono strozzato che sento
deve provenire da me.
Sono così dannatamente sensibile… come se tutti i miei
nervi là sotto fossero accesi. Potrebbe respirarci contro, e
probabilmente verrei.
Sono già stata leccata in passato, ma non è mai stato così.
Le precedenti sono state appena qualche leccata per
prepararmi. Questo? È come essere colpita da un taser di
piacere. È troppo ma non abbastanza. È estasi mescolata al
dolore del bisogno.
Soprattutto quando Vlad inizia a muovere la lingua in
cerchio sul mio clitoride e a succhiarlo.
Affonda un dito dentro di me e io mi contorco, pronta a
esplodere.
Poi si ritrae, rimuovendo la bocca e sollevando la mia
maglietta per esporre i miei seni. Credo che voglia succhiarmi
un capezzolo, ma invece allunga una mano per sferrarmi uno
schiaffo su un lato del petto.
Io emetto un piagnucolio allarmato.
Mi colpisce di nuovo.
Gemo.
Mi pizzica il capezzolo, strofinando le dita lubrificate su per
la mia apertura e poi di nuovo giù. Io mi agito sotto di lui in
preda al piacere, gemendo, mugolando e ansimando.
Mi schiaffeggia il seno. Poi si solleva per succhiarmi un
capezzolo, stuzzicando il bocciolo rigido con i denti. E infine
torna a stimolarmi il clitoride con la lingua, accarezzandomi le
pareti interne con due dita.
Soffoco. Grido. Vengo.
Durante tutto il mio orgasmo Vlad non si ferma mai.
Continua a toccarmi e a succhiarmi fino a quando non ho
finito di strofinarmi sul suo volto, stringendogli le dita con le
contrazioni del mio piacere.
Non appena ho concluso, lui si alza sulle ginocchia e si
sbottona i pantaloni.
«No», scuoto la testa.
So che sono una stronza, ma non voglio cedere. Mi ha
strappata alla mia famiglia. Non merita di consumare questo
matrimonio infelice.
Ma lui sogghigna, tirando fuori il proprio sesso. Lo guardo,
ansimando in brevi respiri spaventati mentre lui si stringe il
pene e si accarezza da solo.
Oh.
Non ha intenzione di stuprarmi.
Il mio sollievo si trasforma in eccitazione man mano che
guardo il movimento delle sue dita, la punta arrossata del suo
uccello gonfia e lucida di umori.
Non ci vuole molto perché venga, coprendo il mio ventre di
schizzi bollenti di seme.
Mi affloscio lasciando cadere la testa sul cuscino, travolta
dalla sensazione di rilassamento dell’orgasmo.
Vlad sposta le mani e china il capo, baciandomi il ventre
palpitante. È un tocco dolce e lento, e mi scatena un altro mini
orgasmo. «Presto, Alessia», mi ricorda mentre io trattengo il
fiato, cercando di nasconderlo.
Non voglio ammettere che ha ragione.
Ma per orgasmi come questo probabilmente lo supplicherò
davvero.
10
Vlad

Alessia dorme per qualche altra ora. Io rimango a lavorare in


camera da letto per un po’, ma alla fine vado nel mio ufficio.
Non chiudo a chiave. Ho uomini di guardia a ogni porta,
dentro e fuori dall’edificio. Alessia non può andare da nessuna
parte. E io non voglio vederla sconvolta di nuovo.
Scaccio la vena di senso di colpa su cui ho montato tutta
quest’operazione. È iniziata come una maniera per punire i
Tacone e riempirmi le tasche. Ma se devo essere sincero con
me stesso, devo ammettere che si è trasformata in
qualcos’altro.
Se mi avessero offerto sei milioni per restituire subito
Alessia avrei detto comunque di no. Ecco quanto sono
bastardo. Ma ora non la voglio più solo per farla pagare alla
mafia americana, la desidero nella mia casa e nel mio letto.
Mi siedo alla scrivania e controllo la corrispondenza, c’è
una pila di lettere da Sabina. Le getto nella spazzatura senza
leggerle.
Stronza subdola.
Apro il mio laptop e inizio a spostare il denaro su vari shell
account. Divido il pagamento dei Tacone in parti sempre più
piccole fino a quando non sparisce nella moltitudine di attività
che ho avviato.
Poi mi ricordo di aver promesso ad Alessia di aprire un
conto per Mika e mi occupo di quello. Lo invito a entrare,
quando il ragazzo appare sulla porta, strofinandosi gli occhi.
«Mika, vieni qui.» Gli faccio cenno di avvicinarsi. «Voglio
mostrarti una cosa.» Trascino il cursore su una lunga lista di
conti e gli mostro il totale di novantacinquemila dollari in
fondo. «Sai cos’è questo?»
Lui scuote la testa.
«Sono i tuoi soldi.»
Si blocca.
Indico verso la mia camera da letto. «Denaro dalla ragazza,
per te.»
Mika si irrigidisce e fa un passo indietro. «Non mi serve»,
dice rapidamente, e io mi rendo conto che crede stia cercando
di assicurarmi la sua fedeltà. Di comprare la sua complicità. E
non vuole saperne niente. «Forse dovresti solo lasciarla
andare.»
Sono assalito da una nuova ondata di senso di colpa, ma lo
ignoro. Mi ha fatto stare bene creare il suo conto e mettere da
parte il denaro per assicurarmi che sia accudito anche se
dovesse succedermi qualcosa. Voglio fargli capire che è una
buona cosa, nata dalla compassione di Alessia. «Ha insistito
lei», gli dico. «Perché suo fratello ha ucciso Aleksi, il tuo
tutore.»
«Aleksi non era il mio tutore», ringhia il ragazzo.
Mi giro e gli rivolgo tutta la mia attenzione. Mika è turbato.
«No?»
«Era lo stronzo che ha fatto scappare via mia madre.»
Una pessima sensazione mi si agita nel ventre. Quindi
incolpa l’uomo dell’abbandono di sua madre. Potrebbe avere
ragione oppure no. Sua madre potrebbe essere stata una
puttana a cui non importava nulla del figlio. Per lo meno io
l’ho interpretata così. Ma ho una visione cinica delle madri, e
delle donne in generale.
Ma probabilmente Aleksi era una carogna, sia con Mika
che con sua madre. Quel bastardo non mi è mai piaciuto.
«Aleksi era un coglione succhiacazzi, hai ragione»,
concordo pacato. «Ma Alessia si sente responsabile del fatto
che sei rimasto da solo dopo che la tua cellula è stata distrutta.
Ha voluto che usassi i suoi soldi per provvedere a te. Quindi
eccoli qui. Se dovesse succedermi qualcosa, sarai l’unica
persona che può accedere a questi conti.»
Mi scruta con aria circospetta, come se non riuscisse del
tutto a crederci. «Quelli sono i miei soldi?» chiede.
«Da.»
«Posso averli subito?»
«No. A meno che non ti servano. Hai bisogno di qualcosa,
Mika?»
Abbassa le spalle. «No.»
Lo studio, cercando di capire cosa gli stia passando per la
testa. «Ti darò una paghetta settimanale, così avrai del denaro
da spendere», gli dico, e lui si illumina. «Ma solo se ti
impegnerai nei tuoi studi.»
«Quali studi?»
«Quelli che inizierai con Alessia.» Mi è venuto in mente
proprio ora, ma mi sembra un ottimo piano. Alessia è
un’insegnante. Vuole bene a Mika. E ha bisogno di qualcosa
da fare, di uno scopo. Le affiderò l’educazione del ragazzo, e
lei si abituerà alla sua vita qui.
Lo faranno entrambi.
Qualcosa di inconsueto ma non sgradevole si agita dentro di
me a questo pensiero.
Il desiderio di farlo succedere, di creare un ambiente in cui
entrambi siano soddisfatti o persino felici, si fa strada tra i miei
piani.

Alessia

Mi sveglio prima dell’alba. Non stavo dormendo davvero,


solo sonnecchiando. Ero in quello stato inquieto e pieno di
sogni in cui non sei pienamente cosciente e fai fatica a capire
se stai sognando o sei sveglio.
Per esempio, prima ero sdraiata a letto con Vlad che mi
massaggiava la testa, e poi eravamo di nuovo in cucina a fare
colazione. Solo che questa volta mi aveva sollevata sul
bancone tenendomi il bacino mentre mi leccava fino a farmi
gridare. E poi siamo tornati in camera. I miei fratelli erano
sullo schermo ma lui non voleva lasciarmeli vedere. Gli ho
dato un calcio, ma è stato inutile perché ero a piedi nudi. Vlad
lo ha trovato divertente, mi ha presa in braccio come una
bambina e mi ha sculacciata.
La sculacciata mi ha eccitata e mi sono agitata su di lui, ma
Vlad non mi ha fatta venire perché mi sono rifiutata di
supplicarlo.
Mi sveglio arrapata e tanto affamata da essere rabbiosa. Mi
sembra che siano passati giorni da quando ho mangiato
quell’omelette. Mi alzo dal letto con gambe tremanti. A quanto
pare l’orgasmo e sognare Vlad mi ha fatto bruciare molte
calorie. Mi farei una doccia, ma non credo che ci riuscirei
senza aver prima mangiato qualcosa. Devo davvero tenere del
cibo nel comodino per le emergenze.
Mi infilo un paio di jeans che trovo nel comò ed esco in
direzione della cucina. Almeno credo che sia la direzione
giusta. È difficile a dirsi… è notte ed è tutto buio.
Giro un angolo e incappo in Vlad e Mika, che stanno
attraversando il corridoio diretti verso di me.
«Alessia?» L’uomo mi raggiunge rapidamente. «Hai fame,
eh? Hai controllato la tua glicemia?»
Io scuoto la testa, e il corridoio mi gira intorno. «Fame»,
gracchio.
In un lampo, Vlad mi solleva tra le braccia e mi porta in
cucina. «Prendi del succo di frutta dal frigo», ordina a Mika,
che è rimasto con noi.
Qualche momento più tardi, mi viene posato un bicchiere di
succo alle labbra e io bevo con gratitudine.
«Vai a prendere il kit medico in camera da letto», dice poi, e
passa al russo, parlando velocemente, come se spiegargli dove
si trova il kit in inglese fosse troppo difficile.
Mika corre via e torna altrettanto rapidamente. Vlad mi
sistema su uno sgabello, mi controlla la glicemia e mi dà una
dose di insulina. Mi scruta negli occhi, le sopracciglia
corrugate.
«Troppo sonno e non abbastanza cibo», dico debolmente. Il
jetlag ha scombinato i miei ritmi. Mi ha scombussolato la
glicemia. O forse mi sono dimenticata un’iniezione. Non sono
sicura. È per evitare situazioni come questa che la mia
famiglia vorrebbe che avessi una pompa per l’insulina, un’idea
che detesto. Mi sono impegnata molto per non avere mai
incidenti, quindi sono furiosa con me stessa. Ma d’altra parte
non sono mai stata rapita e portata in un paese straniero contro
la mia volontà.
«Ho sbagliato», dice irritato Vlad, strofinandosi la fronte.
«Avrei dovuto controllare più spesso.»
Ovviamente non è una sua responsabilità. È solo colpa mia,
ma comunque gli do spago. «Puoi rimediare liberandomi.»
Vlad prova a lasciarmi da sola sullo sgabello, e quando non
cado, grida qualcosa in russo e va verso il frigo. Zoya arriva
subito e senza guardare nessuno tira fuori una padella e
accende un fornello. Lui le porge una ciotola di metallo che ha
tirato fuori dal frigo.
Il burro sfrigola e poi il profumo dolce dei pancake riempie
la cucina.
La mia colazione preferita, ma una che non mi concedo
mai. Tiro fuori un sorriso. «Non posso proprio mangiare i
pancake.»
«Questi sono speciali, altamente proteici. Buoni per i
diabetici.»
«Veramente? Wow. Grazie. Ne sono molto felice.»
Lui annuisce ma ha ancora le sopracciglia corrucciate.
«Rilassati. Sto meglio. Non sto ancora per morire.»
Non quest’anno, in ogni caso.
Spero.
Qualche minuto più tardi, un piatto di pancake e bacon mi
scivola davanti e io quasi piango di gioia. «Grazie. Grazie.
Grazie. Come si dice grazie in russo?»
«Spasibo.»
Il suono profondo della sua voce non dovrebbe piacermi
così tanto.
«Spasibo», ripeto, guardando Zoya.
La donna gira la testa nella mia direzione e la reclina, ma
non incontra il mio sguardo. Non è la più piacevole dei
domestici, ma a caval donato non si guarda in bocca. Dovrò
diventare sua amica il più in fretta possibile se voglio
andarmene da questo continente.
Mika e Vlad si riempiono il piatto di pancake e bacon e tutti
e tre divoriamo il cibo in silenzio per un momento.
«Quando avrò la mia Rosetta Stone?»
Vlad ricurva leggermente le labbra. Come sempre pare
divertito dalle mie richieste, piuttosto che infastidito.
Immagino di essere fortunata che il mio rapitore sembri
interessato a me. La situazione potrebbe essere un centinaio di
volte peggiore. Un migliaio, probabilmente.
«Quando la vedrai l’avrai.»
«Ho anche bisogno di Spotify. O Apple music. Qualcosa da
ascoltare.» Ora lo sto mettendo alla prova. Quello che mi serve
davvero è l’accesso a internet.
Ovviamente Vlad capisce cosa ho in mente.
«Bel tentativo. Dammi una playlist e io te la scaricherò.»
«I miei fratelli ti hanno mandato i soldi?»
«Da.»
«Voglio andare a fare shopping. Non dovresti assicurarmi lo
stesso stile di vita a cui sono abituata?»
Di nuovo, l’accenno di un sorriso sul suo volto. «Potrai
andare non appena ti sarai meritata un’uscita.»
Mi sento scaldare tra le gambe per l’eccitazione al pensiero
di come potrei guadagnarmela.
Probabilmente fare sesso con lui potrebbe aiutare.
Peccato che non abbia intenzione di farlo.
Anche se dopo la notte scorsa, non sono certa di quanto a
lungo riuscirò a resistere senza cedere.
«Quando inizierò i miei studi?» chiede Mika.
Rubo un pezzo di bacon dal piatto di Vlad e me lo butto in
bocca. «Quali studi?»
«Ho pensato che potresti fargli lezione», spiega l’uomo,
versando il resto del suo bacon nel mio piatto vuoto.
«E la scuola?» domando.
«Niente scuola», ringhia Mika in una perfetta imitazione di
Vlad.
Io roteo gli occhi. «Perché no? Non vuoi stare insieme a
ragazzi della tua età?»
Lui scuote energeticamente la testa. «Voglio che mi insegni
tu.»
«Lo farai?» Vlad affonda la forchetta nella pila di pancake.
Sto già pensando a cosa servirebbe per farlo cominciare,
come una valutazione in ogni argomento, e cose simili. «Ma
ovviamente dovrei farlo in inglese. Avrebbe bisogno di
qualcun altro che lo aiuti con la scrittura e la lettura in russo.»
«Non mi serve il russo.»
«Non sarò in grado di valutarlo», dico a Vlad.
«Lo farò io e se dovesse servirgli, chiamerò un altro
insegnante», si offre lui.
Mika si illumina.
«Dovrò poter scaricare un programma di studi.»
«Ti farò avere quello che ti serve», mi promette Vlad.
«Oggi?» gli chiedo.
«Iniziamo oggi?» Mika sembra sinceramente entusiasta alla
prospettiva. Mi viene in mente che ha avuto troppo poca
interazione o supervisione adulta. È pronto ad assorbire tutto,
persino l’insegnamento di materie scolastiche.
«Sì», accetto, anche se non so ancora cosa devo fare. Al
ragazzo serve una routine. E io gliela fornirò, a partire da oggi.
Guardo l’orologio sul muro. «Ci vedremo dalle nove alle
dodici, dal lunedì al venerdì. Puoi avere i weekend liberi per
giocare.»
Mika sbuffa alla parola giocare.
«Dovrai imparare a farlo. Lo so che sei stato costretto a
crescere più in fretta di quanto avresti dovuto, ma da qualche
parte là dentro c’è ancora un ragazzino che vuole divertirsi.»
Gli scompiglio i capelli e lui si china per allontanarsi. «Ora vai
a fare una doccia e a pettinarti. Ci vediamo…» Esito.
«Potete studiare sul tavolo da pranzo.» Vlad fa un cenno
verso la stanza vicina con lo splendido tavolone in legno di
ciliegio.
«Ci vediamo lì alle nove», dico con fermezza a Mika, nella
mia migliore voce da insegnante.
Lui scende dallo sgabello, lasciando il piatto sul ripiano.
«Ah-ah», lo riprendo seccamente. «Porta quel piatto alla
lavastoviglie e di’ spasibo a Zoya.»
Obbedisce e la donna sembra compiaciuta, chinando
brevemente il capo verso di me.
Il telefono di Vlad squilla. «Scusami, zaika, ma ho delle
questioni da sbrigare. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, Zoya ti
aiuterà.»
«Certo, perché parlo russo così bene», dico sarcastica alle
sue spalle mentre esce dalla stanza parlando nella sua lingua
con tono laconico al telefono.

Vlad

Mi dedico a Victor tutta la mattina, accettando le sue


chiamate, occupandomi del suo denaro, unendomi a
videoconferenze, ma non faccio altro che pensare al modo in
cui Alessia è venuta la notte scorsa.
Al sapore della sua fica.
La sensazione della sua pelle morbida sotto le mie mani.
Vorrei spalancare di nuovo le sue cosce e farla gridare.
Voglio metterla nei guai, a culo nudo e rosso per i miei colpi,
con le mani legate.
La voglio senza fiato, bollente e pronta.
Ma non insisterò. Il tempo è dalla mia parte. Alessia è mia
prigioniera, qui per due anni, forse di più. So che la eccito, il
suo corpo reagisce a me. Quindi ora è solo questione di
conquistare la sua mente, il suo cuore. Piegare la sua volontà.
Ed è esattamente dove la voglio.
In casa mia.
Nel mio letto.
Imparerò cosa le piace e glielo darò. Alla fine mi lascerà
entrare. È già così vulnerabile, indifesa. È gentile e
caritatevole, si dona facilmente. Una creatura tanto perfetta,
dentro e fuori.
Mi fa quasi rivalutare il modo in cui vedo le donne.
Quasi.
Nel pomeriggio metto finalmente giù il telefono con Victor
e lascio l’ufficio per andare a cercarla. Mi assicurerò che abbia
pranzato e vedrò come è andata con Mika.
Poi la sento strillare dall’ingresso e comincio a correre.
Blyat, no.
La porta è spalancata e uno dei miei soldati la sta
trascinando dentro. Li raggiungo rapidamente. Alessia è rossa
in viso per la rabbia, le lampeggiano gli occhi. Sta pestando un
piede al mio soldato, affondandogli un gomito nelle costole.
«Levale le mani di dosso, cazzo», esclamo in russo con la
minaccia di un migliaio di morti. C’è anche un altro soldato
pronto a intervenire, ma ha troppa paura di fare la mossa
sbagliata.
L’uomo si paralizza e la lascia andare lentamente. «Ha detto
di impedirle di…» Lei cerca di superarlo di nuovo, per uscire,
ma lui le blocca la strada con il suo corpo.
«Sì, di impedirle di uscire. Non ho detto che potevate
toccarla, cazzo. È la mia sposa. Non osate disonorare mia
moglie, hai capito? Deve essere trattata con il massimo
rispetto. Se vi ordino di limitare le sue azioni, farete meglio a
capire come farlo continuando a trattarla come una regina.
Sono stato chiaro?»
«Sì, Vladimir.» Lui e l’altro soldato mi rispondono
rapidamente, chinando la testa.
«Alessia, vieni.» Le faccio segno con un dito. Non ho
intenzione di strattonarla dopo che è appena stata aggredita.
Lei mi guarda di traverso. «Voglio andare a fare una
passeggiata.» Porta un paio di jeans che le ho fatto comprare
da Zoya e una stretta maglietta da donna, quel genere che
rimane aderente sul seno e dà un’aria deliziosa a chi le
indossa. Ai piedi ha le scarpe da ginnastica.
«Se vuoi andare a fare un giro, basta chiedermelo. Ti
accompagnerò io.»
Lei solleva il mento. «E se volessi andare da sola?»
«Nyet.» Scuoto la testa. «Non ti è permesso. Se vuoi
lasciare questa casa, dovrai uscire con me. Sta a te scegliere.»
Lei incrocia le braccia arricciando la bocca, chiaramente
divisa tra il desiderio di uscire e quello di non cedere ai miei
ordini. «Non ti supplicherò.»
Nascondo un sorriso. «Non ho detto che avresti dovuto
supplicarmi. Solo chiedermelo. Andiamo, vuoi uscire? Ti
porto fuori.» Oltrepasso i miei soldati, che si fanno da parte
per me, e le porgo una mano.
Alessia la fissa. «Non ti terrò nemmeno per mano.»
Mi scappa una risata che sorprende i miei uomini. Che
sorprende me.
Questa volta la ragazza supera la soglia senza problemi, e
un sorriso riluttante le appare sulle labbra. Procediamo fianco
a fianco, e io la guido verso un sentiero tra gli alberi.
«Mi piaci, Alessia», ammetto.
«Lo so», dice lei, facendomi ridacchiare di nuovo. «Ma non
abbastanza da lasciarmi andare?»
Non rispondo perché in realtà è il contrario. Mi piace
troppo per lasciarla andare. Ma dirglielo non mi aiuterebbe.
E poi la libererò. Lo so. Credo che lo sappia anche lei.
Altrimenti, penso che sarebbe molto più spaventata di quanto
non fosse.
La porto a fare un giro del lago, perché immagino che se ha
tutta questa voglia di aria fresca, una breve passeggiata non
sarebbe abbastanza. È una camminata di quaranta minuti, e
sono sorpreso di scoprirla spesso con il fiato corto mentre si
ferma per riposare.
«È per il diabete?» Non sapevo che causasse affaticamento
e respiro corto. «Hai bisogno di mangiare qualcosa?» Dentro
di me mi maledico per non avere portato del cibo. «Torniamo
indietro.»
«No, sto bene», ansima lei, con le mani sui fianchi come se
fosse esausta. «Qua fuori è splendido. Mi sto divertendo.»
«L’esercizio fisico ha effetto sulla glicemia?»
«Sono a posto, davvero. Continuiamo.»
Sono diviso tra il desiderio di compiacerla e la
preoccupazione per la sua salute. Mi arrendo, rallentando il
passo e facendo delle pause. Quando arriviamo al lago, la gioia
sul suo viso mi fa capire che ne è valsa la pena.
«Vladimir… È bellissimo! Non sapevo che avessi un lago.
Wow.»
«Ti piace l’acqua?»
«A chi non piace? È incredibile. Non posso credere che tu
non abbia costruito la tua casa più vicino.»
Vorrei toccare il suo bel viso, accarezzarlo, ma c’è una
distanza tra di noi, ora che non è più legata. Ora che non
mangia più dalle mie mani.
La sto corteggiando, non costringendo.
«L’ho costruita dove mi hanno consigliato gli architetti, per
via delle possibili inondazioni. Ma sì, è bellissimo. È il motivo
per cui ho comprato questa terra.»
«Vieni qui a nuotare?»
«A volte. È freddo.»
Alessia ridacchia. «Ci scommetto.» Trova una pietra vicino
alla riva e ci si siede sopra, rivolta verso l’acqua. «Potrei
restare qui tutto il giorno.»
Mi accomodo accanto a lei.
È buffo. Ho fatto costruire questa grande casa vicino al
lago, ma non ho mai trascorso del tempo qua fuori per
godermelo. Non l’ho mai fatto prima d’ora.
Respiro la profumata aria estiva, ascoltando i versi degli
uccelli e degli insetti che si chiamano a vicenda.
Vorrei prendere Alessia in braccio e inalare anche il suo
odore, ma tengo le mie mani a posto.
«Che cos’hai detto alla guardia che mi ha fermata?»
interrompe il silenzio pacifico.
«Di non toccarti mai più.»
Incurva le labbra carnose.
«E quando ti ho pugnalato… cos’hai detto a Mika?»
«Gli ho fatto una ramanzina.»
«Me lo ricordo. A che proposito? Per avermi lasciato
prendere un coltello o perché aveva una pistola?»
«Tu cosa credi?» le chiedo.
Si gira e mi guarda. I suoi occhi marroni sono dorati alla
luce del sole. Non è truccata, e sembra fresca e bella come una
modella.
«Conosci già la risposta.»
«Perché aveva una pistola?»
«Perché la stava puntando contro di te.» Sono assalito dal
ricordo. In quel momento non ho sentito il dolore della
pugnalata. Tutto ciò che ho provato è stato il terrore che Mika
sparasse, di proposito o per sbaglio. Nessun bambino dovrebbe
impugnare una pistola… non so nemmeno dove ne abbia presa
una. «Cristo», borbotto, affondandomi le dita tra i capelli.
«Avrebbe potuto ucciderti.»
Alessia si appoggia a me, premendo una spalla alla mia.
«Anche tu mi piaci, Vlad.»
Rimango scioccato, ma poi la gioia mi sboccia nel petto.
«Quando non fai lo stronzo.»
Mi sfugge un’altra risata inaspettata.
Cristo, non mi ricordo l’ultima volta che ho riso. Come
Mika, sono cresciuto troppo in fretta. Non so se e quando i
giochi e i divertimenti sono mai stati parte della mia
esperienza.
E tuttavia eccomi qui, sotto il vasto cielo blu insieme alla
ragazza più bella e di compagnia del pianeta.
A ridere.
Non mi sembra reale.
11
Alessia

