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Hoffmann
NATHANAEL1 A LOTHAR
CLARA A NATHANAEL
È ben vero che tu non mi scrivi da tanto tempo, ma credo proprio di essere
in cima ai tuoi pensieri. Era a me che pensavi, se, pur volendo spedire la tua
ultima lettera a mio fratello Lothar, hai poi finito invece per indirizzarla a
me invece che a lui36. Con gioia ho aperto la busta e, alle parole: «Oh
carissimo Lothar!», mi sono accorta dell’errore. A quel punto non avrei
dovuto continuare a leggere, bensì dare la lettera a mio fratello. Ma non sei
stato forse proprio tu a rimproverarmi spesso, scherzando come un
bambino, di essere una donna così tranquilla e così posata al punto che, lo
ricordo ancora, una volta dicesti che se mi stesse crollando la casa addosso,
prima di darmi alla fuga in tutta fretta, mi sarei fermata ancora un attimo ad
aggiustare le pieghe di una tendina? Ebbene, devo confessarti che l’inizio
della tua lettera mi ha profondamente sconvolta. Non riuscivo quasi più a
respirare e la vista mi si era annebbiata. Oh, mio amato Nathanael, cosa mai
poteva essere entrato nella tua vita di così tremendo! Separarmi da te, non
rivederti più, il pensiero mi ha trafitto il petto come un pugnale infuocato.
Non riuscivo a smettere di leggere! La descrizione che fai del disgustoso
Coppelius è terribile. Soltanto ora so com’è stata tremenda, violenta la
morte del tuo buon vecchio padre. Quando gli ho riconsegnato la sua
legittima proprietà, mio fratello Lothar ha cercato di calmarmi, ma senza
successo. Quel maledetto venditore di barometri, quel Giuseppe Coppola mi
perseguitava a ogni piè sospinto e quasi mi vergogno a confessare che
addirittura è riuscito con i sogni più bizzarri a turbare il mio sonno salutare,
di solito così tranquillo. Ma ben presto, già il giorno dopo, il tutto ha preso
una piega diversa. Non volermene, adorato mio bene, se magari Lothar
verrà a dirti che sono del mio solito umore allegro e spensierato, nonostante
tutti i tuoi strani presagi sulle cattive intenzioni di Coppelius.
Voglio anzi subito confessarti che secondo me tutti gli avvenimenti terribili
e spaventosi di cui parli sono accaduti soltanto nel tuo animo, mentre invece
il mondo esterno, quello vero e reale vi ha ben poca parte37. Il vecchio
Coppelius sarà pur stato rivoltante, ma da piccoli il vostro disgusto era
provocato semplicemente dal fatto che lui detestasse i bambini.
Com’è naturale, nel tuo animo di bimbo il tremendo uomo della sabbia, di
cui aveva raccontato la bambinaia, finì per fondersi con il vecchio
Coppelius che per te, se anche tu non avessi creduto a quella specifica
figura fantastica, sarebbe comunque rimasto un fantasma, un mostro
pericoloso soprattutto per i bambini. I sinistri maneggi notturni insieme al
babbo altro non erano che esperimenti di alchimia fatti di nascosto38, che la
mamma non guardava di buon occhio, perché vedeva sprecare senza senso
una gran quantità di danaro; e poi, come sempre accade a quelli che si
dedicano a queste ricerche, l’animo del babbo, tutto colmo di fallaci
aspirazioni verso una superiore saggezza, veniva a essere distolto dalla
famiglia. Con ogni probabilità tuo padre morì a causa della propria
imprudenza e Coppelius non ne ha colpa. Ci credi che ieri ho domandato al
nostro vicino, un esperto farmacista, se è possibile che durante esperimenti
chimici si possa verificare un’esplosione che provoca una morte istantanea?
Lui mi ha detto: «Eccome», e mi ha descritto a modo suo, prendendola
larga e con gran dovizia di particolari, come ciò possa accadere e ha
pronunciato tutta una serie di nomi dal suono strano che non mi è riuscito di
tenere a mente. Sento già che le mie parole ti avranno messo di malumore
nei confronti della tua Clara e mi sembra di sentirti dire: in quell’animo
freddo non entra nemmeno un barlume dell’arcano che spesso stringe
l’uomo con braccia invisibili39; lei riesce a scorgere soltanto la variopinta
superficie del mondo e, come il bimbo più ingenuo, eccola lì a gioire del
luccichio dorato del frutto in cui s’annida il veleno mortale.
Ah, mio amatissimo Nathanael!, non credi che anche negli animi sereni,
tranquilli e spensierati possa albergare il presagio di una forza oscura e
ostile che intende produrre rovina nel nostro intimo? Perdonami se io, da
quell’ingenua fanciulla che sono, mi arrischio però a darti una qualche idea
delle mie opinioni intorno a questa lotta interiore. Alla fine non trovo
neanche le parole giuste e tu riderai di me, non tanto perché io pensi
qualcosa di sciocco, ma perché sono così poco versata nel dirlo.
Se esiste una forza oscura e nemica, che a tradimento pone un filo nel
nostro intimo, con cui ci tiene stretti, traendoci su un cammino pericoloso e
rovinoso che noi altrimenti mai avremmo percorso, se una tale forza esiste
deve prendere le nostre stesse sembianze, diventare come noi; poiché solo
in tal modo noi riusciremmo a crederle e le concederemmo lo spazio di cui
ha bisogno per compiere la sua opera segreta. Ma se noi possediamo una
mente abbastanza vigile e resa salda da un’esistenza serena che ci permetta
sempre di riconoscere un influsso estraneo e ostile e di seguire con passo
calmo la strada su cui ci hanno spinto inclinazioni e vocazione, quel potere
sinistro non potrà che soccombere nel vano tentativo di assumere quelle
sembianze che dovrebbero essere la nostra immagine riflessa40. E poi si può
star certi, aggiunge Lothar, che se ci siamo abbandonati a una forza oscura
di natura fisica, essa riesce spesso a sospingere nel nostro intimo le forme
estranee in cui il mondo esterno ci fa imbattere, così che finiamo per essere
noi stessi ad alimentare il nostro spirito che ci parla attraverso quelle forme,
mentre lo crediamo come noi in preda a un bizzarro inganno. È soltanto il
fantasma del nostro io, che per l’intima affinità con il nostro animo e il
profondo influsso su di esso, ci fa sprofondare nell’inferno o ci rapisce in
cielo41. Come vedi, mio amato Nathanael, io e mio fratello Lothar abbiamo
discusso molto a lungo di forze e poteri oscuri, e ora che, non senza fatica,
ho trascritto i punti salienti il tutto mi sembra decisamente profondo. Le
ultime parole di Lothar non le capisco appieno, posso soltanto intuire ciò
che vuol dire, eppure ho la sensazione che sia tutto molto vero. Ti prego,
cancella dalla tua mente sia l’orribile avvocato Coppelius che Giuseppe
Coppola, l’uomo dei barometri. Convinciti che queste figure estranee nulla
possono su di te, soltanto credere nel loro potere negativo può rendertele
davvero ostili. Se da ogni parola della lettera non parlasse l’agitazione che
stai provando, se il tuo stato non prostrasse tutta me stessa, potrei anche
ridere di quell’avvocato-uomo della sabbia e del venditore di barometri
Coppola. Sta’ sereno, sereno!42 Mi sono ripromessa di comparirti dinanzi
come il tuo angelo custode e di bandire con una bella risata l’orribile
Coppola, se ancora dovesse saltargli in testa di venire a turbare i tuoi sogni.
Non ho paura alcuna né di lui, né delle sue manacce pelose, non lascerò né
che l’avvocato mi rovini le mie leccornie, né l’uomo della sabbia gli occhi.
Eternamente mio amatissimo Nathanael ecc. ecc.
NATHANAEL A LOTHAR
Mi è molto dispiaciuto che per via dello sbaglio, invero causato dalla mia
distrazione, Clara abbia aperto e letto la mia ultima lettera che avevo invece
indirizzato a te. Lei mi ha poi risposto con parole assai profonde e
filosofiche, con cui dimostra che Coppelius e Coppola esistono solo dentro
di me, fantasmi del mio io che svaniranno all’istante non appena li
riconoscerò come tali. Si stenta a credere che lo spirito rilucente, come in
un sogno delizioso, da quei chiari occhi che sorridono con tanta dolcezza
sappia discettare43 in modo così accorto, così professorale. Nella lettera
riporta anche le tue osservazioni. Avete dunque parlato di me. E tu le dai
anche lezioni di logica, affinché impari a esaminare e distinguere tutto con
la massima sottigliezza. Ma lascia perdere! Del resto, lo so per certo,
Giuseppe Coppola, il venditore di barometri, non è affatto il vecchio
avvocato Coppelius. Ho preso a frequentare i corsi di un professore di fisica
arrivato di recente che come il famoso naturalista si chiama Spalanzani44 ed
è di origine italiana. Già da diversi anni costui conosce Coppola, e per
giunta dalla sua pronuncia si capisce che è davvero piemontese45. Coppelius
era tedesco, anche se, a quanto pare, non un vero tedesco. Non è che mi sia
calmato del tutto. Continuate pure tu e Clara a considerarmi un cupo
sognatore, ma io non riesco a liberarmi dall’impressione che mi fa il
maledetto viso di Coppelius. Sono contento che abbia lasciato la città, come
mi ha detto Spalanzani. Questo professore è un tipo strano. Un omino basso
e paffuto, il volto dagli zigomi pronunciati, un naso sottile, le labbra
carnose e gli occhietti pungenti. Ma meglio di qualsiasi descrizione, basta
che tu abbia presente il Cagliostro ritratto da Chodowiecki in non so più
quale almanacco berlinese46. Ecco, quello è Spalanzani. Giorni fa salgo le
scale e noto che la tendina, di solito tirata davanti alla porta a vetri, lascia
intravedere un piccolo spiraglio. Neanch’io so com’è che mi sia venuto in
mente di dare una sbirciata. In quella stanza era seduta una ragazza alta,
assai snella, perfettamente proporzionata ed elegantemente vestita, le
braccia e le mani conserte su un tavolino dinanzi a sé. Siccome sedeva con
il viso alla porta, potei contemplarne i tratti, belli come quelli di un angelo.
Lei non parve accorgersi di me e più in generale i suoi occhi avevano un
che di fisso, vorrei quasi dire che parevano ciechi, mi dava come
l’impressione che stesse dormendo a occhi aperti47. La cosa mi inquietò
parecchio48 e perciò scivolai ratto nell’aula, che è lì accanto. In seguito
appresi che la persona che avevo visto era Olimpia49, la figlia di Spalanzani,
che lui, con strana malvagità, tiene segregata, in modo che nessuno le si
possa avvicinare. In fondo ci deve sere qualcosa sotto, chissà, forse è
demente o qualcosa di simile. Perché ti scrivo tutto questo? Potevo
raccontarti tutto meglio e in modo più preciso a voce. Sappi infatti che fra
due settimane sarò da voi. Devo rivedere il mio dolce e caro angelo, la mia
Clara. Così si dileguerà il malumore che (devo pur confessarlo) ha preso
possesso di me dopo l’increscioso incidente di quella lettera così giudiziosa.
È per questo che neanche oggi le scriverò.
Mille saluti ecc. ecc.
Note
1
Cominciamo dai nomi: Nathanael è di origine ebraica ed equivale sul piano semantico al nome
tedesco (di origine greca) Theodor, uno dei tre prenomi di Hoffmann. C’è fin dall’inizio da chiedersi
se il nome esotico di Nathanael non costituisca una premessa o un correlativo nominale alla sua
stranezza. Ma, soprattutto, non si può non notare la funzione antifrastica del nome: Nathanael come
Theodor vuol dire «dono di Dio» e si fa fatica a vedere il carattere divino di Nathanael. Molto più
semplice il discorso per Clara, titolare all’interno della novella delle istanze della ragione e della
clarté, peraltro nient’affatto aride, bensì contemperate da empatia, saggezza e sentimentalismo.
