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CAPITOLO PRIMO
CAPITOLO SECONDO
CAPITOLO TERZO
SICUREZZA E ISTITUZIONI:
TRA GOVERNO E GIURISDIZIONE
CAPITOLO QUARTO
SICUREZZA E DIRITTI:
TRA AMMINISTRAZIONE E GIURISDIZIONE
2
3. Sicurezza, prevenzione e dignità sociale: l’evoluzione della
giurisprudenza costituzionale .............................................. pag. 161
4. Misure di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali.
Alla ricerca di un difficile bilanciamento ................................ pag. 169
5. Un caso emblematico: l’espulsione amministrativa degli
stranieri ........................................................................................ pag. 176
CAPITOLO QUINTO
3
PREMESSA
Salus rei publicae suprema lex esto. Il detto, pur tralatizio, coglie
ancora l’essenza del problematico, antico rapporto tra sicurezza e
diritto. La stessa costruzione di ogni ordinamento giuridico, infatti,
ruota intorno alla necessità di garantire la sicurezza dei consociati. A
sua volta, la nascita dello Stato moderno si è fondata sulla
predisposizione di apparati in grado di garantire quel monopolio
dell’uso della forza che risultava essenziale al fine di assicurare la
sicurezza esterna e interna della comunità. In questo senso, la stessa
affermazione della sovranità dello Stato si è alimentata della necessità
di rendere sicura la comunità di riferimento, garantendo la pace e la
sicurezza.
Proprio per questo, però, le esigenze connesse alla sicurezza
sono entrate quasi naturalmente in conflitto con il diritto, che ha
progressivamente cercato di regolamentarne gli apparati, le specifiche
procedure operative e le concrete finalità di azione. Tale tensione, in
particolare, è emersa successivamente all’affermazione dei principi del
costituzionalismo liberale, che ha rappresentato il superamento degli
assetti assolutistici tipici dell’ancien régime, attraverso l’affermazione
della separazione dei poteri e dei principi dello Stato di diritto,
connessi al riconoscimento di una sfera inviolabile di diritti della
persona umana.
A partire da quel momento, infatti, l’antico problema della
legittimazione del potere e dei limiti al suo eserizio viene declinato
secondo parametri diversi, che non riducono in alcun modo il peso
della sicurezza nell’ambito della costruzione dei nuovi ordinamenti
liberali, ma ne articolano diversamente le dimensioni giuridiche. La
sicurezza dello Stato, e del suo ordinamento, si arricchisce infatti della
prospettiva connessa al riconoscimento di una sicurezza dei diritti
inviolabili dell’uomo, che è compito primario dello Stato garantire e
tutelare. Dunque sicurezza dello Stato e sicurezza dei diritti risultano
strettamente legate, dal momento che la realizazione dell’una è
condizione necessaria alla garanzia dell’altra.
Gli ordinamenti contemporanei, figli dell’evoluzione in chiave
democratica degli ordinamenti liberali, cercano oggi di riorganizzare
l’antica tensione fra gubernaculum e iurisdictio alla luce
dell’individuazione di alcuni principi fondamentali, codificati in Carte
costituzionali rigide e che cercano di imporsi anche alla sfera di
decisione politico-rappresentativa. Tuttavia, anche in tale contesto le
esigenze della sicurezza emergono con evidenza, anche se nell’ambito
di una costruzione istituzionale che, alla luce della primazia dei diritti
fondamentali della persona umana, tende ad articolare ulteriormente i
soggetti, le procedure, e gli ambiti territoriali coinvolti nella sua
gestione.
In ogni caso, pur immersa nell’ambito dei principi e dei valori
degli odierni ordinamenti costituzionali liberaldemocratici, l’originaria
natura della sicurezza a volte sembra riemergere con tutta la sua forza,
fino a lambire i confini di una sorta di “zona d’ombra” del
costituzionalismo. Appare, dunque, particolarmente interessante
cercare di ripercorrere i tratti essenziali della nozione giuridica di
sicurezza, pur consapevoli della sua naturale valenza polisemica e
plurale, nel tentativo di ricostruirne le complessive dimensioni accolte
dal nostro ordinamento costituzionale.
Per fare questo, però, l’analisi cercherà di esplorare le frontiere
della sicurezza che sembrano mettere maggiormente in rilievo le
problematiche tensioni cui si è accennato. In questo senso, sarà
approfondita per prima, sul piano istituzionale, l’attuale, problematica
natura dei servizi di informazione e dei limiti della loro attività, di
recente oggetto di una significativa riforma legislativa, nell’ottica della
tutela della sicurezza dello Stato. Successivamente, verranno prese in
considerazione le misure di prevenzione, il cui statuto costituzionale è
ancora oggetto di contrastanti interpretazioni, soprattutto alla luce
della loro incidenza sulla sfera dei diritti individuali. Da ultimo,
saranno analizzate le ricadute, sul piano della gestione della sicurezza,
dell’articolazione pluralistica della Repubblica, accentuata (sul piano
territoriale) dalla recente riforma costituzionale del 2001.
In questo modo, almeno nelle intenzioni, si potrà forse meglio
mettere a fuoco lo spessore costituzionale della sicurezza, quale valore
accolto nel nostro ordinamento, e per questo ricondotto, infine, al
giudizio della Corte costituzionale, cui spetta, attraverso l’utilizzo delle
consolidate tecniche del bilanciamento di interessi, il difficile ruolo di
custode ultimo della legittmità costituzionale.
6
CAPITOLO PRIMO
collegati, dal momento che lo stato d’animo del singolo individuo dipende anche
dalle reali condizioni di vita che caratterizzano la comunità in cui è inserito.
A partire da tale generale bipartizione, la nozione di sicurezza
può essere colta, però, anche sotto ulteriori prospettive, che ne
rappresentano altrettante dimensioni giuridiche. In via di prima
approssimazione, si possono individuare le seguenti ipotesi:
1) sicurezza esterna / sicurezza interna, con particolare
riferimento ai differenti problemi connessi alla tutela dalle aggressioni
e dai pericoli esterni al gruppo sociale, oppure in relazione ai fattori di
rischio endogeni ad una determinata collettività organizzata
(differenti, in questo senso, appaiono non solo i problemi, ma anche
le soluzioni e gli strumenti tradizionalmente individuati);2
2) sicurezza individuale (o “sicurezza da”) / sicurezza
collettiva (o “sicurezza di”), attraverso la valorizzazione sia della
dimensione di tutela dei diritti fondamentali garantiti da un
determinato ordinamento giuridico, sia dei profili connessi
all’individuazione di limitazioni all’agere dei singoli individui, in
connessione non solo con la garanzia di altre situazioni giuridiche
soggettive o in relazione all’adempimento di determinati obblighi o
prestazioni a favore della collettività, ma anche in riferimento alla
tutela di specifici interessi pubblici;
3) sicurezza materiale / sicurezza ideale, in relazione alla
tradizionale questione attinente alla categoria dell’ordine pubblico, e
alla duplice accezione che può esservi ricondotta: tutela da forme
violente di aggressione ai beni giuridici tutelati, oppure garanzia
dell’insieme dei principi e dei valori fondanti caratteristici di un
determinato ordinamento giuridico.
Colta nella sua naturale pluralità di significati, la sicurezza
rivela, altresì, la sua natura sostanzialmente relazionale, in connessione
con gli specifici oggetti che, di volta in volta, concorrono a delinearne
la concreta dimensione operativa: la sicurezza, infatti, non assume un
valore in sé e per sé considerata, ma solo in relazione a persone o
situazioni determinate. Un individuo o un contesto, infatti, possono
risultare sicuri esclusivamente in relazione a qualcosa o a qualcuno;
mentre è proprio l’individuazione o la presenza di determinati pericoli
o rischi a metterne in discussione l’esistenza.
8
Dal punto di vista del diritto pubblico, e del diritto
costituzionale in particolare,3 la rilevanza della sicurezza (quale
sicurezza pubblica) appare evidente sotto tutti i profili appena
accennati, spesso a loro volta in qualche modo intersecati o
parzialmente sovrapposti. E’, infatti, rilevante sia dal punto di vista
della tradizionale protezione della collettività organizzata da pericoli di
aggressione, provengano essi dall’esterno o dall’interno; sia dal punto
di vista della tutela dei diritti dei singoli individui e delle concrete
dimensioni della sua operatività, non di rado circoscritte dalla
previsione di specifiche limitazioni.
Da ultimo (anche se molto più problematicamente), emerge
una sua connotazione quale “diritto alla sicurezza”, di difficile
ricostruzione quale autonoma situazione giuridica soggettiva; nonché
una sua dimensione non solo materiale, connessa alla protezione del
gruppo sociale e dei diritti dei singoli individui che ne fanno parte, ma
anche ideale, in relazione ai principi e ai valori di riferimento di un
determinato ordinamento, codificati nel testo costituzionale.
Ciò nonostante, la concreta dimensione costituzionale della
sicurezza varia da ordinamento a ordinamento, con particolare
riferimento alla specifica forma di Stato e alla conseguente
organizzazione dei pubblici poteri. In questo senso, infatti, è possibile
riscontrare ordinamenti che hanno valorizzato, a seconda dei periodi
storici e delle connesse tradizioni costituzionali, alcune dimensioni
della sicurezza rispetto ad altre.
Dal punto di vista cronologico,4 l’inevitabile punto di partenza
è rappresentato dall’affermazione dello Stato moderno, attraverso il
consolidamento delle monarchie nazionali europee nel corso del XVI
e XVII secolo. In quell’ambito, infatti, l’emersione di un potere
sovrano accentrato nelle mani del Monarca è accompagnata della
costante lotta per l’accrescimento della propria potenza nei confronti
del problematico rapporto tra libertà e sicurezza, si veda P. Ridola, Libertà e diritti
nello sviluppo storico del costituzionalismo, in R. Nania, P. Ridola (a cura di), I diritti
costituzionali, I, Torino, 2006, in particolare pag. 138 ss.
9
degli altri Stati, spesso attraverso lo strumento della guerra. Evidente,
allora, in questo senso soprattutto la dimensione esterna e materiale
della sicurezza, operante sul piano prettamente militare.
L’affermazione del costituzionalismo liberale, in
contrapposizione ai precedenti assetti assolutistici, pone invece per la
prima volta l’accento sulla tutela dei diritti inviolabili dei singoli
individui, che il pubblico potere deve garantire e di fronte ai quali la
macchina dello Stato sembra doversi arrestare. Separazione dei poteri,
centralità della legge parlamentare, Stato di diritto e principio di
eguaglianza, inevitabilmente, connotano in modo diverso il concetto
di sicurezza quale “sicurezza da”, in relazione ai diritti della nuova
classe borghese. In questo contesto di forte omogeneità sociale, e di
ridotta partecipazione politica, appaiono particolarmente evidenti i
profili interni della sicurezza, mentre sembrano recessivi i problemi
connessi alla sua dimensione ideale.
La rivoluzione industriale e l’inizio dell’evoluzione in chiave
più nettamente democratica degli ordinamenti costituzionali
occidentali, come noto, incrinerà il mito liberale dell’omogeneità
sociale, immettendo fattori di forte disomogeneità e tensione
all’interno delle collettività organizzate, soprattutto alla luce della
richiesta di nuove tutele e spazi di intervento da parte della classe
operaia, organizzata nei partiti politici di massa.
Di conseguenza, verrà a mutare anche il significato attribuito
alla sicurezza e alla sua dimensione più prettamente costituzionale. La
necessità di fronteggiare le tensioni sociali interne, fortemente intrise
di idealità politico-rivoluzionarie, porterà, infatti, ad un’ulteriore
accentuazione della dimensione interna della sicurezza, oltre che ad un
consolidamento di una sua valenza sul piano più propriamente ideale,
a difesa dei principi ispiratori dello Stato liberale borghese. In tale
contesto, anche sul piano dei diritti dei singoli individui il significato
della sicurezza sembra mutare, essendo sempre più collegato alla
dimensione della “sicurezza di” (parallelamente all’affermazione dei
nuovi diritti sociali), oltre che alla tradizionale dimensione della
“sicurezza da” (caratteristica, invece, delle libertà c.d. negative).
L’avvento dei totalitarismi interromperà bruscamente tale
percorso evolutivo, attraverso un utilizzo ampio e pervasivo della
sicurezza in ogni sua dimensione: esterna, interna, materiale e (in
10
modo particolare) ideale. Parlare di diritti tutelati, in questo contesto,
è del tutto privo di significato, laddove l’individuo e le sue pretese
vengono connessi ad una concezione totale dello Stato, senza il quale
non c’è individuo e non c’è garanzia delle sue pretese (sulla base, si
potrebbe dire, di una sostanziale funzionalizzazione dei diritti alle
finalità dello Stato, fino a lambire i confini di una problematica
dimensione della sicurezza intesa come “sicurezza per”).
Le Costituzioni del secondo dopoguerra, ispirate ai principi del
costituzionalismo liberaldemocratico, anche alla luce dei tragici eventi
appena vissuti, vedono un arretramento complessivo della visione
totalizzante della sicurezza (si pensi solo al sospetto con cui si
guardava alla nozione di ordine pubblico nell’ambito dei lavori della
nostra Assemblea costituente).
Dunque, il concetto di sicurezza che viene in esse evocato è, in
primis, quello più propriamente oggettivo e materiale, attento alla
complessiva salvaguardia dei diritti dei cittadini da possibili pericoli o
lesioni. Tuttavia, come vedremo, alla luce dell’affermazione dei
principi dello Stato sociale e del conseguente aumento dei compiti
delle pubbliche amministrazioni, emerge sempre con maggiore
evidenza la necessità di intendere la sicurezza non solo in termini, per
così dire, negativi e difensivi, ma anche in chiave positiva e
promozionale, alla luce della specifica tutela della dignità della persona
umana, sia come singolo sia nelle sue relazioni sociali.5
Alla tradizionale concezione della sicurezza intesa, in senso
“stretto”, come tutela degli individui e delle istituzioni (in una parola,
della comunità) rispetto a comportamenti lesivi o a situazioni di
pericolo, si affianca quindi una nozione di sicurezza quale garanzia, in
senso più “lato”, di una piena realizzazione della persona umana e
della sua dignità, posta al centro dell’ordinamento costituzionale.6 In
5 Cfr. P. Ridola, op.cit., pag. 133; M. Ruotolo, La sicurezza nel gioco del bilanciamento,
pag. 2 della relazione presentata al Convegno “I diversi volti della sicurezza”, Università
di Milano-Bicocca, 4 giugno 2009, per ora sul sito AIC, all’indirizzo
www.associazionedeicostituzionalisti.it.
6 Per una valorizzazione di tale prospettiva, con particolare riferimento alla
11
questo senso, quindi, la riflessione giuridica sulla sicurezza e sulle sue
dimensioni costituzionali sfuma verso il problema della necessaria
previsione di strumenti atti a garantire (in via generale) condizioni
ottimali di vita e di lavoro, al fine di promuovere quel “pieno sviluppo
della persona umana” che è indicato, dall’art. 3 Cost., quale
presupposto per l’effettiva partecipazione di tutti “all’organizzazione
politica, economica e sociale del paese”.
Tale prospettiva, come noto, richiama in particolare le
tematiche connesse all’assistenza, alla previdenza, alla salute e
all’istruzione, che rappresentano il nocciolo duro dei diritti sociali.
Significativo, in questo senso, il discorso sullo stato dell’Unione
pronunciato nel gennaio del 1941 dal Presidente degli Stati Uniti
Roosevelt, passato alla storia come “Discorso delle quattro libertà”, in
cui venivano evocate, a fondamento di un nuovo ordine mondiale,
accanto alla libertà di parola e alla libertà di culto, anche “la libertà
dalla paura” e la “libertà dal bisogno”.7 In questa nuova prospettiva,
appare del tutto evidente come vengano colte entrambe le concezioni
della sicurezza, sia quella attinente alla materiale tutela dell’integrità
psico-fisica dei singoli individui (security), sia quella relativa al
complessivo benessere della comunità e alla qualità della vita dei
cittadini (safety).
Eppure, anche alla luce della codificazione a livello
costituzionale dei valori connessi alla democrazia politica, alcuni
ordinamenti liberaldemocratici sembrano attualmente valorizzare
anche la dimensione ideale della sicurezza, al fine di tutelare i principi
fondamentali che rappresentano il fondamento della loro legittimità. 8
Nasce proprio in quest’ottica il problema delle c.d. democrazie aperte
o protette,9 che sembrano aver accettato in modo diverso la
scommessa connessa all’affermazione dei principi del
cittadini, in Rivista di polizia, 2003, pag. 82; B. Caravita, Sicurezza e sicurezze nelle politiche
regionali, in Federalismi.it, all’indirizzo www.federalismi.it; M. Ruotolo, op cit., pag. 16.
7 Cfr. lo State of the Union Address del 6 gennaio 1941, undici mesi prima dell’attacco
eccezione a regola. Prima e dopo le Twin Towers, Torino, 2004; nonché A. Di Giovine (a
cura di), Democrazie protette e protezione della democrazia, Torino, 2005.
12
costituzionalismo liberaldemocratico e al c.d. paradosso della
tolleranza. Tali diversità, a ben vedere, sembrano riemergere oggi, alla
luce degli eventi dell’11 settembre 2001, che pure hanno portato ad
una complessiva rilettura del concetto di sicurezza e del suo
fondamento costituzionale.10
Proprio per questo emerge con evidenza la necessità di
analizzare la sicurezza nelle sue diverse dimensioni costituzionali, a
partire dalla c.d. sicurezza in senso “stretto”, sia da un punto di vista
della sua attuale “collocazione” nel nostro ordinamento, sia in
relazione agli apparati, agli strumenti e alle misure che sono previste e
disciplinate per la sua garanzia. Sicurezza che, ricostruita all’interno
del nostro ordinamento quale interesse di rilievo costituzionale, entra
inevitabilmente “nel gioco del bilanciamento” con altri principi o
valori costituzionali,11 facendo emergere l’importanza del ruolo della
Corte costituzionale e della sua giurisprudenza in materia.
10 Sul punto, cfr AA.VV., Libertà e sicurezza nelle democrazie contemporanee, Padova,
2007, che contiene le relazioni al’omonimo Convegno AIC del 2003.
11 Così, da ultimo, M. Ruotolo, op. cit., passim.
12 Cfr. P. Biscaretti di Ruffia, Stato (storia del diritto), in Noviss. dig. it., XVIII, Torino,
1971, pag. 261 ss.; M. Fioravanti, Stato (storia), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, pag.
708 ss.; C. Faralli, Stato, in A. Barbera (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo,
Roma-Bari, 1997, pag. 167 ss. Sulla nascita dello Stato moderno, e sulle
problematiche connesse, si rimanda anche a N. Matteucci, Lo Stato moderno. Lessico e
percorsi, Bologna, 1997, in particolare pag. 15 ss., dove si ripercorrono le tappe
dell’affermazione dei nuovi stati territoriali come veri e propri apparati, strutture
indipendenti, che rivendicano una supremazia assoluta e originaria, e che
rappresentano il superamento, da un lato, del feudalesimo e, dall’altro, della
presenza universalistica del Papato e dell’Impero.
13
forma di organizzazione politica.13 E’ in questo momento, infatti, che
appare in tutta la sua evidenza il ruolo della sicurezza
nell’affermazione della sovranità14 all’interno delle monarchie
nazionali del XVI e XVII secolo.
E’ proprio al fine di garantire la sicurezza dei sudditi, con
particolare riguardo alla difesa dai nemici esterni, che viene, infatti,
giustificata la progressiva concentrazione ed espansione dei poteri del
Monarca, ben rappresentata dalle concezioni di Thomas Hobbes e del
suo Leviathan. In questo senso, dunque, la sicurezza sembra essere un
fondamentale supporto al consolidamento dell’assolutismo,15 una
volta superate le concezioni comunitarie tipiche del costituzionalismo
antico e di quello medievale, in cui la garanzia della sicurezza veniva
stemperata all’interno di più ampie obbligazioni solidaristiche,
derivanti dall’appartenenza ad una specifica comunità o dalla
complessa rete di obbligazioni di natura essenzialmente privatistica
tipica dell’assetto feudale.16
E’ in questo momento, allora, che la sicurezza diviene compito
specifico dello Stato, che per questo istituisce appositi apparati
burocratici. La sicurezza, in questo modo, entra a far parte della
nascente sfera pubblica, rappresentando uno degli strumenti operativi
di maggiore impatto per l’affermazione della sovranità dello Stato. In
questo momento, come ovvio, rimane sullo sfondo il problema della
tutela dei diritti dei singoli individui, dal momento che una sfera
giuridica autonoma dei sudditi non è nemmeno pensabile, essendo
della sovranità dal Medio Evo alla rivoluzione francese, Milano, 1951; a G. Chiarelli,
Sovranità, in Noviss. dig. it., XVII, Torino, 1970, pag. 1043 ss.; e a N. Matteucci,
Sovranità, in N. Bobbio, G. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, Torino,
2004, pag. 909 ss. Sul punto, inoltre, si vedano anche i contributi di E. Cortese,
Sovranità (storia), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, pag. 205 ss.; di G. Silvestri, La
parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfigurazione di un concetto, in Riv. dir. cost., 1996,
pag. 3 ss.; e di M. Trombino, Sovranità, in A. Barbera (a cura di) op. cit., pag. 193 ss.
15 Sul punto, si vedano le considerazioni di P. Schiera, Assolutismo, in N. Bobbio, N.
pag. 89 ss.
14
indispensabile alla loro stessa sopravvivenza l’istituzione del sovrano
assoluto, dello Stato-Leviatano, al cui interno non esistono
individualità.17 Come noto, infatti, per Hobbes lo stato di natura è uno
stato di lotta perenne per la sopravvivenza di ciascuno (in cui homo
homini lupus), motivo per cui i singoli si spogliano irrevocabilmente
della loro libertà per riconoscere ad un’autorità suprema ed assoluta il
compito di garantire la loro sicurezza (pactum subiectionis).
Non è un caso, allora, che la stessa organizzazione dell’attività
di polizia nasca a partire da questo momento, attraverso la progressiva
espansione dei compiti connessi allo Stato e alla sua nascente
amministrazione, al fine di garantire al meglio non solo la
sopravvivenza dei singoli e la pace sociale, ma anche il più
complessivo benessere della collettività.18
Tale concezione, come noto, accompagna il superamento della
visione meramente patrimoniale degli strumenti di governo, e porta al
progressivo distacco dalla sfera personale del Monarca di stabili
apparati amministrativi, connessi in particolare alle necessità di difesa
esterna, di esazione tributaria e di amministrazione della giustizia. In
questo senso, come è stato messo in luce, finalità di sicurezza e attività
di polizia risultano strettamente legate: “il meccanismo adottato dal
Principe per eliminare progressivamente i numerosissimi centri di
potere che ostacolavano la ricostituzione della sovranità centrale […]
consistette nel far leva sull’interesse collettivo dell’ordine e della
sicurezza interna (oltre che esterna […]), come premessa del
benessere comune; interesse collettivo di cui il Principe […] si auto-
eleggeva tutore”.19
15
In questo senso, attraverso una valorizzazione delle sue
specifiche finalità, da strumento di garanzia dell’ordine e della
sicurezza, l’attività di polizia giunge a sovrapporsi al concetto stesso di
amministrazione interna, comprensiva di tutte le pubbliche funzioni
finalizzate al benessere della collettività (comprese anche attività di
tipo normativo e giudiziario).
Lo Stato di polizia (Polizeistaat)20 viene quindi a confondersi
con lo Stato amministrativo in senso lato (Verwaltungstaat), in coerenza
con la progressiva estensione dei compiti dell’amministrazione statale
durante l’assolutismo, in cui lo Stato non rappresenta solo l’unica
fonte del pubblico potere (attraverso il consolidamento del
monopolio dell’uso della forza), ma in qualche modo ne diviene anche
il fine, attraverso quella sicurezza che l’attività di polizia
complessivamente assicura.21
Questa evoluzione, come è stato sottolineato, porta ad una
concezione ambivalente di sicurezza. Da un lato, infatti, essa
rappresenta la tutela di interessi in capo alla comunità; dall’altro, nel
progressivo consolidarsi della sovranità dello Stato quale unico tutore
della sicurezza, manifesta l’esistenza di suoi autonomi interessi,
connessi all’area della ragion di Stato.22 Appare comunque evidente
come, in un contesto come quello tipico dell’Assolutismo, senza reale
garanzia dei diritti fondamentali e al di fuori di ogni concezione
connessa alla separazione dei poteri, la sicurezza sia stata una delle
principali leve su cui costruire il mito della sovranità dello Stato,
essenziale alla sua stessa concezione in senso moderno.
della liberà personale, Milano, 1967, pag. 84: “La sicurezza dello Stato acquistò allora
quell’ambivalenza che sarebbe rimasta in seguito nei concetti, in particolare, di
ordine pubblico e di tranquillità pubblica, capaci di coprire così gli interessi politici
dei gruppi al potere, come quelli sociali, facenti capo invece alla comunità dei
governati”.
16
In parte diverso, invece, il ruolo giocato dalla sicurezza
nell’ambito delle concezioni del costituzionalismo liberale. Fin dalle
sue prime teorizzazioni, infatti, il pensiero liberale muove da premesse
significativamente differenti, che portano all’affermazione di una sfera
di diritti della persona inviolabile non solo da parte degli altri
individui, ma anche dello stesso pubblico potere, in connessione con
l’affermazione del principio della separazione dei poteri e di una
concezione (almeno sul piano teorico) minimale dello Stato.
Evidenti, in questo senso, le affermazioni di John Locke, che
nel suo Secondo trattato sul governo delinea chiaramente l’essenza del
potere politico come “il diritto di fare leggi che contemplino la pena
di morte e di conseguenza tutte le pene minori, in vista di una
regolamentazione e conservazione della proprietà e il diritto di
impiegare la forza della comunità nell’esecuzione di tali leggi e nella
difesa dello Stato da attacchi esterni: tutto questo soltanto ai fini del
pubblico bene”.23
Il punto di partenza, però, il prius relativo allo stato di natura è
assai differente rispetto alla visione di Hobbes. Per Locke, infatti,
l’uomo nasce naturalmente in uno stato di perfetta libertà “nel
regolare le proprie azioni e nel disporre dei propri beni […], senza
chiedere permesso o dipendere dalla volontà di un altro”. Tuttavia, è
la stessa legge di natura ad impedire che l’individuo possa utilizzare le
proprie libertà per recare danno al prossimo: “nessuno deve recar
danno ad altri nella vita, nella salute, nella libertà o negli averi”, al fine
di garantire la pace e la stessa conservazione del genere umano (in una
parola, la sicurezza).
In questo, come noto, sta il fondamento del pactum societatis e il
riconoscimento della sovranità dello Stato, con particolare riferimento
al potere di repressione e prevenzione penale.24 Un pubblico potere,
23 Cfr. J. Locke, Two treatises of government. II. An essay concerning the true original, extent,
and end of civil government (1690), trad. italiana Secondo trattato sul governo. Saggio
concernente la vera origine, l’estensione e il fine del governo civile, Cap. I, Milano, 1998, pag.
63.
24 Particolarmente significative, in questo senso, le parole usate da Locke per
ricostruire le origini delle società politiche organizzate: “Il solo modo in cui un
uomo si spoglia della sua libertà naturale e assume su di sé i vincoli della società
civile, consiste nell’accordarsi con altri uomini per associarsi e unirsi in una
17
però, mosso dalla volontà della maggioranza espressa tramite il
sistema rappresentativo, e in cui il compito di dettare le leggi è tenuto
distinto dal compito di eseguirle, in coerenza con la concezione del
governo limitato propria di Locke.
In quest’ottica, lo stesso potere statale appare come potere
limitato e finalizzato alla migliore tutela dei diritti naturali dei singoli
individui, nell’ambito di una concezione contrattualista in cui il
consenso espresso dalla comunità è sempre revocabile, attraverso
l’esercizio del diritto di resistenza di fronte ad un’autorità di governo
che contravvenga ai suoi compiti.
Ancora più evidente, in questo senso, il pensiero di
Montesquieu. Ne Lo spirito delle leggi, come noto, egli collega
inscindibilmente assetto organizzativo dello Stato, ispirato alla nota
tripartizione dei poteri, e sicurezza dei diritti fondamentali, in
relazione all’esercizio della sua potestà punitiva. Secondo
Montesquieu, infatti, “la libertà politica consiste nella sicurezza, o
almeno nell’opinione che si ha della propria sicurezza”, la quale “non
è mai tanto minacciata come nelle accuse pubbliche o private”. 25 Per
tale motivo, è necessario che il potere giudiziario sia separato sia dal
potere legislativo, sia dal potere esecutivo.
Dunque, un contesto in cui le esigenze di sicurezza appaiono
strumentalmente collegate alla tutela ed alla garanzia dei diritti naturali
per eccellenza: vita, libertà e proprietà. Evidenti, in questo senso, gli
echi della lotta della classe borghese contro l’assolutismo monarchico:
la sicurezza che si rivendica, non a caso, è anche la sicurezza dei
commerci e degli affari, imperniata sulle tradizionali libertà negative.
In questo contesto, come noto, si afferma non solo il protagonismo
delle Assemblee parlamentari rappresentative, ma si riconosce un
ruolo fondamentale a quella loro tipica espressione che è la legge, cui
comunità al fine di vivere gli uni con gli altri in comodità, sicurezza e pace, nel
sicuro godimento della sua proprietà” (J. Locke, op. cit., Cap. VIII, pag. 189).
25 Cfr. Montesquieu, De l’esprit des lois (1748), trad. italiana, Lo spirito delle leggi, XII,
Milano, 1989, pag. 342. E’ su tali premesse, infatti, viene costruita la teoria della
separazione dei poteri: “La libertà politica per un cittadino consiste in quella
tranquillità di spirito che proviene dall’opinione che ciascuno ha della propria
sicurezza; e perché si abbia questa libertà, bisogna che il governo sia tale che un
cittadino non possa temere un altro cittadino” (cfr. Montesquieu, op. cit., XI, pag.
310).
18
vengono rimesse le principali scelte in materia di sicurezza dei
cittadini e dei loro diritti.
Saranno in ogni caso le rivoluzioni liberali della fine del XVIII
secolo a codificare le esigenze costituzionali della sicurezza in
relazione alla tutela di una sfera di libertà inviolabile degli individui. Si
pensi, in questo senso, alla Dichiarazione dei diritti della Virginia del
1776, il cui art. 1 prevede che “tutti gli uomini sono per natura
egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti innati di cui,
entrando nello stato di società, non possono, mediante convenzione,
privare o spogliare la loro posterità; cioè il godimento della vita, della
libertà, mediante l’acquisto e il possesso della proprietà, e il perseguire
e l’ottenere felicità e sicurezza”.
Ma, analogamente, si veda quanto disposto dall’art. 2 della
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, in base al
quale “lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei
diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà,
la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”; nonché, nel
medesimo senso, il IV emendamento della Costituzione americana del
1787,26 inserito nel 1791, secondo cui “il diritto dei cittadini a godere
della sicurezza per quanto riguarda la loro persona, la loro casa, le loro
carte e le loro cose, contro perquisizioni e sequestri ingiustificati, non
potrà essere violato”.27
Finalizzata all’affermazione delle libertà borghesi e connessa ai
principi dello Stato di diritto, nel corso del XIX secolo la sicurezza si
consolida come oggetto di disciplina giuridica e quale specifica finalità
della pubblica amministrazione (la c.d. polizia di sicurezza),28 in stretta
“essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben ordinata milizia, il
diritto dei cittadini di tenere e portare armi non potrà essere violato”.
28 Sulla concezione liberale della polizia di sicurezza, e sui suoi compiti specifici, si
19
connessione con la teorizzazione dei diritti pubblici soggettivi e
parallelamente all’ambito di incidenza della legislazione penale. In tale
contesto, in chiave essenzialmente difensiva, rappresenterà anche il
principale strumento operativo opposto agli emergenti conflitti sociali
di fine secolo, connessi all’affacciarsi sulla scena politica del
proletariato e dei partiti politici di massa, portatori di nuove istanze di
partecipazione e di tutela sociale.
In questo senso, come è stato osservato, la nozione di
sicurezza tipica dello Stato liberale ha vissuto profili di continuità, in
chiave auto difensiva, rispetto alla concezione tipica dello Stato
assoluto.29 Tendenze, come noto, esasperate e portate agli eccessi
durante il ventennio fascista, che della garanzia di sicurezza e delle
misure di ordine pubblico fece uno dei perni della sua costruzione
autoritaria.
Più evidente, allora, appare la svolta connessa all’affermazione
dei principi del costituzionalismo liberaldemocratico, con particolare
riferimento al periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Sulla
scia del (fallito) tentativo weimariano del 1919, le moderne
costituzioni ampliano significativamente il catalogo dei diritti
fondamentali, pensando l’organizzazione del pubblico potere in
funzione del ruolo centrale della persona umana e delle sue libertà.
La sovra ordinazione delle nuove Carte fondamentali,
confermata dalla loro rigidità, supera i limiti della concezione liberale
classica, che di fatto rimetteva la concreta estensione dei diritti
205 ss. Per una ricostruzione delle diverse teorie allora emerse, cfr. A. Chiappetti,
op. cit., in particolare pag. 90 ss.
29 Si veda, in merito, quanto è stato affermato da G. Amato, op. cit., pagg. 138-139:
“La priorità dell’individuo nei confronti dello Stato giovava, come principio
politico, fino a che si trattava di imporre ad uno stato dominato da altre forze il
rispetto di quelle ad esso estranee; la divisione dei poteri, la supremazia della legge
avevano lo stesso compito, fin tanto che, mediante la loro affermazione, le forze
escluse dall’apparato amministrativo nel quale l’assolutismo aveva identificato lo
stato, attribuendogli ogni funzione pubblica, potevano imporre ad esso dei limiti
esterni. Ma quando quelle forze riuscirono loro ad esser padrone, non soltanto nelle
assemblee rappresentative, ma di quello stesso apparato, allora la divisione dei
poteri, l’inviolabilità dell’individuo servirono assai meno, e si fu ben lieti di
consolidare le strutture amministrative dello Stato”.
20
fondamentali (visti come il frutto di una sorta di autolimitazione del
potere statale) alla sovranità del potere legislativo e alle sue scelte.
La sicurezza, infatti, appare qui strettamente connessa alle
disposizioni della Costituzione, le quali ne individuano
complessivamente i concreti significati e ne determinano il possibile
raggio di azione. E’ una sicurezza orientata sulla base delle opzioni di
fondo accolte nel testo costituzionale, espresse non solo in regole
precise, ma anche in più ampi principi di azione. I vincoli
costituzionali, in questo senso, connotano le dimensioni della
sicurezza in una duplice direzione: in relazione alla tutela dei diritti
fondamentali e in relazione agli assetti organizzativi nell’ambito dei
pubblici poteri.
Figlie del conflitto sociale, che tentano di governare, e garanti
del complessivo pluralismo connesso ai moderni sistemi democratici
(messo alla prova di fronte alle nuove sfide del multiculturalismo), le
Costituzioni contemporanee inseriscono le esigenze della sicurezza tra
i beni degni di tutela, garantendone l’operatività sia da un punto di
vista giuridico-normativo (come tutela di quel determinato assetto di
principi e regole), sia da un punto di vista materiale (attraverso il
richiamo alle concrete esigenze di mantenimento dell’ordine e della
sicurezza, rimesse a specifici apparati pubblici).
E’ evidente, in ogni caso, che la differente valutazione delle
concrete dimensioni costituzionali della sicurezza muta sensibilmente
a seconda delle stesse concezioni della Costituzione. Senza affrontare
qui temi così impegnativi, basterà solo sottolineare che, per esempio,
nella visione normativista di Hans Kelsen, l’ordinamento è un sistema
piramidale di norme al cui vertice si trova la Costituzione, come
norma fondamentale sulla produzione giuridica; il problema giuridico
centrale, in questo senso, è quello della validità della norma che,
secondo le note tesi formali e procedimentali dello stesso Kelsen,
deriva dalla sua appartenenza ad un dato ordinamento, secondo
determinate regole di produzione.30
30 Cfr. H. Kelsen, General theory of law and State (1945), trad. italiana Teoria generale del
diritto e dello Stato, Milano, 1994, pagg. 111-112: “Il fondamento della validità di una
norma non è la sua conformità alla realtà, come avviene per la prova della verità di
una proposizione sull’essere […]; una norma non è valida perché è efficace […]. Il
fondamento di validità di una norma è sempre una norma, non un fatto”.
21
Dunque, nessuno spazio a suggestioni connesse alla presunta
(o meno) conformità della stessa alla realtà dei fatti o a determinati
valori. Sotto questo punto di vista, l’unica dimensione giuridicamente
apprezzabile della sicurezza (anche sul piano del diritto
costituzionale), sembra essere quella connessa alla garanzia della
validità delle norme giuridiche, fino al teorizzato controllo di
costituzionalità delle leggi. Sicurezza, quindi, come sicurezza
strettamente giuridica,31 in qualche modo connessa alla certezza del
diritto.32
Diversamente, nel pensiero di Carl Schmitt, la Costituzione è
la decisione politica fondamentale sulla specie e la forma dell’unità
politica di un popolo, e il suo fondamento di validità non è rinvenibile
né nella conformità ad una norma superiore, né nella coerenza con
determinati valori etici.33
In questo senso la sicurezza sembra essere connaturata
all’esistenza di ogni entità politica, elemento essenziale alla teorica
della Costituzione come decisione politica fondamentale: “La
Costituzione vige in forza della volontà politica di chi la pone. Ogni
specie di formazione giuridica […] presuppone come esistente una
tale volontà […]. Ogni unità politica esistente ha il valore […] non
nella giustezza o utilizzabilità delle norme, ma nella sua stessa
47 ss., secondo il quale la sicurezza giuridica, nello Stato liberale di diritto, risulta
basata su tre elementi: “1. l’azione dello Stato limitata e calcolabile; 2. la certezza del
dritto fondata sulla sua chiara ed inequivocabile conoscibilità; 3. l’immediata
applicazione (e attuazione) delle norme sia a carico che a favore del cittadino”.
32 Sul punto si veda anche la ricostruzione di G. Peces-Barba, Curso de derechos
fundamentales. Teoría general (1991), trad. italiana Teoria dei diritti fondamentali, Milano,
1993, pag. 226 ss., che distingue le dimensioni giuridiche della sicurezza in tre
grandi categorie: la sicurezza in relazione al potere (sulle origini e sull’esercizio dello
stesso); la sicurezza in relazione al diritto (come ordinamento complessivo o come
sottosistema specifico); la sicurezza in relazione alla società (la c.d. sicurezza sociale
e le connesse aspettative). Dal secondo punto di vista, infatti, l’autore sottolinea
l’importanza della conoscibilità dell’ordinamento e delle sue singole norme,
attraverso la predeterminazione di specifici requisiti formali e procedurali. Sul
punto, più di recente, vedi anche P. Bonetti, Terrorismo, emergenze e costituzioni
democratiche, Bologna, 2006, pag. 47 ss.; nonché M. Ruotolo, op. cit., pag. 33 ss.
33 C. Schmitt, Verfassunglehre (1928), trad. italiana Dottrina della Costituzione, Milano,
22
esistenza […]. Perciò il suo diritto all’autoconservazione è il
presupposto di ogni ulteriore discussione; essa cerca di conservarsi
soprattutto nella sua esistenza […]; essa protegge la sua esistenza, la
sua integrità, la sua sicurezza e la sua costituzione”.34 Una sicurezza,
dunque, legata strettamente all’esistenza della Costituzione come
decisione politica fondamentale, e mirante alla sua conservazione e
perpetuazione; ed inevitabilmente connessa all’effettività del
fenomeno giuridico, più che alla sua validità.
A prescindere dalle diverse interpretazioni possibili, appare
comunque confermata la rilevanza giuridica del bene sicurezza. In
ogni caso, tra la dimensione normativa e quella, per così dire,
decisionista della sicurezza, sembra potersi individuare una
dimensione più propriamente costituzionale della stessa, alla luce della
specifica disciplina giuridica prevista dalla Carta fondamentale, quale
interesse considerato meritevole di “attenzione” costituzionale.
Tale percorso, in ogni caso, pone il problema di una
ricostruzione, sul piano teorico generale, dei possibili significati della
sicurezza in relazione alla sfera più propriamente giuridica. Anche alla
luce dell’evoluzione storica che si è appena, pur rapidamente,
accennata, possono configurarsi tre significati teorici della sicurezza: la
sicurezza come condizione di ogni ordinamento giuridico; la sicurezza
come oggetto di disciplina giuridica; la sicurezza come valore
costituzionale.
23
essenzialmente sul piano dei rapporti privati), miranti a regolare le
attività dei componenti il gruppo e a punire i comportamenti dei
singoli che attentino alla pacifica convivenza della collettività
organizzata.
Da questo punto di vista, quindi, appare un concetto che
sembra in qualche modo precedere logicamente il problema giuridico
dell’organizzazione degli strumenti normativi (e applicativi) volti alla
sua garanzia e alla sua tutela. Considerata una sorta di condizione
oggettiva alla base di ogni forma di convivenza sociale organizzata,
essa sembra ripercorrere, in qualche modo, il problematico rapporto
tra fenomeno giuridico e organizzazione sociale di riferimento.
Senza affrontare in questa sede l’annoso dibattito tra teorie
normativiste ed istituzionaliste, basti qui ricordare che le prime, sulla
scia del pensiero di Kelsen, vedono nell’ordinamento un insieme
ordinato di norme giuridiche,35 mentre le seconde leggono
l’ordinamento concretamente, attraverso le istituzioni che creano il
diritto.
In base a tale ultima concezione, infatti, “l’ordine sociale che è
posto dal diritto non è quello che è dato dall’esistenza, comunque
originata, di norme che disciplinino i rapporti sociali: esso non esclude
tali norme, anzi se ne serve e le comprende nella sua orbita, ma, al
tempo stesso, le avanza e le supera. Il che vuol dire che il diritto,
prima di essere norma, prima di concernere un semplice rapporto o
una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura, posizione
della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità,
come ente per sé stante”.36
Quale che sia il fondamento ultimo del diritto, perché via sia
un ordinamento giuridico inerente ad una determinata collettività
35 Cfr. H. Kelsen, op. cit., pag. 26: “Ciò che distingue l’ordinamento giuridico da tutti
gli altri ordinamenti sociali è il fatto che esso regola il comportamento umano per
mezzo di una tecnica specifica. Se ignoriamo questo elemento specifico del diritto
[…], se definiamo il diritto semplicemente come ordinamento od organizzazione, e
non come un ordinamento (o un’organizzazione) coercitivo, perdiamo allora la
possibilità di differenziare il diritto dagli altri fenomeni sociali; identifichiamo allora
il diritto con la società, e la sociologia del diritto con la sociologia generale”.
36 S. Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1977, pag. 22.
24
organizzata è necessario che sia presente, come condizione di
partenza, una certa quota di sicurezza.
Volendo semplificare al massimo, si potrebbe dire che non vi è
neanche un problema di ordine propriamente giuridico in assenza di
tale presupposto. Porsi il problema di organizzare una determinata
collettività, infatti, da per scontato che sia comunque presente un
grado di stabilità, di omogeneità e di identificazione del gruppo sociale
di riferimento: in una parola, un certo livello di sicurezza.
Tale presupposto, in quanto è, non attiene all’ambito
strettamente giuridico del dover essere, motivo per cui (da questo
punto di vista) questa generale prospettiva si innesta alle origini stesse
del fenomeno giuridico, del suo fondamento e delle sue finalità. Da
questo punto di vista, però, la sicurezza risulta un dato
sostanzialmente filosofico, che accompagna la nascita del fenomeno
giuridico. Non esiste, quindi, una sua valenza propriamente
prescrittiva.
Ciò nonostante, non appena si passi da questa considerazione
di massima all’analisi delle concrete forme giuridiche di una
determinata organizzazione sociale, delle modalità operative attraverso
le quali viene giuridicamente garantita e perpetuata la possibilità di una
convivenza sociale, ecco che lo spazio del diritto si manifesta in tutta
la sua importanza.
In quel momento, infatti, si pone con evidenza un problema
tipicamente giuridico: e cioè quello relativo alle regole da prevedere
per garantire la sopravvivenza del gruppo sociale, in vista della tutela
di quella condizione oggettiva di ogni ordinamento che è la sicurezza.
La sicurezza come dato presupposto (sicurezza in senso
statico), dunque, si trasforma nel problema connesso a quale sicurezza
garantire, quali misure adottare (sicurezza in senso dinamico), tutte
scelte che pongono un problema di natura giuridica e possono quindi
essere analizzate facendo ricorso agli strumenti tipici della scienza
giuridica.
Da questo punto di vista il concetto di sicurezza appare
connesso all’idea stessa di ordinamento giuridico. La ricostruzione
dell’ordinamento giuridico come sistema, infatti, pone il problema di
individuare il criterio ordinatore dello stesso, il quale a sua volta può
essere considerato un fattore endogeno allo stesso fenomeno
25
giuridico (in quanto ad esso coessenziale) o esogeno rispetto alla
produzione di norme giuridiche;37 in una parola, a seconda che sia un
ordine posto o imposto.38
In ogni caso, la necessaria coerenza e sistematicità
dell’ordinamento ne evidenzia un dato essenzialmente relazionale:
infatti, come noto, si è coerenti o si fa sistema rispetto a qualcosa.
Dunque, in questo senso, anche la sicurezza può esser vista o come
dato immanente ad ogni ordinamento, oppure come finalità da
perseguire. Con la precisazione, in quest’ultimo caso, che il problema
si sposta più avanti, dovendo individuare quali fini siano
giuridicamente individuabili, secondo quali procedure e da parte di
chi.
Se, però, ci si fermasse a tali considerazioni di partenza, l’esito
obbligato sarebbe la difficile individuazione, al di la del piano
essenzialmente filosofico, non solo di una dimensione costituzionale
della sicurezza, ma (più in generale) di una sua concreta rilevanza
giuridica.
Eppure, come vedremo, l’evoluzione del fenomeno giuridico,
e del costituzionalismo in particolare, sembrano dialogare in
continuazione con il concetto di sicurezza, dandolo per presupposto,
rendendolo oggetto di disciplina giuridica (e, quindi, anche specifica
missione dello Stato e dei suoi apparati), codificandone a diverso
titolo specifiche dimensioni costituzionali.
Dunque, un’indagine che voglia approfondire le dimensioni
giuridico-costituzionali della sicurezza deve porsi il problema di
superare questa prima generale prospettiva, per andare ad individuare
i profili dinamici della sicurezza, nel senso appena accennato, e
metterne in evidenza le modalità di disciplina, le formule
organizzative, al fine di cogliere le complessive finalità che
l’ordinamento le riconnette. Anche per questo, le riflessioni proposte
si muoveranno essenzialmente sul piano del diritto oggettivo,
considerando le dimensioni costituzionali della sicurezza quale
37 Sul punto, da ultimo, si vedano le riflessioni di G.P. Calabrò, Diritto alla sicurezza e
crisi dello Stato costituzionale, Torino, 2003, in particolare pag. 8 ss.
38 Con la precisazione che, in questo secondo caso, si pone comunque il problema
26
oggetto di disciplina giuridica e bene meritevole di tutela da parte
dell’ordinamento.
27
di una manifestazione di potestà normativa di un determinato
ordinamento.
Di tutta evidenza, però, come una tale prospettiva risulti
insufficiente dal punto di vista del diritto costituzionale. Infatti, non
basta constatare che la sicurezza è parte degli interessi tutelati
dall’ordinamento giuridico; bisogna chiedersi anche quale sicurezza,
finalizzata a cosa, disciplinata e organizzata secondo quali principi
fondamentali.
Finalizzata allo studio e all’analisi delle norme fondamentali di
organizzazione e funzionamento di una determinata collettività, la
prospettiva costituzionalistica non abbraccia, riassuntivamente, tutti i
casi in cui l’ordinamento prende in considerazione la sicurezza.39 Da
questo punto di vista, infatti, entrano in gioco solo alcune specifiche
dimensioni della sicurezza: da un lato, quella attinente ai soggetti
istituzionali coinvolti nelle relative decisioni; dall’altro, quella relativa
alle ricadute nell’ambito della sfera personale dei singoli individui e dei
loro diritti. Dunque, solo alcune delle problematiche giuridiche
potenzialmente connesse alla sicurezza hanno rilievo sul piano del
diritto costituzionale. Certo, in questo modo il problema potrebbe
sembrare essersi solo spostato in avanti, ma non del tutto risolto.
Infatti, così come le dimensioni giuridiche della sicurezza
appaiono molteplici, solo alcune delle quali rilevanti per il diritto
costituzionale, anche il concetto e il significato di costituzione non
sono affatto univoci, ma (come noto) risultano sottoposti ad
un’evoluzione storica a tutti evidente, oltre ad essere analizzati e
interpretati dalla stessa dottrina giuridica in modo assai diverso.40
Dunque, sul punto sarà necessario fare un ulteriore passo avanti.
Quest’ultima tappa porta a considerare la dimensione
costituzionale della sicurezza in relazione ad una specifica tipologia di
ordinamento giuridico: quello derivante dall’evoluzione dello stato
28
liberale di diritto, fino all’affermazione del costituzionalismo
liberaldemocratico, in particolare a partire dalla fine del secondo
conflitto mondiale. Questo, infatti, è il contesto di riferimento
culturale del nostro attuale ordinamento, storicamente figlio delle tre
Rivoluzioni liberali.41 E’ dunque in questo senso che va affrontato il
problema delle dimensioni costituzionali della sicurezza, con una
particolare attenzione anche ai profili evolutivi della citata tradizione
costituzionale.
Tale prospettiva, infatti, acquista uno spessore ben diverso nel
passaggio tra Stato liberale e Stato costituzionale liberaldemocratico.
Nel primo, come noto, la sicurezza era immersa in un ordinamento
espressione di una (frazione della) società fortemente omogenea, e
fondato sul primato della legge quale fonte espressione della sovranità
dell’assemblea rappresentativa.
Dunque, la sicurezza giuridica era sicurezza legale, in ossequio
ai principi dello stato di diritto, e le situazioni giuridiche soggettive (i
diritti pubblici soggettivi) apparivano come tutele in qualche modo
accordate dallo Stato liberale rappresentativo. In definitiva, la
sicurezza dei diritti passava attraverso la sicurezza dello Stato e del suo
ordinamento, nell’ambito di un sostanziale monopolio legislativo in
merito ai suoi reali contenuti (e quindi anche ai suoi concreti limiti).
Significativo, in questo senso, il contenuto delle leggi di
pubblica sicurezza susseguitesi dopo l’unificazione d’Italia fino
all’avvento del fascismo, tutte caratterizzate da un impianto
sostanzialmente conservativo e, spesso, fortemente riduttivo delle
libertà statutarie.42 D’altronde, in quel contesto, ero lo stesso
(flessibile) Statuto del 1848 a rimettere la concreta disciplina delle
libertà civili all’intervento del legislatore.43 Non a caso, come noto,
gli abusi”; o l’art. 32: “E’ riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senza
29
l’avvento del fascismo avrebbe, sul punto, fortemente esteso le
limitazioni legali previste, attraverso le minute disposizioni del Testo
Unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931.
