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Temi di discussione

CRISTOFORO SERGIO B ERTUGLIA, FRANCO VAIO La prospettiva


della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale - G IUSEPPE R OMA Mega-cities e comprensori di eccellenza: le politiche urbane in Italia - VITTORIO FERRI Le citt metropolitane in Italia. Unistituzione del federalismo - E NZO R ULLANI Lo sviluppo del territorio: levoluzione dei distretti industriali e il nuovo ruolo delle reti di citt

PAOLO SAVONA Caritas in veritate, il manifesto papale per lo sviluppo globale - VINCENZO PAGLIA La giusta mercede. Spunti di riflessione
a partire dalla Enciclica Caritas in veritate

La prospettiva della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale

Cristoforo Sergio Bertuglia* e Franco Vaio**


*Gi professore ordinario di Pianificazione del territorio, al Politecnico di Torino; cristoforo_sergio_bertuglia@yahoo.it **Gi professore a contratto di Modelli matematici per le applicazioni, al Politecnico di Torino; francovaio@yahoo.it

La complessit, intesa come propriet dei sistemi, dagli anni Settanta diventata oggetto di studio comune alle numerose discipline scientifiche che condividono la consapevolezza che lapproccio riduzionista alla descrizione dei fenomeni non sempre efficace. Descrivere le parti di un sistema singolarmente e assemblare le descrizioni in una descrizione complessiva non consente di cogliere i fenomeni emergenti che originano dalle interazioni non lineari fra le parti n di identificare la dinamica endogena dei sistemi complessi in disequilibrio, allorigine di fenomeni di autoorganizzazione a priori imprevedibili. I sistemi economici appaiono seguire dinamiche complesse e fra questi in particolare i sistemi caratterizzati dalla dimensione spaziale, come i sistemi urbani e regionali. Il quadro interpretativo della complessit propone una nuova concezione dellagente economico allorigine delle dinamiche non lineari osservate, e mira a modelli che integrino quelli delleconomia marginalista fondata sul postulato dellhomo oeconomicus. In questo lavoro presentiamo la prospettiva della complessit nei sistemi economico-spaziali, tipico caso di sistemi complessi a molte dimensioni, e discutiamo i fondamenti del quadro interpretativo della complessit nei sistemi economici in generale.

Introduzione
A partire grosso modo dagli anni Settanta del Novecento, un interesse crescente si rivolto verso ambiti di ricerca nuovi che condividono il fatto che i loro oggetti di studio sono sistemi che non si prestano allapproccio riduzionista, il quale consiste nello spezzettamen307

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to dei fenomeni in parti, nella descrizione delle parti isolate e nel successivo assemblaggio delle singole descrizioni in una descrizione unica. Nei sistemi del nuovo tipo, i collegamenti di ciascuna parte con le altre (tutte o alcune) sono troppo complicati per poter essere descritti con equazioni di facile definizione e di facile risoluzione, se non addirittura troppo complicati o troppo nascosti per poter essere identificati e isolati. I sistemi di questo nuovo tipo, i sistemi complessi, sono loggetto di studio della complessit. La complessit dei sistemi come propriet in s diventata un oggetto di studio comune alle discipline nelle quali si riconosce, alla base della fenomenologia, la presenza di sistemi complessi, nei quali le parti non possono essere isolate dal sistema cui appartengono senza che sia il loro funzionamento individuale sia quello complessivo del sistema ne vengano stravolti o addirittura cessino del tutto. Un tipico ambito in cui lapproccio fondato sulla complessit sta riscuotendo grande interesse costituito dalle scienze sociali e, fra queste, in particolare leconomia (la lista dei riferimenti sul tema generale della complessit in economia a dir poco sterminata; ne citiamo solo alcuni, presi fra i pi significativi: Anderson P.W., Arrow e Pines, eds., 1988; Arthur, Durlauf e Lane, eds., 1997; Barkley Rosser e Cramer, eds., 2004; Blume e Durlauf, eds., 2006; Lane, Pumain, van der Leeuw e West, eds., 2009). Nel presente lavoro intendiamo presentare gli elementi che maggiormente caratterizzano lapproccio della complessit nello studio della dinamica dei sistemi urbani e regionali e, pi in generale, dei sistemi economici. Il lavoro strutturato come segue. Paragrafo 1. Discuteremo alcune applicazioni della complessit ai sistemi urbani e regionali, le quali permetteranno al lettore che abbia interessi operativi di trovarsi subito sul terreno che gli pi congeniale; nel fare ci, ci affideremo allintuizione per la comprensione dei meccanismi della complessit a livello teorico. Paragrafo 2. Presenteremo gli elementi dellapparato teorico appropriato, utili per una migliore comprensione dei fondamenti della complessit in economia.
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La prospettiva della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale

1. Lo studio dei sistemi urbani e regionali nella prospettiva della complessit


1.1 Organizzazione spontanea nei sistemi sociali. La natura intrinsecamente spaziale delle scienze regionali1 rende questo settore di studi un tipico ambito di applicazione di un nuovo approccio sviluppatosi trasversalmente a numerose aree disciplinari negli ultimi quarantanni circa: lapproccio della complessit. In questo approccio, come si dir meglio nel paragrafo 2. discutendolo pi a fondo, i fenomeni di organizzazione che si manifestano su un territorio sono interpretabili come fenomeni emergenti, cio come fenomeni di organizzazione spontanea (o autoorganizzazione) originati dal basso, senza alcuna programmazione esterna o in generale preventiva, esclusivamente a seguito delle interazioni fra individui in quanto insediati sul territorio (su questo punto torneremo pi a fondo nei sottoparagrafi 2.2 e 2.3); individui visti, a loro volta, come entit che scelgono e agiscono autonomamente, visti cio come agenti eterogenei, come diremo meglio nel sottoparagrafo 2.2 (si vedano ad esempio: Krugman, 1996; Reggiani, ed., 2000; Fujita, Krugman e Venables, 2001). Uno fra i primi modelli elaborati lungo questa linea, che appare particolarmente originale sotto il punto di vista della complessit, fu elaborato da Thomas Schelling, insignito del premio Nobel per leconomia nel 2005 per i suoi studi sulla teoria dei giochi, e fu discusso in alcuni lavori che rimangono una pietra miliare nello studio della modellizzazio1 Le scienze regionali costituiscono il settore delle scienze della societ che studia i problemi specifici delle aree geografiche, includendo in queste le aree urbane e le aree di altro tipo, genericamente dette aree regionali. Fra i temi principali affrontati dalle scienze regionali, si possono indicare la teoria e la modellizzazione della localizzazione delle residenze e dei posti di lavoro, dei trasporti di persone e merci, delluso del suolo, dello sviluppo urbano. Nelle scienze regionali si studiano pertanto problemi sociali ed economici che hanno a che fare con il territorio, inteso come spazio fisico, la popolazione che vi risiede e le imprese che vi operano. Le scienze regionali rientrano nel pi ampio contesto delleconomia spaziale, la quale si occupa dellallocazione nello spazio di risorse limitate e della localizzazione delle attivit economiche. Il suo ambito pu essere ampio o ristretto: da una parte, pu estendersi a tutto ci che concerne leconomia in generale e, dallaltra, pu concentrarsi anche solo sulla scelta localizzativa, che uno dei numerosi problemi di scelta in economia.

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ne dei fenomeni emergenti derivati da interazioni locali di carattere sociale (Schelling, 1969, 1971, 1978). Linteresse per il cosiddetto modello di segregazione di Schelling tuttora vivo: tale modello della dinamica sociale ancora oggetto di ricerche e studi (fra i tanti studi recenti a riguardo si vedano ad esempio: Bruch e Mare, 2006; Vinkovic e Kirman, 2006; Fagiolo, Valente e Vriend, 2007; Pancs e Vriend, 2007; Crooks, 2008; Benenson, Hatna e Or, 2009). Schelling rilev una forma di struttura emergente presente nelle citt americane: la dinamica della popolazione portava alla comparsa di una segregazione razziale che confinava persone di colore in aree-ghetto; la segregazione si formava anche quando i singoli individui residenti nellarea urbana considerata non erano di convinzioni personali radicalmente razziste. Schelling osservava, in particolare, che la mappa demografica di quasi tutte le aree metropolitane americane suggerisce che frequentemente si trovano aree abitate solo da bianchi o quasi, e aree abitate solo da neri o quasi, ma che difficile trovare aree miste in cui n i soli bianchi n i soli neri superano i tre quarti circa del totale della popolazione (Schelling, 1969, p. 488, nostra traduzione). Schelling costru un modello molto ingegnoso nella concezione, pur essendo tecnicamente piuttosto semplice, con il quale pervenne a conclusioni originali e di cruciale importanza. La prima conclusione, apparentemente banale, era che la segregazione nasce quando ciascun individuo preferisce non avere troppi vicini di casa diversi da s. La seconda conclusione era che anche deboli preferenze individuali riguardo al colore dei propri vicini possono condurre, per quanto siano deboli, a un elevato grado di segregazione; cio che strutture urbane integrate, nelle quali le distribuzioni dei colori degli individui siano uniformi, costituiscono in realt uno stato di equilibrio instabile di fronte a perturbazioni casuali delle distribuzioni territoriali del colore degli individui. La terza conclusione era che quartieri segregati di grande estensione emergono anche quando le preferenze degli individui hanno un carattere strettamente locale, nel senso che gli individui si interessano soltanto ai propri vicini immediati. Quanto da ultimo evidenzia un tema tipico della complessit: interazioni locali, di breve raggio dazione, possono creare strutture di ampia scala.
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Schelling dimostr, in sostanza, lautoorganizzazione endogena del sistema sociale, cio la correttezza dellidea secondo la quale linterazione fra le scelte individuali porta a risultati organizzati di carattere collettivo che non sono in stretta relazione con le intenzioni individuali. Infatti, nel modello nessun individuo pensa dirigisticamente a instaurare una segregazione organizzata, e in relazione a ci il sistema urbano inizialmente disorganizzato. Schelling mostr, quindi, che linterazione fra le scelte degli individui allorigine della formazione di veri e propri ghetti nelle citt, anche se le opinioni dei singoli individui non sono, di per s, radicalmente razziste. La formazione dei ghetti , in altre parole, un caso di fenomeno emergente in un sistema complesso, che si manifesta come un processo di autoorganizzazione delle scelte localizzative degli individui, e che si genera anche se le convinzioni individuali in ordine alla scelta della localizzazione della propria abitazione in prossimit di persone che hanno lo stesso colore sono solo di debole preferenza. Il modello di Schelling non era un modello dinamico scritto sotto forma di un sistema di equazioni differenziali o di equazioni alle differenze finite come, allepoca, la grande maggioranza dei modelli matematici della fisica e delleconomia. Sostanzialmente, si trattava di un automa cellulare bidimensionale, in cui la superficie del territorio considerato era divisa in celle quadrate, pi o meno come in una grande scacchiera. Al massimo un solo individuo (o un nucleo familiare identificato con lindividuo di riferimento) risiedeva in una cella, ciascuna cella poteva essere vacante oppure in uno stato che era identificato dal colore dellindividuo che vi risiedeva. Ogni cella della scacchiera che non confinava con il bordo del territorio considerato toccava, con un lato o con un vertice, otto celle: ciascun individuo (o nucleo familiare) poteva cos avere da zero (celle confinanti tutte disabitate) a otto (celle confinanti tutte abitate) vicini immediati. Un individuo era contento o scontento della propria localizzazione secondo il numero dei vicini immediati, vale a dire gli abitanti delle sole otto celle direttamente confinanti (corto raggio dazione dellinterazione), del suo stesso colore rispetto al numero totale dei vicini immediati. Se accadeva che, durante levoluzione del sistema, il residente in una cella, a un dato tempo, non era soddisfatto
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dei propri vicini perch troppi di loro erano di colore diverso dal suo, allora egli, nel tempo successivo, si trasferiva in una nuova localizzazione, trovata nella cella vacante pi vicina. Le preferenze degli individui non esprimevano tanto il piacere di avere vicini dello stesso colore, quanto invece la volont di non rimanere isolati fra individui di un altro colore (se si vuole, la paura di rimanere isolati). Si possono immaginare regole differenti per stabilire quando, per un individuo, scatta la scelta di trasferirsi in unaltra cella (cio la rilocalizzazione). Schelling adott la regola seguente. Un individuo con un solo vicino si trasferisce se questultimo di colore diverso dal suo; un individuo che ha due vicini si accontenta di uno del proprio colore per non trasferirsi; un individuo che ha da tre a cinque vicini si accontenta di due del proprio colore, altrimenti si trasferisce; un individuo che ha da sei a otto vicini si accontenta di tre del proprio colore. Ciascun individuo insomma richiede che almeno il 37% dei propri vicini sia come lui. Ogni individuo che sceglie una nuova localizzazione influenza sia lhabitat che abbandona sia quello in cui si inserisce, e provoca cos, a sua volta, una serie di variazioni nelle preferenze sia dei vecchi sia dei nuovi vicini. In questo modo si innesca una reazione a catena di rilocalizzazioni, che pu portare a risultati sorprendenti. Data una configurazione iniziale del modello nella quale i due colori sono distribuiti sul territorio considerato in modo casuale, assegnando il colore a ciascuna cella con la stessa probabilit per un colore o per laltro, si osserva che gi dopo poche iterazioni emerge un evidente schema di segregazione: le celle di un colore si aggregano in vasti gruppi omogenei, cos come le celle dellaltro colore (Figura 1). Il sistema, prevede il modello, evolve verso la formazione di raggruppamenti macroscopici di celle di un colore e di celle dellaltro colore (con la formazione di ghetti), compiendo, come chiamata in fisica, una vera e propria transizione di fase, che si manifesta come un fenomeno emergente. Il sistema si comporta dunque come se, partendo da uno stato disordinato, nel quale le popolazioni dei due colori sono disperse sul territorio e mescolate fra loro, grosso modo con omogeneit, e operando una transizione di fase, si portasse verso una cristallizzazione in uno stato
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FIGURA 1: Il modello di Schelling: iniziando da una distribuzione casuale di celle, a seguito della presenza di disomogeneit locali il sistema evolve verso la segregazione

Fonte: Batty, 2008.

ordinato di equilibrio stabile. Lo stato iniziale in cui i colori delle celle sono assegnati casualmente come detto (Figura 1, a sinistra), non uno stato di equilibrio. Lasciato evolvere, il sistema in disequilibrio si porta spontaneamente verso una configurazione di stabilit: quella data dalla segregazione. Transizioni di fase di questo genere, frequenti nei sistemi studiati dalla fisica, sono caratteristiche tipiche dei sistemi complessi adattivi. Se si assegna lo stato iniziale del sistema attribuendo i colori alle celle come quelli di una scacchiera, con le celle di un colore alternate a quelle dellaltro colore, sia nelle righe sia nelle colonne, allora, in questo caso, si ha uno stato di equilibrio. Si tratta di un equilibrio instabile, il quale, in s, non capace di dare origine ad alcuna evoluzione: tutti gli individui restano dove si trovano. interessante, ora, osservare che se nella scacchiera delle celle cos definita si introducono poche perturbazioni localizzate, cambiando il colore solo di un piccolo numero di celle disperse qua e l, ci agisce come una sorta di spinta gentile (nudge, come la chiamano Thaler e Sunstein, 2008), un pungolo che smuove il sistema dallequilibrio instabile, ma non lo indirizza verso unevoluzione predefinita. Il sistema non pi in equilibrio, e il model313

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lo mostra che il disequilibrio introdotto tale da scatenare la dinamica delle rilocalizzazioni che porta alla segregazione (Figura 2).
FIGURA 2: Il modello di Schelling: iniziando da una distribuzione uniforme di celle, in cui vengono introdotte poche sporadiche perturbazioni localizzate, il sistema evolve verso una completa segregazione

Fonte: Batty, 2008.

