Sei sulla pagina 1di 22

MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà

in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

MAURIZIO SERIO

L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà


in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

La questione dell’identità nazionale serba è oggetto di un articolato dibattito che ha

prodotto numerosi studi da parte degli osservatori occidentali1. La tesi sostenuta dal

presente lavoro è che l’autopercezione che il popolo serbo ha della sua storia e la

corrispettiva rappresentazione di essa che l’Occidente ha costruito nel corso dei secoli non

possano prescindere dal ricorso alla dimensione del mito come fondamento della richiesta

identitaria del popolo serbo.

Secondo Roberto Valle “nella cultura storica dei serbi, il mito non è solo un passato

remoto memorabile, ma anche una realtà a-temporale che si riattualizza

incessantemente”2. Ai due poli della sensibilità serba c’è dunque da un lato il mito come

via all’eternità, mentre dall’altro vi è quell’aspirazione a costituirsi in Stato nazionale che

negli anni del dominio turco ha rappresentato l’agognata meta di congiunzione con il trend

dominante nella storia europea. Il punto di tangenza fra queste due dimensioni è il

Kosovo, celebrato dai guslari3 nella poesia epica, ma allo stesso tempo concretamente

bramato da qualsiasi progetto politico nato in terra serba.

Il mito del Kosovo nella letteratura:l’identità come nostalgia

La “nostalgia del Kosovo” è la chiave interpretativa dell’atteggiamento spirituale dei serbi

nei confronti della storia; categorie quali la memoria e il ritorno sono per essi figure dei

grandi avvenimenti correlati a questa terra: la battaglia contro i turchi del 28 giugno 1389 e

1 Per una panoramica esaustiva dei più recenti studi, si rimanda alla bibliografia di riferimento alla fine del
testo.
2 VALLE R., Mosche senza testa. Sangue, nostalgia e destino nel mito del Kosovo e nell’epos nazionale dei serbi in

“L’Indice dei libri del mese”, Maggio 1999 n. 5 , p. 11.


3 Gli aedi serbi, che accompagnavano la recita dei canti popolari epici al suono della gusla, strumento

analogo alla cetra.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

la Velika Seoba (la Grande Migrazione) avvenuta in due riprese nel 1690 e nel 1737. La

sconfitta di Kosovo Polje (in verità non determinante ai fini della conquista turca) dà luogo

al mito della Serbia celeste, la patria eletta dal principe Lazar di contro alle lusinghe del

“regno di questo mondo”. Il primo poeta e critico modernista serbo, Stanislav Vinaver, ha

detto che il suono della gusla è il suono della sconfitta: i serbi sono probabilmente l’unico

popolo che nella propria epica nazionale celebra la sconfitta. Di qui discende una

concezione negativa della propria identità, percepita in termini di “privazione” entro una

realtà ostile, davanti alla quale le uniche azioni logiche sarebbero la battaglia e la vendetta.

Ci troveremmo così di fronte ad una interpretazione psicologica dell’intera storia serba

dove la figura della sconfitta diventa secolare causa-effetto della realtà storica. Questo

spiega come il mito del Kosovo sia la stella polare della letteratura serba dai tempi dei

canti epici sino ai giorni nostri. L’Arciprete Božidar Mijač ha scritto nel 1983 che il Kosovo

“non è semplicemente un luogo fisico, quanto piuttosto una creazione metafisica. Questa

culla della civiltà serba, situata fra la terra ed il cielo, trasforma un fenomeno spirituale in

uno temporale e spaziale. Questa è la grande dimostrazione che il possesso di un territorio

non può spiegarsi soltanto in termini di numeri o di maggior peso demografico, ma è

piuttosto un concetto spirituale. Il processo di ideogenesi è in questo caso la forma più

importante di etnogenesi”4. Il romanticismo aveva poi recuperato e rinverdito questo mito

grazie a Vuk Karadžić (la cui opera è accostabile a quella compiuta da Yeats con la

tradizione celtica). In epoca moderna esso è stato finalmente elevato a dignità di genere

letterario universale nella grande opera epica dello scrittore modernista (ed esule sotto

Tito) Miloš Crnjanski, intitolata Migrazioni. Pubblicata in più volumi tra il 1929 e il 19665,

essa affronta la dolorosa pagina delle migrazioni del popolo serbo nei territori asburgici,

dove diventeranno la guardia di confine contro gli ottomani. Per lo più originari del

Kosovo, i protagonisti (anche se il vero protagonista è la Serbia, anzi la sua percezione

4cfr. THOMAS R., The Politics of Serbia in the 1990’s, Columbia University Press, 1999, p.38.
5In Italia sono stati pubblicati i primi due volumi da Adelphi, rispettivamente nel 1992 e nel 1998, trad. di L.
Costantini.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

ideale collettiva – di qui il modernismo del romanzo) ne coltivano un’inestinguibile

nostalgia, tanto da essere presi spesso come “eccentrici” dagli altri popoli.

“Tutto il romanzo è un enorme lamento dei serbi sulla loro nazione perduta”6. Il culto del

Kosovo serve allora come sistema di valori di orientamento per il popolo migrante7,

costituendo un punto di appiglio ogniqualvolta la Serbia si trovasse esposta alla paura di

essere cancellata. In particolare, l’eroe della seconda parte del romanzo, l’ufficiale Pavle

Isaković, è fermamente convinto di essere un erede del “santo principe Lazar”. Il suo fiero

senso di appartenenza al passato non lo induce però a smaniare per ottenere un potere

politico, ma piuttosto gli infonde un senso di responsabilità verso i suoi connazionali.

Infatti, i tre elementi che formano la sua identità sono: il senso di appartenenza alla

famiglia; la compassione per le sofferenze dei suoi compatrioti, che anch’egli condivide in

quanto membro della comunità in esilio; il ricordo infine della Crna Bara, il suo villaggio

nativo nella regione della Sumadija, nel cuore della Serbia, caduta sotto il dominio turco.