Diversamente, nell’ambito di un ordinamento espressione di
una realtà complessa e ricca di contraddizioni, il pluralismo sociale
appare il dato di fondo, che la Carta costituzionale cerca di portare a
sintesi sulla base di principi fondamentali condivisi e posti a
fondamento di validità di ogni ulteriore espressione normativa delle
assemblee rappresentative, tramite la rigidità.
In tale ambito, all’inverso, la sicurezza appare come sicurezza
costituzionale, nell’ambito di una collocazione al centro del sistema
della persona e dei suoi diritti fondamentali, base di ogni legittimità
dell’azione dei pubblici poteri. Parallelamente, la sicurezza dei diritti
non è solo garantita dalla sicurezza dello Stato e del suo ordinamento,
ma anche viceversa, in un processo di circolare alimentazione del
circuito democratico, in cui la stessa complessiva legittimità
dell’azione dei pubblici poteri dipende dalla loro rispondenza ai
principi e ai valori costituzionali.
Riprendendo una classica contrapposizione,44 si potrebbe dire
che si supera un concetto di sicurezza meramente legale per
approdare ad un concetto di sicurezza come sicurezza legittima,
costituzionalmente orientata.
armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della
cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi
pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono interamente soggetti alle leggi di
polizia”.
44 Ci si riferisce, in particolare, al pensiero di Carl Schmitt, Legalität und legitimität
30
determinato ordinamento, ispirato a precisi valori. Senza entrare
nell’annoso dibattito relativo alla distinzione tra valori, principi e
regole,45 sembra comunque un dato di tutta evidenza che il contenuto
di una determinata costituzione, e in particolare di una costituzione di
un ordinamento liberaldemocratico, sarà influenzato anche da
specifiche opzioni sul piano assiologico.
Da questo punto di vista, è stato affermato che “i valori
costituzionali […] hanno una duplice componente: ideale e reale. Se la
prima rimanda al contenuto assiologico, la seconda individua
l’attitudine alla realizzazione che, per effetto della positivizzazione,
avviene giuridicamente”.46
In base a tale ricostruzione “ciascun valore costituzionale […]
presenta normalmente una struttura polisemica, in quanto esprime la
sintesi di una pluralità di interessi”, individuati sia in diritti
fondamentali, sia in beni di natura collettiva; interessi, dunque,
costituzionalmente rilevanti (e quindi tutelati) perché “portatori di una
frazione di contenuto assiologico riconducibile, come parte del tutto,
ad un determinato valore costituzionale”.47
quale tra valori e principi non esisterebbe che una differenza di contenuto, “gli uni
afferendo al piano assiologico, gli altri a quello deontologico”.
47 Cfr. A. Morrone, op. cit., pagg. 278-280, per il quale “le norme che esprimono
31
Dunque, il principio di separazione dei poteri, oltre che
regolato analiticamente nell’ambito della parte organizzativa del testo
costituzionale, risponderà ad una ben precisa opzione fondamentale
(esistente, anche se formalmente inespressa); il principio di
eguaglianza, formalizzato tradizionalmente in apposite disposizioni
costituzionali, sarà figlio di una determinata concezione dei diritti del
cittadino e del ruolo della legge; analogamente in relazione alla tutela
della persona e dei suoi diritti fondamentali, che vive sicuramente di
specifiche regole (vedi le singole disposizioni normative relative alle
libertà) ma anche di una scelta di fondo connessa al valore della
persona in quanto tale (a volte espressamente formalizzata); e così per
il sistema democratico-rappresentativo ed altri principi e valori
costituzionali.
Bene, in un contesto del genere è di tutta evidenza come
interrogarsi sulle dimensioni costituzionali della sicurezza sia anche
interrogarsi sulle opzioni di fondo e sulle finalità complessive di un
determinato ordinamento, che nell’ambito della più volte citata
tradizione costituzionale trovano riscontro e codificazione a livello di
Carta fondamentale.
Quindi non una dimensione quale che sia della sicurezza,
purché oggetto di disciplina giuridica (la più svariata); ma solo quella
specifica dimensione, anche assunta nella sua pluralità, caratteristica
dello specifico impianto costituzionale, e nei limiti della sua
compatibilità con esso.
Appare, infatti, evidente come tra le opzioni fondamentali di
uno Stato sociale di diritto giochi un ruolo rilevante la previsione di
ambiti di intervento e di attiva tutela dei pubblici poteri in relazione a
nuove, più ampie e a volte complesse situazioni giuridiche soggettive
(di singoli e di gruppi), nei cui confronti la dimensione costituzionale
della sicurezza dovrà trovare il giusto punto di equilibrio.
Come è stato sottolineato,48 questo sembra cambiare le stesse
concezioni relative allo Stato, alle sue finalità e ai suoi rapporti con i
cittadini. Alla classica impostazione liberale, frutto della Rivoluzione
32
francese, che vedeva il suo fondamento nei concetti di libertà,
eguaglianza e fraternità, tutelati dallo Stato di diritto tramite la legge, si
affianca oggi una diversa concezione del pubblico potere, ispirato ai
concetti di diversità, solidarietà, sicurezza, connessi ad un ruolo di
intervento attivo dello Stato, costituzionalmente fondato.
Evidente, in questo senso, l’importanza dell’affermazione dei
c.d. diritti sociali quali diritti di prestazione, connessi ad una
complessiva promozione della persona e della sua dignità da parte dei
pubblici poteri.49 Soprattutto tali diritti, infatti, sembrano essere alla
base di una declinazione della sicurezza intesa in senso “lato” quale
“sicurezza sociale”, formula riassuntiva con la quale generalmente si
indica la necessità di una piena affermazione della libertà dal bisogno
di tutti i consociati al fine di rendere effettivi il pieno sviluppo della
loro persona e il godimento dei loro diritti fondamentali.50
La sicurezza, dunque, non è più garantita solo attraverso lo
strumento (teoricamente minimo ed eccezionale) della repressione
penale, ma diviene base di legittimazione di una serie di interventi
svolti da quello che si è individuato come lo Stato di prevenzione,
finalizzati ad evitare i rischi connessi all’evoluzione di una società
complessa, tecnologica e multiculturale,51 non a caso individuata dai
sul piano sociologico anche come società dell’incertezza.52
49 Cfr., tra gli altri, A. Baldassarre, Diritti sociali, in Enciclopedia giuridica, XI Roma,
1989; M. Luciani, Sui diritti sociali, in Democrazia e diritto, 1995, pag. 545 ss.; B.
Pezzini, La decisione si diritti sociali. Indagine sulla struttura costituzionale dei diritti sociali,
Milano, 2001; F. Politi, I diritti sociali, in R. Nania, P. Ridola (a cura di), I diritti
costituzionali, III, Torino, 2006, pag. 1019 ss.
50 Sul punto cfr. P. Olivelli, La Costituzione e la sicurezza sociale. Principi fondamentali,
Milano, 1988, in particolare pag. 13 ss., secondo la quale la sicurezza sociale (quale
freedom from care, apprehension, anxiety or alarm) “indica, anzitutto, il desiderio diffuso
dell’uomo non solo di raggiungere migliori condizioni di vita, ma anche di garantirsi
contro possibili, prevedibili eventi attuali o futuri, determinanti condizioni di
bisogno”. In senso sostanzialmente analogo, da ultimo, G. Bianco, Sicurezza sociale
nel diritto pubblico, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIV, Torino, 1999, pag. 143 ss.
Sulla generale constatazione dell’impossibilità di individuare un significato unitario
ed univoco di tale complessa nozione, cfr., tra gli altri, M. Persiani, Sicurezza sociale,
in Novissimo Digesto italiano, XVII, Torino, 1970, pag. 300 ss.; M. Cinelli, Sicurezza
sociale, in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, pag. 499 ss.
51 Cfr. E. Denninger, Stato di prevenzione e diritti dell’uomo, cit., pag 48, secondo il
quale in questo contesto sicurezza non è più solamente (come avveniva nell’ambito
33
In ogni caso, rimane comunque fermo il dato di un profondo
mutamento tra l’idea liberale dello Stato come Stato minimo, cui
spetta essenzialmente la reintegrazione dell’ordine giuridico violato
attraverso l’esercizio della forza in nome della collettività di
riferimento; e l’idea liberaldemocratica di un più vasto compito statale
di promozione dei diritti della persona costituzionalmente previsti,
anche nell’ambito delle sue relazioni sociali, ben oltre l’esercizio della
potestà punitiva.53
In questo senso, il moderno pluralismo richiede risposte
inevitabilmente diversificate, ma che vengono ricondotte ad unità alla
luce dei principi costituzionali, che rappresentano la base di legittimità
dell’azione dello Stato e che svolgono un ruolo di continua
integrazione sociale.54
Da questo punto di vista, quindi, appare essenziale rispondere
alle seguenti domande: la sicurezza è un valore fondante del nostro
ordinamento costituzionale? E’ un bene giuridico oggetto di tutela
costituzionale? Se sì, quale l’attuale “significato” costituzionale della
sicurezza?
In quest’ardua opera di progressiva messa a fuoco, un ruolo
essenziale, come vedremo, è rivestito anche dal Giudice delle leggi, cui
34
spetta il compito di interpretare costantemente il testo costituzionale,
con particolare riferimento al controllo di costituzionalità delle leggi
ma, per quanto qui interessa, anche nell’ambito della risoluzione dei
conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato.
Entrambe le prospettive, infatti, appaiono rilevanti per
codificare una sorta di statuto costituzionale della sicurezza: la prima,
come appare ovvio, con particolare riferimento all’ambito di incidenza
sui diritti fondamentali; la seconda, invece, più propriamente connessa
all’individuazione delle procedure, degli apparati e degli strumenti
operativi più coerenti con le opzioni costituzionali di fondo in materia
(sul piano, si direbbe, dell’integrazione funzionale).
Dal punto di vista costituzionale, infatti, non si tratta solo di
verificare qualitativamente il “peso” della sicurezza all’interno del
nostro ordinamento, ma anche di valutarne operativamente le
modalità di tutela, le connesse responsabilità e le possibili forme di
controllo nell’ambito di un determinato assetto dei pubblici poteri.
In questo senso, valori di riferimento e assetto dei poteri si
integrano denotando una dimensione costituzionale della sicurezza
sicuramente composita e plurale ma, come vedremo, in grado di
trovare una sua sostanziale unità di significato alla luce delle
disposizioni della nostra Carta fondamentale.
35
anche tutela della forza e della piena attuazione della Carta
costituzionale, dei suoi contenuti normativi, dei suoi principi e dei
suoi valori.
Dal secondo punto di vista, invece, vuol dire garanzia della
sicurezza in relazione ai diversi valori accolti dalla Costituzione,55 nel
reciproco, indispensabile bilanciamento56 (sia in senso statico, in
relazione alle opzioni in materia già effettuate dal Costituente; sia in
senso dinamico, in relazione all’indispensabile opera di aggiornamento
in chiave evolutiva degli equilibri posti nell’ambito del dettato
costituzionale, con particolare riferimento all’opera del legislatore).
In entrambe le prospettive, appare essenziale il già citato ruolo
della Corte costituzionale, quale garante non solo della forza formale
della Carta fondamentale e della sua supremazia gerarchica, ma anche
del suo specifico contenuto e della sua concreta attuazione, con una
valorizzazione di quella funzione orientativa che prima si è cercato di
sottolineare. In quest’ultimo caso, in particolare, verranno in gioco
non solo puntuali regole costituzionali, ma anche i principi e i valori
che, essendo a fondamento dell’ordinamento, ne sono l’indispensabile
presupposto.
Calata all’interno del tessuto costituzionale (e di un particolare
tessuto costituzionale), la sicurezza dovrà quindi essere declinata non
quale impalpabile a priori logico, del tutto indecifrabile agli occhi della
scienza giuridica; né come parte dell’ordinamento generale, in quanto
da esso disciplinata, richiamata o presupposta (in una prospettiva
semplicemente formalistica e avalutativa); bensì come specifico valore
costituzionale, sintesi di una pluralità di diversi interessi, nell’ambito di
un ventaglio ben preciso di opzioni fondamentali codificate nella
Carta fondamentale.
Ancora più evidente appare tale prospettiva nell’ambito di una
moderna società ispirata ai principi dello Stato sociale e della
Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Annali, II.2, 2008, pag.
185 ss.
36
democrazia pluralista, in cui la Carta costituzionale cerca di
rappresentare la sintesi dei valori fondanti una determinata collettività
organizzata, colta in tutte le sue sfumature e peculiarità, e in via di
costante evoluzione.
A differenza dello Stato liberale classico, infatti, in cui la
Costituzione aveva il fine di fissare le reciproche prerogative di Re e
Parlamento, codificando rapporti di forza ormai consolidati in via di
fatto (c.d. costituzione bilancio, o statica), nello Stato
liberaldemocratico il fine della Carta costituzionale è quello di indicare
un complesso progetto di attuazione di alcuni principi oggetto di
specifiche opzioni del Costituente, in relazione ad una società in
costante movimento ed evoluzione, ricca di contraddizioni che
proprio nel testo costituzionale vedono un’istanza unitaria intorno ad
determinate scelte fondamentali (c.d. costituzione progetto o
dinamica).57
In quest’ottica, infatti, garantire la peculiare forza normativa
del testo costituzionale (sicurezza della Costituzione) vuol dire anche
garantirne al massimo le possibilità di attuazione ed implementazione,
secondo le direttrici di sviluppo espressamente previste, tra le quali
emerge anche la sicurezza, pur nelle sue diverse caratteristiche.
Così, solo per fare un esempio, alla dimensione individuale
della sicurezza tipica dello Stato liberale si affiancherà anche una
dimensione collettiva, alla luce della valorizzazione del concetto di
persona e di quel pluralismo sociale la cui tutela e garanzia appare una
delle direttrici costituzionali di fondo della nostra Carta fondamentale
(cfr. art. 2 Cost.).58
37
Ciò non ostante, mai la seconda dimensione potrà annichilire
l’indispensabile sfera di tutela della persona in quanto tale: interessi
individuali e collettivi dovranno quindi trovare una loro composizione
anche in relazione alla sicurezza. Ed ecco apparire, in tutta la sua
importanza, la necessaria opera di bilanciamento della giurisdizione
costituzionale.
Ciò non vuol dire, sia chiaro, individuare nel solo Giudice delle
leggi l’autorità in grado di garantire il complesso valore della sicurezza
all’interno di un determinato ordinamento giuridico: vuol dire, però,
metterne in evidenza il ruolo peculiare, connesso alle specificità della
dimensione costituzionale del bene sicurezza.
Certo, da un punto di vista materiale, le concrete applicazioni
operative connesse a tale garanzia sono naturalmente rimesse alle
decisioni politiche prese nell’ambito del rapporto fiduciario che lega
Parlamento e Governo, in attuazione dei canoni democratici.
L’amministrazione, a sua volta, garantirà l’esecuzione delle scelte
operative di cui sopra, mentre al potere giudiziario spetterà, come
noto, il compito di verificare la legalità dell’azione amministrativa,
oltre che il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive coinvolte.
Eppure, dal punto di vista costituzionale, queste non sono
altro che conseguenze connesse alla specifica dimensione della
sicurezza, che chiama in causa, oltre che le opzioni di valore già
ricordate, anche i conseguenti assetti organizzativi e istituzionali,
nonché l’ambito di tutela dei diritti fondamentali (entrambi classica
materia costituzionale).
Nel complesso, dunque, se volessimo cercare di individuare il
proprium della sicurezza all’interno dello Stato costituzionale
liberaldemocratico, nell’ambito della costruzione di quella che si è
individuata come sicurezza legittima, potremmo rilevare: a) la
compresenza, accanto alla tradizionale garanzia della sicurezza esterna,
di sempre maggiori ambiti di intervento statale volti a garantire e
promuovere la sicurezza dal punto di vista interno (in connessione
con il forte pluralismo sociale che caratterizza gli stati
contemporanei); b) l’emersione di una dimensione propriamente
collettiva della sicurezza, una volta oltrepassati i confini della sicurezza
38
come interesse meramente individuale (tipica eredità dello stato di
diritto liberale); c) la conferma di una dimensione essenzialmente
materiale della sicurezza (come sicurezza legittima da un punto di
vista costituzionale), proprio alla luce di una valorizzazione sistematica
del contesto normativo e valoriale di riferimento, incentrato sulla
persona e sulla garanzia dei suoi diritti.
Ciò nonostante, proprio l’ultima delle dimensioni citate è
frutto di una “collocazione” del bene sicurezza all’interno del tessuto
costituzionale repubblicano, motivo per cui (seppur in via indiretta)
appare all’orizzonte una sua problematica dimensione ideale-
normativa, anche se utilizzata esclusivamente per ricavare, in via
negativa, ciò che sicurezza non è (e non, in positivo, ciò che essa
invece rappresenta).
Questa problematica consapevolezza emerge anche dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale la quale, come vedremo, pur
nell’ambito della difficile costruzione in via sostanzialmente pretoria
di una gerarchia di valori all’interno della Carta fondamentale, in
relazione alla sicurezza parte da alcune specifiche disposizioni
costituzionali, che ne connotano lo statuto giuridico.59
Primi fra tutti, ad esempio, gli artt. 14, 16 e 17 Cost. i quali,
disciplinando le specifiche situazioni di libertà previste, sembrano in
qualche modo individuare direttamente gli interessi conflittuali
potenzialmente in gioco (in questo caso, diritti individuali e bene
collettivo della sicurezza o incolumità pubblica). Qui, infatti, è la
stessa Costituzione che delimita l’ambito di tutela di certi interessi
individuali riferendosi a concetti che esprimono, in via generale,
altrettanti interessi di natura sostanzialmente collettiva.60
Ma si vedano, in proposito, anche gli artt. 120 e 126 Cost. i
quali, nell’ambito dei rapporti tra Stato e sistema delle autonomie
59 Per una ricostruzione delle diverse disposizioni in questione vedi, però, più
ampiamente ultra, Cap. II.
60 Sul punto, ancora una volta, si veda A. Morrone, Il custode della ragionevolezza, cit.,
pagg. 287-288: “Il giudizio della Corte, in simili evenienze, appare più semplice
rispetto alla generalità dei casi in cui non è possibile trarre dal testo costituzionale
una indicazione puntuale circa il modo di comporre il conflitto. Qui, infatti, il
giudice costituzionale deve soprattutto risolvere la questione relativa alla
perimetrazione degli interessi in conflitto”, e non alla loro concreta individuazione.
39
territoriali, identificano nella “sicurezza pubblica” e nella “sicurezza
nazionale” due interessi in grado di derogare al normale regime delle
competenze, incidendo anche sull’autonomia degli organi
rappresentativi delle collettività territoriali di riferimento.
In ogni caso, appare fin d’ora utile indicare come in
quest’opera di delineazione, caso per caso, del bilanciamento tra i
diversi interessi via via in potenziale conflitto tra loro, la Corte abbia
riconosciuto solo ad alcuni di essi il rango di principi supremi
dell’ordinamento, limite implicito alla revisione costituzionale e,
proprio per questo, destinati a prevalere sugli altri interessi
costituzionali eventualmente in conflitto. Altri interessi, invece, sono
stati dalla Corte configurati come primari, senza però assurgere al
rango di supremi.
Ebbene, non è forse un caso che la Corte (ad esempio) abbia
indicato, tra i principi supremi, la dignità della persona,61 il principio
pluralista,62 il principio di laicità,63 il principio di eguaglianza (inteso
come eguaglianza ragionevole), il principio di sovranità popolare, la
tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali.64 Tutti interessi che
mirano a garantire, alla base, l’essenza di uno Stato costituzionale
democratico e pluralista.
Diversamente, come noto, tra gli interessi primari essa ha
individuato non solo i diritti fondamentali della persona, ma anche
beni di natura collettiva che appaiono strumentalmente collegati al
libero esercizio dei diritti della persona: in particolare l’interesse della
giustizia e la sicurezza dello Stato.65
61 Così, ad esempio, le sentt. nn. 479/1987 e 37/1992, secondo cui la dignità umana
è da intendersi come “autostima […] e coscienza del proprio valore nell’ambito dei
rapporti con gli altri uomini”.
62 Cfr., in modo esplicito, la sent. n. 62/1992.
63 In tale senso, come noto, la sent. n. 203/1989, che lo identifica non come
“indifferenza dello Stato per il fenomeno religioso, bensì garanzia dello Stato della
salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e
culturale”.
64 Come stabilito, tra l’altro, dalla sent. n. 18/1982.
65 Cfr., in particolare, la sent. n. 82/1976 che la definisce come “interesse dello
40
Dunque, anche se in via di prima approssimazione, sembra in
qualche modo profilarsi una possibile ricostruzione generale, in base
alla quale le esigenze primarie della sicurezza possono rappresentare
un limite all’esercizio di specifiche libertà, in primis laddove
espressamente richiamate in Costituzione, ma, più in generale, anche
alla luce di un complessivo bilanciamento effettuato, caso per caso,
dal Giudice delle leggi in caso di contrasto tra sicurezza e altri diritti
fondamentali. In ogni caso, mai tali esigenze potranno incidere in via
definitiva sulla dignità della persona (anche in relazione al nucleo
essenziale dei suoi diritti), o sulla generale tutela giurisdizionale dei
diritti, veri e propri principi supremi dell’ordinamento la cui esistenza
rappresenta un dato ineliminabile.
In realtà, a ben vedere, la pretesa subordinazione degli aspetti
(per così dire) organizzativi collegati alla tutela di un bene di natura
collettiva (come, ad esempio, la sicurezza, ma anche la giustizia),
rispetto ai principi supremi connessi alla dignità della persona e alla
tutela giurisdizionale dei suoi diritti, sembra in parte contrastare con la
stessa configurazione dei primi quale una sorte di precondizione per
assicurare l’esercizio dei diritti fondamentali della persona,
analogamente a quanto si afferma per i principi supremi in relazione
all’essenza della democrazia pluralista.66
In ogni caso, la sicurezza gioca un ruolo importante
nell’ambito delle tecniche di bilanciamento, non solo in relazione alle
già citate norme che espressamente la richiamano all’interno della
disciplina di specifiche libertà, ma anche alla luce della sua
configurazione quale interesse primario di natura collettiva, collegata
alle diverse dimensioni costituzionali prima indicate.
La sicurezza, quindi, assume tutte le caratteristiche di un valore
costituzionalmente tutelato in via “ordinaria”, e a prescindere dal
alcuni spunti problematici laddove la Corte stessa qualifica la sicurezza dello Stato
quale “interesse essenziale, insopprimibile della collettività, con palese carattere di
assoluta preminenza su ogni altro, in quanto tocca, come si è ripetuto, la esistenza
stessa dello Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione” (così la già citata sent. n.
86/1977).
41
verificarsi di particolari momenti di stress politico-istituzionale, o di
veri e propri stati di emergenza.67 Certo, di fronte ad evenienze del
genere, le esigenze connesse alla sicurezza assumono sicuramente un
peso peculiare, ma in nessun caso sembrano poter essere considerate
quasi ontologicamente prevalenti o assorbenti rispetto a tutte le altre,
a prescindere da un’attenta valutazione, caso per caso, dei singoli
interessi costituzionali in gioco.68
In particolare, come noto, la questione è tornata di drammatica
attualità dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 a New
York..69 In risposta al dilagare degli attentati terroristici, e alla luce
della loro gravità, molti ordinamenti costituzionali occidentali hanno
reagito attraverso una legislazione a tutela della sicurezza che, però,
ha spesso comportato una limitazione dei dritti fondamentali dei
singoli individui di dubbia compatibilità costituzionale.70 Non a caso i
67 Sulle problematiche costituzionali dell’emergenza, tra gli altri, cfr. V. Angiolini,
Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, 1986; P. Pinna, L’emergenza
nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1988; G. Marazzita, L’emergenza
costituzionale. Definizioni e modelli, Milano, 2003; A. Benazzo, L’emergenza nel conflitto fra
libertà e sicurezza, Torino, 2004. Da ultimo, con particolare riferimento
all’organizzazione amministrativa, si veda anche A. Fioritto, L’amministrazione
dell’emergenza tra autorità e garanzie, Bologna, 2008.
68 Come, invece, sembrano ritenere, da ultimo, G. Cerrina Feroni, G. Morbidelli, La
42
Tribunali costituzionali sono ripetutamente intervenuti a sancire
l’illegittimità costituzionale delle misure più discusse, spesso
richiamando il legislatore al rispetto dei diritti fondamentali e delle
procedure di garanzia previste in materia dalle diverse costituzioni.71
Nella maggior parte dei casi citati, le disposizioni approvate
hanno significativamente esteso i poteri di prevenzione attivabili da
parte delle forze di polizia nei confronti di sospettati di appartenere ad
organizzazioni terroristiche, con particolare riferimento al
rafforzamento di forme di detenzione amministrativa, all’estensione
degli strumenti di intercettazione e di perquisizione domiciliare, oltre
che alla previsione di specifiche forme di espulsione degli stranieri
verso i paesi d’origine. Parallelamente sono stati potenziati anche i
poteri di intervento dei servizi di informazione e degli organismi di
intelligence, sempre con finalità di prevenzione del terrorismo
internazionale.
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, i provvedimenti
legislativi adottati non sembrano comunque aver rappresentato, in via
generale, una vera e propria deroga alle libertà costituzionali. Infatti,
pur avendo previsto un potenziamento delle misure di prevenzione (si
pensi, ad esempio, alla nuova disciplina delle c.d. intercettazioni
preventive) non ne hanno sensibilmente alterato la disciplina
che ha dichiarato alcune disposizioni dell’Anti-Terrorism, Crime and Security Act del
2001 contrarie alla garanzia della libertà personale degli stranieri sospettati di
terrorismo e sotto posti a forme di detenzione eccezionale; le note decisioni della
Supreme Court sullo statuto dei prigionieri detenuti a Guantanamo, sulla garanzia
dell’habeas corpus e sulle connesse garanzie giurisdizionali (Hamdi v. Rumsfeld del 28
giugno 2004; Rumsfeld v. Padilla del 28 giugno 2004; Rasul v. Bush del 28 giugno
2004; Hamdan v. Rumsfeld del 29 giugno 2006; Boumediene v. Bush del 12 giugno 2008);
la sentenza del Bundesverfassungsgericht del 15 febbraio 2006, che ha dichiarato
incostituzionali alcune disposizioni della legge del 15 gennaio 2005 sulla sicurezza
aerea, in base alle quali in determinate circostanze poteva essere ordinato
l’abbattimento di aerei civili dirottati per finalità di terrorismo.
43
previgente, nel sostanziale rispetto delle garanzie sostanziali e
procedurali costituzionalmente previste.72
Ciò, d’altronde, sembra coerente con quanto precedentemente
avvenuto in risposta all’emergenza terroristica interna della fine degli
anni ‘70, che vide l’approvazione di discipline a tutela dell’ordine
pubblico che, in via generale, non rappresentarono una vera e propria
deroga ai principi costituzionali in materia di libertà. Su tale
legislazione, come noto, ebbe tra l’altro modo di pronunciarsi la stessa
Corte costituzionale, con la nota sent. n. 15/1982,73 in relazione alla
problematica previsione di un aumento di un terzo dei termini
massimi di carcerazione preventiva per i reati di terrorismo.74
In quel caso, infatti, la Corte dichiarò infondati i dubbi di
legittimità sollevati contestualizzando l’intervento normativo oggetto
del suo giudizio anche alla luce delle sue concrete finalità. Secondo il
Giudice delle leggi, infatti, il fine di tutelare l’ordine democratico e la
sicurezza pubblica contro il terrorismo e l’eversione era del tutto
evidente di fronte ad “un fenomeno caratterizzato, non tanto, o non
solo, dal disegno di abbattere le istituzioni democratiche come
concezione, quanto dall’effettiva pratica della violenza come metodo
di lotta politica, dall’alto livello di tecnicismo delle operazioni
compiute, dalla capacità di reclutamento nei più disparati ambienti
sociali”.
Di fronte a tale situazione, identificabile con i presupposti
indicati dall’art. 77 Cost. in materia di decretazione d’urgenza,
“Parlamento e Governo hanno non solo il diritto e potere, ma anche
il preciso ed indeclinabile dovere di provvedere, adottando
625/1979. Nelle ordinanze di rimessione venivano indicati come parametri gli artt.
13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma,
Cost.
44
un’apposita legislazione d’emergenza”, anche alla luce delle “obiettive
difficoltà che esistono per gli accertamenti istruttori e dibattimentali
nei procedimenti che hanno ad oggetto i delitti commessi per finalità
di terrorismo e di evasione dell’ordine democratico”. Ciò premesso,
però, la Corte svolge alcune precisazioni che, a dire il vero, più che
muoversi nell’ambito dei presupposti costituzionalmente previsti per
l’adozione del decreto legge, aprono il suo ragionamento alla più
generale problematica della gestione delle emergenze nello Stato
costituzionale di diritto.
Secondo la Corte, infatti, “se si deve ammettere che un
ordinamento, nel quale il terrorismo semina morte - anche mediante
lo spietato assassinio di ostaggi innocenti - e distruzioni,
determinando insicurezza e, quindi, l’esigenza di affidare la salvezza
della vita e dei beni a scorte armate ed a polizia privata, versa in uno
stato di emergenza, si deve, tuttavia, convenire che l’emergenza, nella
sua accezione più propria, é una condizione certamente anomala e
grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa
legittima, sì, misure insolite, ma che queste perdono legittimità, se
ingiustificatamente protratte nel tempo”.
Qui, infatti, sembra proprio che venga evocata non tanto la
(per così dire ordinaria) gestione di una situazione di necessità ed
emergenza tramite lo strumento del decreto legge, quanto una più
generale situazione di emergenza istituzionale e democratica
potenzialmente in grado di derogare ad alcuni principi costituzionali, e
di cui risulta quindi essenziale elemento di legittimità l’inevitabile
temporaneità, al di fuori dello schema di stabilizzazione degli effetti
tipico della conversione in legge del decreto.
In ogni caso, alla luce di tutte queste considerazioni, le misure
adottate non appaiono alla Corte irragionevoli, pur nella
consapevolezza che “pur in regime di emergenza, non si
giustificherebbe un troppo rilevante prolungamento dei termini di
scadenza della carcerazione preventiva, tale da condurre verso una
sostanziale vanificazione della garanzia” di cui all’art. 13, quinto
comma, Cost.75
75E, comunque, nella consapevolezza che “una legislazione d’emergenza non può
non comprendere anche misure atte ad adeguare l’ordinamento giudiziario ai tempi,
quale sarebbe appunto una più razionale ed efficiente organizzazione, ad ogni
45
Dunque, una decisione al confine tra “normalità” ed
“emergenza”, e in cui il giudizio della Corte sembra collocarsi ai
margini dell’insindacabilità delle decisioni degli organi rappresentativi
della sovranità popolare che, nell’essere finalizzate alla salvaguardia
delle stesse istituzioni democratiche, rivestono una particolare
rilevanza politica.76 A ben guardare, però, sembra che, nel caso
concreto, la Corte più che legittimare una sostanziale deroga a
determinate garanzie costituzionali in materia di diritti, sia riuscita a
muoversi nell’ambito degli schemi propri del bilanciamento tra
interessi costituzionali, anche se calibrando il ragionevole punto di
equilibrio alla luce della concreta situazione in atto (e alla luce della
consapevolezza della sua necessaria temporaneità).77
In conclusione, a prescindere dalla problematica questione
dalla mancata codificazione, nel nostro ordinamento, di disposizioni
volte a regolare gli stati di emergenza interna,78 tale giurisprudenza
sembra confermare come, anche nei momenti di particolare
delicatezza istituzionale, la sicurezza rappresenti un valore di rilievo
costituzionale da leggere sistematicamente nell’ambito dei principi e
dei valori della tradizione costituzionale liberaldemocratica,
consapevoli del fatto che sempre l’evocazione della salvezza della
livello, degli uffici giudiziari, in personale e mezzi, che sia in grado di soddisfare con
sollecitudine le nuove e maggiori esigenze proprio là dove e quando esse si
verificano. É un compito, questo, al quale il legislatore non può più sottrarsi in
coerenza con le altre misure urgenti ed eccezionali adottate”.
76 In qualche modo sottolineata dalla Corte laddove afferma che “è altra - e,
legge n. 398/1984.
78 Su cui, da ultimo, vedi anche la ricostruzione offerta da M. Ruotolo, op. cit., pag.
21 ss.
46
Repubblica e delle sue istituzioni “può essere il velo dietro il quale si
nascondono velleità autoritarie, deliri di onnipotenza, dissociazioni del
potere dalle regole del suo democratico esercizio”.79
79Così L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, pag. 232. Da ultimo, in
materia di segreto di Stato, la Corte ha però fortemente limitato il suo perimetro di
intervento, adottando una linea di forte self-restraint che rischia di impedire ogni
forma di bilanciamento con gli ulteriori interessi costituzionali primari in gioco, a
partire dall’esercizio della funzione giurisdizionale e dalla connessa tutela dei diritti
fondamentali (cfr. la sent. n. 106/2009 su cui, però, vedi più ampiamente ultra, Cap.
III).
47
CAPITOLO SECONDO
Cost. che, nell’ambito delle limitazioni alla libertà di domicilio, stabilisce che esse
possono essere previste solo “non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le
garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”.
3 Cfr. l’art. 16, primo comma, Cost.: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare
dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di
sicurezza e incolumità pubblica”. Collegata, in qualche modo, a tale prospettiva
anche la previsione di cui al successivo art. 18, primo coma, Cost. in materia di
libertà di associazione, in base alla quale “i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente […] per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”.
5 Cfr. l’art. 25, terzo comma, Cost.: “Nessuno può essere sottoposto a misure di
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, ala dignità umana”.
7 Cfr. P. Bonetti, Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art. 117
50
Governo ne confronti delle autonomie territoriali può essere attivato,
tra l’altro, in caso di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza
pubblica”;10 l’art. 126, secondo comma, Cost. che, tra i motivi di
scioglimento del Consiglio regionale, indica anche: “ragioni di
sicurezza nazionale”.11
A queste devono essere aggiunte anche le disposizioni che si
riferiscono a concetti analoghi, quali l’incolumità pubblica o l’ordine
pubblico (quest’ultimo, a partire dal 2001), non a caso a volte
richiamati congiuntamente alla sicurezza.12 Dalla lettura di tali
disposizioni si possono trarre alcune prime conclusioni: a) la sicurezza
è un bene di rilievo costituzionale; b) la sicurezza è un limite ad alcuni
diritti fondamentali; c) la sicurezza è uno specifico compito dei
pubblici poteri, con particolare riferimento all’apparato dello Stato.
Dal primo punto di vista, la lettura complessiva delle citate
disposizioni fa emergere subito una precisa dimensione della sicurezza
quale bene costituzionalmente tutelato. Solo un interesse ritenuto
degno di tutela da parte dell’ordinamento, infatti, può trovare tali
10 Cfr. l’art. 120, secondo comma, Cost.: “Il Governo può sostituirsi a organi delle
Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato
rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di
pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la
tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai
confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire
che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del
principio di leale collaborazione”.
11 Cfr. l’art. 126, primo comma, Cost.: “Con decreto motivato del Presidente della
terzo comma, Cost. (“incolumità pubblica”); 117, secondo comma, lett. h, Cost.
(“ordine pubblico”); e 120, secondo comma, Cost. (“incolumità”). Ma si vedano, in
questo senso, anche la specificazione relativa alla natura “pacifica e senz’armi” delle
riunioni (art. 17, primo comma, Cost.), nonché le limitazioni previste alla libertà di
associazione, con particolare riferimento al perseguimento di “fini […] vietati ai
singoli dalla legge penale” (art. 18, primo comma, Cost.)
51
molteplici riferimenti costituzionali, tanto da far ritenere che,
complessivamente, non solo rappresenti una delle esigenze tenute
presenti dal nostro Costituente, ma abbia una sua concreta ed
autonoma fisionomia rispetto agli ambiti in cui è operativamente
richiamata.
Dal secondo punto di vista, vengono in rilievo in particolare
gli artt. 14, 16, 17 e 41 Cost., all’interno dei quali la sicurezza (e/o
l’incolumità pubblica) sono richiamate quali limiti all’esercizio di
specifiche libertà (di domicilio, di circolazione, di riunione e di
iniziativa economica). Come appare evidente, si tratta in ogni caso di
libertà che, in qualche modo, potenzialmente incidono su (o
coinvolgono) una collettività di soggetti indeterminati, o a causa del
loro godimento obbligatoriamente plurisoggettivo (riunione), o a
causa delle concrete modalità di esercizio (circolazione e iniziativa
economica), oppure alla luce del generale contesto materiale di
riferimento (domicilio).13 Più in generale, rileva in quest’ambito anche
la previsione delle misure di sicurezza quale strumento di prevenzione
criminale (art. 25 Cost.).
Dal terzo punto di vista, si tratta delle disposizioni che
specificamente fanno riferimento all’autorità di pubblica sicurezza
(art. 13 Cost.) o, nell’ambito dell’individuazione delle materie di
competenza statale (e quindi dei relativi compiti), alla sicurezza dello
Stato, all’ordine pubblico e alla sicurezza (art. 117, secondo comma,
lett. d e h, Cost.). A queste, infine, sembrano potersi aggiungere anche
le già citate disposizioni che riguardano l’esercizio dei poteri sostitutivi
da parte del Governo per motivi di incolumità e sicurezza pubblica
(art. 120, secondo comma, Cost.), nonché lo scioglimento da parte del
Capo dello Stato dei Consigli regionali per motivi di sicurezza
nazionale (art. 126 Cost.).
Peculiare, infine, la previsione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., relativa alla competenza legislativa concorrente in materia di
tutela e sicurezza del lavoro. In questo caso, infatti, sembra che la
13 Cfr. G. Corso, Ordine pubblico nel diritto amministrativo, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, X, Torino, 1995, pag. 439. Sul punto, vedi anche le considerazioni di
A. Pace, Art. 17, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-
Roma, 1977, pag. 186 ss., secondo il quale “ogni riunione, per la mera vicinanza
fisica dei compresenti, reca infatti in sé la possibilità di disordine”.
52
disposizione contenga allo stesso tempo l’indicazione di una precisa
finalità di azione dei pubblici poteri, in uno con la tutela di una
specifica fattispecie di diritto costituzionalmente rilevante: il diritto al
lavoro.14
Proprio tale ultima disposizione sembra fare da ponte verso
prospettive più ampie di lettura della collocazione costituzionale del
bene sicurezza, inteso in senso più “lato” e con riferimento alla
necessaria previsione di strumenti atti a garantire (sotto diversi aspetti)
una piena realizzazione della persona e della sua dignità, condizioni
ottimali di vita e lavoro, nonché una maggiore coesione e integrazione
sociale attraverso specifici interventi da parte delle pubbliche
amministrazioni.
Da questo punto di vista, allora, possono venire in rilievo
anche altre disposizioni costituzionali quali, ad esempio: gli artt. 32 e
117 Cost., in merito a quella che potremmo definire sicurezza
sanitaria; gli artt. 36, 38 e 117 Cost., in relazione alla c.d. sicurezza
sociale; gli artt. 9 e 117 Cost., in merito alla sicurezza ambientale; gli
artt. 47 e 117 Cost., con riferimento alla sicurezza economica e dei
mercati.15 Particolare, infine il caso dell’immigrazione, ambito
14 Sul punto, si vedano le osservazioni di P. Bonetti, op. cit., pagg. 503-504,
incentrate sulla problematica distinzione tra sicurezza del lavoro (in relazione
all’attuazione dell’art. 4 Cost.) e sicurezza sul lavoro (alla luce del collegamento con
l’art. 38 Cost.). Da ultimo, si veda la ricostruzione di A. Morrone, La tutela della
“sicurezza del lavoro” tra Stato autonomie. Commento all’art. 1 del d.lgs. n. 81 del 2008, in
corso di pubblicazione in C. Zoli (a cura di), Nuova sicurezza del lavoro, secondo il
quale, alla luce di una lettura sistematica degli artt. 2, 4, 35 e 41 Cost., la sicurezza
del lavoro “rileva, dal punto di vista costituzionale, come fine dello Stato, interesse
collettivo, diritto soggettivo”.
15 Si ricordano, in particolare: i riferimenti costituzionali alla “profilassi
53
materiale in cui sembrano confluire sia elementi attinenti alla sicurezza
in senso “stretto”, sia elementi relativi alla sicurezza in senso “lato”.
Dunque, se volessimo iniziare ad ipotizzare un percorso di
ricostruzione del contenuto della sicurezza nelle sue dimensioni
costituzionali, a partire dalle disposizioni che espressamente la
richiamano, potremmo sicuramente affermare come essa si manifesti,
in primis, come sicurezza esterna/interna, individuale/collettiva e
materiale.
Ciò sembra confermato, a ben vedere, anche dalla lettura
sistematica del nostro dettato costituzionale, che vede una conferma,
accanto all’amministrazione di pubblica sicurezza con compiti di
natura essenzialmente interna,16 dell’amministrazione della difesa, con
riferimento alla sicurezza esterna di natura militare. In questo senso,
tra l’altro, sembra andare l’esplicito riferimento al dovere di difendere
la patria, coessenziale al concetto stesso di cittadinanza, nell’ambito di
un ordinamento delle Forze armate ispirato allo “spirito democratico
della Repubblica” (art. 52 Cost.).
La prospettiva individuale, d’altro canto, appare ben
sottolineata dalla previsione di una serie di libertà tradizionalmente
connesse alla tutela di una sfera intangibile della persona, nei
confronti non solo dell’arbitrio dei pubblici poteri, ma anche delle
possibili incisioni da parte di terzi. A tale dimensione, però, si affianca
anche quella collettiva, con particolare riferimento alla sicurezza quale
esplicita limitazione all’esercizio di determinate fattispecie di libertà. In
questo caso, infatti, alla prospettiva meramente individuale di tutela, si
aggiunge un concetto di sicurezza che travalica i confini della persona,
per estendersi fino a ricomprendere esigenze collettive.17
Su tali prospettive, da ultimo, si veda A. Pajno, La “sicurezza urbana” tra poteri impliciti
e inflazione normativa, in Astrid, all’indirizzo www.astrid-online.it, sulla base di una
ricostruzione della sicurezza come nozione plurale e relazionale.
16 Sulla quale, tra gli altri, si rimanda a G. Corso, L’ordine pubblico, Bologna, 1979; G.
Landi, Pubblica sicurezza, in Enciclopedia del diritto, XXXVII, Milano, 1988, pag. 923
ss.; a S. Foà, Sicurezza pubblica, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIV, Torino,
1999, pag. 127 ss.; nonché a G. Caia, L’ordine e la sicurezza pubblica, in S. Cassese (a
cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, I, Milano, 2003,
pag. 281 ss.
17 Non a caso, le specifiche limitazioni costituzionalmente previste, e che si sono
54
Infine, la conferma di una valenza essenzialmente materiale
della dimensione costituzionale della sicurezza sembra confermata
non solo dal dibattito in Assemblea costituente,18 e dalle note vicende
dell’ordine pubblico,19 ma anche dall’analisi delle singole disposizioni
che alla stessa sicurezza si riferiscono, spesso in connessione con altri
beni costituzionalmente tutelati quali la sanità e l’incolumità pubblica,
aventi tutti una più evidente natura materiale, e non meramente
ideale.20 Significativa, in questo senso, l’esclusione delle “ragioni
politiche” quale possibile causa di limitazione della libertà di
circolazione, ex art. 16 Cost.
Ciò, in definitiva, alla luce della scelta del Costituente per una
democrazia aperta, e non protetta, in cui i valori democratici, più che
intimamente condivisi, devono essere oggettivamente rispettati dal
punto di vista dei comportamenti esterni e del concreto modus operandi
55
non solo dei singoli individui, ma anche delle stesse formazioni sociali
ove si svolge la loro personalità.
In questo senso, il dettato dell’art. 49 Cost., laddove tale
disposizione sembra imporre il “metodo democratico” ad un livello
essenzialmente esterno agli stessi partiti, e sostanzialmente in
relazione al rifiuto della violenza come strumento di lotta politica.21 In
senso analogo può essere richiamato non solo l’art. 21 Cost., che
limita all’ambito della legge penale le possibilità di sequestro della
stampa, ma anche quanto stabilito dall’art. 18 Cost. in relazione alla
libertà di associazione e dall’art. 54 Cost. in merito all’obbligo di
fedeltà alla Repubblica gravante su tutti i cittadini.22
Dunque, e non a caso, i principali strumenti di partecipazione
politica (sia in relazione al loro esercizio individuale, sia in forma
collettiva) confermano una lettura essenzialmente materiale dei limiti
alla loro libera espressione in qualche modo connessi alla sicurezza, e
con un particolare riferimento all’ambito dell’incriminazione penale.23
Nessuna generale suggestione normativa o ideale, quindi; ma
l’accettazione del bene costituzionale della sicurezza in senso
essenzialmente materiale; il quale però, come abbiamo già detto, dovrà
essere letto e ricostruito nell’ambito delle opzioni di fondo della Carta
costituzionale e delle sue impostazioni valoriali.
56
diversa e più articolata concezione dei diritti, cui seguono una
trasformazione non solo del concetto di sicurezza, ma anche delle
stesse finalità del potere statale. La nascita e il consolidamento dei
diritti sociali, le c.d. libertà positive, affermano, infatti, l’insufficienza
di un mero non agere dello Stato,24 imponendo determinati interventi
attivi dei pubblici poteri non tanto (e non solo) in chiave di garanzia
difensiva dei singoli diritti individuali, quanto in chiave di vera e
propria promozione dei diritti della persona e della sua dignità.
In quest’ottica, dunque, compito dei pubblici poteri non è solo
quello di intervenire ex post, in chiave essenzialmente repressiva, nei
confronti di comportamenti che abbiano intaccato la sfera “naturale”
di intangibilità dei diritti individuali; ma anche quello di promuovere
l’effettiva garanzia dei diritti della persona nell’ambito del contesto
sociale di riferimento, pur attraverso interventi che, ex ante, creino le
condizioni per una piena espressione della persona e della sua dignità.
L’evoluzione di tale impostazione, tipica dello Stato
costituzionale liberaldemocratico, deve oggi confrontarsi con i
complessi processi di trasformazione delle società moderne, alla luce
dell’evoluzione tecnologica, delle dinamiche globali di produzione e
delle sfide del multiculturalismo. In tale contesto, come vedremo,
compito dello Stato non è tanto garantire un preteso “diritto alla
sicurezza” dei singoli individui, quanto la complessiva “sicurezza dei
diritti” dei cittadini, in un contesto sociale complesso e ricco di
contraddizioni.25
La nostra Costituzione, in questo senso, rappresenta una
sintesi efficace delle due dimensioni della sicurezza. Se, infatti, l’art. 2
Cost. afferma il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili
dell’uomo, in un’ottica non priva di suggestioni giusnaturalistiche,
richiede allo stesso tempo anche l’adempimento degli inderogabili
24 Come, invece, era tipico delle concezioni liberali, ben rappresentate (in questo
senso) dall’art. 4 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789:
“La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così l’esistenza
dei diritti naturali di ciascun uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli
altri membri della società il godimento di questi diritti. Questi limiti non possono
essere determinati che dalla legge”.
25 Su tale tradizionale contrapposizione, letta in chiave di politica criminale, si
57
doveri di solidarietà politica, economica e sociale, configurando la
presenza di interessi collettivi posti a fondamento di determinate
prestazioni individuali.
Se, al primo comma, il successivo art. 3 Cost. riconosce
l’eguaglianza formale tra tutti i cittadini, al secondo comma prevede la
promozione dell’eguale libertà nei diritti attraverso l’eliminazione degli
ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà
e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana.
Dunque, una visione che mette al centro non tanto l’individuo
inteso come essere a sé stante, isolato dal contesto sociale di
riferimento, ma la persona umana nelle sue relazioni sociali, centro di
imputazione di diritti e di doveri; e una garanzia non solo della
“sicurezza da” potenziali intrusioni nell’ambito di sfere individuali di
libertà, ma anche della “sicurezza di” poter esprimere in pieno la
propria personalità, attraverso il patrimonio costituzionale dei diritti e
nell’ambito del (e non prescindendo dal) contesto sociale di
riferimento.26
In questo senso, una serie di specifiche disposizioni
costituzionali tutela fattispecie di libertà storicamente ricondotte alla
sicurezza della sfera personale. Si tratta, in primis, delle già citate libertà
negative, le prime storicamente affermatesi nell’evoluzione del
costituzionalismo liberale, e miranti a tutelare la sfera personale da
indebite limitazioni delle pubbliche autorità, oltre che da intrusioni
private.27
In quest’ottica, la sicurezza, direttamente collegata all’espressa
qualificazione di tali situazioni giuridiche soggettive come
“inviolabili”, rappresenta innanzitutto un importante strumento di
tutela dei diritti: come abbiamo visto, infatti, nella concezione liberale
classica compito dello Stato è proprio quello di garantire il pieno
26 Sul punto, per tutti, si veda la ricostruzione di A. Barbera, op. ult. cit., pag. 103, il
quale sottolinea l’importanza del riferimento alla persona “non come valore
astratto, ma come persona fisica nel suo concreto essere” e nelle sue relazioni
sociali.
27 Cfr., in particolare, l’at. 13 Cost. (libertà personale), l’art. 14 Cost. (libertà di
58
godimento dei diritti dei singoli individui, al riparo da possibili
interferenze esterne.
Allo stesso tempo, nell’ambito dell’affermazione dei principi
del costituzionalismo liberaldemocratico, la Carta del 1948 riconosce
ampie sfere di intervento dei pubblici poteri connesse alle c.d. libertà
positive, con particolare riferimento ai diritti sociali, garantendo il
giusto equilibrio tra esigenze individuali e collettive di tutela
nell’ambito della garanzia dei diritti fondamentali della persona.28
Contemporaneamente, però, la stessa Costituzione prevede
espressamente che la sicurezza può rappresentare anche uno
strumento legittimo di limitazione dei diritti individuali, come nel caso
della libertà di circolazione, di cui all’art. 16 Cost., della libertà di
riunione, di cui all’art. 17 Cost., o della libertà di iniziativa economica,
di cui art. 41 Cost. In ogni caso, come (anche se ambiguamente)
affermato dalla Corte costituzionale fin dalla sua prima decisione,
insito nel concetto stesso di libertà vi è anche il concetto del suo
limite, rinvenibile non solo (in chiave individualistica) nell’esercizio
delle altrui libertà, ma anche (in chiave solidaristica) nell’ambito della
tutela di specifiche esigenze collettive.29
In questo senso, alla luce di una lettura sistematica del dettato
costituzionale, possono venire in considerazione: a) le disposizioni
che prevedono la possibilità di limitazioni a determinati diritti della
persona in vista del soddisfacimento di specifiche esigenze collettive;30
28 Cfr., ad esempio, gli artt. 32, 33, 34 e 38 Cost. (diritto alla salute, all’istruzione,
all’assistenza e alla previdenza sociale).
