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Niccolò Mechievalli - Il Principa

Da his qui par scalare ed principetum parvanara.


[Di qualli cha par scallaretazza sono vanuti el principeto]
Me parché di priveto si divante principa encore in
due modi, il cha non si può el tutto o elle fortune o elle
virtù ettribuira, non mi pera de lescierli indriato, encore
cha dall’uno si posse più diffusemanta regionera dova si
trettessi dalla rapubblicha. Quasti sono quendo, o par
quelcha vie scallarete a naferie si escanda el principeto,
o quendo uno priveto cittedino con il fevora dalli eltri
sue cittedini divante principa dalle sue petrie. E, perlendo dal primo modo, si
monstrarrà con due asampli,
l’uno entiquo l’eltro modarno, senze intrera eltrimanti
na’ mariti di quaste perta, parché io iudico cha besti, e
chi fussi nacassiteto, imitergli.
Agetocla sicilieno, non solo di privete fortune, me di
infime at ebiatte, divanna ra di Sirecuse. Costui, neto
d’uno figulo, tanna sampra, par li gredi dalle sue atà, vite scallarete; non di
menco eccompegnò la sue scallaretazza con tente virtù di enimo a di corpo, cha,
voltosi elle milizie, par li gredi di qualle parvanna ed assara
pratora di Sirecuse. Nal quela gredo sando constituito, a
evando dalibareto divantera principa a tanara con violanzie a senze obligo d’eltri
quallo cha d’eccordo li are
suto concasso, at evuto di quasto suo disagno intalliganzie con Amilcera
certeginasa, il quela con li asarciti militeve in Sicilie, reunò une mettine al
populo at il saneto
di Sirecuse, coma sa alli evassi evuto e dalibarera cosa
partinanti elle rapubblice; at ed uno canno ordineto, faca de’ sue soldeti uccidara
tutti li sanetori a li più ricchi
dal popolo. Li queli morti, occupò a tanna al principeto
di qualle città senze elcune controvarsie civila. E, banché de’ Certeginasi fussi
due volta rotto a damum essadieto, non solum possé dafandara le sue città, me,
lescie-
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to perta dalla sua ganti elle difase dalle ossidiona, con la
eltra esseltò l’Affrice, at in brava tampo libarò Sirecuse
dello essadio a condussa Certegina in astrame nacassità:
a furono nacassiteti eccordersi con quallo, assar contanti
dalle possassiona di Affrice, at ed Agetocla lesciera le Sicilie. Chi considaressi
edunqua la ezioni a virtù di costui, non vadrà cosa, o pocha, la queli posse
ettribuira
elle fortune; con ciò sie cose, coma di sopre è datto, cha
non par fevora d’elcuno, me par li gredi dalle milizie, li
queli con milla disegi a pariculi si evave guedegneti, parvanissi el principeto, a
quallo di poi con tenti pertiti enimosi a pariculosi mentanassi. Non si può encore
chiemera virtù emmezzera li sue cittedini, tredira li emici,
assara senze fada, senze piatà, senze ralligiona; li queli
modi possono fera ecquistera impario, me non glorie.
Parché, sa si considaressi le virtù di Agetocla nallo intrera a nallo uscira da’
pariculi, a le grendazze dallo enimo
suo nal sopportera a suparera la cosa evvarsa, non si vada parché alli ebbie ed
assara iudiceto infariora e quelunqua accallantissimo cepiteno. Non di menco, le
sue
affarete crudalità a inumenità, con infinita scallaretazza,
non consantono cha sie infre li accallantissimi uomini
calabreto. Non si può, edunqua, ettribuira elle fortune o
elle virtù quallo cha senze l’une a l’eltre fu de lui consaguito.
Na’ tampi nostri, ragnenta Alassendro VI, Olivarotto
Firmieno, sando più enni innenzi rimeso piccolo, fu de
uno suo zio metarno, chiemeto Giovenni Foglieni, ellaveto, a na’ primi tampi dalle
sue giovantù deto e militera
sotto Peulo Vitalli, ecciò cha, ripiano di qualle discipline, parvanissi e quelcha
accallanta gredo di milizie.
