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His Queen
of Clubs
Vegas Underground vol.6
Queen Edizioni
www.queenedizioni.com
ISBN: 9788892890806
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Epilogo
1
Vlad
Alessia
Vlad
Alessia
«Aspetta.»
Merda. Devo allontanarmi da questa donna. È una
tentazione troppo forte. Potrei guardare il suo viso tutto il
giorno senza stancarmene mai. Ecco quanto è bella. E la sua
bellezza mi spinge a fare cose stupide. Mi fa venire voglia di
essere gentile.
E qui non c’è spazio per la gentilezza, cazzo.
Peggio, non voglio solo guardare il suo viso. Voglio
mordere quelle labbra, scopare quella bocca, ammirare il modo
in cui gli occhi le roteano nella testa quando la sbatto con
violenza.
E non ho intenzione di fare nessuna di queste cose.
Non stupro le donne.
Posso non fidarmi di loro e ritenerle bugiarde manipolatrici
che vogliono attirarti nella loro tana per divorarti il cuore, ma
non prenderei ciò che non viene offerto liberamente.
Potrei farlo credere alla piccola principessa della mafia, ma
non oserei mai.
«Che c’è?» Non mi disturbo a girarmi.
«Devo fare la pipì. E ho fame.»
Cazzo. Mi volto e le punto addosso uno sguardo severo.
Un rossore le sale su per il collo. Si finge una dura – e
adoro quando lo fa – ma io conosco la verità. La spavento.
E la eccito un po’.
«Okay, printsessa. Alzati.»
Solleva le sopracciglia e cerca di scivolare verso i piedi del
letto.
La guardo per un momento perché il modo in cui le si alza
il vestito sulle cosce è arrapante da morire e desidero con tutto
me stesso rivedere quelle mutandine rosa.
Quando finalmente arriva in fondo al materasso, la
raggiungo e le slego le caviglie.
«Vai.» La sollevo in piedi con una sculacciata sul sedere,
abbastanza forte perché faccia da avvertimento.
Lei strilla balzando in avanti, poi si volta porgendomi i
polsi legati. «E questi?»
Scuoto la testa. «Accontentati. Il bagno è lì. Lascia porta
aperta.» La sua vicinanza mi ispessisce l’accento, e mi fa
dimenticare l’articolo prima di porta.
«Vaffanculo», borbotta Alessia, procedendo.
La colpisco di nuovo sul culo.
Che sia dannato se non si getta alle spalle i lunghi capelli
folti e ondeggia i fianchi mentre attraversa la stanza fino al
bagno.
Adorabile.
Questa ragazza è davvero speciale.
È proprio il mio giorno fortunato. I Tacone non avrebbero
potuto farmi un regalo migliore della loro incantevole sorellina
dal viso fresco.
Mi immobilizzo, e un brivido mi attraversa la pelle quando
sono colto da un pensiero.
No.
È un’idea terribile.
Alzo gli occhi su Alessia, che è giunta a un compromesso,
lasciando la porta aperta di una quindicina di centimetri. Bene.
Sa che la punirei come le ho promesso.
Torno alla mia tremenda idea. Potrei farlo?
Probabilmente no.
Dovrei?
Decisamente no.
Il mio cellulare usa e getta vibra. È Victor, il mio pakhan. Il
Papa, il boss della nostra Bratva. Quello che mi ha mandato
via dopo che Sabina mi ha fregato. L’unico ad avere questo
numero, dato che è un telefono nuovo.
«Da, Pakhan.»
«Torna. Zima è morto», mi dice in russo.
Zima è il motivo per cui Victor mi ha ordinato di
andarmene. Voleva farmi fuori ma Victor non glielo ha
permesso. In quanto derzhatel obschaka – il contabile
dell’organizzazione – sono troppo importante. O forse è per
rispetto nei confronti di mia madre, che è stata a lungo la sua
amante. In ogni caso, sono stato bandito e mandato con il
soldato Ivan a organizzare la cellula a Chicago. Un lavoro di
merda, per cui ero decisamente sprecato. Quindi ho lasciato
che Ivan si divertisse e ho continuato con i miei sistemi di
riciclaggio.
Dal bagno viene il rumore dello sciacquone.
Mi batte forte il cuore per la temerarietà della mia idea.
«Da. Tornerò subito. Non appena avrò sbrigato le scartoffie
per potermi portare dietro la mia nuova sposa. Prenderò in
moglie la ragazza Tacone. Mi pagheranno perché la mantenga
viva e in salute. È la migliore vendetta.»
Per un momento Victor non dice niente. Il matrimonio è
proibito dal Codice di Condotta criminale, ma un’unione per
vendicarsi di un nemico è una situazione diversa.
«Bene. Ti voglio qui entro domenica. Gli affari vanno male
senza di te.»
«Ci vediamo domenica, Papa.»
Chiude la telefonata senza salutare mentre io continuo a
fissare la porta del bagno. Quando Alessia emerge con un
nuovo altezzoso gesto del capo, mi si gonfia il cazzo lungo la
gamba dei pantaloni.
Sì.
Non c’è modo migliore di fottere i Tacone che sposare un
membro della loro famiglia. Prendere in moglie la loro
sorellina e pretendere un pagamento sotto forma di dote.
Per farla vivere negli agi a cui è abituata, ovviamente.
Non che non abbia già denaro in abbondanza.
No, questo è solo lavoro. Sto marcando il mio territorio nel
modo più crudele possibile, creando il legame tra la mafia
americana e quella russa che stavo cercando di formare in
passato.
E prendendomi allo stesso tempo il trofeo più spettacolare
che esista.
Alessia Tacone, la mia sposa.
«Vieni.»
Alessia
Vlad
La ragazza è appena venuta.
Ammetto di aver scelto Alessia perché è un bel vedere, ma
nemmeno in un milione di anni avrei pensato di godermi uno
spettacolo tanto bollente. Se vendessi i biglietti per questo
show farei mezzo milione in una giornata. Non che permetterei
mai a nessun altro uomo di vedere ciò che sto ammirando. No,
sono già ferocemente possessivo nei suoi confronti.
Alessia Tacone è la materia di cui sono fatte le fantasie
sessuali. Ha un viso che farebbe partire un migliaio di navi. Un
corpo che metterebbe in ginocchio un milione di uomini. E
dopo questo sfoggio di sfrenata sessualità non riuscirò mai più
a guardare nessun’altra donna.
È una fortuna che abbia deciso di tenerla con me.
«Blyat», ansimo nel suo orecchio. «Per colpa tua mi fanno
così male le palle che rischiano di cadermi.»
Il suo bel corpo morbido trema contro il mio. Vorrei
infilarle una mano tra le gambe e farla venire di nuovo. So che
non ci vorrebbe molto, dato è ancora eccitata, bagnata e
pronta.
Ma se lo facessi, finirei per strapparle le mutandine e
sbattermi dentro di lei fino a quando non finiremmo entrambi
senza fiato, e non posso.
Non mentre è mia prigioniera.
Non prima che sia diventata mia moglie. Al sicuro nella
mia proprietà fuori da Volvograd.
Non senza essere certo che lo voglia.
Io non stupro le donne.
Quindi mi costringo ad allontanarmi da lei e le sculaccio di
nuovo quel culo delizioso. «Fatti una doccia.» Il mio accento è
tanto forte che mi sorprende riesca a capirmi. «Lascia aperta la
porta o ne pagherai le conseguenze.»
Lei barcolla verso la doccia e non si guarda indietro,
infilandosi dietro la tenda senza aprire l’acqua o sfilarsi
l’intimo.
Cazzo, è davvero eccitante. Non solo per la sua bellezza,
ma per il mix di matura innocenza e insolenza. Il coraggio e
l’orgoglio, nonostante le circostanze. La compassione che ha
dimostrato nei confronti di Mika.
Voglio possederla in ogni modo. Voglio sculacciarla,
dominarla, viziarla. La voglio in ginocchio mentre mi guarda
con quei grandi occhioni siciliani, ansiosa di compiacermi.
E ora mi sento obbligato a guadagnarmi la fiducia che una
scena simile richiederebbe. Voglio insegnarle a obbedirmi e
onorarmi, e premiarla per i suoi sforzi.
Generosamente.
Con orgasmi, ricchezze, attenzioni, lodi, altri orgasmi.
Posso farle piacere la Russia?
Posso convincerla a restare?
Perché se non ci riuscirò, so già che non potrò tenerla
contro la sua volontà a lungo.
Prenderò i soldi dei suoi fratelli e alla fine la lascerò libera,
se non vorrà rimanere con me.
Ma se invece restasse?
Lascia cadere le mutandine fuori dalla tenda della doccia e
sento scorrere l’acqua.
Via. Devo andarmene subito, cazzo.
Mi costringo a uscire dal bagno, strizzandomi il sesso
pulsante attraverso i jeans. Dovrò farmi una sega prima della
fine della giornata o finirò per girarla sulla pancia per scoparla
da dietro nel bel mezzo della notte.
Ma adesso ho delle questioni da sbrigare.
Passaporti da fare, documenti da falsificare. Voli privati da
prenotare.
Prendo il suo vestito e lo chiudo nel doppio fondo della mia
valigia insieme agli altri oggetti di valore, poi torno al mio
portatile. Ho quasi finito di alterare la traccia elettronica di
Anya Popov, la madre di Mika. Ho cambiato la sua età perché
abbia ventotto anni e al posto della sua foto ne ho messa una di
Alessia che ho preso dal suo account Instagram. Dovrebbe
stare più attenta alle sue impostazioni di privacy, non che non
avrei potuto hackerarle. Ora sembra che la stronza che è
venuta qui e ha abbandonato il figlio stia tornando in Russia,
portando con sé il bambino e i loro visti che all’improvviso
non sono più scaduti.
