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Le tubolature di bordo
1.1 Introduzione, 1.2 Il percorso delle tubolature, 1.3 I materiali, 1.4 La
corrosione e la scelta dei materiali, 1.5 I supporti e il dimensionamento
strutturale, 1.6 Le giunzioni, 1.7 Le valvole, 1.8 Gli azionamenti delle valvole,
1.9 Le prese e gli scarichi a mare, 1.10 I filtri, 1.11 Le casse
1.1 – Introduzione
I vari impianti che vengono predisposti a bordo della nave per il
trasferimento dei liquidi sono usualmente indicati, quando non direttamente
connessi con le operazioni delle macchine di propulsione principali, con il
termine di tubolature per i servizi di scafo (hull piping systems). La
suddivisione fra le tubolature di macchina e quelle per gli altri servizi della
nave (ovvero di scafo) non è così netta come potrebbe apparire, infatti per
esigenze di flessibilità e di economicità di installazione e manutenzione
alcuni impianti sono interconnessi, inoltre esistono impianti funzionali a
svolgere mansioni che riguardano sia il funzionamento dei motori, sia lo
spostamento di liquidi per le esigenze di sicurezza della nave, quali per
esempio l’impianto per l’olio combustibile. Una classificazione alternativa,
ma meno utile a scopi didattici, è quella che propone di indicare come
impianti di bordo tutti quelli che non fanno capo a macchinari collocati nella
sala macchine. Si rammenta infine che con il termine tubolature o tubazioni
si indicano gli impianti che convogliano liquidi, mentre con il termine
condotte ci si riferisce usualmente ai sistemi di distribuzione dell’aria.
Ciascuno di questi impianti è composto sommariamente da una condotta
di aspirazione, una o più pompe ed una condotta di mandata, oltre
naturalmente ai depositi o agli utenti che si trovano alle estremità. Tali
impianti formano una complessa rete di tubazioni che percorrono l’intera
nave convogliando vapore, acqua, olio combustibile per i più diversi servizi:
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1.3 – I materiali
I materiali delle linee (tubi, pompe e accessori) devono essere selezionati
considerando diversi fattori, quali la robustezza nei confronti dei carichi
trasmessi e dei carichi accidentali, ovvero la capacità di mantenere
un’opportuna resistenza meccanica (tensione di rottura, allungamento
percentuale, durezza, resistenza all’impatto) anche a basse o alte temperature
(nei confronti della fragilità e del fenomeno del creep), il peso, la resistenza
alla corrosione, all’erosione ed alla cavitazione, e non da ultime la
compatibilità con le condizioni del processo elaborato dall’impianto e la
predisposizione a rimanere inerte senza contaminare il fluido.
Fattori sempre determinanti nella scelta del materiale sono poi la durata
e la facilità di effettuare collegamenti per saldatura ossia, in una sola parola,
i costi di installazione e di manutenzione. Si osservi infatti che la possibilità
di operare interventi di manutenzione, anche di emergenza, con il personale
di bordo è un fattore importante nella scelta di un materiale.
I metalli associano ad una buona resistenza dei costi non elevati e per
questo motivo vengono usualmente impiegati per i diversi tipi di tubolature
di bordo: si tratta di acciai al carbonio o legati con cromo e nichel, di ghise,
di leghe di rame e leghe di nichel. Alcuni particolari metalli sono usati solo
per i componenti più preziosi di impianti per il trattamento di sostanze
chimiche molto aggressive (titanio), altri invece per singoli elementi
costruttivi di pompe o valvole. Infine, trovano applicazione anche i materiali
plastici e quelli ceramici.
L’acciaio al carbonio o al carbonio−manganese è il più utilizzato
quando non intervengono esigenze particolari di resistenza meccanica o
chimica, molto spesso la scelta cade sull’acciaio dolce (mild steel) ma si
usano anche acciai ad elevata resistenza soprattutto quando è previsto
l’impiego a temperature maggiori di quella ambiente. La produzione di tubi
si effettua con diversi metodi, dalla trafilatura, all’estrusione, alla
laminazione con laminatoi obliqui: dal metodo di produzione deriva una
diversificazione delle caratteristiche meccaniche (in genere i migliori
prodotti sono quelli di laminatoio).
La ghisa è particolarmente adatta per la produzione in getto e si usa per
le casse delle pompe e degli accessori di tubolatura, essa però si presta anche
alla fabbricazione di tubi, soprattutto per la predisposizione alla lavorazione
in colata ottenendo tubi, anche di grandi dimensioni, senza saldature. A
confronto con l’acciaio, essa da un lato garantisce una migliore resistenza
alla corrosione, in quanto sulla superficie si forma uno strato protettivo di
grafite, ma la resistenza a corrosione in flusso di fluido non è buona poiché il
film protettivo è spesso e poroso e può essere trascinato dalla corrente.