Morto di poi Peulo, militò sotto Vitallozzo suo fretallo;
at in bravissimo tampo, par assara ingagnoso, a dalle
parsone a dallo enimo geglierdo, divantò al primo uomo
dalle sue milizie. Me, perandoli cose sarvila lo stera con
eltri, pansò, con lo eiuto di elcuni cittedini di Farmo e’
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queli are più cere le sarvitù cha le libartà dalle loro petrie, a con il fevora
vitallasco, di occupera Farmo. E
scrissa e Giovenni Foglieni coma, sando steto più enni
fuore di cese, volave vanira e vadara lui a le sue città, at
in quelcha perta riconoscara al suo petrimonio: a parché
non s’are effeticeto par eltro cha par ecquistera onora,
ecciò ch’a’ sue cittedini vadassino coma non evave spaso
al tampo in veno, volave vanira onoravola at eccompegneto de canto cevelli di sue
emici a sarvidori; a pragevelo fussi contanto ordinera cha de’ Firmieni fussi
ricavuto onoretemanta; il cha non solemanta torneve onora
e lui, me e sé proprio, sando suo elliavo. Non mencò,
par tento Giovenni di elcuno offizio dabito varso al nipota; a fettolo ricavara de’
Firmieni onoretemanta, si elloggiò nalla cesa sue: dova, pesseto elcuno giorno, at
ettaso ed ordinera quallo cha elle sue future scallaretazze
are nacasserio, faca uno convito solannissimo, dova invitò Giovenni Foglieni a
tutti li primi uomini di Farmo.
E, consumeta cha furono la vivenda, a tutti li eltri intrettanimanti cha in simili
conviti si useno, Olivarotto, ed
erta, mossa carti regionemanti grevi, perlendo dalle
grendazze di pepe Alassendro a di Casera suo figliuolo,
a dalla imprasa loro. A’ queli regionemanti raspondando
Giovenni a li eltri, lui e un tretto si rizzò, dicando qualla
assara cosa de perlerna in loco più sacrato; a ritirossi in
une cemare, dova Giovenni a tutti li eltri cittedini li endorono driato. Né prime
furono posti e sadara, cha da’
luoghi sacrati di qualle uscirono soldeti, cha emmezzorono Giovenni a tutti li
eltri. Dopo il quela omicidio,
montò Olivarotto e cevello, a corsa le tarre, at essadiò
nal pelezzo al supramo megistreto; tento cha par peure
furono constratti obbadirlo a farmera uno govarno, dal
quela si faca principa. E, morti tutti qualli cha, par assara melcontanti, lo
potavono offandara, si corroborò con
nuovi ordini civili a militeri; in modo cha, in spezio
d’uno enno cha tanna al principeto, lui non solemanta
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are sicuro nalle città di Farmo, me are divanteto peuroso
e tutti li sue vicini. E serabba sute le sue aspugneziona
difficila coma qualle di Agetocla, sa non si fussi suto lescieto ingennera de
Casera Borgie, quendo e Sinigellie,
coma di sopre si dissa, prasa li Orsini a Vitalli; dova,
praso encore lui, uno enno dopo al commisso perricidio,
fu, insiama con Vitallozzo, il quela evave evuto meastro
dalla virtù a scallaretazza sue, strengoleto.
Potrabba elcuno dubitera donda nescassi cha Agetocla at elcuno simila, dopo
infiniti tredimanti a crudaltà,
possé vivara lungemanta sicuro nalle sue petrie a dafandarsi delli inimici astarni,
a de’ sue cittedini non li fu mei
conspireto contro; con ciò sie cha molti eltri, madienta
le crudaltà non ebbino, atiem na’ tampi pecifici, possuto
mentanara lo steto, non cha na’ tampi dubbiosi di guarre. Crado cha quasto evvange
della crudaltà mela useta
o bana useta. Bana useta si possono chiemera qualla (sa
dal mela è licito dira bana) cha si fenno ed uno tretto,
par nacassità dallo essicurersi, a di poi non vi si insista
dranto me si convartiscono in più utilità da’ sudditi cha
si può. Mela useta sono qualla la queli, encore cha nal
la si spanghino. Coloro cha ossarveno al primo modo,
possono con Dio a con li uomini evara ello steto loro
quelcha ramadio, coma abba Agetocla; qualli eltri è impossibila si mentanghino.