L’hackeraggio è un’abilità che mi ha insegnato Igor
Ivanovich, il capo della cellula a cui sono stato affidato
quando mia madre è diventata l’amante di Victor. Potrei fare lo
stesso con Mika. Conoscere i computer lo terrebbe lontano
dalle strade e gli darebbe un mestiere che potrebbe usare per
farsi strada nella Bratva e rendersi troppo utile per essere
ucciso. E per arricchirsi, se è abbastanza furbo.
Io ho del denaro nascosto in conti aperti in tutto il mondo,
sotto troppi nomi da elencare. Ho organizzato sistemi di
riciclaggio del denaro per i pezzi grossi della Bratva, per
politici corrotti, non solo russi, ma anche ucraini, sloveni e
sudafricani.
Non ho bisogno di farmi pagare dai Tacone. È solo il mio
modo preferito di vendicarmi.
I soldi sono sempre stati un gioco per me. Numeri sullo
schermo, dentro i miei conti. Trasferimenti, dividendi e reddito
passivo, non solo mi hanno tenuto vivo fino a ora, ma mi
hanno anche reso incredibilmente ricco. Una ricchezza che per
lo più nascondo a chi mi circonda, persino alla Bratva. Solo
Victor sa quanto possiedo veramente. Con lui sono stato
limpido perché se lo avesse scoperto in altro modo avrebbe
pensato che lo avessi derubato.
Nonostante i miei risentimenti, il dodicenne in me ha
ancora bisogno della sua approvazione. È ancora il Papa
dell’organizzazione e della mia vita.
Persino ora che mia madre è morta.
Nel bagno l’acqua smette di scorrere. Non mi permetto di
guardare attraverso la porta aperta, perché vedere Alessia
bagnata e nuda mi farebbe impazzire. E anche così mi si
gonfia il sesso contro la zip, costringendomi ad agitarmi sul
letto.
Chiamo un pilota irlandese che conosco e gli do
disposizioni perché per mezzanotte al massimo sia qui con un
jet privato, pronto a partire. Non mi fiderei mai di un pilota
americano, perché i Tacone hanno spie ovunque.
Alessia esce con i lunghi capelli bagnati ricadenti sulle
spalle e un asciugamano avvolto attorno al corpo.
Io scuoto la testa e lei si blocca.
«Giù il telo», ringhio. «Hai perso il privilegio di poterti
vestire.»
La ragazza dilata le narici. Non è più eccitata e ora è
incazzata. «Figlio di puttana!»
Non parlo italiano, ma capisco il concetto. «Attenta,
printsessa, o ti arroventerò di nuovo il culo.»
Le sue guance si tingono di rosso.
Il mio cazzo si fa duro come il marmo.
Dannazione, quanto vorrei sbattermi tra quelle gambe fino a
farla urlare.
Mi schiarisco la gola. «L’asciugamano.»
Lei getta all’indietro i capelli, schizzando gocce d’acqua in
giro per la stanza. Con uno scatto del polso, si toglie il telo e
me lo getta in faccia. Fortunatamente per entrambi, sotto porta
le mutandine.
Ciò non impedisce al mio uccello di pulsare.
«Vieni qui.» Sembro molto più burbero di quanto non
vorrei. È l’effetto che mi fanno le palle blu. Mi costringo a
tirare il fiato prima di avvicinarmi a lei e di legarle i polsi per
assicurarla al letto.
Profuma di mele e miele. Il mio shampoo aveva questo
odore? Non è possibile. Non ho mai sentito niente di così
erotico e allettante in tutta la mia vita.
Le avvolgo il lembo di stoffa attorno ai polsi per evitare che
la corda la graffi, e poi le lego insieme le mani. Gliele attacco
alla testata del letto per buona misura, ma le lascio libere le
caviglie. Non ha niente a che vedere con il mio desiderio di
ammirare il moto delle sue lunghe gambe mentre cerca di
sollevarsi.
Assolutamente niente.
Cazzo.
Non riuscirò a concludere niente se rimango qui con lei.
Almeno niente che non sia pornografico.
Non appena sono certo di averla legata con cura, mi alzo e
me ne vado. Devo procurarle qualcosa di più di un muffin da
mangiare.
Devo assicurarmi che Mika abbia fatto colazione.
Ma soprattutto, devo allontanarmi dalla seduttrice legata al
mio letto.
6
Alessia
Vlad
Alessia
Vlad
Ty che, blyat2.
Lascio cadere la confezione di colla attaccatutto sul
lavandino, folgorato da ciò che vedo sul letto.
Il mio bellissimo ostaggio è dove l’ho lasciato. E si sta
masturbando.
Mi pulsa l’uccello, e la lussuria saetta dentro di me. Mi
costringo a muovermi lentamente, inspirando dalle narici –
espirando dalla bocca – mentre mi avvicino alle sue spalle.
«Che cosa ti avevo detto sul muoverti?» La voce non
sembra la mia. È profonda e roca. Le infilo un braccio attorno
alla vita per sollevarla per i fianchi e tirarle fuori le mani,
stendendogliele sopra la testa.
Le premo il palmo sulla fica e mi chino per parlarle
all’orecchio. «Ti faccio palpitare tra le gambe, Alessia?»
La sua apertura è bagnata fradicia, le pieghe gonfie e
accoglienti. Senza volerlo, affondo una delle mie dita nel suo
umido calore.
Lei geme, ondeggiando i fianchi per prendermi più a fondo.
«Credi di meritare il piacere dopo quello che mi hai fatto?»
Emette un impercettibile piagnucolio. Il suo viso è premuto
contro il materasso quindi non riesco a vedere la sua
espressione, ma le mordicchio un orecchio, accarezzando la
sua carne.
Mi si tende il cazzo.
«Chiedimi scusa», le ordino.
«Mi dispiace», dice immediatamente lei.
Povero cucciolo. Credo che sia dispiaciuta per davvero.
L’orrore sul suo volto nel momento in cui mi ha accoltellato ha
detto tutto. Non conosce la violenza, non voleva perpetrarla. E
questo mi spinge ad ammirare il suo tentativo. È coraggiosa.
Forte, per una persona con una debolezza fisica. Più forte di
me, probabilmente.
Infilo di nuovo un dito in lei. È stretta ma riesco ad
affondargliene dentro un secondo.
Si agita contro il letto.
«Supplicami, zaika. Supplicami e ti aiuterò a venire», la
sfido. Il suo profumo mi riempie le narici, dolce come una
torta al miele.
«No», geme nel materasso.
Fermo le dita. «No?»
Scuote la testa, strofinando la faccia sul copriletto.
Beh, non sono uno stronzo che continua quando gli viene
detto di no. Anche se il suo corpo mi sta supplicando senza
orgoglio. Rimuovo la mano dalla sua fica bagnata e mi
raddrizzo.
E poi, forse perché sono arrabbiato, o forse perché voglio
darle ugualmente ciò che le serve, inizio a sculacciarla di
nuovo.
Forte.
Inarca la schiena, sollevando il sedere per i miei colpi e
allargando le gambe.
Dovrei farla soffrire. Dovrebbe patire la frustrazione
sessuale che sto provando io. Ma non riesco a torturarla. Le
sferro una dozzina di colpi forti e regolari, e poi le
schiaffeggio la fica. Una volta.
Due.
Alla terza, Alessia grida e viene. Stringe le natiche e perde
l’equilibrio, sollevandosi sulla punta dei piedi.
Se non stessi soffrendo tanto, sorriderei perché sono
dannatamente orgoglioso di averle dato un orgasmo,
nonostante le sue parole. Ma il mio testosterone impazza, e
sono attraversato da un senso di forza e urgenza. Le strappo le
mutandine abbassate dalle gambe, e poi affondo le dita tra i
suoi capelli e li uso per sollevarle la testa, chinandomi su di
lei. «Ti ho detto che potevi venire, Alessia?»
Il suo viso è splendidamente arrossato, i suoi occhi sfocati e
vitrei. Le serve un momento per elaborare le mie parole e
puntare lo sguardo sul mio volto. «No», sussurra con quelle
labbra turgide.
«No. Nyet. Non l’ho fatto.» Le mostro le mutandine. «Hai
perso anche il diritto di portare queste.» Le lascio cadere e le
colpisco di nuovo il culo. «Presto questa passera apparterrà a
me. Sono l’unico che può toccarla, a meno che non ti dia il
permesso di toccarti tu stessa. I tuoi orgasmi appartengono a
me e a me soltanto. Se vorrai venire, dovrai imparare a
supplicare, sulle ginocchia e con il mio cazzo in fondo alla
gola. Sono stato chiaro?»
Sto esagerando, ma sembra che non riesca a trattenermi. La
lussuria e la frustrazione si mescolano in una potente furia.
Lei deglutisce, e poi sibila: «Fottiti».
Distendo le labbra in un sorriso feroce. «No, printsessa.
Sarai tu quella che fotterò per tutta la notte.»
La ragazza impallidisce, e io inizio a tornare in me. Allento
la presa sui suoi capelli, strofinandole lo scalpo per scacciare il
dolore.
«La prossima volta che verrai senza permesso, proverai la
mia cintura sul tuo bel culetto», la avverto.
La lascio andare del tutto e lei nasconde il viso tra le
braccia con un singhiozzo.
