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BODYRECOMPOSITION K

SECRET
Ottimizzare il dimagrimento, aumentare la massa
muscolare e mantenere il risultato per sempre.
Questo libro non intende fornire trattamento o prevenzione a disturbi,
malattie o condizioni cliniche, né sostituirsi al trattamento medico o come
alternativa ad un consulto specialistico. È una revisione di evidenze
scientifiche presentate per scopi puramente informativi. Le raccomandazioni
qui presentate non dovrebbero essere adottate senza una revisione completa
dei riferimenti scientifici forniti ed una visita medica. L’uso delle indicazioni
presentate in questo libro è a completa discrezione e responsabilità del lettore.
Questo libro o qualsiasi parte di esso non può essere riprodotto o riscritto in
nessun modo senza il permesso degli Autori, tranne per brevi citazioni in
articoli critici o di revisione.
Oukside® | Get the Fitness K
Riproduzione e distribuzione vietate
www.oukside.com | info@oukside.com
Indice
Indice
Prefazione: The Body Chance e Vincenzo Tortora
Ricorda: il contesto è tutto
Il problema del dimagrimento
Una nota sulla scientificità
Una nota sulla praticità
Una nota sugli approfondimenti
Più muscoli, meno grasso: di cosa si parla?
(S)composizione anatomica del corpo umano
(S)Composizione funzionale del corpo umano
Utilizzo energetico dei carboidrati di deposito
Utilizzo energetico delle proteine tissutali
Utilizzo energetico del grasso di deposito
Digressione sugli acidi grassi e risvolti sul grasso corporeo
L’organo adiposo e il linguaggio delle cellule
Il deposito adiposo e i tipi di grasso corporeo
Tipi di grassi corporeo e loro funzioni
Grasso corporeo essenziale
Grasso corporeo bruno
Grasso corporeo viscerale
Grasso corporeo sottocutaneo
Endocrinologia dell’organo adiposo
Il linguaggio delle cellule: regolazione ed effetti della leptina
Approfondimento. Leptina, controllo alimentare, fame e sazietà
Diventare più magri, dimagrire… ?
Perdita di peso e composizione corporea
Le vie del dimagrimento sono (quasi) infinite
Meno grasso, stesso muscolo
Meno muscolo, molto meno grasso
Più muscolo, stesso grasso
Più grasso, molto più muscolo
Con intervalli di tempo lunghi il risultato è sempre dimagrimento
Corpo matematico e corpo biologico
Master metabolic disruptor: ingrassamento
Master metabolic inductor: dimagrimento
Il set point: assoluto, relativo, integrato
La via migliore per dimagrire
Nutrire il muscolo, affamare il grasso: the leptin way
Ricavare energia dal grasso corporeo
Bruciare i grassi nel modo giusto
Demolire il grasso corporeo: idrolisi dei trigliceridi
Dieta, allenamento, integratori per potenziare l’idrolisi dei
trigliceridi
Azione sui recettori adrenergici
Azione sui recettori per l’insulina
Azione sui recettori del peptide natriuretico atriale
Azione sulla lipasi sensibile agli ormoni HSL
Azione sulla perilipina
Arrivare a destinazione: trasporto degli acidi grassi
Il destino finale: uptake e ossidazione dei trigliceridi
Raggomitolare tutto
Approfondimento. Grasso più, grasso meno: smart recap.
Come si ingrassa e sintesi dei trigliceridi
Chi lega il grasso: lipoproteina lipasi
E chi lo trasforma: proteina di stimolazione dell’acetilazione
Il dimagrimento dal punto di vista cellulare
Approfondimento. Il dimagrimento dal punto di vista molecolare
Allenamento ed esercizio fisico
Cose da sapere sul tessuto muscolare
Tipi di fibre muscolari
Metabolismo energetico del tessuto muscolare
Sistema dell’ATP-CP
Glicolisi anaerobica
Glicolisi aerobica
Lipolisi aerobica
Fisiologia dell’esercizio e risposta dell’organismo
Allenamento aerobico per dimagrire
Metabolismo energetico e soglia del lattato
Risposta ormonale all’attività aerobica
Interval training, HIT e HIIT
Scala dello sforzo percepito
Metabolismo energetico nell’Interval Training
Risposta ormonale ed effetti lipolitici
Allenamento contro resistenza (pesi)
Metabolismo energetico e tipi di allenamento
Risposta ormonale a diversi tipi di allenamento
Sistemi di allenamento con i pesi
Allenamento di volume “metabolico”
Allenamento di tensione “ipertrofia”
Allenamento di potenza “power”
Consumo di glicogeno durante l’allenamento
Livelli e deplezione di glicogeno
Consumo di carboidrati e resintesi di glicogeno
Sintesi proteica muscolare: come funziona
Ipertrofia vs iperplasia: come avviene la crescita muscolare
Sintesi delle proteine del tessuto muscolare
Approfondimento. AMPK, metabolismo cellulare, dimagrimento e
massa muscolare
Struttura e regolazione dell’AMPK
Effetti dell’AMPK sul metabolismo cellulare
Metabolismo glucidico
Metabolismo lipidico
Metabolismo proteico
Controllo alimentare
Raggomitolare tutto
Miscellanea: premessa alla pratica
Dalla teoria alla pratica: raggomitolare tutto
Applicazioni e applicabilità: dall’astratto al concreto
Fase di dimagrimento
Fase di mantenimento
Fase di anabolismo
Dalla pratica alla messa a punto
Impostazione pratica della settimana
Dieta per le varie fasi
Nutrizione prima, durante e dopo allenamento
Allenamento per le varie fasi
Allenamento con i pesi
Giorno A
Giorno B
Giorno C
Interval training
Bodyweight Training
Giorno A
Giorno B
Giorno C
Miscellanea bruciapelo: tips & tricks utili
Prepararsi per iniziare
Effetto whooshing: dimagrimento ritardato
Modifiche in corso d’opera e ottimizzazioni
Numero e frequenza dei pasti
Scelte alimentari
Giorni e orari di allenamento
Ottimizzare le varie fasi: più dimagrimento
Bodyrecomposition for life: chiusura, full break, rewind
Full break e stallo dei progressi
Integratori: sì, no, forse, perché
Proteine in polvere
Aminoacidi a catena ramificata
Creatina monoidrato
Multivitaminici/minerali e micronutrienti
Acidi grassi essenziali
Magia farmacologica: conoscere per evitare
Inganno neurobiologico
Ergot derivati
Inganno metabolico
Ormoni tiroidei
Simpaticomimetici e correlati
Inganno biochimico
Metilxantine
Disaccoppianti
Ipoglicemizzanti orali
E poi ci fu… The Body Essence
Arte e Scienza della Ricomposizione Corporea
Dieta
Digiuno Intermittente (Intermittent Fasting)
Go Veg
Easy Pocket & Flexible Diet
Allenamento
Tabella di allenamento
In salita: aumentare la massa muscolare
In discesa: ridurre il grasso corporeo
Integratori, supplementi, erbe e spezie, farmaci
Nutrizione peri workout
Integrazione di base
Supplementazione (facoltativa)
Erboristica (facoltativa)
Farmacologia (pericolosa)
Stack possibili
Igiene del sonno per la Body Recomposition
Oltre la Ricomposizione Corporea
Bibliografia essenziale
AMPK e affini
Fisiologia e metabolismo del muscolo e dell’esercizio fisico
Frequenza dei pasti e distribuzione dei nutrienti
Integrazione e supplementazione
Proteine e diete iperproteiche
Metabolismo del tessuto adiposo
Neurobiologia del controllo alimentare
Sostanze farmacologiche
Vari
Sugli Autori
Vincenzo Tortora
Cecilia Valeria Rossi
Myriam Patalano
Prefazione: The Body Chance e
Vincenzo Tortora
(di Vincenzo Tortora)
I tempi passano, le cose evolvono, io cresco. Ero convinto che The Body
Chance sarebbe dovuto rimanere così com’è, ma adesso proprio non ce la
faccio: per quanto possa essere un contenuto “nuovo” per la maggior parte
dei lettori, per quanto presenti concetti molto innovativi tutt’oggi (a diversi
anni dalla sua nascita, nel 2013)… Di questi concetti ora ce ne sono anche
altri e di certo non sono il tipo che se li tiene per sé, così da creare la nuova
edizione da dover comprare e scaricare.
The Body Chance è un lavoro in cui condensai tutto ciò che avevo
accumulato negli anni precedenti, tramite studio ed esperienza sul campo,
specie per l’ambito fitness estetico e ricomposizione corporea spinta verso
un miglioramento della composizione corporea che va oltre il voler stare in
forma e in salute. La crescita professionale ottenuta in questi anni, la
collaborazione con persone fantastiche, la creazione di team di professionisti
d’eccellenza, mi ha permesso di capire che non è importante ciò che si crede
lo sia e neppure ciò che gli altri ritengono importante.
È importante ciò che più di tutto riesce a lasciare un segno nel mondo che
possa essere da stimolo per qualcun altro (fosse anche uno solo). Una volta
una persona mi chiese: “Riesci a dire, in una parola, cosa vuoi fare nella tua
vita?”, la mia risposta fu decisa e sincera (non ridete…): “Scalfire”. Scalfire
in senso buono, lasciare una traccia, un segno, qualcosa che possa essere utile
davvero.
Nel mondo del Fitness il mio desiderio è uno, ed è quello che giornalmente
viene presentato tramite Oukside e il suo splendido team: semplificare. Ho
visto troppe volte questo mondo inquinato da false informazioni e l’isteria di
voler cercare sempre qualcosa di nuovo, per poi capire che tutto ciò che conta
è quello che già si faceva. Robert Fulghum scrive:
“La massima parte di ciò che veramente mi serve sapere su come
vivere, cosa fare e in che modo comportarmi l'ho imparata all'asilo.
La saggezza non si trova al vertice della montagna degli studi
superiori, bensì nei castelli di sabbia del giardino dell'infanzia.”
Io mi sento un po’ così e sento che tutti dovremmo esserlo. Ci sono sempre
più libri, sempre più informazioni, si va alla ricerca sempre dell’ultimo studio
e dell’ultima ricerca, senza rendersi conto che quello che si ha già nella
propria testa potrebbe far raggiungere lo stesso livello di conoscenza
semplicemente usandolo come andrebbe fatto. Ovviamente, serve avere in
mano dei princìpi di base poco modificabili, quelli che non subiscono
l’aleatoria variabilità del mercato e delle mode… Le leggi fisiche, le leggi
chimiche, le leggi Matematiche. E poi bisogna sapere come utilizzare questi
princìpi.
Allora perché, insieme al resto del Team di Oukside, ho ripreso in mano The
Body Chance per aggiornarlo (e non solo cambiarne il titolo)? Semplice: per
coprire alcuni punti che erano rimasti scoperti e che non davano modo a tutti
di accedere a un cambiamento positivo della forma fisica. In sostanza: The
Body Chance non scalfiva nel modo in cui ritengo si debba scalfire, quando si
fa formazione in questo ambito: la fame di conoscenza per l’argomento
trattato deve essere soddisfatta. Se voi, alla fine di questo manuale, avrete
ancora domande su come fare Ricomposizione Corporea, il mio obiettivo
non sarà stato raggiunto. E neanche quello di Oukside, il cui contributo per
questo manuale è probabilmente più grande di quello da me partito illo
tempore.
Con il contributo del Team di Oukside (quanto è bello creare una realtà che
prende vita e ti restituisce l’impegno che ci hai messo!) abbiamo capito
quello che avremmo dovuto realmente fare: non distruggere, non ricreare, ma
trasformare. In particolare in questo modo:
● revisionare e correggere eventuali errori (in una parola: restaurare)
la vecchia versione di The Body Chance;
● aggiungere ciò che è rimasto non detto da quel lontano 2013;
● ampliare vecchie e nuove sezioni con i dati accumulati in questi anni
uniti alle conoscenze e l’esperienza di tutti coloro che nel corso del
tempo abbiamo incontrato;
● allineare il titolo alla proposta di Oukside: Bodyrecomposition K
Secret.
Ma, prima di procedere, lasciate che vi dica qualcosa su di me. Perché?
Perché ritengo che sia il modo per farvi capire che non sarò io a scalfire voi
in senso professionale per contribuire alla vostra crescita, ma sarà la realtà
Oukside. Il mio contributo l’ho dato a questa realtà, è in questa che ho
“scalfito” ed è da questa che nel corso del tempo sono stato scalfito: Oukside
ha raggiunto una sua indipendenza da me al punto che, proprio come voi, io
stesso ne ricevo i frutti e i benefici in termini di crescita personale e
professionale continua.
Il mio percorso mi ha fatto capire una cosa semplice, ma incisiva: si cresce
professionalmente quando si ha l’apertura di abbracciare ambiti di primo
acchito lontanissimi, che col tempo si riusciranno a collegare sviluppando la
capacità di avere visione d’insieme.
Sono arrivato fin qui passando dall’Ingegneria Elettronica, l’Informatica, la
Matematica, la Fisica, poi la Dietistica, quindi la Psicologia, il Marketing, la
Leadership… Voi seguite un team di persone più brave di me nel loro ambito
specifico, messe insieme da uno che è quasi più un “Filosofo pensatore” che
un “Esperto di Fitness”. Lo fate perché è stato proprio saper cogliere più
ambiti a donare a ciò che è stato creato il valore che ha.
Non sono mai riuscito a lavorare “solo per me stesso”, né ad attingere
informazioni da un singolo settore specifico; è per questo che ho dato vita ad
Oukside, una realtà in cui non si creano contenuti per secondi fini, ma si
creano contenuti per informare e formare Professionisti e Aspiranti tali del
settore Fitness e dare agli Utenti informazioni che semplifichino il loro
approccio a Dimagrimento, Benessere, Salute e non che aggiungano “altre
cose da dover fare”.
Lo stesso consiglio a voi: non trascurate opportunità che pensate non
c’entrino nulla con voi, la vostra vita o la vostra carriera perché… Se seguite
un pattern di vita, carriera, lavoro “standard”, che ritenete sia giusto, finirete
per fare cose già fatte da altri. Nel 2013 scrivevo questo:
“Spero il frutto del mio lavoro possa essere utile a chi, come me, si
interessa di tutto quanto riguardi la nutrizione, lo sport e la forma
fisica, dando qualche spunto di riflessione da cui partire per
sviluppare il proprio campo di interesse, ed a chi, come me, è
sempre alla ricerca di qualcosa che va oltre quello che ha già fatto,
già provato, già sperimentato, già assodato che funzioni, per avere
sempre nuovi stimoli e non rimanere fermo dov’è.”
e ad oggi credo ancora che la vera crescita si possa ottenere solo imparando a
ragionare in modo diverso, piuttosto che imparare a ragionare nel modo in cui
altri vogliono insegnarvi.
Ricorda: il contesto è tutto
Prima di intraprendere qualsiasi scelta, occorre sempre definire il contesto in
cui ci si trova. Grazie a questo, è possibile inquadrare il problema che si
deve/vuole risolvere. Non fate mai l’errore di dare per scontato il problema
da risolvere di chi avete di fronte. Per problema da risolvere intendiamo
“risposte da trovare”: che siate in campo consulenza o in campo formazione,
dovete fornire risposte, ma queste risposte non hanno senso se non inserite in
un contesto. La domanda da farsi sempre e comunque quando si vuole
migliorare o quando qualcuno si rivolge a voi, per una consulenza o una
richiesta, è “Per fare cosa?” (ovvero: “Per quale obiettivo?”).
Prima di intraprendere il nostro percorso, quindi, inquadriamo il contesto:
dimagrimento, ricomposizione corporea, miglioramento del
metabolismo. Il che vuol dire che tutto questo si applica a chi vuole, deve o
ha bisogno di modificare in meglio la composizione corporea e raggiungere
buoni livelli di dimagrimento. L’obeso sedentario o il forte sovrappeso non
ha bisogno di queste strategie e dovrebbe iniziare semplicemente da qualche
sessione di camminata a passo veloce e togliere schifezze dalla dieta. Ora che
sappiamo di cosa stiamo parlando, possiamo andare oltre.

Il problema del dimagrimento


Quando si parla di dimagrimento molti non sanno di cosa si sta parlando. In
seguito approfondiremo ma ora ci preme far capire l’importanza
fondamentale di inquadrare il problema in maniera precisa. Molti credono di
non poter dimagrire realmente, solo di perdere un po’ di peso, alcuni pensano
che prima o poi si debba ricorrere ai farmaci, altri provano “metodi” del tutto
scriteriati, falliscono e poi si mettono l’anima in pace dicendo “non è per
me”.
Il problema è che non capiscono cosa vogliono realmente ottenere e vedendo
che non ce la fanno credono che sia impossibile per tutti e che chi ci è riuscito
abbia “trucchi nascosti”.
Molti Atleti tra i nostri casi mettono massa muscolare senza ingrassare o
perdono grasso senza perdere performance né muscoli e vengono presi per
dopati. Innanzitutto, bisognerebbe guardare anche a chi ha cambiamenti
meno evidenti, in secondo luogo, il risultato deriva dall’applicazione di
alcuni concetti che molti hanno tralasciato perché “Non possono funzionare,
gli studi non lo provano”.
Voi accederete a questi concetti, protocolli, informazioni e noterete che “Si
può fare” anche se non c’è uno studio che lo provi: perché abbiamo
semplicemente unito i puntini partendo da princìpi immodificabili, cioè come
il corpo realmente funziona se sottoposto a determinati stimoli. D’altro canto,
questo significa anche che se vi porterete dietro quelle paure infondate, non
avrete molti risultati; se vi viene detto (e fatto capire perché!) che vanno
assunti tot. grammi di proteine ma voi avete paura di assumerle o assegnarle
per presunti danni delle stesse, eppure continuate a seguire la trama dei
protocolli qui proposti, non otterrete un granché. A quel punto meglio che
lasciate stare: dedicatevi all’educazione alimentare e perdere qualche chiletto.
Se invece parlate la nostra stessa lingua e volete migliorare la composizione
corporea vostra e/o di atleti e sportivi ma anche persone “comuni” che
vogliono vedere un po’ di più di un semplice cambiamento del benessere,
allora siete nel posto giusto. Questo significa perdere in termini di salute?
Assolutamente no, se guardate la salute nel modo in cui dovrebbe essere
vista: globalmente.
Dimagrimento, dunque, significa far migliorare la composizione corporea in
modo che vada oltre il semplice “stare un po’ meglio” ma rispecchi un
vedersi in modo da sentirsi realmente in forma. Potremmo definire questo un
manuale sul dimagrimento, e in effetti lo è. Ricordate, però: al dimagrimento,
quello vero (definito in seguito) si arriva dopo alcuni concetti chiave che
sono stati già modificati in meglio. Non si può pensare di vedersi senza
inestetismi (la “pancetta” per gli uomini e la “culotte de cheval” per le donne)
se non si pensa nemmeno di fare attività fisica. Si raccoglie ciò che si semina,
no? Niente di più appropriato qui.

Una nota sulla scientificità


È doveroso chiarire cosa significhi Scienza in un ambito che sembra
essersene dimenticato, o che forse mai se n’è curato. Il nostro operato si basa
su analisi e osservazioni minuziose e precise, se parliamo di qualcosa è
perché prima abbiamo studiato e cercato di capire il più possibile
dell’argomento che stiamo trattando; senza questa analisi, ricerca e disamina,
non parliamo affatto. Detto questo, abbiamo capito che più che il report dei
vari studi scientifici utilizzati per trarre determinate conclusioni, è importante
far ragionare in maniera logica, razionale e laterale. Molte volte ci si fa
incantare dai tanti numerini inseriti nel testo dicendo “Questo testo è
scientifico”, ma non è così. Anche The China Study è pieno di riferimenti
scientifici, peccato che siano scelti solo quelli che confermano la tesi
dell’Autore. Ancora più eclatante fu il lavoro di Ancel Keys: una Ricerca
vera e propria con dati che dicevano che più colesterolo e grassi saturi nella
dieta peggioravano notevolmente la salute e il rischio di malattia
cardiovascolare. Tutto falso e smentito un po’ di anni dopo: le popolazioni
erano state selezionate ad hoc e la statistica era farlocca.
Su questo, consigliamo caldamente ai Professionisti di studiare la Statistica
prima di approcciarvi a questo campo in maniera sensata: con la Statistica
potete realmente capire le cose; oppure potete fregare, come hanno fatto
Campbell e Keys. Basta scegliere i dati in un certo modo. Come sapete che
noi non vi fregheremo? Semplice: preferiamo farvi utilizzare lo strumento più
potente che avete a vostra disposizione, il vostro cervello, per arrivare
insieme a noi a conclusioni veritiere. Lo vedrete. Inoltre: quello che
imparerete qui funzionerà sul campo… quale migliore esperimento di un
esperimento reale? Molti restano troppo sui libri e dicono “Il protocollo A
non può funzionare”, e di fianco c’è qualcuno che sta già applicando il
protocollo A con ottimi risultati. Non stiamo insinuando che si debba essere
solo praticoni, anzi! Bisogna capire come e perché qualcosa ha funzionato;
molte volte i fattori in gioco sono troppi per poter capire realmente i motivi
per cui qualcosa funziona. Quello che si vuole dire è che le spiegazioni
devono partire da voi, unendo le vostre conoscenze e ragionando, e non fare
l’errore tipico di chi, anche se qualcosa funziona, dice “Non trovo riferimenti
in letteratura; allora non può funzionare”. Ci siamo capiti, no? Non è questa
la sede per parlare di tutti i bias cognitivi, ma sostanzialmente stiamo
parlando di questi. Studiate Statistica e studiate Logica, se non volete farvi
fregare e non dipendere sempre e solo dal “Se non è pubblicato non è vero”.

Una nota sulla praticità


Molto spesso ci si fa fuorviare dalle indicazioni fornite per un certo contesto
o specifiche per una particolare situazione, volendo da esse trovare una regola
generale che in realtà non esiste. Perciò, state attenti e non confondetevi. In
questo manuale abbiamo cercato di fornire indicazioni pratiche capitolo per
capitolo, perché siano da spunto per situazioni peculiari. Ma non vi perdete: il
protocollo che verrà mostrato è “a se stante”, e potrebbe bypassare alcune
delle indicazioni pratiche fornite nel corso del testo semplicemente perché…
il protocollo finale mette insieme tutto, in un contesto più ampio, le
indicazioni capitolo per capitolo invece sono proprio relative agli argomenti
di quei capitoli.
Forse vogliamo confondervi? Tutt’altro: vogliamo avvantaggiarvi. Dandovi
queste informazioni sarete in grado di distinguere i vari contesti di
applicazione. Sarete in grado di vedere il protocollo finale e capire che si può
applicare in contesti più generalizzati di dimagrimento rispetto - ad esempio -
a quelli di “recupero metabolico”, in cui sarà opportuno scendere più nel
dettaglio e risolvere un certo problema prima di passare a schemi per
raggiungere obiettivi più generali e a lungo termine.
Dettagli che sono di quel tipo che si rivelano utili per certi contesti, poco utili
in un contesto più generalizzato. Vuol dire che chi ha tempo, modo, voglia di
pensare a qualsiasi minuzia, purché questa sia vista come un divertimento e
non un lavoro, può farlo; tutti gli altri che hanno in mente un obiettivo ma
anche da portare avanti una vita con tanti altri impegni, dovrebbero cercare la
soluzione che metta in conto anche queste cose “pratiche pratiche”. Un
esempio banale ma molto esplicativo: se fare attività al mattino a digiuno può
essere proficuo, ma il lavoro di una persona inizia alle 7:30 e farlo allenare
alle 6 implicherebbe ridurre il sonno notturno, magari già scarso per altri n-
mila motivi, allora è meglio che quella specifica persona sposti il suo
allenamento in altri momenti.

Una nota sugli approfondimenti


Nel corpo del testo sono inseriti degli approfondimenti, come capitoli o come
intere sezioni dedicate ad argomenti specifici. Perché? A parte il fatto che
approfondire verticalmente un argomento stimola la capacità di pensiero
anche in astratto e, una volta fuori, di riuscire a mettere insieme i pezzi e
collegarli, questi approfondimenti non sono scelti a caso. Sono stati inseriti
perché vi aiutano nella pratica del dimagrimento e la ricomposizione
corporea, facendovi “unire i puntini” e dandovi non solo spiegazioni ma
nuovi modi per risolvere problemi che magari vi siete sempre trovati di
fronte. Non sottovalutate, quindi, tutti gli approfondimenti presentati. Potrete
saltarli, è vero: il succo non cambierebbe, ma se volete spingervi oltre e
cominciare a elaborare le vostre personali strategie, leggete tutto, parola per
parola, canalizzando la vostra attenzione volta per volta su un argomento
specifico avendo poi la capacità di uscirne fuori per guardare nuovamente il
quadro generale.
Più muscoli, meno grasso: di cosa si
parla?
In termini pratici, cos’è che va modificato per migliorare la forma fisica e la
performance atletica? La risposta scontata è “La dieta e l’esercizio fisico”;
ma per modificare dieta ed esercizio fisico dobbiamo capire gli effetti che
questi hanno sul corpo. Dunque, la risposta effettiva dovrebbe essere “Il peso,
il tessuto adiposo e il tessuto muscolare”. Capendo come peso, grasso e
muscoli reagiscono in risposta a un programma di dieta e di esercizio fisico,
si può capire come e cosa modificare nel dettaglio del programma stesso.

(S)composizione anatomica del corpo


umano
Non spaventatevi per il titolo del capitolo. Scomporre il corpo umano nei suoi
costituenti ci interessa per concentrarci su quelli che hanno a che fare col
dimagrimento. Sì, vero, tutto il corpo viene modificato in seguito a un certo
stimolo (dieta o esercizio fisico), ma è anche vero che il nostro scopo è
modificare in particolare certi tessuti e capire cosa succede in essi. Conoscere
queste informazioni è quindi molto utile per capire quello che verrà dopo.
L’organismo umano è composto da circa 50 trilioni (1 trilione = 1018, un 1
seguito da 18 zeri, ovvero un miliardo di miliardi) di cellule proprie,
moltiplicato per 10 se si considerano tutti i batteri che vivono in esso - sono
in numero molto maggiore delle cellule del nostro corpo, ma essendo molto
più piccoli occupano meno spazio, costituendo l’1-2% del peso totale
dell’organismo - Per gli scopi di questo manuale, di tutte queste cellule, ci
interessano molto “solo” 50-200 miliardi, quelle che costituiscono il tessuto
adiposo e prendono il nome di adipociti. Il motivo del range così esteso è che
gli individui magri possiedono poche cellule adipose (circa 50 miliardi)
rispetto a quelli molto grassi (con oltre 200 miliardi di adipociti).
Salendo un po’ di grado, parlando di tessuti piuttosto che di cellule, la
composizione media di un individuo adulto di sesso maschile è grossomodo
la seguente:
● 40-45% di tessuto muscolare;
● 25% tra organi interni, sangue e ghiandole;
● 14-15% di tessuto osseo;
● 10-15% di grasso di deposito;
● 3% di grasso essenziale.
Nella donna i valori percentuali sono invece i seguenti:
● 35-38% di tessuto muscolare;
● 25% tra organi interni, sangue e ghiandole;
● 11-12% di tessuto osseo;
● 20-25% di grasso di deposito;
● 12% di grasso essenziale.
Sicuramente qualcuno si sta chiedendo dove siano finiti i famosi 60-65 punti
percentuali di acqua; semplicemente, l’acqua è un costituente dei tessuti
sopra elencati, in particolare (per l’interesse qui) se ne trova circa il 10% nel
tessuto adiposo, il 40% nel tessuto osseo e l’80% nel tessuto muscolare.
Conoscere la composizione del nostro organismo, ai fini del dimagrimento e
della ricomposizione corporea, può sembrare una cosa inutile; considerando
invece che il corpo può utilizzare, nel momento in cui ne ha bisogno, parte di
quei tessuti che lo costituiscono per ricavarne energia, ecco che, in ottica
“introito energetico vs dispendio energetico”, questi argomenti si fanno più
interessanti.
Infatti, applicando una restrizione energetica con l’intento di “bruciare
grasso”, quello che facciamo non è altro che chiedere all’organismo di
affidarsi alle sue scorte endogene (quelle che ha dentro) piuttosto che a quelle
esogene (provenienti dall’esterno). Sotto queste condizioni, il corpo è
costretto ad attingere dalle sue riserve energetiche, che sono principalmente
tre:
● i carboidrati depositati;
● le proteine muscolari;
● il grasso corporeo.

(S)Composizione funzionale del corpo


umano
Per “funzionale” si intende per gli scopi di dimagrimento di cui stiamo
parlando. Ci interessa sapere come i nutrienti immagazzinati all’interno
dell’organismo vengano modificati a seguito di uno stimolo quale la
restrizione energetica; questo ci permetterà di capire cosa succede quando
andremo ad applicare le modifiche dietetiche per raggiungere l’agognato
dimagrimento.

Utilizzo energetico dei carboidrati di deposito


Nell’organismo i carboidrati sono immagazzinati sotto forma di un polimero
(una catena molto lunga) di glucosio con diverse ramificazioni, il glicogeno. I
tessuti che immagazzinano glicogeno sono il tessuto epatico (capace di
immagazzinare 120-150 g di glucosio) e il tessuto muscolare (capacità di
220-250 g). Fegato e muscoli sono dunque le riserve organiche di zuccheri,
che vengono utilizzate nei momenti in cui c’è bisogno, con meccanismi un
po’ differenti per i due tessuti.
Il fegato immagazzina glucosio con un meccanismo non insulino-dipendente
(non è richiesta l’azione dell’insulina ma solo elevata concentrazione di
glucosio), grazie al trasportatore del glucosio presente sulla membrana degli
epatociti, GLUT-2. Questo recettore ha bassa affinità, permettendo il
passaggio di altri zuccheri come il galattosio e il fruttosio, ma alta capacità, in
modo da rimuovere il prima possibile elevati carichi glicemici dal torrente
ematico; è inoltre bi-direzionale, e questo serve per garantire al fegato di
riversare in circolo glucosio quando la glicemia si abbassa. Questi discorsi
saranno ampliati in seguito, nel parlare del ciclo nutrizione-digiuno.
Quello che ci interessa ora è che, benché l’insulina non sia responsabile del
suo ingresso nell’epatocita, il glucosio viene fosforilato (viene aggiunto un
atomo di fosforo) proprio grazie alla cascata di segnalazione che il legame
insulina-recettore determina. La formazione di glucosio-6-fosfato (G6P) a
partire da glucosio fa sì che quest’ultimo si trovi a concentrazioni
intracellulari più basse (perché si trasforma in altro, il G6P, diverso dal
glucosio stesso) rispetto a quelle all’esterno della cellula, perpetuandone
dunque l’ingresso.
Quando le concentrazioni di glucosio plasmatiche si abbassano, invece, il
glucagone prodotto dal pancreas fa sì che venga attivato l’enzima glucosio-6-
fosfato fosforilasi, che converte il G6P in glucosio; quest’ultimo, sempre
grazie ai GLUT2 e al gradiente di concentrazione (in queste condizioni, più
elevato all’interno che all’esterno) fuoriesce dalla cellula e si riversa in
circolo. Perché parlare della G6P fosforilasi? Per far presente che, dei due
tessuti capaci di immagazzinare glucosio sotto forma di glicogeno, l’unico in
grado di mantenere costante la glicemia plasmatica è il fegato. Questo proprio
grazie all’enzima G6P fosforilasi, non presente nel tessuto muscolare. Il
muscolo, dunque, non è in grado di rilasciare glucosio, una volta
immagazzinato come glicogeno.
Cosa se ne fa il muscolo del glucosio, se non lo rilascia in circolo? Lo utilizza
durante la contrazione, in particolare in sforzi anaerobici lattacidi. Questo
tipo di sforzo porta alla produzione di acido lattico: la sensazione di bruciore
che si sente quando si eseguono sforzi brevi e intensi, è dovuta
all’abbassamento locale del pH determinato dall’accumulo di lattato. I vari
tipi di sforzo muscolare, con i loro sistemi energetici principalmente
utilizzati, saranno descritti in seguito.

Utilizzo energetico delle proteine tissutali


Qualcuno avrà storto il naso leggendo che le proteine sono un altro “deposito
energetico” dell’organismo. Perché non dovrebbero esserlo, visto che de
facto, l’organismo le utilizza quando è in deficit energetico? E non lo fa solo
in situazioni di crisi, lo fa dal momento stesso che viene applicata una
restrizione: l’organismo usa sempre una miscela di glucosio, acidi grassi,
corpi chetonici e aminoacidi, per produrre energia utile alle cellule.
C’è poi una teoria interessante in merito all’aumento della massa muscolare
indotto dall’allenamento contro resistenza o ad alta intensità (pesi, sprint,
etc.). Nel muscolo, durante la contrazione intensa, viene bloccato quasi
totalmente l’afflusso di sangue; il che vuol dire che durante la contrazione
può fare affidamento energetico solo al glicogeno, i trigliceridi e gli
aminoacidi presenti in loco. Non è che in seguito a questo il muscolo
“decide” di aumentare le sue scorte, comprese quelle di proteine, aumentando
di volume? Giusto un’ipotesi…
Le proteine utilizzate in caso di deficit energetico non sono solo quelle
muscolari (checché molto propense ad essere smaltite; visto che il muscolo è
poco conveniente in termini energetici per l’organismo), ma le proteine di
tutti i tessuti. Durante una restrizione, quindi, a restringersi non sono solo i
muscoli ma anche gli organi. Uno dei motivi per cui è corretto garantire un
adeguato apporto proteico quando si sta perdendo peso, più elevato rispetto a
quando non si sta perdendo. Detto questo, focalizziamo la nostra attenzione
sulle proteine dell’agognato muscolo.
Le proteine che costituiscono il tessuto muscolare ammontano a circa il 22%
del peso del muscolo stesso. Questo significa che, in un individuo di 75 kg, il
peso delle proteine muscolari è pari a circa 6.5 kg. Con 4 calorie
potenzialmente sprigionate per ogni grammo di proteine utilizzate a scopo
energetico, questo indica una riserva potenziale di energia, dalle sole
proteine, di circa 26,000 kcal.
Si potrebbe pensare che con le sole proteine muscolari, se non fossero
intaccati i grassi corporei, l’organismo sarebbe in grado di sopravvivere non
più di una decina di giorni; in realtà, ciò che accade durante una restrizione
energetica è ben più complesso: come detto viene utilizzata una miscela di
grassi, proteine e carboidrati; inoltre sopravvengono meccanismi di
adattamento - discussi in seguito - che fanno sì che i rapporti tra i substrati
energetici utilizzati varino notevolmente nel corso di una restrizione
energetica.

Utilizzo energetico del grasso di deposito


Il grasso corporeo sarà discusso in un capitolo dedicato, questo in quanto non
solo è il tessuto che si vuole andare realmente a colpire quando si parla di
dimagrimento, ma è un tessuto da considerare più come organo che produce
fattori ampiamente responsabili degli adattamenti alla dieta, senza
considerare poi che è il “mezzo” tramite il quale misuriamo i cambiamenti
della composizione corporea. In questo capitolo affrontiamo il discorso dal
punto di vista “energetico”: cioè come vengono utilizzati i grassi
immagazzinati nel tessuto adiposo in momenti di deficit energetico.
Dal punto di vista di deposito energetico, il tessuto adiposo è propriamente,
in Istologia, un tessuto connettivo. Con le scoperte dei vari ormoni, fattori ed
adipocitochine (adipochine) da esso prodotte, in grado di modificare
meccanismi di una marea di altri organi ed apparati all’interno del corpo
umano, si sta perdendo l’uso del termine “tessuto” riferito al grasso corporeo
per abbracciare la tendenza a considerarlo, come detto, un vero e proprio
organo. Infatti (come vedremo nel capitolo dedicato) il tessuto adiposo non è
un semplice contenitore di energia, bensì un tessuto capace di regolare
innumerevoli funzioni organiche.
Come anticipato, ci soffermiamo ora invece sulla sua mera funzione passiva:
fare sì che i trigliceridi assunti tramite la dieta vengano depositati, per essere
utilizzati per produrre energia in momenti di aumentata richiesta o diminuito
introito. Un trigliceride altro non è che un grande composto costituito da una
molecola di glicerolo (chimicamente definito un alcol) legata a tre molecole
di acidi grassi. Nel gergo comune non si fanno queste distinzioni: si parla di
grassi e non di trigliceridi o acidi grassi. Questi ultimi sono quelli che ci
fanno parlare di grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi; la realtà è che ci si
sta riferendo agli acidi grassi.
Il tessuto adiposo di tipo bianco conserva, sotto forma di grosse gocciole
lipidiche (quasi tutta la cellula è occupata dalla gocciola lipidica, nucleo e
organuli sono confinati alla periferia), i trigliceridi assunti con la dieta. A
quanto ammontano questi trigliceridi? Prendendo l’esempio di sopra, relativo
ad un uomo di 75 kg, con una percentuale di grasso nella media, del 15%, e
considerando che il tessuto adiposo è quasi per il 90% costituito da
trigliceridi, si ottiene un peso totale di soli questi ultimi di circa 10 kg. Con 9
kcal potenziali per grammo fornite dall’ossidazione completa dei grassi e
considerando l’idratazione di quel tessuto e altro materiale organico, questo
deposito garantisce potenzialmente 80,000 kcal.
Ipoteticamente, se le kcal durante un digiuno provenissero prevalentemente
dai grassi (cosa non tanto lontana dalla verità, sul lungo periodo ed in certe
condizioni, come vedremo in seguito) e il dispendio energetico si mantenesse
costante, un individuo nella media riuscirebbe a sopravvivere senza mangiare
per circa un mese. Il numero potrebbe non sorprendere, ma considerate che
l’esempio è quello di un individuo non troppo pesante, non grasso. Se il
nostro uomo fosse stato un grande obeso di 150 kg con una percentuale di
grasso di oltre il 50%, le kcal potenziali depositate sarebbero salite ad oltre
600,000 ed il tempo ipoteticamente possibile senza introdurre nutrienti a oltre
6 mesi.
Digressione sugli acidi grassi e risvolti sul grasso corporeo
Un acido grasso è costituito da una lunga catena di atomi di carbonio legati
sia tra di loro che con atomi di idrogeno. Considerando che ogni atomo di
carbonio fa sempre e solo quattro legami, in un acido grasso saturo ogni
atomo di carbonio non terminale della catena si lega con un legame singolo
all’atomo di carbonio successivo e, con due legami singoli, a due atomi di
idrogeno laterali.
In un acido grasso monoinsaturo è presente, da qualche parte nella catena,
un doppio legame tra due atomi di carbonio e di conseguenza, per gli stessi
atomi, un solo legame singolo con un idrogeno. Il fatto che i due atomi di
idrogeno si trovino sullo stesso lato della catena (conformazione cis) fa si che
l’acido grasso pieghi verso il lato con meno idrogeni e non risulti lineare:
questo determina una minore possibilità di interazione con altri acidi grassi,
per cui i trigliceridi che risulteranno saranno meno duri, rispetto al caso degli
acidi grassi saturi, e liquidi a temperatura ambiente. Il cambiamento
conformazionale dalla forma cis alla forma trans, operato industrialmente, o
il processo di idrogenazione, che aggiunge l’idrogeno mancante, fa si che la
catena diventi lineare e si ottengano, da acidi grassi non saturi, grassi duri,
solidi a temperatura ambiente: le margarine.
Un acido grasso polinsaturo non è che un acido grasso con due o più
insaturazioni. In tal caso la catena presenta diverse curvature tanto che i
grassi risultanti sono molto più fluidi di quelli composti da una prevalenza di
acidi grassi monoinsaturi (basti pensare alla differenza di fluidità e viscosità
tra l’olio d’oliva e un olio di semi). La posizione del doppio legame,
contando a partire dal terminale carbossilico, permette di denominare l’acido
grasso in omega-3, omega-6, o omega-9: il doppio legame si trova,
rispettivamente, in posizione 3, 6 e 9.
La composizione del grasso corporeo riflette la proporzione degli acidi grassi
assunti con la dieta: più acidi grassi insaturi vengono assunti, più alta sarà la
percentuale di acidi grassi insaturi presenti nel tessuto adiposo e viceversa.
L’aspetto del tessuto adiposo andrà di pari passo con la sua composizione:
accumuli molto saturi risulteranno più duri e più difficili da intaccare (e
mobilizzare), accumuli molto insaturi saranno più morbidi (più in grado di
seguire le linee del corpo, donando quindi un aspetto migliore) e più facili da
eliminare. Anche l’aspetto esteriore risentirà di questo: una maggiore
“durezza” per accumuli adiposo derivanti da un’alimentazione ricca di acidi
grassi saturi, maggiore “morbidezza” per accumuli adiposi derivanti da
un’alimentazione ricca di acidi grassi insaturi. Occorre però specificare che
anche nel caso di sovralimentazione iperglucidica l’organismo accumula
trigliceridi a maggior percentuale di acidi grassi saturi risultando, nel tempo,
in accumuli più difficili da intaccare.
Il cambiamento della struttura del tessuto adiposo non avviene, comunque, in
tempi brevi a seguito di un netto cambiamento della composizione di acidi
grassi nella dieta: ci vogliono 6-9 mesi. Detto questo, è importante
comprendere che questo aspetto teorico ha un risvolto pratico a livello di
dieta che torna molto utile: in chi ha necessità di aumentare di peso, sarebbe
bene che non vengano aumentati troppo i grassi dietetici con elevato
contenuto di acidi grassi saturi; questo per fare in modo che non si formino
accumuli difficili da intaccare in fase di perdita di peso.
L’organo adiposo e il linguaggio delle
cellule
Il tessuto adiposo non dovrebbe più essere definito tale ma, come già detto,
dovrebbe ricevere l’appellativo di organo adiposo. Tramite esso le cellule
comunicano e ogni cellula del corpo può conoscere la situazione energetica
dell’intero organismo, tramite fattori appositamente prodotti. Perché è
importante parlare di questo? Perché noi vogliamo agire proprio alterando
quei segnali: cosa succederebbe se alcune cellule sapessero che ci si trova in
sovralimentazione mentre altre che ci si trova in deficit energetico? Vi
abbiamo messo la pulce nell’orecchio, così che dobbiate continuare a leggere
per trovare risposta.

Il deposito adiposo e i tipi di grasso


corporeo
Nonostante possa sembrare la causa di tutti i mali, in realtà è l’eccesso di
grasso e non la sua presenza ad aver dato vita a tutta la Scienza che c’è dietro
la risoluzione di problemi quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari e
tutta quella serie di condizioni cliniche o sub-cliniche peso-dipendenti. In
effetti il grasso corporeo, come accennato nel capitolo precedente, svolge
innumerevoli funzioni senza le quali il nostro corpo non funzionerebbe
correttamente o, meglio, non funzionerebbe affatto. Che lo si voglia o no,
bisogna ricordare che tutti i meccanismi che il corpo mette in atto in risposta
a qualsivoglia stimolo, hanno un motivo ben preciso: garantire la sua
sopravvivenza e garantirla il più a lungo possibile. Nonostante ci siamo
evoluti e abbiamo fatto progressi immensi in campo tecnologico, scientifico,
sociale e tanto altro, il nostro primum movens in tutto rimane l’istinto al
mantenimento di noi stessi in primis e della specie in secundis.
Perché dunque il grasso è stato messo lì dove è? Perché non è bastato
utilizzare i carboidrati per avere una fonte di energia “di sicurezza”? Dai
numeri indicati nel capitolo precedente, il glicogeno organico può ammontare
a un massimo di 400 g totali, pari a un potenziale di 1600 kcal, esauribili in
meno di 24h. Si consideri poi che il glicogeno muscolare che viene
immagazzinato lega a sé molte molecole d’acqua, al punto che ogni grammo
di glicogeno fa sì che il corpo trattenga 2.7 grammi di acqua. Per avere una
scorta energetica per il sostentamento di qualche giorno il corpo dovrebbe
accumulare circa 5 kg di acqua, inerte dal punto di vista energetico nonché
ingombrante e pesante per lo svolgimento delle normali attività. Facciamo
notare che bastano ipoteticamente circa 500 g di grasso corporeo per coprire
il fabbisogno energetico di un giorno intero: è chiaro che il tessuto adiposo, a
uso deposito, è molto più conveniente di qualsiasi altro deposito.
Perché non immagazzinare proteine (a parte quanto teoricamente ipotizzato
in precedenza)? Le proteine non vengono immagazzinate perché i processi
che portano alla loro sintesi sono molto costosi in termini energetici, rispetto
alla sintesi di trigliceridi. Ma non solo: anche il loro mantenimento è costoso,
perché esse sono costantemente rinnovate e rimpiazzate all’interno
dell’organismo. Infine, il costo dell’ossidazione proteica non si riflette solo in
una diminuzione del rendimento in termini di energia prodotta, ma anche
nella produzione di sostanze che, se non adeguatamente smaltite, intossicano
l’organismo.
Quanto appena letto vi dona due consigli pratici e immediatamente
applicabili:
1. Il primo relativo all’accumulo di acqua grazie ai carboidrati:
capite bene che per idratarsi o “superidratarsi” (utile ad esempio
per uno sportivo prima di una gara) potete caricare di carboidrati
dopo un breve periodo di deplezione.

2. Il secondo relativo agli introiti proteici in una restrizione


energetica: non si può aver paura delle proteine dietetiche per
non “affaticare i reni”; se il corpo sta disgregando tessuto
proteico, il carico di lavoro è lo stesso ma l’impatto sul
dimagrimento e la salute a lungo termine molto peggiore (si sta
sacrificando massa proteica solo per una infondata paura).

Tipi di grassi corporeo e loro funzioni


Nel corpo umano possono essere distinti quattro differenti tipi di grasso
corporeo, a seconda di come gli adipociti in esso contenuti rispondono ad
alcuni ormoni, producono sostanze e depositano trigliceridi. La
classificazione dei diversi tipi di tessuto adiposo è elencata di seguito.
Grasso corporeo essenziale
Questo tipo di grasso corporeo è stato accennato parlando di come è
composto il corpo umano. Il termine essenziale si riferisce al fatto che la sua
eventuale assenza non sarebbe compatibile con la vita. Questo tipo di grasso
si trova attorno ad alcuni organi, dove svolge funzione di sostegno e
protezione meccanici, nel sistema nervoso (avvolge i nervi cosiddetti
mielinizzati) e nell’encefalo.
Nell’uomo adulto il grasso corporeo essenziale ammonta a circa il 3% del
peso totale, nella donna al 9-12%: questo vuol dire che un uomo al 12% di
grasso corporeo è grosso modo equivalente (su una scala di “esteticità”) ad
una donna al 21-23%. Tutto questo significa anche che non si può scendere
sotto il 3% di grasso corporeo per l’uomo o il 9-12% per la donna. Per inciso,
per quanto riguarda gli uomini le percentuali di grasso corporeo normali si
attestano intorno al 15%, al 12% il fisico comincia ad apparire atletico, al
10% si vedono tutte le linee e sotto il 10%, via via che si scende, cominciano
ad essere sempre più evidenti le striature muscolari.
Grasso corporeo bruno
Questo tipo si differenzia dal resto del tessuto adiposo di cui è generalmente
costituito il grasso corporeo in un essere umano adulto, il tessuto adiposo
bianco. Gli appellativi bianco e bruno non sono scelti a caso, ma riflettono
l’aspetto che i due tessuti hanno al microscopio: poiché gli adipociti del
grasso adiposo bianco contengono per la maggior parte una grossa gocciola
lipidica e pochi organuli in una corona cellulare, il loro colore al microscopio
è chiaro; gli adipociti del tessuto adiposo bruno, invece, non hanno una
grossa gocciola lipidica ma tante piccole goccioline, e il materiale cellulare
(nucleo, mitocondri, enzimi) non è confinato sul perimetro cellulare, per cui
queste cellule appaiono scure al microscopio.
L’aspetto strutturale riflette le caratteristiche funzionali: il grasso corporeo
bruno, ricco di mitocondri, è in grado di ossidare efficacemente i trigliceridi
per utilizzarli non per la produzione di ATP ma per la produzione di calore.
State pensando bene: il grasso corporeo bruno spreca energia gratis, il che è
molto interessante dal punto di vista del dimagrimento. Purtroppo, il grasso
corporeo bruno è presente nei primi mesi di vita e ha la funzione di
proteggere dal freddo, poiché il sistema nervoso dei neonati non è ancora in
grado di produrre il riflesso del brivido (che tramite una contrazione
afinalistica ai sensi della locomozione, produce calore). Nella vita adulta
questo tipo di tessuto viene perso ed è presente solo in piccolissime
percentuali in alcune zone del corpo, come le ascelle e la parte bassa della
schiena (la temperatura del corpo in quelle zone è generalmente più elevata).
Evidenze più o meno recenti hanno fatto osservare la possibile conversione
del tessuto adiposo bianco in bruno (nominata browning) per opera di una
sostanza prodotta dai muscoli durante l’attività (l’irisina): un altro buon
motivo per fare esercizio fisico.
Anche l’esposizione al freddo e ad alcune sostanze (nervine o polifenoli) è
però in grado di reclutare il poco grasso bruno presente facendo sprecare
energia sotto forma di calore; se pensate che questo non serva a niente, state
sbagliando. Può bastare poco per vedere perdite di grasso di 0.5-1 Kg in 2-4
settimane, come hanno provato alcune ricerche. “Poco” significa: esporsi al
freddo (stare a maniche corte a una temperatura di 10-15° C) per 1-2 ore al
giorno per 2-4 settimane; oppure, in maniera meno sadica, bere acqua sempre
e solo di frigo (4° C) e - in aggiunta, come suggerimento - in quantità di 400-
500 ml in pochi minuti. Questo favorisce la produzione di noradrenalina con
un riflesso vagale, attivazione del SNS e maggiore dispersione di calore.
Grasso corporeo viscerale
Il grasso viscerale è quel tessuto adiposo che si trova nella cavità addominale,
responsabile del “pancione” di alcune persone che magari hanno poco grasso
sotto la pelle ma molto attorno agli organi interni. A questo grasso sono
imputati la maggior parte dei problemi di salute, a differenza di quello
sottocutaneo a cui vengono imputati quelli estetici. L’importanza a livello
medico di questo tipo di grasso è che esso è il principale responsabile di tutta
quella serie di condizioni correlate ad un peso e ad una circonferenza della
vita troppo elevati (insulino-resistenza, ipertensione, dislipidemia),
considerati nell’insieme come sindrome metabolica.
La differenza tra il grasso viscerale e quello sottocutaneo è soprattutto a
livello metabolico, presentando il primo una maggior facilità ad essere
mobilizzato, maggiore flusso sanguigno circolante e minore responsività agli
effetti dell’insulina: questi fattori fanno sì che, in condizioni di restrizione
energetica, questo tipo di grasso sia il primo ad essere “smantellato”
dall’organismo. Questo spiega in parte il motivo per cui nelle prime fasi di
una restrizione calorica sembra che la situazione estetica non si decida a
migliorare; in realtà (a parte l’“effetto whooshing”, che descriveremo
successivamente) l’organismo sta utilizzando i grassi provenienti dal tessuto
adiposo viscerale.
Grasso corporeo sottocutaneo
Il grasso corporeo sottocutaneo è il vero motivo per cui siete qui. Stare in
forma e in salute non è poi così difficile, tenendo a bada il tessuto adiposo
viscerale. Una dieta sana, un po’ di movimento, e ci siamo. Ma la maggior
parte delle persone che si rivolge a Professionisti del Fitness e della Dieta,
vuole più di questo, vuole ridurre il grasso corporeo sottocutaneo, quello che
fa sentire stretti nei vestiti e dà fastidio al tatto e alla vista, procurando
inestetismi.
Il tessuto adiposo sottocutaneo, come facilmente intuibile dal nome, è quella
parte di grasso corporeo che si trova sotto la pelle, precisamente tra il
muscolo scheletrico e ed il derma (quest’ultimo si trova sotto l’epidermide, la
pelle propriamente visibile). Si divide ulteriormente in profondo e
superficiale e questo ha delle implicazioni sia metaboliche che pratiche. Il
primo tessuto produce la maggior parte dei fattori “pro ingrassamento”
(citochine e fattori infiammatori o che inducono problemi a livello
metabolico); il secondo invece è prettamente di riserva.
Le differenze a livello pratico sono “di tatto”: il tessuto profondo è più duro,
quello superficiale più morbido; quando pizzicate il grasso corporeo - specie
nei punti critici - e notate una sorta di grumi sottopelle, state toccando grasso
corporeo profondo; se invece tirate un tessuto ben omogeneo, state toccando
tessuto adiposo superficiale. La distribuzione tra tessuto sottocutaneo
superficiale e profondo cambia sia tra individui diversi sia nello stesso
individuo in base al suo stile di vita, la dieta, l’allenamento. Più si è
infiammati (quindi sotto stress cronico, con scarso recupero, magari scarso
sonno) più il grasso depositato sarà di tipo profondo.
Concentriamoci ora sul tessuto adiposo sottocutaneo nel suo complesso. Il
fatto che sia sottocute fa sì che si possa stimare la percentuale di grasso
corporeo tramite il plicometro. E il consiglio quando si tratta di migliorare la
composizione corporea oltre il semplice benessere, è di usare esclusivamente
due strumenti per misurare la composizione corporea e i suoi cambiamenti:
● il plicometro
● una fotocamera
Bioimpedenziometria, Bod Pod, e altre misurazioni sono fuorvianti in quanto
non riescono a rilevare dettagli che con occhio e tatto potete rilevare meglio.
Ricordate che volete un miglioramento fisico, vostro o di chi state seguendo,
rispetto a se stessi e non vi interessa come il risultato finale in assoluto sia
inserito all’interno di un più ampio campione di popolazione. Quindi,
prendere banalmente una fotocamera e nel corso del tempo sovrapporre le
fotografie, vi dà un ottimo dato sui progressi sia in termini di quantità totale
di tessuto adiposo sottocutaneo sia in termini di sua distribuzione.
Nella stragrande maggioranza dei casi, le frustrazioni che nascono riguardo
l’eccessiva presenza di grasso sottocutaneo, sono relative alla sua
distribuzione. “Ho i fianchi troppo grossi”, “Ho la pancetta”, “Ho le gambe
grosse”, “Ho il sederone” sono tipiche espressioni di persone che non
apprezzano alcune parti del loro corpo. La distribuzione del grasso corporeo
non è omogenea tra le persone, né nella stessa persona al variare di alcuni
fattori. La differenza più importante nella distribuzione del grasso corporeo è
evidente tra i due sessi: gli uomini generalmente accumulano nella zona
periombelicale e dei lombi (costituendo la tipica “ciambella”) mentre le
donne accumulano prevalentemente su cosce e glutei. Questa differente
distribuzione dona in genere un aspetto a mela per gli uomini ed a pera per le
donne; più scientificamente, si dice che gli uomini hanno una conformazione
fisica generalmente androide e le donne ginoide. I motivi per cui il grasso
sottocutaneo si distribuisce in questo modo saranno chiari in seguito.