Vediamo allora che l’eroe moderno di Crnjanski trova la sua identità personale e nazionale

non nell’idea di uno Stato serbo, ma nel ricordo inconscio del passato, le cui più profonde

radici risiedono in un fazzoletto di terra, in un focolare, in una sorta di “Bibbia domestica”

dove sono scritte le leggende e l’eredità del Kosovo. Egli “parlava spesso della cupola azzurra

sopra la tomba della moglie, raccomandando che venisse ben custodita (...) Per Pavle quella cupola,

che vedeva di lontano quando andava al cimitero, era il simbolo dell’amore eterno, il segno che al

mondo esisteva qualcosa di non effimero, qualcosa che non poteva migrare”8. “Un popolo – scrive

Roberto Valle nella recensione al libro – non può emigrare insieme alla sua terra, per

questo lo sradicamento conduce alla vana ricerca di un altrove, alla perdita di sé in

6 in VLADIV-GOVER S. M., Serbian National Identity through Literature: From the Kosovo Myth to Post-Modern War,
Monash University, Australia, opera a cui ci riferiremo costantemente in questo paragrafo.
7 “Come una nave sballottata dal mare in tempesta la nazione serba vaga senza meta. Perché? A chi abbiamo

fatto del male? Qual è la nostra colpa? (...) Siamo destinati a vagare senza posa in una notte che non ha mai
fine”. Migrazioni II, ed. cit., p. 117 e ancora, a pag. 427, “Noi siamo quelli su cui sono puntati tutti i fucili! (...)
Non dico che la disgrazia colpisca solo noi. Ma agli altri è data la possibilità di riprender fiato, di
dimenticare. A noi nemmeno questo”.
8 Ivi, p. 856.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

un’esistenza precaria e senza scopo”9; di qui la dimensione onirica in cui si svolge buona

parte del romanzo perché “il sogno è sempre presente (...) come insoddisfazione nei

confronti della realtà”10.

Vi è dunque un’identità insoddisfatta alla base della rinascita della questione nazionale

nella letteratura serba contemporanea che si tramuta in un lungo lamento, una sorta di

“Geremiade serba”11 sul proprio destino individuale e collettivo di vittima. Sotto questo

aspetto, il mito serbo altro non è che una rivisitazione di archetipi vetero e neo

testamentari (il popolo eletto, la terra santa e promessa, il messianesimo)12. Lo storico

Hans-Ulrich Wehler (fra i fondatori della scuola di Bielefeld) in un recente saggio13 ascrive

alla quasi totalità dei nazionalismi questa tendenza a “laicizzare” le forme religiose, spesso

svuotandole di senso, per soggiogarle ai fini di un concreto progetto politico14, fino a

costituire vere e proprie religioni della politica, come le ha chiamate Emilio Gentile15.

Questo ulteriore passaggio, che non è un dato immediato dell’epica derivante dalle gesta

di Lazar né dell’opera di Crnjanski, risale piuttosto all’Ottocento, quando ormai le idee

illuministe e romantiche hanno raggiunto anche l’élite serba, che a fatica cercava di

convivere tra i progetti utopici di riscossa contro la Sublime Porta e la realtà di sudditanza

culturale all’Impero asburgico.

Questa élite, formatasi nelle università francesi e austrotedesche, ha accolto e

reinterpretato con originalità la lezione di Rousseau, configurando un sistema politico e

statuale dove i valori liberali del parlamentarismo e dello Stato di diritto venivano

9 VALLE R., art. cit., p. 11.


10 VALLE R., art. cit., p. 11
11 Cfr. ŽIVKOVIĆ M., Too Much Character, Too Little KULTUR: Serbian Jeremiads 1994-1995, paper presentato alla

“CASPIC MacArthur Scholars’ Conference”, 5-6 Ottobre 1996, Chicago.


12 Cfr. BRKIĆ J., Moral concepts in traditional Serbian epic poetry, The Hague, Mouton, 1961 e KOTUR K., The

Serbian folk epic: theology and anthropology, New York, 1977


13 Cfr. il cap 3 di WEHLER H., Nazionalismo. Storia, forme, conseguenze, Bollati Borlinghieri, Torino 2002.

14 A proposito di questa pericoloso atteggiamento dei nazionalismi, e riferendosi in particolare a quello

giacobino francese, lo scrittore inglese G.K. Chesterton parlava di “verità impazzite”.


15 “(…) intendendo per religione un sistema di credenze, di miti, di riti e di simboli, che interpretano e definiscono il

significato ed il fine dell’esistenza umana, facendo dipendere il destino dell’individuo e della collettività dalla loro
subordinazione a una entità suprema”, GENTILE E., Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza,
Bari-Roma 2001, p. XII.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

puntualmente fagocitati nell’ottica della volontà generale nazionale, ovvero di quella

particolare linea politica che si trovava in un dato momento al potere16. Per questo motivo,

studiosi come Noel Malcolm17 hanno sostenuto che i miti serbi sono solo un parto della

intelligencija dell’Ottocento e non hanno una legittimazione preesistente, tesi facilmente

smentita dall’enorme produzione epica e artistica del Medioevo serbo, specie nell’età

dell’oro della dinastia Nemanja (1170-1371)18. Più correttamente, essi non avevano mai

svolto fino ad allora una funzione determinante nel tracciare la via verso il riacquisto della

sovranità nazionale in qualità di fattore aggregante e mobilitante per ottenere il consenso

popolare19. L’azione parallela condotta sul piano pratico dalla Realpolitik e su quello teorico

dagli intellettuali produce una serie di iniziative fino a configurare un processo di

mitopoiesi che arriva fino ai giorni nostri, arricchendosi sempre più. Questo processo, come

lo descrive Carlo Tullio-Altan, si articola nei passaggi della destorificazione di una vicenda

realmente accaduta, della sua trasfigurazione in un’immagine archetipica e infine

dell’identificazione del soggetto (il popolo serbo) con essa20. L’identità così viene ad essere

“costruita”21 o “immaginata”22 quando non “inventata”23, decisa cioè a tavolino e dunque

dipendente dal potere, politico o culturale che sia. In questo senso non si può più parlare

di tradizione o fare ricorso alla “natura”: la legittimazione del passato risiede nella

decisione attuata nel presente24.

16 Cfr. BATACKOVIĆ D. T., Serbia in the West: On the French influence in the political development of modern Serbia,
paper presentato alla International Scientific Conference “Encounter or Conflict of Civilizations in the
Balkans”, organizzata dallo Historical Institute of Serbian Academy of Sciences
and Arts, 10-12 December 1997 Belgrado, www.rastko.org.yu/istorija/sanu/Conflict/conflict9.htm
17 Cfr. N. Malcolm, Kosovo. A Short History, New York University Press, New York 1998.

18 Tra i testi fondamentali, in ottica nazionalista, sulla storia del Kosovo si vedano TRIFKOVIĆ S., Kosovo:

Historical Survey: from Medieval Times to NATO Attack, in www.rastko.org.yu June 9 2000; DRAGNICH A. -
TODOROVICH S., The Saga of Kosovo, “East European Monographs”, Boulder, CO 1984.
19 Il dibattito sull’opera di Malcolm è stato vastissimo, qui ricordiamo le recensioni di EMMERT T., Challenging

Myth in a Short History of Kosovo, “H-Net”, Habsburg, May 1999; e di DJILAS A., Imagining Kosovo. A Blased
New Account Fans Western Confusion, “Foreign Affairs”, 1998.
20 Cfr. TULLIO-ALTAN C., Ethnos e civiltà, Feltrinelli, Milano, 1995

21 Cfr. WHITE G. W., Nationalism and Territory: Constructing Group Identity in South-Eastern Europe, Rowman &

Littlefield, Kanham, 2000.