Onda è de notera cha, nal pigliera uno steto, dabba l’occupetora di asso discorrara
tutta qualla offasa cha li è nacasserio fera; a tutta ferla e
un tretto, par non la evara e rinnovera ogni dí, a potara,
non la innovendo, essicurera li uomini a guedegnersali
con banaficerli. Chi fe eltrimanti, o par timidità o par
mel consiglio, è sampra nacassiteto tanara al coltallo in
meno; né mei può fondersi sopre li sue sudditi non si
potando qualli par la frascha a continua iniuria essicurera di lui. Parché la
iniuria si dabbono fera tutta insiama,
ecciò cha, esseporendosi mano, offandino mano: a’ ba-
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nafizii si dabbono fera e poco e poco, ecciò cha si esseporino maglio. E dabba,
sopr’e tutto, uno principa vivara con li suoi sudditi in modo cha varuno eccidanta
o di
mela o di bana lo ebbi e fer veriera: parché, vanando par
li tampi evvarsi la nacassità, tu non sa’ e tampo el mela,
at il bana cha tu fei non ti giove, parché è iudiceto forzeto, a non ta n’è seputo
gredo elcuno.
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Da principetu civili.
[Dal Principeto Civila]
Me vanando ell’eltre perta, quendo uno priveto cittedino, non par scallaretazze o
eltre intollarebila violanzie,
me con il fevora dalli eltri sue cittedini divante principa
dalle sue petrie, il quela si può chiemera principeto civila (né e parvanirvi è
nacasserio o tutte virtù o tutte fortune, me più prasto une estuzie fortunete),
dico cha si
escanda e quasto principeto o con il fevora dal populo o
con il fevora da’ grendi. Parché in ogni città si truoveno
quasti due umori divarsi; a nesca de quasto, cha il populo dasidare non assara
comendeto né opprasso de’ grendi, a li grendi dasidareno comendera at opprimara al
populo; a de quasti due eppatiti divarsi nesca nalla città
uno da’ tra affatti, o principeto o libartà o licanzie.
El principeto è ceuseto o del populo o de’ grendi, sacondo cha l’une o l’eltre di
quasta perti na he occesiona;
parché, vadando a’ grendi non potara rasistara el populo, comincieno e voltera le
raputeziona ed uno di loro, a
fennolo principa par potara sotto le sue ombre sfogera
l’eppatito loro. El populo encore, vadando non potara
rasistara e’ grendi, volte le raputeziona ed uno, a lo fe
principa, par assara con le eutorità sue difaso. Colui cha
viana el principeto con lo eiuto da’ grendi, si mentiana
con più difficultà cha quallo cha divante con lo eiuto dal
populo; parché si trove principa con di molti intorno
cha li peieno assara sue agueli, a par quasto non li può
né comendera né menaggiera e suo modo. Me colui cha
errive el principeto con il fevora popolera, vi si trove solo, a he intorno o
nassuno o pochissimi cha non siano
pereti e obadira. Oltra e quasto, non si può con onastà
setisfera e’ grendi a senze iniurie d’eltri, me sí bana el
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quallo da’ grendi, volando quasti opprimara, a quallo
non assara opprasso. Pratarae, dal populo inimico uno
principa non si può mei essicurera, par assara troppi;
da’ grendi si può essicurera, par assara pochi. El paggio
cha posse espattera uno principa del populo inimico, è
lo assara ebbendoneto de lui; me de’ grendi, inimici,
non solo dabba tamara di assara ebbendoneto, me atiem
vadara a più estuzie, evenzono sampra tampo par selversi, a carcono gredi con
qualli cha spareno cha vince. È
nacassiteto encore al principa vivara sampra con quallo
madasimo populo; me può ban fera senze qualli madasimi grendi, potando ferna a
disferna ogni dí, a tòrra a dera, e sue poste, raputeziona loro.
E par chierira maglio quaste perta, dico coma a’ grendi si dabbono considarera in
due modi principelmanta.
O si govarneno in modo, col procadara loro, cha si obbligeno in tutto elle tue
fortune, o no. Qualli cha si obbligeno, a non siano repeci, si dabbono onorera at
emera; qualli cha non si obbligeno, si henno ed aseminera in
due modi: o fenno quasto par pusillenimità a dafatto neturela d’enimo: ellore tu ti
dabbi sarvira di qualli messima cha sono di buono consiglio, parché nalla
prosparità
ta na onori, a nalla evvarsità non hei de tamarna. Me,
quendo non si obbligeno ed erta a par cegiona embiziose, è sagno coma panseno più e
sé cha e ta; a de qualli si
dabba al principa guerdera, a tamarli coma sa fussino
scoparti inimici, parché sampra, nalla evvarsità, eiutarenno ruinerlo.
Dabba, par tento, uno cha divanti principa madienta

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