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Perché è inutile risparmiare energia

di Franco Battaglia - giovedì 15 febbraio 2007, 07:00


Risparmiare energia sembra un ovvio imperativo categorico e secondo Romano Prodi il risparmio
sarebbe addirittura la prima fonte d’energia. Ma non è sempre vero ciò che sembra ovvio.
Naturalmente, quando s’invoca il risparmio energetico non ci si riferisce all’assenza di spreco - cosa
ovvia, visto che l’energia costa denaro - e neanche al risparmio di denaro, altrimenti ci vorrebbe una
giornata del risparmio del pane, delle scarpe e di qualunque altra cosa vi viene in mente e che gratis
non è. Per risparmio energetico deve intendersi la rinuncia ad usare l’energia quando invece
avremmo la necessità di disporne; una rinuncia invocata, senza riflettere, da chi osserva che le
risorse energetiche sono finite. Peccato che risparmiare energia per ragioni diverse dal risparmiare
denaro è inutile, come ci si può facilmente convincere; e anche dannoso.

Consideriamo, ad esempio, il petrolio, e supponiamo che sia destinato ad esaurirsi fra 50 anni.
Supponiamo inoltre che l’Italia decida di risparmiarlo. Quanto? Il 5, il 10, il 50%? No, propongo il
100%: da domani tutto il nostro petrolio sarà messo in cassaforte e ci serviremo solo delle elemosine
dal resto del mondo. Fra 50 anni, quando il petrolio sarà finito, apriremo le nostre casseforti,
condivideremo col resto del mondo, volenti o nolenti, il petrolio che abbiamo così gelosamente
custodito, e siccome l’Italia consuma ogni anno il 2% del consumo annuo mondiale di petrolio,
questo finirà dopo 1 anno: il nostro draconiano risparmio avrà avuto l’effetto di far esaurire il
petrolio fra 51 anziché fra 50 anni. E se fosse il mondo intero a riproporsi di risparmiare petrolio?
Supponiamo, come esercizio accademico, che non essendo riuscito ad applicare neanche un
protocollo di Kyoto, grazie ad un qualche insperato e non meglio identificato miracolo, il mondo
riesca ad applicarne ben quattro e risparmiare così un fantastico 10% di petrolio: in questo caso,
finirebbe fra 55 anziché fra 50 anni. Lo stesso vale per le altre risorse: il gas si esaurisce fra 100 anni
e il carbone fra 300? Un fantastico risparmio del 10% li farebbe esaurire fra 110 e 330 anni,
rispettivamente. La lezione di quanto sopra è che risparmiare unarisorsa finita è praticamente inutile:
ci farebbe guadagnare poco denaro e pochissimo tempo. Naturalmente, non ha parimenti senso
risparmiare una risorsa infinita (se non per risparmiare denaro).
Quand’è, allora, che ha senso risparmiare? Ha senso risparmiare solo quella risorsa che è illimitata
ma disponibile in quantità razionata. Risparmiamo il denaro del nostro stipendio per poter arrivare
alla fine del mese, certi dell’accredito del mese successivo; in mancanza, un eventuale risparmio ci
porterebbe sul lastrico al 5 anziché al 2 del mese successivo. E che dire dell’energia? L’unica forma
di energia che ha senso risparmiare è quella dal sole, che è illimitata e razionata. Ad esempio,
dovremmo bruciare la legna e consumare l’acqua dei bacini idroelettrici con parsimonia per dare il
tempo all’energia dal sole di ripristinare le foreste e riempire i bacini.