22 Cfr. ANDERSON B., Comunità immaginate. Origine e diffusione dei nazionalismi, Roma 1996.

23 Cfr. HOBSBAWN E. J. - RANGER T. (a cura di), L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 1987.

24 In fondo, se vogliamo, è proprio questa la cifra della modernità.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

Quali esempi di simili iniziative che segnano il passaggio dalla tradizione all’invenzione

dell’identità, possiamo citare alcune stepstones che, pur nascendo da circostanze politiche

contingenti, nell’ambito cioè della dialettica tra gli interessi dei vari gruppi che si

disputano lo status di classe dirigente nelle varie epoche dello Stato serbo, hanno assunto

una valenza metapolitica per le generazioni successive.

I principali documenti politici del nazionalismo serbo

Il primo caso è rappresentato dal memorandum segreto indirizzato dal ministro degli

interni Ilja Garašanin (1812-1874) al re Alessandro Karađorđević nel 1844 e noto col nome

di Načertanje (Programma)25. Garašanin riprendeva le suggestioni mitiche legate all’impero

medievale serbo con l’intento di espandere il neonato Regno serbo ed ottenere uno sbocco

diretto sul mare. Le aree verso cui si dirigevano le mire di Garašanin erano tutte sotto il

controllo dell’ormai agonizzante Impero ottomano: Bosnia Erzegovina, Montenegro ed il

nord dell’Albania. Quanto invece ai territori sotto giurisdizione asburgica, abitati dai serbi

della diaspora (Banato, Bačka, Krajina croata, Slavonia e Dalmazia), si riteneva assai

rischioso affrontare il pericoloso rivale, ma non si rinunciava ad iscriverli in un

programma espansionistico di lungo periodo. Agli occhi di Garašanin, l’importante era

sottolineare la legittimità di tali aspirazioni, le loro profonde radici nella tradizione ed il

loro rapporto di continuità col passato: non si trattava – egli scriveva – “di qualcosa di

nuovo ed inedito, che avrebbe suonato come una rivoluzione o una ribellione”.

L’impostazione del Načertanje, ispirata ai criteri dell’espansione e dell’assimilazione26, “fu

più tardi considerata dagli opposti nazionalismi serbo e croato come il fondamento della

politica della Grande Serbia. Tuttavia si tratta di una lettura ex post dell’operato di

Garašanin”27, che non considera la maturazione delle sue idee politiche verso progetti di

25 Il testo, redatto in francese, portava il titolo di Esquisse.


26 BANAC I., The National Question in Yugoslavia, Origins, History, Politics, Cornell University Press, Ithaca-
London, 1984, p. 84.
27 PRIVITERA F., La Jugoslavia nella sua storia, in A.A.V.V., La Repubblica di Jugoslavia, CeMiSS Roma, 2000, p. 30.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

unione paritetica con Sloveni e Croati, avvenuta più tardi, dopo che anche l’impero

austriaco era stato sconfitto nel 1870 in Italia e Germania28. Il Načertanje pone per la prima

volta la questione dell’unificazione nazionale non già come orizzonte ideale della politica

serba ma come “concreto programma di Stato, dove per Stato se ne intende uno forte,

illuminato, secolarizzato e moderno”29.

In collegamento con questo modello interpretativo della missione serba nella storia è tutta

l’opera del grande etnolinguista Vuk Stefanović Karadžić (1787-1864). Seguendo l’assunto

di Herder secondo cui la lingua è il tratto distintivo e costitutivo di una nazione, egli

incluse fra le terre serbe tutte le province appartenenti agli Imperi austriaco e ottomano in

cui si parlasse il dialetto stocàvico30 . Fino ad allora, la cultura serba si autodefiniva in

riferimento all’epoca monarchica della Vecchia Serbia medievale, con i suoi sovrani e

patriarchi. Karadžić invece rielaborò la lingua dei contadini dell’Erzegovina orientale e

della Serbia occidentale fino a renderla lingua letteraria. Egli intendeva così

ridimensionare il fattore religioso e dunque l’egemonia della gerarchia ortodossa nella

cultura e nella politica per poi raggiungere l’unione linguistica con gli altri slavi del sud,

obiettivo conseguito con l’Accordo Letterario (Književni dogovor) di Vienna del 1850,

prologo all’unione politica degli slavi del sud nel secolo seguente. Ma i circoli

nazionalistici nell’idea di “nazionalità fondata sulla lingua” videro l’ideale

completamento delle promesse politiche contenute nel Načertanje e l’apripista per progetti

egemonici di espansione territoriale31. Infatti, mentre il potere politico dello Stato poteva

estendere la sua protezione soltanto a coloro che abitavano sul suo territorio, la nazione

28 Inoltre, egli aveva escluso qualsiasi discriminazione di carattere etnico e religioso, difendendo il principio
di una totale libertà religiosa e prevedendo una collaborazione con i croati di Bosnia e con i loro leaders
spirituali, i francescani – come nota TIM JUDAH nel suo The Serbs: History, Myth and the Destruction of
Yugoslavia, ed. cit., p. 57.
29 BATCKOVIĆ D., Ilja Garašanin’s “Načertanje”. A reassessement, Institute for Balkan Studies-Serbian Academy

of Arts and Sciences, Belgrade p.12, www.rastko.org.yu


30 Si chiamano stòcavi (štokavski) quei dialetti del serbo-croato nei quali il pronome interrogativo neutro “che

cosa?” suona što.


31 BANAC I., The National Question in Yugoslavia. Origins, History, Politics, Cornell University Press, Ithaca-

London, 1984, pp.80-81.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

doveva tutelare i suoi componenti ovunque essi si trovassero e contro chiunque li

minacciasse. Non era serbo chi viveva nello stato serbo ma piuttosto chi faceva parte della

grande famiglia serba, ne parlava la lingua e ne condivideva la cultura. L’anima nazionale

finiva così per identificarsi con la comune discendenza ovvero con i legami di sangue32. Su

un piano socioculturale, parafrasando Hannah Arendt33, questa insistenza sulla comunità

di sangue si addiceva allo sradicamento territoriale patito per secoli dai serbi, vera fonte di

quell’ “ampliata coscienza etnica” per cui essi chiamavano patria ogni territorio nel quale

vi fossero le tracce di altri membri della loro tribù34. Per questo motivo essi nei loro sogni

espansionistici trascendevano gli angusti limiti della comunità nazionale proclamando

una “comunità di popolo”, destinata a svolgere un’azione politica anche se i suoi membri

erano sparsi lungo tutto lo spazio balcanico. Su un piano storico, invece, le due grandi

tradizioni occidentali dell’illuminismo e del romanticismo trovarono in Serbia il

laboratorio per sperimentare la tenuta del nuovo principio nazionale laico, basato sulla

costruzione della cultura (la più alta espressione della quale è certamente la lingua) entro

uno Stato centralizzato e accentratore.