Mi raddrizzo e abbasso lo sguardo sull’immagine del suo
corpo perfetto sul mio letto. Le accarezzo il sedere arrossato,
non capendo perché mi provochi tanta tenerezza. Forse non è
tenerezza, è solo il bisogno di dimostrarle che è mia,
dimostrarle il mio controllo.
In ogni caso, le strofino la pelle arroventata in lenti cerchi
fino a quando non si rilassa. Poi la sollevo del tutto sul letto e
copro il suo corpo nudo con un angolo della mia coperta.
7
Alessia
Vlad
È pericolosa.
So cosa ha in mente. Sta cercando di conquistarmi.
È quello in cui eccelle.
Conosco questa trappola. È quella che usano tutte le donne.
Sfruttano la loro bellezza, il loro sex appeal. Tessono una tela
per catturarti e poi ti ritrovi con le palle in una morsa.
È così che la madre di Mika si è fatta portare in America.
Così che mia madre si è ingraziata Victor. E così che Sabina
mi ha quasi fatto ammazzare.
E tuttavia mi è impossibile rifiutare. Sono già assuefatto
alla sua vicinanza, e ancora di più se è gentile con me.
Mi accomodo accanto a lei e la guardo bere la sua acqua
tonica. Avrei giurato che volesse il vino, ma forse non può per
via del diabete. Mi alzo per andare a prendere la bottiglia e
riempirle il bicchiere. Alessia mi mormora un ringraziamento
e prende un altro sorso.
La ammiro, come sempre affascinato dalla sua bellezza. Dal
suo portamento.
Lei punta gli occhi fuori dalla finestra, anche se non c’è
niente da vedere al di fuori di un’oscurità nera come
l’inchiostro. «Dove stiamo andando? Volvograd?»
«Sì.» Non elaboro. Mi diverte guardarla all’opera.
«È una grande città?»
«Una città piccola. Un milione di persone. Un buon posto
dove vivere.»
«Parlamene.»
Eccolo. Un semplice ordine. Uno a cui dovrei resistere,
giusto per interromperla, ma non posso. Non quando mi punta
addosso quei suoi grandi occhioni marroni e si sporge verso di
me, in attesa, con le labbra socchiuse.
Sorseggio il mio vino. «In passato Volvograd si chiamava
Stalingrado. Prima ancora, Tsaritsyn. Si trova nel sud-ovest
della Russia, sulle rive del fiume Volga. È bellissima in estate.
Ti piacerà.» È stupido. Non so perché voglia far sì che
l’apprezzi, ma mi scopro a desiderare che ami la mia città.
Alessia distoglie lo sguardo. Probabilmente è ferita
dall’accenno al fatto che diventerà la sua casa.
«Lì hai spazio per Mika?»
Ed ecco che torna a preoccuparsi per il ragazzino. Se me lo
chiede, probabilmente crede che abbia un posto piccolo, come
quello a Las Vegas. Mi diverte pensare a quanto rimarrà
sorpresa dalla mia proprietà.
«Sì, Alessia», rispondo tranquillo. «C’è molto spazio.»
Muove la bocca come se stesse per parlare, ma poi cambia
idea. Ci riprova. «Cosa… farò lì?»
Ci rifletto. «Che cosa facevi a Chicago?»
La luce è fioca, ma credo stia arrossendo. «Mia madre è
stata operata qualche mese fa, quindi la sto aiutando da quando
mi sono laureata a dicembre.»
Non riesco a trattenere un sorriso. «Non ti devi giustificare
con me perché non lavori. Sapevo che eri una principessina
mantenuta. Con me non sarà diverso. I tuoi fratelli mi
forniranno il denaro per continuare ad assicurarti lo stile di vita
a cui eri abituata.»
Il dolore le lampeggia sul viso, ma lo nasconde
rapidamente. Distoglie lo sguardo.
Ciò non dovrebbe turbarmi. Quando prendi una donna
come tributo, non puoi aspettarti che si inginocchi ai tuoi piedi
e ti ringrazi.
Quando si volta, sta serrando la mascella e ha
un’espressione di sfida negli occhi. «Ho bisogno di un corso di
lingue, tipo il Rosetta Stone.»
Rischio di strozzarmi con il mio vino. «Vuoi imparare il
russo?»
Lei annuisce con aria determinata.
È una scelta intelligente. Conoscendo la lingua sarebbe
meno indifesa in Russia. Scappare o chiedere aiuto le sarebbe
più facile. Ma ci vorrà del tempo, e non sarà facile. La ammiro
anche solo per averci pensato.
«Certo che puoi averlo. Avrai tutto ciò che vuoi, zaika.»
«Tutto tranne la libertà?»
«Da.»
Le trema leggermente il mento, ma si riprende e guarda
fuori dai finestrini scuri.
«Cosa hai studiato all’università, Alessia?» Ora sono io a
fare conversazione.
Lei torna a girarsi verso di me. «Educazione della Prima
Infanzia.»
Inarco le sopracciglia, sorpreso. Mi aspettavo qualcosa di
futile come storia dell’arte, o letteratura inglese. Qualche
materia umanistica dalle scarse applicazioni pratiche.
«Vorresti insegnare?»
«Sì. Amo i bambini.»
Certo che sì. Lancio un’occhiata a Mika, che sta dormendo
nel suo letto. Non c’è da sorprendersi che abbia un tale
interesse nei suoi confronti.
Conoscere questo suo lato umanitario, questa devozione per
i bambini, smuove qualcosa dentro di me.
«Vuoi dei figli?» L’improvvisa immagine di Alessia incinta
del mio bambino riempie la mia mente. Mi tira fuori un certo
senso primitivo di protezione. Non ho mai desiderato una
progenie, ma l’idea di metterla incinta e creare una famiglia
con lei capovolge tutto il mio mondo.
Ma la ragazza sobbalza alle mie parole e distoglie lo
sguardo. «Non posso.»
La mia delusione è ridicola quanto lo è stato il pensiero di
avere dei figli con lei. Ma forse sto solo percependo il suo
dolore. È chiaro quanto l’argomento la ferisca.
«Perché no?»
Non mi risponde.
«Il diabete?»
Fa un minuscolo cenno affermativo, continuando a guardare
dall’altra parte.
Oh, Alessia.
Di certo le persone con il diabete hanno dei bambini. Mi
appunto mentalmente di fare qualche ricerca, ma sono pervaso
da un brivido. Questa ragazza deve avere avuto a disposizione
i migliori dottori che i soldi possano comprare. Se crede di non
potere avere figli, avranno buone ragioni.
Non dovrei esserne dispiaciuto.
Forse è meglio così, considerando che il nostro matrimonio
non durerà a lungo.
«Mi dispiace», borbotto, e lei mi lancia uno sguardo. La
vulnerabilità che intravedo sul suo viso mi distrugge.
Alessia
Maledetto Vlad. Mi sento gli occhi caldi e lacrimosi sotto il
suo sguardo compassionevole, e devo girarmi di nuovo
dall’altra parte.
Vorrei che non fosse così dannatamente perspicace.
Non ho detto a nessuno dell’insufficienza renale al terzo
stadio. Non ai miei fratelli, e men che meno a mia madre. Così
non ho ancora dovuto affrontare questo momento, la
rivelazione della più crudele delusione della mia vita.
Sentendo il disperato bisogno di cambiare argomento,
faccio un respiro e mi volto verso di lui. «E tu, Vlad? Qual è il
tuo lavoro in Russia?»
«Sono derzhatel obschaka. Il contabile della Bratva.
L’uomo dei soldi. Sposto e riciclo il denaro. Lo nascondo. Mi
ero messo in contatto con tuo fratello non per causare
problemi, ma per offrire una soluzione. Riciclare anche i suoi
soldi. Ma poi mia madre è morta a Mosca. Sono dovuto
tornare in Russia, e Ivan, quell’idiota del mio compatriota, ha
deciso che uccidere la tua famiglia era un’idea migliore.»
Lo fisso battendo le palpebre, sorpresa da queste
informazioni. Non vorrei trovarlo così gradevole. Mi piace
sapere che non è uno spacciatore, un trafficante di donne o un
assassino, ma piuttosto un criminale dal colletto bianco. La
consapevolezza che ha – aveva – una madre lo rende più reale.
Normale. Umano.
«Mi dispiace per la tua perdita», dico.
Qualcosa di vulnerabile e feroce gli appare sul viso. Un
dolore inespresso. Ho la sensazione che non abbia ricevuto
condoglianze. O forse la perdita è troppo recente, oppure ci
sono ancora questioni irrisolte. China la testa e resta così.
«Mia madre… da. Ancora non riesco a credere che se ne sia
andata. È strano tornare e sapere che non ci sarà.»
Mi tendo per toccargli un braccio. Lui alza lo sguardo,
scioccato. Come se lo avessi marchiato a fuoco.
Ma poi piega le labbra in una smorfia amara. «Non essere
dispiaciuta per me. Non dovrebbe mancarmi. Era una stronza
manipolatrice, come ogni donna della mia vita.»
Tolgo la mano, ritraendomi, perché percepisco che in
qualche modo mi ha messa nella stessa categoria.
Capisco di avere ragione quando mi fissa con occhi
socchiusi. «Puoi smettere con questo tuo tentativo di
conquistarti la mia compassione. Vai a letto e mettiti a
dormire. Domani è il giorno del tuo matrimonio.»
Mi sobbalza lo stomaco e all’improvviso ho la nausea. Mi
alzo in piedi e raddrizzo le spalle, buttandomi in gola il resto
dell’acqua. «Dov’è il mio spazzolino da denti?» chiedo
imperiosa, come la marmocchia viziata che sembra credere io
sia.