Endocrinologia dell’organo adiposo


Oltre alla mera funzione di deposito, come già accennato il tessuto adiposo
svolge la funzione di organo metabolicamente attivo, producente una marea
di ormoni ed adipochine, alcuni dei quali ci fanno capire come funziona la
regolazione di complessi meccanismi all’interno del nostro organismo. Solo
per citarne alcuni, l’angiotensina II, importante per la regolazione della
pressione arteriosa (i farmaci cosiddetti ACE-inibitori inibiscono la
produzione dell’angiotensina II, che è un vasocostrittore), il fattore di necrosi
tumorale-alfa (TNF-alfa), importante per regolare la risposta immunitaria ed
infiammatoria e la morte cellulare, l’IGF-1, un ormone anabolico, alcune
interleuchine come l’IL-6, importante, tra l’altro, per la risposta immunitaria
ed infiammatoria, diverse prostaglandine, l’ossido nitrico, la proteina di
stimolazione dell’acetilazione (che incontreremo in seguito) e tanti altri.
Nel magma di sostanze prodotte dagli adipociti, rilevanza particolare, per gli
scopi e gli ambiti di questo manuale, assume l’ormone/citochina leptina, che
merita una trattazione tutta sua. Sia chiaro: non si può parlare di
dimagrimento e ricomposizione corporea citando un solo fattore coinvolto;
ma possiamo dire che la leptina sia l’elemento chiave non tanto per il
funzionamento quanto per la comprensione di come il grasso corporeo faccia
in modo che ogni cellula del corpo sappia momento per momento cosa
succede a livello energetico in tutto l’organismo. In buona sostanza, le leptina
e i suoi segnali sono il linguaggio delle cellule (per lo meno sul piano relativo
all’energia metabolica).

Il linguaggio delle cellule: regolazione ed effetti


della leptina
La leptina è un ormone peptidico (costituito da aminoacidi) e quindi una
proteina, prodotto in larga misura dal tessuto adiposo, che controlla una
miriade di funzioni organiche, avendo recettori sparsi qua e là in tutto
l’organismo. In questo capitolo sono presentati gli effetti della leptina, intesi
solo come “risultato finale” di una serie di complessi meccanismi che
agiscono in maniera diretta o indiretta per far sì che quegli effetti si possano
esplicare. Alla fine del paragrafo è presente un approfondimento, che ai fini
della lettura può essere saltato a piè pari da chi non è interessato ad entrare
nel dettaglio: l’importante è ricordarsi che dietro le quinte c’è qualcosa di ben
più ampio di quanto discusso nel presente capitolo.
Con questa premessa, vediamo cosa fa la leptina all’interno del corpo, per lo
meno per quanto riguarda il dimagrimento. L’azione della leptina influenza
praticamente ogni tessuto corporeo, il suo metabolismo e le sue funzioni,
agendo sia in loco che su meccanismi centrali (riferiti cioè al Sistema
Nervoso Centrale - SNC). La leptina è infatti il principale ormone che
segnala la disponibilità di nutrimento, sia in termini di introito che di deposito
energetici. In maniera semplice: quanto più è elevata la percentuale di grasso
corporeo e quanto più è grande il surplus alimentare (o, meglio, come
vedremo a breve, glucidico) indotto dalla dieta, tanto più sono alti i livelli di
leptina circolante.
Dei due fattori, il più determinante in acuto sui livelli leptinici è quello
alimentare: la leptina infatti si riduce di circa il 50% nelle prime settimane di
restrizione energetica, nonostante non si sia verificata una diminuzione del
50% del grasso corporeo (del tutto irrealistica). Con qualche giorno di
sovralimentazione i livelli di leptina tornano alla normalità o quasi anche se
in quei pochi giorni il grasso corporeo non aumenta del 50%. Un meccanismo
all’interno degli adipociti funziona da “sensore” per il metabolismo glucidico
adipocitario, indicando se il corpo sta rilasciando o depositando energia ed
influenzando di conseguenza la produzione di leptina. Successivamente
capiremo come in cronico le cose cambiano e sovralimentarsi per qualche ora
arrivando da una situazione di forte deficit alimentare comunque non porti ai
risultati che ci si attenderebbe.
La leptina prodotta dagli adipociti, agendo a livello del sistema nervoso
centrale (in particolare nell’ipotalamo) e di altri organi, fa sì che tutto
funzioni nella norma quando l’omeostasi è mantenuta. Per capire meglio
questo discorso, vediamo cosa accade quando la concentrazione di leptina si
abbassa; ovvero: una volta che il sistema nervoso ha ricevuto il segnale che lo
informa che l’energia introdotta e i depositi energetici si stanno riducendo,
cosa succede? Succede che mette in atto una serie di meccanismi finalizzati a
contrastare la perdita di peso e di grasso corporei: aumenta l’appetito,
diminuisce il dispendio energetico, aumenta la degradazione dei tessuti meno
utili dal punto di vista della sopravvivenza (ad esempio i muscoli scheletrici),
fa in modo che le energie siano riservate per gli organi vitali, riducendo gli
sprechi.
Ci preme ora far capire che la spiegazione può essere resa più complessa di
così; si potrebbe ad esempio mettere in mezzo la dopamina, facendo capire
che abbassandosi la leptina si abbassa la produzione di dopamina e la risposta
di particolari cellule ad essa, riflettendosi in un cambiamento del
comportamento alimentare (si va di più alla ricerca di cibo) e dell’attività
motoria (ci si muove meno). Ma adesso ci interessa cosa succede
macroscopicamente, anche se alcuni dettagli potrebbero essere interessanti
perché ci danno dei risvolti pratici utili. Non vi preoccupate, siamo qui
proprio per darvi tutto ciò che serve in termini applicativi senza trascurare
nulla in tal senso.
Se quello appena descritto è il quadro relativo a un abbassamento di leptina,
quello relativo a una sua maggior concentrazione plasmatica sembrerebbe
assolutamente positivo: meno fame, più dispendio, partizionamento dei
nutrienti (ovvero la “direzione” in cui i nutrienti andranno a servire funzioni
metaboliche) verso il tessuto muscolare piuttosto che adiposo, energia
sprecata come calore e possibilità di rimanere magri e asciutti mangiando
quanto si vuole. Iniezioni di leptina per tutti? Contenete la vostra emozione,
la realtà è un po’ diversa. A parte il costo esorbitante di dosi teoricamente
efficaci di leptina (poco meno di mezzo migliaio di euro al giorno),
l’impossibilità di assumerla oralmente (è un peptide, verrebbe digerito; può
solo essere iniettato) e di reperirla (è usata attualmente solo per scopi di
ricerca), bisogna considerare due importantissimi fattori:
1. Il sistema nervoso risponde in maniera molto più significativa a
un abbassamento piuttosto che a un innalzamento della leptina;
questo ha molto senso dal punto di vista evoluzionistico: dal
momento che l’essere umano è programmato per affrontare
periodi di carestia, è immediato capire che in scarsità energetica
cerca di conservare quanto più possibile, in abbondanza
energetica cerca di depositare quanto più possibile.

2. La leptino-resistenza: la leptina, è trasportata attraverso la


barriera emato-encefalica (la barriera che separa il sistema
nervoso dal circolo sanguigno) tramite dei trasportatori che sono
saturabili. Questo vuol dire che fino a certe concentrazioni di
leptina, più ce n’è, più ne passa; oltre quel punto, la quantità di
leptina che passa nel sistema nervoso rimane costante anche se
la concentrazione plasmatica si eleva di molto.

A livello pratico questo si riflette in quello che potete osservare facendo dei
carichi di carboidrati: durante una restrizione energetica e/o glucidica, un
carico di carboidrati ripristina i livelli di leptina e quindi fa vedere un
cambiamento positivo; durante periodi di sovralimentazione, se si fanno delle
giornate di sovralimentazione ancora maggiore, nulla di rilevante si verifica
(se non aumentare il rischio di ingrassare più velocemente). Il punto oltre il
quale più leptina prodotta non implica migliore metabolismo generale varia
da individuo ad individuo e ci permette di definire il concetto di set-point: la
condizione organica (e quindi anche il peso corporeo, la percentuale di grasso
e la quantità di massa muscolare) alla quale il nostro corpo tende, tramite
opportune modificazioni del metabolismo, dell’introito e del partizionamento
energetici. Se, ad esempio, il set-point di un individuo è determinato da una
percentuale di grasso del 15%, ogni qual volta questa scenderà, il
metabolismo comincerà a rallentare, la perdita di tessuto muscolare ad
accelerare e la fame a essere incrementata; al contrario, a percentuali
superiori del 15% succederà il contrario (ma in modo meno efficiente, come
descritto poc’anzi).
Le cose sono un po’ più complicate di così ma questo è il caso in cui
aggiungere un dettaglio alla spiegazione si riflette in un’applicazione pratica
a dir poco vantaggiosa. Il set-point è regolato sulla quantità assoluta di grasso
corporeo più che sulla sua percentuale rispetto al totale: questo vuol dire che,
se nel corso del tempo il corpo mantiene i suoi - esempio - 12 Kg di grasso
corporeo totale, non avrà ragione di attivare alcun meccanismo di
adattamento. Probabilmente ci vedete già qualcosa e il concetto sarà ampliato
dopo, ma per ora ragionate su questo: come si può far sì che la composizione
corporea migliori, nel corso del tempo, se il grasso corporeo in assoluto non
varia o varia di molto poco? Aumentando il peso del tessuto magro. Come
ovvio, anche a questo l’organismo si oppone (non si può aumentare la massa
muscolare all’infinito), ma mirare non tanto alla perdita di peso/grasso (in
termini assoluti), quanto all’aumento della massa muscolare, è più
vantaggioso in termini di adattamenti alla dieta leptina-indotti o, meglio,
neurobiologia-indotti.
Chiarito che livelli sovrafisiologici di leptina non determinano perdita di peso
e/o dimagrimento, l’unico fenomeno che possiamo contrastare per combattere
contro il nostro corpo è cercare di ridurre l’abbassamento della leptina dovuto
alla dieta. Di nuovo: leptina per tutti? In questo contesto potrebbe funzionare
(facendone rialzare la concentrazione, abbassata dalla dieta, a livelli normali
o vicini ad essi), ma come detto la leptina non è poco pratica, troppo costosa
e difficilmente reperibile. Bassi livelli di leptina costringono a combattere
contro un metabolismo rallentato, la perdita di tessuto muscolare e un
pessimo partizionamento (il corpo sarà più abile e propenso a depositare
energia e nutrienti nel tessuto adiposo piuttosto che nel tessuto muscolare) -
nel paragrafo di approfondimento i meccanismi che portano a questi
fenomeni sono spiegati più nel dettaglio; ripetiamo: per gli scopi di questo
manuale basta sapere quanto appena letto -.
Come accennato sopra, è vero che la leptina segnala quanto grasso è presente
nell’organismo, ma è anche vero che risponde ai cambiamenti dell’introito
energetico e in particolare glucidico: la leptina è, in un certo senso, un
sensore per i cambiamenti del metabolismo del glucosio nel tessuto adiposo.
Ogni qual volta la disponibilità di glucosio per il tessuto adiposo diminuisce,
si verifica un abbassamento della leptina; quando il glucosio torna a valori
normali (o superiori) i livelli di leptina vengono ripristinati a valori normali
(o superiori), permettendo a metabolismo energetico e partizionamento di
funzionare correttamente (ma non oltre il normale). Se la domanda che avete
in testa è “Dunque, come fare?”, anticipiamo che bastano poche ore di
alimentazione iperglucidica per far sì che la leptina si normalizzi a seguito di
una prolungata restrizione energetica, a meno che…
Il problema è che ci sono diversi tipi di recettori per la leptina, un tipo
risponde a cambiamenti in acuto, un tipo a cambiamenti in cronico. In
particolare, quelli in acuto rispondono alla sovralimentazione, quelli in
cronico rispondono alle scorte energetiche. Anche questo ha perfettamente
senso dal punto di vista evoluzionistico: se i livelli di grasso corporeo
scendono vertiginosamente, attivando i recettori long, anche se si fa una
giornata di abbuffata di dolci e carboidrati, attivando i recettori short, serve a
poco. Immaginate i recettori long come quelli che forniscono uno stimolo
finale (sulla cellula), mentre gli short sono una sorta di “co-attivatori”, o
meglio degli attivatori dei recettori long. Per usare una metafora: in una
pistola, i recettori short rappresentano il cane della pistola (cioè la piccola
levetta che dopo aver premuto il grilletto, spinge il percussore per fare
esplodere la munizione), quelli long rappresentano il caricatore con le
munizioni. Cosa succede se non c’è il caricatore e premete il grilletto? Nulla;
non potete uccidere nessuno. E se ci fossero poche munizioni, potreste
premerlo 1-2 volte e sparare, ma poi non sparerete ancora.
Lo stesso però dicasi quando i recettori long sono costantemente attivati
(tenendo da parte da questo discorso la resistenza leptinica) anche se gli short
non vengono attivati. Cosa succede se gettate una pistola con caricatore
pieno, con la sicura attivata sia sul grilleto che sul cane (cioè il grilletto è
bloccato, e pure il cane: l’innesco non viene battuto dal percussore), nel
fuoco? Che, anche se non presente uno stimolo short, rischiate di uccidere
qualcuno perché il calore fa esplodere le munizioni.
Tutto questo si riflette, nella pratica, in questo:
● Potete mettere un soggetto obeso o fortemente sovrappeso in diete
molto restrittive (< 1000 Kcal/die) per abbastanza tempo (2-4 mesi)
senza che si notino rallentamenti a livello metabolico né stalli della
perdita di peso; la sua pistola ha il caricatore pieno e voi la state
gettando nel fuoco: pur con le sicure attivate (cioè nessun ingresso
massivo di carboidrati), sparerà.
● A un soggetto molto magro con bassi livelli di grasso corporeo
dovreste assegnare ricariche di carboidrati (come vedremo in
seguito) frequentemente per continuare a perdere grasso corporeo
(anche ogni 2-3 giorni); la sua pistola non ha le sicure, grilleto e
cane sono ben oleati, ma il caricatore contiene poche o zero
munizioni: anche se premete il grilletto 1-2 volte (ricariche massive
di carboidrati), non potrete sparare ancora e dovrete ricaricare (altre
ricariche).

Approfondimento. Leptina, controllo


alimentare, fame e sazietà
Vediamo brevemente in che modo la leptina esplica i
suoi effetti. La premessa da fare è che la leptina non è
l’unico fattore con azioni importanti dal punto di vista del
controllo alimentare: all’interno del nostro organismo, le
sostanze che agiscono per controllare fame e sazietà,
metabolismo energetico, dispendio calorico e tutto ciò
che è collegato all’alimentazione (compreso il
comportamento alimentare), sono innumerevoli. Per non
perderci pericolosamente, ne presentiamo solo un’altra, la
grelina, peptide prodotto da cellule specializzate del
sistema gastro-enterico, i cui livelli plasmatici si elevano
in concomitanza (prima) di un pasto. I livelli di leptina e
di grelina sono inversamente proporzionali: la leptina
induce un’inibizione della produzione di grelina, mentre
quest’ultima inibisce la produzione leptinica (l’azione
della grelina sulla produzione leptinica è molto più forte
di quella della leptina sulla produzione grelinica). A
questa interazione è stato dato il nome di tango argentino
leptina-grelina.
Per quanto concerne il comportamento alimentare, i
Neuroscienziati hanno formulato la dual center
hypothesis (ipotesi dei due centri), che vede coinvolti,
nella regolazione dell’alimentazione, il centro della fame
e il centro della sazietà. Il primo è anatomicamente
localizzato nei nuclei paraventricolare e laterale
dell’ipotalamo (accennato prima), il secondo nel nucleo
ventro-mediale. Come si può intuitivamente cogliere dai
nomi, il centro della fame attiva tutti quei meccanismi
che portano come risultato finale a una maggiore ricerca
di cibo; esso è costantemente attivato e viene inibito
dall’attivazione del centro della sazietà.
Un’altra zona dell’ipotalamo, il nucleo arcuato, funziona
da controllore per i due centri; in esso possiamo
distinguere (per i nostri scopi) due tipi di neuroni, in base
alle sostanze da essi prodotte:
● neuroni producenti neuropeptide Y (NPY) e
proteina agouti-correlata (AgRP), che attivano il
centro della fame (i.e. aumentano l’appetito);
● neuroni producenti i derivati della
proopiomelanocortina (POMC), ovvero l’ormone
stimolante i melanociti alfa (alfa-MSH) ed il
trascritto regolato dalla cocaina e dall’amfetamina
(CART), che attivano il centro della sazietà (che a
sua volta inibisce il centro della fame).
Come si collegano leptina e grelina a tutto questo? La
leptina stimola i neuroni producenti POMC-derivati ed
inibisce quelli producenti NPY/AgRP; la grelina agisce in
maniera opposta, ma più potente. Da sottolineare il fatto
che il centro della fame è attivato in maniera tonica
(costantemente) mentre quello della sazietà in maniera
fasica (solo in determinati momenti). La conseguenza di
questo è che, a seguito di un calo della leptina, il quadro
risultante è il seguente:
● la grelina plasmatica si eleva;
● i neuroni producenti POMC-derivati sono
poco attivi (sia per mancanza di stimolazione
leptinica che per inibizione grelinica), dunque il
centro della sazietà è inibito;
● i neuroni producenti NPY/AgRP sono attivati
in modo massivo (sia per mancanza di inibizione
leptinica che per attivazione grelinica), dunque il
centro della fame è potentemente attivato.
Come nota finale, i livelli di leptina si correlano con
quelli dell’ormone di rilascio della corticotropina (CRH),
con effetti mediati dall’alfa-MSH. Al di là degli effetti
endocrini (stimolazione dell’ipofisi a produrre ACTH, il
quale induce il surrene a produrre ormoni come il
cortisolo), questo ormone ha effetti anoressizzanti e
regola l’attività del sistema nervoso simpatico, dunque
l’entità di attività che non sono sotto il controllo della
volontà come la termogenesi, il metabolismo energetico
inteso sia in termini di quantità (quanto cibo viene
consumato) che di qualità (che cibi si scelgono: grassi,
carboidrati, etc.). La produzione di CRH leptino-
dipendente cambia a seconda dello stato energetico
dell’organismo: in condizioni di bilancio energetico
negativo, la leptina inibisce la produzione e gli effetti del
CRH; in condizioni di bilancio energetico positivo, la
leptina promuove sia la produzione che gli effetti di
quell’ormone ipotalamico.
Il quadro è ora completo. Se non fosse chiaro, ecco un
piccolo riassunto: leptina e grelina, in una sorta di
“tango”, si influenzano l’una l’altra in modo
inversamente proporzionale. La grelina è responsabile
della stimolazione del centro della fame, inducendo un
aumento del drive verso il cibo; la leptina agisce invece
sul centro della sazietà, che a sua volta inibisce il centro
della fame. Guardando il tutto dal punto di vista della
leptina, e in particolare a ciò che accade durante una
restrizione calorica, da quanto detto estrapoliamo che
bassi livelli di leptina inducono la produzione e/o l’azione
di sostanze oressigene e inibiscono la produzione e/o
l’azione di sostanze anoressigene, con conseguente
aumento dell’appetito, diminuzione del dispendio
energetico e peggioramento del partizionamento (i
macronutrienti vengono preferenzialmente depositati
sotto forma di grasso corporeo).
Come ci si poteva aspettare, c’è molto più di questo e
comprendere il controllo fame/sazietà è molto complesso.
Noi l’abbiamo fatto dal punto di vista della leptina,
perché stiamo parlando approfonditamente di questa
citochina, ma dovete sapere che molto spesso si fa errore
su questi concetti, non distinguendo ad esempio fame da
appetito e sazietà da saziazione.
Quello che vi serve sapere è questo:
● Fame: stato in cui l’organismo si trova a
dover cercare cibo per compensare una carenza
energetica cronica (risposta a lungo termine).

● Appetito: stato di arousal che fa mettere in


moto una serie di comportamenti allo scopo di
introdurre energia e macronutrienti (risposta a
breve termine).

● Sazietà: stato in cui l’organismo è in bilancio


energetico e non c’è bisogno di introdurre altri
alimenti a scopo energetico (risposta a lungo
termine).

● Saziazione: stato in cui l’organismo non ha


più bisogno di introitare nutrienti al fine di
compensare una carenza sia energetica che edonica
(risposta a breve termine).
Questo ha una marea di risvolti pratici, non qui elencati
ma trattati mano mano nel corso del manuale.
Diventare più magri, dimagrire… ?
Se il grasso corporeo è al centro dell’interesse per le Diete e la Salute, una
sua diminuzione (o meglio, il desiderio di volerlo smaltire) è lo scopo a cui
tutti vogliono arrivare. Programmi dietetici, schede di allenamento, libri sulle
diete e chi più ne ha più ne metta non avrebbero senso di esistere se lo scopo
non fosse quello di (cercare di) dimagrire. O, meglio, modificare la
composizione corporea a favore di maggiore massa muscolare e minore
grasso corporeo. E, attenzione a chi è nell’ambito non dello sport e
dell’estetica, ma del benessere, della salute, del wellness o per meglio dire del
Fitness in senso ampio: aumentare la massa muscolare a scapito del grasso
corporeo, che non significa diventare campioni di Bodybuilding, è perentorio
per un corpo in salute. Il muscolo non è un dissipatore di energia come spesso
viene promosso con la tipica espressione “Il muscolo consuma calorie anche
a riposo”. Senza addentrarci in questioni relative al bilancio calorico vs
energetico, sappiate che non è questa l’importanza del tessuto muscolare.
Considerate il tessuto muscolare più come una spugna assorbi nutrienti,
definita dalla porosità: quanto grandi sono i pori, quanti sono in numero, e
quanto sono distanti tra loro. Quello che si cerca per un ottimo metabolismo è
una grande spugna, con tanti pori e funzionali; questi pori sono i mitocondri.
Grazie al miglioramento delle capacità mitocondriali, del loro numero e della
loro funzionalità, migliorerà la “salute metabolica”: controllo della glicemia,
smaltimento dei lipidi circolanti, controllo pressorio. Per fare questo si deve
puntare, come vedremo, sull’allenamento, in modo da stimolare sintesi e
ripristino del tessuto muscolare ma anche il miglioramento delle capacità
mitocondriali delle cellule muscolari. Dieta e allenamento, insieme,
temporizzati in maniera adeguata, serviranno l’una all’altro e viceversa per
ottenere il massimo adattamento. Assodato dunque che lo scopo di chiunque
miri al miglioramento, dalla salute e benessere, all’estetica e performance, è
migliorare la composizione corporea a favore di maggiore massa muscolare,
cerchiamo di capire come questo si correli al dimagrimento. Senza
anticiparvi ancora nulla, facciamo qualche logico ragionamento, dopo i quali
avrete un quadro chiaro e sicuro di cosa si parla quando si dice “dimagrire”.

Perdita di peso e composizione corporea


Checché siano argomenti banali in quanto basilari e quindi si presuppone
siano stati assorbiti da chiunque si avvicini all’ambito Fitness e Dieta, in
realtà c’è molta confusione in merito alle espressioni “perdere peso”,
“dimagrire”, “migliorare la composizione corporea”, “ricomposizione
corporea”. Perciò, sappiate questo: dimagrimento, miglioramento della
composizione corporea e ricomposizione corporea sono sinonimi. Vi
spieghiamo subito il perché. Tutti d’accordo che “perdere peso” significhi
modificare il peso in modo che sia inferiore rispetto all’inizio; che sia
muscolo, grasso, osso, tessuti organici, ghiandolari, o di altra natura, poco
importa: perdere peso significa… perdere peso! La confusione nasce
soprattutto per le altre tre espressioni. Il motivo è che si associa quasi sempre
alla parola dimagrimento l’espressione “perdere peso”, ma così non è.
Dimagrire letteralmente significa “diventare più magri”, il che vuol dire che
non ha importanza il modo in cui si ottiene questo, l’effetto finale è una
modifica della composizione corporea in modo da avere più massa magra e
meno massa grassa. Definizione che coincide con quella di ricomposizione
corporea. Andando più a fondo: si può dimagrire aumentando il peso (e si
può ingrassare diminuendolo!). Per non perdere qualcuno per strada,
dobbiamo introdurre un livello di dettaglio maggiore e definire tutte queste
cose, con alcuni esempi numerici semplici, prenderemo cioè numeri per non
complicarci la vita ma capire tutto chiaramente.

Le vie del dimagrimento sono (quasi)


infinite
Il dimagrimento si può raggiungere in diversi modi; se dimagrire significa
“fare ricomposizione corporea”, ovvero migliorare la composizione corporea
in modo da avere più muscoli e meno grasso, ecco come si può ottenere
questo risultato.

Meno grasso, stesso muscolo


Questa è la più comune a livello di obiettivo da raggiungere: perdere grasso
corporeo (cercando di mantenere il più possibile massa muscolare); quindi in
termini assoluti (cioè di Kg) il tessuto magro resta uguale, diminuisce quello
grasso in termini assoluti (cioè di Kg), quindi diminuisce anche in
percentuale.
Prendiamo l’esempio di una persona di 100 Kg con 20 Kg di grasso corporeo
e 80 Kg di massa magra (e non tessuto muscolare; il tessuto muscolare è
molto meno - v. primo capitolo sulla composizione del corpo umano). Essa
avrà:
● massa magra: 80,0%
● massa grassa: 20,0%
Se siamo bravi e riusciamo a ridurre il grasso di 5 Kg lasciando il tessuto
magro lì dov’è, avremo un peso corporeo di 95 Kg, di cui 15 di grasso
corporeo e 80 di massa magra; le proporzioni dunque saranno:
● massa magra: 84,2%
● massa grassa: 15,8%

Meno muscolo, molto meno grasso


Questa invece è la più comune a livello di obiettivo realmente raggiungibile:
si abbassano in termini assoluti (cioè come Kg) sia il grasso corporeo che la
massa magra. Riprendendo l’esempio del soggetto di 100 Kg, che parte da 20
Kg di grasso corporeo, facciamo sì che perda in totale 15 Kg di cui 10 di
massa grassa e 5 di massa magra. Alla fine dei giochi si troverà con un peso
di 85 Kg, di cui 10 di grasso corporeo e 75 di massa magra, così distribuiti:
● massa magra: 88,2%
● massa grassa: 11,7%

Più muscolo, stesso grasso


Questa via è abbastanza ostica dal punto di vista della comprensione, quando
si ragiona in termini di peso; in tal caso, infatti, si dimagrisce aumentando di
peso. È l’obiettivo che ci si pone con gli ectomorfi o chi deve aumentare il
peso, che si spera che aumentino la massa magra e non il grasso.
Riprendiamo comunque il nostro esempio numerico, partendo sempre da 20
Kg di grasso corporeo e 80 Kg di massa magra.
Facciamo aumentare la massa muscolare di 10 Kg mantenendo il grasso a 20
Kg, ottenendo quindi 90 Kg di massa muscolare (senza alcuna variazione di
grasso corporeo), con queste proporzioni (adesso il peso è 110 Kg):
● massa magra: 81,8%
● massa grassa: 18,2%
Più grasso, molto più muscolo
Definiamo poi la via in definitiva più ostica da comprendere quando si parla
di dimagrimento: sta bene che si aumenti la massa muscolare e si dimagrisca,
perché in proporzione il grasso corporeo diminuisce, ma come diamine si fa a
“dimagrire ingrassando”? Ecco come si fa: facciamo aumentare al nostro
soggetto 20 Kg totali, di cui solo 2,5 di grasso corporeo e 17,5 di massa
magra.
È quello che fa (o vorrebbe fare) qualsiasi Bodybuilder o Atleta di uno sport
di potenza o a categoria di peso in un periodo di tempo utile per
quell’incremento. I numeri ora danno 120 Kg di peso, di cui 22,5 di grasso
corporeo e 97,5 di massa magra, con questa distribuzione:
● massa magra: 81,3%
● massa grassa: 18,7%

Con intervalli di tempo lunghi il risultato è sempre


dimagrimento
Se definiamo dimagrire come “diventare più magri” e ingrassare come
“diventare più grassi” (cioè il suo inverso), possiamo trarre un’importante
considerazione da quanto abbiamo appena capito: periodi in cui si punta
all’aumento della massa magra intervallati da periodi in cui si punta alla
riduzione del grasso corporeo hanno come esito finale una sola cosa, cioè
dimagrimento. Ciò significa che, seppure i periodi di aumento della massa
magra portano con sé anche a un aumento sia assoluto che relativo della
massa grassa, un successivo periodo di riduzione della massa grassa farà sì
che rispetto all’inizio, il risultato netto sarà stato… ricomposizione
corporea. Ecco un esempio.
Un ragazzo di 22 anni, con fisico nella norma, non muscoloso, non grasso,
sedentario, si iscrive in palestra. L’istruttore gli prende il peso, che risulta
essere 65 kg, e gli misura lo spessore della plica soprailiaca, che risulta di 15
mm (da cui ricava una percentuale di grasso di circa il 15%). Dopo un anno
in cui ha seguito un adeguato programma di alimentazione e di allenamento,
il ragazzo chiede all’istruttore di prendergli nuovamente le misure, che
risultano rispettivamente essere 75 kg e 12 mm (circa il 13% di grasso
corporeo). Il ragazzo è aumentato di peso ma, effettivamente, è dimagrito.
Alla prima misurazione il ragazzo aveva una percentuale di grasso del 15%,
dunque un peso del tessuto adiposo pari a 0.15 x 65 = 9.75 kg. Dopo un anno,
la percentuale del grasso corporeo era del 13% e dunque il suo peso pari a
0.13 x 75 = 9.75 kg. Il tessuto adiposo non si è modificato di un grammo e
l’aumento di peso è stato dovuto all’incremento della sola massa magra. E,
osservate, poteva essere un anno come 10, in cui il ragazzo prima ingrassa a
dismisura, poi diventa scheletrico, poi riprende la retta via a arriva a quelle
percentuali: il risultato non sarebbe cambiato e sarebbe stato dimagrimento e
ricomposizione corporea (almeno a livello matematico; dal punto di vista
metabolico, invece… lo vedremo a breve).
Quindi, se ci si pone un qualsiasi obiettivo fisico, e partendo da un punto A si
arriva a un punto B in cui la composizione corporea è migliore rispetto ad A
(qualsiasi cosa sia successa tra A e B), il risultato è sempre dimagrimento.

Corpo matematico e corpo biologico


Nel capitolo precedente abbiamo fatto delle considerazioni di carattere, per
così dire, matematico, e compreso che dimagrire, fare ricomposizione
corporea, migliorare la composizione corporea, sono la stessa cosa. Questo ci
mette in un assetto molto positivo per quello che ci proponiamo: raggiungere
questi obiettivi in maniera scientifica. Senza definizioni precise non si va da
nessuna parte.
Ma, oltre alla definizioni, occorre anche una guida su come usarle. Quanto
appreso finora potrebbe farci pensare questo: facciamo alimentarmente i
diavoli della Tasmania per 8-10 mesi all’anno, e poi in 2 mesi di dieta tosta
spingiamo su una perdita cospicua di grasso corporeo. Se ci si allena in
quegli 8-10 mesi, probabilmente si mette su una marea di massa muscolare
mangiando come vitelli all’ingrasso e anche massa grassa che si perderà in un
paio di mesi. Dopo 1-2 anni avremo corpi con ottima forma (se visti nel
periodo di perdita) perché per intervalli di tempo abbastanza lunghi il
risultato finale è sempre dimagrimento, come abbiamo visto nel capitolo
precedente.
Sarebbe molto carino ma purtroppo non è così. La Matematica non basta a
spiegare il funzionamento del corpo umano; così come non basta il bilancio
calorico/energetico per capire ciò che succederà all’organismo in un certo
intervallo di tempo (giorno, settimane, mese, anno…). Quei “modelli
matematici” - per così dire - vanno incanalati entro ragionamenti che hanno a
che fare con la Fisiologia e la Biochimica del nostro corpo. In parte ne
abbiamo già fatti, in parte li faremo qui.

Master metabolic disruptor: ingrassamento


Molti si preoccupano della ricerca di altri endocrine/metabolic disruptor
(cioè sostanze che disturbano il metabolismo) quando in realtà il più influente
ce l’hanno sotto gli occhi: l’ingrassamento. Ingrassare non fa solo aumentare
il peso della massa grassa ma modifica l’organismo a livello metabolico. In
parte lo sappiamo già: il tessuto adiposo non è solo un accumulatore di
energia di cui si ricarica e ne rilascia al momento del bisogno, ma un tessuto
“vivo” da definire propriamente organo. Quando aumenta “troppo” inizia a
produrre fattori, citochine, ormoni, che fanno in un certo senso deragliare
l’organismo a livello metabolico.
Al giorno d’oggi si parla ad esempio di sindrome metabolica, infiammazione,
malattie autoimmuni, cercando di risolverle partendo dall’effetto finale
visibile: il diabete cercando di ridurre la glicemia, l’infiammazione e le
malattie autoimmuni cercando protocolli “anti infiammatori”; ma questo è
poco sensato e un grande spreco di risorse, se a monte c’è un organo che sta
producendo tutto ciò che serve per peggiorare il diabete, l’infiammazione e la
risposta del sistema immunitario: il tessuto adiposo. Non vuol dire non
pensare affatto a quelle condizioni, vuol dire che bisogna pensarci a tempo
debito, sicuramente non prima di aver iniziato a modificare il peso corporeo
in favore di maggiore massa muscolare e minore grasso corporeo.
Ecco perché gli esempi matematici del capitolo precedente non si applicano
alla realtà: tra il punto A e il punto B di miglioramento non ci possono essere
deviazioni così ampie, pena un deterioramento metabolico sul lungo termine.
Gli studi non sono in grado di dirci precisamente cosa fare, i dati sono relativi
per lo più alla perdita di peso e un successivo riacquisto del peso perso. Ma
possiamo pensare a una sorta di margine di sicurezza (così come faremo
relativamente alla perdita di peso) del 10% in caso di aumento. Peso che si
suppone non sia tutto di grasso bensì ben proporzionato tra grasso e muscolo
(se è presente l’allenamento fatto con criterio, non dovrebbero esserci
problemi). Questo vuol dire che in periodi di aumento del peso corporeo non
dovremo mai superare il 10% del peso iniziale.
Ci sono casi particolari in cui si ha bisogno di superare quel margine di
sicurezza; ma ci preme far notare che questi casi sono “speciali”, come ad
esempio soggetti ectomorfi che non riescono a mettere peso (in quel caso si
trovano molto sotto il loro peso ideale) oppure sportivi/atleti che devono
mettere su peso per una certa categoria di peso. In quest’ultimo caso, essendo
lo scopo entrare in categoria, si darà priorità a questo (a patto che ci sia un
razionale per voler rientrare in quella categoria).

Master metabolic inductor: dimagrimento


Se l’ingrassamento è un disruptor metabolico, il dimagrimento è il suo
opposto. Questo perché, come abbiamo detto, dimagrire significa abbassare i
livelli di grasso corporeo e alzare quelli di massa muscolare. Con questo
risultato avvengono diversi fenomeni positivi dal punto di vista metabolico,
che a breve vedremo; prima però un ammonimento (ancora) alla Dietetica e
la Medicina attuali che troppo si concentrano sul singolo fattore non
guardando il corpo nel suo complesso.
Come nel caso dell’ingrassamento, si vanno a cercare cause “singole” per
fenomeni che in realtà sono multidimensionali. Si cerca di prendere
l’integratore per migliorare il controllo glicemico, o fare la dieta per
migliorare la flessibilità metabolica, o l’allenamento per aumentare l’EPOC
(il consumo di ossigeno post allenamento) il più possibile. Queste sono tutte
strategie utilissime a patto che sia stato già raggiunto un buon livello di
dimagrimento: un corpo con buone proporzioni di massa muscolare rispetto
al grasso corporeo avrà infatti buona sensibilità insulinica, flessibilità
metabolica e dispendio energetico post allenamento. Tutto il resto non è
inutile rispetto al dimagrimento, ma supplementare ad esso.
Detto questo, riprendiamo in mano la leptina e i suoi effetti sul metabolismo.
È stato fatto notare che quando si dimagrisce la leptina viene prodotta in
quantità inferiore o il suo segnale viene in qualche modo disturbato; così
vengono messi in atto i processi di adattamento alla dieta, che portano a
lungo termine a un plateau. Diversi studi mostrano anche che i soggetti
dimagriti a seguito di una dieta, non recuperano l’assetto metabolico anche
dopo lunghi periodi in cui mantengono efficacemente il peso. Ciò vorrebbe
dire che a parità di composizione corporea, un soggetto che per essere in
forma ha dovuto mettersi a dieta per modificare la sua composizione
corporea, sarebbe diverso da un soggetto che non ha mai avuto bisogno di
mettersi a dieta per modificare la sua composizione corporea (cioè che è
sempre stato in forma). Questa sarebbe anche la spiegazione della moltitudine
di fallimenti dietetici: le persone possono dimagrire e mantenere la perdita
per 1, 2 anni (credendo di “esserci riusciti”) ma poi… arriva il set back.
Nel capitolo sulla leptina abbiamo capito che essa è prodotta dagli adipociti,
sia in risposta alla loro presenza che al flusso di nutrienti attraverso di essi.
Abbiamo capito che a determinare gli adattamenti a lungo termine di una
dieta è la quantità di adipociti, mentre gli introiti alimentari determinano
cambiamenti più nel breve termine (a patto che non ci sia stato enorme
depauperamento delle scorte di grasso - ricordate il discorso short vs long sui
recettori per la leptina). Tutta la Ricerca elaborata sulla leptina indica che
essa è prodotta anche in base alla quantità di adipociti presenti
nell’organismo: il che vuol dire che se non venisse perso grasso corporeo la
quantità di leptina prodotta non subirebbe variazioni nel lungo termine. E noi
abbiamo capito che per dimagrire non serve necessariamente perdere grasso
corporeo ma si può mettere massa muscolare.
Il segreto del dimagrimento a lungo termine è quindi aumentare la massa
muscolare, perché gli adattamenti dieta-indotti sono determinati dalla
quantità assoluta di tessuto adiposo presente. Questo significa poter dimagrire
senza dover lottare vita natural durante per mantenere la perdita di peso:
aumentare il tessuto muscolare è come un reset metabolico che consente di
ripartire da un livello superiore. Questo livello è spesso definito set point, ma
la totalità delle volte non vengono fatte queste differenziazioni, che adesso in
breve analizzeremo.
Il set point: assoluto, relativo, integrato
Quando si parla di set point si intende il punto al quale l’organismo tende
momento per momento, inteso come peso corporeo, generalmente. Se il set
point è 80 Kg per un individuo, ogni modifica in alto o in basso del peso
corporeo genererà delle risposte consone perché si ritorni a 80 Kg.
Nell’ambito del Fitness è stato introdotto relativamente alla percentuale di
peso corporeo; se una persona ha un set point del 15% di grasso corporeo, il
suo corpo tenderà sempre a tenere questo 15%. Qualsiasi modifica a rialzo o
ribasso farà sì che si genererà una risposta tale da (cercare di) compensare
quella modifica.
Ma queste spiegazioni sono troppo semplicistiche e non prendono in esame
ciò che succede realmente: l’organismo tende a mantenere la stessa quantità
assoluta di grasso corporeo e non relativa. Quindi la definizione ottimizzata
del set point potrebbe essere quella che prende in esame questo aspetto.
Potremmo cioè dire che il set point è la quantità di grasso corporeo assoluta
che l’organismo tende a mantenere. Ma non è ancora tutto: non possiamo più
definire il set point relativamente a una singola componente del corpo;
dobbiamo capire che esso riguarda diverse componenti: set point per il
grasso, set point per il muscolo, set point per l’energia in ingresso, set point
per l’energia in uscita…
Ecco perché dovremmo parlare di un set point integrato. A livello pratico
sembra che non ce ne facciamo così tanto, ma in realtà questo nuovo concetto
è quello che ci fa capire che “la coperta è sempre corta”. Ad esempio,
dicendo che il corpo tende ad avere una quantità assoluta di grasso corporeo,
si potrebbe pensare che si possa mettere massa muscolare indefinitamente
arrivando a percentuali di grasso corporeo bassissime senza che l’organismo
metta in atto meccanismi di compenso, ma così non è. Se non mette in atto
questi meccanismi dal lato grasso corporeo (perché de facto viene mantenuta
la quantità assoluta), li mette in atto dal lato massa muscolare (perché si
oppone a un aumento esagerato della massa muscolare). E, in maniera
integrata, li mette in atto sul fronte “energia in ingresso/uscita”, ad esempio
potrebbe esserci un paletto invalicabile secondo cui “A una certa X
percentuale di grasso corporeo, l’organismo si oppone fortemente a un deficit
energetico superiore a Y”, dove X e Y sono direttamente proporzionali: se si
abbassa l’una, diminuisce anche l’altra. Motivo per cui non è possibile
stabilire un tetto massimo di deficit per chiunque in qualsiasi situazione.
Cosa ce ne facciamo di questo discorso teorico che sembra non darci nulla di
applicabile? La cosa più pratica che se ne può ottenere è la raccomandazione
di essere dei bravi osservatori senza farsi condizionare da numeri che
lasciano il tempo che trovano e non sono contestualizzati, come ad esempio
l’indicazione sul “massimo deficit energetico” che si può creare con la dieta.
Queste indicazioni sono utili per la divulgazione a un grande pubblico, ma
non valgono nel contesto del singolo, se si deve migliorare il proprio corpo o
seguire chi vuole migliorarsi. Unendo i dati della letteratura a quelli tratti
dall’esperienza, possiamo poi estrapolare l’informazione di non spingersi,
quando si mira a perdere grasso, oltre il 10% di peso corporeo perso rispetto
all’inizio del periodo di perdita. A questo punto andrebbe inserito un break o
un periodo di rialzo dell’introito alimentare.

La via migliore per dimagrire


Finora abbiamo capito che si può dimagrire in diversi modi, ma la via
migliore resta quella - se possibile (per obesi e forti sovrappeso, ad esempio,
non è possibile né auspicabile) - di non modificare la quantità assoluta di
grasso corporeo, ma di aumentare il tessuto muscolare, con un effetto sul
peso corporeo che può essere di mantenimento o aumento. Con questo
abbiamo solo compreso quale sia l’obiettivo da raggiungere, a livello - per
così dire - macroscopico: vogliamo cioè fare in modo di tenere a bada il
grasso corporeo e nel contempo aumentare il tessuto muscolare. Ma questo
come si fa nel concreto? Per capirlo, dobbiamo tirare in ballo le modalità con
cui l’organismo utilizza energia, a partire dai suoi depositi.

Nutrire il muscolo, affamare il grasso: the leptin


way
Per ottenere quanto detto, piuttosto che orientarsi su aumentare la massa
muscolare, è ottimale volgere il proprio pensiero a:
Cercare di aumentare/mantenere quanta più massa muscolare
possibile mentre si cerca di tenere a bada/ridurre il grasso
corporeo.
Come abbiamo compreso, non è solo questione di intervalli di tempo
abbastanza lunghi, ma fare in modo di sfruttare al meglio le risposte del
corpo alla dieta, all’allenamento, per ottenere il risultato appena descritto.
Grazie a una sapiente pianificazione, possiamo dare al corpo stimoli adeguati
cosicché ricavi (primariamente) energia dal grasso corporeo, quando si trova
in deficit energetico, mentre la depositi (primariamente) nel tessuto
muscolare quando si trova in surplus. In sostanza, si può fare in modo di
nutrire il muscolo e affamare il grasso. Ma prima di passare al modo per
farlo, bisogna capire come questo avviene.
Nel capitolo precedente sono stati illustrati i meccanismi che sono alla base
della risposta dell’organismo alla restrizione energetica, sottolineando
l’importanza della citochina-ormone leptina. È stato accennato il
partizionamento energetico e dei nutrienti, termine con il quale si intende
indicare in che misura i nutrienti introdotti con la dieta si dirigono verso il
tessuto adiposo o verso il tessuto muscolare. Leptina e partizionamento
energetico sono correlati, in quanto l’ormone prodotto dagli adipociti modula
i livelli di due neurotrasmettitori coinvolti nella regolazione del bilancio
energetico (controllo del comportamento alimentare, controllo del dispendio
energetico, controllo del metabolismo energetico), il neuropeptide-Y (NPY) e
l’ormone di rilascio della corticotropina (CRH; è un ormone, ma a livello
cerebrale si comporta anche come neurotrasmettitore).
Un elevato rapporto NPY/CRH, oltre ad indurre aumento dell’appetito e
diminuzione del dispendio energetico, favorisce l’accumulo del grasso
corporeo e la perdita di massa magra; un rapporto NPY/CRH basso, al
contrario, induce una diminuzione dell’appetito ed un aumento della spesa
energetica, energia che proverrà primariamente dal tessuto adiposo. La
leptina entra in tutto questo favorendo un abbassamento del rapporto NPY/
CRH; bassi livelli di leptina determinano un aumento dell’NPY ed un
abbassamento del CRH.
Il partizionamento energetico, dunque, è l’aspetto fondamentale per “nutrire
il muscolo e affamare il grasso”. Con la dieta si può modulare a nostro
vantaggio. Per capire come fare, è opportuno comprendere perché mai
l’organismo dovrebbe scegliere di far derivare energia dal grasso corporeo (o
depositarla, quando in eccesso, nel tessuto muscolare) e come possiamo
indurre che nel corso del tempo continui a operare questa scelta. Per fare
questo, è importante sapere come l’organismo ricava energia dal tessuto
adiposo (o come sintetizza nuovo tessuto muscolare).

Ricavare energia dal grasso corporeo


Capire come l’organismo utilizzi i grassi accumulati nel tessuto adiposo per
ricavare energia è fondamentale per sapere come indurlo a continuare su
questa strada. Qual è la condizione in cui il corpo potenzialmente deve
ricavare più energia dai grassi? Durante il digiuno. Qui ne analizzeremo le
diverse fasi e i motivi saranno chiari a breve.
In termini metabolici la dieta è simile al digiuno, soltanto meno intensa:
questo significa che quanto accade durante una restrizione calorico-glucidica
può essere ricavato (con opportune modifiche) osservando cosa accade nel
digiuno. Non solo: con la dieta, intesa non semplicemente come restrizione
energetica ma come qualcosa cha apporta alimenti e nutrienti, è possibile in
un certo senso simulare il digiuno. Il che vuol dire che si possono ottenere gli
effetti propri del digiuno (quello che interessa in ottica dimagrimento è
“massima ossidazione lipidica”) senza essere a digiuno; a questo dettaglio
arriveremo dopo. Adesso, analizziamo le modifiche messe in atto
dall’organismo durante il digiuno. I cambiamenti metabolici che avvengono
durante il digiuno ci permettono di poterne identificare 5 fasi distinte.
● I fase: è, praticamente, la fase post-prandiale. In questa fase
l’organismo assorbe e utilizza i nutrienti dell’ultimo pasto, fino a 8 h
da esso, ed entro una decina di ore il suo metabolismo energetico è
affidato per circa il 50% agli acidi grassi liberi (FFA).

● II fase: costituisce i primi giorni di digiuno, in cui l’organismo


utilizza FFA e glicogeno epatico (esclusivamente il primo giorno,
dal momento che si esaurisce in 12-16 h dall’ultimo pasto
contenente glucidi) per soddisfare le richieste energetiche.

● III fase: della durata di circa una settimana, questa fase è


caratterizzata dal massiccio aumento della produzione di glucosio a
partire da substrati non glucidici, come le proteine, il lattato, il
piruvato e il glicerolo. Questo fenomeno prende il nome di
gluconeogenesi o GNG (ovvero produzione di glucosio ex novo).
Poiché il maggiore utilizzatore di glucosio è il sistema nervoso,
l’organismo cerca di renderglielo quanto più possibile disponibile:
l’adattamento che attua per fare in modo che questo avvenga, è
indurre gli altri organi a utilizzare meno glucosio e più FFA e corpi
chetonici (prodotti a seguito di una presenza massiva di FFA in
circolo e disponibili al fegato).

● IV fase: è definita con la chetosi (condizione in cui la produzione di


corpi chetonici aumenta in modo cospicuo), che si instaura al terzo o
quarto giorno di digiuno (in cui è lieve) e continua fintanto che si
digiuna. In questa fase il sistema nervoso si trova in una fase di
transizione, dall’utilizzo prevalente di glucosio all’utilizzo
prevalente di corpi chetonici, per le sue attività metaboliche.

