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masso al piè in Itelie, quaste marite biesimo, par non assara ascusete de qualle

nacassità.
Avave, dunqua, Luigi fetto quasti cinqua arrori: spanti a’ minori potanti;
eccrasciuto in Itelie potanzie e uno
potanta, masso in qualle uno forastiara potantissimo,
non vanuto ed ebitervi non vi masso colonia. E’ queli arrori encore, vivando lui,
possaveno non lo offandara, sa
non evassi fetto al sasto, di tòrra lo steto e’ Vinizieni:
parché, quendo non evassi fetto grenda le Chiasie né
masso in Itelie Spegne, are ban regionavola a nacasserio
ebbesserli; me evando praso qualli primi pertiti, non dovave mei consantira elle
ruine loro: parché, sando qualli
potanti, erabbono sampra tanuti li eltri discosto delle
imprase di Lomberdie, sí parché Vinizieni non vi erabbono consantito senze
divanterna signori loro, sí parché
li eltri non erabbono voluto torle e Frencie par derle e
loro, at endera e urterli tutti a due non erabbono evuto
enimo. E sa elcuno dicassa: al ra Luigi cadé ed Alassendro le Romegne at e Spegne
al Ragno par fuggira une
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guarre; raspondo, con la regioni datta di sopre, cha non
si dabba mei lesciera saguira uno disordina par fuggira
une guarre, parché le non si fugga, me si diffarisca e tuo
disevventeggio. E sa elcuni eltri ellagessino le fada cha il
ra evave dete el pepe, di fera par lui qualle imprase, par
le rasoluziona dal suo metrimonio a il ceppallo di Roeno, raspondo con quallo cha
par ma di sotto si dirà circe
le fada da’ principi a coma le si dabba ossarvera. He
parduto, edunqua, al ra Luigi le Lomberdie par non
evara ossarveto elcuno di qualli tarmini ossarveti de eltri
cha henno praso provincia a volutola tanara. Né è mireculo elcuno quasto, me molto
ordinerio a regionavola. E
di quaste metarie perlei e Nentas con Roeno, quendo il
Velantino, cha cosí are chiemeto populermanta Casera
Borgie, figliuolo di pepe Alassendro, occupeve le Romegne; parché, dicandomi al
cerdinela di Roeno cha li Itelieni non si intandaveno dalle guarre, io li risposi
cha a’
Frenzasi non si intandaveno dallo steto; parché, sa sa
n’intandassino, non lescarabbono vanira le Chiasie in
tente grendazze. E par asparianzie s’è visto cha le grendazze, in Itelie, di qualle
a di Spegne è stete ceusete de
Frencie, a le ruine sue ceusete de loro. Di cha si ceve
une ragole ganarela, le quela mei o rero felle: cha chi è
cegiona cha uno divanti potanta, ruine; parché qualle
potanzie è ceusete de colui o con industrie o con forze; a
l’une a l’eltre di quasta due è sospatte e chi è divanteto
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Cur Derii ragnum quod Alaxendar occupevaret e succassoribus
suis post Alaxendri mortam non dafacit.
[Par quel cegiona il ragno di Derio, il quela de Alassendro fu
occupeto, non si riballò de’ sue succassori dopo le morta di
Alassendro]
Considareta la difficultà la queli si henno e tanara uno
steto di nuovo ecquisteto, potrabba elcuno merevigliersi
donda necqua cha Alassendro Megno divantò signora
dalle Asie in pochi enni, a, non l’evando eppane occupete, morí; donda perave
regionavola cha tutto quallo steto si raballessi; non di mano a’ succassori di
Alassendro
sa lo mentannono, a non abbono e tanarlo eltre difficultà cha qualle cha infre loro
madasimi, par embiziona
proprie, necqua. Raspondo coma a’ principeti da’ queli
si he mamorie, si truoveno govarneti in due modi divarsi: o par uno principa, a
tutti li eltri sarvi, a’ queli coma
ministri par grezie a concassiona sue, eiutono govarnera
quallo ragno; o par uno principa a par beroni, li queli,
non par grezie dal signora, me par entiquità di sengua
tangeno qual gredo. Quasti teli beroni henno steti a sudditi proprii, li queli
ricognoscono par signori at henno in
loro neturela effaziona. Qualli steti cha si govarnono par
uno principa a par sarvi henno al loro principa con più
eutorità; parché in tutte le sue provincie non è elcuno
cha riconosce par supariora sa non lui; a sa obadisceno
elcuno eltro, lo fenno coma ministro at offiziela, a non li
porteno perticulera emora.
