Alessandro Barbero, nato a Torino nel 1959, è professore ordinario presso
l’Università del Piemonte Orientale a Vercelli. Studioso di storia medievale e di storia militare e autore di diversi romanzi storici, tra cui Alabama. Nella scrittura di quest’opera, l’autore narra l’America profonda, bianca, povera e razzista dando voce a un reduce di guerra, Dick Stanton. Lo scenario appena descritto è quello che ha caratterizzato il continente americano durante la guerra di Secessione, considerata il primo dei grandi conflitti dell'età contemporanea. A metà Ottocento, infatti, negli Stati Uniti era andato nettamente delineandosi il dualismo tra un Nord industriale in espansione, interessato a proteggere dalla concorrenza estera le merci nazionali, guidato da un ceto capitalistico moderno e dove vigeva il lavoro libero, e un Sud agrario, dominato da un'aristocrazia di grandi proprietari terrieri che traevano i loro profitti dall'esportazione di materie prime (cotone, tabacco e altre) e utilizzavano nelle piantagioni circa 3 milioni di schiavi neri. I sudisti intendevano allargare le aree aperte al lavoro degli schiavi, ma incontrarono sempre maggiori opposizioni. A partire dagli anni Venti le tensioni fra le due parti del paese erano diventate a mano a mano più acute, fino a che nel 1861 scoppiò la guerra civile. A fare da catalizzatore per lo scoppio della guerra civile fu l’elezione a presidente nel 1860 del repubblicano Abraham Lincoln, il quale guidò i repubblicani nelle elezioni presidenziali del 1860 a sostegno della proibizione della schiavitù in tutti i territori degli Stati Uniti, una proposta che gli Stati del sud accolsero come una violazione dei loro diritti costituzionali. Il 20 dicembre 1860 la Carolina del Sud prese l’iniziativa della secessione, cui fece seguito quella degli altri dieci stati meridionali, i quali formarono una propria Confederazione con presidente Jefferson Davis. La guerra vera e propria iniziò in seguito al bombardamento da parte delle truppe sudiste di Fort Sumter il 12 aprile 1861. Le due parti erano di forze assai ineguali. Il nord aveva una popolazione di 22 milioni; il sud di 5,5. Il primo era dotato di una potente base industriale; il secondo doveva dipendere per gli armamenti dalle importazioni, fortemente ostacolate dal blocco navale. Guidato da un genio militare, il generale Robert Lee, l’esercito sudista ottenne grandi successi iniziali; ma infine la schiacciante superiorità materiale del nord ebbe il sopravvento. Nel 1863 il generale nordista Ulysses Grant conquistò Vicksburg e tagliò in due la Confederazione; e i sudisti persero la battaglia di Gettysburg per la conquista della Pennsylvania. Il colpo finale al sud venne inferto nel 1864 dalle armate di William Sherman. Il 9 aprile 1865 Lee si arrese nel villaggio di Appomattox. Rieletto nel 1864, Lincoln, intenzionato a una pace moderata, fu assassinato da un attore sudista il 14 aprile. Tra le cause del conflitto vi è la volontà condivisa dalla maggior parte dei sudisti di preservare la schivitù. Per i nordisti, al contrario, la motivazione era principalmente quella di preservare l'Unione, piuttosto che l'abolizione della schiavitù. Secondo alcuni storici, infatti, per Abraham Lincoln la preservazione dell'unità dell'Unione era l'obiettivo della guerra; l'abolizione della schiavitù, che Lincoln vide sempre come una questione cruciale, sarebbe divenuta un ulteriore obiettivo finale. Il bilancio finale della guerra, che fu quanto mai aspra e assunse il carattere di una crociata ideologica, registra oltre 600.000 morti e la devastazione di grandi territori. Questo è ciò che viene riportato nei manuali ufficiali di storia ma che non soddisfa la curiosità di una studentessa interessata a un evento specifico che ha visto protagonista l'esercito confederato e su cui si