● V fase: in questa fase, il cui inizio può considerarsi coincidente con


la fine della seconda settimana di digiuno, il sistema nervoso utilizza
quasi esclusivamente corpi chetonici per le sue attività metaboliche,
dunque il catabolismo proteico (da cui in fase III veniva ricavato
glucosio) diminuisce sensibilmente.
Le fasi che a noi interessano per gli scopi di questo manuale sono le prime 3;
in questo capitolo, in particolare, ci interessa la fase III; nello specifico, di
questa fase vedremo come gli FFA vengono utilizzati a scopo energetico. La
domanda a cui vogliamo rispondere è: come fa l’organismo a utilizzare il
grasso per ricavarne energia?
Bruciare i grassi nel modo giusto
C’era un’immagine che girava in rete, intitolata “Bruciare i grassi: lo stai
facendo nel modo sbagliato”. Ritraeva un grosso grasso signore allo spiedo,
tenuto sospeso a pancia in giù con sotto un fuoco che gli bruciava - appunto -
il grasso. Fa morire dal ridere. Quell’immagine si correla a questo capitolo in
quanto il fenomeno di bruciare i grassi è generalmente poco compreso; sono
molti quelli che sono rimasti al concetto di “bilancio”. Che si consideri il
bilancio calorico o il più dettagliato bilancio lipidico, poco cambia per
spiegare come si brucia grasso: lo si sta facendo nel modo sbagliato.
Abbiamo capito e chiarito che la risposta dell’organismo agli stimoli non è
spiegabile semplicisticamente con addizioni e sottrazioni. Uno stimolo come
una restrizione energetica genera degli adattamenti nel metabolismo (ad
esempio, maggiore ossidazione lipidica) non limitati al momento presente ma
che si estendono a giorni, settimane, mesi se non a lunghissimo termine (con
un cambiamento cosiddetto epigenetico).
Cerchiamo quindi di spiegare in maniera precisa come l’organismo, a seguito
di un certo stimolo, si metta in moto per bruciare i grassi. Innanzitutto, fattore
fondamentale da tenere sempre in considerazione quando si parla di
metabolismo energetico, è che il corpo non utilizza nutrienti (proteine,
carboidrati o grassi) per le sue funzioni energetiche bensì adenosina
trifosfato, ATP. L’ATP è un composto formato da una base azotata
(l’adenosina), uno zucchero (il ribosio) e tre atomi di fosforo legati tra loro da
legami fosfodiesterici la cui rottura provoca liberazione di energia (circa 7
kcal per mole di ATP). Da ogni substrato, attraverso una serie di meccanismi
più o meno complessi a seconda della via seguita, la cellula ricava l’ATP
necessaria per i suoi processi metabolici. In questo paragrafo siamo
interessati a conoscere i meccanismi che portano alla formazione di ATP a
partire dai grassi corporei.
Secondo fattore da considerare è che l’organismo non utilizza propriamente
pezzi di tessuto adiposo, per produrre energia (ATP), bensì parte di ciò che in
esso è depositato: gli acidi grassi. Abbiamo già chiarito come sono depositati
i grassi nel tessuto adiposo, ovvero sotto forma di trigliceridi (una molecola
di glicerolo unita a tre acidi grassi). Perché l’organismo abbia a disposizione
gli acidi grassi, dunque, occorre che i trigliceridi del tessuto adiposo vengano
dapprima smontati nei loro costituenti primari.
Terzo fattore importante che spesso viene dimenticato è che il grasso non
viene magicamente bruciato; i tessuti in cui gli acidi grassi sono utilizzati per
la produzione di ATP che ci interessano maggiormente in questa sede sono il
tessuto muscolare e il fegato, che può utilizzarli anche per la produzione di
corpi chetonici in caso la disponibilità di glucosio sia ridotta, come accennato
relativamente al digiuno.
Finalmente, arrivati a livello dei tessuti, gli acidi grassi devono poter entrare
nei mitocondri, le cosiddette centrali energetiche cellulari, ed essere
utilizzati per arrivare a produrre ATP. Il percorso non è in realtà ancora
finito: l’ATP viene prodotta tramite l’accoppiamento tra catena di trasporto
degli elettroni e fosforilazione ossidativa. La prima è costituita da un
complesso di molecole proteiche che si scambiano elettroni e fanno fluire
protoni nello spazio tra le due membrane mitocondriali, creando un gradiente
protonico utilizzato per la produzione di ATP. Proprio come in una centrale
idroelettrica, che di notte raccoglie l’acqua e durante il giorno usa il suo
flusso per trasformare l’energia meccanica in energia elettrica.
I vari composti detti disaccoppianti (praticamente tutti i termogenici)
agiscono su questi complessi molecolari facendo sì che non venga prodotta
ATP ma calore. Questo è anche uno dei motivi per cui un metabolismo che
non va fa sentire più freddo: il processo è bloccato e non solo non viene
prodotta efficacemente ATP ma neanche calore; la cellula, cioè, non riesce a
mettere in moto quei processi. È anche uno dei motivi, però, per cui usare
alcune sostanze che agiscono proprio su quelle vie può - in alcuni casi -
sbloccare un metabolismo pigro (la terminologia non è proprio esatta, ma per
capirci non c’è di meglio): forzando alla produzione di calore, a monte
devono essere presenti substrati per attivare questi meccanismi. Vuol dire che
la cellula deve mettere in moto processi che rendano disponibili acidi grassi e
substrati energetici. Quindi, utilizzare termogenici non è sbagliato in ogni
caso, come si crede; utilizzarli in maniera scriteriata, senza programmazione,
lo è.
Fatto questo appunto, analizziamo nel dettaglio i passi del processo tramite il
quale dal grasso di deposito si arriva alla disponibilità degli acidi grassi
all’interno del mitocondrio. Questi passi possono essere definiti da tre
processi:
1. idrolisi dei trigliceridi nel tessuto adiposo (la degradazione nei
costituenti, glicerolo ed acidi grassi);
2. il trasporto degli acidi grassi ai tessuti (tramite il torrente
ematico);
3. l’uptake e l’utilizzo dai tessuti (ossidazione vera e propria)

Demolire il grasso corporeo: idrolisi dei trigliceridi


La scissione dei trigliceridi in glicerolo e acidi grassi avviene tramite
meccanismi abbastanza complessi non ancora ben chiariti. Qui cerchiamo di
semplificare il tutto, ricavando anche delle indicazioni pratiche e utili; è
dedicato un capitolo di approfondimento ai dettagli cellulari con cui il
fenomeno avviene. Come detto nel capitolo sulla composizione corporea, un
adipocita appartenente al tessuto adiposo bianco (quello prevalente nel corpo
umano adulto), contiene al suo interno, oltre agli organuli e agli enzimi che
servono ai vari processi cellulari, una grossa gocciola lipidica. Di tutto il
complesso macchinario cellulare, a noi interessano pochi elementi. Non
perché gli altri non servano a nulla, ma principalmente per due scopi:
● maggior semplicità di comprensione: capendo come questi fattori
intervengono sull’idrolisi dei trigliceridi, a cascata si possono
comprendere gli effetti di altri fattori;
● maggiore possibilità di applicazione pratiche: compresi questi
meccanismi, si ha una panoramica generale di come funzionino
anche gli altri e quindi si ha possibilità di un intervento più mirato.
Questi elementi chiave sono tre tipi di recettori, un enzima e una proteina:
● I tre tipi di recettori sono:
○ I recettori adrenergici: questi sono i recettori
principalmente per l’adrenalina e la noradrenalina, che si
dividono in alfa e beta. I recettori alfa- e beta-adrenergici
si suddividono ulteriormente in alfa-1 e alfa-2 e beta-1,
beta-2 e beta-3; esistono altri sottogruppi e sottogruppi di
questi sottogruppi, ma qui non ci interessano: ci
concentreremo (per gli stessi due motivi suddetti) sui
recettori adrenergici alfa-2 e i recettori adrenergici beta-2.

○ I recettori per l’insulina (IR): il loro funzionamento è


particolare, in quanto quando l’insulina (o altri
ormoni/fattori, come l’IGF) si lega al recettore, questo si
autofosforila (autoattiva) e attiva a sua volta un’altra
molecola che funge da segnalazione intracellulare, l’IRS
(substrato per il recettore insulinico). L’IRS a sua volta
determina la cascata di segnalazione cellulare, che fa sì che
gli effetti dell’insulina vengano esplicati.

○ I recettori per il peptide natriuretico atriale (ANP). L’ANP


è prodotto dall’atrio a seguito di un incremento del volume
di sangue e la sua principale funzione è quella di
determinarne un abbassamento, tramite la riduzione del
riassorbimento di sodio ed acqua nel tubulo renale (e
dunque maggiore escrezione con le urine).

● L’enzima è la lipasi sensibile agli ormoni (HSL): questo enzima è il


diretto responsabile della scissione (idrolisi, tecnicamente) dei
trigliceridi in acidi grassi e glicerolo.

● La proteina è la perilipina: come si evince dal nome, questa


proteina costituisce il perimetro della gocciola lipidica presente
negli adipociti. La sua funzione è proprio quella di creare il coagulo
di trigliceridi che altrimenti si disperderebbero nel citoplasma,
nonché di proteggere lo stesso dall’azione della HSL.
Il quadro generale risultante (i dettagli sono espressi nell’approfondimento) è
il seguente: la stimolazione dei recettori adrenergici alfa-2 determina
l’inibizione della HSL e l’attivazione (o meglio, il perpetuarsi della sua
attivazione) della perilipina, mentre quella dei beta-2 determina l’attivazione
della HSL e il cambiamento di conformazione della proteina di coagulo
perilipina, che permette alla lipasi di ancorarsi alla gocciola lipidica. Da
quanto detto, non appare molto chiaro che azione esplichino, se lipolitica o
antilipolitica, gli ormoni adrenalina e noradrenalina sugli adipociti. La
risposta è semplice e beffarda: entrambe. In dipendenza del rapporto più o
meno pronunciato tra recettori adrenergici beta-2 ed alfa-2 in un particolare
tessuto, l’effetto complessivo delle due catecolamine può essere lipolitico o
antilipolitico rispettivamente. Fortunatamente, l’effetto complessivo di
adrenalina e noradrenalina, in presenza di bassi livelli di insulina (a breve il
perché), è generalmente quello di stimolare la lipolisi. L’ANP ha azione
stimolatoria sulla lipolisi.
Ci sono dei però: nel nostro corpo i diversi tipi di grasso corporeo hanno
diverso rapporto beta-2/alfa-2 (più alto nel grasso viscerale, più basso in
quello sottocutaneo, da cui la maggior facilità del primo ad essere
mobilizzato all’inizio di una restrizione), responsabili della diversa
responsività e il diverso accumulo di grasso. Ricordate il tessuto adiposo
bruno? Esso è un particolare tipo di tessuto adiposo, presente solo nei primi
tempi di vita, ricco in recettori adrenergici beta-3 (un altro tipo di recettori
beta): la stimolazione di questi recettori, oltre ad aumentare la lipolisi, induce
l’aumento dell’espressione genica per una specifica famiglia di proteine, le
termogenine o UCP (proteine disaccoppianti). Queste proteine disaccoppiano
la catena respiratoria dalla fosforilazione ossidativa, facendo disperdere
energia sotto forma di calore.
Tornando al rapporto tra recettori adrenergici beta-2 ed alfa-2, occorre sapere
che questo differisce non solo tra i diversi tipi di grasso corporeo ma anche
per uno stesso tipo di tessuto adiposo, in dipendenza dalla sua localizzazione.
Come mai gli uomini accumulano i grassi nella ciambella e le donne su cosce
e glutei? Proprio per la differente distribuzione dei recettori adrenergici,
determinata dal differente pattern ormonale che si osserva nell’uomo e nella
donna: gli estrogeni diminuiscono il rapporto beta-2/alfa-2 negli arti inferiori,
il testosterone lo diminuisce nelle zone addominali.
Ci sono altri però: ci sono differenze per uno stesso genere. Si possono cioè
osservare uomini con una conformazione ginoide e donne con una
conformazione androide; questo riflette un quadro ormonale differente. Pur
non scendendo nei dettagli dell’argomento, ci prenderemo le indicazioni
pratiche che si possono ricavare. In linea di massima, alti livelli di estrogeni
si correlano con depositi adiposi localizzati soprattutto a livello di cosce,
fianchi e glutei mentre alti livelli di testosterone si correlano con aumento del
deposito viscerale e, per quanto riguarda il distretto sottocutaneo, di quello
periombelicale.
Un ormone i cui effetti, invece, devono essere assolutamente considerati per
la loro estrema importanza, è l’insulina. Sulla cellula adiposa infatti, per
quello che a noi interessa in questa sede, come sopra detto sono localizzati,
oltre ai recettori adrenergici e quelli per l’ANP, i recettori per l’insulina (IR).
Dal canto suo, l’insulina, con uno specifico meccanismo, fa sì che l’azione
lipolitica mediata da adrenalina e noradrenalina venga totalmente inibita già
con insulinemia modesta. A livello pratico si traduce in qualcosa di
importante quando si fa esercizio fisico in un momento in cui lo scopo è
quello di massimizzare l’ossidazione degli acidi grassi e possibilmente far
virare il metabolismo da “brucia zuccheri” a “brucia grassi”: sarebbe bene
che l’allenamento fosse svolto senza assumere zuccheri/carboidrati
precedentemente. Questo comunque non vale sempre e per tutti, in quanto
quando si ha già un buon metabolismo, il rischio che l’organismo torni ad
essere un “brucia zuccheri” è inferiore.
Dieta, allenamento, integratori per potenziare l’idrolisi dei
trigliceridi
Di tutto il quadro delineato, possiamo ricavare qualcosa di interessante per la
realtà pratica. Partiamo con ordine, rispettando quello utilizzato per
descrivere i vari processi.
Azione sui recettori adrenergici
Con la dieta possiamo fare qualcosa per stimolare massimamente l’idrolisi
dei trigliceridi agendo sui recettori adrenergici. Quello che si dovrebbe fare in
realtà è qualcosa che si dovrebbe già fare se si punta al dimagrimento.
Abbiamo parlato di recettori beta-2, che vogliamo attivare, e alfa-2, che
vorremmo non fossero attivati. I recettori possono essere, oltre che più o
meno attivati, più o meno espressi. In particolare, i recettori adrenergici alfa-2
vengono meno espressi quando - per così dire - esposti per tempi
sufficientemente lunghi (un paio di giorni) a tanti acidi grassi circolanti.
In una situazione in cui il corpo è in stallo, visto che l’idrolisi dei trigliceridi è
in sostanza il primo step per far sì che il grasso corporeo venga utilizzato a
scopo energetico, si dovrebbe agire per aumentare gli acidi grassi liberi in
circolo, semplicemente assumendo più grassi (magari in forma di MCT) con
la dieta. È chiaro già da qui che non si può parlare di bilancio (né calorico né
lipidico); si stanno aumentando i lipidi per fare in modo che ci sia una
risposta cellulare, non ci importa se sono di più o di meno di quelli che
l’organismo sta utilizzando: non li sta utilizzando in prima istanza proprio
perché ne ha pochi! Vogliamo quindi creare una sorta di circolo virtuoso:
sbloccando il primo passo, altri FFA verranno riversati in circolo e potremo
perpetuare l’effetto.
Un altro modo per sottoesprimere i recettori adrenergici alfa-2 è quello di
agire a livello dell’espressione genica, possibile toccando i meccanismi che
hanno a che fare con il bilancio idro-elettrolitico. L’Angiotensina-II (ANG-
II), in particolare, aumenta l’espressione per geni che codificano per quei
recettori, quindi noi vorremmo inibire la sua produzione. Un modo semplice
per farlo è aumentare la volemia (cosa utile anche per quanto riguarda l’ANP,
come vedremo a breve). L’indicazione di bere “a ondate” e non ridurre il
sodio (i minerali in generale) nella dieta è utile sotto questo aspetto.
L’indicazione di bere molto e basta va contro questo; bere molto e introdurre
anche semplicemente sale marino integrale nella dieta è invece molto più
saggio.
Per quanto riguarda i recettori beta-2, non c’è così tanto da fare a livello
dietetico. L’unico piccolo dettaglio è quello di “bere a ondate” (quindi i
consigli, insieme, sono molto utili per entrambe le cose): uno stretch gastrico
ottenibile tramite l’introduzione di 450-500 mL di acqua stimola la
produzione di noradrenalina, che si lega ai recettori adrenergici beta-2,
attivandoli.

Azione sui recettori per l’insulina


Si può davvero agire sui recettori per l’insulina in maniera naturale? Sì, ma
non lo si può fare in maniera isolata. L’azione su questi recettori passa
proprio da una sapiente ciclizzazione dietetica (integrata all’allenamento…).
Infatti, anche se si pensa sempre e comunque alla sensibilità insulinica come
a un bene, ricordiamoci che qui stiamo parlando di tessuto adiposo: se i
recettori per l’insulina nel tessuto adiposo sono molto responsivi, vuol dire
che più facilmente gli adipociti accumuleranno nutrimento (e quindi grasso).
Quello che noi ricerchiamo è massima sensibilità insulinica nel tessuto
muscolare unita a minima sensibilità insulinica nel tessuto adiposo. Con la
ciclizzazione della dieta (e dell’allenamento) che creeremo sarà possibile fare
questo. Consigli specifici utili in tal senso (cioè in maniera isolata) non ce ne
sono. Più che altro, servano queste considerazioni per non cadere nel tranello
di voler migliorare a tutti i costi la sensibilità insulinica con - ad esempio -
insulin sensitizer (acido alfa lipoico, metformina, etc.): questo può essere
fatto solo in particolari momenti, cioè quando l’organismo è già pronto a
partizionare i nutrienti verso il tessuto muscolare (come ad esempio attorno
all’allenamento o venendo da periodi di restrizione glucidica).
Azione sui recettori del peptide natriuretico atriale
Si può agire sull’ANP aumentando la volemia, unendo due piccioni con una
fava: azione su recettori adrenergici e azione sui recettori per l’ANP.
Aumentare la produzione di ANP è utile in quanto questo peptide agisce su
uno dei secondi messaggeri cellulari, aumentando l’attività di alcuni enzimi
coinvolti nell’attivazione dell’HSL e la perilipina. Per aumentare la volemia
basta fare quanto già detto per l’attivazione dei recettori adrenergici: “boli” di
acqua e un pizzico di sale marino integrale, magari nel primo bolo del
mattino.
Azione sulla lipasi sensibile agli ormoni HSL
La HSL è fortemente inibita dall’insulina, ma bisogna non farsi trascinare
dall’idea di tenere il più possibile a bada l’insulina perdendo di vista il quadro
generale. L’insulina si eleva per una marea di fattori (anche sentire l’odore
del cibo, ad esempio) quindi non è controllabile come si crede. Più che altro,
bisognerebbe cercare il migliore compromesso sfruttando - di nuovo - la
ciclizzazione dei nutrienti. Tenere a bada l’insulina in momenti lontani
dall’allenamento permette la massima idrolisi dei trigliceridi del tessuto
adiposo, elevarla a cavallo dell’allenamento induce un effetto di facilitazione
dell’ingresso dei nutrienti nel tessuto muscolare.
Non finisce qui… La HSL è anche fortemente inibita da un carico di grassi
(bastano 40 g in una sola volta) senza implicazioni dell’insulina. Questo vuol
dire che assumere grassi può portare a non perdere grasso? No, errore. Se da
un lato pensare solo all’insulina risulta superficiale, pensare solo a quello che
succede qui e ora è altrettanto superficiale: è vero che la HSL in quel
momento può essere inibita, ma è anche vero che a distanza di tempo si
verifica una sovraespressione di fattori, enzimi (e geni per gli stessi) propri
dell’ossidazione lipidica. Il che si traduce in un miglioramento della
flessibilità metabolica, in quanto migliora la capacità dei mitocondri di
ossidare grassi.
Per questo motivo non è possibile utilizzare il bilancio lipidico per stimare
quanto grasso sarà accumulato o perso: man mano che dal lato dell’equazione
in ingresso i grassi aumentano, aumentano anche quelli in uscita in quanto
l’organismo inizia a utilizzarne di più. Nel momento in cui vengono sottratti
in ingresso, quelli in uscita decrescono, ma non immediatamente. È proprio
sfruttando questi delay che la ciclizzazione dietetica permette di
massimizzare la perdita di grasso minimizzando quella di tessuto muscolare
(o viceversa, se si tratta di aumento del peso/della massa muscolare).
Azione sulla perilipina
Ci ‘spiace, ma fare il solletico alla perilipina per farle aprire le braccia e
rendere la gocciola lipidica (più) attaccabile dalla HSL non è semplice,
sicuramente non con integratori, alimenti e sostanze di uso comune.
Agiscono sulla perilipina, ad esempio, alcuni farmaci antiretrovirus (per il
trattamento o il tentativo di trattamento di condizioni quali l’AIDS) ed è
perciò chiaro che non è il caso di usarli (gli effetti collaterali sono
pesantissimi).
Tutto quello che possiamo fare è continuare ad agire in maniera ciclica per
idrolizzare quanti più trigliceridi possibile nelle fasi di sottoalimentazione e
costruire quanto più tessuto muscolare possibile nella fasi di
sovralimentazione. Questo rientra negli interventi di natura generalizzata; qui,
ricordate, stiamo affrontando il discorso segmento per segmento per trarre il
più possibile spunti pratici da applicare giorno per giorno in qualsiasi
strategia, compresa quella che proporremo.
Arrivare a destinazione: trasporto degli acidi grassi
Il solo processo dell’idrolisi non basta a far diminuire i depositi adiposi
presenti nell’organismo. Il tessuto adiposo, infatti, una volta che i trigliceridi
sono stati scissi in glicerolo e acidi grassi, sarebbe ben contento di
riesterificarli (formare di nuovo degli esteri; un trigliceride è per definizione
un estere del glicerolo con tre acidi grassi) e inglobarli nuovamente nelle
gocciole lipidiche degli adipociti, sempre avidi di grasso soprattutto dopo che
esserne stati privati (come una sorta di decompressione: la cellula si svuota
ma tende a mantenere la sua forma, dunque a riempirsi nuovamente).
Per questo stesso motivo si può capire dove cadono le teorie riguardo il
dimagrimento localizzato ottenuto esercitando i muscoli adiacenti le zone
critiche che si vogliono eliminare. Quelli che sostengono il dimagrimento
localizzato, infatti, hanno sviluppato idee che si sono ramificate tutte o quasi
a partire da un unico seme: uno studio che mostra l’aumento effettivo della
mobilizzazione (idrolisi) degli acidi grassi nei depositi adiacenti ai muscoli in
attività. A parte i pochi milligrammi di grassi in più mobilizzati, bisogna
considerare il fenomeno della riesterificazione.
Quello che avviene nella realtà è riassunto dal quadro seguente: durante
l’attività (condizioni nutrizionali permettendo) il corpo attinge dalle riserve
adipose più facilmente attaccabili, quelle con rapporto tra i recettori
adrenergici beta-2 ed alfa-2 maggiore (come visto precedentemente). Seppur
il tessuto adiacente al muscolo in attività effettivamente idrolizzi trigliceridi,
sono già presenti acidi grassi in circolo per supportare l’aumentato bisogno
energetico, dunque non serve che ne vengano aggiunti altri: non utilizzati, gli
acidi grassi delle zone critiche vengono riesterificati dagli adipociti delle
stesse zone.
Un parallelismo può essere fatto con i depositi adiposi associati al pattern
ormonale. Casi esemplari sono le donne che entrano in menopausa, i cui
depositi adiposi iniziano a spostarsi da cosce e glutei a pancia e visceri: si
verifica idrolisi dei trigliceridi nelle zone dove prima della menopausa si
accumulavano maggiormente e trasporto degli acidi grassi nelle nuove zone
di accumulo, dove si ri-esterificano in quei depositi. Altro caso esemplare
sono le donne con depositi adiposi molto ostinati nella parte inferiore del
corpo: non è raro assistere a un dimagrimento generale ma una stasi o
addirittura un peggioramento della parte inferiore, a causa dello
“spostamento” dei trigliceridi, i cui acidi grassi si riesterificano nelle zone
critiche.
Il discorso si è sviluppato a partire dal trasporto degli acidi grassi, perché
abbiamo detto che la loro semplice mobilizzazione dai depositi adiposi non
basta per scrollarsi di dosso i chili di grasso di troppo: gli acidi grassi devono
essere trasportati nei distretti in cui verranno ossidati, utilizzati cioè per la
produzione di energia (ATP), o nel fegato in cui verranno utilizzati per la
produzione di corpi chetonici. Gli acidi grassi devono essere dunque riversati
nella grande circolazione (in forma libera o legati all’albumina, una proteina
plasmatica in grado di legarli e renderne più facile il trasporto in un ambiente
acquoso come il sangue), a partire dai piccoli capillari presenti nel tessuto
adiposo, che creano un microcircolo.
Quanto più è grande il flusso sanguigno di questo microcircolo, tecnicamente
il flusso sanguigno del tessuto adiposo (ATBF), tanto più gli acidi grassi
saranno smaltiti da quelle zone per essere portati altrove. Facciamo presente
che l’ATBF è comunque molto limitato: basti considerare che i capillari
hanno un diametro di 5-10 micrometri (1 milionesimo di metro o 1 millesimo
di mm), caratteristica che fa sì che i globuli rossi, con diametro di circa 7
micrometri, si comportino da “tappo” al microcircolo. Cosa regola il ATBF?
Gli stessi fattori che regolano anche la lipolisi: in particolare, sperando di non
risultare ripetitivi, la stimolazione dei recettori adrenergici beta-2 aumenta il
flusso nel microcircolo mentre quella degli alfa-2 lo diminuisce. Chiaro
dunque che le zone critiche hanno basso rapporto beta-2/alfa-2 che si riflette
negativamente sia sulla lipolisi che sullo smaltimento degli acidi grassi in
quelle zone.
Ma non andiamo così di fretta, vero? Vi starete chiedendo: perché
un’attivazione simpatica porta a vasocostrizione periferica, come ad esempio
si osserva nell’ipertensione? O quando si è molto agitati? Semplice: un conto
è l’attivazione a brevissimo termine e un conto a “meno breve” termine. Un
pulse di adrenalina (e/o noradrenalina) ha effetti differenti da una infusione
costante. Quando il SNS è costantemente attivato, si ha vasocostrizione; il
contrario (o quasi) quando il SNS viene attivato a pulse. Questo è importante
quando tratteremo dell’allenamento: guardando dal solo punto di vista delle
attivazioni SNS e SNP, lo stimolo allenante deve essere tale da produrre una
transitoria ondata di adrenalina, ma non così elevato da portare l’SNS ad
essere cronicamente iperattivato (come nel caso del sovrallenamento).
Altra questione interessante riguarda l’insulina, che è un forte stimolatore
della nitrossido sintasi, enzima responsabile della produzione di ossido
nitrico (NO). L’NO è un potente vasodilatatore, che aumenta dunque il flusso
ematico; i meccanismi con cui l’NO, tra gli altri, esplica i suoi effetti saranno
discussi nel paragrafo di approfondimento relativo alla lipolisi. Questo
potrebbe far pensare che stimolare l’insulina sia benefico sul dimagrimento,
ma come detto nel primo punto l’insulina si oppone agli effetti di adrenalina e
noradrenalina sulla lipolisi, e non bastando il danno, la beffa è che l’NO in
effetti inibisce l’idrolisi dei trigliceridi. Ad ogni modo, anche l’esercizio
fisico stimola l’ATBF in modo più potente di quanto non lo faccia l’insulina,
i cui effetti sul flusso sanguigno sono significativi solo a riposo e non dopo
l’attività. In ogni caso, riuscendo opportunamente ad affamare il tessuto
adiposo e nutrire il tessuto muscolare, si possono volgere a nostro vantaggio
anche questi meccanismi.
Il destino finale: uptake e ossidazione dei trigliceridi
Una volta sottratti al tessuto adiposo e quindi portati lontano dal microcircolo
che circonda gli adipociti, gli acidi grassi giungono finalmente ai tessuti che
li utilizzeranno. L’ossidazione dei grassi avviene nei mitocondri, cosiddette
centrali energetiche cellulari: sono i mitocondri infatti i responsabili della
produzione di ATP, come accennato in precedenza. Condizione perché la
beta-ossidazione abbia luogo è che gli enzimi mitocondriali possano attaccare
gli acidi grassi, dunque questi ultimi devono entrare in qualche modo nel
mitocondrio.
Fondamentali nel trasporto degli acidi grassi all’interno del mitocondrio sono
gli enzimi carnitina palmitoil transferasi I e II (CPT-1 e CPT-2). Dei due, la
CPT-1 è inibita dal malonil-CoA, la cui concentrazione dipende, nel fegato,
dalla quantità di glicogeno e nei muscoli dalla quantità di glicogeno e dalla
contrazione: durante l’esercizio fisico, il malonil-CoA diminuisce anche se il
glicogeno è elevato. Dei meccanismi che regolano il modo in cui il malonil-
CoA viene attivato o inibito verrà discusso in un capitolo successivo, quando
parleremo dell’esercizio fisico e di come esso stimoli la sintesi proteica,
migliori la sensibilità all’insulina e - appunto - agisca sull’ossidazione
lipidica.
Una piccola nota da fare qui riguarda l’integratore carnitina, divenuta
popolare nel mercato dell’integrazione come fat burner, perché
effettivamente è coinvolta nel trasporto degli acidi grassi all’interno del
mitocondrio. La verità è che, concretamente, serve a poco in termini di
maggiore ossidazione lipidica: infatti, della carnitina ingerita ne viene
assorbita meno del 20% ma solo in presenza di insulina, il che va contro gli
scopi di fat burning. Inoltre, la carnitina muscolare aumenta solo di
pochissimo dopo una continuativa supplementazione di qualche mese. Quindi
non basta assumere carnitina per aumentare il trasporto di acidi grassi nel
mitocondrio; dopo questa nota dolente, si può dire che la carnitina sia utile
per i suoi effetti ergogenici. Anche in questo caso, comunque, è ampiamente
superata da tante altre sostanze, se consideriamo costi vs benefici.
In conclusione, bassi livelli di glicogeno favoriscono la lipolisi mentre alti
livelli di glicogeno la inibiscono. Inoltre, la contrazione muscolare (esercizio
fisico) aumenta la lipolisi agendo sui livelli di malonil-CoA (il meccanismo è
descritto nel capitolo di approfondimento all’interno della sezione relativa
all’allenamento).

Raggomitolare tutto
Finora il discorso fatto sembra interminabile, soprattutto a coloro che non
amano la Fisiologia o la Biochimica o a cui non interessano i dettagli che
stanno alla base di alcuni fenomeni che all’apparenza sembrano banali. Il filo
del discorso è molto lungo, quindi abbiamo inserito questo paragrafo per
raggomitolarlo ed avere un quadro d’insieme che possa aiutare nella
comprensione dell’obiettivo al quale, pagina dopo pagina, stiamo arrivando.
Nel capitolo precedente abbiamo visto come il tessuto adiposo influenzi
l’introito alimentare ed il dispendio energetico, parlando dei vari ormoni e
citochine da esso prodotti. Siamo arrivati a concludere che per ottenere il
massimo dimagrimento dovremmo ottenere il miglior partizionamento dei
nutrienti, agendo in qualche modo sulla leptina. In questo capitolo, siamo
scesi di un livello: dal controllo centrale (che parte cioè da meccanismi
regolatori del sistema nervoso centrale) siamo passati al controllo cellulare
del metabolismo energetico, nello specifico della lipolisi. Abbiamo capito che
tutto il fenomeno del “bruciare i grassi” è in realtà un insieme di meccanismi
che devono avvenire insieme perché il grasso corporeo venga effettivamente
smaltito: abbiamo parlato della mobilizzazione degli acidi grassi dal tessuto
adiposo, del loro smaltimento da quei distretti e del loro utilizzo a livello
periferico o epatico. Per potenziare tutto il meccanismo della lipolisi abbiamo
capito che il gioco sarebbe fatto se riuscissimo ad agire sulla distribuzione dei
recettori adrenergici alfa-2 e beta-2, tenendo a bada l’insulina.
Ed è qui che le cose si fanno complicate: per tenere a bada l’insulina bisogna
fare una dieta povera di carboidrati. Ma questo, come ormai avete imparato,
influenzerebbe i livelli di leptina, abbassandoli e provocando tutta quella
serie di fenomeni sfavorevoli per gli scopi del dimagrimento, inclusa una
scarsa attivazione del sistema deputato alla produzione di adrenalina e
noradrenalina. Seppure riuscissimo a modificare a nostro favore il rapporto
tra i recettori alfa-2 e beta-2, mancherebbe il segnale: come se, per facilitare
una persona nel fargli fare canestro in una partita di basket, allargassimo il
canestro (miglioriamo il rapporto beta-2/alfa-2) ma gli togliessimo il pallone
(adrenalina e noradrenalina).
Come fare, dunque? La prima cosa da dire è che la vita è fatta di
compromessi: non si può avere tutto, contemporaneamente, ma solo cercare
di ottenere il massimo risultato con il minimo effetto collaterale. Il protocollo
che andremo a delineare mira proprio a questo: massimizzare il dimagrimento
minimizzando gli effetti negativi sul metabolismo, la perdita di tessuto
muscolare e il senso di fame e sazietà. Ma dovrete attendere ancora un po’:
essendo un protocollo integrato di dieta e allenamento (dando per scontato
che, se siete qui, avete già capito che non si può fare l’una senza l’altro e
viceversa), dobbiamo parlare anche di quest’ultimo, per lo meno dei concetti
inerenti l’allenamento che sono utili qui.

Approfondimento. Grasso più,


grasso meno: smart recap.
Come si ingrassa e sintesi dei
trigliceridi
Quello che ci interessa in questa sede sono i principali
meccanismi alla base della sintesi dei trigliceridi nel
tessuto adiposo, tralasciando argomenti relativi al modo
in cui questi vengano digeriti e processati; non tanto
perché non servono a niente, quanto perché in ottica
dimagrimento ci interessa minimizzare i processi che
entrano in gioco a livello cellulare.
Anche se qui parleremo di come gli acidi grassi entrano
negli adipociti, illustriamo brevemente come questi
vadano poi a formare trigliceridi. Come già indicato nei
precedenti capitoli, un trigliceride non è che un
complesso formato da una molecola di glicerolo unita a
tre di acidi grassi. La sintesi dei trigliceridi avviene
quando un acido grasso (previa attivazione, ovvero
legame con acetil-CoA) si lega al glicerolo fosfato:
quest’ultimo è sintetizzato a partire dal glucosio (sia nel
fegato che negli adipociti) o dal glicerolo libero (solo nel
fegato, per opera dell’enzima glicerolo chinasi) quando i
livelli energetici cellulari sono elevati.
Da quanto detto è chiaro che, una volta idrolizzato
nell’adipocita, un trigliceride non venga riesterificato
dagli stessi tre acidi grassi non esterificati (NEFA) e la
stessa molecola di glicerolo. Quest’ultima infatti
fuoriesce dal tessuto adiposo per essere utilizzata altrove.
I NEFA vengono invece esterificati con il glicerolo
fosfato sintetizzato a partire dal glucosio, che entra nelle
cellule adipose solo per effetto dell’insulina (onnipresente
quando si tratta di lipogenesi, vedremo presto che non è
l’unica a cui dare la colpa).
Facciamo notare che gli acidi grassi possono essere di
provenienza sia endogena che esogena. Sappiamo da
dove provengono quelli endogeni, mentre non abbiamo
ancora detto nulla di quelli dietetici. Nella dieta i grassi si
trovano per lo più sotto forma di trigliceridi (dunque,
ancora, glicerolo esterificato con tre acidi grassi). Una
volta assorbiti, i trigliceridi vengono dapprima scissi e poi
re-impacchettati e inglobati nei chilomicroni, grosse
strutture proteico-lipidiche deputate al trasporto di grassi
(prevalentemente) e colesterolo (in minor misura).
Chi lega il grasso: lipoproteina lipasi
La lipoproteina lipasi (LPL) è un enzima prodotto
all’interno delle cellule di alcuni tessuti, che dopo
glicosilazione migra sull’endotelio dei vasi sanguigni.
Qui esplica il suo effetto di idrolisi dei trigliceridi
presenti nei chilomicroni con conseguente liberazione
degli acidi grassi nel microcircolo adiacente quei tessuti.
Quelli che qui ci interessano sono il tessuto adiposo
(ovviamente) e il tessuto muscolare. Vanno qui inserite
due parole (che saranno importanti in seguito) sull’azione
della LPL nel tessuto muscolare.
Nel muscolo la LPL è stimolata dall’adrenalina, i cui
effetti sono fortemente inibiti dall’insulina nell’adipocita,
ma solo in parte inibiti nella cellula muscolare durante
l’esercizio fisico. Infusioni di insulina durante l’attività
non provocano il totale arresto della lipolisi nel tessuto
muscolare, ma solo un abbassamento. In una cellula del
tessuto adiposo l’insulina invece è determinante
nell’attivazione della LPL, tramite meccanismi che
saranno illustrati nel successivo capitolo di questo
approfondimento. L’insulina infatti agisce permettendo la
glicosilazione della LPL e quindi la sua fuoriuscita
dall’adipocita - la LPL glicosilata assume la
conformazione grazie alla quale migra fuori dalla cellula
- nonché la sua fosforilazione (aggiunta di gruppi
fosfato), che la rende attiva.
Non è però l’unico controllore dell’espressione nonché
dell’attività della LPL. Altri fattori controllano questo
enzima, tra cui i macronutrienti nella dieta: una dieta
ricca di carboidrati stimola l’attività della LPL
adipocitaria mentre inibisce quella della LPL muscolare;
il contrario si verifica in una dieta povera di carboidrati. Il
significato in termini di adattamento è chiaro: più
carboidrati sono disponibili, meno il muscolo si affida ai
grassi come fonte energetica e meno, dunque, il tessuto
adiposo li rende disponibili (e viceversa). Anche la
presenza dei chilomicroni nella circolazione, che si
verifica dopo un pasto ricco di grassi, stimola l’attività
della LPL. Dunque, benché abbiamo capito che l’insulina
ha molti effetti indesiderati in termini di dimagrimento,
non possiamo condannare solo lei.
E chi lo trasforma: proteina di stimolazione
dell’acetilazione
La proteina stimolante l’acetilazione (ASP) è prodotta
dagli adipociti, dove promuove la sintesi dei trigliceridi.
Questo effetto è mediato da almeno due meccanismi:
● come si evince dal nome, la ASP promuove
l’acetilazione (attivazione) degli acidi grassi,
agendo sull’enzima diacilglicerolo acil
transferasi;
● la proteina promuove la traslocazione
all’esterno della cellula di alcuni trasportatori del
glucosio, tra cui il GLUT-4 (espresso nelle cellule
del tessuto adiposo), responsabile dell’ingresso del
glucosio stesso nella cellula.
Cosa vi aspettereste dunque? Acidi grassi attivati più
presenza di glucosio e quindi possibilità di sintetizzare
glicerolo fosfato uguale aumento della sintesi dei
trigliceridi. L’importanza della ASP è resa chiara dal fatto
che i suoi effetti lipogenici sono molto più potenti di
quelli dell’insulina. In questo quadro, la LPL gioca solo
un ruolo marginale, dal momento che è responsabile
“solo” dell’idrolisi dei trigliceridi dei chilomicroni, ma
non della liposintesi in sé. È infatti stato osservato che
anche in mancanza di LPL, infusioni di ASP sono
parimenti lipogeniche.
Ma andiamo un po’ più a fondo per capire cosa attiva la
ASP. L’insulina? Certamente ha un effetto, che è quello
di aumentare la produzione della ASP di circa 3 volte
rispetto a condizioni di normo-insulinemia. In questo
caso però, gli effetti dell’insulina sono stranamente (per
quanto visto finora ci aspetteremmo qualcosa di diverso)
umili rispetto a quelli della presenza di chilomicroni nel
circolo sanguigno: questi infatti possono aumentare
l’attività della ASP fino a 150 volte i valori a digiuno.
Questo ci fa capire che abbassare drasticamente i
carboidrati per elevare altrettanto drasticamente i grassi
dietetici non protegge dalla lipogenesi. Ciò però, come
visto in precedenza, non vuol dire accumulare più grasso,
se si sfruttano sapientemente i meccanismi alla base di
questi processi.
Se vogliamo parlare di calorie, poniamo che si passi da
una dieta normocalorica con 200 g di carboidrati e 50 g di
grassi a una dieta normocalorica con 50 g di carboidrati e
115 g di grassi (pareggiando, quindi, le calorie
dietetiche). Alla lunga, l’organismo inizierà ad ossidare
più grassi e migliorare la capacità mitocondriale di
utilizzare grassi a scopo energetico. Vorrà dire che nel
momento in cui andremo a togliere calorie oppure
aumentare i carboidrati e ridurre i grassi in concomitanza
con l’allenamento, il corpo sarà in grado di dirottare
maggiormente glucosio verso il tessuto muscolare
riempiendo il glicogeno utilizzato mentre continuerà a
utilizzare a scopo energetico i grassi. La ciclizzazione
sapiente della dieta ci permette (ancora, ripetiamo) di
nutrire il muscolo e affamare il grasso.

Il dimagrimento dal punto di vista


cellulare
Nel corpo di questa sezione abbiamo capito come alcuni
ormoni agiscano sulla lipolisi, in particolare sul processo
dell’idrolisi dei trigliceridi del tessuto adiposo, parlando
dell’adrenalina e la noradrenalina, dell’insulina e del
peptide natriuretico atriale. Come scritto nel capitolo
relativo alla scissione dei trigliceridi in glicerolo ed acidi
grassi, abbiamo capito che questa avviene tramite
l’azione combinata della HSL e della perilipina. Ma in
che modo questi fattori, legandosi ai recettori presenti
sulla cellula, attivano o inibiscono HSL e perilipina?
Ovvero, cosa accade una volta che si è instaurato il
legame recettore-ligando? La risposta a queste domande è
l’argomento di questo approfondimento.
Un concetto chiave nel capire cosa significa attivare o
inibire un enzima è il fenomeno della fosforilazione. Un
enzima non è che una struttura proteica in grado di
catalizzare (aumentare la velocità) una specifica reazione
biochimica; la fosforilazione altro non è che l’aggiunta di
uno o più gruppi fosfato a questa struttura. A seguito
della fosforilazione, l’enzima in questione cambia
conformazione e passa da uno stato per così dire neutro a
uno stato in cui è potenzialmente capace di fare qualcosa.
L’utilizzo della parola “potenzialmente” non è a caso,
perché, ovviamente, deve essere presente un substrato su
cui agire: per esempio, l’ossido nitrico si forma a partire
dall’arginina per opera dell’enzima nitrossido sintasi,
attivato (tra gli altri) dall’insulina; ma, se l’insulina fosse
alta e mancasse arginina, non verrebbe prodotto molto
ossido nitrico.
Un altro concetto chiave, stavolta per capire come un
ormone, un neurotrasmettitore o qualsiasi sostanza attiva
(dunque anche un farmaco) agisca nel nostro organismo,
è il meccanismo di trasduzione del segnale. Per
trasduzione del segnale si intende il meccanismo tramite
il quale il recettore attivato dal legame con la molecola
segnale, esplica i suoi effetti all’interno della cellula
(trasduce - appunto - gli effetti del ligando). Esistono
diversi tipi di trasduzione del segnale; qui parleremo
esclusivamente di quello in cui i recettori sono accoppiati
a proteine G senza però soffermarci su dettagli troppo
fuorvianti per i nostri scopi: capire cioè gli effetti
lipolitici e antilipolitici sul tessuto adiposo mediati dagli
ormoni sopra citati.
Quando un recettore associato a proteine G viene attivato
(cioè quando il ligando si lega ad esso), queste ultime
possono stimolare (in tal caso si parla di Gs) o inibire (Gi)
specifici enzimi della membrana plasmatica, l’adenilato
ciclasi e la guanilato ciclasi. La prima catalizza la
reazione di formazione di un composto chiamato AMP
ciclico (cAMP) a partire da ATP, la seconda forma cGMP
a partire da GTP. cAMP e cGMP sono molecole che
fosforilano, attivandoli, determinati enzimi cellulari (le
proteine chinasi A e G - denominate PKA e PKG -) che
esplicano successivamente alcuni effetti di nostro
interesse. cAMP e cGMP vengono poi degradati da una
classe di enzimi che prendono il nome di fosfodiesterasi
(PDE). La PDE-3, ad esempio, catalizza la reazione che
porta alla degradazione di cAMP in AMP, la PDE-5
quella che porta alla formazione di GMP da cGMP.
Cosa succede nella cellula adiposa? Le PKA fosforilano
la lipasi sensibile agli ormoni (HSL), che si attiva e si
avvicina alla gocciola lipidica, e la perilipina, che
permette l’ancoraggio della HSL creando degli accessi
sul coagulo di trigliceridi. Le PKG fosforilano la HSL ma
non la perilipina: il che vuol dire che la sola attivazione
della PKG non provoca lipolisi, dal momento che la lipasi
non può agire sulla gocciola lipidica. Detta così, non ha
alcuna correlazione con tutto quanto detto all’interno del
capitolo. Ecco quello che completa il quadro:
● I recettori adrenergici alfa-2 sono associati a
proteine G inibitorie (Gi): legandosi a questi
recettori, adrenalina e noradrenalina provocano
all’interno della cellula l’inibizione della adenilato
ciclasi e quindi scarsa produzione di cAMP a
partire da ATP. La HSL e la perilipina non
vengono attivate, per cui l’effetto netto è
antilipolitico.

● I recettori adrenergici beta-2, al contrario,


sono associati a proteine G stimolatorie (Gs):
l’effetto di adrenalina e noradrenalina è quello di
aumentare il cAMP cellulare, con conseguente
attivazione della PKA che attiva HSL e fosforila la
perilipina; l’effetto è dunque quello di stimolare la
lipolisi.

● I recettori per il ANP sono associati a proteine


G stimolatorie, che stimolano però la guanilato
ciclasi: quando il ligando si lega al recettore, il
cGMP cellulare aumenta fosforilando la PKG, che
attiva la HSL (ma non influisce sulla perilipina).
E l’insulina? Come mai l’insulina inibisce fortemente gli
effetti di adrenalina e noradrenalina? L’insulina è un
potente stimolatore della PDE-3 che, come detto, degrada
il cAMP: per quanto possano essere elevati i livelli di
adrenalina e noradrenalina, il cAMP prodotto sarà
degradato dalla PDE-3 attivata dall’insulina, se
quest’ultima è elevata. Facciamo notare che l’insulina
non ha effetti sulla via mediata dal ANP, ma la lipolisi è
comunque inibita in quanto l’ANP non permette la
fosforilazione della perilipina.
Come nota finale aggiungiamo che alcune sostanze sono
definite lipolitiche proprio per l’azione che hanno su
questi meccanismi: le più note metilxantine (caffeina,
teofillina e teobromina, composti farmacologicamente
attivi contenuti rispettivamente nel caffè, nel tè e nel
cacao) si comportano da inibitori della PDE-3, facendo sì
che i livelli di cAMP cellulari aumentino e così gli effetti
di lipolisi.

Approfondimento. Il
dimagrimento dal punto di vista
molecolare
In un successivo approfondimento all’interno della
sezione allenamento parleremo estensivamente di AMPK,
di come essa sia regolata e di che effetti induca nella
cellula. AMPK è una molecola che rientra in un gruppo
più ampio di proteine cellulari che agisce come sensore
dell’energia cellulare ed effettore dei processi metabolici.
Vale a dire che in base all’energia che sta entrando,
uscendo o restando (sotto forma di accumuli di glicogeno,
per esempio) dalla cellula, questo gruppo di molecole
segnala alla cellula i cambiamenti che deve mettere in
atto per usare, recuperare o smaltire quell’energia. Capite
bene che se potessimo agire sul tessuto adiposo a questo
livello segnalando alla cellula di utilizzare energia dal
grasso avremmo esaudito tutti i nostri desideri. Possiamo
farlo? Non proprio direttamente, ma possiamo avere
qualche speranza e - ancora una volta - sfruttare una
strategia dietetica che si basi sull’alternanza di nutrienti e
carboidrati (e qui aggiungiamo anche: grassi) è utile a
questo scopo. Ma andiamo con ordine e introduciamo i
PPAR - recettori attivati dai proliferatori dei
perossisomi. Non vi spaventate, renderemo tutto più
semplice di questo nome.
I PPAR sono dei fattori all’interno della cellula che
interagiscono con il nucleo, regolano quindi i processi
cellulari (anche) a livello dell’espressione genica: vale a
dire che inducono la codifica di geni per particolari
complessi proteici. A noi cosa interessa? I PPAR
inducono la cellula a costruire nuovi enzimi per il
metabolismo dei grassi; inoltre, nel processo di
differenziazione degli adipociti (da pre-adipociti ad
adipociti a tutti gli effetti) fanno virare la stessa verso la
produzione di adipociti più simili a quelli del tessuto
adiposo bruno, quello che spreca energia sotto forma di
calore; infine, altra cosa interessante, aumentano gli
effetti dell’IGF-1 a livello cellulare e questo sul tessuto
muscolare significa maggiore sintesi proteica. La cosa
adesso si fa più interessante e tutti vorreste attivare i
PPAR. Come si fa?
I PPAR si attivano assieme e tramite i loro coattivatori,
PGC - coattivatori dei PPAR - e questi sono attivati da
alcune cose che abbiamo già incontrato:

1. restrizione calorica (energetica)


2. restrizione glucidica
3. alimentazione “iper”lipidica

(il termine “iper” è vago; quanto iper è iper? Prendiamoci


semplicemente il fatto che: a parità di condizioni,
elevando i grassi dietetici si aumenta l’attivazione di PGC
rispetto al livello precedente).
Altri attivatori dei PGC e dei PPAR sono specifici per
essi: esistono classi di farmaci, come quelli per il
trattamento del diabete o le dislipidemie, che agiscono su
di essi; esistono anche integratori utili in tal senso, ad
esempio i lignani naturalmente presenti in alcuni alimenti
(semi di sesamo e l’olio che se ne deriva). Ma anche gli
acidi grassi polinsaturi, gli omega-6, l’acido
arachidonico, l’acido linoleico e suoi metaboliti possono
attivare PGC e PPAR. La cosa più importante però è che
per attivarli ci si può basare su un’alimentazione molto
spostata sui lipidi, specie in certi momenti. Torniamo
nuovamente al nutrire il muscolo e affamare il grasso.
Durante i periodi di restrizione energetico-glucidica
sarebbe bene assumere pasti sbilanciati verso i grassi così
da attivare potentemente quei meccanismi già attivati
dalla restrizione calorica in sé.
Da questo traiamo anche che fare una low carb è diverso
da fare una low carb high fat. Quest’ultima predispone
maggiormente l’organismo a costruire enzimi e fattori
che saranno in futuro utili per potenziare l’ossidazione
dei grassi, migliorare la flessibilità metabolica e quindi
anche la funzionalità dei mitocondri.
Allenamento ed esercizio fisico
Il mondo attuale è fatto di professioni iperspecializzate, cosa molto utile
quando si tratta di lavorare sodo e spolpare un argomento da cima a fondo;
molto meno quando poi bisogna applicare nella realtà pratica queste
conoscenze condensandole in un protocollo che debba mettere in conto tutto
(come quello che presenteremo). Il problema principale è che molti
professionisti non sanno come “collegarsi” tra di loro; la nostra idea è che
tutti debbano conoscere tanto anche se poi fanno poche cose specifiche: se si
limitano a conoscere solo quello che poi andranno a fare, significa che non
hanno neppure capacità di unire i puntini. Voi siete qui perché avete capito
l’importanza di integrare le cose, che non esiste una dieta per dimagrire se
non c’è allenamento, così come non esiste un allenamento per dimagrire se
non c’è dieta (ma anche integrazione, stile di vita, riposo, relax, gestione
dello stress…).
Nell’acquistare questo manuale, quindi, avete acquistato tutto ciò che serve
sapere per mettere a punto un protocollo di dimagrimento e ricomposizione
corporea che funzioni, concepito per non essere scorporato ma in modo che
dieta, allenamento (ed eventuali integratori) vengano assegnati proprio
seguendo i princìpi proposti. Detto questo, iniziamo a capire perché
l’allenamento è essenziale per il dimagrimento e perché potete scordarvi il
dimagrimento senza adeguate dosi di esercizio fisico (per lo meno: si può
perdere peso ma non in maniera sana e certamente non a lungo termine).