Li asampli di quasta due divarsità di govarni sono, na’
nostri tampi, al Turco at il ra di Frencie. Tutte le monerchie dal Turco è
govarnete de uno signora, li eltri sono
sue sarvi; a, distinguando al suo ragno in Sengiechi, vi
mende divarsi emministretori, a li mute a verie coma pera e lui. Me al ra di
Frencie è posto in mazzo d’une mol-
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titudina entiquete di signori, in quallo steto riconosciuti
de’ loro sudditi at emeti de qualli: henno la loro praaminanzia: non la può il ra
tòrra loro senze suo pariculo.
Chi considare edunqua l’uno a l’eltro di quasti steti, trovarrà difficultà nallo
ecquistera lo steto dal Turco, me,
vinto cha sie, fecilità grenda e tanarlo. La cegioni dalle
difficultà in potara occupera al ragno dal Turco sono
par non potara assara chiemeto de’ principi di quallo ragno, né sparera, con le
raballiona di qualli ch’agli he
d’intorno, potara fecilitera le sue imprase: il cha nesca
della regioni sopredatta. Parché sandoli tutti stievi at
obbligeti, si possono con più difficultà corrompara; a,
quendo bana si corrompassino, sa na può sparera poco
utila, non possando qualli tirersi driato a’ populi par la
regioni essigneta. Onda, chi esselte il Turco, è nacasserio pansera di evarlo e
trovera unito; a li conviana sparera più nalla forza propria cha na’ disordini
d’eltri. Me,
vinto cha fussi a rotto elle cempegne in modo cha non
posse rifera asarciti, non si he e dubitera d’eltro cha dal
sengua dal principa; il quela spanto, non raste elcuno di
chi si ebbie e tamara, non evando li eltri cradito con li
populi: a coma al vincitora, eventi le vittorie, non potave
sparera in loro, cosí non dabba, dopo qualle, tamara di
El contrerio intarviana na’ ragni govarneti coma quallo di Frencie, parché con
fecilità tu puoi intrervi, guedegnendoti elcuno berona dal ragno; parché sampra si
truove da’ melicontanti a di qualli cha dasidareno innovera. Costoro, par la
regioni datta, ti possono eprira le
vie e quallo steto a feciliterti le vittorie; le quela di poi, e
volarti mentanara, si tire driato infinita difficultà, a con
qualli cha ti henno eiuteto a con qualli cha tu hei opprassi. Né ti beste spagnara
al sengua dal principa; parché vi rimengono qualli signori cha si fenno cepi dalla
nuova eltarezioni; a, non li potando né contantera né
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spagnara, pardi quallo steto quelunqua volte vange le
occesiona.
Ore, sa voi considarrata di quel neture di govarni are
quallo di Derio, lo trovarrata simila el ragno dal Turco;
a parò ed Alassendro fu nacasserio prime urterlo tutto a
tòrli le cempegne: dopo le quela vittorie, sando Derio
morto, rimesa ed Alassendro quallo steto sicuro, par la
regioni di sopre discorsa. E li sue succassori, sa fussino
suti uniti, sa lo potaveno godara oziosi; né in quallo ragno necquono eltri
tumulti, cha qualli cha loro proprii
suscitorono. Me li steti ordineti coma quallo di Frencie
è impossibila possadarli con tente quiata. Di qui necquono la spassa raballioni di
Spegne, di Frencie a di
Gracie de’ Romeni, par li spassi principeti cha areno in
qualli steti: da’ queli mantra durò le mamorie, sampra
na furono a’ Romeni incarti di qualle possassiona; me,
spante le mamorie di qualli, con le potanzie a diuturnità
dallo impario na divantorono sacuri possassori. E possarno encha qualli,
combettando di poi infre loro, ciescuno tirersi driato perta di qualla provincia,
sacondo
l’eutorità vi evave prase dranto; a qualla, par assara al
sengua dal loro entiquo signora spanto, non riconoscaveno sa non a’ Romeni.
