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PER UNIONCAMERE

IL MONITORAGGIO DEI PREZZI


L’IMPOSTA DI SOGGIORNO
IL NUOVO MODELLO DI RISTORAZIONE: IL DELIVERY

RELAZIONE ISNART
ATTIVITA’ 2021

Ottobre 2021
SOMMARIO
SEZIONE A: IL MONITORAGGIO DEI PREZZI L’IMPOSTA DI SOGGIORNO............................ 3
Executive summary ........................................................................................................................................ 3
1. Analisi sull’applicazione dell’imposta di soggiorno ............................................................. 4
1.1 Analisi storica del costo dell’imposta........................................................................................... 5
2. Mappa applicazione imposta di Soggiorno e indici di turisticità .................................. 8
2.1 Indici di Turisticità ..............................................................................................................................11
2.2 L’imposta di Soggiorno nei comuni con più di 50.000 abitanti ....................................13
2.3 L’imposta di soggiorno in base alle caratteristiche dei comuni italiani ..................17
3. Best practise sull’applicazione dell’imposta di soggiorno ..............................................21
3.1 Quale è il ritorno per il turista .......................................................................................................23
4. Conclusioni ...............................................................................................................................................25
SEZIONE B: IL MONITORAGGIO DEI PREZZI DELIVERY .............................................................27
Executive summery ......................................................................................................................................27
1. Analisi sul settore della ristorazione .........................................................................................28
1.2 Imprese ristorative nei Comuni sopra i 50mila abitanti .................................................34
2. Analisi dei principali portali per il delivery ...........................................................................36
2.1 Analisi desk dei portali del food delivery in Italia ...............................................................39
2.3 Best practise società di delivery ....................................................................................................41
3. L’impatto del delivery nelle imprese di ristorazione e la ricaduta sul
consumatore ............................................................................................................................................44
4. Conclusioni ...............................................................................................................................................50

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SEZIONE A: IL MONITORAGGIO DEI PREZZI L’IMPOSTA DI SOGGIORNO

EXECUTIVE SUMMARY

Il presente lavoro si basa sulla raccolta e l’applicazione dell’imposta di soggiorno nei comuni
italiani, mettendo in evidenzia il rapporto tra la sua diffusione, i flussi turistici e il come viene poi
utilizzata. A questo proposito è stata ricostruito, tramite un’accurata ricerca normativa, il parterre
dei Comuni con capacità di imposizione del tributo, redatto utilizzando una pluralità di fonti, tra le
quali informazioni reperite dal web.
Il risultato è un elenco degli Enti che hanno effettivamente istituito l’imposta, con un focus
particolare su quelli che hanno una popolazione superiore ai 50mila abitanti.

L’imposta di soggiorno è un tributo applicato a chi soggiorna in strutture ricettive alberghiere o


extra-alberghiere di determinate città italiane o straniere. I valori dell’imposta di soggiorno variano
da città a città a seconda dei regolamenti comunali. L’articolo 4 del dl n°23 del 14 marzo 2011
regolamenta l’imposta di soggiorno e chi ne ha diritto. Si legge al comma 1: «I comuni capoluogo di
provincia, le unioni dei comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località
turistiche o città d’arte possono istituire con deliberazione del consiglio, una imposta di soggiorno».
L’imposta di soggiorno viene richiesta ai turisti ovvero alle persone che alloggiano presso le
strutture ricettive di quei comuni che adottano l’imposta. Le strutture ricettive, che siano
alberghiere o extra-alberghiere, dovranno pertanto assumere il ruolo di agente contabile. L’host,
infatti, ha l’obbligo di riscuotere l’imposta di soggiorno secondo le modalità stabilite dal proprio
comune.
Nel primo capitolo viene fatta una analisi dell’imposta di soggiorno e della sua applicazione nel
mondo, in Europa e infine nel nostro paese, con uno spaccato storico che va dal 1910 ai 2020.
Nel secondo capitolo vengono illustrati su mappa i comuni in cui viene applicata l’imposta di
soggiorno, individuandone il trend di crescita dalla reintroduzione dell’imposta nel 2011 ai giorni
nostri. Si mette in evidenza l’imposta con una analisi su base regionale, utilizzando gli indici di
turisticità facendo un focus sui comuni con una densità di popolazione maggiori di 50mila abitanti,
individuando e analizzando nello specifico 92 comuni sul territorio nazionale. All’interno di questo
capitolo, in particolare nel 2.3 viene analizzata l’imposta in base alle caratteristiche dei comuni

italiani.

Il terzo capitolo è dedicato alle interviste effettuate a dieci tra i comuni che applicano l’imposta,
raccogliendo in particolare quale è l’effettivo ritorno per il turista.

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1. ANALISI SULL’APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA DI SOGGIORNO

La tassazione dei soggiorni turistici è un tipo di imposizione applicata sia nei paesi europei sia in
quelli extra europei (UNWTO, 1998). In Francia i comuni possono deliberare una tassa il cui gettito
è destinato a finanziare interventi a beneficio del turismo locale. In Spagna l’imposta è prevista solo
da leggi regionali istituite dalle Comunità autonome della Catalogna e delle Isole Baleari. In
Catalogna la tassa riguarda anche i pernottamenti a bordo di navi da crociera che approdano in
uno dei suoi porti. In Germania l’imposta è, invece, più assimilabile ad una tassa per la promozione
della cultura, o in maniera distinta si parla di un’imposta sui letti. Negli Stati Uniti il soggiorno in
una struttura ricettiva è sottoposto a un’imposta definita dai singoli Stati federali, che in aggiunta
possono consentire ai governi locali di applicare altre specifiche tasse sugli alloggi.

In Italia, l’imposta di soggiorno è un’imposta applicata a chi soggiorna in strutture ricettive


alberghiere o extra-alberghiere in alcuni specifici comuni: l’articolo 4 del d.lgs. n°23 del 14 marzo
2011 regolamenta l’imposta di soggiorno e chi ne ha diritto. Si legge al comma 1: “I comuni
capoluogo di provincia, le unioni dei comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle
località turistiche o città d’arte possono istituire con deliberazione del consiglio, una imposta di
soggiorno”. L’ammontare dell’imposta di soggiorno varia da città a città a seconda dei regolamenti
comunali.
Il decreto legislativo che ha introdotto l’imposta di soggiorno in Italia spiega anche chi deve pagarla.
L’imposta è “a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio”.
L’imposta di soggiorno, quindi, è un’imposta fissa richiesta ai turisti, ovvero alle persone che
alloggiano presso le strutture ricettive di quei comuni che adottano questo strumento fiscale. In
tutti i casi, l’imposta di soggiorno va pagata direttamente presso la struttura dove si alloggia. Le
strutture hanno l’obbligo di riscuotere l’imposta di soggiorno secondo le modalità stabilite dal
proprio comune. Le strutture ricettive, che siano alberghiere o extra-alberghiere, assumono
pertanto il ruolo di agente contabile1.

1 Precedentemente i gestori delle strutture ricettive erano identificati come sostituto d’imposta. A far chiarezza sul ruolo del gestore ci ha
pensato la Corte dei conti. Con la delibera del 19 gennaio 2013 la Corte dei conti ha stabilito che i gestori delle strutture ricettive non possono
essere identificati come sostituti d’imposta, ma come agenti contabili.

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1.1 ANALISI STORICA DEL COSTO DELL’IMPOSTA

La prima imposta di soggiorno in Italia è stata introdotta l’11 dicembre 1910 con il sigillo del re
Vittorio Emanuele III. La legge prevedeva l’imposta di soggiorno solo nei comuni con stabilimenti
idroterapici, stazioni climatiche e stazioni balneari. Questa legge, con il decreto del 24 novembre
1938, è stata successivamente estesa dando la possibilità di applicare l’imposta di soggiorno in tutte
le altre località italiane di interesse turistico. Adottata per mezzo secolo è stata abolita il 1° gennaio
1989.
Successivamente, l’imposta di soggiorno è stata re-introdotta in seguito alla promulgazione della
legge n° 42/2009 sul federalismo fiscale. Attraverso questo strumento è stata data la possibilità ai
comuni di istituire i cosiddetti “tributi comunali di scopo”, i cui proventi, quindi, devono essere
reinvestiti dal comune solo ed esclusivamente nell’ambito turistico, secondo quanto recita al
comma 1 dell’articolo 4 del D.Lgs. del 14 marzo 2011 n. 23:

Il primo provvedimento in merito all’imposta di soggiorno è stato adottato per la sola capitale
d’Italia.
Nel 2011 erano solamente 13 i Comuni in cui si applicava l’imposta di soggiorno ai turisti. Con il
passare degli anni sempre più sindaci hanno adottato questo strumento, anche perché è una delle
poche imposte che non impatta direttamente sulle tasche dei cittadini, tant’è che a oggi sono 1.035 i
Comuni che applicano quest’imposta, per un gettito fiscale pari a circa 600 milioni di euro. Il
comune di Roma ne incassa da solo il 27,7% , pari a 130 milioni di euro.
La maggior parte degli enti applica una imposta stabilita in euro ma ci sono anche comuni che hanno
stabilito una imposta in quota percentuale sul totale dell’importo, fissando dei limiti.
L’imposta di soggiorno in media non supera i 5 euro ma in alcuni comuni , come nel caso di
Roma, può arrivare fino a 10 euro. Anche in questo caso è il D.Lgs. 14 marzo 2011 n. 23 a darne
disposizione. L’imposta di soggiorno bisogna applicarla “secondo criteri di gradualità in proporzione
al prezzo sino a 5 euro per notte di soggiorno”. Di solito i prezzi variano da 1 a 5 euro a notte in base
alla tipologia d’alloggio e alle stelle dell’albergo. In alcuni casi si decide di applicare l’imposta di
soggiorno una tantum, indipendentemente dalle notti di soggiorno.

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In alcuni casi l’imposta di soggiorno è prevista solo in alcuni periodi dell’anno o avere tariffe diverse
in funzione della bassa o alta stagione.

Tutti coloro che pernottano nei comuni dove viene applicata l’imposta di soggiorno devono pagare
il tributo presso la struttura dove soggiornano. Alcune eccezioni al pagamento sono elencate nei
regolamenti comunali. In generale, sono esenti dal pagamento dell’imposta:

 I bambini fino ai 10 anni, a volte fino ai 14 anni o ai 18.


 Chi pernotta presso gli ostelli della gioventù
 I malati
 I disabili
 Gli accompagnatori di persone malate o disabili (di solito uno per paziente)
 I genitori di malati minori di diciotto anni
 Gli autisti e gli accompagnatori turistici (di solito uno ogni 20/25 partecipanti)
 I residenti
 Le forze armate

Le esenzioni sono spesso subordinate alla presentazione al gestore della struttura di apposita
certificazione attestante lo stato di residenza, di salute o di lavoro. Nel corso degli ultimi anni, grazie
alla diffusione delle piattaforme online, che facilitano l’incontro tra domanda e offerta di alloggi
privati, molte amministrazioni comunali hanno deciso di assoggettare all’imposta anche questo tipo
di pernottamenti pur restando, in tale ambito, ancora ampi margini di estensione dell’applicazione.
La medesima legge (n° 42/2009 sul federalismo fiscale) che ha reintrodotto l’imposta di soggiorno
è intervenuta su questo tema, stabilendo la responsabilità della riscossione del tributo da parte dei
soggetti intermediari, al fine di facilitare l’incasso delle somme dovute da parte dei Comuni.

