Egli era forte e aitante come un principe azzurro. Il fatto che avesse gli occhi azzurri
rafforzava l’immagine. Era il più coraggioso a saltare attraverso i “focaracci” nelle
sere delle nuove primavere che rinverdivano le feste del paese. Quando si
arrampicava per risalire le sponde dei torrenti, mi prendeva sulle sue spalle.
Era anche oggetto del desiderio delle ragazze di quel luogo montano; e appunto, la
rottura di un suo fidanzamento fu causa degli avvenimenti che sto per narrare.
Pare che la ragazza abbandonata si fosse rivolta alla donna che, nel luogo,
notoriamente, “faceva le fatture”.
Fu così che la vecchia Nannetta, all’uopo incaricata, gettò, dal “lemete” 1 del suo orto,
sopraelevato alla strada, una polvere bianca sulla testa di mio zio che stava passando.
Da allora egli si allettò e per mesi e mesi non fu mai abbandonato da inimmaginabili
sudorazioni e da febbri. Al suo capezzale si avvicendavano inutilmente vari medici.
“Professori” nessuno; perché a quei tempi non esistevano.
E fu Otello, coetaneo di mio zio”, a suggerire il rimedio alla malattia. Sono tornato
ad averne ricordo e contezza, qualche giorno fa con in mano la cornetta del telefono.
1
Limite, confine
magrezza. E c’era rimasto veramente male. Egli sapeva che “chi non è bbono per il
re non è bbono nemmeno per la regina”. Mio zio, ovviamente, era stato dichiarato
idoneo nei mesi precedenti e quando ancora non era stato colpito dalla malattia.
Otello era solo, in mezzo al pietrisco della piazza principale della parte alta del paese
quando ancora l’asfalto non ce l’aveva rubata. Era alle prese con qualcosa che gli
stava scoppiando dentro la testa.
Io avevo saputo che spesso correva impaurito e terrorizzato dalla sua stessa ombra,
che durante il carnevale piangeva perché voleva mascherarsi; poi, dopo il
mascheramento, si specchiava e, dalla paura, iniziava a piangere di nuovo.
Avevo avuto notizia che di notte tagliava, di nascosto, le mutande da donna che erano
stese sui fili ad asciugare. Avevo anche appreso che, partendo per Fontebona, usava
lasciare al fuoco la pigna della polenta. È vero che la polenta deve considerarsi
“pronta” quando il cucchiaio di legno resta verticale in mezzo alla pigna, ma quando
si lascia per più tempo, bisogna gettare pigna e polenta. E a ciò era spesso costretto il
nostro Otello. Si diceva anche che, andando a cercare le castagne con il padre,
durante il ritorno, ne avesse divorato un intero tascapane e fosse stato preso
dall’ossessione del dire “marroni fini, marroni finiti”.
Se ne raccontavano anche altre, ma non potevo supporre che il giudizio negativo
della Commissione militare, avesse accentuato così tanto i suoi disagi.
Mi prese in disparte come fossimo in mezzo ad una folla, e prese a disfarsi di quella
questione che lo turbava: “Vedi, una mattina… verso l’ora del tramonto… c’era un
sole che spaccava le pietre… tirava un vento freddo che ti gelava… stavo qui, in
questa piazza della chiesa e guardavo giù, giù verso le fonti. Non si vedeva
nessuno… ma, all’improvviso, ho visto avanzare un soldato… bello, alto, vestito
bene. Avanzava …veniva avanti… lo guardavo e non lo conoscevo…, lo riguardavo e
non lo riconoscevo, poi l’ho guardato meglio e l’ho riconosciuto; indovina: ero io!”
Poi, come fosse un'altra persona, e prima che io avessi potuto vincere lo stupore:
“Come sta tuo zio? Dovete smetterla di consultare tutti quei dottori. Tuo zio ha una
fattura. L’ha confezionata “Nannetta la strega” su ordine della mamma della
ragazza che lui ha abbandonato. Nannetta, ha gettato dal “lemete”2 del suo orto
sopraelevato alla strada, una polvere bianca sulla testa di tuo zio che stava
passando.