basa l’intera narrazione del romanzo. La giovane studentessa di storia, intenta nel scrivere la sua tesi di laurea, si sposta in Alabama per intervistare un vecchio superstite di guerra, ormai quasi centenario, alla ricerca di testimonianze sullo scandaloso massacro perpetrato dai confederati su prigionieri di guerra di colore dopo una battaglia vinta. Ha inizio, dunque, la narrazione che riprende la struttura di un flusso di coscienza ed è soggetta a numerose diramazioni a tal punto che a volte sembra essersi perso il fulcro del discorso. Il testimone, infatti, divaga e si perde nel raccontare aneddoti di guerra, da lui ritenuti fondamentali ma la cui rilevanza storica appare limitata. La studentessa, tuttavia, non cessa di ascoltare attentamente il lungo sproloquio che funge da premessa al tanto atteso racconto di un atroce massacro di cui si è quasi persa traccia. Così il lettore si trova immerso nei fatti, grandi e piccoli, della vita militare di quel tempo: l'organizzazione dell'esercito, i processi di scelta dei leader, la mentalità diffusa nella società sudista ma anche il cibo, le armi e l'abbigliamento in dotazione a ogni soldato. Da ciò risulta la composizione di un libro particolare nella sua struttura narrativa, apprezzata da molti e ritenuta ostica da altri. Per quanto riguarda il linguaggio utilizzato, esso non è casuale ma dettato da una scelta lungimirante tesa a rappresentare un modo di parlare, di vedere e pensare completamente diverso dal nostro ma che riflette totalmente le abitudini e il modo di pensare di un uomo vissuto lontano dal tempo e dallo spazio del lettore. Durante la narrazione, ciò che più colpisce è l'impassibilità dell'uomo di fronte a una tale crudeltà che definisce lo scenario di guerra descritto. Vengono, pertanto, descritti i pensieri dell’intervistatrice dinanzi all’empietà delle azioni compiute durante la guerra: “Ammazzare, pensò la ragazza. Eh già, è di questo che si tratta, alla fine. E loro l’hanno fatto, lo sapevano fare, e chissà, forse gli piaceva farlo. Gli piace anche adesso; non più a questo qui, che è troppo vecchio, ma agli altri, giù da queste parti, eccome. Sparare ai cani, sgozzare il maiale, ammazzare i negri, che differenza fa? Il fucile ce l’hanno tutti, gli insegnano a maneggiarlo già da bambini. Il coltello sta in cucina: ci tagli il pane, ci affetti la carne, ci castri il maiale.” (Barbero 2021, p.197) Un altro argomento di grande centralità all’interno del libro è la questione razziale, di cui spesso si parla in maniera implicita ma che è presente per tutto il racconto, sottolineando la mancata presa di coscienza da parte del vecchio: "Speriamo che adesso mi parli di quei negri, pensò la ragazza; e tutt'a un tratto realizzò che il vecchio stava parlando di negri fin dal principio, dei negri che avevano lasciato a casa a lavorare i loro campi quand'erano partiti per la guerra e che li conoscevano fin da bambini, e dei negri che erano lì con loro al campo e cucinavano e facevano il bucato per i soldati..." (Barbero 2021, p.220) Si tratta di un razzismo radicato e profondo che rappresenta una delle piaghe sociali più diffuse nella società dell’epoca e che si manifesta ancora oggi attraverso episodi di soprusi e intolleranze. Altra tematica di grande rilevanza affrontata dall’autore riguarda la schiavitù, argomento che rappresentava motivo di divisione tra la popolazione già all’epoca e che costituisce, come già detto in precedenza, una delle cause dello scoppio del conflitto. Attraverso le divagazioni compiute dal narratore, è possibile comprendere quanto l’oggettificazione degli schiavi fosse interiorizzata e normalizzata nella società a tal punto che vi era una diffusa incapacità di coglierne l'aspetto disumano. Erano, pertanto, frequenti gli scontri tra schiavisti e abolizionisti e lo stesso