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febbraio 2010

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INDICE

PREMESSA ......................................................................... pag. 5

CAPITOLO PRIMO

I DIVERSI VOLTI DELLA SICUREZZA

1. La natura polisemica della sicurezza. Sicurezza in senso


“stretto” e sicurezza in senso “lato” ....................................... pag. 7
2. La parabola della sicurezza: dalla sovranità dello Stato alla
Costituzione ................................................................................ pag. 13
3. La sicurezza come condizione di ogni ordinamento
giuridico ...................................................................................... pag. 23
4. La sicurezza come oggetto di disciplina giuridica. . ............... pag. 27
5. La sicurezza come valore costituzionale ................................. pag. 30
6. Sicurezza “nella” Costituzione e sicurezza “della”
Costituzione, tra “normalità” ed “emergenza”. Il ruolo
della giurisdizione costituzionale ............................................. pag. 35

CAPITOLO SECONDO

COSTITUZIONE REPUBBLICANA E SICUREZZA

1. La sicurezza nella Costituzione repubblicana del 1948: una


ricognizione . ............................................................................... pag. 49
2. La sicurezza come garanzia dei (e come limite ai) diritti
fondamentali ............................................................................... pag. 56
3. L’inesistenza di un “diritto alla sicurezza” ............................. pag. 68
4. Le esigenze della sicurezza e l’assetto dei poteri, tra forma
di Stato e forma di governo ...................................................... pag. 72
5. Le vicende costituzionali dell’ordine pubblico, tra limiti
impliciti e bilanciamento .................................................... pag. 83
6. Le frontiere costituzionali della sicurezza: istituzioni,
diritti, dimensioni territoriali .................................................... pag. 91

CAPITOLO TERZO

SICUREZZA E ISTITUZIONI:
TRA GOVERNO E GIURISDIZIONE

1. “Sicurezza dello Stato”, “sicurezza nazionale”, “sicurezza


della Repubblica”. Il fondamento costituzionale
dell’attività di informazione per la sicurezza . ........................ pag. 97
2. Servizi di informazione e segreto di Stato: i problematici
profili di sovrapposizione ......................................................... pag. 106
3. La legge n. 801/1977: il ruolo centrale della Presidenza del
Consiglio...................................................................................... pag. 109
4. La legge n. 124/2007 e la riforma dei servizi di
informazione. I rapporti con l’amministrazione di
pubblica sicurezza....................................................................... pag. 118
5. Attività di intelligence e diritti fondamentali. La disciplina
delle garanzie funzionali ............................................................ pag. 126
6. Sicurezza della Repubblica e funzione giurisdizionale:
verso un bilanciamento impossibile?....................................... pag. 134

CAPITOLO QUARTO

SICUREZZA E DIRITTI:
TRA AMMINISTRAZIONE E GIURISDIZIONE

1. Costituzione e poteri di prevenzione. Dal Testo Unico


delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 alla “legge
Tambroni” del 1956 .................................................................. pag. 143
2. La progressiva estensione dell’originaria disciplina. Verso
una “penalizzazione” delle misure di prevenzione? ............. pag. 150

2
3. Sicurezza, prevenzione e dignità sociale: l’evoluzione della
giurisprudenza costituzionale .............................................. pag. 161
4. Misure di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali.
Alla ricerca di un difficile bilanciamento ................................ pag. 169
5. Un caso emblematico: l’espulsione amministrativa degli
stranieri ........................................................................................ pag. 176

CAPITOLO QUINTO

SICUREZZA E DIMENSIONI TERRITORIALI:


IL COORDINAMENTO DEL SISTEMA MULTILIVELLO

1. “Sicurezza” e “sicurezze” nella riforma del Titolo V della


Costituzione: il ruolo della legislazione regionale................... pag. 187
2. Le forme di coordinamento tra i diversi livelli di governo:
l’art 118, terzo comma, Cost. La c.d. sicurezza sussidiaria ... pag. 193
3. La “sicurezza urbana” e i nuovi poteri sindacali di
ordinanza nel Testo Unico degli enti locali del 2000............. pag. 202
4. Le dimensioni costituzionali della sicurezza, tra esigenze
di uniformità e sistema delle autonomie. La
giurisprudenza costituzionale.................................................... pag. 212
5. Verso una dimensione europea della sicurezza pubblica?..... pag. 219

RIEPILOGO ................................................................................... pag. 227

INDICE DELLE OPERE CONSULTATE ......................... .pag. 243

3
PREMESSA

Salus rei publicae suprema lex esto. Il detto, pur tralatizio, coglie
ancora l’essenza del problematico, antico rapporto tra sicurezza e
diritto. La stessa costruzione di ogni ordinamento giuridico, infatti,
ruota intorno alla necessità di garantire la sicurezza dei consociati. A
sua volta, la nascita dello Stato moderno si è fondata sulla
predisposizione di apparati in grado di garantire quel monopolio
dell’uso della forza che risultava essenziale al fine di assicurare la
sicurezza esterna e interna della comunità. In questo senso, la stessa
affermazione della sovranità dello Stato si è alimentata della necessità
di rendere sicura la comunità di riferimento, garantendo la pace e la
sicurezza.
Proprio per questo, però, le esigenze connesse alla sicurezza
sono entrate quasi naturalmente in conflitto con il diritto, che ha
progressivamente cercato di regolamentarne gli apparati, le specifiche
procedure operative e le concrete finalità di azione. Tale tensione, in
particolare, è emersa successivamente all’affermazione dei principi del
costituzionalismo liberale, che ha rappresentato il superamento degli
assetti assolutistici tipici dell’ancien régime, attraverso l’affermazione
della separazione dei poteri e dei principi dello Stato di diritto,
connessi al riconoscimento di una sfera inviolabile di diritti della
persona umana.
A partire da quel momento, infatti, l’antico problema della
legittimazione del potere e dei limiti al suo eserizio viene declinato
secondo parametri diversi, che non riducono in alcun modo il peso
della sicurezza nell’ambito della costruzione dei nuovi ordinamenti
liberali, ma ne articolano diversamente le dimensioni giuridiche. La
sicurezza dello Stato, e del suo ordinamento, si arricchisce infatti della
prospettiva connessa al riconoscimento di una sicurezza dei diritti
inviolabili dell’uomo, che è compito primario dello Stato garantire e
tutelare. Dunque sicurezza dello Stato e sicurezza dei diritti risultano
strettamente legate, dal momento che la realizazione dell’una è
condizione necessaria alla garanzia dell’altra.
Gli ordinamenti contemporanei, figli dell’evoluzione in chiave
democratica degli ordinamenti liberali, cercano oggi di riorganizzare
l’antica tensione fra gubernaculum e iurisdictio alla luce
dell’individuazione di alcuni principi fondamentali, codificati in Carte
costituzionali rigide e che cercano di imporsi anche alla sfera di
decisione politico-rappresentativa. Tuttavia, anche in tale contesto le
esigenze della sicurezza emergono con evidenza, anche se nell’ambito
di una costruzione istituzionale che, alla luce della primazia dei diritti
fondamentali della persona umana, tende ad articolare ulteriormente i
soggetti, le procedure, e gli ambiti territoriali coinvolti nella sua
gestione.
In ogni caso, pur immersa nell’ambito dei principi e dei valori
degli odierni ordinamenti costituzionali liberaldemocratici, l’originaria
natura della sicurezza a volte sembra riemergere con tutta la sua forza,
fino a lambire i confini di una sorta di “zona d’ombra” del
costituzionalismo. Appare, dunque, particolarmente interessante
cercare di ripercorrere i tratti essenziali della nozione giuridica di
sicurezza, pur consapevoli della sua naturale valenza polisemica e
plurale, nel tentativo di ricostruirne le complessive dimensioni accolte
dal nostro ordinamento costituzionale.
Per fare questo, però, l’analisi cercherà di esplorare le frontiere
della sicurezza che sembrano mettere maggiormente in rilievo le
problematiche tensioni cui si è accennato. In questo senso, sarà
approfondita per prima, sul piano istituzionale, l’attuale, problematica
natura dei servizi di informazione e dei limiti della loro attività, di
recente oggetto di una significativa riforma legislativa, nell’ottica della
tutela della sicurezza dello Stato. Successivamente, verranno prese in
considerazione le misure di prevenzione, il cui statuto costituzionale è
ancora oggetto di contrastanti interpretazioni, soprattutto alla luce
della loro incidenza sulla sfera dei diritti individuali. Da ultimo,
saranno analizzate le ricadute, sul piano della gestione della sicurezza,
dell’articolazione pluralistica della Repubblica, accentuata (sul piano
territoriale) dalla recente riforma costituzionale del 2001.
In questo modo, almeno nelle intenzioni, si potrà forse meglio
mettere a fuoco lo spessore costituzionale della sicurezza, quale valore
accolto nel nostro ordinamento, e per questo ricondotto, infine, al
giudizio della Corte costituzionale, cui spetta, attraverso l’utilizzo delle
consolidate tecniche del bilanciamento di interessi, il difficile ruolo di
custode ultimo della legittmità costituzionale.

6
CAPITOLO PRIMO

I DIVERSI VOLTI DELLA SICUREZZA

Sommario: 1. La natura polisemica della sicurezza. Sicurezza in senso


“stretto” e sicurezza in senso “lato”. 2. La parabola della sicurezza: dalla
sovranità dello Stato alla Costituzione. 3. La sicurezza come condizione di
ogni ordinamento giuridico. 4. La sicurezza come oggetto di disciplina
giuridica. 5. La sicurezza come valore costituzionale. 6. Sicurezza “nella”
Costituzione e sicurezza “della” Costituzione, tra “normalità” ed
“emergenza”. Il ruolo della giurisdizione costituzionale.

1. La natura polisemica della sicurezza. Sicurezza in senso “stretto” e sicurezza


in senso “lato”

Il concetto giuridico di “sicurezza”, come noto, è in grado di


indicare cose assai diverse tra loro, a seconda non solo dell’ambito di
riferimento prescelto e del punto di vista ritenuto rilevante, ma anche
del momento storico di evoluzione di un determinato ordinamento, e
delle sue caratteristiche principali.
La stessa etimologia del termine (dal latino se e cura) suggerisce
almeno due diverse letture possibili:
a) sicurezza, in senso soggettivo, come stato d’animo di un
soggetto, privo di inquietudini o preoccupazioni (sine cura);
b) sicurezza, in senso oggettivo, come garanzia dell’ordinato
vivere civile nell’ambito di una determinata comunità (tranquillitas).
Dunque un’espressione che, già alla luce delle sue origini
linguistiche, rimanda sia ad una condizione soggettiva del singolo
individuo, sia ad una condizione materiale di assenza di pericoli,1
evidenziando la sua natura intrinsecamente polisemica.

1 Naturalmente, come appare subito evidente, i due aspetti sono comunque

collegati, dal momento che lo stato d’animo del singolo individuo dipende anche
dalle reali condizioni di vita che caratterizzano la comunità in cui è inserito.
A partire da tale generale bipartizione, la nozione di sicurezza
può essere colta, però, anche sotto ulteriori prospettive, che ne
rappresentano altrettante dimensioni giuridiche. In via di prima
approssimazione, si possono individuare le seguenti ipotesi:
1) sicurezza esterna / sicurezza interna, con particolare
riferimento ai differenti problemi connessi alla tutela dalle aggressioni
e dai pericoli esterni al gruppo sociale, oppure in relazione ai fattori di
rischio endogeni ad una determinata collettività organizzata
(differenti, in questo senso, appaiono non solo i problemi, ma anche
le soluzioni e gli strumenti tradizionalmente individuati);2
2) sicurezza individuale (o “sicurezza da”) / sicurezza
collettiva (o “sicurezza di”), attraverso la valorizzazione sia della
dimensione di tutela dei diritti fondamentali garantiti da un
determinato ordinamento giuridico, sia dei profili connessi
all’individuazione di limitazioni all’agere dei singoli individui, in
connessione non solo con la garanzia di altre situazioni giuridiche
soggettive o in relazione all’adempimento di determinati obblighi o
prestazioni a favore della collettività, ma anche in riferimento alla
tutela di specifici interessi pubblici;
3) sicurezza materiale / sicurezza ideale, in relazione alla
tradizionale questione attinente alla categoria dell’ordine pubblico, e
alla duplice accezione che può esservi ricondotta: tutela da forme
violente di aggressione ai beni giuridici tutelati, oppure garanzia
dell’insieme dei principi e dei valori fondanti caratteristici di un
determinato ordinamento giuridico.
Colta nella sua naturale pluralità di significati, la sicurezza
rivela, altresì, la sua natura sostanzialmente relazionale, in connessione
con gli specifici oggetti che, di volta in volta, concorrono a delinearne
la concreta dimensione operativa: la sicurezza, infatti, non assume un
valore in sé e per sé considerata, ma solo in relazione a persone o
situazioni determinate. Un individuo o un contesto, infatti, possono
risultare sicuri esclusivamente in relazione a qualcosa o a qualcuno;
mentre è proprio l’individuazione o la presenza di determinati pericoli
o rischi a metterne in discussione l’esistenza.

2 Significative in questo senso, ad esempio, le tradizionali competenze


rispettivamente, dell’amministrazione della difesa e di quella di pubblica sicurezza.

