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Sìlarus nr.229/2003
 Veniero Scarselli

Le origini del male:


l’entropia

L’ubiquità e irriducibilità del Male,


unitamente al fatto singolare che esso sembra presentarsi
macroscopicamente soltanto nel mondo organico,
ha da tempo intrigato il biologo che è lo Scrivente, in
quanto suggerisce un profondo legame con la vita e quindi
il coinvolgimento dell’ambito biologico.
E’ un tema che al biologo- pensatore sta molto a cuore
perché sembra mostrare come il mito del Peccato Originale
adombri metaforicamente un evento
naturale ben determinato avvenuto nella notte dei tempi.

Come ipotesi di lavoro, osserviamo che il Male, nella sua


apparente doppia faccia di male fisico e male morale, non è
affatto limitato al mondo organico, ma può essere
assimilato all’entropia cui è assoggettato l’intero universo e
che si manifesta come un ineludibile destino di
degradazione di ogni struttura (per definizione contenente
un certo grado di ordine e di energia potenziale) “in
discesa” verso il disordine, fino alla condizione limite di
azzeramento rappresentata dalla morte termica: le
montagne si sgretolano, i fiumi si disperdono
nel mare, i pianeti si raffreddano, i soli si consumano. Sia il
male morale che il male fisico, dunque, si possono definire
come una situazione di degradazione, di disordine; la
materia vivente, invece, si è configurata fin dalle origini
come un evento di rottura, una forza che tenta di opporsi
“in salita” alla distruttiva legge dell’entropia
organizzandosi nelle singolari strutture biologiche ricche di
energia che conosciamo, e che pertanto possono essere
identificate col Bene: se
l’entropia è il Male, la Vita, che è il suo contrario, non può
essere che il Bene.

E’ ormai opinione scientifica consolidata e accettata anche


da molti pensatori della Chiesa (primo fra tutti fu Teilhard
De Chardin) che l’esistenza della vita nell’universo –
comunque si pensi sia stata originata – abbia seguito, in
mezzo ad un mondo inorganico ostile, un fecondo percorso
evolutivo in direzione di una sempre maggiore complessità
e differenziazione delle sue strutture, fino a toccare le vette
della mente e dello Spirito. Muovendo dunque dall’assunto
di una lotta senza quartiere della vita contro le forze
tendenti a distruggerla, l’immediato corollario biologico è
che sia buono tutto ciò che appartiene alla vita e la
favorisce; e cattivo invece tutto ciò che le si oppone per
distruggerla. E’ una visione del mondo che descrive questo
come un gigantesco campo di battaglia fra Vita e Non-vita,
fra Piacere e Dolore, fra Bene e Male; basta guardarsi
attorno per constatare come il mondo, in qualunque scala di
grandezza, non sia che
un’enorme, perpetua, fabbrica di nuova vita (cioè di Bene)
che cerca di sopravvivere all’enorme morìa di esseri viventi
con cui le forze distruttive dell’ambiente (il Male) tenta di
schiacciarla. Il Male dunque non è un’entità astratta e a sé
stante, ma è una concreta imperfezione nella struttura degli
esseri viventi, causa della loro distruzione e della sofferenza
che ne è associata: Pulvis es et pulvis reverteris.