Ma affinché sia il sole ad alimentare il mondo è necessario che 5 miliardi dell’umanità sparisca. La
nostra civiltà è destinata allora a sparire con la scomparsa dei combustibili fossili? Grazie a Dio, no:
disponiamo di uranio e torio dai quali produrre, grazie alla tecnologia della fissione nucleare, tutta
l’energia che vogliamo per decine di migliaia d’anni. Se nel frattempo anche la fissione diventerà
obsoleta perché diventerà realtà qualche altra diavoleria, non saprei dirlo. Per certo posso dire che,
grazie alla fissione nucleare, quello energetico - contrariamente a quel che vogliono farci credere i
mercanti di quella colossale illusione che è l’energia dal sole - non è un problema dell’umanità per le
prossime decine di migliaia d’anni. Sarà invece un problema nelle prossime decine d’anni, quando i
combustibili fossili andranno verso l’esaurimento, se l’umanità ascoltasse quei mercanti e si
rifiutasse di ricorrere alla fonte nucleare. L’umanità, però, è più saggia di quel che si sospetta, molto
più saggia dei Verdi, dei burocrati di Bruxelles e dei romanoprodi del mondo; insomma, di tutti quei
mercanti che hanno avuto la sfrontatezza di inventare, e farci pure celebrare, la giornata delle nostre
privazioni.
risorsa finita è praticamente inutile: ci farebbe guadagnare poco denaro e pochissimo tempo.
Naturalmente, non ha parimenti senso risparmiare una risorsa infinita (se non per risparmiare
denaro).
Quand’è, allora, che ha senso risparmiare? Ha senso risparmiare solo quella risorsa che è illimitata
ma disponibile in quantità razionata. Risparmiamo il denaro del nostro stipendio per poter arrivare
alla fine del mese, certi dell’accredito del mese successivo; in mancanza, un eventuale risparmio ci
porterebbe sul lastrico al 5 anziché al 2 del mese successivo. E che dire dell’energia? L’unica forma
di energia che ha senso risparmiare è quella dal sole, che è illimitata e razionata. Ad esempio,
dovremmo bruciare la legna e consumare l’acqua dei bacini idroelettrici con parsimonia per dare il
tempo all’energia dal sole di ripristinare le foreste e riempire i bacini.
Ma affinché sia il sole ad alimentare il mondo è necessario che 5 miliardi dell’umanità sparisca. La
nostra civiltà è destinata allora a sparire con la scomparsa dei combustibili fossili? Grazie a Dio, no:
disponiamo di uranio e torio dai quali produrre, grazie alla tecnologia della fissione nucleare, tutta
l’energia che vogliamo per decine di migliaia d’anni. Se nel frattempo anche la fissione diventerà
obsoleta perché diventerà realtà qualche altra diavoleria, non saprei dirlo. Per certo posso dire che,
grazie alla fissione nucleare, quello energetico - contrariamente a quel che vogliono farci credere i
mercanti di quella colossale illusione che è l’energia dal sole - non è un problema dell’umanità per le
prossime decine di migliaia d’anni. Sarà invece un problema nelle prossime decine d’anni, quando i
combustibili fossili andranno verso l’esaurimento, se l’umanità ascoltasse quei mercanti e si
rifiutasse di ricorrere alla fonte nucleare. L’umanità, però, è più saggia di quel che si sospetta, molto
più saggia dei Verdi, dei burocrati di Bruxelles e dei romanoprodi del mondo; insomma, di tutti quei
mercanti che hanno avuto la sfrontatezza di inventare, e farci pure celebrare, la giornata delle nostre
privazioni. rifiuto: esso consiste per il 95% di uranio (l'elemento naturale di partenza) e per l'1% da
plutonio, ed entrambi, se opportunamente riciclati, sono perfettamente utilizzabili come combustibile
in reattori a ciclo chiuso. Il restante 4% è la componente energeticamente inutilizzabile: ma 3.5%
contiene nuclidi che o sono stabili o dimezzano la loro attività ogni 24 ore, mentre 0.4% contiene
nuclidi che dimezzano la propria attività in meno di 10 anni. Alla fine, del combustibile spento meno
dello 0.1% (principalmente stronzio-90 e cesio 137) dimezza la propria attività in circa 30 anni. In
definitiva, è solo la componente energeticamente inutilizzabile del combustibile nucleare che va
trattata come rifiuto e tenuta sotto controllo come già si fa ora, e per soli 100 anni circa e non per i
100.000 fantasticati da Pecoraro Scanio: se l'energia elettrica che ciascuno di noi consuma fosse tutta
da fonte nucleare, le scorie annualmente prodotte da ciascuno di noi occuperebbero il volume di una
tazzina di caffè, sono perfettamente gestibili, e quelle esistenti in 60 anni di nucleare non hanno mai
fatto male a nessuno.