8
Dal punto di vista del diritto pubblico, e del diritto
costituzionale in particolare,3 la rilevanza della sicurezza (quale
sicurezza pubblica) appare evidente sotto tutti i profili appena
accennati, spesso a loro volta in qualche modo intersecati o
parzialmente sovrapposti. E’, infatti, rilevante sia dal punto di vista
della tradizionale protezione della collettività organizzata da pericoli di
aggressione, provengano essi dall’esterno o dall’interno; sia dal punto
di vista della tutela dei diritti dei singoli individui e delle concrete
dimensioni della sua operatività, non di rado circoscritte dalla
previsione di specifiche limitazioni.
Da ultimo (anche se molto più problematicamente), emerge
una sua connotazione quale “diritto alla sicurezza”, di difficile
ricostruzione quale autonoma situazione giuridica soggettiva; nonché
una sua dimensione non solo materiale, connessa alla protezione del
gruppo sociale e dei diritti dei singoli individui che ne fanno parte, ma
anche ideale, in relazione ai principi e ai valori di riferimento di un
determinato ordinamento, codificati nel testo costituzionale.
Ciò nonostante, la concreta dimensione costituzionale della
sicurezza varia da ordinamento a ordinamento, con particolare
riferimento alla specifica forma di Stato e alla conseguente
organizzazione dei pubblici poteri. In questo senso, infatti, è possibile
riscontrare ordinamenti che hanno valorizzato, a seconda dei periodi
storici e delle connesse tradizioni costituzionali, alcune dimensioni
della sicurezza rispetto ad altre.
Dal punto di vista cronologico,4 l’inevitabile punto di partenza
è rappresentato dall’affermazione dello Stato moderno, attraverso il
consolidamento delle monarchie nazionali europee nel corso del XVI
e XVII secolo. In quell’ambito, infatti, l’emersione di un potere
sovrano accentrato nelle mani del Monarca è accompagnata della
costante lotta per l’accrescimento della propria potenza nei confronti

3 Sul punto, da ultimo, si veda M. Dogliani, Il volto costituzionale della sicurezza,


relazione presentata al Convegno “I diversi volti della sicurezza”, Università di Milano-
Bicocca, 4 giugno 2009, in corso di pubblicazione.
4 Per una recente ricostruzione storica, con particolare riferimento all’evoluzione

del problematico rapporto tra libertà e sicurezza, si veda P. Ridola, Libertà e diritti
nello sviluppo storico del costituzionalismo, in R. Nania, P. Ridola (a cura di), I diritti
costituzionali, I, Torino, 2006, in particolare pag. 138 ss.

9
degli altri Stati, spesso attraverso lo strumento della guerra. Evidente,
allora, in questo senso soprattutto la dimensione esterna e materiale
della sicurezza, operante sul piano prettamente militare.
L’affermazione del costituzionalismo liberale, in
contrapposizione ai precedenti assetti assolutistici, pone invece per la
prima volta l’accento sulla tutela dei diritti inviolabili dei singoli
individui, che il pubblico potere deve garantire e di fronte ai quali la
macchina dello Stato sembra doversi arrestare. Separazione dei poteri,
centralità della legge parlamentare, Stato di diritto e principio di
eguaglianza, inevitabilmente, connotano in modo diverso il concetto
di sicurezza quale “sicurezza da”, in relazione ai diritti della nuova
classe borghese. In questo contesto di forte omogeneità sociale, e di
ridotta partecipazione politica, appaiono particolarmente evidenti i
profili interni della sicurezza, mentre sembrano recessivi i problemi
connessi alla sua dimensione ideale.
La rivoluzione industriale e l’inizio dell’evoluzione in chiave
più nettamente democratica degli ordinamenti costituzionali
occidentali, come noto, incrinerà il mito liberale dell’omogeneità
sociale, immettendo fattori di forte disomogeneità e tensione
all’interno delle collettività organizzate, soprattutto alla luce della
richiesta di nuove tutele e spazi di intervento da parte della classe
operaia, organizzata nei partiti politici di massa.
Di conseguenza, verrà a mutare anche il significato attribuito
alla sicurezza e alla sua dimensione più prettamente costituzionale. La
necessità di fronteggiare le tensioni sociali interne, fortemente intrise
di idealità politico-rivoluzionarie, porterà, infatti, ad un’ulteriore
accentuazione della dimensione interna della sicurezza, oltre che ad un
consolidamento di una sua valenza sul piano più propriamente ideale,
a difesa dei principi ispiratori dello Stato liberale borghese. In tale
contesto, anche sul piano dei diritti dei singoli individui il significato
della sicurezza sembra mutare, essendo sempre più collegato alla
dimensione della “sicurezza di” (parallelamente all’affermazione dei
nuovi diritti sociali), oltre che alla tradizionale dimensione della
“sicurezza da” (caratteristica, invece, delle libertà c.d. negative).
L’avvento dei totalitarismi interromperà bruscamente tale
percorso evolutivo, attraverso un utilizzo ampio e pervasivo della
sicurezza in ogni sua dimensione: esterna, interna, materiale e (in

10
modo particolare) ideale. Parlare di diritti tutelati, in questo contesto,
è del tutto privo di significato, laddove l’individuo e le sue pretese
vengono connessi ad una concezione totale dello Stato, senza il quale
non c’è individuo e non c’è garanzia delle sue pretese (sulla base, si
potrebbe dire, di una sostanziale funzionalizzazione dei diritti alle
finalità dello Stato, fino a lambire i confini di una problematica
dimensione della sicurezza intesa come “sicurezza per”).
Le Costituzioni del secondo dopoguerra, ispirate ai principi del
costituzionalismo liberaldemocratico, anche alla luce dei tragici eventi
appena vissuti, vedono un arretramento complessivo della visione
totalizzante della sicurezza (si pensi solo al sospetto con cui si
guardava alla nozione di ordine pubblico nell’ambito dei lavori della
nostra Assemblea costituente).
Dunque, il concetto di sicurezza che viene in esse evocato è, in
primis, quello più propriamente oggettivo e materiale, attento alla
complessiva salvaguardia dei diritti dei cittadini da possibili pericoli o
lesioni. Tuttavia, come vedremo, alla luce dell’affermazione dei
principi dello Stato sociale e del conseguente aumento dei compiti
delle pubbliche amministrazioni, emerge sempre con maggiore
evidenza la necessità di intendere la sicurezza non solo in termini, per
così dire, negativi e difensivi, ma anche in chiave positiva e
promozionale, alla luce della specifica tutela della dignità della persona
umana, sia come singolo sia nelle sue relazioni sociali.5
Alla tradizionale concezione della sicurezza intesa, in senso
“stretto”, come tutela degli individui e delle istituzioni (in una parola,
della comunità) rispetto a comportamenti lesivi o a situazioni di
pericolo, si affianca quindi una nozione di sicurezza quale garanzia, in
senso più “lato”, di una piena realizzazione della persona umana e
della sua dignità, posta al centro dell’ordinamento costituzionale.6 In

5 Cfr. P. Ridola, op.cit., pag. 133; M. Ruotolo, La sicurezza nel gioco del bilanciamento,
pag. 2 della relazione presentata al Convegno “I diversi volti della sicurezza”, Università
di Milano-Bicocca, 4 giugno 2009, per ora sul sito AIC, all’indirizzo
www.associazionedeicostituzionalisti.it.
6 Per una valorizzazione di tale prospettiva, con particolare riferimento alla

giurisprudenza costituzionale in materia regionale, si vedano, tra gli altri, L.


Mezzetti, Polizia locale, in L. Mezzetti (a cura di), Dizionario delle autonomie locali,
Padova, 1999, pagg. 848-849; C. Mosca, Sicurezza di prossimità e di comunità per i

11
questo senso, quindi, la riflessione giuridica sulla sicurezza e sulle sue
dimensioni costituzionali sfuma verso il problema della necessaria
previsione di strumenti atti a garantire (in via generale) condizioni
ottimali di vita e di lavoro, al fine di promuovere quel “pieno sviluppo
della persona umana” che è indicato, dall’art. 3 Cost., quale
presupposto per l’effettiva partecipazione di tutti “all’organizzazione
politica, economica e sociale del paese”.
Tale prospettiva, come noto, richiama in particolare le
tematiche connesse all’assistenza, alla previdenza, alla salute e
all’istruzione, che rappresentano il nocciolo duro dei diritti sociali.
Significativo, in questo senso, il discorso sullo stato dell’Unione
pronunciato nel gennaio del 1941 dal Presidente degli Stati Uniti
Roosevelt, passato alla storia come “Discorso delle quattro libertà”, in
cui venivano evocate, a fondamento di un nuovo ordine mondiale,
accanto alla libertà di parola e alla libertà di culto, anche “la libertà
dalla paura” e la “libertà dal bisogno”.7 In questa nuova prospettiva,
appare del tutto evidente come vengano colte entrambe le concezioni
della sicurezza, sia quella attinente alla materiale tutela dell’integrità
psico-fisica dei singoli individui (security), sia quella relativa al
complessivo benessere della comunità e alla qualità della vita dei
cittadini (safety).
Eppure, anche alla luce della codificazione a livello
costituzionale dei valori connessi alla democrazia politica, alcuni
ordinamenti liberaldemocratici sembrano attualmente valorizzare
anche la dimensione ideale della sicurezza, al fine di tutelare i principi
fondamentali che rappresentano il fondamento della loro legittimità. 8
Nasce proprio in quest’ottica il problema delle c.d. democrazie aperte
o protette,9 che sembrano aver accettato in modo diverso la
scommessa connessa all’affermazione dei principi del

cittadini, in Rivista di polizia, 2003, pag. 82; B. Caravita, Sicurezza e sicurezze nelle politiche
regionali, in Federalismi.it, all’indirizzo www.federalismi.it; M. Ruotolo, op cit., pag. 16.
7 Cfr. lo State of the Union Address del 6 gennaio 1941, undici mesi prima dell’attacco

giapponese a Pearl Harbor, del 7 dicembre 1941.


8 Si pensi, in questo senso, alla Legge Fondamentale tedesca del 1949.
9 Sulle quali, tra gli altri, si vedano S. Ceccanti, Le democrazie protette e semi-protette da

eccezione a regola. Prima e dopo le Twin Towers, Torino, 2004; nonché A. Di Giovine (a
cura di), Democrazie protette e protezione della democrazia, Torino, 2005.

12
costituzionalismo liberaldemocratico e al c.d. paradosso della
tolleranza. Tali diversità, a ben vedere, sembrano riemergere oggi, alla
luce degli eventi dell’11 settembre 2001, che pure hanno portato ad
una complessiva rilettura del concetto di sicurezza e del suo
fondamento costituzionale.10
Proprio per questo emerge con evidenza la necessità di
analizzare la sicurezza nelle sue diverse dimensioni costituzionali, a
partire dalla c.d. sicurezza in senso “stretto”, sia da un punto di vista
della sua attuale “collocazione” nel nostro ordinamento, sia in
relazione agli apparati, agli strumenti e alle misure che sono previste e
disciplinate per la sua garanzia. Sicurezza che, ricostruita all’interno
del nostro ordinamento quale interesse di rilievo costituzionale, entra
inevitabilmente “nel gioco del bilanciamento” con altri principi o
valori costituzionali,11 facendo emergere l’importanza del ruolo della
Corte costituzionale e della sua giurisprudenza in materia.

2. La parabola della sicurezza: dalla sovranità dello Stato alla Costituzione

Parlare di sicurezza, e interrogarsi sulle sue dimensioni


costituzionali, non può prescindere da una breve premessa sulla storia
del concetto stesso di sicurezza, colto nei suoi collegamenti con
l’evoluzione del costituzionalismo moderno. Come spesso accade,
punto di partenza inevitabile sembra essere la nascita del moderno
concetto di Stato,12 connessa all’affermazione dell’assolutismo come

10 Sul punto, cfr AA.VV., Libertà e sicurezza nelle democrazie contemporanee, Padova,
2007, che contiene le relazioni al’omonimo Convegno AIC del 2003.
11 Così, da ultimo, M. Ruotolo, op. cit., passim.
12 Cfr. P. Biscaretti di Ruffia, Stato (storia del diritto), in Noviss. dig. it., XVIII, Torino,

1971, pag. 261 ss.; M. Fioravanti, Stato (storia), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, pag.
708 ss.; C. Faralli, Stato, in A. Barbera (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo,
Roma-Bari, 1997, pag. 167 ss. Sulla nascita dello Stato moderno, e sulle
problematiche connesse, si rimanda anche a N. Matteucci, Lo Stato moderno. Lessico e
percorsi, Bologna, 1997, in particolare pag. 15 ss., dove si ripercorrono le tappe
dell’affermazione dei nuovi stati territoriali come veri e propri apparati, strutture
indipendenti, che rivendicano una supremazia assoluta e originaria, e che
rappresentano il superamento, da un lato, del feudalesimo e, dall’altro, della
presenza universalistica del Papato e dell’Impero.

13
forma di organizzazione politica.13 E’ in questo momento, infatti, che
appare in tutta la sua evidenza il ruolo della sicurezza
nell’affermazione della sovranità14 all’interno delle monarchie
nazionali del XVI e XVII secolo.
E’ proprio al fine di garantire la sicurezza dei sudditi, con
particolare riguardo alla difesa dai nemici esterni, che viene, infatti,
giustificata la progressiva concentrazione ed espansione dei poteri del
Monarca, ben rappresentata dalle concezioni di Thomas Hobbes e del
suo Leviathan. In questo senso, dunque, la sicurezza sembra essere un
fondamentale supporto al consolidamento dell’assolutismo,15 una
volta superate le concezioni comunitarie tipiche del costituzionalismo
antico e di quello medievale, in cui la garanzia della sicurezza veniva
stemperata all’interno di più ampie obbligazioni solidaristiche,
derivanti dall’appartenenza ad una specifica comunità o dalla
complessa rete di obbligazioni di natura essenzialmente privatistica
tipica dell’assetto feudale.16
E’ in questo momento, allora, che la sicurezza diviene compito
specifico dello Stato, che per questo istituisce appositi apparati
burocratici. La sicurezza, in questo modo, entra a far parte della
nascente sfera pubblica, rappresentando uno degli strumenti operativi
di maggiore impatto per l’affermazione della sovranità dello Stato. In
questo momento, come ovvio, rimane sullo sfondo il problema della
tutela dei diritti dei singoli individui, dal momento che una sfera
giuridica autonoma dei sudditi non è nemmeno pensabile, essendo

13 Cfr. P. Schiera, Assolutismo, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario


di politica, Torino, 2004, pag. 45 ss.
14 Sull’evoluzione storica del concetto di sovranità si rimanda a M. Galizia, La teoria

della sovranità dal Medio Evo alla rivoluzione francese, Milano, 1951; a G. Chiarelli,
Sovranità, in Noviss. dig. it., XVII, Torino, 1970, pag. 1043 ss.; e a N. Matteucci,
Sovranità, in N. Bobbio, G. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica, Torino,
2004, pag. 909 ss. Sul punto, inoltre, si vedano anche i contributi di E. Cortese,
Sovranità (storia), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, pag. 205 ss.; di G. Silvestri, La
parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfigurazione di un concetto, in Riv. dir. cost., 1996,
pag. 3 ss.; e di M. Trombino, Sovranità, in A. Barbera (a cura di) op. cit., pag. 193 ss.
15 Sul punto, si vedano le considerazioni di P. Schiera, Assolutismo, in N. Bobbio, N.