Sino al termine della Prima Guerra Mondiale, l’obiettivo principale rimase sempre il

progetto di Grande Serbia, secondo il quale tutti i serbi dovevano vivere entro uno stesso

stato. In secondo piano andava affacciandosi l’orientamento unificazionista jugoslavo che

postulava l’esistenza di un’unica nazione formata da serbi, croati e sloveni35. Lo

“jugoslavismo” (jugoslaventsvo) affonda le sue radici nel periodo che precede il 1918 e

32 Cfr. MONTANARI A., Stereotipi nazionali. Modelli di Comportamento e Relazioni in Europa, Liguori Editore,
Napoli 2002, pp. 123-124.
33 Cfr. ARENDT H., Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Torino, 1999, p. 329; 324.

34 Donde l’adagio serbo “ogni terra dove ci sia una tomba serba, è essa stessa Serbia”.

35 BANAC I., Post-Communism as Post-Yugoslavism: The Yugoslav Non-Revolutions of 1989-1990 in Eastern Europe

in Revolution, Cornell University Press, Ithaca, 1992.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

informa tutta la politica della seconda metà del XX secolo, sotto lo slogan brastvo-jedinstvo

(“unità e fratellanza”) dei popoli e delle minoranze slave.36

Non potendo raggiungere l’unione per la via dell’espansione territoriale, inglobando i

territori popolati da minoranze serbe, i nazionalisti serbi si adattavano così ad ottenerla

dentro la cornice della federazione37: l’esistenza di uno Stato forte ed etnicamente coeso

doveva essere la naturale declinazione del processo di unificazione degli slavi del sud. In

altre parole, la federazione sarebbe stata l’ombrello sotto cui raccogliere i nuclei di

popolazione serba presenti nelle varie regioni (Kosovo, Vojvodina, Bosnia). Nacque così

nel 1918 il “Regno dei Serbi, Croati e Sloveni” (poi “Regno di Jugoslavia” dal 1929), che

sarebbe durato sino all’occupazione nazista del 1941.

Durante il secondo conflitto mondiale, i nazionalisti serbi si schiereranno principalmente

con i Cetnici, i guerriglieri monarchici guidati dal generale Draža Mihajlović38. Il loro

programma di riferimento, redatto il 30 giugno del 1941 da Stevan Moljević, s’intitolava

Per una Serbia omogenea ed attualizzava le analisi geopolitiche del Načertanje, ribadendo la

necessità di uno sbocco al mare ed indicando dettagliatamente quali territori doveva

comprendere lo stato serbo. Il criterio di espansione dello spazio vitale serbo era

improntato alla ricerca del confine come baluardo sicuro contro l’identità minacciata, “per

eliminare la possibilità di una ripetizione degli orrendi crimini accaduti durante la

guerra”39. Lo scambio di popolazioni con i croati era visto come l’unico modo concreto di

consolidare questi confini. L’identità serba, allora, viene ad essere negli anni Quaranta del

secolo XX la risultante del mito dell’omogeneità etnica all’interno degli stessi confini, unito

ad una più generale attitudine ad inquadrare la questione nazionale in ottica geopolitica.

In altre parole, l’incidenza del dato linguistico culturale cede il passo al mito del confine,

alla maniera dei grandi imperi anche del recente passato. Nelle parole di Moljević,

“l’errore fondamentale del nostro governo fu di non fissare dei confini certi nel 1918”.

36 PETROVIĆ R., Idea jugoslava ed altre idee (1918-1945) in CACCAMO D. - PLATANIA G. (a cura di), Il Sud Est
europeo tra passato e presente, Ed. Periferia, Cosenza, 1993.
37 Si veda il fondamentale lavoro del croato IVO BANAC, The National Question in Yugoslavia, ed. cit.

38 cfr. TOMASEVIĆ J., The Chetniks, Stanford University Press 1975.

39 cfr. BELJO A., The ideology of Greater Serbia paper by Croatian Heritage Foundation.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

Inoltre, al determinismo storico di Garašanin il programma cetnico aggiungeva come sua

legittimazione anche il principio dell’autodeterminazione dei popoli, sancito dal

Gladstone con la celebre frase “I Balcani ai popoli balcanici”. Ma anche questo era

interpretato in chiave etnica: “I serbi devono avere l’egemonia nei Balcani e per questo

devono prima conquistarla all’interno della Jugoslavia”.

Sebbene negli anni successivi, con la vittoria dei partigiani di Tito, il discorso nazionale

divenisse tabù e si avviasse una campagna tesa a rafforzare l’internazionalismo come base

della nuova repubblica, l’opzione jugoslava non divenne mai più che una mera finzione

nei ranghi della dirigenza serba. Certo non mancarono le adesioni spontanee al progetto

federativo, anche in polemica con il centralismo titino (si veda l’opera svolta dalla rivista

riformista Praxis) ma quel che qui si vuol dire è che non vi fu mai un movimento di massa

della popolazione serba in favore di una condivisione dello spazio nazionale con croati,

sloveni o musulmani. Il primo a sollevare apertamente la questione serba fu lo scrittore

Dobrica Ćosić, già araldo del socialismo utopista, amico personale del gruppo di Praxis (di

cui però non fece mai parte) e fervido sostenitore della causa partigiana contro i cetnici.

Tuttavia egli nel 1968 protestò davanti al Comitato Centrale serbo contro la politica

federale decentralista nel Kosovo, per la tolleranza dimostrata verso il nazionalismo

albanese, paventando il rischio di sollevare così la molla delle nazionalità e mettere a

repentaglio l’intera costruzione jugoslava. Infatti, in questi termini anche il nazionalismo

serbo aveva il diritto di uscire allo scoperto.

In seguito, gli emendamenti alla costituzione nel 1971 in direzione di un allargamento dei

poteri delle province autonome destarono l’allarme fra i serbi e fomentarono l’ostilità

verso il croato Tito, sospettato di voler così indebolire il peso della Serbia all’interno della

Federazione, caricandola di una potenziale minaccia interna come lo scontro etnico.

Scomparso Tito nel 1980, la sistemazione teorica più imponente del diffuso malcontento

arrivò nel Memorandum dell’Accademia serba delle Scienze e delle Arti. Alcuni estratti
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

del documento, che doveva restare segreto nelle intenzioni degli autori40 e fornire le linee

di base dell’azione politica serba, furono pubblicati il 24 e il 25 settembre 1986 dal

quotidiano belgradese Vecernje Novosti, suscitando enorme scalpore nell’opinione pubblica

jugoslava.