Quanto a Lothar: il Lothar più noto della letteratura tedesca della Goethezeit è il barone Lothar
(Lotharius) dei Wilhelm Meisters Lehrjahre (Anni di apprendistato di Wilhelm Meister) di Goethe
(1796). Lothar si chiamerà anche uno dei sei confratelli di san Serapione, i personaggi di finzione
ideati da Hoffmann che danno il titolo alla sua terza raccolta di novelle (1819-1821) e che fra un testo
e l’altro discutono e commentano. Lothar, che non fa parte del nucleo storico dei quattro confratelli,
interviene a partire dalla seconda parte, “raccontando” quattro fra novelle e fiabe.
2
La contiguità madre-Clara non è casuale, sottolinea anzi già da subito il carattere edipico del
rapporto fra il protagonista e la fidanzata. Fin dalla sua prima menzione Clara viene angelicata e
medializzata: «Engelsbild» ossia «Engel + Bild», «Immagine + angelo». La stessa cosa accadrà
quando entrerà in scena Olimpia, ciò che la dice lunga sul carattere meramente proiettivo (e in fin dei
conti interscambiabile) rivestito dal femminile nella psiche di Nathanael.
3
L’espressione tedesca è, a differenza di quella italiana, impersonale, o meglio il soggetto è un «es»,
un dato grammaticale che in un testo incentrato sui contorcimenti psicopatologici di un personaggio
non può non fare pensare a una anticipazione della topografia psichica freudiana.
4
Il termine – in tedesco «Geisterseher» – evoca un testo importante della Goethezeit, il romanzo
omonimo incompiuto di Friedrich Schiller, che Hoffmann provvederà a citare in modo esplicito nel
Maggiorasco.
5
L’accumulazione smisurata nell’arco di poche righe di aggettivi negativi («straziato», «tremendo»,
«oscuro», «orribile», «nero», «terribile», «esiziale») situa fin dall’inizio il testo nella sfera
dell’inquietante. Essa dice altresì che Nathanael non governa particolarmente bene i mezzi espressivi,
ciò che per un aspirante scrittore non è esattamente il massimo.
6
La datazione precisa, addirittura con l’indicazione dell’ora esatta, conferisce alla vicenda un
ancoraggio realistico. La scelta delle ore dodici non è casuale: nel folklore il mezzogiorno, al pari
della mezzanotte, è l’ora dei fantasmi. La tragica fine di Nathanael si compirà anch’essa nell’ora del
meriggio.
7
Sia dalla prospettiva di Nathanael che – più avanti – da quella del narratore il testo oscilla fra
psicologia e fatalismo: l’incontro col venditore è una minaccia perché riattualizza il rimosso di
Nathanael, i presunti traumi subiti, oppure è un evento fatale di per sé, perché il male incombe sul
mondo?
8
Volendo datare con precisione questo riferimento si potrebbe immaginare un Nathanael di sette-otto
anni, partendo dal presupposto che l’identificazione fra l’uomo della sabbia e Coppelius di cui si
parlerà più avanti avviene quando lui ha dieci anni. Del resto, stando alla medicina dell’epoca, i
traumi infantili vengono situati in una fase ben posteriore rispetto a quella in cui li colloca la vulgata
freudiana.
9
Seconda citazione schilleriana nel giro di poche righe, qui Die Räuber (I masnadieri): Franz Moor
prega il servo Daniel di deriderlo per scacciare i suoi incubi che grondano senso di colpa. Riso e
sorriso svolgeranno nel testo funzione di Leitmotive (ventiquattro menzioni in tutto!): la presenza di
Coppelius/Coppola sarà sempre accompagnata – proprio fino alla fine! – da una risata maligna,
malvagia, sardonica, stridente, agghiacciante, mentre alla sfera angelicata di Clara verrà attibuito
sempre ed esclusivamente il sorriso dolce e leggiadro, tutt’al più leggermente ironico.
10
Il padre è dunque colui che introduce Nathanael al meraviglioso.
11
La scissione dell’imago paterna in padre buono e padre cattivo che Freud vedrà raffigurata nella
coppia padre di Nathanael/Coppelius e riattualizzata successivamente nella coppia di
artigiani/scienziati Spalanzani/Coppola trova, in realtà, la sua origine in questa scena primaria: è il
padre stesso a presentarsi in duplice veste, introdotta ognuna da un «oft» («spesso»).
12
Figura benigna e protettiva del folklore che porta il sonno ai bambini gettando sabbia negli occhi.
Ancora oggi è totalmente preminente l’accezione positiva – si veda, ad esempio, il titolo di una delle
più famose trasmissioni televisive per bambini, creata nel 1959 dalla televisione della DDR e
proseguita anche dopo la riunificazione. Hoffmann segue la linea nettamente minoritaria del mito, la
quale presenta punti di tangenza col mito dell’orco e dell’uomo nero che spaventa/mangia i bambini.
Le traduzioni italiane del titolo e della figura testimoniano della polisemia: uomo della sabbia, Mago
Sabbiolino, Orco Insabbia.
13
La metafora antropomorfa utilizzata dalla madre dà il via a una serie di contrastanti ipotesi
interpretative. La prima, di natura prevalentemente acustica, è di Nathanael stesso.
14
La seconda: la madre riconduce l’immaginazione (o anche i problemi di acquisizione linguistica:
confusione fra livello letterale e livello traslato, vedi anche nota 78) di Nathanael entro le coordinate
del reale, ossia – sembra un paradosso – nella sfera metaforica.
15
La terza attribuzione è la più inquietante, perché arriva dalla tata che semmai dovrebbe
tranquillizzare il ragazzino ed è introdotta da una – solo in apparenza rassicurante – allocuzione
infantile («Thanelchen»). La confusione che ingenerano le parole della bambinaia è originata dal
fatto che esse da una parte confermano la versione metaforica della madre ma dall’altra invece
statuiscono l’esistenza “reale” della figura conferendole tratti agghiaccianti che introducono nel testo
il Leitmotiv (della perdita) degli occhi.
16
Come detto, in realtà è il padre colui che introduce Nathanael al fantastico. L’esitazione
ermeneutica sul conto del Sandmann incentiva poi l’ulteriore attrazione verso quella sfera che
assume ben presto i tratti di un’ossessione.
17
Il passaggio in un’altra stanza, che corrisponde all’ingresso nell’età puberale, prelude al
disvelamento del mistero.
18
Nathanael non ha ancora visto l’uomo della sabbia (del resto, fin dai racconti della bambinaia,
l’occhio è sottoposto a un divieto, a un tabu) ma ne ha avuto contezza con almeno altri due sensi:
l’olfatto («un vapore leggero dall’odore strano») e soprattutto l’udito (l’arrivo dell’uomo della sabbia
è contrassegnato da rumori inquietanti).
19
La rivelazione avviene grazie a una sorta di riflettore puntato in faccia a Coppelius, primo esempio
di Nachtstück, di pittura notturna di tutto il testo.
20
Molti sono i campi associativi che il nome evoca: a) coppo=cavità oculare, poche righe e si capirà
perché; 2) coppella=forno in cui avviene la coppellazione (=processo per ottenere l’argento dai
minerali di piombo argentiferi), allusione a tutta la sfera alchemica; c) copula sia nel significato
chimico che in quello sessuale. Il nome latinizzato colloca sì l’avvocato – non sappiamo quanto
legittimamente – nella sfera dei dotti, ma al tempo stesso, trattandosi con tutta evidenza non di un
nome reale ma di uno pseudonimo, potrebbe costituire una prova a favore dell’ipotesi di una
corrispondenza identitaria fra l’avvocato e l’ambulante italiano.
21
Nella prima descrizione, fortemente dettagliata e “schierata”, di Coppelius Nathanael – e con lui
Hoffmann – si rivelano in tutto e per tutto figli di un’epoca che aveva fatto della fisiognomica quasi
una scienza esatta (a partire dai Physiognomische Fragmente di Johann Caspar Lavater, usciti fra il
1775 e il 1778): in poche righe Nathanael, ricorrendo a sintagmi standard della letteratura di genere
(vedi alla voce: limiti di Nathanael scrittore), accumula una serie infinita di aggettivi negativi e di
tratti fisici volti ad animalizzare Coppelius. Il giudizio sul personaggio, prima ancora che entri in
scena, è già chiarissimo. Fra i numerosi particolari riportati saltano agli occhi l’abbigliamento fuori
moda, ancien régime, che sottolinea il carattere inquietante del personaggio e la preminenza del
colore grigio che – secondo la vulgata del folklore e della superstizione – condivide col diavolo, cui
lo accomunano anche l’andatura, gli occhi, la risata e gli arcaismi linguistici (anche il padre di
Nathanael assume connotati diabolici quando opera accanto a Coppelius). La giacca grigio cenere la
indossa anche il “diavolo” del Peter Schlemihl (1813) di Adalbert von Chamisso, uno dei testi chiave
del Romanticismo berlinese che Hoffmann conosce a memoria e cita nelle Avventure della notte di
san Silvestro.
22
Ogni volta che l’emozione di Nathanael si riattualizza la sintassi diventa ellittica.
23
Prima occorrenza del Leitmotiv della catalessi ipnotica che ritroviamo in altri punti del testo, per
esempio nella relazione fra Nathanael e Olimpia.
24
Si è conservato un disegno dell’autore che ritrae la scena, il disegno venne riprodotto nel 1823 da
Julius Eduard Hitzig nella biografia dello scrittore pubblicata a immediato ridosso della morte di
Hoffmann. È questa la scena primaria che ha attirato l’attenzione di Freud: Nathanael si ritrova a
spiare un “rapporto intimo” fra il padre umile e devoto e Coppelius, autoritario e – almeno nel
disegno – dotato di bastone fallico. Ciò darebbe luogo a una classica costellazione edipica: Nathanael
«desidera», ama la parte femminile (il padre) e «si augura» la morte della parte maschile (Coppelius)
della coppia. L’infrazione del divieto ancestrale di assistere a un rapporto sessuale “genitoriale” da
parte del ragazzino verrebbe punita con la castrazione che nel testo, secondo una – in termini
freudiani – classica operazione di sostituzione diventa l’atto di privazione degli occhi.
25
La parola tedesca «Höhlung» ricorda le «Höhlen», le cavità oculari che Nathanael vedrà fra un
attimo al posto degli occhi.
26
Pur situandosi nel modo percettivo della soggettività («avevo la sensazione…»), la situazione
lascia pensare che i due personaggi stiano compiendo un esperimento alchimistico volto alla
creazione di esseri artificiali («volti umani»).
27
Quattro almeno i campi associativi di questa esclamazione: quello metallurgico («metallo
incastonato nella pietra che forma piccoli punti», secondo la definizione del vocabolario dei Grimm),
quello magico (gli occhi utilizzati per fabbricare elisir, pozioni oppure pallottole truccate), quello
metaforico classico (occhi=anima), quello metaforico psicoanalitico (occhi=organi genitali).
28
Coppelius si rivela qui adepto, non privo di tratti caricaturali, del meccanicismo di Julien Offray de
La Mettrie che ne L’homme machine (1748) aveva equiparato i corpi a macchine del tutto prive di
sostanza pensante, pura meccanica, appunto, seppur, almeno nel caso del corpo umano, di estrema
sofisticazione. Inutile dire che Hoffmann, come tutti i romantici, ricusava in modo reciso la
negazione di ogni «principio spirituale» e tutte le aberrazioni del razionalismo meccanicista.
29
Viene qua descritto uno dei traumi primari di Nathanael, smontato e rimontato come una bambola
meccanica. Ciò conferisce al futuro amore per Olimpia un ulteriore tratto narcisistico poiché il
protagonista nella bambola meccanica rivede/rivive se stesso.
30
«Il vecchio» è, ovviamente, Dio. Anche Mefistofele nel Prologo in cielo del Faust di Goethe
apostrofa Dio chiamandolo «il vecchio»: «Von Zeit zu Zeit seh ich den Alten gern» («Lo vedo
volentieri, di tanto in tanto, il vecchio», v. 350).