29 Cfr. la sent. n. 1/1956: “E’ da rilevare, in via generale, che la norma la quale
59
b) tutte le citate previsioni di legittime limitazioni, da parte dei
pubblici poteri, a libertà pur proclamate espressamente come
inviolabili;31 nonché, più in generale, c) le disposizioni costituzionali
che si riferiscono espressamente all’adempimento di determinati
doveri, specificati da apposite diposizioni di legge.32
Da questo punto di vista, la giurisprudenza costituzionale, non
senza alcune incertezze,33 ha tentato di valorizzare la natura
essenzialmente materiale ed oggettiva della sicurezza, con particolare
riferimento ai casi in cui essa viene espressamente richiamata quale
limite a determinati diritti fondamentali. Secondo il Giudice delle
leggi, infatti, “sembra razionale e conforme allo spirito della
Costituzione dare alla parola sicurezza il significato di situazione nella
quale sia assicurato ai cittadini, per quanto è possibile, il pacifico
esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con
tanta forza”. Dunque, sicurezza non solo come “incolumità fisica”dei
cittadini, ma come garanzia per il cittadino di poter “svolgere la
propria lecita attività senza essere minacciato da offese alla propria
personalità fisica e morale”, nell’ambito di un “ordinato vivere
civile”.34
31 Cfr., ad esempio, i già citati artt. 13, 14 e 15 Cost. In tutti questi casi, infatti, la
previsione di una riserva assoluta di legge impone al legislatore l’individuazione di
“casi e modi” coerenti con i principi e i valori della nostra Carta fondamentale, e
finalizzati alla ragionevole tutela di un bene di sicuro rilievo costituzionale (su tali
profili, però, vedi infra).
32 Come ad esempio, alla luce del generale richiamo di cui all’art. 2 Cost. (“doveri
limite implicito all’esercizio dei diritti fondamentali della persona (su tale aspetto,
però, vedi più ampiamente infra).
34 Così la sent. n. 2/1956, sui rapporti tra la libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e la
disciplina allora vigente del rimpatrio con foglio di via obbligatorio (art. 157 del r.d.
n. 773/1931, TULPS).
60
Così, ad esempio, è avvenuto in relazione al divieto,
penalmente sanzionato a titolo di contravvenzione, di “radunata
sediziosa”35 o in merito alle manifestazioni o grida sediziose la quali,
come noto, possono anche portare allo scioglimento di una riunione
in luogo pubblico.36 Secondo la Corte, infatti, per “atteggiamento
sedizioso” deve intendersi “soltanto quello che implica ribellione,
ostilità, eccitazione al sovvertimento delle pubbliche istituzioni e che
risulti in concreto idoneo a produrre un evento pericoloso per l’ordine
pubblico”, dal momento che, per espresso dettato costituzionale, le
riunioni devono essere invece “pacifiche e senz’armi”.37
Analogamente, in relazione all’esercizio dell’iniziativa
economica privata,38 la Corte costituzionale ha individuato nella
“sicurezza” non solo l’integrità psico-fisica dei lavoratori, anche in
connessione con l’esigenza di una tutela della salubrità dell’ambiente
di lavoro,39 ma anche la tutela (più in generale) della salute e dell’igiene
pubblica, connessa alla salvaguardia del diritto dell’individuo a vivere
35 Cfr. l’art. 655 c.p.: “Chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più
persone è punito, per l solo fatto della partecipazione, con l’arresto fino ad un
anno. Se chi fa parte della radunata è armato, la pena è dell’arresto non inferiore a
sei mesi […]”.
36 Si veda, in proposito, quanto previsto dall’art. 20 del R.D. n. 773/1931 (TULPS).
Sul punto, vedi anche l’art. 654 c.p., che prevede, tra l’altro, una sanzione
amministrativa pecuniaria per chi “compie manifestazioni o emette grida sediziose”
in luogo pubblico.
37 Così la sent. n. 15/1973, in relazione alla compatibilità, tra l’altro, con l’art. 17
Cost. degli artt. 654 e 655 del c.p. In quella occasione la Corte escluse ogni
contrasto con l’art. 17 Cost. perché “il diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente e
senza armi […]. al pari di ogni altro diritto di libertà, implica la posizione di limiti e
condizioni che lo disciplinino onde evitare che il suo esercizio possa avvenire in
modo socialmente dannoso e pericoloso”. In questo senso “le disposizioni
denunciate […] si armonizzano perfettamente col precetto dell’art. 17 della
Costituzione, poiché rispondono appunto alla necessità di assicurare l’ordine
pubblico e la tranquillità pubblica, tendono cioè a garantire beni che sono
patrimonio dell’intera collettività”.
38 Cfr., sul punto, le osservazioni di M. Luciani, La produzione economica privata nel
sistema costituzionale, Padova, 1983, pag. 194, il quale sottolinea come la nozione di
sicurezza utilizzata in tale disposizione sarebbe una nozione diversa da quella
prevista nell’ambito delle altre libertà, perché risulterebbe tutelata “in quanto
interesse soggettivo e non oggettivo”.
39 Cfr. ad esempio, le sentt. nn. 21/1964, 74/1981 e 479/1987.
61
in un ambiente non degradato, finalità di indubbia “utilità sociale”.
Alla luce di tale impostazione, “il legislatore bene può imporre
limitazioni all’iniziativa economica privata in vista della tutela della
salute, della sicurezza e della dignità umana […] in considerazione del
valore assoluto della persona umana sancito dall’art. 2 Cost., e tenuto
conto della primaria rilevanza che l’art. 32 Cost. assegna alla salute”.40
Più in generale, la possibilità di una lettura della sicurezza sia
come garanzia, sia come limite ai diritti fondamentali si riflette anche
sul piano del diritto internazionale e di quello comunitario (pur nelle
loro specifiche caratteristiche e peculiarità).41 In tali ambiti, infatti, alla
proclamazione della tutela di determinate situazioni di libertà, attinenti
alla tradizionale sfera della sicurezza personale,42 si affianca
l’individuazione di tutta una serie di limitazioni attinenti non solo al
rispetto delle libertà altrui, ma anche all’ordine pubblico, alla sicurezza
nazionale, alla morale, alla salute, alla prevenzione dei reati, al
benessere economico, a finalità di interesse generale o alla
democrazia,43 anche se, da ultimo, con l’indicazione della necessità di
salvaguardare il contenuto essenziale dei diritti e il criterio di
proporzionalità.44
40 Così, in particolare, la sent. n. 479/1987. In altre decisioni, come noto, il giudice
delle leggi ha riconosciuto fine di “utilità sociale” anche la “tutela dei consumatori e
della loro salute” (cfr., ad es., la sent. n. 137/1971), mentre ha di recente
considerato limite non irragionevole, alla luce dell’art. 41, secondo comma, Cost.,
una disciplina legislativa regionale dello svolgimento dell’attività delle scuole e dei
maestri di sci volta a “garantire la tutela dell’incolumità degli allievi e dei terzi,
trattandosi di attività “caratterizzata da profili di pericolosità” (così la sent. n.
428/2008, sulla quale si veda M. Ruotolo, op. cit., pag. 13).
41 In questo senso, ad esempio, appaiono significativi gli artt. 3 e 29 della
Dichiarazione universale dei diritti del 1948; gli artt. 5, 8, 9, 10, 11, 15, 17 e 18 della
Convenzione europea dei diritti del 1950; gli artt. 4, 9, 18, 19, 21 e 22 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici del 1966; ma anche gli artt. 6, 52 e 54 della
Carta europea dei diritti del 2000.
42 Come, ad esempio, nel caso dell’art. 3 della Dichiarazione del 1948 (Diritto alla
vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona); nel caso dell’art. 5 della
Convenzione del 1950 (Diritto alla libertà e alla sicurezza); nel caso dell’art. 9 del
Patto del 1966 (Diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona); nel caso
dell’art. 6 della Carta del 2000 (Diritto alla libertà e alla sicurezza).
43 Cfr., ad esempio, gli artt. 29 della Dichiarazione del 1948; 8, 9, 10 e 11 della
62
Ovviamente, le dinamiche di composizione tra i diversi
interessi in gioco e l’apprezzamento del limite tollerabile di solidarietà
richiesta al singolo nei confronti del gruppo sociale non sono lasciate
dalla nostra Costituzione solamente alla sola (e occasionale)
autodeterminazione della comunità, ma risultano orientate alla luce dei
principi che stanno alla base del patto costituente (in primis quelli
personalista e pluralista). Inevitabile, in questo senso, la già citata
necessità di un bilanciamento costituzionalmente orientato tra gli
stessi, all’interno del quale giocano un ruolo determinante il
legislatore, i giudici nonché, in ultima analisi, la giurisdizione
costituzionale.
Sul piano del diritto positivo, come noto, sono previste nel
nostro testo costituzionale diverse legittime ipotesi di limitazione della
sfera della sicurezza personale dei singoli individui da parte delle
pubbliche autorità. E’ altrettanto vero, però, che spesso esse sono
circondate da una serie di garanzie particolarmente significative, con
specifico riguardo all’ambito penale. Si tratta, a ben vedere, di
garanzie non solo (per così dire) procedurali, ma anche di natura più
sostanziale: in particolare, riserva di legge e riserva di giurisdizione.45
Senza affrontare in maniera approfondita le caratteristiche dei
due istituti, basti ricordare come essi siano una delle eredità più
evidenti del costituzionalismo liberale e dell’affermazione dei principi
dello Stato di diritto. Le principali ipotesi di limitazione della sfera
personale dei singoli, infatti, dovranno trovare fondamento in esplicite
previsioni legislative, e dovranno avvenire sotto lo stretto controllo
dell’autorità giudiziaria. La legge, espressione dell’organo
rappresentativo della sovranità popolare, garantirà che le ipotesi di
limitazione siano collegate ad esigenze di carattere generale (e
costituzionalmente fondate);46 l’intervento dell’autorità giudiziaria
63
rappresenterà una garanzia tecnica (e indipendente) di rispetto delle
ipotesi e delle procedure previste dal legislatore.47
Il tutto, al fine di evitare possibili arbitrii dei pubblici poteri, in
un sistema di controlli reciproci in cui acquista rilievo particolare
anche il ruolo della giurisdizione costituzionale, volta a garantire il
rispetto delle norme e dei principi costituzionali da parte dello stesso
legislatore rappresentativo.
Dunque, non solo garanzie procedurali, ma anche di natura
più sostanziale. Se, infatti, riserva di legge e riserva di giurisdizione
rappresentano il margine ultimo di legittimità procedurale delle
possibili limitazioni della sfera personale dei singoli, delimitazioni
sostanziali (o cronologiche) quanto ai contenuti e ai possibili effetti
delle singole misure di limitazione riducono ulteriormente a livello
costituzionale il campo di intervento dei pubblici poteri.
Si pensi, ad esempio, ai termini di convalida giudiziaria,
rigorosamente previsti a pena di decadenza degli eccezionali interventi
d’urgenza ad opera dell’autorità di pubblica sicurezza.48 Ma, più in
generale, si veda anche la serie di articolati limiti sostanziali alla
penalizzazione, che rappresenta il contesto tradizionale, anche se non
esclusivo, di limitazione delle libertà della persona (ad es. i principi di
legalità, offensività, tassatività e determinatezza, colpevolezza, nonché
la finalità rieducativa della pena, di cui in particolare agli artt. 25 e 27
Cost.).49
rinvio, dall’art. 14, secondo comma, Cost.): “In casi eccezionali di necessità ed
urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può
adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore
all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono
revocati e restano privi di ogni effetto”; ma anche dall’art. 21, quarto comma, Cost.:
“[…] quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento
dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da
ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro
ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore
successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto”.
49 Su tali aspetti, in particolare, vedi A. Barbera, F. Cocozza, G. Corso, Le libertà dei
singoli e delle formazioni sociali, in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto
pubblico, I) Diritto pubblico generale, Bologna, 1997, pag. 246 ss.
64
In questo senso, la sicurezza personale (nel senso tradizionale
di “sicurezza da”) è garantita a livello costituzionale attraverso una
serie di limitazioni alle possibilità di intervento dei pubblici poteri. Il
tutto, a ben vedere, non solo a garanzia del rispetto formale di
determinate procedure costituzionalmente previste, ma anche a tutela
di determinati contenuti (e limiti) dei citati diritti fondamentali e
dell’agire dei pubblici poteri. Così, ad esempio, la riserva di legge, e in
particolare quella assoluta, non rappresenterà solo una garanzia di
intervento collegata alla particolare natura del’atto legislativo,
espressione dell’organo rappresentativo delle volontà popolare,
rispetto alla normazione secondaria dell’esecutivo; ma manifesterà
anche un preciso limite per lo stesso legislatore, nel senso di imporre
un determinato contenuto dell’atto legislativo, escludendone un altro
(e limitando, quindi, le scelte discrezionali delle autorità chiamate ad
eseguire o ad applicare le norme).50 A sua volta, il previo intervento
giurisdizionale dovrà esser motivato per evidenziare le ragioni addotte
e la loro coerenza con le previsioni (costituzionali e) legislative.51
Dunque, se volessimo cercare di delineare i principi
costituzionali comuni alle legittime restrizioni della sfera personale
connessa alle tradizionali libertà negative (artt. 13, 14, 15 e 21 Cost.),
potremmo rilevare: a) la tendenziale, anche se non esclusiva,
connessione ad ipotesi di reato; b) la garanzia di una riserva di legge
assoluta, quanto ai casi e ai modi; c) la generale previsione di una
riserva giurisdizionale; d) l’eccezionale previsione di limitati interventi
di polizia, salvo convalida successiva da parte del giudice.
Eppure la stessa Costituzione fa emergere un’altra sfera
attinente alla sicurezza, quella collegata ad esigenze collettive di tutela,
derivante dalla promozione del sistema delle libertà costituzionali in
via positiva (ex artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.), più che dalla
garanzia delle tradizionali libertà negative, potenzialmente svincolata
dall’ambito penale e dalla funzione repressiva dello Stato, e nel cui
50 Così, per tutti, F. Sorrentino, Le fonti del italiano, Padova, 2009, pag. 47 ss.
51 Si sofferma in particolare sui rapporti tra obbligo di motivazione dell’atto
limitativo, ex artt. 13, 14, 15 e 21 Cost., e generale obbligo di motivazione dei
provvedimenti giurisdizionali, ex art. 111, sesto comma, Cost. V. Angiolini, op. cit.,
pag. 127 ss.
65
ambito le citate garanzie procedurali e sostanziali vanno quindi lette
sistematicamente con i principi costituzionali di riferimento.
La consapevolezza del Costituente sul punto non sembra
possa essere messa in discussione. Si pensi, ad esempio, al riferimento
al sistema delle “misure di sicurezza”, distinto dal sistema delle pene;52
alla specialità delle garanzie del domicilio nei casi di limitazioni “per
motivi di sanità e di incolumità pubblica”, o per fini economici e
fiscali;53 ma anche alla previsione di limiti massimi alla carcerazione
preventiva.54
Più in generale, tali esigenze appaiono più evidenti nell’ambito
dei c.d. diritti della socialità, e cioè di quelle fattispecie di libertà che
appaiono strettamente connesse all’inserimento della persona
all’interno della comunità di riferimento, e che non possono
prescindere concettualmente dalle relazioni reciproche: libertà di
riunione e di associazione, ma anche di circolazione e di iniziativa
economica (cfr. gli artt. 16, 17, 18 e 41 Cost.).
Ebbene, proprio nel momento in cui la persona viene
proiettata nell’ambito delle sue relazioni sociali, le preoccupazioni del
Costituente appaiono più complesse, e appare una diversa sfera di
operatività della sicurezza (la già citata “sicurezza di”), volta anche alla
tutela di esigenze di natura collettiva. Non a caso, molti dei riferimenti
alla sicurezza si trovano in questo ambito; dall’esplicito richiamo alle
esigenze di sicurezza o incolumità pubblica,55 fino all’espressa
indicazione di interventi di natura preventiva, oltre a quelli tradizionali
di tipo repressivo.56
52 Cfr. l’art. 25, terzo comma, Cost.: “Nessuno può essere sottoposto a misure di
sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
53 Art. 14, terzo comma, Cost.: “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità
carcerazione preventiva”.
55 Come nel caso dei già citati artt. 16, primo comma, e 17, terzo comma, Cost.
56 Così, ad esempio, gli artt. 13, quinto comma, e 17, terzo comma, Cost. Sul punto,
in ogni caso, vedi però anche l’art. 21, sesto comma, in relazione alla tutela del
buon costume: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre
manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a
prevenire e a reprimere le violazioni”.
66
Conseguentemente, anche le tradizionali garanzie subiscono
un riadattamento, essendo tale sfera di intervento caratterizzata da: a)
una non necessaria connessione ad ipotesi di reato;57 b) una riserva di
legge tendenzialmente relativa, in ossequio ai canoni dello Stato di
diritto;58 c) una tradizionale competenza in merito della pubblica
amministrazione, al di fuori di ogni generale previsione di una riserva
di giurisdizione; d) un controllo essenzialmente successivo da parte
dell’autorità giudiziaria.
In ogni caso, anche tale categoria di interventi dovrà svolgersi
nel rispetto delle norme e dei principi costituzionali, dovendo le
esigenze che ne stanno alla base essere ricondotte non certo ad un
presunto ed indefinito ordine pubblico ideale, ma a concrete e
oggettive esigenze di rilievo costituzionale, valutabili in vista della
complessiva promozione del sistema delle libertà fondamentali.
Dunque, a differenza di quanto accadeva durante il fascismo,
un sistema volto non tanto a controllare e a limitare i diritti dei singoli
individui, in vista di una loro funzionalizzazione agli ideali di regime,
nell’ambito di un determinato ordine sociale; ma volto a rileggerli in
chiave personalista, alla luce del principio di solidarietà, e a
contemperarli con le esigenze collettive di promozione sociale che
67
sono affidate espressamente dalla Costituzione alla Repubblica,
considerata nel suo insieme.
Nel complesso, l’intero dibattito in Assemblea costituente
sembra riflettere queste preoccupazioni.59 Da un lato, infatti, la
memoria dell’utilizzo in chiave repressiva delle misure di polizia sotto
il precedente regime totalitario ha spinto ad una chiara delimitazione
dei poteri dell’amministrazione in materia di libertà fondamentali,
attraverso la previsione, nei casi già indicati, del necessario intervento
dell’autorità giudiziaria.
Dall’altro, la consapevolezza della necessità di tutelare anche
esigenze più generali di sicurezza collettiva ha comunque portato al
mantenimento di un’area di intervento diretto dell’autorità di pubblica
sicurezza, in ogni caso riconducibile, però, o a casi eccezionali di
necessità e urgenza (salva convalida successiva dell’autorità
giudiziaria), o a ipotesi di tutela di specifici interessi pubblici, di natura
materiale (quali, appunto, la sanità, la sicurezza o l’incolumità
pubblica). In ogni caso, come in parte già anticipato, nessuna ipotesi
di restrizione amministrativa delle libertà della persona risulta
ammissibile per motivi ideali o politici.60
68
anche in base alla lettura dei dati storici e normativi sopra riportati, le
diverse dimensioni costituzionali della sicurezza che si sono indicate
rappresentano tutte un complesso bene di rilievo costituzionale, che
mira alla tutela della persona nelle sue relazioni sociali, e quindi anche
delle specifiche fattispecie di libertà espressamente codificate dalla
nostra Carta fondamentale. Che, poi, rispetto a tale complessa
dimensione costituzionale della sicurezza si manifesti, dal punto di
vista soggettivo, un’aspettativa di (o un’aspirazione alla) sicurezza da
parte di singoli individui, in nulla incide nella definizione dello statuto
costituzionale della sicurezza.
Tale consapevolezza, in ogni caso, emerge anche dalla stessa
dottrina citata, la quale spesso riconduce il presunto “diritto alla
sicurezza” o ad una sorta di precondizione necessaria per l’esercizio
dei diritti fondamentali della persona, o ad un valore superprimario e
incomprimibile dell’ordinamento (sostanzialmente insuscettibile di
ogni possibile bilanciamento con altri diritti o valori costituzionali),
oppure ad una specie di nuovo diritto sociale, che racchiude diversi
elementi essenziali della qualità della vita, e volto a garantire
un’esistenza complessivamente protetta ai singoli individui.
Ebbene, in molti di questi casi appare evidente la necessità di
un ricorso o a categorie sostanzialmente metagiuridiche, o a
concezioni assolute (e quindi indimostrabili), o a definizioni talmente
vaste da risultare, in sintesi, indefinite.62 Ancora una volta, allora,
fondamentale, Torino, 1998, pag. 38, secondo il quale il preteso “diritto fondamentale
alla sicurezza” rischia di apparire “più una procura in bianco affidata allo Stato per
ogni possibile intervento sulla libertà che non un autentico diritto fondamentale”.
In proposito, si vedano anche le osservazioni critiche di P. Bonetti, op. cit., pagg. 55-
56 e pagg. 308-309, che sottolinea in questo senso le peculiarità dell’ordinamento
francese, con particolare riferimento alla legge del 15 novembre 2001 sulla sicurezza
69
sembra emergere la natura della sicurezza come categoria polisemica
ed essenzialmente relazionale, e proprio per questo da ricondurre alle
già citate disposizioni costituzionali, pur lette sistematicamente tra
loro e alla luce dei principi fondamentali del nostro ordinamento.
Delle due, infatti, l’una: o la sicurezza, letta in termini di autonoma
situazione giuridica soggettiva, non indica nulla di preciso, rinviando
all’esercizio ed alla tutela delle specifiche libertà costituzionalmente
previste; oppure, sul piano strettamente oggettivo e materiale, è un
complesso bene di rilievo costituzionale che attiene alla garanzia
dell’ordinata e pacifica convivenza dei cittadini, alla tutela della loro
incolumità psico-fisica e garanzia dei loro diritti rispetto a possibili
lesioni.63
Appare significativo, in questo senso, che anche i sostenitori di
una lettura dell’art. 2 Cost. come categoria “aperta”, in grado di
riconoscere fondamento costituzionale anche a nuovi diritti,
espressione di valori emergenti dall’evoluzione del corpo sociale,64
abbiano di recente autorevolmente sottolineato la necessità che, in
ogni caso, “la dignità di diritto va riconosciuta solo a quelle situazioni
in cui determinati interessi soggettivi […] siano direttamente e
immediatamente tutelati e sia data agli stessi la pretesa di azionare
rimedi giurisdizionali per la loro reintegrabilità”.65 Questo perché, pur
ritenendo le libertà costituzionali incomprimibili dentro lo schema
rigido del diritto soggettivo, si ritiene in ogni caso che quest’ultimo sia
un elemento essenziale, anche se non esclusivo, anche al fine di
costituzionale e diritti fondamentali, Torino, 2004, pag. 19 ss., in particolare pag. 29.
70
evitare che posano “evaporare nell’aria rarefatta delle condizioni
generali di libertà”.66
La sicurezza, dunque, non rappresenta tanto il contenuto di
un’autonoma e determinata situazione giuridica soggettiva, ma appare
piuttosto come valore accolto dal nostro ordinamento costituzionale.
Anche per questo, le riflessioni proposte si muoveranno
essenzialmente sul piano del diritto oggettivo, considerando la
sicurezza, nelle sue diverse dimensioni costituzionali, quale bene
meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Non ogni valore
costituzionale, infatti, è di per sé, quasi automaticamente,
riconducibile ad uno specifico diritto di libertà. Anzi, come abbiamo
in parte già anticipato, proprio la natura polisemica che
contraddistingue i valori costituzionali, quale sintesi di una pluralità di
interessi, richiama la possibilità che tali interessi siano individuati non
solo in determinati diritti fondamentali, ma anche in beni di natura
collettiva.
Alcuni spunti, in questo senso, sembrano venire anche dalla
stessa giurisprudenza costituzionale.67 Nell’ambito di una questione
molto circoscritta, e relativa alla presunta incostituzionalità di alcune
norme processuali che limitano il ricorso alle misure cautelari
personali in relazione ad alcune fattispecie di reato,68 è stata, infatti,
prospettata una lesione dell’art. 2 Cost., come principio fondamentale
in base al quale “compito primario della Repubblica […] è quello di
garantire i diritti inviolabili dell’uomo, tra cui rientra senza dubbio
quello di vedere protetta la propria sicurezza dalla commissione di
fatti puniti come reato”.
66 Cfr. A. Barbera, op. ult. cit., pag. 29. Tra le ipotesi individuate dall’Autore come
esemplificazione di tale rischio appaiono, tra le altre, il “diritto alla pace”, il “diritto
alla qualità della vita”, il “diritto ala democrazia”, il “diritto allo sviluppo” e, non
ultimo, proprio il “diritto alla sicurezza” (cfr., in particolare, pagg. 24-25).
67 Cfr. S. Raimondi, op. cit., pag. 754 ss.; M. Ruotolo, op. cit., pag. 6.
68 In particolare, il giudice a quo lamentava l’incostituzionalità del combinato
disposto degli artt. 280 e 391, quinto comma, c.p.p., dal momento che consente di
applicare una misura cautelare coercitiva nei confronti di persona sottoposta ad
indagini per uno dei reati di cui all’art. 381, secondo comma, c.p.p. “solo ove la
stessa sia stata arrestata in flagranza di reato, e non anche quando si proceda nei
confronti di indagato in stato di libertà”.
71
Tuttavia la Corte, con l’ord. n. 187/2001,69 ha dichiarato la
manifesta infondatezza della questione, affermando chiaramente che
“tra i diritti inviolabili dell’uomo non rientra l’aspettativa dei
consociati di vedere tutelata la propria sicurezza mediante una
disciplina legislativa […] volta a generalizzare il ricorso alle misure
cautelari limitative della libertà personale”. Pur nella consapevolezza
della peculiarità della questione decisa,70 l’affermazione della Corte,
nella sua apoditticità, appare comunque chiara, e in grado di assumere
una portata più generale.
A prescindere, infatti, dagli strumenti processuali al centro
della specifica questione di costituzionalità, il ragionamento della
Corte sembra comunque potersi estendere a qualunque ipotesi di
tutela, in via autonoma e generalizzata, di un presunto “diritto alla
sicurezza” che, se affermato, rischierebbe invece di porsi “in antitesi
con le specifiche regole costituzionali che garantiscono la libertà
personale”.71
4. Le esigenze della sicurezza e l’assetto dei poteri, tra forma di Stato e forma di
governo
69 Per un commento a tale decisione, cfr. A. Pace, L’accesso alla categoria “aperta” dei
diritti inviolabili incontra solo puntuali dinieghi o anche limiti?, in Giurisprudenza costituzionale,
2001, pag. 1438 ss.
70 Secondo S. Raimondi, op. cit., pag. 755, proprio tale circostanza dovrebbe far
ritenere “che la Corte non abbia voluto affrontare il problema, che avrebbe
richiesto ben maggiore approfondimento, della ricomprensione o meno tra i diritti
inviolabili dei cui all’art. 2 dell’aspettativa dei consociati a vedere tutelata la propria
sicurezza”.
71 Così A. Pace, op. ult. cit., pag. 1440.
72 Sul punto, per tutti, si veda M. Luciani, La “Costituzione dei diritti” e la
72
esso appare strettamente collegato ad una determinata concezione del
potere statale, della sua legittimazione e delle sue finalità.
Dunque, il tentativo di ricostruire lo statuto costituzionale
della sicurezza non può prescindere dall’analisi dei principi che
regolano le istituzioni e gli apparati appositamente previsti per la sua
garanzia e la sua tutela. Tale legame, come abbiamo in parte già visto,
è particolarmente evidente nel passaggio tra Stato assoluto e Stato
liberale.
Se, infatti, nel primo caso le finalità di garanzia della vita e della
sicurezza dei consociati sono il fondamento stesso della costruzione
del pactum subiectionis e dell’individuazione del potere sovrano,
illimitato e totale dello Stato-Leviatano; con l’affermazione dei
principi dello Stato di diritto, della separazione dei poteri e della tutela
delle libertà della classe borghese, in connessione con (pur ancora
limitate) forme di rappresentanza politica, la sicurezza diviene oggetto
di specifica disciplina giuridica.
In ogni caso, leggendo in filigrana gli elementi di continuità tra
i due momenti di evoluzione del costituzionalismo moderno, il
compito di garantire la sicurezza appartiene all’apparato
amministrativo del pubblico potere, che in questo senso si specializza
sempre più dando vita ad un settore che adesso viene comunemente
individuato come amministrazione di pubblica sicurezza.73
Dunque, in questo senso, la sicurezza è fin dalle origini fatto di
amministrazione e, di conseguenza, fatto di organizzazione
amministrativa; dapprima nell’ambito di un assetto accentrato in cui
unico interprete delle esigenze della collettività è il sovrano assoluto
(che manifesta in questo caso il potere di dettare specifiche norme, di
curarne l’attuazione tramite i suoi funzionari e di poter giudicare in
ultima istanza sulla loro corretta applicazione); successivamente
73
nell’ambito delle finalità e dei limiti stabiliti dalla legge dell’organo
rappresentativo per eccellenza: il Parlamento.74
E’ in questo momento, infatti, che si manifesta con particolare
evidenza il mito della legge quale espressione della volontà generale e
della sovranità delle assemblee parlamentari, sulla scia delle
suggestioni della Rivoluzione francese. Dunque, in questo senso, il
problema della complessiva legittimità del sistema dei pubblici poteri
sembra sovrapporsi e limitarsi a quello connesso alla legalità formale
delle concrete modalità del suo esercizio.
In ogni caso, da un punto di vista più generale, emerge proprio
in questo momento la tendenza a circoscrivere le questioni
concernenti la sicurezza nell’ambito dell’amministrazione interna di
polizia, riconoscendo autonomia, da un lato, sia all’apparato militare
di difesa esterna (costituito e organizzato secondo principi e norme
del tutto peculiari), sia, dall’altro, alla diversa funzione di repressione
degli illeciti penali spettante all’autorità giudiziaria.75
Significativo, in questo senso, quanto previsto dall’art. 1 del
r.d. n. 773/1931 (TULPS), in base al quale “l’autorità di pubblica
sicurezza veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza
dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà; cura
l’osservanza delle leggi e dei regolamenti […] dello Stato, delle
province e dei comuni […]; presta soccorso nel caso di pubblici e
privati infortuni”. Questa definizione, pur espressione di una
concezione particolarmente estensiva ed accentrata dei compiti
dell’amministrazione di pubblica sicurezza, estesa alla vigilanza e al
controllo su vasti settori di attività privata, ben rappresenta il nucleo
centrale che caratterizza la sua attività, in senso oggettivo e materiale.
pag. 64 ss., secondo il quale, tra il XVII e il XVIII secolo, negli ordinamenti europei
continentali (e in particolare in Francia e in Germania, patria del Polizeistaat) “il
termine police o polizei viene utilizzato […] per indicare il più ristretto significato di
attività amministrativa esercitata dagli organi dell’apparato di governo ad esclusione
della giurisdizione e perfino alcuni significati più limitati, riguardanti una sola parte
dell’attività amministrativa stessa, escludendo, cioè, l’attività fiscale, l’esercito e così
via”. Sul punto, con particolare riferimento al’esperienza tedesca, cfr. anche M.
Stolleis, op. cit., in particolare pag. 487 ss.
74
L’evoluzione successiva del nostro ordinamento, infatti, pur
riducendo di molto tale area di intervento, soprattutto alla luce
dell’affermazione dei principi democratici e del pluralismo territoriale
che caratterizzano la Costituzione repubblicana,76 ha mantenuto
sostanzialmente integro il nucleo storico di tradizionale competenza
dell’autorità di pubblica sicurezza.
Non è un caso, allora, che proprio sulla scia di tale evoluzione
vengano sottolineate, pur con diversi accenni, le differenziazioni tra
ambito di intervento della polizia amministrativa, della polizia di
sicurezza e di quella giudiziaria. La prima, come noto, strettamente
collegata all’esercizio di specifiche funzioni amministrative, quale
manifestazione di poteri di vigilanza e controllo;77 la seconda, in
particolare, con compiti di prevenzione rispetto al compimento di atti
penalmente rilevanti o comunque socialmente pericolosi;78 l’ultima,
invece, col compito di reprimere le violazioni della legge penale,
75
nell’ambito più specifico dell’esercizio della giurisdizione e a supporto
di questa. 79
La stessa giurisprudenza costituzionale, d’altronde, ha
evidenziato tale diverso ambito di intervento, sottolineando che
mentre le funzioni di polizia amministrativa “concernono le attività
[…] dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati
alle persone o alle cose” nello svolgimento di attività ricomprese nelle
materie di competenza statale o regionale”; le funzioni,
rispettivamente, di polizia di sicurezza e di polizia giudiziaria
riguardano “le misure preventive e repressive dirette al mantenimento
dell’ordine pubblico”, vero e proprio “nucleo delle funzioni […] di
pubblica sicurezza”.80
Le prime, allora, “proprio per questo loro rapporto di stretta
strumentalità con determinate attività, […] sono funzioni accessorie
rispetto ai settori materiali al cui servizio operano, seguendone la
destinazione e la disciplina giuridica”, statale o regionale che sia; le
seconde invece, di competenza dell’amministrazione statale di
pubblica sicurezza, “si caratterizzano per essere primariamente dirette
a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle
persone, la sicurezza dei possessi, la fede pubblica e ogni altro bene
giuridico che l’ordinamento ritiene, in un determinato momento
79 Cfr., in questo senso, il dettato dell’art. 109 Cost., in base al quale “l’autorità
giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Sul punto, ora, vedi anche
l’art. 55 c.p.p., secondo cui la polizia giudiziaria “deve, anche di propria iniziativa,
prendere notizia ei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori,
ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e
raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”. Sulla
polizia giudiziaria, tra gli altri, vedi A. Cerri, Polizia giudiziaria. I) Diritto pubblico, in
Enciclopedia giuridica, XXIII, Roma, 1990; nonché D. Manzione, Polizia giudiziaria, in
Enciclopedia del diritto, Aggiornamento VI, Milano, 2002, pag. 860 ss.
80 Così, in particolare, la sent. n. 218/1988, anche in riferimento alla precedente
sent. n. 77/1987, e alla luce di una definizione dell’ordine pubblico come concetto
individuato “da quei beni giuridici fondamentali o da quegli interessi pubblici
primari sui quali, in base alla Costituzione e alle leggi ordinarie, si regge l’ordinata e
civile convivenza dei consociati nella comunità nazionale”, tra i quali, in particolare,
rientrano “l’integrità fisica e psichica delle persone, la sicurezza dei possessi e il
rispetto o la garanzia di ogni altro bene giuridico di fondamentale importanza per
l’esistenza e lo svolgimento dell’ordinamento” (su tale concetto, però, vedi più
ampiamente infra).
76
storico, di primaria importanza per la propria esistenza e per il proprio
funzionamento”.81
Dunque, rientra nelle competenze dell’amministrazione di
pubblica sicurezza “non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano
preposte le pubbliche amministrazioni”, ma soltanto la cura di “quegli
interessi essenziali al mantenimento di un’ordinata convivenza civile”.
Tale precisazione, per la Corte, “é necessaria ad impedire che una
smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si
converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le
attività che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorità
statali di polizia e autonomie locali”.82
Tale impianto, dunque, appare ancora oggi confermato
nell’ambito degli assetti costituzionali liberaldemocratici, pur con
alcune rilevanti novità. Da un lato, infatti, la progressiva estensione
dei compiti di intervento attivo dei pubblici poteri, e in particolare
della pubblica amministrazione, comporta come conseguenza la
parallela estensione dei connessi compiti di polizia amministrativa.
Dall’altro, con l’introduzione a livello costituzionale delle c.d. libertà
positive e dei diritti sociali, la dimensione collettiva della sicurezza
appare assumere una rilevanza maggiore, e un autonomo fondamento
costituzionale.
Il tutto, in ogni caso, alla luce di una visione dei rapporti tra
Stato e cittadino non meramente conservativa, ma anche
promozionale, in vista di quella garanzia della persona e dei suoi diritti
che sembra essere uno dei cardini del costituzionalismo
liberaldemocratico. A ciò si aggiunga la forte valorizzazione del
principio del pluralismo, sia sociale sia territoriale, che articola
ulteriormente i piani di intervento a tutela della sicurezza e delle sue
complessive esigenze, con particolare riferimento alla sicurezza in
senso “lato” e al possibile ruolo delle Regioni e degli enti locali.83
77
Lo stesso riparto di competenze successivo alla riforma del
Titolo V attuata dalla legge cost. n. 3/2001 sembrerebbe confermare
tale lettura, con l’affermazione della già citata potestà legislativa
esclusiva statale in materia “ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione
della polizia amministrativa locale”.84 Competenza, quella in
questione, che la Corte costituzionale ha inizialmente ricostruito in
senso oggettivo e materiale, in riferimento alle “misure inerenti alla
prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico”,
escludendo invece che possa essere nozione stabilmente, e in via
estensiva, “collegata con la tutela della salute, dell’ambiente, del lavoro
e così via”;85 tutti beni costituzionali che, in via promozionale e
preventiva, possono essere quindi oggetto delle funzioni di vigilanza e
controllo svolte nell’ambito dei tradizionali poteri di polizia
amministrativa in capo ai diversi livelli di governo, e alla luce delle
rispettive competenze materiali.
In senso solo parzialmente analogo sembra andare anche l’art.
120, secondo comma, Cost. delineando i presupposti relativi
all’esercizio ai poteri sostitutivi del Governo nei confronti delle
autonomie territoriali. In quel contesto, infatti, il riferimento
all’esistenza di un “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza
pubblica” sembra riconducibile non solo ala tradizionale funzione di
ordine pubblico (intesa quale prevenzione e repressione dei reati), ma
84 Vedi, sul punto, la sent n. 313/2003: “Quanto alla polizia di sicurezza, finalizzata
ad adottare le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine
pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi
pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità
nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni
(secondo la definizione del comma 2 dell’art. 159 del decreto legislativo n. 112 del
1998), la competenza legislativa in materia, come già prima della riforma del Titolo
V della Parte II della Costituzione, è oggetto di riserva a favore dello Stato, a norma
della lettera h) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione ora vigente, che
ha riguardo all’ordine pubblico e alla sicurezza, con netta distinzione dalla polizia
amministrativa locale che segue invece, in quanto strumentale, la distribuzione delle
competenze principali cui accede”.
85 Cfr., per tutte, la sent. n. 407/2002. Sulla giurisprudenza relativa al riparto di
competenze in materia di sicurezza dopo la riforma del Titolo V, però, vedi più
ampiamente ultra, Cap. V.
78
anche ad una più ampia tutela dell’integrità personale dei cittadini, a
prescindere dai fattori di rischio rilevanti.86
Un assetto che, in ogni caso, in relazione alla sicurezza in
senso “stretto” conferma la sostanziale centralità dell’amministrazione
dello Stato, che vede nella legge parlamentare la sua regolamentazione
operativa, ma che trova in Costituzione i principi e le norme che ne
rappresentano il fondamento, nell’ambito di specifiche opzioni
assiologiche.
Coerentemente con tali presupposti, la Carta costituzionale
declina le esigenze organizzative connesse alle diverse dimensioni
della sicurezza nell’ambito di una forma di governo ispirata ai canoni
della democrazia parlamentare.
Dunque, un ruolo centrale, in questo senso, sembra essere
rimesso agli organi protagonisti del rapporto fiduciario, vera e propria
cinghia di trasmissione della sovranità popolare: Parlamento, da un
lato, e Governo, dall’altro. Più nello specifico, potere legislativo e
amministrazione. Se, infatti, alla legge spetta intervenire per regolare
l’esercizio dei diritti fondamentali nell’ambito degli interessi e dei
limiti costituzionalmente previsti, all’amministrazione tocca dare
esecuzione e continua tutela a tali pubblici interessi.
Il compito del potere giudiziario, invece, sarà invece quello di
tutelare le posizioni giuridiche soggettive chiamate in causa nell’ambio
dell’esercizio dei poteri amministrativi concernenti la sicurezza, in
virtù dei principi dello Stato di diritto. Ovvio, in questo senso, il
86 Spunti, in questo senso, sembrano venire anche dalla sent. n. 6/2004 in materia
di “sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica”, nella quale la Corte
esclude che, in tale ambito, possa attivarsi la competenza legislativa dello Stato in
materia di ordine pubblico e sicurezza, richiamando solo la possibilità di un
intervento sostitutivo del Governo, ex art. 120, secondo coma, Cost., in relazione
all’esistenza di eventuali gravi pericoli per l’incolumità e la sicurezza pubblica. Su
tale decisione, si vedano le opinioni di B. Caravita, op. cit., pagg. 7-8, e di M.
Ruotolo, op. cit., pag. 17, i quali sottolineano come, in base alla ricostruzione della
Corte, la nozione di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica” risulti
più ampia rispetto alla nozione di “ordine pubblico e sicurezza”, ex art. 117,
secondo comma, lett. h), Cost. In ogni caso, il contestuale riferimento all’incolumità
pubblica conferma la natura oggettiva e materiale anche della nozione di
“sicurezza” accolta nell’art. 120, secondo comma, Cost.
79
riferimento all’ambito di intervento di quelle che, come abbiamo
visto, tradizionalmente si indicano come polizia amministrativa e
polizia di sicurezza (e giocando, invece, la magistratura un ruolo del
tutto peculiare rispetto alle attività della polizia giudiziaria,
funzionalmente collegata all’esercizio della giurisdizione penale).
Un compito, quindi, quello della magistratura, essenzialmente
successivo (a parte alcuni, rilevanti, casi), volto a valutare la legalità
dell’azione amministrativa e le eventuali responsabilità dei pubblici
funzionari. Di fronte ad alcune tradizionali libertà civili, 87 invece, la
riserva di giurisdizione espressamente prevista coinvolge i magistrati
direttamente per quanto riguarda la decisione relativa alle esigenze di
limitazione della sfera personale dei singoli individui.
In questi casi, dunque, il giudice non si limiterà, ex post, ad
un’eventuale valutazione dell’operato dell’amministrazione di pubblica
sicurezza, ma valuterà ex ante le esigenze connesse alla richiesta
limitazione della sfera di libertà del singolo. In caso di urgenza, però,
si afferma nuovamente un titolo autonomo di intervento delle forze di
polizia, salvo la prescritta convalida giudiziaria. I concreti rapporti, in
questo senso, tra amministrazione di pubblica sicurezza e autorità
giudiziaria sembrano poter essere ricostruiti attraverso un esame
sistematico delle diverse norme contenute negli artt. 13, 14, 15 e 21
Cost.
Come in parte già sottolineato, non sembra un caso che il
Costituente abbia utilizzato la nozione di “autorità di pubblica
sicurezza” nell’ambito dell’art. 13 Cost., mentre l’art. 21 parla di
“polizia giudiziaria”. Nel secondo caso, infatti, il richiamo alla polizia
giudiziaria in materia di sequestro della stampa appare coerente con la
specifica riserva di legge rinforzata prevista, che parla espressamente
di “delitti” in un contesto in cui appare proibita ogni forma di
intervento preventivo (“la stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure”). Dunque se di fattispecie penali si tratta,
appare coerente il coinvolgimento, pur in via eccezionale, della polizia
giudiziaria, funzionalmente istituita per il perseguimento dei reati.
87Le più volte citate libertà personale (art. 13 Cost.), libertà di domicilio (art. 14
Cost.), libertà di comunicazione privata (art. 15 Cost.) e libertà di manifestazione
del pensiero (art. 21 Cost.).
80
Diverso, invece, il caso dell’art. 13 Cost. A prescindere
dall’annoso dibattito sul c.d. vuoto dei fini che contraddistinguerebbe
tale disposizione,88 non sembra potersi accogliere quella
interpretazione che, di fatto, riconduce le forme legittime di
limitazione della libertà personale all’esercizio della sola giurisdizione
penale, interpretando quindi “autorità di pubblica sicurezza” quasi
come un sinonimo di “polizia giudiziaria”.
La riserva di giurisdizione prevista nell’ambito dell’art. 13
Cost., infatti, più che delimitare l’intervento della magistratura alle
classiche forme di esercizio dell’attività processuale, vuole estendere le
garanzie giurisdizionali di fronte ad ogni caso di limitazione della
libertà personale. E’, infatti, l’eredità moderna dell’antica garanzia
dell’habeas corpus, finalizzata a valutare tempestivamente (quando non
preventivamente) la fondatezza degli interventi limitativi posti in
essere dalle pubbliche autorità.89
Dunque, in assenza di ogni espressa previsione di poteri
esclusivamente connessi alla previa commissione di fattispecie penali,
l’art. 13 Cost. parla coerentemente di autorità di pubblica sicurezza,
volendo ricomprendere tutte le forme di possibile limitazione della
libertà personale, anche al di fuori del processo penale in senso
stretto.
Che, d’altronde, non fossero le garanzie tipiche del processo
ad essere richiamate, ma quelle più in generale riconducibili ad
un’autorità giudiziaria autonoma e indipendente dal governo e dalla
sua amministrazione, è evidente solo se si pensi alla pacifica
accettazione anche del pubblico ministero quale organo appartenente
all’autorità giudiziaria indicata.90
88 Cfr., A. Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1967; A Pace,
Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1992; nonché, nel tentativo di ancorare
la limitazioni possibili esclusivamente agli artt. 25, 30 e 32 Cost., L. Elia, Libertà
personale e misure di prevenzione, Milano, 1962; P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà
fondamentali, Bologna, 1984.
89 In questo, come noto, in perfetta coerenza con quanto previsto dall’art. 111,
settimo comma, sulla garanzia del ricorso in Cassazione nei confronti dei
provvedimenti de libertate.
90 Evidente, in questo senso, il dibattito in Assemblea costituente,da cui emerge la
81
A sua volta, per le sue peculiarità, mantiene una sua precisa
autonomia non solo funzionale, ma anche istituzionale, il sistema della
difesa nazionale, connesso al già citato ordinamento delle Forze
armate.91 Esso, infatti, mantiene le caratteristiche di apparato
autonomo e separato rispetto all’amministrazione della pubblica
sicurezza, finalizzato essenzialmente alla difesa esterna dello Stato e,
proprio per tali peculiarità, ispirato a specifici principi di
organizzazione e responsabilità (vero e proprio “ordinamento
speciale”). Non a caso, la Carta costituzionale individua un’apposita
competenza esclusiva statale in merito a “difesa e Forze armate”,
affiancandovi, però, anche il riferimento alla “sicurezza dello Stato”
(art. 117, secondo comma, lett. d, Cost.).
In questo caso, però, il concetto di sicurezza dello Stato
sembra evocare quel “supremo interesse […] dello Stato nella sua
personalità internazionale, cioè l’interesse dello Stato-comunità alla
propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla
stessa sua sopravvivenza” richiamato più volte dalla stessa Corte
costituzionale nella sua giurisprudenza in materia di segreto di Stato,
alla luce della “necessità di protezione da ogni azione violenta o
comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro
assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi
collettività organizzata a Stato”.92
difesa e sistema costituzionale, Milano, 1971; P. Bonetti, Ordinamento della difesa nazionale e
Costituzione italiana, Milano, 2000; A Baldanza, La difesa, in S. Cassese (a cura di),
Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, I, Milano, 2003, in
particolare pag. 307 ss.
92 Cfr., in particolare, le sentt. nn. 82/1976, 86/1977, 106/2009. Interesse che,
secondo il Giudice delle leggi, “trova espressione, nel testo costituzionale, nella
formula solenne dell’art. 52, che afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa
della Patria […] in relazione con altre norme della stessa Costituzione che fissano
elementi e momenti imprescindibili del nostro Stato: in particolare, vanno tenuti
presenti la indipendenza nazionale, i principi della unità e della indivisibilità dello
Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri essenziali dello Stato stesso nella
formula di Repubblica democratica (art. 1)”. Sul punto, più ampiamente, vedi però
ultra, Cap. III.
82
Tale interesse, pur con le dovute specificazioni connesse
all’articolazione territoriale della Repubblica, sembra in qualche modo
riconducibile anche al concetto di “sicurezza nazionale” di cui parla
l’art. 126 Cost.,93 in relazione all’eventuale scioglimento del Consiglio
regionale o alla possibile rimozione del Presidente della Giunta,
concetto che, dunque, sembra anch’esso doversi interpretare in senso
sostanzialmente oggettivo e materiale.94
Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino, 2006, in particolare
pagg. 2495-2496; M. Ruotolo, op. cit., pag. 18. Secondo tali Autori, infatti, vi sarebbe
una distinzione tra “sicurezza pubblica”, intesa in senso “stretto”, e “sicurezza
nazionale” di cui all’art. 126 Cost., dal momento che in quest’ultima nozione
potrebbero ricadere anche ipotesi di secessione non violenta ad opera di alcune
regioni, alla luce della necessaria garanzia del principio di indivisibilità della
Repubblica di cui all’art. 5 Cost. Tuttavia, a ben guardare, ipotetiche dichiarazioni di
indipendenza votate da un Consiglio regionale, pur non compromettendo
direttamente l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, potrebbero comunque
rappresentare un’ipotesi di “atto contrario alla Costituzione”, motivo di per sé
sufficiente ad attivare gli stessi poteri sanzionatori previsti dall’at. 126 Cost.
95 Per una ricostruzione delle origini della nozione di “ordine pubblico” si vedano,
tra gli altri, i contributi di A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana,
in Archivio giuridico, 1963, pag. 111 ss.; L. Paladin, Ordine pubblico, in Novissimo Digesto
italiano, XII, Torino, 1965, pag. 30 ss.; G. Corso, L’ordine pubblico, cit., pag. 133 ss.;
A. Cerri, Ordine pubblico (Diritto costituzionale), in Enciclopedia giuridica, XII, Roma,
83
ordine pubblico nell’ambito del diritto privato (come limite
all’autonomia dei singoli individui); una definizione rilevante sul piano
del diritto internazionale privato (come limite al riconoscimento di
efficacia interna di atti giuridici prodotti da altri ordinamenti); una
definizione specifica nell’ambito del diritto internazionale pubblico (in
relazione al rispetto di quelle norme che regolano i rapporti tra Stati
riconosciuti come vero e proprio ius cogens); una definizione rilevante
nell’ambito del diritto pubblico, e costituzionale (in particolare, quale
garanzia di ordinata e pacifica convivenza, a tutela della sicurezza dei
singoli e della collettività).
In realtà, con riferimento al ruolo dell’ordine pubblico
nell’ambito del diritto costituzionale, le interpretazioni sono state assai
differenti (anche alla luce di una giurisprudenza costituzionale
oscillante).
Secondo alcuni, infatti, l’unica accezione costituzionalmente
compatibile di ordine pubblico sarebbe quella limitata alla sua essenza
materiale, connessa alla garanzia della sicurezza e dell’incolumità dei
cittadini (anche alla luce del dibattito emerso in sede di Assemblea
costituente e sulla base delle disposizioni costituzionali più volte
citate).96
Altri, invece (pur problematicamente), ritengono possa essere
identificato, in via generale, anche un suo contenuto ideale o
normativo, consistente nel rispetto e nella garanzia dei principi
fondamentali dell’ordine costituzionale, con particolare riferimento al
c.d. ordine democratico.97
84
Gli stessi autori che vanno alla ricerca di un suo eventuale
fondamento costituzionale, però, giungono alla conclusione di
un’impossibilità logica di pensare l’ordine pubblico ideale (a livello
costituzionale) come un limite a specifiche libertà, dal momento che
proprio la tutela delle libertà rappresenta uno dei principi e valori
fondanti l’ordinamento stesso.98 Come in parte già anticipato, però, a
questo punto sembra che la questione si apra fino a sfiorare, da un
lato, la concezione e lo stesso contenuto dei più volte evocati principi
supremi dell’ordinamento,99 nonché, dall’altro, gli elementi di
“protezione” democratica eventualmente rintracciabili nella nostra
Carta fondamentale (con particolare riferimento agli artt. 8, 18, 21, 49
e 54 Cost.).