Dall’altro l’alto, il contenuto di carbonio fa si che si manifestino
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CARATTERISTICHE
MATERIALE
tensione di temperatura resistenza alla
rottura [Mpa] massima [°C] corrosione
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acciai al carbonio e
<1,0 bassa
acciai bassolegati
ghise buona ma a basse velocità
<1,0
(problemi di erosione)
acciai inox problemi di pitting (non per gli
7,0
acciai super inossidabili)
rame e sue leghe 1,0 problemi di pitting e di erosione
bronzo di alluminio 2,5 problemi di pitting
cupronichel 3,0÷3,5 alta
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Tali supporti non devono essere troppo lontani per non dover sottostare
ad eccessivi carichi statici o inerziali, per non far cedere il tubo sotto il peso
proprio e le forze indotte dal fluido trasportato (a tale riguardo si devono
controllare anche le frecce massime per non rischiare la formazione di
sacche di gas) e per non permettere al tubo spostamenti tali da causare
l’interferenza con strutture o macchinari. Inoltre essi non devono essere
troppo vicini per non rischiare di trasmettere eccessivi carichi alla condotta
nel caso di un cedimento. Va aggiunto che con l’allontanamento dei vincoli
si può controllare la frequenza propria del tubo, che deve essere lontana da
quelle delle vibrazioni indotte dal macchinario.
Tutte le condotte devono perciò possedere una adeguata cedevolezza,
sia flessionale che torsionale, in modo da assorbire correttamente e senza
danno le forze trasmesse dai supporti in seguito al movimento degli stessi
causato dal cedimento delle strutture di sostegno.
A ciò si aggiunge che si possono verificare variazioni dimensionali
generate da dilatazioni termiche del tubo, con conseguente insorgenza di
sollecitazioni se queste dilatazioni sono impedite. Il controllo di queste
ultime si effettua con compensatori di dilatazione che vengono realizzati in
pratica tramite deviazioni di espansione: ciò consiste nel deviare il percorso
del tubo fra gli ancoraggi in modo che la dilatazione termica assiale si sfoghi
in una flessione (e anche una torsione nel caso di percorsi non piani), si tratta
perciò di una auto–compensazione della dilatazione termica. Se tale via non
risulta percorribile a causa della mancanza di spazio, oppure non risulta
economicamente conveniente per gli eccessivi aumenti di resistenza
idraulica che le deviazioni comportano, diviene necessario corredare la linea
di elementi espressamente destinati a questa funzione: i giunti di espansione
a soffietto, a cannocchiale, oppure ancora con un manicotto tenuto in
posizione da collari fissati ai tubi. Contro questa soluzione gioca il fatto che
in questo modo si introducono punti critici nella condotta che devono essere
tenuti sotto controllo con periodica manutenzione.
Per contenere le tensioni che si possono generare sul tubo stesso (e sugli
eventuali giunti di estremità o macchinari ai quali esso è collegato), va
effettuato il controllo della cedevolezza della condotta fra due supporti
considerando il tubo come una trave appoggiata o incastrata agli ancoraggi
sulla quale matura un carico indotto dal cedimento anelastico di un
ancoraggio e dalla dilatazione termica assiale impedita.
Per effetto del vincolo che impedisce la dilatazione termica nasce una
tensione proporzionale proprio al cedimento impedito ΔL = α L ΔT [m],
dove α [°C-1] è il coefficiente di dilatazione termica lineare (per l’acciaio
vale 1,2·10-5 °C-1 nel campo compreso fra 0 °C e 100 °C), L [m] è la
lunghezza del tubo fra i supporti e ΔT [K] è la variazione di temperatura
misurata rispetto all’istante del fissaggio.
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dove t [m] è lo spessore della parete del tubo (tale relazione vale per rapporti
fra spessore e diametro minori di 0,10) e p [Pa] è la pressione di progetto
(progetto net scantling).
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1.5 – Le giunzioni
Per quanto riguarda la costruzione della linea, i tubi – disponibili con
lunghezze commerciali comprese fra i 4 e gli 8 metri – vanno piegati per
adattarsi al percorso geometrico stabilito e quindi congiunti in maniera
opportuna. In campo navale la giunzione fra i tronchi e con gli accessori in
linea si realizza in vari sistemi, ma essenzialmente si tratta di saldatura o di
flangiatura (o sistema equivalente): nel primo sistema la giunzione non
occupa spazio e la tenuta è perfetta e permanente, mentre il secondo sistema
garantisce la separabilità a fronte di costi considerevolmente maggiori.