Cose da sapere sul tessuto muscolare


Il corpo umano contiene approssimativamente 600 muscoli, che variano
enormemente in volume, dai piccolissimi muscoli che controllano i
movimenti oculari ai più grandi gruppi muscolari delle cosce. La finezza dei
movimenti di tali muscoli dipende dal rapporto tra i motoneuroni che
innervano le fibre che li costituiscono ed il numero delle stesse fibre. Muscoli
grandi in grado di generare grandi trazioni con poca precisione hanno un
rapporto molto basso (circa 1/1000), mentre i precisissimi muscoli oculari
hanno innervazioni molto più fitte (fino ad 1/10). L’innervazione è inoltre
differente per differenti tipi di fibre, cosa che spiega perché alcune sono
notoriamente più forti di altre.
Il muscolo è composto principalmente da acqua (circa il 70% del peso),
secondariamente da proteine (22-25%) ed infine da trigliceridi intramuscolari
e glicogeno (3-5%). Sicuramente sapete che per accrescere la massa
muscolare è opportuno aumentare l’introito proteico; sapete anche che alcuni
mangiano proteine a dismisura perché per loro, pensando che il tessuto
muscolare sia tutto proteine, più ne mettono e più ne costruiscono. Se fosse
così semplice saremmo tutti forti, magri e muscolosi. Tra l’altro, come
appena detto, il componente principale del muscolo l’acqua, quindi la
formula più ne metti più ne trovi non è applicabile. I meccanismi alla base
della sintesi proteica che porta all’accrescimento del tessuto muscolare sono
tutt’altro che semplici e scontati. In seguito cercheremo di capirli in maniera
concisa e utile per quello che serve in questa sede.

Tipi di fibre muscolari


I tipi di fibre muscolari principali sono tre: di tipo I, IIa e IIb. Anche se per
completezza descriveremo i tre tipi di fibre, dopo averlo fatto non faremo la
distinzione tra fibre di tipo IIa e IIb, indicandole semplicemente come fibre di
tipo II.
Le fibre muscolari di tipo I (o a contrazione lenta o rosse) al microscopio
risultano di colore rosso per via degli alti livelli di mioglobina, indispensabile
per il trasporto di ossigeno. Possono essere ritenute fibre resistenti alla fatica,
coinvolte in esercizi fisici di resistenza (endurance; da non confondere con
esercizi contro resistenza, ovvero con i pesi). Queste fibre utilizzano
preferenzialmente FFA come fonte energetica, si affaticano lentamente ma
non sono in grado di generare molta tensione, e sono poco soggette
all’ipertrofia (crescita).
Le fibre muscolari di tipo IIb (o a contrazione rapida o bianche) al
microscopio risultano bianche, perché presentano bassi livelli di mioglobina.
Sono in grado di generare molta forza ma per tempi molto brevi e hanno
un’ottima capacità di crescita. Il combustibile che usano è principalmente
glicogeno, con conseguente produzione di lattato (acido lattico).
Le fibre muscolari di tipo IIa sono intermedie tra le due appena descritte;
hanno dunque caratteristiche intermedie tra quelle delle une e quelle delle
altre.
Da notare che le definizioni “lente” o “veloci” non si riferiscono al tipo di
contrazione che viene generata o alla quale le fibre di tipo I e le fibre di tipo
II si attivano. Semplicemente, dal punto di vista fisiologico le fibre lente si
definiscono tali perché generano la massima forza di contrazione in un tempo
superiore a quello impiegato dalle fibre veloci, precisamente 100 millisecondi
(0.1 secondi) contro 25-50 millisecondi. Non confondete però questi effetti
microscopici con quello che vedete macroscopicamente: se prendete un
maratoneta durante una maratona e un sollevatore durante un sollevamento
massimale, il primo starà facendo affidamento sulle fibre di tipo I e il
secondo su quelle di tipo II; eppure, il primo batte i piedi sul terreno in modo
rapido, il secondo sembra avere velocità zero nel suo sforzo massimale.
È più pratico, per classificare il tipo di sforzo muscolare, basarsi sulla
protraibilità dello sforzo stesso: per quanto tempo quella persona potrebbe
protrarre quello sforzo? Oltre i 20 minuti per uno sforzo aerobico prettamente
ossidativo, tra 2-5 minuti e 10-20 minuti sforzo aerobico glicolitico, tra 10-20
secondi e 60-120 secondi sforzo anaerobico lattacido (basato sul glicogeno),
sotto i 10-20 secondi sforzo anaerobico alattacido (basato sui fosfati
energetici).
La qualità delle fibre reclutate durante un movimento, comunque, non
dipende dalla velocità del movimento stesso ma dalla tensione muscolare
generata. Ci preme tuttavia far notare che, riprendendo il secondo principio
della Dinamica, la forza è uguale alla massa spostata per la velocità alla quale
viene spostata divisa per l’unità di tempo in cui è stato compiuto lo
spostamento. Nel nostro caso, la forza è la tensione muscolare, che è tanto
più grande quanto più la velocità del movimento è elevata. Nell’ambito dei
pesi, dire quindi che un carico pari all’80% del proprio massimale genera una
tensione muscolare pari all’80% della tensione massima, non è corretto.
Teoricamente qualsiasi carico, mosso abbastanza velocemente, può generare
la massima tensione muscolare. In realtà, esiste un carico sotto al quale
questo non è possibile (non c’è tempo per generare quelle tensioni): lanciare
una palla da baseball (pochi grammi) è diverso da lanciare un peso del lancio
del peso (circa 7 Kg) che è ancora diverso dallo spingere il più velocemente
possibile un bilanciere caricato con 2 volte il proprio peso corporeo. Ma in
questa sede e in ottica dimagrimento e ricomposizione corporea e non di
massimo miglioramento della performance in quegli sport, ci interessano
poco queste differenziazioni.
Un dettaglio che invece può interessarci è quello che vede il reclutamento
della varie fibre muscolare proporzionalmente alla magnitudine della
tensione, secondo il “Size Principles”: man mano che l’intensità aumenta,
vengono reclutate dapprima le fibre di tipo I, poi le fibre di tipo IIa ed infine
quelle di tipo IIb, secondo lo schema seguente:
● per intensità inferiori al 20% della tensione massima, sono reclutate
solo le fibre di tipo I;
● per intensità superiori al 20%, iniziano ad intervenire le fibre di tipo
IIa, massimamente reclutate per contrazioni attorno al 75-80% della
tensione massima;
● le fibre di tipo IIb vengono reclutate per intensità a partire dal 60-
65%, con un picco all’85%;
● sforzi che generano tensioni muscolari superiori all’85% della
tensione massima, reclutano tutti i tipi di fibre muscolari.
A livello pratico però non possiamo sapere precisamente la tensione
intramuscolare generata, e le cose si complicano per movimenti complessi. Se
mettete un carico pari all’80% del massimale in un esercizio come il Back
Squat con bilanciere, nel gluteo potrebbero esserci tensioni del 60% della
tensione massima esprimibile da quel muscolo, negli ischiocrurali del 90%.
Per questo motivo è per noi conveniente considerare tutto il corpo come una
sorta di sincizio che opera per fare movimenti; in tal senso ci basti guardare -
ripetiamo - alla protraibilità del gesto: successivamente parleremo di RPE per
capire dove ci si piazza in termini di tensione intramuscolare. Andiamo
adesso a descrivere i vari metabolismi energetici durante l’esercizio; lo
facciamo per avere dei punti cardine su cui imparare a ragionare senza
sbagliare. Capirete a breve perché.

Metabolismo energetico del tessuto muscolare


Come detto nelle sezioni precedenti di questo manuale, l’unica vera fonte
energetica per le cellule è l’ATP. Durante la contrazione muscolare, l’ATP
presente nei muscoli viene degradato ad ADP (viene perso un fosfato): l’ATP
conservato nei muscoli garantisce energia sufficiente per generare una
contrazione di circa 6 secondi. Come è possibile allora sostenere sforzi più
duraturi? Semplice: l’ATP, grazie a quattro diversi sistemi energetici che
illustreremo, viene rigenerato a partire dall’ADP con l’aggiunta di un fosfato.
Capire quando l’organismo si basa principalmente sull’uno o l’altro sistema è
importante per non incappare in errori di malinterpretazione in cui si cade
spesso. Bisogna innanzitutto precisare che l’organismo si basa
principalmente su un sistema e non del tutto su quel sistema, in qualsiasi tipo
di sforzo. Secondariamente, bisogna distinguere gli effetti microscopici da
quelli macroscopici, quelli a breve e quelli a medio/lungo termine: se il
muscolo, ad esempio, si basa sul metabolismo del glucosio (attingendo al
glicogeno) per un certo sforzo, non vuol dire che tra uno sforzo e l’altro stia
utilizzando glucosio (cosa utile da sapere quando si tratta di ciclizzazione
dietetica ed esercizio fisico).
L’altra premessa da fare è quella relativa al fattore che determina se il
muscolo utilizzerà le sue riserve interne o potrà fare affidamento a quelle
sistemiche; questo fattore è dato dall’intensità della contrazione. Ogni
contrazione muscolare sopra il 20% della tensione massima sopportabile dal
muscolo genera una vasocostrizione che inibisce praticamente il flusso
sanguigno al muscolo stesso, il quale, per produrre energia, deve affidarsi alle
sole scorte in esso presenti (riserve di ATP, glicogeno, trigliceridi
intramuscolari, aminoacidi); naturalmente, terminata la contrazione l’ATP
viene rigenerato anche grazie alle riserve sistemiche (glucosio, aminoacidi ed
acidi grassi liberi circolanti).
Ed è questo il motivo per cui dovete stare attenti, al momento della
classificazione dei vari sport, a non incappare in confusione: come già detto,
se si esegue uno sforzo massimale o quasi, come per un allenamento di forza
in palestra in cui si eseguono diverse serie, il muscolo utilizza i fosfati
energetici e un po’ di glicogeno, questo non vuol dire che tra una serie e
l’altra (quando ci si riposa) il muscolo non inizi a utilizzare più acidi grassi
(come fa quando è a riposo). State attenti a queste differenziazioni.
Sistema dell’ATP-CP
Il sistema dell’ATP-CP o dei fosfati energetici è utilizzato per attività fino a
20 secondi di durata, in cui l’organismo utilizza quasi esclusivamente le
riserve di ATP e di creatina fosfato (CP). La resintesi di ATP avviene a
partire dall’ADP, a cui la creatina fosfato dona un fosfato per opera
dell’enzima creatina fosfato chinasi (CPK) con produzione di creatinina (che
viene eliminata con le urine). Conoscete la CPK anche come marker
dell’infarto miocardico, e il motivo è relativo proprio al meccanismo appena
descritto: con ridotto afflusso di sangue al cuore, le cellule cardiache lavorano
in carenza di ossigeno affidandosi al sistema ATP-CP e incrementando i
livelli di CPK.
Il sistema dei fosfati è utilizzato per contrazioni di intensità massimale e
molto brevi (ad esempio nel sollevamento pesi e negli sprint) e non richiede
la presenza di ossigeno: per questo motivo le attività fisiche che usano
prevalentemente questo sistema possono essere definite anaerobiche
alattacide.
La produzione di creatinina che consegue all’utilizzo del sistema ATP-CP fa
sì che soggetti che praticano sport di potenza o comunque allenamenti intensi
(e abbiano elevati livelli di massa muscolare) mostrino un range di creatinina
ematica e urinaria tipico, che non deve far allarmare. La norma per chi pratica
questo tipo di allenamenti e/o ha buone masse muscolari è 1-1.75 mg/dL;
tendenzialmente il Professionista che vede questo valore consiglia due cose:
● abbassare le proteine dietetiche
● eliminare eventuali integratori (creatina, proteine in polvere)
senza alcun razionale. La creatinina plasmatica in queste persone è elevata
per via degli allenamenti e per gli elevati livelli di massa muscolare. Non
fatevi impressionare da valori più elevati di un normale riferito a soggetti con
altro stile di vita e altra stazza.
Glicolisi anaerobica
Per attività di durata compresa tra i 20 ed i 60 secondi, l’organismo utilizza i
carboidrati di deposito (glicogeno) per ricavare ATP. Le attività di questo
tipo, non protratte generalmente oltre i 60 secondi, sono di intensità tale da
richiedere al muscolo di affidarsi alle sue sole scorte energetiche, dunque la
glicolisi anaerobica avviene in assenza di ossigeno. Durante questo processo
il piruvato proveniente dalla glicolisi, in assenza di ossigeno, non può entrare
nel ciclo di Krebs, e viene convertito in lattato o acido lattico. L’acido lattico
determina un abbassamento locale del pH nei tessuti e la conseguente
sensazione di bruciore che accompagna degli sprint superiori ai 20 secondi di
durata o delle serie lunghe con i pesi (nel range 12-20 ripetizioni).
Glicolisi aerobica
Per attività sostenibili oltre il minuto, l’intensità non è così alta da provocare
contrazioni muscolari in grado di inibire il flusso ematico al muscolo, dunque
la resintesi di ATP avviene in presenza di ossigeno: per attività inferiori ai 20
minuti di durata, si parla di glicolisi aerobica. Nella glicolisi aerobica il
glucosio (proveniente dal glicogeno muscolare ed epatico) viene
completamente ossidato ed il piruvato può entrare nel ciclo di Krebs e
produrre ulteriore ATP.
Lipolisi aerobica
Per attività di durata superiore ai 20 minuti, l’organismo si affida alla lipolisi
aerobica, cioè alle riserve di lipidi da cui ricava gli acidi grassi per produrre
ATP.
Le nozioni di Fisiologia riguardanti glicolisi e lipolisi aerobiche sono spesso
usate erroneamente nell’espressione “i primi 20 minuti di attività si bruciano
solo carboidrati”, senza effettivamente capire cosa si sta dicendo. Facciamo
notare che il glicogeno viene utilizzato per attività inferiori ai 20 minuti e
(attenzione qui) con questo si intende per attività non protraibili oltre i 20
minuti. L’intensità, infatti, è ancora abbastanza elevata perché il corpo utilizzi
glucosio e non acidi grassi per la produzione energetica, per motivi di
convenienza energetica. Gli acidi grassi infatti sono usati prevalentemente dal
muscolo a riposo o impegnato in attività ripetibili per oltre 20 minuti: in tal
caso l’intensità è bassa al punto da permettere all’organismo di avere il tempo
di utilizzare i grassi come combustibile (dal momento che questi, come
abbiamo imparato nella sezione precedente, devono dapprima essere
mobilizzati, poi trasportati e infine ossidati). Stressiamo inoltre sul concetto
che la distinzione non è così netta: non accade che, passata una certa
percentuale di intensità, si passi dall’utilizzo prevalente di acidi grassi a
quello prevalente di glucosio. Le percentuali relative di utilizzo dei substrati
energetici sono distribuite su un continuum.
Giusto per togliere ogni dubbio, durante una corsa a bassa intensità
(protraibile oltre i 20 minuti), l’organismo consuma preferenzialmente acidi
grassi: quasi il 100% per attività inferiori al 65% della frequenza cardiaca
massima. L’idea che si brucino i grassi solo passati 20 minuti dall’inizio
dell’attività è assolutamente senza senso: come se in quel preciso istante,
mantenendo invariata l’intensità, l’organismo guardasse l’orologio e
cambiasse il sistema energetico utilizzato. State attenti, quindi, a non
confondere le basi della fisiologia che vi servono per capire la realtà, con ciò
che accade in realtà a livello macroscopico. In merito ai sistemi energetici,
abbiate sempre a mente la protraibilità dell’esercizio: se un gesto è
protraibile per più o meno di un certo intervallo di tempo (intervalli descritti
su) allora si può stabilire che sistema energetico il corpo sta utilizzando, e
non bisogna fare il contrario, cioè partire da quanto tempo è stato eseguito un
certo gesto per comprendere il sistema energetico.

Fisiologia dell’esercizio e risposta


dell’organismo
Per quanto immenso e complicato sia il mondo dell’allenamento, l’esercizio
fisico può essere diviso sostanzialmente in due categorie: aerobico e
anaerobico. Il secondo tipo contiene l’allenamento contro resistenza (cioè con
i pesi) e l’interval training. L’allenamento aerobico comprende tutti quegli
esercizi che vengono eseguiti dall’organismo in presenza di ossigeno,
sfruttando dunque i sistemi energetici aerobici prima discussi. L’allenamento
anaerobico comprende quegli esercizi che vengono effettuati in condizioni di
anaerobiosi (senza ossigeno) ed i cui sistemi energetici sono quelli dell’ATP-
CP e della glicolisi anaerobica. Di seguito li analizzeremo più nel dettaglio
uno ad uno. Questo ci interessa in ottica di dimagrimento e ricomposizione
corporea per capire quali scegliere per nutrire il muscolo e affamare il grasso
nel migliore dei modi.

Allenamento aerobico per dimagrire


Se guardiamo l’organismo dal mero punto di vista energia in ingresso ed
energia in uscita, l’allenamento aerobico potrebbe essere proposto per
dimagrire solo per ampliare l’entità del deficit energetico creato con la dieta.
Che cosa significa ampliare l’entità del deficit energetico? Sempre secondo
energia IN vs energia OUT, per perdere peso bisognerebbe fare in modo che
l’energia che entra con la dieta sia inferiore a quella che esce (viene
utilizzata) con le attività quotidiane. In quest’ottica vorremmo dunque creare
un deficit energetico: l’equazione energia in entrata meno calorie in energia
dovrebbe dare un risultato negativo. Ci sono tre modi in cui questo può essere
ottenuto:
1. diminuire l’energia in entrata, agendo sulla dieta;
2. aumentare l’energia in uscita, agendo sull’attività fisica;
3. modificare entrambe, agendo sia sulla dieta che sull’attività
fisica.

Poiché l’attività aerobica utilizza prevalentemente acidi grassi, in modo


simile a quanto avviene a riposo, teoricamente diminuire l’energia della dieta
o aumentare l’attività aerobica porta allo stesso risultato: quello di utilizzare
in maggior misura il tessuto adiposo per ricavare energia. Una delle prime
annotazioni da fare è che, nonostante questo funzioni bene dal punto di vista
teorico, nella realtà è spesso più conveniente non ridurre eccessivamente
l’introito energetico, ma agire sull’esercizio fisico. Questo ha a che fare con i
meccanismi visti molte pagine fa, per quanto riguarda la leptina, la grelina e
tutti quei fattori che regolano il comportamento alimentare.
Tutte le altre annotazioni derivano dal fatto che non si può considerare
l’organismo dal mero punto di vista energia IN vs energia OUT (e
sicuramente non dal punto di vista calorie IN vs calorie OUT). Fare attività di
tipo aerobico è un grosso spreco di risorse, questo perché:
● se fatta per migliorare il metabolismo e la flessibilità metabolica
(capacità mitocondriale ossidativa), occorrerebbe tenere frequenze
cardiache troppo elevate troppo a lungo per la maggior parte degli
utenti;
● anche se fa aumentare l’utilizzo dei grassi a scopo energetico,
parliamo di pochi grammi in più a settimana;
● è facile sbagliare e farne troppa; al di là del contesto
atletico/sportivo in cui a volte si ricerca un certo grado di
overreaching, nel caso di dimagrimento questo può essere deleterio
attivando la risposta cronica allo stress con tutte le conseguenza
negative del caso.
La migliore indicazione per fare attività aerobica in un contesto di
dimagrimento, ricomposizione corporea e miglioramento del metabolismo è
quella di farne pochissima rispetto a quanto si crede generalmente sia
necessario. Bastano 10-20 minuti, perché questo permette già di staccare
dalle attività quotidiane o da un eventuale sovraccarico dato dall’altro tipo di
attività (quella anaerobica), ossigenare e migliorare la respirazione
diaframmatica. Se state obiettando “Ma in 10 minuti neppure ci si scalda” il
senso in questa sede non è aumentare i battiti o il dispendio energetico, ma
proprio migliorare la respirazione e in un certo senso il relax: dandoci dentro
con l’attività anaerobica si potrebbe creare una situazione di costante
attivazione dell’SNS che piccoli momenti di break possono compensare.
Potrebbe essere dello stretching, lo yoga, il pilates, il risultato non
cambierebbe: il senso dell’attività aerobica, se proprio la si vuole inserire, è
quello appena descritto.
Metabolismo energetico e soglia del lattato
L’allenamento aerobico è per definizione un tipo di allenamento che viene
eseguito in condizioni di aerobiosi, cioè con ossigeno a sufficienza per
utilizzare i sistemi energetici aerobici. Poiché nell’allenamento aerobico è
coinvolto in larga misura il sistema cardiovascolare (da cui la comune
definizione di allenamento “cardio”), la sua intensità è generalmente misurata
con riferimento alla frequenza cardiaca. Questa, perché il lavoro sia aerobico,
ovvero l’apporto di ossigeno sia tale da permettere di non entrare nella
glicolisi anaerobica, deve essere mantenuta al di sotto di un certo valore che
viene indicato come soglia del lattato.
La soglia del lattato rappresenta l’intensità massima sopra la quale l’esercizio
fisico non può essere mantenuto per lunghi periodi di tempo, ma soltanto
finché le scorte energetiche locali - non sistemiche - possono garantire un
adeguato ripristino energetico muscolare. Il nome deriva dal fatto che sopra
una certa frequenza cardiaca, si passa al metabolismo glicolitico anaerobico e
la produzione di lattato supera la capacità dell’organismo di smaltirlo: nei
muscoli si accumula acido lattico che inibisce la contrazione e l’attività fisica
non può essere protratta a lungo.
La frequenza cardiaca alla quale si identifica la soglia del lattato varia da
individuo ad individuo e, nello stesso individuo, in maniera dipendente
dall’allenamento: vale a dire che è allenabile, spostandosi verso l’alto. I
sedentari mostrano infatti una soglia del lattato attorno al 65% appena della
frequenza cardiaca massima (FCmax), mentre in soggetti molto allenati può
arrivare al 90-95%. Per comodità pratica, prendiamo la media e
semplifichiamo le cose: definiamo allenamenti aerobici quelli in cui la FC è
inferiore al 75-80% della FCmax, anaerobici quelli in cui è superiore. Sempre
per semplificare le cose, consideriamo la FCmax pari a 220 meno l’età in anni.

Per quanto riguarda i substrati energetici utilizzati, durante l’allenamento


aerobico il combustibile principale è costituito dagli acidi grassi liberati dalla
degradazione dei trigliceridi sia del tessuto adiposo che quelli presenti nel
tessuto muscolare. Ovviamente il cambiamento nell’utilizzo dei substrati non
è così netto man mano che l’intensità aumenta: si passa da un utilizzo
prevalente di acidi grassi ad un utilizzo prevalente di carboidrati. Inoltre,
questo è inducibile con la dieta e con l’allenamento: una dieta povera di
carboidrati determina un aumento del consumo di acidi grassi a una
determinata intensità, così come accade con una certa deplezione del
glicogeno muscolare.
Oltre al motivo “relax”, ecco quindi il secondo buon motivo per fare attività
aerobica: indurre potenzialmente un miglioramento dell’attività ossidativa dei
mitocondri. Fare quei 10-20 minuti descritti prima, a digiuno completo o
dopo qualche giorno a pochi carboidrati significa forzare i mitocondri
all’utilizzo di acidi grassi, quindi inducendo tutti quei pathway metabolici
(fattori coinvolti e geni che codificano per essi) a migliorare l’ossidazione dei
grassi. Non serve farla sempre e una volta raggiunta una buona flessibilità
metabolica, si possono tenere 1-2 sessioni a settimana. Questo a patto che
non si vada ad aumentare lo stress sistemico, anche quello psicologico: ci
sono persone che proprio odiano fare cardio; non dovrebbero essere costrette
se non in periodi in cui potrebbe essere realmente utile, la durata dei quali
non dovrebbe superare comunque le 3-6 settimane. Se il risvolto di tenere
questa attività in cronico è un fastidio perenne per un incombente impegno
“devo fare cario”, meglio non farla se non quando strettamente necessario.
Facciamo notare che, nonostante abbiamo distinto i due buoni motivi per fare
attività aerobica (relax e metabolismo ossidativo); non possono essere
realmente disgiunti: aumentare l’ossigenazione mentre i mitocondri vengono
per così dire forzati a un maggiore metabolismo ossidativo… ci fermiamo
qua: avete notato la ripetizione di due termini che hanno a che fare con
ossigeno? Aumentare la capacità di respirare, quindi di captare ossigeno a
livello dei muscoli respiratori, significa aumentare la disponibilità di ossigeno
a livello cellulare e mitocondriale. Se, nel contempo, il mitocondrio sta
richiedendo di aumentare la produzione di ATP a partire dagli acidi grassi, ha
anche bisogno di più ossigeno: con l’attività di questo tipo, quindi, si agisce
sui due fronti aumentando la disponibilità di ossigeno e facendo in modo che
questo serva al metabolismo - appunto - ossidativo a livello mitocondriale.
Risposta ormonale all’attività aerobica
Troppo spesso si parla a vanvera della risposta ormonale all’allenamento
cercando di trarne una qualche teoria generale di utilità pratica: non è
concretamente possibile. Si può però ragionare con un processo inverso,
distinguendo sempre tra risposta acuta e risposta a lungo termine.
Per quello che a noi serve, basta tutto quanto già descritto nel capitolo
precedente. Enfatizziamo qui ciò che si può ottenere tramite l’attività
aerobica svolta nel modo suddetto: poiché in questo tipo di attività
l’organismo si mette in moto per fornire alle cellule substrati da cui produrre
energia, va da sé che nel tempo vengano potenziati quei pathway che fanno in
modo che a partire da substrati complessi (proteine, glicogeno, grassi) si
produca ATP.
Vengono cioè messi in circolo ormoni e fattori deputati alla mobilizzazione
di energie e vengono inibiti quelli che ne stimolano il deposito. Dunque, la
produzione insulinica si riduce ed aumenta quella delle due catecolamine che
ormai conoscete, adrenalina e noradrenalina, del cortisolo, del glucagone e
del GH. Se in acuto tutto questo significa maggiore mobilizzazione di acidi
grassi, in cronico significa questo unito a maggiore mobilizzazione anche di
proteine tissutali e scorte di glicogeno: forse sapete già dove stiamo andando
a parare, ma non vogliamo scadere nel banale, perciò semplicemente
richiamate alla mente quell’immagine che ha fatto il giro del web che
paragonava uno sprinter a un maratoneta. Il primo fa prettamente attività
anaerobica e di tanto in tanto, per brevi momenti, inserisce dell’attività
aerobica (similmente a quanto descritto da noi); il secondo fa prettamente
attività aerobica e il suo corpo massimizza la produzione energetica a scapito
dell’“anabolismo”. Il primo è muscolosissimo, il secondo quasi macilento.

Interval training, HIT e HIIT


Per interval training si intende, come da traduzione letterale, un allenamento
basato sull’alternanza di intervalli di tempo in cui l’esercizio fisico viene
svolto ad elevata intensità ed intervalli in cui viene svolto a mo’ di riposo o
recupero. Negli intervalli di attività intensa, l’intensità è tale da trovarsi al di
sopra della soglia del lattato, in condizioni di anaerobiosi.
Generalmente si parla di HIT (High Intensity Training) o HIIT (High
Intensity Interval Training). Il primo indica un allenamento ad alta intensità,
che può significare tutto e nulla; il secondo è più specifico e indica un
allenamento a intervalli ad alta intensità (proprio come da definizione data a
inizio paragrafo). Questo è il tipo di allenamento che ci piace per garantire
dimagrimento e ricomposizione corporea, in maniera molto efficiente: in
poco è tempo è possibile generare adattamenti muscolari sia nel verso
dell’anabolismo - perché le tensioni intramuscolari raggiunte sono elevate -
sia a livello di metabolismo - perché si raggiungono alte frequenze cardiache
e aumenta il consumo di ossigeno post attività o EPOC -.
La difficoltà nel programmare l’HIIT sta nel fatto che non si può mai ben
sapere a che intensità vera si stia lavorando a meno che non si usi un
cardiofrequenzimetro o una scala differente, basata sullo sforzo che si
percepisce, definita proprio scala dello sforzo percepito o RPE (Rate of
Perceived Exertion). La introduciamo qui proprio perché si confà bene a
questo tipo di allenamenti, mentre sui pesi possiamo sempre utilizzare con
buona approssimazione meramente il carico sul bilanciere, come vedremo nei
paragrafi successivi.
Scala dello sforzo percepito
Ideata dal Dott. Borg, la RPE va da un valore di 6 (corrispondente a circa 60
battiti al minuto - bpm) ad un valore di 20 (200 bpm), basandosi in qualche
modo sulla frequenza cardiaca. Successivamente, il Dott. Borg ideò un’altra
scala, più facilmente applicabile allo sforzo percepito in generale e non solo
come aumento della frequenza cardiaca, chiamata CR-10®. Qui presenteremo
la CR-10 ma, poiché in giro si parla di sforzo percepito attribuendo ad esso
non la scala originale (la RPE) bensì la CR-10, faremo lo stesso anche qui.
Parleremo dunque non di un RPE da 6 a 20, ma di un RPE da 0 a 10. La
bontà di questa è che può applicarsi, dopo un po’ di pratica, anche
all’allenamento con i pesi; ci vuole un po’ di consapevolezza del proprio
corpo in quanto un RPE di 8 potrebbe essere attribuito a una serie lunga ma
con basso carico così come a una serie corta ma con carico più elevato.
L’RPE indica quanto è impegnativa una serie in una certa situazione. A
differenza della percentuale rispetto alla ripetizione massimale, l’RPE
consente di settare il carico in maniera più soggettiva. Poniamo che l’85% del
carico massimale dello stacco da terra sia 130kg. Poniamo anche capiti una
giornata stressante al lavoro o magari (nel caso del gentil sesso) ci si trovi nel
periodo di sindrome pre mestruale o qualunque altro motivo che comporti
delle condizioni psicofisiche non al massimo. Quei 130kg non saranno più
percepiti come un 85% ma molto più intensi. Dunque, l’RPE insegna a
percepire meglio il proprio corpo, consente una forma di autoregolazione
impostando il carico in base alla percezione interna.

Scala CR-10® di Borg


RPE Sforzo Commenti Corrispondenza
stimata % FC
0 Nullo
0,5 Estremamente
debole
1 Molto debole Stare seduti/In piedi < 60%
2 Debole
3 Moderato Camminare/Esercizio
leggero
4 70%
5 Intenso 75-80%
6 80-85%
7 Molto intenso Esercizio quasi al 85-89%
limite
8 89-93%
9 93-96%
10 Estremamente Impossibile andare > 96%
intenso oltre

Per intenderci, correlando questa scala all’esercizio fisico, uno sforzo al di


sotto di un RPE di 3 non è significativo, un RPE di 3-4 equivale al cardio
medio-blando che si fa comunemente per dimagrire (detto anche in fascia
lipolitica), che ora sappiamo non andrebbe fatto per quel motivo; un RPE di
5-6 coincide approssimativamente con un’intensità vicina alla soglia del
lattato, un’attività mantenibile dunque per circa 20 minuti; in lavori ad
intervalli, un RPE di 7-8 è quello percepito per sprint eseguibili per circa 30-
45 secondi, un RPE di 9 o addirittura 10 (come nei 100 metri) lo è per circa
10 secondi.
Metabolismo energetico nell’Interval Training
Nell’interval training i sistemi energetici utilizzati sono quelli anaerobici,
quindi il sistema ATP-CP e quello della glicolisi anaerobica, in dipendenza
dall’intensità e dalla durata dello sforzo. Per sforzi molto brevi, inferiori ai
10-20 secondi, il glicogeno muscolare è poco utilizzato mentre c’è grande
deplezione delle riserve di CP e di ATP (la creatina fosfato può esaurirsi
completamente, mentre l’ATP scende a un minimo dell’80% rispetto ai livelli
basali). La CP è generalmente ripristinata quasi in toto (oltre il 95%) in 3-4
minuti, ma questo non vuol dire che lo sia la capacità di generare forza, che
dipende dal sistema neuromuscolare nel suo complesso (informazione più
utile per quanto riguarda l’allenamento con i pesi).
Questo ci fa introdurre il concetto di un affaticamento non solo biochimico ed
energetico ma nervoso e neuromuscolare: se fate fare un massimale oggi a chi
ha buoni carichi, o uno sprint a chi ha buoni tempi, domani (o addirittura tra
una settimana o due) non riuscirà a ripetere quella prestazione. Il suo sistema
nervoso non riuscirà a garantire il firing rate ottimale per esprimere quella
tensione muscolare e quindi la forza/potenza necessaria per ripetere la
prestazione: le attivazioni delle fibre muscolari utili per quello sforzo non
saranno così elevate e i muscoli saranno lenti in termini di contrazione (come
detto, sono le fibre veloci a farsi carico di questi sforzi; ma di base deve
esserci un sistema nervoso efficiente e fresco che le attivi).
Risposta ormonale ed effetti lipolitici
La risposta ormonale a seguito dell’interval training è grosso modo simile a
quella che si riscontra nell’allenamento con i pesi. Essendo però un
allenamento generalmente più lattacido - sui pesi, come vedremo, in ottica
dimagrimento sarà bene andare su alti carichi che coinvolgano il sistema
ATP-CP, oltre che fare serie lattacide -, l’abbassamento del pH dovuto
all’accumulo di lattato provoca una maggior produzione di GH, il cui pulse
determina successivamente effetti lipolitici. L’elevata intensità degli sprint
genera inoltre una molto più marcata produzione di adrenalina e
noradrenalina, che come abbiamo visto determinano effetti lipolitici.
Capite bene che se una persona vuole dimagrire e proprio vuole andare a
correre, è sbagliato che utilizzi l’attività aerobica piuttosto che l’interval
training al fine di aumentare la lipolisi. Purtroppo c’è gran confusione, perché
viene spesso ripetuto che solo l’attività aerobica a ritmo blando sia in grado
di stimolare a dovere la lipolisi. È vero che ad una FC inferiore al 60-65%
della FCmax il substrato energetico utilizzato dall’organismo durante l’attività
è costituito quasi del tutto da acidi grassi, ma è anche vero che c’è una
significativa messa in circolo di FFA dopo gli sforzi intensi. Adrenalina e
noradrenalina provocano l’idrolisi dei trigliceridi del tessuto adiposo, ma gli
FFA non entrano in circolo fintanto che il lattato non è stato smaltito, come
se l’acidità provocasse una sorta di effetto di intrappolamento degli acidi
grassi nell’adipocita. Infatti, non appena termina lo sforzo, grandi quantità di
FFA vengono riversate nel torrente ematico per essere destinate
all’ossidazione e alla re-sintesi dell’ATP.
Ricordate poi quanto detto sulla differenziazione tra quello che succede dal
punto di vista biochimico e quello che si vede macroscopicamente: tra un
intervallo e l’altro, la frequenza cardiaca è elevata mentre il muscolo si sta
riposando e non contraendo, facendo affluire grandi quantità di acidi grassi,
grazie anche proprio alla maggiore gittata cardiaca e la maggiore
ossigenazione. Non considerate una serie di interval training o con i pesi
come qualcosa in cui i cambiamenti della frequenza cardiaca e respiratori si
hanno solo durante lo sforzo: dopo una serie si ha il fiatone perché il sistema,
oltre che smaltire acido lattico, sta tentando di recuperare energia (ATP)
producendola a partire da acidi grassi, che richiedono molto ossigeno.

Allenamento contro resistenza (pesi)


Quando si entra nel mondo dei pesi si inizia a camminare nel terreno palestra,
dove i dominatori assoluti sono Trainer, Istruttori e Proprietari, legati da una
sorta di tradizione secolare di “se lo dice mio cugino...”. Non importa chi stia
entrando in palestra in quel momento, alla fine gli allenamenti vengono
programmati sempre seguendo una Scienza dell’Allenamento che si applica
solo al massimo a Bodybuilding e Sport di Potenza. Qui stiamo parlando di
altro: far dimagrire le persone migliorando la composizione corporea e
integrando tutto questo in un contesto di vita non da sportivi/agonisti e
professionisti dello sport (cioè che con lo sport ci lavorano e ottengono uno
stipendio). Detto questo, descriviamo l’allenamento con i pesi proprio per gli
scopi che serviranno qui.
L’allenamento con i pesi (o contro resistenza) è quel tipo di allenamento
costituito da esercizi in cui si esprime la forza applicandola ad un attrezzo, in
genere un bilanciere o un manubrio. L’intensità viene spesso riferita come
percentuale rispetto all’1 Repetition Maximum (1RM), ovvero lo sforzo
massimo eseguibile per una sola ripetizione di un determinato gesto. Più
specificatamente l’1RM può esprimersi anche come massima contrazione
isometrica volontaria (MVIC) dove il termine isometrico sta ad indicare un
movimento a velocità quasi nulla: se la velocità fosse maggiore, la
componente della forza dovuta all’accelerazione piuttosto che al carico in sé,
sarebbe maggiore.
Il problema di questo tipo di definizione è che molto spesso l’1RM in un dato
esercizio non equivale alla tensione massima muscolare, perché molti fattori
entrano in gioco, come l’attivazione di muscoli sinergici, l’efficienza del
sistema nervoso ad inviare impulsi, l’inibizione dei muscoli antagonisti ed
altri. Però si possono fare buone approssimazioni in modo da poter trasferire
le basi teoriche in applicazioni pratiche. Infatti, in questo contesto, non
parleremo delle differenze in termini di forza che derivano dall’area della
sezione del muscolo o dall’attivazione nervosa, descriveremo semplicemente
diversi tipi di allenamento concentrandoci in particolare sui risvolti in termini
metabolici e ormonali per confluire questo in indicazioni pratiche e
applicabili.
Metabolismo energetico e tipi di allenamento
Ogni contrazione muscolare superiore al 20% della tensione massima
generabile (che approssimiamo, come detto, all’1RM) provoca una
vasocostrizione muscolare che non permette l’accesso dell’ossigeno e dei
nutrienti sistemici: il muscolo, in queste condizioni, lavora in anaerobiosi.
Dunque, i sistemi energetici utilizzati durante l’allenamento con i pesi sono
quelli della glicolisi anaerobica e dell’ATP-CP. In quest’ottica, l’allenamento
con i pesi può essere definito come anaerobico, e può essere sia lattacido che
alattacido.
Nel primo caso, l’allenamento verte su serie abbastanza lunghe (10-20
ripetizioni) che durano 20-60 secondi in cui viene utilizzato il glucosio per la
produzione energetica e ottenuto come sottoprodotto il lattato.
L’abbassamento del pH generato dall’acido lattico determina la sensazione di
bruciore tipica di questo tipo di allenamento. Nota che non si poteva
accantonare: non è l’acido lattico il responsabile dei dolori dovuti
all’allenamento con i pesi che insorgono tardivamente (24-48h dopo), che
prendono infatti il nome di indolenzimenti muscolari ad insorgenza ritardata
(DOMS). Questi sono generati dall’affluenza di sostanze pro-infiammatorie
alle fibre muscolari danneggiate (letteralmente, il sarcolemma, la membrana
delle cellule muscolari, si lacera), soprattutto dopo allenamenti con alta
tensione eccentrica, cioè la parte passiva del movimento, in cui la forza è
utilizzata per rallentare il carico piuttosto che muoverlo attivamente.
L’allenamento anaerobico alattacido è invece caratterizzato da sforzi più
brevi, ma più intensi: serie costituite da un numero di ripetizioni da 1 a 5,
della durata di un massimo di 20 secondi. Il sistema energetico
principalmente utilizzato è dunque quello dei fosfati (ATP-CP): durante una
serie di circa 20 secondi l’ATP può abbassarsi fino all’80% dei livelli basali,
mentre la creatina fosfato può completamente esaurirsi. La CP è ripristinata
in media nel giro di 3-4 minuti, mentre la capacità di generare forza richiede
qualche minuto aggiuntivo perché, come accennato in precedenza, dipende
anche dall’affaticamento accumulato dal Sistema Nervoso.
Risposta ormonale a diversi tipi di allenamento
La premessa da fare è che la risposta ormonale all’allenamento, per lo meno
in termini didattici, è secondaria ad altri fenomeni, per quanto riguarda la
riparazione e la sintesi del tessuto muscolare (processo che sarà discusso in
un successivo paragrafo). L’allenamento con i pesi genera un cambiamento
nella produzione degli ormoni GH, testosterone, IGF-1, adrenalina e
noradrenalina, e cortisolo. Gli ultimi tre sono prodotti principalmente (come
discusso per gli altri tipi di allenamento) per garantire l’utilizzo delle riserve
energetiche; per via delle differenze che possono esserci nella produzione di
GH e testosterone tra un tipo di allenamento piuttosto che un altro, andiamo
più a fondo in questo discorso.
La produzione di GH, come già detto, è ben correlata con quella di acido
lattico. È noto che allenamenti marcatamente lattacidi provochino maggior
produzione di GH. Da notare che, per quanto riguarda la sintesi proteica, il
GH ha blandi effetti indiretti su di essa, tramite l’induzione di un lieve
aumento nella produzione epatica del fattore di crescita insulino-simile 1
(IGF-1). Gli effetti dell’IGF-1 non sono così forti come si crede sulla crescita
delle cellule, in quanto ciò che le induce realmente a crescere/proliferare sono
i fattori di crescita locali dei tessuti.
Per quanto riguarda la lipolisi, invece, un picco di GH ha importanti effetti
lipolitici, che si verificano a qualche ora di distanza dal suo pulse. Alcuni
studi hanno mostrato massima produzione dell’ormone della crescita per
allenamenti con carichi moderati (circa il 75% dell’1RM), serie abbastanza
lunghe (40-60 secondi) e ripetute di uno stesso esercizio, con recuperi brevi.
L’IGF-1, come detto, è prodotto dal fegato sotto stimolazione del GH e con la
condizione che le cellule epatiche siano in uno stato energetico elevato (deve
esserci cioè abbastanza glicogeno); l’azione mediata dal GH sulla produzione
epatica di IGF-1 non è comunque così rilevante. Una isoforma del fattore
insulino-simile è rilasciata dalle fibre muscolari a seguito della lacerazione
del sarcolemma nel microcircolo che circonda le fibre stesse, dove agisce
localmente. La produzione di questo fattore non dipende dal GH o dall’IGF-
1, ma dallo stress meccanico muscolare (e dunque dall’entità della
lacerazione), tanto che gli è stato assegnato anche il nome di fattore di
crescita meccanico (MGF).
Il testosterone, diretto stimolatore della sintesi proteica, pare aumentare con
l’uso di esercizi che coinvolgono gruppi muscolari di grosse dimensioni in
maniera sinergica, con carichi elevati, serie multiple di poche ripetizioni (20-
30 secondi per serie con circa l’85% dell’1RM) e ampi tempi di recupero.
L’aumentata crescita muscolare per aumento del testosterone libero,
comunque, è dovuta più alla sovraregolazione dell’espressione genica dei
recettori per gli androgeni, indotta nei muscoli allenati, piuttosto che
all’aumento in sé dell’ormone circolante, che, tra l’altro, può viaggiare legato
alle proteine di trasporto e quindi non esplicare effetti sulle cellule bersaglio.
Motivo per cui ci piacerebbe poter slegare nel momento opportuno il
testosterone dalle proteine di trasporto. Il momento opportuno è quando i
recettori per gli androgeni (e quindi anche del testosterone) sono
maggiormente espressi sul tessuto che a noi interessa, quello muscolare.
Questo momento coincide con le ore post allenamento e per slegare il
testosterone dalle proteine di trasporto possiamo creare un piccolo picco
insulinico: l’insulina agisce sulle proteine leganti il testosterone,
cambiandone conformazione e rendendole inefficienti nel legame col
testosterone. Quest’ultimo diventa libero di legarsi ai suoi recettori e avendoli
aumentati sul tessuto bersaglio (il muscolo, tramite l’allenamento) tutto
questo ci porta ad avere un anabolismo specifico sul tessuto muscolare.
Sistemi di allenamento con i pesi
Il mondo dell’allenamento con i pesi è costituito da una moltitudine di
approcci che possono differenziarsi in base all’altrettanto elevato numero di
variabili che possono essere modificate per raggiungere un determinato
obiettivo. Di queste variabili, qui ce ne interessano sostanzialmente due: il
volume, che può essere espresso come numero di ripetizioni totali o tempo
sotto tensione (TUT) totale per allenamento, e l’intensità, espressa come
percentuale rispetto ad un certo riferimento (come l’1RM, ad esempio).
Banalmente, il volume si calcola sommando tutte le ripetizioni eseguite (e
sarebbe bene farlo per gruppo muscolare) oppure il tempo sotto tensione,
cosa più precisa ma anche più scomoda; contare le ripetizioni è comunque
una buona approssimazione, per quello che serve a noi: infatti il tempo ideale
per eseguire una ripetizione non serve che venga volutamente variato e viene
regolato a monte dalla scelta del carico. Meglio concentrarsi su come si cerca
di muovere il carico, e l’indicazione utile è: il più esplosivi - ma non
frettolosi - possibile nella fase concentrica, il più fluidi - ma controllati -
possibile nella fase eccentrica. Per l’intensità: il riferimento, come ripetuto, è
sull’1RM.
Attraverso questi due parametri - volume e intensità -, possiamo identificare
diversi tipi di allenamento; quelli che qui presenteremo, utili in ottica
dimagrimento e ricomposizione corporea, saranno tre: allenamento ad alto
volume (di volume o metabolico), allenamento ad alta tensione (o,
brevemente, anche se impropriamente, di tensione o ipertrofia) ed
allenamento ad alta intensità (di potenza o power).
Allenamento di volume “metabolico”
Gli allenamenti ad alto volume sono costituiti dall’utilizzo di molte serie con
molte ripetizioni, medi o bassi carichi e brevi tempi di recupero. Da quanto
detto in questo capitolo, quindi, allenamenti di questo tipo esauriscono le
scorte di glicogeno muscolari, generando grandi accumuli di acido lattico e
massimizzando la produzione di GH. L’adattamento che ne consegue è
l’incremento delle componenti della cellula muscolare deputate a trattenere
energia (aumento della capacità di sintesi di glicogeno) e ad utilizzarla
(aumento dei mitocondri), come sarà chiaro nel paragrafo successivo dedicato
alla sintesi del tessuto muscolare.
Questo tipo di allenamento si è diffuso in ambito Body Building e, per quanto
non abbia alcun fondamento allenarsi esclusivamente con serie ad alto
volume, continua a riscuotere successo (pur senza dare risultati, se non ai più
fortunati). Il motivo dell’epidemia del “No pain, no gain” è stato generato
dall’emulare atleti dai fisici immensi, senza sapere che sotto tonnellate di
muscoli si sono nascoste (e tuttora si nascondono) quantità simili di farmaci.
La triste verità è che un anabolizzante esogeno farmacologico fa aumentare il
tessuto muscolare in una persona che non si allena al pari (o più) di una
persona che si allena; come può non fare esplodere un fisico sottoposto
regolarmente all’allenamento? Il take home message è il seguente: con i
farmaci, si può fare (quasi) tutto ed avere risultati. Senza, bisogna attenersi ad
alcune regole non scritte a caso, ma sia empiricamente che scientificamente
accettate e validate.
Il motivo per cui un allenamento esclusivamente basato su serie ad alte
ripetizioni non può funzionare per incrementare la massa muscolare, è che il
corpo non gestisce bene situazioni in cui vorremmo che portasse avanti due
attività metabolicamente costose (nel capitolo di approfondimento saranno
chiare le cause di questo dal punto di vista biochimico-fisiologico): dopo un
allenamento di volume, l’organismo si preoccupa in primo luogo di re-
sintetizzare i depositi energetici utilizzati, solo successivamente può iniziare a
sintetizzare proteine, se le condizioni sono quelle ottimali. Estendendo, il
volume non è proficuo in periodi di dimagrimento, in cui dovrebbe diminuire
piuttosto che aumentare, a favore dell’intensità, e bisognerebbe puntare al
massimo mantenimento della massa magra, cosa che non accade con
allenamenti ad alto numero di serie e ripetizioni. Vedremo nel paragrafo
relativo alla sintesi proteica muscolare quali sono le condizioni favorevoli per
innescarla.
Tornando agli effetti conseguenti un allenamento di volume, c’è da
aggiungere l’aumento del dispendio energetico dopo l’allenamento, perché
favorisce la produzione di adrenalina e noradrenalina, e l’aumento della
lipolisi operata dal tessuto muscolare, tramite la regolazione dell’attività della
CPT e dalla LPL indotta dalla deplezione di glicogeno.
Allenamento di tensione “ipertrofia”
Gli allenamenti ad alta tensione consistono nell’utilizzo di un numero medio
di serie costituite da un numero di ripetizioni che variano da 6 a 12, tempi di
recupero di durata media ed utilizzo di un carico approssimativamente vicino
al massimo utilizzabile per quel dato numero di ripetizioni. Anche in questo
caso si assiste, nella stragrande maggioranza delle palestre e di chi le
frequenta, a un uso erroneo di questo tipo di allenamento.
Spesso viene cercato in ogni serie il cedimento (condizione in cui non si può
più attivamente sollevare il carico) e, nei casi peggiori, la serie viene
continuata con la tecnica delle ripetizioni forzate (si riceve un aiutino da un
compagno, il minimo indispensabile per procedere). Il problema di questa
procedura è che si genera un grosso stress del sistema neurale deputato alla
contrazione muscolare, che richiede tempi di recupero molto maggiori di
quelli richiesti dai muscoli. L’incapacità di effettuare un allenamento a pochi
giorni di distanza, fa sì che lo stimolo allenante non sia sufficiente per
sostenere la sintesi proteica muscolare. Durante una restrizione energetica, il
cedimento è l’ultima cosa che si dovrebbe cercare: poiché per dimagrire bene
si cerca di minimizzare la perdita muscolare, si andrebbe proprio contro
questo scopo.
Ricordatevi sempre “il contesto è tutto”: non abbiamo detto che le tecniche
descritte siano sbagliate, ma che in ottica di miglioramento della
composizione corporea e in persone comuni, sono semplicemente poco
efficienti, tolgono tempo ed energia a strategie ben più importanti. Nulla vieta
che chiunque possa aggiungere, su piccoli gruppi muscolari, esercizi in cui
ricerca un certo pumping o bruciore, ma in ottica dimagrimento dovrebbe
essere fatto solo per piacere e non pensando che possa in qualche modo
influire positivamente sul risultato finale (tutt’altro, se si esagera).
Allenamento di potenza “power”
L’allenamento ad alta intensità è caratterizzato da serie multiple a basse
ripetizioni (1-5), alti carichi e lunghi tempi di recupero, per garantire la
ripetizione del movimento con tecnica corretta. Generalmente gli esercizi
sono scelti tra i cosiddetti fondamentali. Questi coinvolgono in larga misura il
Sistema Nervoso Centrale richiedendo sinergia/coordinazione intramuscolare
e intermuscolare per esprimere molta forza. Non è una buona idea utilizzare
esercizi cosiddetti monoarticolari, per l’enorme stress che si avrebbe sulle
articolazioni, dovuto agli elevati carichi utilizzati.
Anche in questo tipo di allenamenti si verificano abusi; la differenza è che
allenamenti a basse ripetizioni sono poco usati commercialmente, perché il
palestrato medio vuole vedersi pompato costantemente. Comunque, quando
usato male, l’allenamento di potenza non porta buoni risultati, perché
l’elevato stress che impone a livello neurale non ne permette la ripetibilità
immediata, con la perdita dunque di quella che sarebbe la giusta occasione a
livello muscolare per eseguire un altro allenamento. Il grande stress sistemico
che induce, inoltre, potrebbe portare a una costante iperattivazione del
Sistema Nervoso Simpatico con tutto ciò che ne consegue: spossatezza
cronica, scarsa energia, scarso sonno, ingrassamento.
Poiché in questo tipo di allenamento il sistema energetico prevalentemente
utilizzato è quello dell’ATP-CP, l’utilizzo del glicogeno muscolare è
particolarmente ridotto: l’organismo, dopo un allenamento di questo genere,
non deve occuparsi in modo cospicuo della re-sintesi delle scorte energetiche,
e può dunque iniziare in maniera più efficiente a sintetizzare proteine. Questo
è uno dei motivi per cui in questo contesto e per migliorare la composizione
corporea riducendo il grasso e mantenendo (o costruendo) il più possibile la
massa muscolare, sarebbe utile che la programmazione sia basata
prevalentemente su allenamenti tipo power.
Questa indicazione non è a stretto appannaggio di chi fa pesi, ma anche chi fa
allenamenti basati sulla corsa/esercizi ciclici o a corpo libero. Semplicemente
i pesi sono più efficienti per eseguire comodamente questo tipo di
allenamenti: arrivare a produrre elevatissime tensioni muscolari con gli sprint
o il corpo libero è ben più difficile e richiede spesso di essere già abbastanza
avanti in termini di adattamenti sportivi. Esempio: un Jump Squat (esercizio
in cui ci si accoscia e poi si salta più in alto possibile) potrebbe generare
basse tensioni muscolari in un novizio, perché gli manca l’adattamento
neuromuscolare utile per reclutare tantissime fibre in meno di un batter di
ciglia; mentre genera alte tensioni muscolari in chi “sa già saltare” (proprio
perché il salto presuppone un’attivazione ai limiti dell’immediatezza delle
fibre muscolari bianche).