Al di là delle analisi economiche sull’insostenibilità di una subordinazione dell’economia

nazionale agli interessi federali e delle accuse al centralismo di Tito, il punto che suscitò

più apprensione furono le accuse di genocidio del popolo serbo rivolte ai “separatisti ed

irredentisti albanesi, grazie al sostegno delle repubbliche non serbe”. A detta del

Memorandum, nel ventennio precedente oltre 200.000 serbi erano stati costretti a lasciare il

Kosovo. Sotto accusa era il trattamento subito non solo dai serbi in Kosovo, ma anche da

quelli stanziati in Croazia (dove costituivano l’11,6% della popolazione), discendenti dei

coloni che avevano difeso l’impero asburgico dalla minaccia turca nei cosiddetti “confini

militari”. Il rimedio suggerito dal documento era l’abrogazione della Costituzione del

1974, che aveva consentito al Kosovo e alla Vojvodina di trasformarsi di fatto in

repubbliche, al punto che esse “si sentivano più un elemento della federazione che una

parte della Repubblica serba”.

Nelle pagine del Memorandum sono pertanto contenute le dicotomie principali sulle quali

si sviluppa lo sguardo politico e sociale della Serbia; infatti, possiamo ritrovarvi

l’opposizione all’Altro, costante storica in un popolo abituato a lottare per difendere i

propri confini con entità totalmente diverse culturalmente (come i due imperi

austroungarico ed ottomano) e l’aspirazione all’Altrove, ovvero a quelle terre irredente

che si cerca di riconquistare per completare il processo di unificazione nazionale41. I luoghi

dello spazio vitale serbo, inteso in senso propriamente territoriale ma anche culturale,

diventarono anche i veri protagonisti delle opere letterarie nel periodo delle due

Jugoslavie, contribuendo ad incanalare il sentimento identitario nelle forme di

40 Una commissione di sedici membri composta dallo scrittore Antonije Isaković, l’economista Kosta
Mihailović, lo storico Radovan Samardžić, il linguista Pavle Ivić, il filosofo Mihailo Marković e altri.
41 Per l’uso delle categorie antropologiche applicate agli eventi storici si veda MIKULA M., Nationalism and the

Rhetoric of Exclusion in “Southeast European Politics” vol.III, No.1, June 2002 pp.62-70 e il lavoro della
“Anthropology of East Europe Review”.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

un’appartenenza al suolo che non può che rimandare nuovamente alle teorie romantiche

herderiane e dunque confermare il lavoro di costruzione dell’identità compiuto dagli

intellettuali42.

La crisi dell’identità nell’era di Slobodan Milošević

Non è possibile valutare la percezione serba del “grande inganno jugoslavo” senza

considerarla alla luce degli anni che videro Slobodan Milošević alla guida del paese (1986-

2000). Al di là del dibattito sulla natura del regime di Milošević43, il suo tratto distintivo è

stato la ricerca e la conquista del potere attraverso la rottura dell’equilibrio etnico

perpetrata giocando la carta del nazionalismo. Si è passati dal paradigma sociale della

coabitazione e della cooperazione (lo slogan “unità e fratellanza”) ad uno basato sulla

esclusività e sulla competizione etnica. Ciò ha implicato “due operazioni completamente

opposte e che tuttavia si richiamano l’un l’altra: un’operazione di separazione e una di

assimilazione”44.

La prima è consistita nel privilegiare gli elementi di particolarità dell’identità serba, ciò

che la distingue e la separa dalle altre (lingua45, religione46, storia). In tal senso si è mossa

tutta la politica culturale del regime, volta a fornire un’immagine della Serbia sempre più

“celeste” e perciò inattaccabile e inarrivabile, a fronte della perversità ontologica dei

42 Cfr. SECOR L., Testament Betrayed. Yugoslavian Intellectuals and the Road to War, “Lingua Franca Think
Thanks”, vol. IX, n.6- September 1999
43 Si passa, ad esempio, dalla definizione di “nazional-comunismo” (Le Monde), a quella di “democratura”,

sistema che somma i meccanismi propri delle democrazie a un dispotismo di stampo orientale e ad una
burocrazia di tipo sovietico (cfr. RAMET S., The Third Yugoslavia 1992-2001, “East European Studies”,
Woodrow Wilson Center, Occasional Paper n. 66, 2001, p.1). Per il concreto funzionamento del regime si
vedano, tra gli altri, POPOV N. (ed.), Radiographie d’un Nationalisme. Les racines serbes du conflit yougoslave, ed.
cit.; THOMAS R., The Politics of Serbia in the 1990’s, ed. cit.
44 REMOTTI F., Contro l’identità, Laterza, Bari-Roma, 1996, p. 7.

45 Cfr. GREENBERG R., Language, Identity and the Balkan Politics: Struggle for Identity in the Former Yugoslavia,

“EES Meeting Report” #216, 12 April 2000.


46 Cfr. PERICA V., Balkan Idols: Religion and Nationalism in Yugoslav States, Oxford University Press, New York,

2002.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

popoli nemici, rei di ostacolare da sempre i sogni della Grande Serbia. Questo tipo di

politica, che la Arendt ha definito nazionalismo tribale, “ha sempre insistito sul fatto che il

proprio popolo è circondato da un mondo di nemici, è uno solo contro tutti,

fondamentalmente diverso da tutti gli altri, unico, eccezionale, tanto che la sua esistenza è

incompatibile con un’eguale esistenza altrui”47. Gli anni Novanta, quelli della guerra civile,

ma ancor più quelli seguenti, hanno registrato un pullulare di raduni di massa, documenti

politici, manuali scolastici “revisionisti”, opere letterarie e persino canzoni dove l’elemento

serbo è visto come minacciato dagli altri popoli della Federazione48. In questa ottica si

rinnova la dialettica verso l’Altro, ma è una dialettica chiusa, dove i ruoli e le aspettative

di comportamento sono già fissate sulla base di presunti comportamenti secolari. “Questo

modo di porsi in relazione attraverso delle etichette – scrive Arianna Montanari – (...)

finisce per definire gli altri non in base ai loro individuali e specifici comportamenti, ma

piuttosto in base a delle aspettative di comportamento, a degli stereotipi. Queste

generalizzazioni sono evidentemente false, e (...) condizionando la conoscenza della realtà

condizionano i comportamenti”49. L’antagonismo creato verso forme di Male assoluto

postula necessariamente la personificazione del Bene in chi lo combatte, arrivando così

alla beatificazione in terra di Milošević, accostato spesso ai grandi santi della Chiesa

ortodossa ed acclamato come nuovo Lazar. Non a caso, il momento di investitura

popolare di Milošević è convenzionalmente databile al 28 giugno 1989, quando egli

pronunciò proprio a Kosovo Polje un discorso interpretato come esortazione alla terza

riscossa serba (treči šrpski uštanak), in riferimento alle due rivolte del XIX secolo contro i

turchi (1804 e 1815)50. Questo porsi come “rappresentazione carismatica della volontà

della nazione”51 postula un monopolio dell’immagine collettiva dell’identità nazionale,

47 ARENDT H., op. cit., p.317.


48 Sulla “politica culturale” del regime si veda WACHTEL A., Making a nation, breaking a nation, Paperbook,
Stamford, 1998.
49 MONTANARI A., Introduzione a Identità nazionali e leadership in Europa, ed. cit., p. 13.

