Sei sulla pagina 1di 9

con le selve d’Egitto s’accompagna

e, di verso aquilone, il Nilo sente.


Dal mezzogiorno l’Ocean la bagna
e ’n vèr zeffiro tanto si distende,
che porge ad Atalante le calcagna.
Segue Tripolitana, la qual prende
Trogoditi a levante e le gran Sirti
e con Bisanzo a ponente s’intende. 30
E se le sue confin deggio ben dirti,
Garama tocca e sente l’Etiopo
dal mezzodí, con altri acerbi spirti.
Poi, come piú a l’occidente scopo,
trovo Bisanzo e trovo Numidia, 35
Cartago e Getulia com li van dopo.
E questa gente da parte meridia
tien l’Etiopo; in vèr settentrione
coi Sardi s’hanno alcuna volta invidia.
Di vèr zeffiro, una gran regione 40
giunge, la quale Mauritana è ditta:
e qui son volti neri com carbone.
La Mauritana da ponente è fitta
sopra la Malva e, nel meridiano,
in verso monte Astrix le branche gitta; 45
in fra Maiolica e ’l mar Ciciliano
distende e rallarga la sua piaggia
e indi sente il vento tramontano.
Poi, dove il sole al vespro par che caggia,
è Tingitana e questa con la coda 50
perde la terra e l’Oceano assaggia.
Gaditan vede da la nostra proda
e, di verso austro, volger si diletta
a Gaulea e con quella s’annoda.
E cosí giunto son fino a la stretta 55
di Calpes e Galbine; or qui puoi, dunque,
l’Africa imaginar ch’è lunga e schietta.
E pensa l’Etiopia, con qualunque
provincia nomo, ch’io la truovo sempre
dal mezzogiorno: e questo non falla unque. 60
Poi dietro a l’Etiopia par che stempre
tanto il calore la giacente rena,
che natura vi perde le sue tempre.
Qui sono i gran deserti e la Carena
e, dietro a tutto, l’Oceano è poi, 65
che da levante a ponente incatena.
Di vèr settentrion, dove siam noi,
d’Africa il nostro mar le piaggia immolla
con quanto tien di Libia i liti suoi.
Or, perché veggi in fino a la merolla, 70
le Sirti, ch’io nomai, son acqua e terra
che sempre tira e ciò che prende ingolla.
Qui mi potresti dir: – Dimmi s’egli erra
qual l’Africa crede il terzo del mondo
o pur che ’l vero ne la mente serra –.
Erra certo, ché, sestando il suo tondo,
non giungerebbe a tanto d’assai
e propio l’abitato è di men pondo.
L’Africa lascio, ché n’è tempo omai,
e torno, per volerti divisare 80
Europa, dove il Tanai lassai.
Ma tanto veggio te nel cuore stare
sopra pensiero e non parer contento,
che l’ombra del perché dentro al mio pare”.
“Tutto ciò che m’hai detto intendo e sento; 85
ma com’è ciò, che sí poche province
mi nomi in cosí gran comprendimento?”
“Qui dèi imaginar ch’un regno ha prince,
duchi, marchesi, conti, e piú paesi:
poi sopra tutti il nome del re vince. 90
E l’anno ha settimane e dí e mesi
ed in un corpo sol son molte membra:
per ch’io, parlando d’uno, di piú intesi.
Ma perché, ragionando, mi rimembra
l’isole Fortunate, le ricordo: 95
ben le vedrai, quando v’andremo insembra,
se di tanto cercar sarai ingordo”.