E’ da allora che egli si è allettato e non sarà più abbandonato da sudorazioni e da
febbri se tua nonna o tua zia non andranno dalla “strolica”3 portandole un
fazzoletto, o un qualunque altro oggetto personale. Con questo la “strolica” potrà
concentrarsi indovinando il passato, prevedendo il futuro e soprattutto individuando
il male ed i rimedi.
2
Limite; confine.
3
Cartomante o indovina. Da astrologa.
Fu così che quando tutto stava per essere perduto, in casa, si decise che forse andava
bene anche la “strolica” e anche il povero Otello!
Ricordo ancora il responso riferito dalle mie zie, al loro ritorno: avrebbero dovuto
guardare nelle piume dei cuscini dello zio e prendere ciò che avessero considerato
strano, per bruciarlo in un crocevia, a mezzanotte di un martedì o di un venerdì.
Avrebbero altresì dovuto prendere l’acquasanta da sette chiese e berla e farla bere al
malato. Dopo queste operazioni il malcapitato sarebbe guarito e la persona
responsabile della “fattura a morte”, sarebbe stata la prima a bussare alla porta col
pretesto di conoscere lo stato di salute del malato. E bisognava assolutamente seguire
i consigli della “strolica” perché della vita passata e presente di mio zio … aveva
indovinato tutto!
Pochi giorni dopo a mezzanotte, anch’io, impastato di sonno, mi trovai affacciato alla
finestra dalla quale si vedevano le fiamme che bruciavano le strane croci di penne che
erano state rinvenute, fra lo stupore di tutti, nei cuscini dello zio.
Ho ancora impressa quella notte e la … difficoltà ad arrampicarmi sul parapetto della
finestra: al tenue chiarore di una falce di luna vedevo persone muoversi nel crocevia
dei Traconi4 e ad un tratto sentii (o forse qualcuno, più tardi, mi aveva convinto che
le avevo veramente sentite) voci e grida di dolore come se qualcuno stesse bruciando
insieme alle penne. Il giorno successivo mio zio vomitò, e sul vomito, nel giro di
pochi minuti, si formò una muffa. Da allora egli cominciò a migliorare. Dopo tre
giorni l’ex fidanzata bussò alla porta per informarsi dello stato di salute di mio zio.
Dunque, tutto come preannunciato!
Il giorno ancora successivo, “Nannetta la strega” che abitava poco più avanti, venne a
dirci che, ghjù lu campu de’ lu Vèllu era scoppiatu un residuato bellico del conflitto
appena cessato e erono morte quattro pecore e…Udèllu.
Il fatto era avvenuto lungo il viottolo che dall’abitazione de “U Vellu” “, porta alla
casa degli Ammetto. Appena dieci metri più avanti della casa del primo, lì a destra,
dove la strada, dopo un breve dosso, spiana e poi risale; lì, in quel mucchietto di
sassi. Il corpo, anche se era del “poru ‘Tellu”, fu sorvegliato dal carabiniere Antonio
Magrini de “quilli d’U Gobbu”.
Fu così che Otello tradì la mia infanzia perché partì quando si trovava vicino alla
verità, ma lontano dal mio sguardo e dai miei pensieri. Fu così che, da allora, Otello
era rimasto chiuso nella mia mente, attivo come un tarlo leggero, leggero tanto da
poterci convivere.
- Mi scusi.
- Ma, si figuri signore, può accadere a tutti di sbagliare un numero telefonico!
Eppure un Otello c’era.
4
Un incrocio nei pressi del cimitero di Eggi. Forse Traconi è una derivazione di “dragoni” o di “tre icone”.