31
È il primo di una lunga serie di svenimenti di Nathanael. Al risveglio: la madre china su di lui.
Prossimamente, dopo un ulteriore stato comatoso post-traumatico: Clara.
32
Nel manoscritto – uno dei pochi conservati di Hoffmann – vi era a questo punto un lungo brano,
poi tagliato dall’autore, che oggettivava il carattere malefico di Coppelius descrivendo i sadici
maltrattamenti ai danni della sorella di Nathanael. In questo modo, con questo taglio la vicenda resta
invece sospesa nell’incertezza fra l’oggettività fattuale e l’immaginazione debordante del
protagonista: l’episodio descritto che ha portato allo “svenimento” è frutto della sua immaginazione o
è realmente accaduto?
33
Come se la madre si mettesse dal punto di vista del figlio traumatizzato, dei figli traumatizzati,
apostrofa il proprio marito chiamandolo padre.
34
Il rapporto fra il padre di Nathanael e Coppelius viene letto dal protagonista alla stregua di un patto
col diavolo: per Nathanael in più di una occasione Coppelius è il diavolo. Il fatto che i tratti del volto
del padre morto non restino sfigurati in una smorfia malefica è segno che l’anima è salva e che
dunque, contrariamente alle illazioni di Nathanael, non vi era alcun patto fra i due.
35
La parola tedesca «Mechanicus» si riferisce a un artigiano che inventa e costruisce strumenti fisici
e matematici, non di rado anche musicali. Il Piemonte nella letteratura tedesca della Goethezeit gioca
un ruolo di una qualche importanza; nel William Lovell (1795-1796) di Ludwig Tieck, il protagonista,
per esempio, viene aggredito da banditi piemontesi.
36
Freud l’avrebbe definita una «Fehlleistung», ossia un atto mancato, compromesso fra intenzione
dichiarata e desiderio rimosso.
37
Clara mostra competenze psicologiche ed empatiche sopra la media che vanno ben oltre il freddo
razionalismo saccente, di cui più avanti l’accuserà Nathanael: pur delegittimando lo statuto fattuale di
quanto il fidanzato racconta, riconosce il trauma subito e prova anche a spiegarne l’origine (omologia
fra i terrifici racconti della bambinaia e la disgustosa figura di Coppelius).
38
Difficile capire se si trattasse di esperimenti alchemici classici (pietra filosofale, trasformazione di
metalli in oro ecc.) o se i due lavorassero a un progetto prometeico di creazione di homunculi e cloni,
come lascerebbero pensare i «volti umani» visti da Nathanael nella scena primaria.
39
Clara sa con chi ha a che fare, ossia con un sedicente artista romantico e dunque prima ancora che
sia lui a farlo oggettiva le obiezioni del fidanzato ricorrendo a un topos, quello dell’«animo freddo»
(equivalente del «cuore freddo», con cui l’artista romantico, pronto a farsi folgorare dall’arcano (il
sintagma tedesco è «Strahl des Geheimnisvollen», ossia «raggio del misterioso»), critica borghesi e
filistei.
40
Il ragionamento di Clara concepisce l’esistenza di un «potere oscuro» che assumerebbe fattezze
simili a quelle del soggetto, una specie di sosia negativo, non molto dissimile dalla costellazione
psichica esposta negli Elisir del diavolo. Ma se la ratio è vigile – e per Clara, nomen est omen, non
può non esserlo – l’avatar non arriva a prendere forma («vano tentativo di assumere quelle
sembianze»).
41
Lothar invece esternalizza il potere oscuro, niente avatar ma «figure estranee» che tuttavia sono e
restano proiezioni e fantasmi del nostro io.
42
La serenità («Heiterkeit») è il valore guida di Clara. «Heiterkeit» sia nel significato di «frohe
Gemütsstimmung» («stato d’animo allegro») sia nel significato di «Klarheit für das Sehen, Erkennen,
Auffassen» («chiarezza nel vedere, conoscere, comprendere»).
43
In tedesco Nathanael usa «distinguieren», un termine piuttosto ricercato del lessico filosofico-
religioso, che significa appunto discettare, disquisire.
44
A parte il fatto che Hoffmann scrive Spalanzani con una sola «l», non è un caso che il professore
porti lo stesso nome dello scienziato realmente esistito, poiché fin dalla scena primaria e per tutto il
resto della novella uno dei grandi temi del testo è la possibilità di generare vita in modo artificiale,
meccanico, anche se uno dei principali apporti scientifici di Lazzaro Spallanzani (1729-1799)
consisté proprio, fin dal 1765, nella confutazione delle teorie allora diffuse circa la plausibilità della
generazione spontanea. Successivamente, invece, si dedicò alla fecondazione artificiale giungendo a
realizzarla nelle rane e nei rospi. La fonte di Hoffmann non è Spallanzani stesso ma è indiretta, ossia
Carl Alexander Friedrich Kluge che nel suo Versuch einer Darstellung des animalischen
Magnetismus als Heilmittel (1811) – testo cui, come vedremo, Hoffmann più volte ricorrerà – aveva,
fra moltissime altre cose, esposto anche le idee del naturalista italiano.
45
Dettaglio non privo di una certa ironia. Nathanael conosce l’inflessione piemontese?
46
Di origine polacca, Daniel Chodowiecki (1726-1801) fu uno dei principali illustratori della vita
borghese del Settecento, autore di centinaia di copertine per libri, almanacchi e tascabili (Hoffmann
lo citerà ancora nel suo ultimo testo, La finestra d’angolo del cugino). L’illustrazione a cui si riferisce
Nathanael fu pubblicata nel «Berliner genealogischer Kalender auf das Jahr 1789» e ritrae
Alessandro conte di Cagliostro (1743-1795), che in realtà si chiamava Giuseppe Balsamo (donde,
forse, il nome di Coppola). La figura di Cagliostro interessò quasi tutti gli scrittori della Goethezeit, a
cominciare da Goethe stesso (a Cagliostro è ispirata la commedia Der Groß-Cophta del 1792, e ancor
prima – durante la tappa siciliana del suo viaggio in Italia – lo scrittore va in cerca delle sue tracce)
proseguendo con Schiller (il già citato Geisterseher trae spunto dalle avventure di Cagliostro), con
Jean Paul e Wieland.
47
A parte il fatto che fin dalla sua prima descrizione di Olimpia, Nathanael tradisce la sua coazione
ad angelicare le donne («engelschönes Gesicht»), la percezione del protagonista appare all’inizio
tutto sommato corretta, lucida.
48
Se vale l’ipotesi freudiana secondo cui la sensazione «unheimlich» insorge allorché l’individuo
torna a imbattersi nel rimosso, ovvero in qualcosa che un tempo gli era familiare, «heimlich»
appunto, ecco che la sensazione provata da Nathanael è dovuta al fatto che, inconsciamente,
Nathanael ritrova in Olimpia quel se stesso della scena primaria, l’essere “artificiale”, l’automa,
smontato e rimontato da Coppelius.
49
In un testo in cui i nomi non sono scelti a caso, Olimpia (italianizzazione di Olympia) sta per la
donna-angelo, che viene dal cielo, dall’Olimpo appunto. Nathanael abbonderà di qui in avanti di una
aggettivazione che rimarcherà l’origine celeste, divina della fanciulla. Poche righe dopo, tuttavia, il
protagonista tornerà a chiamare Clara «mein süßes, liebes Engelsbild» («il mio dolce e caro angelo»,
vedi nota 2).
50
Dopo l’esordio epistolare il racconto viene preso in gestione da un narratore che, con un tipico
espediente allocutorio, spiega nel corso delle prossime righe che cosa lo ha indotto ha propendere per
la scelta iniziale di aprire con tre lettere. L’attacco del narratore è introdotto da due aggettivi chiave
dell’intera raccolta: «seltsam» («strano») e «wunderlich» («bizzarro»). Sulla distinzione fra
«wunderlich» e «wunderbar».
51
Il narratore dell’Uomo della sabbia è – almeno all’inizio – il tipico artista hoffmanniano. Ha un
«inneres Gebilde» («figure del suo intimo») e non riesce a governarlo, a tradurlo in opus perché gli
manca la necessaria lucidità, ciò che si ripercuote anche nella sua fisiognomica, nella sua
patognomica e nelle reazioni corporee.
52
La similitudine, all’epoca, è molto di moda: gli esperimenti di Luigi Galvani sull’elettricità
animale erano molto recenti.
53
I narratori hoffmanniani si situano sempre in un terreno intermediale, muovendosi fra letteratura,
musica e pittura, qui e nelle prossime righe reiteratamente soprattutto quest’ultima. Il «kecker Maler»
(il «pittore ardito») ricorda da vicino il «kecker Meister» («ardito maestro») con cui viene apostrofato
Jacques Callot nella pagina poetologica che funge da introduzione ai Pezzi fantastici alla maniera di
Callot.
54
Il narratore prende in esame e istantaneamente ricusa tre possibili inizi, o topoi dell’esordio come
si direbbe in retorica. Il primo è un incipit fiabesco («C’era una volta»), il secondo è novellistico
(«Nella cittadina di provincia di S.»), il terzo è teatral-mimetico («Ma andate…»).
55
Prosegue la metafora pittorica e al contempo il narratore si legittima in senso documentale citando
le lettere che Lothar gli ha fatto avere. Ciò evidentemente conferisce al testo una struttura
poliprospettica che impedisce l’individuazione univoca di un dato fattuale.
56
In questa che è una delle principali dichiarazioni poetologiche di Hoffmann, che arriva al termine
di una lunga riflessione, che sembra anticipare il postmoderno, sull’opera d’arte nel suo farsi, sui
limiti della rappresentazione, si rinuncia alla possibilità della poesia di restituire mimeticamente il
reale. La negazione della mimesi è quadruplice: specchio, opaco, scuro, riflesso. Vedi Introduzione.
57
Nathanael, Lothar e Clara: Ladislao Mittner lo avrebbe chiamato un classico caso di triangolo
filadelfico, due uomini e una donna, rapporto fraterno e sororale, la ragazza si fidanza con uno, è
amica o sorella dell’altro, i due maschi si amano come fratelli. Come quello fra Lotte, Werther e
Albert anche questo triangolo non funziona.
58
Ennesima excusatio, ennesima retardatio del narratore.
59
Ironia del narratore sui professionisti del ramo. Com’è possibile discettare di «Schönheit»
(«bellezza») in modo professionale, tenuto conto che la parola utilizzata dal narratore è la
prosaicissima «Amt» («ufficio»)?
60
Il 26 agosto del 1798, in visita alla Gemäldegalerie di Dresda, Hoffmann scrive con toni
entusiastici di esser stato deliziato dalla Maddalena penitente di Pompeo Girolamo Batoni (1708-
1787). La visita alla pinacoteca di Dresda rappresenta per Hoffmann – come per molti altri artisti
della Goethezeit che non ebbero i soldi e l’occasione di andare in Italia – un’esperienza decisiva
costituendo una sorta di archivio permanente di pittura italiana cui attingere alla bisogna. Al riguardo
vedi soprattutto La chiesa dei gesuiti a G.
61
Jakob Isaackzoon van Ruisdael (1628/9-1682) fu uno dei paesaggisti olandesi più amati da
romantici tedeschi. Anche di lui – seppur non in modo esplicito – si parla nella Chiesa dei gesuiti a
G. Viene qui introdotto uno dei temi chiave del testo, il tema dello specchio, del carattere meramente
proiettivo del femminile, che adesso riguarda Clara, ovvero gli occhi di Clara, e presto riguarderà
Olimpia. Hoffmann (o meglio il suo narratore, avvezzo, da buon artista romantico, a tutte le più
raffinate tecniche di straniamento ironico) dapprima presenta gli occhi di Clara come schermo
proiettivo dotato di un legame, seppur in larga parte ideale e iperbolico, con la sfera del reale per poi
trasformarli/trasformarla in una musa che attiva e potenzia con il suo semplice sguardo la creatività
dell’artista attivando inespresse potenzialità sinestetiche.