Secondo Pecoraro Scanio «i francesi usano il nucleare perché hanno la bomba atomica». Già, e
usano i coltelli perché avevano la ghigliottina. Come le recenti cronache sull'Iran ci hanno informato,
la verità è che è infinitamente più semplice ottenere il materiale esplosivo per una bomba da un
impianto di arricchimento dell'uranio che non dal combustibile spento di un reattore commerciale.
Né è pensabile che i terroristi possano avere il minimo interesse verso il combustibile spento: hanno
obiettivi ben più facili da colpire, come il triste 11 settembre ci ha insegnato. Piuttosto, potessimo
mai persuaderli a sottrarlo dai luoghi ove è conservato, avremmo trovato il modo per sbarazzarci di
costoro.
Non c'è nulla di non risolto nel problema della gestione del combustibile spento. L'unico problema è
avere dei politici che, magari a prezzo di una manciata di voti, acconsentano che gli ingegneri
facciano il lavoro necessario per curarsi responsabilmente di quelli che impropriamente vengono
chiamati rifiuti nucleari. Il precedente governo, con grande enon apprezzato senso di responsabilità,
ci aveva provato. Questo governo, però, incapace di affrontare il problema anche dei rifiuti ordinari
in Campania, può almeno vantarsi che nel paese di Pecoraro Scanio, in Campania, sono installati più
tetti FV che in qualunque altra parte d'Italia.
Anche Rubbia seppellisce i sogni alternativi di Prodi
di Franco Battaglia - sabato 13 gennaio 2007, 00:00
In una intervista al Corriere della Sera Carlo Rubbia l’ha detto chiaro e tondo, e noi lo riportiamo
testualmente: «Lasciamo perdere energia eolica e tecnologia fotovoltaica: esse resteranno sempre
marginali». Parole che, dette da un premio Nobel, ci danno conforto, non foss’altro perché in queste
pagine le ripetiamo da anni. Ci sconforta invece il sospetto che Pecoraro Scanio continuerà ad
adorare il suo sole, imponendo agli italiani l’acquisto di pannelli fotovoltaici da installare sugli
edifici pubblici, e che Prodi continuerà a seminare vento, obbligando gli italiani a raccogliere
tempesta. Caro Professor Prodi, il Nobel Carlo Rubbia conferma: il suo vento è aria; fritta ma
costosissima.
Purtroppo, temo di dover contraddire il professor Rubbia sul resto della sua affermazione, che qui
completo: «L’unica alternativa praticabile è il solare termodinamico». Prima di spiegare perché
anche questa tecnologia è destinata al fallimento, è bene che tolga subito il dubbio che quasi
certamente vi sarà balenato, spontaneo: com’è possibile che un francobattaglia qualunque si permetta
di criticare l’autorità di un premio Nobel? La risposta è semplice: Carlo Rubbia è indubbiamente un
genio ed è un vulcano di idee. Temo però che della propria idea sul solare termodinamico egli si sia
innamorato, ed innamorarsi delle proprie idee è la prima tentazione in cui ogni scienziato ha il
dovere di non cadere.
I fatti sono che ogni tecnologia di produzione di energia che si serva del sole come fonte è destinata
irrimediabilmente a fallire. E non può essere diversamente, visto che c’è un unico sole, uguale per
tutti. Il solare termodinamico consiste in questo: servirsi di specchi (che molto romanticamente in
Italia chiamiamo specchi d’Archimede) per concentrare l’energia solare su un fluido che viene così
portato ad alcune centinaia di gradi. Quindi, tramite uno scambiatore di calore, si produce il vapore
necessario per azionare le turbine e produrre energia elettrica. L’efficienza dell’intero processo è il
prodotto di tre efficienze: l’efficienza ottica degli specchi (80%, se va bene), l’efficienza termica del
fluido (40%, se va bene) e l’efficienza termodinamica della
trasformazione di calore in elettricità (40%, se va bene). Eseguiamo le moltiplicazioni e otteniamo
un totale inferiore al 13%. Se va bene: 10% è un valore più realistico.