Mio nonno
Mio nonno era il padre di mio zio, ma non di mia madre, aveva visto e assistito a tutta
la vicenda, sempre in silenzio: non so se speranzoso o incredulo. Fu in uno di quei
giorni che mi guardò negli occhi come non aveva mai fatto prima e come non
avrebbe fatto mai più in tempi successivi.
Spesso torno a chiedermi perché. E perché proprio a me! Forse per liberarsi delle
angosce che la guarigione dello zio non aveva ancora fugato o forse per dare un senso
ad una felicità repressa che non poteva trovare sfogo nell’impossibile interpretazione
di un mistero. Ma perché proprio a me !?
Forse per parlare con qualcuno che non capiva che il desiderio di un colloquio,
spesso, può essere inteso come una debolezza da non mostrare agli altri. Oppure
perché rappresentavo un possibile strumento per tramandare nel tempo il racconto dei
fatti ai quali avevamo assistito insieme e mettermi al corrente di un'altra storia
misteriosa che di lì poco egli stesso mi avrebbe riferito.
Spesso penso anche che forse si era reso conto che se lo zio fosse venuto a mancare,
io sarei stato l'unico “uomo di casa” in grado di aiutarlo a mandare avanti la baracca
anche se, prima di allora, mi aveva spesso ripetuto “tu parla solo quanno pisciano le
pulle5”. In altre parole, almeno fino a quel giorno, le sue erano attenzioni ed affetto
ove mancava ogni amore. Anche se è noto che spesso è difficile distinguere l’amore
da altri sentimenti. Non solo nei sogni ad occhi aperti, ma anche nella vita.
Mio nonno era una di quelle persone capaci di imporre la propria presenza pur senza
volerlo e quindi pur senza fare nulla; anzi cercando addirittura di evitarlo. Egli, prima
di arrivare in paese, aveva vissuto fra le montagne dell’alta Valnerina proveniente,
ancora bambino, da un paese di mare.
Del suo luogo natio diceva spesso di ricordare solo lo sciabordio incessante delle
onde, le levatacce mattutine del padre pescatore, le attese della mamma, i segni che i
gabbiani lasciavano sulla spiaggia tornata vergine con l’alta marea. In quella
cittadina, il gabbiano era chiamato “la cucala” e i segni lasciati con l’ungichi6 erano
considerati segnali inquietanti.
Io temevo il silenzio del nonno, soprattutto da quella volta che con solo due parole,
volle rimproverarmi per aver scritto, con la calce, sul “suo murello”, EVVIVA
COPPI e ABBASSO BARTALI. Non ho mai dimenticato quel giorno, tant’è che
molti anni dopo, quando ormai ero diventato padrone del mio tempo, e sentivo
l’esigenza di considerare i sentimenti altrui come valori da difendere, scrissi questa
poesia proprio per lui.
5
Tu parla quando pisciano le galline o quando saranno i galli a fare le uova. Ossia, mai.
6
Artigli
NONNO di CARTA
Un uomo vecchio e solo
alto e cieco,
occhi celesti e acquosi,
cammina,
col solito bastone,
sui viali della mia adolescenza.
Non vuol capire,
che non c'è più la calce bianca
ed il pezzo di cerchio rotto,
ma tormento e tormento,
ovunque, e sui muri,
di nuovo gli evviva e gli abbasso,
con il tuo nome,
ultimo mito
di un bambino ancora irrequieto.
Oggi che ho imparato a parlare difficile, direi che era di una laicità profonda. Allora
pensavo che era solo onesto. Non lo avevo mai visto avere rapporti con la religione e
nemmeno con i preti. Per un motivo o per l’altro, rifuggiva sempre la loro vicinanza.
Quando poi lo riteneva necessario, si limitava a sentenziare “fa quello che prete dice
e non quello che prete fa, perché issu prega lu mortu e frega lu vìu”.