Consumo di glicogeno durante l’allenamento


Avendo analizzato i vari tipi di allenamento, parliamo ora brevemente del
consumo di glucosio durante l’attività fisica. Perché solo del glucosio e non
di grassi e proteine? Perché, da quanto illustrato, i grassi vengono utilizzati
per attività sotto una certa intensità, per lasciare il posto ai carboidrati man
mano che l’intensità aumenta; dal canto loro, il consumo di proteine durante
l’attività è semplicemente un consumo aumentato (5-15% dell’energia
prodotta in condizioni di dieta di mantenimento e normoglucidiche) rispetto a
quanto si osserva a digiuno. Piccola nota: il consumo di proteine è maggiore
nelle attività aerobiche, o meglio, durante le stesse. Il fatto che atleti di
potenza assumano molte proteine è legato all’entità del turnover proteico che
si verifica dopo l’attività e non al consumo intra-attività.
Per questi motivi ci concentreremo sul consumo di glucosio per quanto
riguarda gli allenamenti anaerobici, considerando quelli aerobici - con buona
approssimazione - prevalentemente lipolitici. Il consumo di glucosio e
dunque la deplezione di glicogeno (ricordiamo che il glicogeno è la forma
con cui viene depositato glucosio nel nostro corpo) serviranno per alcuni
calcoli utili quando si parla di inserimenti temporizzati di carboidrati e
ricariche di carboidrati (carb loading). Questo sempre in ottica “nutrire il
muscolo e affamare il grasso”. Il motivo è il seguente: svuotare e riempire il
tessuto muscolare fornendo un apporto di carboidrati tale da compensare il
glicogeno utilizzato ma non da andare a finire nei “serbatoi epatici”, permette
all’organismo di mantenersi su un assetto in cui continua a ossidare grassi a
livello sistemico, mentre i muscoli hanno recuperato glicogeno e messo in
atto processi di anabolismo locale.
Livelli e deplezione di glicogeno
I livelli di glicogeno organici sono generalmente misurati come millimoli per
chilogrammo di muscolo (mmol/kg). I valori normali, in condizioni di dieta
normale mista, sono nel range di 80-100 mmol/kg di tessuto muscolare; negli
atleti tale valore può salire a 110-130 mmol/kg, mentre in diete povere di
carboidrati si registrano valori più bassi, intorno a 70 mmol/kg. La
supercompensazione di glicogeno può essere ottenuta tramite restrizione
glucidica e successiva ricarica di carboidrati e può portare il glicogeno oltre
175 mmol/kg. Per dare qualche riferimento e non parlare solo di numeri
apparentemente poco applicabili (lo saranno in seguito), a 70 mmol/kg viene
aumentata l’ossidazione di acidi grassi a riposo (e nel cardio a ritmo blando),
40 mmol/kg segnano il valore soglia sotto il quale la performance comincia a
peggiorare mentre il valore di circa 20 mmol/kg è raggiunto quando si
verifica l’esaurimento totale e l’incapacità di continuare l’esercizio fisico
(quello che nell’atletica viene definito come muro).
Non ci sarebbe punto migliore di questo per far notare l’importanza di
ripristinare le scorte di glicogeno per atleti che necessitano di mantenere
costante la performance; discorso diverso per chi vuole esclusivamente “fare
ricomposizione”, in cui la priorità è data all’estetica, e la performance segue i
cambiamenti della composizione corporea. Nel caso la scelta dietetica sia
quella di una low-carb, non è possibile mantenere elevata la prestazione senza
introdurre regolarmente carboidrati, in concomitanza degli allenamenti o
concentrati in 1-2 giorni (il cosiddetto carico di carboidrati o ricarica, carb
loading per gli amanti degli inglesismi). Infatti, quando non sono assunti
carboidrati dopo l’allenamento, la resintesi di glicogeno non avviene, se non
in maniera esigua a partire dal lattato: da 2 mmol di acido lattico si può
produrre 1 mmol di glicogeno e l’efficienza del processo è del 20% (vale a
dire che solo 1/5 del lattato viene utilizzato per ripristinare il glicogeno).
Considerando che la massima quantità di acido lattico accumulabile si aggira
intorno alle 15-20 mmol/kg, il glicogeno ottenuto da esso ammonterebbe a
non più di 2 mmol/kg, una quantità insignificante per sostenere più di un paio
di allenamenti senza introdurre fonti glucidiche.
Sul consumo di glicogeno muscolare durante l’attività ci si può affidare ad
alcuni studi che lo hanno registrato per intensità (in allenamenti contro
resistenza) del 70% dell’1RM. Noi lo utilizzeremo per tutti i range di
intensità, in quanto le approssimazioni sono abbastanza buone da essere
utilizzate nella pratica (parliamo di pochi grammi di errore, al più). Facciamo
comunque qualche considerazione in merito.
Innanzitutto, gli studi (in genere) vengono eseguiti con esercizi di isolamento
in cui è coinvolto un solo muscolo, in modo da poterne studiare meglio gli
effetti metabolici in risposta all’allenamento. Questo vuol dire che il massimo
carico sollevato si avvicina molto alla massima tensione che un certo
muscolo può esercitare attorno a una certa articolazione. In movimenti
composti, invece, dove entrano in gioco diversi muscoli in sinergia, che
agiscono su più articolazioni tramite leve e movimenti angolari di un certo
tipo, il massimo carico sollevato non corrisponde alla massima tensione dei
muscoli: con buona approssimazione possiamo dunque considerare quel 70%
dell’1RM un valore estendibile per altri tipi di sforzo. In secondo luogo,
l’intensità del 70% sarebbe comunque una media giusta, grosso modo per
ogni tipo di allenamento e utilissima in ottica dimagrimento e ricomposizione
corporea, in quanto si vogliono ottenere elevate tensioni muscolari. Infine,
man mano che l’intensità aumenta il consumo di glicogeno aumenta, ma il
tempo di esecuzione si riduce. In conclusione, i dati medi che abbiamo alla
mano possono essere utilizzati senza commettere grossolani errori.
Con queste premesse, cerchiamo dunque di capire a quanto ammonta il
glucosio (o il glicogeno, intercambiabili per motivi che saranno chiari a
breve) utilizzato durante l’allenamento. Il consumo di glicogeno muscolare
può essere calcolato come consumo per serie, per ripetizione o per secondo di
attività svolta. Poiché il tipo di allenamento che serve a noi (per il
dimagrimento) si basa sull’interval training e/o sull’allenamento con i pesi,
accantoniamo il consumo per serie di esercizio, anche perché è un dato
abbastanza aleatorio, variabile e quindi poco applicabile. I dati relativi alla
deplezione di glicogeno per ripetizione eseguita e per secondo di attività
svolta sono, rispettivamente, 1.3 mmol/kg • ripetizione e 0.35 mmol/kg •
secondo. Occorre precisare che il fattore kg che compare a denominatore non
indica i chilogrammi di peso corporeo, bensì quelli di tessuto muscolare che
si contrae. Come è possibile conoscere questo valore? Metodi per farlo non
esistono: come si fa a pesare la muscolatura che entra in gioco in un esercizio
complesso? Fortunatamente, per gli scopi che ci proponiamo, non ci interessa
questo livello di dettaglio, a cui tra l’altro si può arrivare passando per altre
vie e facendo alcune considerazioni ed approssimazioni (descritte brevemente
nel prossimo paragrafo).
Un’altra approssimazione riguarda la conversione di glicogeno in glucosio:
facciamo l’assunzione che tutti i carboidrati ingeriti - per lo meno in
concomitanza dell’allenamento - siano utilizzati per la resintesi del glicogeno
muscolare. Con questa approssimazione, la conversione da millimoli di
glicogeno (e quindi di glucosio) a grammi richiede un po’ di Chimica;
saltiamo a piè pari i dettagli e diciamo semplicemente che basta dividere le
mmol per il fattore 5.56. 1 mmol di glicogeno/glucosio equivale dunque a
0.18 g di glicogeno/glucosio (intercambiabili per via dell’assunzione fatta).
Consumo di carboidrati e resintesi di glicogeno
Come si può dunque calcolare quanti carboidrati siano stati utilizzati durante
una sessione di allenamento e, quindi, quelli da assumere per ripristinare il
glicogeno? Come detto, il consumo di glicogeno è indicato per chilogrammi
di tessuto muscolare. Dunque, si può solo stimare il consumo di glucosio per
allenamenti che coinvolgano tutte le masse muscolari; al limite, per
allenamenti che coinvolgono solo la parte bassa o la parte alta del corpo, si
può pensare di dimezzare il consumo di glucosio totale: essendo già questa
un’approssimazione azzardata, consigliamo di non spingersi oltre (ad
esempio, stimando il consumo di glicogeno di un esercizio per i bicipiti; più
in là, comunque, sono indicate delle stime più precise - per i pignoli).
Per calcolare il glucosio utilizzato durante l’attività, la stima si basa sul
presupposto che il glicogeno muscolare sia presente, in condizioni normali,
ad una concentrazione di circa 120 mmol/kg per un totale di circa 220-250 g.
Una volta calcolato il glicogeno consumato in termini di concentrazione,
dunque, facendo la proporzione su quello totale se ne può stimare il consumo.
Tutto questo è valido ammesso che tutti i muscoli del corpo siano stati
coinvolti nell’attività fisica.
Facciamo un esempio pratico. Un nuotatore di 70 kg di peso esegue 6 sprint
da 20 secondi ognuno. Vogliamo sapere quanto glucosio viene utilizzato in
questo tipo di allenamento. Calcoliamo il consumo di glicogeno come 6 x 20
sec. x 0.35 mmol/kg • sec = 42 mmol/kg. Dunque ora nei muscoli del
nuotatore la concentrazione di glicogeno è circa 80 mmol/kg, il 67% di quella
iniziale: la quantità presente è quindi 150-180 g, da cui si ricava che il
consumo di glucosio è stato di circa 70 g.
Fortunatamente, per quanto i calcoli sopra siano utili per chi volesse avere
delle linee guida su quanti carboidrati utilizzare in concomitanza
dell’allenamento, per i nostri scopi ci serviamo di valori preimpostati grazie
alla Ricerca Scientifica e l’Esperienza. In particolare, a noi interessa il tasso
di resintesi di glicogeno entro 6 ore dalla fine dell’allenamento e quello entro
24 ore dalla quasi completa deplezione di glicogeno. Dall’analisi di alcuni
studi ricaviamo i seguenti dati utili a questo proposito:
● La resintesi di glicogeno nelle prime 6h da un allenamento
glicolitico ammonta a circa 12 mmol/kg • ora; un’assunzione di 1.5
g/kg di LBM ripetuta due volte a distanza di due ore assicura già
una resintesi di oltre 40 mmol/kg.

● La resintesi completa di glicogeno (fino a 120 mmol/kg) nelle 24h


che seguono una deplezione quasi completa (ricordiamo che sotto le
20 mmol/kg non è possibile andare), può essere raggiunta tramite
un’assunzione di circa 50 g di carboidrati ogni due ore o
approssimativamente 8-10 g di carboidrati per kg di massa magra
totali nelle 24h.
Facciamo notare che la resintesi di glicogeno è massima nelle prime 6 ore ma
non cala bruscamente da 12 a 5-6 mmol/ kg • ora, bensì il fenomeno si
distribuisce lungo un continuum. Ci preme dunque specificare che, per
quanto riguarda la resintesi di glicogeno, non occorre essere minuziosi sulle
tempistiche: riuscire a fare un pasto ricco di carboidrati subito dopo
l’allenamento e un altro a qualche ora di distanza, non è diverso dal calcolare
il secondo spaccato in cui assumere i nutrienti. Ciò che più conta nelle ore di
carb loading è infatti la quantità di carboidrati piuttosto che il timing: per
esempio, al posto di fare pasti da 50 g di glucidi ogni 2 ore (improponibile
per la maggior parte) basta calcolare i carboidrati totali da assumere e
dividerli in più o meno pasti, a seconda delle preferenze (fermo restando che
vengano fatti almeno un paio di pasti nelle 6-8 ore che seguono
l’allenamento, di cui il primo entro 60-120 minuti).
Ma aspettate a strutturare l’approccio: vedremo come queste
raccomandazioni vengano elegantemente condensate nella parte pratica,
aggiungendo anche alcune altre considerazioni utili quando si parla di
preparare l’organismo al carico di carboidrati dopo un periodo di deplezione
di glicogeno.

Sintesi proteica muscolare: come funziona


Prima di entrare nel fulcro dell’argomento, facciamo una premessa riguardo
la terminologia usata. La sintesi muscolare è diversa dalla crescita muscolare,
perché avviene anche in condizioni di perdita del prezioso tessuto. Il corpo
degrada e sintetizza continuamente proteine, a ritmi molto elevati: il
cosiddetto turn-over proteico fa registrare giornalmente un ricircolo di 300-
400 grammi di proteine. Questo significa che il pool proteico è di circa 400 g,
tra proteine endogene degradate e proteine assunte con la dieta. È chiaro che
se vengono degradate più proteine di quelle che vengono sintetizzate, il
risultato netto sarà quello di una perdita di tessuto; se vengono sintetizzate
più proteine di quelle che vengono degradate, il risultato netto sarà un
guadagno di tessuto.
Un’ultima considerazione prima di addentrarci nei meccanismi che portano
alla crescita muscolare. Quello del consumo proteico è un argomento molto
dibattuto: una percentuale enorme delle persone (compresi molti
professionisti, Nutrizionisti, Personal Trainer, Medici...) fanno spesso
terrorismo riguardo l’argomento proteine, senza però avere nessuna
argomentazione, che sia un riferimento scientifico, un test o un’osservazione
razionale. Tralasciando le varie diatribe, spieghiamo perché è qui inserita
questa considerazione: i sostenitori low-protein, in riferimento ad atleti di
potenza o Body Builder (o comunque tutti coloro impegnati nell’incremento
della forza e della massa muscolari, compresi per gli scopi che qui ci
proponiamo, di dimagrimento), cercando di dissuadere dall’elevato consumo
proteico portano come argomentazione il fatto che il muscolo non contenga
così tante proteine.
Analizziamo per bene questa argomentazione e vediamo dove, in particolare,
è carente. Come detto altrove, il muscolo è costituito da poco più del 20% di
proteine, la restante parte è acqua (più altro materiale, ma non ci interessa ai
fini di questo discorso). In un caso fortunato, l’aumento di 500 g di tessuto
muscolare al mese equivale alla ritenzione di 100 g di proteine, che si traduce
in poco più di 3 g di proteine al giorno. La conclusione dei sostenitori del low
protein è che oltre alle quantità canoniche consigliate (quelle per il normale
turnover, mediamente 70 g) non occorrono che 3 g di proteine (nella pratica,
basta seguire una alimentazione normale). La fallacia di questa affermazione
può essere riscontrata in diversi punti; vediamoli uno ad uno:
1. Non viene considerata la degradazione proteica durante e dopo
l’attività fisica; senza considerare la degradazione delle proteine
muscolari che si verifica dopo l’attività, utilizziamo il valore del
15% (come detto sopra) per calcolare il consumo di proteine in
un’ora di attività in cui si “bruciano” 400 kcal: questo ammonta
ad una quantità pari a 15 g. Dunque, poiché possa verificarsi un
qualche fenomeno di crescita muscolare, almeno quei 15 g di
proteine devono essere ricostituiti; ricordiamo che stiamo
considerando esclusivamente la degradazione proteica che si
verifica durante l’attività, e non quella che si verifica dopo a
causa dell’infiammazione e dell’acidità locali (due tra tanti
fattori) indotti dall’allenamento.
2. Non viene quasi mai considerato il grado di eventuale
deplezione energetico-glucidica, che aumenta
considerevolmente la degradazione proteica durante l’attività;
questo, tuttavia, è un fattore fondamentale in caso di restrizione
energetica e ancor più glucidica, che può essere meno
considerato in caso non ci sia una restrizione.

3. Inserito per terzo ma de facto il più importante, quasi mai viene


considerato che per sintetizzare 15 g di proteine muscolari
occorrono ben più di 15 g di proteine dietetiche. Tutti i fattori
che entrano in gioco nella sintesi proteica, che devono essere a
loro volta sintetizzati, sono costituiti da proteine o, quantomeno,
da azoto (la cui unica fonte per l’organismo è costituita dalle
proteine dietetiche). Pensate agli ormoni, agli enzimi, alle
citochine ed i fattori infiammatori, ai trasportatori ed i recettori
di membrana, ai ribosomi e, ovviamente, ai nucleotidi (DNA ed
RNA, che contengono azoto), che aumentano a seguito
dell’allenamento e delle nuove esigenze organiche di
riparazione e ricostruzione tissutale e non aumenterebbero se
non ci fosse quella perturbazione indotta dall’allenamento.

Ipertrofia vs iperplasia: come avviene la


crescita muscolare
Togliamo preventivamente ogni dubbio: l’iperplasia (l’aumento del numero
delle cellule) del tessuto muscolare non avviene nell’essere umano adulto, in
condizioni normali. Chiunque vi abbia cercato di convincere che con il suo
sistema di allenamento o il suo protocollo nutrizionale, venga stimolata
l’iperplasia, sicuramente ha cercato di vendervi qualcosa o di raggirarvi. La
crescita del tessuto muscolare avviene essenzialmente per ipertrofia (aumento
delle dimensioni) delle cellule che lo compongono. Prima di capire i
meccanismi che portano all’ipertrofia, cerchiamo di capire come essa avviene
dopo che questi meccanismi si sono messi in moto.
L’ipertrofia richiede la fusione delle cosiddette cellule satellite, cellule
normalmente dormienti localizzate in invaginazioni presenti sulla superficie
esterna delle fibre muscolari, con le fibre stesse. Lo stimolo che sveglia
(attiva) queste cellule può essere costituito da un trauma o una lacerazione del
sarcolemma, ad esempio una forte tensione, come quella indotta
dall’allenamento. A seguito di questa attivazione, le cellule satellite si
dividono e moltiplicano, in un processo che prende il nome di proliferazione,
formando i mioblasti. Questi si fondono con le fibre preesistenti, donando
loro il nucleo, nel processo della differenziazione.
Le cellule muscolari sono dunque cellule con più nuclei (polinucleate) e
questo fa avere loro maggiori quantità di citoplasma, di organuli cellulari e di
materiale per la sintesi proteica. In ogni caso, non sono nate nuove cellule,
ma semplicemente sono aumentate le dimensioni di cellule già esistenti.
Spesso le cose vengono confuse e si pensa che la differenziazione delle
cellule satellite stia a significare che sia avvenuta iperplasia. Inoltre, il
concetto di iperplasia viene usato erroneamente anche per spiegare il
cosiddetto fenomeno della memoria muscolare: la maggior velocità di
crescita dei muscoli dopo un lungo periodo di inattività, rispetto alla prima
volta; in realtà, se è vero che questo avvenga, ha luogo perché le cellule
hanno già acquistato un maggior numero di nuclei e materiale utile per
costruire nuove proteine.
Estendendo il concetto di ipertrofia, ne possiamo distinguere due tipi:
ipertrofia sarcoplasmatica e ipertrofia miofibrillare. Con ipertrofia
sarcoplasmatica ci si riferisce alla crescita del sarcoplasma - appunto - e
all’aumento di numero degli organuli cellulari che esso contiene; l’ipertrofia
miofibrillare si riferisce invece all’aumento delle dimensioni delle miofibrille,
vere parti contrattili del muscolo. Generalmente, l’alto volume di allenamento
genera ipertrofia con maggior componente sarcoplasmatica; allenamenti ad
alta intensità generano invece ipertrofia con maggior componente
miofibrillare. Questo è un altro discorso in cui si applica (stavolta più o meno
bene) il concetto di memoria muscolare: l’ipertrofia sarcoplasmatica infatti,
in periodi di inattività, si riduce molto più velocemente di quella
miofibrillare. Poiché la vera costruzione di proteine caratterizza l’ipertrofia
miofibrillare, nel paragrafo successivo vediamo brevemente quali sono i
fenomeni che devono verificarsi per permettere al muscolo di sintetizzare
proteine.
Di questo discorso è anche interessante il fatto che ogni mionucleo è,
metaforicamente parlando, responsabile di un miodominio di una certa area.
Se quest’area cresce troppo (quindi si va molto avanti con l’ipertrofia
sarcoplasmatica) la cellula diventa disfunzionale: quel mionucleo non riesce
più a farsi carico di quel miodominio. Ecco perché è importante ricercare
quella che è una ipertrofia funzionale; sul web trovate una definizione
inesatta di questa espressione. Quella esatta la identifica come un processo in
cui si mira a far crescere il tessuto muscolare in modo che crescita
sarcoplasmatica e crescita miofibrillare siano sincronizzate, motivo per cui il
tessuto muscolare non può crescere indefinitamente se si fanno solo
allenamenti di volume (stimolano la parte sarcoplasmatica) ma bisogna
associare ad essi degli allenamenti di forza (stimolano la differenziazione e
l’inclusione di più nuclei nella cellula muscolare).
Esistono situazioni in cui le cellule muscolari crescono in maniera
miofibrillare più di quanto i nuclei sarebbero in grado di sopportare
fisiologicamente? Sì, in condizioni di utilizzo di steroidi anabolici-
androgenici (AAS). Il fatto che ogni nucleo possa occuparsi di una certa area
è un meccanismo di protezione da parte dell’organismo che fa sì che il nucleo
possa avere sempre sotto controllo ciò che accade a livello metabolico
(energetico, proliferativo, genetico), ma anche che il muscolo non occupi
troppo volume andando a invadere sezioni in cui non dovrebbe trovarsi.
Quest’ultimo effetto si tradurrebbe in uno squilibrio di forza che graverebbe
sulle articolazioni vicine (il muscolo riuscirebbe a esercitare tensioni con
vettori di forza anomali). Chi fa uso di steroidi e continua a crescere
nonostante i suoi allenamenti basati quasi esclusivamente sul volume, è
riconoscibile dal fatto che le inserzioni muscolari sono anormalmente
occupate da tessuto muscolare (il tipico aspetto gonfio/goffo del culturista
che fa uso di steroidi).
Sintesi delle proteine del tessuto muscolare
La sintesi proteica all’interno del muscolo si verifica a seguito di un danno
alle fibre muscolari, che può avvenire per stress meccanici, traumi o per il
normale turnover cellulare. Poiché qui stiamo parlando di allenamento,
ampliamo il discorso in merito a quelli che sono traumi e stress meccanici
che il muscolo subisce durante l’allenamento. Ci concentriamo in particolare
sui processi cellulari che portano alla sintesi proteica, un passettino avanti
rispetto alla produzione di tutti gli ormoni precedentemente visti che,
ovviamente, giocano un ruolo importante.
Le proteine vengono sintetizzate da speciali strutture cellulari, che prendono
il nome di ribosomi. Questi legano gli aminoacidi corrispondenti a ciò che
leggono durante il processo di traduzione dell’mRNA. Il DNA è la struttura a
doppia elica che contiene le informazioni necessarie per sintetizzare le
proteine del nostro organismo; l’mRNA è la copia di parte di una delle due
eliche che viene letta e tradotta dai ribosomi, perché questi utilizzino gli
aminoacidi giusti per una determinata proteina che l’organismo ha
programmato di sintetizzare.
Ciò che ci interessa del processo è che lo stimolo per il nucleo a incrementare
la produzione di mRNA utili per la sintesi di proteine muscolari è uno stress
meccanico molto intenso, come quello subìto a seguito di un allenamento di
potenza; l’attività e il numero dei ribosomi sono invece incrementati in
particolar modo da stress meccanici a carattere maggiormente traumatico
(che provocano più lacerazioni del sarcolemma) e costoso dal punto di vista
energetico, come avviene in allenamenti di tensione (come definiti prima).
Questo è il motivo per cui, pur non abusando di nessuno dei due allenamenti,
sarebbe una buona strategia inserirli entrambi in un programma che miri alla
massima crescita muscolare. Bisogna inoltre tener presente che lo stimolo
indotto dall’allenamento aumenta la produzione dell’mRNA o il numero e
l’attività dei ribosomi per un tempo limitato (altrimenti saremmo tutti forti,
magri e muscolosi) per non più di 36-48 ore.
Infine, sottolineiamo che la sintesi proteica è un processo metabolico che
avviene in presenza di alti livelli di energia, motivo per cui in una restrizione
energetica non è teoricamente possibile costruire muscolo, anzi si assiste a
una perdita netta di tessuto muscolare. Ma non perdetevi: si può creare una
situazione di transitorio surplus energetico e quindi fare in modo di nutrire il
muscolo e affamare il grasso, che è ciò che cerchiamo quando parliamo di
dimagrimento e ricomposizione corporea.

Approfondimento. AMPK,
metabolismo cellulare, dimagrimento e
massa muscolare
La molecola che stiamo per introdurre ha importanza
fondamentale per tutto quello che abbiamo finora visto:
praticamente tutto è da essa regolato, a un livello però -
quello cellulare - troppo dettagliato per inserirlo come
argomento a sé in questo manuale. Non pensate però sia
l’unica molecola coinvolta; semplicemente, come visto
nel caso della leptina, è didatticamente perfetta per capire
proprio alcune cose che a noi interessano. Capito come
agisce lei e perché, è facile inquadrarla in un contesto più
ampio in cui sono coinvolte decine di altre molecole,
proteine, sostanze ed enzimi.
Come abbiamo visto tutti i processi cellulari che
richiedono energia non utilizzano i nutrienti direttamente
ma l’ATP. Sempre in base a quanto appreso, l’ATP viene
prodotta all’interno del mitocondrio, considerato la
centrale energetica cellulare. Ora, dovete sapere che gli
eucarioti (il tipo di cellule presenti negli organismi
viventi), non possiedono i mitocondri da sempre,
evoluzionisticamente parlando: questi sono frutto di una
evoluzione. A seguito di questa evoluzione, si è
sviluppata la necessità di un controllo della funzione
mitocondriale, di un sistema deputato alla verifica del
corretto equilibrio tra energia spesa ed energia prodotta:
rappresentativa di questo sistema è la proteina chinasi
attivata dall’adenosina monofosfato (AMPK).
Struttura e regolazione dell’AMPK
L’AMPK è composto da tre porzioni, alfa, beta e gamma.
La porzione alfa è quella catalitica (che cioè fa qualcosa
una volta che la molecola è stata attivata), le porzioni beta
e gamma sono non-catalitiche (legano qualcosa). La
porzione alfa viene costantemente fosforilata da alcune
proteine di cui qui risparmiamo i nomi, ma è anche
costantemente defosforilata impedendo dunque la
costante attivazione dell’AMPK. La porzione beta è una
sorta di ponte tra le porzioni alfa e gamma e permette
all’AMPK di legare il glicogeno. La porzione gamma è
invece quella porzione in grado di legare l’adenosina di
cui sono composti ATP, ADP e AMP, in modo
mutuamente esclusivo: vale a dire che se all’AMPK-
gamma è legato uno dei tre composti, non possono legarsi
gli altri due.
Finora abbiamo conosciuto solo ATP e ADP: come
abbiamo imparato, l’ATP contiene tre gruppi fosfato ed
in seguito alla liberazione di energia tramite la rottura di
un legame ad alta energia, si trasforma in ADP. L’AMP
non è altro che un ADP che ha perso un ulteriore fosfato,
liberando ancora energia. I livelli di AMP cellulare
dipendono dunque da quelli di ADP, in maniera
quadratica e secondo la reazione:
2 ADP ← → ATP + AMP
Come si può facilmente evincere dal nome e dai legami
che può instaurare, l’AMPK è determinante nella
funzione di sensore delle scorte e dello stato energetici
cellulari, in base ai quali agisce per regolare una serie di
meccanismi all’interno della cellula. Prima di vedere in
che modo agisce, vediamo come l’AMPK viene regolata.
Come detto poco sopra, la porzione alfa della proteina è
costantemente fosforilata da una specifica chinasi e
defosforilata da una fosforilasi, che però non agisce in
maniera efficiente quando alla porzione gamma si lega
l’AMP o l’ADP al posto dell’ATP: alti livelli di AMP o
ADP inducono quindi l’attivazione dell’AMPK. Inoltre,
la porzione beta è in grado di interagire sia con la alfa che
con la gamma, oltre che legare il glicogeno, la cui
deplezione cellulare ha come risultato netto una più
potente attivazione dell’AMPK.
L’AMPK è però attivata anche in condizioni in cui i
livelli energetici cellulari non si sono ancora abbassati,
tramite delle specifiche chinasi che rispondo ai
cambiamenti dello ione calcio intracellulare. In maniera
interessante, poiché l’aumento della concentrazione
cellulare di calcio è fondamentale per la contrazione
muscolare, l’attivazione dell’AMPK è indotta anche
dall’esercizio fisico (che, ovviamente, genera anche un
aumento del rapporto AMP/ATP). Il take home message
è il seguente: l’AMPK è attivata da bassi livelli energetici
cellulari, bassi livelli di glicogeno e contrazione
muscolare.
Altri fattori che regolano l’attivazione dell’AMPK sono
la creatina fosfato (CP), che la inibisce, e le citochine
prodotte dagli adipociti: in particolare, leptina e
adiponectina, che saranno discusse in seguito.
Effetti dell’AMPK sul metabolismo cellulare
L’AMPK esplica innumerevoli effetti all’interno della
cellula, regolandone il metabolismo. È implicata infatti
nel metabolismo del glucosio e dei lipidi, nell’espressione
genica e nella sintesi proteica di numerosi tessuti
organici. Di seguito li analizziamo uno ad uno, in maniera
concisa.
Metabolismo glucidico
Per quanto riguarda il metabolismo del glucosio, l’AMPK
esplica effetti di considerevole interesse, tanto da essere
studiato come molecola target dei farmaci per la cura del
diabete mellito di tipo 2. La chinasi infatti è responsabile
della traslocazione dei trasportatori del glucosio GLUT4
(quelli espressi dal muscolo e dal tessuto adiposo) sulla
membrana plasmatica, in maniera non insulino-
dipendente, e della inibizione della glicogeno sintasi.
I farmaci utilizzati per la cura del diabete di tipo 2, i
biguanidi (tra cui la Metformina) ed i tiazolidinedioni,
agiscono in parte attivando l’AMPK e dunque l’uptake di
glucosio da parte delle cellule. I secondi agiscono anche
sul recettore attivato dai proliferatori dei perossisomi
gamma (PPAR-gamma), che tramite un coattivatore
(PGC-1 alfa) aumenta l’espressione membranale dei
GLUT-4. Ma lo stesso PGC-1 alfa è attivato dall’AMPK
e difettoso nel diabete di tipo 2: questo ribadisce ancora
l’importante ruolo metabolico dell’AMPK.
Interessante, i polifenoli, come il resveratrolo (contenuto
nell’uva e nel vino), l’epigallocatechina gallato (EGCG,
contenuta nel tè verde), la capsaicina (nelle spezie
piccanti), la berberina e la quercetina (ci sono molte altre
molecole simili), attivano l’AMPK inibendo la
produzione mitocondriale di ATP e dunque facendo
aumentare il rapporto ADP/ATP - che, come detto, si
correla positivamente con l’attivazione dell’AMPK -.
Metabolismo lipidico
La fosforilazione (l’attivazione) dell’AMPK induce
l’inibizione dell’enzima acetil-CoA decarbossilasi
(ACC), responsabile della produzione del malonil-CoA.
Abbiamo incontrato questo composto nel paragrafo
relativo alla lipolisi, in cui abbiamo capito che alti livelli
di malonil-CoA inibiscono la lipolisi via inibizione della
carnitina palmitoil transferasi I. In quel paragrafo
abbiamo anche specificato che bassi livelli di glicogeno e
contrazione muscolare diminuivano la produzione di
malonil-CoA: ora ne avete la motivazione.
Il quadro comincia a divenire sempre più delineato:
l’AMPK attiva i processi che portano alla produzione
energetica, inibendo quelli dispendiosi; tutto ciò non si
limita solo a proteine, carboidrati e grassi, ma anche a
una marea di altre sostanze. L’AMPK infatti regola
l’attività di numerosi enzimi: tra gli altri,
l’idrossimetilglutaril-CoA reduttasi (HMG-CoA
reduttasi), enzima chiave nella sintesi del colesterolo.
Sappiamo che la sintesi del colesterolo è accentuata in
condizioni di elevato stato energetico cellulare (e non
dall’assunzione del colesterolo alimentare): eccone
spiegati i motivi. Un altro enzima regolato dall’AMPK è
l’HSL: si potrebbe pensare che la chinasi la attivi, come
altri processi coinvolti nella produzione energetica
(ricordiamo che l’HSL è responsabile della scissione dei
trigliceridi presenti nell’adipocita); in realtà la inibisce,
per fare in modo che il tasso di rilascio degli adipociti
non superi quello di trasporto ed utilizzo. Questa potrebbe
essere parte della spiegazione dell’effetto di repentino
svuotamento (whooshing, come sarà descritto in seguito)
del tessuto adiposo in determinate situazioni. L’AMPK
agisce pure sull’enzima che attiva (fa legare acetil-CoA)
gli acidi grassi prima che vengano esterificati nella sintesi
dei trigliceridi.
Metabolismo proteico
L’attivazione dell’AMPK si riflette su una inibizione del
target della rapamicina nei mammiferi (mTOR),
importante fattore coinvolto nella sintesi proteica, con il
risultato netto di inibire quest’ultimo. L’mTOR è
responsabile degli effetti anabolici o anticatabolici della
leucina, il cui utilizzo a ridosso dell’allenamento è molto
consigliato per aumentare la sintesi proteica (ecco
spiegato il perché).
L’AMPK regola anche i processi di autofagia, cioè del
catabolismo dei componenti superflui o danneggiati della
cellula. Ora dovrebbe essere chiaro perché durante una
restrizione energetica non è possibile, come risultato
netto, sintetizzare proteine aumentando in generale il
peso corporeo. Aggiungiamo che questo ha perfettamente
senso da un punto di vista evoluzionistico: poiché la
sintesi proteica è un processo metabolico energeticamente
costoso (circa 0.7 kcal per grammo di proteine
sintetizzate), è bene che sia inibita in condizioni di deficit
energetico. Ciò però non vuol dire che non si possa fare
in modo di shiftare l’energia verso il comparto che a noi
interessa nutrire (il muscolo) togliendolo da quello che ci
interessa far digiunare (il grasso).
Questo può avvenire perché l’AMPK può presentare due
isoforme della porzione alfa, che fanno sì che la molecola
nella sua interezza agiscano e vengano stimolate in
maniera differente (per comodità, parleremo di isoforme
di AMPK e non delle sue porzioni). La prima isoforma
(alfa-1) viene stimolata maggiormente dalla restrizione
calorica, la seconda (alfa-2) dall’esercizio fisico. La loro
azione vede la alfa-1 maggiormente coinvolta nella
soppressione dei processi di sintesi (compresa la sintesi
proteica via mTOR), la alfa-2 nell’induzione di quelli di
degradazione (compresa la sintesi proteica ma non via
mTOR - che agisce sulla sintesi). Inoltre, l’esercizio
fisico a una certa intensità è uno stimolatore diretto di
mTOR, il che vuol dire che il ciclo ideale per nutrire il
muscolo e affamare il grasso deve essere costruito in
modo da fornire molto nutrimento attorno
all’allenamento; in questo modo:
● si ha un’attivazione di mTOR indotta sia
dall’allenamento che dall’assunzione di proteine e
aminoacidi;
● si ha una inibizione dell’inibizione di mTOR
(e quindi sua attivazione) tramite soppressione di
AMPK alfa-1, raggiunta tramite assunzione di
carboidrati.

Controllo alimentare
Un altro paragrafo in cui abbiamo a che fare con il
cervello o, meglio, con quella parte del cervello che
controlla il comportamento alimentare: l’ipotalamo.
Infatti, l’AMPK esercita degli effetti importanti per il
nostro punto di vista anche in questa zona
dell’organismo. Come se il cervello non fosse già
complicato di per sé, gli effetti dell’AMPK
sull’ipotalamo sono tutt’altro che scontati. Infatti, la
proteina chinasi in questione, non si comporta in maniera
coerente nel caso agisca a livello centrale o a livello
periferico.
A livello ipotalamico, i fattori anoressigeni come leptina
e insulina inibiscono l’AMPK; i fattori oressigeni, come
grelina ed adiponectina, la attivano. Inoltre, la
stimolazione diretta dell’AMPK ipotalamico aumenta
l’introito alimentare. Sotto effetti della leptina, inoltre,
l’attivazione di AMPK aumenta sia nel tessuto muscolare
che in quello adiposo.
Raggomitolare tutto
Questo paragrafo di approfondimento può risultare poco
concreto, con informazioni quasi buttate lì senza la
presenza di alcun risvolto pratico. Ma è proprio
comprendendo questi meccanismi che si può uscire dal
semplicismo in cui si crede che non si può nutrire il
muscolo e affamare il grasso contemporaneamente (cioè
in un timeframe non così lungo, dell’ordine di grandezza
di qualche giorno).
Facciamo comunque un piccolo resoconto sull’AMPK,
per capire come applicare ciò che qui abbiamo imparato a
quello che in questa sede ci interessa di più:
dimagrimento e ricomposizione corporea.
Durante una restrizione calorica, aumenta lo stress
energetico cellulare e dunque il rapporto ADP/ATP.
Segue l’attivazione dell’AMPK, un vantaggio in termini
di lipolisi dal momento che induce l’ossidazione del
glucosio e degli acidi grassi. Il prezzo da pagare è
l’aumento dell’appetito e della degradazione proteica,
nonché la diminuzione della sintesi delle proteine (via
mTOR).
In una situazione del genere, l’aumento dell’energia in
ingresso rappresenterebbe l’esatto opposto, con vantaggi
in termini di appetito e sintesi proteica, e svantaggi in
termini di perdita di grasso: come detto all’interno del
capitolo di approfondimento, però, l’esercizio fisico ci
viene in aiuto determinando un aumento dell’AMPK
anche in condizioni di rapporto ADP/ATP e di glicogeno
elevati, agendo tra l’altro su quella isoforma dell’AMPK
che ha meno effetti inibitori su mTOR. Aggiungiamo qui
una piccola nota che sarà utile anche nel capitolo
successivo: l’AMPK è molto sensibile alle variazioni,
attivandosi ed inibendosi nel giro di pochi istanti; la
leptina ed altri fattori coinvolti nel metabolismo e nel
controllo alimentare sono invece più lenti nel
cambiamento.
Miscellanea: premessa alla pratica
Ci siamo quasi, ci siete quasi: dopo tante pagine di informazioni per lo più
tecniche che sembrano avere poco a che fare col mondo pratico, siamo quasi
giunti a destinazione, senza - almeno speriamo - che abbiate dimenticato
l’obiettivo per cui avete iniziato questa lettura. Se così fosse, ve lo ricordiamo
noi: fornirvi un protocollo integrato di dieta (inclusa integrazione) ed
allenamento che miri alla massima perdita di grasso corporeo col minore
grado di deperimento del tessuto muscolare, o al suo opposto, che miri al
massimo guadagno di massa muscolare unito al minor aumento di grasso
corporeo. Come ben sapete la teoria dietro le cose semplici è sempre molto
complicata; ma sapete anche che padroneggiarla vi permette di avere sempre
in mano i princìpi che permettono di fare molta più esperienza creando i
propri metodi sulla base delle situazioni che man mano vi si presentano.
Ora che avete il quadro completo delle informazioni, possiamo fare un
sommario conciso, breve e quasi a bruciapelo che racchiuda tutto ciò che
abbiamo detto collegandolo al mondo reale. Infine, passeremo da questa
“miscellanea” di tutto ciò che finora è stato affrontato, alla presentazione del
protocollo tramite raccomandazioni prettamente pratiche per il suo set-up.

Dalla teoria alla pratica: raggomitolare


tutto
Quanto segue è un mettere tutto insieme, fornendo una visione d’insieme di
tutto ciò che, per ora, sembra ancora poco armonico e correlato. Ripartiamo
dal principio: voi state leggendo questo manuale perché avete capito che lo
scopo da perseguire per favorire il dimagrimento non è la perdita di peso ma
la ricomposizione corporea. Qui avete capito che dimagrimento e
ricomposizione corporea sono sinonimi e avete capito come
matematicamente si possono raggiungere. Vi manca però un collante che
risponda alla domanda che avete in testa fin dalla prima pagina di questo
manuale e cioè:
“Tutto chiaro. E adesso?”
Purtroppo là fuori è pieno di Guru che vi hanno riempito la testa di guide per
la ricomposizione corporea, diete per la ricomposizione corporea, allenamenti
per la ricomposizione corporea, integratori per la ricomposizione corporea…
Insomma, avete capito. Ebbene: nulla di tutto questo ha senso, in quanto la
ricomposizione corporea è sempre l’obiettivo. Si tratta solo di ottimizzarlo,
facendo cioè in modo che quando si assumono nutrienti questi vadano a finire
il più possibile nel tessuto muscolare, e quando invece ci si trova in
restrizione energetica questa sia supportata il più possibile dal tessuto
adiposo. Per capire come fare, ragioniamo un attimo per estremi e, poiché il
corpo è molto più bravo a difendersi dalla restrizione che non dalla
sovralimentazione (anzi, la favorisce), prendiamo come caso estremo il
desiderio di voler perdere quanto più grasso possibile mantenendo quanta più
massa muscolare possibile.
Logica vorrebbe creare il massimo deficit energetico (teoricamente si ottiene
con un introito pari a zero), ma avete imparato che c’è un meccanismo di
controllo che vi rema contro. Quanto più abbassate gli introiti, tanto più
leptina e suoi simili si abbassano, determinando tutta quella serie di squilibri
metabolici che si riflettono negativamente sugli scopi che ci proponiamo:
diminuisce il dispendio energetico, aumenta l’appetito, il catabolismo
proteico del tessuto magro e peggiora il partizionamento dei nutrienti (la
direzione - verso il tessuto adiposo o verso il tessuto muscolare - che
prendono preferenzialmente i nutrienti assunti). Avete anche imparato che
aumentando l’introito di carboidrati anche per brevi intervalli di tempo si
possono elevare nuovamente i livelli di leptina, ma qui la situazione si
complica ulteriormente.
Come abbiamo visto nel capitolo sulla perdita di grasso, infatti, quello che ci
permette di smaltire gli accumuli adiposi è in particolare la restrizione
glucidica, perché permette che l’azione degli ormoni lipolitici (specie le due
catecolamine adrenalina e noradrenalina) sia efficace; alzare i carboidrati
comporterebbe un’elevazione dell’insulina che, come ripetuto più volte,
inibirebbe fortemente gli effetti di adrenalina e noradrenalina. Anche se
l’insulina non è l’unico ormone coinvolto nei processi di dimagrimento, nel
contesto di alimentazione ipoglucidica e corpo in condizioni simili al digiuno,
un’elevazione dell’insulina assieme a un ingresso di carboidrati (anche
irrisorio) potrebbe compromettere i meccanismi che si cercano di indurre:
attivare cioè i pathway del metabolismo lipidico.
Questo, in ogni caso, non deve far cadere nell’ossessione da insulina, quella
che fa temere anche piccole assunzioni di amminoacidi insulinogenici,
proteine, grassi (possono esserli, in un certo grado, anche loro) o proprio
carboidrati in sé, che non devono essere necessariamente a zero. Solo
l’assunzione di glucidi in concomitanza ad innalzamento di insulina fa sì che
quei meccanismi che vogliamo attivare, al contrario, si inibiscano. Se
ricordate il funzionamento della proteina chinasi attivata dall’AMP (AMPK),
essa è inibita dall’insulina, ma questa inibizione è debole e transitoria se è
legato poco glicogeno ad essa. Ecco perché a preoccupare non deve essere
un’elevazione dell’insulina, ma una cronica elevazione dell’insulina insieme
ad elevata glicemia.
Come se le cose non fossero già complicate, entrano in gioco i recettori
adrenergici, in particolare gli alfa-2 e i beta-2: i primi, la cui attivazione
inibisce la lipolisi, sono abbondanti nelle zone critiche per quanto riguarda gli
accumuli adiposi; i secondi sono abbondanti nelle zone in cui risulta più
facile liberarsi dal grasso in eccesso. Il rapporto beta-2/alfa-2 dà dunque
un’indicazione, relativamente ad un particolare tessuto, di quanto questo sia
responsivo agli effetti degli ormoni lipolitici. Le zone con un basso rapporto
beta-2/alfa-2 sono abbastanza facilmente riconoscibili: a seguito dell’attività
fisica è esperienza comune notare un aumento della termogenesi (la
produzione di calore da parte dell’organismo). Le zone difficili (dal punto di
vista del grasso corporeo) sono invece sempre molto più fredde, a volte quasi
gelide rispetto al resto del corpo, proprio per lo scarso rapporto tra recettori
adrenergici beta-2 ed alfa-2 (via scarsa attivazione delle UCP).
Il quadro è tutt’altro che semplice. E non è ancora tutto: ricapitolando finora,
non abbiamo ancora messo in conto gli effetti della restrizione calorica sul
tessuto muscolare. Per quanto l’esercizio possa dimostrarsi utile
nell’incrementare la massa muscolare, questo avviene solo quando si
introitano nutrienti in misura tale da disattivare le vie metaboliche
notoriamente attivate durante la restrizione calorica. Abbiamo capito che
l’elemento chiave di queste attivazioni (e disattivazioni) è ancora l’AMPK.
Se non avete letto il paragrafo di approfondimento, l’AMPK è una molecola
che viene attivata in condizioni di bassa energia cellulare (come in una
restrizione calorica) ed ha la funzione di inibire tutti i processi che richiedono
energia - tra cui la sintesi proteica - e attivare quelli che ne garantiscono la
produzione - tra cui la lipolisi -. Puntando alla sola perdita di grasso, si
potrebbe pensare di elevare cronicamente l’AMPK: sfortunatamente, a livello
ipotalamico, questo si rifletterebbe in un aumento dell’appetito, potenziato
dalla mancanza dell’inibizione della leptina sulla grelina. Al contrario,
l’inibizione cronica di AMPK genererebbe ipertrofia del tessuto muscolare
ma anche accumulo di lipidi nel tessuto adiposo: addio effetto dimagrimento
e ricomposizione corporea.
Questo spiega come mai non è possibile in termini generali aumentare il
tessuto muscolare diminuendo quello adiposo, contemporaneamente.
Possiamo però agire creando degli appositi cicli, sfruttando le attivazioni e
disattivazioni di AMPK e sue isoforme, che agiscono differentemente sulla
sintesi proteica, via la molecola mTOR. In particolare: con la restrizione
calorica agiamo sulla isoforma che fa ossidare più grasso e inibisce mTOR,
con l’allenamento agiamo sulla isoforma che invece inibisce poco mTOR.
L’allenamento di per sé, inoltre, aumenta l’attivazione di mTOR e quindi la
sintesi proteica: aumentare i nutrienti in questa fase permette di sfruttarla al
massimo, potenziando l’attivazione di mTOR tramite assunzione di proteine e
aminoacidi e inibendo la sua inibizione, tramite i carboidrati, togliendo quindi
il freno inibitorio della prima isoforma di AMPK.

Applicazioni e applicabilità: dall’astratto al


concreto
La massima perdita di grasso si potrebbe ottenere con un introito di nutrienti
pari a zero, il minimo catabolismo si potrebbe ottenere con un apporto di
nutrienti pari al dispendio energetico: nel primo caso si perderebbe tanto
muscolo, nel secondo caso non si perderebbe affatto grasso.
Basarsi su una strategia nutrizionale ciclica ci permette di sfruttare al
massimo i vantaggi delle attivazioni che tipicamente avvengono in caso di
restrizione calorica, minimizzandone gli svantaggi, ma anche i vantaggi che
derivano da una deliberata maggiore assunzione di nutrienti (e carboidrati, in
particolare), minimizzando anche in questo caso gli svantaggi. Facciamo
notare qui che la ricomposizione corporea e il dimagrimento costituiscono il
risultato che tutti ricercano: per salute, per performance, per estetica.
Prendiamo ad esempio un atleta o un Body builder. Osservandolo in momenti
molto distanti nel tempo, notiamo un aumento delle masse muscolari e una
diminuzione (o quanto meno mantenimento) del tessuto adiposo: cosa è
successo? Semplice, è stata alternata una lunga fase di crescita muscolare
(unita ad aumento del grasso corporeo) e una lunga fase di diminuzione del
grasso corporeo (unita a diminuzione di massa muscolare), col risultato netto
di ricomposizione corporea. Senza considerare l’eventuale ausilio chimico,
per una persona che non ricorre a farmaci o non vuole optare per rimedi
drastici, una strategia basata su fasi lunghe di restrizione/sovralimentazione è
poco indicata; lo è ancora meno nelle persone più difficoltose, quelle che
acquistano grasso facilmente. Infatti, le oscillazioni di peso/grasso fanno sì
che sia sempre più difficile tornare al livello di partenza (se vi ricordate il set-
point, è come se questo si ponesse, ad ogni ingrassamento, a un livello più
elevato): indicativamente, una perdita inferiore al 10% del peso non è
difficile da mantenere, mentre oltre il 10% si attivano potentemente i
fenomeni descritti, tramite leptina/grelina e altri fattori che abbiamo
incontrato. Questi, tra l’altro, fanno ridurre la spesa energetica tramite
diminuzione dell’attività fisica per così dire involontaria, quella cioè non
dovuta ad attività strutturata come l’allenamento - il dispendio derivante da
essa è definito NEAT - Non Exercise Activity Thermogenesis -.
L’obiettivo è dunque comprimere tutto in pochi giorni: come i Body Builder
dedicano interi mesi alle fasi di massa o di definizione, noi dedicheremo
alcuni giorni a ciascuna fase. In particolare, le fasi qui proposte sono tre:
1. fase cosiddetta di dimagrimento, della durata di 2-3 giorni;
2. fase cosiddetta di mantenimento, della durata di poche ore;
3. fase cosiddetta di anabolismo, che segue a una ulteriore fase di
dimagrimento.