62
Nathanael nella sua fase prepatologica – se mai ce n’è stata una – era dunque, al pari di Clara, un
individuo «heiter» («sereno») e non si sarebbe mai sognato di definirla «prosaisch», aggettivo che,
riferito alla fidanzata, non esiterà invece a usare, non appena questa si dimostrerà insensibile alle sue
creazioni poetiche.
63
È questa l’espressione più compiuta in tutta la novella del fatalismo di Nathanael e della distanza
abissale dalla concezione di Clara che vede l’influsso del male solo come allucinazione frutto di una
interiorità patologica, fantasma del proprio io. Interessante è che agli occhi di Nathanael ciò valga
non solo per il male ma anche per i prodotti dell’arte e della scienza, non frutto di energia, talento e
ispirazione individuale, ma risultanti solo da costellazioni eteronome.
64
L’ironia come strumento terapeutico con Nathanael non funziona per nulla.
65
Anche le opere di Nathanael hanno dunque subito una trasformazione dopo l’insorgere della
patologia: prima erano gradevoli e piene di brio, ora invece sono cupe, incomprensibili e informi, e
dunque noiose, come conferma anche il narratore con uno dei commenti più autorevoli dell’intera
novella. Siamo dunque lontanissimi dall’omologia arte/malattia che tanto piacerà a Thomas Mann e
che pure è di derivazione romantica e in moltissimi esempi anche hoffmanniana. Ciò può significare
una cosa soltanto: Nathanael non può essere definito un artista. Quel che segue ne sarà la riprova.
66
Il cerchio di fuoco sta a simboleggiare per tutta la novella la spirale della follia, come già negli
Elisir del diavolo.
67
Le opere di Nathanael saranno scadenti ma non si può non riconoscergli valore prolettico perché la
scena ideata dal protagonista preannuncia ciò che accadrà nella realtà (della finzione) quando
Coppola e Spalanzani smembreranno Olimpia e getteranno i suoi occhi addosso a Nathanael.
68
In tedesco «erschauen». Non è casuale che – nella finzione della sua composizione poetica –
Nathanael, l’artista autoreferenziale, attribuisca a Clara, l’illuminista ironica, il verbo per eccellenza
dell’estetica hoffmanniana, malgrado essa non faccia altro qui che ribadire l’idea razionalista che
tutto il complesso Coppelius sia solo frutto della sua fantasia.
69
La scelta di usare il metro conferisce alla composizione di Nathanael un tratto formalista e anche
un po’ meccanico («Zwang», «costrizione»). L’«animo poetico» teorizzato da Hoffmann e anche da
Nathanael come condizione imprescindibile per la creazione artistica forse dovrebbe funzionare in
modo diverso.
70
Primo evidente sintomo della schizofrenia di Nathanael, una patologia alquanto diffusa nella
letteratura della Goethezeit, vedi per esempio William Lovell di Ludwig Tieck (1795/96) o Titan di
Jean Paul (1802/04).
71
Fra le molte patologie di cui soffre Nathanael va segnalata anche quella che oggi si chiamerebbe
sindrome bipolare: torna a casa e il “dissapore” è svanito, ma poi cerca di dar corpo poetico ai suoi
fantasmi tentando in tal modo di elaborarli, ma risultandone alla fine letteralmente schiacciato, ora è
cupo e tormentato, ora è sereno, calmo e compassato.
72
Clara non poteva fare proposta più aggressiva, chiamando «Märchen» («fiaba») l’opera di
Nathanael – non tanto nel senso di uno dei generi privilegiati della poesia romantica, ma piuttosto in
senso spregiativo, come testo del tutto privo di logica e raziocinio – e andando addirittura a
scomodare il fuoco che circoscrive tutta la sfera della follia (vedi nota 66). Si noti l’uso in funzione
ritmica (oltreché di climax) dei puntini di sospensione a distanziare gli aggettivi, uno stratagemma
stilistico fra i più usati da Hoffmann.
73
In questa perversa triangolazione amorosa Nathanael parla, nel pieno del furor poeticus, proprio
come tra pochissimo parlerà Olimpia («Ach – Clara – Clara»), poi apostrofa Clara chiamandola
automa, quindi, allorché incontrerà la bambola Olimpia, la scambierà per una ragazza in carne e ossa.
74
È questa la prima, illusoria ricomposizione del conflitto, nonché apparente ricostituzione del
triangolo filadelfico.
75
È già il secondo incendio nella vita di Nathanael, dopo quello che ha portato alla morte del padre,
fuoco di alchimisti nel primo caso, fuoco nel laboratorio del farmacista nel secondo caso. Di nuovo,
inoltre, il Leitmotiv del fuoco potenza distruttrice (reale e metaforica), in un testo che presenta una
rete fittissima di Leitmotive che non ha eguali nella Goethezeit. Che il fatalismo di Nathanael
convinca o meno, fatto sta che il caso/il destino, almeno in questa fase, nella vita dello studente gioca
un ruolo non indifferente (incendio, trasloco coatto, posizione della stanza rispetto alla casa di
Olimpia Spalanzani).
76
Anche la seconda percezione di Nathanael (vedi nota 47) relativamente ad Olimpia si mantiene
corretta: è bella sì, nulla da dire, ma è rigida, fredda, è una statua. Il tutto grazie al fatto che ha «Clara
nel cuore», fuor di metafora: che è vigile, ha la ratio dalla sua.
77
La fisiognomica è la medesima di Coppelius, il lessico animalizzante pure, come l’uso per
descrivere la bocca della parola «Maul» («muso») anziché «Mund» («bocca»).
78
Forse uno dei primi casi in cui trova espressione nella letteratura tedesca il linguaggio
sgrammaticato e la scrittura fonetica dei Gastarbeiter, i lavoratori immigrati. Se Coppola non sa bene
il tedesco, Nathanael non capisce la metonimia (occhi anziché occhiali) usata dal venditore, il che per
un poeta, o sedicente tale, non è esattamente il massimo. Resta ovviamente da chiedersi se l’uso della
metonimia da parte di Coppola sia voluto (se fosse un revenant di Coppelius saprebbe quanto gli
occhi rappresentino un nervo scoperto per il protagonista) o se sia stato un errore oppure un gioco.
Anche qui, come in tutte le scene della novella che li vedono protagonisti, gli occhi saltano,
schizzano e gettano sguardi fiammeggianti.
79
In tedesco l’oggetto si chiama «Perspektiv», un nome che è tutto un programma (estetico), visto
che non sapremo mai che cosa è verità e cos’è invenzione/immaginazione in questa novella, e i
diversi punti di vista si affiancano senza che l’uno sia più legittimato dell’altro. Inutile sottolineare la
valenza fallica dell’oggetto.
80
Nathanael compie qui per la prima volta il gesto meccanico, quasi inconscio, di tirare fuori il
cannocchiale e puntarlo verso un volto. Tornerà a farlo in alcuni momenti topici del testo.
81
Ritorna il verbo «erschauen», l’operazione creatrice tipica dell’artista hoffmanniano, che – anche
grazie al cannocchiale – più che vedere immagina qualcosa che porta comunque dentro di sé e
rispetto a cui la realtà si rivela solo una pretestuosa superficie proiettiva. Anziché potenziare e
rendere più affidabile lo sguardo, la tecnologia (il cannocchiale) distorce la percezione, segno di una
sfiducia “romantica” nei confronti dello scientismo tecnocratico dell’Illuminismo.
82
Lo sguardo tecnologico, fallico e narcisista di Nathanael vivifica gli occhi – ancora pochi istanti
prima definiti – fissi e morti di Olimpia. Si tratta di un motivo fra i più frequenti nella letteratura
romantica tedesca.
83
Il narratore con l’aggettivazione rende giustizia al nome di Olimpia.
84
Così nell’originale tedesco.
85
Come Thomas Mann nel dialogo fra Gustav von Aschenbach e il gondoliere («Pagherà, pagherà»)
ne La morte a Venezia, anche Hoffmann, in questo monologo di Nathanael, sembra intendere il
significato letterale (l’acquisto è stato pagato troppo), ma in realtà allude a quel che presto succederà:
il cannocchiale gli costerà davvero caro!
86
Il salto dalla vivificazione all’apparente fattualità dello sguardo seducente di Olimpia si è già
compiuto nella percezione del protagonista.
87
Un’altra reiterazione di un’esperienza (traumatica) dell’infanzia: la sottrazione allo sguardo
dell’oggetto amato: allora il padre adesso Olimpia.
88
Le metafore patetiche di cui si serve Nathanael, pur ampiamente codificate nell’immaginario
amoroso (stella, notte ecc.), segnalano la distanza sempre più marcata dal reale, tanto che ormai è
preda di visioni, di allucinazioni e Clara è sparita del tutto dal suo mondo interiore.
89
I Leitmotive di cui Hoffmann ha costellato la novella arrivano fino ai più minuscoli dettagli; qui la
parola «Zwang», costrizione, coazione, termine già incontrato a proposito del «metrischen Zwang»
(la «costrizione del metro») cui Nathanael aveva sottoposto la propria composizione poetica; ciò
finisce per aumentare l’omologia Nathanael-Olimpia. Da non sottovalutare neanche la sfumatura
ironica del brano: la rigidità dell’automa viene spiegata in termini di convenzioni sociali.
90
Hoffmann – che aveva già scritto sull’argomento, vedi Die Automate (Gli automi), novella del
1814 poi inclusa nei Confratelli di san Serapione – aveva sicuramente in mente La Musicienne, uno
degli automi più famosi di Pierre Jaquet-Droz e da suo figlio Henri-Louis, costruito nel 1774 e da
allora esposto in molte corti europee. La scena, fintantoché il punto di vista adottato è quello del
narratore, produce segnali contrastanti, espressi tutti attraverso l’aggettivazione e i verbi: la voce è
«limpida» e pare di cristallo, ma è anche «acuta» e «rintrona» (il verbo usato è «gellen», non
esattamente connotato in senso positivo).
91
Un altro Nachtstück, un’altra pittura notturna. Che l’aggettivo usato da Hoffmann sia «blendend»
(«abbagliante» nel duplice senso) non è casuale: Nathanael è preda di un vero e proprio abbaglio.
92
Come se non bastasse all’abbaglio di fondo si aggiunge – estratto con gesto automatico – il
«Perspektiv» (vedi nota 79), ciò che completa il carattere decisamente allucinatorio, autoreferenziale,
sinestetico e ossimorico, della percezione, introdotta dallo «Ach» (vedi nota 73) e culminante nella
nominazione estatica: «Olimpia!».
93
Chissà se Federico Fellini quando decise di concludere il Casanova (1976) con Donald Sutherland
che danza sul Canal Grande con un automa aveva in mente questa scena? O forse più probabilmente
la fonte è il balletto Coppelia di Léo Delibes (1870).
94
Il procedimento è il medesimo di quando, cannocchiale alla mano, lo sguardo di Nathanael aveva
vivificato gli occhi. Adesso non c’è più bisogno del cannocchiale, anche se il punto di partenza è
simile: occhi morti, mano morta. Attraverso la rinnovata vivificazione degli occhi il protagonista
arriva stavolta a vivificare anche la mano. In tedesco tutto il brano pullula di allitterazioni: Nathanael
balbetta («stammelt[e]»), fissa («starrt[e]») Olimpia negli occhi e lei irradia («strahlt[e]») fino a dar
vita a flussi («Ströme») di sangue vitale.
95
In tedesco «der Takt gemangelt», espressione non priva di ambiguità: manca il ritmo, manca il
tatto, manca l’equilibrio…
96
Sembra un’iperbole, ma il duello prima e la scena finale poi ci fanno capire che Nathanael è un
soggetto a rischio anche sul piano della giustizia penale.
97
Il termine tedesco è clamorosamente ambiguo (e dunque ironico): «aufziehen», che vuol dire
«tirare su, invitare ad alzarsi» ma anche «caricare», come si carica un orologio, un congegno
meccanico.