Matteucci, G. Pasquino, op. cit., pag. 45 ss.


16 Cfr. C.H. McIlwain, Costituzionalismo antico e moderno, Bologna, 1990, in particolare

pag. 89 ss.

14
indispensabile alla loro stessa sopravvivenza l’istituzione del sovrano
assoluto, dello Stato-Leviatano, al cui interno non esistono
individualità.17 Come noto, infatti, per Hobbes lo stato di natura è uno
stato di lotta perenne per la sopravvivenza di ciascuno (in cui homo
homini lupus), motivo per cui i singoli si spogliano irrevocabilmente
della loro libertà per riconoscere ad un’autorità suprema ed assoluta il
compito di garantire la loro sicurezza (pactum subiectionis).
Non è un caso, allora, che la stessa organizzazione dell’attività
di polizia nasca a partire da questo momento, attraverso la progressiva
espansione dei compiti connessi allo Stato e alla sua nascente
amministrazione, al fine di garantire al meglio non solo la
sopravvivenza dei singoli e la pace sociale, ma anche il più
complessivo benessere della collettività.18
Tale concezione, come noto, accompagna il superamento della
visione meramente patrimoniale degli strumenti di governo, e porta al
progressivo distacco dalla sfera personale del Monarca di stabili
apparati amministrativi, connessi in particolare alle necessità di difesa
esterna, di esazione tributaria e di amministrazione della giustizia. In
questo senso, come è stato messo in luce, finalità di sicurezza e attività
di polizia risultano strettamente legate: “il meccanismo adottato dal
Principe per eliminare progressivamente i numerosissimi centri di
potere che ostacolavano la ricostituzione della sovranità centrale […]
consistette nel far leva sull’interesse collettivo dell’ordine e della
sicurezza interna (oltre che esterna […]), come premessa del
benessere comune; interesse collettivo di cui il Principe […] si auto-
eleggeva tutore”.19

17 Significativa, in questo senso, la stessa definizione di Stato: “Una persona unica,


dei cui atti i membri di una grande moltitudine si sono fatti autori, mediante patti
reciproci di ciascuno con ogni altro, affinché essa possa usare la forza e i mezzi di
tutti loro nel modo che riterrà utile per la loro pace e per la difesa comune”. Così T.
Hobbes, Leviathan, or the matter, forme, and power of a common-wealth ecclesiasticall and civil
(1651), trad. italiana Il Leviatano, o la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e
civile, Cap. XVII, Roma Bari, 1996, pag. 143.
18 Per una ricostruzione del’evoluzione storica dell’attività di polizia, in connessione

con la parallela trasformazione dell’azione dei pubblici poteri, si rimanda ad A.


Chiappetti, L’attività di polizia. Aspetti storici e dogmatici, 1973, pag. 27 ss.
19 Così, A. Chiappetti, op. cit., pagg. 49-50.

15
In questo senso, attraverso una valorizzazione delle sue
specifiche finalità, da strumento di garanzia dell’ordine e della
sicurezza, l’attività di polizia giunge a sovrapporsi al concetto stesso di
amministrazione interna, comprensiva di tutte le pubbliche funzioni
finalizzate al benessere della collettività (comprese anche attività di
tipo normativo e giudiziario).
Lo Stato di polizia (Polizeistaat)20 viene quindi a confondersi
con lo Stato amministrativo in senso lato (Verwaltungstaat), in coerenza
con la progressiva estensione dei compiti dell’amministrazione statale
durante l’assolutismo, in cui lo Stato non rappresenta solo l’unica
fonte del pubblico potere (attraverso il consolidamento del
monopolio dell’uso della forza), ma in qualche modo ne diviene anche
il fine, attraverso quella sicurezza che l’attività di polizia
complessivamente assicura.21
Questa evoluzione, come è stato sottolineato, porta ad una
concezione ambivalente di sicurezza. Da un lato, infatti, essa
rappresenta la tutela di interessi in capo alla comunità; dall’altro, nel
progressivo consolidarsi della sovranità dello Stato quale unico tutore
della sicurezza, manifesta l’esistenza di suoi autonomi interessi,
connessi all’area della ragion di Stato.22 Appare comunque evidente
come, in un contesto come quello tipico dell’Assolutismo, senza reale
garanzia dei diritti fondamentali e al di fuori di ogni concezione
connessa alla separazione dei poteri, la sicurezza sia stata una delle
principali leve su cui costruire il mito della sovranità dello Stato,
essenziale alla sua stessa concezione in senso moderno.

20 Cfr. P. Schiera, Stato di polizia, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino (a cura


di), op. cit., pag. 947 ss.
21 Per una ricostruzione storica delle diverse tappe dell’evoluzione in questione, con

particolare riferimento all’ordinamento tedesco, si veda M. Stolleis, Geschichte des


öffetlichen Rechts in Deutschland. I. Eichpublizstik und Pliceywissenchaft 1600-1800 (1988),
trad. italiana Storia del diritto pubblico in Germania. I. Pubblicistica dell’Impero e scienza di
polizia 1600-1800, Milano, 2008, in particolare pag. 437 ss.
22 Sul punto, si vedano le affermazioni di G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina

della liberà personale, Milano, 1967, pag. 84: “La sicurezza dello Stato acquistò allora
quell’ambivalenza che sarebbe rimasta in seguito nei concetti, in particolare, di
ordine pubblico e di tranquillità pubblica, capaci di coprire così gli interessi politici
dei gruppi al potere, come quelli sociali, facenti capo invece alla comunità dei
governati”.

16
In parte diverso, invece, il ruolo giocato dalla sicurezza
nell’ambito delle concezioni del costituzionalismo liberale. Fin dalle
sue prime teorizzazioni, infatti, il pensiero liberale muove da premesse
significativamente differenti, che portano all’affermazione di una sfera
di diritti della persona inviolabile non solo da parte degli altri
individui, ma anche dello stesso pubblico potere, in connessione con
l’affermazione del principio della separazione dei poteri e di una
concezione (almeno sul piano teorico) minimale dello Stato.
Evidenti, in questo senso, le affermazioni di John Locke, che
nel suo Secondo trattato sul governo delinea chiaramente l’essenza del
potere politico come “il diritto di fare leggi che contemplino la pena
di morte e di conseguenza tutte le pene minori, in vista di una
regolamentazione e conservazione della proprietà e il diritto di
impiegare la forza della comunità nell’esecuzione di tali leggi e nella
difesa dello Stato da attacchi esterni: tutto questo soltanto ai fini del
pubblico bene”.23
Il punto di partenza, però, il prius relativo allo stato di natura è
assai differente rispetto alla visione di Hobbes. Per Locke, infatti,
l’uomo nasce naturalmente in uno stato di perfetta libertà “nel
regolare le proprie azioni e nel disporre dei propri beni […], senza
chiedere permesso o dipendere dalla volontà di un altro”. Tuttavia, è
la stessa legge di natura ad impedire che l’individuo possa utilizzare le
proprie libertà per recare danno al prossimo: “nessuno deve recar
danno ad altri nella vita, nella salute, nella libertà o negli averi”, al fine
di garantire la pace e la stessa conservazione del genere umano (in una
parola, la sicurezza).
In questo, come noto, sta il fondamento del pactum societatis e il
riconoscimento della sovranità dello Stato, con particolare riferimento
al potere di repressione e prevenzione penale.24 Un pubblico potere,

23 Cfr. J. Locke, Two treatises of government. II. An essay concerning the true original, extent,
and end of civil government (1690), trad. italiana Secondo trattato sul governo. Saggio
concernente la vera origine, l’estensione e il fine del governo civile, Cap. I, Milano, 1998, pag.
63.
24 Particolarmente significative, in questo senso, le parole usate da Locke per

ricostruire le origini delle società politiche organizzate: “Il solo modo in cui un
uomo si spoglia della sua libertà naturale e assume su di sé i vincoli della società
civile, consiste nell’accordarsi con altri uomini per associarsi e unirsi in una

17
però, mosso dalla volontà della maggioranza espressa tramite il
sistema rappresentativo, e in cui il compito di dettare le leggi è tenuto
distinto dal compito di eseguirle, in coerenza con la concezione del
governo limitato propria di Locke.
In quest’ottica, lo stesso potere statale appare come potere
limitato e finalizzato alla migliore tutela dei diritti naturali dei singoli
individui, nell’ambito di una concezione contrattualista in cui il
consenso espresso dalla comunità è sempre revocabile, attraverso
l’esercizio del diritto di resistenza di fronte ad un’autorità di governo
che contravvenga ai suoi compiti.
Ancora più evidente, in questo senso, il pensiero di
Montesquieu. Ne Lo spirito delle leggi, come noto, egli collega
inscindibilmente assetto organizzativo dello Stato, ispirato alla nota
tripartizione dei poteri, e sicurezza dei diritti fondamentali, in
relazione all’esercizio della sua potestà punitiva. Secondo
Montesquieu, infatti, “la libertà politica consiste nella sicurezza, o
almeno nell’opinione che si ha della propria sicurezza”, la quale “non
è mai tanto minacciata come nelle accuse pubbliche o private”. 25 Per
tale motivo, è necessario che il potere giudiziario sia separato sia dal
potere legislativo, sia dal potere esecutivo.
Dunque, un contesto in cui le esigenze di sicurezza appaiono
strumentalmente collegate alla tutela ed alla garanzia dei diritti naturali
per eccellenza: vita, libertà e proprietà. Evidenti, in questo senso, gli
echi della lotta della classe borghese contro l’assolutismo monarchico:
la sicurezza che si rivendica, non a caso, è anche la sicurezza dei
commerci e degli affari, imperniata sulle tradizionali libertà negative.
In questo contesto, come noto, si afferma non solo il protagonismo
delle Assemblee parlamentari rappresentative, ma si riconosce un
ruolo fondamentale a quella loro tipica espressione che è la legge, cui

comunità al fine di vivere gli uni con gli altri in comodità, sicurezza e pace, nel
sicuro godimento della sua proprietà” (J. Locke, op. cit., Cap. VIII, pag. 189).
25 Cfr. Montesquieu, De l’esprit des lois (1748), trad. italiana, Lo spirito delle leggi, XII,

Milano, 1989, pag. 342. E’ su tali premesse, infatti, viene costruita la teoria della
separazione dei poteri: “La libertà politica per un cittadino consiste in quella
tranquillità di spirito che proviene dall’opinione che ciascuno ha della propria
sicurezza; e perché si abbia questa libertà, bisogna che il governo sia tale che un
cittadino non possa temere un altro cittadino” (cfr. Montesquieu, op. cit., XI, pag.
310).

18
vengono rimesse le principali scelte in materia di sicurezza dei
cittadini e dei loro diritti.
Saranno in ogni caso le rivoluzioni liberali della fine del XVIII
secolo a codificare le esigenze costituzionali della sicurezza in
relazione alla tutela di una sfera di libertà inviolabile degli individui. Si
pensi, in questo senso, alla Dichiarazione dei diritti della Virginia del
1776, il cui art. 1 prevede che “tutti gli uomini sono per natura
egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti innati di cui,
entrando nello stato di società, non possono, mediante convenzione,
privare o spogliare la loro posterità; cioè il godimento della vita, della
libertà, mediante l’acquisto e il possesso della proprietà, e il perseguire
e l’ottenere felicità e sicurezza”.
Ma, analogamente, si veda quanto disposto dall’art. 2 della
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, in base al
quale “lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei
diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà,
la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”; nonché, nel
medesimo senso, il IV emendamento della Costituzione americana del
1787,26 inserito nel 1791, secondo cui “il diritto dei cittadini a godere
della sicurezza per quanto riguarda la loro persona, la loro casa, le loro
carte e le loro cose, contro perquisizioni e sequestri ingiustificati, non
potrà essere violato”.27
Finalizzata all’affermazione delle libertà borghesi e connessa ai
principi dello Stato di diritto, nel corso del XIX secolo la sicurezza si
consolida come oggetto di disciplina giuridica e quale specifica finalità
della pubblica amministrazione (la c.d. polizia di sicurezza),28 in stretta

26 Significative, in proposito, anche le chiare affermazioni contenute in A.


Hamilton, J. Jay, J. Madison, The federalist papers (1787) trad. italiana, Il federalista,
Torino, 1997, con particolare riferimento ai nn. 3, 9, 10, 51, dove emerge
chiaramente la necessità di garantire la sicurezza non solo esterna, ma anche
interna, con specifico riferimento alla tutela dei diritti dei cittadini e al principio di
separazione dei poteri.
27 Sul punto, si veda anche quanto stabilito dal II emendamento, in base al quale

“essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben ordinata milizia, il
diritto dei cittadini di tenere e portare armi non potrà essere violato”.
28 Sulla concezione liberale della polizia di sicurezza, e sui suoi compiti specifici, si

veda in particolare l’opera di O. Ranelletti, La polizia di sicurezza, in V.E. Orlando (a


cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, IV, Milano, 1904, pag.