Per soddisfare i soli vincoli imposti dal protocollo di Kyoto l’Italia dovrebbe intervenire sulla
produzione di 10 GW (10 miliardi di watt) elettrici da gas e sostituirli con altrettanti senza emettere
gas-serra, come, ad esempio, gli specchi di Archimede. Quanti? Il conto è presto fatto: l’insolazione,
mediata sulle 24 ore e sulle quattro stagioni è, in Sicilia, di 200 W/mq. L’efficienza del 10% del
solare termodinamico consente allora una produzione elettrica di 20 W/mq: dividendo 10 GW per 20
W/mq si ottiene mezzo miliardo di metri quadrati di specchi.
Ora chiudete gli occhi. Immaginate mezzo miliardo di metri quadrati di specchi. Se la visione non vi
turba ancora, immaginate l’operazione di lavare e lucidare frequentemente (diciamo un paio di volte
al mese) mezzo miliardo di metri quadrati di specchi, operazione necessaria per mantenere alta la
loro efficienza ottica. In America ci sono due impianti di solare termodinamico: il Solar-2 che si
chiama così perché ci fu un Solar-1 distrutto dal calore dal sole, che mandò a fuoco un milione di
litri di olio; e il Segs. Entrambi gli impianti sono stati un fallimento, nel senso che hanno fatto
bancarotta.
Rubbia non dà risposta a queste tre domande
di Franco Battaglia - sabato 24 febbraio 2007, 07:00
Secondo il professor Carlo, il mio articolo titolato «Se Rubbia si arrampica sugli specchi» sarebbe
una polemica personale. Non ne vedrei il movente, giacché mai nulla di personale ci fu tra me e
Rubbia, che, invece e ovviamente, gode della mia stima (cosa di cui non ha bisogno visto che gode
della stima dell'intera comunità scientifica).
La questione è invece solamente tecnica: in base a quale principio della fisica l'efficienza di
trasferimento d'energia dagli specchi al fluido sarebbe senza dispersioni, cioè vicina al 100 per
cento? Io, senza bisogno di conoscere i dettagli tecnici del progetto Archimede ho sottinteso nel mio
articolo un'efficienza totale del 16% (80%x50%x40%), confortato dal fatto che impianti simili in
Usa hanno un'efficienza ben inferiore.
Ma è lo stesso responsabile Enea del progetto, il competente ingegner Vignolini, a dichiarare, in un
suo articolo di «sostegno» al progetto stesso, un rendimento non del 32% come allude Rubbia, ma
del 17% (di cui parte serve a mantenere allo stato fuso il fluido suggerito dal prof. Rubbia).
A parte ciò, il professore non risponde alle vere domande che si evincono dal mio articolo:
1. È vero o no che per soddisfare col FV l'1% del nostro fabbisogno elettrico bisognerebbe spendere
20 miliardi?
2. È vero o no che con 20 miliardi si installano 6 reattori nucleari (10.000 MW) del tipo di quello che
stanno installando in Finlandia soddisfacendo così il 25% del nostro fabbisogno?
3. Quanto costa la realizzazione, recentemente programmata, dell'impianto dimostrativo da 5 MW?
Quanto costerebbe il suo ipotetico impianto di solare termodinamico da 1000 MW? Crede realmente,
in scienza e coscienza, nella possibilità di realizzare la «produzione in massa» di tali impianti?
In scienza e coscienza.

Notizie false e ambiguità scientifiche


di Franco Battaglia - mercoledì 07 febbraio 2007, 07:00
La notizia l’abbiamo tutti letta sulla Repubblica e sul Corriere della Sera e ascoltata dai Tg di tutte le
reti: «Secondo l’Ipcc - l’organismo dell’Onu preposto allo studio dei cambiamenti climatici - il
riscaldamento globale è da attribuire per il 90% alle attività umane». Ebbene, la notizia è falsa, come
un parmigiano del Kenia. L’Ipcc mente? No, mentono Repubblica, Corsera e i Tg di tutte le reti,
perché l’Ipcc non dice ciò che quei giornali e telegiornali gli attribuiscono.