«Alessia.»
Non credo che Mika abbia mai usato il mio nome prima
d’ora. Sono felice che si stia aprendo. Abbiamo fatto la nostra
sessione di studio mattutina e poi è sparito per un po’. Ora è
tornato nel salotto e mi sta facendo segno con un dito. «Vuoi
vedere una cosa?»
Non è ovvio? Mi sto annoiando da morire. Vlad ha lavorato
tutto il giorno nel suo ufficio. Mi alzo di scatto dalla poltrona
in cui sono accomodata. «Sì. Da.» Ho iniziato le mie lezioni di
russo con la mia Rosetta Stone, ma vorrei potermi scaricare la
lingua nella testa come facevano in Matrix.
Seguo il ragazzo fino all’ala posteriore del palazzo. In
quelli che sembrano gli alloggi dei domestici. Il dominio di
Zoya.
Mika mi porta nella lavanderia e punta un dito. Lì,
saltellante dentro e fuori da un cesto di vimini pieno di
asciugamani c’è una cucciolata di gattini bianchi e neri. I loro
acuti miagolii mi fanno ridere.
«Oh», esclamo, chinandomi per accarezzare una minuscola
testa con l’indice. «Sono così teneri…» Ne sollevo uno e me
lo porto al petto. Quello inizia subito a fare le fusa. «La loro
mamma è il gatto il Vlad?»
«Non lo so.»
Zoya entra, la sua espressione severa come sempre. Rivolge
alcune parole severe a Mika.
«Dice che deve liberarsi di loro prima che Vlad lo venga a
sapere. Credo che la mamma sia sua.»
Io afferro il cesto con aria protettiva. «Non può liberarsi di
loro.» Lo sollevo. «Chiedile se posso tenerli.»
Il ragazzo solleva di scatto le sopracciglia. «Tutti?»
In realtà non li vorrei proprio tutti, ma in questi giorni
infastidire Vlad è il mio unico diversivo. Credo che scatenare
cinque micetti indisciplinati nella sua camera da letto sarebbe
un modo perfetto per farlo impazzire. «Da», replico.
Sono assolutamente disposta a scontrarmi con lui sulla
questione, anche se Zoya non vuole.
Mika dice qualcosa alla donna che mi guarda dubbiosa.
Io sollevo il mento. «I gattini verranno nella mia stanza»,
annuncio. «Vlad se ne farà una ragione.» Forse potrei usare la
situazione come moneta di scambio per avere una stanza tutta
per me. Dio solo sa che dividere un letto con Vlad è una
faccenda rischiosa. Se facessimo un bis della performance
dell’altra notte, con la sua lingua tra le mie gambe, non
riuscirei a resistergli.
«Chiederesti a Zoya di portare una lettiera nella mia
stanza?» chiedo a Mika mentre porto via i gattini.
Lascio i due nella lavanderia a discutere della situazione.
In camera da letto, chiudo la porta, accendo la televisione e
lascio che i cuccioli esplorino. Sono le creature più adorabili
che abbia mai visto e mi illuminano la giornata. Se anche non
avessi voluto dar fastidio a Vlad, averli nella stanza è una
gioia.
Zoya sistema la lettiera nel bagno in camera. Non ho idea di
cosa stia dicendo, ma si torce le mani con un’aria di
disapprovazione. È molto preoccupata dalla reazione del suo
padrone.
«Non temere», le dico nella mia lingua. «A Vlad ci penso
io.»
Capisce il nome e china il capo, continuando a parlare. Alla
fine se ne va.
Mi siedo sul letto e guardo la televisione, tenendo in
grembo vari gattini. Quando Vlad entra, ne ho uno su una
spalla, uno sul petto e due in grembo. Il quinto è accoccolato
sul suo cuscino.
L’uomo si ferma di colpo. «Ma cosa…?»
Gli faccio un gran sorriso. «Hai una cucciolata! La terrò
tutta.»
Il micetto sulla mia spalla sta giocando con i miei capelli.
Io rido e lo accarezzo.
Mi aspetto che Vlad sia irritato. Invece la sua espressione si
addolcisce e per un momento mi guarda e basta. «Adorabile»,
dice, sorprendendomi.
«Lo è davvero.»
Lui scuote la testa, piegando le labbra in un vago sorriso.
«Non i gatti. Tu. Tu con loro. Davvero adorabile.»
Sono presa alla sprovvista. «Quindi posso tenerla?»
«Da, printsessa. Qualsiasi cosa ti renda felice.»
«Posso avere anche un cagnolino?» insisto.
Vlad si limita a sorridere. «Ora mi stai solo provocando.
Vuoi davvero un cane?»
«Magari non prima che i gattini siano cresciuti un po’»,
ammetto.
Il suo sorriso si fa più affettuoso. Le linee sul suo viso
meno scavate. Sembra un uomo diverso così… più giovane e
bello. Sembra quasi un ragazzino.
Sollevo il gatto sul mio petto e glielo tendo. «Prendine uno.
Sono dolcissimi.»
«Okay.» È davvero ben disposto. Solleva l’animale e se lo
appoggia sul petto, accarezzandolo sotto il mento per fargli
fare le fusa.
È ridicolo ma mi innamoro un po’.
Non vorrei.
Di certo non se lo merita.
Ma non posso evitarlo.
È così maledettamente piacevole. E il fatto che sia uno
stronzo che mi sta trattenendo contro la mia volontà, un
criminale capace di grande violenza, dovrebbe essere un
disincentivo. Ma non lo è. Forse perché discendo da una lunga
stirpe di uomini come lui. E se ci innamoriamo di uomini che
somigliano a nostro padre, Vlad è perfetto.
Non sarà italiano, ma il resto è preciso.
Pericoloso. Potente. Scaltro. Intransigente.
E tuttavia, gloriosamente protettivo e altrettanto gentile.
Alzo lo sguardo su di lui. «Anche tu sei adorabile con un
gattino», gli dico. «Ma non pensare che farò sesso con te.»
Vlad si limita a sorridere. «Lo farai, zaika. Mi supplicherai,
e ti piacerà.»
Vlad

Dopo il deposito iniziale di un quarto di milione, ricevo i


rimanenti sei milioni dai fratelli di Alessia. Tutti quanti.
È una mossa furba da parte loro. Mandarmi subito la cifra
totale e usarla come leva per convincermi a restituirgliela.
Ma ovviamente non lo farò.
E mi rifiuto di sentirmi in colpa.
12
Alessia

Raggomitolata nel comodo divano di pelle nera nel lussuoso


salotto di Vlad, sto studiando il russo con la mia Rosetta Stone
Mika ridacchia al mio accento.
Io ripeto le parole in attesa che mi faccia un cenno
d’approvazione.
Sono passati tre giorni da quando siamo arrivati e abbiamo
trovato un ritmo con le sue lezioni. Io gli insegno per qualche
ora e lui mi aiuta con il russo. Ho la mia Rosetta Stone e anche
un’applicazione di traduzione. In qualche modo Vlad ha
trovato un modo per farmi avere un tablet che può accedere a
certi siti, ma che non va online per fare altro. Non riesco a
capire come ci sia riuscito, ma penso che sia piuttosto esperto
di tecnologia. A giudicare dal modo in cui le sue dita volano
sui tasti del portatile, è davvero a suo agio.
Passa lunghe ore in ufficio, chino sul suo computer o
camminando avanti e indietro al cellulare.
Durante il pomeriggio mi porta al lago. È il mio momento
preferito della giornata. Ieri ho trovato una panchina sistemata
in una zona ombrosa a metà strada verso il lago.
«Questa è per me?» ho sussultato quando l’abbiamo
raggiunta.
Vlad ha mantenuto la sua maschera da russo stoico.
«Riposa», mi ha ordinato, invece di ammettere di aver fatto un
gesto gentile.
Mi sono seduta, perché avevo davvero bisogno di
riposarmi, e poi mi sono fatta da parte e ho dato una pacca sul
posto accanto a me. Non appena si è accomodato, gli ho dato
un rapido bacio sulla guancia. «Grazie.»
Non mi ha risposto.
«Puoi ammettere che c’è una brava persona sotto quella
facciata da stronzo», gli ho detto.
«No», ha brontolato. «Non c’è affatto una brava persona. È
solo che non voglio che tu muoia di stanchezza.»
Così ha detto, ma quando siamo arrivati in riva al lago, ho
trovato un’altra sorpresa. Un rustico dondolo montato proprio
accanto alla pietra su cui mi siedo di solito.
Non volendo sentirmi colpita dai suoi gesti, ho aumentato
le mie richieste e le mie lamentele. Ho bisogno di nuova
musica. Nuovi vestiti… quando mi porterà a fare shopping?
Ho bisogno di un Kindle e di romanzi d’amore. Voglio
mandare delle lettere a casa.
Lui non mi concede niente e non si arrabbia. Mi guarda con
aria impassibile e dà ordine di tenermi in riga.
Ora sto armeggiando con il tablet, cercando di riconnetterlo
a internet. Sul serio, se Vlad ha trovato un modo per limitarlo,
io posso capire come superare le sue restrizioni.
«Qual è la password del Wi-Fi?» chiedo casualmente a
Mika. Non si sa mai. Potrei ingannarlo comportandomi come
se fosse una richiesta normale.
Niente da fare.
Il ragazzo fa una smorfia e gli si arrossano le orecchie. Mi
sento in colpa anche solo per averglielo chiesto.
«Sto solo scherzando. Posso prendere in prestito il tuo
tablet?» Tendo la mano come se mi aspettassi che me lo porga.
Lui se lo stringe al petto. «Neanche il mio va su internet»,
dice.
Non riesco a capire se è vero o meno. Ma avrebbe senso.
Vlad deve sapere che Mika potrebbe volermi aiutare,
soprattutto perché lo sto conquistando ogni giorno di più. «Ci
sono solo giochi e la televisione.»
Sospiro e Mika arrossisce un po’ di più. Sono una stronza.
Gli ho praticamente chiesto di tradire la figura paterna a cui
spero si leghi. È stato uno sbaglio da parte mia.
«Va bene», gli dico. «Non voglio che ti senta diviso tra noi
due. Non è giusto nei tuoi confronti.»
Il ragazzo mi guarda, il suo sguardo blu-verde carico di
sincerità. «Vlad dice che ti lascerà andare», mi promette.
Io annuisco. «Lo so. Gli credo. E tu?»
Mika deglutisce ma fa un cenno affermativo con il capo.
Poi scrolla le spalle. «Ma non lo conosco molto bene. Solo da
qualche mese.»
«Sono sicura che sia pericoloso», dico. «Ma non per noi.»
Sposto un dito da me a lui.
Mika mi studia con attenzione, come se stesse riflettendo
sulle mie parole. Poi annuisce.
Fuori, sento la ghiaia scricchiolare all’arrivo di un grosso
furgone. Vado alla finestra per guardare. L’autista si ferma e
poi va in retro per girarsi. Deve essere un idiota, perché
indietreggia troppo in fretta e sbatte con violenza contro una
delle auto nella rotonda.
Gli uomini sul portico gridano. Agenti della sicurezza
emergono da ogni dove, circondando il veicolo. Li guardo per
un momento, affascinata, pensando che questa sarebbe
un’eccellente invasione in stile cavallo di Troia.
E poi lo capisco.
Non ho bisogno che escano soldati armati dal furgone. Mi
serve solo una distrazione. Nessuno sta controllando la porta
d’ingresso in questo momento.
Anche Mika si è alzato per guardare fuori dalla finestra.
«Vai a chiamare Vlad», gli ordino.
Nell’istante in cui si allontana, infilo i piedi nelle scarpe da
ginnastica e sfreccio verso la porta.
È una specie di miracolo… nessuno lo nota. Sono tutti
riuniti attorno all’incidente e stanno blaterando. Anche Vlad è
là fuori. Deve essere uscito da un altro ingresso. Mi chino
dietro le siepi e avanzo rapidamente, tenendomi vicino alla
villa fino a quando non arrivo al confine, e poi corro verso gli
alberi.
La casa di Vlad è in mezzo alla campagna. Dovrò
camminare a lungo, cosa che non sarà divertente con il mio
problema ai reni perché rimarrò senza fiato. Ma forse una
volta che avrò raggiunto la strada principale, potrò fermare
un’auto. Non parlare russo è un altro ostacolo ai miei pieni, ma
ho memorizzato la parola che significa aiuto – pomogite – e
continuerò a ripeterla fino a quando non capiranno come
aiutarmi.
Mezzora più tardi, sono sudata e stanca ma sulla strada
principale. Non oso smettere di muovermi. Ansimando per lo
sforzo, faccio segno con la mano a ogni macchina che mi
supera, cercando di fermarne una correndo sull’asfalto.
Spero di sembrare disperata e fuori luogo e che questo
convincerà qualcuno a fermarsi per scoprire che diavolo ho
che non va.
E poi ho un gran colpo di fortuna perché un’auto della
polizia russa si ferma e ne escono due uomini.
«Grazie a Dio», esclamo. «Pomogite. Pomogite.»
Mi dicono qualcosa nella loro lingua, suoni severi che
emergono da visi duri e arrabbiati.
Indico la villa di Vlad in fondo alla strada.
«Zaklyuchennyy.» Significa prigioniera. Almeno spero di
averlo detto bene. È un’altra parola che ho memorizzato in
caso di fuga.
La ripetono. «Zaklyuchennyy.»
«Da!» Agito la testa e indico freneticamente la casa di
Vlad. «Zaklyuchennyy.» Dobbiamo levarci in fretta da questa
strada prima che il mio rapitore si accorga che me ne sono
andata e venga a cercarmi.
Conversano rapidamente in russo, e poi uno dei due fa una
telefonata.
«Sì, andiamo.» Vado alla loro auto e apro una porta
posteriore, per salire sul sedile di dietro.
«Nyet.», un agente mi riprende in russo.
«Da», insisto.
Si parlano di nuovo nella loro lingua, poi il poliziotto
accanto a me si china e mi fa un cenno affermativo. Chiude la
porta e ci si appoggia contro.
Andiamo, cazzo. Salite in macchina e accompagnatemi in
centrale. Dobbiamo chiamare i miei fratelli. Mettetemi su un
aereo che mi porti via da questo continente. In fretta.
Busso sul finestrino.
L’agente mi ignora, con il sedere premuto al maledetto
vetro. Ora non riesco nemmeno ad aprire la porta per attirare la
sua attenzione. Busso di nuovo.
Nessuna risposta.
Merda. Probabilmente la polizia è al soldo della Bratva in
Russia. Il che significa che sono fregata.
Cerco di aprire la porta, ma il corpo del poliziotto me lo
impedisce. Scivolo sul lato opposto e, sorpresa, sorpresa,
l’altro uomo ha bloccato anche quella.
Un altro veicolo si avvicina, e poi frena di colpo su
pneumatici stridenti.
Cazzo. Deve essere Vlad.
Sento la sua voce furiosa e poi l’agente di polizia si sposta.
Oh, diavolo.
La porta si apre di colpo.
E io alzo lo sguardo su un russo molto arrabbiato.
«Vieni.» Mi fa segno di seguirlo.
Apprezzo il fatto che non mi strattoni più, ma non ho
intenzione di rendergli le cose facili.
Solo in caso non abbia comprato la polizia e io abbia
frainteso la situazione, strillo: «Zaklyuchennyy!» strillo di
nuovo, più forte che posso.
Vlad mi lancia un’occhiata di fuoco. «Chi credi mi abbia
chiamato, zaika?»
Giusto. Come avevo pensato.
«Ora esci. Se ti devo portare fuori di peso, la tua punizione
sarà molto peggiore.»
Mi sfarfalla lo stomaco alla parola punizione.
Mi gira la testa per l’adrenalina. Mi tremano le mani mentre
mi tendo verso la maniglia della porta per darmi una spinta e
uscire.
Ho paura, questo è certo. Non sono sicura di cosa Vlad farà
di me.
Ma non sono terrorizzata. Non è crudele. Ne sono sicura.
Nell’istante in cui sono in piedi, Vlad mi getta su una sua
spalla e mi porta alla sua auto. Gli graffio la schiena con le
unghie, non perché pensi che serva a qualcosa, ma perché non
voglio abbandonarmi come una cazzo di bambola. Soprattutto
non davanti ai poliziotti bastardi e buoni a nulla che mi hanno
rimandato da lui.
Quando mi rimette a terra, gli do uno schiaffo in faccia.
O almeno ci provo. Vlad si muove più veloce della luce e
mi afferra il polso. «No. Non peggiorare le cose. Sei già nei
guai fino al collo.»