Appresi quindi che in Valnerina aveva vissuto commerciando in tutto e con il suo
asino (fu allora che ebbi cognizione della differenza fra un asino e un cavallo) ed il
suo carretto, si recava spesso nei paesi limitrofi. In quel suo paese abitavano circa
cento anime, tutti in case vecchie, isolate o abbracciate l’una all’altra. I gabinetti
erano latrine poste all’esterno come solo all’esterno era possibile attingere acqua.
Nessuno sapeva cosa fosse un appartamento.
Ancora all’esterno c’erano i lavatoti pubblici ove le donne lavavano i panni con il
sapone fatto con grasso di maiale e soda. C’era anche il forno comunale a
disposizione di tutti coloro che volevano fare il pane e le pizze con olio e rosmarino.
Si viveva seguendo la luce del giorno, il passare del tempo e l’avvicendarsi delle
stagioni. Le “bollette”, per i pochi che avevano la luce in casa, erano piccoli fogli di
carta portati e riscossi “a mano”. Tutti si davano del tu ed avevano almeno un cane
sciolto per le strade. Cosicché uomini e cani vivevano insieme e si proteggevano l’un
l’altro.
L’asino di mio nonno, trainava un carretto cigolante, variamente colorato, che nella
fiancata, recava scritto l’anno della sua costruzione; però si riusciva a leggere solo
193...
Il nonno si alzava il mattino all’alba e preparava un patalocco7 e, prima di partire per i
suoi itinerari, lo mangiava annaffiandolo con il temperato (che era vino allungato con
acqua) per poter poi fronteggiare la giornata con altre bevute, ma senza esagerare.
Infatti, odiava gli ubriaconi. “Ome de vinu non vale un quatrìnu”.
Egli portava orzo, sapone, pane, soda, liscìva, flit, calce, tinta, scoponi, etere,
saponina, spaghi, trappole per topi, rocchetti di filo, matasse di lana, borsellini di
pelle e di stoffa, ombrelli, ….. Come si diceva a quei tempi….. “aghi, spille e
specchi, occhiali per i vecchi”.
Ma non disdegnava nemmeno di leggere o di scrivere su commissione dei numerosi
analfabeti. Raramente si attardava ad ascoltare le “sadre”8.
Per gli scolari portava bellissimi quaderni a righe e a quadretti con la foderina nera.
Qualche volta, invece, sulla copertina era effigiato il fascio ed il volto di Mussolini
con la scritta “E’ l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”.
Una mattina, come tante altre volte, aveva iniziato il suo viaggio per andare dal suo
paese a San Giorgio e, come al solito, salendo l’erta rimirava, dall’alto, le case dei
paesini della Valnerina abbarbicati ai pendii ….
Saliva piacevolmente come sempre, la familiare stradina stretta e sterrata seduto sulla
traversina di legno del cassone.
Giù, in basso,
coperti dai tetti salvati all’oblio,
s’accendevano pensieri
e luci di lumi e acetilene
che tornavano a spegnersi
offesi dalle prime luci dell’alba.
Vedeva , non visto,
il mondo degli altri.
Entrava il mattino,
negli occhi aperti
di case aggrappate,
a scacciare
il calore dei corpi
7
Frittella di pasta di pane arricchita con buccia di limone grattugiata ed eventualmente con cannella.
Zuccherata dopo la frittura.
8
Cantate improvvisate e alla buona per descrivere fatti veri anche se con enfasi ed esagerazioni .
che incontravano l’oggi
coperti col vestito di ieri
che conosceva
la fatica del tempo
che insegue speranze.
9
Freno del carro costituito da un asse di legno tirato o lasciato andare, a seconda delle esigenze, imbracciando una
fune ad esso collegata.
10
Pane bagnato prima con acqua e poi con un po’ di aceto.
11
Aceto allungato con acqua.