19
connessione con la teorizzazione dei diritti pubblici soggettivi e
parallelamente all’ambito di incidenza della legislazione penale. In tale
contesto, in chiave essenzialmente difensiva, rappresenterà anche il
principale strumento operativo opposto agli emergenti conflitti sociali
di fine secolo, connessi all’affacciarsi sulla scena politica del
proletariato e dei partiti politici di massa, portatori di nuove istanze di
partecipazione e di tutela sociale.
In questo senso, come è stato osservato, la nozione di
sicurezza tipica dello Stato liberale ha vissuto profili di continuità, in
chiave auto difensiva, rispetto alla concezione tipica dello Stato
assoluto.29 Tendenze, come noto, esasperate e portate agli eccessi
durante il ventennio fascista, che della garanzia di sicurezza e delle
misure di ordine pubblico fece uno dei perni della sua costruzione
autoritaria.
Più evidente, allora, appare la svolta connessa all’affermazione
dei principi del costituzionalismo liberaldemocratico, con particolare
riferimento al periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Sulla
scia del (fallito) tentativo weimariano del 1919, le moderne
costituzioni ampliano significativamente il catalogo dei diritti
fondamentali, pensando l’organizzazione del pubblico potere in
funzione del ruolo centrale della persona umana e delle sue libertà.
La sovra ordinazione delle nuove Carte fondamentali,
confermata dalla loro rigidità, supera i limiti della concezione liberale
classica, che di fatto rimetteva la concreta estensione dei diritti

205 ss. Per una ricostruzione delle diverse teorie allora emerse, cfr. A. Chiappetti,
op. cit., in particolare pag. 90 ss.
29 Si veda, in merito, quanto è stato affermato da G. Amato, op. cit., pagg. 138-139:

“La priorità dell’individuo nei confronti dello Stato giovava, come principio
politico, fino a che si trattava di imporre ad uno stato dominato da altre forze il
rispetto di quelle ad esso estranee; la divisione dei poteri, la supremazia della legge
avevano lo stesso compito, fin tanto che, mediante la loro affermazione, le forze
escluse dall’apparato amministrativo nel quale l’assolutismo aveva identificato lo
stato, attribuendogli ogni funzione pubblica, potevano imporre ad esso dei limiti
esterni. Ma quando quelle forze riuscirono loro ad esser padrone, non soltanto nelle
assemblee rappresentative, ma di quello stesso apparato, allora la divisione dei
poteri, l’inviolabilità dell’individuo servirono assai meno, e si fu ben lieti di
consolidare le strutture amministrative dello Stato”.

20
fondamentali (visti come il frutto di una sorta di autolimitazione del
potere statale) alla sovranità del potere legislativo e alle sue scelte.
La sicurezza, infatti, appare qui strettamente connessa alle
disposizioni della Costituzione, le quali ne individuano
complessivamente i concreti significati e ne determinano il possibile
raggio di azione. E’ una sicurezza orientata sulla base delle opzioni di
fondo accolte nel testo costituzionale, espresse non solo in regole
precise, ma anche in più ampi principi di azione. I vincoli
costituzionali, in questo senso, connotano le dimensioni della
sicurezza in una duplice direzione: in relazione alla tutela dei diritti
fondamentali e in relazione agli assetti organizzativi nell’ambito dei
pubblici poteri.
Figlie del conflitto sociale, che tentano di governare, e garanti
del complessivo pluralismo connesso ai moderni sistemi democratici
(messo alla prova di fronte alle nuove sfide del multiculturalismo), le
Costituzioni contemporanee inseriscono le esigenze della sicurezza tra
i beni degni di tutela, garantendone l’operatività sia da un punto di
vista giuridico-normativo (come tutela di quel determinato assetto di
principi e regole), sia da un punto di vista materiale (attraverso il
richiamo alle concrete esigenze di mantenimento dell’ordine e della
sicurezza, rimesse a specifici apparati pubblici).
E’ evidente, in ogni caso, che la differente valutazione delle
concrete dimensioni costituzionali della sicurezza muta sensibilmente
a seconda delle stesse concezioni della Costituzione. Senza affrontare
qui temi così impegnativi, basterà solo sottolineare che, per esempio,
nella visione normativista di Hans Kelsen, l’ordinamento è un sistema
piramidale di norme al cui vertice si trova la Costituzione, come
norma fondamentale sulla produzione giuridica; il problema giuridico
centrale, in questo senso, è quello della validità della norma che,
secondo le note tesi formali e procedimentali dello stesso Kelsen,
deriva dalla sua appartenenza ad un dato ordinamento, secondo
determinate regole di produzione.30

30 Cfr. H. Kelsen, General theory of law and State (1945), trad. italiana Teoria generale del
diritto e dello Stato, Milano, 1994, pagg. 111-112: “Il fondamento della validità di una
norma non è la sua conformità alla realtà, come avviene per la prova della verità di
una proposizione sull’essere […]; una norma non è valida perché è efficace […]. Il
fondamento di validità di una norma è sempre una norma, non un fatto”.

21
Dunque, nessuno spazio a suggestioni connesse alla presunta
(o meno) conformità della stessa alla realtà dei fatti o a determinati
valori. Sotto questo punto di vista, l’unica dimensione giuridicamente
apprezzabile della sicurezza (anche sul piano del diritto
costituzionale), sembra essere quella connessa alla garanzia della
validità delle norme giuridiche, fino al teorizzato controllo di
costituzionalità delle leggi. Sicurezza, quindi, come sicurezza
strettamente giuridica,31 in qualche modo connessa alla certezza del
diritto.32
Diversamente, nel pensiero di Carl Schmitt, la Costituzione è
la decisione politica fondamentale sulla specie e la forma dell’unità
politica di un popolo, e il suo fondamento di validità non è rinvenibile
né nella conformità ad una norma superiore, né nella coerenza con
determinati valori etici.33
In questo senso la sicurezza sembra essere connaturata
all’esistenza di ogni entità politica, elemento essenziale alla teorica
della Costituzione come decisione politica fondamentale: “La
Costituzione vige in forza della volontà politica di chi la pone. Ogni
specie di formazione giuridica […] presuppone come esistente una
tale volontà […]. Ogni unità politica esistente ha il valore […] non
nella giustezza o utilizzabilità delle norme, ma nella sua stessa

31 Cfr. E. Denninger, Stato di prevenzione e diritti dell’uomo, in Nomos, n. 2/1996, pag.

47 ss., secondo il quale la sicurezza giuridica, nello Stato liberale di diritto, risulta
basata su tre elementi: “1. l’azione dello Stato limitata e calcolabile; 2. la certezza del
dritto fondata sulla sua chiara ed inequivocabile conoscibilità; 3. l’immediata
applicazione (e attuazione) delle norme sia a carico che a favore del cittadino”.
32 Sul punto si veda anche la ricostruzione di G. Peces-Barba, Curso de derechos

fundamentales. Teoría general (1991), trad. italiana Teoria dei diritti fondamentali, Milano,
1993, pag. 226 ss., che distingue le dimensioni giuridiche della sicurezza in tre
grandi categorie: la sicurezza in relazione al potere (sulle origini e sull’esercizio dello
stesso); la sicurezza in relazione al diritto (come ordinamento complessivo o come
sottosistema specifico); la sicurezza in relazione alla società (la c.d. sicurezza sociale
e le connesse aspettative). Dal secondo punto di vista, infatti, l’autore sottolinea
l’importanza della conoscibilità dell’ordinamento e delle sue singole norme,
attraverso la predeterminazione di specifici requisiti formali e procedurali. Sul
punto, più di recente, vedi anche P. Bonetti, Terrorismo, emergenze e costituzioni
democratiche, Bologna, 2006, pag. 47 ss.; nonché M. Ruotolo, op. cit., pag. 33 ss.
33 C. Schmitt, Verfassunglehre (1928), trad. italiana Dottrina della Costituzione, Milano,

1984, pag. 125.

22
esistenza […]. Perciò il suo diritto all’autoconservazione è il
presupposto di ogni ulteriore discussione; essa cerca di conservarsi
soprattutto nella sua esistenza […]; essa protegge la sua esistenza, la
sua integrità, la sua sicurezza e la sua costituzione”.34 Una sicurezza,
dunque, legata strettamente all’esistenza della Costituzione come
decisione politica fondamentale, e mirante alla sua conservazione e
perpetuazione; ed inevitabilmente connessa all’effettività del
fenomeno giuridico, più che alla sua validità.
A prescindere dalle diverse interpretazioni possibili, appare
comunque confermata la rilevanza giuridica del bene sicurezza. In
ogni caso, tra la dimensione normativa e quella, per così dire,
decisionista della sicurezza, sembra potersi individuare una
dimensione più propriamente costituzionale della stessa, alla luce della
specifica disciplina giuridica prevista dalla Carta fondamentale, quale
interesse considerato meritevole di “attenzione” costituzionale.
Tale percorso, in ogni caso, pone il problema di una
ricostruzione, sul piano teorico generale, dei possibili significati della
sicurezza in relazione alla sfera più propriamente giuridica. Anche alla
luce dell’evoluzione storica che si è appena, pur rapidamente,
accennata, possono configurarsi tre significati teorici della sicurezza: la
sicurezza come condizione di ogni ordinamento giuridico; la sicurezza
come oggetto di disciplina giuridica; la sicurezza come valore
costituzionale.

3. La sicurezza come condizione di ogni ordinamento giuridico

Come abbiamo in parte già visto, il concetto di sicurezza


affonda dunque le sue radici alle origini di ogni ordinamento. Più in
generale, nello stesso momento in cui l’individuo entra in contatto
con altri individui nasce l’esigenza di tutelare la sopravvivenza non
solo e non tanto di ciascuno, quanto (in prospettiva) del gruppo
stesso in relazione a possibili pericoli, interni ed esterni. A tal fine,
assume un particolare rilievo il fenomeno giuridico, quale progressiva
codificazione di una serie di reciproche obbligazioni (in origine

34 Cfr. C. Schmitt, op. cit., pag. 40.

23
essenzialmente sul piano dei rapporti privati), miranti a regolare le
attività dei componenti il gruppo e a punire i comportamenti dei
singoli che attentino alla pacifica convivenza della collettività
organizzata.
Da questo punto di vista, quindi, appare un concetto che
sembra in qualche modo precedere logicamente il problema giuridico
dell’organizzazione degli strumenti normativi (e applicativi) volti alla
sua garanzia e alla sua tutela. Considerata una sorta di condizione
oggettiva alla base di ogni forma di convivenza sociale organizzata,
essa sembra ripercorrere, in qualche modo, il problematico rapporto
tra fenomeno giuridico e organizzazione sociale di riferimento.
Senza affrontare in questa sede l’annoso dibattito tra teorie
normativiste ed istituzionaliste, basti qui ricordare che le prime, sulla
scia del pensiero di Kelsen, vedono nell’ordinamento un insieme
ordinato di norme giuridiche,35 mentre le seconde leggono
l’ordinamento concretamente, attraverso le istituzioni che creano il
diritto.
In base a tale ultima concezione, infatti, “l’ordine sociale che è
posto dal diritto non è quello che è dato dall’esistenza, comunque
originata, di norme che disciplinino i rapporti sociali: esso non esclude
tali norme, anzi se ne serve e le comprende nella sua orbita, ma, al
tempo stesso, le avanza e le supera. Il che vuol dire che il diritto,
prima di essere norma, prima di concernere un semplice rapporto o
una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura, posizione
della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità,
come ente per sé stante”.36
Quale che sia il fondamento ultimo del diritto, perché via sia
un ordinamento giuridico inerente ad una determinata collettività

35 Cfr. H. Kelsen, op. cit., pag. 26: “Ciò che distingue l’ordinamento giuridico da tutti
gli altri ordinamenti sociali è il fatto che esso regola il comportamento umano per
mezzo di una tecnica specifica. Se ignoriamo questo elemento specifico del diritto
[…], se definiamo il diritto semplicemente come ordinamento od organizzazione, e
non come un ordinamento (o un’organizzazione) coercitivo, perdiamo allora la
possibilità di differenziare il diritto dagli altri fenomeni sociali; identifichiamo allora
il diritto con la società, e la sociologia del diritto con la sociologia generale”.
36 S. Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1977, pag. 22.

24
organizzata è necessario che sia presente, come condizione di
partenza, una certa quota di sicurezza.
Volendo semplificare al massimo, si potrebbe dire che non vi è
neanche un problema di ordine propriamente giuridico in assenza di
tale presupposto. Porsi il problema di organizzare una determinata
collettività, infatti, da per scontato che sia comunque presente un
grado di stabilità, di omogeneità e di identificazione del gruppo sociale
di riferimento: in una parola, un certo livello di sicurezza.
Tale presupposto, in quanto è, non attiene all’ambito
strettamente giuridico del dover essere, motivo per cui (da questo
punto di vista) questa generale prospettiva si innesta alle origini stesse
del fenomeno giuridico, del suo fondamento e delle sue finalità. Da
questo punto di vista, però, la sicurezza risulta un dato
sostanzialmente filosofico, che accompagna la nascita del fenomeno
giuridico. Non esiste, quindi, una sua valenza propriamente
prescrittiva.
Ciò nonostante, non appena si passi da questa considerazione
di massima all’analisi delle concrete forme giuridiche di una
determinata organizzazione sociale, delle modalità operative attraverso
le quali viene giuridicamente garantita e perpetuata la possibilità di una
convivenza sociale, ecco che lo spazio del diritto si manifesta in tutta
la sua importanza.
In quel momento, infatti, si pone con evidenza un problema
tipicamente giuridico: e cioè quello relativo alle regole da prevedere
per garantire la sopravvivenza del gruppo sociale, in vista della tutela
di quella condizione oggettiva di ogni ordinamento che è la sicurezza.
La sicurezza come dato presupposto (sicurezza in senso
statico), dunque, si trasforma nel problema connesso a quale sicurezza
garantire, quali misure adottare (sicurezza in senso dinamico), tutte
scelte che pongono un problema di natura giuridica e possono quindi
essere analizzate facendo ricorso agli strumenti tipici della scienza
giuridica.
Da questo punto di vista il concetto di sicurezza appare
connesso all’idea stessa di ordinamento giuridico. La ricostruzione
dell’ordinamento giuridico come sistema, infatti, pone il problema di
individuare il criterio ordinatore dello stesso, il quale a sua volta può
essere considerato un fattore endogeno allo stesso fenomeno

25
giuridico (in quanto ad esso coessenziale) o esogeno rispetto alla
produzione di norme giuridiche;37 in una parola, a seconda che sia un
ordine posto o imposto.38
In ogni caso, la necessaria coerenza e sistematicità
dell’ordinamento ne evidenzia un dato essenzialmente relazionale:
infatti, come noto, si è coerenti o si fa sistema rispetto a qualcosa.
Dunque, in questo senso, anche la sicurezza può esser vista o come
dato immanente ad ogni ordinamento, oppure come finalità da
perseguire. Con la precisazione, in quest’ultimo caso, che il problema
si sposta più avanti, dovendo individuare quali fini siano
giuridicamente individuabili, secondo quali procedure e da parte di
chi.
Se, però, ci si fermasse a tali considerazioni di partenza, l’esito
obbligato sarebbe la difficile individuazione, al di la del piano
essenzialmente filosofico, non solo di una dimensione costituzionale
della sicurezza, ma (più in generale) di una sua concreta rilevanza
giuridica.
Eppure, come vedremo, l’evoluzione del fenomeno giuridico,
e del costituzionalismo in particolare, sembrano dialogare in
continuazione con il concetto di sicurezza, dandolo per presupposto,
rendendolo oggetto di disciplina giuridica (e, quindi, anche specifica
missione dello Stato e dei suoi apparati), codificandone a diverso
titolo specifiche dimensioni costituzionali.
Dunque, un’indagine che voglia approfondire le dimensioni
giuridico-costituzionali della sicurezza deve porsi il problema di
superare questa prima generale prospettiva, per andare ad individuare
i profili dinamici della sicurezza, nel senso appena accennato, e
metterne in evidenza le modalità di disciplina, le formule
organizzative, al fine di cogliere le complessive finalità che
l’ordinamento le riconnette. Anche per questo, le riflessioni proposte
si muoveranno essenzialmente sul piano del diritto oggettivo,
considerando le dimensioni costituzionali della sicurezza quale

37 Sul punto, da ultimo, si vedano le riflessioni di G.P. Calabrò, Diritto alla sicurezza e
crisi dello Stato costituzionale, Torino, 2003, in particolare pag. 8 ss.
38 Con la precisazione che, in questo secondo caso, si pone comunque il problema

di un’individuazione del suo fondamento ultimo.