Vlad

Spingo Alessia sul sedile passeggero dell’auto. «Non


scappare. Non aprire questa cazzo di porta e non mettere alla
prova la mia pazienza.»
Sembra che sia tornata a essere la mia prigioniera.
Non fingerò che spogliarla e legarla non mi piaccia da
morire, né di non adorare averla alla mia mercé.
Ma è un grosso passo indietro per la nostra relazione.
E non riesco a credere di aver pensato a quella parola.
Cazzo, non abbiamo una relazione. È la mia prigioniera. Sarà
anche mia moglie, ma non è stata per sua scelta. Lo so. Devo
smettere di fingere che non sia così.
«Avevi con te la tua insulina?» le chiedo bruscamente.
Conosco già la risposta. Non aveva un cazzo con sé, ed è
questo che mi fa incazzare di più.
E se la polizia non fosse passata di lì? E se fosse rimasta là
fuori per ore? Ho già visto quanto resta senza fiato durante le
camminate. Non aveva né cibo né insulina. Sarebbe potuta
morire, cazzo.
«No», ammette bofonchiando. Tiene le braccia conserte sul
petto e ha un’aria imbronciata, ma ho visto le sue mani tremare
quando è uscita dall’auto della polizia. Mi teme.
Sfreccio verso casa. «Non muoverti», ringhio quando fermo
la macchina. Esco e faccio il giro a grandi passi. Apro la porta
e la tiro fuori per gettarmela di nuovo su una spalla.
Manie di controllo.
Già, le ho.
E allora?
Avere il controllo di Alessia mi inebria. Ho provato a fare le
cose nel modo giusto. Di darle spazio. Lasciare che si adatti.
Ora ha bisogno del pugno di ferro.
Ma ricordo quanto apprezza una mano pesante, quindi non
mi sento in colpa.
La porto in camera mia e la rimetto in piedi. I gattini escono
miagolando dal loro cesto, ma entrambi li ignoriamo.
Sostenendo il suo sguardo, mi apro la cintura e la sfilo dai
passanti.
Alessia sgrana gli occhi e barcolla all’indietro, senza fiato.
«Via i vestiti.» L’ordine è rapido e brusco.
Deve avere veramente paura, perché vedo scomparire la sua
aria ribelle. Si tira via la maglietta da sopra la testa e la getta a
terra. Poi si sfila le scarpe da ginnastica. Infine è il turno dei
jeans.
«Tutto quanto», insisto quando si ferma.
Stringendo le labbra, si apre il reggiseno e lo lascia cadere
sul pavimento. Non aspetto che faccia lo stesso con le
mutandine. Decido che voglio togliergliele di persona. Mi
allungo verso di lei e Alessia sussulta, ma le afferro il polso e
trascino il suo corpo contro il mio.
«Mani insieme», mormoro, come se questo fosse un
incontro amoroso e non una guerra.
Forse lo è.
I suoi seni nudi mi sfiorano le costole. Sta ansimando, ha le
pupille dilatate.
Non ristrette. La paura le fa stringere, invece l’eccitazione
le fa dilatare.
Il mio cazzo, già gonfio dentro i jeans, diventa più grosso.
Le sollevo i polsi. Ora il mio tocco è più gentile. Senza
distogliere lo sguardo dai suoi begli occhioni spaventati da
cerbiatta, tiro un capo della mia cintura oltre una trave del
soffitto, poi lo passo nella fibbia perché sia ben assicurata.
Le porto i polsi liberi all’estremità della cintura. «Tieniti
qui. Se la lasci andare, la tirerò giù per usarla sul tuo culo. Hai
capito?»
«Vlad.» Nella sua voce c’è un che di supplichevole che
adoro.
Le appoggio una nocca sotto il mento. «Hai capito?»
«Va bene. Sì. Ho capito.» Si tende per stringere la cintura. Il
gesto le solleva e le separa i seni in una maniera deliziosa.
Le infilo i pollici nelle mutandine e mi prendo il mio tempo
per abbassargliele lentamente, inginocchiandomi davanti a lei.
Se le sfila e io le faccio aprire le gambe con uno schiaffo.
«Spalancale, printsessa.»
Le allarga di una trentina di centimetri. La schiaffeggio più
in alto, colpendola sull’interno coscia. «Di più.»
Il suo ventre sobbalza mentre mi obbedisce.
Strofino due dita tra le sue gambe, lieto di trovarla bagnata.
«Ti eccita essere punita.»
Alessia emette un verso di diniego, ma non replica.
La colpisco piano sul clitoride e lei mugola a bassa voce,
richiudendo le gambe.
«Aprile.» Nel mio tono c’è tanto scontento che lei reagisce
istintivamente, allargandole subito.
Mi rialzo, trascinando le punte delle dita sul suo interno
coscia e poi strizzandole con forza il sedere. Mi aggiro attorno
a lei e le stringo i fianchi. «Spingi in fuori il sedere. Inarca la
schiena. Se mantieni la posizione come una brava ragazza,
userò solo la mano.»
Questa volta il mugolio è inconfondibile.
E adorabile.
La colpisco su un lato del sedere, con violenza.
Alessia rabbrividisce.
La colpisco sull’altro lato.
«Non puoi scappare, Alessia», le dico, tenendole un fianco
con una mano e usando l’altra con maggior decisione.
La ragazza ansima e sussulta sotto le sculacciate, ma rimane
ferma. Le tingo di rosso la parte inferiore del culo, godendomi
il sobbalzo delle sue natiche sotto il palmo. Il suono degli
schiaffi nella stanza silenziosa. Il soddisfacente bruciore della
mia pelle.
«Sei mia moglie. Resterai con me fino a quando non mi
stancherò di te.»
Lei emette di nuovo un verso di diniego.
Smetto di sculacciarla e mi tendo per stringerle il monte di
venere, usando la presa per attirare il suo culo nel mio grembo.
Con l’altra mano le intrappolo la gola. «Ti ho presa come
tributo per le vite che mi sono state rubate», le ricordo. «Non
ho ucciso tuo fratello, né ho ucciso te. Ma mi prenderò questo
tempo perché è mio di diritto.»
Si immobilizza, ma le sue pulsazioni sono frenetiche sotto
il mio pollice. La sua fica è fradicia. Cerca di deglutire. La
accarezzo sulla sua apertura bagnata e poi le passo la mano
dalla gola al seno, strizzandoglielo con forza.
«Quindi fai la brava. Prenditi la tua sculacciata.» Le
colpisco la fica. Le affondo una mano tra i capelli per tirarle la
testa indietro su una spalla. Un altro colpo sulla passera.
Lei geme.
«So che ti piace quando ti colpisco qui.» Un altro colpo.
Faccio un passo indietro e ricomincio a colpirla sul culo,
arrossandole le natiche fino a quando non saltella sulle punte
dei piedi.
Poi la premio con nuove carezze. «Sei stata brava a restare
ferma al tuo posto, printsessa», mormoro, le mie labbra al suo
orecchio. «Un ottimo lavoro.» Il mio indice e il medio
scivolano su e giù sulla sua pelle gonfia, soffermandosi attorno
al suo clitoride. «Quando sarai pronta perché ti dia
soddisfazione, dovrai solo chiedermelo.»
Lei gira il viso. Ha le guance e il collo arrossati.
«Non voglio che mi supplichi, né che tu mi chieda scusa. Ti
metterò la bocca tra le gambe e ti leccherò fino a farti gridare.
Poi ti dimostrerò cosa posso fare con il mio uccello. Non devi
fare altro che dire da.» Muovo il polpastrello del dito medio
attorno al suo clitoride mentre le faccio la mia promessa.
Quando non risponde subito, interrompo il mio tocco.
«Da», dice in fretta.
Non sono un uomo religioso, ma sono disposto a
ringraziare Gesù, Maometto e ogni altra figura importante. Ho
bisogno di entrare in questa donna con una graffiante
disperazione.
Mi tendo per stringere una mano attorno ai suoi polsi. «Puoi
lasciare andare», le mormoro all’orecchio.
Le sue dita scivolano lungo la cintura mentre allenta la
presa. Le prendo tra le braccia e la lascio cadere sul letto.
«Allarga le gambe», dico con voce roca. Non vedo l’ora di
banchettare tra di esse. Infilo le mani sotto le sue natiche
surriscaldate per stringerle mentre la lecco.
È bollente… così sensibile che salta quasi su dal letto ogni
volta che la mia lingua entra in contatto con lei. Devo tenerle
giù il bacino, bloccarla dov’è per darle il piacere che merita.
Muovo la lingua attorno e sopra il suo clitoride, lo stuzzico
con la punta. La penetro con un dito.
La faccio venire in meno di sessanta secondi. Inizio un
secondo round.
Solo allora mi fido di me abbastanza da sbottonarmi i jeans
e liberare la mia erezione. Il suo sguardo si fissa sul mio
uccello, e Alessia guarda, con le guance arrossate, mentre
muovo il pugno lungo la mia erezione.
Mi alzo sulle ginocchia torreggiando su di lei,
strofinandomi il cazzo.
«Hai un preservativo?» La sua voce sembra quasi timida.
Giusto. Un preservativo. Per qualche ragione non può
rimanere incinta.
«Da.» Mi allontano dal letto, sfilandomi la maglietta da
sopra la testa mentre cammino. Prendo un preservativo dal
comò, poi mi tolgo i jeans e i boxer aderenti.
E poi non riesco più a trattenermi. Mi sono torturato per
troppe notti. L’uccello mi fa male da morire. Ho bisogno di
essere dentro di lei con un’intensità che non posso negare.
Sono più una bestia che uomo quando torno al letto. La afferro
per i fianchi e la giro sul ventre, poi la strattono fino a quando
non si ritrova sulle ginocchia. Non appena cerca di sollevarsi
sulle mani, la spingo sul petto.
«Voglio questo culo per aria», le dico, infilando il pollice
nello spazio tra le sue natiche.
Lei emette uno strillo di protesta, ma sembra più vogliosa
che altro.
La sculaccio. «Se lascerai di nuovo questa casa senza
insulina, te lo scoperò senza pietà.»
È una minaccia volgare ma il mio cervello ha smesso di
funzionare nel momento in cui ha detto di sì. Gli unici pensieri
nella mia mente ora sono: “Scopala subito. Scopala forte.
Scopala”.
Sì, muoio dalla voglia di averla.
Strofino la punta del sesso sulla sua apertura e spingo.
Blyat, è stretta. Riesco a malapena a penetrarla nonostante
sia più bagnata dell’oceano.
Spingo più forte e lei mugola, ansimando.
Non ho mai sentito una ragazza tanto stretta da…
Oh, merda.
Le afferro i lunghi capelli setosi e glieli sposto dietro una
spalla per guardarla in faccia. «Alessia.» La mia voce è bassa e
rauca. «Non sarai vergine?» Non riesco a impedire
all’apprensione di risuonare attraverso il mio forte accento.
«No», ansima, e io mi rilasso. Ma poi dice: «Ho già fatto
sesso prima».
Mi fermo di nuovo. «Quante volte?»
«Due.»
Vorrei ridere.
E piangere.
Le accarezzo la curva della schiena, poi tendo una mano per
stuzzicarle i capezzoli. Avanzo ancora un po’. La fronte mi si
inumidisce di sudore per via dello sforzo di trattenermi.
«Tutto okay, piccola?» le chiedo.
«Sì. È bello, Vlad. Continua.»
Le stringo i fianchi e mi spingo in fondo in una volta sola.
Lei non grida. Il suo gemito sembra felice.
Grazie a Dio.
Affondo le dita nella sua carne e do sfogo alla mia passione,
pompandomi dentro di lei. Mi gira già la testa, ho le palle tese,
il mio cazzo è durissimo. Mi sbatto forte contro i suoi lombi.
Più forte. Mi piace il rumore che fa, come un’altra sculacciata.
Deve piacere anche a lei, perché geme e ansima nella
coperta, artigliando la stoffa con le dita.
La tengo per il collo, stringendole una mano tra i capelli. Le
massaggio il retro dello scalpo come piace a lei, scopandola
così forte che tutto il letto dondola.
«Oh, Dio», geme. «È così bello.»
Lieto che non le sto facendo del male, mi scateno ancora di
più, attirandole il sedere all’indietro per incontrare le mie
spinte brutali. La sua fica è più stretta di un guanto attorno al
mio uccello duro, e non ho mai provato una tale gloriosa
soddisfazione prima d’ora.
«Alessia», mi ritrovo ad ansimare. È come un’invocazione.
Sto avendo un’esperienza che è più che spirituale. Il mio intero
mondo sta andando in pezzi. «Alessia.»
«Vlad, ti prego. Sì. Oh, Dio.»
È troppo violento, ma non posso farci niente. Mi sbatto
dentro di lei fino a farle gridare il mio nome. Fino a
dimenticare chi sono.
Cosa sono.
Fino a quando non mi esplodono le luci dietro gli occhi e
vengo come un cazzo di treno merci.
13
Alessia

L’ho supplicato.
Non sono nemmeno imbarazzata perché è stato tanto bello
da valerne la pena. Non avevo idea che il sesso potesse essere
così incredibile. Non potrò più farne a meno. Non riuscirò a
lasciare la Russia perché il mio corpo vorrà rimanere
prigioniero di Vlad.
Sono fottuta. Ah… letteralmente.
Soprattutto quando diventa infinitamente più gentile.
Il suo sesso mi pulsa ancora tra le gambe. Entrambi siamo
venuti. Entrambi abbiamo visto. Credo che Vlad abbia vinto,
ma io sono stata felice di essere conquistata. Ma ora si sta
abbassando sul ventre, seguendomi e coprendomi il corpo con
il suo. Mi sposta i capelli dal viso e mi bacia lungo la
mascella. Sulla spalla. La schiena. Per tutto il tempo continua
a ondeggiare la sua grossa erezione russa tra le mie cosce.
Pigramente. Lui è l’oceano e io la nave. E di certo non voglio
che smetta.
Gemo piano.
«Stai bene, Alessia? Ti ho fatto male?» mormora,
muovendo le labbra sulla mia pelle. «Mi dispiace di essere
stato così violento.»
Cristo, quest’uomo mi distruggerà. Questa tenerezza dopo i
vertici a cui mi ha portato è troppo.
«Mmh», è tutto ciò che riesco a dire in risposta.
«Girati.» Si tira fuori e mi prende per una spalla,
voltandomi sulla schiena. «Voglio guardarti.»
Mi studia in volto. Neanche a me dispiace osservarlo. I
tatuaggi grossolani, i muscoli, l’intensa mascolinità… quello
sguardo azzurro ghiaccio. Soprattutto il modo in cui mi sta
guardando ora. Come se fossi la donna più bella del pianeta.
Il suo sesso si spinge di nuovo contro la mia apertura, e io
sospiro quando entra dentro di me. Ora è solo mezzo duro, me
è comunque bellissimo. Mentre si dondola, abbassa lentamente
il viso al mio. Esita, sospeso sopra di me.
E poi la sua bocca cala sulla mia. Cattura le mie labbra e
affonda con prepotenza la lingua.
Io gemo contro di lui. Muovo la bocca insieme alla sua. È
strano che il nostro primo bacio arrivi per ultimo. Dopo tutto il
resto: le sculacciate, il sesso orale, una scopata… Praticamente
tutto tranne il sesso anale.
Che è tutto quello che conosco e probabilmente non è
molto, come ha appena dimostrato Vlad.
Il bacio continua. Le sue labbra mi divorano. I suoi denti mi
graffiano la pelle, la sua lingua mi penetra e si intreccia alla
mia.
Il suo sesso si irrigidisce di nuovo dentro di me.
E poi, all’improvviso, si interrompe. Si scosta per prendere
fiato e mi fissa, accarezzandomi una guancia con il pollice.
Io mi tendo contro il suo tocco.
«Non muoverti», mormora dopo un lungo momento.
Si tira fuori a malincuore e va in bagno. Torna senza il
preservativo, portando un asciugamano bagnato e il mio kit
medico. Risale su di me e mi pulisce tra le gambe, posando
baci sui miei seni, sulla gola, sul petto.
Poi mi controlla la glicemia. Mi fa un’iniezione di insulina
e mi bacia sul sito dell’iniezione.
Affamata, mi alzo dal materasso e prendo la sua maglietta
per infilarmela sopra la testa.
«Na-ah», sbotta lui dal letto. «Niente vestiti per te. Ne hai
perso il diritto.»
Non riesco a prenderlo sul serio. Quando mi ha riportata a
casa avevo paura, ma dopo la tenerezza che mi ha dimostrato,
ho capito come stanno le cose.
«Ah, sì?» mormoro. Torno da lui e gli salgo a cavalcioni in
grembo.
Vlad mi afferra il sedere e mi solleva i fianchi per
strofinarli sul suo membro. Quando gli spingo i seni nudi sul
viso, geme. «Mi hai proprio dove mi vuoi, non è vero?»
«È così?» gli chiedo con innocenza.
Mi afferra per la mascella e tira giù il mio viso per un altro
bacio violento. «Probabilmente ti concederei qualsiasi cosa mi
chiedessi in questo momento.»
«Lasciami libera.»
Appoggia la fronte alla mia. «Non questo.»
«Lasciami chiamare i miei fratelli.»
Mugugna roteando gli occhi, ma sembra pensarci.
Me lo permetterà di certo.
«Nyet.»
Cosa? «Sul serio? Perché no?» pretendo di sapere.
«Perché ti renderebbe triste. Voglio che tu sia felice
adesso.»
Dannazione. È difficile ribattere a questa logica, dal
momento che ho pianto l’ultima volta che li ho visti sullo
schermo.
Quest’uomo è davvero dolce per essere un rapitore.
«Ho una piccola sorpresa per te», mi dice, appoggiandomi
un palmo sul seno e stuzzicandomi il capezzoli con il pollice.
Mi illumino. «Davvero?»
«Da.»
Aspetto, ma lui continua a giocherellare con il mio
capezzolo. Alla fine, mi solleva dal suo grembo e mi mette giù
con un sospiro. «Non voglio lasciarti.» Scende dal letto per
alzarsi.
«Allora portami con te», gli propongo allegramente.
Vlad chiude gli occhi e scuote la testa come se fosse
addolorato. «Sei in punizione, zaika.» Mi appoggia una mano
dietro il collo e mi attira a sé, depositandomi un bacio sopra la
testa. «Torno subito, te lo prometto.» Mi lascia andare per
rinfilarsi i vestiti, e poi mi lascia nella stanza.
Non sento la chiave girare nella serratura.
Vado a controllare.
L’ha lasciata aperta. È convinto che adesso gli obbedirò?
O semplicemente non ha voluto chiudere a chiave la porta
dopo il momento che abbiamo appena condiviso?
In ogni caso, mi sembra una cosa positiva. Non lo metterò
alla prova andandomene.
Salgo sul letto e mi sdraio sulla schiena, fissando il soffitto.
La cintura di Vlad pende ancora dalla trave, e la sua vista mi fa
sorridere. Mi formicola ancora il corpo per gli orgasmi, le mie
membra sono molli e rilassate, la pelle sensibile.
Ormai questa è la mia vita. Sono la moglie di Vlad, almeno
fino a quando non si stancherà di me.
È strano che non lo trovi così terribile? Che una parte di me
sia felice che mi sia stata tolta la scelta, e che sia bloccata con
questo uomo splendido e pericoloso a ottomila chilometri da
casa?
Vlad torna poco dopo con una ciotola di yogurt e frutta e il
mio tablet, che avevo lasciato in salotto.
«È questa la tua sorpresa?»
«No, sta arrivando. Questo è per farti resistere fino a cena.
So che hai fame.»
Accetto la ciotola con gratitudine. In effetti è vero. Sto
morendo di fame. «Come fai a saperlo?» Alzo lo sguardo su di
lui mentre mangio una cucchiaiata.
Lui scrolla le spalle. «Ti conosco.»
Ti conosco.
Parole semplici. Un sentimento semplice. E tuttavia in quel
momento sono colpita da quanto è vero. Mi conosce sul serio.
Nemmeno la mia stessa madre conosce i miei ritmi e le mie
necessità come quest’uomo.
Mi infilo in bocca un’altra cucchiaiata di cibo. «Quindi la
cena sta arrivando?»
«Da.»
«E la sorpresa.»
«Da.»
«La cena è la sorpresa?» Tiro a indovinare.
Incurva le labbra. «Forse.» Apre il mio tablet e trascina
l’indice sullo schermo. Come al solito, muove le dita con
grande rapidità. Qualche istante più tardi, la musica riempie la
stanza. Sono i Daft Punk… una delle canzoni che ho richiesto.
Ho stilato una lista più lunga possibile, con varie canzoni e
artisti sconosciuti, solo per infastidirlo.
«La mia playlist?» dico allora. «È questa la sorpresa?
Quando hai avuto il tempo di scaricarla?»
Mi guarda, e l’affettuoso divertimento rende morbidi e
giovani i suoi lineamenti normalmente severi. «L’avevo sul
computer. L’ho solo trasferita qui.»
«Grazie.» Accetto il tablet e mi siedo a gambe incrociate
sul letto per scorrerlo. Vlad ha trovato ogni singola canzone
che ho richiesto, e le ha caricate nell’esatto ordine in cui le ho
scritte.
Sono riempita dalla soddisfazione. E qualcos’altro.
Qualcosa di pericoloso… la felicità.
Trenta minuti dopo il ritorno di Vlad, qualcuno bussa alla
porta. «Ecco la nostra cena», dice. «Vai ad aspettare in bagno.»
«Potresti lasciarmi mettere dei vestiti», protesto, saltando
giù dal letto.
«Nyet. Niente abiti per te.» Mi dà una pacca sul sedere e io
mi affretto per levarmi di torno.
Aspetto in bagno fino a quando non mi richiama e poi
scoppio a ridere non appena vedo cosa c’è sul vassoio.
Patatine fritte.
Fatte in casa, non quelle surgelate. Appena uscite da una
friggitrice.
«È questa la mia sorpresa?»
Vlad annuisce. «Hai detto che ti piacevano. Ho ordinato
una friggitrice e Zoya le ha fatte fresche per te.»
Rido, e all’improvviso mi ritrovo in lacrime.
«Alessia?» Lui mi raggiunge in fretta e mi prende per le
spalle. «Che c’è? Cosa succede?»
«Niente. È solo che… è molto gentile. Premuroso. E…»
Sembra che non riesca a fermare questo pianto inaspettato.
«Non voglio innamorarmi di te, Vlad.»
Sul suo viso lampeggia un’espressione allarmata. Ci
fissiamo a vicenda, entrambi terrorizzati da ciò che ho detto.
«Non…» sibila, come se parlare gli causasse dolore. «Non
dirlo, o non ti lascerò andare mai più.»
«Non lo dirò», replico in fretta, girandomi dall’altra parte.
Mi afferra, ma non mi fa voltare. Mi avvolge solo tra le sue
braccia da dietro.
Verso qualche altra lacrima. Cala il vuoto. Il vuoto, ma
anche la resa. Gli ho donato la mia vulnerabilità. Lui mi ha
donato la sua.
Con essa c’è una pace. Non mi lascerà andare. Ma mi tiene
con sé. Mi capisce come nessun’altro prima d’ora.
È una cosa positiva, giusto?
Prendo un respiro tremante. Mi giro tra le sue braccia e
appoggio la testa al suo forte petto. I battiti del suo cuore
riecheggiano contro il mio orecchio.
Lo amo.
È illogico e stupido, ma immagino non si possa discutere
con il proprio cuore.
«Andiamo», mi dice poi, indietreggiando ma continuando a
stringermi con un braccio. «Assaggia le patatine di Zoya o si
arrabbierà con me per tutto il lavoro che le ho fatto fare.»
Emetto una risata lacrimosa. «Vuoi scherzare? Ho
intenzione di mangiarle tutte. Beh, magari ne lascerò qualcuna
per Mika.»
«Ti garantisco che Zoya ne ha fatte anche per lui.»
Percepisco un sorriso nella sua voce, e alzo la testa per
vederlo.
«Gli si è affezionata, vero?»
«Da.»
«L’ho visto. È molto dolce, considerando che il resto del
tempo sembra un’anziana brontolona.»
Vlad ridacchia. «È un’anziana brontolona. Ma si prende
cura di noi.»
Raggiungo il vassoio e prendo una patatina per intingerla
nel ketchup che sembra fatto in casa. Ha un sapore diverso, ma
non cattivo. «Mmh. Lo fa davvero.»
Vlad mi sculaccia piano. «Vieni a letto. Ti voglio
imboccare.»
Roteo gli occhi, pur obbedendo. «Non ho le mani legate,
amico.»
Lui agita le sopracciglia. «Posso sempre rimediare alla
situazione.»
14
Vlad