Il modello di Schelling mostra molte caratteristiche dei sistemi complessi, ed proprio in questo il suo interesse. Prima fra tutte, vi proprio lidea che esistono equilibri fragili, stati di equilibrio instabile nei quali il sistema pu venirsi a trovare. Se questi equilibri sono perturbati, il sistema si sposta rapidamente e spontaneamente, cio senza interventi esterni, verso un altro equilibrio. Tutto ci, trasferito al mondo reale, si traduce nella comparsa della segregazione nelle aree urbane: il fatto che individui dello stesso colore formino dei raggruppamenti omogenei emerge anche se gli individui, presi singolarmente, non rifiutano per principio di vivere in un ambiente integrato. Anche quando gli individui sono tolleranti e quindi accettano di vivere in una struttura integrata, questa instabile e, malgrado la tolleranza generale, gli individui, liberi di decidere autonomamente, finiscono comunque per dare origine a una segregazione spaziale quasi completa; e anche se a loro interessano solo i vicini pi prossimi, lintera area si struttura in poche ampie parti separate, stabili, in cui i colori sono distinti.
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Esempi di schemi persistenti di interazione del tipo delle strutture che si formano nel modello di Schelling non sono rari nei sistemi sociali. Anche i distretti industriali e i sistemi urbani, ad esempio, sono sottoinsiemi di sistemi socioeconomici nei quali le interazioni fra gli individui, visti come agenti autonomi (si veda il paragrafo 2), sono cos strette da formare delle sorte di isole nel sistema, le quali, a loro volta, possono comportarsi esse stesse come individui-agenti, di fronte a perturbazioni provenienti da altre aree del sistema cui appartengono. evidente che non si pu assumere che lautoorganizzazione, in quanto tale, di un sistema porti necessariamente a un risultato che, valutato nel contesto specifico delle scienze sociali, appaia necessariamente auspicabile. Talora, come nel caso del modello di segregazione di Schelling, il risultato dellautoorganizzazione pu essere considerato negativo sul piano dei benefici sociali che esso comporta. Lasciando da parte i sistemi delle scienze della natura, dove valutazioni di questo genere non sono pertinenti, un pregiudizio pensare che lordine spontaneo e autoorganizzativo sia necessariamente una buona cosa a fronte dellequilibrio instabile da cui origina. In campo sociale, autoorganizzazione significa solo questo: tutti gli individui-agenti scelgono e operano in modo, almeno parzialmente, coordinato, con un coordinamento che nasce dal basso, non imposto dallesterno o da un agente a tutti gli altri. In genere, non una situazione desiderabile n utile quella che si produce, ad esempio, quando tutti insieme fanno la stessa cosa per una moda sociale, un passaparola o un sentiment eccessivamente condiviso. Se, ad esempio, gli individui-agenti a un certo punto si coordinano e quasi tutti insieme decidono di vendere titoli azionari in un mercato, anche in assenza di una causa riconducibile ai fondamentali delleconomia che giustifichi razionalmente la decisione, ma solo per una sensazione che si diffonde fra gli individui-agenti, allora il mercato che prima era disorganizzato, in equilibrio instabile fra offerte di vendita e domande di acquisto, si autoorganizza. Quasi tutti allora vogliono vendere ai pochi che acquistano a prezzi sempre pi bassi, e il mercato crolla.

1.2 Processi evolutivi bottom up nei sistemi urbani e regionali. La pianificazione urbana e regionale, come molte aree disciplinari e profes315

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sionali, ha sviluppato il proprio specifico approccio sistemico come base per la ricerca e le applicazioni. In questo contesto, i sistemi erano concepiti, da molti anni, come composti da una rete di sottosistemi collegati da interazioni di vario tipo, raggruppabili in sottosistemi pi ampi ordinati gerarchicamente. Secondo questa concezione, i processi attivi fra i sottosistemi mantenevano lequilibrio, e un controllore del sistema aveva il compito di coordinare il funzionamento generale e di guidare il sistema verso obiettivi predefiniti. Proprio lidea che i sistemi possano essere controllati e guidati verso certi obiettivi stata la chiave interpretativa della pianificazione urbana e regionale negli anni Cinquanta e Sessanta, quando i problemi legati alla crescita impetuosa della popolazione urbana e al manifestarsi di molte forme di congestione da un lato e di abbandono di risorse dallaltro, cominciarono a porsi con drammatica evidenza in molte aree statunitensi ed europee. La giornalista e studiosa americana Jane Jacobs, gi nel suo celeberrimo libro Death and Life of Great American Cities, del 1961, argomentava, controcorrente rispetto alle concezioni dominanti allepoca, che il modo meccanicistico secondo cui era concepito e pianificato il funzionamento delle citt era in antitesi a quellidea di diversit e di differenziazione che essenziale per rendere le citt delle entit vive e vibranti. La Jacobs sosteneva che la pianificazione urbana, cos come veniva praticata dopo la fine della seconda guerra mondiale, annientava lanimata, esuberante e vitale eterogeneit di cui improntata la vita urbana e che concorre a rendere le citt dei luoghi non solo vivibili, ma segnatamente gradevoli. Argomentava in particolare che le citt non dovevano essere viste come sistemi disorganizzati da organizzare in modo dirigistico, omologandole rispetto a schemi predefiniti, e che i problemi delle citt dovevano essere affrontati come problemi (si dir in anni successivi) di complessit organizzata, analogamente a come si fa nelle scienze della vita. Pensare i sistemi urbani come sistemi che devono essere in equilibrio e intendere la pianificazione come un controllo che mira a riportare il sistema allequilibrio, qualora questo venisse rotto da cause di qualsiasi natura, apparve sempre pi chiaramente in conflitto con leterogeneit, linnovazione e la competizione che sempre pi vennero rico316

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nosciute essere le chiavi della vitalit e della vivibilit delle citt. Apparve altres chiaro, negli anni successivi, che se si fosse continuato a procedere secondo quella linea, le aree urbane sarebbero ulteriormente scivolate lungo la china che le avrebbe fatte diventare luoghi sempre meno attraenti, spenti, con scadente qualit di vita. Nelle discipline che vertono sulle aree urbane e regionali, a partire dalla fine degli anni Settanta si avuta una messe sempre pi abbondante di studi che mirano a identificare e stimolare quelle che sono riconosciute essere, in particolare, le chiavi della vivibilit e della vitalit delle citt. Tali studi che, si sottolinea, coinvolgono molte discipline anche tra loro assai diverse, si orientano sempre pi verso lidea di favorire levoluzione spontanea autoorganizzativa dei sistemi urbani e regionali interpretati nella prospettiva della complessit (si vedano, fra i tanti: Bertuglia e altri, eds., 1987; Pumain, Sanders e Saint-Julien, 1989; Bertuglia, Leonardi e Wilson, eds., 1990; Bertuglia e La Bella, a cura di, 1991; Dendrinos, 1992; Nijkamp e Reggiani, 1992, 1998; Lepetit e Pumain, sous la direction de, 1993; Nijkamp e Reggiani, eds., 1993; Bertuglia, Clarke e Wilson, eds., 1994; Wegener, 1994; Derycke, Huriot e Pumain, sous la direction de, 1996; Allen, 1997; Bertuglia, Lombardo e Nijkamp, eds., 1997; Bertuglia e Vaio, a cura di, 1997; Bertuglia, Bianchi e Mela, eds., 1998; Batten e altri, eds., 2000; Portugali, 2000; Batty, 2003, 2005, 2008). Da qualche decennio ormai si diffusa una visione delle societ e dei sistemi sociali territoriali, quali per lappunto sono le citt, come organismi sociali; come sistemi biologici in disequilibrio per i flussi cui sono sottoposti, e non come sistemi meccanici da riequilibrare se sono fuori equilibrio; come strutture che si generano continuamente, e non pi come strutture che vengono fabbricate esogenamente, quali invece sono le macchine. Le citt sono viste non pi come artefatti progettati, ma come sistemi complessi a pi dimensioni che evolvono per effetto di dinamiche endogene, e che sono caratterizzati, come gli esseri viventi, dalla rottura di strutture esistenti e dalla formazione spontanea di nuove strutture sia dal punto di vista sociale sia da quello economico sia da quello pi strettamente fisico. Sistemi urbani come sistemi complessi che possono essere assistiti nella loro evoluzione, in qualche modo gestiti, ma che quasi mai possono essere progettati in modo centralizzato
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o top down (Wilson, 1981). Ci in accordo con lidea che le citt crescano dal basso, con processi evolutivi di tipo bottom up, e che siano le azioni concertate di molte migliaia (o milioni) di individui a generare strutture complesse a vari livelli, virtualmente impossibili da controllare, governare o addirittura progettare dallalto. Si assistito cos, a partire grosso modo dalla fine degli anni Settanta, a un profondo cambiamento della modellizzazione regionale, e urbana in particolare. Dai modelli di enormi dimensioni, di impostazione dirigistica, sviluppatisi nel secondo dopoguerra, che pretendevano di descrivere nei dettagli ogni aspetto della citt, si passati, negli anni, a una modellizzazione pi agile, condotta su basi teoriche differenti. Si passati a modelli di minori dimensioni, che si concentrano su alcuni aspetti del sistema, che non hanno pi lambizione di essere onnicomprensivi e previsionali, ma mirano a essere strumenti di analisi e ricerca e, per ci che attiene direttamente alle scelte, a permettere di anticipare in laboratorio lesito di eventuali decisioni politiche2 (Batty, 1994). In questo quadro, hanno richiamato notevole attenzione i cosiddetti modelli di interazione spaziale, una classe vastissima ed articolata di modelli, che si propongono di rappresentare in modo formale le relazioni fra le diverse componenti di un sistema urbano o regionale, come ad esempio la produzione, i servizi, le residenze nelle diverse zone in cui suddivisa larea in studio, allo scopo di modellizzare i flussi di persone e cose fra le diverse zone dellarea (si vedano ad esempio: Fotheringham e OKelly, 1989; Sen e Smith T.E., 1995). Gli assunti di fondo di tali modelli sono che gli individui siano indistinguibili e che tutti scelgano razionalmente, mirando a minimizzare i costi (ad esempio dei trasporti, delle abitazioni, degli insediamenti produttivi o di altro ancora) e
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celebre il saggio di Douglas Lee Requiem for Large Scale Models (1973), nel quale lautore sintetizzava la delusione seguita allesperienza della modellizzazione urbana e regionale a grande scala, acquisita dopo lintroduzione dellutilizzo dei grandi computer avvenuta negli Stati Uniti negli anni Sessanta. I modelli sviluppati fino allora miravano, in sostanza, a fornire delle indicazioni per le scelte strategiche e politiche, riflettendo in ci lorientamento dirigistico della pianificazione di quegli anni e fondandosi sullidea, rivelatasi errata, che quanto pi grandi sono il computer e il software del modello tanto pi precisa ed efficace la risposta fornita (si vedano: Batty, 1994; Bertuglia e Vaio, 2003, 2005, in corso di stampa).