26
oggetto di disciplina giuridica e bene meritevole di tutela da parte
dell’ordinamento.

4. La sicurezza come oggetto di disciplina giuridica

Una rilevanza più propriamente giuridica della sicurezza si ha,


come abbiamo già detto, nel momento in cui essa entra visibilmente a
far parte dell’ordinamento di una determinata collettività organizzata,
che ne individua i tutori, ne prevede gli strumenti applicativi, ne
disciplina in qualche modo il contenuto e i limiti.
Da questo punto di vista, la sicurezza diviene quindi oggetto di
specifica disciplina normativa, assume una determinata rilevanza per il
foro esterno, e non rimane confinata nell’ambito delle speculazioni
filosofiche o delle sensazioni e aspirazioni intime di ciascuno.
L’ordinamento, in questo senso, si fa carico delle esigenze connesse
alla sicurezza, e predispone delle specifiche risposte normative.
Evidente il salto logico; evidenti anche i limiti.
Tale ricostruzione, infatti, accoglie sicuramente nell’ambito
giuridico la sicurezza, ma limitandosi a rappresentare il frutto esteriore
delle molteplici decisioni prese nell’ambito delle diverse
organizzazioni statali di riferimento.
In questa prospettiva, le dimensioni della sicurezza sono
articolate a seconda del contesto storico ed istituzionale di
riferimento, pur avendo sempre tutte una specifica rilevanza giuridica:
sicurezza della persona e dei propri beni, di un determinato gruppo
sociale, della collettività, dello Stato e delle sue istituzioni, di una
fazione politica e così via. Oppure sicurezza nei rapporti tra privati,
nei rapporti connessi alle forme di autonomia sociale, nei rapporti con
i pubblici poteri. Appare evidente, quindi, l’insufficienza anche di una
tale prospettiva ai fini dell’enucleazione di una dimensione
propriamente costituzionale della sicurezza.
Sicurezza, in questo senso, è, infatti, concetto assunto quale
oggetto di disciplina normativa in termini complessivamente
avalutativi e sostanzialmente neutri. Vi è, infatti, una concreta
rilevanza giuridica della sicurezza ogni qual volta essa entri a far parte

27
di una manifestazione di potestà normativa di un determinato
ordinamento.
Di tutta evidenza, però, come una tale prospettiva risulti
insufficiente dal punto di vista del diritto costituzionale. Infatti, non
basta constatare che la sicurezza è parte degli interessi tutelati
dall’ordinamento giuridico; bisogna chiedersi anche quale sicurezza,
finalizzata a cosa, disciplinata e organizzata secondo quali principi
fondamentali.
Finalizzata allo studio e all’analisi delle norme fondamentali di
organizzazione e funzionamento di una determinata collettività, la
prospettiva costituzionalistica non abbraccia, riassuntivamente, tutti i
casi in cui l’ordinamento prende in considerazione la sicurezza.39 Da
questo punto di vista, infatti, entrano in gioco solo alcune specifiche
dimensioni della sicurezza: da un lato, quella attinente ai soggetti
istituzionali coinvolti nelle relative decisioni; dall’altro, quella relativa
alle ricadute nell’ambito della sfera personale dei singoli individui e dei
loro diritti. Dunque, solo alcune delle problematiche giuridiche
potenzialmente connesse alla sicurezza hanno rilievo sul piano del
diritto costituzionale. Certo, in questo modo il problema potrebbe
sembrare essersi solo spostato in avanti, ma non del tutto risolto.
Infatti, così come le dimensioni giuridiche della sicurezza
appaiono molteplici, solo alcune delle quali rilevanti per il diritto
costituzionale, anche il concetto e il significato di costituzione non
sono affatto univoci, ma (come noto) risultano sottoposti ad
un’evoluzione storica a tutti evidente, oltre ad essere analizzati e
interpretati dalla stessa dottrina giuridica in modo assai diverso.40
Dunque, sul punto sarà necessario fare un ulteriore passo avanti.
Quest’ultima tappa porta a considerare la dimensione
costituzionale della sicurezza in relazione ad una specifica tipologia di
ordinamento giuridico: quello derivante dall’evoluzione dello stato

39 Sul punto, però, vedi più ampiamente ultra, Cap. II.


40 Solo per limitarsi al dibattito più recente, si vedano, tra gli altri, i contributi di R.
Bin, Che cos’è la Costituzione?, in Quaderni costituzionali, 2007, pag. 11 ss.; A. Ruggeri,
Teorie e “usi” della Costituzione, in Quaderni costituzionali, 2007, pag. 519 ss.; G.
Bognetti, Cos’è la Costituzione? A proposito di un saggio di Roberto Bin, in Quaderni
costituzionali, 2008, pag. 5 ss.; O. Chessa, Cos’è la Costituzione? La vita del testo, in
Quaderni costituzionali, 2008, pag. 41 ss.

28
liberale di diritto, fino all’affermazione del costituzionalismo
liberaldemocratico, in particolare a partire dalla fine del secondo
conflitto mondiale. Questo, infatti, è il contesto di riferimento
culturale del nostro attuale ordinamento, storicamente figlio delle tre
Rivoluzioni liberali.41 E’ dunque in questo senso che va affrontato il
problema delle dimensioni costituzionali della sicurezza, con una
particolare attenzione anche ai profili evolutivi della citata tradizione
costituzionale.
Tale prospettiva, infatti, acquista uno spessore ben diverso nel
passaggio tra Stato liberale e Stato costituzionale liberaldemocratico.
Nel primo, come noto, la sicurezza era immersa in un ordinamento
espressione di una (frazione della) società fortemente omogenea, e
fondato sul primato della legge quale fonte espressione della sovranità
dell’assemblea rappresentativa.
Dunque, la sicurezza giuridica era sicurezza legale, in ossequio
ai principi dello stato di diritto, e le situazioni giuridiche soggettive (i
diritti pubblici soggettivi) apparivano come tutele in qualche modo
accordate dallo Stato liberale rappresentativo. In definitiva, la
sicurezza dei diritti passava attraverso la sicurezza dello Stato e del suo
ordinamento, nell’ambito di un sostanziale monopolio legislativo in
merito ai suoi reali contenuti (e quindi anche ai suoi concreti limiti).
Significativo, in questo senso, il contenuto delle leggi di
pubblica sicurezza susseguitesi dopo l’unificazione d’Italia fino
all’avvento del fascismo, tutte caratterizzate da un impianto
sostanzialmente conservativo e, spesso, fortemente riduttivo delle
libertà statutarie.42 D’altronde, in quel contesto, ero lo stesso
(flessibile) Statuto del 1848 a rimettere la concreta disciplina delle
libertà civili all’intervento del legislatore.43 Non a caso, come noto,

41 Mette in particolare evidenza le diverse matrici culturali del costituzionalismo A.


Barbera, Le basi filosofiche del costituzionalismo, in A. Barbera, op. cit., pag. 3. ss. Sul
punto, si veda anche N. Matteucci, Costituzionalismo, in Enciclopedia delle scienze sociali,
II, Roma, 1992, pag. 528 ss.
42 Cfr., in particolare, l’allegato B della legge n. 2248/1865 nonché il successivo

testo unico n. 6144/1889. Per un’analitica ricostruzione dell’evoluzione legislativa


in materia, si veda, in particolare, P. Barile (a cura di), La pubblica sicurezza, Vicenza,
1967.
43 Si ricordano, ad esempio, l’art. 28: “La stampa è libera, ma una legge ne reprime

gli abusi”; o l’art. 32: “E’ riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senza

29
l’avvento del fascismo avrebbe, sul punto, fortemente esteso le
limitazioni legali previste, attraverso le minute disposizioni del Testo
Unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931.
Diversamente, nell’ambito di un ordinamento espressione di
una realtà complessa e ricca di contraddizioni, il pluralismo sociale
appare il dato di fondo, che la Carta costituzionale cerca di portare a
sintesi sulla base di principi fondamentali condivisi e posti a
fondamento di validità di ogni ulteriore espressione normativa delle
assemblee rappresentative, tramite la rigidità.
In tale ambito, all’inverso, la sicurezza appare come sicurezza
costituzionale, nell’ambito di una collocazione al centro del sistema
della persona e dei suoi diritti fondamentali, base di ogni legittimità
dell’azione dei pubblici poteri. Parallelamente, la sicurezza dei diritti
non è solo garantita dalla sicurezza dello Stato e del suo ordinamento,
ma anche viceversa, in un processo di circolare alimentazione del
circuito democratico, in cui la stessa complessiva legittimità
dell’azione dei pubblici poteri dipende dalla loro rispondenza ai
principi e ai valori costituzionali.
Riprendendo una classica contrapposizione,44 si potrebbe dire
che si supera un concetto di sicurezza meramente legale per
approdare ad un concetto di sicurezza come sicurezza legittima,
costituzionalmente orientata.

5. La sicurezza come valore costituzionale

Assunto il citato punto di vista di diritto costituzionale, il


significato della sicurezza supera, quindi, le limitate prospettive
conseguenti ad una sua ordinaria disciplina normativa, ma assume le
caratteristiche di parte del tessuto normativo fondamentale di un

armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della
cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi
pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono interamente soggetti alle leggi di
polizia”.
44 Ci si riferisce, in particolare, al pensiero di Carl Schmitt, Legalität und legitimität

(1932), trad. italiana, Legalità e legittimità, in C. Schmitt, Le categorie del “politico”,


Bologna, 1972, pag. 211 ss.

30
determinato ordinamento, ispirato a precisi valori. Senza entrare
nell’annoso dibattito relativo alla distinzione tra valori, principi e
regole,45 sembra comunque un dato di tutta evidenza che il contenuto
di una determinata costituzione, e in particolare di una costituzione di
un ordinamento liberaldemocratico, sarà influenzato anche da
specifiche opzioni sul piano assiologico.
Da questo punto di vista, è stato affermato che “i valori
costituzionali […] hanno una duplice componente: ideale e reale. Se la
prima rimanda al contenuto assiologico, la seconda individua
l’attitudine alla realizzazione che, per effetto della positivizzazione,
avviene giuridicamente”.46
In base a tale ricostruzione “ciascun valore costituzionale […]
presenta normalmente una struttura polisemica, in quanto esprime la
sintesi di una pluralità di interessi”, individuati sia in diritti
fondamentali, sia in beni di natura collettiva; interessi, dunque,
costituzionalmente rilevanti (e quindi tutelati) perché “portatori di una
frazione di contenuto assiologico riconducibile, come parte del tutto,
ad un determinato valore costituzionale”.47

45 Da ultimo, con particolare riferimento alla problematica dell’interpretazione


costituzionale, si vedano gli interventi di A. Pace, Interpretazione costituzionale e
interpretazione per valori, A. Baldassarre, Interpretazione e argomentazione nel diritto
costituzionale e A. Ruggeri, Interpretazione costituzionale e ragionevolezza, tutti in in
Costituzionalismo.it, all’indirizzo www.costituzionalismo.it; G.U. Rescigno,
Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico, in Diritto pubblico, 2005, pag. 19 ss. Sul
tema, vedi anche la polemica tra R. Guastini e A. Baldassarre, in Giurisprudenza
costituzionale, 2007, rispettivamente pag. 1374 ss. e pag. 3251 ss.
46 Così A. Morrone, Il custode della ragionevolezza, Milano, 2001, pag. 277, secondo il

quale tra valori e principi non esisterebbe che una differenza di contenuto, “gli uni
afferendo al piano assiologico, gli altri a quello deontologico”.
47 Cfr. A. Morrone, op. cit., pagg. 278-280, per il quale “le norme che esprimono

interessi costituzionalmente rilevanti possono avere propriamente la struttura di


principi o di regole: i primi, in particolare, individuano precetti senza fattispecie
definita […], la cui determinazione passa attraverso la considerazione della
dimensione di peso dei beni che ne costituiscono il contenuto; le seconde, invece,
prescrizioni normative che individuano un comportamento determinato e specifico,
e che impongono, ricorrendone i presupposti, la piena applicazione o, all’opposto,
la non validità del precetto”. Sul punto, cfr. anche G. Zagerbelsky, Il diritto mite,
Torino, 1992, pag. 147 ss.