Per amor di precisione, cosa dica il Quarto Rapporto dell’Ipcc ancora nessuno lo sa, visto che sarà
reso pubblico fra qualche mese. Quei giornali e telegiornali, infatti, scrivevano e dicevano di
riportare il contenuto di un Riassunto per politici che gli stessi funzionari dell’Ipcc hanno inteso
divulgare. Ma, di nuovo, se uno si prende la briga di leggere quel Riassunto scopre che dice ben altro
di quella notizia data a gran voce e in prima pagina. In quel Riassunto, infatti, si può leggere,
innanzitutto, che con l’espressione «very likely», ovunque usata, si deve intendere «un evento che ha
una probabilità superiore al 90% di esser vero» e che con l’espressione «very high confidence» si
deve intendere «un livello di confidenza di 9 a 10 sulla correttezza di una affermazione», ovunque
dichiarata. Armato di queste premesse, se nel suo Terzo Rapporto (2001) l’Ipcc aveva già dichiarato
una «very high confidence che l’effetto globale delle attività umane dal 1750 in poi è stato un effetto
di riscaldamento», il Riassunto dell’ancora ignoto Quarto Rapporto afferma che: «La maggior parte
dell’incremento di temperatura media globale osservata a partire dalla seconda metà del XX secolo è
very likely dovuto all’incremento antropogenico di gas-serra».
Allora, ciò che è superiore al 90% non è la parte di riscaldamento globale da attribuire all’uomo, ma
è il grado di confidenza che l’Ipcc ritiene di attribuire alla propria affermazione secondo cui «la
maggior parte» della causa di quel riscaldamento è antropica. E «maggior parte» è una qualifica che
può essere attribuita non solo se la responsabilità antropica fosse solo del 51%, ma anche del solo,
che so, 30%, se in presenza di una molteplicità di fattori questi fossero singolarmente meno
importanti. Voi credete che io stia qui a disquisire del pelo nell’uovo? Purtroppo no: sono anni che
l’Ipcc mantiene questi livelli di ambiguità, in assenza dei quali sarebbe stata mandata a casa una
pletora di burocrati che non avrebbero altro modo di giustificare la propria stessa esistenza.
Per dargliene motivo, allora, proviamo a porgli tre semplici (ancora inevase) domande. Come
spiegano che quelli dal 1940 al 1975 sono stati anni di alacre attività umana ma in cui la temperatura
media globale diminuiva? Come spiegano che dal 1998 la temperatura media globale ha smesso di
crescere? Il fatto che nell’anno successivo alla fantastica eruzione del Pinatubo, nelle Filippine
(1991), la temperatura media globale è diminuita di 0,5 gradi (confermato sia dalle misure che dai
modelli), si ebbe cioè in un solo anno una variazione naturale pari alla variazione «antropogenica»
registrata in 150 anni, non è la prova provata che le oscillazioni antropogeniche, ove presenti, sono
ben nascoste da quelle naturali?