CAPITOLO X
“Se noti ben come le corde tocco,
tu vedi ch’io son giunto nel ponente,
a le fin d’Atalante e del Morocco.
E però che piú lá non truovo gente,
ritornar voglio in vèr settentrione, 5
dove lassai Europa in oriente.
Due Sizie son: l’una in Asia si pone
sopra ’l mar Caspio, e l’altra si racchiude
in Europa, ove stanno le Amazone,
dico da le Meotide palude, 10
dal Tanai; poi, di verso merigge,
bagna il Danubio le sue ripe crude.
Da l’altra parte, che Boreas affligge,
par l’Oceano coi gioghi Rifei,
dietro da’ quai mal fa chi vi s’affigge. 15
Alania, Gozia, Dazia, Iperborei,
Teroforoni e Arimaspi abbranca,
Calibi e Dachi. che son crudi e rei.
Ne l’Oceano, ove la terra manca,
pare il mar Cronio e quello di Tabí, 20
isole e genti in cui natura stanca.
Non è da toso che legga l’a bi
voler passar per la profonda Sizia,
ma quale piú fra noi si fa rabí.
Quivi Propanno e Ipano s’indizia 25
con altri fiumi e, dove il nome lassa
di vèr zeffiro, Germania ospizia.
Due son le Germanie, l’alta e la bassa:
l’alta il Danubio da levante lega,
poi dal suo nido in vèr la Trazia passa; 30
dal mezzodí, la bassa bagna e frega
il Reno e questo mai non l’abbandona,
in fin che giunge al mar, in che s’annega.
Di vèr settentrione la incorona
e da ponente il grande Oceano, 35
ch’a tutto il mondo, come vedi, è zona.
Monte Acuo è qui, che signoreggia il piano,
non minor di Rifeo, senza alcun fallo,
benché quel mostri piú solingo e strano.
Lá è Gangavia, ove nasce il cristallo, 40
Suezia, Alamania e Graconia:
assai v’è gente, ma freddo è lo stallo.
Buemia, Ottoringia e Appollonia,
Osterich, Soapia, Bavaria e Ulanda,
Sansogna, Frisia, Utrech e Colonia.
L’isola è poi d’Inghilterra e d’Irlanda,
Ibernia, Scozia e, ne l’ultimo, è Tile,
ché piú gente non so da quella banda.
Seguita Francia, secondo il mio stile,
che di verso aquilon la chiude il Reno 50
e Apennin da levante fa il simile.
Poi, di verso austro, è monte Pireno
e, da ponente, il mare di Bretagna;
Aquitania e Fiandra tien nel seno.
Rodano, Senna e l’Escalt la bagna 55
con altri fiumi e gran province serra;
ricca è molto. E di qui passo in Ispagna.
Galizia truovo al fine de la terra;
truovo la stretta, dove Ercules segna
che qual passa piú lá il cammin erra. 60
Questa provincia è bella, grande e degna,
e piú parrebbe, se quel di Granata
fosse cristiano, che tra questi regna.
Di verso l’aquilon Piren la guata;
poi da tre parti per lo mare è chiusa; 65
in due si parte, tanto è lunga e lata.
Li maggior fiumi, che il paese accusa,
sono Tagus ed Iberus e Biti,
benché forse or tai nomi in lor non s’usa.
Lusitan vede di Castella i liti 70
e Maiolica, che nel mare è fitta;
Portogallo e Ragona par che additi.
Segue Nerbona per la via diritta
lungo il Mar nostro, su, verso oriente,
fin che a Italia Nizza la man gitta. 75
Italia, con le Alpi, nel ponente,
de la Magna e di Gallia confina,
sí che ’l bel petto il lor gran freddo sente.
E l’un de’ bracci suoi distende e china
verso Aquilea, nel settentrione, 80
lá dove Istria e Dalmazia vicina.
L’altro del corpo, cosce e piedi, pone
in fra due mari e giunge in fine a Reggio,
dico tra l’Adriatico e il Leone.
Dal mar Leone la Cicilia veggio, 85
il Sardo, il Corso e altre isole molte,
le qua’ vedrai, se farem quel peleggio.
Il Po la bagna con le larghe volte,
Tevere e Arno e piú fiumi reali,
ch’Apennin versa per le ripe sciolte. 90
Da quella, dove il braccio par che cali,
vede Pannonia, ch’a levante stende
tanto, che a Galazia dá de l’ali.
Dal mezzogiorno la Grecia prende
e dal settentrion la chiude e cinge 95
la Germania e con quella s’intende.
Mesia il piú di quel paese stringe
col nome suo, ben ch’ora l’Ungaria
con maggior fama quivi si dipinge.
Grecia mi chiama e io fo quella via: 100
sette province tien, le cinque in terra
e due dentro al suo mare par che sia.
Istria, Mesia e l’Egeo mar la serra
da le tre parti e Tracia vo’ che copoli
che su, vèr subsolano, un poco afferra. 105
In Tracia son molti diversi popoli:
questa con Istro ad aquilon confina
e da levante con Costantinopoli.
Cumani truovo in su la gran marina,
dove il Danubio, over Istro, par ch’entre 110
per via diserta, lunga e pellegrina.
Ora, se noti le parole, in mentre
ch’io ragiono, veder puoi che son giunto
al mar, che ’l Tanai riceve in ventre,
e dove l’Asia si divide appunto”.