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a massimizzare i profitti, secondo quanto farebbe un homo oeconomicus. In pi rispetto agli assunti delleconomia neoclassica, vi lintroduzione della probabilit: lindividuo (nucleo familiare o imprenditore) nel modello decide leffettuazione o meno del trasferimento da una zona a unaltra dellarea considerata, non solo valutando costi e benefici, ma anche secondo distribuzioni probabilistiche. Non vi dunque, in questo contesto, lassunzione dellesistenza di un equilibrio n locale n generale, e nemmeno il calcolo di stati di equilibrio. Attualmente, tuttavia, questi modelli riscuotono minore interesse rispetto anche solo a pochi anni addietro, perch il loro carattere intrinsecamente deterministico, sia pure con lapplicazione della teoria della probabilit, in accordo con le dinamiche osservate e interpretate come caotiche, ma pu adattarsi alle dinamiche complesse solo nel caso che queste siano relativamente semplici. Nei modelli di interazione spaziale possono manifestarsi solo semplici fenomeni di autoorganizzazione spaziale, sotto forma di aggregazioni endogene delle localizzazioni. Fenomeni di emergenza pi complicati, che racchiudano in s differenti aspetti e che, per essere compresi, debbano essere visti in una prospettiva pluridimensionale, come si riscontra sovente nei fenomeni di carattere sociale, non riescono a essere descritti efficacemente. Ci perch nei modelli di questo tipo non compare linterazione non lineare fra gli agenti, e neppure alcun elemento che si riferisca alla loro individualit e soggettivit, nonch allautonomia delle scelte. possibile, tuttavia, che lo sviluppo di tali modelli, secondo nuove linee di ricerca e con approcci differenti, porti in futuro i modelli delle dinamiche urbane e regionali basati sullinterazione spaziale a fondersi con lapproccio della complessit, dando luogo a un quadro interpretativo teorico nuovo e pi profondo. Per unefficace descrizione in termini modellistici delle dinamiche regionali e, in particolare, urbane, devono essere presi in considerazione nuovi elementi. Ad esempio, devono essere considerate le interazioni non lineari fra i singoli individui (abitanti stabili nellarea considerata, imprenditori, persone che vi risiedono temporaneamente, pendolari che generano flussi da e verso altre aree ecc.) e la diversit dei processi mentali dei singoli individui che portano alla decisione individuale di una rilocalizzazione. Si deve altres tener conto
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del fatto che linformazione di cui gli individui dispongono incompleta e che la conoscenza che i singoli individui traggono dalle informazioni incomplete, e che determina la scelta, soggettiva. Lo stesso utilizzo delle distribuzioni di probabilit nei modelli spaziali presenta il problema che, in un certo senso, esso rende omogenei i singoli agenti, invece di differenziarli, in quanto schiaccia in termini di probabilit le differenze individuali e le non linearit delle interazioni (si vedano ad esempio: Boyce, Nijkamp e Shefer, eds., 1991; Reggiani, ed., 2000; Fujita, Krugman e Venables, 2001; Pumain, ed., 2006; Lane e altri, eds., 2009). Lo studio di una modellistica appropriata, condotto secondo lapproccio della complessit, porta verso una direzione nella quale il sistema urbano o regionale viene guidato dal basso, con un processo bottom up nel quale agiscono meccanismi endogeni legati alle scelte degli individui: una direzione che conduce lontano dalla visione dirigistica. Nelle scelte individuali, piccoli dettagli possono avere grande influenza sul comportamento. Peraltro, gli individui non sono in grado di fare previsioni perfette, per le quali dovrebbero essere onniscienti; devono tuttavia compiere delle scelte, anche se le previsioni che essi riescono a fare sono imprecise e distorte. Come indicano le ricerche di questi ultimi decenni, il processo decisionale individuale presenta falle e incongruenze. Gli individui, di fatto, non sempre compiono scelte che risultano coerenti con gli obiettivi che, nelle intenzioni, essi vorrebbero perseguire, o che sono migliori delle scelte che potrebbero essere fatte da qualcun altro. Identificando opportunamente interventi di piccola portata, incentivi e pungoli di vario tipo, dal ridotto impatto momentaneo (le spinte gentili di Thaler e Sunstein, 2008), che non vadano contro le libert di scelta individuali, ma assistano gli individui nelle loro libere scelte, la ricerca nelle scienze della societ potrebbe concorrere al miglioramento della vita delle persone e alla soluzione dei problemi della societ in generale.

2. I fondamenti della prospettiva della complessit in economia


2.1 I sistemi complessi. Da una quarantina danni ormai, come abbiamo detto, lapproccio della complessit o, come viene pi semplicemente detto, la complessit richiama in modo crescente lattenzione degli
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studiosi, configurandosi di grande efficacia per la descrizione, linterpretazione e una pi profonda comprensione di numerosi fenomeni nelle scienze sia della natura sia della societ (Bocchi e Ceruti, a cura di, 1985). La complessit si sviluppa nellambito della precedente visione sistemica dei fenomeni, differenziandosi tuttavia da questa perch le aggiunge qualcosa di peculiare: lattenzione al fatto che dalla dinamica non lineare di un sistema possono originare fenomeni cosiddetti emergenti, imprevedibili a priori, i quali danno luogo a forme di autoorganizzazione del sistema. Si parla di emergenza, in questo contesto, quando il sistema manifesta un comportamento che va oltre ci che prevedibile dalla semplice somma dei comportamenti individuali dei componenti del sistema stesso, che quindi non (o non pi) interpretabile in chiave riduzionista. Si parla di autoorganizzazione quando il sistema, seguendo la propria dinamica endogena, evolve verso stati di equilibrio non calcolabili a priori. Tecnicamente, si parla di autoorganizzazione quando la dinamica del sistema presenta degli attrattori verso i quali il sistema tende a portarsi, se si trova nel bacino di attrazione di uno di questi; attrattori che svolgono quindi il ruolo di stati di stabilit dinamica. Anchessi, per, non sono calcolabili a priori come somma degli equilibri delle singole parti del sistema (si veda: Bertuglia e Vaio, 2003, 2005). Come abbiamo gi sottolineato, la complessit in s non una nuova disciplina scientifica, e non nemmeno un ramo specializzato separatosi da una disciplina gi esistente. Si tratta invece di un modo di guardare alle cose3 che, seppure non del tutto nuovo, in questi ultimi decenni, in particolare a partire dagli anni Settanta, si prepotentemente imposto in molte discipline, sia nelle scienze della natura sia in quelle della societ. Luso del termine complessit in questaccezione relativamente recente, ma i concetti che tale termine esprime furono anticipati, o in qualche modo intravisti secondo modalit diverse, da vari studiosi in passato. Tanto per citare qualche esempio significativo, lidea che il tutto pi che la somma delle parti esplicitamente proposta nei Principia Ethi-

Talora si parla di paradigma della complessit. Tuttavia appare ancora difficile parlare per la complessit di un vero e proprio paradigma scientifico, come si discute in Bertuglia e Vaio (in corso di stampa). 321

Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio

ca (1903) del filosofo inglese George Edward Moore. Tale opera ebbe grande influenza sulla formazione intellettuale del giovane Keynes (si veda, ad esempio: Bateman, 1996), il quale nel suo Treatise on Probability (1921) osservava, discutendo il metodo dellinduzione logica, come linduzione con la quale si danno descrizioni generali di un sistema, ricavandole dai comportamenti individuali dei suoi componenti elementari, si fondi sullassunzione che solo un numero finito di caratteristiche di un sistema siano rilevanti e che, pertanto, quanto pi grande il numero di costituenti di un sistema, tanto meno il metodo induttivo applicabile. Il metodo dellinduzione, argomenta Keynes, perde ogni validit nel caso dei sistemi con un numero di componenti talmente elevato da non consentire di ricavare il comportamento dei sistemi a partire da quelli individuali dei componenti; sistemi che egli chiama organici. La prima vera e propria discussione della complessit dei sistemi contenuta in un lavoro del matematico americano Warren Weaver: Science and Complexity, del 1948. In quel lavoro, discutendo sul ruolo e sul futuro della scienza, Weaver osservava come le aree tematiche identificate e studiate nel corso dello sviluppo della scienza (e in particolare della fisica) si possono mettere in relazione con tre grandi categorie entro cui raggruppare i fenomeni: la categoria della semplicit, quella della complessit non organizzata e quella della complessit organizzata. In un celebre lavoro del 1962, The Architecture of Complexity, Herbert Simon, premio Nobel per leconomia nel 1978, osservava che tutti i sistemi complessi, in realt, mostrano caratteristiche comuni, indipendentemente dal fatto che siano sistemi sociali, biologici o fisici, e che frequentemente nei sistemi complessi si riconosce una struttura gerarchica. Philip Warren Anderson, studioso di fisica della materia condensata, premio Nobel per la fisica nel 1975, in un lavoro pubblicato nel 1972 sulla rivista Science, significativamente intitolato More is Different, anchesso divenuto celebre, richiam esplicitamente lattenzione degli studiosi (e in particolare dei fisici) sulla necessit di un approccio complesso ai sistemi, a fronte di quello riduzionista tradizionalmente a fondamento dei metodi della fisica, per comprendere le propriet emergenti dei sistemi stessi. Nella seconda met del Novecento, suscitarono molto interesse la teoria generale dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy (1968) e Heinz
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von Foerster (1981) e la cibernetica, iniziata da Norbert Wiener (1948) e William Ashby (1956). Le ricerche in entrambi i settori contribuirono in modo sostanziale alla formazione dellapproccio sistemico che richiam grande attenzione soprattutto nellambito delle scienze della societ, con la parziale eccezione della scienza economica che in quegli anni disponeva di tecniche matematiche consolidate, assenti in altre discipline di quellambito, ed era dominata dagli studi sullequilibrio. Emerse presto, tuttavia, la consapevolezza che la prospettiva sistemica adottata era di vedute anguste e che la maggior parte dei sistemi non sono sistemi in equilibrio, n possono essere spinti verso un equilibrio stabile predeterminato. Cominci ad apparire chiaro che i sistemi non reagiscono passivamente ad azioni esogene, fra le quali anche i flussi di energia, informazione e materia a cui sono soggetti, ma reagiscono manifestando continuamente nuove strutture che si formano endogenamente. Apparve chiaro anche che ci accomuna, in generale, sia sistemi oggetto della fisica4 sia sistemi biologici sia sistemi sociali e, fra questi ultimi, in particolare i sistemi economici. In realt, gi tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, prima quindi dello sviluppo stesso della teoria dei sistemi, nei lavori di alcuni economisti di grandissimo rilievo, principalmente Ludwig von Mises, Friedrich August von Hayek, premio Nobel per leconomia nel 1974, e Herbert Simon, furono avanzate idee che anticipavano sostanzialmente molti elementi della visione complessa dei sistemi economici come ora brevemente diremo (per una trattazione pi adeguata, si veda: Bertuglia e Vaio, in corso di stampa). Ludwig von Mises (1949) introduce la prasseologia, una forma di teoria generale dellazione umana, che si occupa dellagire umano (praxis) dal punto di vista della sua efficacia; una teoria la cui essenza trova le proprie radici nelluomo che agisce, nellessere umano inteso come un individuo agente. Non dunque luomo considerato come un oggetto-atomo che si muove come se fosse sottoposto soltanto a leggi

4 Sono di quegli anni i fondamentali studi sulla termodinamica delle strutture dissipative, sullirreversibilit dei processi in disequilibrio e sulla complessit nei sistemi naturali di Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica nel 1977 (si veda ad esempio: Nicolis e Prigogine, 1987).

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simili a quelle della fisica, secondo la visione neoclassica, bens un uomo visto come un individuo consapevole, che agisce autonomamente, con fini e obiettivi determinati. Per von Mises, lunica teoria economica valida deve derivare logicamente dai principi basilari dellazione umana: lintero funzionamento della macchina economica il risultato di ci che i singoli individui liberamente e consapevolmente decidono e fanno. Per von Mises, come peraltro per la Scuola di Vienna, di cui lo stesso stato un significativo rappresentante, i fenomeni economici, come i prezzi, i salari, i tassi di interesse, la moneta, il monopolio e perfino il ciclo economico, sono lesito, oggi diremmo autoorganizzativo, di innumerevoli azioni di individui tutti differenti fra loro, consapevoli, che si pongono degli obiettivi, che hanno delle preferenze, che scelgono e che agiscono singolarmente allinterno di una societ. Tutti questi individui-agenti sono pertanto gli elementi del sistema economico, un sistema che nel linguaggio contemporaneo diremmo complesso, che evolve e si autoorganizza. Ciascuno di questi individui fa del suo meglio, nelle circostanze in cui si trova ad agire, per perseguire gli scopi prefissi e per evitare le conseguenze indesiderate (si vedano anche: Infantino, 2007, la monografia dedicata a von Mises nella collana I momenti doro delleconomia, curata da Paolo Savona; e le riflessioni generali nel libro che chiude la collana: Savona, 2008). Friedrich von Hayek (1937, 1945, 1952, 1964, 1973, 1976, 1979) introduce la fondamentale distinzione tra quelle regole sociali che sono il risultato di un piano consapevole e di una mente ordinatrice, e le altre regole sociali che emergono come una forma di ordine spontaneo: il risultato inconsapevole e graduale dellesperienza accumulata di molte generazioni5. Grave errore , per Hayek, fare del primo tipo di organizzazione
La distinzione introdotta da Hayek tra lordine sociale creato e lordine sociale spontaneo , in realt, precedente e pu esser fatta risalire addirittura a Bernard de Mandeville e al suo celebre apologo La favola delle api del 1714. Nella favola delle api, Mandeville arriva a sostenere, sia pure in tono scherzoso, la necessit del vizio, poich la ricerca della soddisfazione egoistica del proprio interesse la condizione prima della prosperit nella societ, la quale compare come ordine sociale spontaneo. Mandeville riconosciuto da Hayek stesso come liniziatore della linea di pensiero che si sviluppa, con Hume, Smith e i filosofi scozzesi del Diciottesimo secolo, dallidea centrale di un ordine istituzionale non pianificato, che sorge dallinsieme di tanti egoismi individuali.
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sociale il paradigma di ogni tipo di ordine: questo lerrore dellapproccio razionalistico cartesiano che si trasmesso alle spiegazioni istituzionali, approccio che vede dietro ogni struttura organizzativa una razionalit ordinatrice. Per Hayek lordine spontaneo legato alluso della conoscenza nella societ e al modo in cui la conoscenza trasmessa attraverso linterazione sociale. Le societ moderne sono caratterizzate, secondo Hayek, da un ordine complesso, in cui la conoscenza esiste solo in una forma frammentata e individuale: per questo vano sperare che una mente ordinatrice superiore sia in grado di ricondurre sotto il proprio controllo consapevole i numerosi frammenti di tale sistema sociale. Nessuna mente singola in grado di ricostruire linformazione mancante, di ritrasmettere agli agenti tutta linformazione, con lelevato grado di precisione e di dettaglio richiesto da ogni decisione individuale, e di coordinare le scelte. Per Hayek esiste, invece, un meccanismo di interazione sociale che in grado di utilizzare la conoscenza dei singoli individui e che realizza il coordinamento, ma che non dipende n da alcuno di essi in particolare n da unentit esterna al sistema. Lordine complesso che ne viene, non creato ma un ordine spontaneo che si autogenera per mezzo di un continuo processo di sperimentazione e confronto. Tale ordine si realizza attraverso un sistema di diffusione non deliberata dellinformazione. attraverso un processo del tipo detto che sono emerse, ad esempio, le regole di coordinamento sociale, come il linguaggio, i codici di condotta e le regole giuridiche. Per Hayek il mercato rappresenta uno degli esempi pi significativi di sistema spontaneo di regole di coordinamento: il sistema dei prezzi fornisce a ciascun individuo le informazioni sulla base delle quali egli elabora le scelte economiche. Il coordinamento delle decisioni economiche lesito dellinformazione fornita dai prezzi. Mercato e prezzi sono, per Hayek, un sistema di comunicazione spontaneo e rappresentano cos, in sostanza, il sistema di regole astratte che si sostituisce alla conoscenza completa dellinfinit di circostanze individuali posseduta da una mente centrale organizzatrice. Poich i meccanismi di percezione e di costruzione della conoscenza sono intrinsecamente soggettivi, i processi decisionali individuali avvengono, per Hayek, secondo meccanismi diversi da quelli previsti dal325