12
Colui che evirava gli animali per renderli più forti e mansueti e per ottenerne carni più saporite.
formaggi, salumi ed altri prodotti legati all’allevamento dei maiali tenuto conto che
“dellu porcu non se butta via gnente”13.
Quel successo negli affari fu considerato, dal nonno, di buon auspicio e da
ricollegarsi agli avvenimenti del mattino.
Ogni fatto fortunato può creare due reazioni: un risentimento per il benefattore a
causa del debito di riconoscenza contratto, o la nascita di un diritto ad un possibile
ulteriore beneficio. A mio nonno, in quella circostanza, scattò quest’ultimo
sentimento... al punto che ... al ritorno ebbe, non solo il tempo, ma anche il desiderio
di passare per la torre.
La strada del ritorno gli sembrò talmente breve da non dargli il tempo per riflettere,
ma anche lunghissima, perché avrebbe voluto sciogliere il mistero al più presto.
La torre era situata in un pendio; più in basso rispetto al livello del piano stradale e
per raggiungerla occorreva lasciare asino e carretto ed inoltrarsi a piedi in uno
scatrafosso 14. Era una costruzione molto alta, con all’ingresso una porta sgangherata
leggermente sollevata dal suolo: forse, era quella originale e faceva pensare pertanto
che il manufatto fosse stato eretto più per comunicare fra un paese e l’altro che per
difendersi da eventuali assalti portati agli abitanti.
Il nonno aveva portato con sé una pala (badile) e, dopo una breve ricerca, individuò il
punto descrittogli. Incominciò a scavare, con indifferenza come se fosse solo un fatto
casuale. Si riposò e riprese. Ogni tanto si guardava intorno e vedeva gli ultimi raggi
del sole che andava a nascondersi dietro i monti amici, ma che adesso sembravano
esprimere una minaccia. La pala urtò un oggetto metallico.
Continuò a spalare con ansia mal repressa finché gli apparve una cassetta. Con le
mani pulì la parte superiore di essa fino a porre in evidenza un lucchetto di chiusura.
Volle allora sollevarla e nel fare ciò, nel muoversi per raccogliere le forze, tornò a
vedere davanti a sé, il signore distinto riapparso improvvisamente come era successo
in mattinata.
“Hai visto che c’era veramente il tesoro” gli disse. “Può essere veramente tuo ad un
patto: che alla morte, tu mi dia la tua anima”.
Il nonno tornò a spaventarsi e questa volta però temette veramente. Gli vennero alla
mente vecchie leggende e vecchie storie di diavoli e di anime. Ma non poté fare a
meno di constatare che quei misteri, ora, egli li stava vivendo in prima persona.
Guardò in alto il cielo che trascolorava, sentì le voci del silenzio del bosco e
improvvisamente gli sembrò di riascoltare anche un lontano sciabordio e il grull
della cucala15. Ricordò che qualcuno gli aveva detto che il mare dava la vita ma
13
In effetti nel maiale sgozzato e macellato, non c’è nulla da buttare: con le interiora di fanno salumi e prodotti da
affumicare, con il sangue i sanguinacci, con i peli le setole per i calzolai ecc….
14
Strada sassosa in eccessivo pendio. Dirupo.
15
Grull, da “grullare”: il verso del gabbiano chiamato cucala dai pescatori marchigiani ed abruzzesi.
anche la morte. Ripensò anche che i segni lasciati sulla battigia dalle zampe dei
gabbiani erano considerati di cattivo augurio.
Le persone e i fatti che fino a poche ore prima erano in primo piano nella sua vita, si
erano ritirate sullo sfondo fino a sbiadire. Ma ciò non gli impedì di dire a se stesso, ed
anche a voce alta, che voleva restare com’era, senza ricchezze e senza tesori... con
l’anima che gli era sempre appartenuta. L’uomo elegante restò impassibile come non
avesse ascoltato. Mio nonno ripeté con calma che non desiderava una vita diversa da
quella che lo rendeva felice. Che era soddisfatto del susseguirsi delle stagioni,
dell’aria del mattino e dei canti degli uccelli notturni.