98
È questo il brano dell’intera novella in cui il narratore – che avevamo conosciuto esitante, incerto,
pieno di dubbi sulle sue possibilità di restituire il reale – assume un punto di vista categorico:
Nathanael non si accorge di quel che vede, di quel che invece lui – il narratore – conosce: le reazioni
degli altri, gli sguardi degli altri. Poco dopo, tuttavia, tornerà a dubitare quando si domanderà se
Olimpia comprende le parole di Nathanael: «Worten, die keiner […] vielleicht».
99
Il vocabolario di Olimpia non può che definirsi limitato. A parte «Ach» si segnala solamente un
«Gute Nacht, mein Lieber» («Buonanotte mio caro»). Forse il duo Spalanzani/Coppola,
rispettivamente responsabili per l’automa e per gli occhi, doveva farsi affiancare da un terzo esperto
in questioni linguistiche. Ma il laconismo di Olimpia è evidentemente funzionale a sottolineare il
carattere proiettivo del personaggio, talché il suo «Ach» può di volta in volta colorarsi di entusiasmo,
nostalgia, stupore, a seconda dello stato d’animo del suo interlocutore.
100
Senza rendersene conto fino in fondo e anzi attingendo come al solito a un linguaggio formulare
Nathanael allude qui alla radice marcatamente narcisistica del suo amore.
101
Il progressivo dissolversi dell’ultimo barlume di luce conferma la consequenzialità simbolica di
tutto il testo, di tutta la raccolta, adesso la pittura notturna sta trasformandosi nella notte nera, buia
della follia.
102
Dopo gli occhi e la mano adesso la bocca; e anche in questo caso il modus della percezione è lo
stesso: aveva la sensazione, gli pareva, gli sembrava. La respirazione bocca a bocca cui Nathanael
sottopone le labbra gelide di Olimpia avviene dopo una ricaduta: la mano calda è tornata a
raffreddarsi, di qui il riferimento a un mito del folklore e della letteratura, all’epoca anche recente (si
pensi alla ballata goethiana La sposa di Corinto del 1798), quello della sposa morta il cui corpo viene
riscaldato dall’amore dell’uomo, un amore che contestualmente ne sancisce la maledizione.
103
Altra descrizione che corrisponde perfettamente al genere del Nachtstück. Qui l’effetto
inquietante provocato da Spalanzani è prodotto dall’ombra. In tedesco il sostantivo usato è
«Schlagschatten», un termine tecnico della pittura, ossia «l’ombra ben disegnata gettata da un
oggetto chiaramente illuminato», come recita la definizione del Grimm.
104
Nathanael riprende, quasi alla lettera, le metafore sideree di cui anche alla nota 88. Colpisce la
lucida consapevolezza da parte del protagonista della natura squisitamente narcisistica del sentimento
(«trasfigurerai l’animo mio»).
105
In tedesco «konversieren». Spalanzani come Coppelius parla con lessico latineggiante e
arcaizzante (vedi nota 21).
106
Da buon studente che non disdegna le maschie consuetudini goliardico-ribalde Nathanael ha il
sangue caldo ed è sempre disposto a battersi, come già si è visto nell’episodio del duello sfiorato con
Lothar. Il dialogo delinea una violenta opposizione ermeneutica fra Siegmund (portavoce della
communis opinio) e Nathanael – sempre più isolato – in relazione a Olimpia: «rigida come la morte»,
«muta», «idiota», «faccia di cera», «bambola di legno», «senz’anima» ecc. vs. «animo profondo e
sublime» e «fascino celeste».
107
Seconda occorrenza del termine «unheimlich», qui in un uso colloquiale difficilmente
riconducibile alla valenza freudiana.
108
Espressione formulare hoffmanniana tra le più ricorrenti – dai Pezzi fantastici alla maniera di
Callot in avanti – volta a segnalare la disposizione produttiva, ma anche ricettiva nei confronti
dell’opera d’arte, la comunicazione artistica “funziona” anzi solamente se tale predisposizione è
presente sia nel creatore che nel recettore (Siegmund viene poco dopo non a caso definito come
«freddo» e «prosaico»).
109
Concetto chiave dell’estetica romantica che allude al carattere misterico e in fondo inesprimibile
dell’arte e della conoscenza; qui evidentemente viene utilizzato in chiave ironica visto che viene
applicato ai pallidi fonemi dell’automa e vista anche la proliferazione di genitivi che quasi rischia di
tracimare nel nonsense.
110
Nathanael si rivela aggiornatissimo conoscitore di discorsi circolanti all’epoca, dalla vulgata dello
scienziato, filosofo della Natura e divulgatore Gotthilf Heinrich Schubert (1780-1860) che aveva
tenuto le sue seguitissime lezioni a Dresda ancora negli stessi anni in cui, in piene guerre di
liberazione, vi era passato Hoffmann, fino ad arrivare a uno dei titoli più famosi dell’epoca, il
romanzo di Goethe, uscito nel 1808. Su Schubert vedi le numerose note a lui dedicate a proposito
della Casa desolata.
111
Fra una ragazza qualunque della buona borghesia tedesca e Olimpia c’è una sostanziale omologia:
entrambe obbediscono a delle regole, l’una a quelle della società, l’altra a quelle della meccanica. La
vivificazione dello sguardo è un fenomeno che ormai conosciamo.
112
Il contatto e l’affinità con la musa meccanica scatena la produttività forse altrettanto meccanica e
seriale di Nathanael.
113
Che Olimpia oltre a «Ach» dica solamente «Gute Nacht, mein Lieber» può – di nuovo – essere
letto in chiave ironica. È un «buonanotte» che allude alla notte della ragione nella quale è precipitato
Nathanael.
114
Nell’obnubilamento generale Nathanael mantiene tuttavia un barlume di lucidità dicendo a modo
suo il vero: Olimpia è mera proiezione della propria affezione narcisistica, un dato, questo,
riconducibile anche al semplice fatto meccanico che gli occhi vitrei di Olimpia permettono tale
rispecchiamento.
115
L’inadeguatezza della parola è un altro topos romantico di cui si serve Nathanael, anch’esso
declinato in chiave ironica.
116
In tedesco ci sono quattro infiniti sostantivati, uno via l’altro. Ancora una volta, come
nell’infanzia, si tratta in primis di uno shock acustico e l’ellissi ne rappresenta l’equivalente formale.
Secondo il medesimo schema ellittico è costruito anche il successivo dialogo, di nuovo in linea con la
prospettiva scioccata di Nathanael.
117
Dal dialogo convulso emerge ciò che il lettore da tempo presagisce, che Olimpia è una
coproduzione Spalanzani/Coppola. Spalanzani ha firmato la meccanica, il congegno, Coppola ha
costruito gli occhi.
118
Nathanael vede Coppola ma sente Coppelius. Tutta la scena, traumatica, è raccontata dalla
prospettiva del protagonista che proprio perché vede/sente ritornare il rimosso lascia riaffiorare le sue
paure primordiali relative alla figura di Coppelius e alla sua omologia con Coppola.
119
In tedesco «Retorten». Il termine fa – ancora oggi – pensare alla creazione artificiale di vite
umane, alla clonazione.
120
Tornano le «Höhlen», le cavità dell’incubo infantile di Nathanael (vedi la nota 25).
121
Stavolta è Spalanzani a parlare, statuendo in modo apparentemente definitivo l’omologia fra
Coppelius e Coppola. Ma vale quanto detto alla nota 118: resta plausibile che, poiché il destinatario
delle parole di Spalanzani è lo stesso Nathanael, la percezione sia errata in linea con la propria
ossessione primaria.
122
Quel «ti» (in tedesco: «dir») è da intendersi alla stregua di un dativo etico, dunque metaforico:
Coppola non ha rubato gli occhi a Nathanael – che non a caso sta osservando la scena con i propri,
seppur straziati, occhi – ma ha rubato gli occhi di Olimpia, che erano cari a Nathanael e che
metaforicamente erano gli occhi di Nathanael.
123
Si realizza qui di fatto la sequenza ideata da Nathanael (vedi nota 67).
124
Espressione formulare che Hoffmann utilizza non di rado nel corso della sua opera a denotare la
follia.
125
Cerchio di fuoco=follia, vedi anche la nota 66. Ciò che era un’invenzione del “poeta” Nathanael
diviene adesso bruta realtà.
126
Forse il brano che meglio segnala l’utilizzo di tecniche di straniamento ironizzante da parte del
narratore (e di Hoffmann) che, dopo aver spedito Nathanael al manicomio, postula una qualche
empatia del lettore nei confronti di personaggi minori (Spalanzani) o antagonistici
(Coppola/Coppelius) e si diffonde su questioni metariflessive e giuridiche.
127
La polemica hoffmanniana contro i circoli del tè è un Leitmotiv che percorre tutta la sua opera. I
circoli del tè – spesso accompagnati dall’aggettivo «ästhetisch» («estetici») – rappresentano una sfera
semipubblica che amministra normativamente il gusto e presso la quale gli artisti sono chiamati a
esibirsi, vittime di una prostituzione culturale da Hoffmann a più riprese condannata.
128
Hoffmann gioca qui sull’omofonia e sulla quasi completa coincidenza grafica con «Theist»
(«teista») creando il neologismo «Teeist», quasi che la frequentazione dei circoli del tè sia da
equiparare a un indirizzo filosofico ovvero a un’ideologia.
129
In latino nel testo: per il saggio ciò è sufficiente. Il discorso del professore di poesia e retorica
ironizza da un lato sulle ossessioni tassonomiche degli eruditi ma dall’altro invita al contempo a una
lettura metaforica o addirittura allegorica della vicenda che stiamo finendo di leggere, allegoria per
esempio circa i pericoli di una non corretta interazione fra io e realtà, e circa i pericoli di una
(presunta) arte autoreferenziale.
130
L’episodio produce un paradossale esito antiumanistico. Nathanael finisce al manicomio, ma la
società omologata che lo condanna, lo stigmatizza e lo esclude non è messa molto meglio.
131
Il giurista Hoffmann si prende gioco dei sintagmi formulari del linguaggio giuridico.
132
Come Coppelius anni addietro. Rispetto al manoscritto vi è a questo punto un altro taglio
decisivo, una breve ma significativa frase: «Alla fine lui era davvero l’orribile uomo della sabbia
Coppelius». A dimostrazione ulteriore che la revisione hoffmanniana è tutta volta a produrre
incertezza sullo statuto fattuale di quanto da Nathanael percepito, laddove invece la prima versione
licenziava il lettore con una dose notevolmente maggiore di chiarezza sull’accaduto.
133
Riedizione identica del risveglio dopo la scena primaria della rivelazione di Coppelius/uomo della
sabbia. Hoffmann usa anche lo stesso participio passato («hingebeugt»), la prima volta era la madre
china su di lui (vedi anche la nota 31), adesso Clara.
134
Anche questa scena l’abbiamo già vista, dopo il primo ritorno a casa di Nathanael, e come quella
anche questa si rivelerà illusoria.
135
Il dettaglio – del tutto privo di plausibilità realistica! – dell’ombra enorme (e fallica) del
campanile sull’ora del mezzogiorno la dice lunga sul carattere mitico e sovrannaturale della minaccia
che va adesso a concretizzarsi.
136
Nel manoscritto originale, a partire da qui, Coppelius svolge un’azione molto più attiva
inducendo Nathanael a spiccare il salto.
137
In questa scena di vago sapore shakespeariano (la foresta del Macbeth) Clara contribuisce
involontariamente a riattualizzare il trauma; il «cespuglio grigio» non può non rammentare a
Nathanael le sopracciglia grigie di Coppelius.
138
Per l’ultima volta Nathanael compie il gesto meccanico di estrarre il canocchiale e il campo
visivo viene investito da Clara, ciò che ricorda al protagonista una costellazione analoga con al centro
Olimpia e dunque, indirettamente, la perdita dell’oggetto (!) amato. Di qui la reazione parossistica, in
linea peraltro con quanto postulato dalla medicina dell’epoca, la quale raccomandava di evitare
situazioni che potessero produrre una ricaduta in un soggetto vittima di un trauma psichico. E che il
protagonista riviva il ricordo traumatico dello smembramento di Olimpia lo si capisce dal fatto che
apostrofa Clara dicendo: «Pupattola di legno gira».