Il grande bluff dell’energia solare


di Franco Battaglia - venerdì 19 gennaio 2007, 07:00
Credo di aver capito perché Prodi e Padoa-Schioppa sono stati obbligati ad aumentare vieppiù le
tasse: Alfonso Pecoraro Scanio si sarebbe messo in affari. Promuove egli la vendita di pannelli
fotovoltaici (FV), che naturalmente - nonostante gli aiuti che, da quando ha in mano il potere di
amministrare il nostro denaro, il ministro intende elargire - nessuno compra perché, anche se fossero
gratis, continuano a essere proibitivi: i soli costi di installazione e manutenzione non valgono,
neanche impercettibilmente, il risparmio energetico che ne consegue. Il ministro s'è allora industriato
e ha scritto a 8000 sindaci, suggerendo loro di installare i pannelli FV sugli edifici pubblici e
avvertendo che se non lo fanno «spontaneamente» sarà il governo a imporre questa pazzia. Ed è una
pazzia: installare tanti pannelli FV quanti ne occorrono per erogare 1 GW elettrico (il 2% del nostro
fabbisogno) richiede una spesa di 50 miliardi, cui bisogna aggiungere, pronto ad avviarsi quando il
sole non brilla, un impianto convenzionale di pari potenza (che costa mezzo miliardo se a gas, 1
miliardo se a carbone e 2 miliardi se nucleare). Se assumiamo che i pannelli FV mantengano
immutata la loro efficienza per 30 generosi anni, il combustibile nucleare che si consumerebbe dopo
30 anni di esercizio di un reattore da 1 GW comporterebbe una spesa di meno di 1 miliardo.
Insomma, per non spendere 3 miliardi Pecoraro Scanio e il governo tutto si apprestano a spenderne
52. Capiamo ora tutti perché Prodi e Padoa-Schioppa ci obbligano a queste elevate tasse: dobbiamo
tutti pagare molto affinché i pochi amici di Pecoraro Scanio facciano i loro affari.
Se uno - sfidando tutte le figure retoriche - provasse a chiedere ragione della pazzia, il ministro
risponde candidamente che «quello del combustibile spento è un problema non risolto, le scorie
nucleari sono pericolose per 100.000 anni, e sono minaccia di proliferazione e un obbiettivo dei
terroristi». Almeno così ha dichiarato in un'intervista televisiva ad un giornalista di Repubblica, il
quale palesemente non capiva un'acca ma si adeguava in tutto.
Innanzitutto, cominciamo col dire che il combustibile nucleare spento non è
rifiuto: esso consiste per il 95% di uranio (l'elemento naturale di partenza) e per l'1% da plutonio, ed
entrambi, se opportunamente riciclati, sono perfettamente utilizzabili come combustibile in reattori a
ciclo chiuso. Il restante 4% è la componente energeticamente inutilizzabile: ma 3.5% contiene
nuclidi che o sono stabili o dimezzano la loro attività ogni 24 ore, mentre 0.4% contiene nuclidi che
dimezzano la propria attività in meno di 10 anni. Alla fine, del combustibile spento meno dello 0.1%
(principalmente stronzio-90 e cesio 137) dimezza la propria attività in circa 30 anni. In definitiva, è
solo la componente energeticamente inutilizzabile del combustibile nucleare che va trattata come
rifiuto e tenuta sotto controllo come già si fa ora, e per soli 100 anni circa e non per i 100.000
fantasticati da Pecoraro Scanio: se l'energia elettrica che ciascuno di noi consuma fosse tutta da fonte
nucleare, le scorie annualmente prodotte da ciascuno di noi occuperebbero il volume di una tazzina
di caffè, sono perfettamente gestibili, e quelle esistenti in 60 anni di nucleare non hanno mai fatto
male a nessuno.
Secondo Pecoraro Scanio «i francesi usano il nucleare perché hanno la bomba atomica». Già, e
usano i coltelli perché avevano la ghigliottina. Come le recenti cronache sull'Iran ci hanno informato,
la verità è che è infinitamente più semplice ottenere il materiale esplosivo per una bomba da un
impianto di arricchimento dell'uranio che non dal combustibile spento di un reattore commerciale.
Né è pensabile che i terroristi possano avere il minimo interesse verso il combustibile spento: hanno
obiettivi ben più facili da colpire, come il triste 11 settembre ci ha insegnato. Piuttosto, potessimo
mai persuaderli a sottrarlo dai luoghi ove è conservato, avremmo trovato il modo per sbarazzarci di
costoro.
Non c'è nulla di non risolto nel problema della gestione del combustibile spento. L'unico problema è
avere dei politici che, magari a prezzo di una manciata di voti, acconsentano che gli ingegneri
facciano il lavoro necessario per curarsi responsabilmente di quelli che impropriamente vengono
chiamati rifiuti nucleari. Il precedente governo, con grande enon apprezzato senso di responsabilità,
ci aveva provato. Questo governo, però, incapace di affrontare il problema anche dei rifiuti ordinari
in Campania, può almeno vantarsi che nel paese di Pecoraro Scanio, in Campania, sono installati più
tetti FV che in qualunque altra parte d'Italia.