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la teoria economica standard. Per lui non si tratta di meccanismi di semplice imitazione o di economizzazione delle facolt mentali. Il meccanismo del mercato funziona non solo perch gli individui possiedono informazioni diverse, ma anche perch essi interpretano differentemente luno dallaltro le medesime informazioni, in quanto sia la classificazione operata dalla mente sia lazione sono processi soggettivi legati allesperienza personale e al patrimonio geneticamente acquisito. I prezzi sono, per Hayek, gli elementi fondamentali dellinformazione che gli agenti nel mercato si scambiano incessantemente; informazione che forma la conoscenza in continuo divenire, in quanto ogni agente, individualmente, la rielabora. La conoscenza individuale, cosa ben diversa dallinformazione, ci che determina le azioni individuali in un mercato che un sistema in continua evoluzione e che vede i prezzi come un effetto di autoorganizzazione interna. Il mercato dunque per Hayek un sistema con le proprie dinamiche interne, esito della conoscenza diffusa e circolante, rispetto al quale le istituzioni hanno il solo compito di garantirne il funzionamento (si vedano: Clerico e Rizzello, a cura di, 2000; Rizzello, 2004; Antiseri, 2007; Savona, 2008). Il pensiero di Herbert Simon, grande e singolare figura di scienziato poliedrico, inizialmente si sviluppa lungo la linea delleconomia neoclassica, ed grandemente influenzato dal dibattito sul marginalismo sviluppatosi negli anni Trenta. Nella propria vastissima produzione scientifica (si vedano, fra i tanti: Simon, 1947, 1955, 1957, 1959, 1960, 1962, 1967, 1972, 1979, 1983, 1991), Simon introduce il nuovo fondamentale concetto di razionalit limitata (bounded rationality), sostituendo al paradigma neoclassico dellhomo oeconomicus, cio a unastrazione di uomo dotato di razionalit assoluta e capace di elaborare linformazione completa cui ha accesso, il paradigma del cosiddetto administrative man, espressione tratta dal titolo del suo primo e pi celebre libro, pubblicato nel 1947, scritto intorno ai trentanni di et come tesi di dottorato. Con ladministrative man, Simon propone un agente che, pur razionale nelle proprie intenzioni, vale a dire nellindividuazione degli obiettivi, dispone tuttavia di informazioni limitate e di capacit intellettive limitate per lelaborazione delle informazioni. Il concetto di razionalit limitata si sostituisce alla razionalit pura dellhomo oeconomicus
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neoclassico. Per Simon lindividuo opera le proprie scelte secondo la razionalit; questa per si scontra sia con le limitazioni della conoscenza dei dati di cui lindividuo dispone sia con le intrinseche limitazioni delle capacit cognitive dellindividuo stesso6. Lindividuo-agente per Simon razionale, ma non onnisciente n la sua capacit di elaborazione dei dati illimitata. Lesame soggettivo delle informazioni sulle alternative di scelta parziale, in quanto si arresta quando viene identificata unalternativa di scelta accettabile, che appaia migliore delle altre alternative, le quali sono state esaminate sufficientemente a fondo, ma non completamente. Di fatto, secondo Simon, lagente non potr mai essere sicuro che la scelta che opera sia quella ottimale. Simon identifica la causa della non completa razionalit delle decisioni nellimpossibilit per lindividuo di elaborare e utilizzare convenientemente tutta la vasta mole di informazioni di cui dispone. la dimensione cognitiva che conta, la stessa conoscenza individuale che intrinsecamente, nei suoi meccanismi di formazione e autoorganizzazione, conduce inevitabilmente verso la soggettivit e leterogeneit delle decisioni, verso la diversit dei comportamenti individuali e quindi verso la loro sostanziale imprevedibilit. Lobiettivo di unimpresa dunque, secondo Simon, non massimizzare i profitti, obiettivo eccessivamente ambizioso e sostanzialmente irrealizzabile, ma trovare soluzioni accettabili a problemi urgenti. Simon, in particolare, propone come metodo migliore per studiare problemi di questa natura, la modellizzazione con simulazioni al computer, secondo i metodi dellintelligenza artificiale, disciplina della quale egli stato uno dei padri e figura di riferimento per lungo tempo.

2.2 Gli agenti di un sistema complesso. La nuova visione dei sistemi secondo lapproccio della complessit mostra, come si usa dire con un

6 Lidea della razionalit limitata un tema assolutamente centrale nelleconomia comportamentale, cio in quel ramo della teoria economica che pone allorigine dei processi economici il comportamento soggettivo, e non la razionalit oggettiva, perch la razionalit limitata attiene direttamente al fatto che le modalit secondo cui avviene il processo decisionale influenzano sostanzialmente il contenuto stesso della decisione.

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aforisma, che il tutto pi che la somma delle parti. In questa nuova prospettiva, la struttura sistemica emerge dalle parti componenti non come lesito di un semplice processo di somma dei comportamenti delle parti prese isolatamente, bens come lesito dei processi stessi, non predeterminabile nel comportamento di una singola parte del sistema. Si cita spesso, a questo proposito, lesempio della molecola dacqua che in s non n solida n liquida n gassosa: la liquidit dellacqua una propriet emergente di un sistema di molecole in interazione, la quale dipende dalla singola molecola, ma non appartiene alla singola molecola. I processi generano lautoorganizzazione e lemergenza. Della nuova visione della complessit hanno beneficiato in modo particolare le discipline meno formalizzate dal punto di vista matematico. I metodi di indagine di tali discipline hanno trovato nella complessit un quadro interpretativo potente ed efficace, pi che non uno strumento tecnico vero e proprio, come invece, tanto per intenderci, il calcolo differenziale nella fisica e nelleconomia di impostazione neoclassica. Nelle scienze della natura, e in particolare nella fisica che gi possiede i potentissimi metodi forniti dal calcolo differenziale, la complessit si affianca ai metodi quantitativi di impostazione riduzionista, applicati quasi sempre con grandissimo successo da pi di tre secoli, e li sostituisce ove questi si dimostrino poco efficaci. Ci accade ad esempio nella descrizione del fenomeno della turbolenza nei fluidi. La visione riduzionista della fisica tradizionale non efficace in questo contesto, non riesce cio a giustificare la formazione dei vortici in un gas che si osserva sotto certe condizioni: vortici di scale diverse, il numero dei quali, espresso in funzione della scala, segue una legge di potenza, cio una legge del tipo y=kx-. Per dar conto del comportamento macroscopico del gas non efficace lo studio condotto tradizionalmente, che vede il comportamento macroscopico come somma dei comportamenti microscopici. Non sufficiente cio cominciare a livello micro, partendo dalle dinamiche delle singole molecole prese isolatamente, e poi assemblare le dinamiche, sia pure con metodi statistici e ricorrendo a valori medi delle grandezze rilevanti. Si impone invece un approccio complesso, nel quale si studia il sistema gas a varie scale spazio-temporali, attraverso le quali lenergia immessa a livello macro si trasferisce a ca328

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scata verso livelli micro, alimentando vortici di scale sempre pi piccole (si veda: Bertuglia e Vaio, in corso di stampa). In molte altre scienze della natura e in quasi tutte le scienze della societ, lapproccio della complessit e lintroduzione del concetto generale di sistema complesso adattivo costituiscono il primo quadro interpretativo in grado di fornire uno schema unitario in cui inserire le fenomenologie osservate. Un sistema complesso adattivo, loggetto cui rivolta lattenzione della complessit, un sistema aperto (un sistema cio che scambia flussi di varia natura con lambiente) formato da un gran numero di elementi che interagiscono fra loro in modo non lineare i quali, presi collettivamente, costituiscono unentit organizzata e dinamica che evolve autonomamente e si adatta allambiente in modo spontaneo. Le fenomenologie osservate non vengono pi descritte, in tal modo, come una serie di fatti isolati, bens come la manifestazione spontanea di propriet che sono implicite nelle interazioni fra gli elementi del sistema allo studio e che pertanto caratterizzano specificamente tale sistema. Il sistema complesso adattivo presenta alcune caratteristiche peculiari che lo distinguono dai sistemi considerati dalla teoria dei sistemi precedente. Nelle scienze della societ, come abbiamo accennato nel paragrafo 1 a proposito dei sistemi urbani e regionali, i componenti di un sistema complesso sono visti come agenti, cio come individualit dotate di una propria autonomia nelle scelte e nel comportamento conseguente. Gli agenti possono essere, ad esempio, gli operatori di uneconomia di mercato, le imprese e in genere i partecipanti in un mercato. Questultimo, in tal modo, viene visto come un sistema la cui dinamica complessiva lesito non preventivato dallesterno n prevedibile, ma prodotto endogenamente dagli agenti, quale risulta dalle interazioni non lineari fra gli agenti stessi che si scambiano informazioni di tutti i tipi e nei modi pi disparati. Gli agenti interagiscono secondo modalit non lineari e sono soggetti a feedback (o retroazioni) ambientali di vario tipo, anchessi non lineari. Non lineari (o non additive) significa, in termini molto generali, che non c relazione di proporzionalit fra leffetto e la causa che lo ha determinato. Significa, ad esempio, che due o pi azioni contemporanee compiute da due o pi agenti e rivolte a un altro agente, non danno
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come effetto su questultimo semplicemente la somma dei due o pi singoli effetti. Si ha, invece, che questultimo agente rielabora individualmente le azioni, le quali, per fare un esempio, potrebbero essere le informazioni che egli riceve, scegliendo autonomamente il proprio comportamento conseguente. Ci pu svolgersi attraverso lapplicazione di regole interne degli agenti, le quali specificano la strategia di interazione con altri agenti; regole in continuo divenire, organizzate in modo tale da fornire allagente che le applica un modello in evoluzione del mondo esterno (Gilbert e Terna, 2000; Rabino, 2005). Un agente di un sistema complesso adattivo si adatta, appunto, al mondo che lo circonda e con cui in interazione, e quindi si adatta al comportamento degli altri agenti, attraverso un processo di apprendimento ininterrotto e senza fine, che si fonda su un continuo feedback dellinformazione che lagente riceve. In virt di ci, ogni agente, accumulando esperienza e cercando di migliorare gli esiti delle proprie azioni, forma e modifica continuamente le proprie regole interne, adattandole allesperienza elaborata attraverso il proprio individuale punto di vista, egocentrico e circoscritto. Tale punto di vista, si badi bene, in generale non da intendersi come quello dellhomo oeconomicus della teoria economica neoclassica, il quale mira a massimizzare una funzione matematica chiamata utilit, muovendosi in un orizzonte ristretto, incapace sia di apprendimento sia di una visione rivolta a obiettivi lontani. Lo studio delle reti fra agenti di tipo socioeconomico un campo di indagine che si recentemente molto sviluppato: nelle reti socioeconomiche, gli agenti (individui singoli, nuclei familiari, imprese ecc.) interagiscono attraverso la rete che li collega per scambiare informazioni, beni e risorse, per stabilire nuove partnership, collaborazioni, amicizie e altro ancora. La struttura, il grado di connettivit della rete attraverso cui avvengono le interazioni fra gli agenti, cos come la stabilit della rete a fronte della modifica di una o pi connessioni e la variabilit della rete nel tempo, hanno un effetto importante sulla dinamica del sistema socioeconomico che origina dalle scelte degli agenti che sono parte di quel sistema. Per la comprensione approfondita dellorganizzazione sociale pertanto fondamentale elaborare teorie efficaci per la comprensione di come si formino e si sviluppino tali reti.
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Si pu pensare alla citt come a un tipico esempio di sistema complesso costituito da una rete di tipo socioeconomico di connessioni fra gli agenti, in cui le connessioni sono mutevoli nel tempo e diffuse nel spazio. Il livello di connettivit che si realizza in unarea urbana, riferito alla densit dello spazio occupato, evolve nel tempo ed proprio quello che permette alla citt di esistere e funzionare come tale. Il grado di connessione di unarea urbana conseguito, in realt, in un insieme di reti non lineari che si distribuiscono su molte scale geografiche e temporali. Quando il detto grado di connessione in un insediamento raggiunge un valore che si pu considerare critico, ci pu essere interpretato come indicazione del fatto che il sistema realizzatosi ha raggiunto un livello di autoorganizzazione interna tale da caratterizzare linsediamento stesso come sistema citt. Al di sotto di tale livello, il sistema-citt non sarebbe connesso a sufficienza per permetterne il funzionamento. Se, al contrario, la connettivit fosse maggiore, lo spazio sarebbe occupato pi densamente e la rete conterrebbe ridondanze che diverrebbero fonte di inefficienze. Un insediamento diventa una citt, in altri termini, quando le reti delle connessioni non lineari fra gli agenti, evolvendo nel tempo, portano a un fenomeno simile a ci che in fisica chiamato una transizione di fase, come quello che si osserva nella condensazione di un vapore o nella solidificazione di un liquido (Batty, 2005, 2008; Wilson, 2006, 2008). La teoria economica, perlopi, si rivolta allo studio delle reti in equilibrio e dei meccanismi di formazione delle reti basati sulla massimizzazione dellutilit. Ci avvenuto avendo come obiettivo sia il riconoscimento di quali reti abbiano la massima efficienza sia lo studio della stabilit delle reti a fronte di aggiunte o rotture di legami. I modelli analitici che cos sono stati prodotti sono in realt troppo semplici per molti sistemi socioeconomici, a causa delle assunzioni semplificatrici che si rendono necessarie per renderli trattabili analiticamente. Nelleconomia neoclassica tradizionale, peraltro, non sono nuovi i concetti di feedback e di fenomeno emergente, tipici della complessit: in questo senso, la scienza economica ha in parte gi anticipato alcuni elementi della complessit. La teoria dellequilibrio economico generale, ad esempio, in un certo senso una formalizzazione della proposizione secondo la quale in economia ogni cosa influenza ogni altra co331