Nell’ultimo decennio alcune amministrazioni regionali hanno aggiornato la legislazione in materia


di elenchi delle località turistiche al fine di poter introdurre l’imposta di soggiorno. Ad esempio, dal
2016, il numero di comuni eleggibili è cambiato per l’Abruzzo e la Liguria, che hanno dichiarato
turistici tutti i comuni della regione, per il Friuli Venezia Giulia, la Toscana, per il Piemonte, che
hanno emanato i nuovi criteri per il riconoscimento del requisito di “comune turistico”, e per la
Puglia, che ha aggiornato l’elenco sulla base del rispetto di nuove linee-guida.

L’imposta di soggiorno rappresenta una forma di tassazione strategica per gli amministratori
comunali, perché hanno la possibilità di traslare, almeno in parte, l’onere dei servizi locali su
soggetti non residenti e quindi non elettori, è una imposta in cui non vi è una corrispondenza tra

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contribuente (il turista, non residente) ed elettore. Ed è per questo motivo, infatti, che i soggetti che
traggono vantaggio da ciò che viene realizzato con l’imposta sono generalmente un insieme più
grande di quello che ne sostiene il costo.
Ciononostante, solo un sottoinsieme del potenziale di comuni italiani che hanno la facoltà di istituire
l’imposta di soggiorno l’ha effettivamente introdotta a partire dal 2011.
Con il Decreto Crescita viene dato ai Comuni un importante strumento contro la lotta all’evasione
dell’imposta di soggiorno. Per il 2020 le novità riguardano tuttavia quelle città che hanno un flusso
di turisti 20 volte superiore al numero dei residenti per un importo che può essere elevabile fino a
un massimo di 10 euro. Nel dettaglio, questi possono verificare direttamente il pagamento
dell’imposta di soggiorno da parte dei turisti, così da sapere quanto - a loro volta - devono versare
alle casse comunali le singole strutture alberghiere. Questo sarà possibile consultando i dati inseriti
sul portale “Alloggiati Web” che le strutture utilizzano per comunicare alla questura i dati degli
ospiti.
Col Decreto Crescita viene stabilito infatti che questi dati dovranno essere trasmessi dalle questure
all’Agenzia delle Entrate, così che a loro volta saranno consultabili dal Comune che ha istituito
l’imposta di soggiorno.

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2. MAPPA APPLICAZIONE IMPOSTA DI SOGGIORNO E INDICI DI TURISTICITÀ

La distribuzione attuale dei 1.035 comuni che applicano l’imposta di soggiorno è di seguito
illustrata nella fig. 1 in forma aggregata e nelle figure successive con maggiori dettagli per area
geografica.

Fig. 1 – Applicazione dell’imposta sull’intero territorio nazionale

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Fig. 2 Dettaglio dell’applicazione dell’imposta per comune

Fig. 3 Dettaglio dell’applicazione dell’imposta per comune

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Fig. 4 Dettaglio dell’applicazione dell’imposta per comune

Sulla base della ricostruzione effettuata, nel 2020 i comuni che applicavano l’imposta di soggiorno
erano 1.035 (di cui 23 quelli con il contributo di sbarco). Il grafico mostra l’evoluzione temporale
dell’applicazione dell’imposta a partire dall’anno di istituzione, in cui è possibile distinguere almeno
tre fasi: una prima, caratterizzata da una rapida diffusione della sua introduzione, una seconda fase
di primo assestamento tra il 2015 ed il 2017 ed una ultima fase, che culmina nel 2020, con un
leggero ulteriore aumento e stabilizzazione della platea di comuni interessati dal provvedimento.

Comuni italiani con tassa di soggiorno (valori cumulati)


1.200
1.015 1.033 1.035
1.000 898 905 920

800
677

600 512
410
400

200
31
-
2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020

Fonte: Analisi desk Isnart e dati Istat

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2.1 INDICI DI TURISTICITÀ

I 1.035 comuni interessati rappresentavano nel 2020 il 13% dei comuni italiani e registravano
complessivamente circa 340 milioni di presenze, pari al 77% delle presenze totali del nostro paese.
Sotto il profilo demografico, nel 70% dei casi l’imposta di soggiorno viene applicata in comuni con
popolazione inferiore ai 10 mila abitanti mentre i centri urbani con popolazione superiore ai 50
mila abitanti (92) rappresentano il 9% circa del totale ma assorbono il 72% della popolazione.

Fonte: Analisi desk Isnart e dati Istat

Il Trentino Alto Adige, dove per legge sono considerati ammissibili all’imposta tutti comuni, è anche
la regione in cui tale imposta è applicata nella maniera più estesa con 291 comuni, seguito da
Toscana (125), Piemonte (114) e Lombardia (77). Tale distribuzione segue solo in parte quella della
turisticità (misurata attraverso un indicatore che rapporta il numero di presenze turistiche alla
popolazione).

Fonte: Analisi desk Isnart e dati Istat

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Inoltre, la quota dei comuni che applicano l’imposta varia significativamente da regione a regione e
ricalca a grandi linee l’entità e la diffusione sul territorio dei siti di interesse turistico. In generale,
l’utilizzo di questo strumento fiscale appare più frequente nel Centro Nord: la quota di Comuni che
applicano l’imposta si collocava intorno al 16% e rappresentava oltre l’89% delle presenze
turistiche dell’area, a fronte di valori pari, rispettivamente, all’8% e al 59% nell’area meridionale.

Fonte: Analisi desk Isnart e dati Istat

D’altra parte, all’interno di ciascuna macro area esiste una grande eterogeneità nel ricorso a questo
tributo. Da un lato, le province autonome di Trento e di Bolzano e la Valle d’Aosta, relativamente
poco popolate ma caratterizzate da un’elevata incidenza dei flussi turistici sui residenti e da
un’offerta ricettiva diffusa sul territorio, in cui lo strumento è ampiamente diffuso ed utilizzato.
Considerata la rilevanza del turismo per l’economia trentina e la previsione statutaria delle due
province autonome di poter istituire imposte sul turismo, in questi territori l’imposta di soggiorno
è infatti applicata in tutti i comuni. In Valle d’Aosta, come nelle altre regioni italiane, la materia è
riservata all’iniziativa dei comuni, il 78% dei quali ha comunque deciso di applicare l’imposta.
All’estremo opposto, tra le regioni con la minore incidenza di tassazione spiccano Sardegna e
Campania ma anche Abruzzo e Calabria, dove molte delle principali località turistiche non applicano
il tributo.
Dopo Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, la prima grande regione per diffusione del tributo è la
Toscana (46% degli enti) che associa massicci flussi turistici in termini assoluti (nel 2019 era la
terza regione per presenze dopo Veneto e Trentino) ad un altrettanto diffuso patrimonio culturale
e naturalistico distribuito omogeneamente sul territorio. Il ruolo della concentrazione del
patrimonio si rende evidente confrontando, ad esempio, la Toscana con il Lazio e il Veneto. In queste
due ultime regioni, data la forte concentrazione dei luoghi di interesse turistico e quindi dei flussi
nei comuni capoluogo, l’imposta copre una percentuale di presenze superiore rispetto alla Toscana
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(rispettivamente 95% e 90%) nonostante la quota di comuni interessati sia decisamente minore
(6% nel Lazio e 11% in Veneto).
Nel Mezzogiorno, dove l’imposizione riguarda soprattutto le principali località balneari, le regioni
con il maggior numero di enti interessati sono la Sicilia e la Puglia (intorno al 12% dei comuni).

2.2 L’IMPOSTA DI SOGGIORNO NEI COMUNI CON PIÙ DI 50.000 ABITANTI

Sulla base della ricostruzione effettuata nel 2020, i comuni con più di 50 mila abitanti che
applicavano l’imposta di soggiorno erano 92. Rappresentano il 9% dei comuni ove risulta in vigore
l’imposta ma in termini di popolazione la loro rilevanza è ben maggiore (16,7 milioni di abitanti,
pari al 72% di quella riferibile ai comuni considerati in questa analisi).
Nell’ottica di una possibile classificazione di tali comuni si potrebbe tener conto di almeno due
criteri prevalenti: a) di tipo socio-geografico, che esprime l’interesse turistico della località
prevalentemente sulla base di criteri geografici (comune costiero o in prossimità della costa,
altitudine) e demografico (grandi centri urbani); b) turisticità, definita da una serie di indicatori
statistici che misurano la capacità ricettiva di un comune e l’intensità turistica più direttamente
attribuibile alla quantità e alla tipologia dei i flussi turistici di cui esso è destinatario.
In questo senso, è possibile raggruppare i comuni considerati in diversa forma. Assume in primo
luogo rilievo la categoria dei “grandi centri urbani”, composta da 11 Comuni con oltre 250.000
abitanti e che raccoglie il 53% della popolazione di riferimento, oltre a rappresentare uno degli
insiemi più importanti in termini di flussi turistici (ne fanno parte Bologna, Catania, Firenze,
Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona).
Un secondo insieme potrebbe comprendere i comuni a prevalente interesse turistico di tipo
culturale ed artistico. Possono essere ricompresi in questa categoria 30 comuni distribuiti
prevalentemente nell’Italia centro-settentrionale e in parte residuale nel Mezzogiorno. Si tratta di
un gruppo di comuni con rilevanti caratteri culturali ma anche demografici, vi dimorano infatti 3,2
milioni di persone che rappresentano il 19% circa della popolazione di riferimento. Oltre,
naturalmente, alla loro importanza in termini di pernottamenti turistici 10% delle presenze totali).
Un ulteriore raggruppamento potrebbe delinearsi se al carattere di tipo artistico/culturale si
associasse quello territoriale. Sarebbe così riconoscibile un terzo gruppo di 33 comuni in cui
vocazione culturale e balneare si combinano in un favorevole equilibrio. Anche in questo caso si
tratta di un gruppo rilevante sia demograficamente (18% della popolazione di riferimento) sia sotto
il profilo turistico (20% delle presenze dei comuni di riferimento).
Viene, infine, individuato un quarto gruppo di 18 comuni con attributi variegati ma senza un profilo
turistico rigidamente caratterizzato: tra questi si trovano comuni caratterizzati da un diffuso
interesse balneare (Nettuno, Pomezia, Mazara del Vallo), a anche località dove si intrecciano
interessi culturali e naturalistici (Messina, Perugia, Viareggio, Viterbo).
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In base ai più recenti dati disponibili, i flussi turistici registrati da questi comuni ammontano a circa
130 milioni di presenze, pari al 30% delle presenze complessivamente registrate in Italia da parte
di strutture ufficiali ed al 38% di quelle riferibili ai comuni in cui l’imposta è applicata. Le regioni in
cui è presente il maggior numero di comuni con queste caratteristiche demografiche sono Emilia
Romagna (11), Sicilia (11), Toscana (11) e Lombardia (10).
Nei comuni considerati è collocato, in termini di letti, il 22% della capacità di accoglienza del paese
ma il 30% delle presenze turistiche, con una rilevanza della componente estera superiore a quella
media nazionale (58% a fronte del 51%).