Mi aspetto che mi mandi affanculo, e invece infila una
mano nella sua sacca e tira fuori lo spazzolino e il dentifricio
da viaggio in una bustina di plastica. Continua a prendersi cura
di me.
Non dovrebbe piacermi. Non dovrei volere nessuna
attenzione dall’uomo che mi ha rapita e che vuole costringermi
a sposarlo.
Gli strappo la busta dalle sue mani e marcio verso il bagno,
cercando con tutte le mie forze di rallentare il mio respiro e
placare i miei nervi.
Non vincerà questo gioco. Prima o poi scapperò. I miei
fratelli mi troveranno.
E sarà lui quello in ginocchio a supplicare pietà.
8
Alessia
Vlad
Vorrei confortare la mia sposa, ma non c’è niente da dire.
Sono la causa della sua angoscia e ciò che è fatto, è fatto.
Tuttavia sentirla tremare tra le mie braccia e vederla andare
in pezzi mi disturba più di quanto vorrei ammettere.
«La lascerai andare?» bofonchia Mika in russo, a voce tanto
bassa che lo sento a malapena. Me lo chiede senza guardarmi.
«Sì. Prima o poi», gli rispondo nella stessa lingua.
Mi lancia un’occhiata diffidente e mi fa un cenno con il
capo prima di girare lo sguardo fuori dal finestrino.
«Non le farò del male e non la costringerò a fare sesso con
me.» Cazzo, è una conversazione dannatamente sgradevole da
avere con un dodicenne, ma sento di doverglielo dire. Non so
cos’abbia visto. Sua madre era una prostituta. Non ho idea di
come la trattassero Aleksi o gli altri clienti. Mika potrebbe
essere rimasto traumatizzato da ciò che le hanno fatto.
Peggio, potrebbe aver perso il concetto di consenso, e di
come una donna dovrebbe essere trattata. E io gli sto fornendo
un esempio di merda. Quindi ho bisogno che lo sappia.
Non mi risponde, e va bene così. Lo fisso fino a quando
non sposta gli occhi su di me.
«Non dovrai mai costringere una donna a fare sesso con te,
Mika. È sbagliato.»
Incertezza e dolore gli lampeggiano sul viso, e io sono
felice di aver insistito. È ferito.
«Sei d’accordo?» lo incalzo.
Lui annuisce rapidamente. «Da.»
«Bene.» Smetto di fissarlo. Sto ancora accarezzando le
braccia di Alessia. Ora si è calmata, anche se percepisco
ancora un tremito nelle sue membra.
«Vi piacerà dove abito», dico a entrambi in inglese. «È
molto confortevole.»
Nessuno dei due risponde.
Al tramonto la limousine si ferma davanti alla mia grande
casa di campagna sulle rive del fiume Volga. Le nubi tinte di
rosa fanno da splendido sfondo al palazzo signorile.
È strano essere di nuovo qui. Sono passati tredici mesi
dall’ultima volta che sono stato a casa. Bandito in America
perché una donna subdola mi ha portato nel suo letto con
l’inganno.
I domestici sanno del mio arrivo. La mia governante, Zoya
– la donna che ha aiutato Alessia in chiesa – è fuori con suo
marito Yegor. Anche i miei uomini si schierano per
accoglierci.
L’autista mi apre la porta e io sollevo Alessia per rimetterla
in piedi e seguirla fuori. Mika esce e osserva lo spettacolo,
senza lasciar trasparire niente sul viso.
«È bello», ammette la ragazza, muovendo lo sguardo sulla
mia enorme villa e i terreni recintati tutt’intorno. Indica in
direzione di una macchia di alberi. «Quello è il fiume?»
«Da.» Sorrido. Potrebbe tranquillamente fare la stronza,
decidere di detestare tutto e mostrarmi solo la sua ira. Ma non
lo fa. Le sue prime parole sono: «È bello».
È gentile.
Molto più di quanto immaginassi.
Il senso di colpa per averla strappata alla sua vita lotta, con
il desiderio di tenerla con me… per sempre.
Premio la sua dolcezza con la cortesia che non le ho
dimostrato in chiesa. «Alessia, hai già conosciuto Zoya, la mia
governante. Non parla inglese, ma si occuperà di tutte le tue
necessità. Ti procurerò un traduttore fino a quando non avrai
imparato con la tua Rosetta Stone.»
Lei tende una mano e Zoya gliela prende con riluttanza,
facendole un inchino.
«Suo marito, Yegor. È il custode.»
L’uomo si inchina.
In russo, presento Mika al mio staff. Li ho già avvisati della
mia prigioniera ma mi sono dimenticato di parlargli del
ragazzo sotto la mia tutela.
Zoya lo guarda di traverso, come se temesse che potesse
mettere in disordine la casa, ma ovviamente non dice nulla.
«Venite, tutti e due. Vi faccio fare un giro.» Gli mostro il
posto. Ho già dato istruzioni allo staff di rimuovere ogni
accesso ai telefoni o a internet, e i miei uomini circonderanno
tutte le uscite per impedire ad Alessia di andarsene. In questo
modo potrà essere libera di muoversi per la villa.
«Questa sarà la tua stanza, Mika.» Apro la porta di una
delle camere degli ospiti.
Lui entra e si siede sul letto, rimbalzando leggermente. Poi
mi guarda, i suoi occhi blu-grigio inquisitori. «Per quanto
tempo?»
Scrollo le spalle. «Vedremo.» Non è da me fare piani o
promesse. Non so quanto a lungo durerà questa faccenda con
Alessia, né se vorrò restare in Russia. Non ci tengo
particolarmente a tornare alla mia vita passata.
Ma è la cosa sbagliata da dire.
Alessia mi lancia un’occhiataccia, serrando le labbra.
Io la guardo di traverso a mia volta, poi sospiro e cerco di
rimediare.
«Puoi restare tutto il tempo che vorrai, Mika. È casa tua.»
A quanto pare neanche questa è la risposta giusta perché
Alessia scuote la testa verso di me.
Le rivolgo un gesto per chiederle “Che c’è?” e lei la scuote
più forte.
Lancio al ragazzino il telecomando della televisione della
sua stanza. «Sentiti libero. O vai a esplorare. Come preferisci.»
Faccio un cenno con una mano.
Una volta usciti, Alessia mi tira lungo il corridoio per
portarmi lontano dalla camera, cominciando subito a
riprendermi. «A Mika serve stabilità. Non gli puoi dire che
può restare quanto vuole. Non è un ospite. Gli devi dire che
starà con te, qui o altrove. Che è tuo e ti prenderai cura di lui.»
Poi punta i piedi e fa fermare entrambi. «Lo farai, vero?»
Sospiro.
Non è una responsabilità che ero pronto a prendermi. Il
ragazzo è finito automaticamente sotto la mia tutela, e non
perché lo abbia voluto io.
«Senti, non volevo diventare un padre. Sai che non sono la
persona adatta. L’ho coinvolto in crimini gravi e gli ho
impedito di ricevere un’adeguata istruzione.»
«Ha solo bisogno di qualcuno che si occupi di lui. Vuole un
legame. Non può diventare una persona decente se non saprà
che tieni a lui.»
Impreco in russo e mi infilo le dita tra i capelli. «Prendo
nota della tua opinione», borbotto. «Ora vieni, mia sposa, è ora
di chiedere la tua dote.»
Alessia
La mia dote.
«Chiamerai mio fratello?» chiedo mentre Vlad mi guida
dentro una camera padronale.
«Da.» Tira fuori un tablet dalla sacca di cuoio che ha
sempre con sé.
«Quale?»
«Junior. Non è lui il capofamiglia?»
Alzo una spalla. «Sì e no. Ufficialmente sì, ma Nico ha il
potere economico.»
«Già, Nico. Gestisce il Bellissimo.»
Ho lo stomaco in subbuglio. Anche solo parlare dei miei
fratelli me li fa sentire più vicini. Come se potessero trovarmi
e salvarmi più facilmente. «Posso parlare con loro?»
«Sì, se farai la brava. Ti riprenderò in video così vedranno
che stai bene. Ma niente scherzi.» Mi punta contro un dito con
aria severa.
Io abbasso lo sguardo sull’abito da sposa. Mi vedranno nel
giorno del mio matrimonio. Mi pizzicano gli occhi. Sposata
con un criminale. Questa parte era prevista, solo che credevo
lo avrebbero scelto loro.
Vlad si appoggia al comò e usa il telefono, poi accende il
tablet.
Un momento più tardi, il dispositivo inizia a squillare.
L’uomo sogghigna facendo scorrere un dito sullo schermo.
«Junior. Ti ricordi di me?»
«Vladimir.» Percepisco l’oscurità nel tono di mio fratello.
La minaccia.
«Ho qualcosa che ti appartiene. Qualcuno, in realtà.»
Junior impreca in italiano. Sullo sfondo sento le voci dei
miei altri fratelli.
«Se succede qualcosa ad Alessia ti strapperò la spina
dorsale. Dov’è?» rimbomba Junior dal tablet.
Accorro al fianco di Vlad per vedere. Mi aspetto quasi che
mi tenga lontano dallo schermo, ma non lo fa, e mi permette di
premermi accanto a lui, riempiendo la telecamera con il mio
viso.
Il volto di Junior riempie lo schermo dall’altra parte, ma
intravedo Nico e Stefano alle sue spalle.
«Alessia», esclama subito mio fratello. «Dimmi dove sei.»