Evidenti, in questo senso, le differenti conseguenze in materia
di libertà fondamentali. Se, infatti, si accetta una nozione di ordine
pubblico in senso meramente materiale, allora le uniche limitazioni
possibili saranno quelle espressamente previste dal testo costituzionale
o comunque collegate alla funzione di prevenzione e repressione dei
reati. All’opposto, nell’ambito di un’interpretazione dell’ordine
pubblico come ordine ideale, alla luce dei principi fondamentali della
85
Costituzione, esso potrebbe rappresentare un limite generale (in
quanto immanente) a tutte le libertà costituzionali.
Dal canto suo, la giurisprudenza costituzionale ha assunto una
posizione ambigua e oscillante, spesso sovrapponendo le due
concezioni di ordine pubblico. Alla luce della già citata impostazione
contenuta nella sua prima, storica, decisione (fondata, come noto,
sulla distinzione tra limiti connessi alla garanzia delle libertà e limiti
relativi all’esercizio delle stesse), la Corte ha, infatti, dapprima
espressamente escluso, in relazione all’art. 16 Cost., che “la sicurezza
riguardi solo l’incolumità fisica”, sostenendo invece che “sembra
razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola
sicurezza il significato di situazione nella quale sia assicurato ai
cittadini, per quanto è possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di
libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza. Sicurezza si ha
quando il cittadino può svolgere la propria lecita attività senza essere
minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale; è
l’ordinato vivere civile , che è indubbiamente la meta di uno Stato di
diritto, libero e democratico”.100
Successivamente, in relazione alla libertà di manifestazione del
pensiero, ha affermato la natura implicita e (in qualche modo)
generalizzata del limite dell’ordine pubblico, inteso quale “bene
collettivo, che non è dammeno della libertà di manifestazione del
pensiero”. Secondo la Corte, infatti, “l’esigenza dell’ordine pubblico,
per quanto altrimenti ispirata rispetto agli ordinamenti autoritari, non
è affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, né è
incompatibile con essi.
In particolare, al regime democratico e legalitario, consacrato
nella Costituzione vigente […], è connaturale un sistema giuridico, in
cui gli obbiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non
100 Così, in particolare, la già citata sent. n. 2/1956, in relazione alla disciplina allora
vigente del rimpatrio con foglio di via obbligatorio e del rimpatrio per traduzione
(art. 157 del TULPS del 1931). Secondo la Corte, infatti, “la pericolosità in riguardo
all’ordine pubblico non può consistere in semplici manifestazioni di natura sociale
o politica, le quali trovano disciplina in altre norme di legge, bensì in manifestazioni
esteriori di insofferenza o di ribellione ai precetti legislativi ed ai legittimi ordini
della pubblica Autorità, manifestazioni che possono facilmente dar luogo a stati di
allarme e a violenze, indubbiamente minacciose per la sicurezza della generalità dei
cittadini”.
86
possono esser realizzati se non con gli strumenti e attraverso i
procedimenti previsti dalle leggi, e non è dato per contro pretendere
di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o
addirittura di violenza. Tale sistema rappresenta l’ordine istituzionale
del regime vigente; e appunto in esso va identificato l’ordine pubblico
del regime stesso. Non potendo dubitarsi che, così inteso, l’ordine
pubblico è un bene inerente al vigente sistema costituzionale, non può
del pari dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di
preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale,
instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a
renderle inoperanti mediante l’uso o la minaccia illegale della forza -
sia finalità immanente del sistema costituzionale”.101
Chiara la valenza sostanzialmente ambigua di una tale
concezione di ordine pubblico, da un lato riferita ad un determinato
assetto normativo di principi costituzionali, dall’altro connessa a
forme coattive o violente di attentato all’ordine istituzionale del
regime vigente. In ogni caso, chiara la sua natura di interesse
costituzionale che può giustificare limitazioni ad altri beni
costituzionalmente garantiti (e, in particolare, al sistema delle
libertà).102
Contemporaneamente, in relazione alla disciplina del rimpatrio
con foglio di via obbligatorio nei confronti dei soggetti dediti ad
attività contrarie alla morale pubblica, prevista dalla legge n.
1423/1956, la Corte ha ribadito che “non può dirsi pericoloso per la
pubblica moralità colui che proclami o pratichi principi morali
difformi da quelli correnti né colui che viva trascurando ogni principio
101 Cfr., in questo senso, la sent. n. 19/1962, in relazione all’art. 656 c.p.
concernente la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose
atte a turbare l’ordine pubblico. Su tale decisione si vedano le osservazioni di C.
Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero e l’ordine pubblico, in Giurisprudenza
costituzionale, 1962, pag. 191 ss.; e di P. Barile, La libertà di espressione del pensiero e le
notizie false, esagerate e tendenziose, in Foro italiano, 1962, I, pag. 855 ss.
102 Secondo la Corte, infatti, “la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite
insuperabile nella esigenza che attraverso l’esercizio di essi non vengano sacrificati
beni, ugualmente garantiti dalla Costituzione. Il che tanto più vale, quando si tratti
di beni che - come l’ordine pubblico - sono patrimonio dell’intera collettività” (cfr.
ancora la sent. n. 19/1962). In senso conforme, vedi anche le successive sentt. nn.
199/1972 e 210/1976).
87
morale, se e fino a quando egli con la sua condotta non metta in
essere un pericolo per la pubblica sicurezza o per la sanità”, in questo
modo riconducendo anche tale ipotesi a quelle, di natura oggettiva,
espressamente previste dall’art. 16 Cost.103
Ulteriore conferma delle ambiguità della Corte in materia
sembra essere anche la successiva decisione con cui, sempre in
relazione all’art. 21 Cost., 104 si afferma che “la garanzia dei diritti
inviolabili dell’uomo diventerebbe illusoria per tutti, se ciascuno
potesse esercitarli fuori dell’ambito delle leggi, della civile
regolamentazione, del ragionevole costume. Anche diritti primari e
fondamentali […] debbono venir contemperati con le esigenze di una
tollerabile convivenza”. In questo senso, l’ordine pubblico deve essere
inteso quale “ordine pubblico costituzionale […] che deve essere
assicurato appunto per consentire a tutti il godimento effettivo dei
diritti inviolabili dell’uomo”.105
Nel complesso, quindi, una giurisprudenza in base alla quale il
contenuto essenziale del concetto di ordine pubblico “è dato da quei
beni giuridici fondamentali o da quegli interessi pubblici primari sui
quali, in base alla Costituzione e alle leggi ordinarie, si regge l’ordinata
e civile convivenza dei consociati nella comunità nazionale […] fra i
quali rientrano l’integrità fisica e psichica delle persone, la sicurezza
103 Così la sent. n. 126/1962, in sostanziale continuità con quanto affermato dalla
precedente sent. n. 2/1956 in relazione all’analoga misura prevista dall’art. 157 del
TULPS del 1931: “per quanto si riferisce alla moralità, non dovrà certo tenersi
conto delle convinzioni intime del cittadino di per se stesse incoercibili, né delle
teorie in materia di morale, la cui, manifestazione, come ogni altra del pensiero, è
libera o disciplinata da altre norme di legge”. In ogni caso, proseguiva la Corte, “i
cittadini hanno diritto di non essere turbati ed offesi da manifestazioni immorali,
quando queste risultino pregiudizievoli anche alla sanità, indicata nell’art. 16 della
Costituzione, o creino situazioni ambientali favorevoli allo sviluppo della
delinquenza comune. Riassumendo, nel testo dell’art. 16 della Costituzione la parola
motivi (di sanità o di sicurezza) va intesa nel senso di fatti che costituiscano un
pericolo per la sicurezza dei cittadini, quale è stata più sopra definita”.
104 Per una ricostruzione della non scarsa giurisprudenza in materia, si veda A.
88
dei possessi e il rispetto o la garanzia di ogni altro bene giuridico di
fondamentale importanza per l’esistenza e lo svolgimento
dell’ordinamento”.106
Da ultimo, però, il Giudice delle leggi sembra in qualche modo
aver accettato una nozione più strettamente materiale dello stesso,107
anche alla luce della già citata riforma del Titolo V del 2001 che ha per
la prima volta inserito espressamente il concetto di ordine pubblico in
Costituzione, in connessione con la “sicurezza”. Significative, in
questo senso, le affermazioni in base alle quali la materia “ordine
pubblico e sicurezza”, vera e propria endiadi, indicherebbe il “settore
riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei
reati o al mantenimento dell’ordine pubblico”, riguardante “le
funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali
l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed
ogni altro bene che assume primaria importanza per l’esistenza stessa
dell’ordinamento”.108
Dunque, riprendendo le parole della Corte, se appare vero che
ad un regime democratico e legalitario, quale quello consacrato nella
Costituzione italiana del 1948, “è connaturale un sistema giuridico in
cui gli obiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non
possono essere realizzati se non con gli strumenti e attraverso i
procedimenti previsti dalle leggi, e non è dato per contro pretendere
di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o
addirittura di violenza”,109 è altrettanto vero che questo sembra essere
un limite generale connesso all’ambito della prevenzione e repressione
dei reati, senza alcuna suggestione di tipo puramente ideale o
immanente in merito alla ricostruzione del sistema delle libertà
costituzionali del cittadino.
Tale tendenza, allora, potrebbe apparire coerente con la già
citata giurisprudenza costituzionale volta a ritenere che “il concetto di
limite è insito nel concetto di diritto e che nell’ambito
89
dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi
reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza
civile”, motivo per cui è da escludere che, prevedendo una specifica
libertà, “la Costituzione abbia consentite attività le quali turbino la
tranquillità pubblica, ovvero abbia sottratta alla polizia di sicurezza la
funzione di prevenzione dei reati”.110
In realtà, a ben vedere, il concetto di limite dovrebbe (a rigore)
essere inteso quale specifica ed espressa delimitazione ab externo di una
determinata fattispecie di libertà, laddove le esigenze di tutela di altre
sfere di libertà, o di ulteriori interessi costituzionalmente rilevanti,
pongono il diverso problema di un reciproco bilanciamento, che è
operazione logicamente e materialmente successiva all’individuazione
degli esatti confini delle diverse fattispecie.111
Che, poi, accanto a tali (eventuali) limitazioni ab externo sia
individuabile una sorta di limitazione ab interno, connessa alla stessa
interpretazione della libertà di cui si tratta e del suo reale significato
normativo, è discorso diverso, e che formalmente sembra dover
prescindere dalla questione dell’interpretazione di limitazioni espresse.
E’, come noto, il problema connesso all’individuazione dei c.d. limiti
naturali o impliciti dei diritti costituzionali, cui spesso la Corte si è
riferita nella sua giurisprudenza, pur con tecniche decisorie non
sempre univoche, “a metà strada tra interpretazione giuridica e
bilanciamento”.112
Tuttavia, pur nella consapevolezza della difficoltà di
individuare un limite preciso tra i diversi momenti, una cosa è
90
l’attribuzione di significato all’oggetto di tutela di una determinata
fattispecie di libertà, attraverso la sua esatta delimitazione; altra
l’interpretazione delle eventuali limitazioni espressamente previste
dalla singola disposizione; altra ancora, e successiva, l’eventuale
bilanciamento con altri interessi costituzionali potenzialmente in
conflitto.113
Da questo punto di vista, come già in parte anticipato, sembra
che le esigenze costituzionali connesse all’ordine pubblico e alla
sicurezza, nel nostro ordinamento costituzionale, giochino un ruolo
particolare soprattutto dal secondo e terzo punto di vista, in relazione
all’individuazione di specifiche limitazioni ab externo e nell’ambito del
bilanciamento tra diversi interessi costituzionali.
Non sembra, invece, possibile individuarne un ruolo della
sicurezza quale limite immanente alla ricostruzione di una specifica
libertà, l’individuazione del cui oggetto di tutela dovrebbe prescindere
logicamente non solo dalla presenza di eventuali limitazioni esterne,
ma anche dalle successive operazioni di bilanciamento eventualmente
azionabili. Non fosse altro perché, come noto, mentre
l’individuazione dell’oggetto di tutela di una libertà è operazione
interpretativa, in qualche modo, generale e astratta, l’operatività delle
specifiche limitazioni eventualmente previste e, ancora di più,
l’eventuale bilanciamento con altri interessi costituzionali appaiono
operazioni da attuare concretamente e caso per caso.
Bin, op. cit., pag. 60, secondo il quale “l’individuazione dei limiti naturali o impliciti
dei diritti sembra richiedere operazioni che possono essere compiute con gli
strumenti tradizionali dell’interpretazione”, essendo finalizzata ad “assegnare un
significato […] alla disposizione”. Il bilanciamento, invece, mira a “raggiungere una
soluzione soddisfacente in presenza di un conflitto tra interessi”, non pretendendo
di “fissare l’unico significato attribuibile ad una disposizione”.
91
principi e dei valori fondanti di un determinato ordinamento. Per
quanto riguarda la nostra Carta costituzionale, attraverso la
ricostruzione fin qui operata, è stato possibile coglierne alcuni aspetti
peculiari, mentre altri ne sono stati, sia pur problematicamente,
esclusi.
Così si è sottolineata la natura non solo individuale, ma anche
collettiva degli interessi riconducibili al valore della scurezza; ne è stata
confermata la tradizionale valenza sia esterna, sia interna; se ne è colta
la dimensione essenzialmente materiale, in connessione con le
competenze di specifici apparati pubblici, distinti da quelli finalizzati
all’esercizio della giurisdizione o organizzati in vista della difesa
militare.
Sulla base di tali premesse, sembra utile individuare alcuni
settori di osservazione privilegiata per verificare preliminarmente la
validità di una tale ricostruzione alla luce delle diverse dimensioni
costituzionali appena evidenziate. La sicurezza, infatti, è interesse
costituzionale che viene in considerazione non solo nell’ambito della
disciplina costituzionale dei diritti costituzionali, ma anche quale
compito di specifici apparati pubblici. Inoltre, come abbiamo visto,
l’articolazione territoriale della Repubblica, da ultimo ridisegnata dalla
riforma del Titolo V, riconosce sfere di intervento anche a livello
regionale e locale, con particolare (ma non esclusivo) riferimento alla
sicurezza in senso “lato”.
Per tali motivi si è scelto di articolare la nostra ricerca sulla
base di tre ideali direttrici: a) sicurezza e istituzioni; b) sicurezza e
diritti; c) dimensioni territoriali della sicurezza. Dal primo punto di
vista, si delineeranno i tratti fondamentali dei servizi di informazione;
dal secondo punto di vista, saranno analizzate le misure di
prevenzione; dal terzo punto di vista, saranno invece ricostruite le
competenze regionali e locali in materia di sicurezza. Questa scelta,
come vedremo, è dovuta ad una serie di fattori.
Innanzitutto, in relazione alla sicurezza delle istituzioni, appare
di grande interesse approfondire il ruolo, l’organizzazione e gli attuali
poteri dei servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica, di
recente oggetto di una complessa e innovativa riforma legislativa.114
92
In questo caso, in realtà, non è tanto (o non solo) l’espresso
collegamento degli stessi servizi alle esigenze della sicurezza che li
pone all’attenzione dello studioso; quanto la concreta disciplina
organizzativa, i rapporti con gli organi di indirizzo politico e con
l’amministrazione di pubblica sicurezza, la tutela dei diritti dei terzi
coinvolti, i poteri e i controlli dell’autorità giudiziaria nonché il
controllo (in qualche modo privilegiato) che va prefigurandosi in
materia da parte della Corte costituzionale.
Anche questo, quindi, sembra un terreno particolarmente
indicato per saggiare la tenuta delle dimensioni costituzionali della
sicurezza più volte citate. Pur se in modo meno evidente, infatti,
anche il settore dei servizi di informazione ha visto diversi interventi
legislativi successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, che
hanno spesso fatto seguito all’accertamento di gravi irregolarità (e
infedeltà) di alcuni funzionari dei servizi rispetto ai fini istituzionali
previsti.
Infine, come noto, in materia di attività informative si è
formata una giurisprudenza costituzionale piuttosto articolata (anche
se molto meno complessa di quella relativa alle misure di
prevenzione), pur formalmente incentrata, in particolare, sulla
disciplina del segreto di Stato e sui relativi limiti operativi.
E’, quindi, il settore dei servizi di informazione un settore che,
di recente, è stato ripensato alle basi, anche in considerazione della
necessità di garantire un più efficace strumento di supporto alle
politiche per la sicurezza dello Stato.
In questo senso, quale apparato amministrativo del tutto
peculiare quanto a finalità, il sistema di intelligence sembra attualmente
muoversi in una zona non priva di sovrapposizioni ed ambiguità
rispetto alle competenze istituzionali di altri organi od apparati
pubblici. In particolare, come vedremo, ciò accade proprio sul piano
della prevenzione di pericoli particolarmente gravi per la sicurezza e
l’incolumità pubblica (come il terrorismo o la criminalità organizzata).
Non è un caso, allora, che le già citate emergenze criminali,
che hanno rappresentato altrettante tappe di evoluzione della
disciplina legislativa in materia di misure di prevenzione, siano state
l’occasione per il riconoscimento in capo ai servizi di informazione di
sempre maggiori compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica
93
(come, ad es., nel caso della criminalità di stampo mafioso o del
terrorismo internazionale). In quest’opera di progressivo, anche se
solo parziale, allineamento legislativo, il dato che sembra emergere
con particolare evidenza è quello di un utilizzo, in primis, degli ordinari
strumenti di prevenzione di pubblica sicurezza. Da ultimo, come
vedremo, forse nella consapevolezza delle peculiarità dell’attività di
informazione dei servizi rispetto alle funzioni tradizionalmente
spettanti all’amministrazione di pubblica sicurezza, i funzionari delle
agenzie di intelligence sono stati dotati di uno specifico status, connesso
al riconoscimento di particolari garanzie funzionali, che in parte cerca
di identificarne meglio (non senza ambiguità) funzioni specifiche ed
ambiti esclusivi di operatività.
Per quanto riguarda, invece, le misure di prevenzione, esse,
come noto, hanno rappresentato negli anni successivi all’entrata in
vigore della Costituzione, un terreno di riflessione particolarmente
fecondo, dando vita ad un filone giurisprudenziale particolarmente
ricco. In parallelo, la stessa disciplina legislativa dei poteri di
prevenzione ha subito molteplici interventi, sia in relazione alla
tipologia delle misure, sia con riferimento ai soggetti potenzialmente
destinatari delle stesse. La stessa legislazione, più volte ritoccata, è
stata poi progressivamente estesa a nuove categorie di soggetti, di
fronte alle diverse emergenze criminali che hanno minacciato, nel
corso degli anni, le istituzioni democratiche repubblicane. Ciò, in
particolare, è avvenuto in relazione alla criminalità organizzata,
all’eversione politica nonché, da ultimo, alla violenza sportiva e al
terrorismo internazionale.115
Alla luce dell’evoluzione appena ricostruita, le misure di
prevenzione hanno quindi rappresentato uno dei principali strumenti
di difesa sociale di fronte a fenomeni delittuosi inizialmente
sconosciuti e particolarmente complessi, parallelamente alla previsione
di specifiche sanzioni di natura penale. Proprio per questo, la loro
analisi critica può rappresentare una verifica “sul campo”delle
concrete modalità di attuazione delle dimensioni costituzionali della
sicurezza che si sono fin qui evidenziate e della loro progressiva
evoluzione dal punto di vista materiale.
115 Si
vedano in particolare, a partire dalla legge n. 1423/1956, le successive leggi
nn. 575/1965, 152/1975, 401/1989 e 438/2001.
94
In questo senso, infatti, esse sono misure finalizzate a garantire
la sicurezza, attraverso la prevenzione di possibili comportamenti
antisociali; incidono sulle libertà della persona, oltre che sui suoi beni;
vedono una difficile ripartizione tra compiti dell’amministrazione di
pubblica sicurezza e controllo di legalità ad opera della giurisdizione.
Incrociano, insomma, tutti i problematici confini connessi alle
dimensioni costituzionali della sicurezza.
Infine, appare rilevante ricostruire l’attuale ripartizione di
competenze in materia di “sicurezza” tra i diversi livelli di governo,
statale, regionale e locale. La più volte citata riforma del Titolo V della
Costituzione, di cui alla legge cost. n. 3/2001, infatti, ha
profondamente innovato i rapporti tra centro e periferia,
riconoscendo nuovi ed incisivi spazi di intervento non solo alle
Regioni, ma anche agli enti locali. In questo senso, pur nell’ambito
dell’espresso riconoscimento di una competenza esclusiva dello Stato
in relazione alla c.d. sicurezza in senso “stretto”, l’attuale Carta
costituzionale indica comunque la necessità di un coordinamento, sul
piano operativo, tra i diversi livelli di amministrazione, e in particolare
tra Stato e Regioni, in materia di “ordine pubblico e sicurezza” (art.
118, terzo comma, Cost.).116
Anche in questo settore, allora, alle inevitabili esigenze di
disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, confermate dalla
citata competenza legislativa statale esclusiva, si affianca la
consapevolezza, sul piano dell’attuazione amministrativa delle relative
politiche, di un coinvolgimento delle Regioni entro i limiti di una
tollerabile differenziazione a livello territoriale.
Ancora più evidente, poi, appare il ruolo delle autonomie
territoriali nell’ambito della c.d. sicurezza in senso “lato”, in primis alla
luce della già citata attribuzione di rilevanti competenze legislative alle
Regioni: dalla tutela della salute alla sicurezza del lavoro; dalla tutela
dell’ambiente, alla protezione civile; dal governo del territorio
all’assistenza sociale, fino alla polizia amministrativa regionale e locale.
Da ultimo, l’introduzione del principio di sussidiarietà verticale, di cui
116 Cfr. l’art. 118, terzo comma, Cost.: “La legge statale disciplina forme di
coordinamento fra Stato e regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del
secondo comma dell’art. 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento
nella materia della tutela dei beni culturali”.
95
all’art. 118 Cost., impegna il livello locale quale livello generale di
amministrazione, con un significativo aumento delle funzioni gestite
direttamente nell’ambito del territorio.
L’importanza di tale ulteriore dimensione della sicurezza, e
delle relative forme di coordinamento, è confermata, infine, dalla
cospicua legislazione regionale in materia di gestione integrata delle
politiche di sicurezza sul territorio, dall’esperienza dei “patti” per la
sicurezza, stipulati con sempre maggiore frequenza tra ammirazione di
pubblica scurezza e amministrazioni regionali e locali, nonché, da
ultimo, dall’espresso riconoscimento di rinnovati poteri di intervento
dei sindaci, quali ufficiali di Governo, a tutela dell’incolumità pubblica
e della sicurezza urbana.117
117 Cfr., in particolare, l’art. 6 della legge n. 125/200, che ha modificato sul punto
l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL).
96
CAPITOLO TERZO
SICUREZZA E ISTITUZIONI:
TRA GOVERNO E GIURISDIZIONE
1 Tale funzione informativa, come noto, consiste essenzialmente nel c.d. processo
di intelligence, suddivisibile in varie fasi: a) la raccolta di notizie, documenti e
materiali; b) la loro valutazione; c) il coordinamento di quanto raccolto; d)
l’interpretazione; e) l’analisi; f) l’approntamento di situazioni e la diffusione delle
notizie elaborate e dei punti di situazione. Per una ricostruzione generale dei profili
dell’attività dei servizi, da ultimo, si veda A. Massera, C. Mosca, I servizi di
informazione, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto
amministrativo speciale, I, Milano, 2003, pagg. 533-534.
costituzionale ispirato a precise opzioni di fondo, e in particolare
figlio del costituzionalismo liberaldemocratico. Per questo, dunque,
non sembra potersi prescindere dalle origini storiche dell’attività di
spionaggio e dal ruolo via via assunto dai servizi di informazione
nell’evoluzione del moderno concetto di Stato.2
In questo senso, nel corso degli anni, e nell’ambito di
ordinamenti diversi tra loro, sono state avanzate diverse letture del
fondamento dell’attività di informazione e sicurezza. Se, infatti,
all’interno di contesti assolutistici o autoritari il concetto di ragion di
Stato, che tanto ha rappresentato nell’evoluzione del pensiero politico
moderno, può apparire un sufficiente (anche se assai sfuggente)
appiglio,3 diverso sembra dover essere l’approccio seguito alla luce
dell’affermazione dei principi del costituzionalismo liberale e dello
Stato di diritto.
Da questo punto di vista, infatti, le teorie dello stato di
necessità, variamente proposte ed elaborate, portano ad una
prospettiva in ogni caso sostanzialmente diversa, in cui si afferma un
contesto di ordinaria garanzia di un determinato assetto, ispirato a
precisi canoni organizzativi e espressamente orientato alla tutela e alla
promozione di specifici interessi, che può eccezionalmente esser
derogato al fine di salvaguardare la sua stessa esistenza. Ciò che, in
sostanza, prima era la regola, sembra divenire l’eccezione, con tutti i
problemi che ugualmente ne derivano.
In ogni caso, come è stato messo in evidenza, appare sempre
difficile fondare su un fatto normativo, di per sé espressione di una
forza derogatoria rispetto al sistema delle norme poste all’interno di
un ordinamento, la previsione di strumenti ed apparati volti a tutelare
stabilmente un particolare interesse pubblico, quale la sicurezza.4
2 Sul punto, da ultimo, si veda C. Mosca, Profili storici sui servizi di informazione e di
sicurezza, in C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, I servizi di
informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, pag. 5 ss.
3 Sull’importanza della dottrina della ragion di Stato e sulla sua influenza
informazioni per la sicurezza dello Stato, Milano, 1978, pag. 40 ss.; e di G. Cocco, I servizi
di informazione e di sicurezza nell’ordinamento italiano, Padova, 1980, pag. 8 ss.
98
Dal punto di vista operativo, infatti, l’attività dei servizi di
informazione mira alla raccolta di notizie utili alla salvaguardia non
solo dell’indipendenza e dell’integrità dello Stato (generalmente
riconducibili alla politica estera e di difesa), ma anche (sul piano più
propriamente interno) finalizzate alla tutela dello Stato democratico e
delle istituzioni che ne sono a fondamento.
E’ dunque rispetto alle peculiarità di tale funzione informativa
che deve porsi il problema del suo fondamento costituzionale. Non a
caso, come vedremo, le posizioni avanzate in dottrina (soprattutto
successivamente alla riforma del 1977 e alla formalizzazione del c.d.
doppio binario) muovono tutte a partire da una ricostruzione degli
artt. 52 e 54 Cost.5
In base ad una prima ricostruzione, infatti, la funzione di
informazione si fonderebbe sul dovere di fedeltà alla Repubblica
sancito dall’art. 54 Cost.6 Secondo tale impostazione, infatti, esso non
si manifesterebbe in modo generalizzato ed eguale per tutti i cittadini,
ma si articolerebbe sulla base delle specifiche funzioni ricoperte da
ciascun soggetto (con particolare riferimento all’esercizio di potestà
pubbliche).
Dunque, in relazione all’attività di informazione, esso si
concretizzerebbe nella tutela delle garanzie costituzionali e
democratiche, con particolare riferimento al principio democratico e
ai procedimenti decisionali che ne rappresentano l’ossatura.
Diversamente, invece, si ritiene da parte di coloro che
riconducono le funzioni di informazione per la sicurezza al combinato
disposto di cui agli artt. 52 e 54 Cost., con particolare riferimento, il
primo, alla sicurezza connessa alla difesa esterna e, il secondo, alla
sicurezza sul piano interno.7
Sulla base di un’analoga lettura, il collegamento tra le due
disposizioni si concretizzerebbe alla luce del fatto che il dovere di
5 Per una ricostruzione delle diverse teorie prospettate, da ultimo, si veda A. Poggi,
Contributo allo studio dei doveri costituzionali, cit., pag. 240 ss., A. Massera, Servizi di
informazione e di sicurezza, in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, pagg. 396-397.
99
fedeltà rappresenterebbe “un dovere di difesa dello Stato
repubblicano e delle sue istituzioni fondamentali per garantire la
possibilità di restare fedeli ai valori in esso rappresentati ed accettati”.8
Altri, poi, fondano l’attività dei servizi di informazione su di
un collegamento tra l’art. 52 Cost. e l’art. 5 Cost., attraverso
l’affermazione del sacro dovere di difesa della Patria, da declinarsi
quale finalità “di protezione della sicurezza dello Stato-comunità –
intesa come indipendenza nazionale, unità e indivisibilità della
Repubblica […] e come complesso di caratteri che ne esprimono la
democraticità – contro ogni azione violenta o comunque non
conforme allo spirito democratico”.9
Infine, sottolineando le peculiarità dei principi del
costituzionalismo liberaldemocratico accolti dal nostro testo
costituzionale, c’è chi dubita di un reale fondamento costituzionale di
tale attività, valutandone poteri e limiti esclusivamente alla luce del
sistema (quello si costituzionalmente fondato) delle libertà e della
tutela del metodo democratico.10
In ogni caso, a prescindere dalle diverse letture proposte, un
dato che sembra emergere è la generalizzata riconduzione delle attività
di informazione per la sicurezza c.d. esterna all’art. 52 Cost. e al
connesso problema della difesa militare.
Più problematico, invece, il fondamento di una specifica
funzione di informazione, propria di un’autonoma struttura
burocratica, operante sul piano della sicurezza interna. In questo
ambito, infatti, tale attività deve coordinarsi con gli specifici compiti di
prevenzione dei reati tradizionalmente riconosciuti
all’amministrazione di pubblica sicurezza. 11
100
Sul punto, però, non deve essere dimenticata la profonda
diversità (almeno dal punto di vista generale) quanto alle specifiche
finalità dei due apparati. Mentre, infatti, l’autorità di pubblica sicurezza
(come abbiamo già visto) è dotata di una competenza generalizzata in
materia di prevenzione delle situazioni o dei comportamenti
considerati socialmente pericolosi per la collettività; i servizi di
informazione per la sicurezza, a rigore, dovrebbero agire al fine di
acquisire tutte gli elementi idonei ad una più efficace gestione della
sicurezza nazionale. In questo senso, tali attività sembrerebbero poter
svolgere un ruolo propedeutico, a livello conoscitivo, rispetto a
successive decisioni sul piano più propriamente operativo.12
Tuttavia, come noto, compiti più propriamente operativi sono
riconosciuti direttamente in capo agli stessi funzionari dei servizi
informativi, anche se nell’ambito di attività in ogni caso finalizzate
all’acquisizione di determinate informazioni (o volte ad impedire, in
chiave difensiva, l’acquisizione di specifiche notizie da parte di servizi
di altri paesi). Ciò, come vedremo, pone i già citati problemi di
coordinamento con le attività proprie della polizia di sicurezza.13
Come noto, mancano puntuali prese di posizione della Corte
costituzionale sul fondamento costituzionale dei servizi di
informazione per la sicurezza.14 Tuttavia, anche se in una materia del
tutto peculiare come la tutela processuale del segreto militare, la Corte
costituzionale ha avuto modo di definire supremo “l’interesse della
sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, e cioè
12 Così, per tutti, Labriola, op. cit., pag. 24 ss., secondo il quale l’attività dei servizi di
informazione, di natura essenzialmente conoscitiva, sarebbe meramente
strumentale rispetto a decisioni eventualmente prese da altri apparati dello Stato,
con particolare riferimento ai diversi ambiti della prevenzione e repressione.
13 Sul punto, in particolare, si veda G. Cocco, op. cit., pag. 71 ss., che sottolinea le
diversa questione della disciplina del segreto di Stato e del suo fondamento
costituzionale, anche se nell’ambito di vicende che riguardavano, come noto, il
comportamento di funzionari appartenenti ai servizi e mettevano in gioco, quindi,
(pur solo indirettamente) anche il loro complessivo ruolo istituzionale.
101
l’interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale,
indipendenza e - al limite - alla stessa sua sopravvivenza. Interesse
presente e preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali,
quale ne sia il regime politico, che trova espressione, nel nostro testo
costituzionale, nella formula solenne dell’art. 52, che proclama la
difesa della Patria sacro dovere del cittadino”.15
Queste affermazioni, pur dovendo essere contestualizzate
rispetto ai giudizi di legittimità da cui sono scaturite, evidenziano
come le esigenze della sicurezza siano ben tenute presenti dalla Corte,
anche se non toccano espressamente la complessiva attività dei servizi
di informazione, essendo limitate alla sfera della difesa militare dello
Stato. Dunque, a rigore, esse sembrano poter fondare nell’art. 52
Cost. solo una parte delle attività dei servizi di informazione per
sicurezza esterna (e, in particolare, le attività c.d. difensive, come il
controspionaggio).
Successivamente, in un’analoga occasione, la Corte ha
precisato ulteriormente le esigenze connesse alla difesa e alla sicurezza
nazionale, sviluppando il ragionamento di cui alla precedente
decisione.16 Per individuare il fondamento costituzionale del segreto
di Stato, infatti, occorre fare riferimento non solo al concetto di difesa
della Patria di cui all’art. 52 Cost., ma anche a quello di “sicurezza
nazionale”, espressamente previsto “nell’art. 126 della Costituzione ed
in numerose altre disposizioni degli Statuti delle Regioni ad autonomia
speciale”.17
15 Così la sent. n. 82/1976, su cui si vedano le osservazioni di G. Musio, Il segreto
politico-militare davanti alla Corte costituzionale; e di A. Anzon, Segreto di Stato e
Costituzione, entrambi in Giurisprudenza costituzionale, 1976, rispettivamente pag. 588
ss. e pag. 1755 ss.
16 Cfr la sent. n. 86/1977. Su tale decisione si vedano i commenti di A. Anzon,
Interrogativi sui riflessi sostanziali della nozione di segreto di Stato individuata dalla Corte
costituzionale; A.M. Sandulli, Note minime in tema di segreto di Stato; P. Pisa, Il segreto di
Stato di fronte alla Corte Costituzionale: luci ed ombre in attesa della riforma, tutti in
Giurisprudenza costituzionale, 1977, rispettivamente pag. 866 ss., pag. 1200 ss. e pag.
1206 ss.
17 “Il primo concetto, quello di difesa della Patria, può avere una accezione molto
larga ed abbracciare anche aspetti che vanno al di là di quel che in effetti merita di
trovare una protezione che valga a superare (come si vedrà in prosieguo) altri
principi che pur sono ritenuti essenziali nel nostro ordinamento costituzionale. Ma
si può osservare che in altre disposizioni il concetto di difesa assume un significato
102
Ebbene, secondo la Corte proprio a tali concetti “occorre fare
riferimento per dare concreto contenuto alla nozione del segreto
politico-militare”, ponendoli però anche “in relazione con altre norme
della stessa Costituzione che fissano elementi e momenti
imprescindibili del nostro Stato: in particolare vanno tenuti presenti
l’indipendenza nazionale, i principi dell’unità e dell’indivisibilità dello
Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri essenziali dello Stato
stesso nella formula di Repubblica democratica (art. 1). Con riguardo
a queste norme si può, allora, parlare della sicurezza esterna ed interna
dello Stato, della necessità di protezione da ogni azione violenta o
comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro
assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi
collettività organizzata a Stato e che, come si è detto, possono
coinvolgere l’esistenza stessa dello Stato. In tal modo si caratterizza
sicuramente la natura di questi interessi istituzionali, i quali devono
attenere allo Stato-comunità e, di conseguenza, rimangono nettamente
distinti da quelli del Governo e dei partiti che lo sorreggono”.18
Dunque, un fondamento costituzionale composito, che alle
esigenze strettamente militari connesse alla difesa dello Stato affianca
gli interessi connessi al concetto di sicurezza nazionale, intesa quale
tutela, sul piano interno, da ogni azione violenta di tipo eversivo,
contraria allo spirito democratico delle istituzioni repubblicane.
Chiaro, in questo senso, l’allargamento prospettico della Corte, che
estende le esigenze di tutela della sicurezza anche al profilo interno,
sostanzialmente avallando il processo di riforma dei servizi di
informazione allora in discussione in Parlamento (e non a caso
conclusosi di lì a poco).
più specifico, come nell’art. 87 Cost. che prevede un organo ad hoc denominato
Consiglio supremo di difesa e che certamente, anche nel silenzio della norma, ha
compiti attinenti in maniera rigorosa ai problemi concernenti la difesa militare e,
pertanto, la sicurezza dello Stato” (così la citata sent. n. 86/1977).
18 Secondo la Corte, quindi, “è solo nei casi nei quali si tratta di agire per la
salvaguardia di questi supremi, imprescindibili interessi dello Stato che può trovare
legittimazione il segreto in quanto mezzo o strumento necessario per raggiungere il
fine della sicurezza. Mai il segreto potrebbe essere allegato per impedire
l’accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale” (cfr. sempre la sent. n.
86/1977; forte sembra l’eco delle vicende italiane di quegli anni).
103
Come abbiamo già visto, la riforma costituzionale di cui alla
legge cost. n. 3/2001 sembra, da ultimo, avere recepito le peculiarità
dell’attività dei servizi di informazione, mettendone in risalto
l’autonomia rispetto ai tradizionali apparati di pubblica sicurezza. In
questo senso, infatti, deve leggersi il riconoscimento di due distinti
ambiti di competenza legislativa statale: il primo connesso alla
“sicurezza dello Stato” (art. 117, secondo comma, lett. d); l’altro
relativo a “ordine pubblico e sicurezza” (art. 117, secondo comma,
lett. h, Cost.).
Diversamente da quanto affermato in dottrina,19 non sembra
quindi che la nozione di “sicurezza dello Stato” appaia vaga e
indeterminata, potendosi invece chiaramente distinguere dalla nozione
di ordine pubblico e sicurezza, anche alla luce della già citata
giurisprudenza costituzionale.
Non, quindi, la tradizionale funzione di prevenzione e
repressione dei reati, di generale competenza dell’amministrazione di
pubblica sicurezza e delle forze di polizia, quanto le specifiche attività,
di tradizionale competenza dei servizi di informazione, volte alla
“protezione da ogni azione violenta o comunque non conforme allo
spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei
supremi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a
Stato” e che involgono, sul piano interno o esterno, “il supremo
interesse della sicurezza dello Stato […] alla propria integrità
territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla sua stessa
sopravvivenza”.20
Più problematica, invece, può apparire la distinzione di fronte
a minacce criminali di stampo eversivo o terroristico, la quale per loro
stessa natura possono mettere in grave pericolo il libero
funzionamento delle istituzioni democratiche e degli organi
19 Cfr. P. Bonetti, Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art 117
Cost., cit., in particolare pag. 501 ss. Lo stesso Autore, d’altronde, ne individua
successivamente i confini, qualificandola “materia che concerne sia l’individuazione
dei beni e degli interessi irrinunciabili dello Stato, sia l’individuazione delle minacce
o dei pericoli a tali interessi o beni, sia le misure da adottare per mantenere,
sviluppare e difendere tali interessi, inclusa la predisposizione di eventuali apparati
o servizi per le informazioni e l sicurezza (militare e civile) dello Stato”.
20 In questo senso, la più volte citata sent. n. 86/1977.
104
costituzionali della Repubblica. Qui, però, il problema non è più un
problema concettuale, dovendo piuttosto essere affrontato sul piano
del coordinamento operativo il problema connesso agli eventuali
profili di sovrapposizione tra attività di intelligence e attività
dell’amministrazione di pubblica sicurezza.21
In questo senso, come in parte già visto, il concetto di
sicurezza dello Stato sembra in qualche modo affine al concetto di
“sicurezza nazionale”, previsto dall’art. 126 Cost. quale autonomo
motivo di scioglimento del Consiglio regionale o di rimozione del
Presidente della Giunta. Tale nozione, infatti, non sembra limitata al
contrasto di specifiche situazioni di ordine pubblico,22 ma pare
evocare la necessaria tutela rispetto a gravi minacce alla tranquillità e
alla pacifica convivenza nell’ambito del territorio regionale, tali da
rappresentare un concreto pericolo per l’integrità territoriale della
Repubblica e per la sua indivisibilità.23
Da ultimo, come vedremo, il legislatore ha indicato tali delicati
ambiti di intervento con l’espressione riassuntiva di “sicurezza della
Repubblica”, rimettendone la tutela ai servizi di informazione, sotto la
diretta responsabilità del Presidente del Consiglio, quasi a voler
sottolineare l’attinenza a interessi che trascendono ciascun livello
territoriale di governo, locale, regionale, o statale, per ricondursi
direttamente alla tutela dell’ordinamento repubblicano nel suo
complesso.
componenti delle giunte o dello stesso sindaco o presidente della provincia, nonché
in caso di scioglimento dei rispettivi consigli. Tali provvedimenti, infatti, possono
essere adottati, per quanto ci interessa, in seguito al compimento di “atti contrari
alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi
motivi di ordine pubblico” (cfr. gli artt. 141, primo comma, lett. a, e 142, primo
comma, del d.lgs. n. 267/2000).
23 In questo senso, sostanzialmente, L. Paladin, Diritto regionale, Padova, 2000, pag.
432. Sul punto, però, vedi anche quanto già detto supra, Cap. II.
105
2. Servizi di informazione e segreto di Stato: i problematici profili di
sovrapposizione
24 Si ricordano, in particolare, gli artt. 256, 257, 259, 261, 263 c.p.; nonché gli artt.
342 e 352 c.p.p. Sulla tutela penale del segreto di Stato, e sui connessi profili
problematici, si vedano, in particolare, P. Pisa, Il segreto di Stato. Profili penali, Milano,
1977; M. Chiavario (a cura di), Segreto di Stato e giustizia penale, Bologna, 1978.; G.
Paolozzi, La tutela processuale del segreto di Stato, Milano, 1983; G. De Stefano,
Sicurezza delle Repubblica e processo penale, Napoli, 2001. Da ultimo, per una
ricostruzione storica dell’evoluzione normativa in materia, si veda G. Scandone,
Profili storici, in C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, op. cit., pag.
397 ss.
25 Cfr. Gli artt. 258 e 262 c.p.; nonché il successivo r.d. n. 1161/1941.
26 Si pensi, solo per fare qualche esempio, alla tutela della libertà di manifestazione
del pensiero, sulla base dell’art. 21 Cost.; ma anche alla tutela dell’esercizio della
funzione giurisdizionale, e penale in particolare, anche alla luce dell’art. 112 Cost.
106
giudiziarie che hanno visto più volte coinvolti i vertici dei servizi di
informazione nell’ambito delle trame eversive riconducibili alla c.d.
strategia della tensione. In questo senso, quindi, la riflessione sul
segreto di Stato è andata sostanzialmente di pari passo con il dibattito
relativo ai servizi di informazione, alle loro modalità operative e ai
relativi episodi di deviazione.27
Ciò, come noto, alla luce dell’utilizzo in chiave sostanzialmente
difensiva del segreto da parte dei funzionari dei servizi implicati nelle
diverse vicende politico-giudiziarie (dallo scandalo SIFAR alle
deviazioni del SID, fino ai recenti casi che hanno coinvolti dirigenti
del SISDE e del SISMI). La conseguenza, sul punto, è stata la
sostanziale sovrapposizione di ambiti di disciplina essenzialmente
diversi.
Se, infatti, l’attività dei servizi di informazione, per sua stessa
natura, deve svolgersi in un contesto di particolare riservatezza
(circostanza che, non a caso, comunemente porta ad indicare tali
apparati con il termine di servizi segreti),28 ciò non vuol dire che ogni
attività da loro posta in essere debba essere schermata dalla disciplina
del segreto di Stato.
Quest’ultimo strumento, infatti, rappresenta una tutela al
massimo livello contro la conoscenza e la diffusione di notizie in
grado di arrecare un concreto pregiudizio alla sicurezza dello Stato;
laddove l’attività dei servizi mira invece a raccogliere informazioni
(anche di dominio pubblico) per elaborare analisi di sintesi relative a
determinate situazioni da porre all’attenzione del potere esecutivo.
Non è un caso, allora, che la gran parte della dottrina che si è
interrogata sul fondamento costituzionale del segreto di Stato lo abbia
ricondotto (pur con diverse sfumature) ai già citati artt. 52 e 54 Cost.,
analogamente a quanto avvenuto in materia di attività di informazione
per la sicurezza.29 Secondo alcuni autori, poi, segreto di Stato e servizi
27 Per una ricostruzione dei principali episodi, si veda G. Ferrari, L’avventura del
segreto nell’Italia repubblicana tra gli anni ‘60 ed ‘80, in AA.VV., Il segreto nella realtà
giuridica italiana, Padova, 1983, pag. 23 ss.; nonché, in chiave storica, G. De Lutiis,
Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, 1991.
28 Cfr. U. Fragola, L’amministrazione invisibile, Napoli, 1998.
29 Da ultimo, per una ricostruzione dei principali problemi teorici connessi al
107
di informazione risulterebbero inscindibilmente connessi, alla luce
della loro comune natura strumentale rispetto alle funzioni preventiva
e repressiva dei reati.30
In realtà, come in parte già anticipato, riservatezza delle
modalità operative e tutela attraverso il segreto di Stato appaiono
attività sostanzialmente diverse: “mentre l’attività di informazione […]
è, nella sua essenza, un’attività conoscitiva, cioè un’attività che tende
ad acquisire dati, ad apprendere fatti o notizie, a svelare trame e
segreti; viceversa l’attività di segretazione tende a rendere inconoscibili
dati, notizie o attività di importanza fondamentale, altrimenti
conoscibili”.31
A tale ricostruzione, a ben vedere, non sembra possa essere
opposta l’affermazione in base alla quale “è indubbio sia che l’attività
di segretazione è strettamente correlata a quella di informazione e
sicurezza, sia che questa assume, per forza di cose, marcate
caratteristiche di segretezza”, al punto da renderla una sorta di attività
sommersa e separata.32
Tali affermazioni, infatti, sembrano ancora una volta
sovrapporre due ambiti differenti di intervento: l’uno, sicuramente,
circondato da peculiari esigenze di riservatezza; l’altro, invece, quale
strumento di massima tutela rispetto alla conoscibilità di determinate
notizie. Se, dunque, nulla esclude che gli esiti delle attività di
informazione per la sicurezza, e cioè le analisi finali prospettate su
alcune specifiche situazioni di rischio, vengano tutelate dal segreto di
Stato, ciò non vuol dire che tale esito risulti obbligato.33
108
In ogni caso, tale sovrapposizione è stata il frutto (in parte
inevitabile) anche di alcune decisioni della Corte costituzionale,34 ed è
stata in qualche modo avallata dallo stesso legislatore del 1977, il quale
ha sentito la necessità di intervenire contemporaneamente in relazione
ad entrambi gli ambiti, pur nella convinzione (smentita nei fatti) della
provvisorietà delle relative norme. Da ultimo, la citata tendenza
sembra aver subito una battuta d’arresto, alla luce dell’intervento
riformatore di cui alla legge n. 124/2007.
Infatti, con tale provvedimento legislativo, come vedremo, se
da un lato si è confermata la scelta per una disciplina contestuale
dell’attività di intelligence dei servizi di informazione e della tutela del
segreto di Stato, dall’altro si sono meglio evidenziati i diversi ambiti di
intervento dei servizi.
Inoltre, con particolare riferimento alle forme di tutela delle
attività operative dei servizi, esse non sono più lasciate all’esclusivo
(ed estremo) ombrello protettivo previsto dalla disciplina del segreto
di Stato, ma risultano articolate attraverso una serie di specifiche
garanzie funzionali35 e alla luce di un articolato sistema di
classificazione a tutela della riservatezza di determinate informazioni,
per la prima volta disciplinato a livello di fonte primaria.
In ogni caso, come vedremo, ulteriori profili di
sovrapposizione non mancano, con particolare riferimento al
procedimento previsto per opporre la sussistenza della speciale causa
di giustificazione connessa alle già citate garanzie funzionali, il quale
ricalca essenzialmente quello stabilito in materia di segreto di Stato (a
sua volta in gran parte ritagliato alla luce della consolidata
giurisprudenza costituzionale in materia).
Stato. In quest’ultimo ambito, infatti, il segreto di Stato non sembra (di per sé)
rilevare.
34 Si veda, in particolare, la sent. n. 86/1977
35 Cfr., in particolare, gli artt. 17-19 della legge n. 124/2007.
109
quale, però, non le ha completamente risolte, perpetuando, in alcuni
casi, le ambiguità già segnalate.
Rispetto all’assetto normativo previgente,36 tre sembrano
essere i punti centrali della citata riforma: a) affermazione di un
importante ruolo di direzione e indirizzo del Presidente del Consiglio
in materia di politica di informazione e sicurezza; b) formalizzazione
del sistema c.d. duale, attraverso la riforma del vecchio servizio di
informazione militare (il SID, ora SISMI) e con la contestuale
previsione di un autonomo servizio di informazione interno (il nuovo
SISDE); c) previsione di un sistema di controlli parlamentari
incentrati sull’istituzione di un apposito Comitato parlamentare in
materia di servizi di informazione.37
Molte di tali scelte, come noto, furono sostanzialmente
suggerite, oltre che (sul piano meramente fattuale) dai noti episodi di
deviazione che avevano ripetutamente coinvolto funzionari dei
precedenti servizi di informazione,38 anche da una decisione della
Corte costituzionale particolarmente rilevante, la quale sembra avere,
di fatto, indicato al legislatore le opzioni fondamentali in materia, alla
luce dei principi della nostra Carta fondamentale.
Ancora una volta chiamata in causa in materia di segreto
politico-militare, con la decisione n. 86/1977 la Corte ha posto alcuni
punti fermi nell’ambito della gestione della politica di informazione e
sicurezza.39 Nel dichiarare la parziale illegittimità dell’allora disciplina
processuale in materia opposizione del segreto di Stato (contenuta nei
36 Risalente, come noto, al d.p.r. n. 1477/1965, istitutivo del SID successivamente
alla scandalo che aveva coinvolto i vertici del SIFAR (a sua volta istituito nel 1949).
Per una ricostruzione dell’assetto precedente alla riforma del 1977 si veda, in
particolare, G. Cocco, op. cit., passim
37 Per una ricostruzione dei principali aspetti della legge n. 801/1977 si rimanda, tra
gli altri, a U. Rossi Merighi, Segreto di Stato tra politica e amministrazione, Napoli, 1994,
in particolare pag. 109 ss.
38 Un ricco e documentato campionario in materia è contenuto nel già citato
volume di G. De Lutiis, op. cit., passim; per alcuni spunti sul tema, cfr. anche G.
Cocco, op. cit., pag. 173 ss.
39 Su tale decisione si vedano i commenti di A. Anzon, Interrogativi sui riflessi
sostanziali della nozione di segreto di Stato individuata dalla Corte costituzionale; A.M.
Sandulli, Note minime in tema di segreto di Stato; P. Pisa, Il segreto di Stato di fronte alla
Corte Costituzionale: luci ed ombre in attesa della riforma, tutti in Giurisprudenza
costituzionale, 1977, rispettivamente pag. 866 ss., pag. 1200 ss. e pag. 1206 ss.