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sa, per cui la variazione della domanda o dellofferta di un bene influisce sulle domande e sulle offerte di tutti gli altri beni presenti nel mercato, spostando la condizione di equilibrio attraverso un meccanismo di feedback. Anche il concetto di fenomeno emergente, fenomeno collettivo imprevedibile a partire dal singolo elemento del sistema, presente nella scienza economica, abituata da tempo a considerare varie forme di fenomeni collettivi. Un esempio di fenomeno emergente ben noto , ad esempio, il ciclo economico, in cui tutti gli agenti interagiscono in modo non lineare, ricevono feedback dalle loro azioni e danno origine a un fenomeno collettivo, lalternarsi periodico di fasi economiche diverse, che, di fatto, indipendente dalla volont dei singoli agenti. Non solo. Se ritorniamo alle origini del pensiero economico moderno, la stessa mano invisibile di Adam Smith si configura con le caratteristiche di fenomeno emergente. La mano invisibile non un agente del mercato, non la decisione di alcun agente n di un coordinatore esterno: per Smith, il mercato, messo in moto dagli egoismi individuali, si comporta come se fosse guidato da una mano invisibile verso la realizzazione del benessere collettivo. proprio il come se a rendere la mano invisibile un fenomeno emergente, indipendente dalla volont individuale degli operatori economici (Krugman, 1996). Nella teoria economica classica invece considerato pi raramente il concetto di autoorganizzazione, o autoadattamento, di un sistema. Lautoorganizzazione un processo per il quale un sistema in equilibrio instabile pu spontaneamente riassestarsi, coordinando le dinamiche delle singole componenti in un nuovo stato di equilibrio stabile e dando origine a fenomeni emergenti. lidea, come diremo meglio nel sottoparagrafo 2.3, che un sistema sia in grado autonomamente, per effetto delle proprie dinamiche interne, di formare spontaneamente delle strutture interne ordinate, anche partendo da uno stato omogeneo di disordine o casuale. Un sistema complesso adattivo un sistema che manifesta la detta propriet. In accordo con Holland (2002), opportuno introdurre il concetto generale di componente di base di un sistema complesso adattivo. I componenti di base sono gli elementi minimi che stanno a fondamento della capacit di scegliere e di agire che hanno gli individui-agenti che
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formano un sistema complesso. Ad esempio, ogni forma di percezione umana consiste nel combinare insieme componenti semplici e conosciuti, i componenti di base per lappunto. Alberi diversi possono essere riconosciuti come alberi secondo diverse combinazioni di parti semplici e familiari nellesperienza individuale: tronco, rami, foglie ecc. Allo stesso modo, i volti umani sono tutti diversi fra loro, ma tutti sono combinazioni di elementi standard, percepiti come elementi minimi: occhi, naso, bocca, capelli e cos via, e tutti quanti insieme ci permettono sia di riconoscere i volti sia di distinguere un volto da un altro. Il nostro approccio a tutti gli oggetti e a tutti i fenomeni, familiari o sconosciuti che siano, avviene attraverso la combinazione di componenti di base familiari. I componenti di base possono essere visti anche come gli elementi che caratterizzano le interazioni fra agenti e che sono allorigine delle dinamiche: le regole non lineari che descrivono le interazioni fra individui-agenti in un sistema complesso, ad esempio, sono componenti di base. Un insieme con un numero non molto grande di componenti di base ben individuati pu essere sufficiente per generare un insieme molto grande di strutture sistemiche. Questo ci che avviene, ad esempio, con un numero limitato di lettere dellalfabeto di una lingua, le quali permettono di esprimere tutta la letteratura di quella lingua e di veicolare tutta la comunicazione scritta passata, presente e futura in quella lingua. In generale, in qualsiasi sistema, i componenti di base sono gli elementi fondamentali della conoscenza che si ha di quel sistema. Vi una propriet fondamentale dei componenti di base di un sistema complesso. Essi si possono organizzare in strutture identificabili entro il sistema: sottosistemi che diventano essi stessi dei componenti di base del sistema. In altre parole, i componenti di base si possono aggregare in componenti di base di livello superiore e si possono frammentare in componenti di base di livello inferiore. Caratteristica tipica dei sistemi complessi adattivi che vi unorganizzazione gerarchica dei componenti di base per la quale si hanno diversi livelli ai quali un sistema complesso pu essere esaminato, e con cui si pu interagire.

2.3 Le propriet emergenti. Non esiste una definizione di emergenza che sia accettata universalmente, e che indichi senza ambiguit e in mo333

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do generale in quali circostanze in un sistema complesso si manifesta un fenomeno cosiddetto emergente. Perlopi, si ritiene che lemergenza vada in gran parte riferita agli occhi di chi osserva e interpreta il fenomeno. possibile tuttavia riconoscere alcuni criteri che permettono di individuare quei fattori che, indipendentemente dalla soggettivit dellosservatore, indicano la presenza di fenomeni emergenti. Un primo criterio la condizione che il fenomeno si presenti come uno schema che si ripete, in un sistema che, a sua volta, manifesta continuamente delle novit. Questo schema ricorrente si manifesta come una propriet caratteristica di alcuni sottosistemi che si possono identificare fra le numerose combinazioni dei componenti di base del sistema. Si usa spesso, per indicare queste ripetizioni, il termine regolarit. Il termine in oggetto, nel contesto delle scienze della natura e in particolare della fisica, viene spesso considerato come una sorta di forma debole del termine legge. Con il termine legge, infatti, si intende solitamente lestrapolazione condotta su basi induttive della regolarit osservata, che porta a esprimere la regolarit su un piano generale, teorico e in modo rigoroso e formale, giungendo spesso, per cattiva abitudine, ad attribuire alla formulazione datane un certo carattere dogmatico e impositivo. In molte scienze della natura, soprattutto in quelle di tradizione pi recente, meno formalizzate e raramente espresse in forme altrettanto dure di quelle della fisica, pi correttamente si insiste sulla base empirica delle ripetizioni osservate nei fenomeni, utilizzando sempre meno frequentemente il termine legge. Da questo punto di vista, fra le scienze della societ, un caso a s costituito dalla scienza economica, sicuramente la pi formalizzata fra le dette scienze, quale si formata a partire dalla tradizione neoclassica e marginalista dagli anni Settanta dellOttocento. Negli studi economici sviluppatisi a partire dalla rivoluzione marginalista, si creano modelli matematici che si fondano su concezioni sistemiche dei processi economici secondo linee di pensiero che, almeno alle loro origini, sono state mutuate dalla fisica classica, lungo la direttrice indicata da Walras, Menger e Jevons prima, Marshall e Pareto poi, fino ad arrivare a Samuelson e alla grandiosa sintesi formale realizzata nella teoria dellequilibrio generale di Arrow e Debreu (Arrow e De334

La prospettiva della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale

breu, 1954; Debreu, 1959. Sul tema dellequilibrio generale nella storia del pensiero economico, si veda: Ingrao e Israel, 1987). Nella scienza economica neoclassica, la formalizzazione matematica e il rilevante grado di astrazione, che peraltro alla base stessa della sua realizzazione, conducono inevitabilmente a formulare leggi che, per quanto originate da modelli, finiscono ugualmente per assumere un carattere estremamente generale, ben oltre il significato attribuito alle regolarit osservate (Israel, 1996, 2007). Le regolarit osservate nel corso dellevoluzione nel tempo (o, come si usa dire, nella dinamica) di un sistema complesso adattivo individuano aspetti comuni nel comportamento di un sottoinsieme degli agenti. Se le regolarit si rinforzano per effetto delle interazioni fra gli agenti e diventano persistenti, per una sorta di processo di specializzazione e selezione, allora esse stesse assumono il ruolo di componenti di base. Ci pu portare al formarsi nel sistema di unorganizzazione gerarchica, nella quale particolari combinazioni di alcuni elementi componenti di base a un dato livello, diventano componenti di base a un livello superiore, come descritto nel sottoparagrafo 2.2. Losservazione di una siffatta propriet costituisce un secondo criterio per riconoscere nei sistemi la natura di sistemi complessi adattivi. I fenomeni nei sistemi complessi adattivi sono emergenti se mostrano unorganizzazione gerarchica nella quale diversi livelli gerarchici interagiscono fra loro sia con azioni rivolte dallalto verso il basso (top down), cio da livelli di organizzazione superiori a livelli di organizzazione inferiori, sia con azioni di verso opposto, dal basso verso lalto (bottom up). Consideriamo, ad esempio, un organismo vivente come luomo, tipico esempio di sistema complesso, incomprensibile in una chiave di lettura riduzionista. Lintenzione formulata dal cervello in risposta a uno stimolo, ad esempio, di compiere un movimento della mano, un componente di base del sistema, causa linvio di segnali nervosi verso molte parti dellorganismo vivente, segnali che influenzano cos un numero enorme di componenti secondo un processo top down; viceversa, un guasto o un cattivo funzionamento di una sola parte critica dellorganismo umano pu portare, con un processo bottom up, allarresto totale del funzionamento dellorganismo e alla sua morte. Per fare ancora un
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tipico esempio di sistema complesso adattivo, consideriamo un mercato finanziario: sebbene un indice globale del mercato, come ad esempio lindice Dow Jones per il New York Stock Exchange, sia una media ricavata con un processo bottom up a partire dalle frequenti azioni di numerosissimi agenti che operano freneticamente nel mercato stesso, il movimento del valore di questo indice causa unazione di ritorno, secondo un processo top down, influenzando i singoli agenti-operatori nei loro comportamenti individuali e nelle loro scelte. In generale, la forma complessiva e la persistenza di una regolarit in un sistema complesso adattivo dipendono sia da processi bottom up sia da processi top down. Un ulteriore importante criterio che pu consentire di individuare una propriet emergente che la regolarit osservata appare solo come propriet collettiva del sistema, imprevedibile guardando solo i componenti individualmente: il tutto pi della somma delle parti. Ci in netta opposizione al punto di vista riduzionista per lanalisi dei fenomeni, tipico di gran parte della scienza classica, in particolare della fisica classica, che consiste nello studiare i componenti di base di un sistema e nel sommarne i comportamenti per ottenere il comportamento complessivo. In molti rami delle scienze della natura, soprattutto in fisica, la strategia riduzionista ha funzionato e funziona molto bene in numerose occasioni: dalla descrizione dei gas perfetti, visti come insiemi di numerosissime particelle in collisione elastica fra loro e con le pareti interne del contenitore, alla sovrapposizione di onde sinusoidali per ricavare suoni complessi, allo studio dellatomo e del nucleo atomico, i cui comportamenti sono visti come somme dei comportamenti individuali dei componenti di base, che in questo caso sono le particelle elementari e le forze di interazione fra le stesse. Le indagini di mercato, i sondaggi, il calcolo degli indicatori economici utilizzati come strumenti di previsione, costituiscono esempi di applicazione dellapproccio riduzionista nelle scienze sociali. Essi assumono, infatti, che il comportamento della societ sia interpretabile semplicemente come la somma dei numerosi e isolati comportamenti individuali, senza tener conto di alcuna interazione non lineare fra gli individui-agenti. Tali interazioni fra gli individui, tuttavia, esistono e sono non lineari, per cui a volte il riduzionismo cessa di essere efficace, e le previ336