Dick Stanton fornisce importanti informazioni sul modo di pensare dei suoi contemporanei attraverso il racconto di un aneddoto: “Sam Martin andò lì e gli chiese se lui non era mica per caso un lurido abolizionista, e Phil White gli chiese se non si vergognava di portar via i negri di una povera donna, che erano tutta la sua ricchezza, e se la coscienza non gli rimordeva, e che per una roba del genere doveva bruciare all’inferno; e quello alzò le spalle e disse che Dio lo aveva incaricato di liberare i negri, e che non credeva di bruciare all’inferno; e Phil White gli fa, perché, tu non crederai mica che la schiavitù è sbagliata?, e Sam Martin gli fa, lascia perdere, non lo vedi che è un miserabile abolizionista, e che sugo c’è a stare a discutere con un disgraziato così, ma Phil White, lui era un uomo ostinato, e gli fa, ehi, uomo, non lo sai che la Bibbia è piena di schiavitù? E quello fa, be’, è piena anche di guerra e di sangue, e che secondo te a Dio gli piacciono, la guerra e il sangue? E Sam Martin fa, ehi, ehi, sta’ a vedere che abbiamo trovato un ministro, di’ un po’, tu non sei mica un ministro? E quello fa, mi chiamano così laggiù al mio paese. E Phil White gli fa, ma come, sei un ministro, e ti pare di far bene, sotto gli occhi di Dio, a venire qui a casa nostra e rubare i nostri schiavi? Che sono come denaro, né più né meno, e questi qui poi appartengono a una povera donna, e sono tutto il suo pane, e che cosa farà senza di loro, eh? E quello appoggiandosi al recinto e masticando un filo d’erba gli fa, ha solo da richiamare a casa suo figlio, che sarà di sicuro qui con voialtri ribelli, ad ammazzare la brava gente. E Phil White gli fa ancora, ma senti un po’, se sei un predicatore la conosci la Bibbia, eh, di’ un po’, e quello fa, sì, credo di sì, almeno un pochino. E allora, gli fa Phil White, ti faccio vedere subito che la schiavitù è una dottrina della Bibbia. Sta’ a sentire, dal primo della Genesi all’ultimo dell’Apocalisse la Bibbia è piena di schiavitù, e i meglio degli uomini possedevano schiavi, come Abramo e Isacco e Giacobbe e tutti gli antichi padri, tutti avevano schiavi e schiave. E quello: oh, sì, non lo metto mica in dubbio, ma pensa un po’, uomo, a quante mogli avevano: che Salomone ne aveva trecento, e non gli bastavano, e si prese settecento concubine. Davide pure ne aveva parecchie e non gli bastavano, e ammazzò Uria e si prese sua moglie. E in tutta coscienza, ti pare un buon sistema? E se tua sorella era una delle settecento concubine che andavano tutte con lo stesso uomo? E se qualcuno ti ammazzava per prendersi tua moglie e metterla con le altre, che magari a casa ce ne aveva già una mandria? E Phil White, lui capì che era inutile cercar di accendere una fiammella di coscienza in quel peccatore indurito, e se ne andò senza dire più niente”. (Barbero 2021, p.226). I temi affrontati, quali il razzismo, la schiavitù e la violenza sono purtroppo ancora attuali. Ne sono esempio alcuni episodi avvenuti di recente, ad esempio l'omicidio di George Floyd, il movimento Black Lives Matter e l'assalto a Capitol Hill. Questi avvenimenti sono indicatori di retrocessione e rendono vane tutte le battaglie combattute in 150 anni di storia americana per l’affermazione dei diritti dei neri. Il racconto del soldato Dick Stanton, pertanto, non si limita ad essere una fonte attraverso la quale ricostruire la Storia ma è un invito a non far tornare quel passato così doloroso, a non far continuare a versare sangue per dei diritti che sono stati a fatica conquistati. La figura della studentessa, dunque, non è utile esclusivamente ai fini della narrazione ma assume un ruolo fondamentale sul piano metaforico, in quanto rappresentazione delle nuove generazioni e della fiducia verso di loro affinché facciano tesoro del passato per non ripeterlo.