Fonte: Analisi desk Isnart e dati Istat

La capacità ricettività dei 92 comuni considerati (misurata dal rapporto percentuale tra letti e
popolazione residente) è pari in media a 6,4 letti ogni cento abitanti. 25 comuni si collocano
nettamente al di sopra di questo livello (a Rimini, Massa, Venezia, Viareggio, Grosseto e Ravenna si
raggiungono valori particolarmente elevati, superiori ai 20 letti ogni cento residenti) ma, di fatto,
nel solo caso di Venezia l’offerta disponibile viene occupata in maniera apprezzabile. Gli altri grandi
poli del turismo italiano (Firenze, Milano, Napoli, Roma) mostrano un maggiore equilibrio tra
capacità di accoglienza ed effettivo assorbimento dei flussi turistici (eccetto Firenze che, a fronte di
una disponibilità di letti sostanzialmente in linea con la media nazionale, mostra una superiore
capacità di accoglienza, con tassi di occupazione piuttosto elevati).
La capacità ricettiva si distribuisce, in media, in maniera leggermente favorevole alle strutture
alberghiere (52% dei letti complessivamente messi a disposizione nell’insieme dei comuni
considerati) sebbene sia necessario evidenziare rilevanti differenziazioni per tipologia di località:
in molte destinazioni balneari la quota di ricettività extralberghiera supera abbondantemente il
60% del totale (in alcuni comuni laziali e toscani si colloca tra il 79% ed il 90% del totale).

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D’altra parte, alla ricettività ufficiale registrata dalle regioni deve oggi essere aggiunta quella degli
appartamenti e delle stanze private offerte nel cosiddetto “mercato alternativo”.
Complessivamente, nei comuni con più di 50 mila abitanti si registra la presenza di oltre 263 mila
abitazioni destinate al cosiddetto affitto breve (circa la metà di quelle complessivamente presenti
nel paese): se, in valore assoluto, la graduatoria dei cosiddetti affitti brevi è dominata dai principali
poli turistici nazionali (Roma, Milano, Firenze, Venezia, Napoli) quando la si considera in termini
relativi, per esempio rapportando il numero delle abitazioni ai residenti, lo scenario muta
considerevolmente: Venezia e Firenze, con circa 6 abitazioni ogni cento abitanti, continuano a
collocarsi ai primi posti ma sono seguite a stretto giro da diversi comuni siciliani (Siracusa, Ragusa,
Agrigento, Modica) e toscani (Lucca, Siena, Viareggio) con, in media, 4,5 abitazioni ogni cento
residenti.

Fonte: Analisi desk Isnart e dati Istat

Altro aspetto da evidenziare è il rilevante ruolo del turismo internazionale: in media, nei 92 comuni
considerati la quota di presenze straniere è pari al 58% delle presenze totali. Utilizzando un
indicatore di specializzazione2 è possibile rilevare l’importanza relativa del turismo internazionale
per ciascun comune, offrendo una misura più puntuale dell’effettiva incidenza dei flussi
internazionali in quanto si considera la situazione di ogni località non in assoluto ma con
riferimento a quella media delle destinazioni considerate: in questo senso, valori dell’indicatore
particolarmente elevati sono registrati a Venezia, Como, Firenze, La Spezia, Fiumicino, Roma e
Bergamo, dove probabilmente gioca un ruolo rilevante, oltre alla attrattività turistica della località
in quanto tale, la presenza di importanti punti di accesso al paese (porti ed aeroporti) sovente in
aree del paese a forte caratterizzazione imprenditoriale.

2 Nelle tabelle in appendice e nei grafici l’indicatore di specializzazione utilizzato è costruito rapportando il peso delle presenze straniere
all’interno di ciascun comune al peso delle presenze straniere nell’insieme dei comuni considerati. Valori maggiori di 1 indicano che un comune
è relativamente specializzato nel turismo internazionale.
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Nel grafico l’intensità del turismo internazionale è stata messa in confronto con la durata media
della vacanza nelle diverse località.

Fonte: Analisi desk Isnart e dati Istat

Tra le due caratteristiche osservate si osserva una relazione sostanzialmente inversa: all’aumentare
del ruolo dei flussi internazionali la permanenza media tende ad assottigliarsi. Nei comuni
considerati la durata media della vacanza è di 2,6 giorni, in cui è riconoscibile l’effetto della presenza
di numerose località destinatarie, in generale, di turismo culturale ed artistico, tipicamente città di
medie dimensioni visitabili nell’arco di due giornate, che possono localizzarsi sia lungo la linea
costiera che nelle aree più interne del paese.
La permanenza media, data dal rapporto tra presenze ed arrivi, tende d’altra parte a crescere nelle
località costiere la cui vocazione culturale è meno pronunciata e che sono invece destinatarie di un
turismo prettamente balneare ed estivo.

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2.3 L’IMPOSTA DI SOGGIORNO IN BASE ALLE CARATTERISTICHE DEI COMUNI ITALIANI

Il presente lavoro si basa sulle informazioni disponibili al 2020 circa la raccolta e l’applicazione
dell’imposta di soggiorno nei comuni italiani ed ha lo scopo di mettere in evidenzia il rapporto tra
la sua diffusione sul territorio nazionale, alcune caratteristiche turistiche dei comuni e le diverse
forme di impiego dei proventi da parte delle amministrazioni.
A questo proposito, tramite un’accurata ricerca normativa, è stata ricostruita, la platea dei Comuni
con capacità di imposizione del tributo. I comuni dove viene applicata tale imposta sono, in base ai
dati disponibili al 2020, 1.035 su un totale di 7.916.
I comuni interessati sono stati raggruppati sulla base di 3 dimensioni: 1. Caratteristiche turistiche;
2. Dimensione demografica; 3. Movimento turistico. Con riferimento a ciascuna di queste
dimensioni sono state calcolate le medie dei valori disponibili dell’imposta di soggiorno (risultanti
dalla media dei valori applicati nelle strutture alberghiere e di quelle extralberghiere). Un ulteriore
focus è stato realizzato sugli hotel a 3 stelle, considerando tale tipologia di struttura ricettiva
mediamente presente in tutti i comuni con imposta e destinataria di una rilevante quota di flussi
turistici.

Sotto il profilo delle caratteristiche turistiche i comuni italiani sono stati classificati nel modo
seguente:

1. Grandi città con vocazioni turistiche molteplici (comuni con più di 250 mila abitanti e con
un’offerta turistica variegata);
2. Altri comuni con più vocazioni turistiche (comuni con un’offerta turistica variegata ma con
meno di 250 mila abitanti);
3. Comuni con prevalente turismo culturale (comuni di interesse prevalentemente culturale);
4. Comuni con prevalente turismo balneare;
5. Comuni con prevalente turismo lacuale;
6. Comuni con prevalente turismo termale;
7. Comuni con vocazione marittima e culturale (comuni situati sul mare ma con un’offerta
turistica, oltre a quella balneare, di natura culturale, storica, artistica e paesaggistica);
Comuni con vocazione montana e culturale (situati in montagna ma con un’offerta turistica,
oltre a quella montana, di natura culturale, storica, artistica e paesaggistica);
8. Comuni con scarsa identità turistica (collocati geograficamente lontano dalle zone marittime
o nelle aree pedemontane e appenniniche del Paese, o marginali rispetto all’indice sintetico
di densità turistica oppure ancora dove sono assenti strutture ricettive con relativi flussi
turistici nulli).

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Imposta di soggiorno e caratteristiche turistiche dei comuni

Grandi città. L’imposta di soggiorno che viene applicata nelle grandi città, che corrispondono ai
grandi poli urbani che rappresentano poco più dell’1% dei comuni italiani ma il 26% in termini di
flussi turistici, è in media di 2,6 euro. Il range medio d’imposta oscilla tra un minimo di 1,5 euro e
un massimo di 4,1 euro. Per gli hotel a 3 stelle che sono collocati in questo tipo di città, l’imposta
media applicata è di 2,7 euro.

Altri centri urbani con offerta turistica molteplice. Nelle altre realtà urbane italiane con
dimensioni demografiche inferiori ai 250 mila abitanti, caratterizzate anch’esse da una offerta
turistica varia ed articolata, l’imposta di soggiorno media che viene applicata è di 1,1 euro. Il range
medio di tale imposta oscilla tra un minimo di 0,40 euro e un massimo di 2,2 euro. Negli hotel a 3
stelle si applicano un’imposta di soggiorno media pari a 1,2 euro.

Comuni con prevalente turismo culturale. Rappresentano il 12,4% del totale comuni ed il il 7,0%
del totale presenze turistiche. L’imposta di soggiorno media che viene applicata nei comuni con
questo tipo di profilo turistico è di 1,2 euro. Il range medio dell’imposta oscilla tra un minimo di
0,50 euro e un massimo di 4,0 euro. Gli hotel a 3 stelle applicano un’imposta di soggiorno media
pari a 1,3 euro.

Comuni con turismo balneare. I comuni italiani che sono tipicamente meta di turismo
prevalentemente balneare rappresentano il 12,1% del totale comuni. L’imposta di soggiorno
mediamente applicata nei comuni con prevalente turismo balneare è di 1,2 euro. Il range medio
oscilla tra un minimo di 0,44 euro e un massimo di 3,0 euro. Negli hotel a 3 stelle, l’imposta
ammonta a 1,3 euro in media.

Comuni con turismo lacuale. I comuni con prevalente turismo lacuale rappresentano il 5,4% del
totale comuni con imposta. L’imposta di soggiorno media che viene applicata nei comuni con
prevalente turismo lacuale è di 1,1 euro. Il range medio di tale imposta oscilla tra un minimo di 0,50
euro e un massimo di 2,0 euro. Gli hotel a 3 stelle applicano un’imposta di soggiorno media pari a
1,2 euro.

Comuni con turismo montano. I comuni con prevalente turismo montano rappresentano il 15,2%
del totale comuni con imposta ed una quota di presenze turistiche pari al il 4,1% del totale.
L’imposta di soggiorno media che viene applicata è di 0,9 euro. Il range medio di tale imposta oscilla
tra un minimo di 0,50 euro e un massimo di 1,7 euro. Gli hotel a 3 stelle applicano un’imposta di
soggiorno media pari a 0,9 euro.

Comuni con turismo termale. I comuni con prevalente turismo termale rappresentano l’1,6% del
totale comuni con imposta, il tasso più basso dopo le grandi città, con il tasso minimo a livello di
flussi turistici (l’1,3% del totale presenze). L’imposta di soggiorno media che viene applicata nei
comuni con prevalente turismo termale è di 1,0 euro. Il range medio di tale imposta oscilla tra un
minimo di 0,35 euro e un massimo di 1,6 euro. Gli hotel a 3 stelle applicano un’imposta di soggiorno
media pari a 1,3 euro.

Comuni con vocazione marittima e culturale. Rappresentano il 12,5% del totale comuni con
imposta e rappresentano i principali attrattori turistici dopo le grandi città (18,7% del totale
18
presenze). L’imposta di soggiorno media che viene applicata nei comuni con questo profilo turistico
è di 1,7 euro. Il range medio di tale imposta oscilla tra un minimo di 0,40 euro e un massimo di 5
euro. Gli hotel a 3 stelle applicano un’imposta di soggiorno media pari a 1,3 euro.

Comuni con vocazione montana e culturale. Rappresentano il 10,5% del totale comuni con
imposta. L’imposta di soggiorno media che viene applicata nei comuni con vocazione montana e
culturale è di 0,9 euro. Il range medio di tale imposta oscilla tra un minimo di 0,39 euro e un
massimo di 2 euro. Gli hotel a 3 stelle applicano un’imposta di soggiorno media pari a 1,3 euro.