Il tesoro gli avrebbe cambiato tutto; con la ricchezza avrebbe potuto acquistare solo
nuovi desideri e nuove invidie. Il signore capì e, forse contrariato, sparì in una
fiamma di fuoco. Il nonno si mise a correre in tutte le direzioni lasciando lì, pala e
cassetta e, in cima al sentiero, asino e carretto. Poi, sempre correndo, riuscì ad
imboccare la strada del ritorno e, giù in discesa a precipizio. Era inseguito da sassi e
pietre lanciati da qualcuno che non c’era... Corse ancora, superò un’altra piccola
polla dell’acqua e continuò a correre. Lo ritrovarono a notte fonda vicino il paese, a
terra, stravolto, con a fianco… l’asino ed il carretto. Alle domande dei suoi paesani,
non seppe rispondere. Solo più tardi riuscì a ricostruire i fatti che ben presto
avrebbero fatto il giro del suo paese e di quelli limitrofi ove era conosciuto. E pare
che in quella località dell’alta Valnerina la storia si ricordi e si racconti ancora.
Ma lì, nel nuovo paese dove ora abitavamo tutti insieme, quella storia era
sconosciuta.
Io, pertanto, avevo avuto il privilegio di avere ascoltato una vicenda piena di mistero
e direttamente dalla bocca del protagonista.
Ora che ho terminato il racconto mi viene di pensare che forse mio nonno aveva più
semplicemente costruito un abbinamento fra il recente fatto inspiegabile e le vicende
di quella misteriosa giornata, ed aveva sentito l’esigenza di condividere con qualcun
altro il peso delle sue riflessioni e delle sue incertezze. E, in quel momento, aveva
trovato solo me.
Mio zio, come avrete intuito, dopo la perfetta guarigione tornò a “primeggiare” in
quei luoghi ove, nel frattempo, erano passati soldati con il gonnellino, e negri (chi
non era bianco era considerato negro senza altre distinzioni) che mangiavano pane
bianchissimo e “sciapo” e bianchi che mangiavano pane nero e salato. Dove tutti,
comunque, avevano gustato quadratini di cioccolato e le prime scatolette di carne
conservata. Con mio zio non ho parlato mai di quei fatti. Perché mi era sembrato
essere riservati solo a me.
Mio nonno, nel nuovo paese, continuò la sua vita andando con un nuovo asino ed un
nuovo carretto del 1943, a curare le coltivazioni nelle prata di Sangnacumu16 e nella
focara17. Spesso andava anche a potare gli ulivi a Santuviaciu18 o, addirittura, ad
Arrone. Continuava anche con la sua abitudine di preparare il patalocco a colazione;
anzi, spesso ne preparava uno anche per me.
Io non ho mai visto San Giorgio, né tantomeno la torre. Ma ci andrò, se non altro per
constatare come la storia è stata tramandata, con quanta enfasi ed, eventualmente,
con quali aggiunte frutto del passare delle generazioni.
Spesso mi viene da credere che il nonno abbia voluto attenuarmi lo sconcerto della
vicenda di mio zio, vendendomi come storia propria, una leggenda del luogo.
Ma ci andrò a San Giorgio.
Ecco, adesso credo di essermi liberato, di aver abbandonato mio nonno e mio zio,
per sempre, fra le braccia di un ricordo e di averli consegnati entrambi a queste carte
con la speranza che tornino a vivere da soli, anche al di fuori di me.
Il tempo
16
I prati di San Giacomo di Spoleto.
17
La focara: un terreno poco fertile per la presenza di pietra focaia.
18
San Biagio.
Il tempo
sfoglia velocemente
le mie pagine bianche
ed io non riesco
a riempirle
distratto come sono
dal rumore
del ricordo
delle parole
che volevo scrivere.