L’idrogeno può servire, ma non basta


di Franco Battaglia - giovedì 01 marzo 2007, 07:00
Ringrazio Vittorio Mathieu per informare - cosa che ignoravo - che d’idrogeno in Italia si parlò, per
la prima volta, nel 1936. Tanto vale ricordare che il principio delle celle a combustibile è noto,
addirittura, da oltre 160 anni. Rifkin, però, fu quello che lo propose (e continua a proporlo) come
scelta strategica alternativa alla benzina, cioè al petrolio; e in Italia abbiamo un Pecoraro Scanio e un
Romano Prodi che hanno scelto di ascoltarlo, una scelta motivata dal fatto che solo perseguendo
l’impossibile un problema rimane insoluto, il che dà a costoro la ragione della propria esistenza.
Siccome, però, Mathieu ritiene che «grazie al nucleare l’idrogeno potrebbe diventare utile», per il
beneficio del lettore, un chiarimento mi sembra doveroso. Per produrre idrogeno è necessaria
elettricità. Tanta: per produrre l’idrogeno che servirebbe per alimentare il parco automobilistico
italiano ci vorrebbero, a occhio e croce, 50 GW elettrici, cioè 50 tipici reattori nucleari. Senonché,
con così tanta energia elettrica a disposizione, saremmo proprio degli eccentrici se ce ne servissimo
per produrre idrogeno da mettere in (peraltro ancora inesistenti) serbatoi d’automobili anziché
alimentare, direttamente con quella corrente elettrica, le batterie di (esistenti) auto elettriche. Detto
più esplicitamente: avere sotto il sedere batterie, ancorché pesanti e ingombranti, non causa lo stesso
sconforto che si proverebbe dallo star seduti su un serbatoio di idrogeno ad alta pressione (o, peggio,
a bassa temperatura) o dal passeggiare per una città su marciapiedi ai cui bordi stanno parcheggiate
vetture che, oggi, sarebbero classificate come «veicoli per il trasporto di materiale pericoloso».
Allora, uno sviluppo spinto del nucleare è, sì, condizione certamente necessaria per lo sviluppo di
una ipotetica economia a idrogeno, ma è lontano dall’essere anche una condizione sufficiente.
Uno degli errori più comuni in cui si cade nei confronti della scienza e della tecnologia è ritenere che
siccome sembra di vivere, oggi, ai limiti della fantascienza, allora grazie a esse tutto è possibile. La
scienza, invece, è strana: a volte consente oggi cose che fino a ieri non
erano neanche immaginabili, altre volte rende impossibili cose la cui realizzazione sembra proprio
dietro l'angolo. Valutare le scelte da fare non è facile, questo lo capisco. Ma, tutto sommato, non è
neanche tanto difficile: generalmente, basta esercitare un po’ d’aritmetica e, soprattutto, essere
intellettualmente onesti. Tanto per intenderci: bisogna interrompere le ricerche sul confinamento
dell’idrogeno? Certo che no, bisogna solo essere consapevoli che non può essere la prospettiva di
un’economia a idrogeno la spinta strategica di queste ricerche: è estremamente improbabile che
l’idrogeno alimenterà la flotta automobilistica mondiale. Bisogna interrompere le ricerche sul
fotovoltaico? Certo che no, bisogna solo essere consapevoli che non può essere una scelta di politica
energetica: è illusorio ritenere che produrremo una quota non insignificante dell’energia elettrica che
ci serve servendoci dei pannelli fotovoltaici o, più in generale, dell’energia dal sole. Insomma,
nessuno vuole gettare nel ridicolo nulla e nessuno: vogliamo solo far conoscere - dando le cifre
giuste - quali sono le reali dimensioni di un problema che ogni governo che avrà i Verdi dentro
lascerà, insoluto ed ingigantito, in eredità al Paese.