50 Cfr. CVIJIĆ C., Rifare i Balcani, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 105.

51 Cfr. BOWMAN G., Xenophobia, Fantasy and the Nation: The Logic of Ethnic Violence in Former Yugoslavia in

GODDARD-LLOBERA-SHORE (ed.), Anthropology of Europe: Identity and Boundaries in Conflict, Berg, London
1994, pp. 143-171.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

scopo raggiunto dal regime con un’opera di “distruzione delle alternative” in ogni campo,

dal politico al sociale, dal religioso all’artistico52. Lo Stato ignorava la società, non

concepiva un sistema di valori alternativo a sé, anzi era esso stesso il valore che dava senso

alla percezione identitaria della popolazione. Un gruppo di sociologi, raccogliendo vari

studi sui problemi della vita quotidiana nella Serbia di quegli anni, ha addirittura

intitolato questa ricerca La Distruzione della Società. “La Serbia – scrive lo studioso Dušan

Janjić - è stata impossibilitata a porre e a risolvere la questione della sua identità come

Stato-nazione civile, e i serbi sono stati impossibilitati a risolvere la loro questione

nazionale come questione democratica (...). La tendenza ad approfondire l’omogeneità

nazionale s’indirizzò, prima di tutto, a rafforzare lo Stato e la sua capacità d’intervento.

L’individuo e le minoranze diventarono niente e la Nazione tutto”53. Una volta ridotti gli

elementi vivi della nazione a stereotipi, si è potuta avviare l’opera di assimilazione di cui

sopra, forgiando l’immagine della Serbia vittima e della sua leadership salvatrice. Persino

il mito nazionale è stato considerato alla stregua di mero “proseguimento della guerra con

altri mezzi”.

Questa situazione, acutizzatasi con l’intervento NATO in Kosovo nel maggio 1999, ha

portato, negli anni successivi alla caduta di Milošević54, al dilemma che domina ancor oggi

il dibattito interno tra i fautori della colpa collettiva in merito ai crimini compiuti da alcuni

serbi nel corso delle recenti guerre55 e coloro che invece accusano l’Occidente di

cospirazione e di “serbofobia”56. La sostanziale impasse nella quale attualmente versa la

“Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita dall’ allora presidente Vojislav

52 Cfr. GORDY E., Investigating the Destruction of Alternatives in “Problems of Post-Communism”, vol. 44, no.4
July/August 1997, pp.12-21 e ID. The Culture of Power in Serbia, Pennsylvania State Press, 1999.
53 JANJIĆ D., Dove va la Serbia? in AAVV. L’Altra Serbia. Gli intellettuali e la guerra, Selene ed., Milano, 1996, p.

117.
54 Sulla natura e la portata del cambiamento si veda l’opera collettiva dell’Istituto di Filosofia e Teoria Sociale

di Belgrado, Revolution and Order 2001, www.institut.instifdt.bg.ac.yu/ifdt/e_index


55 Cfr. BISERKO S., About “the Serb guilt” and kneeling, “Danas”, 14 Oct. 2002. Il dibattito, nato nell’ambito del

settimanale “Vreme”, verte sulla questione se l’essere serbo implichi in sé colpevolezza per gli atti compiuti
da alcuni connazionali durante i recenti conflitti.
56 Cfr. TRIFKOVIĆ S., The Meaning of Kosovo, Antiwar.com conference, San Mateo (CA), 25 Mar. 2000; M.

Ekmečić
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

Koštunica per discutere sulla responsabilità politica e morale della società serba, indica

probabilmente che solo la condanna dei singoli signori della guerra potrà permettere di

individualizzare le colpe e liberare il popolo serbo da questo dilemma. Lo stesso

Koštunica, prima acclamato vincitore su Milošević, poi lentamente de-mitizzato ed oggi di

nuovo alla ribalta dopo la tragica scomparsa dell’allora premier Zoran Djindjić, ha posto il

medesimo problema in chiave di “resistenza e cooperazione” verso l’Occidente57,

sintetizzando così l’atteggiamento spirituale dei serbi di fronte al mondo. E’ stato

osservato che Koštunica “potrebbe incarnare una Serbia postjugoslava che, liberata dagli

impulsi microimperialistici, abbandoni ogni progetto di unire gli slavi del sud - idea

ottocentesca che tramonta definitivamente con Milošević”58. In questo modo, ad esempio,

problemi secolari come quello rappresentato dai confini, perderebbero una valenza

politica programmatica di corto respiro, divenendo prima di tutto una questione di

identità e della sua percezione nel discorso culturale dei gruppi nazionali implicati.

Congelata in epoca jugoslava dal centralismo di Tito e dai suoi “tabù nazionali”, la

richiesta identitaria – come ha scritto Domenico Caccamo – ha occupato il vuoto lasciato

dall’ “esaurimento della spinta ideologica per l’edificazione del socialismo”59, e negli

ultimi anni non è mai parsa riducibile ai canoni della democrazia occidentale.

L’irriducibilità è appunto la cifra più autentica di qualsiasi forma di identità, volta ad

appropriarsi di uno spazio culturale (e nel caso degli Stati nazionali, anche territoriale)

piuttosto che ad accontentarsi del ruolo di categoria residuale rispetto ad interessi politici

ed economici. L’identità, nelle parole dell’etnoantropologo Francesco Remotti, “è

considerata come un ciò che rimane al di là del fluire delle vicende e delle circostanze, degli

atteggiamenti e degli avvenimenti”, come un “nocciolo duro” a “fondamento perenne e

rassicurante della vita individuale”60.

57 Cfr. KOŠTUNICA V., Serbs and the West: The Road Ahead, The Rockford Institute, 2002.
58 R. Valle, E’ finito?, “Ideazione”, n. 28, 2 ottobre 2000.
59 CACCAMO D., La dissoluzione degli stati federali jugoslavo e cecoslovacco. I fattori della crisi in “Identità nazionali

e leadership in Europa” a cura di MONTANARI A., Jouvence, Roma 2001, p. 288.