«Per quanto tempo hai intenzione di tenermi chiusa qua


dentro?» Il mattino seguente, Alessia sale a cavalcioni su di
me e il cervello mi va in tilt.
Le stringo i fianchi e trascino la sua fica sul mio uccello
duro. Si bagna subito, iniziando a strofinarsi su di me. I suoi
giovani seni mi sfiorano il petto.
«Mmh?» insiste.
Oh, cosa? Giusto, mi ha fatto una domanda.
«Fino a quando non capirò che hai imparato la lezione.» Le
appoggio una mano sul sedere, strizzando la pelle soda fino a
quando il mio uccello è tanto duro da far male.
Alessia si reclina all’indietro. «Non scapperò di nuovo.» Il
suo tono è serio, ogni accenno malizioso svanito. Suona come
una promessa.
Tiro di nuovo i suoi fianchi sui miei, ma lei mi afferra i
polsi per fermarmi.
«Sono seria, Vlad. Hai la mia parola. Non so se per la
Bratva significa qualcosa, ma nella mia Famiglia è così.»
Non sono incline a credere alle promesse di una donna, che
sia russa o italiana, ma non glielo dico.
«Perché ti dovrei credere, zaika?»
«Ho sentito quello che hai detto ieri. Avresti potuto
scambiare una vita per una vita. Quella di mio fratello. Ma non
lo hai fatto. Stai solo prendendo questo tempo da me, e io sono
disposta a onorare questo scambio.»
Ah, Alessia. Sempre generosa. Sempre dolce.
Mi allungo per afferrarle la nuca, avvicino il suo volto al
mio e la bacio con forza. «A una condizione.» Roteo i nostri
corpi per salirle sopra.
«Qual è?» Ha le guance arrossate, gli occhi le brillano.
«Ora sarai mia in questo letto. Basta rifiutarmi. Ti voglio, e
ti prendo. È chiaro?»
«Non ti devo supplicare?»
Scoppio a ridere. È incredibile come questa donna mi faccia
divertire. «Lo farai, zaika», la stuzzico. «Ma non sei costretta.»
Mi alzo per prendere un preservativo. «Non muoverti.»
Resta ferma.
Le afferro i fianchi e la attiro al centro del letto. «Sei la
donna perfetta, lo sai, vero?»
«Davvero?» La delizia le accende il viso. È così
espressiva… Incantevole.
«Da. Bellissima.» Le bacio il ventre piatto. «Gentile.» Un
altro bacio. «Divertente.» Le allargo le gambe e le do un
colpetto al clitoride con la lingua.
Lei strilla e cerca di chiudere le cosce.
«Na-ah. Tienile aperte o sculaccerò di nuovo quel tuo bel
culetto.»
Le tremano le gambe ma le tiene aperte, inarcandosi e
aprendo il bacino mentre traccio l’interno delle sue labbra con
la lingua. La torturo fino a quando i suoi gemiti non si fanno
acuti e disperati, e poi mi sollevo e mi infilo un preservativo.
«Mia», ringhio, affondando dentro di lei.
Non lo nega. Anzi, mi avvolge quelle lunghe gambe attorno
alla schiena e mi attira a fondo.
15
Alessia

«Perché sei preoccupata, Alessia?» Vlad mi sta guardando


attentamente. Ha appena accompagnato il dottore fuori dalla
porta e ora è fermo sulla soglia. Lo ha chiamato per
esaminarmi e per farmi fare le analisi del sangue.
Il medico è sembrato nervoso di essere qui, come se Vlad
fosse una specie di dignitario o qualcosa del genere. Immagino
che la Bratva sia molto rispettata qui. O magari ha capito che
sono una prigioniera e ha temuto che gli chiedessi aiuto.
Ovviamente non poteva sapere quanto questa prigioniera
fosse sessualmente soddisfatta.
Mi strapazzo un unghia. Ho le mani sudate e sento un nodo
al centro del petto. Sono passati otto mesi dalla mia diagnosi
di insufficienza renale al terzo stadio, e sono riuscita a tenerla
nascosta a tutti i miei cari. È come se non fosse reale se
nessuno ne è a conoscenza.
Ma magari questo dottore non lo scoprirà. Dipende da quali
esami farà al mio sangue. «Che cosa vuole vedere?» Cerco di
sembrare disinvolta.
Devo aver fallito perché Vlad socchiude gli occhi. «Cosa
scoprirà secondo te?»
Beccata.
Traccio un cerchio sul tappeto del salotto con le dita dei
piedi. Mika ci sta ascoltando dalla sua posizione sul divano.
«Ha a che fare con il perché credi di non poter avere dei
figli?»
Alzo lo sguardo di scatto, chiedendomi come abbia fatto a
capirlo.
Lui scrolla le spalle. «Il dottore ha detto che il diabete non
dovrebbe impedirtelo, solo renderlo più rischioso.»
Ho freddo e in contemporanea sto sudando.
«Dimmelo e basta, Alessia.» Nella sua voce c’è una nota
supplichevole che non ho mai sentito prima. Solo adesso mi
accorgo che è un po’ pallido. «È cancro?»
Mika appoggia il tablet per ascoltare, con occhi sgranati.
Per tutti il cancro è il timore maggiore. Basta la parola a
scatenare la paura nelle persone meno emotive.
«Insufficienza renale», dico in fretta, dato che è già saltato
alla conclusione peggiore. O quella che crede sia la peggiore.
Corruga le sopracciglia. «Cazzo. Per via del diabete?»
Annuisco. «Sono al terzo stadio. Il quarto è quando devi
fare la dialisi.»
«È per questo che non hai fiato?»
«Sì.»
Si strofina la fronte. «È… non è…»
«Non è terminale, no. Il prossimo passaggio sarebbe la
dialisi e trovare un donatore per un trapianto di reni. Ma non
sono ancora a quel punto.»
Vlad si appiglia a quello. «Un trapianto di reni. Da. Non
devi aspettare la dialisi per farlo. Ti troveremo subito un
donatore.»
«No.» Scuoto la testa con veemenza. «Non sono ancora
pronta per questo. La mia famiglia… Non gliene ho ancora
parlato.»
Vlad mi studia per un istante, assorbendo l’informazione.
«Perché no?»
«È solo che non sono… pronta.»
«Non vuoi affrontare il problema. Non vuoi che sia reale.»
Sono assalita dal sollievo sentendomi compresa. «Sì.
Esatto.» Sono stata così spaventata da tutta la faccenda, dal
dover gestire le emozioni della mia famiglia in proposito,
dovermi dimostrare forte davanti alle loro paure, alla loro
iperprotettività…
E poi c’è tutta la storia del trapianto. Accedere a una lista di
donatori e cercarne uno compatibile. E se non ne troviamo
uno? Tutta la mia vita potrebbe essere consumata da speranze
infrante e sogni amari.
Vlad si siede sul divano accanto a me, per poi prendermi in
grembo. «Non sei sola, zaika. Possiamo gestire la situazione.
Me ne occuperò io, okay? Troveremo un donatore compatibile,
farai l’intervento e la tua vita migliorerà. Potrai avere i
bambini che desideri tanto, e fare passeggiate più lunghe.»
Mi pizzicano gli occhi. Avvolgo una mano sul dorso della
sua e lo stringo. «Non sono pronta», sussurro.
Lui annuisce. «Ci penso io. Quando sarà il momento sarai
pronta», mi promette.
Voglio credergli. Vlad è il tipo d’uomo che realizza
l’impossibile. Come rapire una principessa della mafia e
portarla in Russia. Farla innamorare di lui.
E sono sollevata dalla sua risposta distaccata, così diversa
da come avrebbe reagito la mia famiglia siciliana. O almeno
da come suppongo reagirebbero.
E magari trovare un donatore sarà più facile in Russia che
negli Stati Uniti. Dio solo sa che qui la corruzione dilaga.
Magari Vlad può offrire una grossa somma a un donatore. O
usare la sua influenza per farmi mettere in cima a una lista.
Potrebbe rivelarsi vantaggioso essere in questo paese, e avere
quest’uomo dalla mia parte.
Mi volto e mi appoggio a lui, nascondendo il viso nel suo
collo. Vlad continua a stringermi, accarezzandomi la schiena e
massaggiandomi lo scalpo.
Lo so che questa non è una favola. Vlad non è il mio
principe. E di certo non è un cavaliere dalla scintillante
armatura. Ma se crede di potermi aiutare, forse può riuscirci
davvero. Lascio svanire una parte dei timori che mi
attanagliano sin da quando ho ricevuto la diagnosi.
Per un po’ gli permetto di farmi da scudo contro la paura a
cui sto sfuggendo…

Vlad

Questa è un’idea terribile.


Alessia mi lancia uno sguardo indagatore mentre entriamo
in città nel retro della limousine. Mika è sul sedile davanti a
noi, e sta guardando fuori dal finestrino.
«Mi stai portando a fare shopping?» Sta cercando di
indovinare dove stiamo andando, e io sono stato evasivo al
riguardo.
Soprattutto perché sto pensando che sia un grosso sbaglio.
Mi strofino la fronte. «Sì, se vuoi.» Forse dovrei
abbandonare il mio piano e portarla solo a fare spese. Niente
rende felice una donna come un uomo che spende denaro per
lei.
Anche se Alessia potrebbe essere diversa, dato che viene da
una famiglia ricca.
Ma allora posso rendere felice Mika.
«Dove stiamo andando? Perché sembri teso?»
La limousine arriva di fronte a un edificio governativo
d’epoca comunista e si ferma. Alessia sbircia fuori dal
finestrino, e poi guarda di nuovo me.
«Credo che questa sia stata una pessima idea», borbotto.
«Cosa?»
Mika legge il cartello. «Un orfanotrofio.»
Alessia solleva di scatto le sopracciglia. «Cosa stiamo
facendo?»
Mi strofino il viso. «Non siamo costretti a entrare.»
«Cosa ti è venuto in mente?» mi domanda, appoggiandomi
una mano sul braccio.
«Ho solo pensato…» Sospiro. «Ho pensato che forse ti
sarebbe piaciuto prendere in braccio dei bambini. Cullarli.
Hanno bisogno di volontari. Ma non voglio renderti triste.
Forse non è stata una buona idea.»
Alessia apre la porta ed esce. Io balzo fuori per seguirla.
Perché mi sento il cuore in gola?
«Certo che voglio offrirmi volontaria», dice allegramente,
come se l’avessi portata a un parco dei divertimenti. Che
sarebbe stata una scelta migliore. «Andiamo.» Mi afferra per
mano e mi trascina verso l’ingresso.
Mika esce dalla limousine e ci segue. «Perché vorresti fare
la volontaria?» le chiede.
«Entriamo e lo scoprirai.» Apre di colpo il portone e guarda
il ragazzino da sopra una spalla.
È chiaro che lui non sia affatto convinto da tutto il piano. E
anche io ho i miei dubbi, nonostante la sua reazione sia
positiva.
Potrebbe rimanere inorridita da ciò che vedrà qui. A
giudicare dai gattini, potrebbe pretendere di adottare tutti i
bambini. E io so solo che non voglio più vederla piangere.
Ho controllato in anticipo e ho trovato il posto pulito e
decente per quel che è, ma lei è americana. Potrebbe trovare
strazianti le condizioni all’interno. Ma spero che possa
diventare un progetto a cui si leghi profondamente. Qualcosa
che la tenga qui, e che le dia uno scopo.
Il mio telefono squilla e mi blocco vedendo che è Victor.
Alzo un dito per Alessia, che si ferma e aspetta. È
un’interazione semplice. Basilare. Umana.
E tuttavia per un momento mi colpisce.
È come se fosse una fidanzata o una moglie. Una moglie
vera. Non una principessa della mafia rapita. Non una
prigioniera.
Il suo viso è aperto, gentile. Attende con pazienza mentre
passo il pollice sullo schermo e rispondo al mio pakhan.
Victor ha delle domande e degli ordini, come sempre.
Sentire la sua voce mi dà sui nervi, anche se è quanto di più
simile io abbia a una famiglia ora che mia madre è morta.
«Ho bisogno di te qui a Mosca, Vlad. Stabilmente.»
«Sono sempre a tua disposizione. Rispondo alle tue
chiamate, parliamo tutti i giorni. Di cosa si tratta? Non ti fidi
del mio lavoro?»
«Lo sai che mi fido, ed è per questo che ho bisogno di te.»
È un divario generazionale. O forse solo il prodotto della
paranoia in quanto capo della Fratellanza. Gli piace vedere la
gente in faccia. Fiutare le bugie. Magari dovrei insegnargli
come fare video conferenze. «Mi sono occupato di tutto ciò di
cui abbiamo parlato ieri.»
«Sei troppo impegnato con la tua sposa-ostaggio per gestire
i miei affari», mi accusa. «Le donne sono sempre state la tua
rovina, Vlad. Dovrò ripulire anche questo casino?»
Mi indispettisco. «Sabina è stata uno sbaglio. Questa è una
faccenda di lavoro.» Lancio uno sguardo ad Alessia, e a quella
menzogna mi si riempie la gola di bile.
Per fortuna non parla russo.
Ma Mika mi sta guardando accigliato. Furioso, in effetti. Se
fosse un adulto, direi che vorrebbe darmi un pugno sulla gola.
Scuoto la testa e indico il telefono, cercando di fargli capire
che sto solo raccontando fandonie a Victor. Gli sto dando
quello che vuole sentirsi dire per smetterla di starmi con il
fiato sul collo.
Alla Bratva è proibito sposarsi, quindi ho già violato il
codice. Una violazione che è punibile con la morte.
«Ora Sabina è sotto la mia protezione», dichiara Victor.
Oh. Okay. Beh, chi cazzo se ne frega? È una vedova nera
che sfrutta gli uomini per ottenere ciò che desidera.
«Ti ha avvolto nella sua tela, eh?» Non dovrei dirlo. Non
dovrei mancargli di rispetto. Non mi infastidisce che abbia una
nuova donna dopo la morte di mia madre. Ne ha sempre avute
diverse. Mia madre era solo una tra una moltitudine. E
secondo il codice di condotta dei ladri non dovrei nemmeno
avere una madre, ma dato che è stata lei a farmi conoscere
Victor, il pakhan ha lasciato correre purché tenessi il nostro
legame nascosto a chiunque altro.
«Quando la vedrai sarai rispettoso», sbotta lui.
Come se se lo meritasse. Quella donna mi ha manipolato.
Mi ha sedotto senza dirmi che apparteneva a Zima. E poi è
rimasta incinta e mi ha chiesto di uccidere il suo uomo per
liberarla. Quando mi sono rifiutato, ha confessato la verità a
Zima per farmi ammazzare.
Ma considerando con lui è morto e io sono stato richiamato
dall’America, suppongo che abbia convinto Victor a fare il suo
lavoro sporco quando non l’ho sbrigato io.
«Come desideri, Pakhan», concordo ugualmente. Non ci si
mette contro Victor. Per nessun motivo.
Ultimamente tengo alla mia vita più di quanto non facessi
un tempo.
«Verrai a Mosca», dice, e io sento l’acciaio nella sua voce.
L’ho irritato. Ora ne pagherò le conseguenze. «Verrai e
porterai la ragazza, così potrò vedere questo tuo animaletto. E
anche l’orfano che hai portato a casa da Chicago. Poi
discuteremo del tuo futuro.»
Blyat.
«Come desideri.»
«Domani», aggiunge con fermezza.
«Domani saremo lì.» Interrompo la chiamata e chiudo gli
occhi.
«Cosa c’è?» mi chiede Alessia.
Quando non rispondo, Mika lo fa per me. «Deve andare da
qualche parte.»
«Dobbiamo», lo correggo. Dannazione. Non voglio portare
nessuno dei due vicino a Victor. Non volevo essere
responsabile di Mika. Non l’ho mai voluto. Ma ora che è stato
il mio protetto per tutti questi mesi, l’idea di consegnarlo a
qualcun altro mi mette a disagio. E Victor vorrà gettarlo tra i
ranghi inferiori della Bratva, per insegnargli a rubare,
assassinare e mentire. Proprio come ha fatto con me. Ora
desidero aver passato più tempo a insegnargli a usare il
computer. Così avrei potuto far credere a Victor che sarebbe
più utile con me.
«Stanotte andremo a Mosca.»
Alessia si illumina. Non so dire se sia perché crede che i
viaggi siano una migliore opportunità per sfuggirmi o perché è
stufa di stare chiusa nella mia proprietà.
«Andiamo», dico seccamente, indicando la porta con il
mento. Ora ho problemi più gravi dei turbamenti della mia
sposa di fronte agli orfani russi.
Ho chiamato prima, quindi chiedo della direttrice che si fa
in quattro per accomodarci. Ci guida lungo un corridoio umido
fino a una stanza riempita con venti culle. E una sedia a
dondolo.
Una sedia a dondolo vuota.
I bambini stanno piangendo e si sente odore di urina. Due
lavoratori dall’aria irritata stanno trasportando neonati dal
bagno alle loro culle.
La direttrice indica uno dei bambini appena depositati sul
materassino. «Questo è pulito.» Solleva l’infante piangente e
lo tende – non so dire se sia maschio o femmina – ad Alessia.
Prende una bottiglia dal lettino e le porge anche quella.
Sul viso di Mika c’è un’espressione di puro orrore.
Anche Alessia sembra sconvolta.
«È stata una pessima idea», dico ad alta voce. «Venite, ce
ne andiamo.» Il mio accento è più forte perché mi sono
innervosito.
«No, aspetta!» Alessia sta rimbalzando su e giù, facendo
versi tranquillizzanti. «Voglio restare. Voi potete andare.
Tornate a prendermi tra un paio d’ore.»
Col cazzo.
Le lancio un’occhiataccia per mostrarle che non mi fido di
lasciarla da sola nemmeno per un secondo, ma lei sta fissando
il bambino parlandogli con toni dolci. Lui si calma e mugola
in risposta.
«Vuoi un po’ di latte?» gli chiede, andando verso la sedia a
dondolo e portandogli la bottiglia alle labbra. «Hai fame,
angelo?»
È difficile credere che stia pensando alla fuga in questo
momento. È completamente assorta nel bambino.
Do uno sguardo al telefono. Devo organizzare il nostro volo
e l’alloggio a Mosca. «Rimani. Accertati che non provi ad
andarsene», dico a Mika in russo.
Lui arriccia il naso, ma annuisce in assenso. Ho dimenticato
che è già stato agli ultimi gradini della Bratva. Anche se non
ha ancora ucciso, ha senz’altro conosciuto la violenza.
Gli stringo una spalla.
Non lascerò che Victor lo abbia.
E morirò piuttosto che permettergli di separarmi da Alessia.

Alessia

Sto cercando di non piangere perché so che turberebbe


Vlad.
L’orfanotrofio mi spezza il cuore. Certo che lo fa. Questi
bambini non ricevono abbastanza amore, attenzioni o tempo
fuori dalle loro culle. Almeno sembrano puliti, nutriti e
relativamente sani.
I lavoratori mi scrutano nervosamente, come se fossi un
ispettore del governo venuto per dare punti di demerito, ma è
comprensibile. Sono un’americana, portata qui da un
pericoloso membro della Bratva. Sono certa che non sappiano
cosa pensare di tutta la faccenda. Do da mangiare alla bambina
tra le mie braccia. Non voglio metterla giù, ma ce ne sono altri
che hanno bisogno di attenzioni, quindi allargo una coperta sul
pavimento e ce la sistemo sopra.
Uno dei lavoratori indica la coperta e poi il materassino da
cui hanno preso la bimba.
«Lo so», rispondo nella mia lingua, anche se loro non
capiscono una sola parola. «Ma i bambini hanno anche
bisogno di stare fuori dalle culle.» Non che un pavimento di
cemento sia tanto meglio.
Prendo un altro neonato, impiastricciato di feci e urina.
Immagino che qui non usino i pannolini. Gli lasciano sporcare
i vestiti e poi li cambiano. Seguo gli addetti nel bagno dove
spogliano e lavano i bambini in grandi lavandini. Non sono
crudeli. Gli parlano e canticchiano in russo mentre lavorano.
Ma ce ne sono troppi e non ci sono abbastanza lavoratori.
È tragico.
Tuttavia sono onorata di essere qui a vestire questa
creaturina. I bambini sono incredibili. Innocenti. Bellissimi.
Presenti.
Non giudicano. Non credono esistano limiti. Me lo sollevo
al petto per coccolarlo. Ha un profumo così dolce. La sua pelle
è morbidissima.
E Vlad mi ha portata qui perché sa quanto li amo. È stato
un gesto premuroso e commovente.
È difficile credere che sia un uomo capace di violenza e
assassinio.
«Mika, cosa stai facendo?» Vlad ha lasciato la stanza, ma il
ragazzo mi segue come un’ombra.
Lui alza lo sguardo su di me, cauto.
«Prendi questo bambino e dagli il biberon. Vai sulla sedia a
dondolo e fallo mangiare», gli dico.
Sembra che preferirebbe leccare il vomito dal pavimento.
«Andiamo. Prendilo. Vedi se riesci a capire perché amo
tanto i bambini.»
Nascondo il mio sorriso al suo sguardo dubbioso, mentre
me lo prende dalle braccia per tornare alla sala delle culle.
Il bambino piange un po’, ma Mika capisce piuttosto in
fretta come farlo mangiare. L’espressione trionfante che mi
rivolge mi riscalda il cuore.
Do una mano a lavare, nutrire e mettere a dormire i
bambini, e prima che me ne renda conto, Vlad è tornato e mi
sta guardando, appoggiato allo stipite della porta.
Mika corre da lui non appena lo vede.
«Sono passate due ore?»
Annuisce. «Da. Vieni, zaika. Avrai fame.»
Ecco che lo fa di nuovo.
Lo raggiungo e gli premo un bacio su una guancia.
«Spasibo», lo ringrazio in russo. «Questa è la cosa più strana e
dolce che chiunque abbia mai fatto per me.»
Vlad mi afferra dietro il collo e mi bacia sulle labbra.
Mika ci supera trascinando i piedi, chiaramente imbarazzato
da quello sfoggio di affetto.
«Non chiedermi di adottarli tutti», mi dice poi l’uomo con
tono burbero.
«Possiamo fare qualcosa per loro?» Devo chiederglielo.
«Fornirgli denaro per assumere altri lavoratori? Comprargli
delle scorte?»
«Possiamo?» La sua espressione è imperscrutabile.
Arrossisco. «Voglio dire se puoi.»
«Mi piace possiamo.» Sembra serio. Come se avesse
pensato solo ora che io e lui potremmo essere un noi. Che ha
senso, dato che è un matrimonio fasullo.
Ho le guance ancora arrossate. «Allora possiamo?»
Reclina la testa. «Qualsiasi cosa tu voglia, printsessa. È
tua.»
Devo ricordare a me stesse che non è vero. Se lo fosse mi
lascerebbe chiamare i miei fratelli. Mi libererebbe.
Ma non riesco a fermare l’esplosione di buoni sentimenti
nel mio cuore.
Il senso che, nonostante la vita faccia schifo e nel mondo ci
sia molta tristezza, non sono da sola. C’è qualcuno disposto a
stare al mio fianco.
16
Vlad