Molti tentano di sottrarsi alla dolorosa constatazione di


questa distruzione liquidandola con l’etichetta di un male
naturale, etichetta che pare un pietoso trucco da illusionisti
allo scopo di farci passare per buono – perché appartenente
alla Natura – ciò che invece è soltanto orribile Male che le
forze del Bene tentano invano di arginare. Orribile è ad
ogni livello la morte e il dolore, orribile la guerra e la
violenza del forte; e orribile, perché non invocabile quale
castigo di consapevoli peccati umani, è lo spettacolo di
miliardi e miliardi di animali d’ogni forma e grandezza che
senza averne consapevolezza si cibano
di altri esseri viventi indifesi. Pochi amano soffermarsi sulla
agghiacciante universalità ed ubiquità di questo continuo
spargimento di sangue e di dolore, se non quando riguarda
direttamente la sofferenza degli uomini, le carestie, le
stragi, le guerre.
Invece il Male è intorno a noi, ne è imbevuto ogni essere
vivente, è una grandezza universale davanti alla quale le
nostre sofferenze umane sono quantitativamente davvero
trascurabili; eppure si è formata
una sorta di assuefazione, di cecità
intellettuale cui oggi non poco contribuiscono continui
documentari televisivi con raccapriccianti dettagli di prede
indifese e sbranate, che rivolgendosi soprattutto ai giovani,
ormai dimentichi del francescano amore per gli animali, li
inducono con immagini e parole a pensare che tutto ciò sia
naturale, quindi, paradossalmente, buono: l’ha stabilito la
Natura, quindi non può non essere giusto e buono. Anche
noi, seguendo lo stesso
principio, non rinunciamo a cibarci di animali
senza battere ciglio, e non ci accorgiamo che con ciò
legittimiamo, o imitiamo, ciò che
avviene in natura. Ma se si accetta come giusto uccidere per
nutrirsi, il passo è breve per legittimare ogni specie di
violenza e di assassinio non appena, più o meno
arbitrariamente, si ritenga in pericolo la propria persona, il
proprio piacere, il proprio interesse o le proprie cose. Tutti i
viventi infatti, dall’uomo al lupo o all’insetto, uccidono in
qualche modo per sopravvivere o comunque perché spinti
da una forza
vitale di autoaffermazione individuale, la quale sempre si
alimenta a spese della distruzione di altri esseri viventi;
chiunque uccida qualunque cosa ha teoricamente sempre
delle buone ragioni naturali; e nel bilancio delle vite e delle
morti, alla Natura non interessano i moventi, essa non cerca
responsabili o colpevoli, questa è piuttosto un’atttudine
squisitamente umana dovuta alla nostra conoscenza
consapevole del Bene e del Male. Ma in natura non esiste il
male morale; esiste solo il dolore fisico.

Vorrei rendere concreta e tangibile l’idea che il dolore


fisico sia l’espressione più generale del Male, fino a
identificarsi con esso.
Consideriamo ciò che alla vita fa bene, cioè il piacere, e ciò
che alla vita fa male, cioè la malattia, la morte, e, appunto,
il Dolore. E’ inutile illudersi che il diuturno massacro
compiuto dagli animali per nutrirsi non sia doloroso quanto
quello inflitto dagli uomini ad altri uomini, solo perché esso
avviene esattamente anche in natura; è soltanto la nostra
visione antropocentrica, che ci fa considerare ovvio e
naturale che un branco di leoni o di iene sventri a morsi una
gazzella strappandole ben viva e sveglia le budella, senza
neppure che la morte sia almeno istantanea. E’ inutile anche
illudersi
che negli animali cosiddetti “inferiori”, in virtù di una
asserita mancanza di
consapevolezza, la morte sia meno dolorosa: tutti gli esseri
viventi, dall’uomo al topo, al pesce, all’insetto, fino alle
forme più trascurate dalla nostra attenzione, quelle
microscopiche, hanno almeno qualcosa che assomiglia a un
sistema nervoso, con una rete fittissima di terminazioni
dolorifiche in tutto il corpo; eppure nessuno, neanche
lontanamente, si sofferma a pensare che un verme divorato
da un verme più grosso
possa provare un dolore simile al nostro.