60 REMOTTI F. Contro l’identità, ed cit., p.4.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

D’altra parte, “l’identità è certamente un principio logico elementare, ma da sola è anche

fallimentare. L’identità è infatti un’esigenza irrinunciabile; ma di sola identità si muore”61,

come dimostrato dalla “transizione guerriera”62 nella ex-Jugoslavia. La continua ricorrenza

del simbolismo nel discorso politico, ben oltre il periodo iniziale di cambio di regime, può

però avere conseguenze negative sullo sviluppo democratico del Paese. Se è vero che in un

nuovo sistema politico realmente pluralista i simboli ed i miti giocano un ruolo importante

nel legare i nuovi partiti con le fragile identità istituzionali, è anche vero che simboli e miti

hanno più una naturale funzione di “mobilitazione” delle masse che una reale inclinazione

alle soluzione di problemi concreti. Un linguaggio politico che rimanga a lungo dominato

da essi dispiega una tendenza a perpetuare forme politiche velleitarie63. Le sfide per la

Serbia attuale, infatti, non sono le grandi questioni politiche di importanza vitale quanto

piuttosto materie “prosaiche” ma ineludibili come il risanamento economico e la lotta alla

corruzione. Oggi la Serbia si sta dirigendo a passo lento verso la stabilità, condizione nella

quale non vi sarà più bisogno di alcun “messia”, né di miti etnocentrici. Nell’odierno e

travagliato percorso storico il regno celeste serbo vorrebbe migrare in Europa, come ultima

incarnazione della mitopoiesi dell’identità nazionale serba.

MAURIZIO SERIO

Bibliografia di riferimento

AA.VV., (1996) L’Altra Serbia. Gli intellettuali e la guerra, Selene ed., Milano.

AA.VV, (2001) Revolution and Order 2001, Istituto per la Filosofia e la Teoria Sociale,

Belgrado.

ANZULOVIĆ B., (1999) Heavenly Serbia. From Myth to Genocide, Hurst & Co., London.

61 ID., p. 57.
62 Cfr. GLAMOCAK M., La Transition guerrière yougoslave, L’Harmattan, Paris, 2002.
63 Cfr. THOMAS R., op. cit., p.8.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

BANAC I., (1992) Eastern Europe in Revolution, Cornell University Press, Cornell University

Press, Ithaca-London.

ID., (1992) Post-Communism as Post-Yugoslavism: The Yugoslav Non-Revolutions of 1989-1990,

“Eastern Europe in Revolution”, Cornell University Press, Ithaca.

BIANCHINI S. (a cura di), (1989) L’enigma jugoslavo. Le ragioni della crisi, Franco Angeli,

Milano.

ID., (1995) Yugoslavism and Nationalism: the Rebirth of National Serb Interest, “South East

European Monitor”, vol. II, n.6.

BISERKO S., (2000) New Serbian Nationalism, “Helsinki Committee for Human Rights in

Serbia”, 11 february.

BOGDANOVIĆ D., (1995) The Kosovo question: past and present, Serbian Academy of Sciences

and Arts, Belgrade, at www.kosovo.com.

BUDDING A.H., (1997)Yugoslavs into Serbs: Serbian National Identity 1961-1971, “Nationalities

Papers”, vol. 25, n.3.

Id., (1998) Serb intellectuals and the National Questions, Harvard PHD Dissertation.

BUGAJSKI J., (1995) Ethnic Politics in Eastern Europe. A guide to Nationality Policies,

Organizations and Parties, Armonk, Sharpe, New York-London: M.E.

BUNCE V., (1999) Subversive Institutions: the Design and the Destruction of Socialism and the

State, Cambridge University Press, Cambridge.

CACCAMO D., (1992) La questione jugoslava, “Rivista di Studi politici internazionali”, n. 1,

pp. 51-67.

CIGAR N.,(2001) Vojislav Koštunica and Serbia’s Future, Saqi Books / The Bosnian Institute,

London.

COHEN L. J., (1998) Nationalism, the Kosovo Crisis, and Political Change in Serbia, “EES

Meeting Report” #164, 1 October.

COLOVIĆ I., (2000) The Renewal of the past Time and Space in Contemporary Political Mythology,

“Other Voices”, vol.2, n.1 February.

ID., (2001) Political symbolism in Serbia, Hurst & co, London.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

CORDELLIER S.-POISSON E. D., (1999) Nations and nationalism, Asterios Ed., Trieste.

CORRIN C., (1999) Gender and Identity in Central and Eastern Europe, Frank Cass, London-

Portland, OR.

CVIJIĆ C., (1997) Rifare i Balcani, Il Mulino, Bologna.

DJUKIĆ S., (2001) Milošević and Marković: A Lust for Power, Montreal: McGill-Queen’s

University Press.

DOGO M., (1992) Kosovo, Albanesi e Serbi: le radici del conflitto, Marco Lungro, Cosenza.

ID. - PIRJEVEC J., (1990)Vuk Stefanović Karaždić, Editoriale stampa triestina, Trieste.

DRAGAN Z., (1998) A sociological dimension of the controversy over nationalism in Serbian

literature, “Facta Universitatis Philosophy and Sociology”, University of Nis, vol. 1, n.5.

DRAGNICH A., (1994) Serbia’s Historical Heritage, Boulder.

DUIJZINGS G., (1999) Religion and the Politics of Identity in Kosovo, Hurst & co., London.

ĐURDJEVIĆ I., (2001) The Messiah Myth at “FreeSerbia.com”, Thursday, 12 April.

ĐUROVIĆ T., (2000) A counter-revolution, and not all that velvety - Interview with Mihajlo

Marković, “Junge Welt”, 11 October.

EKMEČIĆ M., (1991) The emergence of St. Vitus Day as the principal national holiday of the Serbs,

in VUCINIĆ W. (ed.), Kosovo-legacy of a medieval battle, Minneapolis.

EMMERET T., (1990) Serbian Golgotha: Kosovo, 1389, Columbia University Press, New York.

GAGNON V.P. JR., (1994) Ethnic Conflict as Demobilizer: The Case of Serbia, paper presented at

“Peace Studies Program Research Seminar”, Cornell University.

ID., (1994-95) Ethnic Nationalism and International Conflict: the Case of Serbia, “International

Security”, vol. 19, n.3, Winter.

GODINA V.V., (1998) The outbreak of nationalism on former Yugoslav territory: a historical

perspective on the problem of supranational identity, “Nations and Nationalism” 4, n.3.

GORDY E.D., (1996)Varieties of Nationalist Rhetoric, Ph.D. dissertation, University of

California, Berkeley.

ID., (1997) Investigating the Destruction of Alternatives, “Problems of Post-Communism”,

vol.44, n.4 July/August.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

ID., (1999) The culture of power in Serbia: Nationalism and Destruction of Alternatives,

Pennsylvania State Press.

ID., (2000) Serbia’s Bulldozer Revolution: Conditions and Prospects, “Southeast European

Politics”, vol. 1, n. 2 December, pp. 78-89.

GOW J., (1994) Serbian Nationalism and the Hissing Snake in the International Order, “The

Slavonic and East European Review”, vol.72, n.3.

GUZINA D., (1999) The Ideology and Identity of Serbian Nationalism: Serbia between the East and

the West, paper for the conference of Center for Austrian Studies, University of Minnesota,

May.

ILIĆ J., (1995) The Balkan Geopolitical Knot and the Serbian Question in Serbian Question in the

Balkans, University of Belgrade, Faculty of Geographic, Belgrade, paper at Balkania.net

INIĆ S., (1997) (Ch)et(h)nisation of the Political Space in Serbia in Radicalisation of the Serbian

Society, Helsinki Committee for Human Rights in Serbia, Belgrade.