139
La scena ricorda da vicino uno dei pochi intertesti di questa altrimenti originalissima novella
hoffmanniana: la sequenza finale di Liebeszauber (Incanto d’amore) di Ludwig Tieck, pubblicato nel
1812 all’interno del Phantasus. Il protagonista impazzito pugnala la fidanzata e si getta nel vuoto
insieme alla vecchia strega.
140
Il duello goliardico nel giardino di casa scongiurato all’ultimo momento si trasforma nel last
minute rescue con scazzottata finale. Se è un luogo comune ormai paragonare la costellazione della
Finestra d’angolo del cugino, l’ultima novella scritta da Hoffmann, con Rear’s Window di Alfred
Hitchcock, allo stesso modo, leggendo queste ultime righe, non può non venire in mente la scena
finale di Vertigo.
141
Forse allora era non il campanile ma la gigantesca figura di Coppelius a produrre l’ombra di cui
alla nota 135. Che Nathanael si lanci nel vuoto gridando «Sköne Oke – Sköne Oke» sembrerebbe
alludere a una sua identificazione con Coppola, quasi che gettandosi verso Coppelius che lo aspetta
nella piazza del mercato il protagonista intenda ricomporre le due identità separate, in una specie di
amplesso finale fra il suo sé femminile (Coppola) e il suo sé maschile (Coppelius).
142
Anche quest’ultima – terza! – prova di idillio biedermeier appare problematica e restituita nei
modi della congettura («raccontano», «se ne dovrebbe dedurre»).
Biografia di Hoffmann
KÖNIGSBERG (1776-1796)
GLOGAU (1796-1798)
BERLINO (1798-1800)
Conclude gli studi con il terzo esame che gli apre le porte verso gli alti ruoli
dello Stato. Tramite la fidanzata conosce Jean Paul che, senza grandi
entusiasmi, scriverà quindici anni dopo la prefazione al suo primo libro. Nel
1799 scrive il libretto e la musica di un Singspiel intitolato Die Maske (La
maschera) e lo fa pervenire ad August Wilhelm Iffland, sovrintendente del
Nationaltheater berlinese: l’opera – al pari di numerosissime composizioni
vocali e strumentali prodotte negli anni seguenti – verrà rifiutata. Nel
maggio del 1800, due mesi dopo aver superato il terzo esame, viene spedito
a farsi le ossa a Poznan´ (in tedesco Posen), città polacca di recente
colonizzazione prussiana, con la carica di Assessor presso il locale
distaccamento dell’Alta Corte prussiana.
POZNAN´ (1800-1802)
PLOCK (1802-1804)
Nel luglio del 1802 ritorna a Poznan´ per sposare Mischa. Dal 1803
comincia, più che altro per combattere la noia, a scrivere un diario che,
salvo sporadiche interruzioni, proseguirà fino al 1815. Sempre nel 1803
esce in rivista un saggio di drammaturgia intitolato Schreiben eines
Klostergeistlichen an seinen Freund in der Hauptstadt (Scritto di un
monaco al suo amico nella capitale): è il primo testo pubblicato da
Hoffmann. Nel marzo del 1804, grazie anche ai buoni uffici di Hippel,
riesce a farsi restituire la nomina a Regierungsrat e, con essa, ottiene il
trasferimento a Varsavia.
ARSAVIA (1804-1807)
Stringe amicizia con il collega Julius Eduard Itzig (il quale, dopo la
conversione al cattolicesimo, si chiamerà Hitzig), esponente di una nota
famiglia ebraica di Berlino (la cugina Rahel Levin, che si chiamerà in
seguito Rahel Varnhagen von Ense, fu l’animatrice del più importante
salotto letterario della capitale prussiana). Hitzig sarà il primo biografo di
Hoffmann. Nel 1805 nasce la figlia Cäcilia che morirà due anni dopo. Oltre
a svolgere con ottimi risultati le sue mansioni presso il tribunale, diventa
una colonna portante dell’attività musicale della città polacca: anima in
qualità di vicedirettore la locale Musikalische Gesellschaft (Società degli
amici della musica), canta, suona il pianoforte, dirige l’orchestra e,
soprattutto, compone: l’opera Die lustigen Musikanten (Gli allegri
musicanti) tratta da Brentano, il Singspiel Der Kanonikus von Mailand (Il
canonico di Milano), una Messa in re minore, una Sinfonia in mi bemolle
maggiore.
A questa specie di idillio mette fine brutalmente Napoleone che, dopo la
disfatta prussiana di Jena, entra in Varsavia nel dicembre del 1806: gli
impiegati statali vengono posti di fronte alla spiacevole alternativa di
giurare fedeltà all’imperatore oppure lasciare l’impiego. Hoffmann prende
tempo ma poi si licenzia, manda moglie e figlia a Poznan´ e parte per
Berlino in cerca di fortuna.
BERLINO (1807-1808)
È questo forse il periodo più nero della vita di Hoffmann. Solo, senza
lavoro, alla disperata ricerca di un qualche editore che gli pubblichi disegni
o composizioni musicali, arriva nella Berlino occupata dai francesi a
ingrossare la fitta schiera dei disoccupati. Nell’agosto del 1807 si decide a
pubblicare il seguente annuncio: «Persona di grande esperienza in campo
musicale, sia sul piano teorico che su quello pratico, autore egli stesso di
notevoli composizioni accolte con plauso nonché direttore di un’importante
istituzione musicale, desidera, avendo egli perduto il proprio impiego a
causa della guerra, di essere assunto presso un qualche teatro ovvero
orchestra privata in qualità di direttore». Gli rispondono da Lucerna e da
Bamberga, opta per quest’ultima. Il posto è libero dal settembre del 1808.
Gli ultimi mesi berlinesi sono segnati da aspra miseria. Nel giugno lascia
Berlino, passa prima da Glogau, quindi da Poznan´ a riprendersi la moglie e
prosegue per Bamberga.
BAMBERGA (1808-1813)
DRESDA-LIPSIA (1813-1814)
BERLINO (1814-1822)
M.G.
INTRODUZIONE AI NOTTURNI
di Matteo Galli
A quanto mi dice Hitzig [l’amico e poi primo biografo di Hoffmann], Lei sarebbe intenzionato a
pubblicare un volumetto di racconti col titolo complessivo Notturni, a cura dell’autore dei Pezzi
fantastici alla maniera di Callot, e partendo da questo presupposto mi sono permesso di inviarle
il primo di questi racconti, L’uomo della sabbia, invitandola cortesemente a prenderne visione e
aggiungendoLe che il secondo, Il guardiacaccia, è anch’esso già completato, e un ciclo di quattro
brevi racconti che chiuderà il volume è già ideato. Giudicando sulla base degli Elisir del diavolo,
direi che il volume ammonta a 24 sedicesimi e qualora Lei intendesse pubblicare questa piccola
opera, si potrebbe già procedere alla stampa, lascerei a Lei la scelta se stampare i Notturni già
esistenti con la dicitura primo volumetto, facendone uscire successivamente un secondo, o se la
cosa non sia consigliabile. Quanto all’onorario spero di potermi accordare con Lei facilmente,
visto che le Sue idee al riguardo mi sono note. Pregandola di un rapido riscontro, Le porgo i miei
ossequi,
il Suo devotissimo Hoffmann
Nel febbraio del 1816, tre mesi dopo, Hoffmann non ha tuttavia ancora
consegnato Il guardiacaccia, il racconto che poi si chiamerà Ignaz Denner,
pur avendolo dato per già concluso. Riguardo a ciò egli accampa una serie
di scuse affermando che con certezza potrà consegnare in pochi giorni Il
guardiacaccia ed entro la fine del mese gli altri due, ideati già da tempo e
che necessitano soltanto di qualche ritocco. Il Sanctus, il quarto e ultimo
racconto della prima parte, arriverà tuttavia a Reimer – ed è l’ultima
informazione che possediamo sulla genesi del primo volume – solamente
nel settembre del 1816, un mese dopo che – in occasione del compleanno
del re Federico Guglielmo III – Hoffmann ha finalmente coronato il proprio
sogno di veder messa in scena la sua Undine, libretto: di Friedrich de la
Motte Fouqué, scene: di Karl Friedrich Schinkel, luogo: il Teatro Reale sul
Gendarmenmarkt, la piazza dove affaccia la casa nella quale Hoffmann
trascorrerà gli ultimi anni della sua vita.
Ancora più lacunose le notizie relative al secondo volume, che uscirà
l’anno successivo. Possediamo soltanto una lettera, in cui Hoffmann chiede
al suo bibliotecario di fiducia di fargli pervenire qualche romanzo
settecentesco di stile galante che gli permetta di calarsi nell’atmosfera
rococò del racconto a cui sta lavorando (l’ultima novella del secondo
volume, Il cuore di pietra), e una ricevuta per un anticipo da parte di
Reimer.
Poi, a pubblicazione avvenuta, soltanto poche frasi di accompagnamento a
copie omaggio spedite ad amici e conoscenti. Merita una qualche menzione
soltanto l’accenno ai Notturni contenuto in una lunga lettera al vecchio
editore Kunz dell’8 marzo del 1818: «Le consiglio Il maggiorasco e Il voto,
La casa desolata non vale nulla e Il cuore di pietra è così così». Opinioni di
Hoffmann sul primo volume non ne conosciamo. E anche la storia della
ricezione critica del volume non è particolarmente gloriosa: pochissime
recensioni e molti verdetti, fra i quali spicca quello di Goethe che
consigliava alle fantasie hoffmanniane più l’ausilio del medico che quello
del critico. Delle tre raccolte hoffmanniane questa mediana sarà sempre la
meno studiata, la meno apprezzata, quella che maggiormente contribuirà al
cliché del “Gespenster-Hoffmann”, dello Hoffmann dei fantasmi,
dell’autore di letteratura di genere in odore di trivialità, corriva e seriale.
Per quanto scarsi, i dati fin qui riportati permettono tuttavia qualche breve
osservazione. In primo luogo, come ben si capisce dalla lettera a Reimer,
nel momento in cui Hoffmann propone i Notturni all’editore il progetto
dell’opera è tutt’altro che definito. Lo scrittore accenna a due racconti
lunghi e quattro brevi, questi ultimi ancora tutti da scrivere; i quattro poi si
trasformeranno in due, La chiesa dei gesuiti a G. e Il Sanctus. Il fatto inoltre
che Hoffmann lasci libera scelta a Reimer se limitarsi a un volume o
programmarne fin dall’inizio un secondo, fa pensare che il primo a non
avere le idee chiare in materia fosse proprio lo scrittore.
Prima ancora di capire quanti racconti avrebbe compreso la nuova raccolta,
ciò che soprattutto premeva a Hoffmann era di sfruttare il notevole successo
conseguito con il primo libro, un’opera che nel giro di pochi mesi aveva
fatto di uno squattrinato direttore d’orchestra, sconosciuto e non più
giovanissimo, un personaggio preceduto da un non disprezzabile capitale
simbolico nei circoli intellettuali di Berlino. Hoffmann intendeva dunque
accaparrarsi quanto prima un editore importante – e Reimer, solo pochi anni
prima, era stato l’editore dei due volumi dei Racconti di Heinrich von Kleist
che Hoffmann conosceva a memoria – e di riallacciarsi fin dal frontespizio
all’opera precedente. Reimer, infatti, accetta di pubblicare i Notturni non
come opera di Hoffmann, ma come opera «a cura dell’autore dei Pezzi
fantastici alla maniera di Callot». Se questi ultimi erano usciti anonimi per
l’esplicito desiderio di Hoffmann di esordire pubblicamente col suo vero
nome non con un’opera letteraria ma con una musicale, nel caso dei
Notturni, l’anonimato – divenuto ormai una sorta di segreto di Pulcinella –
nasceva più che altro dall’inconfessata aspirazione di ripetere il lusinghiero
successo dell’opera prima. Tale auspicio giungeva a ripercuotersi fin nel
titolo con la riproposizione del termine Stück (Fantasiestück/Nachtstück).