Questa digressione serve a mostrare che il Male-Dolore,


così assolutamente e capillarmente ubiquitario, sembra un
attributo innato della vita, o meglio sembra essere nato
addirittura con lei nello stesso momento. Vorrei insistere
sul fatto che esso sembra un vero e proprio costituente della
vita: appunto, il peccato originale della materia vivente; e
poiché lo scopo di queste riflessioni è trovare il substrato
biologico in cui si annida il Male, per spiegare come mai la
lotta contro di esso sia stata sempre assolutamente inutile,
vediamo di ricostruire le origini della materia vivente.
Chiunque o qualunque cosa abbia causato l’evento
straordinario e miracoloso della nascita della
vita, tutti ormai – religiosi o no – concordano su di un
punto: che questa deve essere avvenuta necessariamente
attraverso il raggrupparsi organizzato, cioè secondo un
certo ordine, di alcune molecole semplici
che si trovavano disciolte nel cosiddetto “brodo
primordiale”, e che questo raggruppamento sia avvenuto
sfruttando le attrazioni chimico-fisiche disponibili in quel
momento. Tutti i biologi sanno quanto tale organizzazione
molecolare fosse fin dalle origini, a causa dei deboli legami
chimico- fisici impegnati, instabile, incapace di resistere a
lungo all’urto delle molecole e delle radiazioni ambientali
circostanti: tali erano le condizioni in cui si è formata la vita
sul nostro pianeta e forse su altri; tali erano le leggi fisiche
preesistenti nell’universo e con queste anche la vita,
nascendo, ha dovuto fare i conti inventandosi un ordine,
una struttura, se pur debole e imperfetta, che fosse un’isola
in mezzo al disordine e al caos dell’ambiente inorganico.

Ecco dunque in quale parte degli uomini, e più in generale


degli organismi viventi, avrebbe sede il Male: nella
debolezza, nell’imperfezione dell’ordine molecolare che
costituisce la materia vivente; la quale in ogni individuo,
secondo la legge dell’entropia, è destinata fatalmente a
disgregarsi a causa delle disordinate aggressioni
dell’ambiente inorganico. Ma l’Ordine, che istintivamente
percepiamo come vita, come Bene, è quello stesso che
si è evoluto in direzione di una complessità sempre
maggiore portando a compimento, nel suo viaggio, l’anelito
del cosmo a vitalizzarsi, la vita a umanizzarsi, e l’uomo ad
ultraumanizzarsi, fino a forse liberarsi come Spirito perfino
dalle proprie strutture materiali, dalla propria matrice.
Mentre il Disordine, che percepiamo come Morte, Dolore,
Peccato, Imperfezione, cioè come una forza che si oppone a
tutto questo, rappresenta il cosiddetto Male.

E’ interessante osservare a questo punto, per la pace fra


credenti e non credenti, come anche <secondo la teologia
agostiniano-tomistica, il Male non esiste come entità a sé
stante e in contrapposizione all’entità del sommo bene.
Bensì è presente come parziale assenza di perfezione in tutti
gli esseri della Creazione
visibile e invisibile. Questa parziale assenza di perfezione,
la perfezione piena è di spettanza solo divina, incide sulla
mente dell’uomo e qualche volta stravolge la sua
ragionevolezza e la sua volontà e libertà; e, in secondo
luogo, stimola in modo del tutto imprevedibile la fragilità e
corruttibilità del
corpo sì, come dice S. Paolo, da fargli compiere “il male
che non vuole” e non “il bene che vuole”> Massimiliano
Rosito (Città di Vita, LIV, N. 2, 1999).

Come si vede, qualche volta le conclusioni della scienza


non sono in disaccordo con la Dottrina della Chiesa, ma
aiutano anzi a interpretarla in un’ottica filosofica
accessibile alla ragione oltre che alla fede. Tuttavia, è
doveroso anche notare quanto questa concezione del Male
innato alla vita, per gl’infelici che non hanno da opporvi
nessuna forza metafisica salvifica, possa essere
disperatamente pessimistica. Chi invece confida in Dio, o
almeno coltiva la speranza che il precario ordine della
materia che ha dato origine al corpo umano sia riuscito
durante l’evoluzione terrestre degli
organismi ad esprimere, prima di corrompersi, un’entità
spirituale che si avvicini alla perfezione divina, vivrà meno
infelicemente la propria vicenda mondana.
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