Tornare a Mosca mi riporta alla mente troppe memorie della


mia vita passata. Quella che non avrei mai voluto avere. Tutto
il terrore e la rabbia della mia giovinezza, insieme il ricordo di
mia madre che mi consegna a Victor e alla sua Bratva,
rischiano di travolgermi ogni volta che sono in questa città.
Qui c’è anche tutto ciò che odio di me stesso. È il luogo dove
ho commesso il mio primo omicidio. Dove ho assistito ad
assassini e pestaggi e ho imparato a rubare.
Dove ho deciso che se non volevo restare in fondo ai
ranghi, spacciando droga e facendo il pappone, mi servivano
delle capacità. Quindi ho imparato a fare l’hacker. A riciclare
il denaro. A rendermi utile a Victor e agli altri pakhan della
Russia.
Mi piaceva la fantasia della proprietà a Volvograd, un posto
dove non avevo mai vissuto prima d’ora. Prima di Alessia e
Mika. Mi piaceva fingere di essere qualcos’altro. Un marito.
Un padre persino, o almeno un tutore decente per Mika.
Ma ora, di nuovo qui a Mosca, tutto mi ricorda l’oscurità
del mio passato.
Chi sono veramente.
E non voglio Alessia e Mika vicino a questa merda. Non
voglio portarli a casa di Victor. Non voglio contaminarli con
cosa sono e cosa ho fatto. Né esporli al male rappresentato dal
mio pakhan.
Victor, l’uomo che per me è stato quanto di più simile a un
padre.
Una persona che odio e tuttavia amo in una maniera
perversa.
Prendo una bella suite in un albergo in centro, non lontano
dall’appartamento di Victor.
Mika accende la televisione.
Alessia corre a spalancare le tende e a guardare la città.
«Voglio vedere Mosca», dichiara. Sempre con le sue richieste.
Ormai è un gioco. Non si aspetta che le dica di sì, mi sta solo
punzecchiando. È un modo per darmi sulla voce, e farsi
sentire. Per ricordarmi quanto è infastidita dalla mia autorità.
Mi piace dirle no quanto apprezzo dirle di sì, perché non si
arrabbia mai. Insiste ma non è fastidiosa. E adoro dirle di sì
anche perché è sempre entusiasta… dato che in realtà non se
l’aspetta mai.
Amo avere il potere assoluto su di lei. Porta fuori un lato
diverso di me, uno che non sapevo di avere. Mi sono sentito
crudele e corrotto per tutta la vita, ma con lei sono benevolo.
Sì, il suo benevolo dittatore. È un ruolo che amo molto.
«Magari domani», le dico. Sono troppo agitato per
convincermi a lasciarla uscire dalla suite. La voglio qui, dove
posso tenerla al sicuro.
«Io posso uscire?» mi chiede Mika in russo.
Giusto. Anche lui è di Mosca. Lo guardo con occhi
socchiusi. «Dove vai?» gli chiedo in inglese. Non per lui, ma
per Alessia.
Il ragazzino fa spallucce. Ha perfezionato la noncuranza. È
difficile capire cosa gli passa per la testa. Ci rifletto. Potrebbe
avere una famiglia qui. Nonni, zie, zii. Magari degli amici.
«Chi vai a trovare?»
Di nuovo, scrolla le spalle.
«Mika…» Mi avvicino a lui e il ragazzino sussulta. È stato
picchiato troppe volte. «Dimmi la verità. Stai scappando?»
La sua sorpresa è sincera. «Nyet.»
«Hai dei parenti che vuoi vedere?» Il codice di condotta dei
ladri richiede ai membri della Bratva di rinunciare alla
famiglia. Magari Aleksi gliel’ha inculcato nella testa dopo che
sua madre se ne è andata e ora potrebbe aver paura di dirmelo.
L’espressione che gli lampeggia sul volto mi fa capire che
sono sulla strada giusta.
Tiro fuori una mazzetta di rubli da una tasca. «Sai muoverti
per la città?» gli chiedo.
Alessia ci raggiunge, con le mani sui fianchi. Non è felice.
Mika abbassa gli occhi sul denaro e annuisce.
«Sai dove sei ora e come arrivare a destinazione?»
Di nuovo, annuisce con aria seria.
«Mika, dove stai andando?» vuole sapere Alessia.
Un ennesimo scrollone.
«Hai il telefono? Sai come chiamarmi?»
Annuisce.
«Non mi piace», annuncia la ragazza. «Ha solo dodici anni.
Vuoi permettere a un ragazzino di girare da solo per questa
città di notte?»
Mika si agita, corrugando la fronte.
Lo studio. Ha vissuto da solo in una città straniera.
Probabilmente si aggirava in queste stesse strade quando
sarebbe dovuto essere a scuola.
Gli consegno i soldi. «Ti voglio di ritorno per le dieci.
Chiamami se va storto qualcosa. Hai capito?»
Il ragazzo china il capo.
«Ma dove sta andando? Non dovremmo accompagnarlo?
Non mi piace questa faccenda.»
«Tornerò», le garantisce lui. Poi lascia entrambi senza
parole stringendola in un rapido e goffo abbraccio. Lo fissiamo
mentre scappa fuori a testa bassa.
«Dove credi che stia andando?» vuole sapere Alessia.
«Immagino a vedere dei parenti o dove viveva. Il codice
della Bratva richiede che tutti i suoi membri taglino ogni
legame con la famiglia, quindi credo che sia per questo che
non vuole dirmelo.»
Lei si picchietta un dito sulle labbra. «Ma tu avevi un
legame con tua madre.»
«Sì», confermo. «Era l’amante di Victor, il mio capo. Mi ha
consegnato alla Bratva quando avevo l’età di Mika. Ma dato
che lei era la sua preferita a volte avevo il permesso di vederla
in segreto. E ho ricevuto un trattamento speciale. Victor mi ha
mandato in America invece di permettere a uno dei suoi
uomini di uccidermi.»
«Perché ti voleva uccidere? Che cosa hai fatto?»
Faccio una smorfia. «Sono stato ingannato da una donna. È
una stupida storia.» Una che non voglio affatto raccontarle.
«Vieni», le faccio cenno di avvicinarsi, «lascia che ti controlli
la glicemia.»
Le faccio un’iniezione e ordino la cena con il servizio in
camera. Abbastanza anche per Mika quando tornerà, nel caso
abbia fame.
Quando qualcuno bussa alla porta, mi aspetto che sia il
nostro cibo.
Non immaginavo che Sabina avrebbe avuto la faccia tosta
di mostrarsi alla mia porta.
È sulla soglia in un abito firmato azzurro e tacchi a spillo, e
odora di profumo e inganno.
«Vlad.» Getta i lunghi capelli biondi dietro la schiena e
cerca di entrare nella stanza d’albergo.
Glielo impedisco.
Lei si guarda nervosamente alle spalle. «Vuoi davvero
lasciarmi qui nel corridoio dove chiunque potrebbe vedermi? E
se Victor lo scoprisse?»
Una rabbia oscura mi riempie. Sta davvero facendo di
nuovo questo gioco con me? Ora vuole che il mio pakhan mi
ammazzi?
O che io uccida lui?
Non succederà. Non mi lascerò coinvolgere.
«Vattene di qui prima che lo chiami io stesso», ringhio.
Percepisco Alessia alle mie spalle. Deve aver sentito il tono
della mia voce. Il bisogno di proteggerla da queste cazzate è
tanto forte che afferro Sabina per un braccio e la spingo fuori
per sbatterle la porta in faccia, ma lei torna con un balzo sulla
soglia.
«Sai perché sono qui. Hai letto le mie lettere? Perché non
mi hai aiutata?»
«Certo che non le ho lette. E perché aiuterei una donna che
mi ha volutamente condannato a morte? Non so cosa vuoi, ma
non lo troverai qui. Ora vattene.»
Sabina nota Alessia e sgrana gli occhi. «La tua sposa
americana sa della nostra bambina, Vlad?» dice in un inglese
pesantemente accentato. Non avevo idea che la stronza
conoscesse questa lingua.
Mi sento ribollire e gelare al tempo stesso.
«Quale bambina?» ringhio in russo. «Quella che ti sei
inventata per convincermi a uccidere Zima?»
La puttana scoppia in lacrime. «Non me la sono inventata.
E ho dovuto metterla in un orfanotrofio per salvarla da lui.
Perché non mi credi?»
«Esci.» Deve vedere l’intento omicida sul mio viso, perché
barcolla all’indietro nel corridoio, e io sbatto la porta.
La fisso per un istante, con le orecchie che mi ronzano.
Mia figlia in un orfanotrofio? Può essere vero?
No.
Non è assolutamente vero. Quella donna è una bugiarda.
Una manipolatrice del massimo livello. Sta facendo un nuovo
gioco e di certo riguarda Victor.
E l’ultima cosa di cui ho bisogno ora è ritrovarmi
invischiato con una donna che il mio pakhan ha reclamato per
sé. Sto già facendo del mio meglio per tenere Alessia fuori dal
suo radar.
«Chi era quella?» vuole sapere la ragazza dietro di me. La
sua voce è gelida.
Blyat.
Donne.

Alessia

Che diavolo sta succedendo?


Una spilungona bionda si presenta alla nostra camera
d’albergo e all’improvviso Vlad è un uomo diverso.
Arrabbiato. Persino furioso.
È ovvio che sia la sua ex.
E deve ancora significare qualcosa per lui, o non sarebbe
così agitato.
Si gira lentamente e chiude gli occhi. «Quella è la donna
che mi ha quasi fatto ammazzare. È una subdola stronza, ecco
tutto.»
«Deve importarti ancora di lei, o non saresti così
sconvolto.» Nemmeno io mi sento particolarmente calma e
composta. Ho freddo e tremo. Mi sudano le mani. Ho lo
stomaco annodato.
«Nyet!» esplode lui, dimostrando che ho ragione. «Non me
ne frega niente. Se fosse un uomo l’ammazzerei per i suoi
trucchetti.»
Fa un lungo respiro, come se stesse cercando di riprendere
la calma.
«È vero quello che ha detto? Che avete una figlia?» La
donna lo ha detto in inglese, ovviamente per farmelo capire.
Non so perché la cosa mi ferisca tanto, ma è così. Mi strazia
fin nel profondo. Immagino che sia perché non posso avere
bambini. E forse questo pomeriggio mi sono stupidamente
illusa che io e Vlad avremmo potuto adottarne uno da
quell’orfanotrofio.
Lui digrigna i denti. «No. Direbbe qualsiasi cosa. Non
credo alle sue bugie.»
Mi si torce ancora di più lo stomaco. C’è qualcosa di strano
in questa storia. «Ma non ne sei sicuro? Non credi che dovresti
scoprirlo? Fare un test della paternità o qualcosa del genere?»
Vlad mi guarda battendo le ciglia. Sta tornando ad
assumere la sua normale espressione impassibile. «Non credo
nemmeno che questa bambina esista», dice. «Tu ne hai vista
una?» Agita con impazienza una mano verso la porta, ma ha la
fronte aggrottata, come se stesse riflettendo.
Come se non avesse mai pensato che potesse essere vero.
Ma poi qualcuno bussa e Vlad apre al servizio in camera.
Resta in silenzio mentre mangiamo.
«Era la tua ragazza?» Non riesco a smettere di torturarmi.
«No», risponde seccamente. «È stata solo una faccenda di
sesso. Per pochissimo tempo. Non sapevo che appartenesse a
un membro della Fratellanza. Abbiamo scopato per tutto un
weekend, e poi non l’ho più vista per due mesi. Non
m’importava. È stato sesso e nient’altro. Poi si è presentata
dicendo che era incinta e che Zima avrebbe ucciso lei e il
bambino una volta scoperto che era mio.»
Appoggio la forchetta, inorridita.
Vlad continua: «Le ho risposto “come fai a sapere che è
mio?” Lei ha giurato di esserne certa, ma io non le ho creduto.
Mi stava ingannando. Mi ha chiesto di uccidere Zima. Credo
che fosse crudele con lei… non lo so. Mi sono rifiutato. Le ho
dato del denaro, le ho detto di scappare se non era felice con il
suo uomo, ma che non volevo avere niente a che fare con lei».
Rimango ferma a fissarlo, profondamente turbata. Questa
storia ha senz’altro più di una versione. Certo, sì, sembra che
quella donna abbia cercato di sfruttarlo per liberarsi da una
brutta situazione. E se gli ha chiesto di uccidere Zima, è
proprio come lui crede che sia. Ma se Vlad ha una figlia deve
assumersi le sue responsabilità. Ma potrebbe anche avere
ragione e la storia della bambina potrebbe non essere vera.
Probabilmente dovrei credergli.
Ma le mie amiche del college avevano una regola. Fai
attenzione a come un uomo parla della sua ex, perché è così
che parlerà di te quando sarà finita tra di voi. E la rabbia che
dimostra ora mi inquieta. Ha già fatto altri commenti sulla
doppiezza e slealtà delle donne.
Non voglio finire in quel gruppo quando dovesse decidere
che sono come le altre.
«Non mi credi», dice con tono piatto. Poi scuote la testa e
borbotta qualcosa in russo, alzandosi dal tavolino dove stiamo
cenando.
«Che cosa era quella parola?» gli chiedo seccamente.
«Donne», sbotta lui.
Ed eccoci qui.
Okay. È arrabbiato. Non ho più intenzione di discuterne. Ne
riparleremo quando sarà di umore migliore.
Vedo in bagno e chiudo la porta, poi apro il rubinetto della
vasca. Mi faccio un lungo bagno, lasciandogli il suo spazio.
Prendendomi il mio.
Vlad

Mika torna alle nove. Sembra turbato.


«Cos’è successo?» gli chiedo.
Lui scuote la testa, con una piccola ruga tra le sopracciglia.
«Mangia qualcosa», gli offro.
Va al tavolo e scopre i piatti, giocherellando con il cibo e
restando in piedi.
Gli do qualche minuto e poi mi avvicino. «Siediti.» Tiro
indietro una delle sedie e mi lascio cadere sull’altra.
Mika si accomoda. Riesco a percepire la tristezza che lo
avvolge. Ma convincerlo a parlare è tutta un’altra storia.
«Anche io sono cresciuto nelle strade di Mosca», gli
racconto. «Mia madre mi ha consegnato alla Bratva, proprio
come ha fatto la tua.»
Alza gli occhi cauto, ma in ascolto.
«La odio ancora per questo.»
Alessia ci lancia uno sguardo dal divano dove stava
leggendo uno dei romanzi d’amore che ha insistito scaricassi
per lei.
Mika china la testa, con il mento tremante.
Non lo tocco. Non voglio fermare qualsiasi cosa stia per
emergere. È meglio che ne parli invece di tenerselo dentro.
«Tua madre è morta», dice il ragazzo. C’è un tremito nella
sua voce. Se lo ricorda perché eravamo nella stessa casa a
Chicago quando è successo.
«Sì.»
«Vorrei che lo fosse anche la mia.»
«Ti ha fatto un torto», concordo. Continuo ad aspettare.
Quando non dice nient’altro, gli chiedo: «Sei andato alla tua
vecchia casa?»
Un unico cenno affermativo.
«Hai dei parenti lì?»
Scrolla le spalle. Scuote la testa. Poi dice: «Mia nonna».
«Sei entrato?»
Il suo volto si accartoccia. «No.» Ora sta piangendo
apertamente. «L’ho vista dalla finestra. E sono rimasto lì. Sono
rimasto a lungo. Ma non sono voluto entrare. Non ho voluto
incontrarla.»
Ora lo tocco. Gli appoggio una mano sulla schiena. «Non
sei costretto a farlo. Non sei costretto a farlo mai più, a meno
che tu non voglia. È la tua vita. Sta a te scegliere. Ora hai me.
Me e…» Lancio uno sguardo ad Alessia, ma poi mi fermo.
Non posso tenerla con me.
Non posso garantirgli che resterà con noi, perché sarebbe
una bugia.
Alessia deve tornare a casa.
Non appena avrò capito come lasciarla andare.
«Hai me», ripeto. «E hai i soldi di Alessia. Se dovesse
succedermi qualcosa, saranno comunque tuoi. Ti mostrerò
come accedervi. E non permetterò a Victor di metterti di
nuovo tra i suoi soldati. Potrebbe provarci, ma non glielo
lascerò fare. Te lo prometto.»
L’ho spaventato esprimendogli i miei timori.
Mi fissa con grandi occhioni terrorizzati, ma poi mi getta le
braccia attorno e preme la faccia al mio petto.
Io deglutisco e gli strofino la schiena.
Alessia si alza dal divano e ci raggiunge. Accarezza il
ragazzo sulla testa.
Lui alza lo sguardo e tira su con il naso, asciugandosi gli
occhi. «Mi dispiace», ci dice.
«No», dico con più forza di quanto non voglia. «Non
scusarti. È meglio buttare tutto fuori. Lasciatelo alle spalle,
qui, a Mosca.»
Incontro gli occhi addolorati di Alessia sopra la testa di
Mika, e mi rendo conto di essermi addentrato in un territorio
dove non ho mai voluto entrare. Il regno dell’emotività. Non
ho mai messo a nudo la mia anima con nessuno, men che
meno a un ragazzino di dodici anni, sin da quando ero un
bambino. E invece eccomi qui, a fare tutto il possibile per
accertarmi che Mika possa diventare un essere umano decente,
a differenza di me.
Ed è merito di Alessia. Ha creduto che potessi farlo… ci ha
contato, e quindi l’ho fatto.
Quando è arrivata Sabina le ho mostrato il mio lato
peggiore, ma ora mi sta vedendo al mio meglio. Che in effetti
non è un granché, ma è più di quanto abbia mai fatto in tutto il
mio sordido passato.
Mi allungo per afferrarle una mano e stringerla, e lei
ricambia la stretta.
Per un momento fingo che siamo una strana e improbabile
famiglia: Alessia, Mika ed io.
Ma so che non durerà.
Non può.
Sento già la fine che si scaglia stridendo contro di noi, a
prescindere da ciò che realizzeremo questa notte.
17
Vlad

Sto cercando di non mostrare quanto sono teso, ma sia Mika


che Alessia si accorgono del mio umore mentre ci dirigiamo
verso casa di Victor. Il ragazzino è pallido e silenzioso. Alessia
continua a lanciarmi occhiate.
«Perché devi portare me e Mika?» mi chiede.
«Victor l’ha richiesto.» Non la guardo. Vorrei stringerle la
mano, ma non voglio farle sentire quanto sia fredda la mia. So
che sta per succedere qualcosa di brutto, è solo che non riesco
a capire cosa sarà.
«Parla la mia lingua?»
«No. Sei al sicuro. Non dire niente. Assumi un’aria
innocente. Non gli permetterò di farti del male.»
Lei sbianca. «E Mika?» Ha sentito quello che ho detto ieri
notte, che non avrei lasciato che Victor lo prendesse. Avrei
dovuto tenere chiusa la mia maledetta boccaccia. Ora sono
entrambi preoccupati.
«Gli dirò che è molto prezioso. Gli sto insegnando ad
hackerare e ha un grande talento. Victor ne sarà felice. Al
momento sono insostituibile. E ora che mia madre è morta,
credo che gli piacerebbe potermi rimpiazzare.»
Mika mi guarda con attenzione. Quando gli rivolgo uno
sguardo e alzo le sopracciglia, lui annuisce.
«Stai imparando in fretta, no? Sei già molto bravo per
essere una ragazzo tanto giovane.»
Sembra dubbioso.
«Lui non conosce la verità. Sa a malapena usare un
computer. Ti insegnerò tutte queste cose. Imparerai ogni cosa
che ti serve sapere per sopravvivere alla Bratva. O se non
vuoi, ti aiuterò a scappare. Sta a te scegliere. Hai una scelta. E
hai me. Non dimenticartelo.»
«Voglio restare e imparare da te.» La voce di Mika è
limpida e forte.
Io annuisco. «Bene. E così sia. Non avere paura.»
«Non ne ho», mente.
Arriviamo al lussuoso palazzo di Victor e siamo accolti
dalle guardie della Bratva al portone. Il mio pakhan possiede
tutto l’edificio, ma si è preso l’ultimo piano per farne il suo
attico. Saliamo con l’ascensore e busso alla sua porta.
Un membro della fratellanza apre e mi saluta. «Ti sta
aspettando nel suo ufficio», dice in russo. Osserva Alessia con
interesse, e io le appoggio una mano sulla nuca per attirarla a
me, esplicitando a chi appartiene.
Qui non può essere la mia sposa.
Solo la mia proprietà.
«Ah, Vladimir», mi accoglie Victor, alzandosi. Ci
stringiamo la mano. «E questo chi è?» Si erge davanti a Mika,
guardandolo con aria affettuosa e paterna.
«Mikhael Popov.»
Il mio pakhan gli appoggia una mano su una guancia. «Un
ragazzo coraggioso, che è sopravvissuto tutto solo in America.
Hai proprio ciò che serve alla Fratellanza.»
Questo è il Victor di cui anelavo l’accettazione e
l’attenzione da ragazzino. L’uomo che ho cercato con tanto
impegno di colpire, e rendere fiero di me.
Mika non si lascia vincere facilmente. «Sbasibo.»
Victor sorride e si raddrizza, girandosi verso Alessia. «E la
tua conquista italiana.»
Mi sforzo per non serrare la presa sul collo della mia donna.
La ferocia nel mio sguardo deve essere palese perché non
prova a toccarla.
Qualcuno bussa alla porta e Sabina entra. «Ho sentito che
avresti portato un’ospite americana. Posso prenderla in
prestito? Per esercitarmi con il mio inglese?» Ad Alessia dice:
«Vuoi unirti a me in cucina per un caffè, mentre gli uomini
fanno i loro discorsi?»
Dannazione.
Non ho detto ad Alessia che Sabina sarebbe stata qui ed è
pessima a nascondere le emozioni. La sua sorpresa è
inconfondibile.
«È rimasta sbalordita dal tuo inglese, mia cara», interviene
Victor, stringendo la mano della sua amante. «Sì, porta via la
ragazza. Sono sicuro che sarà felice di allontanarsi un po’ da
Vlad.»
La lascio andare con riluttanza.
Non mi piace. Nemmeno un po’. E non riesco a pensare a
un modo per mandare Mika con lei per tenere d’occhio la
situazione.
«Non preoccuparti», dice Victor. «Non può scappare da
casa mia. Ho uomini a ogni uscita.»
La mia paranoia è a pieno regime perché non capisco se sia
un avvertimento per me, o parole di conforto.
Mi costringo ad assumere un’espressione più
accondiscendente e annuisco. «Va pure», dico rigidamente ad
Alessia, che mi lancia un’occhiata furiosa prima di seguire
Sabina fuori dalla stanza.
Tiro fuori una sedia e mi accomodo davanti a Victor, che è
alla sua grande scrivania. È il momento di dimostrargli che
vale ancora la pena di tenermi con sé. E prima lo farò e potrò
andarmene via di qui, meglio sarà.