Ora, ci preme dire che i nomi non sono precisamente indicativi di ciò che
accade in ognuna delle tre fasi, ma grosso modo possiamo dire che nella
prima fase è accentuata la perdita di grasso, nella seconda fase c’è una stasi,
in cui si cerca di inibire il catabolismo proteico senza azzerare totalmente la
lipolisi e nella terza si cerca di invertire il catabolismo proteico in favore
dell’anabolismo cercando di ridurre al massimo l’eventuale accumulo
adiposo. Per chi se lo stesse chiedendo, l’intero ciclo dura una settimana; i
motivi sono tre:
1. si inserisce bene nella vita di una persona, dal momento che nel
week-end è previsto un giorno o giorno e mezzo di
alimentazione che permette qualche libertà in più, il che si
avvicina molto al pattern alimentare comune medio;
2. alcuni dei meccanismi fisiologici di nostro interesse, si
incastrano benissimo in un ciclo di questa durata, come sarà
chiaro nelle parti che seguono;
3. è un connubio perfetto tra risultato
(dimagrimento/ricomposizione corporea) e sostenibilità in
termini psicologici: oltre alla ricarica del fine settimana, la lieve
assunzione di carboidrati a metà settimana è l’ideale per
spezzarla e non far vivere la dieta come un patema aspettando il
week end successivo.

Fase di dimagrimento
Poniamo ancora l’enfasi sulla terminologia usata, solo un’etichetta da
attribuire a questa fase, senza che si verifichi effettivamente ciò che
l’etichetta semanticamente indurrebbe a pensare. Anche perché, come avete
imparato, per dimagrimento non si intende semplicemente perdita di
peso/grasso ma ricomposizione corporea. In questo capitolo alla parola
dimagrimento sarà attribuito il significato di perdita di tessuto adiposo.
Detto questo, ripetiamo gli obiettivi che ci proponiamo per ottenere il
massimo in termini di perdita di grasso corporeo. Noi vorremmo leptina alta
(o, meglio, non bassa), AMPK alta per stimolare la produzione energetica
dagli acidi grassi, stimolazione preferenziale dei recettori adrenergici beta-2
con eventuale inibizione degli alfa-2. Può sembrare solo un sogno, ma
possiamo lavorare per questo con la strategia integrata che stiamo per
delineare.
Per quanto riguarda la leptina, assumiamo che si parta da una base di
concentrazione normale. Motivo per cui non sarebbe bene iniziare un
approccio di questo tipo dopo un lungo/lunghissimo passato di forte
restrizione energetica. Prima di esso, meglio riportare gli introiti alimentari a
valori più sostenibili; la cosa può essere ottenuta facilmente con un apporto di
1,5-2 g/kg di proteine, almeno 120-150 g di carboidrati al giorno e 0,8- 1 g/kg
di grassi alimentari. Detto questo, procediamo sul nostro protocollo.
Come detto all’interno del manuale, perché l’organismo si accorga del minor
introito energetico occorre qualche tempo, dell’ordine di 4-5 giorni. Il che
vuol dire che non conviene estendere il deficit energetico-glucidico,
soprattutto se molto intenso, oltre il 4° giorno. Come detto a riguardo
dell’AMPK, questa viene inibita da alti livelli di leptina, a livello
ipotalamico, ma attivata a livello muscolare e adiposo. Poiché stiamo
considerando il solo dimagrimento (in questo frangente: ossidazione di acidi
grassi), questo è un bene. La considerazione da fare è che il controllo
esercitato dall’AMPK è molto più rapido di quello esercitato dalla leptina: la
chinasi infatti si accorge subito di un calo dell’energia o del glicogeno
cellulare. Ma questo gioca sempre a nostro favore: entro i primi 4-5 giorni di
restrizione energetico-glucidica, il rapporto ADP/ATP comincia ad elevarsi e
l’AMPK ad essere sempre maggiormente stimolata, inducendo la
mobilizzazione delle riserve energetiche dal tessuto adiposo.
A riguardo di adrenalina, noradrenalina e recettori adrenergici, ci sono due
importanti considerazioni interessanti e di utilità pratica:
1. La prima è che con la restrizione energetico-glucidica la
produzione delle due catecolamine incrementa causando un
aumento del dispendio energetico e dell’ossidazione degli FFA;
qui cade la nozione “Molti pasti stimolano il metabolismo” o
quella de “Il digiuno/la restrizione glucidica fa abbassare il
dispendio energetico”: la realtà è che il tasso metabolico basale
aumenta piuttosto che diminuire, con qualche giorno di digiuno
o simil digiuno (ottenuto ad esempio con una restrizione
glucidica). Si ottiene un aumento plasmatico delle catecolamine
attorno al 3°-4° giorno; ovviamente, gli inconvenienti nascono
se il digiuno è protratto.

2. La seconda è che con l’esposizione ad alte concentrazioni di


acidi grassi, i recettori adrenergici alfa-2 vengono inibiti; di
questo avevamo parlato nel capitolo apposito, ma è bene qui
farne capire l’importanza. Abbiamo creato una restrizione
energetica e glucidica, fatto in modo che siano stati elevati
ormoni e fattori pro ossidazione lipidica (GH, cortisolo,
catecolamine) e a livello molecolare creato le condizioni perché
le cellule si predispongano all’utilizzo di acidi grassi
(attivazione di AMPK, isoforma alfa-1). Togliere il freno
inibitorio dei recettori adrenergici alfa-2 sulla lipolisi gioca
certamente a nostro favore; questo già l’avevate capito ma era
bene sottolinearlo ancora.

Naturalmente, se questi fenomeni sono molto positivi nel breve termine, con
un effetto netto di aumento della lipolisi sostanziale dal 2°-3° giorno di
restrizione energetico-glucidica (per l’effetto combinato dei due), non lo sono
sul lungo termine per gli effetti peggiorativi sulla produzione di leptina e
degli altri ormoni catabolici suddetti. L’amato-odiato cortisolo, per esempio,
se è bene che si elevati in acuto e con picchi ben definiti temporalmente, è un
male che sia cronicamente elevato e a lungo termine. Questo vuol dire che la
nostra restrizione non va estesa a lungo, ed è per questo che si dovrà passare
alla fase di mantenimento successiva.
Un meccanismo molto interessante dal punto di vista dei recettori adrenergici
riguarda il peptide natriuretico atriale e l’angiotensina II, sostanza prodotta a
seguito di una diminuzione della perfusione renale (passaggio di fluido
attraverso il glomerulo, unità funzionale del rene). Abbiamo già incontrato
entrambi e capito i loro effetti a livello recettoriale e per quanto riguarda il
fenomeno della lipolisi, ed è qui che loro entrano in gioco a livello pratico.
Vediamo come. Ricapitoliamo: l’ANP è prodotto a seguito dell’aumento del
volume di sangue ed incrementa la lipolisi nel tessuto adiposo; l’angiotensina
II, che invece genera vasocostrizione, viene inibita a seguito dell’aumento
della volemia e la sua attività determina l’aumento dell’espressione genica
per i recettori adrenergici alfa-2 nonché la loro sensitività. Aumentare la
volemia dunque potrebbe avere effetti lipolitici sia per stimolazione dell’ANP
che per inibizione dell’angiotensina II: elevati apporti idrici uniti a buoni
apporti di sali minerali potrebbero aiutare nella lipolisi. Questo lo si fa
facilmente in maniera molto pratica: al mattino a digiuno, la prima cosa da
fare sarebbe bere “un’ondata” di 500-750 mL di acqua (c’è chi è capace o ha
necessità di arrivare a 1lt - 1lt e mezzo) accompagnata da 1-2 g di sale marino
integrale (un pizzicotto preso tra pollice, indice e medio garantisce quella
quantità).
Manca qualcuno all’appello? Sì: l’insulina. In questa fase si cerca di tenere a
bada l’insulina ma, come detto, senza ossessioni. Abbiamo capito come
lavora l’AMPK e che ha diverse sottostrutture che risentono l’influenza sia
dei cambiamenti energetici cellulare, sia di quelli del glicogeno, sia
dell’insulina. Ma abbiamo anche imparato che se l’insulina si eleva
transitoriamente, anche con un buon picco (ad esempio dopo ingestione di
aminoacidi), poiché la frazione beta è meno attivata dal glicogeno (c’è poco
di quest’ultimo), e quella gamma legata ad ADP o AMP (perché c’è bassa
energia cellulare), l’AMPK non subisce chissà quali inibizioni della sua
attivazione, per lo più per poco tempo.
Questo si traduce in:
● sì a una dieta con pochi carboidrati, relativamente a quelli assunti
complessivamente;
● no a ossessioni quali non prendere qualche aminoacido, verdura
cruda o - in certi casi - addirittura l’assunzione di piccole quote di
carboidrati diretti se all’interno di un pasto contenente anche altri
macronutrienti.
Abbiamo finora affrontato il discorso in termini di perdita di grasso, ma cosa
accade al tessuto muscolare? Si ha un netto catabolismo proteico: come già
annunciato, non possiamo avere la botte piena e la moglie ubriaca, ma
ottenere solo un compromesso, cercando di limitare al massimo la perdita
delle proteine muscolari durante il deficit energetico e glucidico. Non c’è
comunque da preoccuparsi: proprio perché baseremo il protocollo su un ciclo
di Up & Down calorico-glucidico, nella fase più anabolica massimizzeremo
l’altro aspetto, cioè la sintesi proteica e della massa muscolare.
Oltre a questo, non ci scoraggiamo se nella fase di dimagrimento si assiste a
un catabolismo muscolare, non tutti i mali vengono per nuocere. Innanzitutto,
la fase è appositamente limitata nel tempo; in secondo luogo, è vero che la
sintesi proteica muscolare netta è inibita con scarse concentrazioni di
insulina, ma è anche vero che dopo l’esercizio fisico (che dunque ci viene in
aiuto) la quantità di insulina occorrente perché gli aminoacidi esercitino
un’azione positiva sulla sintesi proteica è pari a quella registrata a digiuno
(grazie soprattutto all’attivazione della molecola mTOR). In secondo luogo,
con una restrizione di carboidrati, un aumento della quota proteica è in grado
di contrastare gli effetti catabolici indotti dalla mancanza di insulina. Inoltre,
la stessa attività del mTOR indotta dall’assunzione di aminoacidi ed in grado
di stimolare la sintesi proteica, promuove un potenziamento degli effetti
insulinici in grado di contrastare la proteolisi nel tessuto muscolare ma non la
lipolisi nel tessuto adiposo. Infine, le proteine degradate per via della scarsa
concentrazione insulinica sono prevalentemente proteine sarcoplasmatiche,
mentre quelle sintetizzate via mTOR sono prettamente miofibrillari: se pure
ci fosse questa grande perdita muscolare, la perdita della capacità contrattile
non sarebbe di grande entità ed il volume muscolare riacquistabile in poco
tempo.
Dal punto di vista dell’esercizio fisico, quello che vorremmo è una
stimolazione in grado di contrastare la proteolisi netta, nonché qualcosa che
ci aiuti nell’aumentare la lipolisi. Il primo obiettivo lo otteniamo con una
stimolazione intensa a carico di tutte le fibre muscolari, il secondo tramite
una buona deplezione delle riserve di glicogeno: in questa maniera viene
stimolata la produzione e successiva traduzione dell’mRNA e stimolato
l’AMPK in modo da aumentare la produzione energetica dai substrati lipidici.
L’allenamento conterrà dunque componenti a intensità molto elevata e
componenti tali da sfruttare il sistema della glicolisi. Nota interessante, sia
l’esercizio fisico che una dieta iperproteica e ipoglucidica aumentano la
produzione dell’IGF-1 muscolare, avviando la cascata mTOR-mediata che
porta a sintetizzare proteine.
Per passare alla pratica e cioè al “Come fare tutto questo?” dobbiamo
considerare quanto detto in merito al glicogeno e al suo consumo. In
particolare, si cerca di portare il glicogeno muscolare a circa 60 mmol/kg;
considerato un livello basale di 110-120 mmol/kg, questo richiede un tempo
di contrazione effettiva di 170-180 secondi (in base al consumo, visto in
precedenza, di 0.35 mmol/kg ∙ secondo di contrazione), che divideremo tra
sforzi intensi e sforzi prettamente glicolitici. Come detto nel paragrafo sul
consumo di glicogeno, l’approssimazione regge.
170-180 secondi sono di contrazione effettiva, cioè Tempo Sotto Tensione
(TUT): approssimando una ripetizione o un’accosciata o il completamento di
un gesto nel corpo libero con un tempo di esecuzione di circa 2 secondi,
significa totalizzare circa 90 ripetizioni; in sprint/running significa eseguire
sforzi per totalizzare quei tempi. Ma a questo arriveremo successivamente:
prima di arrivare a una condensazione dovremo fare altre considerazioni.

Fase di mantenimento
Definiamo questa fase di mantenimento perché si cerca di effettuare, se pure
in modo lieve, una sorta di inversione (o, per meglio dire,
inibizione/rallentamento) dei processi metabolici che stavano avvenendo
nella fase precedente. Come infatti anticipato, non possiamo estendere il
periodo di restrizione troppo a lungo: la cosa migliore è sfruttare tutto ciò che
si può sfruttare minimizzando gli effetti collaterali, in primis l’abbassamento
della leptina e secondariamente l’eccessiva stimolazione dell’AMPK che
potrebbe portare ad una soppressione dell’mTOR con conseguente
catabolismo proteico sul lungo termine.
Rispetto a quello che si fa tradizionalmente nelle diete cicliche 5+2 o 6+1,
cioè 5 o 6 giorni di restrizione e 2 o 1 di sovralimentazione, noi abbreviamo
la durata di questi cicli. Questo per sfruttare proprio le tempistiche di
attivazione/disattivazione che abbiamo studiato: rallentiamo il calo
fisiologico della leptina che avviene in pochi giorni, e sfruttiamo almeno in
parte l’inversione/inibizione dei processi metabolici operando su AMPK (con
le sue isoforme) e mTOR.
Come fare, dunque? Poiché una significativa riduzione della leptina si
registra al 4°-5° giorno dall’inizio della restrizione calorica e dal momento
che per alzarne i livelli sono utili 5-6 ore di iperalimentazione, possiamo
pensare di introdurre un intervallo di tempo in cui vengano aumentati i
carboidrati e in generale i nutrienti assunti. Ricordiamo inoltre che vogliamo
incastrare tutto in una settimana e che dobbiamo stare ad alcuni tempi
necessari perché particolari processi biochimici avvengano, nonché fare
entrare nel programma un tipo particolare di allenamento. Programmiamo
quindi una introduzione di carboidrati al 3° giorno dall’inizio della
restrizione, quando abbiamo anche già sfruttato gli effetti lipolitici delle
catecolamine, come descritto nella fase precedente.
Vediamo quali sono gli effetti vantaggiosi di questa scelta. Introducendo un
allenamento prima di elevare l’apporto di carboidrati, facciamo in modo che
questi vengano stoccati preferenzialmente nel muscolo scheletrico, dove
andranno a ripristinare (in parte) le scorte di glicogeno. In questa situazione,
il glicogeno presente nel fegato non viene ripristinato se non in minima parte,
permettendo dunque che l’AMPK a livello epatico rimanga elevata: la
chinasi, attivata, riduce la produzione di malonil-CoA, sostanza che inibisce
la CPT e dunque la lipolisi. Quello che abbiamo ottenuto è, dunque, una
parziale inversione dello stato metabolico muscolare perpetuando il più
possibile quello epatico/sistemico: mentre nei muscoli, ricaricati di glicogeno,
l’AMPK viene inibita permettendo la massima sintesi proteica, potenziata
dagli effetti dell’insulina sul mTOR (quest’ultima, inoltre, viene direttamente
attivata dall’allenamento), nel fegato continua l’ossidazione dei substrati
energetici per ricavare energia. Il glicogeno muscolare è ricaricato in parte
perché vogliamo attenuare la proteolisi ma non totalmente inibire
l’ossidazione lipidica, che rimane comunque elevata per concentrazioni di
glicogeno intorno alle 70 mmol/kg: occorre dunque reintegrare solo 40-50
millimoli, considerando una quasi totale deplezione di glicogeno (dovremmo
essere arrivati a ~20-30 mmol/kg).
Benché abbiamo considerato i processi avvenire in maniera del tutto
compartimentalizzata, dovete tenere presente che nella realtà tutto avviene su
un continuum. Il che vuol dire che se prima del piccolo carico di carboidrati
l’organismo stava utilizzando massimamente substrati lipidici per ottenere
energia, anche se abbiamo adottato tutte le accortezze per fare in modo che
continui, in ogni caso lo farà un po’ meno perché, volenti o no, non possiamo
indirizzare il 100% dei carboidrati verso un solo tessuto. Dunque, tutto il
discorso equivale a dire che la degradazione proteica netta nel tessuto
muscolare diventa un po’ meno accentuata, mentre l’ossidazione dei substrati
energetici nel tessuto epatico continua ma con un po’ meno enfasi. Non può
invece accadere che nel muscolo si abbia sintesi proteica netta mente nel
fegato produzione energetica massima.
Sul fronte allenamento, quello che si cerca è la massima deplezione di
glicogeno in modo che i carboidrati siano indirizzati preferenzialmente ai
muscoli - perché vengono stimolate la glicogeno sintasi e la traslocazione dei
GLUT4 sulla membrana cellulare - e uno stimolo allenante tale da aumentare
numero e attività dei ribosomi (sempre via mTOR), a fronte dei giorni che
verranno e, presumibilmente, per aumentare la traduzione degli mRNA
precedentemente prodotti. L’attività sarà dunque costituita da esercizi ad
intensità non troppo elevata, che richiederebbero il sistema energetico ATP-
CP senza utilizzo di glicogeno, né troppo voluminosa, che richiederebbero
l’utilizzo di bassi carichi non in grado di stimolare l’mTOR. Tutto questo è
ottenibile tramite un allenamento con tempo di contrazione totale di circa 90
secondi (da trasformare in numeri utili per il workout, come vedremo), in cui
il glicogeno arriva intorno alle 30 mmol/kg.

Fase di anabolismo
In questa fase l’obiettivo è invertire lo stato metabolico dell’intero organismo
da catabolico ad anabolico; si cerca la massima sintesi proteica unita alla
minore rideposizione di lipidi nel tessuto adiposo. A dire il vero, un ottimo
risultato ottenibile è una modesta sintesi proteica muscolare netta unita ad
una neosintesi lipidica nulla o lievemente negativa (nei casi fortunati). Tra i
maggiori vantaggi vi è, comunque, una normalizzazione dei livelli di leptina
o quantomeno un ritorno a livelli quasi basali (sperare in un ripristino
completo al 100% in un più ampio ciclo di restrizione sarebbe utopico).
Poiché, però, non abbiamo esteso molto la restrizione calorica, i livelli di
leptina non si sono abbassati al punto da compromettere in modo
determinante il partizionamento dei nutrienti assunti, che volgiamo a nostro
vantaggio anche tramite l’allenamento.
Per ottenere gli effetti descritti di inibizione di quei processi metabolici messi
in atto dall’organismo, si cerca di ripristinare le scorte di glicogeno fino a
concentrazioni precedenti la ricarica aumentando i carboidrati per un giorno o
un giorno e mezzo, per mezzo di una cosiddetta ricarica di
carboidrati/glucidi in cui questi vengono assunti in grandi quantità. Gli
effetti di un elevato introito energetico e glucidico sulla liposintesi sono
ridotti proprio per il partizionamento che abbiamo volto a nostro favore (cioè
con le condizioni create è il tessuto muscolare a farsi carico
dell’assorbimento della maggior parte dei nutrienti); inoltre, la sintesi di
trigliceridi a partire dai carboidrati è molto bassa. Infine, abbiamo creato e -
con un ulteriore allenamento - contribuiamo a creare le condizioni favorevoli
perché l’organismo possa sintetizzare proteine, processo che richiede molta
energia. L’aumento dei carboidrati genera inoltre un incremento dei livelli di
insulina che potenzia gli effetti degli ormoni anabolici (slegandoli dalle loro
proteine di trasporto) come testosterone, GH ed IGF-1, la cui produzione
nonché disponibilità recettoriale sono indotte dall’allenamento.
Immediatamente prima delle 24-36 ore di anabolismo, dunque, bisogna
programmare un allenamento che preveda intensità tali da stimolare tutte le
fibre muscolari e la sintesi di nuovo mRNA (quindi molto elevata), e tali
anche da permettere una buona deplezione del glicogeno e un aumento
nell’attività e nella produzione dei ribosomi (che, stimolati dal mTOR,
daranno il via alla sintesi delle proteine). Il tempo sotto tensione richiesto
dall’allenamento, per ottenere questi scopi, è di circa 90 secondi.
Dalla pratica alla messa a punto
Avete sudato, avete faticato, avete aspettato ed avete sperato per questo
momento: finalmente i vostri sforzi sono stati ripagati. Come mettere a punto
questa strategia integrata di alimentazione ed allenamento? Bene, qui
dimentichiamo tutte le basi teoriche e ci occupiamo prevalentemente di dare
applicazioni. Vi accorgerete come tutte le pagine precedenti possano essere
condensate in non più di qualche foglio: questo è significativo di quanto sia
complesso l’organismo umano con i processi che avvengono al suo interno.
Una restrizione energetica non è, metabolicamente parlando, una semplice
restrizione, come abbiamo avuto modo di vedere, ma uno stimolo che segnala
all’organismo di mettere in moto determinati meccanismi. Accantoniamo le
troppe parole e passiamo alle indicazioni pratiche.

Impostazione pratica della settimana


Tutta la teoria di cui abbiamo discusso si traduce, nella pratica - cioè quando
si vanno a elaborare schemi dietetici, di allenamento e di integrazione - in
qualcosa di molto sintetico. La settimana del protocollo che da quanto
studiato dovremmo delineare risulta essere questa:
● giorni 1 e 2: fase di dimagrimento;
● giorno 3: fase di mantenimento;
● giorni 4 e 5: fase di dimagrimento;
● giorni 6 e parte del 7: fase di anabolismo.
e cerchiamo di capire dal punto di vista di dieta e allenamento cosa fare.
Procediamo per gradi…

Dieta per le varie fasi


La settimana descritta mostra due fasi di dimagrimento divise da una fase di
mantenimento; in realtà per motivi che saranno presto chiari e
semplificheranno di molto calcoli e impostazione, possiamo pensare a una
sola fase di dimagrimento che al suo interno contiene la fase di
mantenimento. Quest’ultima infatti sarà ottenibile aumentando
semplicemente i carboidrati a partire da una base di giorno di dimagrimento.
Nella fase di dimagrimento come definita, quindi, l’alimentazione è costituita
da un ridotto apporto di carboidrati, un elevato apporto proteico e un certo
apporto di grassi. Per garantire la deplezione di carboidrati ricercata bisogna
evitare di elevare in maniera determinante il rapporto insulina/glucagone,
quindi introdurre come fonte di carboidrati solo verdure fibrose, piccole
quantità di frutta e/o carboidrati integrali a basso indice glicemico, per un
massimo di 50-70 g di glucidi digeribili nella giornata. L’apporto proteico
deve essere elevato, vista anche la mole di allenamento richiesto, a circa 3 g
per kg di massa magra o 2.5 g per kg di peso corporeo. I grassi coprono il
resto del contributo energetico, per un introito medio di 50-70 g. Ci dispiace
deludere i fan dell’introito calorico, ma considerare le “calorie IN” - specie in
protocolli di questo tipo - vi confonde e basta: basatevi sui grammi di
macronutrienti, come indicato, così come per modifiche future in corso
d’opera.
Nella fase di mantenimento, l’unica cosa che cambia è l’aggiunta, nelle 5-6
ore che seguono l’allenamento (vale a dire il post allenamento e il primo
pasto successivo), di 3-4 g/ kg di massa magra o 2.5-3.5 g/kg di peso
corporeo di carboidrati. Proteine e grassi rimangono esattamente uguali alla
fase di dimagrimento; capito bene? Tutto quello che dovete fare è impostare
la base come da dimagrimento e semplicemente aggiungere i carboidrati in
quelle dosi. Successivamente andremo a semplificare maggiormente e questa
cosa sarà lapalissiana guardando il protocollo derivante.
Per quanto concerne la fase di recupero, si tratta di fare 24-36 ore di
alimentazione iperglucidica, con un apporto di carboidrati dell’ordine di 8-12
g/kg di LBM (Lean Body Mass, ovvero il peso corporeo sottratto del peso del
grasso) o 6-10/kg di peso. Il motivo di range non proprio definiti è che questa
è l’unica fase che può differire anche in maniera consistente da individuo ad
individuo. Tralasciando fattori che hanno a che vedere prettamente con
risposte metaboliche individuali, l’indicazione di massima è la seguente:
● Persone con una percentuale di grasso media, quella mantenibile a
lungo senza sforzi eccessivi, intorno al 14-16% per gli uomini e 23-
25% per le donne, faranno una ricarica più breve e meno intensa (24
h a 8-10 g di carboidrati per kg di LBM).

● Persone con una percentuale di grasso a cui sono giunti con una
qualche restrizione non proprio semplice, intorno al 12-13% per gli
uomini e 21-23% per le donne, faranno una ricarica più lunga e più
intensa (36 h a 10-12 g/kg).
Siccome l’indicazione delle 24-36 h potrebbe creare scompiglio su quando
iniziare o finire la ricarica, il modo per non complicarsi la vita esiste ed è
fattibile. Poniamo il caso che il pattern alimentare abituale di una persona sia
distribuito su 4 pasti (2 entro il primo pomeriggio, 2 dopo) e abbiate
impostato una ricarica di 24 h che inizia nel primo pomeriggio. Imposterete la
ricarica in modo che:
● 2 pasti siano ancora della fase di dimagrimento (quelli entro il primo
pomeriggio);
● 4 pasti siano di ricarica, 2 dal primo pomeriggio di un giorno, e 2
entro il primo pomeriggio del giorno successivo;
● i restanti 2 pasti del giorno in cui è finita la ricarica saranno pasti di
dimagrimento.
C’è da aggiungere che, sebbene l’optimum sia far coincidere l’inizio della
ricarica (quindi della fase di recupero qui descritta) con la fine
dell’allenamento, impegni e necessità della vita potrebbero trovare scomodo
questo approccio, specie se si considera il fatto che la fase di recupero può
essere utilizzata per le occasioni sociali in cui tendenzialmente si mangia di
più e diversamente. Si può quindi attendere per la ricarica, e farla iniziare il
giorno successivo, includendo in essa anche un pasto libero prettamente
spostato sui carboidrati.
Nutrizione prima, durante e dopo allenamento
Per la nutrizione cosiddetta peri allenamento, cioè a cavallo
dell’allenamento, si possono fare delle considerazioni specie in base al
livello della persona a cui si andrà ad applicare questo protocollo. Non
occorre, comunque, un livello di differenziazione estremo: i piccoli dettagli
sarebbero comunque ampiamente superati dagli effetti del quadro generale,
ma per quello che ci proponiamo qui potrebbe essere utile fare la stessa
divisione fatta sopra, tra persone con percentuale di grasso media (uomini:
14-16%; donne: 23-25) e persone con percentuale di grasso bassa (uomini:
12-13%; donne: 21-23%). Quindi:
● Per percentuali di grasso medie: non differenziare la nutrizione
prima, durante, dopo allenamento nei vari giorni della settimana; si
assegnerà un piccolo pasto (meglio uno shaker) con 15-25 g di
proteine, 20-30 g di carboidrati (preferibilmente zuccheri) a cui
facoltativamente si possono aggiungere 6-10 g di BCAA e 3-4 g di
creatina.

● Per percentuali di grasso basse: si differenzierà la nutrizione peri


allenamento nei vari giorni, in questo modo:
○ Giorno A: 15-25 g di proteine, 20-30 g di carboidrati e,
facoltativi, 6-10 g di BCAA e 3-4 g di creatina;
○ Giorno B: 15-25 g di proteine, 50-60 g di carboidrati e,
facoltativi, 6-10 g di BCAA e 3-4 g di creatina;
○ Giorno C:
■ Se la ricarica sarà fatta subito dopo: 15-25 g di
proteine, 50-60 g di carboidrati e, facoltativi, 6-10
g di BCAA e 3-4 g di creatina;
■ Se la ricarica sarà fatta il giorno dopo: 15-25 g di
proteine, 30-50 g di carboidrati e, facoltativi, 6-10
g di BCAA e 3-4 g di creatina.
In linea di massima, per entrambi i tipi di soggetti, si può assegnare molto
semplicemente uno shaker da sorseggiare dall’inizio alla fine
dell’allenamento. Può capitare che l’allenamento sia subito dopo o subito
prima di un pasto, in tal caso si indicherà di iniziare a bere più verso l’inizio
dell’allenamento o più verso la fine dell’allenamento, rispettivamente. Se
invece l’allenamento è a pari distanza da due pasti, si farà iniziare a
sorseggiare all’inizio dell’allenamento per finire alla fine.

Allenamento per le varie fasi


Il programma di allenamento è basato su tre allenamenti settimanali, che
possono essere eseguiti con i pesi, a corpo libero, con esercizi ciclici (corsa,
nuoto e simili) o con una combinazione di essi. Quel che importa è il modo in
cui ci si allena, che deve rispettare le direttive descritte nei paragrafi
precedenti:
● 1° giorno ad alta intensità unito ad alto volume (allenamento di
potenza più di volume - A);
● 3° o 4° giorno a media intensità (allenamento di tensione - B) e
medio-alto volume;
● ultimo giorno (5° o 6°) ad alta intensità unito a medio volume
(allenamento di potenza più allenamento di tensione - C).
Occorre ricordare che l’allenamento dovrebbe coinvolgere tutto il corpo
affinché i calcoli sul consumo di glicogeno trovino corrispondenza; in caso
contrario (runner, per esempio), dal momento che è impossibile sapere quanta
percentuale di massa muscolare è utilizzata, si possono fare solo delle stime.
Per i pignoli, forniamo qualche dato più preciso. La distribuzione
approssimativa della massa del tessuto muscolare è la seguente:
● arti superiori 6-7% del peso corporeo, ovvero il 15% del tessuto
muscolare totale;
● arti inferiori 18-20%, pari a circa il 50% del tessuto muscolare;
● tronco (escluse testa, collo e braccia) 15%, ovvero il 35% della
massa muscolare.
quindi - per quanto ripetiamo quanto sia vivamente consigliato coinvolgere
tutto il corpo ad ogni allenamento (l’impatto metabolico è decisamente
maggiore e, dunque, molto conveniente per gli scopi che qui ci proponiamo) -
i numeri forniti possono darvi l’opportunità di calcolare la quota di
carboidrati da assumere in caso di allenamenti non full body, ovviamente in
modo proporzionale alla muscolatura utilizzata: se in sala pesi si allenano
solo le gambe o solo tronco e braccia - non contando il coinvolgimento
reciproco - i carboidrati da consumare vanno divisi per 2. Capite bene però
che qui andiamo verso il particolare, mentre il protocollo che vogliamo
delineare ci serve per dimagrimento e ricomposizione corporea e con in
mente questo obiettivo, dovremmo fare ciò che è giusto fare per raggiungerlo
nel modo più efficiente possibile: con allenamenti full body. Il che vuol dire
che chi fa allenamenti a corpo libero, di running, nuoto e simili, dovrebbe
impegnarsi per aggiungere delle parti che coinvolgano il resto della
muscolatura non coinvolta da quegli esercizi. Vediamo ora come sono
strutturati i tre giorni di allenamento.
Allenamento con i pesi
Da quanto detto, l’allenamento con i pesi - che vi piaccia o no - è il modo più
efficiente per fare dimagrimento e ricomposizione corporea. Il focus è
proprio la body recomposition; gli Atleti che vogliono migliorare i tempi sui
100 m - per esempio -, anche se potrebbero seguire la strategia proposta qui
(faremo dopo qualche considerazione), dovrebbero essere focalizzati su
quell’obiettivo prestativo e tenere l’effetto ricomposizione corporea come
collaterale al loro stile di dieta, allenamento, vita in generale. Detto questo,
per chi invece ha proprio come focus l’obiettivo di aumentare la massa
muscolare e ridurre il grasso corporeo, i pesi sono la via più efficiente per
raggiungerlo. Il motivo è presto detto: certe intensità sono difficilmente
raggiungibili con l’allenamento a corpo libero, il running, il nuoto, etc. La
premessa non vi intimorisca: viene presentato anche come programmare
l’interval training (applicato a qualsiasi tipo di attività, corsa, nuoto, ellittica,
remoergometro) in maniera consona al protocollo che abbiamo capito sarebbe
utile delineare in ottica di dimagrimento.
Ecco come dovrebbe essere costruito l’allenamento con i pesi per le varie
fasi:
Giorno A
Questo è il primo giorno della fase di dimagrimento. Si eseguono 5-6 serie
di esercizi multiarticolari con carichi molto elevati (85-90% dell’1RM) e
ripetizioni nel range 1-3; a queste seguono 4 o 5 serie da 10-20 ripetizioni, di
esercizi che possono essere scelti uguali ai precedenti o diversi, eseguiti con
carichi che permettano di non arrivare all’incapacità muscolare, ma solo
vicini ad essa all’ultimissima ripetizione (la sensazione da ricercare deve
essere quella di forte bruciore, pur tuttavia sentendo di poter fare un’altra
ripetizione).
La porzione di allenamento ad alto volume può essere eseguita a circuito, in
modo che esercizi adiacenti coinvolgano gruppi muscolari preferibilmente
distanti, e che si riducano i tempi di allenamento conservandone (se non
aumentandone) l’efficienza; alternativamente, gli esercizi possono essere
accoppiati in movimenti che coinvolgano gruppi muscolari antagonisti,
eseguendo dunque dei “Jump Set”: si passa da un esercizio all’altro senza
recupero, si completano le serie per quella coppia di esercizi e poi si passa
alla coppia successiva.
Ecco un modo per impostare questo allenamento:
● 1 esercizio per la parte bassa (Squat o Stacco da Terra o loro
varianti): 5-6 set x 1-3 rep lavorando con carichi elevati; si può
anche utilizzare il ramping, ovvero fare serie da 1-3 ripetizioni
incrementando il carico del 5-10% ad ogni serie partendo dal 50-
60% e arrivando fino alla serie molto difficoltosa.
● 1 esercizio per la parte alta (Military Press o Distensioni su Panca o
loro varianti) eseguito allo stesso modo.

● Eventualmente un terzo esercizio per la parte che muova gruppi


muscolari differenti; in genere questo esercizio ha bisogno di meno
serie (2-3 possono bastare), in quanto che lo si voglia o no
l’esercizio precedente ha già coinvolto indirettamente i muscoli
bersaglio (ad esempio, delle Distensioni su Panca ben fatte, attivano
tutta la muscolatura della parte superiore e non solo “petto-deltoidi-
tricipiti”).

● A seguire, si può scegliere tra:


○ circuito come: Affondi/Leg Press + Piegamenti/Spinte +
Trazioni/Rematori; eseguito con un range di ripetizioni tra
10 e 15 e per 4-6 volte (niente recupero tra gli esercizi; 2-3
minuti tra i circuiti);
○ gli stessi esercizi svolti prima: effettuati con un range di
ripetizioni tra 10 e 15 per 4-6 serie; è anche possibile fare
questo subito dopo la prima “tornata” (ovvero: si fa Squat
5-6 x 1-3, a cui si fa seguire 4-6 x 10-15 - riducendo
ovviamente il carico); questo riduce notevolmente i tempi
di allenamento rendendolo molto più sostenibile.
Giorno B
3°-4° giorno, coincidente con l’inizio della fase di mantenimento, cioè dopo
questo allenamento si inizia la ricarica di metà settimana. Si eseguono 5-6
serie di esercizi multiarticolari da 4-6 ripetizioni con l’indicazione di
utilizzare carichi tali da non raggiungere l’esaurimento muscolare, ma sentire
di avere un’altra ripetizione (indicativamente, il 75% dell’1RM dovrebbe
essere appropriato).
Ecco un modo per impostare questo allenamento:
● 1 esercizio per la parte bassa (Squat o Stacco da Terra o loro
varianti): 5-6 set x 4-6 rep lavorando con carichi elevati; si può
anche utilizzare il ramping, ovvero fare serie da 4-6 ripetizioni
incrementando il carico del 5-10% ad ogni serie partendo dal 50-
60% e arrivando fino alla serie molto difficoltosa.

● 1 esercizio per la parte alta (Military Press o Distensioni su Panca o


loro varianti) eseguito allo stesso modo.

● Eventualmente un terzo esercizio per la parte che muova gruppi


muscolari differenti, con le stesse considerazioni viste su.

● Solo facoltativamente, si può scegliere di:


○ eseguire 10-20 minuti di cardio al 70-75% della FCmax;
○ dedicarsi allo stretching e ad esercizi di respirazione (10-20
min totali);
○ dedicarsi al “core”, ad esempio con un circuito: Plank 30’’
+ Leg Raise 10 ripetizioni + Sit Up 10 ripetizioni, ripetuto
2-4 volte con 2-3 minuti di pausa tra i circuiti.
Giorno C
5°-6° giorno, coincidente con l’inizio della fase di anabolismo, cioè dopo
questo allenamento o il giorno dopo si inizia la ricarica del fine settimana.
Scegliendo sempre esercizi multiarticolari, si eseguono 3-4 serie da 3-6
ripetizioni con carichi pesanti (80-90% dell’1RM), alle quali seguono schemi
simili a quelli del giorno B, solo diminuendo il numero delle serie a 3-4 e di
ripetizioni tra le 6 e le 10.
Ecco un modo per impostare questo allenamento:
● 1 esercizio per la parte bassa (Squat o Stacco da Terra o loro
varianti): 3-4 set x 3-6 rep lavorando con carichi elevati; si può
anche utilizzare il ramping, ovvero fare serie da 3-6 ripetizioni
incrementando il carico del 5-10% ad ogni serie partendo dal 50-
60% e arrivando fino alla serie molto difficoltosa.

● 1 esercizio per la parte alta (Military Press o Distensioni su Panca o


loro varianti) eseguito allo stesso modo.

● Eventualmente un terzo esercizio per la parte che muova gruppi


muscolari differenti, con le stesse considerazioni viste su.
● A seguire, si può scegliere tra:
○ circuito come: Affondi/Leg Press + Piegamenti/Spinte +
Trazioni/Rematori; eseguito con un range di ripetizioni tra
6 e 10 e per 3-4 volte (niente recupero tra gli esercizi; 2-3
minuti tra i circuiti);
○ stessi esercizi svolti prima: effettuati con un range di
ripetizioni tra 6 e 10 per 3-4 serie; è anche possibile fare
questo subito dopo la prima “tornata” (ovvero: si fa Squat
3-4 x 3-6, a cui si fa seguire 3-4 x 6-10 - riducendo
ovviamente il carico); questo riduce notevolmente i tempi
di allenamento rendendolo molto più sostenibile.
Interval training
Utile per tutte le attività che si basano su gesti “ciclici”, running, nuoto,
remoergometro; questo è da considerare comunque come miglior
compromesso: è sempre più difficile raggiungere le tensioni intramuscolari
che si raggiungono con i pesi.
Giorno A: si eseguono 5-6 scatti/sprint da 10-20 secondi al massimo che si
può dare (RPE 9-10); da notare che 10-20 secondi equivalgono a scatti di 50-
100 m per i più; a questi seguono 4-5 ripetute da 45-60 secondi con un RPE
di circa 7.
Giorno B: si eseguono 5-6 scatti/sprint da circa 30-45 secondi con un RPE di
circa 8. A seguire, dedicarsi al “core”, ad esempio con un circuito: Plank 30’’
+ Leg Raise 10 ripetizioni + Sit Up 10 ripetizioni, ripetuto 2-4 volte con 2-3
minuti di pausa tra i circuiti.
Giorno C: si eseguono 3-4 scatti/sprint da 10-20 secondi con un RPE di 9-10;
successivamente si eseguono ripetute simili a quelle del giorno B,
diminuendone il numero a 3-4.
Sarebbe bene aggiungere esercizi per la parte alta che possano dare uno
stimolo sia di tipo power, sia volume che metabolic. Ad esempio: Push Up
esplosivi, Push Up e Push Up appesantiti.
Bodyweight Training
Anche per il corpo libero si tratta del miglior compromesso; meglio rispetto
all’interval training in questo contesto e sicuramente molto proficuo in
termini di risultato specie in chi non muove carichi così elevati con i pesi.
Questo perché se una persona è già a un livello tale da sollevare 150-200 Kg
di un esercizio per la parte bassa con i pesi, non otterrà uno stimolo molto
proficuo con i Bodyweight Squat nel corpo libero.
Giorno A
Si eseguono 5-6 serie di esercizi che comportino la generazione di molta
potenza, quindi esplosivi (come balzi e piegamenti esplosivi) e ripetizioni nel
range 3-6; a queste seguono 4 o 5 serie da 10-20 ripetizioni, di esercizi
eseguiti in modo da arrivare quasi all’incapacità muscolare, ricercando la
sensazione di forte bruciore muscolare, pur tuttavia sentendo di poter fare
qualche altra ripetizione.
La porzione di allenamento ad alto volume può essere eseguita a circuito, in
modo che esercizi adiacenti coinvolgano gruppi muscolari preferibilmente
distanti, e che si riducano i tempi di allenamento conservandone (se non
aumentandone) l’efficienza.
Ecco un modo per impostare questo allenamento:
● 1 esercizio esplosivo per la parte bassa (Jump Squat, High Jump o
Broad Jump): 5-6 set x 3-6 rep.

● 1 esercizio esplosivo o molto impegnativo per la parte alta (Push Up


esplosivi, Push Up appesantiti, Handstand Push Up) eseguito allo
stesso modo.

● Eventualmente un terzo esercizio per la parte che muova gruppi


muscolari differenti; in genere questo esercizio ha bisogno di meno
serie (2-3 possono bastare), in quanto che lo si voglia o no
l’esercizio precedente ha già coinvolto indirettamente i muscoli
bersaglio (ad esempio, dei Piegamenti - Push Up - ben fatti, attivano
tutta la muscolatura della parte superiore e non solo “petto-deltoidi-
tricipiti”).

● A seguire, un circuito come: Affondi/Bodyweight Squat +


Piegamenti/Handstand in trattenuta + Superman; eseguiti con un
range di ripetizioni tra 10 e 15 (o secondi tra 25-40) e per 4-6 volte
(niente recupero tra gli esercizi; 2-3 minuti tra i circuiti).
Giorno B
Si eseguono 5-6 serie di esercizi multiarticolari da 8-10 ripetizioni con
l’indicazione di utilizzare esercizi tali da non raggiungere l’esaurimento
muscolare, ma sentire di avere qualche altra ripetizione.
Ecco un modo per impostare questo allenamento:
● 1 esercizio esplosivo per la parte bassa (Jump Squat, High Jump o
Broad Jump): 5-6 set x 8-10 rep - ovviamente, l’RPE rispetto al
giorno A è più basso -.

● 1 esercizio esplosivo o molto impegnativo per la parte alta (Push Up


esplosivi, Push Up appesantiti, Handstand Push Up) eseguito allo
stesso modo.

● Eventualmente un terzo esercizio per la parte che muova gruppi


muscolari differenti, con le stesse considerazioni viste su.

● Solo facoltativamente, si può scegliere di:


○ eseguire 10-20 minuti di cardio al 70-75% della FCmax;
○ dedicarsi allo stretching e ad esercizi di respirazione (10-20
min totali);
○ dedicarsi al “core”, ad esempio con un circuito: Plank 30’’
+ Leg Raise 10 ripetizioni + Sit Up 10 ripetizioni, ripetuto
2-4 volte con 2-3 minuti di pausa tra i circuiti.
Giorno C
Si eseguono 4-5 serie da 6-8 ripetizioni di esercizi esplosivi o pesanti, alle
quali seguono schemi simili a quelli del giorno B, solo diminuendo il numero
delle serie a 3-4 e di ripetizioni tra le 10 e le 12.
Ecco un modo per impostare questo allenamento:
Ecco un modo per impostare questo allenamento:
● 1 esercizio esplosivo per la parte bassa (Jump Squat, High Jump o
Broad Jump): 4-5 set x 6-8 rep.
● 1 esercizio esplosivo o molto impegnativo per la parte alta (Push Up
esplosivi, Push Up appesantiti, Handstand Push Up) eseguito allo
stesso modo.

● Eventualmente un terzo esercizio per la parte che muova gruppi


muscolari differenti; in genere questo esercizio ha bisogno di meno
serie (2-3 possono bastare), in quanto che lo si voglia o no
l’esercizio precedente ha già coinvolto indirettamente i muscoli
bersaglio (ad esempio, dei Piegamenti - Push Up - ben fatti, attivano
tutta la muscolatura della parte superiore e non solo “petto-deltoidi-
tricipiti”).

● A seguire, un circuito come: Affondi/Bodyweight Squat +


Piegamenti/Handstand in trattenuta + Superman; eseguiti con un
range di ripetizioni tra 10 e 12 (o secondi tra 20-30) e per 3-4 volte
(niente recupero tra gli esercizi; 2-3 minuti tra i circuiti).
Miscellanea bruciapelo: tips & tricks
utili
In questo capitolo sono raccolti alcuni Tips & Tricks molto utili a livello
pratico per quanto riguarda l’approccio proposto, sia in termini di dieta che di
allenamento. Parliamo anche di cosa aspettarsi, in modo da preparare ad
eventuali difficoltà ed offrire indicazioni su come superarle.

Prepararsi per iniziare


Prima di iniziare questo protocollo integrato di dieta e di allenamento
consigliamo di effettuare un paio di settimane di rodaggio, sia
all’alimentazione che all’esercizio fisico. Se non si è abituati alla gestione di
diete con quote di carboidrati basse, sarà difficile sapere come superare i
periodi in cui non ci si sente bene sia per la restrizione energetica sia per
quella glucidica. Il rischio di abbandono potrebbe essere dietro l’angolo. Ci
sono motivazioni fisiologiche a questo, perché occorre un certo tipo di
adattamento al basso tenore di carboidrati, nonché al minore introito
energetico. Parimenti, se non si è abituati ad allenamenti ripetitivi ma in un
certo senso duri (arrivare in alto con l’intensità, per poi diminuirla e
continuare, restando concentrati, richiede un po’ di adattamento), specie in
ottica restrizione glucidica, ricordate che ci vuole un po’ di adattamento e
anche che le programmazioni di allenamento sono a lungo termine e non si
cambiano ogni 3-4 settimane.
Il consiglio è quello di impostare due settimane senza restrizione apparente,
cioè assumendo la quota di proteine indicata, un buon quantitativo di grassi e
- se si è nuovi di diete low carb e ciclizzazioni dei carboidrati - impostare
come base tra e 120-180 g di carboidrati al giorno, o comunque senza
scendere sotto i 100 g (valore per i più motivati e metabolicamente propensi
alle low carb). Qualsiasi sia il livello di partenza di carboidrati, per ogni
grammo tolto per arrivare a ridurli entro quel range (o a 100 g), aggiungete
0.5 g di grassi. Esempio: si partiva da 250 g di carboidrati al giorno, voi
volete portare questo introito a 150 g mentre l’obiettivo a lungo termine è
circa 70-80 g. Vorrà dire che si assumeranno circa 50 g di grassi aggiuntivi
rispetto a un livello base di 0.8-1.0 g/kg. A livello di allenamento, invece, il
consiglio in queste due settimane è quello di seguire le stesse indicazioni
presentate sopra, ma:
● riducendo l’intensità per tutti i suoi valori, intesi come % di carico
nei pesi o RPE nell’interval o bodyweight training del 20% o di 2,
rispettivamente;
● abbassando il volume, agendo sulle serie e lasciando invariate le
ripetizioni, togliendo il 30% di serie (se erano 4 → si passa a 3; se
erano 6 → si passa a 4; e così via).

Effetto whooshing: dimagrimento ritardato


Nel capitolo relativo all’AMPK, abbiamo accennato a un effetto di
svuotamento repentino del tessuto adiposo in alcune condizioni particolari.
Iniziando una restrizione energetico-glucidica non sempre le prime settimane
si verifica un miglioramento della condizione fisica, innanzitutto perché il
primo ad essere mobilizzato è il grasso viscerale, in secondo luogo perché gli
adipociti, perdendo la loro gocciola lipidica tendono a mantenere il volume:
nello spazio prima occupato dai trigliceridi viene richiamata acqua.
Questo fenomeno di ridistribuzione idrica può dare effetti estetici non molto
buoni (sembra di peggiorare), sia alla vista che al tatto (gli strati adiposi
sottocutanei assumono una consistenza di un palloncino riempito con acqua).
Dopo qualche tempo però, si verifica quello che è noto come “effetto
whooshing”: un repentino svuotamento dell’accumulo idrico negli adipociti.
Alcuni fattori velocizzano il fenomeno, come ad esempio un’occasione in cui
vengono elevati i carboidrati dietetici, preferibilmente assunti secchi/non
idratati (gallette, pane; rispetto a quelli idratati come riso, patate, che con la
cottura acquistano acqua). Probabilmente, i motivi di questo sono dovuti allo
spostamento dei liquidi dal tessuto adiposo a quello muscolare (perché il
glicogeno attira acqua) e all’inibizione dell’AMPK che fino a quel momento
frenava transitoriamente la lipolisi (via HSL), come descritto in capitoli
precedenti.

Modifiche in corso d’opera e ottimizzazioni


Le indicazioni presentate di seguito sono utili in questo contesto di dieta low
carb con ciclizzazione dei carboidrati, ma possono ovviamente applicarsi in
tutti quei contesti in cui si vuole massimizzare l’ossidazione dei grassi in una
fase low carb o in cui si fanno ricariche di carboidrati programmate o
semplicemente si inseriscono pasti liberi (ad esempio alcune indicazioni utili
per la ricarica sono estendibili nei pasti liberi consueti che ogni dieta
dovrebbe contenere).