31
Dunque, il principio di separazione dei poteri, oltre che
regolato analiticamente nell’ambito della parte organizzativa del testo
costituzionale, risponderà ad una ben precisa opzione fondamentale
(esistente, anche se formalmente inespressa); il principio di
eguaglianza, formalizzato tradizionalmente in apposite disposizioni
costituzionali, sarà figlio di una determinata concezione dei diritti del
cittadino e del ruolo della legge; analogamente in relazione alla tutela
della persona e dei suoi diritti fondamentali, che vive sicuramente di
specifiche regole (vedi le singole disposizioni normative relative alle
libertà) ma anche di una scelta di fondo connessa al valore della
persona in quanto tale (a volte espressamente formalizzata); e così per
il sistema democratico-rappresentativo ed altri principi e valori
costituzionali.
Bene, in un contesto del genere è di tutta evidenza come
interrogarsi sulle dimensioni costituzionali della sicurezza sia anche
interrogarsi sulle opzioni di fondo e sulle finalità complessive di un
determinato ordinamento, che nell’ambito della più volte citata
tradizione costituzionale trovano riscontro e codificazione a livello di
Carta fondamentale.
Quindi non una dimensione quale che sia della sicurezza,
purché oggetto di disciplina giuridica (la più svariata); ma solo quella
specifica dimensione, anche assunta nella sua pluralità, caratteristica
dello specifico impianto costituzionale, e nei limiti della sua
compatibilità con esso.
Appare, infatti, evidente come tra le opzioni fondamentali di
uno Stato sociale di diritto giochi un ruolo rilevante la previsione di
ambiti di intervento e di attiva tutela dei pubblici poteri in relazione a
nuove, più ampie e a volte complesse situazioni giuridiche soggettive
(di singoli e di gruppi), nei cui confronti la dimensione costituzionale
della sicurezza dovrà trovare il giusto punto di equilibrio.
Come è stato sottolineato,48 questo sembra cambiare le stesse
concezioni relative allo Stato, alle sue finalità e ai suoi rapporti con i
cittadini. Alla classica impostazione liberale, frutto della Rivoluzione

48 Cfr., in particolare, quanto affermato da E. Denninger, Menschenrechte und


Grundgesetz (1994), trad. italiana Diritti dell’uomo e Legge fondamentale, Torino, 1998, in
particolare pag. 16 ss. Sul punto, si vedano anche le osservazioni di P. Bonetti, op.
cit., pagg. 49-50.

32
francese, che vedeva il suo fondamento nei concetti di libertà,
eguaglianza e fraternità, tutelati dallo Stato di diritto tramite la legge, si
affianca oggi una diversa concezione del pubblico potere, ispirato ai
concetti di diversità, solidarietà, sicurezza, connessi ad un ruolo di
intervento attivo dello Stato, costituzionalmente fondato.
Evidente, in questo senso, l’importanza dell’affermazione dei
c.d. diritti sociali quali diritti di prestazione, connessi ad una
complessiva promozione della persona e della sua dignità da parte dei
pubblici poteri.49 Soprattutto tali diritti, infatti, sembrano essere alla
base di una declinazione della sicurezza intesa in senso “lato” quale
“sicurezza sociale”, formula riassuntiva con la quale generalmente si
indica la necessità di una piena affermazione della libertà dal bisogno
di tutti i consociati al fine di rendere effettivi il pieno sviluppo della
loro persona e il godimento dei loro diritti fondamentali.50
La sicurezza, dunque, non è più garantita solo attraverso lo
strumento (teoricamente minimo ed eccezionale) della repressione
penale, ma diviene base di legittimazione di una serie di interventi
svolti da quello che si è individuato come lo Stato di prevenzione,
finalizzati ad evitare i rischi connessi all’evoluzione di una società
complessa, tecnologica e multiculturale,51 non a caso individuata dai
sul piano sociologico anche come società dell’incertezza.52

49 Cfr., tra gli altri, A. Baldassarre, Diritti sociali, in Enciclopedia giuridica, XI Roma,
1989; M. Luciani, Sui diritti sociali, in Democrazia e diritto, 1995, pag. 545 ss.; B.
Pezzini, La decisione si diritti sociali. Indagine sulla struttura costituzionale dei diritti sociali,
Milano, 2001; F. Politi, I diritti sociali, in R. Nania, P. Ridola (a cura di), I diritti
costituzionali, III, Torino, 2006, pag. 1019 ss.
50 Sul punto cfr. P. Olivelli, La Costituzione e la sicurezza sociale. Principi fondamentali,

Milano, 1988, in particolare pag. 13 ss., secondo la quale la sicurezza sociale (quale
freedom from care, apprehension, anxiety or alarm) “indica, anzitutto, il desiderio diffuso
dell’uomo non solo di raggiungere migliori condizioni di vita, ma anche di garantirsi
contro possibili, prevedibili eventi attuali o futuri, determinanti condizioni di
bisogno”. In senso sostanzialmente analogo, da ultimo, G. Bianco, Sicurezza sociale
nel diritto pubblico, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIV, Torino, 1999, pag. 143 ss.
Sulla generale constatazione dell’impossibilità di individuare un significato unitario
ed univoco di tale complessa nozione, cfr., tra gli altri, M. Persiani, Sicurezza sociale,
in Novissimo Digesto italiano, XVII, Torino, 1970, pag. 300 ss.; M. Cinelli, Sicurezza
sociale, in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, pag. 499 ss.
51 Cfr. E. Denninger, Stato di prevenzione e diritti dell’uomo, cit., pag 48, secondo il

quale in questo contesto sicurezza non è più solamente (come avveniva nell’ambito

33
In ogni caso, rimane comunque fermo il dato di un profondo
mutamento tra l’idea liberale dello Stato come Stato minimo, cui
spetta essenzialmente la reintegrazione dell’ordine giuridico violato
attraverso l’esercizio della forza in nome della collettività di
riferimento; e l’idea liberaldemocratica di un più vasto compito statale
di promozione dei diritti della persona costituzionalmente previsti,
anche nell’ambito delle sue relazioni sociali, ben oltre l’esercizio della
potestà punitiva.53
In questo senso, il moderno pluralismo richiede risposte
inevitabilmente diversificate, ma che vengono ricondotte ad unità alla
luce dei principi costituzionali, che rappresentano la base di legittimità
dell’azione dello Stato e che svolgono un ruolo di continua
integrazione sociale.54
Da questo punto di vista, quindi, appare essenziale rispondere
alle seguenti domande: la sicurezza è un valore fondante del nostro
ordinamento costituzionale? E’ un bene giuridico oggetto di tutela
costituzionale? Se sì, quale l’attuale “significato” costituzionale della
sicurezza?
In quest’ardua opera di progressiva messa a fuoco, un ruolo
essenziale, come vedremo, è rivestito anche dal Giudice delle leggi, cui

dello Stato liberale) garanzia di una sfera individuale di libertà da parte


dell’ordinamento giuridico, e della legge in particolare, ma conservazione di beni
giuridici, previdenza rispetto a situazioni future e prevenzione dei rischi personali e
sociali.
52 Cfr. Z. Bauman, La società dell’incertezza, Bologna, 1999. Sul punto, tra gli altri, si
vedano anche le riflessioni di A. Giddens, The Consequences of Modernity (1990), trad.
italiana Le conseguenze della modernità, Bologna, 1994 e di U. Beck, Risikogesellschaft. Auf
dem Weg in eine andere Moderne (1986), trad. italiana La società del rischio. Verso una
seconda modernità, Roma, 2000.
53 In senso analogo, vedi anche la ricostruzione di M. Ruotolo, op. cit., pagg. 2-3, che

sottolinea la differenza tra la tradizionale impostazione “statica” del concetto di


sicurezza, intesa come “difesa dello status quo ante”, e la sua evoluzione come realtà
“dinamica”, connessa alla “previdenza dei rischi riferita al futuro” e volta alla
promozione dei diritti fondamentali affermati in Costituzione.
54 Sulla Costituzione come strumento di integrazione materiale, relativa a valori

comuni, si veda, in particolare, R. Smend, Verfassung und Verfassungrecht (1928), trad.


italiana, Costituzione e diritto costituzionale, Milano, 1988, pag. 150, secondo cui “la
Costituzione è l’ordinamento giuridico dello Stato, più precisamente della vita in cui
esso ha la sua realtà vitale, cioè del suo processo di integrazione”.

34
spetta il compito di interpretare costantemente il testo costituzionale,
con particolare riferimento al controllo di costituzionalità delle leggi
ma, per quanto qui interessa, anche nell’ambito della risoluzione dei
conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato.
Entrambe le prospettive, infatti, appaiono rilevanti per
codificare una sorta di statuto costituzionale della sicurezza: la prima,
come appare ovvio, con particolare riferimento all’ambito di incidenza
sui diritti fondamentali; la seconda, invece, più propriamente connessa
all’individuazione delle procedure, degli apparati e degli strumenti
operativi più coerenti con le opzioni costituzionali di fondo in materia
(sul piano, si direbbe, dell’integrazione funzionale).
Dal punto di vista costituzionale, infatti, non si tratta solo di
verificare qualitativamente il “peso” della sicurezza all’interno del
nostro ordinamento, ma anche di valutarne operativamente le
modalità di tutela, le connesse responsabilità e le possibili forme di
controllo nell’ambito di un determinato assetto dei pubblici poteri.
In questo senso, valori di riferimento e assetto dei poteri si
integrano denotando una dimensione costituzionale della sicurezza
sicuramente composita e plurale ma, come vedremo, in grado di
trovare una sua sostanziale unità di significato alla luce delle
disposizioni della nostra Carta fondamentale.

6. Sicurezza “nella” Costituzione e sicurezza “della” Costituzione, tra


“normalità” ed “emergenza”. Il ruolo della giurisdizione costituzionale

Colta nelle sue dimensioni più propriamente costituzionali, la


sicurezza entra dunque a far parte del tessuto normativo della Carta
fondamentale, aprendo un’ulteriore prospettiva di indagine: quella
connessa alla dimensione non solo materiale della sicurezza, ma aperta
alla sua (pur problematica) dimensione ideale-normativa. Con le
precisazioni che seguiranno, dal punto di vista del diritto
costituzionale, tale dimensione della sicurezza sembra poter essere
colta limitatamente a due profili, strettamente connessi tra loro: a)
sicurezza della Costituzione; b) sicurezza nella Costituzione.
Dal primo punto di vista, in relazione alla sua natura di fonte
suprema dell’ordinamento giuridico, sicurezza normativa vuol dire

35
anche tutela della forza e della piena attuazione della Carta
costituzionale, dei suoi contenuti normativi, dei suoi principi e dei
suoi valori.
Dal secondo punto di vista, invece, vuol dire garanzia della
sicurezza in relazione ai diversi valori accolti dalla Costituzione,55 nel
reciproco, indispensabile bilanciamento56 (sia in senso statico, in
relazione alle opzioni in materia già effettuate dal Costituente; sia in
senso dinamico, in relazione all’indispensabile opera di aggiornamento
in chiave evolutiva degli equilibri posti nell’ambito del dettato
costituzionale, con particolare riferimento all’opera del legislatore).
In entrambe le prospettive, appare essenziale il già citato ruolo
della Corte costituzionale, quale garante non solo della forza formale
della Carta fondamentale e della sua supremazia gerarchica, ma anche
del suo specifico contenuto e della sua concreta attuazione, con una
valorizzazione di quella funzione orientativa che prima si è cercato di
sottolineare. In quest’ultimo caso, in particolare, verranno in gioco
non solo puntuali regole costituzionali, ma anche i principi e i valori
che, essendo a fondamento dell’ordinamento, ne sono l’indispensabile
presupposto.
Calata all’interno del tessuto costituzionale (e di un particolare
tessuto costituzionale), la sicurezza dovrà quindi essere declinata non
quale impalpabile a priori logico, del tutto indecifrabile agli occhi della
scienza giuridica; né come parte dell’ordinamento generale, in quanto
da esso disciplinata, richiamata o presupposta (in una prospettiva
semplicemente formalistica e avalutativa); bensì come specifico valore
costituzionale, sintesi di una pluralità di diversi interessi, nell’ambito di
un ventaglio ben preciso di opzioni fondamentali codificate nella
Carta fondamentale.
Ancora più evidente appare tale prospettiva nell’ambito di una
moderna società ispirata ai principi dello Stato sociale e della

55 Anche se, formalmente, è stato osservato che “il bilanciamento è propriamente


una tecnica di composizione di interessi costituzionali […] e non dei relativi valori”,
è pur vero che essi, in quanto tali, “entrano nel giudizio di costituzionalità in via
riflessa o mediata” (così A. Morrone, op. cit., pag. 279).
56 Sul bilanciamento, da ultimo, si rimanda alla ricostruzione di A. Morrone,

Bilanciamento (giustizia costituzionale), in Enciclopedia del diritto, Annali, II.2, 2008, pag.
185 ss.