Nel proporre i Notturni a Reimer, Hoffmann ha dunque fatto, come suol
dirsi, il passo più lungo della gamba, spacciando per già ideata una raccolta
tutta ancora da pianificare. L’unico racconto pronto era, al momento,
L’uomo della sabbia. E poi c’era anche da trovare una qualche collocazione
a un racconto che – caso unico – Kunz aveva rifiutato per i Pezzi fantastici,
ossia quel Guardiacaccia che poi, ampiamente rielaborato, si chiamerà
Ignaz Denner e che Hoffmann inserirà nel primo volume subito dopo
L’uomo della sabbia.
Le premesse da cui partono i Notturni sono dunque piuttosto confuse: un
solo racconto davvero pronto, riciclaggio di materiale di scarto e un numero
imprecisato di nuovi racconti. Si tratta di vedere se questa eterogenea
casualità di materiali sia rimasta tale oppure se Hoffmann sia riuscito a
ricondurre il progetto a una superiore unità. La raccolta offre elementi per
avvalorare sia l’una che l’altra ipotesi. D’altra parte è un po’ la storia di
tutte e tre le raccolte hoffmanniane, malgrado le intenzioni assertive
dell’autore, malgrado l’introduzione poetologica dedicata a Jacques Callot
(per i Pezzi fantastici), malgrado la struttura a cornice e i riferimenti a san
Serapione (nei Confratelli di san Serapione). Nei Notturni: nessun testo
programmatico che affetti una superiore unità. Che probabilmente non c’è
proprio, eppure gli otto testi un po’ di cose in comune le hanno. Vediamone
alcune partendo proprio dal titolo.
Un genere intermediale
Cogliere la Natura in tutta la profondità di un senso superiore che accende ogni essere verso una
esistenza superiore: è questo il sacro fine di ogni arte. E la pura, esatta riproduzione della Natura
può forse condurvi? Che aspetto misero, rigido e goffo ha un manoscritto in una lingua straniera
riprodotto da chi non la conosca e pertanto non sappia decifrare il significato di quei segni che a
fatica ricalca con tanto di ghirigori. E allo stesso modo, i paesaggi del tuo maestro sono solo
corrette copie di un originale scritto in un’altra lingua. L’iniziato ascolta la voce della Natura che
con meravigliosi accenti gli parla dell’insondabile mistero attraverso gli alberi, i cespugli, i fiori,
i monti e le acque, generandogli nel petto religiosi presagi e poi, al pari dello spirito santo,
scenderà su di lui il dono di dare nelle sue opere forma visibile a quelle intuizioni. Contemplando
i panorami degli antichi maestri non hai provato, giovanotto, sensazioni meravigliose? Non ti
sarà certo venuto in mente che le foglie del tiglio, che i pini, i platani potevano essere più fedeli
alla Natura, e lo sfondo più vaporoso e l’acqua più limpida; ma lo spirito che promanava dal tutto
ti ha elevato in una sfera superiore, di cui hai creduto di poter rimirare il riverbero. Studia perciò
la Natura con attenzione e con zelo anche nei suoi aspetti meccanici per acquisire pratica nella
rappresentazione, ma la pratica non scambiarla per arte. Se sarai riuscito a penetrare il senso più
profondo della Natura, ti si riveleranno le sue immagini in tutto il loro alto e splendente fulgore.
Il lungo intervento del maltese consta di una pars construens e di una pars
destruens. La pars construens è concentrata dapprima nella vaga frase
iniziale e quindi sulla novalisiana, primo-romantica concezione di una
pratica artistica vissuta come iniziazione, come sonnambolica rivelazione di
un mondo superiore; la pars destruens è riassunta tutta nella frase: «Studia
perciò la Natura con attenzione e con zelo anche nei suoi aspetti meccanici
per acquisire pratica nella rappresentazione, ma la pratica non scambiarla
per arte». In seguito all’apparizione della donna celeste, scambiata come
messaggera di quel mondo superiore di cui gli aveva parlato il maltese,
Berthold crede dapprima di esser entrato nel ristretto novero degli iniziati,
di aver ricevuto in dono la grazia ma poi la comparsa in carne e ossa della
donna, la consapevolezza di non aver affatto dipinto un ideale, di non essere
ancora una volta riuscito ad affrancarsi dalla mimesi, di essere, secondo
l’espressione appena citata, ancora prigioniero della pratica, lo pone a
confronto col suo terribile scacco.
Le vicende del pittore Berthold illustrano alla perfezione anche tale
consapevolezza in tutte le sue conseguenze. La prima conseguenza è la
probabile eliminazione fisica della donna, di colei, la cui sola esistenza ha
prodotto in Berthold la consapevolezza di non aver saputo andare oltre la
semplice mimesi. La seconda è la decisione di abbandonare qualsivoglia
ambizione nei confronti della vera arte (con la scandalosa affermazione:
«L’ideale non è altro che un sogno infame e menzognero prodotto dal
sangue in fermento») e di volgersi alla pura tecnica, alla pratica, alla
celebrazione dell’ordo matematico, ossia all’esecuzione di trompe-l’œil. La
scrittura non salva Nathanael semplicemente perché è privo di talento e
decisamente malato; la pittura condanna Berthold non perché non abbia
talento ma perché è schiacciato dai modelli, da un super-io estetico
castrante. Che è con tutta evidenza quello del primo Romanticismo.
Anche qui – come nel caso della negoziazione dei discorsi scientifici e
psico-patologici – Hoffmann mostra tuttavia una straordinaria abilità nel
mettere a punto una serie di congegni narrativi altamente dialettici, nei
quali, al contempo, richiama, cita e archivia un orizzonte culturale ed
estetico di recentissima esplosione e legittimazione (da Goethe a Novalis,
da Wackenroder a Tieck, da Schiller a Kleist, solo volendosi limitare alla
letteratura, ma pur con qualche differenza discorsi analoghi si potrebbero
fare per le evidenze all’epoca circolanti nel campo musicale e delle arti
figurative) e attraverso 1) la relativizzazione in termini di prospettiva
narrativa nei confronti di chi è titolare all’interno dei singoli testi di tale
processo di archiviazione; e 2) l’interpolazione, l’interferenza, la
commistione con prodotti provenienti dal segmento basso del campo
letterario (best seller della letteratura d’intrattenimento, mode culturali,
pratiche folkloriche) producono continui effetti di straniamento che non si
possono non definire postmoderni.
Prospettive
Più di metà dei racconti presentano multiple voci narranti ovvero quelle che
i narratologi chiamano narrazioni meta-diegetiche: un narratore di primo
livello cede la parola a un narratore di secondo livello. Insomma i punti di
vista si frantumano e in tal modo – come già si diceva – cominciano a
traballare le evidenze fattuali. Accade nella Chiesa dei gesuiti a G., accade
nel Sanctus, accade nel Maggiorasco, in parte accade in Ignaz Denner.
L’esempio più vistoso resta ovviamente ancora una volta L’uomo della
sabbia. Qui il testo inizia in una modalità settecentesca che più
settecentesca non si può, ossia come romanzo epistolare (che L’uomo della
sabbia sia fra le moltissime altre cose anche una parodia delle Liaisons
dangereuses?), dopodiché ecco farsi avanti un narratore che spiega al lettore
le ragioni di quell’inizio, di quell’attacco: imbarazzo, incertezza, incapacità
di scegliere fra – almeno – tre diverse opzioni a sua disposizione: l’attacco
novellistico, l’attacco fiabesco, l’attacco mimetico. A seguire il narratore –
romantico, entusiasta, con alto gradiente intermediale (si serve
costantemente di metafore pittoriche) – confessa che gli strumenti a sua
disposizione per il racconto e per la restituzione del presunto dato fattuale
sono alquanto limitati e mediati. E lo dice con una allocuzione al lettore fra
le più gnomiche dell’intera raccolta: «E allora, o mio lettore, ti convincerai
che non vi è niente di più strano e di più folle della vita reale e che il poeta
in fondo può solo limitarsi a coglierla, come nell’oscuro riflesso di uno
specchio opaco». Ben quattro limitazioni alla mimesi, due aggettivi e due
sostantivi: oscuro, riflesso, specchio, opaco, ciò che, come detto, produce
esitazione sullo statuto ontologico del reale, sulla fattualità di quanto
raccontato. Un’esitazione che, nell’opera di Hoffmann, permarrà fino in
fondo, anche quando l’autore sembrerà avvicinarsi a modalità percettive
definibili come protorealiste, secondo la vulgata storicistica che vede il
tardo Hoffmann come figura di raccordo con l’Ottocento del realismo
borghese.
La questione dello statuto fattuale del reale è tanto più centrale in quanto
Hoffmann innesta su di essa, in almeno tre racconti (di nuovo nell’Uomo
della sabbia, nella Casa desolata e nel Maggiorasco), un altro interrogativo
fondamentale, quello sui dispositivi tecnologici (soprattutto) della visione in
qualità di potenziali strumenti di certificazione e potenziamento della
percezione. Ebbene ogniqualvolta intervengono tali strumenti tecnologici
(cannocchiali, binocoli, telescopi ecc. ma anche specchi) il risultato
ottenuto va nella direzione diametralmente opposta: le illusioni percettive,
anziché diminuire, aumentano, la realtà – o quel che di essa sembrerebbe
trasparire – risulta, se possibile, ancor più distorta. E più in generale: la
tecnologia non aiuta a meglio decifrare il mondo, a cambiarlo. Polemica,
quella hoffmanniana, che giunge al termine del secolo dei Lumi, pervaso da
una dilagante fiducia nella ragione e nei prodotti tecnologici della ragione e
della scienza, adesso tramutatesi in veicolo di follia, in strumento di
sopraffazione. Dialettica dell’Illuminismo avant la lettre.
I Notturni sono dunque un testo soglia. Soglia fra letteratura alta e
letteratura bassa, soglia fra almeno tre media diversi: letteratura, musica,
arti figurative. Soglia fra discorsi e generi settecenteschi – in ordine sparso:
la scienza sperimentale e la cultura epistolare, il romanzo dei briganti, il
Gartendiskurs, gli istituti giuridici e l’antropologia – e nuovi discorsi e
generi della modernità: la psichiatria, la pittura nazarena, la nascente
industria culturale e la società dello spettacolo, la scrittura romantica
frammentaria, poliprospettica e postmoderna, nuove dinamiche relazionali
fra i sessi, la famiglia come bacino di coltura di traumi e patologie.
Wert-Vakuum
Scorrendo i plot dei Notturni e tenendo conto di quanto detto fin qui non c’è
davvero da stare allegri. Siamo di fronte a un ampio campionario di
individui minati. L’arte? Semmai solo in tenue funzione terapeutica, l’arte
come strumento privilegiato per accedere all’Assoluto, l’utopia del primo
Romanticismo e in fondo ancora del primo Hoffmann (si pensi al Cavaliere
Gluck, al Don Giovanni, al Vaso d’oro) sembra proprio non esistere più.
L’amore, altro paradigma romantico per accedere all’Assoluto? Meglio
lasciar perdere, anche senza scomodare i riti magico-satanici di Ignaz
Denner, si vedano le relazioni d’amore ne L’uomo della sabbia, La Chiesa
dei gesuiti a G., La casa desolata, Il voto e Il cuore di pietra. La Natura?
Non pervenuta. La scienza e la tecnologia? Manipolazione e inganno.