110
già citati artt. 342 e 352 del c.p.p. del 1930),40 il Giudice delle leggi ha,
infatti, affermato che l’individuazione dei fatti, degli atti e delle notizie
che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi,
rimanere segrete, “costituisce […] il frutto di una valutazione
dell’autorità preposta” la quale “non può non consistere in un’attività
ampiamente discrezionale e, più precisamente, di una discrezionalità
che supera l’ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente
amministrativa, in quanto tocca la salus rei publicae ed è, quindi,
intimamente legata all’accertamento di questi interessi ed alla
valutazione dei mezzi che ne evitano la compromissione o ne
assicurano la salvaguardia”.
Tale compito, secondo la Corte “può essere definito
istituzionale per i supremi organi dello Stato, per quelli, appunto, ai
quali spetta il compito di salvaguardare - come si è detto - l’esistenza,
l’integrità, l’essenza democratica dello Stato”.
Alla luce di tali premesse, quindi, deve essere riconosciuto un
ruolo centrale del Presidente del consiglio, dal momento che “non
può non intervenire chi è posto al vertice dell’organizzazione
governativa, deputata a ciò in via istituzionale” e legata da un rapporto
di fiducia nei confronti del Parlamento. E’ dunque il Presidente del
consiglio, cui spetta in virtù dell’art. 95 Cost. il compito di dirigere la
politica generale del Governo, mantenere l’unità dell’indirizzo
politico, promuovendo e coordinando a tal fine l’attività dei singoli
ministri, ad essere il titolare esclusivo delle attribuzioni in materia di
politiche di difesa e di sicurezza nazionale.41
40 La quale, come noto, prevedeva dei limiti alla possibilità di interrogare pubblici
ufficiali, pubblici impiegati e incaricati di pubblico servizio su “segreti politici o
militari dello Stato”; su tali questioni essi infatti non potevano essere sentiti
dall’autorità giudiziaria “a pena di nullità” (art. 352 c.p.p.). Era inoltre previsto il
venir meno del generale dovere di esibizione, posto a carico delle stesse persone,
nel caso in cui gli atti, i documenti e “ogni cosa esistente presso di essi per ragione
del loro ufficio” fossero coperti dal segreto politico o militare (art. 342 c.p.p.).
Infine, spettava al Ministro di grazia e giustizia confermare la fondatezza del segreto
eventualmente opposto all’autorità giudiziaria.
41 In base all’art. 95 Cost., infatti, è proprio il Presidente del Consiglio che “dirige la
111
In ogni caso, pur ribadendo che “il giudizio sui mezzi idonei e
necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente
politica”, altrettanto vero è che a ciò non consegue “che l’autorità
competente sia da ritenere sciolta da qualsiasi vincolo, dotata di un
potere assolutamente incontrollato ed incontrollabile”, cosa che
contrasterebbe con i principi della nostra democrazia costituzionale.
In questo senso, nell’ambito del rapporto fiduciario, viene sottolineata
la necessità che il Governo renda comunque pienamente conto del
suo operato di fronte al Parlamento, il quale potrà far valere, nelle
forme previste, la sua responsabilità politica.42
Come noto, il legislatore ha seguito tutte le indicazioni della
Corte, motivo per cui la legge n. 801/1977 appare sostanzialmente
scritta “sotto dettatura” del Giudice delle leggi. Essa, infatti,
disciplinava in modo esplicito il ruolo essenziale del Presidente del
consiglio, cui erano attribuiti “l’alta direzione, la responsabilità politica
generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza
nell’interesse e per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni
poste dalla Costituzione a suo fondamento”.43
A tale organo, inoltre, erano attribuite specifiche competenze
sul piano più propriamente della gestione amministrativa, dal
momento che ad esso spettava anche impartire direttive ed emanare
ogni disposizione necessaria per l’organizzazione ed il funzionamento
delle attività dei servizi.
più alte e più gravi decisioni dell’Esecutivo ed è, quindi, quella la sede naturale nella
quale l’Esecutivo deve dare conto del suo operato rivestente carattere politico: è
dinanzi alla rappresentanza del popolo, cui appartiene quella sovranità che potrebbe
essere intaccata (art. 1, secondo comma, della Costituzione), che il Governo deve
giustificare il suo comportamento ed è la rappresentanza popolare che può adottare
le misure più idonee per garantire la sicurezza di cui trattasi”.
43 Cfr. l’art. 1 della legge n. 801/1977.
112
A supporto di tale ruolo preminente, la legge prevedeva, non a
caso, l’istituzione di un’apposita struttura presso la Presidenza del
consiglio (il Comitato esecutivo per i servizi di informazione e di
sicurezza, CESIS), diretta a supportare le attività del Capo del
Governo in materia di politica informativa e di sicurezza.44 Infine, con
un ruolo di proposta e di consulenza, era previsto l’insediamento di
un apposito Comitato interministeriale (CIIS).45
Quanto al livello più propriamente operativo, la scelta del
legislatore è stata quella di una duplicazione dei servizi di
informazione: il SISMI, per quanto riguarda la sicurezza esterna e la
difesa militare;46 e il SISDE, in relazione alla sicurezza interna e ai
44 Cfr. l’art. 3, secondo, terzo e quinto comma, della legge n. 801/1977: “E’
compito del Comitato fornire al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai fini del
concreto espletamento delle funzioni a lui attribuite dall’art. 1, tutti gli elementi
necessari per il coordinamento dell’attività dei Servizi previsti dai successivi articoli
4 e 6; l’analisi degli elementi comunicati dai suddetti Servizi; l’elaborazione delle
relative situazioni é altresì compito del Comitato il coordinamento dei rapporti con
i servizi di informazione e di sicurezza degli altri Stati. Il Comitato è presieduto dal
Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, da un Sottosegretario di
Stato. […] Il Presidente del Consiglio dei Ministri determina la composizione del
Comitato, di cui dovranno essere chiamati a far parte i direttori dei Servizi di cui ai
successivi articoli 4 e 6, e istituisce gli uffici strettamente necessari per lo
svolgimento della sua attività”.
45 Cfr. l’art. 2 della legge n. 801/1977: “Presso la Presidenza del Consiglio dei
113
rischi di eversione democratica.47 Il primo, come noto, alle
dipendenze del Ministero della difesa; il secondo, invece, alle
dipendenze del Ministero degli interni.
Nonostante la scelta di incardinare i due servizi, pur in
posizione particolare, nell’ambito delle amministrazioni ministeriali di
riferimento rimaneva ferma, in ogni caso, il potere di indirizzo e di
intervento del Presidente del consiglio, nei cui confronti (infatti) si è
parlato di accentuate forme di subordinazione dei Ministri della difesa
e degli interni.48 Tale ruolo di preminenza, anche nei confronti dello
stesso Consiglio dei ministri, è stato successivamente ribadito dalla
legge n. 400/1988, la quale ha sostanzialmente confermato l’assetto
normativo previgente in materia.49
L’accentuata monocraticità in materia di gestione delle
politiche di informazione e sicurezza, d’altronde, era confermata
anche dalla disciplina dei rapporti con il Comitato parlamentare di
controllo, il quale vedeva nel Presidente del consiglio il suo
interlocutore preferenziale.50 Nella prassi, come noto, si è poi assistito
47 Cfr. l’art. 6, primo e secondo comma, della legge n. 801/1977: “E’ istituito il
Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (SISDE). Esso assolve a
tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle
istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento contro chiunque vi attenti e
contro ogni forma di eversione. Il Ministro per l’interno, dal quale il Servizio
dipende, ne stabilisce l’ordinamento e ne cura l’attività sulla base delle direttive e
delle disposizioni del Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 1”.
48 Cfr., sul punto, le osservazioni di S. Labriola, op. cit., pag. 97 ss. e pag. 127; C.
Mosca, op. cit., pag. 157 ss.; A. Massera, op. ult. cit., in particolare pag. 399 ss.; U.
Rossi Merighi, op. cit., in particolare pag. 124 ss.; A. Poggi, op. cit., pag. 82 ss. In
particolare, ciò appare evidente in relazione all’utilizzazione da parte dei servizi dei
mezzi e delle infrastrutture di altre amministrazioni dello Stato (art. 7, terzo comma,
della legge n. 801/1977), o alla decisione sulla ripartizione dei fondi destinati ai
servizi stessi (art. 19 della legge n. 801/1977).
49 Si veda, in particolare, l’art. 5, secondo comma, lett. g) della legge n. 400/1988.
50 Cfr. l’art. 11, secondo, terzo, quarto e quinto comma, della legge n. 801/1977:
114
ad una progressiva marginalizzazione del CIIS, unica affermazione, in
tale particolare settore, di una qualche (seppur debole) forma di
collegialità.
Alla luce di tutto ciò, si è sottolineata la forte atipicità di tale
modello istituzionale ed organizzativo, affermando l’esistenza di “un
capitolo nuovo della distribuzione delle funzioni tra gli organi di
governo, certamente in gran parte dovuta al conferimento al Primo
ministro di nuove attribuzioni di tipo ministeriale”.51
Dal punto di vista operativo, infine, si impongono alcune
considerazioni generali. La scelta del legislatore del 1977, infatti,
sembrava essere ispirata a due criteri di fondo: a) da un lato
l’attenzione ad una netta distinzione tra attività dei servizi ed attività
della polizia di sicurezza; b) dall’altro la sostanziale accettazione di una
particolare commistione tra compiti informativi in senso stretto e
compiti operativi connessi alla tutela della sicurezza esterna e
interna.52
Dal primo punto di vista, appaiono evidenti le disposizioni che
vietavano ai funzionari dei servizi l’acquisizione, o il mantenimento
della qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria; ma anche la
disciplina relativa all’obbligo di rapporto esclusivamente riferito ai
Direttori dei servizi ed al connesso possibile ritardo di denuncia di
possibili fatti penalmente rilevanti.53
op. cit., pag. 128. Da ultimo, sul punto, si veda anche A. Massera, C. Mosca, op. cit.,
in particolare pag. 524 ss.
52 Sul punto, da ultimo, si vedano le osservazioni di A. Poggi, op. cit., pagg. 87-88,
801/1977: “In deroga alle ordinarie disposizioni, gli appartenenti ai Servizi hanno
l’obbligo di fare rapporto, tramite i loro superiori, esclusivamente ai direttori dei
Servizi, che ne riferiscono rispettivamente al Ministro per la difesa e al Ministro per
115
Dal secondo punto di vista, invece, devono essere sottolineate
in particolare le disposizioni che delineavano le attribuzioni, rispettive,
di SISMI e SISDE. In entrambi i casi, infatti, la legge parlava
espressamente di “tutti i compiti informativi e di sicurezza”, motivo
per cui si è posto con forza il già citato problema dei rapporti, sul
piano interno, con l’amministrazione di pubblica sicurezza (in un
contesto, si ricordi, in cui invece non risultava formalmente esclusa la
possibilità per i funzionari dei servizi di ricoprire la qualifica di
ufficiale o agente di pubblica sicurezza).
Nel complesso, come in parte già anticipato, la legge del 1977
sembrava voler fare dei servizi di informazione il principale centro
operativo in materia di sicurezza nazionale, tanto da attribuire a dette
strutture il monopolio delle relative attività (forse nella
consapevolezza dei rischi connessi ad un’eccessiva frammentazione di
tali delicate funzioni, anche alla luce delle difficili esperienze del
SIFAR e del SID).54
In ogni caso la difficoltà di una netta distinzione tra gli ambiti
di intervento dell’amministrazione di pubblica sicurezza e dei servizi
di informazione è apparsa ancora più evidente di fronte a fenomeni
116
(come il terrorismo, con particolare riferimento a quello
internazionale, o la criminalità organizzata) che minano alle basi la
convivenza civile del’ordinamento democratico repubblicano, fino a
compromettere la stessa sicurezza nazionale.
Per questo, come noto, una serie di successivi interventi
normativi ha riconosciuto un coinvolgimento diretto dei servizi
nell’ambito delle politiche di ordine pubblico, anche se limitatamente
al terrorismo e alla criminalità organizzata.55 Con ciò, però,
aumentando inevitabilmente i rischi di sovrapposizione tra i due
ambiti.
Si ricordano, in questo senso, la legge n. 410/1991, istitutiva
del Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata
(presieduto dal Ministro degli interni e composto, tra gli altri, anche
dai Direttori dei servizi). In base a tale provvedimento legislativo,
infatti, spetta ai servizi di informazione, nell’ambito delle rispettive
competenze, “svolgere attività informativa e di sicurezza da ogni
pericolo o forma di eversione dei gruppi criminali organizzati che
minacciano le istituzioni e lo sviluppo della civile convivenza”, anche
se con un obbligo di comunicazione delle informazioni sulla
117
criminalità organizzata di tipo mafioso nei confronti
dell’amministrazione di pubblica sicurezza. 56
Ma si veda, da ultimo, anche la recente legge n. 155/2005, che
ha esteso la possibilità di attivare alcuni strumenti polizieschi di
prevenzione (con particolare riferimento al regime delle c.d.
intercettazioni preventive) anche ai servizi di informazione, pur sulla
base di una specifica autorizzazione del Procuratore generale della
Repubblica, ai fini della “prevenzione di attività terroristiche o di
eversione dell’ordinamento costituzionale o del crimine organizzato di
stampo mafioso”.57
118
servizi di informazione e della disciplina del segreto di Stato.
Significative, in ogni caso, appaiono alcune novità.
In via generale, e di prima approssimazione, i punti principali
della legge di riforma possono essere così riassunti: a) conferma del
ruolo centrale del vertice dell’Esecutivo, cui adesso viene affiancato
un apposito Dipartimento presso la Presidenza del consiglio (DIS); 2)
mantenimento del c.d. doppio binario, attraverso la previsione di due
servizi con competenze relative, rispettivamente, alla sicurezza esterna
(AISE) ed interna (AISI); 3) specifica disciplina dello status degli
appartenenti al sistema di informazione per la sicurezza, con la
previsione di apposite garanzie funzionali; 4) tendenziale
rafforzamento del sistema dei controlli.
Dal punto di vista organizzativo, viene confermato (ed
ulteriormente accentuato) il ruolo centrale del Presidente del
consiglio, cui adesso spetta in via esclusiva “l’alta direzione e la
responsabilità generale della politica dell’informazione per la
sicurezza, nell’interesse e per la difesa della Repubblica e delle
istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo
fondamento”.59 Per fare questo, in sostituzione del CESIS, viene oggi
formalmente istituito un apposito Dipartimento presso la Presidenza
del consiglio (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, DIS),
mentre il ruolo di consulenza e proposta prima riconosciuto al CIIS, è
ora riconosciuto al Comitato interministeriale per la sicurezza della
Repubblica (CISR).60
59 Cfr. l’art. 1 della legge n. 124/2007, il quale stabilisce anche che il Presidente del
Consiglio dei ministri provvede al coordinamento delle politiche dell’informazione
per la sicurezza, impartisce le direttive e, sentito il Comitato interministeriale per la
sicurezza della Repubblica, emana ogni disposizione necessaria per l’organizzazione
e il funzionamento del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”.
60 Cfr. l’art. 5, terzo, quarto e quinto comma, della legge n. 124/2007: “Il Comitato
119
La maggiore complessità del sistema di informazione per la
sicurezza delineato dalla legge di riforma comporta, in generale, un
corrispettivo aumento delle attribuzioni del Presidente del consiglio,
con particolare riferimento ai poteri di nomina, di determinazione
dell’ammontare delle risorse annualmente disponibili nonché, più in
generale, di regolamentazione connessa alla complessa organizzazione
di informazione per la sicurezza.
A conferma di tale sostanziale stabilizzazione del ruolo
centrale del Presidente del consiglio, infatti, stanno non solo la
creazione di un apposito Dipartimento con funzioni di
coordinamento, promozione e controllo del sistema di informazione,
ma anche il venir meno di qualsiasi forma di dipendenza delle nuove
Agenzie dai rispettivi ministri di settore.61
Ciò, come è stato subito sottolineato, comporta una
complessiva marginalizzazione dei Ministri dell’interno e della difesa,
il cui ruolo risultava già fortemente ridotto sotto la vigenza della
precedente normativa.62 Viene inoltre esplicitata la possibilità (già
affermatasi in via di prassi, e sulla base dell’art. 10 della legge n.
400/1988)63 di istituire un’apposita Autorità delegata, per lo
svolgimento dei compiti assegnati dalla legge al Presidente del
consiglio in via non esclusiva.64
61 In base agli artt. 6, quinto comma, e 7, quinto comma, della legge n. 124/2007,
del sistema di informazione per la sicurezza alla luce della riforma del 2007, si
rimanda a M. Valentini, L’ordinamento del sistema politico dell’informazione per la sicurezza,
in C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, op. cit., in particolare pag.
40 ss.
63 Che prevede, come noto, la possibilità di nominare anche uno o più
Consiglio dei ministri, ove lo ritenga opportuno, può delegare le funzioni che non
sono ad esso attribuite in via esclusiva soltanto ad un Ministro senza portafoglio o
ad un Sottosegretario di Stato, di seguito denominati Autorità delegata”.
120
Per quanto riguarda i servizi, vengono istituite le già citate
Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e Agenzia
informazioni e sicurezza interna (AISI). Alla prima, in particolare, “è
affidato il compito di ricercare ed elaborare nei settori di competenza
tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e
della sicurezza della Repubblica, anche in attuazione di accordi
internazionali, dalle minacce provenienti dall’estero”.65 Alla seconda,
invece, “è affidato il compito di ricercare ed elaborare nei settori di
competenza tutte le informazioni utili a difendere, anche in attuazione
di accordi internazionali, la sicurezza interna della Repubblica e le
istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento
da ogni minaccia, da ogni attività eversiva e da ogni forma di
aggressione criminale o terroristica”.66
Appare subito evidente come la nuova formulazione dei
rapporti tra servizi di informazione per la sicurezza esterna ed interna
non si fondi più esclusivamente sul piano degli interessi alla cui tutela
l’attività di informazione è preordinata (diesa militare e sicurezza
nazionale, nel primo caso; sicurezza interna contro attività eversive,
criminali o terroristiche, nel secondo); ma attenga in qualche modo
anche dalla provenienza della minaccia alla sicurezza (esterna, nel
primo caso; interna, nel secondo).
E’, infatti, stabilito che entrambe le Agenzie non possano
svolgere attività, rispettivamente, all’interno o all’esterno del territorio
nazionale, se non strettamente funzionali ai propri compiti
istituzionali, in stretta collaborazione tra loro e con la supervisione del
65 Cfr. l’art. 6 della legge n. 124/2007. Secondo tale disposizione “spettano all’AISE
[…] le attività in materia di controproliferazione concernenti i materiali strategici,
nonché le attività di informazione per la sicurezza, che si svolgono al di fuori del
territorio nazionale, a protezione degli interessi politici, militari, economici,
scientifici e industriali dell’Italia. È’, altresì, compito dell’AISE individuare e
contrastare al di fuori del territorio nazionale le attività di spionaggio dirette contro
l’Italia e le attività volte a danneggiare gli interessi nazionali”.
66 Cfr. l’art. 7 della legge n. 124/2007. Secondo tale disposizione “spettano all’AISI
121
DIS. In ogni caso, a prescindere dall’ambiguità che caratterizza alcuni
compiti informativi comuni a entrambe le Agenzie,67 appare
necessario mantenere fermo, in primis, il differente ambito operativo
dal punto di vista funzionale, ancora evidenziato dagli artt. 6 e 7 della
legge n. 124/2007.
Sul piano delle attività previste, pur nella sintomatica volontà
di passare dalla disciplina di servizi di informazione e di sicurezza68 a
quella di servizi di informazione per la sicurezza (che sembrerebbe
voler affermare la natura essenzialmente informativa e strumentale
delle attività delle due nuove Agenzie), vengono espressamente
previsti anche compiti di natura operativa (come, ad es., il
controspionaggio e la contro proliferazione di materiali strategici).
Ciò, in particolare, appare evidente se solo si pensa, da un lato,
a tutta la serie di garanzie specifiche ora previste in relazione a
determinate attività dei servizi (le c.d. garanzie funzionali)69 ma,
soprattutto, all’espressa previsione, accanto al divieto di rivestire la
qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria, dell’eccezionale
possibilità di rivestire la qualifica di agente o ufficiale di pubblica
sicurezza, con particolare riferimento ai poteri di prevenzione).70
Tutto questo, a ben vedere, invece di chiarire uno degli aspetti
maggiormente controversi del precedente assetto, rischia di
istituzionalizzare definitivamente i già citati profili di sovrapposizione
67 Sottolinea, in particolare, tale aspetto P. Bonetti, op. ult. cit., pag. 261 ss., e in
particolare pag. 265-268.
68 Secondo la dizione propria delle legge n. 801/1977, che parlava espressamene di
122
tra attività di informazione per la sicurezza interna e tradizionali poteri
di polizia,71 in una sorta di anomala rincorsa e allineamento delle
relative discipline legislative.72
In questo senso, inoltre, vanno lette anche le disposizioni che,
sulla scia di quanto già previsto dalla legge del 1977, consentono ai
Direttori delle Agenzie, su autorizzazione del Presidente del consiglio,
di ritardare la denuncia di fatti penalmente rilevanti.73 In ogni caso, al
fine di non sovrapporre attività la cui natura appare in via generale
sostanzialmente differente, l’ambito operativo di intervento dei servizi
di informazione per la sicurezza sembra poter essere delineato
essenzialmente da un punto di vista funzionale, nel senso che solo ad
essi spetta svolgere le prescritte attività al fine di tutelare, come si è
visto e nel senso già specificato, la sicurezza dello Stato; laddove,
gli altri soggetti, in C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, op. cit., pag.
287 ss., il quale afferma che “potrebbe […] ritenersi che il legislatore abbia voluto,
sia pure in maniera non puntuale, introdurre una distinzione all’interno del
complesso delle attività demandate agli organismi di informazione e di sicurezza
tesa a separare le attività che hanno una finalizzazione più marcatamente preventiva
di atti diretti a tutelare la sicurezza dello Stato ovvero le capacità degli stessi
organismi, da quelle […] finalizzate a mettere a disposizione delle’Esecutivo più
approfonditi elementi cognitivi per l’esercizio della funzione di governo”. Lo stesso
Autore, però, definisce “alquanto labile” tale distinzione.
72 Oltre ai casi già citati in precedenza (legge n. 410/1991 e legge n. 155/2005) in
123
invece, alle forze di polizia spettano le ordinarie attività di
prevenzione rispetto al compimento di condotte di reato.
Tuttavia, ancora una volta, la complessità e l’estensione di
alcune aggressioni criminali (come, ad esempio, in relazione al
terrorismo internazionale) rendono a volte mobile tale confine (che
pure, in ogni caso, deve esistere).
Per concludere, si potrebbe quindi dire che, preso atto che
l’interpretazione dell’attività dei servizi quale attività esclusivamente
informativa e di carattere strumentale rispetto agli apparati preventivi
e repressivi dello Stato appare, a prescindere dai fatti, smentita (seppur
con evidenti limitazioni) dallo stesso legislatore, non resta che
sottolineare ancora una volta le particolari finalità che
contraddistinguono l’attività dei servizi rispetto alle attività
informative svolte dalle forze di polizia.
Da ultimo, infine, una differenza sostanziale sembra cogliersi
anche attraverso la lettura delle particolari modalità operative oggi
ricondotte all’attività dei servizi, e che ne rappresentano un esclusivo
modus operandi.74 Ma, in quanto dato connesso a concrete modalità
operative, risulta essere una conseguenza delle differenti finalità, più
che un elemento utile per ricostruirne i confini.
In ogni caso, la peculiarità degli interessi tutelati dal sistema di
informazione per la sicurezza, nella consapevolezza del legislatore di
aver sostanzialmente ampliato le garanzie operative dei funzionari dei
servizi, ha portato ad un sostanziale irrobustimento del sistema dei
controlli. Ad un’innovativa serie di controlli interni,75 infatti, si
affiancano nuove forme di controllo ad opera del rinnovato Comitato
124
parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR).76 Con
particolare riguardo all’attività dei servizi, infatti, è stabilito in via
generale che esso debba verificare, “in modo sistematico e
continuativo, che l’attività del Sistema di informazione per la sicurezza
si svolga nel rispetto della Costituzione, delle leggi, nell’esclusivo
interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni”.
Più nello specifico, esso svolge il suo controllo attraverso
l’esercizio di poteri conoscitivi assai rilevanti (audizioni, richieste di
atti, accessi e sopralluoghi, controllo della documentazione di spesa);
contemporaneamente, la legge prevede che siano presentate al
COPASIR periodiche relazioni ma anche specifiche comunicazioni
(oltre alla relazione semestrale del Governo si ricorda, in particolare,
la comunicazione delle operazioni regolarmente autorizzate in
relazione a condotte astrattamente configurabili come reato). Infine,
non mancano funzioni consultive, come quelle relative all’adozione
dei regolamenti concernenti l’organizzazione del DIS e delle
Agenzie.77
In ogni caso, come è stato sottolineato, emerge con evidenza
un punto di debolezza nell’ambito del complessivo rafforzamento del
sistema dei controlli parlamentari. In alcune rilevanti occasioni, infatti,
il coinvolgimento del Comitato è esclusivamente successivo (e non
preventivo), circostanza che depotenzia comunque significativamente
il suo intervento,78 che può solo manifestarsi con un’eventuale
relazione al Parlamento affinché prenda le opportune decisioni. Ciò,
non a caso, avviene in materia di gestione finanziaria e di garanzie
funzionali, i punti forse maggiormente delicati dell’attuale disciplina
legislativa.
125
5. Attività di intelligence e diritti fondamentali. La disciplina delle garanzie
funzionali
79 Si tratta, in primis, dei conflitti tra Presidente del consiglio e Procura della
Repubblica e Ufficio Gip del Tribunale Bologna (relativi ad alcune operazioni
svolte da funzionari del SISDE al centro di indagine), che hanno visto ben tre
interventi della Corte costituzionale (sentt. nn. 110/1998; 410/1998; 487/2000).
Più recentemente, invece, si segnalano i diversi ricorsi del Governo, della Procura
della Repubblica dell’Ufficio Gip del Tribunale di Milano, in merito al caso Abu
Omar, deciso con la sent. n. 106/2009, e che ha coinvolto direttamente i vertici del
126
Ebbene, in tutte le vicende citate il nocciolo del problema era,
ed è, rappresentato essenzialmente dall’assenza di una disciplina in
merito alle c.d. garanzie funzionali da riconoscere agli appartenenti ai
servizi, al fine di garantire un efficace perseguimento delle loro
peculiari finalità di raccolta ed analisi di informazioni indispensabili a
garantire la sicurezza nazionale.
Nell’ambito di tali attività, infatti, può essere necessario
compiere azioni formalmente illegali (ad es. una violazione di
domicilio, un’intercettazione telefonica o una falsificazione
documentale), ma esclusivamente finalizzate alla raccolta di
informazioni per la sicurezza nazionale e, quindi, potenzialmente
legittime alla luce di un’operazione di bilanciamento dei diversi
interessi costituzionali in gioco (tutela dei diritti e sicurezza nazionale).
Del resto, come abbiamo già ricordato, le attività sotto
copertura non sono affatto sconosciute nell’ambito delle operazioni di
polizia giudiziaria, e possono comportare, come noto, la violazione di
norme penali da parte degli operatori delle forze dell’ordine. Il punto,
allora, è delineare in modo chiaro i presupposti, le procedure, i limiti
ed i controlli connessi a tali particolarissime operazioni.
Tale esigenza, che nell’ambito delle operazioni di polizia
giudiziaria vede nel controllo giurisdizionale una delle sue principali
garanzie, appare ancora più evidente in relazione alle attività dei
servizi di informazione per la sicurezza, che svolgono attività
tradizionalmente sottratte a forme di autorizzazione o controllo di
tipo giurisdizionale, mentre risultano coordinate e dirette a livello
esclusivamente politico.
Dunque, per quanto riguarda i servizi, si pone con forza non
solo la necessità di un’esatta indicazione dei presupposti, delle
modalità operative e dei limiti di tali operazioni speciali, ma anche la
predisposizione di adeguate forme di controllo per valutare eventuali
responsabilità rispetto ad azioni illegittime (anche attraverso la
previsione di penetranti poteri ispettivi di apposite autorità di
controllo, non solo nell’ambito parlamentare).
127
In questo senso, tra l’altro, sembra andare anche l’esperienza
comparata,80 non prevedendo comunque alcun ordinamento
contemporaneo una sorta di generale “autorizzazione a delinquere”
per gli appartenenti ai servizi. Solo per limitarsi ad alcuni accenni, la
legislazione tedesca del 197881 e quella britannica del 1994,82 ad
esempio, prevedono la possibilità, per gli appartenenti ai servizi di
informazione e di sicurezza di compiere intercettazioni (nel caso
inglese anche perquisizioni domiciliari) senza la previa autorizzazione
da parte dell’autorità giudiziaria, ma i presupposti delle speciali
autorizzazioni sono posti sotto il controllo di appositi organi
indipendenti (nel primo caso di estrazione parlamentare, nel secondo
anche di estrazione giudiziaria).
Anche l’ordinamento statunitense stabilisce chiaramente
l’impossibilità di una violazione della Costituzione o delle leggi
federali nell’ambito delle attività dei servizi di informazione.83 Tale
divieto è poi corredato da un penetrante controllo politico da parte
degli appositi Committee on intelligence, insediati nel 1976-1977 sull’onda
delle vicende connesse allo scandalo Watergate, non solo dal punto di
vista più generale dell’assegnazione e dell’utilizzo dei fondi necessari,
ma anche in merito alle singole attività sotto copertura (covert actions).
Successivamente all’adozione del c.d. Intelligence Oversight Act
del 1991,84 attualmente esse devono essere espressamente autorizzate
per iscritto da parte del Presidente, non essendo possibili
autorizzazioni successive all’avvio delle attività o connesse ad attività
illegali. L’autorizzazione, inoltre, deve essere immediatamente
comunicata ai Comitati parlamentari (anche al fine del relativo
80 Per un’analisi delle discipline concernenti l’attività dei servizi di informazione nei
diversi ordinamenti europei, da ultimo, si veda J.P. Brodeur, P. Gill, D. Töllborg
(edited by), Democracy, law and security. Internal security services in contemporary Europe,
Ashgate, 2003. Sul punto sia consentito rinviare anche a T.F. Giupponi, Stato di
diritto e attività di intelligence: gli interrogativi del caso Abu Omar, in Quaderni costituzionali,
2006, pag. 810 ss.
81 Cfr. l’art. 1, terzo comma, del Gesetz über die parlametarische Kontrolle
128
finanziamento); è però previsto che, in casi di straordinaria necessità,
tale comunicazione possa essere ritardata, anche se deve essere
inoltrata comunque in modo tempestivo (in a timely fashion).
Certo, in base al Foreign Intelligence Surveillance Act del 1978,85 il
Presidente, tramite il procuratore generale, può autorizzare i servizi di
informazione ad attuare intercettazioni e perquisizioni, al di fuori delle
ordinarie garanzie giudiziarie; in ogni caso, però, tali attività di
intelligence devono essere autorizzate da un’apposita istanza
giurisdizionale (FISA Court), mentre la violazione delle norme in
questione comporta sanzioni penali, nonché limitate forme di
responsabilità civile nei confronti dei terzi. Delle iniziative deve essere
data periodica comunicazione ai citati Comitati parlamentari di
controllo.
La legislazione antiterrorismo varata successivamente all’11
settembre 2001, come già ricordato, ha portato ad un complessivo
ampliamento dei poteri investigativi e di intelligence, spesso con una
compressione dei diritti dei singoli individui.86
In particolare, negli Stati Uniti, l’attivazione dei poteri di guerra
del Presidente, autorizzata dal Congresso, ha portato alla costruzione
di uno stato giuridico d’eccezione sotto diversi profili incompatibile
con il dettato della Costituzione USA (si pensi al concetto di nemici
combattenti, alla vicenda di Guantanamo e alle garanzie dell’habeas
corpus, ai procedimenti giudiziari speciali, fino alle recenti ammissioni
di un massiccio programma di intercettazioni segrete e dell’esistenza
di carceri della CIA al di fuori del territorio federale).
All’interno di tale contesto vanno dunque lette anche le
extraordinary renditions attuate dalla CIA, compresa quella di Abu Omar.
Ebbene, al di là delle reazioni dell’opinione pubblica e del Congresso,
spesso tenuto all’oscuro o informato parzialmente e in ritardo, la
Corte Suprema degli Stati Uniti, come abbiamo già visto, ha dichiarato
l’incostituzionalità sotto diversi profili di tale regime d’eccezione, a
dimostrazione che anche le più pressanti ragioni di sicurezza nazionale
non possono comportare la totale compressione dei diritti
129
costituzionalmente previsti e l’eliminazione dei poteri di controllo del
Congresso.87
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, sul punto, da
ultimo, è intervenuta la legge n. 124/2007, la quale ha dettato una
disciplina articolata in materia di garanzie funzionali, anche se non
priva di difficoltà applicative. Attualmente, infatti, è prevista
espressamente una speciale causa di giustificazione, in base alla quale
non risultano perseguibili gli agenti che abbiano posto in essere
condotte previste dalla legge come reato, specificamente autorizzate
dal Presidente del consiglio e indispensabili e proporzionate in
relazione agli obiettivi istituzionali dei servizi di informazione per la
sicurezza.88
Alla luce di tale disposizione, in ogni caso, “la speciale causa di
giustificazione […] non si applica se la condotta prevista dalla legge
come reato configura delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la
vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la
libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone”, nonché
in relazione a fatti di terrorismo o eversivi dell’ordine costituzionale
(con l’eccezione della sola partecipazione ad associazioni terroristiche,
eversive o di stampo mafioso).89
87 Sul punto, tra gli altri, si veda C. Bologna, Hamdan vs. Rumsfeld: quando la tutela dei
diritti è effetto della separazione dei poteri, in Quaderni costituzionali, 2006, pag. 813 ss.
88 Si veda, in particolare, l’art. 17 della legge n. 124/2007: “Fermo quanto disposto
dell’ordine costituzionale” nella legge n. 801 del 1977 e nella legge n. 124 del 2007, in G.
Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Il diritto costituzionale come regola e limite
al potere. Scritti in onore di Lorenza Carlassare, III, Napoli, 2009, pag. 1099 ss.; P. Pisa,
Le garanzie funzionali per gli appartenenti ai servizi segreti. Il commento, in Diritto penale e
processo, 2007, pag. 1431 ss.; P. Bonetti, Profili costituzionali delle garanzie funzionali per
gli agenti dei Servizi di informazione per la sicurezza, in Percorsi costituzionali, 2008, pag. 45
ss.; nonché i commenti di F. Marenghi, V. Caccamo, E. Marzaduri in L. 3.8.2007 n.
124 – Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto di
Stato, in Legislazione penale, 2008, pag. 716 ss.
130
Il procedimento prevede che, su “circostanziata” richiesta dei
Direttori dei servizi, il Presidente del consiglio (o l’Autorità delegata,
se istituita), conceda le prescritte autorizzazioni a compiere le
condotte previste dalla legge come reato e le operazioni di cui esse
sono parte. In caso di assoluta urgenza, una provvisoria
autorizzazione è concessa dagli stessi Direttori, salvo ratifica del
Presidente del consiglio entro il termine di dieci giorni.90
In ogni caso, l’operatività della speciale causa di giustificazione
è connessa al rispetto di tre specifiche condizioni: a) deve trattarsi di
condotte poste in essere nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali
dei servizi di informazione per la sicurezza, in attuazione di
un’operazione autorizzata e documentata; b) devono risultare come
indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi
dell’operazione, non altrimenti perseguibili; c) devono essere frutto di
un’obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati
coinvolti, comportando il minor danno possibile per gli interessi lesi.91
Fuori da tali casi, e in assenza di tali presupposti, il Presidente
del consiglio non deve autorizzare alcun tipo di operazione, e deve
fare denuncia all’autorità giudiziaria di ogni eventuale sviamento
rispetto ad autorizzazioni precedentemente rilasciate (che possono in
ogni caso essere sempre revocate, anche se su richiesta dei Direttori
dei servizi).
Come appare evidente, il legislatore ha optato per una
disciplina, per così dire, in negativo delle condotte eventualmente
autorizzabili da parte del Presidente del consiglio, escludendo
determinate categorie di reati. Maggiormente chiara, invece, sarebbe
stata la scelta dell’indicazione, in positivo, delle singole condotte
astrattamente autorizzabili (come, tra l’altro, dimostra anche
l’esperienza comparata).
Ciò, infatti, avrebbe consentito di valutare esattamente la
portata delle azioni illegali ipotizzate e la loro reale connessione alle
131
finalità informative per la sicurezza nazionale.92 Di fatto, l’unico
riferimento, in positivo, a specifiche condotte strettamente collegate
alle attività informative si rinviene in materia di identità di copertura o
di attività economiche simulate (al di fuori, però, della disciplina sulle
garanzie funzionali in senso stretto).93
Quanto al procedimento di autorizzazione, esso si svolge tutto
all’interno dell’organizzazione informativa per la sicurezza. Il
coinvolgimento del COPASIR, come abbiamo già anticipato, è,
infatti, solamente successivo, circostanza che vieta ogni possibile
valutazione preventiva sulle finalità dell’azione e sulla sua
riconduzione ai fini istituzionali dei servizi.94
Coerente con tale impianto è la già sottolineata previsione di
sanzioni di natura essenzialmente politica in caso di riscontro di
attività irregolari o illegittime da parte degli appartenenti ai servizi di
sicurezza. In questo caso, infatti, si prevede che il COPASIR debba
solo informare il Presidente del Consiglio dei ministri e riferire ai
Presidenti delle Camere.95
In merito al procedimento di autorizzazione, in realtà, risulta
un’incongruenza all’interno della stessa legge, laddove si richiamano
soluzioni differenti a seconda che le condotte riguardino
intercettazioni di comunicazioni o altre attività potenzialmente
costituenti reato, pur incidenti su diritti fondamentali della persona.96
Nel primo caso, infatti, è previsto il già citato coinvolgimento del
Procuratore generale della Repubblica, che deve autorizzare le
Consiglio dei ministri informa il Comitato circa le operazioni condotte dai servizi di
informazione per la sicurezza nelle quali siano state poste in essere condotte
previste dalla legge come reato, autorizzate ai sensi dell’articolo 18 della presente
legge e dell’articolo 4 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con
modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155. Le informazioni sono inviate al
Comitato entro trenta giorni dalla data di conclusione delle operazioni”.
95 Cfr. l’art. 34 della legge n. 124/2007.
96 Sul punto, da ultimo, si vedano le osservazioni di P. Bonetti, Aspetti costituzionali
del nuovo sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, cit., in particolare pag.
305.
132
intercettazioni,97 mentre nulla si dice nel caso, ad esempio, di una
violazione domiciliare (che quindi rientra nella disciplina generale
connessa alle garanzie funzionali).
In entrambi i casi, però, si verte in materia di diritti
fondamentali per i quali la Costituzione prevede il necessario
intervento dell’autorità giudiziaria (anche se, per quanto riguarda il
domicilio, eventualmente anche in sede di successiva convalida). Il
coinvolgimento di soggetti estranei all’apparato dei servizi in una fase
sostanzialmente operativa, però, comporta inevitabilmente il rischio di
una rivelazione anticipata di attività assai delicate, compromettendone
il buon esito.
Dunque piuttosto che coinvolgere direttamente la
magistratura, sarebbe stato più coerente con la tutela dei complessivi
interessi in gioco la previsione di un intervento preventivo di un
apposito organo ad hoc, di estrazione giurisdizionale e di natura
indipendente, in grado di valutare riservatamente la corrispondenza
delle condotte proposte alle legittime previsioni di legge (in questo,
ancora una volta, accogliendo un suggerimento che viene dal diritto
comparato).
Ciò, a ben vedere, avrebbe garantito non solo il rispetto della
riserva di giurisdizione costituzionalmente prevista (che, come si è
cercato di motivare, non significa sempre riserva di processo), ma
anche l’efficacia e il buon esito delle operazioni speciali autorizzate.
Perplessità, infine, sorgono anche in relazione ai rapporti con
la magistratura e alla rilevanza della peculiare causa di giustificazione. 98
Qualora sorga un procedimento penale inerente alle condotte
autorizzate, è, infatti, previsto che il Direttore del servizio interessato
opponga all’autorità giudiziaria l’esistenza della speciale causa di
giustificazione. A sua volta, l’autorità giudiziaria propone interpello al
Presidente del consiglio, per ottenere la conferma dell’esistenza della
specifica autorizzazione, il quale si pronuncia entro dieci giorni.
In caso di conferma, l’autorità giudiziaria pronuncia il non
luogo a procedere o l’assoluzione dei soggetti incriminati, ferma
133
restando la possibilità di ricorso alla Corte costituzionale in sede di
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Una procedura più
contratta è prevista in caso di arresto in flagranza o di esecuzione di
una misura cautelare nei confronti di un agente dei servizi che
eccepisca personalmente la speciale causa di giustificazione.99
Appare dunque evidente, in questo senso, l’estensione a tale
particolare procedura dello schema applicabile alle controversie in
materia di opposizione del segreto di Stato, prima affermatosi in via
giurisprudenziale e oggi codificato dalla stessa legislazione in
materia.100
134
rischia ancora una volta di portare ad una sovrapposizione
(quantomeno procedurale) tra i due diversi ambiti.
Tali disposizioni, come appare evidente, rappresentano
comunque il tentativo di un bilanciamento dei differenti interessi
costituzionali in gioco: da un lato, la sicurezza della Repubblica;
dall’altro, l’obbligatorietà dell’azione penale connessa all’esercizio
indipendente della funzione giudiziaria (a garanzia e tutela dei diritti
fondamentali).
Tale bilanciamento, operato in via generale dal legislatore,
risulta sottoposto al controllo della Corte costituzionale sotto un
duplice profilo: innanzitutto, da un punto di vista più generale, in
relazione all’eventuale giudizio di costituzionalità sulla stessa disciplina
legislativa; poi, da un punto di vista più puntuale e circoscritto, in
occasione di eventuali conflitti di attribuzione tra l’autorità giudiziaria
e il Presidente del consiglio, finalizzati a valutare in concreto la
rispondenza di specifiche condotte operative al nostro assetto
costituzionale.
Quale, però, il concreto ruolo della Corte in tale ipotesi? Se,
infatti, è indubbio che anche la scelta di autorizzare eventuali condotte
criminose al fine di acquisire informazioni utili alla sicurezza interna
ed esterna della Repubblica è radicata in capo al vertice dell’esecutivo
proprio per la sua natura squisitamente politica, il controllo della
Corte dovrà comunque verificare se, proceduralmente e
sostanzialmente, siano stati rispettati i limiti previsti dalla legislazione
di attuazione. Un controllo, quindi, che non potrà mai estendersi a
valutare il merito politico della scelta di autorizzare una determinata
condotta delittuosa, ma che, nel momento in cui voglia verificare il
rispetto dei citati limiti legislativamente previsti, come ad esempio
l’indispensabilità e proporzionalità delle condotte autorizzate, rischia
comunque di invadere il campo più squisitamente politico del
controllo devoluto al COPASIR. Dunque, a ben vedere, un ruolo
molto delicato, stretto tra la qualificazione del fatto di reato al centro
di indagini (rimessa alla libera determinazione dell’autorità giudiziaria
procedente) e la valutazione della presenza dei presupposti
legittimanti la scelta del provvedimento di autorizzazione (rimessa alla
valutazione politica del Presidente del consiglio).
135
Dall’analisi della connessa giurisprudenza costituzionale in
materia di segreto di Stato, emerge in ogni caso un primo dato
generale: la maggiore frequenza del ricorso allo strumento del
conflitto di attribuzione101 rispetto all’eventuale giudizio di legittimità
delle leggi.102 Solo il primo, infatti, decide caso per caso il rispetto
delle reciproche attribuzioni tra potere politico e autorità
giurisdizionale, dimostrando quindi una maggiore duttilità e flessibilità
rispetto al secondo.
Coerentemente con tali premesse, dopo le prime decisioni
della seconda metà degli anni ‘70 la Corte costituzionale è stata
chiamata ad esprimersi quasi esclusivamente in relazione a conflitti di
attribuzione. Tuttavia, la consapevolezza di intervenire in un settore
particolarmente delicato, in cui le ragioni dello Stato di diritto trovano
un limite nelle esigenze di sicurezza nazionale, ha spinto il Giudice
delle leggi ad assumere un atteggiamento piuttosto cauto. Questo alla
luce della considerazione che le decisioni in materia sono espressione
di una valutazione ampiamente discrezionale, volta alla tutela del
supremo interesse dell’integrità dello Stato, e che proprio per questo
devono essere il frutto di decisioni politiche al massimo livello,
nell’ambito del raccordo Governo-Parlamento.
Se questo è vero, allora, si capisce l’affermazione in base alla
quale la Corte ritiene di non potersi comunque sostituire “al
legislatore, operando, in concreto e di volta in volta, senza alcuna base
legislativa, valutazioni di merito attinenti al bilanciamento tra i beni
costituzionali sottostanti, rispettivamente, alle esigenze di tutela del
segreto e di salvaguardia dei valori protetti dalle singole fattispecie
incriminatrici”.103 Tuttavia, la Corte ha riconosciuto un ruolo centrale
al principio di leale collaborazione tra poteri, ed esclude nettamente
che le ragioni di sicurezza nazionale tutelate dal segreto possano, di
101 Si ricordano, in questo senso, i conflitti di cui alle ordd. nn. 49/1977, 259/1984,
426/1997, 266/1998, 320/1999, 321/1999, 404/2005, 124/2007, 125/2007,
337/2007, 338/2007, 230/2008 e 425/2008.
102 Cfr. le sentt. nn. 82/1976, 86/1977 e, in qualche modo, 295/2002 (nonché l’ord.
n. 344/2000).
103 Così, in particolare, la sent. n. 110/1998, nel sottolineare ancora una volta la
136
per sé, costituire un generale ed automatico sbarramento all’esercizio
della funzione giurisdizionale.
Secondo il Giudice costituzionale, infatti, di fronte alla
conferma dell’esistenza di un segreto di Stato l’autorità giudiziaria può
proseguire le sue indagini, ma a patto di avere a disposizione ulteriori
elementi di prova, del tutto autonomi e indipendenti dalle fonti di
prova segretate, non potendone trarre ulteriori elementi, né
direttamente né indirettamente. Quanto alla valutazione della
fondatezza o meno dell’opposizione e della successiva conferma del
segreto da parte del Presidente del Consiglio, anche essa appare di
natura essenzialmente politica e, dunque, di competenza delle
Camere.104
Tali specificazioni, in ogni caso, sembrano riferibili
esclusivamente al caso di opposizione e conferma del segreto di Stato,
potendo difficilmente essere estese alla diversa ipotesi di eccezione
dell’esistenza della speciale autorizzazione citata. In questo caso,
infatti, il provvedimento del Presidente del consiglio rappresenta una
vera e propria causa di giustificazione che esclude in radice
l’antigiuridicità della condotta autorizzata, motivo per cui l’autorità
giudiziaria potrà proseguire le sue attività di indagine solamente in
relazione ad eventuali ulteriori condotte, diverse da quelle scriminate
ed estranee all’autorizzazione presidenziale.
Nel complesso, per questi ed altri motivi, la nuova disciplina
legislativa sembra istituzionalizzare un controllo da parte della Corte
costituzionale che, in materia di sicurezza nazionale, appare quanto
mai ambiguo e indefinito. La maggiore articolazione degli interessi che
stanno a fondamento del segreto di Stato, la chiara ricostruzione di
104 Tali principi, in particolare, sono stati affermati in occasione del complesso
conflitto sorto negli anni ‘90 tra la Presidenza del Consiglio e la magistratura
bolognese, che ha visto diversi interventi da parte della Corte costituzionale (cfr., ad
es., le sentt. nn. 110/1998, 410/1998 e 487/2000). Su tali vicende sia consentito un
rinvio a T.F. Giupponi, La Corte costituzionale giudice e “parte” in materia di segreto di
Stato? Le sentt. nn. 110 e 410 del 1998, in Giurisprudenza costituzionale, 1999, pag. 1226
ss.; nonché a T.F. Giupponi, Ancora un conflitto in materia di segreto di Stato: i magistrati
di Bologna “impugnano” e il parametro costituzionale “scivola”, in Giurisprudenza italiana,
2001, pag. 1217 ss. In quella occasione, come noto, lo strumento del segreto era
stato utilizzato, in realtà, al fine di tutelare le attività e l’organizzazione dei servizi di
sicurezza, allora prive di ogni forma di garanzia funzionale.
137
procedure, protagonisti, limiti e responsabilità connessi alla decisione
di segretazione e alle c.d. garanzie funzionali e l’espressa indicazione
che “in nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte
costituzionale” sembrerebbero, infatti, individuare un’istanza di
controllo che non si limita alla verifica dall’esterno del formale
rispetto delle procedure previste, ma affronta il cuore del problema
connesso alla giustificazione costituzionale, ai presupposti legali e al
rispetto dei limiti connessi alle misure volte alla salvaguardia della
sicurezza nazionale.105
Ciò nonostante, la più recente giurisprudenza costituzionale
sembra confermare, ed anzi rafforzare, la già evidenziata tendenza ad
un rigooso self restraint in materia da parte del Giudice dei conflitti. La
sent. n. 106/2009, in particolare, mostra tutte le difficoltà della Corte
costituzionale in tale delicatissimo settore, con affermazioni in parte
contraddittorie con le stesse premesse generali poste.106
Ancora una volta, al centro dei diversi conflitti di attribuzione
tra Governo e magistrati milanesi107 è stato l’utilizzo del segreto di
Stato per tutelare la riservatezza delle modalità operative dei servizi. Il
caso “Abu Omar”, infatti, al di là del delicato tema delle c.d.
105 Come appare confermato anche dalla specificazione che, in caso di conflitto
connesso alle c.d. garanzie funzionali, “la Corte ha pieno accesso agli atti del
procedimento e al provvedimento di autorizzazione del Presidente del consiglio dei
ministri, con le garanzie di segretezza che la Corte stessa stabilisce” (art. 19, ottavo
comma, della legge n. 124/2007). In questo senso, in relazione al segreto di Stato, si
vedano le osservazioni di G. Salvi, Alla Consulta il ruolo di ultimo garante, in Guida al
diritto, n. 40/2007, pag. 85; e di N. Triggiani, Art. 40 - L. 3.8.2007 n. 124 - Sistema di
informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto di Stato, in
Legislazione penale, 2007, pag. 837 ss.
106 Per un primo commento alla decisione, cfr. F. Ramacci, Segreto di Stato, salus rei
publicae e “sbarramento” ai p.m.; A. Anzon, Il segreto di Stato ancora una volta tra Presidente
del Consiglio, autorità giudiziaria e Corte costituzionale; V. Fanchiotti, Il gusto (amaro) del
segreto, tutti in Giurisprudenza costituzionale, 2009, rispettivamente pagg. 1015 ss., 1020
ss. e 1033 ss. Sul punto, si vedano anche le osservazioni di G. Salvi, La Corte e il
segreto di Stato, in Cassazione penale, 2009, pag. 3729 ss.
107 Per una ricostruzione delle vicende all’origine dell’intricata controversia, si veda
M. Perini, Segreto di Stato, avanti con leggerezza: due ordinanze, quattro ricorsi e un probabile
assente, il conflitto fra poteri, in Giur. cost., 2007, pag. 2311 ss.; nonché, volendo, T.F.