Numero e frequenza dei pasti


Per quanto abbiano costantemente cercato di convincerci del fatto che “pasti
piccoli e frequenti” e “colazione da re, pranzo da signori e cena da poveri”
stimolino il metabolismo, aiutino il dimagrimento o abbiano chissà quale
egregio effetto in termini di forma fisica, ora dovremmo avere tutti capito che
non c’è alcuna motivazione per affermare questo: anzi, le basi scientifiche
nonché i risvolti pratici suggeriscono chiaramente l’efficacia ed i benefici di
una riduzione del numero di pasti (2-4 al giorno e non 5-8 al giorno) su
dimagrimento, metabolismo, salute e mantenimento dei risultati a lungo
termine. Per spiegare questo dobbiamo - abbiate pazienza - riprendere in
mano un attimo al leptina e come essa agisce sull’ipotalamo. Sia chiaro, ci
sono altri fattori che fanno sì che pochi pasti abbondanti siano superiori in
ottica di dimagrimento, specie quando è in atto una restrizione energetica (ad
esempio maggior produzione di GLP-1 che si riflette in aumento della
termogenesi e potenziamento del segnale insulinico) e specie a livello pratico:
immaginate la soddisfazione di pochi pasti abbondanti contro diversi pasti da
uccellini; c’è da dire che alcuni reggono meglio nel secondo modo, ma la
bella notizia è che si tratta di persone che sono già geneticamente portate da
non aver neppure bisogno di tutte le considerazioni che in questo contesto
stiamo facendo, a loro può bastare qualcosa che va poco oltre l’applicazione
di un po’ di buon senso.
Ma in questa sede è comodo comprendere il quadro in maniera più
macroscopica, prendendo la leptina solo come capostipite di tutti i complessi
fenomeni che accadono nel profondo. Della leptina abbiamo fin qui pensato
che o ce ne prendiamo gli effetti negativi (quando è bassa) oppure
riprendiamo i vantaggi derivanti da avere livelli basali di leptina (quando,
appunto, si fa in modo che si rielevi). In realtà, la regolazione della leptina e
ciò che essa regola sono a loro volta soggetti alle oscillazioni del ritmo
circadiano. Senza scomodare qui troppa teoria, considerate tutto il sistema
come un termostato: quando la temperatura ambientale si abbassa, il
termostato cerca di elevarla attivando il riscaldamento e viceversa, quando si
alza, attivando il condizionatore. Ora: che succede se accendete un phon sotto
al termostato? Che per quanto sia freddo l’ambiente esterno (temperatura
bassa), lui registrerà temperatura alta attivando quindi non il riscaldamento
ma il raffreddamento. Si può sperare qualcosa di simile nel corpo umano, con
particolare riferimento agli effetti della leptina sull’ipotalamo? Sì, proprio
perché c’è di mezzo il ciclo circadiano, come se la leptina non desse una
segnalazione momento per momento all’ipotalamo, ma tutta insieme e meno
frequentemente. Considerate la leptina come un controllore che deve fare dei
report all’ipotalamo: questi report non li fa real time, ma prima raccoglie tutti
i dati, poi li invia all’ipotalamo. In questo contesto, ridurre il numero di pasti
per farli più abbondanti, fa registrare un introito di nutrienti medio maggiore
di quello che risulterebbe da un maggior numero di pasti più piccoli: in tal
modo - per così dire - si inganna il sistema leptina-ipotalamo a registrare
introiti di nutrienti superiori a quelli che realmente si stanno assumendo.
Avendo scomodato (in maniera blanda, ma pur sempre l’abbiamo fatto) il
ritmo circadiano, c’è un altro motivo per cui una ridotta frequenza dei pasti
potrebbe essere utile sia a livello generale (per chi non applica il protocollo
descritto qui), sia proprio in merito a quello che qui stiamo facendo: nella
fase di dimagrimento vogliamo massimizzare l’attivazione del SNS, quindi la
produzione di noradrenalina e adrenalina; possiamo favorire questo se in
queste giornate, nelle ore di luce, non programmiamo pasti abbondanti, che
invece sarebbe meglio tenere nei pasti serali. Questo in quanto le attivazioni
del SNS e del SNP sono circadiane e light-entrained, definite cioè in larga
misura dalla luce: durante le ore di luce è il SNS a governare, e viceversa il
SNP nelle ore di buio/bassa luminosità. Programmando pasti più abbondanti
nelle ore serali e più leggeri in quelle diurne, favoriremo da un lato i processi
digestivi (comandati dall’SNP), dall’altro i processi di ossidazione dei grassi,
miglioramento metabolico e mitocondriogenesi (spinti dall’attivazione
dell’SNS, in maniera più o meno diretta).
Per quanto riguarda chi è ancora fissato con l’assunzione di proteine ogni 2-3
ore per stimolare il massimo assorbimento e anabolismo, semplicemente non
c’è nulla di vero in questo: innanzitutto, dal punto di vista dell’assorbimento
il problema non si pone grazie alla grande adattabilità funzionale del corpo
umano; per quanto riguarda l’anabolismo, al contrario, è più vantaggioso un
grande pulse di aminoacidi piuttosto che un’aminoacidemia costante sulla
ritenzione di azoto (e dunque la sintesi proteica netta). Se vi state chiedendo
come mai c’è questa confusione sul numero e la frequenza dei pasti, in specie
tra gli sportivi per quanto riguarda le proteine, il motivo è che sono stati
estrapolati dogmi osservando giganti imbottiti di farmaci che aiutano la
ritenzione di azoto (in specie steroidi anabolici/androgenici - AAS). Grazie
ad agenti anabolizzanti la ritenzione di azoto schizza alle stelle, e assumere
proteine ogni 2-3 ore in elevate quantità permette il massimo anabolismo
proteico: questo, in un corpo in condizioni normali, con produzione ormonale
normale (nei limiti fisiologici) semplicemente non accade. Chi fa uso di AAS
dovrebbe assumere elevatissimi quantitativi proteici e spesso (5-6 g/kg di
proteine totali al giorno, in assunzioni ogni 2-3 ore), altrimenti oltre alla
salute spreca anche i soldi non raggiungendo i risultati che i farmaci
promettono.

Scelte alimentari
Gli alimenti che entreranno a far parte dello schema nutrizionale, come detto,
possono essere scelti avendo cura di rispettare (sempre e comunque non in
modo maniacale) l’introito di nutrienti impostato. Nei giorni a basso apporto
glucidico, il consiglio è quello di consumare buone dosi di verdure condite
con una modesta quantità di grassi per ottenere un effetto saziante intenso e
duraturo, nonché un adeguato apporto di minerali di cui una dieta povera di
carboidrati promuove l’escrezione. Poiché l’apporto proteico è elevato e dal
momento che oggigiorno è sempre più difficile assumere proteine da fonti
attendibili e qualitative, sarà opportuno pensare a un buon integratore di
proteine in polvere. Il mercato delle proteine in polvere è ormai di massa
quindi l’asticella della qualità si è elevata e non ci si deve più preoccupare di
“quante proteine realmente ci sono rispetto a quelle dichiarate”. Tutt’al più
un’azienda potrebbe utilizzare nei suoi processi di produzione sostanze che
provocano sensibilità in certe persone (ma non in altre). Bisogna
sperimentare e trovare la proteina che risulti digeribile, ricordandosi che può
diventarlo meno, nel tempo - nella parte sugli integratori qualche consiglio
pratico in merito -.
Molti quando si mettono a “fare definizione” evitano latticini e formaggi per
paura che inficino i loro risultati; Nutrizionisti e Medici sono impauriti dalla
caseina, dal lattosio, e via dicendo. Ma non ha senso: nel grande schema
generale, in un contesto di restrizione energetica e glucidica, e avendo cura di
scegliere alimenti di qualità, una quota di latticini e prodotti caseari non può
che apportare benefici anche a livello nutrizionale. Lo stesso dicasi per le
proteine animali, di cui è giusto avere preoccupazione in un contesto di dieta
sregolata, quando alla loro azione diretta su mTOR (e quindi sulla
proliferazione cellulare) si aggiunge quella di una continua soppressione di
AMPK e quindi deterioramento di tutto il quadro metabolico: si sta
praticamente spingendo l’acceleratore sulla proliferazione cellulare senza
nessun freno, e senza nessuna specificità di tessuti.
In un contesto invece di dieta low carb con ciclizzazione di carboidrati, è
consigliata (anzi, richiesta) la presenza di proteine che possano direttamente
stimolare mTOR e anche in maniera veloce, specie nei giorni di
mantenimento o anabolismo. Bisogna per forza consumare proteine animali?
No, i vegani o vegetariani non sono esclusi da questo approccio, ma sarebbe
bene che nei periodi più anabolici del protocollo proposto inseriscano
proteine che siano notoriamente a più elevato valore biologico. Spesso la
questione viene travisata in quanto si dice che, alla fine dei conti, basta
assumere una certa quantità di aminoacidi, considerando anche il fatto che
l’organismo nel vegetarianesimo/veganesimo modifica il suo microbiota che
inizia a compensare eventuali aminoacidi limitanti. Ma qui vogliamo
massimizzare l’anabolismo, specie in momenti specifici, e farlo in maniera
repentina: se la zuppa di farro e legumi dona tutti gli aminoacidi di cui il
corpo ha bisogno per sintetizzare proteine, non lo fa in maniera così veloce
come interessa a noi in quelle fasi. Il senso è dunque prendere la zuppa nei
giorni low carb (regolando ovviamente gli introiti per rispettare le indicazioni
sui carboidrati) per assumere proteine di altro tipo, come soia, canapa, lupino
- saggio anche tramite polveri proteiche - o uova, latticini, formaggi, nei
giorni di mantenimento e recupero.
Non dovrebbe essere necessario ripeterlo ma, purtroppo, spesso ci facciamo
trascinare da argomentazioni non razionali e anche se le evidenze ci dicono
altro, rimaniamo ancorati alle nostre paure: non esiste un quantitativo
massimo di uova da consumare. È uno di quegli alimenti su cui il buon senso
vince su qualsiasi raccomandazione: si potrebbero mangiare anche 6-10 uova
al giorno; la domanda è: chi lo farebbe, giorno per giorno, mese per mese,
anno per anno? A parte pochissimi (alcuni casi descritti in letteratura, ad
esempio), il buon senso farebbe prima o poi fare scelte differenti. Estendendo
il discorso oltre le uova, pensiamo al colesterolo: troppa confusione in merito
ad esso è stata fatta. Ad esempio, si parla di colesterolo quando in realtà si
stanno indicando le lipoproteine, e si parla di queste ultime facendone una
classificazione superficiale, la solita in VLDL, LDL, IDL, HDL, puntando il
dito contro le prime due, o meglio sulle LDL. La realtà è che le LDL sono a
loro volta divise in sottoclassi (quattro, per la precisione), due delle quali più
aterogene, le altre due quasi per niente, in dipendenza dal loro grado di
ossidabilità. A essere pericolosa è infatti l’infiammazione e l’ossidazione
delle LDL (e tra queste, di quelle più piccole) che ne deriva. Per intenderci: è
più in salute un individuo in equilibrio e buono stato di benessere, con
qualche LDL in più, che uno con basse LDL ma soggetto a forte stress,
maggior rischio di infiammazione, abitudini di vita erronee (come il fumo di
sigaretta, lo scarso sonno, etc.).
Ampliando ancora, per far comprendere che questo grande errore è replicato
a diversi livelli quando si parla di colesterolo plasmatico, colesterolo
alimentare, LDL e rischi di salute, le LDL sono sintetizzate dal fegato per
trasportare il colesterolo, a sua volta prodotto dal fegato stesso in quantità
molto maggiori di quelle che possono essere assunte con la dieta e
inversamente correlate a queste ultime (vale a dire, più colesterolo si
introduce, meno il fegato ne produce). La sintesi del colesterolo è regolata da
fattori diversi dal colesterolo stesso, come l’insulina (la induce) e l’AMPK (la
riduce): in una dieta in cui si applica una restrizione energetica e anche
glucidica, la produzione epatica di colesterolo e quindi il successivo
impacchettamento dello stesso nelle LDL e VLDL (ammesso che queste
siano pericolose…), è limitata. D’altro canto, alcuni alimenti notoriamente
ricchi di colesterolo e grassi, proprio come le uova, contengono sostanze in
grado di inibire l’assorbimento intestinale del colesterolo che essi stessi
contengono.
Definendo dunque il discorso sulle scelte alimentari, non c’è praticamente
motivo di escludere alimenti se non quelli ricchi di carboidrati nei giorni low
carb o quelli troppo ricchi di grassi nei giorni di ricarica. Questo non vuol
dire, da un lato, evitare come la peste i carboidrati e, dall’altro, fare ricariche
senza grassi, ma trovare il giusto compromesso che faccia in modo che in
ultima istanza l’organismo si ponga nelle condizioni metaboliche come ormai
abbiamo imparato a capire. Durante le ricariche, molti hanno paura
dell’accoppiata carboidrati più grassi, ma, benché la combinazione
carboidrati e grassi favorisca la liposintesi maggiormente della loro
assunzione separata, in alcuni momenti è bene trovare il giusto compromesso:
è nei giorni di ricarica che si inseriscono bene 1-2 pasti liberi, e privarsi di un
alimento gradito per paura di assumere grassi in più è un’occasione sprecata
in cui si potrebbe dare respiro a corpo e mente. Il consiglio dunque è:
● Per le fasi low carb: semplicemente escludere alimenti che
contengono elevate concentrazioni di carboidrati (tutti quelli con un
contributo di carboidrati maggiore del 15-20% per 100 g); se
l’indicazione è assumere attorno a 50-70 g di carboidrati per le fasi
low-carb, ad esempio, non vale assumerne zero per tutta la giornata
e poi assumerne 50-70 g in un solo pasto da alimenti che ne sono
densi.

● Per le fasi di ricarica: semplicemente basarsi prettamente su


alimenti glucidici, senza aggiungere volutamente lipidi; questo vuol
dire che se l’alimento gradito è il gelato o la pizza, assolutamente
preferite questa libertà sulla scelta di gusti e condimenti perché,
come detto, è un’occasione per fare bene a corpo e mente e sprecarla
solo per un piccolo dettaglio sarebbe ingenuo.

Giorni e orari di allenamento


Ci sono dei momenti ottimali in cui allenarsi, è vero, ma è anche vero che
vogliamo creare un protocollo quanto più sostenibile per la persona che vuole
fare dimagrimento e ricomposizione corporea. In linea di massima,
comunque:
● l’allenamento relativo al giorno A dovrebbe essere fatto il giorno
dopo il carico di carboidrati, preferibilmente in mattinata;
● l’allenamento relativo al giorno B dovrebbe essere eseguito 48 ore
dopo il primo;
● l’ultimo, il giorno C, andrebbe eseguito almeno 48 ore dopo il
giorno B e comunque prima della ricarica di carboidrati.
Dopo vari test ed esperimenti, possiamo dire che si può essere abbastanza
flessibili, entro certi punti fermi che è bene sempre tenere a mente:
● L’allenamento A sarebbe bene farlo all’inizio della settimana, 24 o
48 ore dopo la ricarica di carboidrati; alcune persone, specie chi ha
da assumere più carboidrati nella fase di recupero, potrebbe trovare
una migliore performance facendo allenamento non direttamente il
giorno dopo la ricarica ma inserendo prima un giorno o dei pasti low
carb (questo è un problema generalmente per chi estende la ricarica
a 36 h).

● L’allenamento B sarebbe bene eseguirlo a una distanza pari da


quello A e da quando si prevede fare il C; in casi particolari (si deve
andare fuori, il lavoro incombe, altri impegni non permettono
diversamente) potrebbe avere senso farlo il giorno immediatamente
dopo A piuttosto che quello immediatamente prima di C, altrimenti
in quest’ultimo caso si inizierebbe la grande ricarica il giorno dopo
quella più piccola andando a compromettere quello che
metabolicamente si vuole ottenere (sarebbe quasi come fare 48-60
ore di aumento di carboidrati).

● L’allenamento C dovrebbe coincidere con l’inizio della ricarica, ma


si può optare per rimandare questa al giorno dopo tenendo
l’alimentazione dei giorni low carb; eventualmente, poco prima
della ricarica, si possono (ri)stimolare i processi che si vuole siano
attivi, per incamerare quanti più nutrienti possibili e partizionarli
verso il tessuto muscolare, eseguendo dei circuiti a corpo libero ma
non troppo impegnativi (possono bastare 2-3 serie da 20-40
ripetizioni di Bodyweight + Piegamenti + un esercizio per il Core).

Ottimizzare le varie fasi: più dimagrimento


Ci sono alcuni trucchi e segreti nutrizionali per ottimizzare le varie fasi,
quelle low carb e quelle di recupero, sfruttando alcune attivazioni che
l’organismo mette in atto a seguito dell’assunzione di particolari nutrienti o di
certi macronutrienti in modalità e tempistiche peculiari. Ottenere più
dimagrimento significa spingere il più possibile sulla perdita di grasso nelle
fasi low carb e sfruttare i vantaggi che queste fasi forniscono (maggior
funzionalità mitocondriale, maggiore ossidazione di grassi, attivazione
pathway metabolici tipici per migliorare la lipolisi a lungo termine) da un
lato, e dall’altro spingere il più possibile sulla riparazione e ricostruzione del
tessuto muscolare nelle fasi a più alti carboidrati sfruttando i vantaggi che
queste forniscono (inibizione dei processi catabolici e conseguente induzione
della sintesi proteica, nonché stimolazione diretta di quest’ultima tramite
opportuni nutrienti). Ecco dunque cosa si può fare:
● Nelle fasi low carb:
○ introdurre acidi grassi quali MCT (contenuti, tra gli altri
alimenti, nel cocco in maggior misura) o iniziare la
giornata con essi, ad esempio assumendo al mattino a
digiuno 1-2 cucchiaini di olio di cocco, del caffè o caffeina
ed eventuali altri ergogenici (punti successivi);
○ assumere Tirosina (1,5-3 g da 1 a 3 volte al giorno) per
fornire substrati per la produzione delle catecolamine
noradrenalina e adrenalina;
○ utilizzare Epigallocatechin Gallato e Acido Alfa Lipoico
come stimolatori della funzionalità mitocondriale,
rispettivamente in ragione di 200-400 mg e 400-600 mg,
entrambi da 1 a 3 volte al giorno.
○ la caffeina può essere utile per aumentare la produzione di
catecolamine, ma non dovrebbe essere assunta con
costanza, bensì in fasi ciclizzate - ad esempio in dosi
incrementali settimana dopo settimana (partendo da 100-
150 mg e arrivando fino a 400-600 mg/giorno) per poi
scalarla in una settimana e toglierla del tutto un’altra
settimana; poi eventualmente ricominciare -.

● Nelle fasi di ricarica:


○ introdurre piccole quote di glucidi (15-30 g) 1-2 ore prima
del primo grosso pasto di carboidrati in forma di zuccheri
(miele, sciroppi, spremute); questo si pone solo quando la
ricarica è fatta il giorno dopo l’allenamento finale,
altrimenti è sufficiente la dose di carboidrati presenti nello
shaker o nel pasto peri allenamento;
○ utilizzare, ove possibile, molte spezie pungenti e/o piccanti
quali cannella, noce moscata, pepe e similari, per il loro
effetto di partizionamento e miglioramento della sensibilità
delle cellule a glucosio e insulina;
○ piccole dosi di caffeina possono aiutare a evitare il torpore
da insulina, meglio ancora la teofillina (teina) perché aiuta
anche a meglio depositare il glucosio sotto forma di
glicogeno nel tessuto muscolare.

Bodyrecomposition for life: chiusura, full


break, rewind
Quando si parla di dieta, allenamento, integratori e altre modifiche allo stile
di vita per fare in modo che si vada a spingere il più possibile sulla perdita di
grasso da un lato, e l’aumento del muscolo dell’altro, ci si perde non appena
ci si pone la domanda “Per quanto tempo seguire queste indicazioni?”. Ci si
perde in quanto le modifiche che si fanno su una persona devono essere
progettate in modo che si vada a cucire un approccio che possa essere seguito
vita natural durante. Con il protocollo a cui noi siamo arrivati e che
delineeremo ancora più praticamente (con un vero How To schietto e diretto,
il succo di tutto quanto avrete letto) si cerca proprio di creare questa
condizione.
Questo non deve spaventare il Professionista che si troverà di fronte un
Cliente magari abituato da sempre a mangiare in un certo modo non proprio
consono con un progetto di dimagrimento e salute a lungo termine. Ma a
questo punto, il problema è altrove: cioè nella definizione degli obiettivi. Si
dà per scontato che se una persona vuole migliorare, il fatto che veda dei
cambiamenti come privazioni sia solo un freno psicologico su cui lavorare (a
patto che migliorare sia il suo vero desiderio). Non è scopo di questo manuale
fare una trattazione su come si dovrebbe agire in termini di coaching e
mindset per ricalibrare obiettivi e motivazioni, ma sicuramente la prima cosa
da fare è comprendere quali siano realmente. Una persona che vuole avere il
9% di Body Fat e tenerlo tutto l’anno, non può essere la stessa persona che
vuole fare aperitivi 2-3 volte a settimana e agli stessi mangiare liberamente
pizzette e bere birra (nessuno vieta di uscire, e magari concedersi anche
qualche strappo, ma tutto con un certo grado di compromesso).
D’altro canto, questo manuale non vi aiuterà se vorrete sempre accomodare
voglie e vizi, come di chi vuole tenersi il suo piattone di pasta a pranzo e le
sue due fettone di pane a cena (più i 2-3 aperitivi di cui sopra); non troverete
in questo manuale risposta alla domanda “Come raggiungere un buon livello
di composizione corporea in questo caso?” né ci arriverete con nessuna
declinazione possibile di questo manuale o di qualsiasi altro libro che parli di
dieta, fitness, dimagrimento senza parlare di una ricalibrazione razionale tra
obiettivi e motivazioni. Non provateci nemmeno; vale per la motivazione così
come per altri fattori (allenamento, integratori): non applicate solo la dieta se
l’allenamento è fatto male; i risultati sono proporzionali a quanto ci si mette
in gioco facendo cambiamenti che magari non si erano previsti.
Poste queste basi, l’indicazione di massima è seguire il protocollo per 6-8
settimane, interromperlo per un paio di settimane con un full break, come
definito a breve, poi riprenderlo, e così via per sempre. Da notare che le
settimane di break potrebbero essere seguite sempre in maniera da creare dei
cicli nutrizionali all’interno della settimana (quindi semplicemente la media
di nutrienti assunti è più elevata, ma vengono comunque assunti con la
ciclizzazione vista: 2/3 + 1, 2/3 + 1). C’è di più: nulla vieta che si possano
andare a ciclizzare i cicli, ovvero fare delle settimane che di media risultano
applicare una restrizione calorica e glucidica, seguite da settimane che di
media risultano non applicarla o addirittura fornire un surplus. Nella parte
finale ci sarà un vero e proprio How To che vi permetterà di semplificare
all’osso tutto questo. Il manuale vi presenta tutta la teoria e il razionale dietro
per permettervi non solo di scegliere situazione per situazione cosa fare, ma
di implementare nel corso del tempo, dopo un po’ di esperienza, il vostro
personale protocollo. Procediamo con ordine e vediamo come è possibile fare
un break nel caso in cui si scelga di tenere l’approccio stabilendo un limite
temporale (come detto, l’ideale sarebbero 6-8 settimane On e 2 settimane
Off).

Full break e stallo dei progressi


A livello dieta, un break potrebbe essere facilmente gestito aumentando i
carboidrati del 50-75% giorno per giorno, per 2 settimane (ricarica della
seconda settimana inclusa), sia nei giorni low carb che in quelli di ricarica.
Poniamo che la dieta sia stata programmata per prevedere nei giorni low carb
60 g di carboidrati, nella ricarica a metà settimana 200 g e in quella del fine
settimana 400 g: i nuovi valori saranno 90-105 g (giorni low carb), 300-350 g
(ricarica a metà settimana), 600-700 g (ricarica dal fine settimana; il numero
è molto alto, il che vuol dire che sarebbe bene anche estendere la durata della
ricarica se questa era meno di 24h, pena la difficoltà per alcuni ad assumere
tutti quei carboidrati).
A livello allenamento, basta ridurre l’intensità media (o come carico
sollevato o come RPE) del 20-30% e il volume medio (o come ripetizioni
eseguite o come secondi sotto sforzo effettivo) del 30-50%. Esatto: più dieta
e meno allenamento, in maniera controintuitiva, perché in questo frangente si
vuole fare in modo che l’organismo recuperi il più possibile. Questo è ancora
più utile se il break è stato iniziato dopo aver notato uno stallo dei progressi:
al corpo serve “respiro” per mettere in atto tutti i processi di
supercompensazione e inibire quelli di adattamento che stava attivando.
Lo stallo dei progressi potrebbe essere affrontato anche in un altro modo,
specie per chi è più difficoltoso metabolicamente: quelli che magari sono più
restii alla perdita di grasso, o che hanno un passato di diete molto tortuoso, o
il cui corpo tende ad adattarsi velocemente alle nuove abitudini. Questa via
prevede di inserire, prima delle due settimane di break, una settimana di
ripristino metabolico (o meglio, della flessibilità metabolica) dimezzando o
addirittura eliminando i carboidrati; nel caso dell’eliminazione, si
lascerebbero solo quelli per le ricariche, dimezzati in quantità. In questa
settimana per l’allenamento si seguono le stesse indicazioni date per il break
(a maggior ragione, vista la forte restrizione di carboidrati che si verrebbe a
creare). Riprendendo l’esempio di prima, la settimana risulterebbe in:
● giorni low carb con assunzione teorica di 0 g di carboidrati: nessuna
fonte diretta e neppure a bassa densità; le verdure non si contano,
quindi possono essere inserite;
● ricarica di metà settimana con 100 g di carboidrati: in questa
situazione, il consiglio è concentrarli in un pasto: più soddisfazione
e meno interferenza su ciò che si vuole ottenere a livello metabolico,
pur garantendo un certo grado di recupero e ripristino;
● ricarica del fine settimana con 200 g di carboidrati: consigliato
tenerli per un pasto libero.
In ogni caso, per il tipo di approccio proposto non dovrebbe essere necessario
un vero e proprio ripristino metabolico che vada oltre questi semplici
consigli; se così fosse, vorrebbe dire che è stato sbagliato qualcosa a monte: il
protocollo funziona anche per i suoi effetti metabolici e la ciclizzazione
creata è studiata per garantire il massimo nutrimento per il muscolo e il
minimo disturbo sulla flessibilità metabolica (spingendo anzi il corpo ad
essere sempre metabolicamente flessibile).
Non abbiate paura per le eventualità che possono associarsi ai break o la
settimana di ripristino: il peso e le forme corporee potrebbero peggiorare
rispetto all’obiettivo finale, ma dovete considerare che si tratta di poco tempo
e, soprattutto, di un investimento per raggiungere lo scopo finale. Qualsiasi
cosa succeda, non fatevi trascinare da dati, strumentazione, sensazioni
negative, vostre o di chi seguite: fate passare quelle 2 o 3 settimane, poi
riprendete col protocollo per altre 3-4 settimane prima di fare un nuovo
bilancio dei risultati. Se il rialzo di carboidrati viene fatto dopo periodi di
forti restrizioni, potrebbe capitare che il peso e la composizione corporea si
sblocchino proprio nei primi giorni di aumento, in quanto viene indotta
l’attività dell’enzima 5’-deiodinasi, che catalizza la reazione in cui da T4
(ormone tiroideo poco attivo) si ottiene T3 (forma attiva). Il T3 regola
praticamente gran parte dei processi metabolici, incrementandone la velocità
e l’efficienza (poco T3 si traduce in diminuita lipolisi e diminuita sintesi
proteica). Questo non faccia pensare che la situazione di stallo si sia risolta e
quindi riprendere la restrizione: si tornerebbe in poco a un nuovo stallo;
tenete duro per quelle 2 settimane.

Integratori: sì, no, forse, perché


Integratori sul mercato ce ne sono a iosa; con oltre 70 mila solo in Italia,
volendone provare uno al giorno ci si impiegherebbero 191 anni. Come fare,
quindi? Molto semplice: basandosi sugli integratori che più sono rimasti sul
mercato (perché si è capito che funzionano), hanno più dati sia in letteratura
ufficiale sia come evidenze empiriche e osservazionali, quelle tratte anche
dall’esperienza che farete voi con questi integratori e quelli in cui un po’ ci si
crede. Molti non considerano quest’ultimo aspetto, l’effetto placebo, o se lo
considerano asseriscono che se funziona per effetto placebo allora non
funziona concretamente. Non è così: se funziona, funziona, che sia per effetto
placebo o biochimico (le due cose non possono essere scorrelate).
Qui ci concentriamo su cosa ci è utile per gli scopi dei protocollo di
dimagrimento e ricomposizione costruito, tralasciando gli integratori di
ottimizzazione, già trattati nel capitolo relativo a come ottimizzare le varie
fasi. Qualche altra idea l’abbiamo presentata nel corso del manuale anche per
altri integratori, per cui qui andiamo semplicemente a ricalcare su quelli più
utili sfatando alcuni falsi miti e dicerie e togliendo confusione su certi
integratori (alcuni vengono troppo ben considerati, alcuni troppo poco). Ma
prima, chiediamoci: servono gli integratori? La risposta definitiva è sì; ma
solo se consideriamo integratori tutto ciò che non cresce sugli alberi, è
prodotto da un animale o derivato da esso. In realtà la definizione di
integratore al giorno d’oggi è abbastanza labile: un integratore è per
definizione un prodotto processato e confezionato; ma lo è anche il tonno in
scatola, la minestra pronta, il burger di soia “salutare”.
Come definire l’uno e come definire gli altri? La morale non è tanto nelle
definizioni quanto nel fatto che se si stanno evitando gli integratori perché si
crede che si debba fare tutto in modo naturale… meglio lasciar perdere. Di
naturale c’è ben poco a partire dal nostro stile di vita, quindi a stimoli
innaturali è bene compensare con integratori e supplementi. Come vedrete,
quelli qui consigliati non vanno oltre quelli che ormai qualsiasi fitness coach,
nutrizionista, personal trainer, con un po’ di buon senso, consapevolezza e
voglia di aiutare, consiglierebbe; né oltre quelli che qualsiasi persona voglia
iniziare un certo percorso si mette in testa di usare (anzi, spesso va a
sceglierne troppi rispetto a quelli che qui vengono proposti).

Proteine in polvere
Possiamo considerare le proteine in polvere alla stregua di alimenti,
utilizzabili quando si presentano difficoltà nell’assunzione di un elevato
apporto proteico. Le proteine del siero di latte (whey) così come le proteine
vegetali della soia o del riso sono utili per introdurre velocemente aminoacidi
in circolo, grazie alla loro elevata velocità di assorbimento: si potrebbe
dunque pensare a un’integrazione a ridosso dell’allenamento (prima e/o
dopo). Le proteine delle caseine sono invece a lento assorbimento e possono
essere utili per garantire un rilascio costante di aminoacidi nel plasma: come
detto in riferimento al numero dei pasti, però, un pulse amionoacidemico è
più proficuo in termini di sintesi e catabolismo proteici. Ciò non toglie che
possano essere sfruttare per il loro effetto sulla sazietà per chi ha problemi da
questo punto di vista. In genere, comunque, le proteine in polvere del siero di
latte o della soia, possono sostituire questo effetto in base a come vengono
consumate. Il nostro consiglio? Creare una sorta di mousse sciogliendone in
pochissima acqua, con un pizzico di bicarbonato e sbattendole con una
forchetta, aggiungendo poi yogurt e guarnendo con pezzetti di cioccolato
fondente o altri alimenti ammessi.

Aminoacidi a catena ramificata


Gli aminoacidi a catena ramificata o BCAA sono i tre aminoacidi leucina,
isoleucina e valina che, bypassando il metabolismo epatico, vengono
direttamente captati dal muscolo dove inibiscono la proteolisi indotta
dall’esercizio fisico e aumentano la sintesi delle proteine (come detto, la
leucina stimola mTOR). Sulla loro utilità ci sono tuttavia delle diatribe;
questo perché si considerano quasi sempre solo per il loro effetto recupero
muscolare. Al di là del fatto che possono essere molto utili in tema di
recupero muscolare in contesti di restrizione energetica e glucidica, a rivestire
un ruolo più importante anche in altri contesti è il loro effetto collaterale.
Oltre agli effetti sul metabolismo proteico, infatti, i BCAA agiscono a livello
centrale diminuendo la produzione di serotonina (5-HT) e aumentando quella
delle catecolamine, aumentando dunque la resistenza alla fatica. Il
meccanismo di azione è inverso a quello per cui i dolci e gli zuccheri
rilassano. Quando vengono introdotti zuccheri, l’insulina plasmatica si eleva
e permette un maggior uptake di BCAA da parte del muscolo scheletrico.
Poiché, per oltrepassare la barriera emato-encefalica, i BCAA competono col
triptofano, aminoacido precursore della serotonina, un aumento dell’insulina
determina maggior disponibilità di quest’ultimo e quindi aumentata sintesi di
5-HT. Al contrario, l’aumento di BCAA a livello del sistema nervoso
comporta diminuzione della possibilità di produrre serotonina. Per lo stesso
meccanismo sono utili per contrastare la fame emotiva o per noia, quella che
sopraggiunge quando non si ha nulla da fare anche se non si ha realmente
bisogno di mangiare.
L’effetto di resistenza alla fatica sembrerebbe tuttavia contrastato
dall’aumentata produzione di ione ammonio indotta dai BCAA, per questo le
dosi andrebbero ottimizzate personalizzandole (non sarà difficile trovare una
sorta valore limite oltre il quale si sentiranno effetti negativi e non positivi
dell’integrazione di BCAA). L’integrazione di aminoacidi a catena ramificata
potrebbe essere utile in concomitanza dell’allenamento, prima di esso per
ottenere un buon effetto ergogenico, specie se non si assume altro o non si
consuma un pasto per molte ore sia prima che dopo. Non utilizzate la dose
standard presentata in etichetta ma salite a 8-12 g e lavorate attorno questa
per la personalizzazione.

Creatina monoidrato
Integratore molto datato, che ha riscosso e continua a riscuotere grande
successo, la creatina monoidrato è utile per aumentare le scorte di creatina
fosfato muscolare e dunque prolungare lo sforzo tramite maggiore
produzione di ATP (sistema dell’ATP-CP). Inoltre, poiché la creatina
richiama molta acqua a livello muscolare, può determinare una maggior
capacità di generare forza tramite un aumento della sezione muscolare
(semplicemente per un miglior leveraggio meccanico) e una migliore
conducibilità dell’impulso nervoso elettrico (per via della maggiore
idratazione). Questo è anche il motivo per cui si è indotti a pensare che la
creatina faccia ritenzione ma in realtà non è così. La creatina può fare
ritenzione in persone sensibili a livello intestinale, per le quali sarebbe bene
non assumerla; o può farla se si assume a caso: meglio farlo, se si notano
effetti ritentivi, attorno all’allenamento o in concomitanza delle ricariche di
carboidrati.
Il consiglio per il protocollo proposto è di inserirla nello shaker peri
allenamento, come già trattato, ma anche come integratore ergogenico (2-3 g
al bisogno, cioè quando si vuole un piccolo boost cognitivo) non è affatto
male. Molti non riconoscono questo effetto della creatina, pensando sia solo
un volumizzatore muscolare, mentre invece è un buon nutrimento per il
cervello; al di là di questo, la creatina agisce direttamente nelle cellule
muscolari su alcuni pathway metabolici propri della sintesi proteica,
sovraregolando l’mRNA per p38 MAPK, ERK6, PKBa/Akt1, e FAK - tutti
fattori coinvolti nel processo che porta alla sintesi di nuove proteine. In
sostanza: è uno stimolatore diretto dei fattori di sintesi proteica e non solo
qualcosa che, aiutando nella prestazione, fa migliorare l’allenamento e quindi
gli adattamenti che ne derivano.
La creatina può essere utilizzata anche per fare entrare più nutrienti nel
tessuto muscolare, quando è stato ben stimolato e quando ci sono tanti
nutrienti da fare entrare: per quello che abbiamo creato, quindi, il momento
ideale è costituito dalle ricariche. 3-5 g di creatina ogni 100-200 g di
carboidrati assunti possono fare la differenza nella performance dei giorni
successivi e la sintesi di nuove proteine muscolari. L’attenzione qui è posta
sugli effetti intestinali: in una ricarica l’intestino è già messo alla prova, e
troppa creatina potrebbe dare effetti spiacevoli. Non ci sono segreti: solo
trovare la quota più idonea situazione per situazione.

Multivitaminici/minerali e micronutrienti
Un integratore di vitamine e minerali potrebbe essere utile in una restrizione
energetica in cui potenzialmente ci sono carenze, in specie nei micronutrienti.
Da notare comunque che l’assorbimento dei micronutrienti è molto maggiore
se questi provengono da alimenti naturali (alcune sostanze, in sinergia,
migliorano reciprocamente la loro biodisponibilità). Inoltre, l’integrazione di
vitamine e minerali non deve costituire una scusa per non fare una dieta
variata, ricca di alimenti ad alto contenuto vitaminico, minerali e di
antiossidanti. 1-2 capsule di un integratore di qualsiasi fidata marca sono più
che sufficienti per evitare una eventuale carenza e l’idea è di utilizzarlo a cicli
in qualsiasi contesto alimentare/sportivo: 4-6 settimane ogni 3-4 mesi (quindi
2-4 volte/anno). Detto questo, per le persone più impegnate, si può ricorrere
ai cosiddetti integratori di verdure (vere e proprie verdure in compressa);
anche in questo caso, il ricorso a questa soluzione non deve dare la libertà di
evitare alimenti salubri e naturali che apportano anche varietà alla dieta,
tranne in casi eccezionali - ad esempio quando si vuole aumentare il peso
partendo da una situazione di magrezza e c’è una necessità (comunque
temporanea) di assumere molti nutrienti e meno spazio per le verdure.

Acidi grassi essenziali


Gli acidi grassi essenziali sono gli omega-3 e gli omega-6. Dal momento che
con l’alimentazione l’introito di omega-6 è garantito, l’integrazione verte
sugli acidi grassi polinsaturi omega-3 (PUFA-n3). I PUFA-n3 da cui
l’organismo può produrre gli altri acidi grassi essenziali sono l’acido
eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaesaenoico (DHA), di cui in teoria
dovrebbero essere assunti circa 2-3 grammi totali (EPA più DHA) al giorno.
Gli oli di pesce in commercio contengono generalmente, per ogni grammo,
180 mg di EPA e 120 mg di DHA, dunque la dose ottimale sarebbe di 5-10
g/die. In alternativa, consumare regolarmente pesce ricco in PUFA-n3 fa
diventare l’integrazione superflua: ad esempio, un solo etto di salmone di
qualità (selvaggio e pescato) contiene circa 2.5 g di acidi grassi omega-3, tra
cui circa 850 mg di EPA e 1100 mg di DHA. Il consumo di 200-250 g di
salmone 2 o 3 volte a settimana è più che sufficiente per garantire il corretto
apporto di EPA e DHA.
Il problema con gli acidi grassi essenziali omega-3 è che la teoria dietro ad
essi non è così ben confermata e neppure i motivi per cui si prendono: per
contrastare l’infiammazione? Il fenomeno è troppo multifattoriale, magari si
assumono omega-3 ma si vive una vita stressata quindi l’infiammazione non
si riesce a contrastarla; questo, tra l’altro, potrebbe essere peggio che non
assumere affatto omega-3, in quanto in caso di infiammazione pregressa
subirebbero con più probabilità fenomeni di perossidazione, peggiorando de
facto la situazione (aumento dei radicali liberi - ROS - e dei marker
infiammatori). Il consiglio con gli omega-3, gli oli di pesce, le alghe e tutto
ciò che apporti omega-3 in maniera supplementare e cospicua, è farne un
carico di 3-4 settimane 2-3 volte l’anno a dosi alte (2-3 volte le dosi
consigliate). Per migliorare i lipidi plasmatici? Anche questo processo è
altamente multifattoriale e, tra l’altro, dipendente dall’infiammazione stessa,
appena discussa. Per fluidificare il sangue? Migliorare la sensibilità al
glucosio? Il punto è che agiscono in maniera così ampia che piuttosto che
cercare a capire quanto bisognerebbe assumerne, sarebbe bene fare in modo
che la dieta ne garantisca un certo apporto (tramite semi, olii, pesci, alghe,
etc.) e creare - come detto - dei cicli a dosi più elevate.
Magia farmacologica: conoscere per
evitare
Siamo giunti praticamente alla fine di questo lungo percorso: avete
incamerato una marea di fenomeni fisiologici e biochimici che vi hanno
portato a capire le motivazioni alla base dell’impostazione del protocollo
proposto per dimagrimento e ricomposizione corporea, avete ottenuto alcune
nozioni su come programmare la dieta in maniera sincronizzata
all’allenamento, su come ottenere un certo tipo di risposta metabolica dai
cambiamenti indotti tramite dieta e allenamento e, infine, consigli e
indicazioni per mettere in pratica tutto quanto appreso in una serie di
indicazioni pratiche coese e lineari (e, fidatevi: andremo ancora più a fondo
su questo, fornendovi il succo pratico e un vero e proprio How To per
dimagrimento e ricomposizione corporea).
Nonostante questo, avete il sentore che vi manchi qualcosa. Tutti questi
ragionamenti sulla fisiologia e la biochimica dell’alimentazione,
dell’allenamento o, meglio, del dimagrimento e della ricomposizione
corporea, hanno un senso ma vi chiedete come mai pochi ve li hanno
precedentemente presentati, come mai sulle riviste o in alcuni programmi in
TV vi fanno vedere corpi strepitosi e per raggiungere quei risultati
consigliano raccomandazioni dietetiche totalmente differenti da quelle
estrapolabili da questo manuale. La risposta ha un duplice aspetto:
innanzitutto, vanno esclusi dall’osservazione di persone comuni quei soggetti
che possono praticamente fare di tutto, mangiare qualsiasi cosa, allenarsi
poco e male, ottenendo risultati superiori al 90% delle persone che fanno
tutto con precisione quasi ossessiva. Se trattate o siete quel tipo di soggetti,
sicuramente non avete bisogno di queste minuzie (ciclizzare i carboidrati,
depletare il glicogeno e altro) per raggiungere risultati eccellenti; questo
manuale costituisca per questi casi una raccolta di input che possono aiutarvi
a ottimizzare quanto già state facendo; ad esempio: nulla vieta di creare il
protocollo con fasi low carb relative e non assolute, cioè in cui si assumo un
po’ meno carboidrati o un po’ più carboidrati rispetto ai livelli abituali.
L’altra parte della risposta ha a che fare con dei tricks chimici che agiscono
su tutti i meccanismi che abbiamo imparato in questo manuale. Per chi non lo
avesse capito, stiamo parlando di aiuti farmacologici o, se la parola vi piace
di più, doping (usata un po’ impropriamente, ma sorvoliamo). In questo
approfondimento descriviamo dunque come con alcuni farmaci si possano
bypassare i meccanismi biochimici e fisiologici che portano a tutta quella
serie di informazioni confusionarie che si incontrano nel tentativo di capire
come fare ricomposizione corporea.
Occorre dire che se sono presenti aiuti dall’esterno, quasi non serve prestare
accortezza a dei dettagli che sono stati descritti appositamente per ingannare
l’organismo in modo naturale: a quel punto sarebbero i farmaci a pensarci, e a
noi basterebbe assegnare un allenamento molto voluminoso e una dieta con
surplus glucidici e proteici eccezionali. Ora capite anche da dove arrivano
quegli allenamenti scriteriati che avrete letto nelle riviste o visto tramandare
da alcuni trainer poco aggiornati o nelle palestre vecchio stampo, nonché
dieta a riso, pollo e broccoli in quantità industriali con pochissime
differenziazioni. Il mondo degli agenti farmacologici ad uso prestativo è
veramente molto vasto; dunque qui ci concentreremo esclusivamente su
quelli che hanno una forte correlazione nel nostro contesto e in un certo senso
potrebbero essere utilizzati per potenziare tremendamente gli effetti di
ricomposizione corporea che si vogliono ottenere. Parlare di AAS (steroidi
anabolizzanti-androgenici) ha poco senso in quanto va da sé che il loro
effetto sia talmente imponente che vadano a sovrapporsi a qualsiasi modifica
si stia facendo a dieta/allenamento.
Sia chiaro anche che lo scopo di questo approfondimento è
informativo/preventivo: la conoscenza di alcuni agenti farmacologici
permette una migliore comprensione di alcuni meccanismi alla base delle
soluzioni proposte; descriveremo le sostanze più comuni e specifiche per lo
scopo che qui ci proponiamo e il loro meccanismo d’azione. Per quanto
riguarda i nomi delle sostanze, utilizzeremo quelli con cui sono più
conosciute (alcune per principio attivo, altre per nome commerciale); per
quanto riguarda la classificazione, questa sarà mista, accorpando alcune
sostanze per similitudine chimica, altre per similitudine di effetti; per quanto
riguarda le dosi, i protocolli con cui vengono usate vengono indicati nella
sezione finale - il succo di tutto quanto appreso -, accennando qui alle dosi
solo se strettamente necessario a fini didattici. Ricordiamo inoltre che per
quanto la scelta sia utile dal punto di vista del dimagrimento e della
ricomposizione corporea a breve termine, potrebbe essere peggiorativo per
quello a lungo termine e sicuramente deleterio per gli effetti sulla salute. Tutti
i lettori sono dunque invitati a non iniziare a fantasticare su una o più
sostanze qui descritte: si sconsiglia totalmente il loro uso perché il concetto di
forma fisica che noi intendiamo è inteso come corpo sì forte, magro e
muscoloso ma soprattutto con un livello di Fitness (benessere a tutto tondo,
se volete) a lungo termine.

Inganno neurobiologico
Seguendo i passi fatti nel manuale, ripartiamo dal principio, quando abbiamo
parlato di cosa accade durante una restrizione energetica, nello specifico
cos’è che fa in modo che l’organismo si adatti alla dieta abbassando il tasso
metabolico, incrementando la perdita proteica, peggiorando il
partizionamento dei nutrienti, aumentando il senso di fame e diminuendo
quello di sazietà. Avete capito che questo ha a che fare di nuovo con la
leptina. Si può in qualche modo contrastare l’abbassamento della leptina? Sì,
se prima vengono presentati degli altri concetti correlati. La leptina esplica i
suoi effetti legandosi a recettori presenti sulla superficie di un gruppo di
neuroni dopaminergici, producenti cioè dopamina (DA). Quando la leptina
si abbassa, segue un calo della dopamina che si traduce in tutti i fenomeni
descritti molte pagine fa. Possiamo dunque infischiarcene del calo della
leptina, concentrandoci solo su quello della dopamina? Almeno per quanto
riguarda il controllo neurobiologico dell’alimentazione e del metabolismo e
almeno in parte, sì: è la dopamina che, legandosi ai recettori dopaminergici
(ce ne sono diversi tipi, qui ci concentreremo sui D1 e D2), fa da tramite per
gli effetti della leptina.

Ergot derivati
L’ergot è un fungo che cresce sulla pianta della segale cornuta e da cui è
possibile sintetizzare l’ergotamina, sostanza dagli effetti psichedelici. Giusto
per inciso, dall’ergotamina si ottiene la dietilammide dell’acido lisergico,
meglio nota come LSD (il nome di “funghetti” attribuito ad alcuni
psichedelici ha ora il suo perché). L’interesse qui punta a tre sostanze, in
particolare, tutte di derivazione dall’ergot (più o meno direttamente),
utilizzate clinicamente per il trattamento del Morbo di Parkinson (insieme ad
altri disturbi minori). Perché parlare di questi farmaci anti-parkinsoniani?
Perché sono dopamino-agonisti, vale a dire che mimano gli effetti della
dopamina, stimolando i suoi recettori.
La bromocriptina (derivante dall’ergocriptina) è un farmaco utilizzato più
che per il Morbo di Parkinson, per l’iperprolattinemia (nell’ipotalamo sono
presenti anche neuroni producenti prolattina). Saltando il significato clinico
di questa sostanza, di nostro interesse è che la bromocriptina è un potente
agonista dei recettori dopaminergici D2, debolmente dei D1. L’assunzione di
bromocriptina può permettere di ingannare il sistema nervoso che ci siano
sufficienti livelli di leptina (via segnale dopaminergico), tali da non
comportare i fenomeni avversi per il dimagrimento e la ricomposizione tanto
discussi nel corso di questo manuale. Questo può tradursi in un buon
partizionamento dei nutrienti anche a livelli molto bassi di grasso corporeo e
in un minor tempo occorrente perché un piccolo introito alimentare possa
bastare a soddisfare il bisogno (o la voglia) di mangiare. Sia chiaro, la
bromocriptina non fa dimagrire, ma permette di rimanere a percentuali basse
di grasso corporeo senza che questo comporti un notevole calo del
metabolismo e aumento dell’appetito.
La cabergolina è una sostanza simile, in termini di effetti, alla bromocriptina.
Viene utilizzata per il trattamento del Morbo di Parkinson, dal momento che,
rispetto alla bromocriptina, la maggiore emivita (69 ore contro 12-14 della
bromocriptina) permette un controllo più costante dei sintomi. Ovviamente,
l’emivita fa sì che anche il modo di assunzione sia completamente differente:
in termini di dimagrimento e ricomposizione corporea, sarebbero sufficienti
due assunzioni settimanali.
La pergolide, con struttura molto simile all’LSD, di cui è considerata la
cugina, in termini di dimagrimento e ricomposizione corporea sarebbe quella
più indicata, poiché stimola sia i recettori D1 che i D2. Alcuni case report
sugli effetti della pergolide suggeriscono un partizionamento dei nutrienti
strepitoso, al punto che assunzioni assurdamente elevate di nutrienti e calorie
(anche in parte da cibo spazzatura) non hanno provocato aumenti del tessuto
adiposo ma solo di massa muscolare. Comunque, quanto più potente in
termini di ricomposizione corporea, tanto più in termini di effetti collaterali:
effetti psicologici quali psicosi, allucinazioni, shopping compulsivo e/o gioco
d’azzardo (tutti associati a un’alterazione della produzione dopaminergica) e
fisici quali alterazioni delle valvole cardiache possono seguire l’assunzione di
pergolide.

Inganno metabolico
Anche se le sezioni sono divise tra sostanze che agiscono prettamente sul
sistema nervoso centrale e sostanze che agiscono nei tessuti periferici (fegato,
muscolo o grasso), sottolineiamo che non si può fare una distinzione così
netta: le sostanze agiscono su ambo i fronti, in maniera più o meno
determinante (per esempio la bromocriptina aumenta anche l’uptake di
glucosio da parte del muscolo scheletrico; altre hanno effetti prominenti sia
sull’uno che sull’altro versante).

Ormoni tiroidei
Durante una fase di perdita di grasso corporeo, uno degli adattamenti che
l’organismo mette in atto per difendersi dalla perdita di peso è sottoregolare
la produzione e l’attività degli ormoni tiroidei. Il primo meccanismo
modulato è quello che vede coinvolto l’enzima 5’-deiodinasi, responsabile
della conversione della tetraiodotironina (T4), poco attiva, in triiodotironina
(T3), più attiva. La terapia sostitutiva può dunque riguardare sia il rimpiazzo
di T4 che di T3, con alcune considerazioni. Poiché l’enzima di conversione è
prodotto in minor misura quando lo stato energetico degli epatociti è basso,
assumere T4 potrebbe portare a risultati non proprio sorprendenti, mentre il
T3, vera forma attiva degli ormoni tiroidei, si tradurrebbe in maggiori risultati
sul metabolismo energetico.
Il problema è il seguente: il corpo (che non è stupido) ha sottoregolato la
deiodinasi per un motivo, proteggere da un eccessivo depauperamento sia
delle scorte energetiche che dei tessuti. In una situazione del genere, con
introito energetico basso, assumere T3 causerebbe un catabolismo muscolare
consistente. Per questo la scelta più conveniente (dal punto di vista della
ricomposizione corporea) potrebbe essere rappresentata dall’assunzione di T4
e non di T3: dare il substrato a monte anziché la sostanza a valle. Bisogna
inoltre aggiungere la nota che l’attività di conversione del T4 in T3 viene
aumentata dalla stimolazione adrenergica: come vedremo a breve, infatti, il
T4 è usato spesso in uno specifico stack (assunzione combinata di più
sostanze).