Comuni con scarsa identità turistica. Si tratta della categoria di comuni più diffusa (21,6% dei
comuni con imposta) ma con un basso tasso di densità turistica (il 3,0% delle presenze totali).
L’imposta di soggiorno media che viene applicata in questi comuni è di 1,1 euro. Il range medio di
tale imposta oscilla tra un minimo di 0,40 euro e un massimo di 2,3 euro. Gli hotel a 3 stelle
applicano un’imposta di soggiorno media pari a 1,1 euro.

Imposta di soggiorno e caratteristiche demografiche dei comuni

Comuni con più di 50 mila abitanti. In questi comuni l’imposta di soggiorno media applicata è di
1,1 euro. Il range d’imposta medio oscilla tra un minimo di 0,60 euro e un massimo di 4,1 euro.
L’imposta di soggiorno media applicata dagli hotel a 3 stelle in questi comuni è di 1,2 euro.
Comuni tra i 10 e i 50 mila abitanti. L’imposta di soggiorno media applicata è di 1,1 euro. Il range
d’imposta medio oscilla tra un minimo di 0,40 euro e un massimo di 5,0 euro. L’imposta di soggiorno
media applicata dagli hotel a 3 stelle in questi comuni è di 1,2 euro.
Comuni con meno di 10 mila abitanti. L’imposta di soggiorno media applicata è di 1,1 euro. Il
range d’imposta medio oscilla tra un minimo di 0,35 euro e un massimo di 5,0 euro. L’imposta di
soggiorno media applicata dagli hotel a 3 stelle in questi comuni è di 3,4 euro.

Imposta di soggiorno e densità turistica dei comuni

Comuni con presenze turistiche superiori a 1 milione. In tali comuni l’imposta di soggiorno
media applicata è di 1,1 euro. Il range d’imposta medio oscilla tra un minimo di 0,4 euro e un
massimo di 4,1 euro. L’imposta di soggiorno media applicata dagli hotel a 3 stelle in questi comuni
è di 3,4 euro.
Comuni con presenze tra le 500 mila e 1 milione. L’imposta di soggiorno media applicata è di
1,1 euro. Il range d’imposta medio oscilla tra un minimo di 0,35 euro e un massimo di 5,0 euro.
L’imposta di soggiorno media applicata dagli hotel a 3 stelle in questi comuni è di 3,4 euro.
Comuni con presenze turistiche tra 100 mila e 500 mila. L’imposta di soggiorno media applicata
è di 1,1 euro. L’imposta media più bassa è di 0,35 euro mentre la più alta è 5,0 euro. L’imposta di
soggiorno media applicata dagli hotel a 3 stelle in questi comuni è di 3,4 euro.
19
Comuni con presenze inferiori a 100 mila. L’imposta di soggiorno media applicata è di 1,1 euro.
L’imposta mediamente più bassa è di a 0,39 euro mentre la più alta è di
5,0 euro. L’imposta di soggiorno media applicata dagli hotel a 3 stelle in questi comuni è di 1,2 euro.

Un quadro di sintesi dell’applicazione dell’imposta di soggiorno in base alle caratteristiche


turistiche dei comuni

Tra le grandi città con vocazioni turistiche molteplici i comuni in cui si applica l’imposta di
soggiorno sono la stragrande maggioranza (91,7% del totale comuni con il medesimo profilo
turistico. Tra questi, solo il comune di Bari risulta non avere adottato l’imposta di soggiorno. Anche
tra gli altri comuni italiani con varietà di offerta turistica e tra quelli con vocazione marittima e
culturale l’imposta di soggiorno è piuttosto diffusa, con un grado di copertura superiore al 50%.
Seguono i comuni con vocazione montana e culturale (43,7%). I comuni con vocazione turistica
mono tematica (a prevalenza balneare, montana, lacuale, termale e culturale) i comuni con imposta
di soggiorno rappresentano in media circa un terzo del totale. Infine, il 4% dei comuni con “scarsa
identità turistica” adottano l’imposta di soggiorno.

20
3. BEST PRACTISE SULL’APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA DI SOGGIORNO

Per approfondire il tema dell’utilizzo dell’imposta di soggiorno, sono stati invitati a rilasciare una
intervista i comuni che applicano regolarmente l’imposta. Da una accurata selezione, sono stati
individuati dieci casi studio per capire come viene regolata l’imposta e come vengono utilizzati gli
introiti. Per fare ciò, è stato realizzato un questionario a supporto, al fine di poter confrontare le
risposte dei comuni selezionati.

I comuni che hanno aderito alle interviste sono tutti capoluoghi di provincia ad eccezione di Sellia
Marina (CZ), che pur avendo una popolazione solo di 8.000 abitanti ha suscitato il nostro interesse
in quanto presenta quelle caratteristiche tipiche del comune stagionale, che in estate quintuplica la
sua popolazione e deve sostenere costi per servizi, ben oltre le loro normali capacità. In questo caso,
comunque abbiamo scoperto che gli introiti da imposta di soggiorno non sono sufficienti e
attingono ad altre risorse.

Spesso i piccoli Enti, come in questo caso, non prevedono il pagamento dell’imposta di soggiorno
da parte dei turisti che optano per l’extralberghiero e gli affitti brevi.

In alcuni comuni, tra quelli intervistati, sono stati attivati tavoli tecnici del turismo (es. Savona,
Padova) che hanno tra i loro obiettivi anche quello di occuparsi dell’impiego delle risorse
provenienti dall’imposta di soggiorno.

In alcuni casi, gli introiti vengono destinati alla costituzione di strutture organizzate per gestire
strategicamente il territorio, come ad esempio le DMO (es. Milano, Bologna, Bergamo), ma ciò si
registra ancora solo in pochi casi.

I testimoni privilegiati dei comuni intervistati, hanno applicano l’imposta di soggiorno in tempi
diversi, Sassari ad esempio solo dal 2018, Viterbo nel 2017, Siracusa 2013, Bologna 2012, mentre
Bergamo e Firenze sono tra i comuni pionieri ad avere applicato l’imposta già a partire dal 2011.

Non tutti applicano l’imposta di soggiorno all’extralberghiero (es. Sassari), altri invece si sono
organizzati per farlo (es. Viterbo), anche con accordi specifici con società come Airbnb (es.
Bergamo). Infatti, a fronte del successo delle piattaforme online che facilitano l’incontro tra
domanda e offerta di alloggi privati, è aumentato il numero delle amministrazioni comunali che
intendono assoggettare all’imposta anche questo tipo di pernottamento. La medesima legge che ha
sbloccato l’imposta di soggiorno è intervenuta su questo punto, stabilendo la responsabilità della
riscossione del tributo da parte dei soggetti che intervengono nel pagamento dei corrispettivi delle
locazioni turistiche. Ciò facilita l’incasso da parte dei Comuni delle somme dovute, anche se viene
fatto in maniera forfettaria e non per singola struttura.

21
In generale gli introiti ricadono sotto l’assessorato alla cultura, che in funzione delle dimensioni
del comune le utilizza a supporto sostanziale (es. Milano), o a copertura di quota parte del bilancio
(es. Viterbo).

Ogni referente intervistato ha elencato i capitoli di spesa e/o le attività perle quali vengono
impiegati gli introiti dell’imposta di soggiorno. Tra le voci principali troviamo:

- Comunicazione (tradizionale e digitale)


- Decoro Urbano (no Milano)
- Piste ciclabili (Padova)
- Trasporti (no Milano e Bergamo)
- Interventi strutturali per musei
- Creazione di poli museali (Viterbo)
- Mutui per sviluppo delle terme (Viterbo)
- Eventi e manifestazioni
- Card (Bologna, Padova)
- Candidatura Unesco (Padova)

Buona parte degli intervistati ha dichiarato che i “ristori”, per il mancato introito dell’imposta di
soggiorno causato dalla pandemia, è stato sufficientemente colmato, in una misura prossima al
70%, tanto che le attività previste per l’anno a seguire sono state messe in bilancio per la loro
realizzazione.

L’avvento della pandemia ha spinto solo un numero esiguo dei comuni intervistati a sospendere
l’imposta di soggiorno e l’unico provvedimento preso è stato quello di rinviarne il versamento.
Tra le buone pratiche rilevate si segnala quella adottata dal territorio della provincia di Savona.
L’ente locale ha dichiarato tutti i comuni “turistici”. Questo ha permesso di applicare l’imposta di
soggiorno in maniera uniforme, evitando lo spiacevole effetto dumping che si verifica quanto
l’imposta è applicata a macchia di leopardo. Una vera e propria innovazione introdotta in questa
provincia è stata quella di coinvolgere tutti gli albergatori e farli diventare da “sostituti d’imposta”
a partecipanti attivi nelle decisioni per lo sviluppo del prodotto turistico, una soluzione che vede i
comuni protagonisti nelle decisioni della spesa per il 40% e le associazioni di categoria per il
restante 60%. Questa iniziativa è stata identificata come “Patto del Turismo”, ed è stato condivisa
su scala regionale, anche se al momento le altre province non hanno portato avanti alcuna iniziativa
estesa alle associazioni.

22
D’altra parte, solo una minoranza dei comuni intervistati ha dichiarato di aver sviluppato un
sistema per raccogliere recensioni sul territorio, fanno eccezione Firenze e Padova che lo fanno
tramite i loro punti informativi.

3.1 QUALE È IL RITORNO PER IL TURISTA

Secondo i principi di tassazione ottimale, l’imposizione locale dovrebbe avere prevalentemente una
destinazione vincolata a specifici capitoli di spesa. Dal punto di vista normativo questo principio è
rispettato per l’imposta di soggiorno dei comuni italiani poiché essa è destinata a finanziare
interventi in materia di turismo e principalmente spese correnti, come quelle connesse con l’arredo
urbano, il trasporto pubblico locale e l’organizzazione di eventi culturali.
Dalla quasi totalità delle interviste non emerge una strategia di comunicazione al pubblico di quelle
che sono le iniziative realizzate con gli introiti dell’imposta di soggiorno, anche se questo tipo di
comunicazione potrebbe essere uno strumento utile per informare sia i turisti che i cittadini. Come
caso virtuoso riportiamo l’esempio del Sindaco di Siracusa che all’inaugurazione dell’Antico
Mercato di Ortigia ha fatto scrivere a chiare lettere che quel servizio è stato reso possibile grazie
all’imposta di soggiorno.

Targa con esplicito riferimento a come viene utilizzata l’imposta si soggiorno

23
Anche la città di Firenze ha creato un apposito progetto “Thank You” per rendere partecipe il
turista della gestione e manutenzione della città:

“Firenze ti ringrazia! Con l’imposta di soggiorno che versi con il tuo pernottamento, la città di
Firenze si prende cura e sostiene l'accoglienza turistica, il trasporto pubblico locale, la
manutenzione delle strade e del verde pubblico, gli enti culturali quali musei, teatri e tanto altro
ancora. Con questo tuo contributo, dunque, permetti che Firenze investa per tutelare il suo
patrimonio affinché possa restare un tesoro da scoprire per te e per le generazioni future!”