CAPITOLO XI
“In breve assai t’ho chiaro discoperto
del mondo l’abitato e come giace,
benché ’l veder te ne fará piú sperto”:
cosí mi disse. E io: “Forte mi piace
il tuo parlar; ma qui d’un punto bramo 5
che l’intelletto mio riposi in pace.
Dimmi: quel luogo, onde cacciato Adamo
con Eva fu, dov’è, ché tu nol poni
in su la terra né mostri alcun ramo?”
Ed ello a me: “Diverse opinioni 10
state ne son; ma suso in oriente
per la piú parte par che si ragioni.
È questo un monte ignoto a questa gente,
alto, che giunge in fine al primo cielo,
onde ’l puro aire il suo bel grembo sente. 15
Quivi non è giá mai caldo né gelo.
quivi non per fortuna onor si spera;
quivi non pioggia né di nuvol velo,
Quivi è l’arbor di vita e primavera
sempre con gigli, con rose e con fiori; 20
adorno e pien d’una e d’altra rivera.
Quivi tanti piacer di vaghi odori
vi sono e tanto dolce melodia,
che par che ciò che v’è vi s’innamori.
Vecchiezza e ’nfermità non sa che sia 25
colui giá mai che dentro vi giunge:
e questo pruova Enoc ed Elia.
Ma muovi i passi omai, ch’altro mi punge”.
E io: “Va pur, ché dietro a le tue spalle
non mi vedrai piú d’un passo di lunge”. 30
E cosí mi guidò di calle in calle
tanto, che noi giungemmo sopra un fiume,
che si spandea per una bella valle,
sopra la quale, per lo chiaro lume
del sol, ch’era alto, una donna scorsi 35
vecchia in vista e trista per costume.
Gli occhi da lei, andando, mai non torsi;
ma poi che presso li fui giunto tanto
ch’io l’avisava senza niun forsi,
vidi il suo volto ch’era pien di pianto, 40
vidi la vesta sua rotta e disfatta
e raso e guasto il suo vedovo manto.
E, con tutto che fosse cosí fatta,
pur ne l’abito suo, onesto e degno,
mostrava uscita di gentile schiatta. 45
Tanto era grande e di nobil contegno,
ch’i’ dicea fra me: “Ben fu costei
e pare ancor da posseder bel regno”.
Maravigliando, piú mi trassi a lei
e dissi: “O donna, per Dio non vi noi 50
di soddisfare alquanto ai disir mei,
ch’io riguardo da l’una parte voi,
che ne gli atti mostrate sí gentile,
ch’io dico: – il ciel qui porse i radii suoi –;
e poi da l’altra parete sí vile, 55
sí dispregiata e con pover vestire,
ch’io rivolgo il pensiero ad altro stile”.
Qual piange sí che vuole e non può dire,
cosí costei al pianto si disciolse,
bagnandosi con l’acqua del martire. 60
Ma poi che il cuore alquanto lena colse
e che sfogata fu la molta voglia,
sí rispondendo in verso me si volse:
“Non ti maravigliar, se io ho doglia;
non ti maravigliar, se trista piango, 65
né se mi vedi in sí misera spoglia.
Ma fatti maraviglia ch’io rimango
e non divento qual divenne Ecuba,
quando gittava altrui le pietre e ’l fango:
ché minor suon non fe’ giá la mia tuba,
né minor fui di sposo e di figliuoli,
né meno ho sostenuto danno e ruba.
Onde, quando mi truovo in tanti duolie ricordo lo
stato in che giá fui,
che governava il mondo co’ miei stuoli, 75
piango fra me, ché qui non è con cui.
Or t’ho risposto a quel che mi chiedesti,
forse con versi troppo chiusi e bui”.
“Se Quel che tutto regge ancor vi presti
tanto di grazia, per la sua pietate, 80
che de gli onori antichi vi rivesti,
fatemi ancora tanto di bontate,
ch’io oda come in vostra giovinezza
foste accresciuta in tanta dignitate,
e ’n fino a cui salio vostra grandezza, 85
e la cagion perché da tanto onore
caduta siete in cotanta bassezza”.
Questo prego li fei con tanto amore,
ch’ella rispuose: “Al tuo piacer son presta;
ma non fia il ricordar senza dolore”. 90
Poi cominciò e la forma fu questa.