La prospettiva della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale

sioni di comportamento globale falliscono, senza che sia identificabile alcuna causa esterna al sistema che ne determini il fallimento. Ci, si badi bene, non per lintrinseco margine di incertezza dellinferenza statistica, che in s non incompatibile con lapproccio riduzionista, ma per il fatto che le societ umane non sono solamente la somma di individui isolati, ma sono costituite da individui inseriti in una fitta rete di interazioni non lineari. Attraverso la fitta rete delle interazioni circolano comunicazioni di tutti i tipi: razionali, emotive, esplicite, subliminali, informazioni acquisite e trasferite in modo diretto o indiretto, informazioni rivolte a singoli o a gruppi ecc. Tale rete di interazioni allorigine dei fenomeni emergenti (Barabsi, 2002) sociali, economici e di altro tipo, che in generale hanno il carattere di fenomeni di massa e sono loggetto di numerose indagini condotte, soprattutto in anni recenti, da studiosi di economia, di marketing, di sociologia e di altre aree delle scienze sociali. Tale, ad esempio, il caso dellemergere della segregazione sociale nel modello di Schelling presentato nel sottoparagrafo 1.1 (si vedano, per citare qualche testo fra i numerosi su questo tema: Schelling, 1978; Rullani, 2004; Anderson Ch., 2006; Johnson, 2007; Sassen, 2007; Taleb, 2007). Gli esempi sono numerosi e convincenti. Tanto per farne uno, le numerose crisi dei mercati borsistici, da quando sono state istituite le borse valori fino ai ben noti avvenimenti recenti, sono state spesso susseguenti alla formazione incontrollata di bolle speculative di varia natura, e quasi sempre si sono presentate in momenti di grande euforia, imprevedibilmente se non addirittura contro le previsioni degli economisti e delle istituzioni pi influenti. Sono state sovente, cio, un esempio di fenomeno di autoorganizzazione endogeno al mercato, che trova la propria giustificazione nel rafforzamento reciproco delle opinioni degli agenti i quali, interagendo secondo modalit non lineari, gonfiano o deprimono le valutazioni che essi effettuano prima delle decisioni, pi su basi emotive o psicologiche che non fondandosi su elementi concreti, dando cos origine a estesi fenomeni di incontrollata crescita prima e di rapido crollo dopo (Krugman, 1996; Arthur, Durlauf e Lane, eds., 1997; Lane e altri, eds., 2009). Secondo unanalogia proposta da Paul Krugman (1996), premio Nobel per leconomia 2008, la recessione in economia lesito della dina337

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mica di un sistema economico instabile che improvvisamente si autoorganizza, cos come lo la formazione di un uragano nel sistema instabile atmosferico. Sia un uragano sia una grave recessione, come quella seguita alla crisi del 1929, nascono da un limpido cielo blu. Se, per qualche motivo, la pressione su una particolare zona delloceano tropicale pi bassa del normale, si instaura un processo che si autosostiene: laria che sale solleva il vapore acqueo fino a unaltitudine alla quale esso condensa rilasciando calore, il quale fa salire laria ancora pi rapidamente e riduce ulteriormente la pressione negli strati bassi, fino a quando, in quella parte di atmosfera interessata dal sollevamento, affluendo aria negli strati bassi, si forma un vortice orizzontale rotante. Anche una recessione si autoalimenta come luragano: il calo della produzione induce una riduzione degli investimenti delle imprese e un calo dei consumi, cosa che fa calare ancor di pi la produzione, che induce ulteriori diminuzioni degli investimenti, dei consumi, quindi nuovamente della produzione, e cos via. A un certo punto per, le piogge provocate dalla condensazione del vapore ad alta quota raffreddano la superficie delloceano riducendo lintensa evaporazione che allorigine delluragano stesso. Gli uragani si autoalimentano nel breve termine, ma si autolimitano nel lungo termine. Allo stesso modo, una recessione un processo che si autolimita nel lungo termine: la caduta della produzione infatti causa la caduta dei prezzi e quindi lofferta di moneta in termini reali, il che pu ridurre i tassi di interesse, favorire nuovi progetti di investimento e rilanciare la produzione, anche in assenza di interventi politici esterni al mercato. Uragani e recessioni originano entrambi da situazioni di equilibrio instabile: una piccola perturbazione innesca il meccanismo che porta alla loro genesi e al loro impetuoso sviluppo. Per illustrare questo punto, Krugman (1996) richiama il modello del ciclo economico elaborato da Scheinkman e Woodford (1994). Si immagini uneconomia costituita da una struttura di imprese a diversi livelli, in cima alla quale stanno le imprese che producono beni finali, per i quali gli ordini arrivano in maniera casuale. Queste imprese acquistano i propri input dalle imprese che occupano lo strato inferiore, le quali a loro volta li acquistano da quelle che occupano lo strato precedente, e cos via. Ciascuna impresa
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evade un ordine di ununit di prodotto utilizzando il proprio stock di magazzino; se non ha scorte, ordina a due imprese precedenti nella scala gerarchica ununit di input ciascuna: una unit utilizzata per evadere lordine, laltra entra nel magazzino. Si instaura allora una sorta di catena di propagazione degli ordini, la cui lunghezza dipende dallammontare delle scorte7. Se le scorte sono sufficientemente elevate, gli ordini saranno in genere soddisfatti dagli stock di magazzino e non genereranno ordini addizionali. Altrimenti, ciascun ordine dar luogo a due ordini in pi, e lordine di un bene finale produrr una catena di ordini di beni intermedi, la cui lunghezza dipende dal livello delle scorte. Il livello delle scorte determina cos la lunghezza della catena degli ordini: quanto pi basse sono le scorte, tanto pi lunga la catena degli ordini. Il fatto sorprendente che il modello mostra che levoluzione di un sistema economico di questo tipo tale per cui il livello delle scorte tende a mantenersi sempre in prossimit di un particolare valore critico, sotto il quale la lunghezza della catena degli ordini diverrebbe, almeno in linea teorica, infinita. Il modello mostra, inoltre, che un flusso quasi costante della domanda genera delle fluttuazioni di tutte le dimensioni nella produzione, e che le fluttuazioni sono distribuite secondo una legge di potenza, come accade per le scale delle dimensioni e delle energie dei vortici in un fluido turbolento. Il sistema economico dunque pu generare endogenamente fluttuazioni di tutte le dimensioni, la cui comparsa lesito di un processo autoorganizzativo; e ci vale anche per le fluttuazioni che hanno la dimensione tipica della fluttuazione implicata dalla teoria del ciclo economico lineare. Ci non significa soltanto che le fluttuazioni della produzione sono possibili anche in presenza di un flusso costante della domanda del bene finale. Ci pu spiegare anche come mai le recessioni tendono ad assumere un carattere globale, superando i confini, pi o meno indefiniti, fra il sistema economico di un paese e quello di un altro, come accaduto negli anni 1929-1932, 1974-1975, 1990-1992, e anche in quella iniziata nellautunno 2008 e attualmente in corso. Si tratta di una forma
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In fisica vi un fenomeno descritto in termini analoghi, chiamato percolazione, che si osserva, ad esempio, quando lacqua si propaga in un materiale poroso. 339

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di sincronizzazione di fase (phase lock) fra le oscillazioni locali in sistemi economici locali accoppiati fra loro. I movimenti della bilancia commerciale rappresentano quel piccolo shock negativo capace di perturbare lequilibrio e innescare la recessione, cos come una piccola depressione atmosferica scatena luragano. Due economie, in realt, non hanno bisogno di essere collegate in maniera molto intensa per sviluppare un ciclo sincronizzato: basta un legame modesto perch esse mostrino cicli simili. Come descrive il modello di Scheinkman e Woodford (1994), sufficiente che, nella catena di cui si detto, una delle imprese a valle rispetto a unimpresa di uno Stato si trovi in uno Stato diverso. Si pu mostrare cos come sia possibile utilizzare per molti fenomeni economici i modelli di autoorganizzazione, e come un principio del tipo di ordine a partire dallinstabilit possa dar conto dei cicli economici e anche, ad esempio, fra le tante altre cose, della formazione delle citt a partire da una popolazione uniformemente distribuita sul territorio. Si pu mostrare, infine, come un principio di ordine a partire dalla crescita casuale possa portare alla formazione di una distribuzione rango-dimensione (la rank-size rule) secondo una legge di potenza, fenomeno osservato in numerosissimi e svariati contesti. Leggi di potenza, definite ciascuna da un particolare valore del proprio esponente, sono, per fare qualche esempio, la distribuzione del numero dei terremoti secondo la loro energia e quella del numero dei meteoriti sempre secondo la loro energia, la distribuzione del numero delle citt degli Stati Uniti rispetto alla dimensione della popolazione che vi abita8.

2.4 La modellizzazione della complessit. Lobiettivo della modellizzazione della complessit di identificare i meccanismi, o almeno alcuni

La rank-size rule citata per le citt degli Stati Uniti non riguarda solo gli Stati Uniti, ma pu essere riferita anche ad altri paesi. Gli esempi riportati sono casi della celebre legge di potenza nota come legge di Zipf, introdotta dal linguista americano George Kingsley Zipf nel 1932 con riferimento alla distribuzione delle lettere in ordine di frequenza nella lingua inglese scritta. Zipf stesso, in anni successivi, riconobbe e studi lapplicabilit della legge che porta il suo nome a numerosi altri contesti, fra i quali, in particolare, alla distribuzione che si osserva, sia pure con eccezioni, del numero di citt di un paese secondo la popolazione.

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dei meccanismi, capaci di generare una descrizione dei cambiamenti degli stati di un sistema complesso adattivo e, tipicamente, capaci di descrivere lemergere di qualche insieme di regolarit nelle configurazioni che si manifestano nel corso dellevoluzione endogena del sistema stesso. I sistemi complessi adattivi sono, in genere, estremamente difficili da modellizzare efficacemente. Ci perch nellevoluzione di un sistema complesso, si presentano degli stati di instabilit in corrispondenza dei quali piccole perturbazioni causano nel sistema importanti effetti imprevedibili. Situazioni di questo genere sono tipiche delle dinamiche instabili e caotiche, ma nel caso della complessit la questione diversa. In corrispondenza degli stati di instabilit, pu succedere che il sistema si autoorganizzi, assumendo spontaneamente, senza cio alcuna spinta che lo piloti dallesterno, una configurazione di equilibrio. Pu accadere, cio, che le interazioni non lineari diffuse nel sistema e il feedback che agisce su tutti gli elementi siano tali da dare origine improvvisamente a un inatteso comportamento coordinato di tutte le parti del sistema. Il livello di dettaglio della formulazione del modello per descrivere le dinamiche non lineari deve essere altissimo. Se i meccanismi che si vogliono inserire nel modello sono conosciuti correttamente e sono selezionati efficacemente, essi generano sequenze di stati che descrivono fedelmente il comportamento del sistema, o quantomeno lo approssimano accettabilmente. I computer permettono un livello di dettaglio notevole nella modellizzazione: ci, se da una parte permette di far funzionare modelli estremamente elaborati e articolati in molti dettagli, da unaltra parte comporta i rischi connessi con la realizzazione di modelli eccessivamente dettagliati, costruiti accumulando dettagli su dettagli, senza criteri di selezione. Modelli articolati secondo troppi dettagli, infatti, possono far passare in secondo piano gli elementi pi rilevanti della dinamica complessa allo studio, nascondendoli sotto una coltre di segnali non rilevanti. Vi il rischio, cio, che tali modelli non riescano a descrivere adeguatamente, in un quadro olistico, i sistemi cui si riferiscono, poich un eccesso di dettagli nella formalizzazione delle dinamiche delle singole parti, in un modello che intendesse essere onnicomprensivo, potrebbe mascherare la comparsa di fenomeni emergenti.
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Una volta che un problema particolare sia stato identificato e ci si siano poste delle domande specifiche sullo stesso, opportuno iniziare lanalisi utilizzando un modello semplice, sottoponendo cos le domande a un modello che sia adeguatamente circostanziato, ma che non abbia la pretesa di essere onnicomprensivo. Si valuta fino a che punto il modello possa aiutare a rispondere alle domande poste, aggiungendo al modello un nuovo meccanismo solo quando se ne riconosca la necessit. Il metodo di utilizzare il pi a lungo possibile un modello semplice pu rivelarsi proficuo e consentire di produrre modelli che hanno il grado di dettaglio strettamente necessario per rispondere alle domande, quindi non sovrabbondante. In un sistema complesso adattivo, come abbiamo detto, ogni individuo-agente, libero e consapevole se parliamo di sistemi sociali, interagisce intensamente e in modi non lineari con una moltitudine di altri individui-agenti. Senza alcuna perdita di generalit, utile pensare allambiente in cui opera un agente come rappresentato interamente da agenti, alcuni dei quali non mostrano alcuna capacit di adattamento agli stimoli provenienti da altri agenti, e che per questo chiamiamo passivi. Ogni agente adattivo riceve informazioni sul proprio ambiente attraverso un insieme di rivelatori o indicatori; potremmo dire, sotto forma di un messaggio costituito da un pacchetto standardizzato di informazioni. Ricevuto il messaggio, lagente lo elabora giungendo a un risultato che pu anchesso essere comunicato sotto forma di messaggio. Questo pu essere diretto verso altri agenti, i quali, tutti insieme, realizzano le interazioni che modificano lambiente dellagente (si vedano ad esempio: Batten, 2000; Rabino, 2005; Terna, 2005, 2008; Terna e altri, a cura di, 2006; Terna e Taormina, 2007). In generale quindi, possiamo pensare a un sistema complesso adattivo come a una rete di comunicazioni in cui circolano messaggi che veicolano informazioni, le quali vengono elaborate dagli agenti: i nodi della rete, i quali sono visti come meccanismi di elaborazione dei messaggi e di produzione della conoscenza (Barabsi, 2002). Ora, se pensiamo gli agenti di un sistema complesso come i componenti di base di questo, allora dovremmo osservare, secondo quanto accennato nel sottoparagrafo 2.3, unorganizzazione gerarchica nella pi
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parte dei sistemi complessi adattivi. Accade che alcune combinazioni di agenti, grazie alle interazioni particolarmente efficaci che li legano in un sottoinsieme del sistema, acquisiscano maggiore persistenza di altre combinazioni, le quali pagano le spese del successo delle prime non accedendo a risorse che per loro sono diventate indisponibili. Ad esempio, in un sistema economico, combinazioni persistenti di imprese diventano candidate ad assumere il ruolo di agenti a un livello pi elevato di organizzazione, come accade, ad esempio, quando in un territorio in cui insediato un sistema economico sviluppato si formano particolari aggregati, localizzati in aree di estensione limitata, costituiti da industrie e altre attivit che sono caratterizzate non solo dalla condivisione delle esperienze, ma anche da una attiva fitta rete di comunicazioni a livello sociale (il cosiddetto capitale immateriale) e da continue, diffuse e intense interazioni fra le parti. Il distretto industriale un tipico esempio di struttura economicospaziale che si fonda su una rete di comunicazioni, la quale consente laccesso alle risorse e la loro disponibilit (Becattini, 1998; Quadrio Curzio e Fortis, a cura di, 2002; Rullani, 2004; Viale, a cura di, 2008). Nel distretto, limpossibilit per le piccole imprese di sfruttare economie di scala interne compensata da economie esterne allimpresa ma interne al distretto, di cui si possono appropriare solo le imprese appartenenti al distretto stesso (Barbato e Luo, 2008). Per il successo imprenditoriale del distretto, contano pertanto le relazioni tra gli attori in campo, tra i loro capitali, tra le loro conoscenze e le loro strategie. Lesperienza dei distretti mostra che un patrimonio di saperi sedimentatisi negli anni pu diventare un importante fattore di sviluppo e di successo. Conta sempre di pi, in una parola, la rete. La rete che si esplica su differenti livelli, come quello delle interazioni economiche, quello delle risorse del territorio, quello delle interazioni di carattere sociale e delle comunicazioni, la chiave del successo economico del distretto industriale. Con laccesso alla rete, il piccolo pu ambire a entrare nei mercati cui accede il grande, nei quali da solo non riuscirebbe a entrare. Accedere alla rete, dunque, significa accedere alle risorse degli altri e condividerle con reciproco beneficio. La rete , prima di tutto, la rete delle interazioni non lineari fra gli operatori economici, fondata sulla fit343