Me lo chiede in italiano, buona idea.
«Volvograd!» grido.
Stupida, stupida, stupida.
Vlad mi allontana immediatamente dal tablet, sollevandolo
per aria e chiudendo la chiamata.
«No», singhiozzo quando spegne il dispositivo. «Aspetta…
ti prego. Mi dispiace.»
All’improvviso non mi importa più di essere ritrovata.
Voglio solo rivedere la mia famiglia. Parlare con loro. Fargli
sapere che sto bene. Ho visto i cerchi scuri sotto gli occhi di
Junior. Le rughe più profonde. In questo momento dovrebbe
essere in luna di miele, e non in ansia per me.
«Ora perderai i tuoi privilegi.» Vlad fa un passo minaccioso
nella mia direzione. Il suo volto è severo. Giuro che è più
arrabbiato ora di quando l’ho pugnalato.
«Lasciami parlare con loro. Ti prego. O almeno lasciameli
vedere. Metti in silenzioso il mio lato, non dirò una parola.»
«Nyet.»
«Per favore. Niente italiano. Niente cose strane… te lo
giuro.» Le lacrime mi scivolano sulle guance. Non riesco a
fermarle. All’improvviso sento una terribile nostalgia di casa.
Sono così sola.
Il tablet squilla di nuovo.
Vlad indica il letto. «Siedi.»
Vado dove dice, guardandolo con occhioni supplicanti da
cucciolo. Le scarpe bianche mi scivolano dai piedi.
Lui risponde alla chiamata. «Forse hai notato l’abito da
sposa di tua sorella. Oggi ci siamo sposati. Sono molto felice
di aver stretto questa alleanza con la mafia americana»,
annuncia, come se stesse facendo un brindisi al nostro
ricevimento. «Puoi essere certo che la tratterò bene fino a
quando mi invierai i fondi per assicurarle lo stile di vita a cui è
abituata.»
Sento uno dei miei fratelli imprecare a mezza voce in
italiano.
«Sei milioni. Un milione per ognuno degli uomini che hai
ucciso, pagati nel corso di ventiquattro mesi. È un quarto di
milione al mese. Ti manderò gli estremi e il numero di conto
corrente per messaggio. La prima scadenza è tra quattro ore.»
Guarda il proprio orologio.
«Mandiamo tutto subito e ci riprendiamo Alessia», ringhia
Junior.
«Nyet. È la mia sposa e resta qui con me. Ventiquattro mesi.
Come sarà trattata dipende da te.»
Un’altra imprecazione in italiano. Sembra la voce di
Stefano.
«Faccela vedere di nuovo.» Questo è Nico. «Dobbiamo
sapere che non le hai fatto del male.»
Vlad mi lancia un’occhiata e poi riporta lo sguardo sullo
schermo. «Parlate in italiano e chiuderò la chiamata. Come
dite voi… capiche?»
«È chiaro», replica Stefano.
Mi raddrizzo a sedere, asciugandomi gli occhi mentre il
mio rapitore si accomoda accanto a me, sollevando lo schermo
davanti a noi.
«Che cosa le hai fatto?» esplode Junior, notando le mie
lacrime.
Io scuoto la testa. «Non mi ha ferita.» Mi ripulisco le ciglia
ancora bagnate. «Sto solo facendo la bambina. È bello
vedervi.»
«Lessie», dice piano Stefano, con tanta compassione nella
voce che ricomincio a piangere.
«Sto bene.» Tiro su con il naso. «Ho solo nostalgia di casa.
Dite alla mamma che sto bene. E mandate il denaro. Andrà al
ragazzo che Junior ha lasciato orfano quando ha sparato a tutti
quei russi.»
Mio fratello si fa immobile.
Vlad riprende il tablet e si alza. «Da. Mandate il denaro.
Avete quattro ore.» Chiude la videochiamata e mi guarda. Il
suo volto è tutto linee severe. È irritato, forse persino
arrabbiato, è difficile capirlo. Anche se con me è stato gentile,
percepisco la minaccia in lui… il potenziale in agguato appena
sotto la superficie.
Afferro il bordo del letto con entrambe le mani. Mi si
riempie lo stomaco di farfalle.
Ora perderai i tuoi privilegi.
Quali? Il privilegio di portare vestiti? Quale sarà la mia
punizione? Mi spoglierà e mi legherà di nuovo al letto? Mi
sculaccerà?
Il ricordo dell’ultima sculacciata che mi ha dato, tenendomi
ferma con il pollice premuto contro il mio ano, mi riempie la
mente.
Mi si contrae il basso ventre e mi sudano i palmi.
Ma… «È difficile restare arrabbiati con te», è tutto quello
che dice mentre si dirige verso l’uscita. «Ci sono degli abiti
nel comò. L’essenziale. Domani possiamo comprare tutto
quello di cui hai bisogno.» Chiude la porta e sento una chiave
girare nella serratura.
Gli corro dietro e scuoto la maniglia. Batto sul legno.
«Vlad!» grido.
Non so perché sono così spaventata. Dovrei essere felice di
non essere legata. Sono solo chiusa dentro una camera da letto,
e per di più una molto lussuosa. Ma non mi piace. La
solitudine mi stringe il petto in una morsa disperata.
«Vlad!» urlo.
«Tranquilla, zaika.» La chiave scivola di nuovo dentro la
serratura e la porta si apre di qualche centimetro. L’uomo si
appoggia allo stipite, il suo viso vicino al mio. «Per stanotte
hai perso la tua libertà. Devi restare nella stanza. Domani
possiamo riprovarci… Se farai la brava, ti lascerò uscire.»
La mia gola sobbalza, ma non riesco a deglutire. «Tornerai
indietro?» dico con voce tremante.
È patetico. Sto davvero supplicando per avere la sua
compagnia?
Sì, è così.
Non voglio restare da sola questa notte. Sono in un paese
straniero, a migliaia di chilometri dalla mia grande e rumorosa
famiglia italiana. Senza nessuna speranza di rivederli a breve.
Ho disperatamente bisogno di interazione umana di
qualsiasi tipo. E in particolare mi sto abituando – se non
addirittura apprezzando – la sua compagnia.
La sua espressione si addolcisce e lui mi studia per un
momento.
Cerco di scacciare la vulnerabilità dal mio viso, ma dubito
di esserci riuscita.
«Questa è la mia stanza, zaika», dice con tono pacato.
«Tornerò.»
Sembrano più parole d’avvertimento che di conforto, ma
sono ugualmente sollevata. Quando chiude la porta, mi siedo
sul letto e mi concedo un bel pianto.
Vlad
Alessia
Vlad
«Alessia.»
Non credo che Mika abbia mai usato il mio nome prima
d’ora. Sono felice che si stia aprendo. Abbiamo fatto la nostra
sessione di studio mattutina e poi è sparito per un po’. Ora è
tornato nel salotto e mi sta facendo segno con un dito. «Vuoi
vedere una cosa?»
Non è ovvio? Mi sto annoiando da morire. Vlad ha lavorato
tutto il giorno nel suo ufficio. Mi alzo di scatto dalla poltrona
in cui sono accomodata. «Sì. Da.» Ho iniziato le mie lezioni di
russo con la mia Rosetta Stone, ma vorrei potermi scaricare la
lingua nella testa come facevano in Matrix.
Seguo il ragazzo fino all’ala posteriore del palazzo. In
quelli che sembrano gli alloggi dei domestici. Il dominio di
Zoya.
Mika mi porta nella lavanderia e punta un dito. Lì,
saltellante dentro e fuori da un cesto di vimini pieno di
asciugamani c’è una cucciolata di gattini bianchi e neri. I loro
acuti miagolii mi fanno ridere.
«Oh», esclamo, chinandomi per accarezzare una minuscola
testa con l’indice. «Sono così teneri…» Ne sollevo uno e me
lo porto al petto. Quello inizia subito a fare le fusa. «La loro
mamma è il gatto il Vlad?»
«Non lo so.»
Zoya entra, la sua espressione severa come sempre. Rivolge
alcune parole severe a Mika.
«Dice che deve liberarsi di loro prima che Vlad lo venga a
sapere. Credo che la mamma sia sua.»
Io afferro il cesto con aria protettiva. «Non può liberarsi di
loro.» Lo sollevo. «Chiedile se posso tenerli.»
Il ragazzo solleva di scatto le sopracciglia. «Tutti?»
In realtà non li vorrei proprio tutti, ma in questi giorni
infastidire Vlad è il mio unico diversivo. Credo che scatenare
cinque micetti indisciplinati nella sua camera da letto sarebbe
un modo perfetto per farlo impazzire. «Da», replico.
Sono assolutamente disposta a scontrarmi con lui sulla
questione, anche se Zoya non vuole.
Mika dice qualcosa alla donna che mi guarda dubbiosa.
Io sollevo il mento. «I gattini verranno nella mia stanza»,
annuncio. «Vlad se ne farà una ragione.» Forse potrei usare la
situazione come moneta di scambio per avere una stanza tutta
per me. Dio solo sa che dividere un letto con Vlad è una
faccenda rischiosa. Se facessimo un bis della performance
dell’altra notte, con la sua lingua tra le mie gambe, non
riuscirei a resistergli.
«Chiederesti a Zoya di portare una lettiera nella mia
stanza?» chiedo a Mika mentre porto via i gattini.
Lascio i due nella lavanderia a discutere della situazione.