JUDAH T., (2000) The Serbs: History, Myth and the Destruction of Yugoslavia, New Heaven-

London.

KASER K., (1998) Historical myth and the Invention of Political Folklore in contemporary Serbia,

“Anthropology of East Europe Review”, vol. 16, no.1, Spring, 59-68..

KOŠTUNICA V., (2001) Opening Address at International Conference “In Search of Truth and

Responsibility – Towards a Democratic Future”, organized by Radio B92, Belgrade 18.05.

ID., (2000) Discorso del Presidente della DS al Raduno dell’Opposizione Democratica, Belgrado,

14 Aprile.

KRSTIĆ I., (2002) Re-thinking Serbia: A Psychoanalytic Reading of Modern Serbian History and

Identity through Popular Culture, “Other Voices”, vol. II , n.2, March.

LABOVIĆ L., (2002) Yougoslavie : entrevue avec Ivan Colović, écrivain et ethnologue, « Monitor

On Line », 4 January.

LAZIĆ M. (ed.), (1999) Protest in Belgrade: Winter of Discontent, Central University Press,

Budapest.

LITTLE A.- SILBER L., (1997) The Death of Yugoslavia, Penguin Books, London.
MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

LEVINSOHN F., (1994) Belgrade: Among the Serbs, Chicago.

LUTARD C., (1999) Serbia. Le contraddizioni di un’identità ancora incerta, Il Mulino, Bologna.

MARKOVIĆ MIRA, (1999)Diario 1992-1994, Tullio Pironti Editore, Milano.

MARKOVIĆ MIHAJLO, (2000) On the notion of a unique spiritual space of the Serb people in “The

Serb Political Thought”, 1-2.

MARTELLI F., (1997) La guerra di Bosnia. Violenza dei miti, Il Mulino, Bologna.

MATTHIAS J.- VUCKOVIĆ V., (1987) The Battle of Kosovo. Serbian Epic Poems, Swallow

Press/Ohio University Press, Athens.

MIHAILOVIĆ V., (1988) Parable of Nationhood, “The World and I” 3 , n. II, pp.378-383.

MIKULA M., (2002) Nationalism and the Rhetoric of Exclusion, “Southeast European Politics”,

vol. III, N.1, June, pp.62-70.

MILLER N.J., (1997) Searching for a Serbian Havel, “Problems of Post-Communism”, vol. 44,

n. 4, July/August.

MILOŠEVIĆ S., (2000) Indirizzo di saluto al IV Congresso della SPS, 18 febbraio.

PAVKOVIĆ A., (1997) Anticipating the Disintegration: Nationalisms in Former Yugoslavia, 1980-

1990, “Nationalities Papers” 25, n.3.

ID., (1998) From Yugoslavism to Serbism: the Serb national idea 1986-1996, “Nation and

Nationalism”, n.4.

PAVLOWITCH K. S., (2002) Serbia: The History Behind the Name, Hurst & co., London.

PETROVIĆ R., (1993) Idea jugoslava ed altre idee (1918-1945), in CACCAMO D.-PLATANIA G., Il

Sud Est Europeo tra passato e presente, Ed. Periferia, Cosenza.

PIRJEVEC J., (1993) Il giorno di San Vito,Jugoslavia 1918-1922. Storia di una tragedia, Nuova

ERI, Torino.

ID., (1995) Serbi, Croati, Sloveni. Storia di tre nazioni, Il Mulino Bologna.

ID., (2001) Le guerre jugoslave 1991-1999, Einaudi, Torino.

POPOV N. (ed.), (1999) Radiographie d’un Nationalisme. Les racines serbes du conflit yougoslave,

Les Editions de l’Atelier, Paris.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

PRIVITERA F., (2000) La Jugoslavia nella sua storia, in A.A.V.V., La Repubblica di Jugoslavia,

CeMiSS Roma..

ID. (a cura di), (1994) L’Europa orientale e la rinascita dei nazionalismi, Guerini e Associati,

Milano.

PROSIĆ - DVORNIĆ M., (1993) Enough! Student Protest ’92: The Youth of Belgrade in Quest of

Another Serbia, “Anthropology of East Europe Review”, vol.11, nn.1-2 Autumn.

PYNSENT R., (1996) The Literature of Nationalism. Essays on East European Identity, New York.

RAMET S., (1992) Nationalism and Federalism in Yugoslavia, Bloomington and Indianapolis.

RANKOVIĆ L., (2002) Picture of Europe in Serbian Press, at

http://kolubara.mdlf.org/lara/evropa/researchreport.htm

SECOR L., (1999) Testament Betrayed. Yugoslavian Intellectuals and the Road to War, “Lingua

Franca Think Thanks”, vol. IX, n.6- September.

SELL L., (2002) Slobodan Miloševic and the Destruction of Yugoslavia, Duke University Press,

Durham.

STIPČEVIĆ N. (a cura di), (1999) La Serbia, la guerra e l’Europa, Jaca Book, Milano.

THOMAS R., (1999) The Politics of Serbia in the 1990’s, Columbia University Press.

VEJVODA I., (2001) The case of Serbia in CESPI AND EWI (a cura di), Security Threat Perceptions

in South-Eastern Europe, Artistic & Publishing Company, Roma-Gaeta.

VLADIV-GOVER S. M., Serbian National Identity through Literature: From Kosovo Myth to Post-

Modern War, paper unpublished, Monash University, Australia. *

VUJACIĆ V., (1995) Serbian Nationalism, Slobodan Milošević and the origins of the Yugoslav War,

“The Harriman Review”, vol. VIII, n.4, December.

ID., (1996) Institutional Origins of Contemporary Serbian Nationalism, “East European

Constitutional review”, vol.5 n.4, Autumn.

ID., (2003) Three Lecture on Nationalism, “Ventunesimo Secolo”, Luiss University press, n. 3.

WACHTEL A., (1998) Making a nation, breaking a nation, Paperbook, Stanford.

* Gentilmente concessi dagli Autori.


MAURIZIO SERIO, L’identità nazionale serba tra mitopoiesi e realtà
in «Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali», 1/2005

WHITE G.W., (2000) Nationalism and Territory: Constructing Group Identity in South-Eastern

Europe, Rowman & Littlefield, Kanham.

ZIMMERMANN Z., (1986) Serbian folk poetry: Ancient legends, Romantic songs, Columbus,

Ohio.

ZIVKOVIĆ M., (1996) Too Much Character, Too Little KULTUR: Serbian Jeremiads 1994-1995,

paper presented at “CASPIC Mac Arthur Scholars’ Conference”, 5-6 October, Chicago.

ID, Serbia’s Place in European geopolitical Imaginings, paper unpublished.*

Potrebbero piacerti anche