Alessia

Ma. Che. Cazzo?


Perché la ex di Vlad è qui, e mi sta portando in cucina?
Sono nervosa da morire. Non mi piace essere separata da
Vlad, soprattutto perché ho capito quanto fosse a disagio per
quest’incontro. Sono stata tenuta alla larga dagli affari della
mafia, ma so quanto basta per essere sicura che omicidi e
doppi giochi sono all’ordine del giorno.
C’è la possibilità che stia per essere ucciso.
O che stia per succedere a me.
E di certo non mi fido di Sabina e della sua falsa e
zuccherosa cortesia. Mi guida in una lussuosa cucina e mi
prepara una tazza di caffè istantaneo nel microonde.
Disgustoso.
Sul serio, i russi devono imparare a usare le macchine
dell’espresso, il prima possibile.
Mi siedo al bancone della colazione e fingo di sorseggiarlo.
Lei si accomoda accanto a me, troppo vicina. Cerco di
allontanarmi, e poi mi rendo conto che non mi sta sgomitando,
sta cercando di passarmi qualcosa.
È un cellulare.
«Victor ha detto che sei una prigioniera», mormora.
«Questo è un telefono usa e getta. Puoi chiamare la tua
famiglia per chiedere aiuto.»
Mi tendo per prenderlo con dita tremanti e me l’infilo nella
borsa. È una specie di test? Qual è il suo obiettivo?
«Perché me lo stai dando?»
«So com’è essere tenuta prigioniera dalla Bratva ed essere
una donna senza opzioni.» All’improvviso la bella bionda
sembra vecchissima.
Mi immobilizzo, iniziando a dimenticare i miei sospetti. A
questo posso credere. «Eri prigioniera di Zima?»
Mi lancia uno sguardo, sorpresa. «Te l’ha detto Vlad?»
Io annuisco.
«Che cos’altro ha detto?»
Penso a quanto rivelare. Voglio sapere la verità su questa
storia. «Crede che tu abbia cercato di convincerlo a uccidere
Zima con l’inganno.»
«Sì. Ha ragione. Zima era un uomo violento. Crudele. Non
mi lasciava mai uscire. Quindi ho cercato più in alto
nell’organizzazione per trovare qualcuno che non avesse paura
di lui. Ho provato con Vlad. Ha una posizione importante nella
Fratellanza. Dicono che sia intoccabile. Il più potente, secondo
solo a Victor. E dicono che sia il più ricco.» Rotea un
braccialetto d’oro e di diamanti attorno al polso. «Questo è
importante. Non avrei rischiato il collo per un declassamento
nella mia posizione.»
Nascondo il mio shock alla sua confessione. Vlad aveva
ragione su di lei. È davvero una manipolatrice. Tuttavia credo
alla sua storia. Immagino che sia perché non sta cercando di
nascondere i propri difetti.
«Zima era via per affari, quindi ho sedotto Vlad. Mi sono
fatta mettere incinta con l’inganno. Ho pensato che un
bambino sarebbe bastato a persuaderlo. Gli uomini adorano
riprodursi.»
Fruga nella sua borsetta e tira fuori la foto di un neonato. Le
tremano le labbra mentre me la tende. «Ma Vlad è stato
spietato. Ha rifiutato di uccidere Zima. Non voleva avere
niente a che fare con me, così ho dovuto cercare altrove.»
Sposta lo sguardo verso l’ufficio.
«Victor», indovino.
Annuisce. «Ma Victor non mi avrebbe accettata con una
figlia, quindi ho dovuto abbandonarla. Metterla in un
orfanotrofio.»
Mi si stringe lo stomaco.
Un orfanotrofio.
Dio, no.
La figlia di Vlad in un orfanotrofio russo? Com’è possibile?
Mi ha accompagnato in un posto simile. Ha visto quanto sono
a corto di personale. In che condizioni tristi versano. Detesta
davvero questa donna al punto di abbandonare la sua stessa
bambina?
«Vlad lo sa?» le chiedo con voce strozzata.
Fa un cenno affermativo, con gli occhi lucidi. «Gli ho
scritto decine di lettere. Ieri ho cercato di vederlo. Non vuole
accettare la nostra bambina.»
I miei stessi occhi si offuscano per le lacrime. Può essere
vero?
Sabina mi afferra per un polso e me lo stringe. «Tu sei
gentile. Sapevo che avrei fatto bene ad aiutarti.»
Il suono di voci mascoline filtra dalla porta e lei prende la
foto per nasconderla nella borsa. «Non dire niente», sibila.
Annuisco e mi alzo su gambe tremanti.
Mi sembra che il mondo si stia ribaltando. Stia scivolando e
si stia riassestando. Non so nemmeno se conosco veramente
Vlad. Vorrei che tutto questo fosse una menzogna.
Devo arrivare in fondo a questa storia il prima possibile.
«Andiamo, Alessia», mi ordina Vlad dalla porta.
Il suo tono autoritario non mi eccita in questo momento.
Anzi, mi fa davvero incazzare.
Stringo le labbra e getto indietro i capelli, ma vado da lui.
Non appena siamo nell’ascensore, mi ringhia: «Di che diavolo
si tratta?»
Mi volto di scatto verso di lui, furiosa. «Dimmelo tu. Che
cosa sai della bambina di Sabina?»
«Non c’è nessuna cazzo di…» L’ascensore emette un suono
e lui chiude la bocca, stringendomi troppo forte un braccio.
Mika ci segue silenziosamente. Non appena siamo sul
marciapiede fuori, dichiara: «Non c’è nessuna cazzo di
bambina. Quella donna è una bugiarda patentata e tu sei una
stupida se le credi».
Sono fermamente convinta che non si debbano usare insulti
in una relazione.
Mi gelo e la mia voce si fa bassa e pericolosa. «Non darmi
della stupida.»
Vlad si infila le dita tra i capelli. «Non intendevo questo.
Mi dispiace. Ma so qual è la verità.»
«Davvero?» insisto. «Mi ha mostrato una foto di tua figlia.
Quella che ha messo in un orfanotrofio perché non avrebbe
potuto sedurre Victor se l’avesse avuta con sé.»
Lui mi fissa, sbiancando in volto. «No.»
«Da», dico, come se gettargli addosso la parola nella sua
stessa lingua la rendesse più forte. «Ho visto la foto. Non
aveva alcun motivo per mentirmi, stava cercando di salvarmi
da te. Guarda, mi ha dato un telefono per chiamare i miei
fratelli.» Lo agito per aria come una prova.
Da pallido, il viso di Vlad si fa scarlatto.
Faccio un passo indietro.
«Capisco. Ora capisco. Ovvio che voi due stiate
complottando insieme», ringhia. «È quello che fanno le
donne… tramano e ingannano. Usate la vostra bellezza e il
vostro fascino per manipolare gli uomini e distruggere vite.
Beh, bene. Devi sapere, printsessa, che chiamare i tuoi fratelli
è stato un grosso errore. Credi che possano atterrare a Mosca
senza che la Bratva lo sappia? Senza che la Bratva li faccia
fuori prima ancora che abbiano messo piede a terra? Non
possono venire qui senza un invito. Farai meglio a richiamarli
e a dirglielo.»
Mi sento come se fossi stata colpita allo stomaco. Le
lacrime mi bruciano gli occhi. «Vaffanculo!» esclamo. «Sul
serio, Vlad. Vai a fare in culo.»
Queste parole infantili sono il meglio che posso fare. La
migliore espressione della mia rabbia e del mio dolore.
Mi giro sui tacchi e marcio lungo il marciapiede.
Sono certa che tra un momento Vlad mi sarà addosso. Poi
afferrerà e mi spingerà nella limousine. Ho intenzione di
scalciare , gridare e mordere per tutto il tempo, perché sono
stufa delle sue cazzate.
Ma non lo fa.
Non mi segue.
E all’inizio sono sollevata.
Fino a quando non mi rendo conto che c’è qualcosa di
peggio.
Peggio che essere tenuta prigioniera da un uomo convinto
che tutte le donne siano stronze manipolatrici.
È essere abbandonata da lui.

Vlad

Guardo la schiena di Alessia, il suo passo rabbioso, con il


petto dilaniato dal suo tradimento.
Un’altra donna che si è presa gioco di me.
Mi ha manipolato. Ha fatto ciò che doveva per ottenere
quello che voleva.
Ancora una volta sono il ragazzino offerto alla Bratva
perché mia madre possa assicurare il proprio ruolo di amante
di Victor.
Lasciala andare, grida quella parte ferita di me. Non aprire
mai il tuo cuore a una donna.
Ma è Alessia, e non posso smettere di tenere a lei.
«Vai con lei», ordino a Mika.
Lui mi lancia un’occhiataccia, la sua accusa palese.
Gli spingo in mano una mazzetta di denaro. «Tienila al
sicuro.»
Mi rivolge un ultimo sguardo di condanna prima di
obbedire, correndo dietro la ragazza.
Blyat.
Sapevo che stava per succedere qualcosa di terribile.
Credevo che sarebbe arrivato da Victor. Non avrei mai
immaginato che Sabina avrebbe continuato a causarmi tutti
questi problemi.
Faccio segno alla limousine di andarsene e torno al nostro
albergo, la mia avanzata alimentata dalla rabbia. Una volta
arrivato, ho deciso che devo conoscere la verità.
Mi siedo al computer ed entro nei registri pubblici. Se
Sabina ha partorito, ci saranno dei documenti a provarlo. E
dovrei riuscire a scoprire anche se ha dato quella bambina in
adozione.
Venire a capo di questa storia è il primo passo per affrontare
gli inganni di quella donna.
Alessia

«Torna indietro, Mika.»


Cammino per almeno quarantacinque minuti – fermandomi
a riposare ogni volta che mi ritrovo senza fiato – prima di
rendermi conto che anche se Vlad non mi ha seguita, Mika
l’ha fatto. È a un metro e mezzo da me, con la testa china
come una spia.
Ma il suo posto non è con me, è con Vlad. Ho un
telefono… posso chiamare i miei fratelli. Capiranno come
portarmi a casa in sicurezza. Ma Mika non può venire con me.
Voglio dire, potrebbe, ma non credo che sia l’opzione
migliore. E Vlad ha bisogno di lui.
Mi giro e lo affronto. «Mika, dovresti tornare indietro. Vlad
sarà preoccupato per te.»
Lui tira fuori una mazzetta di banconote. «Mi ha mandato
per tenerti al sicuro.»
Sospiro e accetto i soldi. Se non fossi tanto incazzata, potrei
trovarlo quasi dolce.
Quasi.
Controllo il denaro. «È abbastanza per prenderci una stanza
d’albergo?»
Mika dà uno sguardo ai rubli e annuisce.
«Allora andiamo, troviamo un posto dove stare.»
Ho già i piedi stanchi e ci aggiriamo per un’eternità perché
Mika non sa dove siano gli hotel, e io non parlo russo. Alla
fine gli dico di chiamare un taxi e di chiedergli di portarci in
un bell’albergo. Non riesco a esprimere la mia gioia quando ci
fermiamo davanti al Moscow Marriott Grand Hotel.
Mi sento già tornata in America.
E guarda un po’? Parlano persino la mia lingua alla
reception.
Ma non apprezzano la mia mancanza di carte di credito e
documenti d’identità. Devo sfoggiare il mio atteggiamento più
convincente da ragazza ricca per spiegargli che mi hanno
rubato il portafoglio e ho perso tutto. Che domani andrò
all’ambasciata, ma che al momento i piedi mi stanno
uccidendo e ho solo bisogno di una stanza per poterli
sollevare.
Funziona.
Nella nostra stanza, mi getto sul letto. Sono esausta e mi
sento così oppressa. Sono troppo stordita persino per piangere.
Mika si aggira per la camera. «Non ti dovresti controllare la
glicemia?»
«Lo farò tra poco. Perché non ci ordini da mangiare?» gli
suggerisco.
Il telefono che mi ha dato Sabina mi brucia nella borsa, ma
non lo tiro fuori. Non chiamo i miei fratelli. Non ancora.
Non perché abbia paura di cosa potrebbe dire Vlad,
nonostante anche questo mi preoccupi.
È più perché sento che qui non ho ancora finito.
Non riesco a credere che tra me e Vlad non ci sia più niente.
E non voglio andarmene così… odiandolo.
Non voglio andarmene pensando il peggio di lui.
Anche dopo le cose che mi ha detto.
È lo stesso uomo che ieri notte si è occupato del dolore di
Mika. Che ha promesso di trovarmi un rene.
L’uomo che ha reso la mia soddisfazione sessuale il proprio
unico scopo in camera da letto.
È perfetto?
Diavolo, no.
Nemmeno un po’.
Ma mi ha dato la felicità.
Più di quanta credessi possibile, soprattutto considerando le
circostanze. Con lui mi sono sentita speciale, bella e al sicuro.
Accudita. Viva. Amata.
E non voglio salire su un aereo e non vederlo mai più dopo
il modo in cui ci siamo lasciati.
Ma adesso sono troppo arrabbiata per voler fare la pace con
lui.
Ho un focoso carattere italiano e devo calmarmi.
Se fossi davvero sincera con me stessa, ammetterei che
volevo mi seguisse, mi afferrasse e sistemasse la situazione,
come ha sempre fatto. E volevo continuare a essere arrabbiata
e resistergli fino a quando non mi avesse dimostrato che
andava davvero tutto bene.
Ma non l’ha fatto. Non mi ha seguita, non si è scusato. Non
ha cercato di sistemare niente.
Almeno ha mandato Mika per tenermi al sicuro. Suppongo
sia un segnale. Mi sta davvero lasciando andare.
Chiudo gli occhi, troppo stanca persino per cercare di
riflettere su questa faccenda di merda.
Vlad

Chiamo Mika una decina di volte ma non mi risponde.


Stronzetto. A quanto pare ha preso le parti di Alessia. Mentre
sono via, ho hackerato i registri pubblici.
Sabina ha una figlia in un orfanotrofio. E sul certificato di
nascita ha scritto che io sono il padre.
Potrebbe essere vero, oppure no. La bambina potrebbe
essere di Zima. O di Victor, o di chissà quanti altri uomini che
ha cercato di manipolare perché facessero ciò che voleva.
Ma ora devo scoprire se è mia. Alessia vorrebbe che lo
facessi.
Ed è questo il pensiero che mi strazia il cuore.
Mi odia dopo il modo in cui ho minacciato le vite dei suoi
fratelli. Era la verità – Victor non gli permetterebbe mai di
mettere piede in questo paese – ma non avrei dovuto dirle una
cosa del genere. Volevo ferirla con le mie parole.
E chiaramente ci sono riuscito.
Mi strofino la fronte. Sentire che Sabina e Alessia erano in
combutta è stato uno shock. Mi ha addolorato, soprattutto
dopo il modo in cui Sabina mi ha rovinato la vita. Ma non
posso biasimare Alessia per aver accettato il suo aiuto. Io sono
il bastardo che la tiene prigioniera. Che le impedisce di tornare
a casa.
E se Alessia ha pensato il peggio di me, se ha preso le parti
di Sabina, è perché ha un debole per i bambini. L’ho appena
portata in un orfanotrofio, per l’amor del cielo. Ovvio che
venire a sapere di come avrei lasciato la mia stessa figlia a
languire in un posto del genere sia stata la cosa più terribile e
incriminante potesse imparare su di me.
Questo, e la mia minaccia di uccidere i suoi fratelli, non è
stata la mia mossa più elegante.
Cazzo.
Ho davvero fatto una cazzata.
Cerco di nuovo di chiamare Mika. Quando non mi
risponde, apro un programma di monitoraggio e scopro dov’è.
E poi tiro un respiro di sollievo. Sono in un bell’albergo. Al
sicuro.
Bene.
Domani mattina andrò lì e farò del mio meglio per
sistemare le cose.
Lascerò andare Alessia, perché merita la sua libertà. Ma
prima devo chiederle scusa, e cercare di risolvere la situazione
con la figlia di Sabina.
Vado a letto ma non dormo. Per tutta la notte continuo a
rivedere l’orrore di Alessia alle mie parole. Il modo in cui è
incespicata all’indietro e ha sussultato, come se potessi farle
del male.
E per tutta la notte il mio cuore si spezza un po’ di più.
Riesco a prendere sonno appena prima dell’alba.
E poi vengo svegliato dallo squillo del mio telefono e dalla
voce terrorizzata di Mika: «Non l’ho tenuta al sicuro, Vlad. Ha
qualcosa che non va e non si sveglia».
18
Vlad

No.
No, no, no.
Spiego a Mika come fare un’iniezione di glucagone ad
Alessia e allo stesso tempo mi getto addosso i miei vestiti per
correre fuori dalla porta. Resto sempre al telefono con lui, con
il cuore che mi batte sempre più forte sentendogli dire che non
si sveglia. Che non ha reagito.
«Ora riattacco e chiamo un’ambulanza», dichiaro con una
calma che non provo. «Poi ti richiamo subito.»
Sento lo stridio di una sirena mentre corro dentro il palazzo.
Non riesco ad aspettare nemmeno qualche minuto in più,
quindi porto la ragazza nell’atrio dell’albergo, la sua testa a
ciondoloni sulla mia spalla.
Cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Mika ha gli occhi lucidi ed è terrorizzato. «Ha detto che si
sarebbe controllata la glicemia più tardi. E poi si è
addormentata. Mi dispiace, Vlad, avrei dovuto svegliarla.»
«No. Non è colpa tua. E starà bene», gli prometto, anche se
non ne sono così sicuro. È tutto sbagliato.
Ed è solo colpa mia.
Alessia

Sono in un ospedale.
Metto a fuoco la stanza. Il basso vociare russo che viene dal
corridoio mi fornisce l’indizio successivo.
Mosca.
Ero in un albergo con Mika. E mi sono addormentata senza
prendere la mia insulina. Ma non dovrei stare così male.
Mi sento uno schifo. Stanca e stordita. Cerco di muovermi e
scopro che tubi pieni di sangue mi escono da un braccio.
Provo ad alzarmi a sedere, ma sono troppo debole. Troppo
esausta. Sollevo la testa e mi guardo intorno. «Vlad?»
Qualcosa si muove in un angolo, e il viso smunto di Mika
appare alla mia vista.
«Dov’è Vlad?»
«È qui, sta parlando con i dottori.»
«Non sto bene. Cosa sta succedendo?»
Il suo mento trema. Mi accorgo che ha gli occhi arrossati.
«Hai avuto un problema. I tuoi… non so come dirlo nella tua
lingua…» Si tocca la schiena.
«I reni?»
«Da. Un rene ha ceduto. Vlad ti fa fare un trapianto.»
La paura mi attraversa come un fulmine.
Un trapianto.
Sono già a questo punto? È così grave? È ciò a cui ho
evitato persino di pensare sin dalla mia diagnosi in Italia. Il
mio più grande timore.
E ora sta succedendo. Un rene ha ceduto. I tubi di sangue
devono essere la dialisi. Oh Dio, il mio corpo mi ha tradito.
E sono tutta sola in Russia. Niente famiglia e niente amici.
Mi si annebbia la vista. Non mi sono sentita tanto
spaventata o isolata per tutto il tempo che sono stata qui.
Nemmeno al mio arrivo a Volvograd, quando non sapevo cosa
Vlad avesse in serbo per me. Niente è paragonabile al terrore
che provo in questo momento.
Non mi piace trovarmi in questo letto d’ospedale, con tubi
che mi escono da un braccio, circondata da infermiere che
parlano solo in russo.
«I tuoi fratelli stanno arrivando», dice Mika, come se
avesse indovinato i miei pensieri.
Esito. Cerco di nuovo di sedermi, ma è troppo faticoso.
«Davvero?»
«Da. Vlad ha chiamato Junior, gli ha detto di venire.»
Sprofondo nel cuscino, e mi sento inondare di sollievo.
Andrò a casa.
Ma non ho ancora risolto le cose con Vlad. Ho bisogno di
vederlo. Mi sento strappata a metà, aperta in due, senza di lui
al mio fianco.
«Dov’è Vlad? Ho bisogno di lui.»
Mika serra la mascella. «Ora non può venire. È con i
dottori.»
Mi tendo per toccargli una manica. «È davvero qui, Mika?
O mi stai mentendo?»
La sua preoccupazione sembra reale. «Nyet.» Si lancia
un’occhiata dietro una spalla. «Vado a vedere se i dottori
hanno finito con lui.»
Il mio sollievo ha una breve durata, perché non voglio
essere lasciata da sola in un ospedale dove non parlo la lingua
e non conosco nessuno. «No, aspetta…» lo chiamo mentre si
dirige verso la porta. «Non mi lasciare. Ti prego.»
Torna indietro. «Vlad è qui», dice con fermezza, come se
temesse che non gli credessi. «Ti sta procurando un rene.»
«Okay. Allora lo aspetteremo. Cosa possiamo fare?» Alzo
lo sguardo sulla televisione appesa alla parete.
Mika l’accende e scorre i canali, ma tutte le trasmissioni
sono in russo. «Lo so», esclama, recuperando il tablet dalla
sedia nell’angolo. Si mette accanto a me e l’accende. «Ti piace
Friends?»
Faccio una risata lacrimosa. Mi era parso di averlo visto
guardare questa serie quando eravamo a Las Vegas. Mi
appoggia il tablet in grembo e lo guardiamo insieme, mentre il
tempo scorre con interminabile lentezza.