24
4. CONCLUSIONI

Nel presente lavoro si è analizzata l’imposta di soggiorno con riferimento all’anno 2020.
L’imposta di soggiorno ha raggiunto negli ultimi anni una discreta diffusione tra i comuni italiani
soprattutto tra i comuni con maggiore vocazione turistica.
Nelle città di Roma, Milano, Firenze e Venezia si concentra oltre la metà degli incassi, non solo per
l’entità dei flussi turistici di questi luoghi e per l’ampia presenza di strutture a 4 e 5 stelle ma, anche,
per la capacità degli enti di siglare accordi con i grandi portali di intermediazione (es. Airbnb) e
riuscire a recuperare una notevole fetta di introiti dall’extralberghiero.
I comuni ritengono l’introito da imposta di soggiorno essenziale per la pianificazione di progetti
precedentemente impensabili a causa dell’assenza di risorse.
TARIFFE ETEROGENEE: Dall’analisi effettuata si registrano tariffe differenti sul territorio
nazionale. Questo genera spesso confusione nel consumatore che deve approfondire con propri
mezzi il reale importo applicato al pernotto. Situazione molto simile va riportata anche quando
l’imposta è calcolata come percentuale del costo dell’alloggio e in relazione al numero dei
pernottamenti.
EFFETTO DUMPING: Dalla mappatura effettuata emerge, spesso, che i comuni limitrofi non
applicano l’imposta di soggiorno ma ciò non fa registrare una contrazione delle presenze nei
comuni in cui viene applicata.
COMUNICAZIONE: In termini di comunicazione, si evince però che la maggior parte dei comuni non
evidenzia a sufficienza le finalità cui vene destinato l’introito da imposta di soggiorno. Da questo
punto di vista è emerso che, lavorando sulla messa in rilievo delle realizzazioni connesse all’uso dei
proventi dell’imposta, si potrebbe, da un lato, suscitare e consolidare un sentimento positivo verso
il contributo da parte dei turisti e, dall’altro, innescare un più spiccato senso di accoglienza verso i
turisti stessi da parte della comunità ospitante.
TAVOLI TECNICI: Il ricorso a tavoli tecnici in cui concertare l’utilizzo dell’introito dell’imposta di
soggiorno è ancora molto ridotto, pertanto si registra un certo scollamento tra gli operatori che
riscuotono l’imposta ed il decisore pubblico.

25
PER UNIONCAMERE

SEZIONE B: IL MONITORAGGIO DEI PREZZI

DELIVERY

RELAZIONE ISNART
ATTIVITA’ 2021

Ottobre 2021

26
SEZIONE B: IL MONITORAGGIO DEI PREZZI DELIVERY

EXECUTIVE SUMMERY

Il presente lavoro si focalizza sull’analisi del settore della ristorazione e le nuove modalità di
fruizione da parte della clientela, indirizzate sempre più verso il servizio di delivery.

Uno degli obiettivi al centro di questo lavoro è stato quello di indagare quale è l’effettivo costo
sostenuto dai consumatori. Per realizzare ciò sono state realizzate varie attività, tra cui interviste a
società di delivery e la somministrazione di questionari ai ristoratori, presenti su tutto il territorio
nazionale.

Nel primo capitolo viene presentata una accurata analisi sul settore della ristorazione, per categorie
e regioni, relativa all’anno 2020, con particolari dettagli sui 147 comuni che presentano una
popolazione maggiore di 50mila abitanti.

Nel secondo capitolo viene fatto un elenco dei principali portali di delivery presenti in Italia, per
copertura geografica e di popolazione. Il reperimento di molte di queste informazioni è stato
possibile con le interviste dirette alle quattro principali società di delivery.

Nel terzo capitolo, infine, si parla dell’impatto che il servizio di delivery ha sortito tra le imprese di
ristorazione e la ricaduta sul consumatore.

27
1. ANALISI SUL SETTORE DELLA RISTORAZIONE

In Italia il settore dei consumi alimentari fuori casa, secondo Fipe, rappresenta oggi il 36% della
spesa alimentare totale con un valore aggiunto di 43,2 miliardi di euro.

Il mercato della ristorazione italiana è il secondo più grande in Europa (dopo quello spagnolo) e
nell’ambito dei consumi domestici di cibi e bevande si sta registrando una crescita costante del food
delivery, con una notevole accelerazione dovuta alla pandemia.

Le imprese di ristorazione registrate e gli addetti in Italia

Codice Addetti Addetti Addetti


Ateco Registrate fam. sub. tot.

Attività dei servizi di ristorazione 56 4.122 1.901 7.279 9.180

Ristoranti e attività di ristorazione mobile 561 4.834 5.582 8.730 14.312

Ristorazione con somministrazione 56101 195 63 532 595

Ristorazione con somministrazione 561011 149.891 143.310 565.312 708.622

Attività di ristorazione connesse alle aziende


agricole 561012 982 605 1.458 2.063

Ristorazione senza somministrazione con


preparazione di cibi da asporto 56102 40.590 41.274 67.110 108.384

Gelaterie e pasticcerie 56103 20.285 24.596 48.035 72.631

Ristorazione ambulante e gelaterie ambulanti 56104 63 62 36 98

Gelaterie e pasticcerie ambulanti 561041 192 173 118 291

Ristorazione ambulante 561042 3.151 2.887 1.846 4.733

Ristorazione su treni e navi 56105 25 7 146 153

Fornitura di pasti preparati (catering) e altri


servizi di ristorazione 562 93 45 2.150 2.195

Fornitura di pasti preparati (catering per eventi) 5621 1.785 1.137 8.707 9.844

Mense e catering continuativo su base


contrattuale 5629 5 4 35 39

Mense 56291 1.553 823 56.136 56.959

Catering continuativo su base contrattuale 56292 676 372 35.043 35.415

28
Bar e altri esercizi simili senza cucina 563 168.876 177.686 303.170 480.856

Totale 397.318 400.527 1.105.843 1.506.370

Fonte: Registro delle imprese - Infocamere 3 trimestre 2020

A dicembre 2020 negli archivi delle Camere di Commercio italiane risultano attive 340.564 imprese
e 449.840 unità locali appartenenti al codice di attività 56 con il quale vengono classificati nel loro
complesso i servizi di ristorazione.

Unità locali delle attività di ristorazione in Italia (valori


assoluti)

400.000

300.000
200.000

100.000

-
Ristoranti Mense e Bar Totale
catering

2015 2020

Fonte: Registro Imprese - Infocamere 2020

All’interno del macro comparto possono essere distinte le attività di vera e propria ristorazione3
(254 mila unità pari al 56% del totale) che comprende, oltre ai ristoranti (39% del totale), i bar
(41%), le attività di preparazione dei cibi da asporto (10%), gelaterie e pasticcerie (5%). Accanto
alle principali vi sono imprese che si occupano della fornitura di pasti preparati come mense e
catering (poco più del 2% complessivamente) e, infine, la più o meno variegata platea della
ristorazione ambulante. Tra il 2015 ed il 2020 la filiera turistica nel suo complesso ha mostrato una
evoluzione favorevole (+ 9%) risultato della dinamica positiva di quasi tutti i comparti ad eccezione
di “gelaterie e pasticcerie”, il cui ammontare è rimasto sostanzialmente invariato nel periodo
considerato, e dei “bar” che hanno subito un leggerissimo calo.

3 Si tratta delle attività classificate con il codice Ateco 56.1.

29
Unità locali dei comparti della ristorazione in Italia
(composizione %) Ristorazione az. Prepazione cibi da
Ristoranti agricole asporto
39% 1% 10%
Gelaterie e
pasticcerie
5%
Catering
1%
Mense
2%

Ristorazione e
gelaterie ambulanti
Bar
1%
41%

Fonte: Registro Imprese-Infocamere

La Lombardia è la prima regione per presenza di imprese turistiche con una quota sul totale pari al
15%, seguita da Lazio (11%) e Campania (10%). La diffusione delle imprese, come noto, dipende
più da variabili demografiche (la popolazione residente) che da variabili economiche (reddito,
consumi, propensione al consumo, ecc.). Ciò non significa, tuttavia, che sull’insediamento delle
imprese non influiscano anche variabili di carattere economico.

Unità locali delle attività di ristorazione per regione 2020

LOMBARDIA
LAZIO
CAMPANIA
VENETO
E. ROMAGNA
TOSCANA
PIEMONTE
SICILIA
PUGLIA
LIGURIA
SARDEGNA
CALABRIA
ABRUZZO
MARCHE
F.V. GIULIA
T.A. ADIGE
UMBRIA
BASILICATA
MOLISE
V. D'AOSTA

0 2 4 6 8 10 12 14 16

Fonte: Registro Imprese - Infocamere 2020

30
Le unità locali di ristorazione in Italia per natura
giuridica
50
40
30
20
10
0
Società di Società di Imprese Altre forme
capitale persone individuali

2015 2020

Fonte: Registro Imprese-Infocamere

Le imprese individuali attive nel turismo sono, ad oggi, 188 mila e rappresentano il 42% del totale.
Tale forma giuridica risulta prevalente nelle regioni del Mezzogiorno, dove talvolta si supera il
70% del numero complessivo delle imprese attive. Le società di persone sono più diffuse nelle
aree settentrionali del Paese, anche se la scelta di questa forma giuridica ha incontrato sempre
meno favori negli anni recenti: nel 2020 ammontano a poco più di 122 mila con un calo di circa 16
mila unità rispetto a cinque anni prima. D’altra parte, è probabilmente da accogliere con favore la
forte espansione delle società di capitale (+56% rispetto al 2015) che ha portato a quasi 130 mila
il numero delle imprese che hanno assunto questa forma giuridica, come effetto di un processo di
strutturazione del settore che potrebbe offrire più stabilità al tessuto imprenditoriale anche sotto
il profilo occupazionale.

Restringendo il campo alle attività di vera e propria ristorazione con somministrazione (imprese
registrate con il codice di attività 56.1 che comprende i ristoranti e le attività di ristorazione
mobile) tale comparto risulta costituito, alla fine del 2020, da 170.462 unità locali attive (196.000
le unità locali registrate, 30 mila in più rispetto al 2015). La distribuzione territoriale vede ancora
Lombardia, Lazio e Campania al vertice della graduatoria (le tre regioni assorbono oltre due terzi
dell’offerta ristorativa nazionale). Seguono poi Toscana, Veneto e Piemonte con quote inferiori.

31
Ristoranti per regione 2020 (quote % sul totale)

LOMBARDIA
LAZIO
CAMPANIA
TOSCANA
VENETO
PIEMONTE
SICILIA
E. ROMAGNA
PUGLIA
LIGURIA
CALABRIA
SARDEGNA
ABRUZZO
MARCHE
F.V. GIULIA
T.A. ADIGE
UMBRIA
BASILICATA
MOLISE
V. D'AOSTA

0 2 4 6 8 10 12 14 16

Fonte: registro Imprese-Infocamere

Anche tra i ristoranti la composizione per forma giuridica è molto cambiata negli ultimi anni. Fino
a qualche anno fa le forme prevalenti erano ditte individuali e società di persone (entrambe con
una quota prossima al 35% nel 2015). Negli anni più recenti, tuttavia, mentre le prime hanno
confermato una forte diffusione (sono aumentate di quasi 5 mila unità) le seconde si sono
significativamente contratte. D’altra parte, le società di capitale hanno sperimentato uno sviluppo
considerevole ed oggi rappresentano la forma più diffusa con oltre il 40% del totale delle imprese
registrate. Sotto il profilo territoriale non è possibile individuare un assetto prevalente tra regioni
ma si assiste ad una forte variabilità sia al Nord che al Sud.