Giupponi, Il conflitto tra Governo e Procura di Milano nel caso Abu Omar, in Quaderni
costituzionali, 2007, pag. 384 ss.
138
extraordinary renditions e della loro incompatibilità con il nostro
ordinamento costituzionale,108 ha posto all’attenzione della Corte il
problema dell’allegata apposizione del segreto da parte del Presidente
del consiglio sui rapporti tra servizi di informazione italiani e servizi di
intelligence stranieri.109
Richiamata tutta la propria giurisprudenza in materia, la Corte
conferma che “è escluso […] qualsiasi sindacato sull’an, ma anche sul
quomodo del potere di segretazione, atteso che il giudizio sui mezzi
idonei e necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura
squisitamente politica e, quindi, mentre è connaturale agli organi ed
alle autorità politiche preposte alla sua tutela, certamente non è
consono all’attività del giudice” ordinario.110 A tali nette affermazioni,
i giudici costituzionali accompagnano, però, la significativa
specificazione: “ferme restando le competenze di questa Corte in sede
di conflitto di attribuzioni”. Dunque, un’esclusione che sembrerebbe
limitata alla giurisdizione ordinaria, lasciando invece intatta la
possibilità di una piena esplicazione del diverso giudizio sulle
attribuzioni costituzionali in gioco, che spetta alla sola Corte.
Giunta, però, al cuore della decisione, la Corte si rifiuta di
sindacare le motivazioni degli atti di segretazione governativi adottati
in concreto,111 sostenendo che “il giudizio sui mezzi ritenuti necessari
108 “Questa Corte su un piano generale conviene [...] con le risoluzioni del
Parlamento Europeo circa la illiceità delle c.d. consegne straordinarie, perché
contrarie alle tradizioni costituzionali e ai principi di diritto degli Stati membri
dell’Unione Europea ed integranti specifici reati”. In ogni caso, continuano i giudici
costituzionali, “il segreto di Stato non è stato apposto sul reato di sequestro di
persona, bensì soltanto sulle fonti di prova attinenti a rapporti tra Servizi italiani e
stranieri”, argomento che sembra escludere definitivamente ogni possibile
discussione in merito.
109 Settore, in ogni caso, ancora oggi potenzialmente oggetto di segreto di Stato, in
base al d.p.c.m. dell’8 aprile 2008, con tutti i conseguenti problemi di un’eventuale
sovrapposizione con la diversa disciplina relativa alle c.d. garanzie funzionali, e alla
connessa esigenza di riservatezza.
110 Così la sent. n. 106/2009, nel riprendere alcuni passi della precedente sent. n.
86/1977.
111 Cfr. le note del Presidente del Consiglio dell’11 novembre 2005 e del 26 luglio
2006 (anche in relazione alla precedente direttiva del 30 luglio 1985), nonché, in
particolare, le due successive conferme del segreto opposto in giudizio, adottate
con note del 18 novembre 2008.
139
o soltanto utili a garantire la sicurezza dello Stato spetta al Presidente
del Consiglio dei ministri sotto il controllo del Parlamento”. Tale
giudizio, secondo la Corte, risulterebbe, infatti, una sorta di “sindacato
sulle ragioni della disposta segretazione”, evidentemente non ritenuto
coerente con le funzioni del Giudice delle leggi in sede di conflitto di
attribuzione. Dunque, nessun controllo sulla motivazione dell’atto di
conferma del segreto che miri ad accertare, ad esempio, la
proporzionalità del mezzo rispetto allo scopo, ritenuta una
valutazione di natura essenzialmente politica spettante alle Camere,
tramite il COPASIR. Ciò, si continua, sarebbe confermato anche dal
tenore letterale delle disposizioni della stessa legge n. 124/2007 la
quale, nel riformulare l’art. 202 c.p.p., affermerebbe che “nel conflitto
di attribuzione [...] la Corte è chiamata a valutare la sussistenza o
insussistenza dei presupposti del segreto di Stato ritualmente opposto
e confermato, non già ad esprimere una valutazione di merito sulle
ragioni e sul concreto atteggiarsi della sequenza rappresentata
dall’apposizione/opposizione/conferma del segreto stesso; giudizio
quest’ultimo riservato, [...] in sede politica, al Parlamento”.
Se, però, a detta della stessa Corte compito del conflitto di
attribuzione è quello di valutare la sussistenza o insussistenza anche
dei presupposti del segreto di Stato, tale controllo non può limitarsi ad
una verifica sul piano meramente procedurale, ma deve spingersi a
sindacare, quanto meno, la fondatezza e la legittimità del segreto
stesso. Una conclusione, dunque, che appare non del tutto coerente
con le premesse della stessa Corte costituzionale e che, soprattutto,
riduce il controllo in sede di conflitto di attribuzione ad una sorta di
verifica esterna di regolarità, senza alcun possibile sindacato effettivo
dell’atto di segretazione, dei suoi presupposti fondanti, dei suoi limiti
di legittimità e legalità.
Fuori discussione, naturalmente, ogni possibile valutazione
politica sulle ragioni poste a fondamento dell’atto di segretazione;
tuttavia l’esclusione di ogni possibile giudizio sulle motivazioni
addotte, sull’oggetto della segretazione e sul rispetto dei limiti
sostanziali previsti dalle norme che disciplinano le attribuzioni
costituzionali in materia sembra ridurre a ben poca cosa lo strumento
del conflitto di attribuzione in materia. Con, in più, elementi di
contraddittorietà con le stesse finalità della legge di riforma (per
140
quanto possano valere), che ha espressamente escluso l’opponibilità
del segreto stesso alla Corte costituzionale, evidentemente al fine di
garantire alla stessa l’acquisizione di tutti gli elementi utili ad un
giudizio nel merito sulla legittima conferma del segreto nei confronti
dell’autorità giudiziaria.
Analoghe conclusioni sembra possano essere estese anche al
giudizio della Corte in materia di garanzie funzionali: anche qui,
infatti, il mero riscontro formale e procedurale del rispetto delle
norme in materia non garantirebbe la verifica della legittimità
dell’autorizzazione presidenziale, alla luce dei presupposti e dei limiti
indicati dalla stessa disciplina legislativa.
In conclusione, il giudizio della Corte, così interpretato, lungi
dall’apparire un’espressione di bilanciamento tra i diversi interessi
costituzionali in gioco, sembra limitarsi alla verifica esterna del
rispetto formale delle procedure previste, in ossequio all’autonoma
valutazione governativa e parlamentare di quella che sembra essere
una sorta di political question.
In questo modo, però, non solo rischia di essere affermata
l’evidente preminenza assoluta delle esigenze di sicurezza nazionale su
quelle connesse all’esercizio della funzione giurisdizionale,112 ma il
conflitto di attribuzione appare depotenziato nelle sue tradizionali
funzioni, non potendo giungere la Corte, in quella sede, ad un’esatta
delimitazione delle rispettive sfere di attribuzione costituzionalmente
fondate senza spingersi ad una valutazione del pieno rispetto dei
presupposti legittimanti il ricorso alle misure volte alla tutela della
sicurezza nazionale e dei connessi limiti sostanziali.
Forse, anche in questo caso, ha giocato la sostanziale
sovrapposizione tra disciplina del segreto di Stato e garanzie
funzionali degli agenti dei servizi di informazione. Tuttavia, la
sostanziale estensione di un analogo modello procedimentale anche in
relazione alla speciale causa di giustificazione ora prevista, fino al
giudizio della Corte in sede di conflitto di attribuzioni, rischia di
rendere sostanzialmente uniformi due giudizi che, a rigore,
112 Con buona pace, in sostanza, del principio di leale collaborazione più volte
evocato, come abbiamo visto, dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale
in materia di segreto di Stato.
141
dovrebbero restare distinti, mai potendo ridursi il controllo della
Corte costituzionale ad una sorta di visto di regolarità formale.
142
CAPITOLO TERZO
SICUREZZA E DIRITTI:
TRA AMMINISTRAZIONE E GIURISDIZIONE
1 Per una ricostruzione generale del problema si rimanda, tra gli altri, a E. Gallo
Misure di prevenzione, in Enciclopedia giuridica, XX, Roma, 1996; G. Fiandaca, Misure di
prevenzione (profili sostanziali), in Digesto delle discipline penalistiche, VIII, Torino, 1994,
pag. 108 ss.; R. Guerrini, L. Mazza, S. Riondato, Le misure di prevenzione. Profili
sostanziali e processuali, Padova, 2004; nonché a F. Fiorentin (a cura di), Le misure di
prevenzione, Torino, 2006.
A partire dalla seconda metà del XIX secolo, infatti, le vecchie
fattispecie penali meramente sintomatiche di una supposta condizione
soggettiva di pericolosità sociale (vagabondaggio, oziosità, ecc.),
vengono sostanzialmente eliminate dall’ambito penale, per trovare
collocazione in una specifica legislazione di prevenzione affidata
all’attività di polizia, e finalizzata a controllare (con misure
sostanzialmente afflittive) determinate categorie di persone “sospette”
poste in condizioni di disagio e ai margini della società, in grado di
turbare la pace sociale.
A partire dalle leggi di pubblica sicurezza del 1865 e del 1889,
e fino al r.d. n. 773/1931 (TULPS), si assiste quindi ad uno sviluppo e
ad un consolidamento delle misure di prevenzione, utilizzate in
finzione di vero e proprio ausilio nei confronti del classico strumento
repressivo penale, con un loro massiccio impiego durante il regime
fascista. In questo senso, là dove non arrivava lo strumento penale,
poteva essere utilizzata la misura di polizia.
La legislazione vigente alla data di entrata in vigore della
Costituzione repubblicana era principalmente costituita dalla già citate
disposizioni del TULPS del 1931, e in particolare dagli artt. 157 ss.
(foglio di via, ammonizione, confino), che prevedevano diverse
fattispecie di prevenzione attivabili dall’autorità di polizia nei
confronti delle persone che destassero sospetti o comunque
pericolose per l’ordine e la sicurezza pubblica o per la pubblica
moralità.2
Non è un caso, allora, che la disciplina legislativa vigente in
materia sia stata considerata una delle eredità più pesanti del
precedente ordinamento e che, anche successivamente alla riforma di
cui alla legge n. 1423/956, sia sempre stata discussa la compatibilità
delle misure di prevenzione con i principi codificati nella Costituzione
144
repubblicana del 1948, anche in occasione dei molteplici interventi
della Corte costituzionale.3
L’attenzione della dottrina, in realtà, non ha riguardato le sole
misure di prevenzione in quanto tali, ma si è generalmente estesa ad
una conseguente lettura delle complessive garanzie costituzionali
riconnesse alla libertà personale (anche in relazione alla differente
tutela della libertà di circolazione, ex art. 16 Cost.). Dunque, parlare di
misure di prevenzione vuol dire anche affrontare il problema
dell’esatta configurazione della libertà prevista dall’art. 13 Cost.
Il punto di partenza, come noto, è la constatazione della
mancanza in Costituzione di un espresso riferimento alle misure di
prevenzione. L’analisi del dibattito in Assemblea costituente, come in
parte già anticipato, conferma una generale preoccupazione per gli
strumenti di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e per le connesse
garanzie, mentre scarsa attenzione viene data allo specifico problema
delle misure di prevenzione.4 Il tutto, come abbiamo visto, in
coerenza con la volontà di impedire quello svuotamento delle libertà
che era stata una delle caratteristiche del precedente regime totalitario.
Ciò nonostante, una lettura complessiva di tale dibattito non
consente di dedurre in via definitiva l’opinione del Costituente in
materia di misure di prevenzione; se non altro perché l’unica esplicita
proposta in tal senso formulata non risulta essere stata mai messa ai
voti,5 mentre forti ambiguità appaiono in materia di fermo di polizia
di sicurezza (poi non espressamente previsto), tra i sostenitori di una
sua configurazione esclusivamente connessa a fondati sospetti di reato
(in relazione all’esercizio della giurisdizione penale), e i già citati
145
fautori di una previsione di specifiche misure nei confronti di persone
ritenute socialmente pericolose.6
Infine, con specifico riferimento alla libertà di circolazione,
emerge invece la volontà del Costituente di consentire il rimpatrio con
foglio di via obbligatorio delle persone pericolose per la sicurezza
pubblica.7
Alla fine ciò che risulta da tale dibattito è, da un lato, l’attuale
testo dell’art. 13 Cost. il quale, come abbiamo visto, non sembra
affatto escludere forme di intervento dell’autorità di pubblica
sicurezza (in casi di necessità e urgenza), al di fuori dell’esercizio della
giurisdizione penale, e nell’ambito della necessaria garanzia giudiziaria
dell’habeas corpus. Ma, dall’altro, anche la formulazione dell’art. 16
Cost., che specifica tra le legittime limitazioni (in via amministrativa)
della libertà di circolazione quelle connesse a motivi di sicurezza e
incolumità pubblica.
In ogni caso, come noto, parte della dottrina ha escluso in via
radicale la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione, alla
luce di una lettura dell’art. 13 Cost. come norma strumentale rispetto
all’art. 25 Cost., e quindi pensata essenzialmente nel contesto della
repressione penale8 (oltre che, anche se limitatamente, nell’ambito
degli artt. 30 e 32 Cost., in relazione a fini educativi o sanitari). Sulla
base di tale ricostruzione, l’afflittività delle misure di prevenzione ne
confermerebbe l’insanabile contrasto con la Costituzione, dal
momento che in Costituzione vi sarebbe un’unica norma che “copre
6 Sul punto, cfr. la ricostruzione di G. Corso, op. ult. cit., pagg. 151-152.
Significativo, in questo senso, il ritiro dell’emendamento Bettiol-Leone-Meda, il
quale prevedeva, al terzo comma di quello che sarebbe divenuto l’attuale art. 13: “Il
fermo di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e di fuga. Il
fermo e l’arresto di polizia non possono durare più di quarantotto ore” (cfr. la
seduta del 10 aprile 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della
Assemblea Costituente, I, Roma, 1970, in particolare pag. 766 ss.).
7 Si vedano, in particolare, le opinioni espresse da Moro in sede di I
146
tutta l’area delle possibili misure afflittive”: il già citato art. 25 il quale,
però, parla solo di pene e misure di sicurezza, escludendo quindi le
misure di prevenzione.9
Secondo altri, all’opposto, il potere di prevenzione
tradizionalmente inteso andrebbe ricondotto alla tutela dei diritti
inviolabili della persona di cui all’art. 2 Cost., la quale non solo
impone la repressione dei fatti che li mettano in discussione, ma
anche un adeguato sistema di misure atte a prevenire tali violazioni,
per esigenze di difesa sociale.10 In questo senso, è stato affermato,
“appartiene alla essenza logica dello Stato, alla sua giustificazione
razionale, impedire la commissione dei reati, salvaguardare la vita,
l’incolumità, i beni dei cittadini”.11
Da un altro punto di vista, e in una posizione (per così dire)
intermedia, si collocano gli autori che hanno tentato di individuare alla
luce dei principi costituzionali nuove esigenze di prevenzione sociale,
escludendo in ogni caso la legittimità delle tradizionali misure di
prevenzione, ma ipotizzando come campo legittimo ed esclusivo di
eventuali nuove misure “preventive” esclusivamente esigenze
assistenziali o terapeutiche, previste alla luce di altre disposizioni
costituzionali, come, ad esempio, gli artt. 3, 31, 32 e 38.12
Più analiticamente, e in relazione a singole libertà, altri hanno
invece cercato di ricondurre la legittimità delle misure di prevenzione
(soprattutto in relazione a quelle di natura personale) nell’ambito di
una lettura dell’art. 13 Cost. quale norma che, rinviando al legislatore
per l’individuazione dei casi dei modi di legittima limitazione,
AA.VV., Le misure di prevenzione, Milano, 1975, pag. 29 ss., in particolare pag. 74 ss.;
nonché, in una prima fase, anche G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della
libertà personale, Milano, 1967, in particolare pag. 515 ss. Secondo tale Autore,
l’espulsione delle tradizionali misure preventive dal sistema comporta “un’effettiva
lacuna nella strumentazione della difesa sociale che altri ordinamenti non
conoscono, ma questo è il prezzo pagato alla tutela individuale in un sistema nel
quale non esistono garanzie sufficienti ad attenuare il margine di arbitrio che esse
portano con sé”.
147
tutelerebbe non solo rispetto ad atti di coercizione fisica, ma anche
rispetto a misure individuali che importino un giudizio di disvalore
sulla persona e sulla sua pericolosità, provocando un evidente effetto
degradante della sua dignità personale.13
Al contrario, nell’ambito di una lettura dell’art. 13 Cost. come
norma di tutela dai soli atti di coercizione fisica, altri hanno in qualche
modo ricollegato le misure preventive personali all’art. 16 Cost. (il
quale, come abbiamo visto, esclude la garanzia della riserva di
giurisdizione), parallelamente alla valorizzazione del concetto più
ampio di libertà individuale, tutelata sulla base dell’art. 23 Cost., e alla
luce della constatazione di una loro natura meramente obbligatoria, e
non coercitiva.14
Infine, e più in generale, si è cercato di collegare le misure di
prevenzione alle esigenze (considerate in qualche modo analoghe)
connesse alle misure di sicurezza, in relazione alle quali sarebbero
implicitamente riconosciute dal testo costituzionale finalità
preventive.15
Ciò, più in generale, sarebbe coerente anche con la stessa
finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.), escludendo quindi la
legittimità solo di quelle misure formalmente preventive ma
13 In questo senso, in particolare, A. Barbera, Pari dignità sociale e valore della persona
umana nello studio della libertà personale, in Iustitia, 1962, pag. 117 ss.; nonché,
successivamente, I principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1967, in
particolare pag. 91 ss. In base a tale impostazione, in particolare, l’art. 13 Cost. non
risulterebbe servente rispetto ad altre norme costituzionali (quali, ad es., lo stesso
art. 25 Cost.), “ma, al contrario, quest’ultima, determinando principi cui deve anche
adeguarsi la legge di riserva prevista nella fattispecie ex art. 13 Cost., si pone proprio
in funzione di una maggiore tutela della fattispecie di libertà personale” (cfr. A.
Barbera, op. ult. cit., pag. 221).
14 Così, in particolare, A. Pace, Libertà personale (Diritto costituzionale), in Enciclopedia
del diritto, XXV, Milano, 1974, pag. 287 ss., in particolare pagg. 302-303.
15 Cfr. A. Barbera, op. cit., pag. 225 ss.; nonché, successivamente, anche G. Amato,
Art. 13, cit., pag. 49 ss. Secondo tale impostazione, infatti, “le misure di sicurezza
[…] sono applicate solo in occasione di un fatto reato”, ma risultano strettamente
collegate ad esigenze di difesa sociale. Se, dunque, il fatto reato “deve solo agire da
sintomo rivelatore di una personalità deviata […] non si vede perché, nel rispetto
del principio di legalità […], non si debbano assumere come sintomi una serie di
comportamenti che, pur non costituendo un fatto reato, possono presentare non
meno validi elementi diagnostici” (così A. Barbera, op. cit., pagg. 226-227).
148
sostanzialmente punitive, che (in spregio ai principi di legalità e
determinatezza) contemplano fattispecie di mero sospetto in assenza
dei presupposti processuali per attivare gli ordinari interventi
repressivi.16
Alla luce delle diverse ricostruzioni proposte, e sulla base delle
considerazioni già svolte in merito alle complesse dimensioni
costituzionali della sicurezza, sembra ragionevolmente potersi
escludere l’orientamento più radicale, volto a negare ogni
compatibilità costituzionale del sistema di prevenzione.
In realtà, come abbiamo visto, tale impostazione, più che
negare in tutto e per tutto cittadinanza alle esigenze di difesa sociale
nell’ambito del nostro ordinamento, sottolinea l’incompatibilità di uno
specifico sistema di prevenzione (quello ereditato dal precedente
ordinamento), ricercando invece in altre disposizioni costituzionali un
fondamento ad eventuali poteri connessi a qualificate esigenze di
protezione e difesa sociale.
Dunque, non si tratta tanto di escludere in radice le esigenze di
prevenzione, ma di calarle all’interno del nostro ordinamento
costituzionale, per darne una lettura compatibile con i principi che ne
sono a fondamento. Qui, a ben vedere, le posizioni (come abbiamo
visto) si divaricano sensibilmente.
In ogni caso, come in parte già evidenziato, sembra doversi
riconnettere la legittimità costituzionale dei poteri di prevenzione alla
previsione, nell’ambito di più disposizioni costituzionali, delle già
citate esigenze di tutela della sicurezza, anche in via preventiva, in
connessione con l’esercizio dei tradizionali poteri di polizia.17
Quanto alle singole libertà eventualmente incise da tali poteri
di prevenzione, invece, scatterà la necessità di un rispetto delle
specifiche (e differenti) garanzie costituzionalmente previste, con
particolare riferimento alla presenza o meno della riserva di
giurisdizione.
Così, in particolare, sulla base della diversa configurazione
dell’oggetto di tutela della libertà personale, esse saranno ricomprese
nell’ambito della disciplina dell’art. 13 o dell’art. 16 della Costituzione.
In ogni caso, come abbiamo visto, entrambe le disposizioni
16 In questo senso, ancora una volta, A. Barbera, op. cit., pagg. 228-229.
17 Richiamati, in particolare, nell’ambito degli artt. 13, 14, 16, 17 e 21 Cost.
149
consentono un intervento dell’autorità di pubblica sicurezza (anche se
sulla base di presupposti e con modalità differenti); nonché, in ogni
caso, un controllo ex post da parte dell’autorità giudiziaria (ordinaria,
nel primo caso; amministrativa, nel secondo).
Ciò, dunque, pone il problema della nota progressiva
giurisdizionalizzazione (e penalizzazione) delle misure di prevenzione,
e del connesso procedimento-processo di irrogazione, oggi
particolarmente attuale anche alla luce della complessiva riforma dei
poteri del giudice amministrativo, sempre più in grado di tutelare
efficacemente i diritti e gli interessi del cittadino eventualmente lesi
dall’attività della pubblica amministrazione.18
18 Sul punto, per tutti, si veda A. Barbera, L’ordinamento della giustizia amministrativa,
tra Parlamento e Corte costituzionale, in Quaderni costituzionali, 2004, pag. 715 ss., con
particolare riferimento alle disposizioni di cui alla legge n. 205/2000. Sottolinea, da
ultimo, tale aspetto anche G.P. Dolso, Misure di prevenzione e Costituzione, in F.
Fiorentin (a cura di), op. cit., pagg. 25-26, in relazione alle modifiche alla generale
disciplina del procedimento amministrativo (cfr. la legge n. 241/1990) di cui alle
recenti leggi nn. 15 e 80 del 2005.
19 Si vedano, in particolare, i Titoli II e III del TULPS del 1931. Solo per fare
qualche esempio, si pensi alla disciplina in materia di armi (artt. 30 ss.), alle varie
autorizzazioni in materia di pubblici esercizi (artt. 86 ss.) o alla regolamentazione
delle riunioni e delle manifestazioni pubbliche (artt. 18 ss.).
150
Accanto a tali tipologie di intervento, però, si trovavano anche
misure di polizia relative non tanto a situazioni oggettivamente
pericolose, ma a persone considerate pericolose per la società. Proprio
questo, come noto, è l’area di intervento privilegiata delle misure di
prevenzione, che invece appaiono incidere direttamente sulla sfera
personale del soggetto che ne è destinatario, in virtù
dell’individuazione di determinate sue caratteristiche.20
Proprio in materia di misure connesse alla pericolosità sociale
di determinate persone, anche a seguito di due importanti decisioni
della Corte costituzionale,21 è intervenuto il legislatore con
l’approvazione della legge n. 1423/1956.
La riforma del 1956, sostituendo diverse disposizioni del
vecchio TULPS del 1931,22 ha previsto misure di natura
amministrativa, in quanto non considerate incidenti sulla libertà
personale dell’individuo (diffida e rimpatrio con foglio di via, di
competenza del questore)23 e misure di natura sostanzialmente
giurisdizionale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, collegata
anche all’eventuale divieto od obbligo di soggiorno, di competenza del
Tribunale)24.
Cinque le categorie di soggetti potenzialmente destinatari di
tali misure: a) oziosi e vagabondi abituali, validi al lavoro; b) soggetti
abitualmente e notoriamente dediti a traffici illeciti; c) soggetti che,
per la condotta o il tenore di vita, siano sospettati di vivere
abitualmente con il provento di delitti o che, per il loro
20 Si veda, in particolare, il Titolo VI del TULPS del 1931, in riferimento a categorie
come i malati di mente, gli intossicati, i mendicanti, le persone sospette o pericolose
per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità, i liberati dal carcere;
prevedendo poi contemporaneamente specifiche misure, quali il rimpatrio con
foglio di via obbligatorio (artt. 157 ss.), l’ammonizione (artt. 164 ss.) e il confino di
polizia (artt. 180 ss.).
21 Si tratta, come noto, delle sentt. nn. 2/1956 (sul rimpatrio con foglio di via
151
comportamento, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a
delinquere; d) soggetti sospettati, per la condotta di vita, di favorire lo
sfruttamento della prostituzione o la tratta delle donne o la corruzione
di minori, di esercitare il contrabbando o il traffico illecito di
stupefacenti o scommesse abusive ovvero di gestire bische
clandestine; e) soggetti dediti ad altre attività contrarie alla morale
pubblica e al buon costume.25
Tali categorie, come appare evidente, in alcuni casi risultavano
assai generiche (oziosi e vagabondi); in altri apparivano un sostanziale
surrogato di reali fattispecie penali, alla luce della mancanza dei relativi
riscontri probatori (soggetti notoriamente dediti a traffici illeciti).26
In ogni caso, anche alla luce delle citate decisioni della Corte
costituzionale, finalità principale della legge di riforma risulta essere
stata l’estensione delle garanzie giurisdizionali (ex art. 13 Cost.) in
relazione a misure certamente limitative della libertà personale, come
la nuova sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, mentre in
secondo piano sembra essere rimasto il problema della reale
determinatezza delle categorie di soggetti cui le disposizioni si
riferivano.
In sostanza, la legge del 1956 ha rappresentato la prima tappa
della progressiva (anche se non totale) già citata
giurisdizionalizzazione delle misure di prevenzione, palesando una
maggiore attenzione ai profili procedurali rispetto a quelli sostanziali.
Nel corso degli anni, come noto, la disciplina del 1956 è stata
progressivamente estesa ad altre categorie di soggetti, o meglio è stata
utilizzata per fronteggiare particolari emergenze, come nel caso dei
sospettati di appartenere ad associazioni mafiose;27 dei sospettati di
appartenere a gruppi criminali eversivi e terroristici, anche in
connessione del divieto di ricostituzione del partito fascista o in
relazione alle attività terroristiche internazionali;28 di coloro che
abbiano inneggiato, incitato o indotto alla violenza in occasione di
152
manifestazioni sportive.29 In molti di questi casi, però, si sono
riproposte specifiche problematiche quanto alla determinatezza delle
previsioni soggettive.30
Nel complesso, tutti i citati interventi (più volte rivisti ed
integrati dal legislatore) hanno sempre più avvicinato le misure di
prevenzione all’ambito della repressione penale, attraverso
l’individuazione di situazioni o caratteristiche personali volte ad un
sostanziale arretramento dell’intervento repressivo penale classico.
Dunque, sembrerebbe che il legislatore abbia sovrapposto
ambiti diversi, quali la prevenzione e la repressione, individuando
nelle misure di prevenzione personali veri e propri strumenti afflittivi,
irrogabili in assenza di prove significative rispetto ad autonome
fattispecie penali, con ciò snaturando le finalità originarie dell’attività
di prevenzione, volte all’eliminazione delle cause personali e sociali del
crimine ed al recupero del soggetto ritenuto pericoloso.
In questo senso, tra l’altro, appare significativa l’incisiva
riforma attuata dalla legge n. 327/1988, che è intervenuta su diversi
fronti. Da un lato, infatti, ha eliminato la diffida (che aveva rilevanti
conseguenze sulla dignità della persona),31 sostituendola con l’attuale
avviso orale, strumento ormai limitato a rappresentare esclusivamente
153
il presupposto per la successiva richiesta al Tribunale di applicazione
della sorveglianza speciale.32
Dall’altro, in particolare, ha rivisto le categorie di soggetti
destinatari delle misure stesse, evidenziando un particolare, anche se
problematico, sforzo di analiticità (ancora una volta sulla scia di
un’importante decisione della Corte costituzionale).33
Attualmente, infatti, le categorie prese in considerazione
risultano essere: a) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di
fatto, che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro che
per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di
elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i
proventi di attività delittuose; c) coloro che per il loro comportamento
debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano dediti alla
commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità
fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità
pubblica.34
Inoltre, come noto, è stato espressamente previsto un
procedimento di riabilitazione, esperibile sulla base della prova di una
“costante ed effettiva buona condotta” del soggetto in questione.35
Eliminando le categorie più problematiche (come gli oziosi e i
vagabondi o coloro che siano dediti ad attività contrarie alla morale
pubblica e al buon costume), la riforma del 1988 ha però confermato
la tendenza ad una progressiva penalizzazione delle misure di
prevenzione.
Come è stato sottolineato, infatti, pur nel lodevole intento di
rafforzare l’impianto garantista del procedimento di prevenzione,
attraverso l’insistito riferimento agli elementi di fatto e alla rilevanza
penale delle attività prese in considerazione, “la nuova disciplina ha in
realtà finito col configurare soltanto fattispecie di sospetto di
154
commesso reato: così […] riducendo il ruolo del sistema di
prevenzione alla sola […] funzione di surrogato di una repressione
penale inattuabile per mancanza dei normali presupposti probatori”.36
I rischi di tale progressiva sovrapposizione sono quindi
evidenti, e almeno sotto un duplice punto di vista. Da un lato, infatti,
sembra costruirsi un sistema farraginoso e sostanzialmente inefficace
di prevenzione; dall’altro si profilano, di fatto, all’orizzonte fattispecie
penali di sospetto, indeterminate e spesso vaghe, di fronte alle quali la
progressiva estensione della riserva di giurisdizione sembra una
garanzia più formale che sostanziale.
In ogni caso, entrambe le prospettive sono collegate: più si
costruiscono le misure preventive attorno ad ipotesi di surrogato
dell’azione penale, più risulta necessario circondarne i presupposti e le
garanzie di applicazione con le caratteristiche proprie della repressione
penale, rendendo ancora più difficoltosa e inefficace la funzione di
prevenzione. La sovrapposizione, poi, appare ancora più evidente
laddove i singoli interventi normativi affianchino misure di
prevenzione a vere e proprie misure post delictum, nell’ambito di un
medesimo provvedimento legislativo.37
36 Così G. Fiandaca, op. cit., pag. 116. Una conferma, in questo senso, sembra essere
data anche dalla previsione della già citata procedura di riabilitazione, che in qualche
modo ricalca (pur nelle sue peculiarità) l’analogo istituto previsto dall’ordinamento
penale (cfr., sul punto, le osservazioni di E. Gallo, op. cit., pagg. 10-11).
37 Si pensi al riferimento ai soggetti condannati per reati in materia di armi che
155
Da ultimo, le esigenze di contrasto al terrorismo internazionale
hanno portato ad un’estensione ulteriore degli ambiti operativi delle
misure di prevenzione e ad una loro parziale rimodulazione. Se,
infatti, l’art. 7 della legge n. 438/2001 ha espressamente esteso la
legislazione generale del 1956 anche ai fatti di terrorismo
internazionale, il successivo art. 14 della legge n. 155/2005 ha
riformulato diverse ipotesi di reato connesse alla violazione degli
obblighi derivanti dal regime di sorveglianza speciale. Gli ultimi due
provvedimenti citati rappresentano ancora una volta la riprova
dell’evidente processo di avvicinamento delle misure di prevenzione
alle finalità più propriamente caratteristiche della repressione penale.38
Nello stesso senso sembrano andare alcuni specifici interventi,
come quelli connessi all’identificazione personale tramite prelievi
biologici coattivi e alle c.d. perquisizioni sul posto.39 Tali forme di
intervento, infatti, o sono state da ultimo sostanzialmente parificate
quanto a possibilità di utilizzo nell’ambito di attività sia di prevenzione
(di competenza della polizia di sicurezza), sia di repressione (di
competenza della polizia e dell’autorità giudiziaria); oppure sono state
estese anche alle forze armate destinate ad operazioni di sorveglianza
dei c.d. obiettivi sensibili.
Nel primo caso, previa autorizzazione del pubblico ministero e
nel rispetto della dignità della persona, è, infatti, attualmente possibile
procedere al “prelievo coattivo di capelli o saliva” per identificare
(non solo l’indagato in fase di indagini preliminari, ex art. 349 c.p.p.,
ma anche) chiunque si rifiuti di dichiarare le proprie generalità e si
ritiene le abbia rese false, nell’ambito di una normale attività di
prevenzione.
Kostoris, Prelievi biologici coattivi; nonché P.P. Paulesu, Perquisizioni “sul posto”,
entrambi in R.E. Kostoris, R. Orlandi (a cura di), Contrasto al terrorismo interno e
internazionale, Torino, 2006, rispettivamente pag. 329 ss. e pag. 285 ss.
156
Nel secondo caso, le disposizioni a suo tempo previste
nell’ambito delle attività di controllo in materia di armi (e
successivamente estese alla prevenzione della criminalità organizzata),
le quali consentono alla polizia giudiziaria e alla polizia di sicurezza di
procedere alla perquisizione sul posto di persone sospette, anche in
relazione al mezzo di trasporto utilizzato,40 sono state estese anche
agli appartenenti alle forze armate, nell’ambito dell’impiego sopra
specificato.
In ogni caso, misure ricollegabili alle esigenze di prevenzione
che stanno alla base della legislazione del 1956 sono previste e
disciplinate anche da ulteriori disposizioni legislative, a partire dal
TULPS del 1931, e non solo in relazione alla libertà personale dei
singoli individui, ma anche con riferimento alla sua libertà di
domicilio41 e alla segretezza delle sue comunicazioni private.
Particolarmente significativo, in questo senso,
l’accompagnamento coattivo di pubblica sicurezza, previsto dall’art.
15 del TULPS del 1931, in base al quale può essere disposto
“l’accompagnamento, per mezzo della forza pubblica” nei confronti
di chi, “invitato dall’autorità di pubblica sicurezza a comparire davanti
ad essa”, non sia presentato nel termine stabilito. In senso analogo, si
ricorda anche la successiva previsione di un accompagnamento
finalizzato all’identificazione personale del soggetto, per cui gli agenti
di polizia “possono accompagnare nei propri uffici chiunque,
richiestone, rifiuta di dichiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo
per il tempo strettamente necessario al solo fine dell’identificazione e
comunque non oltre le ventiquattro ore”.42
Per quanto riguarda il domicilio (ex art. 14 Cost.), si ricorda
solo quanto stabilito dall’art. 16 del TULPS del 1931, che consente
l’accesso e la perquisizione nei locali ove si svolgano attività soggette
può procedere anche “quando ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle
dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti
d’identità da essa stabiliti”.
157
ad autorizzazione di polizia, senza alcun intervento da parte
dell’autorità giudiziaria, nemmeno in fase di convalida (disciplina forse
in parte riconducibile alle esigenze di incolumità pubblica di cui all’art.
14, terzo comma, Cost.; o ricollegabile anche all’art. 41, secondo
comma, Cost.).
Da ultimo, si è espressamente previsto che gli agenti di
pubblica sicurezza possano attivare tali poteri ai fini della prevenzione
dei delitti in materia di ricettazione e riciclaggio, o concernenti armi ed
esplosivi.43
Ma si pensi anche all’art. 41 del TULPS (che consente
l’accesso in qualunque locale al fine di ricercare armi, esplosivi o
munizioni detenuti abusivamente), ricollegato però, anche se in
maniera ambigua, dalla Corte costituzionale al regime d’emergenza di
cui all’art. 14, secondo comma, Cost., e quindi connesso alla
necessaria convalida dell’autorità giudiziaria entro le successive
quarantotto ore.44
In questo secondo caso, però, la normativa si riferisce
espressamente agli agenti di polizia giudiziaria, in relazione a
determinati indizi o notizie, circostanza che tende a ricostruire tali
poteri nell’ambito della repressione penale e non in quello della
tradizionale prevenzione.
Per quanto riguarda le comunicazioni private (tutelate ex art.
15 Cost.), si deve invece richiamare la vicenda delle c.d. intercettazioni
preventive.45 Dapprima previste dalla legislazione contro il
terrorismo46, esse sono ricomparse nell’art. 16 della legge n. 646/1982
e poi nell’art. 226 delle norme di attuazione del c.p.p. del 1988, che
disciplina l’ultravigenza delle vecchie norme codicistiche modificate
rimanda, da ultimo, alla Indagine conoscitiva sul fenomeno delle intercettazioni telefoniche,
svolta nel 2006 dalla II Commissione permanente del Senato (Roma, Senato della
Repubblica, XV legislatura, Indagini conoscitive, n. 24 del febbraio 2007)
46 Cfr. la legge n. 191/1978.
158
proprio a fine anni ‘70, anche se limitatamente alle indagini per
criminalità organizzata.
Contemporaneamente, una terza fattispecie è stata prevista
dall’art. 25-ter della legge n. 356/1992. Attualmente, in virtù dell’art. 5
della legge n. 438 del 2001, l’art. 226 delle norme di attuazione del
c.p.p. del 1988 prevede che il Ministro o il questore delegato o il
direttore della DIA possano chiedere al procuratore della Repubblica
l’autorizzazione a svolgere intercettazioni preventive, in relazione alla
prevenzione di delitti di criminalità organizzata e di terrorismo.
La durata massima è di quaranta giorni, e i risultati di tali
intercettazioni, come confermato dalla stessa Corte costituzionale, 47
non possono essere utilizzati nell’ambito di eventuali procedimenti
penali successivi. Tale regime, da ultimo, è stato esteso, abbiamo già
visto, anche agli appartenenti ai servizi di informazione.48
In ogni caso, deve essere ricordato come le misure di
prevenzione attualmente previste dal nostro ordinamento non si
limitino a prevedere interventi sulla sfera personale dei soggetti, ma
possano anche riguardare il patrimonio degli stessi (anche in
connessione ai limiti previsti ex artt. 41 e 42 Cost.).49
A partire dalla legge n. 646/1982, infatti, sono state
disciplinate ipotesi di sequestro e confisca dei beni “dei quali la
persona […] risulta poter disporre […], quando il loro valore risulta
sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta
ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere
che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il
reimpiego”. 50
Tali provvedimenti sono adottati dal Tribunale competente
per territorio, sulla base d esplicita richiesta del procuratore della
Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte
159
d’appello competente per territorio, del direttore della DIA o del
questore.51
Anche tale tipo di interventi, originariamente previsti
nell’ambito della lotta alla criminalità di tipo mafioso, ha visto una sua
progressiva estensione a fatti di criminalità eversiva e terroristica,
anche in connessione del divieto di ricostituzione del partito fascista o
in relazione ad attività terroristiche internazionali,52 ad episodi di
violenza sportiva,53 al traffico di stupefacenti, all’estorsione, al
sequestro di persona, al riciclaggio, alla tratta di persone o alla
riduzione in schiavitù.54 Da ultimo, si segnala anche quanto disposto
dall’art. 1-bis della legge n. 431/2001, sul c.d. congelamento dei beni,
in connessione alle attività di contrasto delle fonti di finanziamento
del terrorismo internazionale.55
Infine, un dato sembra essere rilevante: quando il legislatore ha
ritenuto, di fronte a specifiche emergenze criminali, di adottare
particolari misure di prevenzione, in alcuni casi lo ha fatto
limitandone la vigenza ad un determinato termine temporale,
sottolineando in questo modo l’evidente finalità di rispondere ad una
determinata situazione di pericolo per la pubblica sicurezza, senza
innovare stabilmente l’ordinamento. Ciò, ad esempio, è avvenuto non
solo nel caso del fermo di polizia di sicurezza,56 ma (più
51 Cfr. l’art. 2, primo comma, della legge n. 575/1965., come sostituito dall’art. 10
155/2005.
53 Cfr. l’art. 7-ter della legge n. 401/1989; nonché la legge n. 41/2007.
54 Cfr. l’art. 14 della legge n. 55/1990; nonché la legge n. 228/2003.
55 Cfr. la legge n. 155/2005.
56 Previsto dall’art. 6 della legge n. 15/1980, in base a quale gli agenti di pubblica
160
recentemente) anche in relazione alle specifiche modalità di
esecuzione dell’espulsione di sospetti appartenenti ad organizzazione
eversive o terroristiche, anche internazionali.57
161
riconducibile ad una limitazione della libertà personale, ex art. 13
Cost.60
Eppure, anche se in relazione al rimpatrio con foglio di via
obbligatorio (riformato nel 1956 senza alcuna ipotesi di coercizione
fisica), la Corte ha successivamente più volte affermato la sua
riconduzione nell’ambito dell’art. 16 Cost., in quanto limitazione alla
sola libertà di circolazione (e, pertanto, priva della necessaria garanzia
della riserva di giurisdizione). Secondo il Giudice delle leggi, infatti,
“l’art. 13, nel dichiarare inviolabile la libertà personale, si riferisce alla
libertà della persona in senso stretto, come risulta dalle
esemplificazioni del secondo comma: detenzione, ispezione,
perquisizione. Trattasi, quindi, di quel diritto che trae la sua
denominazione tradizionale dall’habeas corpus”.
Inoltre “con la sentenza n. 11 del […] 1956 la Corte rilevò che
l’ammonizione si risolveva in una sorta di degradazione giuridica in
cui taluni individui venivano a trovarsi per effetto della sorveglianza di
polizia cui erano sottoposti attraverso tutta una serie di obblighi, di
fare e di non fare, fra cui quello di non uscire prima e di non rincasare
dopo di una certa ora […]. Ora, come si è detto, l’ordine di rimpatrio
non importa alcuna conseguenza di questo genere, perché lascia
integra la libertà della persona soggetta all’ordine di rimpatrio,
ponendo soltanto limiti alla possibilità di movimento e di
soggiorno”.61
In questo senso, qualche anno dopo, la stessa Corte ha
precisato che “non si può […] fondatamente affermare che alla
pubblica Amministrazione sia sottratto qualunque provvedimento che
intacchi la dignità delle persone. Nella vastissima sfera dei suoi
compiti pubblici l’Amministrazione è chiamata ad emettere una
numerosa serie di atti le cui ripercussioni sulla stimabilità delle
persone possono essere rilevanti […]. Ben potrebbe il legislatore
attribuire al giudice la competenza di adottare qualcuno di questi atti;
ma non ha fondamento la tesi secondo cui tutti gli atti del genere
debbano essere affidati esclusivamente al giudice. Le leggi ed i principi
elaborati dalla giurisprudenza amministrativa stabiliscono le garanzie
162
formali e sostanziali che spettano al cittadino nei confronti
dell’Amministrazione quando trattasi di provvedimenti inerenti alle
persone; ma ciò non significa che, nell’ambito della legittimità
costituzionale, sia necessario che tali garanzie siano sempre poste nelle
mani del giudice. Questi ne conoscerà dopo; ed uno degli elementi
essenziali del suo esame consisterà nel rilevare se quelle garanzie siano
state o non rispettate dall’organo amministrativo”.
Dunque “dall’insieme delle norme ora esaminate non si può
dedurre l’esistenza di un principio generale di ordine costituzionale,
che affermi la necessità dell’intervento del giudice in tutti i casi in cui
nell’interesse della pubblica Amministrazione si debba procedere ad
atti da cui derivi o possa derivare una menomazione della dignità della
persona. In sostanza, o tali atti sono ammissibili in base all’art. 3 della
Costituzione, e allora anche le autorità amministrative possono
emetterli, salvo che in virtù di altre norme o principi costituzionali la
competenza non debba essere affidata al giudice, o non sono
ammissibili e allora neppure una sentenza del giudice potrebbe
adottarli”.62
Anche se in modo non del tutto coerente, dunque, inizia ad
affacciarsi la già citata tendenza che è stata definita come la “truffa
delle etichette”, in base alla quale le misure di prevenzione vengono
progressivamente attratte in ambito penalistico (in primis sul piano
delle garanzie procedurali).63
Tale tendenza ha comportato, come conseguenza logica, un
corrispettivo allineamento anche sul piano delle garanzie sostanziali
tipiche della sanzione penale, portando, come abbiamo visto, il
legislatore a circondare progressivamente sempre più le misure di
prevenzione di alcune delle sue caratteristiche generali, e finendo a
volte per far sfumare il confine tra requisiti per adottare la misura di
prevenzione e ipotesi di reato vere e proprie (con particolare
riferimento alle fattispecie a tutela anticipata, come quelle di sospetto
o di pericolo presunto). Sul punto, la giurisprudenza costituzionale è
62 Così la sent. n. 68/1964. Su tale decisione cfr. R.G. De Franco, Foglio di via
163
apparsa a tratti oscillante, anche se nel complesso (come in parte già
visto) maggiormente attenta alle garanzie procedurali connesse
all’incidenza delle misure di prevenzione sulle singole fattispecie di
libertà, rispetto alla questione di un loro specifico (e autonomo)
inquadramento sul piano del diritto costituzionale.
In relazione al fondamento costituzionale dei poteri di
prevenzione, tuttavia, la Corte ha qualificato le specifiche misure in
oggetto quali “limitazioni notevoli a taluni diritti riconosciuti dalla
Costituzione […] informate al principio di prevenzione e di sicurezza
sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i
cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme
repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate
misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi
nell’avvenire”.64
Esigenza, questa, “fondamentale di ogni ordinamento, accolta
e riconosciuta dalla nostra Costituzione” anche nell’ambito dell’art. 2,
il quale “nell’affermare i diritti inviolabili dell’uomo ed i doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, […] non può
escludere che a carico dei cittadini siano disposte quelle restrizioni
della sfera giuridica rese necessarie dalla tutela dell’ordine sociale”. 65
Contemporaneamente, però, il Giudice delle leggi ha letto le misure di
prevenzione nell’ambito delle garanzie previste in relazione alle
singole libertà, spostando l’accento sulle garanzie della riserva di legge
e, quando prevista, della riserva di giurisdizione.
Con specifico riferimento alla libertà personale, la Corte ha
affermato che essa “non si presenta affatto come illimitato potere di
disposizione della persona fisica, bensì come diritto a che l’opposto
potere di coazione personale, di cui lo Stato è titolare, non sia
esercitato se non in determinate circostanze e col rispetto di talune
forme”. In questo senso, allora, si pone il problema “di assicurare il
contemperamento tra le due fondamentali esigenze, di non frapporre
ostacoli all’esercizio di attività di prevenzione dei reati e di garantire il
rispetto degli inviolabili diritti della personalità umana”, problema che
viene costituzionalmente risolto “attraverso il riconoscimento dei
164
tradizionali diritti di habeas corpus nell’ambito del principio di stretta
legalità”.66
Ciò, in particolare, è evidente con riferimento ad alcuni poteri
di prevenzione contenuti nel TULPS del 1931, sostanzialmente riletti
dalla Corte in armonia con le nuove disposizioni costituzionali. Si
pensi, ad esempio, alla disciplina di cui all’art. 4, che prevede la
possibilità per la polizia di sicurezza di sottoporre a rilievi segnaletici
le persone che non siano in grado o si rifiutino di dare le proprie
generalità, dalla Corte limitato alle ipotesi di rilievi esteriori (quali
quelli fotografici o dattiloscopici), esclusa ogni forma di ispezione
corporale, che richiederebbe invece l’attivazione della riserva di
giurisdizione, in quanto limitazione della libertà personale, ex art. 13
Cost.67
Ma si veda anche il già citato caso dell’accompagnamento
coattivo di persona che, invitata, si sia rifiutata di comparire davanti
all’autorità di pubblica sicurezza,68 dalla Corte riconosciuto come
limitazione della libertà personale, ma validamente privo della
prescritta convalida da parte dell’autorità giudiziaria. Secondo la
Corte, infatti, “è evidente che tale procedura è necessaria solo quando
si tratti di provvedimenti che danno luogo a restrizione duratura della
libertà e, nel caso dell’accompagnamento coattivo, detta condizione
non ricorre trattandosi di provvedimento che incide in modo del tutto
temporaneo sulla libertà personale. In ogni caso l’interessato, sia pure
a posteriori, potrà sempre provocare, coi normali rimedi giurisdizionali,
una verifica, da parte dell’autorità giudiziaria, della legittimità del
segnaletici, in Giurisprudenza costituzionale, 1962, pag. 541 ss.; nonché S. Galeotti, Rilievi
segnaletici e restrizione della libertà personale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale,
1962, pag. 855 ss.
68 Cfr. l’art. 15 del TULPS del 1931.
165
provvedimento adottato dall’autorità di p.s.: ed in ciò risiede la
garanzia contro ogni abuso del potere a questa conferito”.69
Nel corso degli anni, in ogni caso, la legislazione (come
abbiamo visto) non si è limitata a prevedere la sostanziale estensione
della legislazione del 1956 ad altre circostanze e categorie di soggetti,
ma ha introdotto anche nuove misure di natura amministrativa
riconducibili ad esigenze di prevenzione, Si pensi, ad esempio, alle già
citate misure previste in relazione ad episodi di violenza sportiva,
successivamente estese agli episodi di violenza razziale etnica o
religiosa.70 Tra queste, in particolare, si ricorda il divieto di accesso ai
luoghi dove si svolgono le competizioni sportive, eventualmente
connesso all’obbligo di comparizione presso gli uffici di polizia71 La
competenza ad adottare l’atto è del questore, ma nel caso di obbligo
di comparizione il provvedimento deve essere convalidato
dall’autorità giudiziaria entro quarantotto ore.
In proposito, la Corte ha sottolineato la diversità dei due
provvedimenti “atti ad incidere in grado diverso sulla libertà del
soggetto destinatario e pertanto ragionevolmente differenziati anche
nella disciplina dei rimedi. Il provvedimento che impone l’obbligo a
comparire negli uffici di polizia viene a configurarsi come atto idoneo
ad incidere sulla libertà personale del soggetto tenuto a comparire,
imponendone la presenza negli uffici addetti al controllo
dell’osservanza della misura [...]. Questo carattere della misura […]
spiega perché essa sia stata circondata da particolari garanzie, che si
che siano stati denunciati o condannati per reati sulle armi; b) a coloro che sono
stati denunciati per episodi di violenza sportiva; c) a coloro che abbiano incitato
indotto o inneggiato alla violenza; d) a coloro che, sulla base di elementi oggettivi,
risulta abbiano tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi
di violenza in occasione di manifestazioni sportive, o comunque tale da mettere in
pericolo la sicurezza pubblica.
166
completano nel previsto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di
convalida del giudice per le indagini preliminari (art. 6, quarto
comma). Diversa portata assume l’altro provvedimento, consistente
più semplicemente nell’interdizione all’accedere agli stadi o agli altri
luoghi dove si svolgono le previste manifestazioni sportive, con una
minore incidenza sulla sfera della libertà del soggetto”.72
Dunque, non sembra “che la disposizione denunciata risulti
censurabile sotto il profilo della ragionevolezza, tanto più che anche il
provvedimento consistente nel divieto di frequentare i luoghi di
manifestazioni agonistiche è suscettibile di autonomo controllo
giurisdizionale innanzi al giudice competente”, e cioè quello
amministrativo.