Vlad

Quando mi sveglio dopo l’operazione, ho gli occhi


annebbiati dai farmaci. Nonostante gli antidolorifici sento
l’incisione, la perdita del mio organo. Cerco di mettere a fuoco
la vista, e mi accorgo della figura scura e ben vestita che
incombe su di me.
Mi preme la bocca della pistola contro una tempia. «Dammi
una buona ragione per non spararti.»
Junior. E dietro di lui ci sono i due fratelli Tacone
dell’attività di Chicago, Gio e Paolo.
Batto le palpebre, senza timore. Se vogliono uccidermi,
possono farlo. Me lo merito. Credo di aspettarmi di morire per
mano loro sin da quando ho deciso di rapire Alessia.
Ho fatto un torto a loro sorella e ora lei giace in
convalescenza in un letto d’ospedale perché non sono
nemmeno riuscito a tenerla al sicuro.
Quindi no, non ho una buona ragione per cui non dovrebbe
spararmi.
In un angolo della stanza noto un movimento. Non è un
altro fratello. È Mika, pallido e spaventato, con occhi sgranati
che gli prendono quasi tutto il viso.
Mi si stringe il petto. Il ragazzino ne ha passate di tutti i
colori. Prima sua madre lo ha abbandonato. Poi l’intera Bratva
di Chicago viene spazzata via dall’uomo davanti a me. Infine
lo riporto in Russia e gli insegno a fidarsi di me, solo per finire
con una pistola puntata alla testa per morire di fronte ai suoi
occhi. Beh.
Allora forse una ragione c’è.
«Lei non vorrebbe che lo facessi», mormoro, la mia voce
roca dopo essere stato intubato.
Questo è vero. La conosco abbastanza da saperlo.
«E perché?» ringhia Gio dietro a Junior.
Sposto lo sguardo su Mika, e sollevo il mento nella sua
direzione. «Non vorrebbe che lo lasciaste orfano una seconda
volta.»
Junior gli lancia un’occhiata. È un uomo duro e violento.
Ha fatto fuori da solo un’intera cellula della Bratva. Studia il
ragazzo. «Come ti chiami?»
Mika deglutisce. «Mikhael.»
L’uomo reclina la testa verso di me. «Vuoi che viva?»
Mikhael annuisce, un minuscolo e rapido movimento che
non si ferma.
«Va bene. Mi sembra giusto. Immagino te lo dobbiamo.»
Allontana la pistola dalla mia tempia, e l’arma svanisce in una
fondina dietro la sua schiena.
«Come sta?» Cerco di muovermi e sussulto per il dolore.
«Vivrà.» Lo sguardo di Junior è severo. «Abbiamo con noi
il nostro dottore e ora la porteremo a casa per la
convalescenza. Se proverai a riavvicinarti a lei, ti taglierò le
palle.»
Annuisco in assenso. Me lo merito.
«E stai alla larga dal mio cazzo di paese. Se ti rivedo in
America sei un uomo morto. Capiche?»
«Da.»
«Da», mi deride Paolo. «Russo del cazzo.» I Tacone
lasciano la stanza.
Chiudo gli occhi per il sollievo. Non perché mi hanno
risparmiato, ma perché Alessia ce l’ha fatta. Il trapianto ha
avuto successo e ora ha il mio rene.
Sono riuscito a rimediare nonostante abbia quasi causato la
sua morte.
Quando ho scoperto che le aveva ceduto un rene ho
chiamato Junior e gli ho raccontato tutto. Gli ho detto di venire
subito per riportarla a casa appena conclusa l’operazione.
Victor ha accettato di lasciarli venire, ma solo perché ho il
loro denaro. Non sa che gliel’ho restituito settimane fa, anche
se ho lasciato pieno il conto di Mika.
Prima di andare sotto i ferri gli ho mostrato dov’è e come
accedervi in caso mi fosse successo qualcosa. Voglio che abbia
delle possibilità al di fuori della Bratva, se così dovesse
scegliere.

Alessia

Quando mi sveglio dopo il trapianto, sono da sola nella


stanza.
Di nuovo il mio più grande timore. Dov’è Mika? Perché
Vlad non è venuto a vedermi?
La porta si apre e tre dei miei fratelli entrano. Sono Junior,
Gio e Paolo.
«Eccola qui, a occhi aperti questa volta», esclama Gio con
la falsa allegria che si usa con gli ammalati o i minorenni.
Dovrei essere felice di vederli, ma ho solo paura per Vlad.
Gli hanno fatto del male? Non ho avuto la possibilità di
chiedergli di non farlo.
«Dov’è Vlad?»
Paolo si acciglia. «Si sta riprendendo.»
Cerco di sollevarmi, ma fa troppo male. «Che cosa gli avete
fatto?»
Junior mi rivolge uno strano sguardo. «Ti ha appena dato un
suo rene. Non lo sapevi?»
Rimango a bocca aperta. «No.» Ora tutto è chiaro. Ecco
perché era con i dottori invece che nella mia stanza prima
dell’operazione.
«È l’unico motivo per cui non gli ho piantato una pallottola
in testa», continua mio fratello maggiore. «Questo, e perché
nella sua stanza c’è un ragazzino che sembra tenere alla sua
vita.»
Batto le ciglia per scacciare le lacrime. «Non… non fargli
del male. Ti prego.»
La sua espressione si ingentilisce. Mi stringe una spalla.
Anche Paolo e Gio si avvicinano. Gio mi prende per mano e
Paolo mi dà una pacca su una gamba.
«Cazzo, non sai quanto mi dispiace che sia successo
questo», dice Junior. «Tutto questo.» Fa un cenno verso la
stanza. «È colpa mia se la Bratva ti ha rapita. Non ti ho tenuta
al sicuro. Ho sbagliato.»
Inizio a piangere. «No.» Agito le mani. «Non incolparti. Mi
dispiace solo di aver rovinato il tuo matrimonio.»
Lui sembra incredulo. «Vorrai scherzare. Ti stai scusando
per aver rovinato il mio matrimonio. Piccola…» Mi tocca una
guancia con il dorso delle dita. Si schiarisce la gola come se
gli si stesse chiudendo. «Sono felice che tu stia bene. Ti ha
fatto del male? Perché sul serio, lo farò a pezzi se…»
«No, Junior», lo interrompo. «In realtà è stato… dolce. Fino
a ieri, quando abbiamo litigato.»
«Ora ti portiamo a casa, sorellina. Abbiamo con noi il
nostro medico e un jet privato», dice Gio.
Riappoggio la testa sul cuscino e chiudo gli occhi. Sto
andando a casa.
Dovrei essere felice.
Ma non lo sono. Sono solo… vuota.
19
Vlad

«Ecco, dalla pure a me.» Prendo la bambina da Svetlana,


l’esausta bambinaia, e la porto fuori. Le mormoro paroline
dolci e lei smette di agitarsi, singhiozzando piano contro il mio
collo.
Si chiama Lara, ed è mia. Ha sette mesi, ed è la bambina
più carina che abbia mai visto.
Se non fosse per lei e Mika, non mi prenderei più la pena di
fare niente. Di mangiare. Dormire. Vivere.
Ma con i figli, la vita va avanti. Hanno bisogno di noi,
quindi dobbiamo darci da fare.
Così pare.
Ma ogni giorno trascorso a Volvograd mi uccide. Stare nella
proprietà senza Alessia mi sembra sbagliato.
Tutto qui mi ricorda lei. Vedo il suo bellissimo viso
ovunque mi volti.
Cammino fino al lago e torno indietro, e la bimba si
addormenta contro il mio petto. La riporto dentro casa e la
rimetto con cura nella sua culla.
Mika è al portatile che gli ho comprato, con una pagina
Facebook aperta.
«Che cosa stai facendo?» Lancio un’occhiata sopra una sua
spalla e mi si spezza il cuore. È sul profilo di Alessia. La
ragazza mi sorride da una sua foto con tocco e toga.
Mika chiude di colpo il portatile come se lo avessi scoperto
a guardare del porno.
«Sei in contatto con lei?»
Scrolla le spalle.
Rimango lì sentendomi perso per un istante, incerto di
come reagire allo tsunami di emozioni che mi sta
attraversando in questo momento.
Il ragazzino mi dà uno sguardo. «Perché non andiamo a
prenderla?»
Uno sbuffo sorpreso mi sfugge dalle labbra. «Non è
possibile. Hai sentito cos’ha detto suo fratello. Se vado in
America sono morto.»
Mika mi osserva pacato. «Tu non hai paura di loro.»
Ha ragione. Non ce l’ho. Ricambio il suo sguardo. «Come
fai a saperlo?»
Lui fa il suo solito scrollone. «Non eri spaventato nemmeno
quando ti stavano puntando un’arma alla testa.»
«Mi sono rassegnato alla morte molto tempo fa.
Perversamente credo che sia proprio questo a tenermi in vita.»
Mika giocherella con il portatile, aprendo e chiudendo il
coperchio del dispositivo. «Però io ti ho visto terrorizzato.»
«Sì?» Non sono certo di voler sapere dove sta andando a
parare.
«Quando ho puntato la pistola ad Alessia. E quando lei è
stata male.»
Mi sento come se mi stessero sviscerando. «Quindi?»
«Quindi perché non stiamo andando a prenderla?»
«Perché non vuole che lo facciamo. Non vuole che io lo
faccia», mi correggo, non volendo che Mika si senta
abbandonato anche da lei.
Blyat, probabilmente è proprio così che si sente.
«Non le hai mai chiesto scusa», mi accusa.
Ed è un dolore con cui convivo ogni giorno.
Mi affondo le dita tra i capelli. «Non vuole vedermi. E non
ho intenzione di turbare di nuovo la sua pace.»
È meglio così.
La bambina si sveglia e ricomincia a piangere.
Torno a prenderla. «Lo so, piccola. So esattamente come ti
senti.»

Alessia

Sono sdraiata a bordo piscina sul tetto del Bellissimo e


guardo il tramonto. Un cameriere mi porta una Caesar salad,
ma io la lascio intoccata sul tavolo accanto a me. Mangiare è
solo una seccatura in questi giorni.
Sondra galleggia in acqua, l’unico posto dove vuole stare
con la sua grossa pancia rotonda. Di recente Nico ha fatto
installare una piscina privata quassù per sua moglie e sua
cognata. Immagino che lui e Stefano non potessero sopportare
che le loro donne venissero adocchiate dal pubblico nelle
piscine per gli ospiti.
I miei fratelli hanno portato in Russia il miglior nefrologo
degli Stati Uniti quando sono venuti per me. Sono stata
caricata su un jet privato con un costosissimo chirurgo a
occuparsi di me. La mia guarigione è stata perfetta.
Per la convalescenza mi hanno portata a Las Vegas invece
che a Chicago. Hanno pensato che al Bellissimo ci sarebbero
stati moltissimi dipendenti pronti a servirmi in tutto e per tutto.
O magari volevano solo distrarmi dal mio crepacuore. È
venuta anche mia madre e sta facendo del suo meglio per
tirarmi fuori dalla mia depressione. Ma non riesco a
liberarmene.
Sono passati tre mesi e sono guarita quasi del tutto
dall’intervento. Mi hanno anche dato il permesso di fare
esercizio. Il mio corpo non ha rigettato il rene di Vlad. E
neanche il mio cuore.
Il fatto che fosse compatibile mi sembra destino. Come se
fosse scritto in cielo che dovessi essere salvata da Vlad e dal
suo rene.
È stupido, ma ogni volta che penso che una parte di lui è
dentro di me, mantenendomi in salute, il rumore e l’ansia che
mi tormentano da quando ho lasciato la Russia diminuiscono.
Non ho sentito una sola parola da lui.
Senza dubbio c’entrano i miei fratelli. Ma in ogni caso… fa
male.
So che significavo qualcosa per lui. Sono stata più di uno
scambio finanziario o di una vendetta. Si è dato a me. Si è
aperto. È cambiato.
E mi manca da morire.
Mi manca il sesso fantastico. Mi mancano le nostre
passeggiate fino al lago. Mi manca quell’energia… il modo in
cui mi sentivo sempre osservata, apprezzata, ammirata.
Mi manca Mika, anche se fortunatamente si è fatto vivo su
Facebook, quindi ogni tanto chiacchieriamo. Ho ripreso a
fargli lezione, che è il mio unico momento di gioia in questi
giorni. Ho anche fatto una generosa donazione all’orfanotrofio
di Volvograd, e nella lettera di ringraziamento che la direttrice
mi ha mandato c’era scritto: Siamo sbalorditi e grati per il suo
ulteriore dono. La generosità di suo marito ha già fatto una
grande differenza.
Nico esce sulla pedana. Non porta la giacca ma sembra
ugualmente troppo vestito per essere a bordo piscina.
Sondra gli sorride dall’acqua, e lui si avvicina, chinandosi
verso di lei. Quando le appoggia una mano dietro la testa e la
attira a sé per un bacio, distolgo lo sguardo per lasciargli la
loro privacy.
Adoro vedere i miei fratelli innamorati, ma ogni bacio o
tocco a cui assisto mi ricorda Vlad. E la nostalgia non è
diminuita con il tempo. È diventata solo più forte.
Poi Nico raggiunge la sdraio su cui sono stesa, e io tengo la
testa china sull’ultimo romanzo di Tessa Bailey che sto
leggendo. Persino le coppie di fantasia che si innamorano mi
deprimono. Sono stufa dei tentativi della mia famiglia di
trascinarmi in una conversazione. Preferisco crogiolarmi nella
mia miseria, è meno doloroso.
Prende una sedia e si accomoda accanto a me.
Dannazione. Ecco che ci risiamo.
«Parlami», dice.
Metto giù il libro e abbasso gli occhiali da sole. «Di cosa?»
«A cosa stai pensando? A Vlad?»
È la prima volta che chiunque fa il suo nome da quando
sono tornata. È sempre stato quello stronzo di un russo, o altre
colorite oscenità italiane.
Mi si riempiono gli occhi di lacrime persino prima che
riesca a tirare il fiato.
Il viso di Nico si riempie di compassione. «Lo ami.»
Mi trema il mento. Annuisco.
«Anche lui ti ama.»
Distolgo lo sguardo perché sentirlo mi fa troppo male. Se
fosse vero, perché non è venuto per me? Perché non ha
nemmeno cercato di venire a trovarmi in ospedale mentre ero
in Russia? O comunicare con me da quando sono tornata?
Forse mi ama, ma di certo mi ha lasciata andare.
«L’ho capito dalla prima videochiamata», continua mio
fratello. «Ho visto il modo in cui ti guardava. E quando hai
detto che non ti aveva fatto del male, ho intuito che avevo
ragione. Se avesse voluto il mio denaro, non l’avrebbe tirata
tanto per le lunghe. Avrebbe preso i soldi e ti avrebbe
restituita. O uccisa. Ma non ti avrebbe portata in Russia per
prenderti in moglie. Quello è stato perché era affascinato da
te.»
Mi pizzica il naso. Una lacrima mi scivola lungo una
guancia.
«Conosci la sindrome di Stoccolma?»
«Nico, chiudi il becco.» Gli lancio un’occhiataccia,
strappandomi dal viso i miei occhiali Chanel per asciugarmi
gli occhi.
Lui solleva le mani in un gesto di resa. «Sto solo dicendo
che potrebbe essere quella la ragione del tuo attaccamento. O
magari è amore. È difficile dirlo senza rivederlo.»
Rimango a bocca aperta. Il mio cuore inizia a battere
all’impazzata.
Sta suggerendo quello che credo? L’idea riporta alla vita
tutte le cellule del mio corpo.
Si infila una mano in tasca e tira fuori una busta
accartocciata. «Ti ha mandato una lettera. L’ho aperta per
primo per controllare che non ti avrebbe ferita.»
«Stronzo!» Gliela strappo di mano. «Non puoi leggere la
mia posta.»
Sondra ci lancia uno sguardo dall’acqua, sorpresa dal tono
della mia voce. Sono certa che non senta spesso persone che
parlano così a Nico. È il tipo che governa il casino con il
pugno di ferro, spazzando via i dipendenti pigri con una sola
occhiata.
In questo momento mi sta guardando con un’espressione
che dice: Faccio quello che voglio perché sono io che
comando.
Lo fisso di traverso, ma non è perché ha letto la mia posta.
È che stringere la lettera di Vlad manda in subbuglio le mie
emozioni. Mi alzo e raduno e le mie cose, infilando la busta
nella borsetta. Non ho intenzione di leggerla mentre lui mi
osserva, anche se sa già cosa c’è scritto.
«Okay», dice Nico, alzandosi con me. «Se hai bisogno di
vederlo, organizzeremo un incontro. Sai, per concludere la
faccenda o quel che è.»
Mi blocco, riflettendo sulla sua offerta.
Una conclusione. Di certo è qualcosa che mi manca.
Ma non sono sicura che sia quel che voglio.
Però sì, è bastato il suggerimento di rivedere Vlad a farmi
battere forte il cuore.
Deglutisco e annuisco. «Okay, grazie.» Improvvisamente
dispiaciuta per il mio scoppio, mi sporgo per dargli un bacio su
una guancia. «Buonanotte, Nico.»
«Non è l’ora di andare a dormire», nota lui.
«Vado a fare lezione a Mika. Dovrebbe essersi appena
svegliato.» Guardo il mio telefono. «Chiamerò la cucina per la
cena.»
«Va bene. Vedi di farlo», dice alla mia schiena mentre mi
allontano. «Ho visto che non hai toccato la tua insalata.»
Roteo gli occhi. «Ho già una madre, non me ne serve
un’altra», gli rispondo.
Prendo l’ascensore per il mio piano ed entro in camera. Tiro
fuori la lettera e la stringo tra dita tremanti.
Ma non sono pronta per leggerla perché una volta che
l‘avrò fatto, sarà finita. Il mio unico contatto con Vlad.
E io non voglio che finisca.
Quindi infilo la lettera chiusa sotto il cuscino per leggerla
prima di andare a dormire, e poi ordino un panino con le
patatine al servizio in camera.
Mika mi videochiama alle sette e mezza precise, che per lui
sono le sei e mezza del mattino. Probabilmente punta la
sveglia presto per essere pronto a quest’ora. È molto dolce.
Per tutto il periodo in cui abbiamo parlato, ha continuato i
suoi studi. Io non ho fatto il nome di Vlad e lui nemmeno.
Avevo l’impressione che sentire qualsiasi cosa che lo
riguardasse mi avrebbe uccisa.
Ma questa notte è diverso, ora che Nico ha aperto i
boccaporti parlandomi di lui e portandomi la sua lettera.
Ora che Vlad è fresco nella mia mente e la possibilità di
vederlo è a portata di mano.
«Ehi, Mika», lo saluto, sedendomi alla scrivania e
sistemando lo schermo per vederlo. Ha i capelli scompigliati e
sembra assonnato. «Ho corretto i tuoi compiti e te li ho
rimandati. Aprili così possiamo riguardarli insieme.»
Lui clicca sul computer e annuisce non appena è pronto.
Ripassiamo le sue lezioni di inglese, matematica e scienze.
«Mika?» gli chiedo quando abbiamo finito.
«Da?»
Stringo le labbra, con il cuore che riprende a galoppare.
«Come sta Vlad?» La mia voce è strozzata.
Con mio orrore, la sua espressione si fa tormentata. Scuote
la testa. «Non bene.»
Mi sporgo in avanti sulla sedia. «Cosa significa non bene?»
Lui si stringe nelle spalle come al solito. «Non bene. È…»
Lancia un’occhiata verso la porta. Quando si gira, sta facendo
una smorfia. «Ha avuto dei problemi… dopo l’intervento.» Si
indica la schiena. «Non è guarito bene. È piuttosto malato.»
«Cosa? Cristo, Mika, perché non me l’hai detto prima?» Il
sangue mi pompa nelle vene a gran velocità. «Oh, mio Dio, è
stato dal dottore? Che cosa stanno facendo per lui?»
Il ragazzino sembra vagamente spaventato dalla mia
reazione. «Beh… non lo so con esattezza.»
«Certo che no.» Mi tamburello un dito sulle labbra. «Dov’è
ora? A casa? Sei a Volvograd?» È una domanda stupida. So
che sono lì perché riesco a vedere la sua stanza sullo sfondo. È
solo che sono in preda al panico.
«Sì. Credo che dovresti venire» risponde lui. «Dovresti
prenderti cura di lui fino a quando non guarisce. Voglio dire,
se ora tu stai bene.»
Mi brucia il naso. «Sì, sto meglio. Molto meglio, in effetti.»
Non riesco a credere che Vlad stia soffrendo perché mi ha dato
uno dei suoi reni. Il pensiero mi fa inorridire. Per tutto questo
tempo ho creduto che non si fosse messo in contatto perché si
era stancato di me. Come ha sempre detto che sarebbe
successo. O perché voleva garantirmi la libertà che io gli ho
sempre chiesto. Non perché stesse male. Per via delle
complicazioni dell’intervento con cui mi ha salvato la vita.
Gesù.
«Okay, Mika. Ora vedo come venire lì. Non dirgli niente,
okay?» So tutto dei maschi alfa che non vogliono dimostrare
debolezza. Probabilmente non vorrebbe che lo vedessi in
questo stato.
Il ragazzino sembra sollevato. Annuisce in fretta. «Non lo
farò. Verrai davvero? Quando?»
«Non lo so. Ora valuto e ti faccio sapere. Ricorda… non
dire niente.»
«Non lo farò», giura ancora.
Non appena chiudo la chiamata, all’improvviso ho una
fame da lupi. Quando sono tornata in America, la mia famiglia
ha insistito perché usassi una pompa di insulina che mi
fornisse di continuo la medicina, quindi non devo più fare le
iniezioni e la mia glicemia è stabile. La odio… mi fa sentire
debole e fragile, e non sopporto di avere una cosa attaccata al
mio corpo.
Forse mi manca solo avere Vlad che si prende cura di me.
Mentre mangio la cena e mi preparo per andare a letto,
continuo a pensare alla lettera sotto il mio cuscino. Alla fine,
quando non riesco più ad aspettare nemmeno un momento, la
tiro fuori e la leggo.
È scritta a mano. Buffo che il mio russo tanto tecnologico
non mi abbia mandato una semplice email. Che scelta
all’antica.