Per rispettare Kyoto serve il nucleare
di Franco Battaglia - mercoledì 07 marzo 2007, 07:00
Senza entrare nel merito delle premesse che hanno portato alla formulazione e successiva
sottoscrizione del protocollo di Kyoto né della sua efficacia rispetto agli obiettivi che esso si è posto
(su entrambe le cose abbiamo ampie riserve), riteniamo doveroso avanzare le considerazioni che
seguono, visto che con quella sottoscrizione l’Italia s’è impegnata a ridurre le proprie emissioni del
6,5% rispetto ai valori del 1990 e visto che l’attuale governo ha, sul da farsi, idee poche, confuse e,
purtroppo, pericolosamente fisse.
Un terzo delle emissioni totali di CO2 viene dal settore della produzione d’energia elettrica, il quale
meglio si presta a contribuire al raggiungimento degli obiettivi del protocollo, per cui bisognerebbe
sostituire almeno il 20% della nostra produzione elettrica con tecnologie che non immettono CO2.
Queste sono di due classi: da fonte nucleare e da fonte solare. Posto che un incremento significativo
della fonte idroelettrica è inibito dalla disponibilità, nel nostro Paese è sostanzialmente satura, di
bacini; e posto che, anche se si fantasticasse di impegnare l’intero territorio boschivo italiano e - con
agricoltura dedicata alla produzione di legna da ardere - tutta la superficie agricola utile non già
impegnata in altre attività agricole, non si riuscirebbe a coprire neanche il 10% del nostro fabbisogno
di energia elettrica. Posto quanto sopra, vediamo come potremmo produrre il 20% del nostro
fabbisogno elettrico (e soddisfare così i vincoli di Kyoto) con le tecnologie che rimangono: nucleare,
eolica, fotovoltaica.
Potremmo: spendere 20 miliardi e installare 6 reattori nucleari da 1600 megawatt (mw), del tipo, per
intenderci, di quelli che si stanno attualmente installando in Finlandia o in Francia; spendere 50
miliardi e installare 50.000 turbine da 1 mw ciascuna; spendere 500 miliardi e installare quanto basta
in pannelli fotovoltaici.
Corre l’obbligo di osservare che la scelta dell’opzione 2 o 3 o di qualunque loro combinazione non
esclude la necessità di installare comunque almeno 5 dei 6 reattori nucleari previsti nella prima
opzione, che devono esserci, pronti a partire, ogni qual volta non soffia il vento o non
brilla il sole. Osservazione, questa, che significa che ogni impegno economico su eolico o
fotovoltaico va confrontato col solo risparmio di combustibile dagli impianti convenzionali.
Eseguendo i calcoli, si scopre che dopo 25 anni (il tempo massimo di vita degli impianti eolici o
fotovoltaici) si sarebbero, sì, risparmiati 4 miliardi di euri in combustibile nucleare, ma a fronte di
una spesa compresa fra 50 e 500 miliardi (il valore esatto dipende dal rapporto relativo di eolico e
fotovoltaico nella combinazione dei due).
Insomma, eolico e fotovoltaico non sono altro che nicchie energeticamente infime, come - in sede di
recente audizione al Senato - ha avvertito anche Carlo Rubbia; ma sono pure impegni
economicamente colossali, cosa che il professor Rubbia ha accortamente omesso di avvertire.
Un’omissione per cui Pecoraro Scanio e Bersani si sentiranno autorizzati a procedere con l’idea fissa
delle opzioni 2 e 3, ignorando la prima, e a ricompensare Rubbia permettendogli di giocare col suo
giocattolo preferito del momento.
Cosa accadrà? Accadrà che fra tre anni ci saremo accorti di non aver onorato neanche l’1% degli
impegni di Kyoto e di dover pagare le conseguenti salatissime multe. Ma ci saremo anche accorti di
aver speso una cifra superiore a quella che, se investita nel nucleare, ci avrebbe fatto, al 100%,
onorare quegli impegni ed evitare quelle multe.

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