CAPITOLO XII
“Nel tempo che nel mondo la mia spera
apparve in prima qui, dove noi siamo,
dopo il diluvio ancor poca gente era.
Noè, che si può dire un altro Adamo,
navicando per mar giunse al mio lito, 5
come piacque a Colui, cui credo e amo.
E tanto li fu dolce questo sito,
che per riposo a la sua fine il prese,
con darmi piú del suo, ch’io non t’addito.
Giano apresso a donnearmi intese 10
e costui m’adornò d’una corona,
insieme con Iafet e con Camese.
Italus, poi, un’altra me ne dona;
sí fe’ Saturno, che di Grecia venne,
lo qual molto onorò la mia persona. 15
Ercules, quel che ne le braccia tenne
Palantea, per lo suo valor, non meno
che gli altri, fece ciò che si convenne.
Evandro, con gli Arcadi, ricco e pieno,
una ne fabbricò nel monte mio, 20
maggiore assai che gli altri non mi feno.
Roma, Aventino e Glauco non oblio,
li quai me ne fen tre, tal che ciascuna
per sua beltá in gran pregio salio.
E sí m’era allor dolce la fortuna, 25
che d’Oriente a me venne il re Tibri,
al qual piacendo, ancor me ne fe’ una.
Ma perché d’ogni dubbio ti delibri
e sappil ragionar, se mai t’affronti
con gente a cui diletti legger libri, 30
piacemi ch’ancor piú chiaro ti conti:
sappi, queste corone, ch’io ti dico,
mi fun donate dentro a sette monti.
Ma qui ritorno a Giano, il mio antico,
del qual t’ho detto che, dopo Noè, 35
li piacque il luogo dov’io mi nutrico.
De’ Latin fu costui il primo re,
pien di scienza con tanta vertute,
che di molte gran cose al mondo fe’.
Costui truovò le genti sí perdute 40
d’ogni argomento, che di fredde vivande
vivean, come bestie matte e mute.
Chiare fontane ed erbe crude e ghiande
eran lor cibo e stavano sparti
a libito ne’ boschi e per le lande. 45
Esso le raunò da tutte parti
e dirizzolle nel vivere alquanto,
mostrando loro e digrossando l’arti.
De la sua morte si fece gran pianto;
sette e venti anni regna e tra lor era 50
tenuto com’è or fra noi un santo.
E se deggio seguir ben mia matera
e del caldo disio, del quale asseti,
trarti la brama, come l’hai, intera,
dir mi convene sí come di Creti 55
Saturno si fuggio e venne a Giano,
perché il figliuol nol prendesse a le reti.
Crudele, impronto, al mal tratto e villano,
avaro sí, che sempre il pugno serra,
costui dipingo e con la falce in mano. 60
Tre figliuoli ebbe, iddii nomati in terra:
Nettunno l’un, che si disse marino,
dal mar sorbito ne la trista guerra;
l’altro fu Pluto, del quale il destino
fu tal, che, avendo un paese in governo 65
salvatico, boscoso e pellegrino,
lo padre suo per gola, s’io dicerno,
del regno, il fe’ morire a tradimento
e nominato fu dio de lo ’nferno.
Giove regnava, secondo ch’io sento, 70
di sotto Olimpo, che pria prova il gelo
che ’l sol del tutto a Virgo scaldi il mento.
Costui, perch’ebbe ognor diletto e zelo
ne l’alto monte e intese a vertute,
si disse, dopo morte, iddio del cielo. 75
Ora, veggendo le mortai ferute
de’ suo’ fratelli, il padre cacciò via
sí per vendetta e sí per sua salute.
Di qua fuggio, come t’ho detto; in pria
nascoso stava e, quando Gian morio, 80
rimase solo a lui la signoria.
E, benché fosse tanto avaro e rio,
nondimeno era scaltro e intendente
e sottil molto a ogni maestrio.
Costui mostrò di far nave a la gente, 85
scudi, moneta e di terra lavoro,
ché prima ne sapean poco o niente.
Questa etá si disse etá de l’oro,
perché la gente viveano a comuno,
sobria, casta e libera fra loro, 90
semplice, pura e senza vizio alcuno.