36
democrazia pluralista, in cui la Carta costituzionale cerca di
rappresentare la sintesi dei valori fondanti una determinata collettività
organizzata, colta in tutte le sue sfumature e peculiarità, e in via di
costante evoluzione.
A differenza dello Stato liberale classico, infatti, in cui la
Costituzione aveva il fine di fissare le reciproche prerogative di Re e
Parlamento, codificando rapporti di forza ormai consolidati in via di
fatto (c.d. costituzione bilancio, o statica), nello Stato
liberaldemocratico il fine della Carta costituzionale è quello di indicare
un complesso progetto di attuazione di alcuni principi oggetto di
specifiche opzioni del Costituente, in relazione ad una società in
costante movimento ed evoluzione, ricca di contraddizioni che
proprio nel testo costituzionale vedono un’istanza unitaria intorno ad
determinate scelte fondamentali (c.d. costituzione progetto o
dinamica).57
In quest’ottica, infatti, garantire la peculiare forza normativa
del testo costituzionale (sicurezza della Costituzione) vuol dire anche
garantirne al massimo le possibilità di attuazione ed implementazione,
secondo le direttrici di sviluppo espressamente previste, tra le quali
emerge anche la sicurezza, pur nelle sue diverse caratteristiche.
Così, solo per fare un esempio, alla dimensione individuale
della sicurezza tipica dello Stato liberale si affiancherà anche una
dimensione collettiva, alla luce della valorizzazione del concetto di
persona e di quel pluralismo sociale la cui tutela e garanzia appare una
delle direttrici costituzionali di fondo della nostra Carta fondamentale
(cfr. art. 2 Cost.).58

57 Significative,in questo senso, le riflessioni di G. Zagrebelsky, op. cit., pag. 20 ss., il


quale sottolinea il passaggio da una concezione, tipica dello stato di diritto liberale,
dell’ordinamento giuridico come dato (alla luce della già citata omogeneità sociale e
legislativa), ad una più complessa valutazione dell’ordinamento giuridico come
problema, caratteristica dello Stato costituzionale liberaldemocratico (e della sua
eterogeneità sociale e normativa).
58 Cfr. A Barbera, Art. 2, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione,

Bologna-Roma, 1975, in particolare pag. 101 ss.; nonché E. Rossi, Le formazioni


sociali nella Costituzione italiana, Padova, 1989. Strettamente connessa a tale
impostazione è la ricostruzione delle libertà fondamentali quali “istituzioni” che,
oltre lo schema del diritto pubblico soggettivo, richiedono “modi e forme di
organizzazione della pubblica amministrazione e del potere giudiziario, […] forme

37
Ciò non ostante, mai la seconda dimensione potrà annichilire
l’indispensabile sfera di tutela della persona in quanto tale: interessi
individuali e collettivi dovranno quindi trovare una loro composizione
anche in relazione alla sicurezza. Ed ecco apparire, in tutta la sua
importanza, la necessaria opera di bilanciamento della giurisdizione
costituzionale.
Ciò non vuol dire, sia chiaro, individuare nel solo Giudice delle
leggi l’autorità in grado di garantire il complesso valore della sicurezza
all’interno di un determinato ordinamento giuridico: vuol dire, però,
metterne in evidenza il ruolo peculiare, connesso alle specificità della
dimensione costituzionale del bene sicurezza.
Certo, da un punto di vista materiale, le concrete applicazioni
operative connesse a tale garanzia sono naturalmente rimesse alle
decisioni politiche prese nell’ambito del rapporto fiduciario che lega
Parlamento e Governo, in attuazione dei canoni democratici.
L’amministrazione, a sua volta, garantirà l’esecuzione delle scelte
operative di cui sopra, mentre al potere giudiziario spetterà, come
noto, il compito di verificare la legalità dell’azione amministrativa,
oltre che il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive coinvolte.
Eppure, dal punto di vista costituzionale, queste non sono
altro che conseguenze connesse alla specifica dimensione della
sicurezza, che chiama in causa, oltre che le opzioni di valore già
ricordate, anche i conseguenti assetti organizzativi e istituzionali,
nonché l’ambito di tutela dei diritti fondamentali (entrambi classica
materia costituzionale).
Nel complesso, dunque, se volessimo cercare di individuare il
proprium della sicurezza all’interno dello Stato costituzionale
liberaldemocratico, nell’ambito della costruzione di quella che si è
individuata come sicurezza legittima, potremmo rilevare: a) la
compresenza, accanto alla tradizionale garanzia della sicurezza esterna,
di sempre maggiori ambiti di intervento statale volti a garantire e
promuovere la sicurezza dal punto di vista interno (in connessione
con il forte pluralismo sociale che caratterizza gli stati
contemporanei); b) l’emersione di una dimensione propriamente
collettiva della sicurezza, una volta oltrepassati i confini della sicurezza

di partecipazione […] collettiva […], prudenti ma incisive forme di sostegno


pubblico” (così A. Barbera, op. ult. cit., pagg. 75-76).

38
come interesse meramente individuale (tipica eredità dello stato di
diritto liberale); c) la conferma di una dimensione essenzialmente
materiale della sicurezza (come sicurezza legittima da un punto di
vista costituzionale), proprio alla luce di una valorizzazione sistematica
del contesto normativo e valoriale di riferimento, incentrato sulla
persona e sulla garanzia dei suoi diritti.
Ciò nonostante, proprio l’ultima delle dimensioni citate è
frutto di una “collocazione” del bene sicurezza all’interno del tessuto
costituzionale repubblicano, motivo per cui (seppur in via indiretta)
appare all’orizzonte una sua problematica dimensione ideale-
normativa, anche se utilizzata esclusivamente per ricavare, in via
negativa, ciò che sicurezza non è (e non, in positivo, ciò che essa
invece rappresenta).
Questa problematica consapevolezza emerge anche dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale la quale, come vedremo, pur
nell’ambito della difficile costruzione in via sostanzialmente pretoria
di una gerarchia di valori all’interno della Carta fondamentale, in
relazione alla sicurezza parte da alcune specifiche disposizioni
costituzionali, che ne connotano lo statuto giuridico.59
Primi fra tutti, ad esempio, gli artt. 14, 16 e 17 Cost. i quali,
disciplinando le specifiche situazioni di libertà previste, sembrano in
qualche modo individuare direttamente gli interessi conflittuali
potenzialmente in gioco (in questo caso, diritti individuali e bene
collettivo della sicurezza o incolumità pubblica). Qui, infatti, è la
stessa Costituzione che delimita l’ambito di tutela di certi interessi
individuali riferendosi a concetti che esprimono, in via generale,
altrettanti interessi di natura sostanzialmente collettiva.60
Ma si vedano, in proposito, anche gli artt. 120 e 126 Cost. i
quali, nell’ambito dei rapporti tra Stato e sistema delle autonomie

59 Per una ricostruzione delle diverse disposizioni in questione vedi, però, più
ampiamente ultra, Cap. II.
60 Sul punto, ancora una volta, si veda A. Morrone, Il custode della ragionevolezza, cit.,

pagg. 287-288: “Il giudizio della Corte, in simili evenienze, appare più semplice
rispetto alla generalità dei casi in cui non è possibile trarre dal testo costituzionale
una indicazione puntuale circa il modo di comporre il conflitto. Qui, infatti, il
giudice costituzionale deve soprattutto risolvere la questione relativa alla
perimetrazione degli interessi in conflitto”, e non alla loro concreta individuazione.

39
territoriali, identificano nella “sicurezza pubblica” e nella “sicurezza
nazionale” due interessi in grado di derogare al normale regime delle
competenze, incidendo anche sull’autonomia degli organi
rappresentativi delle collettività territoriali di riferimento.
In ogni caso, appare fin d’ora utile indicare come in
quest’opera di delineazione, caso per caso, del bilanciamento tra i
diversi interessi via via in potenziale conflitto tra loro, la Corte abbia
riconosciuto solo ad alcuni di essi il rango di principi supremi
dell’ordinamento, limite implicito alla revisione costituzionale e,
proprio per questo, destinati a prevalere sugli altri interessi
costituzionali eventualmente in conflitto. Altri interessi, invece, sono
stati dalla Corte configurati come primari, senza però assurgere al
rango di supremi.
Ebbene, non è forse un caso che la Corte (ad esempio) abbia
indicato, tra i principi supremi, la dignità della persona,61 il principio
pluralista,62 il principio di laicità,63 il principio di eguaglianza (inteso
come eguaglianza ragionevole), il principio di sovranità popolare, la
tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali.64 Tutti interessi che
mirano a garantire, alla base, l’essenza di uno Stato costituzionale
democratico e pluralista.
Diversamente, come noto, tra gli interessi primari essa ha
individuato non solo i diritti fondamentali della persona, ma anche
beni di natura collettiva che appaiono strumentalmente collegati al
libero esercizio dei diritti della persona: in particolare l’interesse della
giustizia e la sicurezza dello Stato.65

61 Così, ad esempio, le sentt. nn. 479/1987 e 37/1992, secondo cui la dignità umana
è da intendersi come “autostima […] e coscienza del proprio valore nell’ambito dei
rapporti con gli altri uomini”.
62 Cfr., in modo esplicito, la sent. n. 62/1992.
63 In tale senso, come noto, la sent. n. 203/1989, che lo identifica non come

“indifferenza dello Stato per il fenomeno religioso, bensì garanzia dello Stato della
salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e
culturale”.
64 Come stabilito, tra l’altro, dalla sent. n. 18/1982.
65 Cfr., in particolare, la sent. n. 82/1976 che la definisce come “interesse dello

Stato comunità alla propria integrità territoriale, indipendenza e – al limite – alla


stessa sua sopravvivenza”. Analogamente, si veda anche la successiva sent. n.
86/1977, in relazione alla difesa della Patria e alla sicurezza nazionale, qualificati

40
Dunque, anche se in via di prima approssimazione, sembra in
qualche modo profilarsi una possibile ricostruzione generale, in base
alla quale le esigenze primarie della sicurezza possono rappresentare
un limite all’esercizio di specifiche libertà, in primis laddove
espressamente richiamate in Costituzione, ma, più in generale, anche
alla luce di un complessivo bilanciamento effettuato, caso per caso,
dal Giudice delle leggi in caso di contrasto tra sicurezza e altri diritti
fondamentali. In ogni caso, mai tali esigenze potranno incidere in via
definitiva sulla dignità della persona (anche in relazione al nucleo
essenziale dei suoi diritti), o sulla generale tutela giurisdizionale dei
diritti, veri e propri principi supremi dell’ordinamento la cui esistenza
rappresenta un dato ineliminabile.
In realtà, a ben vedere, la pretesa subordinazione degli aspetti
(per così dire) organizzativi collegati alla tutela di un bene di natura
collettiva (come, ad esempio, la sicurezza, ma anche la giustizia),
rispetto ai principi supremi connessi alla dignità della persona e alla
tutela giurisdizionale dei suoi diritti, sembra in parte contrastare con la
stessa configurazione dei primi quale una sorte di precondizione per
assicurare l’esercizio dei diritti fondamentali della persona,
analogamente a quanto si afferma per i principi supremi in relazione
all’essenza della democrazia pluralista.66
In ogni caso, la sicurezza gioca un ruolo importante
nell’ambito delle tecniche di bilanciamento, non solo in relazione alle
già citate norme che espressamente la richiamano all’interno della
disciplina di specifiche libertà, ma anche alla luce della sua
configurazione quale interesse primario di natura collettiva, collegata
alle diverse dimensioni costituzionali prima indicate.
La sicurezza, quindi, assume tutte le caratteristiche di un valore
costituzionalmente tutelato in via “ordinaria”, e a prescindere dal

espressamente come “interessi superiori”. Da ultimo, cfr. anche la sent. n.


106/2009 (su tali aspetti, però, vedi più ampiamente ultra, Cap. III)
66 E, in effetti, nella giurisprudenza costituzionale sul segreto di Stato emergono

alcuni spunti problematici laddove la Corte stessa qualifica la sicurezza dello Stato
quale “interesse essenziale, insopprimibile della collettività, con palese carattere di
assoluta preminenza su ogni altro, in quanto tocca, come si è ripetuto, la esistenza
stessa dello Stato, un aspetto del quale è la giurisdizione” (così la già citata sent. n.
86/1977).

41
verificarsi di particolari momenti di stress politico-istituzionale, o di
veri e propri stati di emergenza.67 Certo, di fronte ad evenienze del
genere, le esigenze connesse alla sicurezza assumono sicuramente un
peso peculiare, ma in nessun caso sembrano poter essere considerate
quasi ontologicamente prevalenti o assorbenti rispetto a tutte le altre,
a prescindere da un’attenta valutazione, caso per caso, dei singoli
interessi costituzionali in gioco.68
In particolare, come noto, la questione è tornata di drammatica
attualità dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 a New
York..69 In risposta al dilagare degli attentati terroristici, e alla luce
della loro gravità, molti ordinamenti costituzionali occidentali hanno
reagito attraverso una legislazione a tutela della sicurezza che, però,
ha spesso comportato una limitazione dei dritti fondamentali dei
singoli individui di dubbia compatibilità costituzionale.70 Non a caso i
67 Sulle problematiche costituzionali dell’emergenza, tra gli altri, cfr. V. Angiolini,
Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Padova, 1986; P. Pinna, L’emergenza
nell’ordinamento costituzionale italiano, Milano, 1988; G. Marazzita, L’emergenza
costituzionale. Definizioni e modelli, Milano, 2003; A. Benazzo, L’emergenza nel conflitto fra
libertà e sicurezza, Torino, 2004. Da ultimo, con particolare riferimento
all’organizzazione amministrativa, si veda anche A. Fioritto, L’amministrazione
dell’emergenza tra autorità e garanzie, Bologna, 2008.
68 Come, invece, sembrano ritenere, da ultimo, G. Cerrina Feroni, G. Morbidelli, La

sicurezza: un valore superprimario, in Percorsi costituzionali, n. 1/2008, pag. 31 ss., e in


particolare pag. 39 ss., secondo i quali il bene sicurezza “sempre più minacciato e
aggredito” rischia di mettere a repentaglio “non solo la qualità della vita , ma i
cardini stessi della convivenza civile, perché senza sicurezza i diritti […] vengono
mutilati e si determina uno sfaldamento del patto sociale che sta dietro a qualunque
comunità”. Dunque, in ogni operazione di bilanciamento le “ragioni della sicurezza
portano dietro di sé una posizione di priorità”, dal momento che tale “valore
giuridico supremo si rifà, oltre che alla Costituzione, al diritto naturale, alla storia,
ad un sentire comune”, e di conseguenza “non si presta ad un bilanciamento
secondo i canoni tradizionali”. Tutto, quindi, è rimesso alla proporzionalità di un
sacrificio che, però, sembra in ogni caso inevitabile.
69 Cfr. D. Tega,Vecchi diritti e nuove paure, in Quaderni costituzionali, 2002, ag. 79 ss.
70 Per un’analisi, anche in chiave comparata, degli interventi legislativi adottati dai

principali ordinamenti occidentali, si vedano, tra gli altri, V. Baldini, Sicurezza e


libertà nello Stato di diritto in trasformazione. Problematiche costituzionali delle discipline di lotta
al terrorismo internazionale, Torino, 2004; P. Bonetti, Terrorismo, emergenza e costituzioni
democratiche, Bologna, 2006; T. Groppi (a cura di), Democrazia e terrorismo, Napoli,
2006; G. de Vergottini, La difficile convivenza fra libertà e sicurezza: la risposta delle
democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti nazionali, in AA.VV., Libertà e sicurezza nelle

42
Tribunali costituzionali sono ripetutamente intervenuti a sancire
l’illegittimità costituzionale delle misure più discusse, spesso
richiamando il legislatore al rispetto dei diritti fondamentali e delle
procedure di garanzia previste in materia dalle diverse costituzioni.71
Nella maggior parte dei casi citati, le disposizioni approvate
hanno significativamente esteso i poteri di prevenzione attivabili da
parte delle forze di polizia nei confronti di sospettati di appartenere ad
organizzazioni terroristiche, con particolare riferimento al
rafforzamento di forme di detenzione amministrativa, all’estensione
degli strumenti di intercettazione e di perquisizione domiciliare, oltre
che alla previsione di specifiche forme di espulsione degli stranieri
verso i paesi d’origine. Parallelamente sono stati potenziati anche i
poteri di intervento dei servizi di informazione e degli organismi di
intelligence, sempre con finalità di prevenzione del terrorismo
internazionale.
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, i provvedimenti
legislativi adottati non sembrano comunque aver rappresentato, in via
generale, una vera e propria deroga alle libertà costituzionali. Infatti,
pur avendo previsto un potenziamento delle misure di prevenzione (si
pensi, ad esempio, alla nuova disciplina delle c.d. intercettazioni
preventive) non ne hanno sensibilmente alterato la disciplina

democrazie contemporanee, Padova, 2007, pag. 45 ss.; S. Lorenzon, G. Vaccari, V.