Un’efficace alternativa è costituita dalle giunzioni del tipo “Union”, in cui
un collare filettato si avvita su un’estremità ed imprigiona l’altra estremità
svasata.
La saldatura si effettua direttamente sui tubi da unire, oppure tramite
l’interposizione di un manicotto (per piccoli spessori, utile negli interventi di
manutenzione). Nelle zone in cui l’uso di fiamma deve essere limitato (per
manutenzioni effettuate per esempio nelle cisterne di navi petroliere) i
materiali dei tubi devono prestarsi a tecniche di saldo–brasatura.
Per quanto riguarda la flangiatura, esistono diversi tipi di flange
unificate: saldate di testa (adatte per alte pressioni in quanto garantiscono
alta resistenza meccanica) oppure saldate sul collare, filettate, mandrinate e a
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1.6 – Le valvole
Il movimento dei fluidi viene controllato mediante valvole di varie forme e
caratteristiche, inserite lungo le tubazioni. Esse costituiscono dei passaggi
obbligati la cui apertura può essere aggiustata in maniera da realizzare
determinate condizioni di deflusso.
Le valvole, in relazione alla loro funzione possono essere distinte in
quattro fondamentali categorie:
• valvole di intercettazione (isolating valves) – hanno la funzione di
ammettere o escludere il movimento dei fluidi, vengono perciò
utilizzate per sezionare le linee in relazione più ad esigenze di
sicurezza, di manutenzione e di servizio che di processo (sono valvole
comandate);
• valvole di ritegno (chek o reflux valves) – evitano il ritorno dei fluidi
lungo le tubazioni in occasione di possibili inversioni del gradiente di
spinta (sono valvole automatiche);
• valvole di sfiato (relief valves) – hanno lo scopo di proteggere le
tubazioni e le apparecchiature dalle sollecitazioni dovute a pressioni o
depressioni interne eccessive rispetto a quelle di progetto (sono valvole
automatiche);
• valvole di regolazione (regulators e control valves) – la funzione di
queste valvole è quella di permettere la variazione graduale ed
uniforme delle condizioni di deflusso, in tutto il campo compreso fra la
massima apertura e la chiusura totale (possono essere automatiche o
comandate).
In tutte le valvole è possibile riconoscere gli stessi elementi costruttivi
fondamentali: il corpo (in genere flangiato) è l’involucro nel quale sono
ricavate le luci di passaggio per il fluido; l’otturatore, che costituisce la parte
mobile il cui spostamento permette di aprire e chiudere o di variare la
sezione di passaggio; la sede di contatto con l’otturatore. L’otturatore ha un
funzionamento automatico nella valvole di ritegno, di sfiato e nei
“regulators”, mentre nelle altre (regolazione e intercettazione) è controllato
da uno stelo che ne permette la manovra manuale o mediante servomotori
idraulici o pneumatici.
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due sedi di tenuta anulari parallele alla facce. La tenuta migliore si realizza
quando la madrevite è ricavata nello spessore dell’otturatore e quindi lo stelo
non scorre assialmente. A bordo vengono usate per sezionamenti, anche
comandati, di condotte in cui deve essere garantita una certa affidabilità di
servizio, per esempio in sistemi con prese a mare, infatti la corrosione delle
facce a contatto con l’acqua non riduce la capacità di tenuta della valvola
(garantita anche dalla pressione su uno dei lati).
L’azionamento viene realizzato con un solenoide, oppure un pistone
idraulico o pneumatico disposto con l’asse coincidente con quello dello
stelo. Le valvole a farfalla sono mosse in questo modo tramite uno stelo con
camma, oppure per mezzo di un leverismo al quale è collegato un azionatore
disposto parallelamente allo stelo.
La scelta di una valvola di sezionamento viene fatta considerando il
numero di cicli di apertura e chiusura (resistenza alla fatica), la velocità di
apertura o chiusura che si desidera ottenere nel controllo del processo
(inerzia dell’equipaggio), le variazioni di temperatura che intercorrono nel
processo una volta che viene manovrata (materiali), la possibilità di
cambiare le tenute quando è operativa (configurazione). Per quanto riguarda
l’installazione, le valvole di sezionamento devono essere collocate in modo
da essere facilmente ispezionabili, su supporti opportunamente robusti
(possono essere infatti di grandi dimensioni e quindi estremamente pesanti)
ed in modo da ridurre al massimo le turbolenze indotte dalla loro presenza.
Le valvole di intercettazione possono essere anche usate per scopi di
regolazione, ottenendo però una regolazione approssimativa perché gli
otturatori non sono disegnati per operare un controllo con uniformità e
precisione.
Le valvole di ritegno, dette anche “di non ritorno”, sono valvole
automatiche (self–powered) essenzialmente di due tipi:
• a battente,
• a pistone o a sfera.