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ta trama di relazioni e di fiducia che lega costoro sul territorio. La rete, che si basa sulla fiducia che nasce dalla prossimit e dalla concentrazione geografica, dalla conoscenza diretta e personale consolidatasi in anni di lavoro nel medesimo campo, si crea come un fenomeno emergente spontaneo. La realt produttiva dei distretti dunque di natura spontanea e autoorganizzativa, e male si accorderebbe ad azioni regolative dirigistiche esterne (Cor e Micelli, 2008). Un secondo esempio di sistema complesso che si fonda su una rete di interazioni non lineari pu essere riconosciuto in quella concezione moderna di impresa chiamata spesso impresa rete (Dioguardi, 2005, 2007a, 2007b). Nel contesto dellimpresa, la rete soprattutto una rete di tecnologie, in particolare informatiche, ma anche una rete di individui delegati alle decisioni e personalmente motivati sugli obiettivi da realizzare. Limpresa, superato il paradigma tayloristico, sempre pi frequentemente si trasforma da semplice funzione di produzione a strumento di governo di processi complessi di natura tecnologica e sociale, come la ricerca applicata, lo sviluppo tecnologico, la diffusione dellinnovazione, la formazione avanzata, che diventano processi essenziali per la sopravvivenza e il successo sui mercati globali. Nellimpresa rete, ai tradizionali problemi di strategia e struttura si affianca lattivit di governance, nellambito della quale limprenditore si trova a gestire unimpresa costituita dalla rete di imprese operanti nel suo indotto: una rete cui si arrivati attraverso una serie di aggiustamenti organizzativi succedutisi nel tempo, principalmente esternalizzazioni e terziarizzazioni, cui corrisponde a valle una struttura speculare composta da una rete di clienti fra loro interconnessi. Le imprese della rete, tutte insieme, formano una macroimpresa, un insieme di imprese orientate a realizzare gli obiettivi comuni specificamente espressi dallimpresa di coordinamento generale e di governo. Nellimpresa rete, gli individui si trovano cos a svolgere un ruolo creativo di agente, essendo fortemente motivati nella loro missione aziendale, in modo del tutto antitetico a quanto prevedeva la concezione taylorista che spersonalizzava e omologava gli individui. In questo modo, si pu parlare di impresa come di una rete di individui in interazione che operano come imprenditori di se stessi.
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I sistemi economico-spaziali come i distretti industriali e le imprese rete, e come i sistemi urbani e regionali di cui ci siamo occupati nel paragrafo 1. sono sistemi a molte dimensioni, che presentano le caratteristiche della complessit a diversi livelli gerarchici. Sono, in questo senso, sistemi complessi sotto molti punti di vista: non solo nel particolare livello e nella singola dimensione in cui si proietta la descrizione del sistema, ma anche nei collegamenti fra livelli diversi e dimensioni diverse. chiaro che la modellizzazione di tali sistemi ne d una descrizione necessariamente semplificata, la quale privilegia alcuni di quei livelli e dimensioni; in questo caso, principalmente il livello economico e quello spaziale, trascurandone altri. Ci comporta inevitabilmente la perdita di componenti del sistema e una conseguente riduzione del suo grado di complessit, come accade peraltro in situazioni analoghe in qualsiasi altro sistema complesso.

2.5 Leconomia complessa. Un sistema di mercato un insieme di individui-agenti liberi nelle proprie decisioni, che vengono prese individualmente. Gli individui interagiscono fra loro secondo schemi ricorrenti che si formano in riferimento a beni oggetto di scambio. Attraverso le reciproche interazioni non lineari, gli agenti producono, comprano e vendono, usano beni e sviluppano nuovi beni. Non solo, ma per via delle stesse interazioni non lineari fra agenti, si formano sottosistemi in cui le interazioni sono pi forti, persistenti e stabili nel tempo. Ci permette di identificare nuovi schemi di interazione e nuove entit-agenti nel sistema. Tutto questo si svolge incessantemente nel corso del tempo, e assicura la dinamica del sistema di mercato, anche se le circostanze nelle quali il sistema di mercato svolge le proprie dinamiche cambiano in risposta a perturbazioni interne o esterne al sistema di mercato stesso. Vi differenza fra il sistema di mercato e il mercato, intendendo per mercato lentit a cui tradizionalmente fanno riferimento gli economisti. Il mercato in s un luogo di scambio impersonale, in cui gli agenti scambiano prodotti con caratteristiche ben definite, a prezzi che, secondo i postulati della teoria standard della scienza economica neoclassica, riflettono lequilibrio fra domanda e offerta. La teoria economica assegna a questi prezzi il ruolo di elementi di comunicazione, gli uni345

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ci elementi di comunicazione, fra agenti che sono tutti uguali fra loro, tutti homini oeconomici, i quali usano le informazioni sui prezzi, disponibili a tutti, per decidere le proprie azioni. Le relazioni fra gli agenti non hanno nessun effetto nel mercato: ci che veramente conta quanto ogni agente homo oeconomicus, pienamente razionale e onnisciente, valuta un prodotto nel mercato e gli elementi che il mercato, operando come entit in s, aggrega nel prezzo di quel prodotto. In realt, nel mercato hanno luogo intense e continue interazioni fra gli individui-agenti, i quali incessantemente non solo contrattano i prezzi, ma si scambiano anche opinioni e sensazioni sul significato che i prodotti rivestono per ciascuno di loro. Opinioni e sensazioni: qualcosa di ben diverso dalla valutazione numerica di un prezzo. In particolare, gli agenti apprendono da questi scambi reciproci qualcosa di pi e di diverso da quanto ricavano dal semplice meccanismo dellequilibrio dei prezzi, il quale addirittura, come sovente accade nei casi reali, pu rivelarsi un equilibrio non stabile, pu essere costituito da un insieme di stati possibili e pu anche non esistere. Quando il mercato, inteso nel senso tradizionale, si colora di questa fitta rete di interazioni fra gli agenti, allora diventa un fatto fortemente sociale, diventa un sistema che, in certe circostanze, si autoorganizza endogenamente, cio si riassesta, come abbiamo detto, cambiando spontaneamente la propria struttura interna senza alcuna azione dallesterno, diventa un sistema in cui si formano propriet emergenti, diventa un sistema di mercato. Non pensiamo pi dunque al mercato come a uno spazio-contenitore delle azioni umane, una platea dove si incontrano domanda e offerta e si contrattano i prezzi, una sorta di spazio assoluto in cui si muovono gli agenti, similmente a come Newton intendeva con spazio assoluto luniverso-contenitore in cui si muovono tutti i corpi in reciproca interazione gravitazionale. Consideriamo il mercato, invece, come un sistema complesso adattivo, che evolve per effetto delle dinamiche degli agenti e delle relazioni non lineari fra gli stessi: agenti e relazioni fra gli agenti costituiscono, tutti insieme, il sistema di mercato (Schelling, 1978; Krugman, 1996; Arthur, Durlauf e Lane, eds., 1997; Barkley Rosser Jr. e Cramer Jr., eds., 2004; Metcalfe e Foster, eds., 2004; Lane e altri, eds., 2009).
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Attualmente, sempre pi spesso accade nella teoria economica che circostanze che erano considerate insolite e non accettabili tendano invece a essere considerate usuali, accettabili, se non addirittura desiderabili. Per quasi un secolo stata largamente dominante lidea che la realt economica possa essere ragionevolmente descritta da insiemi di coppie di curve lineari della domanda e dellofferta che si intersecano in singoli punti di equilibrio, i quali configurano stati verso cui i mercati tendono a portarsi secondo la teoria dellequilibrio economico generale (Ingrao e Israel, 1987). In questi ultimi decenni, invece, ci si sta rendendo sempre pi spesso conto del fatto che molti mercati reali, forse tutti, non si comportano come prevede la teoria economica mainstream, se non in casi molto particolari e circoscritti; ad esempio, quando sono piccoli e vi si scambiano merci indifferenziate o quasi, come, tanto per fare un esempio, nel commercio delle patate in un mercato rionale, nel quale appunto i prezzi rapidamente si equilibrano. La realt economica, di fatto, infestata, diciamo cos, dalla diffusa presenza di non linearit nelle interazioni fra gli agenti, dalla presenza di discontinuit nelle dinamiche, da asimmetrie, distorsioni e carenza di informazioni, nonch da uninfinit di fenomeni che non sono prevedibili e non sono nemmeno comprensibili a fondo (Anderson P.W., Arrow e Pines, eds., 1988; Arthur, Durlauf e Lane, eds., 1997; Barkley Rosser Jr. e Cramer Jr., eds., 2004; Delli Gatti e altri, 2007; Lane e Maxfield, 2009). Non solo. Gli stessi meccanismi che determinano le scelte degli agenti economici, come peraltro quelle di qualsiasi individuo nelle circostanze pi disparate in cui pu trovarsi a decidere fra diverse alternative, sono fondati spesso non solo sulla razionalit, ma anche su fattori di carattere psicologico ed emotivo, e avvengono secondo processi mentali non razionali. Detti fattori e processi, in qualsiasi individuo reale, inevitabilmente si affiancano alla razionalit e sovente la pongono in secondo piano, dando origine a meccanismi mentali che portano a comportamenti di scelta molto spesso incoerenti e in contraddizione con la teoria delle scelte razionali, come elaborata da John von Neumann e Oskar Morgenstern nel loro celebre libro del 1944. La contraddizione manifesta, ad esempio, quando i comportamenti di scelta so347

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no dettati da motivazioni legate al sentimento sociale dellaltruismo, come stato gi osservato da alcuni sociologi, come Mark Granovetter (1973, 1985) e Karl Polanyi (1977), secondo i quali i rapporti personali sono integrati in reti sociali che possono generare fiducia e creare relazioni di scambio diverse da quelle dettate dalla pura razionalit economica. Evidente contraddizione rispetto alla razionalit si ha, ad esempio, quando la scelta economica legata alla ricerca, da parte di chi compie la scelta, di una felicit originata dal sentimento che si prova quando si compie unazione gradita ad altri, come il dono. Si tratta, come evidente, di criteri di scelta in totale antitesi alla razionale ed egoistica massimizzazione dellutilit individuale dellhomo oeconomicus (Bruni e Porta, a cura di, 2004, 2006; Bruni e Zamagni, 2004; Bruni, 2006; Sacco e Zamagni, a cura di, 2006). Le prime proposte avanzate nella scienza economica riguardo allidea di un comportamento di scelta non razionale dellindividuo-agente economico risalgono agli anni Cinquanta, pi o meno nello stesso periodo in cui veniva dimostrato il grandioso teorema dellequilibrio economico generale, e furono lesito dei risultati inattesi e sorprendenti di alcuni test condotti su individui reali, e non quindi su agenti astratti definiti teoricamente. Si tratta dei celebri paradossi di Allais (1953), prima, e di Ellsberg (1961), qualche anno pi tardi. I lavori dei due studiosi costituiscono i primi episodi di economia sperimentale, cio di scienza economica studiata non con costruzioni teoriche e logico-deduttive o utilizzando modelli teorico-matematici, ma nella quale si indaga attraverso lanalisi di esperimenti eseguiti sotto forma di test psicologici, condotti su persone reali. Lidea che lentamente comincia a farsi largo a seguito di tali esperimenti, che i meccanismi di scelta il pi delle volte non sono riferibili a processi logico-deduttivi razionali, e ci, in particolare, quando in gioco anche la percezione individuale della probabilit degli eventi o, come viene chiamata, la probabilit soggettiva (de Finetti, 1931a, 1931b, 1970, 1981, 1991; Savage, 1954; si vedano anche: Plato von, 1989; Cifarelli e Ragazzini, 1996). Il lavoro di Allais discuteva il modo in cui gli individui, nel prendere una decisione, valutano il rischio economico e, di conseguenza, se le decisioni economiche vengano prese razionalmente oppure no. Allais
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dimostr, con lanalisi dei dati empirici da lui raccolti come abbiamo detto, e non attraverso ragionamenti formali teorico-matematici, che gli individui intervistati si comportavano incoerentemente. Essi, posti di fronte a unalternativa di scelta fra due scommesse, in grande maggioranza sceglievano lalternativa della scommessa su una vincita minore, ma certa, rispetto a una scommessa su una vincita maggiore, ma non certa, della quale era nota la probabilit. Gli individui mostravano in questo modo avversione al rischio. Successivamente per, rispondendo a una domanda formulata in modo leggermente diverso, mostravano di preferire la scommessa su una vincita pi alta, con una data probabilit, rispetto alla scommessa su una vincita pi bassa, ma con una probabilit maggiore. Gli individui mostravano in questo caso, invece, propensione al rischio, in contraddizione con latteggiamento di avversione al rischio mostrato nella risposta alla domanda precedente. Le conclusioni di Allais erano molto lontane dalle idee della teoria economica dominante in quegli anni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e cio leconomia neoclassica. Nonostante ad Allais trentacinque anni dopo, nel 1988, venisse assegnato il premio Nobel per leconomia, il sorprendente risultato delle ricerche da lui condotte, laver cio evidenziato lincoerenza delle decisioni economiche, e quindi la loro sostanziale non razionalit, non aveva avuto una grande risonanza negli ambienti della teoria economica mainstream. Lesperimento condotto da Ellsberg nel 1961, lungo la linea di quello di Allais, mostr come le persone in condizioni di incertezza si comportino non in accordo con gli assiomi della teoria classica della decisione. Ellsberg osserv, nei test da lui condotti, che gli individui intervistati, se posti di fronte a due formulazioni differenti della stessa scelta fra due scommesse, una scommessa in cui le probabilit degli esiti oggetto della scommessa stessa sono note, e laltra in cui invece non lo sono, in gran maggioranza si comportano in modo incoerente, dando risposte contraddittorie. Secondo i due modi in cui viene formulata la domanda, in grande maggioranza gli individui scelgono, nella prima formulazione, la scommessa in cui conoscono le probabilit e, nella seconda formulazione, la scommessa al buio, in cui le probabilit non sono note. Ci, come dimostr Ellsberg, porta a una palese violazione
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dellassioma dellindipendenza dalle alternative irrilevanti, uno dei pilastri su cui si fonda la teoria classica della scelta di von Neumann e Morgenstern (si veda: Bertuglia e Vaio, in corso di stampa). Maggior seguito hanno avuto invece, in anni a noi pi vicini, i lavori di Vernon Lomax Smith (1976, 1982, 1991, 2000) e quelli di Daniel Kahneman e di Amos Tversky (Kahneman e Tversky, 1979; Tversky e Kahneman, 1991, 1992, Kahneman, 2003), i quali hanno mostrato, anchessi su basi sperimentali e con grande evidenza, limportanza dei meccanismi psicologici individuali nei processi di scelta in economia9. In particolare, le osservazioni di Kahneman e Tversky mostrano che solitamente negli individui la percezione della perdita di una certa somma di denaro pi forte della percezione del guadagno dellidentica somma, mostrano cio che gli individui sono sostanzialmente avversi al rischio. Ci si traduce nellassunzione che, ad esempio in un investimento, la funzione che mette in relazione il valore percepito con il valore reale della perdita, nel semipiano delle ascisse negative, sia diversa dalla funzione che mette in relazione il valore percepito con il valore reale del guadagno, nel semipiano delle ascisse positive. La prima negativa, convessa e ripida, mentre la seconda positiva, concava e meno ripida della prima (Figura 3).