Significative, in questo senso, anche le vicende del c.d.
soggiorno cautelare, introdotto dall’art. 25 quater della legge n. 356 del
1992 (più volte modificato, e infine abrogato in occasione del
referendum del 1995). Secondo quanto era originariamente previsto, il
procuratore nazionale antimafia poteva disporre il soggiorno cautelare
(massimo per un anno) nei confronti di coloro che avesse ritenuto si
accingessero a compiere reati connessi all’art. 416 bis c.p. Quanto alle
garanzie previste, non era stabilita la necessità di una convalida da
parte dell’autorità giudiziaria, ma si prevedeva solamente la possibilità
di un successivo riesame.
Sul punto, come noto, la Corte è intervenuta dichiarando
l’incostituzionalità della disposizione, ma in relazione ai soli profili
procedurali. Secondo la Corte, infatti, in materia di misure di
prevenzione “deve trarsi la conseguenza non solo che il pubblico
ministero (organo non giurisdizionale, ma pur sempre autorità
giudiziaria) possa - com’è ovvio - assumere la veste di semplice
soggetto proponente la misura (come è del resto previsto nella
rimanente normativa in materia), ma anche che deve altresì ritenersi
compatibile con i richiamati principi una disciplina che attribuisca ad
esso il potere di disporre la misura medesima, purché però con
carattere di provvisorietà, e quindi esclusivamente nell’ambito di un
procedimento che, entro brevi termini, conduca necessariamente
72 Così la sent. n. 193/1996. Su tale decisione, si veda M. Laudi, Si può vietare l’accesso
allo stadio con provvedimento amministrativo, in Diritto penale e processo, 1996, pag. 1353 ss.
167
all’adozione del provvedimento definitivo da parte di un giudice, con
il rispetto delle garanzie della difesa”.73
Più in generale, sempre in relazione al fondamento delle
misure di prevenzione, la Corte ha ricordato che “l’art. 25, secondo
comma, […] accoglie […] nell’ordinamento il sistema delle misure di
sicurezza a carico degli individui socialmente pericolosi. È ben vero
che le misure di sicurezza in senso stretto si applicano dopo che un
fatto preveduto dalla legge come reato sia stato commesso (art. 202
c.p.), e quindi per una pericolosità più concretamente manifestatasi;
ma poiché le misure di sicurezza intervengono o successivamente
all’espiazione della pena, e cioè quando il reo ha già per il reato
commesso soddisfatto il suo debito verso la società […] bisogna
dedurne che oggetto di tali misure rimane sempre quello comune a
tutte le misure di prevenzione, cioè la pericolosità sociale del
soggetto”.74
Eppure, solo qualche anno dopo la Corte ha affermato che “è
vero che il fondamento comune e la comune finalità delle misure di
sicurezza e di quelle di polizia […] si trovano nell’esigenza di
prevenzione di fronte alla pericolosità sociale del soggetto, ma è anche
certo che […] nella diversa disciplina prevista dagli artt. 13 e 16 della
Costituzione, resta sempre una netta differenziazione fra i due ordini
di misure, per diversità di struttura, settore di competenza, campo e
modalità di applicazione, specialmente per quanto si riferisce agli
organi preposti a tale applicazione”.75
168
4. Misure di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali. Alla ricerca di un
difficile bilanciamento
169
In ogni caso, continua la Corte, “l’adozione di esse può essere
collegata, nelle previsioni legislative, non al verificarsi di fatti
singolarmente determinati, ma ad un complesso di comportamenti
che costituiscano una condotta, assunta dal legislatore come indice di
pericolosità sociale. Discende, pertanto, dalla natura delle dette misure
che nella descrizione delle fattispecie il legislatore debba normalmente
procedere con criteri diversi da quelli con cui procede nella
determinazione degli elementi costitutivi di una figura criminosa, e
possa far riferimento anche a elementi presuntivi, corrispondenti però
sempre a comportamenti obiettivamente identificabili. Il che non vuol
dire minor rigore, ma diverso rigore nella previsione e nell’adozione
delle misure di prevenzione, rispetto alla previsione dei reati e
all’irrogazione delle pene”.
Successivamente, con una sentenza che ha rappresentato una
sostanziale svolta in materia, la Corte ha invece richiamato il
legislatore ad un più rigoroso rispetto del principio di legalità e di
determinatezza in materia di misure di prevenzione. Secondo il
Giudice delle leggi, infatti, “il principio di legalità in materia di
prevenzione, […] lo si ancori all’art. 13 ovvero all’art. 25, terzo
comma, Cost., implica che l’applicazione della misura, ancorché
legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il
presupposto necessario in fattispecie di pericolosità, previste -
descritte - dalla legge; fattispecie destinate a costituire il parametro
dell’accertamento giudiziale e, insieme, il fondamento di una prognosi
di pericolosità, che solo su questa base può dirsi legalmente
fondata”.79
Dunque, “l’accento, anche per le misure di prevenzione, cade
[…] sul sufficiente o insufficiente grado di determinatezza della
descrizione legislativa dei presupposti di fatto dal cui accertamento
dedurre il giudizio, prognostico, sulla pericolosità sociale del
soggetto”. In questo senso, “le condotte presupposte per
l’applicazione delle misure di prevenzione, poiché si tratta di prevenire
reati, non possono non involgere il riferimento, esplicito o implicito,
al o ai reati o alle categorie di reati della cui prevenzione si tratta,
170
talché la descrizione della o delle condotte considerate acquista tanto
maggiore determinatezza in quanto consenta di dedurre dal loro
verificarsi nel caso concreto la ragionevole previsione (del pericolo)
che quei reati potrebbero venire consumati ad opera di quei soggetti”.
Più in particolare, in relazione alle garanzie di difesa del
soggetto destinatario delle misure di prevenzione, la giurisprudenza
della Corte è apparsa ancora una volte oscillante. Se, infatti, ha
dichiarato incostituzionale l’art. 4 della legge n. 1423/1956 per
l’omessa previsione dell’assistenza tecnica obbligatoria del difensore
nell’ambito del procedimento di irrogazione della misura della
sorveglianza speciale da parte del Tribunale (anche se solo
indirettamente, in relazione alla previa dichiarazione di
incostituzionalità dei richiamati artt. 636 e 637 dell’allora vigente
codice di rito),80 contemporaneamente ha escluso tale necessità
nell’ambito delle diverse procedure (amministrative) che
caratterizzavano la diffida e il rimpatrio con foglio di via da parte del
questore.
Secondo il Giudice delle leggi, infatti “l’interrogatorio
dell’imputato appare necessario solo quando si compiano atti
istruttori. Ciò non può dirsi per un procedimento che, come quello
disciplinato dalla legge impugnata, sfocia in provvedimenti di polizia
di sicurezza non preordinati al processo”.81 In altra occasione, invece,
aveva chiaramente affermato che “amministrativo o giurisdizionale
che sia il procedimento nel quale un tale interesse viene in questione
davanti a un giudice, spetta sempre al soggetto il diritto allo
svolgimento di una integrale difesa: e ciò in riguardo a tutte le misure
che incidano sulla libertà personale”.82
Anche in questo caso, infatti, non è chiaro quanto la Corte
incentri la sua ricostruzione sulla sfera di libertà incisa dall’attività di
prevenzione (art. 13 o art. 16 Cost.) o sulla natura dell’organo o del
171
procedimento in questione. In ogni caso, anche se nell’ambito del
procedimento di convalida giudiziaria del già citato obbligo di
comparizione presso gli uffici di polizia in occasione di manifestazioni
sportive, l’assistenza tecnica obbligatoria del difensore è stata esclusa
alla luce della necessaria celerità dell’applicazione della specifica
misura di prevenzione.83
Sul punto, in relazione al rimpatrio con foglio di via
obbligatorio, la Corte ha, infatti, affermato che “poiché il
provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza ha carattere
amministrativo, non comporta violazione dell’art. 24, secondo
comma, della Costituzione, una disposizione di legge ordinaria che
non preveda il diritto di difesa, garantito dalla norma costituzionale
solo nei riguardi dei provvedimenti giurisdizionali […]. La disciplina
del procedimento amministrativo, infatti, è rimessa alla discrezionalità
del legislatore nei limiti della ragionevolezza e del rispetto degli altri
principi costituzionali, fra i quali non è da ricomprendere quello del
giusto procedimento amministrativo, dato che la tutela delle situazioni
soggettive è comunque assicurata in sede giurisdizionale dagli artt. 24,
primo comma, e 113 della Costituzione”.84
Infine, quanto al rilievo dell’art. 27 Cost. in materia di
presunzione di non colpevolezza, la Corte ha affermato che “il
richiamo […] non è pertinente […], perché tale articolo […] riguarda
la responsabilità penale e importa la presunzione di non colpevolezza
83 Cfr. la sent. n. 144/1997. Secondo la Corte, infatti, “il diritto di difesa […]
ammette una molteplicità di discipline, in rapporto alla varietà dei contesti, delle
sedi e degli istituti processuali in cui esso è esercitato […], al punto che la stessa
assistenza del difensore può e deve trovare svolgimento in forme adeguate sia alla
struttura del singolo procedimento o dell’atto che va adottato […], sia alle esigenze
sostanziali del caso sottoposto all’esame del giudice”. Dunque, nel caso specifico, è
apparso sufficiente l’obbligo di avvisare il soggetto destinatario del provvedimento
della più ristretta possibilità presentare, personalmente o a mezzo di difensore,
memorie o deduzioni al giudice della convalida”. Su tale controversa decisione, si
vedano i contributi critici di A. Pace, Misure di prevenzione personale contro la violenza
negli stadi ed esercizio del dritto di difesa con “forme semplificate”; e di G.P. Dolso, Misure di
prevenzione atipiche e diritto di difesa, entrambi in Giurisprudenza costituzionale, 1997,
rispettivamente pag. 1582 ss. e pag. 1586 ss.
84 Così, in particolare, la sent. 210/1995.Su tale decisione, si veda C. Maina, Novità
nel procedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, in Diritto penale e processo, 1996,
pag. 706 ss.
172
dell’imputato fino alla condanna, mentre le misure di prevenzione, pur
implicando restrizioni della libertà personale, non sono connesse a
responsabilità penali del soggetto, né si fondano sulla colpevolezza,
che è elemento proprio del reato”.85
Più in generale, sembra debba essere comunque ribadito il
differente ambito di operatività tra l’area connessa ai principi
costituzionali del processo, in qualche modo evocata di fronte al
coinvolgimento dell’autorità giurisdizionale, e quella relativa ai principi
costituzionali in materia di esercizio dell’attività amministrativa, che
rappresenta invece il punto di riferimento essenziale in materia di
tradizionali funzioni di pubblica sicurezza.
Ciò, si badi bene, non significa, in quest’ultimo caso,
riconoscere spazi all’arbitrio dei pubblici poteri; infatti, oltre ai
principi in materia di procedimento amministrativo (che, ad esempio,
garantiscono la partecipazione di soggetti interessati e contro
interessati), sarà sempre possibile un controllo giurisdizionale
successivo, volto alla tutela dei diritti soggettivi (o degli interessi
legittimi) eventualmente incisi dall’attività amministrativa, in virtù dei
canoni dello Stato di diritto (art. 113 Cost.).
Una cosa, infatti, è richiamare l’esigenza di un controllo
giurisdizionale ex post, circostanza che vale (in sostanza) per la
generalità degli atti della pubblica amministrazione; altra richiedere
che, preventivamente all’attivazione di tali poteri dell’amministrazione,
debba essere acquisita una specifica autorizzazione giurisdizionale (o
una successiva convalida), solo perché si verta in materia di
determinati diritti fondamentali. Ciò, infatti, può riguardare solamente
le libertà per le quali la Costituzione espressamente prevede una
specifica riserva di giurisdizione.86
173
Altro problema, poi, è quello connesso al tipo di intervento
giurisdizionale, e alle differenti garanzie eventualmente connesse a
ciascun tipo di intervento.
In relazione ai poteri del giudice ordinario e del giudice
amministrativo, infatti, è stato di recente sottolineato come, anche al
di fuori dell’ambito di operatività delle garanzie dell’art. 13 Cost. “il
provvedimento restrittivo emanato […] sarebbe nondimeno soggetto
ad un (ancorché eventuale) vaglio, attuato anche in tempi ristretti […]
ad opera del giudice amministrativo”, il quale, oltre che tramite
l’annullamento del provvedimento, “avrebbe poi la facoltà di dare
soddisfazione alla parte che si assume lesa nel proprio diritto […]
anche con il risarcimento del danno derivante dalla illegittimità
dell’atto”.87
A ciò, infine, sembra doversi aggiungere una precisazione in
relazione alla stessa tipologia di interventi dell’autorità giurisdizionale
ordinaria. Se, infatti, nell’esercizio della giurisdizione penale in senso
stretto la cognizione del giudice è inevitabilmente piena, nell’ambito di
un’articolazione del procedimento particolarmente complessa e
attraverso gli ordinari strumenti istruttori che gli vengono
tradizionalmente riconosciuti; diverso appare, invece, il ruolo del
giudice in sede di autorizzazione preventiva (o convalida successiva)
174
delle forme di limitazione della libertà personale attuate dall’autorità di
pubblica sicurezza.88
In quest’ultimo caso, infatti, la funzione di garanzia derivante
dall’intervento dell’autorità giudiziaria sembra essere, in via
preventiva, connessa all’analisi della corrispondenza della misura
concretamente proposta al modello astrattamente configurato dal
legislatore (quanto a presupposti operativi e ad effetti); nonché, in via
successiva, finalizzata ad un controllo di legalità dell’azione dei
pubblici poteri, e di corrispondenza delle misure prese all’astratta
tipologia normativamente prevista. La stessa Corte costituzionale, in
questo senso, sembra a volte aver seguito tale suggestione, laddove ha
articolato differentemente le esigenze di difesa a seconda delle
concrete modalità di intervento dell’autorità giudiziaria.
Dunque, la constatata, progressiva estensione e penalizzazione
degli strumenti preventivi, in parte conseguenza dell’intento di
garantire appieno il principio di legalità e determinatezza delle
fattispecie cui collegare le diverse misure di prevenzione, ha portato,
da un lato, ad una sostanziale codificazione di fattispecie penali di
sospetto, (inevitabilmente) prive di quel collegamento col fatto reato
che appare imprescindibile presupposto dell’esercizio della
giurisdizione penale; dall’altro, ad una sostanziale inefficacia, a fini
preventivi, degli stessi strumenti attualmente previsti, eccessivamente
prossimi alla concreta realizzazione di un determinato fatto reato, fin
quasi ad essere con esso fungibili.89
175
5. Un caso emblematico: l’espulsione amministrativa degli stranieri
in ordine ad una condotta che, ove posta in essere da qualsiasi altro soggetto, viene
ad essere normativamente riguardata in termini di totale indifferenza”.
90 Per un inquadramento generale della complessa disciplina legislativa, si rimanda a
244/1974 e 104/1969. Al centro delle due decisioni più recenti, come noto, era la
disciplina prevista dall’allora vigente art. 152 del r.d. n. 773/1931 (TULPS), che
riconosceva tra l’altro ai prefetti la possibilità, per motivi di ordine pubblico e nel
176
Dunque, a parte le specifiche disposizioni in materia di rifugio e asilo
politico, la legge dello Stato è libera di regolamentare l’ingresso e il
soggiorno degli stranieri in maniera differente rispetto a quanto non
avvenga, per i cittadini italiani, sulla base dell’art. 16 Cost.
Il tutto, in ogni caso, nel pieno rispetto delle norme e dei
trattati internazionali vigenti in materia (art. 10, secondo comma,
Cost.), nonché dei diritti inviolabili previsti dall’art. 2 Cost. i quali,
anche alla luce del generale principio di eguaglianza stabilito dall’art. 3
Cost., spettano alla persona in quanto tale, a prescindere dal vincolo di
cittadinanza.95 Tuttavia, il concreto esercizio di tali diritti può essere
disciplinato dal legislatore in modo diverso rispetto a quanto non
accada per i cittadini italiani, alla luce di eventuali differenze di fatto,
purché ciò avvenga nel rispetto del principio di ragionevolezza.96
Tra i diritti inviolabili, come noto, si rivengono, in primis, tutte
le specifiche situazioni giuridiche soggettive espressamente qualificate
come tali dalla stessa Carta costituzionale, a partire dalla libertà
personale e dal diritto di difesa.97 Dunque, l’esatta individuazione della
natura del provvedimento di espulsione ha rilevanti conseguenze in
merito all’individuazione dei diritti fondamentali concretamente incisi
caso di urgenza, di “avviare alla frontiera, mediante foglio di via obbligatorio, gli
stranieri” che si trovavano nelle rispettive province.
95 Così, tra le altre, le decisioni nn. 120/1967, 21/1968, 104/1969, 144/1970,
sottolineato che “per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della
immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i
problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati,
non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà
personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili,
spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in
quanto esseri umani” (cfr. la sent. n. 105/2001).
177
e delle connesse garanzie costituzionalmente previste, al crocevia tra
libertà personale e libertà di circolazione.
In base alla vigente disciplina legislativa, l’espulsione
amministrativa può essere disposta in tre differenti ipotesi: 1) “per
motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato”; 2) in caso di
violazione delle norme che regolano l’ingresso o la permanenza nel
territorio dello Stato; 3) nei confronti di soggetti appartenenti alle
categorie previste dalla legislazione sulle misure di prevenzione e,
quindi, socialmente pericolosi.98 Da ultimo, la già citata legge n.
155/2005 ha previsto la possibilità di espulsione amministrativa anche
nei confronti degli stranieri sospetti appartenenti ad organizzazioni
eversive o terroristiche, anche internazionali.99
Diversa, poi, è anche la competenza in materia di adozione del
provvedimento: nel caso di espulsione per motivi di ordine pubblico o
di sicurezza dello Stato, infatti, il provvedimento è di competenza del
Ministro dell’interno, mentre in relazione alla violazione della
normativa sull’ingresso e la permanenza nel territorio dello Stato il
decreto di espulsione è adottato direttamente dal prefetto. Infine, nel
caso di espulsione disposta nei confronti di sospetti appartenenti ad
organizzazioni eversive o terroristiche, anche internazionali, il
provvedimento è disposto dal Ministro dell’interno o, su sua delega,
dal refetto. Tale diversa origine del provvedimento comporta, di
conseguenza, anche una differente competenza in materia di rimedi
giurisdizionali esperibili. Di fronte ai provvedimenti di espulsione per
violazione della disciplina sull’immigrazione, infatti, è prevista la
competenza del giudice di pace,100 mentre è prevista una competenza
del giudice amministrativo negli altri due casi.101
coloro “nei cui confronti vi siano fondati motivi di ritenere” che la loro
permanenza nel territorio dello Stato “possa in qualsiasi modo agevolare
organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”.
100 Cfr. l’art. 13, ottavo comma, del d.lgs. n. 286/1998. Dubbi, come noto, sono
178
Ebbene, almeno in tre casi su quattro le motivazioni che
stanno alla base del provvedimento di espulsione appaiono collegate
ad un giudizio di pericolosità sociale del soggetto che ne è il
destinatario, configurandosi appieno lo schema, già indicato, delle
misure di prevenzione.
In questo senso, valorizzando la prospettiva di quella parte
della dottrina, e della giurisprudenza costituzionale, che hanno
ricondotto alle garanzie di cui all’art. 13 Cost. anche i provvedimenti
che incidano sulla dignità sociale dell’individuo, determinandone la
c.d. degradazione giuridica, tali provvedimenti dovrebbero essere presi
nel pieno rispetto della riserva di giurisdizione costituzionalmente
prevista. Ciò, a ben vedere, significa che la regola generale dovrebbe
essere quella di una loro riconduzione alla competenza dell’autorità
giudiziaria, salvo gli interventi d’urgenza ad opera dell’autorità di
pubblica sicurezza che, in ogni caso, dovrebbero comunque essere
successivamente convalidati dalla stessa autorità giudiziaria.
Diversamente, almeno sul piano formale, incentrando l’analisi
della citata disciplina sulle espulsioni amministrative alla luce della
differenziazione tra veri e propri atti coercitivi (ricadenti nell’ambito
dell’art. 13 Cost.) e meri atti obbligatori (ricadenti nell’ambito dell’art.
16 Cost.), la misura dell’espulsione, in sé e per sé considerata, non
rappresenterebbe una limitazione alla libertà personale del
destinatario.
pubblico o di sicurezza dello Stato (cfr. l’art. 13, undicesimo comma, del d.lgs. n.
286/1998); il TAR competente per territorio nel caso di espulsione disposta nei
confronti di sospetti appartenenti ad organizzazioni eversive o terroristiche, anche
internazionali (cfr. l’art. 3, quarto comma, della legge n. 155/2005).
179
Tuttavia, il discorso cambia sensibilmente nel momento in cui
si passino ad esaminare le concrete modalità attuative dell’espulsione,
collegate al noto problema dell’accompagnamento coattivo alla
frontiera e alla connessa disciplina del trattenimento presso i Centri di
identificazione ed espulsione.102
Attualmente, infatti, l’accompagnamento coattivo alla frontiera
risulta essere la modalità generale di esecuzione del decreto di
espulsione,103 ed appare una misura chiaramente incidente sulla libertà
personale, e non sulla sola libertà di circolazione del soggetto
destinatario del provvedimento.104 Ciò, come noto, è stato confermato
dalla stessa Corte costituzionale la quale, con la sent. n. 105/2001, ha
dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della
disciplina relativa all’accompagnamento coattivo (per il quale non era
prevista alcuna forma di convalida da parte dell’autorità giudiziaria),
180
sul presupposto che il giudizio di convalida relativo al conseguente
provvedimento di trattenimento presso gli appositi Centri di
permanenza temporanea (previsto, invece, dal legislatore) dovesse
estendersi anche all’analisi del suo logico presupposto: il
provvedimento che dispone l’accompagnamento coattivo.105
Anche la luce di tale decisione, la disciplina legislativa è stata
conseguentemente modificata, prevedendo che il provvedimento di
accompagnamento coattivo alla frontiera debba essere comunicato al
giudice di pace competente per territorio entro quarantotto ore dalla
sua adozione, per l’eventuale convalida entro le successive quarantotto
ore.106 Sul punto, come noto, è però intervenuta nuovamente la Corte
costituzionale che, con la sent. n. 222/2004 ha dichiarato illegittima la
previsione dell’immediata esecutività dell’accompagnamento coattivo.
Secondo il Giudice delle leggi, infatti, “lo straniero viene
allontanato coattivamente dal territorio nazionale senza che il giudice
abbia potuto pronunciarsi sul provvedimento restrittivo della sua
libertà personale. È, quindi, vanificata la garanzia contenuta nel terzo
comma dell’art. 13 Cost., e cioè la perdita di effetti del provvedimento
nel caso di diniego o di mancata convalida ad opera dell’autorità
giudiziaria nelle successive quarantotto ore. E insieme alla libertà
personale è violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo
incomprimibile”.
Non è certo in discussione la discrezionalità del legislatore nel
configurare uno schema procedimentale caratterizzato da celerità e
articolato sulla sequenza provvedimento di polizia-convalida del
giudice”, continua la Corte, anche perché “vengono qui […] in
considerazione la sicurezza e l’ordine pubblico suscettibili di esser
compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia
lo schema prescelto, in esso devono realizzarsi i principi della tutela
105 Su tale decisione, tra gli altri, si vedano i commenti di R. Romboli, Immigrazione,
libertà personale e riserva di giurisdizione: la Corte costituzionale afferma importanti principi, ma
lo fa sottovoce, in Foro italiano, 2001, I, 2703 ss.; di G. Bascherini, Accompagnamento alla
frontiera e trattenimento nei centri di permanenza temporanea: la Corte tra libertà personale e
controllo dell’immigrazione; e di D. Piccione, Accompagnamento coattivo e trattenimento dello
straniero al vaglio della Corte costituzionale: i molti dubbi su una pronuncia interlocutoria,
entrambi in Giurisprudenza costituzionale, 2001, rispettivamente pag. 1680 ss. e pag.
1697.
106 Cfr. la legge n. 106/2002.
181
giurisdizionale; non può, quindi, essere eliminato l’effettivo controllo
sul provvedimento de libertate, né può essere privato l’interessato di
ogni garanzia difensiva”. Di conseguenza, l’attuale disciplina107
prevede la sospensione dell’esecuzione in forma coattiva del
provvedimento di espulsione fino al momento della decisione sulla
sua convalida da parte del giudice di pace.
In conclusione, in materia di espulsione amministrativa,
accompagnamento coattivo e trattenimento dello straniero
extracomunitario vige un riparto di giurisdizione che è stato
efficacemente definito a matrioska, in cui si susseguono competenze
del giudice amministrativo e del giudice ordinario nell’ambito di una
costruzione legislativa complessa e articolata.108
Se, infatti, l’espulsione amministrativa è giustificata da motivi
di ordine pubblico, sicurezza dello Stato o contrasto al terrorismo, il
provvedimento in quanto tale (come già anticipato) può essere
impugnato solo davanti al giudice amministrativo che, nell’ultimo
caso, non può neppure ricorrere ai suoi tradizionali poteri cautelari.109
In relazione all’esecuzione dello stesso, tramite accompagnamento
coattivo, nonché in merito all’eventuale trattenimento presso un
Centro di identificazione è invece prevista una competenza del giudice
di pace, secondo lo schema previsto dall’art. 13, terzo comma, Cost.
Diversamente, in caso di espulsione amministrativa nei confronti di
soggetti socialmente pericolosi (oltre che in caso di violazione della
182
disciplina sull’ingresso o il soggiorno nel nostro territorio) la
competenza è sempre e comunque del giudice di pace.
In tutti i casi in cui venga limitata la libertà personale dei
soggetti in questione, però, rimane comunque il dubbio del rispetto
dei presupposti stabiliti dal’art. 13, terzo comma, Cost. Secondo lo
schema della disposizione costituzionale, infatti, la garanzia della
riserva di giurisdizione può essere temporaneamente derogata, salvo
convalida successiva, solo “in casi eccezionali di necessità ed urgenza,
indicati tassativamente dalla legge”. Ebbene, mentre un certo grado di
discrezionalità amministrativa è inevitabile nell’indicazione legislativa
dei presupposti concernenti l’espulsione per motivi di ordine
pubblico, sicurezza dello Stato o contrasto al terrorismo,110 maggiori
problemi può suscitare la scelta per un regime ordinario di intervento
da parte dell’autorità amministrativa, salvo convalida dell’autorità
giudiziaria (con una sorta di rovesciamento del rapporto tra regola ed
eccezione costituzionale).
Tale consapevolezza, da ultimo, sembra avere spinto il
legislatore ad un tentativo di maggiore puntualizzazione dei motivi alla
base dei provvedimenti di espulsione. Anche se con riferimento ai
cittadini comunitari, il d.lgs. n. 30/2007 prevede, infatti, che essi
possano essere allontanati: a) per motivi di sicurezza dello Stato; b)
per motivi imperativi di pubblica sicurezza; c) per altri gravi motivi di
ordine pubblico o di pubblica sicurezza.111 In base alla successiva
definizione legislativa, pur non esaustiva, i motivi di sicurezza dello
Stato sussistono quando la persona da allontanare si sospetta
appartenga a gruppi eversivi o terroristici, anche internazionali,112
ovvero vi siano “fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel
territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni
o attività terroristiche, anche internazionali”. I motivi imperativi di
pubblica sicurezza, invece, “sussistono quando la persona da
allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una
110 Molto meno evidenti, invece, nel caso di espulsione di soggetti socialmente
183
minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della
persona ovvero all’incolumità pubblica, rendendo urgente
l’allontanamento perché la sua ulteriore permanenza sul territorio è
incompatibile con la civile e sicura convivenza”.113
Anche in questo caso la competenza è differente: del Ministro
dell’interno nel primo caso; del prefetto, per lo più, negli altri due. 114
Ciò, ancora una volta, si ripercuote sul giudice competente a decidere
i relativi ricorsi: il TAR Lazio nel primo caso,115 il Tribunale ordinario
in composizione monocratica competente per territorio, negli altri
due. Quanto, infine, all’esecuzione del provvedimento, si prevede
l’accompagnamento coattivo alla frontiera solo nel caso di
allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato o per motivi
imperativi di pubblica sicurezza, salvo convalida del Tribunale
ordinario in composizione monocratica competente per territorio.116
Negli altri casi, invece, il provvedimento deve indicare il termine entro
cui il soggetto deve lasciare il territorio nazionale.117
In conclusione, appare evidente come, in materia di espulsione
amministrativa degli stranieri, la varietà dello strumentario di
prevenzione, in uno con l’attivazione dei tradizionali rimedi sul piano
113 A tal fine “tiene conto anche di eventuali condanne, pronunciate da un giudice
italiano o straniero, per uno o più delitti non colposi, consumati o tentati, contro la
vita o l’incolumità della persona, o per uno o più delitti corrispondenti alle
fattispecie indicate nell’articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, di eventuali
ipotesi di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di
procedura penale per i medesimi delitti, ovvero dell’appartenenza a taluna delle
categorie di cui all’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive
modificazioni, o di cui all’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive
modificazioni, nonché di misure di prevenzione o di provvedimenti di
allontanamento disposti da autorità straniere”.
114 Salvo il caso di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza di
minorenni o di cittadini comunitari che siano presenti in Italia da almeno dieci anni,
o, in generale, per motivi di ordine pubblico (cfr. l’art. 20, nono comma, del d.lgs.
n. 30/2007).
115 Oltre che nel caso di allontanamento per motivi di ordine pubblco (cfr. l’art. 22,
dello Stato che, in base all’art. 20, decimo comma, del d.lgs. n. 30/2007, “non può
essere superiore a dieci anni nei casi di allontanamento per motivi di sicurezza dello
Stato e a cinque anni negli altri casi”.
184
criminale,118 comportino un quadro normativo particolarmente
complesso e frastagliato, in cui i poteri di prevenzione risultano in
qualche modo sovrapposti agli interventi di politica criminale, a
evidente, ulteriore dimostrazione di tutti i rischi connessi al
progressivo scivolamento delle misure di prevenzione verso l’area del
c.d. diritto penale del nemico, con una sostanziale anticipazione della
soglia di punibilità.119
185
CAPITOLO QUINTO
1 Sul punto, da ultimo, si veda E. Balboni, La sicurezza tra Stato, Regioni ed enti locali,
relazione presentata al Convegno “I diversi volti della sicurezza”, Università di Milano-
Bicocca, 4 giugno 2009, in corso di pubblicazione.
competenza legislativa esclusiva dello Stato,2 in relazione alla c.d.
sicurezza in senso “lato” è invece riconosciuta una variegata
possibilità di intervento legislativo regionale, sia di tipo concorrente
sia di tipo residuale (a partire dalla generale competenza in materia
polizia amministrativa regionale e locale).3
Contemporaneamente, sul piano dell’attività amministrativa,
l’affermazione del principio di sussidiarietà verticale ha comportato il
superamento della sostanziale uniformità che caratterizzava il
precedente principio del parallelismo, riconoscendo in capo al
governo locale la generalità delle funzioni amministrative, salvo la
necessità di una loro attribuzione ad un livello superiore di governo al
fine di garantirne l’indispensabile esercizio unitario, in conformità con
i principi di differenziazione e adeguatezza.
Sembra, allora, evidente che in materia di sicurezza in senso
“stretto” ricorrano proprio quelle inevitabili esigenze di uniformità
che spingono ad un riconoscimento in primis del livello statale quale
livello in grado di assicurare una gestione unitaria delle relative
funzioni amministrative. Tale conclusione, sostanzialmente raggiunta
già in occasione dell’adozione del d.lgs. n. 112/1998, appare
comunque confermata anche dopo la riforma costituzionale del 2001
per tutta una serie di motivi, e in particolare la stretta connessione di
tali funzioni amministrative con la tutela dei diritti fondamentali, da
un lato, e con l’esercizio della giurisdizione, dall’altro.
In particolare, le funzioni di pubblica sicurezza evocano
proprio quelle possibilità di intervento, a volte anche di tipo
preventivo, riconosciute dalla Costituzione quali legittime limitazioni a
determinati diritti fondamentali; mentre il tradizionale compito di
repressione dei reati evidenzia il nesso con l’esercizio della funzione
giurisdizionale, di competenza esclusiva dello Stato. Se questo è vero,
la necessità di garantire il generale principio di eguaglianza impedisce
quindi di ipotizzare un’eccessiva frammentazione territoriale delle
2 A partire dalle più volte evocate competenze in materia di “sicurezza dello Stato”
e di “ordine pubblico e sicurezza”, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. d) e lett.
h), Cost.
3 Cfr. quanto detto supra, al Cap. II, in relazione alla sicurezza sanitaria, sociale,
188
funzioni amministrative in materia di sicurezza.4 Tuttavia, come
vedremo, la consapevolezza dell’opportunità di un margine di
flessibilità operativa che consenta di adattare l’azione amministrativa
alle diverse realtà territoriali, ha spinto il legislatore di revisione ad
individuare la necessità di disciplinare, con legge statale, forme di
coordinamento tra Stato e Regioni in materia di ordine pubblico e
sicurezza.5
Diverso, invece, l’ambito relativo alla c.d. sicurezza in senso
“lato”. In questo caso, infatti, è sicuramente possibile (ed anzi
necessaria) una maggiore articolazione, sul piano territoriale, di
funzioni che corrispondono a competenze assai diverse e variegate tra
loro, alcune delle quali tradizionalmente in capo alle autonomie
territoriali, e che possono evocare altrettante “sicurezze”. Così, ad
esempio, in relazione ai già citati casi della sicurezza ambientale o
sociale è la stessa definizione del loro composito ambito di intervento
a mettere in evidenza la necessaria rilevanza dei connessi contesti
territoriali o sociali, prefigurando interventi in grado di adattarsi alle
diverse realtà regionali e locali (ma sempre nel rispetto dei livelli
essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m,
Cost.).
In ogni caso, anche prima della riforma del Titolo V della
Costituzione le Regioni risultavano titolari di alcune funzioni in
materia di sicurezza, o perché delegate dallo Stato, o perché
strettamente connesse con funzioni di cui erano già titolari, o perché il
d.lgs. n. 112/1998 “aveva riservato allo Stato la sola competenza in
materia di standard minimi, riconoscendo implicitamente una
competenza regionale nella definizione di standard ulteriori”.6
4 Cfr. P. Bonetti, Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art. 117
della Costituzione, cit., in particolare pag. 506 ss.; F. Famiglietti, La sicurezza pubblica
come interesse unitario. Aspetti problematici di un’organizzazione federalistica della pubblica
sicurezza, in V. Baldini (a cura di), Sicurezza e Stato di diritto: problematiche costituzionali,
cit., in particolare pag. 290 ss.
5 Cfr. l’art. 118, terzo comma, Cost.
6 Così B. Caravita, Sicurezza e sicurezze nelle politiche regionali, cit., pag. 3. In particolare,
189
Tale assetto sembra confermato anche dalla legislazione
regionale in materia di sicurezza adottata dopo l’entrata in vigore della
legge cost. n. 3/2001,7 che delinea tendenzialmente forme di gestione
integrata sul territorio di diverse politiche della sicurezza.8 Le
disposizioni regionali, infatti, spaziano dalle attività di prevenzione e
contrasto di fenomeni criminali veri e propri (come la droga o la
prostituzione), attraverso forme di controllo e vigilanza del territorio
volte ad assicurare la fruibilità dei luoghi pubblici e a dissuadere forme
di microcriminalità; fino all’attivazione di politiche che mirino alla
riqualificazione urbana, all’integrazione sociale del disagio,
all’educazione alla legalità, volte alla garanzia di un’ordinata e civile
convivenza nelle città e nel territorio regionale.9
Il tutto, attraverso la predisposizione di strumenti di
coordinamento e di monitoraggio, che mirano a garantire le necessarie
forme di collaborazione con lo Stato, da un lato, e il sistema delle
autonomie locali, dall’altro; ma che vogliono coinvolgere anche i
cittadini, singoli e associati, le istituzioni religiose e il c.d. terzo settore
in genere, sia sul piano dello studio dei fenomeni e dell’elaborazione
disciplina base uniforme su tutto il territorio nazionale. Per una disamina di tali
aspetti, si veda AA.VV., Politiche per la sicurezza, Rapporto finale IRER, Milano,
2004, in particolare pag. 29 ss.
7 Si ricordano, tra le leggi vigenti: la legge Regione Lazio, n. 15/2001; la legge
Mezzetti, Ordine pubblico, sicurezza e polizia locale: il ruolo delle autonomie territoriali, cit., in
particolare pag. 90 ss.; A. Musumeci, Sicurezza e ordinamento regionale. Una analisi
comparata della legislazione regionale, in Astrid, all’indirizzo www.astrid-online.it.
9 Con riferimenti che spaziano fino a ricomprendere la sicurezza stradale, la
190
delle politiche, sia sul piano della loro concreta attuazione e gestione
sul territorio.10 Strumento principale di tali forme di coordinamento
risultano essere specifici accordi o intese, promossi dalla Regione con
lo Stato o gli enti locali.
In questo contesto, particolare rilevanza assume la legislazione
regionale in materia di polizia amministrativa locale, oggi valorizzata
dallo stesso dettato costituzionale, che la eslude espressamente
dall’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato.11 In
questo settore, infatti, il ruolo di coordinamento regionale appare
particolarmente significativo, anche alla luce della tradizionale
funzione regolamentare in materia da parte degli enti locali.12
Come noto, infatti, già il previgente testo dell’art. 117 Cost.
attribuiva alla competenza legislativa concorrente delle Regioni la
materia “polizia locale urbana e rurale”. Nella successiva attuazione
legislativa, si era poi specificato che le relative funzioni amministrative
“concernono le attività di polizia che si svolgono esclusivamente
nell’ambito del territorio comunale e che non siano proprie delle
competenti autorità statali”.13 Dunque, un ruolo delle autonomie
191
territoriali che risultava limitato all’ambito della vigilanza e del
controllo relativamente alle funzioni amministrative di propria
competenza, volto ad “evitare danni o pregiudizi che possono essere
arrecati alle persone o alle cose” nello svolgimento di attività
ricomprese nelle materie sulle quali si esercitano le loro competenze,
ma “senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni o gli interessi
tutelati in nome dell’ordine pubblico”.14
Tale assetto, anche sulla scia di quanto stabilito dalla legge-
quadro n. 65/1986,15 è stato poi sostanzialmente confermato dal d.lgs.
n. 112/1998, secondo il quale “le funzioni e i compiti amministrativi
relativi alla polizia amministrativa regionale e locale concernono le
misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere
arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attività
relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze,
anche delegate, delle Regioni e degli enti locali, senza che ne risultino
lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione
dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.16
Alla luce della riforma costituzionale del 2001, in ogni caso, le
competenze regionali e locali in materia di polizia amministrativa
sembrano sostanzialmente rafforzate, alla luce della loro strumentalità
all’esercizio delle differenti funzioni amministrative di competenza dei
rispettivi livelli di governo, e in conformità con il generale principio di
sussidiarietà. Tuttavia lo Stato mantiene un’importante possibilità di
intervento in materia di polizia locale attraverso la valorizzazione di
due importanti strumenti: a) da un lato, l’individuazione delle funzioni
fondamentali degli enti locali, di cui all’art. 117, secondo comma, lett.
p, Cost.; b) dall’altro, le forme di coordinamento delle funzioni
192
amministrative in materia di ordine pubblico e sicurezza, di cui all’art.
118, terzo comma, Cost.
Dal primo punto di vista, infatti, le funzioni di polizia
amministrativa locale ben potrebbero essere individuate quale
funzione fondamentale dei comuni da parte della legislazione dello
Stato, con una sicura incidenza delle potenzialità legislative regionali in
merito.17 Dal secondo punto di vista, invece, la legge statale, pur
intervenendo in un ambito formalmente differente dalla polizia
amministrativa (e cioè quello dell’ordine pubblico e della sicurezza),
potrebbe in ogni caso incidere su rilevanti profili organizzativi e
funzionali dei corpi di polizia locale.
17 Cosa che, da ultimo, appare in qualche modo confermata non solo dall’art. 21,
terzo comma, della legge n. 42/2009 nell’ambio dell’attuazione del c.d. federalismo
fiscale, che (seppure in via provvisoria) individua tra le funzioni fondamentali quelle
di “polizia locale”; ma anche dell’art. 2, primo comma, del d.d.l. di attuazione
dell’art. 117, secondo comma, lett. p, Cost., deliberato dal Consiglio dei ministri il
17 novembre 2009 (AC 3118), e in base al quale risultano funzioni fondamentali dei
comuni “l’accertamento, per quanto di competenza, degli illeciti amministrativi e
l’irrogazione delle relative sanzioni” (lett. u), nonché “l’organizzazione delle
strutture e dei servizi di polizia municipale e l’espletamento dei relativi compiti di
polizia amministrativa e stradale, inerenti ai settori di competenza comunale,
nonché di quelli relativi ai tributi di competenza comunale” (lett. v).
18 Da ultimo, per una ricostruzione dei diversi aspetti rilevanti, si rimanda a V.
Antonelli, La collaborazione tra Stato ed enti territoriali in materia di sicurezza locale: i patti
per la sicurezza, in Astrid, all’indirizzo www.astrid-online.it.
193
rispettivi comuni.19 In senso analogo, la successiva legge n. 65/1986
ha stabilito la collaborazione della polizia municipale con le forze di
polizia dello Stato, “previa disposizione del sindaco, quando ne venga
fatta, per specifiche operazioni, motivata richiesta dalle competenti
autorità”.20
Più in generale, era prevista la possibilità, per il prefetto, di
invitare a partecipare alle riunioni del Comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza pubblica anche “i responsabili […] degli enti
locali interessati ai problemi da trattare”, che quindi potevano
occasionalmente intervenire in quello che veniva definito come
“organo ausiliario di consulenza del prefetto”.21 Come noto, la
progressiva importanza assunta da tale sede di coordinamento ha
spinto successivamente il legislatore a modificare la composizione
originaria del Comitato, inserendovi stabilmente anche il sindaco del
comune capoluogo e il presidente della provincia.22 In questo modo,
con tutta evidenza, si è voluto sottolineare anche il rilievo assunto dai
vertici degli esecutivi comunali e provinciali, dotati di legittimazione
popolare diretta alla luce della loro elezione da parte delle comunità di
riferimento e veri titolari della funzione di indirizzo politico-
amministrativo a livello locale.
Successivamente, con particolare evidenza a partire dagli anni
‘90, sono state disciplinate e si sono afermate in via di prassi anche
forme sostanzialmente consensuali di collaborazione tra forze di
polizia e amministrazioni territoriali per la gestione della sicurezza in
ambito locale: piani coordinati di controllo del territorio23 ma,
al quale il Comitato risultava stabilmente composto dal prefetto, dal questore e dai
comandanti provinciali dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza.
22 Cfr. l’art. 1 del d.lgs. n. 279/1999, in base al quale la convocazione del Comitato,
194
soprattutto, protocolli di intesa, accordi e patti. Fondamentale, in
questo senso, risulta ad esempio quanto previsto dal d.p.c.m. del 12
settembre 2000,24 in base al quale “lo Stato, le Regioni e gli enti locali
collaborano in via permanente, nell’ambito delle rispettive
competenze, al perseguimento di condizioni ottimali di sicurezza delle
città e del territorio extraurbano e di tutela dei diritti di sicurezza dei
cittadini, nonché per la realizzazione di specifici progetti di
ammodernamento e potenziamento tecnico-logistico delle strutture e
dei servizi integrativi d sicurezza e di tutela sociale, agli interventi di
riduzione dei danni, all’educazione alla convivenza nel rispetto della
legalità”.25 Al Ministro dell’interno, in questo senso, è riconosciuto il
compito di promozione di tali forme di collaborazione tra Stato e
autonomie regionali e locali, che vengono poi sottoposte
all’attenzione della c.d. Conferenza unificata.26
Nonostante tali tentativoi di formalizzazione, rimasti
sostanzialmente sulla carta, la prassi istituzionale ha visto un crescente
utilizzo di variegati strumenti consensuali, di dversa natura e
denominazione, stipulati tra organismi statali di pubblica sicurezza e
autonomie regionali e locali.27
Più recentemente, la legge n. 296/2006 ha stabilito che “per la
realizzazione di programmi straordinari di incremento dei servizi di
polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini, il
come, in un decennio (1997-2006) siano stati stipulati circa 400 strumenti pattizi,
con varia denominazione e in molti casi non riconducibili ad un modello unitario.
195
Ministro dell’interno e, per sua delega, i prefetti, possono stipulare
convenzioni con le Regioni e gli enti locali che prevedano la
contribuzione logistica, strumentale o finanziaria delle stesse Regioni e
degli enti locali”.28 Anche sulla scia di tale disposizione, il successivo
20 marzo 2007 è stato sottoscritto il patto sulla sicurezza tra il
Ministero dell’interno e l’ANCI, seguito il 13 settembre 2008
dall’accordo tra il Ministero dell’interno e la Consulta ANCI dei
piccoli comuni in materia di patti per la sicurezza.
La complessiva finalità di tali tipologie di intervento non è,
però, limitata agli aspetti operativi e di controllo del territorio in senso
stretto, ma si estende fino alla previsione di forme di coordinamento
nell’ambito di iniziative volte a migliorare complessivamente la qualità
della vita nei centri urbani, attivando anche misure di prevenzione
sociale, iniziative di riqualificazione del territorio, nonché strumenti di
recupero del degrado sociale e urbano. Tutto questo, ancora una
volta, evidenzia quella che è stata definita una “visione plurale della
sicurezza”, percepita “come un bene pubblico realizzato in maniera
integrata”.29
Per superare la frammentarietà di tale variegata esperienza, lo
strumento costituzionalmente più idoneo appare la legge di
coordinamento in materia di ordine pubblico e sicurezza, di cui all’art.
118, terzo comma, Cost.30 Quest’ultima disposizione, in ogni caso,
pur prevedendo espressamente forme di coordinamento solamente tra
Stato e Regioni, non può non incidere anche sulle funzioni degli enti
locali. Come è stato notato, infatti, la già citata legislazione regionale
in materia di politiche integrate di sicurezza ha ampiamente previsto
ed incentivato, ad esempio, l’esercizio in forma associata delle
coordinamento per le materie del’ordine pubblico, della sicurezza e dell’immigrazione nel nuovo
art. 118 della Costituzione, in le Regioni, 2002, pag. 1121 ss.
196
funzioni di polizia locale, al fine di garantirne “uno svolgimento
omogeneo e coordinato”.31 Tale finalità, evidentemente, non sembra
dunque poter rimanere estranea alle citate forme di coordinamento tra
Stato e Regioni.32
Dal canto suo, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha
sottolineato l’importanza di tali forme di coordinamento, ribadendone
però la responsabilità in capo allo Stato. Secondo il Giudice delle
leggi, infatti, appare certamente auspicabile che si sviluppino “forme
di collaborazione tra apparati statali, regionali e degli enti locali volti a
migliorare le condizioni di sicurezza dei cittadini e del territorio”;
tuttavia “le forme di collaborazione e di coordinamento che
coinvolgono compiti e attribuzioni di organi dello Stato non possono
essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni,
nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono
trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le
prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati”.33
Significativo appare, però, il fatto che la stessa Corte
costituzionale indichi quale esempio di strumento collaborativo
quanto previsto dal già citato d.p.c.m. del 12 settembre 2000. Questa
indicazione, oltre al riferimento all’ipotesi di “accordi tra gli enti
interessati”, può apparire in contrasto con la previsione di cui all’art.
118, terzo comma, Cost., in base al quale è lo Stato con legge a dover
disciplinare le forme di coordinamento tra Stato e Regioni in materia
31 Cfr. L. Mezzetti, Ordine pubblico, sicurezza e polizia locale: il ruolo delle autonomie
territoriali, cit., pag. 94; P. Bonetti, op. ult. cit., pag. 1159 ss.
32 In questo senso, da ultimo, sembra andare anche la giurisprudenza costituzionale
197
di ordine pubblico e sicurezza. Tuttavia, l’indicazione da parte della
Corte del modello portato ad esempio sembra prescindere dal
problema relativo alla fonte in cui esso risulta attualmente contenuto.
In sostanza, la Corte sembra aver voluto riaffermare la necessità di
un’iniziativa statale in materia, pur evocando la necessità di un
accordo con gli enti territoriali interessati.34
Da ultimo, anche in relazione al principio di sussidiarietà
orizzontale e al ruolo del c.d. terzo settore,35 si è posto il problema
della partecipazione dei cittadini e delle loro associazioni alla gestione
delle funzioni in materia di sicurezza, con particolare riferimento
all’ambito locale. Come noto, infatti, la recente legge n. 94/2009 è
intervenuta sul punto, sia in relazione agli addetti ai servizi di
controllo delle attività di intrattenimento o spettacolo in luoghi aperti
al pubblico (i c.d. buttafuori),36 sia con riferimento alle associazioni di
osservatori volontari in materia di sicurezza urbana (le c.d. ronde).37
Particolare attenzione merita, però, la disciplina relativa agli
osservatori volontari,38 quale sintomo del consolidamento di forme di
198
sicurezza c.d. sussidiaria in ambito locale.39 Con tale espressione, in
via generale, si vuole indicare la tendenza ad un progressivo
coinvolgimento dei privati nello svolgimento di attività di pubblica
sicurezza che “non presuppongono l’esercizio di speciali poteri
autoritativi o coercitivi (quali le misure dirette alla prevenzione e alla
repressione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico […]) e
che possono, per tale ragione, essere, a certe condizioni affidati non
agli organi di polizia, ma a soggetti privati”.40 Si è parlato, in questo
senso, anche di sicurezza “partecipata”, in relazione alla constatazione
che “non esistono più attività istituzionali da vivere in solitudine o da
rivendicare in modo esclusivo, soprattutto quando riguardano ben
essenziali per lo sviluppo e il progresso della società”, come avviene
nel caso della sicurezza.41
La questione centrale, allora, risulta quella di definire a quale
nozione di sicurezza ci si debba riferire quando si evocano forme di
sicurezza sussidiaria o partecipata: alla c.d. sicurezza in senso “stretto”
o alla c.d. sicurezza in senso “lato”? Sul punto la disciplina in
già citato art. 134 del TULPS del 1931 (cfr. l’art. 1 del d.m. del 6 ottobre 2009).
Infine, in base all’art. 3, settimo comma, della legge n. 94/2009 è specificato che
“l’espletamento di tali servizi non comporta l’attribuzione di pubbliche qualifiche”,
stabilendo al contempo un generale divieto di uso delle armi, di strumenti atti ad
offendere e di qualunque strumento di coazione fisica”.
39 Cfr. G. Brunelli, L’inquietante vicenda delle ronde: quando la “sicurezza partecipata” mette
citato caso delle guardie giurate e degli istituti di vigilanza privata (artt. 133 e 134
TULPS del 1931), ma anche la disciplina legislativa in materia di affidamento dei
servizi di controllo e vigilanza aeroportuali (art. 5 della legge n. 217/1992; d.m. n.
85/1999) e di vigilanza venatoria (art. 27 della legge n. 157/1992). Da ultimo, però,
si veda anche la disciplina in materia di servizi di sicurezza sussidiaria nell’ambito di
porti, stazioni ferroviarie, metropolitane e di trasporto urbano (art. 18 della legge n.