In camera da letto, chiudo la porta, accendo la televisione e
lascio che i cuccioli esplorino. Sono le creature più adorabili
che abbia mai visto e mi illuminano la giornata. Se anche non
avessi voluto dar fastidio a Vlad, averli nella stanza è una
gioia.
Zoya sistema la lettiera nel bagno in camera. Non ho idea di
cosa stia dicendo, ma si torce le mani con un’aria di
disapprovazione. È molto preoccupata dalla reazione del suo
padrone.
«Non temere», le dico nella mia lingua. «A Vlad ci penso
io.»
Capisce il nome e china il capo, continuando a parlare. Alla
fine se ne va.
Mi siedo sul letto e guardo la televisione, tenendo in
grembo vari gattini. Quando Vlad entra, ne ho uno su una
spalla, uno sul petto e due in grembo. Il quinto è accoccolato
sul suo cuscino.
L’uomo si ferma di colpo. «Ma cosa…?»
Gli faccio un gran sorriso. «Hai una cucciolata! La terrò
tutta.»
Il micetto sulla mia spalla sta giocando con i miei capelli.
Io rido e lo accarezzo.
Mi aspetto che Vlad sia irritato. Invece la sua espressione si
addolcisce e per un momento mi guarda e basta. «Adorabile»,
dice, sorprendendomi.
«Lo è davvero.»
Lui scuote la testa, piegando le labbra in un vago sorriso.
«Non i gatti. Tu. Tu con loro. Davvero adorabile.»
Sono presa alla sprovvista. «Quindi posso tenerla?»
«Da, printsessa. Qualsiasi cosa ti renda felice.»
«Posso avere anche un cagnolino?» insisto.
Vlad si limita a sorridere. «Ora mi stai solo provocando.
Vuoi davvero un cane?»
«Magari non prima che i gattini siano cresciuti un po’»,
ammetto.
Il suo sorriso si fa più affettuoso. Le linee sul suo viso
meno scavate. Sembra un uomo diverso così… più giovane e
bello. Sembra quasi un ragazzino.
Sollevo il gatto sul mio petto e glielo tendo. «Prendine uno.
Sono dolcissimi.»
«Okay.» È davvero ben disposto. Solleva l’animale e se lo
appoggia sul petto, accarezzandolo sotto il mento per fargli
fare le fusa.
È ridicolo ma mi innamoro un po’.
Non vorrei.
Di certo non se lo merita.
Ma non posso evitarlo.
È così maledettamente piacevole. E il fatto che sia uno
stronzo che mi sta trattenendo contro la mia volontà, un
criminale capace di grande violenza, dovrebbe essere un
disincentivo. Ma non lo è. Forse perché discendo da una lunga
stirpe di uomini come lui. E se ci innamoriamo di uomini che
somigliano a nostro padre, Vlad è perfetto.
Non sarà italiano, ma il resto è preciso.
Pericoloso. Potente. Scaltro. Intransigente.
E tuttavia, gloriosamente protettivo e altrettanto gentile.
Alzo lo sguardo su di lui. «Anche tu sei adorabile con un
gattino», gli dico. «Ma non pensare che farò sesso con te.»
Vlad si limita a sorridere. «Lo farai, zaika. Mi supplicherai,
e ti piacerà.»
Vlad
Vlad
L’ho supplicato.
Non sono nemmeno imbarazzata perché è stato tanto bello
da valerne la pena. Non avevo idea che il sesso potesse essere
così incredibile. Non potrò più farne a meno. Non riuscirò a
lasciare la Russia perché il mio corpo vorrà rimanere
prigioniero di Vlad.
Sono fottuta. Ah… letteralmente.
Soprattutto quando diventa infinitamente più gentile.
Il suo sesso mi pulsa ancora tra le gambe. Entrambi siamo
venuti. Entrambi abbiamo visto. Credo che Vlad abbia vinto,
ma io sono stata felice di essere conquistata. Ma ora si sta
abbassando sul ventre, seguendomi e coprendomi il corpo con
il suo. Mi sposta i capelli dal viso e mi bacia lungo la
mascella. Sulla spalla. La schiena. Per tutto il tempo continua
a ondeggiare la sua grossa erezione russa tra le mie cosce.
Pigramente. Lui è l’oceano e io la nave. E di certo non voglio
che smetta.
Gemo piano.
«Stai bene, Alessia? Ti ho fatto male?» mormora,
muovendo le labbra sulla mia pelle. «Mi dispiace di essere
stato così violento.»
Cristo, quest’uomo mi distruggerà. Questa tenerezza dopo i
vertici a cui mi ha portato è troppo.
«Mmh», è tutto ciò che riesco a dire in risposta.
«Girati.» Si tira fuori e mi prende per una spalla,
voltandomi sulla schiena. «Voglio guardarti.»
Mi studia in volto. Neanche a me dispiace osservarlo. I
tatuaggi grossolani, i muscoli, l’intensa mascolinità… quello
sguardo azzurro ghiaccio. Soprattutto il modo in cui mi sta
guardando ora. Come se fossi la donna più bella del pianeta.
Il suo sesso si spinge di nuovo contro la mia apertura, e io
sospiro quando entra dentro di me. Ora è solo mezzo duro, me
è comunque bellissimo. Mentre si dondola, abbassa lentamente
il viso al mio. Esita, sospeso sopra di me.
E poi la sua bocca cala sulla mia. Cattura le mie labbra e
affonda con prepotenza la lingua.
Io gemo contro di lui. Muovo la bocca insieme alla sua. È
strano che il nostro primo bacio arrivi per ultimo. Dopo tutto il
resto: le sculacciate, il sesso orale, una scopata… Praticamente
tutto tranne il sesso anale.
Che è tutto quello che conosco e probabilmente non è
molto, come ha appena dimostrato Vlad.
Il bacio continua. Le sue labbra mi divorano. I suoi denti mi
graffiano la pelle, la sua lingua mi penetra e si intreccia alla
mia.
Il suo sesso si irrigidisce di nuovo dentro di me.
E poi, all’improvviso, si interrompe. Si scosta per prendere
fiato e mi fissa, accarezzandomi una guancia con il pollice.
Io mi tendo contro il suo tocco.
«Non muoverti», mormora dopo un lungo momento.
Si tira fuori a malincuore e va in bagno. Torna senza il
preservativo, portando un asciugamano bagnato e il mio kit
medico. Risale su di me e mi pulisce tra le gambe, posando
baci sui miei seni, sulla gola, sul petto.
Poi mi controlla la glicemia. Mi fa un’iniezione di insulina
e mi bacia sul sito dell’iniezione.
Affamata, mi alzo dal materasso e prendo la sua maglietta
per infilarmela sopra la testa.
«Na-ah», sbotta lui dal letto. «Niente vestiti per te. Ne hai
perso il diritto.»
Non riesco a prenderlo sul serio. Quando mi ha riportata a
casa avevo paura, ma dopo la tenerezza che mi ha dimostrato,
ho capito come stanno le cose.
«Ah, sì?» mormoro. Torno da lui e gli salgo a cavalcioni in
grembo.
Vlad mi afferra il sedere e mi solleva i fianchi per
strofinarli sul suo membro. Quando gli spingo i seni nudi sul
viso, geme. «Mi hai proprio dove mi vuoi, non è vero?»
«È così?» gli chiedo con innocenza.
Mi afferra per la mascella e tira giù il mio viso per un altro
bacio violento. «Probabilmente ti concederei qualsiasi cosa mi
chiedessi in questo momento.»
«Lasciami libera.»
Appoggia la fronte alla mia. «Non questo.»
«Lasciami chiamare i miei fratelli.»
Mugugna roteando gli occhi, ma sembra pensarci.
Me lo permetterà di certo.
«Nyet.»
Cosa? «Sul serio? Perché no?» pretendo di sapere.
«Perché ti renderebbe triste. Voglio che tu sia felice
adesso.»
Dannazione. È difficile ribattere a questa logica, dal
momento che ho pianto l’ultima volta che li ho visti sullo
schermo.
Quest’uomo è davvero dolce per essere un rapitore.
«Ho una piccola sorpresa per te», mi dice, appoggiandomi
un palmo sul seno e stuzzicandomi il capezzoli con il pollice.
Mi illumino. «Davvero?»
«Da.»
Aspetto, ma lui continua a giocherellare con il mio
capezzolo. Alla fine, mi solleva dal suo grembo e mi mette giù
con un sospiro. «Non voglio lasciarti.» Scende dal letto per
alzarsi.
«Allora portami con te», gli propongo allegramente.
Vlad chiude gli occhi e scuote la testa come se fosse
addolorato. «Sei in punizione, zaika.» Mi appoggia una mano
dietro il collo e mi attira a sé, depositandomi un bacio sopra la
testa. «Torno subito, te lo prometto.» Mi lascia andare per
rinfilarsi i vestiti, e poi mi lascia nella stanza.
Non sento la chiave girare nella serratura.
Vado a controllare.
L’ha lasciata aperta. È convinto che adesso gli obbedirò?
O semplicemente non ha voluto chiudere a chiave la porta
dopo il momento che abbiamo appena condiviso?
In ogni caso, mi sembra una cosa positiva. Non lo metterò
alla prova andandomene.
Salgo sul letto e mi sdraio sulla schiena, fissando il soffitto.
La cintura di Vlad pende ancora dalla trave, e la sua vista mi fa
sorridere. Mi formicola ancora il corpo per gli orgasmi, le mie
membra sono molli e rilassate, la pelle sensibile.
Ormai questa è la mia vita. Sono la moglie di Vlad, almeno
fino a quando non si stancherà di me.