Unità locali di ristorazione in Italia per forma giuridica (%


sul totale)
50

40

30

20

10

0
Società di capitale Società di persone Imprese individuali

2015 2020

Fonte: Registro Imprese-Infocamere

32
È interessante, invece, osservare come in tutte le regioni la quota dei ristoranti in senso stretto
sia sensibilmente inferiore a quella degli altri comparti della ristorazione.

Quota % dei ristoranti sul totale attività di risotorazione


2020

TOSCANA
V. D'AOSTA
ABRUZZO
LAZIO
T. A. ADIGE
LIGURIA
UMBRIA
CALABRIA
PIEMONTE
MARCHE
PUGLIA
F.V. GIULIA
MOLISE
CAMPANIA
SICILIA
VENETO
LOMBARDIA
BASILICATA
E. ROMAGNA
SARDEGNA

0 10 20 30 40 50

Fonte: Registro Imprese-Infocamere

33
1.2 IMPRESE RISTORATIVE NEI COMUNI SOPRA I 50MILA ABITANTI

In Italia al 31 dicembre 2019 i comuni con più di 50 mila abitanti sono 147 con una popolazione
complessiva di poco superiore ai 21 milioni (pari al 35% del totale). Le regioni con il maggior
numeri di comuni con tali caratteristiche demografiche sono la Campania (18 comuni), la Sicilia
(16), poi Puglia e Lombardia con 15.

A fine 2020 in Italia le unità locali della ristorazione registrate nei comuni con più di 50 mila abitanti
sono 80.483 (quelle risultanti attive sono 69.194. A livello regionale la loro distribuzione risente
naturalmente della presenza dei più importanti centri urbani che si trovano nel Lazio (21% del
totale Italia), in Lombardia (14%), in Campania e Toscana (circa 10%). In ciascuna di queste regioni
i centri più importanti assorbono oltre il 40% delle imprese della ristorazione (con un picco di quasi
il 70% nella regione Lazio).

Le unità locali di ristorazione in Italia per regione nei


comuni con popolazione >= 50 mila abitanti

LAZIO
LOMBARDIA
CAMPANIA
TOSCANA
SICILIA
E. ROMAGNA
PIEMONTE
PUGLIA
VENETO
LIGURIA
SARDEGNA
CALABRIA
ABRUZZO
F.V. GIULIA
UMBRIA
MARCHE
T.A. Adige
BASILICATA

0 5 10 15 20 25

Fonte: Registro Imprese-Infocamere

Sotto il profilo della forma giuridica, se nel paese nel suo complesso la presenza di società di capitale
si colloca in media intorno al 40% nei comuni più grandi questa forma d’impresa è molto più diffusa
e raggiunge il 53% in termini di unità locali (Lazio 76%, Campania e Lombardia 68% del totale)
mentre le ditte individuali sono un quarto del totale. La quota di questa tipologia d’impresa
raggiunge il 63% se si considera il numero degli addetti. In diverse regioni (Trentino, Piemonte,

34
Liguria, Marche e Abruzzo) la ristorazione assume diffusamente anche la forma giuridica della
società di persone.

In questi comuni esiste una media di 3,3 ristoranti ogni mille abitanti. La Toscana (media regionale
4,3/1000 ab.) presenta ben quattro comuni in cui tale incidenza è prossima alle 6 unità. Valori molto
elevati, superiori a 6 ristoranti per mille residenti, si incontrano anche in alcune delle principali
località turistiche del paese (Venezia, l’area del napoletano, Caserta) o in alcuni importanti nodi di
accesso e di scambio come Fiumicino, Olbia e Pisa.

Le unità locali di ristorazione con somministrazione per regione nei comuni


con popolazione >= 50 mila abitanti e forma giuridica

ABRUZZO
BASILICATA
CALABRIA
CAMPANIA
EMILIA-ROMAGNA
FRIULI-VENEZIA GIULIA
LAZIO
LIGURIA
LOMBARDIA
MARCHE
PIEMONTE
PUGLIA
SARDEGNA
SICILIA
TOSCANA
Trentino AA
UMBRIA
VENETO

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

SOCIETA' DI CAPITALE SOCIETA' DI PERSONE IMPRESE INDIVIDUALI ALTRE FORME

Fonte: Registro Imprese-Infocamere

35
2. ANALISI DEI PRINCIPALI PORTALI PER IL DELIVERY

I consumatori apprezzano sempre di più le piattaforme on line. Parliamo di infrastrutture digitali


che permettono di poter acquistare direttamente da casa. Il grande successo delle vendite on line è
stato sicuramente alimentato da una parte dalla crescita di internet, nell’ultimo ventennio, dall’altra
dagli stessi rivenditori tradizionali, che hanno visto in questo mezzo un modo per diversificare la
propria offerta. Infatti, gli operatori del food, già da alcuni anni, osservando una propensione del
mercato verso la saturazione, hanno ritenuto valido diversificare la propria offerta, arricchendola
con nuovi servizi come quello della consegna a domicilio. L’emergenza sanitaria ha dato poi al
fenomeno una accelerazione.

Deliveroo, JustEat Take Away, Glovo, Uber Eats. Questi sono alcuni dei principali nomi di aziende
che oggi operano in tutto il mondo nel settore del “Online food delivery”. Nascono dalla crescente
necessità dei consumatori di accorciare i tempi da dedicare al pasto, dalle nuove modalità di
consumo e dai ritmi della vita che ci costringono ad essere sempre più frenetici, ma anche
dall’esigenza di non potersi muovere da casa o non poter consumare all’interno dei ristoranti. La
forza di questo modello consiste nella capacità che queste nuove piattaforme digitali hanno nel
soddisfare contemporaneamente sia i clienti che ordinano che i ristoratori, i quali riescono ad
intercettare un bacino di clienti che da soli non sarebbero in grado di raggiungere.

Migliaia di nuove piattaforme online hanno iniziato una corsa al mercato per poter acquisire il
maggior numero di clienti in tutti i paesi del mondo. Si è partiti da semplici marketplace, ossia
piattaforme di ordinazioni online che mettono semplicemente in contatto domanda ed offerta di
cibo a domicilio; per poi passare ad aziende che gestiscono anche la logistica, e finire con imprese
che cercano di fornire un’esperienza ancora più integrata, assumendo il controllo dell’intera filiera
alimentare (supermercati, farmacie, negozi per bambini, etc).

Come previsto dai processi di acquisto di beni di consumo online, le piattaforme prevedono che il
consumatore si debba registrare creando un proprio account, con l’intento di fidelizzarlo e di
indirizzarlo verso un nuovo acquisto. Una volta compiuto l’accesso, il cliente in alcuni casi può
scegliere se ricevere la consegna tramite rider oppure ritirare take-away il prodotto direttamente
al ristorante. Il consumatore indicherà da quale ristorante ordinare e di quali prodotti sarà formata
l’ordinazione. Aiutano la scelta alcuni filtri basati sulla geo-localizzazione del cliente, sul tipo di
cucina, su eventuali allergie e sull’orario di consegna.

Il processo d’acquisto si conclude con il pagamento dell’ordine, nella maggior parte dei casi
attraverso carta di credito o Paypal; in alternativa, se previsto dal servizio, è possibile pagare al

36
corriere in contanti. L’evoluzione del mercato del Food Delivery a livello internazionale è stata
molto rapida. Con la nascita dei primi smartphone e delle App, ordinare è diventato sempre più
semplice. Tutte le aziende dell’Online Food Delivery hanno investito milioni di euro per la
creazione delle proprie App, che permettono ai clienti di poter ordinare quando si vuole, dove si
vuole. Incrementando le occasioni d’uso, il mercato ha ottenuto una visibilità maggiore ed una
grandissima fetta di clienti ha incominciato realmente e percepire la funzionalità e la praticità di
tali servizi.

Possiamo dire che le nuove aziende che fondano la loro intera attività sul web in alcuni casi hanno
permesso ai ristoratori di perfezionare il proprio servizio, dando a loro volta l’opportunità ai
propri clienti di poter ordinare non soltanto telefonicamente ma anche tramite App, velocizzando
così il processo di evasione dell’ordine.

Dal punto di vista tecnico dell’offerta, queste piattaforme hanno come primo punto di forza la
velocità, già a partire dall’ordine sul sito che è possibile effettuare in pochi secondi. Garantiscono la
consegna del cibo ordinato entro un massimo di tempo comunicato in maniera chiara. Questo è
possibile grazie ai driver dedicati, suddivisi nelle sub zone della città.

Un secondo punto di forza è sicuramente la geo-localizzazione, che permette al cliente di controllare


in tempo reale lo stato dell’ordine effettuato fino alla consegna dello stesso, poiché il corriere in
servizio è connesso all’applicazione mobile che ne segue gli spostamenti.

Altro punto di forza è, poi, la facilità di pagamento, che avviene attraverso carta di credito o PayPal,
con la possibilità di registrazione dei propri dati per facilitare eventuali futuri pagamenti.

Non bisogna però focalizzare l’attenzione solo sulla semplificazione e sulla rapidità, perché ci si
affida a queste piattaforme di food delivery sia per i vantaggi che ne derivano, sia per il piacere che
scaturisce da un’offerta alimentare in continua evoluzione, iniziata in primis da una proposta mass
market (come hamburger, pizza, cucina internazionale e etnica) ed evolutasi nel tempo anche verso
proposte enogastronomiche italiane di maggiore qualità, con ricette più idonee anche per il
delivery. Un fenomeno sotto osservazione e particolarmente in crescita è l’ambito del cibo Vegan e
Vegetariano.

Nel mondo le maggiori aziende protagoniste di tale cambiamento sono Glovo, Deliveroo e Uber e
Just Eat Take Away. Sono tutte aziende giovani, ed ormai presenti in quasi tutto il mondo. Queste
aziende ci mostrano come dal 2011 in poi, l’evoluzione tecnologia, e la crisi sanitaria abbiano fatto
evolvere ed accelerare la crescita del settore. Tali aziende possono considerarsi molto flessibili: la

37
struttura aziendale minimale e la costante ricerca verso le novità del mercato risultano essenziali
per potersi sempre adattare alla domanda dei consumatori.

Anche nel nostro paese, quindi, si segue il trend del food delivery, già sdoganato dal precursore Just
Eat Take Away. La piattaforma Just Eat si occupa, a differenza delle tre citate precedentemente, di
mettere principalmente in contatto i clienti e i ristoranti che già dispongono di un servizio di
consegna a domicilio. Ma nell’arco di pochi anni hanno già coperto 25 dei più importanti comuni
italiani con più di 50mila abitanti con il servizio di consegna rider, a dimostrazione che non è più
solo un intermediario tra ristoranti e clienti.

Rispetto ad altri paesi europei come Inghilterra e Germania, il settore del Food Delivery in Italia,
nel 2009, rappresentava solo una piccolissima percentuale degli acquisti online (intorno al’1%), ma
si è poi espanso fortemente negli ultimi anni, raggiungendo oggi un potenziale del 68,5% di
copertura della popolazione italiana.