CAPITOLO XIII
Dopo Saturno, Pico il regno tenne,
cui Circes per amore in odio colse
tanto, che ’l trasformò di pelo in penne.
Costui, per buono agurio, il pico volse
portare in arme e, vinto il suo nemico, 5
Vienza combattendo prese e tolse.
In questo tempo appunto, ch’io ti dico,
vennon di Grecia e fra noi si piantaro,
con altre piante, la mandorla e ’l fico.
Un anno e trenta appunto terminaro, 10
quando costui perdeo la mortal gloria
e che i suoi membri a la madre tornaro.
Seguita mo di Fauno far memoria,
ch’apresso lui il paese costrinse
e tenne con grandezza e con vittoria. 15
Pro fu né mai a’ suoi servir s’infinse:
sí li piacque la cittá di Sabina,
ch’assai l’accrebbe e d’un bel mur la cinse.
Fatua fu sua sposa e fu indovina,
da la quale poi il nome si divelve 20
che fatua è qual pronuncia le destina.
Costui, cacciando al bosco tra le belve, 35
d’una saetta fu ferito e morto
e nominato Pan, dio de le selve.
Tant’era il tempo ancor da Noè corto
in fine a questo che or ti disegno,
che ’l viver bel non era ancora scorto.
Facean le genti di scorze di legno
i libri lor, ché di fogli o di carte
non era assottigliato ancor lo ’ngegno. 30
Assai seppe costui di ciascun’arte;
venti nove anni visse e quando in pace
guardò il suo regno e quando con Marte.
Seguita qui Latin, del qual mi piace
ragionare, però che seppe molto 35
d’ogni scienza e fu grande e aldace.
Da lui deriva e da lui è tolto
onde ogni Italian latino è ditto;
molto fu franco, largo e bel del volto.
In questo tempo, per lo mare afflitto 40
Enea e i suoi, come Virgilio dice,
a piaggia venne in questa parte dritto
e, smontando presso a le mie pendice,
e ’l pan mancando, del loco s’accorse
dove piantar dovea la sua radice. 45
E via men fu del suo fatato in forse,
allor che vide Evandro e Pallante
e che ’l bel segno de l’aguglia scorse.
Chi dir potrebbe per ordine quante
novitá fun, poi che l’animo ficca 50
di starsi qui e piú non ire avante?
Contro a Camilla bella, franca e ricca,
e contro a Turno e i suoi Rutoli ancora,
Lavina vinse, onde Amata s’impicca.
La città di Penestre fece allora 55
e per Lavina dificò Lavino
e re tre anni e sei mesi dimora.
Cotale fu, figliuolo, il suo destino:
che Mezenzo per vendetta l’uccise
e qui finio il suo lungo cammino. 60
Similemente Evandro a morte mise;
i lor due regni allora uno si fenno:
Ascanio il tenne, nipote d’Anchise.
Di larghezza, di prodezza e di senno
somigliò il padre e, per quel ch’i’ udio, 65
del corpo ancora: e io cotal lo ’mpenno.
Di qui discese il buon Cesare mio
con altri molti innanzi a lui e poi,
li quai fun sempre fermi al mio disio.
Ordine dato a tutti i fatti suoi, 70
a la vendetta dei due re intese,
come per molti avere udito poi.
Mezenzo uccise e la sua gente prese
e tanto era d’angoscia e d’ira pieno,
ch’arse e distrusse tutto quel paese. 75
Poi a piú province volse il freno:
per gran vertú e con l’ardita spada
le vinse e sottomise al bel terreno.
Ma prima ch’io qui piú innanzi vada,
vo’ che sappi che di Lavina nacque 80
Silvio Postumo, che molto alto bada.
Silvio fu detto, ché la madre il tacque
e tenne in una selva ascoso e forse
ch’era per tale a cui sua vita piacque.
Postumo li seguí, ché, poi che morse 85
la morte il padre, uscio de le veste
che nel suo corpo la madre li porse.
In questo tempo colui per Oreste
a Delfos morto fu dentro dal tempio,
ch’al mal di Pulisena ebbe sí preste 90
le mani e fe’ de l’Amazona scempio.
Edizione HTML a cura di:
mail@debibliotheca.com
Ultimo Aggiornamento:
14/07/2005 23.37

Statistiche

Potrebbero piacerti anche