Sei sulla pagina 1di 2

Colpo di fulmine

Quel giorno, che si sarebbe rivelato il più fortunato e allo stesso tempo sfortunato
della mia vita, nevicava. E si sa, Boston è ancor più magica quando c'è la neve. Piccoli
fiocchi scendevano dal cielo con una certa posatezza. Affacciato dalla finestra,
restavo ammaliato davanti a quell'incanto. Guardare i tetti e le strade imbiancarsi mi
dava pace, un senso di traquillità. Lo stress accumulato in quei giorni e l'ansia di
dover far la sua conoscenza svanirono. Mi sentivo come ipnotizzato tanto che non mi
accorsi dell'arrivo del signor Mike, della moglie e di Janine, la sua figliola. Fu mia
madre a risvegliarmi, scuotendomi il braccio. E così ritornai alla realtà e la paura di
non piacere a Janine o che lei non mi piacesse, ritornò. Quella sera avrei dovuto
incontrarlarla: lei sarebbe stata la mia futura sposa. Due giovani, che neppure si
conoscevano, promessi, non eravamo nient'altro che questo. Ma l'idea di sposarla
non mi entusiasmava proprio. Non volevo affatto un matrimonio di convenienza
come quello dei miei genitori. Desideravo amare e soffrire per amore. Ma quando
entrò e oltrepassò la soglia della porta, rimasi affascinato. Era bellissima. I suoi
capelli lucenti di un bel rosso acceso erano lunghi e mossi. Sembravano così morbidi.
Gli occhi verdi erano intensi e misteriosi. Con curiosità perlustravano rapidamente,
ma comunque in dettaglio, la casa. La mia casa. Le guance rosse (forse accaldate) e il
suo bel nasino erano ricoperte da uno strato di piccoli e numerosi puntini: le
lentiggini. Era di altezza media o forse alta, se paragonata a mia madre o a
Margaret, mia sorella. Elsa, la domestica, prese i cappotti innevati per riporli
nell'armadio degli ospiti. Il signor Mike, seguito dalla figlia, si sedette sul divano
difronte a quello su cui eravamo seduti mio padre ed io. Dopo poco mi accorsi che
Janine mi stava guardando. Il suo sguardo, un po' spaventato e un po' incredulo
dimostrava, forse, che anche lei temeva l'incontro e temeva soprattutto di parlarmi.
Chissà se ha provato le stesse sensazioni che ho provato io nel vederla. Anch'io la
guardavo, ma con uno sguardo sereno e forse innamorato. Ad un certo punto il
signor Mike smise di discutere con mio padre di affari e si rivolse a me. Mi domandò,
nonostante lo sapesse già, se avessi aspirazioni o progetti, insomma, cosa volessi
fare nella vita. Ed io stetti al suo gioco e risposi cercando di selezionare i migliori
vocaboli, di essere specifico ma non lungo e barboso. Il signor Mike era un uomo
alquanto acuto e con delle domande credeva di lasciarmi senza parole, come uno
stoccafisso, ma fallì. Le sue domande mi ricordavano quelle che mi poneva mio
nonno: ero ben allenato. La nostra discussione non aveva nulla da togliere ad un
quiz televisivo. Dovevo fare attenzione e dare le risposte giuste: infondo, il premio
era Janine. Ci sedemmo a tavola e Janine ed io, che eravamo uno di fronte all'altro,
dialogammo amichevolmente. Janine andava a cavallo: era un portento! Lei ed il suo
cavallo Benny avevano vinto molteplici premi e coppe. Mi parlò delle sue origini
irlandesi e del suo sogno di vivere a Dublino. Io, Timothée, un ragazzo semplice mi
sentii un essere mediocre. Non ho mai avuto grandi sogni. Desideravo diventare un
musicista di successo. Ma era troppo tardi. Ero un quasi avvocato e avrei dovuto
accompagnare per poi sostituire mio padre nel suo studio. Non c'era più tempo per
sognare. Il mio futuro era stato già scritto. Janine rimase ferma a guardarmi, toccata
dalle mie parole e mi chiese di suonarle qualcosa al pianoforte. Era da tanto che non
suonavo. Era da molto che non sfioravo quei tasti. Non mi ero mai reso conto di
quanto mi mancasse. Nonostante fossi giovane mi sentii vecchio, percepii quello che
degli anziani, in punto di morte, provano. Quella sensazione di non aver vissuto a
pieno la mia vita. Perché a quel punto non sembrava più mia. Mi sentivo come
Lemon Novecento scoppiare in aria solo soletto con quella nave che era oramai
diventata la sua casa. Stavo per scoppiare in lacrime ma non lo feci. Janine mi
applaudì. Ma appena vide il mio volto, quasi piangente, capì tutto e mi abbracciò.
Mi rincuorò e lì compresi che Janine era la donna che avrei amato per il resto della
mia vita. Forse giudicherete il mio sentimento affrettato ma non è così. Sono bastate
delle ore per innamorarmi di lei, anzi, è bastato guardare i suoi occhi verdi e puri. Il
giorno dopo confidai a mio padre i miei sentimenti profondi per Janine. Dopo minuti
di silenzio di ripensamenti accettò e chiamò il signor Mike. L'uomo entusiasta fu
d'accordo. Quello stesso pomeriggio andai da Janine a chiederle di sposarmi. Lei
sapeva che prima o poi le sarebbe toccato e mi disse di sì. Il suo fu un sì insucuro e
rassegnato. Ma non ci feci caso. Aveva detto di sì! Il giorno del matrimonio, che si
tenne qualche mese dopo, ero super agitato. Mi affacciai dalla finestra per prendere
dell'aria. E indovinate un po'? Nevicava. Come il giorno in cui avevo fatto la
conoscenza di Janine. Era un segno del destino. Convinto e perdutamente
innammorato giunsi a casa della mia amata: lì si sarebbe tenuta la cerimonia. Ma lei
non si presentò. Forse sono stato troppo diretto nel dirvelo ma è così che è andata.
Caddi in depressione. Avevo il cuore frantumato in mille pezzi. Le uniche cose che mi
tenevano in vita erano la letteratura e la musica. Mi ritrovavo molto nei testi di
Dante. Janine era la mia Beatrice, che avevo perduto. Ero diventato l'artista
tormentato che avevo sempre sognato di essere. Ma lei non era con me e ciò mi
faceva sentire di nuovo come il vecchio deluso della sua vita. E non era per niente
bello.

Potrebbero piacerti anche