Il food delivery in Italia ad oggi, conta circa 20.000 ristoranti, rispetto ai 4800 affiliati 5 anni fa, oltre
1.200 comuni serviti, rispetto ai circa 400 comuni del 2016 e 20 regioni. Questi sono solo alcuni dei
numeri del mercato del food delivery in Italia. Questo mercato sta raggiungendo numeri di una certa
consistenza, soprattutto se si pensa che le più “vecchie” di queste società hanno fatto capolino nel
nostro Paese solo 10 anni fa.

Indubbiamente nasce come mercato di nicchia che ha dovuto combattere contro una cultura molto
radicata e tradizionale ma ad oggi continua a registrare trend di crescita.

38
2.1 ANALISI DESK DEI PORTALI DEL FOOD DELIVERY IN ITALIA

Di seguito, vengono elencati i principali siti web e l’elenco delle società specializzate in food delivery
nel nostro paese. Tra i primi quattro, che rappresentano circa l’85% dell’offerta, troviamo Just Eat
Take Away, Glovo, Deliveroo e Uber Eats, caratterizzati dal fatto di avere una buona copertura
nazionale e un servizio attivo, per la maggior parte dei casi, nei comuni con più di 50mila abitanti.
A seguire, rispetto ai pionieri del delivery, troviamo società che stanno acquisendo sempre maggiori
quote di mercato ma non sempre presentano con una buona copertura nazionale:

NOME SOCIETÀ SITO WEB LOGO

Just eat Take Away www.justeattakeaway.com

Deliveroo www.deliveroo.it

Glovo www.glovoapp.com

Uber Eats www.ubereats.com/it

Food Racers www.foodracers.com/it

Moovenda www.moovenda.com

Mymenu www.mymenu.it/

Foodys.it www.foodys.it/

Zushi www.zushi.eu/

Cosaordino www.cosaordino.it/

39
Fooxeat www.fooxeat.com/

Foorban www.foorban.com/

Celero.it www.celero.it

Ordinando.it www.ordinando.it/

Alfonsino www.alfonsino.delivery/

Nel 2020, si è rafforzata la presenza territoriale del servizio delivery con un ulteriore 12% guidata
in primis da Sardegna, Piemonte, Marche ed Emilia-Romagna, con una copertura del 66% della
popolazione italiana.

Nel periodo marzo-aprile 2021 è stato realizzato un approfondimento web per individuare il
numero e la collocazione geografica delle imprese della ristorazione che forniscono servizio di
delivery. La ricerca è stata indirizzata verso le seguenti società: Deliveroo, Just Eat, Uber Eats, Glovo,
Foodracers, Foodys, Moovenda, Cosaordino, Mymenu. La ricerca ha consentito di individuare un
totale di 21.615 ristoranti pari al 13% delle imprese di ristorazione complessivamente attive in
Italia. Di questi, 16.158 sono presenti nei comuni italiani con più di 50 mila abitanti e corrispondono
al 23% dei ristoranti presenti. I comuni italiani in cui il servizio di delivery è più diffuso sono: Roma,
Milano, Napoli, Torino, Bologna e Genova.

40
2.3 BEST PRACTISE SOCIETÀ DI DELIVERY

La maggior parte delle società di delivery sono approdate in Italia intorno al 2015, ad eccezione di
Just Eat che ha anticipato di qualche anno. Le società intervistate sono tutte nate in altri paesi e
possono oramai considerarsi tra i pionieri di questo mercato. Molte micro realtà sono nate a livello
locale ma in una seconda fase sono state inglobate e acquisite proprio da queste big four: Deliveroo,
Just Eat, Glovo, Uber Eats.

Fondamentalmente gli intervistati ci hanno sintetizzato che il modello di business si basa su una
mediazione che vede coinvolti tre soggetti: il ristoratore, il cliente e la società di delivery che
gestisce l’incontro della domanda e dell’offerta e si occupa della consegna effettuata da rider.

Da questo modello si discosta in parte Just Eat, poiché nasce come una mera mediazione diretta tra
ristoratore e cliente, anche se negli ultimi anni anche loro hanno introdotto il servizio rider nelle
grandi città.

Rispetto ad altri paesi, siamo qualche anno indietro sullo sviluppo di questo business, ma gli ultimi
18 mesi di pandemia hanno senz’altro fatto registrare una accelerazione dello sviluppo di questo
servizio, assottigliando il gap con gli altri paesi.

Le principali motivazioni che spingono un cliente ad avvalersi del servizio di delivery sono la varietà
del cibo che può acquistare (cucine etniche, sushi, thai, pokè, pizza, hamburger, italiano), la facilità
di reperibilità, di pagamento, di consegna programmata, la trasparenza dei prezzi, facilmente
riscontrabile dalla fedeltà di chi acquista.

Il mercato di interesse delle società di delivery coinvolge in alcuni casi fino a 20.000 dei potenziali
55.000 esercenti presenti in tutta Italia, presenti in modo più massiccio nelle città con popolazione
maggiore ai 50mila abitanti. Chi è sul territorio è riuscito a coprire in 10 anni il 100% delle città con
popolazione maggiore ai 50mila abitanti, raggiungendo 2 milioni di clienti attivi, pur avendo 4
milioni di download dell’APP.

Come ha dichiarato uno dei nostri intervistati: “le società di delivery nascono per essere “predicatori
di tecnologia” e nel 2020 hanno registrato una notevole riduzione del gap tecnologico tra ristoratori
e clienti.

Le società di delivery, a tal proposito, fanno continui investimenti in device e in affiancamento da


parte dei loro account. L’account ha il compito di suggerisce i migliori prodotti da offrire su quella
determinata piazza in cui opera il ristoratore avvalendosi degli innumerevoli dati in loro possesso,
così da poter trasferire un vantaggio nella rimodulazione del menu e know how tecnologico.

41
Il costo per il cliente, che apparentemente potrebbe sembrare maggiorato rispetto al consumo in
loco, è giustificato dal servizio di delivery, sostenuto in parte dagli stessi ristoratori. Questo costo
non è percepito dal cliente finale come una maggiorazione, in quanto al servizio viene attribuito un
valore aggiunto, e nelle recensioni raccolte dalle società di delivery intervistate non viene mai fatto
riferimento a lamentele per questo tipo di supplemento.

Il costo di consegna varia in funzione della piattaforma e può dipendere dalla distanza e, a volte,
anche dalla priorità attribuita (paga di più chi vuole un servizio più celere). L’accordo con i
ristoratori di norm prevede una commissione che non è fissa ma varia in funzione della distanza,
del numero di ordini e di un contributo per la presenza sulla piattaforma.

Per quanto riguarda i ristoratori, quello che si registra è che i prezzi del menu vengono lasciati
inalterati, perché pur avendo un minor costo per il personale di sala, compensano questo risparmio
con il costo che invece sostengono per la consegna (che ricade in parte anche sul cliente finale).

Il ristoratore non è tenuto a dare una esclusiva e gli accordi tra le due parti sono fatti sulle esigenze
del ristoratore, infatti, non esistono tabelle fisse per calcolare la percentuale di commissione.

Il costo del servizio per il ristoratore si aggira intorno al 15% del prezzo indicato sullo scontrino, se
non vi è servizio rider e può arrivare fino al 35% se invece si avvale del servizio di consegna.

Inizialmente il servizio di food delivery nasce per essere complementare al numero di tavoli
presenti in sala, potendo così puntare ad un aumento del business anche del 20%, ma con
l’emergenza sanitaria è diventato per alcune realtà la via di salvezza per rimanere sul mercato.

Se da una parte sono gli stessi ristoratori che si affidano a piattaforme esterne per la logistica delle
consegne, stanno prendendo sempre più piede i modelli di delivery nella forma full-integrated. Il
full-integrated è un modello adottato da imprese che associano la capacità di preparare i piatti e di
consegnarli a domicilio. Si tratta di ristoranti online che puntano a contendersi un numero di coperti
potenziali non più limitato dallo spazio fisico del ristorante tradizionale. Gestendo una porzione
molto ampia del sistema del valore, controllando tutte le fasi della “meal experience”. Le imprese
che hanno optato per questo modello di delivery possono conseguire margini superiori sia ai
ristoratori tradizionali che alle piattaforme di sola logistica, e offrire prodotti di alta qualità a prezzi
ragionevoli, rendendo il business della ristorazione tradizionale meno competitivo sul mercato.

Alcune società di delivery non si occupano in esclusiva della consegna per la ristorazione ma come
delivery multi categoria, offrendo questo servizio per prodotti di ogni genere, dal supermercato alla
farmacia, anche se un buon 75% è rappresentato dalla consegna di cibo.

Da una indagine promossa da Just Eat, facendo una panoramica a livello nazionale e
sociodemografico, i più attivi nel food delivery si confermano essere i Millennials insieme alla
42
Generazione Z con un totale pari al 55%, che mantengono il primato ordinando soprattutto pizza,
hamburger, sushi e dolci e che tendono a variare di più utilizzando principalmente l’app, così come
gli uomini che ancora una volta risultano essere quelli che ordinano di più a domicilio con un 52%
vs 48% donne. Queste ultime ordinano di più nella fascia 18-34, mentre gli uomini tendiamo a
trovarli di più in quelle che vanno dai 35 anni in su. Tra chi ordina di più, le famiglie si confermano
essere le più alto spendenti, conseguenza anche di nuclei più ampi, mentre gli over 55 tendono a
ordinare sempre dagli stessi ristoranti.

Se guardiamo invece alle categorie che ordinano di più troviamo in primis gli impiegati con il 41%,
seguiti da studenti con il 22%, in calo rispetto al 2019 (30%) in virtù della chiusura di scuole e
università a seguito del lockdown, liberi professionisti con il 7%, operai con il 5%, imprenditori con
il 4% e disoccupati con il 3%. Gli impiegati sono quelli che ordinano più spesso dallo stesso
ristorante, prediligendo l’utilizzo dell’app, mentre i liberi professionisti tendono maggiormente a
variare per provare diverse cucine e sapori. Sono anche quelli che hanno speso di più nell’ultimo
anno 2020, a differenza degli studenti.

43
3. L’IMPATTO DEL DELIVERY NELLE IMPRESE DI RISTORAZIONE E LA RICADUTA SUL
CONSUMATORE

Nel corso del mese di giugno 2021 è stata svolta una indagine alle imprese ristorative nei comuni
con più di 50 mila abitanti. L’indagine telefonica, svolta con un questionario ad hoc, aveva come fine
quello di capire quante imprese ristorative stanno differenziando le strategie di vendita con
ildelivery e l’asporto e conoscere le caratteristiche del servizio (costi, fee etc).

In base alle 2.000 interviste effettuate sono risultati 580 ristoratori che effettuano servizio delivery
in proprio o affidando il servizio a società esterne.

Prima della pandemia i pasti venivano per lo più consumati all’interno del ristorante (86% dei casi)
e per la parte restante all’esterno (di cui il 12% mediante servizio di asporto e 2,5% in delivery).

