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Attraversando (metaforicamente o in concreto) le terre del Nord, si giunge infine, a volte tramite

strade secondarie e incroci di cui nessuno ricorda l'ubicazione, a quel punto sulla mappa, l'Estonia.
Punto è una parola che, secondo una certa accezione, potrebbe sminuire il valore di un paese così
intriso di una storia travagliata, una cultura per cui combattere e battaglie di affermazione nazionale.
Eppure questo punto rimane per noi italiani sotto la "cortina di ferro" di Winston Churchill, così
come l'aveva chiamata nel 1946.
Questo perché spesso non ci rendiamo conto di quanto sia proprio della nostra percezione e quanto
la caratterizzi, seppur sia esso un tratto riconoscibile nella quasi totalità dei rapporti tra lingue,
culture e paesi, il concetto di "distanza percepita": molto frequentemente, la lontananza che separa
queste entità è solo un dato numerico molto minore di quel che crediamo, ma inconsciamente lo
ingrandiamo a dismisura; è così che l'Estonia ci risulta una terra irraggiungibile, una "Ultima
Thule", per utilizzare un'espressione di Lennart Meri, il Presidente della Repubblica d'Estonia dal
1992 al 2001.
Può essere un incontro, quello con l'Estonia, anche un po' casuale, di fronte a cui si può rimanere
spiazzati, un viaggio in un luogo in cui, sbagliando, pensiamo che l'assenza di stimoli culturali regni
incontrastata. Ma perché invece non farsi semplicemente guidare in questo viaggio dalla "pura luce"
e dalla "cupa ombra" dell'anima estone?
Questo è ciò che è capitato a me quando per la prima volta ho avuto a che fare con la cultura, la
storia e le tradizioni di questo bel paese. La luce e la purezza sono due dei suoi aspetti più evidenti
che per primi mi hanno colpito, così come anche l'emisfero del buio e dell'oscurità che
necessariamente sono implicati con la presenza dell'illuminazione. Questo comporta anche una
dicotomia che conseguentemente contraddistingue anche la ricerca personale di ogni estone, così
come il suo spirito è diviso per via di questa sua "doppia essenza"; lo spiega molto bene la scrittrice
e poeta estone Viivi Luik nel suo saggio Le tre caratteristiche degli estoni, pubblicato sempre su
Estonia Magazine <<[...] è possibile che in ogni estone, e in generale in ogni nordico, ci siano due
persone diverse: quella estiva e quella invernale [...] Lo scendere dalla luce al buio, e il salire dal
buio alla luce si verifica costantemente in questo pezzo di terra. Probabilmente ha influenzato la
lingua e il modo di pensare degli estoni, e attraverso loro anche la storia, in modo molto più
significativo rispetto a qualsiasi altro fattore>>. Curioso, però, come questo secondo Luik non
significhi semplicemente una mera separazione di bianco e nero, buono e cattivo, quanto invece la
dicotomia prima menzionata porti alla creazione di una sorta di "spazio senza tempo", uno strappo
di vita e di esistenza più unico che raro che la scrittrice ritrova nella "zona astronomica del
crepuscolo" in cui è localizzata l'Estonia, geograficamente e spiritualmente.
A parer mio, è avventurandosi in questo, il vero e proprio "cuore" della nazione, la sua vera
essenza, che si scopre quella che è la straordinarietà dell'Estonia. Una terra in cui il susseguirsi di
periodi di luce e di tenebra (per fare un esempio concreto, le storiche subalternità ai tedeschi e ai
russi contrapposte al sempre crescente e mai tramontato desiderio e bisogno di costruire e affermare
la propria identità) non ha eliminato la coscienza di sé, anzi, ha avuto l'effetto opposto: abbiamo
davanti, carə signorə, uno dei popoli più resilienti di cui la storia sia mai stata testimone, che merita
di essere conosciuto e riconosciuto, per la forza, la saggezza e la volontà che ha saputo dimostrare.
Sempre in riferimento alla resilienza estone, ci tengo ad aggiungere un dettaglio che è fra quelli che
più mi hanno stupito: di fronte alle "intemperie storiche" che si sono spesso trovati a subire, non si
sono mai scagliati con rancore verso il passato, ma hanno sempre saputo prendere le distanze da
quanto avevano vissuto, lo hanno interiorizzato, si sono leccati le ferite a vicenda e hanno aperto la
porta che dava verso il futuro con una forte intensità di viverlo. Vorrei citare al proposito un brano
della poesia La pioggia fa cose stupende (1968) del maggior autore estone del secolo scorso, Jaan
Kross, il quale si dimostra capace di mostrare al lettore questa intensità attraverso l'azione
simbolica e catartica che un "elemento così naturale e puro come la pioggia compie:
<<rende i tristi più tristi e i cattivi più cattivi,
i gioiosi più gioiosi.
La pioggia spoglia gli uomini dei loro vestiti
per i poeti>>.
Grazie a questo viaggio attraverso il paese, la sua lingua e la sua cultura, l'Estonia ha smesso per me
di essere "un punto sulla mappa", ed è diventata il suo stesso focolare che brilla della medesima
luce che anima gli estoni; una lanterna che mi accompagna per le strade che non conoscevo, alla
scoperta della ricchezza nascosta dalla cortina di ferro, in un canto che irradia la sete di un sapere
che non avevo idea di desiderare.

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