È strano che non lo trovi così terribile? Che una parte di me
sia felice che mi sia stata tolta la scelta, e che sia bloccata con
questo uomo splendido e pericoloso a ottomila chilometri da
casa?
Vlad torna poco dopo con una ciotola di yogurt e frutta e il
mio tablet, che avevo lasciato in salotto.
«È questa la tua sorpresa?»
«No, sta arrivando. Questo è per farti resistere fino a cena.
So che hai fame.»
Accetto la ciotola con gratitudine. In effetti è vero. Sto
morendo di fame. «Come fai a saperlo?» Alzo lo sguardo su di
lui mentre mangio una cucchiaiata.
Lui scrolla le spalle. «Ti conosco.»
Ti conosco.
Parole semplici. Un sentimento semplice. E tuttavia in quel
momento sono colpita da quanto è vero. Mi conosce sul serio.
Nemmeno la mia stessa madre conosce i miei ritmi e le mie
necessità come quest’uomo.
Mi infilo in bocca un’altra cucchiaiata di cibo. «Quindi la
cena sta arrivando?»
«Da.»
«E la sorpresa.»
«Da.»
«La cena è la sorpresa?» Tiro a indovinare.
Incurva le labbra. «Forse.» Apre il mio tablet e trascina
l’indice sullo schermo. Come al solito, muove le dita con
grande rapidità. Qualche istante più tardi, la musica riempie la
stanza. Sono i Daft Punk… una delle canzoni che ho richiesto.
Ho stilato una lista più lunga possibile, con varie canzoni e
artisti sconosciuti, solo per infastidirlo.
«La mia playlist?» dico allora. «È questa la sorpresa?
Quando hai avuto il tempo di scaricarla?»
Mi guarda, e l’affettuoso divertimento rende morbidi e
giovani i suoi lineamenti normalmente severi. «L’avevo sul
computer. L’ho solo trasferita qui.»
«Grazie.» Accetto il tablet e mi siedo a gambe incrociate
sul letto per scorrerlo. Vlad ha trovato ogni singola canzone
che ho richiesto, e le ha caricate nell’esatto ordine in cui le ho
scritte.
Sono riempita dalla soddisfazione. E qualcos’altro.
Qualcosa di pericoloso… la felicità.
Trenta minuti dopo il ritorno di Vlad, qualcuno bussa alla
porta. «Ecco la nostra cena», dice. «Vai ad aspettare in bagno.»
«Potresti lasciarmi mettere dei vestiti», protesto, saltando
giù dal letto.
«Nyet. Niente abiti per te.» Mi dà una pacca sul sedere e io
mi affretto per levarmi di torno.
Aspetto in bagno fino a quando non mi richiama e poi
scoppio a ridere non appena vedo cosa c’è sul vassoio.
Patatine fritte.
Fatte in casa, non quelle surgelate. Appena uscite da una
friggitrice.
«È questa la mia sorpresa?»
Vlad annuisce. «Hai detto che ti piacevano. Ho ordinato
una friggitrice e Zoya le ha fatte fresche per te.»
Rido, e all’improvviso mi ritrovo in lacrime.
«Alessia?» Lui mi raggiunge in fretta e mi prende per le
spalle. «Che c’è? Cosa succede?»
«Niente. È solo che… è molto gentile. Premuroso. E…»
Sembra che non riesca a fermare questo pianto inaspettato.
«Non voglio innamorarmi di te, Vlad.»
Sul suo viso lampeggia un’espressione allarmata. Ci
fissiamo a vicenda, entrambi terrorizzati da ciò che ho detto.
«Non…» sibila, come se parlare gli causasse dolore. «Non
dirlo, o non ti lascerò andare mai più.»
«Non lo dirò», replico in fretta, girandomi dall’altra parte.
Mi afferra, ma non mi fa voltare. Mi avvolge solo tra le sue
braccia da dietro.
Verso qualche altra lacrima. Cala il vuoto. Il vuoto, ma
anche la resa. Gli ho donato la mia vulnerabilità. Lui mi ha
donato la sua.
Con essa c’è una pace. Non mi lascerà andare. Ma mi tiene
con sé. Mi capisce come nessun’altro prima d’ora.
È una cosa positiva, giusto?
Prendo un respiro tremante. Mi giro tra le sue braccia e
appoggio la testa al suo forte petto. I battiti del suo cuore
riecheggiano contro il mio orecchio.
Lo amo.
È illogico e stupido, ma immagino non si possa discutere
con il proprio cuore.
«Andiamo», mi dice poi, indietreggiando ma continuando a
stringermi con un braccio. «Assaggia le patatine di Zoya o si
arrabbierà con me per tutto il lavoro che le ho fatto fare.»
Emetto una risata lacrimosa. «Vuoi scherzare? Ho
intenzione di mangiarle tutte. Beh, magari ne lascerò qualcuna
per Mika.»
«Ti garantisco che Zoya ne ha fatte anche per lui.»
Percepisco un sorriso nella sua voce, e alzo la testa per
vederlo.
«Gli si è affezionata, vero?»
«Da.»
«L’ho visto. È molto dolce, considerando che il resto del
tempo sembra un’anziana brontolona.»
Vlad ridacchia. «È un’anziana brontolona. Ma si prende
cura di noi.»
Raggiungo il vassoio e prendo una patatina per intingerla
nel ketchup che sembra fatto in casa. Ha un sapore diverso, ma
non cattivo. «Mmh. Lo fa davvero.»
Vlad mi sculaccia piano. «Vieni a letto. Ti voglio
imboccare.»
Roteo gli occhi, pur obbedendo. «Non ho le mani legate,
amico.»
Lui agita le sopracciglia. «Posso sempre rimediare alla
situazione.»
14
Vlad
Vlad
Alessia
Alessia
Alessia
Vlad
No.
No, no, no.
Spiego a Mika come fare un’iniezione di glucagone ad
Alessia e allo stesso tempo mi getto addosso i miei vestiti per
correre fuori dalla porta. Resto sempre al telefono con lui, con
il cuore che mi batte sempre più forte sentendogli dire che non
si sveglia. Che non ha reagito.
«Ora riattacco e chiamo un’ambulanza», dichiaro con una
calma che non provo. «Poi ti richiamo subito.»
Sento lo stridio di una sirena mentre corro dentro il palazzo.
Non riesco ad aspettare nemmeno qualche minuto in più,
quindi porto la ragazza nell’atrio dell’albergo, la sua testa a
ciondoloni sulla mia spalla.
Cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Mika ha gli occhi lucidi ed è terrorizzato. «Ha detto che si
sarebbe controllata la glicemia più tardi. E poi si è
addormentata. Mi dispiace, Vlad, avrei dovuto svegliarla.»
«No. Non è colpa tua. E starà bene», gli prometto, anche se
non ne sono così sicuro. È tutto sbagliato.
Ed è solo colpa mia.
Alessia
Sono in un ospedale.
Metto a fuoco la stanza. Il basso vociare russo che viene dal
corridoio mi fornisce l’indizio successivo.
Mosca.
Ero in un albergo con Mika. E mi sono addormentata senza
prendere la mia insulina. Ma non dovrei stare così male.
Mi sento uno schifo. Stanca e stordita. Cerco di muovermi e
scopro che tubi pieni di sangue mi escono da un braccio.
Provo ad alzarmi a sedere, ma sono troppo debole. Troppo
esausta. Sollevo la testa e mi guardo intorno. «Vlad?»
Qualcosa si muove in un angolo, e il viso smunto di Mika
appare alla mia vista.
«Dov’è Vlad?»
«È qui, sta parlando con i dottori.»
«Non sto bene. Cosa sta succedendo?»
Il suo mento trema. Mi accorgo che ha gli occhi arrossati.
«Hai avuto un problema. I tuoi… non so come dirlo nella tua
lingua…» Si tocca la schiena.
«I reni?»
«Da. Un rene ha ceduto. Vlad ti fa fare un trapianto.»
La paura mi attraversa come un fulmine.
Un trapianto.
Sono già a questo punto? È così grave? È ciò a cui ho
evitato persino di pensare sin dalla mia diagnosi in Italia. Il
mio più grande timore.
E ora sta succedendo. Un rene ha ceduto. I tubi di sangue
devono essere la dialisi. Oh Dio, il mio corpo mi ha tradito.
E sono tutta sola in Russia. Niente famiglia e niente amici.
Mi si annebbia la vista. Non mi sono sentita tanto
spaventata o isolata per tutto il tempo che sono stata qui.
Nemmeno al mio arrivo a Volvograd, quando non sapevo cosa
Vlad avesse in serbo per me. Niente è paragonabile al terrore
che provo in questo momento.
Non mi piace trovarmi in questo letto d’ospedale, con tubi
che mi escono da un braccio, circondata da infermiere che
parlano solo in russo.
«I tuoi fratelli stanno arrivando», dice Mika, come se
avesse indovinato i miei pensieri.
Esito. Cerco di nuovo di sedermi, ma è troppo faticoso.
«Davvero?»
«Da. Vlad ha chiamato Junior, gli ha detto di venire.»
Sprofondo nel cuscino, e mi sento inondare di sollievo.
Andrò a casa.
Ma non ho ancora risolto le cose con Vlad. Ho bisogno di
vederlo. Mi sento strappata a metà, aperta in due, senza di lui
al mio fianco.
«Dov’è Vlad? Ho bisogno di lui.»
Mika serra la mascella. «Ora non può venire. È con i
dottori.»
Mi tendo per toccargli una manica. «È davvero qui, Mika?
O mi stai mentendo?»