Nel 2019-2020 e per giugno 2021 come si è distribuito il “consumo” del


vostro servizio ristorativo?
Previsione Giugno
2019 2020
2021
Asporto 45,9 12,75
Delivery 2,5 16,1 4,28
Servizio in ristorante 86,0 38,0 82,97
88,5 100,0 100
% imprese che non hanno lavorato 0,9 29,9 1,65
Fonte: Indagine diretta ai ristoranti- IL NUOVO MODELLO DI RISTORAZIONE: IL
DELIVERY

Dunque, il servizio di food delivery era conosciuto e diffuso già prima della pandemia, soprattutto
nei centri urbani più grandi del Nord Est e del Centro Italia, ma nel 2020 è aumentato di quasi sette
volte rispetto al periodo pre pandemico ed è diventato un’abitudine per gli italiani che hanno scelto
di ricevere direttamente a casa in modo facile, sicuro e veloce, i loro piatti preferiti nonché un
servizio utile anche nel periodo del lockdown. Nel 2020 sia il servizio di asporto che il delivery sono
diventati la parte preponderante del servizio ristorativo, arrivando ad assorbire due terzi
dell’intera attività imprenditoriale. Questi comportamenti di acquisto sono stati confermati in parte
anche nel 2021: i consumi di delivery food si sono attestati intorno al 4% di quelli totali,
configurandosi come una linea di business importante per molte aziende attive nella ristorazione,
mentre l’asporto è ritornato quasi ai livelli del 2019.

44
Ad oggi, il 64% circa delle imprese intervistate dichiara di effettuare servizio di asporto ed il 29%
prevede servizi di food delivery. Di queste ultime, oltre la metà si affida per il servizio di delivery a
società terze ed una quota altrettanto rilevante (43%) lo svolge in proprio; le imprese restanti (6%
del totale) praticano entrambe le forme (parte in proprio parte mediante società esterne). Quasi
l’80% dei ristoratori ha dichiarato l’intenzione di continuare ad utilizzare il servizio di delivery
anche in futuro: questa decisione riguarda in misura particolare le imprese del Nord Italia mentre
scende al 73% per quelle meridionali.

Se effettuate servizio di ASPORTO, lo eseguite voi o vi affidate a società


terze?

Tota l e
Sol o noi 63,7
Non l o fa cci amo 36,3
Totale 100,0
Fonte: Indagine diretta ai ristoranti- IL NUOVO MODELLO DI RISTORAZIONE: IL DELIVERY

Se effettuate servizio di ASPORTO, lo eseguite voi o vi affidate a società


terze?
Solo noi Non lo facciamo Totale
Nord ovest 67,4 32,6 100,0
Nord est 68,0 32,0 100,0
Centro 62,4 37,6 100,0
Sud e isole 59,8 40,2 100,0
Totale 63,7 36,3 100,0
Fonte: Indagine diretta ai ristoranti- IL NUOVO MODELLO DI RISTORAZIONE: IL DELIVERY

Quasi la metà dei ristoratori intervistati ritiene la società di delivery un soggetto col quale ha
stabilito un rapporto esclusivamente di tipo commerciale ed il 30% lo ritiene uno strumento
indispensabile per il proprio business (tale convincimento è più diffuso tra gli imprenditori del
Nord e del Centro Italia). Un quarto degli imprenditori lo ritiene troppo oneroso.

45
Se effettuate servizio di delivery , lo eseguite
voi o vi affidate a società terze
Tota l e
Sol o noi 12,6
Ci a ffidi a mo ad a l tre soci età 14,7
Entra mbe l e cos e (noi e s oci età 1,7
es terne)
Non l o fa cci a mo 71,0
Fonte: Indagine diretta ai ristoranti- IL NUOVO
MODELLO DI RISTORAZIONE: IL DELIVERY

“Just Eat” è l’intermediario più scelto per il servizio di ordinazione e consegna di pasti: hanno un
contratto con quest’ultimo quasi due terzi delle imprese intervistate (in particolare quelle
localizzate nelle regioni dell’Italia centrale). Dopo “Just Eat” i fornitori di servizi di consegna più
utilizzati sono “Deliveroo” e “Glovo”, cui si rivolge il 35% dei ristoratori (diffusi soprattutto tra le
imprese del Nord Italia). Resta in ultimo “Uber Eats” con il 10% del mercato.

Quali dei seguenti servizi di delivery utilizza?


Possibili più risposte
Tota l e
Just eat 61,9

Del i veroo 34,8

Gl ovo 35,4

Ubert ea ts 9,5

1,8
Altro
Bas e: effettua no s ervi zi o a s porto/del i very a ffi dandos i a d a l tre s oci età
328
Fonte: Indagi ne di retta a i ri s tora nti - IL NUOVO MODELLO DI

I principali aspetti che entrano in gioco nei rapporti contrattuali tra ristoratore e società di delivery
riguardano:

- la retribuzione chilometrica della consegna viene indicata dal 38% delle imprese, con un importo
medio di circa 4 euro;

46
- l’applicazione di una tariffa, calcolata in percentuale sullo scontrino, che ammonta in media a circa
1,5 euro con riferimento a ciascun ordine (35% delle imprese), che appare leggermente più elevata
nel Mezzogiorno;

- la partecipazione a promozioni organizzate specificamente in determinati periodi dell’anno o in


occasioni particolari (35% delle imprese).

A questi si aggiungono dei costi fissi come:

- la quota mensile di iscrizione, i cui costi si aggirano in media intorno ai 50 euro mensili, con una
certa variabilità territoriale: sono tendenzialmente più alti al Nord, dove raggiungono i 60 euro,
scendono a 45 euro nel centro fino ai 22 euro per le imprese meridionali).

- il posizionamento dei ristoranti sulla piattaforma il cui costo rilevato è di circa 4 euro mensili;

- i costi di noleggio del dispositivo per raccogliere e gestire gli ordini che ha un costo medio mensile
di circa 18 euro.

I costi sostenuti dall’azienda rappresentano poco più della metà del prezzo che compare sullo
scontrino finale mentre il servizio di delivery incide in media per il 16% (diventa il 17% tra le
imprese del Centro Italia mentre si riduce lievemente per quelle del Nord Est e del Mezzogiorno). Il
costo del coperto si attesta intorno ad 1,5 euro (appare leggermente più alto nelle regioni
settentrionali rispetto al resto del paese).

Le condizioni contrattuali con la società di delivery, quali dei seguenti costi


prevedono?
media euro
% mensile
Indi pendentemente da gl i ordi ni quota di a des i one 7,0 49,8
a l la pi atta forma mensi l e
Vi si bi l i tà i n vetri na 15,9 3,7

Promozi oni 34,5 3,1


Fee i n percentua l e s ul l o scontri no, per ogni ordi ne 34,5 1,5

Costo cons egna l ega to a km di cons egna 37,5 3,7

Nol eggi o del devi ce per gl i ordi ni 25,6 17,9

Al tro 21,0

Nes sun costo 29,0


Bas e: effettua no s ervizi o a s porto/del i very a ffi da ndosi a d a l tre s oci età 328
Fonte: Inda gi ne di retta ai ri s tora nti - IL NUOVO MODELLO DI RISTORAZIONE: IL DELIVERY

47
D’altra parte, il risparmio che il cliente ottiene scegliendo il servizio di asporto è in media di circa il
4% sullo scontrino finale (arriva a superare il 5% per le imprese del Nord). In sintesi, a fronte di un
ipotetico pasto del costo di 10 euro, a seconda della diversa modalità di consumo il prezzo da
sostenere assume i seguenti importi:

- seduti in sala 11,5%


- delivery 11,59%
- asporto 9,6

Tali prezzi appaiono leggermente più elevati nei ristoranti delle regioni settentrionali con
riferimento al consumo in sala. L’86% dei ristoratori non ha effettuato modifiche nei prezzi mentre
il 12% circa ha dichiarato di aver rialzato i prezzi contenuti nel menù.

Al netto del costo dell’asporto, rispetto ai prezzi del menù, c’è


stato un aumento o diminuzione dei prezzi?

Tota le
Ho di mi nui to i prezzi 1,9

Ho a umenta to i prezzi 11,7

I prezzi s ono ri ma s ti i nva ri a ti 86,4

Fonte: Inda gi ne di retta a i ri s tora nti- IL NUOVO MODELLO DI RISTORAZIONE:


IL DELIVERY

Il 57% delle imprese di ristorazione riceve dai gestori del delivery i commenti lasciati dalla
clientela; questa pratica è più diffusa tra le imprese settentrionali. Secondo l’84% dei ristoratori i
commenti non contengono reclami o espressioni critiche di qualche tipo. Nei casi restanti, l’aspetto
che riceve il maggior numero di lamentele riguarda i tempi di consegna, seguito dalla qualità del
cibo e dai costi di consegna.

48
Quali sono i principali motivi di lamentela?
Nord ovest Nord est Centro Sud e isole Totale
Sul ci bo 5,9 14,3 1,6 - 3,8

Sui cos ti di cons egna - - - 4,0 1,1

Sui tempi di consegna 9,8 23,8 6,3 20,0 12,9

Non ci s ono motivi di la mentel a 86,3 71,4 93,8 76,0 84,4

Base: ri cevono da ll e s ocietà di del ivery i 186


commenti che la scia no i cl ienti

Fonte: Inda gine diretta ai ri s tora nti- IL NUOVO MODELLO DI RISTORAZIONE: IL DELIVERY

49
4. CONCLUSIONI

Il digital food delivery ha accelerato la sua crescita durante i mesi della pandemia con un
incremento significativo sia nella domanda che nell’offerta. Sempre più ristoranti integrano il loro
servizio per renderlo parte fondamentale del proprio business (30% circa) e sempre più nuovi
clienti lo vivono come un’abitudine quotidiana e come un servizio utile, e in alcuni casi essenziale.

Il periodo del Covid ha rappresentato un momento cruciale per il digital food delivery che ha
contribuito a cambiare le abitudini sia dei ristoratori che dei consumatori.

DIGITALIZZAZIONE: Si è registrata una importante spinta alla digitalizzazione sia per i ristoratori,
che hanno ridotto il gap tecnologico, grazie al frequente e indispensabile utilizzo dei device per le
comande, che per i consumatori che in modo sempre più crescente hanno fatto ricorso ai pagamenti
digitali per completare l’ordine.

SEMPLIFICAZIONE DELL’OFFERTA: Dalle interviste è emerso che i menu proposti nei portali di
delivery, su indicazioni degli account, sono stati semplificati nel numero di piatti offerti. Questo
sostanzialmente accade per essere più competitivi e rispondere in modo adeguato alla domanda
della zona del proprio raggio di consegna.

PREZZI: Per quanto riguarda, invece, i costi del menu, non si registra una variazione, al ribasso, in
quanto il minor costo sostenuto dal ristoratore per il personale di sala, viene altresì sostenuto per i
costi di consegna.

VALORE DEL SERVIZIO: I consumatori non percepiscono i costi sostenuti per il servizio di deliveri
come una maggiorazione, bensì ne riconoscono il reale valore nel servizio che ricevono. Infatti, le
rare recensioni negative raccolte, non si riferiscono ai costi semmai ai tempi di consegna.

EVOLUZIONE DELLA DOMANDA: Inizialmente ci si rivolgeva al delivery per il consumo di piatti


veloci, come ad esempio fast food, hamburger, pizzerie, ma l’effetto pandemia ha spinto i ristoratori
delle più tipiche o ricercate, che in un primo momento guardavano con scetticismo il fenomeno
della consegna a domicilio, ad andare incontro alle esigenze dei loro clienti, che per il lungo periodo
pandemico non sono potuti andare al ristorante. Questo ha portato alla ri-scoperta del ristorante di
quartiere, rafforzando la loro presenza come offerta e il rapporto con la clientela di zona.

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