Simpaticomimetici e correlati
Per mimetico si intende una sostanza (in genere esogena) in grado di mimare
gli effetti di un’altra sostanza (in genere endogena). I simpaticomimetici o
simpatomimetici sono in grado di mimare le sostanze prodotte propriamente
dal sistema adrenergico, come l’adrenalina e la noradrenalina, sulle quali qui
ci concentreremo. Facciamo una piccola digressione biochimica e fisiologica:
adrenalina e noradrenalina vengono prodotte sia dal surrene e riversate nel
circolo sanguigno (comportandosi da ormoni) che dal sistema nervoso
centrale e inviate da un neurone a un altro (comportandosi da
neurotrasmettitori). Gli ormoni sono molecole che vengono riversate nel
circolo sanguigno ed esplicano i loro effetti a distanza; i neurotrasmettitori
sono composti prodotti da un neurone (pre-sinaptico) che stimolano un
neurone adiacente (post-sinaptico) che presenta recettori per quel particolare
composto. Ora capite perché prima avete letto che le cose non possono essere
divise in maniera netta: un simpaticomimetico infatti esercita sia effetti
periferici che centrali.
L’efedrina è forse il fat burner più conosciuto ed usato; questo alcaloide si
trova naturalmente nella pianta del Ma Huang, mentre quello sintetizzato
artificialmente si trova nella forma di cloridrato. L’efedrina è illegale, perché
da essa è facile produrre le amfetamine che differiscono per struttura chimica
per la presenza di un solo gruppo -OH. A parte i dettagli chimici, che
correlazione ha col nostro discorso? L’efedrina è un simpatomimetico che
esplica i suoi effetti soprattutto a livello pre-sinaptico, stimolando la
produzione di noradrenalina; a livello post-sinaptico, si comporta come
stimolatore dei recettori adrenergici non specifico (si lega ugualmente bene a
tutti i tipi di recettori, alfa, beta e loro sottotipi). A livello periferico stimola
dunque la lipolisi (ormai sapete come e perché), diminuendo il catabolismo
del tessuto muscolare perché maggiori substrati lipidici sono utilizzati per la
produzione energetica anziché glucosio e aminoacidi; a livello centrale
diminuisce l’appetito, stimolando blandamente anche la produzione di
dopamina. L’efedrina è spesso assunta in concomitanza alla caffeina e
all’aspirina, trattate a breve: questo stack prende il nome di ECA; per
l’elevata possibilità di effetti collaterali (ulcere), comunque, spesso viene
consigliato di non includere l’aspirina, riducendo lo stack all’EC con
diminuzioni minime sull’efficacia.
Tra gli altri simpaticomimetici, quelli che hanno riscosso maggiore successo
come fat burner sono sicuramente i beta-2 agonisti, tra cui i più noti sono il
clenbuterolo ed il salbutamolo (o albuterolo). Poiché il meccanismo d’azione
è praticamente lo stesso (in specie nell’ottica di come è organizzato questo
capitolo), parleremo solo del clenbuterolo (amichevolmente chiamato clen).
La più nota differenza tra le due sostanze è la loro emivita, 36 ore contro 2.5-
5 ore, rispettivamente: questo è uno dei motivi per cui il clen è più utilizzato;
la facilità di utilizzo è maggiore, dal momento che può essere assunto una
sola volta al giorno. La sua lunga emivita ha fatto in modo che fossero
proposti anche cicli con assunzione “due giorni sì e due giorni no”, ed è bene
infatti pensare a una ciclizzazione che tenga conto del fatto che rimane in
circolo per molte ore. Il clen è un farmaco incredibilmente potente ed
efficace, checché la comunità medica tenti di sostenere il contrario: gli effetti
del clen sono assolutamente non trascurabili e tremendamente palesi.
Più elevata la potenza, più elevati gli effetti collaterali: infatti, pochi giorni di
assunzione di clenbuterolo fanno si che i recettori beta-2 adrenergici vengano
sottoregolati e nel giro di due settimane gli effetti vengano inibiti fin quasi ad
annullarsi. Per questo motivo il clen viene sempre accompagnato da una
sostanza di cui parleremo a breve, in grado di contrastare la downregulation
dei recettori adrenergici beta-2. Il clen può trovarsi in stack anche con gli
ormoni tiroidei, ed insieme le due sostanze potenziano gli effetti sulla lipolisi
l’una dell’altra e viceversa.
Non propriamente un simpaticomimetico, la yohimbina è una sostanza che si
lega ai recettori adrenergici alfa-2, inibendoli ed impedendo ad adrenalina e
noradrenalina di legarsi ad essi per esplicare i loro effetti. Questo si traduce in
un risultato netto lipolitico, dal momento che i recettori alfa-2 sono i freni del
sistema adrenergico. Per questo motivo non è una saggia scelta combinare
efedrina o clenbuterolo con yohimbina: i primi premono sul pedale
dell’acceleratore, la seconda fa rilasciare quello del freno e l’effetto totale
può essere troppo intenso.
Se ricordate il discorso relativo ai recettori adrenergici, abbiamo indicato che
ci sono alcune zone del corpo con rapporto beta-2/alfa-2 molto basso, che
dunque possono non rispondere come ci si aspetterebbe a una restrizione
energetica o a una qualche sostanza che stimoli il sistema adrenergico. In una
delle sezioni precedenti abbiamo parlato dell’angiotensina II e dei suoi effetti
nei confronti del numero e dell’attività dei recettori adrenergici alfa-2: questa
citochina è in grado di stimolare entrambi. Va da sé che bloccare la
produzione di angiotensina II potrebbe fare in modo di diminuire numero ed
attività dei recettori alfa-2. Proprio per questo motivo gli ACE-inibitori, che
agiscono inibendo l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), sono
utili per quanto riguarda l’aumento della lipolisi, poiché diminuiscono i livelli
circolanti di angiotensina II: quello maggiormente utilizzato a tale scopo è il
Captopril.
Per elevare il rapporto beta-2/alfa-2, abbiamo visto come fare agendo in
modo da diminuire i recettori adrenergici alfa-2; ovviamente, poiché si tratta
di un rapporto, è possibile anche elevare i beta-2, mantenendo invariato il
numero degli alfa, ottenendo comunque un rapporto aumentato. Come
aumentare il numero dei recettori adrenergici beta-2? Esiste un farmaco
utilizzato per la cura delle allergie (il Ketotifene, un antistaminico) che ha il
sorprendente e interessante effetto collaterale di aumentare l’espressione
genica per i recettori adrenergici beta-2. Ecco perché si inserisce bene in un
ciclo di clen, di cui può aumentarne l’efficacia per molte settimane piuttosto
che le 2-3 se non si assume ketotifene.

Inganno biochimico
Come avrete certamente notato, stiamo ripercorrendo le tappe incontrate nel
corso del manuale, dal punto di vista del trick farmacologico che si può
effettuare per ingannare l’organismo in vari punti dei diversi step. Avendo
visto come fare a livello neurobiologico ed a livello metabolico, vediamo ora
i possibili inganni a livello biochimico: le sostanze di seguito riportate
agiscono infatti su alcuni meccanismi cellulari che si ripercuotono in termini
sia neurobiologici che fisiologici (ancora una volta, la distinzione salta).

Metilxantine
Appartengono a questa classe caffeina (contenuta nel caffè), teofillina
(contenuta nel tè) e teobromina (contenuta nei semi di cacao). Poiché hanno
effetti grosso modo simili e la caffeina è, come si suole dire, “la droga più
utilizzata al mondo”, descriveremo esclusivamente gli effetti di quest’ultima.
La caffeina, o 1,3,7-trimetilxantina, agisce sia a livello centrale che a livello
periferico, interferendo con i recettori per l’adenosina (compete con essa) ed
inibendo non selettivamente le fosfodiesterasi (PDE).
Poiché l’adenosina ha effetti inibitori sul sistema nervoso centrale, la
caffeina, non permettendo a essa il legame al suo recettore, ha un effetto netto
stimolatorio (per questo motivo la prendiamo per stare svegli); recettori
adenosinici sono presenti pure nel rene, dove sotto stimolazione determinano
un aumento del riassorbimento di sali ed acqua, diminuendone dunque
l’escrezione: questo spiega gli effetti diuretici della caffeina, specie ad alte
dosi.
L’effetto più interessante per noi è comunque quello sulle PDE: la caffeina le
inibisce in maniera non selettiva, compresa dunque la PDE-3. Se avete letto
l’approfondimento relativo alla lipolisi, forse vi ricorderete che la PDE-3 è
quell’enzima che catalizza la reazione di degradazione del cAMP, mediatore
degli effetti cellulari dell’adrenalina e della noradrenalina, compresi quelli
lipolitici sulle cellule del tessuto adiposo. L’attività della PDE-3 stessa è
indotta dall’insulina, che inibisce gli effetti delle due catecolamine. Proprio
per l’aumento del cAMP cellulare, la caffeina è utilizzata congiuntamente
all’efedrina: elevata stimolazione dei recettori adrenergici e diminuita
degradazione del cAMP fanno dello stack un ottimo fat burner.

Disaccoppianti
Per capire cosa sono i disaccoppianti occorre prima fare un piccolo discorso
biochimico, che cercheremo di rendere breve e semplice. Come sapete, il
mitocondrio è la centrale energetica cellulare, vale a dire l’organulo dove
viene prodotta l’ATP utile alla cellula per le sue funzioni metaboliche. Come
viene prodotta ATP? Sulla membrana mitocondriale, in realtà costituita da
due membrane, separate dallo spazio intermembranale. Sulla membrana
interna, una serie di proteine fa in modo che attraverso specifiche reazioni
vengano accumulati protoni (H+) nello spazio intermembrana. Un’altra
proteina, situata sempre sulla membrana mitocondriale interna, sfrutta questo
gradiente protonico per comportarsi come un rotore e produrre energia sotto
forma di ATP. L’insieme delle proteine che pompano i protoni all’esterno
della membrana interna e la ATP-sintasi (proteina che produce ATP)
funzionano in modo strettamente accoppiato. Un disaccoppiante è una
sostanza che blocca in qualche modo la produzione di ATP disaccoppiando,
appunto, i due processi: l’energia accumulata viene dunque sprecata nella
produzione di calore. Come curiosità, alcuni veleni, come il cianuro,
inducono la morte cellulare perché bloccano la produzione energetica
mitocondriale a questo livello.
L’aspirina, chimicamente acido acetilsalicilico, così come altri salicilati, si
comporta come disaccoppiante. Per questo motivo è utilizzata in stack con
efedrina e caffeina: l’efedrina stimola il sistema adrenergico, la caffeina ne
potenzia gli effetti e l’aspirina fa in modo che i substrati ossidati non siano
utilizzati per produrre ATP bensì per la produzione di calore. Gli effetti
dell’aspirina sono comunque blandi, in confronto al disaccoppiante simbolo
per eccellenza: il 2,4-dinitrofenolo, molto più noto per il suo nome
abbreviato, DNP. Il DNP può fare aumentare il metabolismo energetico
basale fino al 50% causando perdite di peso considerevoli in tempi brevissimi
(ci sono alcuni case report di circa mezzo chilogrammo di puro grasso al
giorno). Un effetto negativo del DNP, dal punto di vista del dimagrimento, è
comunque quello di inibire la conversione epatica di T4 in T3 in poco tempo,
per cui i cicli di questo disaccoppiante sono ristretti nel tempo. Inoltre, il
DNP si comporta in un certo senso anche come ipoglicemizzante
(aumentando il rapporto ADP/ ATP, stimola l’AMPK), cosa che può renderlo
pericolosissimo se utilizzato insieme ad altri ipoglicemizzanti. Infine, l’uso di
DNP fa aumentare enormemente le richieste idriche dell’organismo e questo
potrebbe riflettersi in danni a carico del rene, nel caso un adeguato apporto di
acqua non sia garantito (alcuni case report suggeriscono fino ad oltre 10 litri
di acqua al giorno). Per concludere, come detto, questi composti aumentano
la produzione di calore, dunque un disaccoppiante non è niente più niente
meno che un veleno, una sostanza tossica: una dose sbagliata può uccidere
cuocendo tessuti e organi interni, in particolare il cervello (che subisce danni
irreversibili se la temperatura sale oltre i 42° C).

Ipoglicemizzanti orali
La classe farmacologica degli ipoglicemizzanti è molto ampia, ma in questo
manuale, non un trattato di Farmacologia, ne descriveremo solo alcuni, di due
famiglie in particolare. La scelta di trattare solo quelli orali non è a caso:
l’ipoglicemizzante iniettabile per eccellenza è l’insulina, utilizzata nel
trattamento del diabete di tipo 1 e, da alcuni, per motivi prestazionali. Benché
non siamo d’accordo sull’utilizzo di alcun farmaco per motivi di
miglioramento della forma fisica o della performance sportiva, vediamo
l’utilizzo dell’insulina qualcosa di estremamente insensato e azzardato:
mentre assumere qualche microgrammo in più di clenbuterolo potrebbe
tradursi semplicemente in aumentato battito cardiaco a cui si può ovviare
stando buoni buoni sdraiati per un po’, sbagliare la dose di insulina è un
attimo e può tradursi in salutare in via anticipata questo mondo. Sappiamo
bene che molte persone mettono in primo piano il fisico rispetto ad altri
problemi come un fegato un po’ ingrossato, reni malfunzionanti o problemi
psichici, ma forse la morte è un prezzo troppo alto da pagare, per tutti.
La metformina, appartenente alla classe dei biguanidi e utilizzata nel diabete
di tipo 2, agisce stimolando l’AMPK e tutta la rete sensore dell’energia
cellulare (come PPAR, PGC e compagnia), che promuovono la traslocazione
dei trasportatori del glucosio GLUT-4 sulla superficie della membrana
cellulare. Da qui capite che gli ipoglicemizzanti, in termini di dimagrimento,
non sono utili solo per i loro effetti sulla glicemia - o meglio, questo è un
effetto marginale e che richiede che il farmaco sia ciclizzato, assunto ad
esempio vicino a dosi più alte di carboidrati - ma per la stimolazione
dell’AMPK, che promuove la lipolisi. L’AMPK aumenta anche il
catabolismo proteico, o meglio, inibisce la sintesi proteica (via mTOR) e
questo può risultare in un risultato netto di degradazione delle proteine.
Un’altra sostanza, l’AICAR (da non confondere con l’alcar, con cui viene
indicata l’acetil-l-carnitina), viene metabolizzata ad una sostanza simile
all’AMP (il ZMP). L’AMPK viene attivata da un elevato rapporto ADP/ATP
o AMP/ATP, per cui indirettamente l’AICAR attiva la chinasi. Questo è
interessante, perché se ne deduce che qualsiasi sostanza (o fenomeno, presto
capirete) in grado di indurre un consumo di ATP potenzialmente promuove
l’AMPK: i disaccoppianti visti prima, diminuendo notevolmente l’ATP
cellulare, attivano la chinasi AMP dipendente. Anche l’esercizio fisico fa
consumare ATP e produrre ADP, motivo per cui è sempre indicato nei casi di
alterazioni della glicemia o del metabolismo lipidico. D’altro canto, le
sostanze che attivano l’AMPK sono talvolta nominate “esercizio fisico-
mimetici”, perché mimano quello che l’esercizio fisico promuove a livello
cellulare. Altri attivatori dell’AMPK sono i tiazolidinedioni (TZD), una
classe di anti-diabetici, che agiscono stimolando i PPAR-gamma. Non a caso
la WADA (World Anti Doping Agency) ha incluso tra i farmaci dopanti gli
attivatori dell’AMPK e dei PPAR-gamma.
E poi ci fu… The Body Essence
The Body Essence costituisce una pubblicazione fatta dopo anni di prove ed
errori del protocollo descritto in The Body Chance, rivisitato in veste
Oukside: soltanto poche pagine di sole indicazioni pratiche, gli schemi da
seguire come quelli che assegneremmo ai nostri clienti per risultati di
dimagrimento e ricomposizione corporea a lungo termine. Dopo la sua
pubblicazione online, abbiamo fatto diètro frónt e pensato di unirlo a The
Body Chance, ampliando quest’ultimo in quei passaggi che ci sembravano di
più difficile comprensione e inserendo anche in esso delle informazioni di
carattere pratico da applicare tout court. La differenza di The Body Essence è
che integra altre informazioni per volgere il protocollo sul lungo termine con
una declinazione molto semplice: creando cioè dei cicli di ricomposizione
corporea in salita e in discesa. Aggiunge anche concetti estrapolati dalla
dieta flessibile, la categorizzazione degli alimenti per creare modelli
nutrizionali con semplicità e l’interpretazione dell’allenamento secondo piani
di lavoro piuttosto che muscoli specifici in modo da creare strutture
sostenibili. Il motivo per cui la dieta e l’allenamento così posti risultano
essere mantenibili a lungo termine è che viene lasciata la libertà di scegliere
tra diversi alimenti o ruotare tra diversi esercizi. Fatte queste premesse, vi
lasciamo agli How To per dimagrimento e ricomposizione corporea. Il succo
di quello che bisogna fare, niente fronzoli.

Arte e Scienza della Ricomposizione


Corporea
Tutto quello che avete letto finora si traduce in questo concetto: il nostro
corpo può costruire in un distretto organico e demolire in un altro. Nella
Body Recomposition costruiamo tessuto muscolare e demoliamo tessuto
adiposo. Questo lo si ottiene temporizzando opportunamente i nutrienti della
dieta in relazione all’allenamento:
● nei giorni di scarico di carboidrati il corpo viene spinto al
metabolismo dei grassi;
● nei giorni di ricarica di carboidrati il corpo viene spinto a
sintetizzare proteine predominantemente nel tessuto muscolare.
L’allenamento ha sempre un duplice scopo: trigger per la sintesi proteica
muscolare - utilizzando allenamenti di forza/potenza/ipertrofia - e
potenziatore dell’attivazione del metabolismo dei grassi - utilizzando
allenamenti di volume/metabolici/glicolitici -.
Dieta
Di seguito la dieta da strutturare in forma schematica e tabellare.

Giorni 1 e Giorno 3 Giorni 4 e Giorno 6 Giorno 7


2 5
• pochi •carboidrati • pochi • tanti come 1, 2,
carboidrati nelle 4-8 ore carboidrati carboidrati 4, 5
• tante in cui è • tante • tante oppure
proteine compreso proteine proteine • poche
• alti l’allenamento • alti • grassi proteine
grassi o dopo di grassi variabili •
esso (bassi “di pochi/medi
• tante base”, ma carboidrati
proteine considerare • pochi
• alti grassi il pasto grassi
(magari libero)
ridotti nelle
ore con più
carboidrati)
Significato delle indicazioni
Pochi carboidrati 50-70 g totali
Carboidrati nel giorno 3 + (aggiunta) di 2-3 g/kg per 4-8 ore
in cui è compreso l’allenamento
Tante proteine 2.5 g/kg
Alti grassi 1-1.5 g/kg
Giorno 7 “low protein” Solo verdure, qualche condimento,
(opzionale) un paio di frutti, della frutta secca o
cioccolato fondente
Digiuno Intermittente (Intermittent Fasting)
È possibile distribuire i pasti nel modo che si desidera.

Go Veg
È possibile strutturare la dieta facendola risultare vegetariana o vegana.

Easy Pocket & Flexible Diet


Dividere gli alimenti come segue:
Fonti di proteine Fonti di grassi Fonti di carboidrati
carne, pesce, uova, oli, burro, frutta riso, pasta, pane,
formaggi freschi, secca, cocco patate (aggiustare il
affettati, tofu, essiccato, peso in rapporto ai
tempeh, seitan cioccolato carboidrati)
fondente

e utilizzare queste porzioni:


1 palmo di fonte proteica 20-30 g di proteine
1 cucchiaio o manciata di fonte lipidica 10-15 g di grassi
1 pugno di fonte glucidica 60 g di carboidrati

Non occorre andare oltre questo livello di dettaglio e all’interno delle


categorie si possono sostituire gli alimenti senza dover modificare le quantità
(e.g. 150 g di carne magra = 150 g di salmone = 150 g di uova (3 uova).
La struttura delle giornate è così automaticamente regolata in base alla stazza
del soggetto:

Pochi 1 pugno totale


carboidrati
Carboidrati + (aggiunta) di 3-4 pugni totali per le 4-8h
nel giorno 3 suddette (anche da fonti non proprio “clean”,
come gelato, pizza, pasta condita/ripiena, etc.)
Nel giorno + (aggiunta) di 6-8 pugni totali nelle 24h (in
6 parte anche da fonti non proprio “clean”, come
gelato, pizza, pasta condita/ripiena, etc.)
Tante 6-7 palmi totali
proteine
Alti grassi 6-8 cucchiai/manciate totali

Allenamento
Si può fare tutto con pochissimi esercizi:
● coi pesi/bilanciere: possono bastarne due, come lo Stacco da Terra
e il Military Press; in linea di massima, scegliere per ogni
allenamento 1 esercizio per la parte bassa e 1-2 per la parte alta;
● a corpo libero: possono bastarne quattro, come gli High Jump, i
Bodyweight Squat, i Push Up esplosivi e i Push Up; scegliere per
ogni allenamento 1 esercizio per la parte bassa e 1-2 per la parte
alta.
(per sprint/running, occorre comunque aggiungere degli esercizi per la parte
alta)
Esercizi possibili con i pesi: Squat (Back Squat o Front Squat), Stacco da
Terra (Deadlift - Regular o Sumo), Military Press, Distensioni su Panca
Piana, Military Press, Trazioni, Dip.
Esercizi possibili a corpo libero: Jump e “varianti” (High Jump, Long Jump,
Squat Jump), Push Up e “varianti” (appesantiti, esplosivi), Affondi.
Gli elementi chiave:
● Tecnica di esecuzione. Tendere alla perfezione.
● Velocità di esecuzione. Spingere alla massima velocità possibile.
● Sforzo percepito. Dominare il peso; l’alzata/la ripetizione deve
essere fluida, sempre.

Tabella di allenamento
Esempio di tabella di allenamento per pesi/bilanciere:
Giorno 1 Giorno 2 Giorno 3
• 2 esercizi base • 2 esercizi base • 2 esercizi base
multiarticolari multiarticolari multiarticolari
• ramping a 1-3 • ramping 4-6 • ramping di 3-5
ripetizioni, e poi ripetizioni, e poi ripetizioni, e poi
scalare 5-10% scalare 5-10% scalare 5-10%
aumentando 2-3 aumentando 2-3 aumentando 2-3
ripetizioni per ripetizioni per volta ripetizioni per
volta per 3 volte per 3 volte volta per 3 volte
• Esempio: Squat, • Esempio: • Esempio: Stacco
faccio serie da 2 Distensioni su da Terra, faccio
ripetizioni, salgo Panca Piana, faccio serie da 3
fino a 140 Kg, poi serie da 4 ripetizioni, salgo
scarico a 130 Kg ripetizioni, salgo fino a 180 Kg, poi
ed eseguo 4 fino a 120 Kg, poi scarico a 160 Kg
ripetizioni, scarico a 110 Kg ed ed eseguo 5
scarico a 120 Kg eseguo 6 ripetizioni, ripetizioni, scarico
ed eseguo 6 scarico a 100 Kg ed a 140 Kg ed
ripetizioni, eseguo 8 ripetizioni, eseguo 7
scarico a 110 Kg scarico a 90 Kg ed ripetizioni, scarico
ed eseguo 8 eseguo 10 a 120 Kg ed
ripetizioni. ripetizioni. eseguo 9
ripetizioni.

Esempio di tabella di allenamento per corpo libero:


Giorno 1 Giorno 2 Giorno 3
• 2 esercizi esplosivi • 2 esercizi • 2 esercizi
(uno per la parte esplosivi (uno esplosivi (uno per la
alta, uno per la parte per la parte alta, parte alta, uno per
bassa) + 2 esercizi uno per la parte la parte bassa) + 2
eseguibili con più bassa) esercizi eseguibili
ripetizioni • 6-8 serie da 4- con più ripetizioni
• 5-6 serie da 1-3 6 ripetizioni • 3-5 serie da 3-5
ripetizioni esplosive esplosive (con ripetizioni esplosive
+ 3-5 serie da 6-20 RPE ovviamente + 3-5 serie da 6-8
ripetizioni più basso ripetizioni
• possibilità di rispetto al • possibilità di
eseguire in Jump giorno 1) eseguire in Jump
Set la parte di • possibilità di Set la parte con più
volume (alternando eseguire in Jump volume
gli esercizi piuttosto Set (alternando Esempio:
che eseguirli in gli esercizi • High Jump 3-4 x
serie) piuttosto che 3-4
Esempio: eseguirli in • Push Up esplosivi
• High Jump 5-6 x serie) 4-5 x 3-4
1-3 Esempio: • Jump Squat 3-4 x
• Push Up esplosivi • Jump Squat 6- 6-8
5-6 x 1-3 8 x 4-6 • Push Up 3-4 x 6-8
• Jump Squat 3-4 x • Push Up oppure (parte di
6-10 appesantiti 6-8 x volume): Jump
• Push Up 4-5 x 10- 4-6 Squat (x 6-8) +
20 oppure (parte di Push Up
oppure (parte di volume): Jump appesantiti (x 6-8)
volume): Jump Squat (x 4-6) + tutto ripetuto x 3-5
Squat (x 6-10) + Push Up (x 4-6) volte
Push Up (x 10-20) tutto ripetuto x
tutto ripetuto x 3-5 6-8 volte
volte

In salita: aumentare la massa muscolare


Molti pensano a dimagrimento e ricomposizione corporea solo per il suo
aspetto di riduzione del grasso corporeo; abbiamo capito che in realtà
dimagrire significa diventare più magri e lo si può ottenere anche
aumentando il muscolo e tenendo a bada il grasso corporeo. Di seguito uno
schema per creare un protocollo per raggiungere questo scopo, a partire dal
protocollo di base su esposto; gli step si intendono incrementali, cioè si passa
al successivo solo se col precedente non sono stati raggiungi i risultati
desiderati.

1° step 2° step Ulteriori step


aumentare di un quanto fatto al 1° Step da questo nuovo
pugno i + aumentare di 2 livello, se
carboidrati nel cucchiai/manciate i necessario,
Giorno 3 e nel grassi in tutti i giorni ripetere lo/gli
Giorno 6 step 1 e 2.

In discesa: ridurre il grasso corporeo


Ecco uno schema per creare un protocollo per raggiungere questo scopo, a
partire dal protocollo di base su esposto; gli step si intendono incrementali,
cioè si passa al successivo solo se col precedente non sono stati raggiungi i
risultati desiderati.

1° step 2° step Ulteriori step


diminuire di un quanto fatto al 1° Step a questo nuovo
pugno i + diminuire di 1 livello, se
carboidrati nel cucchiaio/manciata i necessario,
Giorno 3 e nel grassi in tutti i giorni ripetere lo/gli
Giorno 6 step sopra

Integratori, supplementi, erbe e spezie,


farmaci
Nutrizione peri workout
Creare degli shaker per gli allenamenti, con gli integratori seguenti, inseriti
per importanza.
È possibile utilizzarli in maniera incrementale (solo i primi due, tre o tutti).
+ BCAA: 6-10 g
+ Zuccheri (qualsiasi tipo): 15-25 g
+ Proteine in polvere: 10-20 g
+ Creatina: 3-5 g
Assumere lo shaker sorseggiando da quando si inizia a quando si finisce
allenamento.

Integrazione di base
Questa integrazione dovrebbe essere tenuta a mente come “base”, da fare
comunque in periodi dedicati, aumentando compliance e sostenibilità (sia
psicologica, sia economica):
Multivitaminico Vitamina C Omega-3
2 cps al mattino 2-4 g al mattino 1-3 g al giorno per
per 4 settimane, per 4 settimane, 4 settimane, per 3-
per 3-4 volte per 3-4 volte 4 volte all’anno
all’anno all’anno

Supplementazione (facoltativa)
Queste indicazioni sono facoltative in quanto possono essere utilizzate in
situazioni particolari, in aggiunta a quanto sopra esposto sugli integratori.
BCAA L-Tirosina L-Teanina Acido Alfa
Lipoico
4-5 g al 5 g al mattino 400 mg alla • utili 1200-
mattino in in caso di sera in caso 2400 mg prima
caso di scarsa capacità di difficoltà dei pasti ricchi
scarso di a prendere di carboidrati.
recupero e concentrazione sonno • opzionali 600-
stanchezza 800 mg al
giorno per 4
settimane, per
3-4 volte
all’anno

Erboristica (facoltativa)
Erbe e spezie possono essere un valido aiuto in questo e in altri contesti; qui
un modo semplice e pratico per introdurli ai fini della ricomposizione
corporea.
Cannella Aceto Pepe nero Noce
moscata
• nei periodi “in 20-40 mL un 1-2 noci
discesa”, 5-10 g al prima dei cucchiaino moscate
mattino per 4-6 pasti prima dei intere (o 1-
settimane. Distanziare ricchi di pasti 2 cucchiai
i periodi di assunzione carboidrati ricchi di se
di almeno 2 settimane carboidrati macinate)
• in generale, 5-10 g prima dei
prima dei pasti ricchi pasti ricchi
di carboidrati. Assunta di
solo in questi carboidrati
momenti, non occorre
sospensione.

Farmacologia (pericolosa)
Di seguito i protocolli di utilizzo di alcuni farmaci in ottica dimagrimento e
ricomposizione corporea. I criteri di inserimento dei farmaci sono i seguenti:

● affinità con gli adattamenti metabolici che si vogliono creare;


● esperienza sul campo;
● miglior compromesso efficacia/effetti collaterali;
Di seguito modalità di assunzione dei singoli farmaci, in basso gli stack
possibili. Gli stack non presenti in elenco, sono pericolosi e andrebbero
evitati.
Aspirina: partire da 200 mg al giorno (divisi in 2-3 dosi) e aumentare di 200
mg ogni 2 giorni fino a un massimo di 800 mg, poi scalare di 300 mg ogni 3
giorni fino a 0. Distanziare i cicli di almeno 4 mesi.
Risultato (i trattini dividono i giorni) - 14 giorni: 200-200-400-400-600-600-
800-800-500-500-500-200-200-200.
Bromocriptina: da utilizzare per perdite di grasso cospicue (< 10% di Body
Fat), se si trovano molte difficoltà a resistere alla fame e si osserva un
notevole calo della libido. Non superare le 12 settimane di assunzione.
Distanziare i cicli di almeno 12 mesi. 2.5-5 mg al giorno (trovare la dose che
non dia nausea).
Cabergolina: da utilizzare solo per perdite di grasso estreme (< 6% di Body
Fat) e si osserva un notevole calo della libido. Non superare le 8 settimane di
assunzione. Distanziare i cicli di almeno 12 mesi. 0.25 mg due volte a
settimana, incrementando di 0.25 mg a settimana fino a 1 mg due volte a
settimana. Scalare a 0.75 mg, 0.5 mg, 0.25 mg rispettivamente alla terzultima,
penultima, ultima settimana.
Caffeina: partire da 100 mg al giorno e aumentare di 100 mg ogni 2 giorni
fino a un massimo di 600 mg, poi scalare di 300 mg ogni 3 giorni fino a 0.
Distanziare i cicli di almeno 6 mesi.
Risultato (i trattini dividono i giorni) - 21 giorni: 100-100-200-200-300-300-
400-400-500-500-600-600-800-800-500-500-500-200-200-200.
Clenbuterolo: partire da 20 mcg una volta al giorno e aumentare di 20 mcg
ogni 2 giorni fino a un massimo di 80 mcg, poi scalare di 30 mcg ogni 3
giorni fino a 0. Distanziare i cicli di almeno 6 mesi.
Risultato (i trattini dividono i giorni) - 14 giorni: 20-20-40-40-60-60-80-80-
50-50-50-20-20-20.
Metformina: 500 mg prima della ricarica del Giorno 3; 1000 mg prima della
ricarica del Giorno 5.
Salbutamolo: partire da 4 mg al giorno (divisi in 2-3 dosi) e aumentare di 4
mg ogni 2 giorni fino a un massimo di 16 mg, poi scalare di 6 mg ogni 3
giorni fino a 0. Distanziare i cicli di almeno 6 mesi.
Risultato (i trattini dividono i giorni) - 14 giorni:
4-4-8-8-12-12-16-16-10-10-10-4-4-4.
Pergolide: da utilizzare solo se fame e stanchezza risultano insopportabili e
per perdite di grasso cospicue (< 10% di Body Fat). Non superare le 6
settimane di assunzione. Distanziare i cicli di almeno 24 mesi. 0.25-1 mg al
giorno (trovare la dose che non dia pseudoallucinazioni).
Yohimbina: utilizzare a dosi di 0.2 mg/Kg per 2 settimane. Distanziare i cicli
di almeno 4 mesi.
Stack possibili
Questi gli stack che si possono creare minimizzando i rischi:

● Aspirina+Caffeina+Salbutamolo
● Aspirina+Caffeina+Yohimbina
● Caffeina+Clenbuterolo
Bromocriptina o Cabergolina o Pergolide non interferiscono con gli altri:
significa che agli stack suddetti possono essere aggiunti (in maniera
mutuamente esclusivi); lo stesso dicasi per la Metformina, così come
consigliata (cioè vicino ai pasti con più carboidrati). L’Aspirina è l’unica che
non è efficace da sola ed è quindi da utilizzare solo come da “Stack
possibili”.

Igiene del sonno per la Body Recomposition


Ideale sarebbe raggiungere la condizione in cui ci si sveglia senza sveglia.
Alternativamente, utilizzare una sveglia intelligente, come nell’App Sleep
Cycle, che programma la sveglia nel momento in cui il sonno è più leggero,
non interrompendo quindi le fasi di sonno profondo/REM in cui l’organismo
e il cervello recuperano maggiormente.
Idealmente, si dovrebbe dormire almeno 7 ore al giorno. In giornate in cui si
è dormito meno, per ogni 1-2 ore di sonno persa di notte, si possono inserire
25 minuti di sonnellino (“nap”) nell’ora coincidente a 6-8 ore dopo il
consueto orario del risveglio: chi si sveglia abitualmente alle 7, andando a
dormire alle 24, il giorno che fa le 2:00 può inserire 25 minuti di “nap” tra le
13 e le 15. In giornate in cui si è dormito meno, prendere eventuale caffè e
caffeina solo dopo il consueto orario del risveglio e nell’ora coincidente a 6-8
ore dopo il consueto orario del risveglio: continuando con l’esempio, il caffè
o la caffeina a scopo “booster” andrebbero presi comunque alle 7 e poi tra le
13 e le 15.
Oltre la Ricomposizione Corporea
Siete arrivati alla fine di questo lungo viaggio. Avete compreso i dettagli più
profondi relativi alla perdita di grasso, l'aumento della massa muscolare, la
risposta dell'organismo agli stimoli allenanti, il meccanismo che porta ad
avere più muscoli e meno grasso. Ora avete tutti gli elementi necessari per
pianificare la ricomposizione corporea e non solo: per costruire un percorso
di miglioramento che duri tutta la vita.
Cosa rimane? Il nostro intento in questo manuale è stato quello di darvi sia un
metodo utile e pratico per raggiungere forma fisica e benessere e mantenere i
risultati per sempre, sia un modo per raffinare continuamente la strategia che
voi stessi avrete creato. C'è ancora qualcosa, che voremmo dirvi: il mondo
del Fitness non è confinato ai miglioramenti dai soli punti di vista
nutrizionale e dell'esercizio fisico, ma si estende all'interazione che abbiamo
con l'ambiente esterno, chi ci circonda e noi stessi. Lo stato psicologico,
l'umore, il benessere percepito, sono fattori che si ripercuotono sul nostro
corpo in una maniera che non possiamo più trascurare. Confidiamo in voi
esortandovi ad avare l'accortezza, nell'iniziare un percorso di Ricomposizione
Corporea, di assicurarvi che tutto il resto sia in ordine: motivazione, stress
psicofisico, sonno e tutti gli altri fattori che influiscono sul "sistema corpo".
È anche per questo motivo che vi consigliamo di seguirci su Oukside, perché
questo percorso di miglioramento a tutto tondo non abbia mai fine.
E adesso, non ci resta che salutarvi e chiedervi, se vi fa piacere, giusto un
piccolo favore: una sincera recensione su Amazon, per aiutare sia altri utenti
che, come voi, vogliono migliorarsi e sapere come farlo al meglio, sia noi,
che raffineremo nel tempo le nostre strategie perché abbiate sempre quella
più efficace.
Bibliografia essenziale
Qui è presentata la bibliografia essenziale, divisa per argomenti. Per chi fosse
interessato ad ampliare la ricerca, consigliamo la consultazione “a ventaglio”
partendo dai riferimenti qui indicati. I commenti non sono inseriti là dove il
titolo è già esplicativo.

AMPK e affini
● King MW. “AMPK Master Metabolic Regulator.” The Medical
Biochemistry Page. Modificato il 01/03/2013 (consultato il
01/03/2013). Disponibile all’indirizzo
http://themedicalbiochemistrypage.org/ampk.php.
● McDonald L. “AMPK: Master Metabolic Regulator.”
Bodyrecomposition.com.
● Viollet B, Andreelli F. “AMP-activated protein kinase and
metabolic control.” Handb Exp Pharmacol. 2011;(203):303-30.
● Draznin B, Wang C, Adochio R, Leitner JW, Cornier MA. Effect of
dietary macronutrient composition on AMPK and SIRT1 expression
and activity in human skeletal muscle. Horm Metab Res. 2012
Sep;44(9):650-5. doi: 10.1055/s-0032-1312656.
● Wang YX. PPARs: diverse regulators in energy metabolism and
metabolic diseases. Cell Res. 2010 Feb;20(2):124-37. doi:
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Fisiologia e metabolismo del muscolo e


dell’esercizio fisico
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J Physiol Endocrinol Metab. 2001 Mar;280(3):E383-90.
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● Flück M. “Regulation of protein synthesis in skeletal muscle.” Dtsch
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● Libro sulla dieta chetogenica che contiene intere sezioni dedicate
all’esercizio fisico: McDonald L. The Ketogenic Diet: A complete
guide for the Dieter and Pracrtitioner. TX, 1998. ISBN 0-9671456-
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● Qaisar R, Renaud G, Morine K, Barton ER, Sweeney HL, Larsson
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● Wolinsky I, Driskell JA. Sports Nutrition. Energy Metabolism and
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Frequenza dei pasti e distribuzione dei


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Sports Nutr. 2013 Jan 29;10(1):5.
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dell’apporto proteico: Deutz NE, Wolfe RR. “Is there a maximal
anabolic response to protein intake with a meal?” Clin Nutr. 2012
Dec 1. pii: S0261-5614(12)00266-X.
● Kelly CJ. “A controlled trial of reduced meal frequency without
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● Sofer S, Eliraz A, Kaplan S, Voet H, Fink G, Kima T, Madar Z.
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● Uno studio che mostra l’aumento del metabolismo basale durante il
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index and body composition.” Int J Obes Relat Metab Disord. 2002
Mar;26(3):376-83.

Integrazione e supplementazione
● Uno studio sull’utilità degli aminoacidi a catena ramificata:
Howatson G, Hoad M, Goodall S, Tallent J, Bell PG, French DN.
“Exercise-induced muscle damage is reduced in resistance-trained
males by branched chain amino acids: a randomized, double-blind,
placebo controlled study.” J Int Soc Sports Nutr. 2012 May
8;9(1):20.
● Stout JR, Antonio J, Kalman D. Essential of Creatine in Sports and
Health. NV, Humana Press, 2008.
● Ottimo libro in cui si trovano, tra l’altro, informazioni riguardanti
l’utilizzo di alcuni integratori: McDonald L. The Protein Book. A
Complete Guide for Coach an Athlete. TX, 2007. ISBN 0-9671456-
6-x.

Proteine e diete iperproteiche


● Tre studi che indicano i benefici dell’aumento dell’apporto proteico
in una dieta ipocalorica:
○ Harber MP, Schenk S, Barkan AL, Horowitz JF. “Effects
of dietary carbohydrate restriction with high protein intake
on protein metabolism and the somatotropic axis.” J Clin
Endocrinol Metab. 2005 Sep;90(9):5175-81.
○ McIver CM, Wycherley TP, Clifton PM. “MTOR signaling
and ubiquitin-proteosome gene expression in the
preservation of fat free mass following high protein, calorie
restricted weight loss.” Nutr Metab (Lond). 2012 Sep
14;9(1):83.
○ Soenen S, Martens EA, Hochstenbach-Waelen A,
Lemmens SG, Westerterp-Plantenga MS. “Normal Protein
Intake Is Required for Body Weight Loss and Weight
Maintenance, and Elevated Protein Intake for Additional
Preservation of Resting Energy Expenditure and Fat Free
Mass.” J Nutr. 2013 Feb 27.
● Un paio di studi sugli effetti degli aminoacidi e dell’insulina sulla
sintesi proteica:
○ Deldicque L, Theisen D, Francaux M. “Regulation of
mTOR by amino acids and resistance exercise in skeletal
muscle.” Eur J Appl Physiol. 2005 May;94(1-2):1-10.
○ Fujita S, Rasmussen BB, Cadenas JG, Grady JJ, Volpi E.
“Effect of insulin on human skeletal muscle protein
synthesis is modulated by insulin-induced changes in
muscle blood flow and amino acid availability.” Am J
Physiol Endocrinol Metab. 2006 Oct;291(4):E745-54.
● Studio in vitro che mostra come il segnale insulinico possa essere
potenziato dal mTOR:
○ Takano A, Usui I, Haruta T, Kawahara J, Uno T, Iwata M,
Kobayashi M. “Mammalian target of rapamycin pathway
regulates insulin signaling via subcellular redistribution of
insulin receptor substrate 1 and integrates nutritional
signals and metabolic signals of insulin.” Mol Cell Biol.
2001 Aug;21(15):5050-62.
● Una critica al ‘terrorismo psicologico’ relativo all’elevato consumo
proteico negli sportivi: Lowery LM, Devia L. “Dietary protein
safety and resistance exercise: what do we really know?” J Int Soc
Sports Nutr. 2009 Jan 12;6:3.

Metabolismo del tessuto adiposo


● Libro in cui vengono spiegati alcuni meccanismi alla base della
lipolisi: McDonald L. The Ultimate Diet 2.0. Advanced Cyclical
Dieting for Achieving Super Leanness. TX, 2003. ISBN 0-9671456-
2-7.
● Oltre una decina di riferimenti utili per quanto riguarda le
adipochine e le loro funzioni:
○ Andersson K, Gaudiot N, Ribiere C, Elizalde M, Giudicelli
Y, Arner P. “A nitric oxide-mediated mechanism regulates
lipolysis in human adipose tissue in vivo.” Br J Pharmacol.
1999 Apr;126(7):1639-45.
○ Draznin B, Wang C, Adochio R, Leitner JW, Cornier MA.
“Effect of dietary macronutrient composition on AMPK
and SIRT1 expression and activity in human skeletal
muscle.” Horm Metab Res. 2012 Sep;44(9):650-5.
○ Evans K, Clark ML, Frayn KN. “Effects of an oral and
intravenous fat load on adipose tissue and forearm lipid
metabolism.” Am J Physiol. 1999 Feb;276(2 Pt 1):E241-8.
○ Goossens GH, Blaak EE, Saris WH, van Baak MA.
“Angiotensin II-induced effects on adipose and skeletal
muscle tissue blood flow and lipolysis in normal-weight
and obese subjects.” J Clin Endocrinol Metab. 2004
Jun;89(6):2690-6.
○ Kern PA, Di Gregorio G, Lu T, Rassouli N, Ranganathan
G. “Perilipin expression in human adipose tissue is
elevated with obesity.” J Clin Endocrinol Metab. 2004
Mar;89(3):1352-8.
○ Luxy J. “Acyl Stimulation Protein.” Obesity and Diabetes
(consultato il 19/02/2013). Disponibile all’indirizzo http://
www.diabetesobesity.net/asp.html.
○ Luxy J. “Angiotensin-II.” Obesity and Diabetes (consultato
13/02/2013). Disponibile all’indirizzo http://www.
diabetesobesity.net/angiotensin-ii.html.
○ McDonald L. The Stubborn Fat Solution. UT, 2008. ISBN
0-9671456-7-8.
○ Muoio DM. Metabolic inflexibility: when mitochondrial
indecision leads to metabolic gridlock. Cell. 2014 Dec
4;159(6):1253-62.
○ Greutstein M. “Alpha-2 adrenoceptor down regulation.”
Dan Duchaine’s Dirty Dieting Newsletter. 1997 Mar; 1: 3-
6, 11.
○ Kiens B, Lithell H, Mikines KJ, Richter EA. “Effects of
insulin and exercise on muscle lipoprotein lipase activity in
man and its relation to insulin action.” J Clin Invest. 1989
Oct;84(4):1124-9.
● McDonald L. “Re: Altered Thyroid Activity While Dieting. Part II.”
Dan Duchaine’s Dirty Dieting Newsletter. 1997 Mar; 1: 1-2, 11.
● Tre studi relativi alla distribuzione del tessuto adiposo ed alle
differenze tra i vari tipi di grasso corporeo:
○ Arner P. “Differences in lipolysis between human
subcutaneous and omental adipose tissues.” Ann Med.
1995 Aug;27(4):435-8.
○ Lafontan M, Berlan M. “Do regional differences in
adipocyte biology provide new pathophysiological
insights?” Trends Pharmacol Sci. 2003 Jun;24(6):276-83.
○ Lafontan M, Berlan M. “Fat cell adrenergic receptors and
the control of white and brown fat cell function”. J Lipid
Res. 1993 Jul;34(7):1057-91.
● Lo studio da cui viene erroneamente considerato realistico il
dimagrimento localizzato: Stallknecht B, Dela F, Helge JW. “Are
blood flow and lipolysis in subcutaneous adipose tissue influenced
by contractions in adjacent muscles in humans?” Am J Physiol
Endocrinol Metab. 2007 Feb;292(2):E394-9. Epub 2006 Sep 19.

Neurobiologia del controllo alimentare


● Libro in cui vengono ben descritti i cambiamenti neurobiologici
indotti dalla restrizione calorica: McDonald L. Bromocriptine: An
Old Drug with New Uses. TX, 2002. ISBN 0-9671456-1-9.
● Altri studi e review sulla neuorbiologia del controllo alimentare:
○ Broberger C. “Brain regulation of food intake and appetite:
molecules and networks.” J Intern Med. 2005
Oct;258(4):301-27.
○ Hillebrand JJ, de Wied D, Adan RA. “Neuropeptides, food
intake and body weight regulation: a hypothalamic focus.”
Peptides. 2002 Dec;23(12):2283-306.
○ Jeanrenaud B, Rohner-Jeanrenaud F. “Effects of
neuropeptides and leptin on nutrient partitioning:
dysregulations in obesity.” Annu Rev Med. 2001;52:339-
51.
○ Konturek PC, Konturek JW, Czešnikiewicz-Guzik M,
Brzozowski T, Sito E, Konturek SJ. “Neuro-hormonal
control of food intake: basic mechanisms and clinical
implications.” J Physiol Pharmacol. 2005 Dec;56 Suppl
6:5-25.
○ Lu XY, Barsh GS, Akil H, Watson SJ. “Interaction
between alpha-melanocyte-stimulating hormone and
corticotropin-releasing hormone in the regulation of
feeding and hypothalamo-pituitary-adrenal responses.” J
Neurosci. 2003 Aug 27;23(21):7863-72.
○ Mariman EC. “Human biology of weight maintenance after
weight loss.” J Nutrigenet Nutrigenomics. 2012;5(1):13-
25.
○ Mann T, Tomiyama AJ, Westling E, Lew AM, Samuels B,
Chatman J. “Medicare's search for effective obesity
treatments: diets are not the answer.” Am Psychol. 2007
Apr;62(3):220-33.
○ Melby CL, Paris HL, Foright RM, Peth J. “Attenuating the
Biologic Drive for Weight Regain Following Weight Loss:
Must What Goes Down Always Go Back Up?” Nutrients.
2017 May 6;9(5).
○ Müller MJ, Bosy-Westphal A, Heymsfield SB. “Is there
evidence for a set point that regulates human body
weight?” F1000 Med Rep. 2010 Aug 9;2:59.
○ Speakman JR, Levitsky DA, Allison DB, Bray MS, de
Castro JM, Clegg DJ, Clapham JC, Dulloo AG, Gruer L,
Haw S, Hebebrand J, Hetherington MM, Higgs S, Jebb SA,
Loos RJ, Luckman S, Luke A, Mohammed-Ali V,
O'Rahilly S, Pereira M, Perusse L, Robinson TN, Rolls B,
Symonds ME, Westerterp-Plantenga MS. “Set points,
settling points and some alternative models: theoretical
options to understand how genes and environments
combine to regulate body adiposity.” Dis Model Mech.
2011 Nov; 4(6): 733–745.

Sostanze farmacologiche
● Un testo che descrive un particolare protocollo alimentare e
contenente la descrizione di alcuni composti farmacologici:
Duchaine D. Underground Bodyopus: Militant Weight Loss &
Recomposition. Xipe Press, 1996. ISBN 0965310701.
● Libro ben fatto sulle sostanze dopanti: Llewellyn W. Anabolics
2006. FL, Body of Science, 2006. ISBN 0967930456.

Vari
● Riferimento per alcune nozioni di biochimica: Champe PC, Harvey
RA, Ferrier DR. Le basi della biochimica. Bologna, Zanichelli,
2006.
● Interessante testo in cui, tra l’altro, viene spiegata abbastanza bene
la sintesi degli ecosanoidi: Di Pasquale M. La Dieta Metabolica.
Figline Valdarno (FI), Ciccarelli, 2000. ISBN 88-87197-44-X.
● Testo da cui sono state tratte alcune nozioni sull’allenamento con i
pesi: Rippetoe M, Kilgore L. Practical Programming for Strength
Training. TX, 2008. ISBN 0976805413.
● Sulla composizione cellulare dell’organismo: Wenner M. “Humans
Carry More Bacterial Cells than Human Ones”. Scientific
American™. 30/11/2007 (consultato il 08/02/2013). Disponibile
all’indirizzo http://www.scientificamerican.com/article.cfm?
id=strange-but-true-humans-carry-more-bacterial-cells-than-human-
ones.
● Sull’effetto placebo: Bystad M, Bystad C, Wynn R. How can
placebo effects best be applied in clinical practice? A narrative
review. Psychol Res Behav Manag. 2015 Jan 29;8:41-5.
Sugli Autori
Vincenzo Tortora
Vincenzo è incessantemente all'opera per raffinare le sue strategie di dieta,
allenamento e stile di vita per dimagrimento e ricomposizione corporea. Il
suo approccio punta alla massima sostenibilità possibile in un contesto di vita
varia, per far sì che i risultati di forma fisica raggiunti possano essere tenuti
vita natural durante, anche dalla persona più impegnata e con poco tempo a
disposizione.

Cecilia Valeria Rossi


Cecilia si serve dei più attuali strumenti che la Scienza dell'Allenamento offre
per migliorare la performance di sportivi e atleti e le capacità motorie di chi si
approccia all'allenamento. Grazie al modo in cui sa trovare sempre la
soluzione più immediata, i suoi metodi di allenamento sono implementabili
da chiunque voglia migliorare forma fisica, benessere e composizione
corporea.

Myriam Patalano
Myriam utilizza la nutrizione inserendola nel più ampio contesto
dell'interazione mente-corpo-ambiente. Studiare la risposta dell'organismo ai
vari stressor la porta a sperimentare giornalmente strategie sempre più
efficaci per migliorare la composizione corporea. Si occupa in particolar
modo di atleti del Power Lifting, del Body Building e di tutti coloro vogliano
un risultato di performance e forma fisica fuori dall'ordinario.

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