La sua preoccupazione sembra reale. «Nyet.» Si lancia
un’occhiata dietro una spalla. «Vado a vedere se i dottori
hanno finito con lui.»
Il mio sollievo ha una breve durata, perché non voglio
essere lasciata da sola in un ospedale dove non parlo la lingua
e non conosco nessuno. «No, aspetta…» lo chiamo mentre si
dirige verso la porta. «Non mi lasciare. Ti prego.»
Torna indietro. «Vlad è qui», dice con fermezza, come se
temesse che non gli credessi. «Ti sta procurando un rene.»
«Okay. Allora lo aspetteremo. Cosa possiamo fare?» Alzo
lo sguardo sulla televisione appesa alla parete.
Mika l’accende e scorre i canali, ma tutte le trasmissioni
sono in russo. «Lo so», esclama, recuperando il tablet dalla
sedia nell’angolo. Si mette accanto a me e l’accende. «Ti piace
Friends?»
Faccio una risata lacrimosa. Mi era parso di averlo visto
guardare questa serie quando eravamo a Las Vegas. Mi
appoggia il tablet in grembo e lo guardiamo insieme, mentre il
tempo scorre con interminabile lentezza.
Vlad
Alessia
Alessia
Cara Alessia,
Mi dispiace
Per tutto. Per averti rapita e portata in Russia. Per
averti tenuta lontana dalla tua famiglia, che ami
così tanto. Per non essere stato presente per
controllare la tua glicemia la notte in cui il tuo
rene ha ceduto.
Ma soprattutto, per aver perso la calma davanti
casa di Victor. Perdonami. Ti ho messa nella stessa
categoria di Sabina, ma voi due non avete niente
in comune. Lei pensa solo a sé stessa. Tu tieni a
chiunque ti circondi. Porti gioia e amore ovunque
tu vada, e sento la mancanza del tuo bellissimo
viso ogni giorno che passa.
Non avanzo alcuna pretesa su di te. Sei libera,
ovviamente. Volevo solo che sapessi che soffro
senza tregua sapendo che ti ho ferita. Se potessi
rimangiarmelo lo farei, zaika.
Ti prego, abbi cura di te.
Hai il mio rene, ma hai anche il mio cuore.
Ti chiedo solo di non odiarmi.
Tuo,
Vlad
Vlad
Non sono mai stato credente. Non ho mai dato molto
credito a parole come sacro o santo. Ma mentre stendo la mia
bellissima sposa sul nostro letto, è con una reverenza al di là di
ogni reame spirituale.
E lei me lo lascia fare.
La spoglio lentamente, un indumento alla volta, e Alessia
mi guarda, con le ciglia abbassate, il ventre fremente e le
labbra socchiuse.
È venuta qui di sua spontanea volontà.
Per me è un miracolo per cui sarei disposto a mettermi in
ginocchio.
Questa volta non si sta sottomettendo alla mia volontà, si
sta offrendo. È diverso. E speciale, è un momento che non
potrò mai dimenticare.
«Cos’è questo?» Porta un dispositivo medico che la fa
sussultare e arrossire quando lo scopro.
«Una pompa di insulina. Me la tolgo, la detesto.»
Reclino la testa, osservando come fa e notando ogni
dettaglio per poterla aiutare la prossima volta. «Mi sembra una
buona idea.»
Lei si stringe nelle spalle. «Preferirei che mi monitorassi
tu.»
Ed è allora che cado in ginocchio sul serio. Sono sul letto
ma fa lo stesso. Le sue parole ispirano un vero risveglio
spirituale.
Le bacio l’interno coscia, lecco il suo ventre piatto. Prendo
un capezzolo turgido in bocca. Alessia si inarca, gemendo
piano.
È una dea.
Il divino femminile.
È donna in un modo in cui non ho visto nessun’altra. Pura,
potente e portatrice di vita.
«Sei venuta», mormoro di nuovo meravigliato. Non riesco
ancora a credere a questo miracolo.
«Sono qui», dichiara.
Le appoggio una mano sul monte di Venere mentre passo
all’altro capezzolo. È bagnata, lubrificata e pronta per me.
«Bellissima, bellissima donna», sussurro. È un rito sacro.
Io, in adorazione del suo corpo.
Mi faccio indietro e le apro le ginocchia per banchettare tra
le sue cosce. I suoi umori mi scorrono sulla lingua mentre
lecco le piccole labbra e succhio il suo clitoride gonfio.
«Dimmi, zaika», le chiedo, stringendole il sedere con
entrambe le mani per tenerla ferma, leccandola più
aggressivamente.
Alessia geme, muovendo su e giù i fianchi. «Cosa, Vlad?»
«Sei qui per restare? O è solo una visita?» Non so perché
glielo stia chiedendo ora. Perché rovinare un momento così
bello?
Ma devo saperlo. Questa sarà la mia ultima volta con lei? O
è un nuovo inizio per noi?
«Non per restare», ansima, e il cuore mi si rattrappisce,
nonostante sospettassi già che quella sarebbe stata la sua
risposta.
«Non voglio stare lontana dalla mia famiglia, Vlad. Due dei
miei fratelli aspettano un figlio questo autunno.»
«Capisco.» Ho la voce strozzata, ma non ho intenzione di
fermarmi. Merita ciò che darei a Dio e alla Madre Terra.
«Torna negli Stati Uniti con me, Vlad», mi chiede, usando i
miei capelli per alzare il mio viso dal suo splendido sesso.
Mi sollevo su di lei e apro la zip dei jeans, trovo un
preservativo e me l’infilo. «Ora ho Mika», l’avverto. «E Lara,
la bambina.» Strofino la punta del sesso sulla sua apertura.
Lei stringe il mio uccello e mi guida dentro di sé, gemendo
piano.
La riempio, ondeggiando lentamente fino a quando non
sono del tutto dentro, e poi indietreggio.
«Voglio bene a Mika. E sai che adoro i bambini.»
Le appoggio le mani accanto alla testa e pompo con calma
dentro e fuori. Per me è ancora un’esperienza religiosa. Ogni
sensazione alimenta il senso di unione e la mia convinzione
che tutto nel mondo sia giusto.
«Vlad?»
Appoggio la fronte alla sua, iniziando a spingermi con più
forza.
«Non mi hai risposto.»
«La risposta è sì. Sempre. Qualsiasi cosa tu mi chieda,
zaika. Sono tuo. In qualsiasi modo tu mi voglia.»
Alessia abbandona all’indietro la testa, chiudendo gli occhi
ed emettendo un dolce gemito. Come se anche lei fosse in
preda a una rivelazione estatica.
Vederla così mi spinge oltre il limite. Mi sposto per
stringere la testata del letto e affondare con violenza dentro di
lei, ogni spinta un punto esclamativo alla fine della mia
promessa.
Sono tuo.
Qualsiasi cosa tu mi chieda.
La risposta è sì.
Apre la bocca, sollevando i seni verso il soffitto.
Mi si tendono le palle, mi tremano le cosce. Lei appoggia le
mani alla testata, emettendo un grido a ogni spinta.
«Non durerò», sibilo a denti stretti.
«Che cosa stai aspettando?»
Raggiungo la felicità assoluta e nell’istante seguente
esplodo. Alessia mi segue, agganciandomi le gambe dietro la
schiena e attirandomi più a fondo, mentre gli stretti muscoli
della sua apertura pulsano durante il nostro orgasmo.
«Vlad?» mi chiede senza fiato, avvolgendomi le braccia
attorno al collo.
«Cosa c’è, printsessa?»
«Siamo ancora sposati?»
Mi appoggio sugli avambracci per mordicchiarle le labbra.
«Sì.» Non sono riuscito a dissolvere il nostro matrimonio,
nonostante sapessi che era la cosa giusta da fare.
«Che cosa succederà quando ti stancherai di me?»
Mi si stringe il cuore. L’ho ferita quando l’ho detto? «È una
cosa impossibile», le dico. «Una bugia che ho raccontato per
convincermi che potevo lasciarti andare.»
Alessia si agita sotto di me, incoraggiandomi a continuare
le mie lente spinte post-orgasmo. «Voglio un secondo
matrimonio. Uno americano, con la mia famiglia.»
Mi blocco e lei si sposta per prendermi più a fondo. Devo
deglutire il groppo che ho in gola. «Vuoi sposarmi?»
«Di nuovo. Sì.»
Le copro il viso di baci, onorato dalla facilità con cui ha
ceduto il suo cuore. La sua vita.
A me.
«Qualsiasi cosa tu voglia, zaika. È tua. Credimi.»
«Mmh», mugola piano lei, attirandomi a sé. Devo girarci
entrambi su un fianco per evitare di schiacciarla. «Voglio
prendere in braccio la tua bambina.»
Mi sollevo su un gomito e le sorrido. «La nostra bambina…
se vuoi. La adotterai?»
Alessia batte le ciglia per scacciare le lacrime. «Mi
piacerebbe. Tu adotterai Mika?»
«Sì. Ho già preparato i documenti, ma stavo aspettando il
momento giusto per parlargliene.»
«Andiamo a dirglielo.» Si spinge a sedere e scende dal
letto. «È lui che mi ha fatta venire qui con l’inganno.»
Non vorrei lasciare la santità del nostro letto, ma la vista del
suo entusiasmo basta a motivarmi.
Non saremo solo noi due. Saremo una famiglia, e anche in
essa c’è qualcosa di sacro.
Qualcosa che Alessia ha vissuto ma io non ho mai avuto.
Un’esperienza che voglio dare ai miei figli.
21
Alessia