L’Italia, altro mito della Goethezeit? È solo il Paese d’origine di ciarlatani e
delinquenti (Coppola, Trabacchio e il venditore di specchietti nella Casa
desolata), oltreché luogo del definitivo scacco del pittore maudit. Ideali
civili e politici? Nessuno all’orizzonte: più che per combattere in nome di
una qualche idea di libertà, chi per esempio va in guerra – e guerra nei
Notturni e non solo nei Notturni significa guerra contro Napoleone – ci va
solo per andar a trovare la bella morte (nella Casa desolata, nel
Maggiorasco, nel Voto) – e Andres, il perfetto suddito tedesco,
coprotagonista di Ignaz Denner, sa solo servire i suoi padroni. Insomma i
Notturni configurano un autentico Wert-Vakuum, un vuoto di valori, come
avrebbe detto Hermann Broch. D’altronde una campionatura di alcune
espressioni chiave cui danno vita protagonisti e narratori non fa che
confermare questa impressione: un «eterno e tremendo tormento» definisce
la vita il pittore Berthold paragonandosi a Prometeo, sentendosi condannato
a patire i «tormenti della Terra»; di Reutlinger, il protagonista del Cuore di
Pietra, il narratore parla come di un «animo profondo ma straziato da una
ferita mortale». Uno è stato marchiato a fuoco dall’arte, l’altro dall’amore.
Unico possibile bene rifugio in questa waste land valoriale è forse solo
l’ironia, non da intendersi come categoria di poetica trascendentale nel
senso schlegeliano, ma come paradosso, relativizzazione di ogni univocità,
anche di tutta l’univocità negativa, del vuoto. Nei Notturni l’ironia è un
basso continuo, unica possibile salvezza.
Ottica doppia
Lo stile dei Notturni non gode, come suol dirsi, di buona stampa; costanti e
insistiti sono stati i rimproveri da parte della critica di sciatteria, di
convenzionalità, addirittura di vera e propria stereotipia. Quando si è
trattato di spiegarsene le ragioni, si è ricorsi a considerazioni qua e là
senz’altro vere – troppa contiguità dell’autore con la Trivialliteratur, ritmi
produttivi da catena di montaggio, i quali impedivano un approfondito
lavoro di revisione – ma forse un po’ troppo a buon mercato e assai poco
differenziate: L’uomo della sabbia, per esempio, è sul piano stilistico
un’opera di rara accuratezza, la capacità di ammiccare in modo esplicito
oppure criptico praticamente all’intera cultura occidentale non può che
suscitare ammirazione. Non solo: i pochi studiosi che si sono occupati dello
stile di Hoffmann non sono andati al di là di un arido regesto dei sintagmi
da lui abusati. In realtà la tanto vituperata stereotipia della lingua
hoffmanniana si palesa, per così dire, a chiazze. Non la troviamo, per
esempio, nelle sequenze mimetiche; Hoffmann possiede anzi una grande
abilità nel differenziare i registri del parlato, non la troviamo nella estrema
cura degli idioletti e dei linguaggi tecnici (musicali, giuridici). La troviamo
invece – e in una misura che non può non insospettirci – in tutte le sequenze
notturne, quelle in cui i personaggi vengono posti a confronto con il lato
oscuro della propria esistenza o di quella altrui. Incontreremo allora, per
fare qualche esempio, verbi come zittern, beben oppure erbeben
(«tremare», «fremere»), erstarren («farsi di pietra», «impietrire»), tutto il
lessico legato alla paura, ossia i sostantivi Angst («paura»), Schrecken
(«orrore»), Grauen / Grausen («terrore») e i relativi aggettivi (schrecklich,
schreckhaft, furchterlich, grausam, grauenvoll, grausig ecc.); o ancora altri
sintagmi fissi, associati alle manifestazioni della paura, per esempio, le
«eisige Krallen» o le «feurige Krallen» (le «grinfie di gelo», le «grinfie di
fuoco»), per giungere al «mir wurde unheimlich zu Mute» («provai una
sensazione sinistra») che tanto interessò Freud.
Questo campionario di sintagmi fissi non è affatto rivelatore di
un’inguaribile sciatteria, esso ha piuttosto la funzione di fornire al lettore
una rete di “asterischi” che, obbedendo (ben prima di Wagner e Thomas
Mann) a una vera e propria Leitmotivtechnik intertestuale, segnalano in
modo rapido e inequivocabile l’irruzione nella narrazione dell’inquietante
universo notturno. Tale stratagemma è il frutto della consapevolezza da
parte di Hoffmann che lo horror vacui metafisico, estetico, politico da cui
nascono le sue novelle può essere veicolato a un pubblico avido e distratto
solamente o comunque in primo luogo tramite un effetto horror. Chi poi non
sarà solo interessato a questa ritualizzazione del brivido, chi non sarà
completamente assuefatto agli effetti shock, potrà cominciare a scrostare,
penetrando dentro la sotterranea poetica di queste novelle, la superficie
terrifica e gettare uno sguardo verso il vacuum. Con i Notturni Hoffmann
mostra così di perseguire, come si diceva all’inizio, quella che Nietzsche in
riferimento a Wagner chiamò un’«ottica doppia», riesce cioè a soddisfare
sia le richieste non troppo esigenti del grande pubblico che quelle di chi
cerca nella letteratura qualcosa in più del puro svago.
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Torino 1978.
Berlino, capitale del regno di Prussia dal 1701, a cavallo tra il XVIII e il
XIX secolo fu il cuore propulsore del rinnovamento della cultura
germanofona e quindi culla dell’ultima fase del Romanticismo tedesco.
Hoffmann vi soggiornò per due brevi periodi tra il 1798 e il 1808, quando
ancora doveva trovare la propria realizzazione artistica e umana. Vi si
trasferì poi nel 1814 e vi visse fino alla morte, in una città pervasa dal clima
inquisitorio della Restaurazione dove tuttavia pubblicò le sue opere
letterarie, acquistò fama e qualche ricchezza e si affermò tra i protagonisti
dell’ambiente culturale insieme a Fouqué, Chamisso, Tieck, Brentano e
Eichendorff. Nell’ambito della carriera forense, fu a Berlino che raggiunse
il grado di giudice, contraddistinguendosi per «fredda pacatezza» e
«serietà» proprio negli anni in cui, artisticamente, erompeva con la sua
diabolica e profanante fantasia.
Callot. Jacques Callot, incisore francese nato a Nancy nel 1592 e morto
nella stessa città nel 1635. Dopo i primi anni di apprendistato a Roma, nel
1612 si trasferì a Firenze dove soggiornò per nove anni sotto la protezione
di Cristina di Lorena. Qui, presso l’incisore Giulio Parigi incise nel 1616
circa le Tentazioni di sant’Antonio, nel 1617 la serie dei Capricci, ispirata al
teatro, al costume popolare e al carnevale, infine nel 1620 la Fiera
dell’Impruneta. A Firenze sperimentò la tecnica dell’acquaforte che diverrà
una delle sue modalità espressive preferite. Le sue incisioni evidenziarono
un linguaggio artistico personale, a metà strada tra il galante e il grottesco,
non privo di un certo crudo realismo. Tra le sue opere più note figurano le
diciotto tavole in acquaforte intitolate Le miserie della guerra, un ciclo che
illustra con raffinata brutalità episodi della Guerra dei trent’anni.
Ispirandosi al suo gusto compositivo Hoffmann scrisse i racconti dei Pezzi
fantastici alla maniera di Callot (1814), dominati dalla figura del
fantomatico personaggio Johannes Kreisler.
Coppelius è il nome (o meglio, lo pseudonimo) di un avvocato amico dei
genitori di Nathanael, il protagonista dell’Uomo della sabbia di Hoffmann.
Dai tratti grotteschi e diabolici, deformi e ripugnanti, secondo una
connotazione negativa che molto deve alla scienza fisiognomica
settecentesca, sempre vestito di grigio (come il diavolo del Peter Schlemihl
di Chamisso), è in lui che Nathanael proietta le sembianze dell’uomo della
sabbia che funesta la sua infanzia, con i suoi passi lenti e pesanti e la
costante minaccia di cavargli gli occhi e portarli alla sua nidiata di civette
sulla mezza luna se la sera si rifiuta di andare a letto. Figura che appare e
scompare come uno spettro nella vicenda del protagonista, questi, ormai
adulto, si convincerà di rincontrarlo nella città di G. nei panni di Giuseppe
Coppola, un ottico piemontese, venditore ambulante di barometri e
cannocchiali.
Dresda, posta sul fiume Elba, è l’attuale capitale del Land della Sassonia.
Importante centro culturale e artistico fin dal Settecento, è anche una delle
principali città manifatturiere tedesche. Hoffmann vi si recò per la prima
volta nel 1798, quando visitò la Gemäldegalerie Alte Meister, rimanendo
folgorato dalle sale italiane, dove tra gli altri dipinti poté ammirare la
Madonna Sistina di Raffaello. Tornò a viverci tra il 1813 e il 1814. Nel
frattempo la città era stata teatro delle guerre napoleoniche e l’imperatore
francese vi aveva stabilito il suo quartier generale dopo la disastrosa
campagna di Russia. Hoffmann vi pubblicò articoli e vignette satiriche
antifrancesi e ambientò qui la sua fiaba più nota, Il vaso d’oro.
Hitzig. Julius Eduard Hitzig (nato come Isaac Elias Itzig), scrittore, giurista
e editore prussiano nato a Berlino nel 1780 e morto nella stessa città nel
1849. Appartenente alla ricca e influente famiglia ebraica degli Itzig, nel
1799 si convertì al cristianesimo e germanizzò il suo nome (e fu per questo
satireggiato da Heine); nel 1808 fondò una casa editrice e, in seguito,
un’importante libreria berlinese; membro della corte suprema di Berlino a
partire dal 1815, ne diventò in seguito il presidente. Frequentatore del
salotto di Rahel Varnhagen, cofondatore di varie società letterarie tra cui la
Neue Mittwochsgesellschaft (Nuova società del mercoledì) fu molto amico
di Hoffmann (oltre che di August von Kotzebue, Adelbert von Chamisso,
Friedrich de la Motte Fouqué e Willibald Alexis), di cui diventò anche il
primo biografo pubblicando nel 1823, l’anno dopo la scomparsa dello
scrittore, due volumi dal titolo Aus Hoffmanns Leben und Nachlass.
Königsberg, letteralmente “la collina del re” (dalla fine della Seconda
guerra mondiale – quando fu occupata dall’Armata rossa e quasi tutta la
popolazione tedesca venne espulsa – Kaliningrad, exclave russa tra Polonia
e Lituania), fu in passato la capitale dello Stato di Prussia dell’Ordine
Teutonico, della Prussia ducale e infine della provincia prussiana della
Prussia orientale. La città venne unificata a partire dai conglomerati di
Altstadt, Löbenicht e Kneiphof nel 1724, lo stesso anno in cui vi nacque il
suo più illustre e fedele cittadino, quell’Immanuel Kant che a Königsberg
visse sempre fino alla morte avvenuta nel 1804. Nel 1813 sarà il centro
della ribellione prussiana a Napoleone. Hoffmann vi nacque nel 1776 e vi
trascorse tutta la giovinezza. È qui che conobbe, decenne, l’amico e sodale
di una vita Hippel, che tanta importanza avrà per lui negli anni a venire, ed
è qui che si formò come giurista (con mai alleviata fatica e come esigeva la
tradizione familiare), come musicista e come disegnatore.
Biografia di Hoffmann
Introduzione ai Notturni
Qualche ritocco?
Un genere intermediale
Enciclopedia notturna (I): pitture di notte
Enciclopedia notturna (II): malattia e intertesti
Arte e altri intertesti
Prospettive
Wert-Vakuum
Ottica doppia
Bibliografia
E.T.A.pedia. 24 voci
Automi/bambole
Berlino
Callot
Coppelius
Dresda
Famiglia/infanzia
Hippel
Hitzig
Hoffmann
Kleist
Königsberg
Kreisler
Lesewut o Lesesucht
Medici
Mesmer
Milleottocentonove
Milleottocentoventidue
Millesettecentosettantasei
Napoleone Bonaparte
Notte
Novalis
Raffaello Sanzio
Romanticismo berlinese
Strumenti ottici