155/2005; d.m. n. 154/ 2009).
41 Così, in particolare, I. Portelli, Gli intrecci della sicurezza tra Sato, autonomie locali e
199
questione non appare del tutto chiara. In base all’art. 3, quarantesimo
comma, della già citata legge n. 94/2009, infatti, “i sindaci, previa
intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di
associazioni tra cittadini non armati al fine di segnalare alle forze di
polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla
sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale”. A tal fine, è
istituito un apposito albo presso ciascuna prefettura, cui i sindaci
possono attingere, sulla base di apposita ordinanza, attivando
specifiche convenzioni operative con le singole associazioni.42 Queste
ultime, a loro volta, “devono avere tra gli scopi sociali […] quello di
prestare attività di volontariato con finalità di solidarietà sociale
nell’ambito della sicurezza urbana […], ovvero del disagio sociale, o
comunque riferibili alle stesse”.43
Alla luce di tale disciplina, le associazioni di osservatori
volontari appaiono per alcuni versi pienamente inserite nell’ambito
delle politiche di sicurezza in senso “stretto”. In questo senso, tra
l’altro, sembrano spingere: il ruolo centrale assunto dal prefetto, in
collaborazione con il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza
pubblica;44 l’evocazione dei poteri di ordinanza in materia di sicurezza
urbana dei sindaci in qualità di ufficiali del Governo;45 l’individuazione
delle forze di polizia quali destinatarie privilegiate delle eventuali
segnalazioni; la priorità assegnata alle associazioni costituite da
“appartenenti, in congedo, alle forze dell’ordine, alle forze armate e
agli altri corpi dello Stato”.46
Parallelamente, il richiamo insistito a finalità di intervento
rispetto a situazioni di disagio sociale, oltre che l’espressa indicazione
del fine di volontariato sociale quale requisito necessario ai fini della
richiesta di iscrizione nell’apposito albo da parte delle citate
42 Cfr. l’art. 3, quarantunesimo comma, della legge n. 94/2009; nonché gli artt. 3 e 4
del d.m. dell’8 agosto 2009.
43 Così l’art. 1, secondo comma, del d.m. dell’8 agosto 2009.
44 Comitato che deve essere previamente sentito dal prefetto in occasione
200
associazioni, sembrano invece evocare la c.d. sicurezza in senso
“lato”, con particolare riferimento all’ambito delle politiche sociali e di
assistenza. Evidenti, naturalmente, le conseguenze nell’uno e nell’altro
caso, con particolare riferimento all’esatta individuazione della
competenza legislativa in merito. 47
Più in generale, anche volendo valorizzare il principio di
sussidiarietà in senso “orizzontale” di cui all’art. 118, quarto comma,
Cost., va comunque valutata la possibilità di ammettere un
coinvolgimento del c.d. terzo settore nella gestione delle politiche
della sicurezza.48 Tale prospettiva, sicuramente ammissibile
nell’ambito della sicurezza in senso “lato” (si pensi, ad esempio, al
settore dei servizi sociali), risulta invece quanto meno dubbia se
riferita all’ambito della sicurezza in senso “stretto”, con particolare
riferimento alla tradizionale funzione di prevenzione e repressione dei
reati.49
201
In ogni caso, la vicenda delle c.d. ronde fa emergere con
evidenza il ruolo centrale assunto anche dal governo locale in materia
di politiche della sicurezza, alla luce del consolidamento normativo di
un concetto, quale quello di “sicurezza urbana”, di derivazione
sociologica50 e dagli incerti confini, e che chiama in causa una pluralità
di interventi sul territorio comunale da parte dello Stato, delle Regioni
e degli stessi enti locali, nel quadro di un sistema di coordinamento
che risulta ormai non più rinviabile.
50 Cfr. R. Selmini (a cura di), La sicurezza urbana, Bologna, 2004; F. Battistelli, L. Fay
Lucianetti, La sicurezza urbana tra politics e policy, in Astrid, all’indirizzo www.astrd-
online.it.
51 In base a tale disposizione, i provvedimenti in questione devono essere
202
per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la
convivenza civile e la coesione sociale”.52
Come subito evidenziato in dottrina, due appaiono i profili
maggiormente problematici connessi alla ricostruzione dei nuovi
poteri sindacali in materia di “sicurezza urbana”: a) da un lato, l’esatta
configurazione degli strumenti operativi attribuiti al sindaco (i già
citati “provvedimenti, anche contingibili e urgenti”); b) dall’altro, la
precisa individuazione dei settori di incidenza delle nuove forme di
intervento del sindaco, con particolare riferimento al concetto di
“sicurezza urbana”, termine assai sfuggente sul piano del linguaggio
giuridico.53
Dal primo punto di vista, il problema centrale è quello
dell’esatta individuazione del significato dell’inciso “anche”, inserito in
sede di conversione del decreto legge: diverse, infatti, appaiono le
letture possibili. In base ad una prima lettura della norma, tale inciso
avrebbe codificato la possibilità per il sindaco, “al fine di prevenire ed
eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la
sicurezza urbana”, di adottare due diverse tipologie di provvedimenti
in qualità di ufficiale del Governo. Alle tradizionali ordinanze sindacali
contingibili e urgenti, vero e proprio strumento extra ordinem,54
sembrerebbe, infatti, aggiungersi oggi la possibilità di adottare
provvedimenti (per così dire) ordinari, dalla difficile configurazione
ma, in base al dettato normativo, conseguentemente sottratte ai limiti
che caratterizzano in generale le ordinanze contingibili e urgenti.55
disposizione in commento, che sembra richiamare il limite del “rispetto dei principi
generali dell’ordinamento” solo in relazione all’ipotesi di adozione di provvedimenti
contingibili e urgenti.
203
Come noto, infatti, la giurisprudenza costituzionale ed
amministrativa hanno, nel corso degli anni, circondato l’adozione di
questi ultimi provvedimenti (sempre definiti di natura amministrativa)
di tutta una serie di presupposti e limitazioni: a) la straordinarietà dello
specifico evento da affrontare, che non consente l’utilizzo degli
ordinari strumenti a disposizione dell’amministrazione; b) l’urgenza di
provvedere, di fronte ad un pericolo o un danno imminente; c) la
possibilità di derogare a disposizioni di legge; d) il rispetto dei principi
generali dell’ordinamento giuridico e dei principi costituzionali; e)
l’adeguata motivazione dell’atto e la sua conoscibilità; f) la
temporaneità dell’intervento.56
Ebbene, solo alla luce di tali specificazioni si può ritenere
legittimo il ricorso ad atti sostanzialmente atipici e in grado di
derogare a vigenti disposizioni di legge o di integrare eccezionalmente
l’ordinamento giuridico (e, quindi, extra ordinem), in parziale deroga al
principio di legalità dell’azione amministrativa che emerge dal
combinato disposto degli artt. 23, 97 e 113 Cost. Diverse, invece, le
conclusioni sul piano dei provvedimenti sindacali di natura ordinaria,
sottratti alle limitazioni suddette in quanto non contingibili e urgenti,
ma pur sempre atipici, in quanto non disciplinati espressamente da
norme di legge; in questo caso, infatti, si sarebbe di fronte ad un
paradossale potere ordinario... in qualche modo extra ordinem.57 Di
conseguenza, un potere in qualche modo “libero”, ma anche
tendenzialmente stabile, perché non legato ai presupposti emergenziali
tipici degli interventi necessitati e temporanei, e che potrebbe
assumere dunque le caratteristiche di un atto a contenuto normativo,
generale e astratto.
Proprio per evitare tali inammissibili conseguenze, si potrebbe
immaginare allora che l’inserimento dell’inciso “anche” non sia stato
204
altro che un caso di svista redazionale del legislatore, e considerare sul
piano sistematico l’esistenza di un’unica tipologia di provvedimenti
sindacali, pur dopo la riforma dell’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000: quelli
di natura contingibile e urgente.58 La soluzione, pur ispirata alla
volontà di superare le problematiche prospettive sopra evidenziate,
sembra però forzare troppo il dato testuale (oltre che le intenzioni del
legislatore), non tenendo conto di una modifica espressamente inserita
sulla base di un emendamento governativo, volto ad arricchire e a
rendere maggiormente flessibile lo strumentario a disposizione del
sindaco in materia di incolumità pubblica e sicurezza urbana. In
questo senso, tra l’altro, sembra andare anche la concreta prassi
attuativa e sembra indirizzarsi, pur in maniera problematica, la prima
giurisprudenza amministrativa.59
Da ultimo, significativamente, tale consapevolezza è stata in
qualche modo fatta propria anche dalla Corte costituzionale,60 la quale
ha espressamente affermato che “tra le maggiori novazioni introdotte
[…] nella previgente legislazione vi è la possibilità riconosciuta ai
sindaci dall’attuale comma 4 dell’art. 54 […] non solo di emanare
ordinanze contingibili e urgenti, ma anche di adottare provvedimenti
di ordinaria amministrazione a tutela di esigenze di incolumità
pubblica e sicurezza urbana”.61
possibile controllo giurisdizionale, caso per caso, da parte del giudice comune o di
205
L’unica possibilità, allora, è quella di tentare un’interpretazione
che, pur non smentendo il dato letterale innovativo, risulti conforme
ai principi costituzionali, e in particolare alla legalità dell’azione
amministrativa. In questo senso, però, l’unico tentativo esperibile è
quello di una distinzione tra le due tipologie di provvedimenti
costruita intorno alle specifiche finalità di ciascuna.
Se, infatti, compito generale di tali provvedimenti è quello sia
di “prevenire” sia di “eliminare” i più volte citati gravi pericoli che
minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, potrebbe
ipotizzarsi che, mentre sul piano più generale della prevenzione i
provvedimenti generalmente adottabili debbano essere quelli di natura
ordinaria, conseguentemente dotati di una maggiore stabilità; 62 invece,
sul piano specifico dell’eliminazione e del contrasto puntuale ai
fenomeni di insicurezza urbana, possano trovare applicazione più
confacente le ordinanze contingibili e urgenti, limitate ad affrontare
una specifica situazione di disagio, definita nel tempo e nello spazio.
Chiare, sul punto, anche le conseguenze: nel primo caso i
provvedimenti del sindaco dovrebbero trovare un limite invalicabile
nelle vigenti norme di legge e di regolamento (essendone, di fatto,
specifica attuazione); nel secondo, con tutte le specificazioni e i limiti
già evidenziati, potrebbero anche derogare temporaneamente a vigenti
disposizioni di legge.63
questa stessa Corte in sede di conflitto fra gli enti”. Su tale decisione sia consentito
un rinvio a T.F. Giupponi, “Sicurezza urbana” e ordinanze sindacali: un primo (e
inevitabilmente parziale) vaglio del Giudice delle leggi, in corso di pubblicazione in le
Regioni, 2009.
62 Potendo, tra l’altro, concretizzarsi in interventi inerenti non solo le competenze
op. cit., pag. 181, secondo il quale, però, comune a entrambe le ipotesi sarebbe il
206
La questione, allora, sembra spostarsi dal piano della
configurazione della tipologia di provvedimenti adottabili da parte del
sindaco a quello, non meno problematico, dell’individuazione
legislativa degli ambiti di intervento e dei conseguenti limiti
all’esercizio di tali rinnovati poteri (anche ordinari) in materia di
incolumità pubblica e sicurezza urbana. E’, ancora una volta, il
principio di legalità dell’azione amministrativa che deve orientare
l’interprete, a partire dalle definizioni di “incolumità pubblica” e
“sicurezza urbana”.
Da questo punto di vista la dottrina, nel complesso, sembra
essersi però sostanzialmente divisa sulla base di due letture differenti:
a) sicurezza urbana come parte dell’ordine pubblico;64 b) sicurezza
urbana come intreccio e punto di coordinamento tra competenze
diverse, statali e non statali, volto non solo alla prevenzione e
repressione criminale, ma anche alla promozione e coesione sociale.65
Dal primo punto di vista, a ben vedere, i nuovi poteri del
sindaco in materia di sicurezza urbana non sarebbero altro che una
specificazione, sul piano dell’amministrazione locale, della già citata
competenza legislativa statale in materia di ordine e sicurezza pubblica
(art. 117, secondo comma, lett. h, Cost.). Per tali motivi, e
coerentemente, il legislatore statale avrebbe riconosciuto al sindaco un
ruolo in qualità di ufficiale del Governo, e non come rappresentante
della comunità locale; sempre in quest’ottica, dunque, andrebbero letti
il potere sostitutivo del prefetto nonché il potere del Ministro di
di ordine e sicurezza pubblica nel nuovo art. 54 del TUEL, in AA.VV. Nuovi orizzonti della
sicurezza urbana dopo la legge 24 luglio 2008, n. 125 ed il decreto del Ministro dell’interno, cit.,
pag. 51 ss.
207
adottare atti di indirizzo nei confronti dei sindaci.66 Nell’ambito
dell’esercizio di una competenza amministrativa che, per le sue
peculiarità, richiede comunque un esercizio unitario, pur articolandosi
sul territorio, tali forme di coordinamento e vigilanza appaiono,
infatti, del tutto coerenti con l’intento di evitare eccessive difformità
di azione sul territorio nazionale. In quest’ottica, dunque, il sindaco
andrebbe a qualificarsi come vera e propria Autorità locale di pubblica
sicurezza, assumendo un ruolo centrale nell’organizzazione e nel
coordinamento sul territorio delle connesse politiche.67
Una tale ricostruzione, però, presta il fianco alle obiezioni
fondate sul rispetto, ancora una volta, del principio di legalità
dell’azione amministrativa, anche in relazione a funzioni che,
fondamentali o conferite a livello locale che siano, devono trovare
comunque nella legge la loro fonte di disciplina e generale
organizzazione (artt. 117 e 118 Cost.).68 Legge che, invece, nel caso
specifico appare come una sorta di norma in bianco, rimettendo
completamente ad un decreto ministeriale l’indicazione degli ambiti di
intervento del sindaco in materia di sicurezza urbana,69 in assenza
66 Previsti dal già citato art. 54, undicesimo e dodicesimo comma, del d.lgs. n.
267/2000.
67 Significativo, in questo senso, è quanto previsto dall’art. 54, secondo comma, del
d.lgs. n. 267/2000, in base al quale “il sindaco […] concorre ad assicurare anche la
cooperazione della polizia locale con le forze di polizia statali, nell’ambito delle
direttive di coordinamento impartite dal Ministro dell’interno – Autorità nazionale
di pubblica sicurezza”. Nella medesima direzione sembra andare anche la scelta di
un potenziamento del già citato strumento dei piani coordinati di controllo del
territorio (di cui all’art. 17 della legge n. 128/2001), ora espressamente estesi alla
determinazione “dei rapporti di reciproca collaborazione fra i contingenti di
personale della polizia municipale e provinciale e gli organi di polizia dello Stato”
anche nell’ambito di specifiche esigenze di comuni “diversi da quelli dei maggiori
centri urbani” (cfr. l’art. 7 della legge n. 125/2008, che rinvia ad un apposito d.m.
per l’indicazione delle procedure operative).
68 Così, in particolare, A. Pajno, op. cit., passim, il quale sottolinea come anche le già
l’interprete, limitandosi a prevedere, più dal punto di vista teleologico che sul piano
oggettivo, alcune specifiche azioni volte a prevenire e contrastare: 1) le situazioni
urbane di degrado e isolamento che favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi;
208
della garanzia di un’efficace gestione sul territorio degli inevitabili
profili di unitarietà che devono caratterizzare le funzioni di ordine
pubblico e sicurezza, potenzialmente incidenti sui diritti fondamentali
dei singoli individui, anche alla luce del rispetto del generale principio
di eguaglianza.70
Secondo altri, invece, per sicurezza urbana non dovrebbe
intendersi una vera e propria materia, quanto piuttosto una finalità da
perseguire nell’intreccio di diverse funzioni pubbliche, non solo statali
ma anche di competenza delle autonomie territoriali. La stessa
definizione proposta dal d.m. del 5 agosto 2008 sembra offrire spunti
in questo senso, laddove si fa riferimento alla necessità di “migliorare
le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la
coesione sociale”.
Tali finalità, infatti, non risultano certo il proprium dellac.d.
sicurezza in senso “stretto”, ma evocano piuttosto tradizionali
competenze di governo delle realtà territoriali, quali i servizi sociali,
l’assistenza sanitaria o l’urbanistica, in cui vige (tra l’altro) una
competenza legislativa regionale residuale, analogamente a quanto
accade in materia di polizia amministrativa locale.71 Una concezione,
sottolinea come risulti improprio il riferimento, nel preambolo del d.m., alla
necessità di assicurare “uniformità su tutto il territorio nazionale dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali fondamentali” in relazione
all’esercizio di una competenza esclusiva statale, quale quella in materia di ordine
pubblico e sicurezza. I livelli essenziali, infatti, “sono assicurati comunque, in ogni
materia dell’ordinamento […]: la materia può essere anche pienamente regionale,
ma i livelli essenziali sono comunque stabiliti dallo Stato”. Una malcelata
209
dunque, che all’idea di una tutela di interessi pubblici primari,72
sembra affiancare quella di una promozione della complessiva qualità
della vita e dei servizi all’interno dei centri urbani, nell’ambito di un
esercizio coordinato delle diverse competenze di governo statale,
regionale e locale.
Anche tale visione, però, si presta ad alcune obiezioni. Se,
infatti, sul piano della legalità dell’azione amministrativa, in questa
prospettiva il riferimento del d.m. alle attività poste a difesa “del
rispetto delle norme che regolano la vita civile”, sembra in parte poter
recuperare a fondamento di tali rinnovati poteri sindacali tutta la
disciplina, a partire da quella legislativa e per finire a quella
regolamentare, rilevante nell’ambito del già citato intreccio funzionale
di competenze (risultando in qualche modo “riempita” quella pagina
bianca che prima veniva evidenziata),73 non altrettanto coerente con
tale visione sembra essere la già citata disciplina concernente i rapporti
tra sindaco, prefetto e Ministro dell’interno. Se, infatti, nell’ambito
dell’esercizio di una competenza sostanzialmente attinente ai profili
dell’ordine pubblico e della sicurezza, tale assetto appare in qualche
modo coerente, valorizzando invece un’interpretazione funzionalista
del concetto di “sicurezza urbana” i poteri sostitutivi o di indirizzo già
citati appaiono in qualche modo da rileggere (essendo, ad esempio,
difficile immaginare profili di supremazia gerarchica tra prefetto e
sindaco quando questi agisce in qualità di responsabile dell’ente
territoriale e nell’esercizio di competenze locali).74
Sul punto, da ultimo, la Corte costituzionale sembra però aver
valorizzato la prima delle citate prospettive. Seppure nell’ambito di
quello che sembra un mero obiter dicutm, nella già citata sent. n.
196/2009, e relativamente ad un conflitto di attribuzione sollevato
“non paritaria rispetto al Prefetto, temperata dalla circostanza che […] cumula in sé
una doppia funzione di amministratore locale e di organo statale, realizzando una
vera unione reale (e personale) di uffici”, leggendo però tali rapporti alla luce della
necessaria garanzia di forme di coordinamento in tale delicato settore.
210
dalla Provincia autonoma di Bolzano, la Corte ha affermato
chiaramente che, alla luce della legge n. 125/2008 e del d.m. del 5
agosto 2008, “i poteri esercitabili dai sindaci, ai sensi dei commi 1 e 4
dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, non possono che essere quelli
finalizzati all’attività di prevenzione e repressione dei reati, e non i
poteri concernenti lo svolgimento di funzioni di polizia
amministrativa”, facendo la norma espressamente riferimento alle
competenze statali di cui all’art. 117, comma secondo, lett. h, Cost. Il
tutto, in ogni caso, a prescindere da una “valutazione del merito del
decreto impugnato e in particolare dal profilo concernente l’ampiezza
della definizione del concetto di sicurezza urbana in relazione ai suoi
potenziali riflessi sulla sfera di libertà delle persone”.75
Pur nella consapevolezza delle problematiche già evidenziate,
che dal punto di vista istituzionale e organizzativo sembrano
configurare la “sicurezza urbana” come una sorta di sicurezza
pubblica minore,76 sembra invece possibile accedere ad una sua
diversa interpretazione, valorizzando una lettura sistematica della
nuova disciplina legislativa, in coerenza con le funzioni e le
competenze riconosciute ai diversi livelli di governo dopo la riforma
del Titolo V del 2001, e alla luce delle specifiche finalità evidenziate
dallo stesso d.m. del 5 agosto 2008, con particolare riferimento al
miglioramento delle condizioni di vivibilità nei centri urbani, la
convivenza civile e la coesione sociale. Ci si riferisce, in particolare,
ad una lettura che, in relazione alla sicurezza urbana, metta insieme
sicurezza in senso “stretto” e sicurezza in senso “lato”, valorizzando
le specifiche finalità delle diverse funzioni e competenze coinvolte da
tale sintetica nozione, e nell’ambito dell’indispensabile individuazione
75 Secondo la Corte, infatti, “in questa sede […] il sindacato che la Corte è chiamata
a svolgere è circoscritto al profilo concernente l’area delle competenze dello Stato e
della Provincia autonoma ed alla verifica di un’eventuale menomazione di queste
ultime da parte del provvedimento impugnato”. In ogni caso, continua la Corte, “il
rispetto del confine nei vari casi e ambiti potrà essere oggetto di controlli
giurisdizionali ad opera del giudice comune o di questa stessa Corte in sede di
conflitto fra gli enti”.
76 Così, espressamente, A. Pajno, op. cit., passim.
211
delle necessarie forme di coordinamento tra i diversi livelli di
governo.77
Tutto ciò, ancora una volta, non fa che rendere ancora più
evidente la necessità di una rapida individuazione, da un lato, delle
funzioni fondamentali degli enti locali e, dall’altro, delle forme di
coordinamento tra Stato e Regioni in materia di ordine pubblico e
sicurezza. Con tali provvedimenti, infatti, si potrà trovare il giusto
equilibrio tra esigenze di prevenzione e repressione criminale, in cui
un ruolo centrale da parte dell’amministrazione statale è innegabile ed
anzi necessaria e dovuta alla luce del dettato costituzionale (pur nelle
necessarie forme di coordinamento operativo a livello locale); e
gestione delle politiche di inclusione e coesione sociale, in cui un
ruolo centrale è invece rivestito dai livelli di governo regionali e locali,
pur nell’ambito di una tutela dei livelli essenziali delle prestazioni che
deve essere garantita in modo uniforme su tutto il territorio nazionale
(art. 117, secondo comma, lett. m, Cost.).
212
Particolarmente rilevante, in questo senso, la già citata sent.
407/2002,79 con cui la Corte ha chiaramente affermato che la nozione
di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, secondo comma, lett.
h), Cost. “è da configurare, in contrapposizione ai compiti di polizia
amministrativa regionale e locale, come settore riservato allo Stato
relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei reati o al
mantenimento dell’ordine pubblico”, e questo anche alla luce di quello
che viene definito un tradizionale indirizzo della stessa giurisprudenza
costituzionale in materia di sicurezza pubblica. Appare
conseguentemente escluso che tale nozione possa invece assumere
“una portata estensiva, in quanto distinta dall’ordine pubblico, o
collegata con la tutela della salute, dell’ambiente, del lavoro e così
via”.80
Tuttavia, più di recente, la giurisprudenza della Corte sembra
aver assunto una concezione in parte diversa della competenza
legislativa statale in materia di ordine pubblico e sicurezza. I primi
segni di tale percorso, in realtà, possono essere colti fin dalla sent. n.
428/2004, in materia di disciplina statale della circolazione stradale.81
In quella occasione, infatti, la Corte ha ritenuto di individuare, sulla
base di argomentazioni di tipo sistematico, una sorta di competenza
esclusiva statale “innominata” in materia, in quanto riconducibile a
diverse competenze esclusive espresse. Tra queste, come noto, anche
quella in materia di ordine pubblico e sicurezza, sulla base
dell’esigenza di assicurare l’incolumità delle persone coinvolte nella
213
circolazione e di prevenire i connessi reati ipotizzabili.82 Evidente, in
questo senso, il rilievo centrale assunto dall’incolumità delle persone
che, come noto, può però essere messa in discussione anche al di
fuori del tradizionale ambito di intervento relativo alla prevenzione e
repressione dei reati.83
In maniera ancora più evidente, nella successiva sent. n.
222/2006, in relazione all’allora vigente regolamentazione statale del
possesso di razze canine pericolose,84 la Corte ritiene che tale
disciplina sia stata adottata “per fronteggiare evenienze involgenti
interessi strettamente collegati alla difesa della sicurezza pubblica e,
alla luce di tale finalizzazione […] in base al criterio della prevalenza
deve essere ricondotta alla materia ordine pubblico e sicurezza di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione, di
competenza esclusiva dello Stato”.85 E questo alla luce della
considerazione in base alla quale, “in quanto funzionale alla
salvaguardia dell’incolumità pubblica dal rischio di aggressione da
214
parte di animali addestrati all’aggressività, la disciplina mira a prevenire
reati contro la persona”.
Analogo ragionamento, a ben vedere, è al centro della quasi
coeva sent. n. 237/2006, relativa ad alcune disposizioni di una legge
provinciale in materia di installazione di macchine da gioco all’interno
degli esercizi pubblici.86 La previsione di limitazioni alla loro
installazione, infatti, secondo la Corte non attiene alla disciplina dei
pubblici esercizi, dal momento che “anche la disciplina relativa al
numero massimo di apparecchi che possono essere installati in un
determinato esercizio non attiene tanto alla sicurezza riferita allo
svolgimento dell’attività da parte degli esercenti di un pubblico
servizio”, ma rientra nella materia ordine pubblico e sicurezza. Tutto
ciò “considerati i caratteri dei giochi cui sono predisposte tali
apparecchiature (aleatorietà e possibilità di vincite, seppur modeste, in
denaro), la conseguente forte capacità di attrazione e concentrazione
di utenti e l’altrettanto elevata probabilità di usi illegali degli
apparecchi medesimi”. Come è stato sottolineato, da tale ultima
giurisprudenza emerge la progressiva capacità di penetrazione della
potestà legislativa statale in materia di ordine pubblico e sicurezza nei
confronti di ambiti materiali potenzialmente riconducibili alla
competenza legislativa regionale, sulla scia del consolidato modello
delle c.d. competenze trasversali.87
Successivamente, con la sent. n 51/2008, in materia di
“sicurezza aeroportuale”,88 la Corte ha riconosciuto che le impugnate
norme statali relative alla “sicurezza dei passeggeri e degli operatori in
ambito aeroportuale” rientrano nell’ambito di una pluralità di materie
di sua competenza esclusiva, quali “sicurezza dello Stato”, “ordine
pubblico”, ma anche “protezione dei confini nazionali”. Pertanto non
può essere evocata dalle Regioni alcuna competenza in materia,
nemmeno nell’ambito della legislazione concorrente su “porti e
86 Cfr. gli artt. 12 e 13 della legge n. 3/2005 della Provincia autonoma di Trento.
87 Così, in particolare, P. Bonetti, La giurisprudenza costituzionale sulla materia
“sicurezza” conferma la penetrazione statale nelle materie di potestà legislativa regionale, in le
Regioni, 2007, pag. 124 ss., con particolare riferimento alle connessioni con la
materia “ordinamento penale”.
88 Cfr. S. Busti, Leale collaborazione tra Stato e Regioni per i “requisiti di sietma” delle gestioni
215
aeroporti civili”.89 In senso sostanzialmente analogo sembra andare
anche la sent. n. 18/2009, in materia di disciplina regionale delle
procedure di assegnazione delle bande orarie di trasporto aereo e del
rilascio delle connesse concessioni aeroportuali,90 in cui il Giudice
delle leggi ha escluso ogni possibile riconduzione alla competenza
legislativa concorrente “porti e aeroporti civili”.91 Secondo la Corte,
infatti, “la disciplina dell’assegnazione delle bande orarie negli
aeroporti […] risponde, da un lato, ad esigenze di sicurezza del
traffico aereo, e, dall’altro, ad esigenze di tutela della concorrenza, le
quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato”.
L’analisi, pur rapida, di tali decisioni conferma la progressiva
estensione della nozione di sicurezza, oltre i confini dell’originaria
lettura restrittiva operata dalla Corte, in relazione alle attività di
prevenzione e repressione dei reati. Il riferimento alla più generale
categoria dell’incolumità delle persone, infatti, può aprire prospettive
potenzialmente espansive per la legislazione statale esclusiva, capace
di incidere su ogni competenza legislativa regionale relativa a settori
potenzialmente esposti a rischi. Questa tendenza, accanto all’utilizzo
del criterio della prevalenza o della concorrenza tra diverse potestà
legislative (statali e regionali), ci consegna i tratti di una competenza
statale dotata di rileanti possibilità di intervento.
Forse anche per questo, da ultimo, la Corte sembra aver
definitivamente abbandonato la sua originaria impostazione. Con la
sent. n. 21/2010, infatti, il Giudice delle leggi ha per la prima volta, ed
Busti, Slot “vietato” alla Regione Lombardia, in le Regioni, 2009, pag. 684 ss.
91 “La legge regionale impugnata nel presente giudizio, pur riguardando sotto un
profilo limitato ed in modo indiretto gli aeroporti, non può essere ricondotta alla
materia porti e aeroporti civili, di competenza regionale concorrente. Tale materia
[…] riguarda le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale, mentre
la normativa impugnata attiene all’organizzazione ed all’uso dello spazio aereo,
peraltro in una prospettiva di coordinamento fra più sistemi aeroportuali”.
216
espressamente, affermato che “la materia della sicurezza, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., […] non si esaurisce
nell’adozione di misure relative alla prevenzione e repressione dei
reati, ma comprende la tutela dell’interesse generale all’incolumità
delle persone, e quindi la salvaguardia di un bene che abbisogna di
una regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale”.
Forse consapevole della sostanziale svolta,92 i giudici
costituzionali cercano in qualche modo di ricondurre ad unità la loro
pregressa giurisprudenza, anche se con evidenti difficoltà, ricordando
che “la giurisprudenza di questa Corte […] ha chiarito che la materia
sicurezza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h, Cost., riguarda
gli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati e al mantenimento
dell’ordine pubblico. Ma ha anche precisato che rientrano in tale
ambito di competenza esclusiva dello Stato la definizione delle attività
necessarie a garantire la sicurezza aeroportuale relativa al controllo
bagagli e passeggeri (sentenza n. 51 del 2008) e la disciplina
dell’assegnazione delle bande orarie negli aeroporti coordinati
(sentenza n. 18 del 2009)”.
La disposizione statale in questione, impugnata sul punto dalla
Regione Emilia-Romagna, prevede una disciplina generale in materia
di installazione, manutenzione e gestione degli impianti relativi agli
edifici, nell’ambito di un complessivo riordino delle relative normative
tecniche, rinviato a successivi decreti interministeriali.93 Secondo la
Corte, tale disciplina “attenendo a profili di sicurezza delle
92 Ancora più evidente, a ben vedere, se si pensa che solo qualche mese prima
aveva ribadito la tradizionale lettura della sicurezza quale ambito connesso alla
prevenzione e repressione dei reati (cfr. le già citate sentt. nn. 129/2009 e
196/2009).
93 Cfr. l’art. 35, primo comma, della legge n. 133/2008: “Entro il 31 dicembre 2008
217
costruzioni, collegati ad aspetti di pubblica incolumità” è
conseguentemente riconducibile alla materia della sicurezza, di cui
all’art. 117, secondo comma, lett. h), Cost., escludendo quindi ogni
possibile spazio di intervento legislativo in capo alle Regioni.94 E’
possibile che, sul punto, abbia influito la particolare natura delle
norme in materia di sicurezza degli impianti all’interno degli edifici,
che la stessa Corte definisce come norme tecniche, inevitabilmente
dettagliate. Tuttavia, il principio affermato appare particolarmente
rilevante.
Secondo la decisione da ultimo evidenziata, la sicurezza
sembra quindi assumere (di fatto) le caratteristiche riconosciute dalla
Corte alle già citate materie c.d. trasversali, pur senza che ciò venga
espressamente evidenziato. Tuttavia, in questo senso, appare ormai
evidente come la Corte identifichi nella sicurezza non più un
determinato ambito materiale di interevento statale, sostanzialmente
delimitato alla sfera della prevenzione e repressione dei reati, quanto
una più complessiva finalità connessa alla tutela dell’incolumità delle
persone su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalle attività e dai
settori rilevanti. Tale “interesse generale”, infatti, abbisogna di una
disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, motivo per cui la
sua tutela non può essere messa in discussione dal riconoscimento dei
diversi ambiti di competenza materiale su cui può incidere il sistema
delle autonomie territoriali.
Si rende ancora una volta evidente, allora, la necessità di
formalizzare le necessarie forme di coordinamento in materia, a
partire dall’attuazione di quanto previsto dall’art. 118, terzo comma,
Cost., anche per evitare che una questione così delicata possa essere
lasciata al naturale, occasionale e mutevole comporsi sul piano politico
dei diversi interessi in gioco, attraverso meccanismi consensuali o di
intesa che la stessa giurisprudenza della Corte successiva alla riforma
del Titolo V ha sicuramente valorizzato, ma che, non adeguatamente
disciplinati, rischiano di non poter garantire appieno la tutela di
quell’interesse generale all’incolumità delle persone che, a detta della
Corte, richiede una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale.
218
5. Verso una dimensione europea della sicurezza pubblica?
settore si veda E. Paciotti, G. Amato (a cura di), Verso l’Europa dei diritti, Lo spazio
europeo di libertà, sicurezza e giustizia, Bologna, 2005; F. Clementi, Lo spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, in F. Bassanini, G. Tiberi (a cura di), Le nuove istituzioni europee.
Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, 2008.
97 Cfr., in particolare, gli artt. 36, 48, 56, 135, 223 e 224 del Trattato di Roma del
1957. Significativo, in questo senso, appare quanto previsto dall’art. 36, in base al
quale le disposizioni del Trattato finalizzate all’abolizione delle restrizioni
quantitative alle importazioni “lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni
all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità
pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita
delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del
patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà
industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire
un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio
tra gli Stati membri”
219
competenze comunitarie la predisposizione di misure volte a garantire
la “sicurezza sociale” dei lavoratori,98 mentre si sarebbero
successivamente aggiunte anche specifiche previsioni in materia di
tutela dei consumatori99 e di sicurezza ambientale.100
In relazione alla sicurezza, per così dire, in senso “stretto”, il
momento determinante per una presa di coscienza delle sue
dimensioni potenzialmente transnazionali è, però, proprio il 1992. In
quel momento, infatti, entra a far parte degli obiettivi dell’UE non
solo la costruzione di una politica estera e di sicurezza comune, ma
anche, e soprattutto, la cooperazione in materia di “giustizia e affari
interni”, nell’ambito del c.d. terzo pilastro.101
98 Cfr., in particolare, gli artt. 51 e 118 del Trattato di Roma del 1957, con
riferimento anche alla protezione contro gli infortuni e le malattie professionali e
all’igiene del lavoro.
99 Cfr., in particolare, l’art. 153 del TCE.
100 Cfr. gli artt. 174 ss. del TCE.
101 Cfr. l’art. B del Trattato di Maastricht, in base al quale “L’Unione si prefigge i
seguenti obiettivi: […]sviluppare una stretta cooperazione nel settore della giustizia
e degli affari interni”. La specificazione degli ambiti di intervento risultava poi
indicata nel Titolo VI del TCE, e in particolare nell’art. K.1: “Ai fini della
realizzazione degli obiettivi dell’Unione, in particolare della libera circolazione delle
persone […] gli Stati membri considerano questioni di interesse comune i settori
seguenti: 1) la politica di asilo; 2) le norme che disciplinano l’attraversamento delle
frontiere esterne degli Stati membri da parte delle persone e l’espletamento dei
relativi controlli; 3) la politica d’immigrazione e la politica da seguire nei confronti
dei cittadini dei paesi terzi; a) le condizioni di entrata e circolazione dei cittadini dei
paesi terzi nel territorio degli Stati membri; b) le condizioni di soggiorno dei
cittadini dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri, compresi il
ricongiungimento delle famiglie e l’accesso all’occupazione; c) la lotta contro
l’immigrazione, il soggiorno e il lavoro irregolari di cittadini dei paesi terzi nel
territorio degli Stati membri; 4) la lotta contro la tossicodipendenza, nella misura in
cui questo settore non sia già contemplato dai punti 7), 8) e 9); 5) la lotta contro la
frode su scala internazionale, nella misura in cui questo settore non sia già
contemplato dai punti 7), 8) e 9); 6) la cooperazione giudiziaria in materia civile; 7)
la cooperazione giudiziaria in materia penale; 8) la cooperazione doganale; 9) la
cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il
traffico illecito di droga e altre forme gravi di criminalità internazionale, compresi,
se necessario, taluni aspetti di cooperazione doganale, in connessione con
l’organizzazione a livello dell’Unione di un sistema di scambio di informazioni in
seno ad un Ufficio europeo di polizia (Europol)”.
220
Originariamente collegata con la necessità di garantire la libera
circolazione delle persone (al centro anche del c.d. sistema Schengen),
la sua collocazione nell’ambito del c.d. terzo pilastro ne evidenziava,
però, la gestione sul piano delle relazioni intergovernative, e quindi al
di fuori degli strumenti tipici del metodo comunitario.
Successivamente, con l’adozione del Trattato di Amsterdam del 1997,
viene indicato, come obiettivo dell’UE, la creazione di uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, “in cui sia assicurata la libera circolazione
delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i
controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione
della criminalità e la lotta contro quest’ultima”.102
Contemporaneamente, parti significative delle politiche del c.d. terzo
pilastro vengono comunitarizzate, con particolare riferimento alle
politiche dell’immigrazione e dell’asilo, e alla cooperazione giudiziaria
in materia civile.103
Da ultimo, dopo lo stallo seguito al fallimento del Trattato
costituzionale del 2004, il Trattato di Lisbona del 2007, superando la
tradizionale struttura a tre pilastri dell’UE, ha sostanzialmente
ricondotto al tradizionale metodo comunitario anche le procedure
relative allo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, anche se il
ruolo della Commissione e della Corte di giustizia risulta depotenziato
dalla temporanea limitazione delle loro reali possibilità di intervento in
102 Così l’art. 1 del Trattato di Amsterdam, modificando l’art. B del Trattato di
Maastricht.
103 Proprio per questo, il Titolo VI del TCE cambia denominazione, riguardando
221
materia.104 Nel frattempo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea proclamata a Nizza nel 2000 aveva finalmente codificato il
progressivo consolidarsi di un patrimonio comune europeo in materia
di diritti, rendendo ancora più evidente la necessità della
predisposizione di strumenti transnazionali volti ad una loro
implementazione e tutela. Dunque, oggi lo spazio di libertà, sicurezza
e giustizia rientra nell’ambito delle competenze concorrenti dell’UE, 105
motivo per cui vale la regola generale che “gli Stati membri esercitano
la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la
propria”.106 Il tutto nell’ambito della conferma dell’obiettivo generale
volto ad offrire ai cittadini europei “uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia”.107
Il percorso si qui delineato, in ogni caso, appare ancora in via
di perfezionamento, e non privo di ambiguità e contraddizioni,
vertendo in un settore, quale quello della pubblica sicurezza, che
incide sul tradizionale monopolio dell’uso della forza da parte dei
singoli Stati. A ben vedere, in realtà, la progressiva affermazione di
una nozione di “sicurezza europea”, e di organismi e procedure
transnazionali finalizzate alla sua gestione, appare la conseguenza del
consolidamento di un ordinamento del tutto peculiare, come quello
comunitario, nato sul piano essenzialmente economico, al fine di
costruire un mercato comune tra gli Stati membri. Tuttavia, lo stesso
obiettivo di creare uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia,
inizialmente considerato come strumentale alla garanzia della libertà di
circolazione delle persone, sembra ormai assumere una sua piena
autonomia.
104 Come previsto, per cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona,
dall’art. 10, secondo comma, del Protocollo n. 34 sulle disposizioni transitorie (sul
punto, cfr., J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, pag. 55 ss.).
105 Cfr. l’art. 4, secondo comma, lett. j), del TFUE.
106 Cfr. l’art. 2, secondo comma, del TFUE.
107 “Senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone
insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne,
l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro
quest’ultima”.Così, espressamente, l’art. 3, secondo comma, TUE.
222
In ogni caso, come è stato messo in evidenza anche di recente,
l’attuale assetto risulta insoddisfacente per tutta una serie di motivi. 108
Innanzitutto a causa dello scarso livello di esecuzione di una
normazione che appare ormai abbondante e stratificata. Alle origini di
tale problema, con tutta evidenza, sta anche l’individuazione di un
ruolo degli organi dell’UE, sul piano amministrativo, limitato a
compiti strumentali e di coordinamento, lasciando invece alle
amministrazioni nazionali i compiti di gestione concreta e di
attuazione finale in materia di sicurezza.109
Secondariamente, alla luce della pluralità degli assetti
organizzativi previsti, che variano dalla mera utilizzazione delle
amministrazioni nazionali, sulla scia della c.d. esecuzione
amministrativa indiretta, a forme di cooperazione comune europea
maggiormente stabili ed istituzionalizzate, con o senza un ruolo di
coordinamento della Commissione, fino alla previsione di veri e
propri organismi europei di coordinamento dotati di personalità
giuridica, sul modello delle c.d. agenzie, o al riconoscimento in capo
alla stessa Commissione di tale ruolo di coordinamento.110 La
complessità e frammentarietà di un tale assetto organizzativo, frutto
evidente di una progressiva stratificazione normativa in materia, rende
dunque particolarmente difficile la piena garanzia del principio di
buon andamento dell’amministrazione.
108 Sui quali, da ultimo, si intrattengono E. Chiti, B.G. Mattarella, op. cit., in
particolare pag. 309 ss.
109 Cfr. E. Chiti, B.G. Mattarella, op. cit., pag. 329 ss. Evidenti, in questo senso, gli
una volta E. Chiti, B.G. Mattarella, op. cit., pag. 318 ss.
223
Da ultimo, si segnala la problematica attivazione di
meccanismi europei di tutela giurisdizionale in materia di sicurezza, a
garanzia dei singoli individui. A fronte delle note limitazioni
all’accesso diretto delle persone fisiche o giuridiche al sistema
comunitario di giustizia, in tale ambito resistono ancora ulteriori
limitazioni al ruolo della stessa Corte di giustizia, con particolare
riferimento al rinvio pregiudiziale, almeno fino a quando non
terminerà il già citato periodo transitorio di cui all’art. 10, secondo
comma, del Protocollo n. 36.111 Solo successivamente allo scadere di
tale periodo, infatti, si potrà ritenere sostanzialmente comunitarizzato
anche l’intero spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.
In conclusione, se il superamento della struttura a tre pilastri
consentirà, almeno in prospettiva, un complessivo rafforzamento
degli interventi comunitari in materia di sicurezza, con riferimento alla
cooperazione di polizia e alla cooperazione giudiziaria in materia
penale rimangono ancora evidenti le resistenze da parte degli Stati
nazionali, in relazione ad un settore considerato parte del loro
patrimonio storico, ancora gelosamente custodito.112
111 In relazione al c.d. terzo pilastro (e con particolare riferimento alle decisioni-
quadro e alle decisioni), l’art. 35 TUE, abrogato dal Trattato di Lisbona, prevedeva
infatti che la giurisdizione della Corte di giustizia in materia di rinvio pregiudiziale
fosse subordinata ad una sua espressa accettazione da parte dei singoli Stati
membri.
112 Evidente, in questo senso, quanto previsto dall’art. 83, terzo comma, TFUE, in
merito alle direttiva in materia di “norme minime relative alla definizione dei reati e
delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una
dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o
da una particolare necessità di combatterli su basi comuni”. Secondo tale
disposizione, infatti, “qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di
direttiva […] incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico
penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal
caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa. Previa discussione e in caso di
consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il
progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa
ordinaria. Entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati
membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto
di direttiva in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la
Commissione. In tal caso l’autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata
[…] si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione
rafforzata”.
224
Tuttavia, l’accresciuta consapevolezza di individuare più
efficaci forme di collaborazione e coordinamento in materia di
politiche per la sicurezza, resa evidente anche dalla necessità di
contrasto a fenomeni criminali particolarmente insidiosi e ramificati,
come la criminalità organizzata e, da ultimo, il terrorismo
internazionale, ha spinto ad individuare nuove forme di
collaborazione sul piano informativo, con particolare riferimento non
solo al necessario scambio di elementi tra gli operatori di polizia di
diversi Stati membri, ma anche all’individuazione di vere e proprie
banche dati comuni.113
113 Si veda, ad esempio, quanto previsto dal Trattato di Prüm del 2005. Su tale
Trattato, con particolare riferimento alla problematica individuazione di banche dati
sul DNA, cfr. C. Antoniello, L’adesione dell’Italia al Trattato di Prüm: prime osservazioni,
in Federalismi.it, all’indirizzo www.federalismi.it.
225
RIEPILOGO
I.
228
oggetto di disciplina normativa (attraverso una ricostruzione, da
questo punto di vista, puramente formale); quello che mira a indagare
le complesse dimensioni giuridiche della sicurezza quale valore
costituzionale, immergendola all’interno di un dato ordinamento e dei
suoi principi.
II.
229
b) la sicurezza è un limite ad alcuni diritti fondamentali; c) la sicurezza
è uno specifico compito degli apparati pubblici, con particolare
riferimento al livello statale.
230
5. Infine, la tutela della sicurezza viene espressamente
ricondotta ad alcuni apparati pubblici, in particolare a livello statale.
Significativo, in questo senso, il tradizionale ruolo svolto
dall’amministrazione di pubblica sicurezza, nell’ambito delle attività di
prevenzione dei reati e, in genere, dei comportamenti e delle
situazioni socialmente pericolose. Differente, anche se volto a tutelare
ugualmente la sicurezza come interesse costituzionale, il ruolo giocato
dall’amministrazione della difesa e dall’autorità giudiziaria (la prima,
come noto, finalizzata esclusivamente alla tutela della sicurezza
esterna, con peculiarità organizzative e funzionali del tutto autonome
nell’ambito dell’amministrazione statale; la seconda, invece, volta più a
garantire la reintegrazione, ex post, dell’ordine giuridico violato tramite
lo strumento del processo che non a tutelare ex ante la sicurezza dei
diritti e degli interessi costituzionalmente tutelati).
231
8. Dunque, volendo trarre delle prime conclusioni, le
dimensioni costituzionali della sicurezza accolte dalla nostra Carta
fondamentale sembrano essere così sintetizzabili: esterna/interna;
individuale/collettiva; essenzialmente materiale. Ciò non ostante, con
una sovrapposizione tra i problemi della sicurezza nella e della
Costituzione (che abbiamo visto essere collegati, ma non certo del
tutto sovrapponibili), la Corte costituzionale ha ambiguamente
prefigurato anche una concezione ideale del concetto di sicurezza
(con particolare riferimento alle tormentate vicende dell’ordine
pubblico). Tuttavia, anche alla luce della chiara opzione del nostro
Costituente a favore di una democrazia aperta (e non protetta), tale
prospettiva appare di difficile coerenza con l’impianto della nostra
Carta fondamentale.
III.
232
nell’art. 54 Cost. (a volte congiunti sistematicamente o in
collegamento con l’art. 5 Cost.). Da questo punto di vista, mentre le
attività informative connesse alla difesa militare (sul piano esterno)
troverebbero un fondamento nell’art. 52 Cost., quelle relative alla
sicurezza interna si fonderebbero sull’art. 54 Cost.
233
la necessaria riservatezza che coinvolge necessariamente le attività di
intelligence (eventualmente tutelata attraverso specifiche modalità di
azione); altra la disciplina del divieto assoluto di conoscibilità di
determinate notizie, connesso alla nozione di segreto di Stato (il quale,
di per sé, non ha nulla a che vedere con la generale attività dei servizi,
potendo eventualmente tutelare solo determinate e specifiche notizie
considerate pericolose per la sicurezza nazionale).
234
aspetto, in particolare, è evidenziato dalla scelta di far dipendere le due
nuove Agenzie (AISE e AISI) direttamente dalla Presidenza del
consiglio, al cui interno viene non a caso istituito un apposito
Dipartimento (DIS). Risulta confermata la scelta per una duplicità dei
servizi; tuttavia, attraverso il riferimento all’ambito interno o esterno
delle relative attività, si aggiunge un nuovo criterio a quello
tradizionalmente connesso alle funzioni istituzionali dei due servizi
(sicurezza militare e sicurezza interna contro fenomeni eversivi), con
una rigidità forse eccessiva.
235
fondamentali, contrariamente alle stesse premesse costituzionali da cui
parte il Giudice delle leggi.
IV.
236
libertà personale (art. 13 Cost.), la cui lettura in chiave essenzialmente
strumentale rispetto all’ambito di intervento della giurisdizione penale
o meno (alla luce del c.d. vuoto dei fini) comporta anche una diversa
lettura e configurazione degli stessi poteri di prevenzione e dei
rispettivi limiti. In base a quanto sin qui detto in merito alle
dimensioni costituzionali della sicurezza, e sulla base di una lettura
sistematica delle disposizioni della nostra Carta fondamentale, non
sembra però potersi accogliere una visione dell’art. 13 Cost. come
norma meramente strumentale rispetto all’esercizio della giurisdizione
penale (alla quale, quindi, andrebbe riconosciuta l’esclusività delle
limitazioni della libertà personale possibili).
237
costituzionali in materia di penalizzazione (tassatività, determinatezza,
non colpevolezza).
238
delle misure di prevenzione verso l’area del c.d. diritto penale del
nemico, con una sostanziale anticipazione della soglia di punibilità.
V.
239
territorio. Anche in questo caso, però, sembra assumere particolare
rilevanza la distinzione tra l’ambito connesso alla c.d. sicurezza in
senso “sretto” e quello relativo alla sicurezza in senso “lato”. Se,
infatti, nel primo caso la prospettiva non sembra che confermare il
consolidato, importante apporto del c.d. terzo settore nella gestione di
una vasta gamma di servizi alla persona e alla comunità; in relazione al
secondo emergono tutte le difficoltà di una delega al settore privato
delle tradizionali funzioni di ordine pubblico, vista la loro particolare
delicatezza. Da ultimo, l’ambigua disciplina legislativa delle
associazioni di osservatori volontari (le c.d. ronde), di cui alla legge n.
94/2009, mostra tutte le difficoltà di una tale prospettiva.
240
dell’incolumità delle persone, anche se nell’ambito di specifici settori
di intervento (ad es. circolazione sradale o sicurezza aeroportuale). Da
ultimo, con la recente sent. n. 21/2010, si è invece assistito a quello
che sembra essere un vero e proprio mutamento di giurisprudenza,
avendo la Corte espressamente sottolineato come la competenza
statale in materia di “ordine pubblico e sicurezza” non debba riferirsi
solo all’ambito della prevenzione e repressione penale, ma debba
estendersi anche alla tutela dell’interesse generale all’incolumià delle
persone. In questo modo, di fatto, si delineano tutti i tratti di quella
che sembra essere ormai una vera e propria materia trasversale.
241
loro sovranità in merito ad un settore di consolidata competenza
nazionale
242
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