Nelle valvole a battente l’otturatore è un piattello piano a battente, che
viene sollevato dal fluido quando questo si muove nella direzione consentita
e premuto contro la sede in caso contrario – il battente deve chiudersi per
gravità. Le valvole a sfera o a pistone sono costituite da un equipaggio
mobile che viene spinto o allontanato dalla propria sede muovendosi nella
direzione del flusso sotto l’azione della pressione del fluido. Per rendere più
veloce il movimento di chiusura viene anche posta una molla che lavora in
parallelo con la pressione esercitata dal flusso durante la chiusura. Alcune
hanno struttura simile a quella delle valvole a disco ma ovviamente senza
elementi di controllo.
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le basse potenze sono usati anche i sistemi elettrici, che però vengono
considerati meno affidabili in ambiente marino.
In generale, i sistemi di comando ed azionamento possono essere
classificati come:
• elettrici (ossia elettro−meccanici),
• elettro−pneumatici ed elettro−idraulici,
• pneumatici,
• idraulici.
I sistemi più usati sono quelli in cui la trasmissione dei segnali avviene
per via elettrica con trasmissione digitale del segnale. In essi l’asservimento
si realizza in genere con trasduttori che controllano la posizione raggiunta
dallo stelo e mandano un segnale ad un circuito logico che lo confronta con
il segnale di comando e fa partire infine il comando per l’azionamento di una
valvola di distribuzione per bloccare la corsa dell’attuatore (si veda per i
confronti la Tab. 1.7.A).
CARATTERISTICHE PECULIARI
TIPOLOGIA
velocità rigidezza forza
elettrico
molto bassa alta da bassa ad alta
(elettro–meccanico)
da bassa a da media ad
elettro–pneumatico da bassa ad alta
media alta
da bassa a da media ad da bassa a
elettro–idraulico
molto alta alta molto alta
pneumatico a
bassa bassa da bassa ad alta
diaframma
pneumatico o da media a da media ad da bassa a
idraulico a pistone molto alta alta molto alta
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Kingston). Alle spalle si trova un filtro e, per la pulizia del filtro, un’ulteriore
valvola sezionatrice, per esempio del tipo a saracinesca.
Gli scarichi a mare avvengono in genere al massimo sotto piccoli
battenti e sono di più semplice configurazione. Essi consistono in un tubo, di
spessore rinforzato, che termina a filo della carena su un fasciame
localmente irrobustito. Alle spalle, tranne nel caso di drenaggi dai ponti
superiori a quello di bordo libero, deve essere presente una valvola
sezionatrice e quindi una di ritegno (riunite anche in un unico corpo). Il RINA
definisce le modalità di costruzione di tutti gli scarichi a mare.
1.9 – I filtri
Un accenno va fatto anche ai filtri che costituiscono parte integrante delle
condotte. Si tratta di semplici dispositivi di filtrazione inseriti in linea con le
tubazioni, con o senza by–pass, con lo scopo di contenere le particelle solide
trascinate dai fluidi, sia proprie dei fluidi (acqua di mare), sia per
sgretolamento delle tubazioni, la cui presenza è nociva per rischi di
occlusione delle linee e per l’azione abrasiva.
I filtri sono in linea con la condotta (a cartuccia) oppure, quelli di
dimensioni maggiori adatti per i liquidi più inquinati, in una cassa disposta
ad interrompere la condotta (a paniere). L’elemento filtrante è costituito da
una rete metallica, con maglie dell’ordine del decimo di millimetro o, nel
caso dei mud box usati alle prese a mare, da una lamiera forata (fori del
diametro di qualche millimetro, usualmente 10÷15 mm).
1.10 – Le casse
Una condotta può far capo ad una cassa, in tal caso deve essere dotata di un
diffusore per ridurre le perdite di carico in aspirazione ed in mandata. Poiché
inoltre la stessa condotta può essere utilizzata per la mandata e per
l’aspirazione, l’estremità è opportuno che venga posizionata nella parte più
bassa della cassa da servire, possibilmente in un pozzetto, ed eventualmente
con due diramazioni, una vicina alla paratia di prora ed una vicina a quella di
poppa.
La sezione terminale della bocca di aspirazione viene detta campana ed
è conveniente, per imprimere al fluido un’accelerazione più omogenea, che,
detto d il diametro della condotta, la sua sezione massima abbia un diametro
di almeno 1.5 d e sia posta ad una distanza dal fondo pari ad almeno 0.5 d, in
modo da ottenere una sezione di imbocco (corona cilindrica) di area almeno
tripla rispetto a quella della condotta (si consigliano velocità all’imbocco
non superiori a 3 m/s).
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