Vernon Smith e Daniel Kahneman ricevettero il premio Nobel per leconomia nel 2002 (il premio non pot essere assegnato anche ad Amos Tversky, autore con Kahneman delle fondamentali ricerche premiate, perch scomparso nel 1996, allet di 59 anni). Robert Aumann, premio Nobel per leconomia nel 2005, osserva che certamente il riconoscimento andato al fatto che Vernon Smith, Kahneman e Tversky sono stati i primi a introdurre la sperimentazione attiva in economia, laddove fino ad allora vi era stata solo la raccolta e luso di dati gi esistenti, ma che in tale circostanza furono premiate due pregevolissime linee di ricerca che hanno portato a conclusioni opposte: secondo Kahneman, infatti, la teoria classica sbagliata, mentre secondo Vernon Smith essa corretta (Hansen, 2007). Secondo Aumann, lantitesi delle conclusioni origina dalla profonda differenza fra i due metodi sperimentali adottati. Vernon Smith eseguiva esperimenti reali, osservando ci che le persone realmente facevano in situazioni normali, come quando operavano nei mercati, mentre Kahneman (con Tversky) eseguiva esperimenti ipotetici, interrogando le persone su che cosa avrebbero fatto in certe circostanze, prospettando loro situazioni inusuali e sconosciute, come si usa fare spesso in economia comportamentale (pi o meno come avevano fatto anche Allais e Ellsberg): ci che le persone dicono di fare non sempre quel che esse effettivamente fanno.

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La prospettiva della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale

FIGURA 3: Andamento della relazione fra valore percepito e valore reale del guadagno e della perdita, secondo Kahneman e Tversky
Valore percepito

Avversione al rischio

Perdita

Guadagno

Propensione al rischio

Gli individui manifestano una sensibilit (il valore percepito) marginalmente decrescente nei confronti sia dei guadagni sia delle perdite, cio nei confronti dei cambiamenti della propria ricchezza, ma con una crescita pi rapida della sensibilit alla perdita (il dispiacere per la perdita) rispetto alla rapidit di crescita della sensibilit al guadagno (il piacere del guadagno). Il grafico della funzione che descrive il valore percepito, che risulta dallunione delle due funzioni, avrebbe pertanto, secondo le ricerche sperimentali di Kahneman e Tversky, una sorta di forma a S. Kahneman e Tversky hanno mostrato, inoltre, che lesito dei processi di scelta in condizioni di incertezza dipende in modo fondamentale anche dalla formulazione (framing) delle alternative di scelta, cio da come viene proposto (o inquadrato) il particolare problema di scelta fra le alternative. I lavori degli studiosi citati, insieme ai gi citati lavori di Hayek e di Simon, hanno concorso alla formazione di un nuovo ramo delleconomia, rapidamente sviluppatosi in questi ultimi tre decenni, che si pone al di fuori della teoria neoclassica: leconomia cognitiva (si vedano, ad esempio: Rizzello, 1997; Motterlini e Piattelli Palmarini, a cura di, 2003; Rizzello
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Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio

e Egidi, eds., 2004; Motterlini e Guala, a cura di, 2005; Viale, a cura di, 2005). Leconomia cognitiva non una vera e propria teoria economica formale: essa si sviluppa su basi sperimentali e si propone di fondere la psicologia con leconomia, mettendo a fondamento delle scelte in campo economico non la massimizzazione del profitto, ricercata con metodi logico-razionali da parte di un individuo-agente astratto, razionale e onnisciente, bens i processi psicologici e cognitivi di un individuo reale, osservato empiricamente, che soggiace ai propri meccanismi psicologici. Lindividuo-agente delleconomia cognitiva adotta tipicamente una forma non lineare per le relazioni fra stimoli, informazioni e decisioni che egli intreccia nella propria mente. I sistemi composti da numerosi individui-agenti economici sono anchessi, e a maggior ragione, tipici sistemi non lineari. Infatti, non solo sono sistemi di individui, i quali singolarmente agiscono secondo regole non lineari, ma sono anche sistemi in cui le interazioni fra gli individui esistono, sono intense e si svolgono secondo forme non lineari. Sono sistemi in cui gli individui non sono mai uguali gli uni agli altri e mantengono comunicazioni continue fra loro: le interazioni sono intense e mutano nel tempo, poich gli individui stessi sono capaci di apprendere dallesperienza e, in virt dellapprendimento, cambiano nel tempo le proprie elaborazioni delle informazioni ricevute. Malgrado tutto ci, a fronte di macroscopici fenomeni di variabilit e della sostanziale imprevedibilit dei comportamenti individuali, innegabile la presenza nei sistemi economici di schemi e dinamiche ricorrenti, cio di una forma di ordine. Lordine emerge dallinsieme delle singole interazioni fra gli individui-agenti, difficilmente comprensibili nei loro dettagli e solo parzialmente descrivibili con modelli: interazioni i cui effetti, che danno luogo ai processi evolutivi delleconomia, sono sostanzialmente imprevedibili. Questi fenomeni sono indicati, in genere, con lespressione economia complessa. Anche i fenomeni economici che appaiono ricorrenti risultano generalmente da un comportamento degli individui-agenti che non sempre in accordo con quanto prevede la teoria delle aspettative razionali e raramente prevedibile. Viviamo in un mondo che riflette lenorme variet degli individui, i quali sono diversi nella conoscenza che elaborano a partire dalle informazioni cui hanno accesso, sono diversi negli atteggiamen352

La prospettiva della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale

ti e nel fatto che essi, gli individui, non sempre agiscono razionalmente, interagiscono fra loro secondo modalit diverse, non lineari, che si attuano entro un elevato numero di strutture istituzionali. Ci che emerge nellaggregato pu avere poco a che fare con ci che accade a livello individuale, ma laggregato complesso non pu essere descritto semplicemente da qualche insieme di equazioni aggregate. Esso emerge invece dalle azioni di un gran numero di individui singoli diversi fra loro, ciascuno con le proprie peculiarit e in stretta relazione con altri individui. Questa concezione delle modalit della dinamica economica, come abbiamo gi osservato nei sottoparagrafi 2.2 e 2.3, diversa da quella della teoria economica neoclassica, la quale descrive un mercato composto da un aggregato di agenti homini oeconomici tutti uguali, tutti isolati luno dagli altri, tutti pienamente razionali ed egoisti, tutti impegnati a elaborare, con la medesima piena razionalit, la stessa completa informazione che ciascuno di essi condivide con tutti gli altri, tutti dediti solamente alla massimizzazione di una funzione utilit individuale uguale per tutti. Questo cambiamento di prospettiva ha comportato nuovi approcci allanalisi economica. Nella teoria economica neoclassica si applicano metodi logico-deduttivi formali e si eseguono dimostrazioni di teoremi che mirano a ricavare soluzioni generali largamente applicabili. Ci culminato, come gi detto, nel grandioso teorema dellequilibrio generale di Arrow e Debreu (1954), che ha portato a compimento, in pieno stile bourbakista10, il percorso aperto da Walras pi di ottantanni prima (si vedano: Ingrao e Israel, 1987; Bertuglia e Vaio, in corso di stampa).

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Nel 1934 si form a Parigi un circolo di giovani matematici allievi dellcole Normale Suprieure, fra i quali Henri Cartan, Jean Dieudonn e Andr Weil, che si dette come pseudonimo Nicolas Bourbaki. Il gruppo intendeva rifondare la matematica sul concetto generale di struttura e sulla teoria degli insiemi, mirando a un rigore formale assoluto, rifuggendo da qualsiasi ricorso allintuizione e proponendo una matematica costituita solo da regole sintattiche formali applicate a un insieme di simboli, a partire da un insieme di assiomi. La scuola bourbakista ebbe grande diffusione soprattutto fino agli anni Settanta, in particolare nelle scuole di matematica francesi, dove ha formato generazioni di matematici. Fra questi, anche coloro che hanno rivolto la propria attenzione alla teoria economica, come Grard Debreu, laureatosi nel 1946 allcole Normale Suprieure di Parigi, dove era stato allievo di Cartan (Bertuglia e Vaio, 2003, 2005). 353

Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio

Assistiamo in questi ultimi decenni, invece, a una crescente rilevanza attribuita ai metodi sperimentali e alle simulazioni al computer, attraverso lapplicazione di modelli, per determinare induttivamente i possibili esiti delle scelte degli agenti e le soluzioni dei problemi. I fenomeni emergenti che nascono nei sistemi complessi non sono scoperti, di solito, a seguito della dimostrazione di un teorema, ma sono evidenziati utilizzando i computer per esplorare le possibilit e i limiti che si possono presentare elaborando modelli sempre pi articolati. La consapevolezza della complessit, in questo modo, pu introdurre qualche novit nel modo di guardare ai fenomeni e processi economici. In aree diverse della scienza sono emerse differenti definizioni di complessit, appropriate per le singole aree. Tali definizioni hanno molto in comune, ma non tutto. La computer science in generale il riferimento allorigine dei tentativi di dare una definizione formale della complessit. Nel contesto della computer science, la complessit di un sistema (o di un problema) viene vista come lunghezza dellalgoritmo pi breve capace di descrivere il sistema stesso (o di risolvere il problema) (Bertuglia e Vaio, in corso di stampa). evidente, tuttavia, che questa idea algoritmica di complessit, in realt, non quella cui istintivamente pensano gli scienziati sociali quando riflettono sui fenomeni complessi nella societ e, fra questi scienziati, in particolare gli economisti, quando riflettono sulle dinamiche economiche complesse. E ci, nonostante linfluenza che stata esercitata sul pensiero economico dalla computer science e da altri ambiti di ricerca strettamente collegati alla computer science, come lintelligenza artificiale, per opera di importanti figure di studiosi attivi in diversi settori della ricerca scientifica, primo fra tutti Simon. Unidea di come si riconosca la complessit nella dinamica economica pu essere espressa come segue (Day, 1994). Un sistema economico complesso se i suoi processi deterministici endogeni non lo conducono, nella sua dinamica, verso un punto fisso. Pi in particolare, per sistemi economici complessi intendiamo i sistemi economici che, come Arthur, Durlauf e Lane (eds.) (1997) delineano efficacemente, condividono le caratteristiche seguenti: (i) hanno relazioni diffuse fra le parti eterogenee che agiscono localmente le une sulle altre entro un certo
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La prospettiva della complessit nello studio dei sistemi urbani e regionali e nelleconomia in generale

spazio; (ii) sono privi di qualsiasi controllore generale che governi le interazioni fra le parti per pilotare levoluzione del sistema verso una qualche forma di obiettivo precostituito; (iii) possiedono unorganizzazione pi orizzontale che non gerarchica, con molti tipi di interazioni intrecciate fra di loro; (iv) sono soggetti a un continuo adattamento attraverso processi di evoluzione delle singole parti (gli individui-agenti), come si ha, ad esempio, con lapprendimento; (v) hanno dinamiche che si trovano in stati lontani dallequilibrio e possono prevedere molti stati di equilibrio, ma anche nessuno; (vi) se sottoposti a stimoli esterni nuovi, reagiscono creando endogenamente dinamiche nuove, a priori del tutto imprevedibili e ingovernabili.

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