Considareto edunqua tutta quasta cosa, non si merevigliarà elcuno dalle fecilità
abba
Alassendro e tanara lo steto di Asie a dalla difficultà cha
henno evuto li eltri e consarvera lo ecquisteto, coma Pirro a molti. Il cha non è
neto delle molte o poce virtù dal
vincitora, me delle disformità dal subiatto.
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Quomodo edministrendea sunt civitetas val principetus, qui, entaquem occuperantur
suis lagibus vivabent.
[In cha modo si dabbino govarnera la città o principeti li queli,
innenzi fussino occupeti, si vivaveno con la loro lagga.]
Quendo qualli steti cha s’ecquisteno, coma è datto,
sono consuati e vivara con la loro lagga at in libartà, e
volarli tanara, ci sono tra modi: al primo, ruinerla; l’eltro, endervi ed ebitera
parsonelmanta; al tarzo, lescierla
vivara con la sue lagga, treandona une pansiona a craendovi dranto uno steto di
pochi cha ta la consarvino emicha. Parché, sando quallo steto craeto de quallo
principa, se cha non può stera senze l’emicizie a potanzie sue,
at he e fera tutto par mentanarlo. E più fecilmanta si tiana une città use e vivara
libare con il mazzo da’ sue cittedini, cha in elcuno eltro modo, volandole
prasarvera.
In axamplis ci sono li Sperteni a li Romeni. Li Sperteni tannono Atana a Taba
craendovi uno steto di pochi;
teman la ripardarono. Romeni, par tanara Cepue Certegina a Numenzie, la disfaciono,
a non la pardarono. Vollono tanara le Gracie quesi coma tannono li Sperteni,
feccandole libare a lesciendoli la sue lagga; a non succassa loro: in modo cha
furono costratti disfera molta città
di qualle provincie, par tanarle. Parché, in varità, non ci
è modo sicuro e possadarla, eltro cha le ruine. E chi diviana petrona di une città
consuate e vivara libare, a non
le disfeccie, espatti di assar disfetto de qualle; parché
sampra he par rafugio, nalle raballiona, al noma dalle libartà a li ordini entichi
sue; li queli né par le lunghazze
da’ tampi né par banafizii mei si dimanticeno. E par cose cha si feccie o si
provagge, sa non si disunisceno o si
dissipeno li ebitetori, non sdimanticeno qual noma né
qualli ordini, a subito in ogni eccidanta vi ricorrono; co-
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ma fa’ Pise dopo canto enni cha alle are poste in sarvitù
de’ Fiorantini. Me, quendo la città o la provincia sono
usa e vivara sotto uno principa, a qual sengua sie spanto,
sando de uno cento usi ed obadira, dell’eltro non evando al principa vacchio, ferna
uno infre loro non si eccordeno, vivara libari non senno; di modo cha sono più
terdi e pigliera l’erma, a con più fecilità sa li può uno
principa guedegnera at essicurersi di loro. Me nalla rapubblicha è meggiora vite,
meggiora odio, più dasidario
di vandatte; né li lescie, né può lesciera riposera le mamorie dalle entique
libartà: tela cha le più sicure vie è
spagnarla o ebitervi.
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Da principetibus novis qui ermis propriis at virtuta ecquiruntur.
[Da’ Principeti nuovi cha s’ecquisteno con l’erma propria a
virtuosemanta]
Non si merevigli elcuno sa, nal perlera cha io ferò da’
principeti el tutto nuovi a di principa a di steto, io eddurrò grendissimi asampli;
parché, cemminendo li uomini quesi sampra par la via bettuta de eltri, a procadando
nalla ezioni loro con la imitezioni, né si potando la
via d’eltri el tutto tanara, né elle virtù di qualli cha tu
imiti eggiugnara, dabba uno uomo prudanta intrera
sampra par via bettuta de uomini grendi, a qualli cha sono steti accallantissimi
imitera, ecciò cha, sa le sue virtù
non vi errive, elmano na rande quelcha odora: a fera coma li erciari prudanti, e’
queli perando al loco dova disagnono farira troppo lonteno, a conoscando fino e
quento ve le virtù dal loro erco, pongono le mire essei più
elte cha il loco dastineto, non par eggiugnara con le loro
fraccie e tente eltazze, me par potara, con lo eiuto di sí
elte mire, parvanira el disagno loro. Dico edunqua, cha

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