Cara Alessia,
Mi dispiace
Per tutto. Per averti rapita e portata in Russia. Per
averti tenuta lontana dalla tua famiglia, che ami
così tanto. Per non essere stato presente per
controllare la tua glicemia la notte in cui il tuo
rene ha ceduto.
Ma soprattutto, per aver perso la calma davanti
casa di Victor. Perdonami. Ti ho messa nella stessa
categoria di Sabina, ma voi due non avete niente
in comune. Lei pensa solo a sé stessa. Tu tieni a
chiunque ti circondi. Porti gioia e amore ovunque
tu vada, e sento la mancanza del tuo bellissimo
viso ogni giorno che passa.
Non avanzo alcuna pretesa su di te. Sei libera,
ovviamente. Volevo solo che sapessi che soffro
senza tregua sapendo che ti ho ferita. Se potessi
rimangiarmelo lo farei, zaika.
Ti prego, abbi cura di te.
Hai il mio rene, ma hai anche il mio cuore.
Ti chiedo solo di non odiarmi.
Tuo,
Vlad

Mi asciugo le guance bagnate. È perfetta. Semplice e


diretta. C’è tutto ciò che avevo bisogno di sentire.
E lui non sta bene.
Prendo il telefono e chiamo Nico.
«Alessia.»
«Vado in Russia.»
Lo sento sospirare. «Non da sola, no.»
«In realtà, sì.» Ci ho riflettuto. Ricordo cosa ha detto Vlad.
Non credo che farebbe del male ai miei fratelli di proposito se
venissero con me, ma potrebbe sempre aver lasciato degli
ordini in precedenza. E non ho intenzione di dirgli che sto
arrivando. «Per voi non è sicuro.»
«Oh, e per te lo è?» chiede lui.
«Assolutamente.» Non sono sicura che sia vero. So che
sono al sicuro con Vlad. Non sono certa del resto della
Fratellanza, ma sono disposta ad affidarmi alla sua influenza
per arrivare sana e salva fino a lui.
Nico impreca in italiano, una lingua sfilza di notevoli
parolacce. Poi dichiara: «Non senza il permesso del nefrologo.
Prima chiama lui. E se te lo concede, ti voglio comunque
sentire due volto al giorno, o verrò là a prenderti. Capiche?»
«Sto prenotando un volo per Volvograd in questo
momento», replico. «Ti mando i dettagli per messaggio.»
20
Alessia

Ho un milione di preoccupazioni nella mente, ma è come se il


mio corpo non avesse recepito il messaggio. Festeggia per
tutto il volo fino a Volvograd. Mi sento leggera. Felice.
Emozionata.
Mika mi ha scritto l’indirizzo e mi ha spiegato esattamente
cosa dire al tassista per arrivare alla villa. Me l’ha anche
mandato per messaggio in russo, e io l’ho stampato per
mostrarlo al tizio nel caso il mio accento facesse troppo schifo.
Arrivo nel pomeriggio. Ci sono meno guardie di quante ne
avesse quando c’ero io. Immagino fossero per tenermi
prigioniera. Vedo solo un uomo fuori quando la macchina si
ferma, e mi fa un cenno come se mi riconoscesse.
Mika esce di corsa, e poi si ferma infilandosi le mani nelle
tasche, imbarazzato.
«Vieni qui e dammi un abbraccio», esclamo, e lui scatta in
avanti. «Sei cresciuto.» Rido e gli scompiglio i capelli.
È bello essere di nuovo qui. Tutto nella villa è un bel
ricordo. La realtà è che qui non mi sono mai sentita
prigioniera. Solo un’ospite un po’ limitata. Sono felice persino
di vedere il volto arcigno di Zoya.
«Dov’è Vlad?» chiedo. Oh Dio. Da quanto tempo sta così?
«È al lago. Dovresti andare da lui e aiutarlo», mi dice Mika,
prendendomi la borsa. Yegor si sta già occupando delle mie
valige.
Grazie a Dio. Almeno non è costretto a letto. Mi
incammino lungo il sentiero che ho fatto con lui tantissime
volte. Era il momento della giornata che preferivo quand’ero
qui. A metà strada c’è ancora la panchina. Mi fermo a
respirare. Nonostante abbia ripreso ad esercitarmi sono ancora
debole. Anche Vlad deve usarla ora?
Poi mi affretto, divisa tra l’eccitazione e l’ansia. Raggiunto
il lago, resto sbalordita vedendo il corpo muscoloso di Vlad in
mezzo all’acqua.
Sta nuotando. Nel lago gelido.
È bellissimo. E perfettamente in salute.
Esce e prende un telo da sopra l’erba per asciugarsi il viso.
Il suo fisico è sodo e in forma. Non appena abbassa il telo mi
vede.
«Alessia!» La sua voce profonda si alza in un grido.
Il cuore mi balza in gola.
Ma poi una spilungona bionda si alza dal dondolo, e lo
stomaco mi sprofonda sotto i piedi.
No. Cazzo, è impossibile. Non ho fatto tutta questa strada
per essere umiliata dalla sua nuova amante.
Incespico all’indietro.
«No.» Lui inizia a correre verso di me.
Il mio cervello si è già spento. Devo essere in modalità
“combatti o scappa” perché come una preda ferita, mi giro e
fuggo.
«Alessia! Fermati. Aspetta!»
Se avevo qualche dubbio sulle sue condizioni dopo
l’intervento, svaniscono nell’istante in cui mi raggiunge in
cinque secondi netti.
Mi afferra per la vita e mi solleva i piedi da terra. «Aspetta.
Alessia. È la bambinaia. Per Lara… la bambina. È la
bambinaia. Non scappare.»
Mi placo, lasciandomi andare tra le sue braccia. Mi rimette
sull’erba e mi volta verso di sé, continuando a tenermi un
braccio intorno alla vita. «Non c’è nessun’altra donna, zaika.»
Mi spinge indietro i capelli e poi mi stringe il volto tra
entrambe le mani. «Non ci sarà mai nessuno al di fuori di te.»
Mi bacia prima ancora che possa rispondergli. Come se non
potesse aspettare di assaporarmi. Come se fossimo amanti
divisi da tempo, che non vedono l’ora di tornare ad
abbracciarsi.
Immagino che sia proprio ciò che siamo.
Mi tremano le ginocchia mentre si gusta il mio sapore,
premendo la bocca sulla mia con più tenerezza di quanto mi
abbia mai dimostrato. Si prende il suo tempo, esplorando con
cura le mie labbra prima di spingergli in mezzo la lingua,
accarezzandomi e leccandomi.
È il bacio del secolo.
«Sei venuta», dice meravigliato, muovendo un pollice sulla
mia guancia.
«Sì, beh…» Sono senza fiato. Ancora turbata per la
bambinaia, anche se ora mi ha spiegato la questione. «Mika ha
detto che non stavi guarendo. Ma chiaramente mi ha mentito.»
Vlad si tocca la cicatrice sull’addome, il suo viso serio.
«Non sono guarito», dice.
Mi gira la testa, rendendomi conto che non sta parlando
dell’intervento.
«E tu?»
Faccio un segno di diniego.
Mi bacia di nuovo, come per farmi una domanda. Poi mi
solleva perché gli stringa le gambe attorno alla vita e si avvia
verso casa. Dietro di lui, vedo la bambinaia affrettarsi,
portando la sua bambina.
Ha una figlia.
E si è assunto le sue responsabilità.
Mi si riempie il petto di calore. Gli avvolgo le braccia
attorno al collo.
Dopo qualche momento, mi accorgo che ha intenzione di
portarmi per tutta la strada. «Puoi mettermi giù.» Rido. «Mi
sto ancora riprendendo, ma non resto più così senza fiato.
Grazie a te… e al tuo rene.»
«Non voglio lasciarti.» C’è un che di testardo nel suo tono.
Sorrido.
«Mi dispiace per come ti ho trattata a casa di Victor.»
Guarda alle mie spalle per controllare dove sta andando.
Gli infilo le dita tra i capelli. «Lo so. Ho ricevuto la tua
lettera. Grazie.»

Vlad
Non sono mai stato credente. Non ho mai dato molto
credito a parole come sacro o santo. Ma mentre stendo la mia
bellissima sposa sul nostro letto, è con una reverenza al di là di
ogni reame spirituale.
E lei me lo lascia fare.
La spoglio lentamente, un indumento alla volta, e Alessia
mi guarda, con le ciglia abbassate, il ventre fremente e le
labbra socchiuse.
È venuta qui di sua spontanea volontà.
Per me è un miracolo per cui sarei disposto a mettermi in
ginocchio.
Questa volta non si sta sottomettendo alla mia volontà, si
sta offrendo. È diverso. E speciale, è un momento che non
potrò mai dimenticare.
«Cos’è questo?» Porta un dispositivo medico che la fa
sussultare e arrossire quando lo scopro.
«Una pompa di insulina. Me la tolgo, la detesto.»
Reclino la testa, osservando come fa e notando ogni
dettaglio per poterla aiutare la prossima volta. «Mi sembra una
buona idea.»
Lei si stringe nelle spalle. «Preferirei che mi monitorassi
tu.»
Ed è allora che cado in ginocchio sul serio. Sono sul letto
ma fa lo stesso. Le sue parole ispirano un vero risveglio
spirituale.
Le bacio l’interno coscia, lecco il suo ventre piatto. Prendo
un capezzolo turgido in bocca. Alessia si inarca, gemendo
piano.
È una dea.
Il divino femminile.
È donna in un modo in cui non ho visto nessun’altra. Pura,
potente e portatrice di vita.
«Sei venuta», mormoro di nuovo meravigliato. Non riesco
ancora a credere a questo miracolo.
«Sono qui», dichiara.
Le appoggio una mano sul monte di Venere mentre passo
all’altro capezzolo. È bagnata, lubrificata e pronta per me.
«Bellissima, bellissima donna», sussurro. È un rito sacro.
Io, in adorazione del suo corpo.
Mi faccio indietro e le apro le ginocchia per banchettare tra
le sue cosce. I suoi umori mi scorrono sulla lingua mentre
lecco le piccole labbra e succhio il suo clitoride gonfio.
«Dimmi, zaika», le chiedo, stringendole il sedere con
entrambe le mani per tenerla ferma, leccandola più
aggressivamente.
Alessia geme, muovendo su e giù i fianchi. «Cosa, Vlad?»
«Sei qui per restare? O è solo una visita?» Non so perché
glielo stia chiedendo ora. Perché rovinare un momento così
bello?
Ma devo saperlo. Questa sarà la mia ultima volta con lei? O
è un nuovo inizio per noi?
«Non per restare», ansima, e il cuore mi si rattrappisce,
nonostante sospettassi già che quella sarebbe stata la sua
risposta.
«Non voglio stare lontana dalla mia famiglia, Vlad. Due dei
miei fratelli aspettano un figlio questo autunno.»
«Capisco.» Ho la voce strozzata, ma non ho intenzione di
fermarmi. Merita ciò che darei a Dio e alla Madre Terra.
«Torna negli Stati Uniti con me, Vlad», mi chiede, usando i
miei capelli per alzare il mio viso dal suo splendido sesso.
Mi sollevo su di lei e apro la zip dei jeans, trovo un
preservativo e me l’infilo. «Ora ho Mika», l’avverto. «E Lara,
la bambina.» Strofino la punta del sesso sulla sua apertura.
Lei stringe il mio uccello e mi guida dentro di sé, gemendo
piano.
La riempio, ondeggiando lentamente fino a quando non
sono del tutto dentro, e poi indietreggio.
«Voglio bene a Mika. E sai che adoro i bambini.»
Le appoggio le mani accanto alla testa e pompo con calma
dentro e fuori. Per me è ancora un’esperienza religiosa. Ogni
sensazione alimenta il senso di unione e la mia convinzione
che tutto nel mondo sia giusto.
«Vlad?»
Appoggio la fronte alla sua, iniziando a spingermi con più
forza.
«Non mi hai risposto.»
«La risposta è sì. Sempre. Qualsiasi cosa tu mi chieda,
zaika. Sono tuo. In qualsiasi modo tu mi voglia.»
Alessia abbandona all’indietro la testa, chiudendo gli occhi
ed emettendo un dolce gemito. Come se anche lei fosse in
preda a una rivelazione estatica.
Vederla così mi spinge oltre il limite. Mi sposto per
stringere la testata del letto e affondare con violenza dentro di
lei, ogni spinta un punto esclamativo alla fine della mia
promessa.
Sono tuo.
Qualsiasi cosa tu mi chieda.
La risposta è sì.
Apre la bocca, sollevando i seni verso il soffitto.
Mi si tendono le palle, mi tremano le cosce. Lei appoggia le
mani alla testata, emettendo un grido a ogni spinta.
«Non durerò», sibilo a denti stretti.
«Che cosa stai aspettando?»
Raggiungo la felicità assoluta e nell’istante seguente
esplodo. Alessia mi segue, agganciandomi le gambe dietro la
schiena e attirandomi più a fondo, mentre gli stretti muscoli
della sua apertura pulsano durante il nostro orgasmo.
«Vlad?» mi chiede senza fiato, avvolgendomi le braccia
attorno al collo.
«Cosa c’è, printsessa?»
«Siamo ancora sposati?»
Mi appoggio sugli avambracci per mordicchiarle le labbra.
«Sì.» Non sono riuscito a dissolvere il nostro matrimonio,
nonostante sapessi che era la cosa giusta da fare.
«Che cosa succederà quando ti stancherai di me?»
Mi si stringe il cuore. L’ho ferita quando l’ho detto? «È una
cosa impossibile», le dico. «Una bugia che ho raccontato per
convincermi che potevo lasciarti andare.»
Alessia si agita sotto di me, incoraggiandomi a continuare
le mie lente spinte post-orgasmo. «Voglio un secondo
matrimonio. Uno americano, con la mia famiglia.»
Mi blocco e lei si sposta per prendermi più a fondo. Devo
deglutire il groppo che ho in gola. «Vuoi sposarmi?»
«Di nuovo. Sì.»
Le copro il viso di baci, onorato dalla facilità con cui ha
ceduto il suo cuore. La sua vita.
A me.
«Qualsiasi cosa tu voglia, zaika. È tua. Credimi.»
«Mmh», mugola piano lei, attirandomi a sé. Devo girarci
entrambi su un fianco per evitare di schiacciarla. «Voglio
prendere in braccio la tua bambina.»
Mi sollevo su un gomito e le sorrido. «La nostra bambina…
se vuoi. La adotterai?»
Alessia batte le ciglia per scacciare le lacrime. «Mi
piacerebbe. Tu adotterai Mika?»
«Sì. Ho già preparato i documenti, ma stavo aspettando il
momento giusto per parlargliene.»
«Andiamo a dirglielo.» Si spinge a sedere e scende dal
letto. «È lui che mi ha fatta venire qui con l’inganno.»
Non vorrei lasciare la santità del nostro letto, ma la vista del
suo entusiasmo basta a motivarmi.
Non saremo solo noi due. Saremo una famiglia, e anche in
essa c’è qualcosa di sacro.
Qualcosa che Alessia ha vissuto ma io non ho mai avuto.
Un’esperienza che voglio dare ai miei figli.
21
Alessia

Vlad mi piega sul bordo del materasso e mi colpisce sul


sedere. Ho passato tre giorni fantastici a Volvograd,
trascorrendo del tempo con Mika, giocando con la bambina e
sdraiata a letto con Vlad. Oh, e facendo le coccole ai gattini. Li
ha tenuti tutti e quattro, e si aggirano per la villa come se
fossero i padroni.
Ma questa notte non è reverenziale come le precedenti.
È un po’ autoritario.
È tornato il maschio alfa.
Per fortuna che mi piace.
«Ahio, e questo per che cos’era?»
«Questo, printsessa, è per non aver preso la tua insulina a
Mosca.» Mi colpisce di nuovo. «Credevi davvero che avresti
evitato la tua punizione?»
«Non c’è un termine di prescrizione o qualcosa del genere?
È successo tre mesi fa.»
Mi prende le mani e me le blocca in fondo alla schiena. Poi
mi sferra una serie di violente sculacciate. Io sobbalzo al
bruciore.
«Che cosa ti avevo detto sarebbe accaduto se avessi di
nuovo corso dei rischi con la tua salute?»
«Avevi detto se avessi lasciato la casa senza insulina»,
correggo. «Non l’ho fatto.»
Mi colpisce tre volte, tutte sullo stesso punto. «Quindi te lo
ricordi?»
Oh, sì che me lo ricordo. Ha detto che mi avrebbe scopato il
culo senza pietà?
Il pensiero di eccita e mi terrorizza al tempo stesso.
«Me lo ricordo.» Ho un tono basso.
Mi infila un dito tra le natiche e mi massaggia l’ano.
«Quando prometto qualcosa, poi quello si avvera.»
Un brivido mi corre lungo la schiena.
So fin troppo bene che è vero.
«Allarga di più le gambe.»
Obbedisco.
Mi sculaccia tra le cosce fino a quando non sono bagnata,
gonfia e mezza disperata. Proprio quando sto per venire, si
sposta e riprende a colpirmi sul culo.
«No», gemo. «Ti prego, Vlad.»
«Ti prego cosa, printsessa?»
Non posso dirlo.
«Dimmi cosa sta per succedere.»
«Stai per s-scoparmi», riesco a tirare fuori. Ora mi sta
strofinando il clitoride, facendomi danzare sotto il suo tocco
fermo.
«Dove ti scoperò?»
«Ti prego, Vlad», riprovo.
Mi sculaccia sul sedere. «Dove ti scoperò?»
«Nel culo!» Non riesco a crederci, ma sono sempre più
vogliosa. Come se non vedessi l’ora che iniziasse.
«Esatto», mormora. «Non muoverti, zaika.» Si allontana e
torna con una boccetta di lubrificante, che mi versa sul mio
ano fremente.
Sono senza fiato, tutto il mio corpo è accaldato.
Gemo quando preme la punta del sesso sulla mia apertura.
«Apriti a me, Alessia.»
Non so cosa significhi, ma lui continua a fare pressione.
«Prendi un lungo respiro.»
Obbedisco.
«Lascialo andare.»
Mentre espiro si spinge dentro di me, e io mi tendo alla
sensazione di essere aperta.
«Rilassati, zaika. Respira.» Per un istante non si muove, e
poi preme ancora un po’, fino a quando non ha infilato tutta la
punta in me. E poi è completamente dentro, riempiendomi,
spalancandomi.
È sexy, umiliante e più piacevole di quanto non dovrebbe
essere. C’è un po’ di dolore, sì, ma anche piacere. Un piacere
imbarazzante.
Si muove lentamente, scivolando dentro e fuori mentre io
gemo e piagnucolo. È intenso. Davvero intenso.
Poi affonda e rimane fermo, insinuando una mano sotto i
miei fianchi. Nell’istante in cui mi accarezza il clitoride il
piacere sboccia. Continuando a strofinarlo, riprende i suoi
movimenti, conquistando il mio culo come ha fatto con il resto
di me.
Divento più rumorosa. Vorrei che continuasse e si ritraesse
allo stesso tempo.
Lui non si ferma, e prende velocità.
Il mio piacere cresce, quasi eclissando il fastidio.
«Sì», gracchio. «Di più. Ti prego, Vlad.»
«Supplicami, zaika.»
«Ti prego, ti prego, ti prego.» Non riesco trattenermi. Devo
venire. E vorrei anche che finisse.
Lui aggiunge del lubrificante e la sensazione migliora, e di
molto.
«Sì», farfuglio. «Ti prego, Vlad.»
«Ti prego cosa?» Pompa più forte, stringendomi la vita per
tenermi ferma.
«Ti prego, scopami. Ti prego, lasciami venire.»
Geme e si sbatte persino più forte, colpendomi il sedere con
i fianchi.
Gridiamo entrambi quando viene, affondando in me e
strofinandomi il clitoride con le dita.
Anche io vengo, solo che non riesco a contrarmi perché mi
sta aprendo troppo. Mi infila qualche dito nella vagina,
soddisfacendo il mio desiderio di un gran finale.
E poi torna dolce, baciandomi la schiena e il collo mentre
entrambi riprendiamo fiato.
«Ti ho detto che avresti supplicato», bisbiglia, con le labbra
sul mio orecchio.
Scoppio a ridere perché ha ragione. Me l’aveva detto. E io
l’ho supplicato. E tuttavia anche quando è sopra di me,
dominandomi e punendomi, mi sento sempre la vincitrice.
Forse è proprio questo l’amore.
Epilogo
Vlad

Siedo al nostro tavolo da pranzo, ammirando la migliore vista


del mondo.
Alessia e Lara stanno sguazzando in piscina, il loro rituale
pomeridiano. Anche Sondra e il suo neonato sono in acqua,
per un appuntamento di gioco tra i bambini. Persino Junior e
Desiree sono venuti qualche volta da Chicago per riunire i
cuginetti. Il suono gioioso delle voci dei bimbi e delle madri
mi conforta a un livello che non credevo ne avesse bisogno.
Mika sembra pensarla allo stesso modo. Di tanto in tanto
alza lo sguardo dai suoi libri per guardarli. Alessia ha cercato
di convincerlo ad andare a scuola a Las Vegas, ma lui si è
rifiutato fermamente, quindi per il momento studia ancora da
casa.
Secondo lei cambierà idea una volta cominciato il liceo, ma
in ogni caso va bene così. È un bravo ragazzo. Porta fuori la
spazzatura per Zoya e gioca con la bambina. Sì, abbiamo
trasferito qui l’intera famiglia: Zoya, Yegor e i cinque gatti.
Alessia ha insistito, e lei ottiene tutto ciò che vuole.
Ha voluto anche regalare un cucciolo a Mika per il suo
compleanno, quindi ora abbiamo anche un adorabile dalmata
bavoso tra i piedi. Ne è valsa la pena per vedere il ragazzino
aprire il cuore al suo nuovo migliore amico. Alessia esce dalla
piscina e io mi alzo per raggiungerla con un grande telo. Lara
sorride e balbetta qualcosa, agitando allegramente i minuscoli
pugnetti per aria. Aiuto mia moglie ad asciugarla, per poi
prenderla e dare una bacio ad Alessia. Lei si volta per dare una
mano a Sondra con Nico Jr., il suo neonato, un grosso
maschietto pieno di vita e vigore.
Almeno una volta alla settimana le donne si riuniscono per
far giocare insieme i bambini. E a malincuore i miei cognati
mi hanno concesso il loro rispetto, anche se sono certo che mi
pesterebbero a sangue in un batter d’occhio se mai turbassi la
loro sorellina.
Victor mi ha permesso di lasciare la Russia, ma solo perché
ho promesso di diversificare i nostri interessi e di cercare di
convincere i Tacone a formare un’alleanza.
Per fortuna, Nico è stato disposto a partecipare ai miei piani
di riciclaggio del denaro per risparmiare sulle tasse, quindi è
andato tutto per il meglio. Ho ancora la sensazione che possa
andare tutto all’aria da un momento all’altro. Non ho mai
creduto di poter essere felice. Non ci ho mai nemmeno
provato. Quindi ora che ho qualcosa per cui vivere, sono
ferocemente protettivo nei confronti di mia moglie e dei miei
figli. E ad Alessia non sembra dispiacere. Le piace quando
sono autoritario e dispotico. Il suo corpo si rianima sotto la
mia dominanza.
Devo solo assicurarmi di trattarla come la principessa che è,
e lei continuerà a darmi ciò che ho di più caro: il suo cuore.
1 Traduzione Blyat: porca puttana.

2 Traduzione: Ma che cazzo.

Potrebbero piacerti anche