Zanetti (a cura di), Sicurezza collettiva e diritti fondamentali intempo di terrorismo, Roma,
2008. Assai utile anche Tondini M., Pierini J.P., Tabella di legislazione e giurisprudenza
comparata sul fenomeno del terrorismo internazionale, in Forum di Quaderni costituzionali,
all’indirizzo www.forumcostituzionale.it.
71 Si ricordano, ad esempio, la decisione della House of Lords del 16 dicembre 2004,

che ha dichiarato alcune disposizioni dell’Anti-Terrorism, Crime and Security Act del
2001 contrarie alla garanzia della libertà personale degli stranieri sospettati di
terrorismo e sotto posti a forme di detenzione eccezionale; le note decisioni della
Supreme Court sullo statuto dei prigionieri detenuti a Guantanamo, sulla garanzia
dell’habeas corpus e sulle connesse garanzie giurisdizionali (Hamdi v. Rumsfeld del 28
giugno 2004; Rumsfeld v. Padilla del 28 giugno 2004; Rasul v. Bush del 28 giugno
2004; Hamdan v. Rumsfeld del 29 giugno 2006; Boumediene v. Bush del 12 giugno 2008);
la sentenza del Bundesverfassungsgericht del 15 febbraio 2006, che ha dichiarato
incostituzionali alcune disposizioni della legge del 15 gennaio 2005 sulla sicurezza
aerea, in base alle quali in determinate circostanze poteva essere ordinato
l’abbattimento di aerei civili dirottati per finalità di terrorismo.

43
previgente, nel sostanziale rispetto delle garanzie sostanziali e
procedurali costituzionalmente previste.72
Ciò, d’altronde, sembra coerente con quanto precedentemente
avvenuto in risposta all’emergenza terroristica interna della fine degli
anni ‘70, che vide l’approvazione di discipline a tutela dell’ordine
pubblico che, in via generale, non rappresentarono una vera e propria
deroga ai principi costituzionali in materia di libertà. Su tale
legislazione, come noto, ebbe tra l’altro modo di pronunciarsi la stessa
Corte costituzionale, con la nota sent. n. 15/1982,73 in relazione alla
problematica previsione di un aumento di un terzo dei termini
massimi di carcerazione preventiva per i reati di terrorismo.74
In quel caso, infatti, la Corte dichiarò infondati i dubbi di
legittimità sollevati contestualizzando l’intervento normativo oggetto
del suo giudizio anche alla luce delle sue concrete finalità. Secondo il
Giudice delle leggi, infatti, il fine di tutelare l’ordine democratico e la
sicurezza pubblica contro il terrorismo e l’eversione era del tutto
evidente di fronte ad “un fenomeno caratterizzato, non tanto, o non
solo, dal disegno di abbattere le istituzioni democratiche come
concezione, quanto dall’effettiva pratica della violenza come metodo
di lotta politica, dall’alto livello di tecnicismo delle operazioni
compiute, dalla capacità di reclutamento nei più disparati ambienti
sociali”.
Di fronte a tale situazione, identificabile con i presupposti
indicati dall’art. 77 Cost. in materia di decretazione d’urgenza,
“Parlamento e Governo hanno non solo il diritto e potere, ma anche
il preciso ed indeclinabile dovere di provvedere, adottando

72 Si vedano, in particolare, la legge n. 438/2001 e la successiva legge n. 155/2005


di conversione, rispettivamente, del d.l. n. 374/2001 e del d.l. n. 144/2005. Sul
punto, però, vedi più ampiamente ultra, Cap. IV.
73 Su tale decisione, si vedano i commenti di L. Carlassare, Una possibile lettura in

positivo della sentenza n. 15?; di A. Pace, Ragionevolezza abnorme o stato d’emergenza?; e di


P. Pinna, L’emergenza davanti alla Corte costituzionale, tutte in Giurisprudenza
costituzionale, rispettivamente 1982, pag. 98 ss., 1982, pag. 108 ss., e 1983, pag. 592
ss.
74 Cfr., in particolare, l’art. 10 della legge n. 15/1980, di conversione del d.l. n.

625/1979. Nelle ordinanze di rimessione venivano indicati come parametri gli artt.
13, primo, secondo e quinto comma, 25, secondo comma, e 27, secondo comma,
Cost.

44
un’apposita legislazione d’emergenza”, anche alla luce delle “obiettive
difficoltà che esistono per gli accertamenti istruttori e dibattimentali
nei procedimenti che hanno ad oggetto i delitti commessi per finalità
di terrorismo e di evasione dell’ordine democratico”. Ciò premesso,
però, la Corte svolge alcune precisazioni che, a dire il vero, più che
muoversi nell’ambito dei presupposti costituzionalmente previsti per
l’adozione del decreto legge, aprono il suo ragionamento alla più
generale problematica della gestione delle emergenze nello Stato
costituzionale di diritto.
Secondo la Corte, infatti, “se si deve ammettere che un
ordinamento, nel quale il terrorismo semina morte - anche mediante
lo spietato assassinio di ostaggi innocenti - e distruzioni,
determinando insicurezza e, quindi, l’esigenza di affidare la salvezza
della vita e dei beni a scorte armate ed a polizia privata, versa in uno
stato di emergenza, si deve, tuttavia, convenire che l’emergenza, nella
sua accezione più propria, é una condizione certamente anomala e
grave, ma anche essenzialmente temporanea. Ne consegue che essa
legittima, sì, misure insolite, ma che queste perdono legittimità, se
ingiustificatamente protratte nel tempo”.
Qui, infatti, sembra proprio che venga evocata non tanto la
(per così dire ordinaria) gestione di una situazione di necessità ed
emergenza tramite lo strumento del decreto legge, quanto una più
generale situazione di emergenza istituzionale e democratica
potenzialmente in grado di derogare ad alcuni principi costituzionali, e
di cui risulta quindi essenziale elemento di legittimità l’inevitabile
temporaneità, al di fuori dello schema di stabilizzazione degli effetti
tipico della conversione in legge del decreto.
In ogni caso, alla luce di tutte queste considerazioni, le misure
adottate non appaiono alla Corte irragionevoli, pur nella
consapevolezza che “pur in regime di emergenza, non si
giustificherebbe un troppo rilevante prolungamento dei termini di
scadenza della carcerazione preventiva, tale da condurre verso una
sostanziale vanificazione della garanzia” di cui all’art. 13, quinto
comma, Cost.75

75E, comunque, nella consapevolezza che “una legislazione d’emergenza non può
non comprendere anche misure atte ad adeguare l’ordinamento giudiziario ai tempi,
quale sarebbe appunto una più razionale ed efficiente organizzazione, ad ogni

45
Dunque, una decisione al confine tra “normalità” ed
“emergenza”, e in cui il giudizio della Corte sembra collocarsi ai
margini dell’insindacabilità delle decisioni degli organi rappresentativi
della sovranità popolare che, nell’essere finalizzate alla salvaguardia
delle stesse istituzioni democratiche, rivestono una particolare
rilevanza politica.76 A ben guardare, però, sembra che, nel caso
concreto, la Corte più che legittimare una sostanziale deroga a
determinate garanzie costituzionali in materia di diritti, sia riuscita a
muoversi nell’ambito degli schemi propri del bilanciamento tra
interessi costituzionali, anche se calibrando il ragionevole punto di
equilibrio alla luce della concreta situazione in atto (e alla luce della
consapevolezza della sua necessaria temporaneità).77
In conclusione, a prescindere dalla problematica questione
dalla mancata codificazione, nel nostro ordinamento, di disposizioni
volte a regolare gli stati di emergenza interna,78 tale giurisprudenza
sembra confermare come, anche nei momenti di particolare
delicatezza istituzionale, la sicurezza rappresenti un valore di rilievo
costituzionale da leggere sistematicamente nell’ambito dei principi e
dei valori della tradizione costituzionale liberaldemocratica,
consapevoli del fatto che sempre l’evocazione della salvezza della

livello, degli uffici giudiziari, in personale e mezzi, che sia in grado di soddisfare con
sollecitudine le nuove e maggiori esigenze proprio là dove e quando esse si
verificano. É un compito, questo, al quale il legislatore non può più sottrarsi in
coerenza con le altre misure urgenti ed eccezionali adottate”.
76 In qualche modo sottolineata dalla Corte laddove afferma che “è altra - e,

comunque, non giuridica - la questione se il prolungamento dei suddetti termini sia


il mezzo più appropriato per sradicare o, almeno, per fronteggiare con successo
terrorismo ed evasione. Una valutazione in proposito é preclusa al giudice, sia pure
il giudice delle leggi, perché si risolverebbe in un sindacato su una scelta operata in
tema di politica criminale dal potere su cui istituzionalmente grava la responsabilità
di tutelare la libertà e, prima ancora, la vita dei singoli e dell’ordinamento
democratico”. Con affermazioni, però, che sembrano rappresentare più
un’applicazione del doveroso rispetto della discrezionalità del legislatore da parte
della Corte costituzionale, che non una sorta di salvacondotto emergenziale nei
confronti del circuito Governo-Parlamento.
77 La disposizione, come noto, è stata definitivamente abrogata dall’art. 29 della

legge n. 398/1984.
78 Su cui, da ultimo, vedi anche la ricostruzione offerta da M. Ruotolo, op. cit., pag.

21 ss.

46
Repubblica e delle sue istituzioni “può essere il velo dietro il quale si
nascondono velleità autoritarie, deliri di onnipotenza, dissociazioni del
potere dalle regole del suo democratico esercizio”.79

79Così L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, pag. 232. Da ultimo, in
materia di segreto di Stato, la Corte ha però fortemente limitato il suo perimetro di
intervento, adottando una linea di forte self-restraint che rischia di impedire ogni
forma di bilanciamento con gli ulteriori interessi costituzionali primari in gioco, a
partire dall’esercizio della funzione giurisdizionale e dalla connessa tutela dei diritti
fondamentali (cfr. la sent. n. 106/2009 su cui, però, vedi più ampiamente ultra, Cap.
III).

47
CAPITOLO SECONDO

COSTITUZIONE REPUBBLICANA E SICUREZZA

Sommario: 1. La sicurezza nella Costituzione repubblicana del 1948: una


ricognizione. 2. La sicurezza come garanzia dei (e come limite ai) diritti
fondamentali. 3. L’inesistenza di un “diritto alla sicurezza”. 4. Le esigenze
della sicurezza e l’assetto dei poteri, tra forma di Stato e forma di governo.
5. Le vicende costituzionali dell’ordine pubblico, tra limiti impliciti e
bilanciamento. 6. Le frontiere costituzionali della sicurezza: istituzioni,
diritti, dimensioni territoriali.

1. La sicurezza nella Costituzione repubblicana del 1948: una ricognizione

Per valutare quali siano le concrete dimensioni della sicurezza


prese in considerazione dal nostro ordinamento, è dunque
indispensabile, prima di tutto, rivolgere lo sguardo alle singole
disposizioni costituzionali che la coinvolgono (direttamente o
indirettamente). Da un punto di vista letterale, la sicurezza è
richiamata in Costituzione complessivamente dieci volte: cinque
all’interno della Parte I (Diritti e doveri dei cittadini) e cinque
all’interno della Parte II (Ordinamento della Repubblica).
Si ricordano, per quanto riguarda la Parte I:1 l’art. 13, terzo
comma, Cost. che, nell’ambito della disciplina delle limitazioni alla
libertà personale, prevede la possibilità di un intervento eccezionale da
parte della “autorità di pubblica sicurezza”;2 l’art. 16, primo comma,

1 Da ultimo, per una ricostruzione delle diverse diposizioni costituzionali che


riguardano la sicurezza, si veda anche M. Ruotolo, op. cit., in particolare pag. 5 ss.
2 Cfr. l’art. 13, terzo comma, Cost.: “In casi eccezionali di necessità ed urgenza,

indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare


provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore
all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore,
si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”. La medesima disciplina, in
virtù di un esplicito rinvio, vale anche per il successivo art. 14, secondo comma,
Cost. che indica, quali motivi legittimi di limitazione della libertà di
circolazione quelli relativi a “sanità e sicurezza”;3 l’art. 17, terzo
comma, Cost., secondo cui le riunioni, da svolgersi comunque
“pacificamente e senz’armi”, se svolte in luogo pubblico possono
essere vietate “soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di
incolumità pubblica”;4 l’art. 25, terzo comma, Cost., che stabilisce una
riserva di legge in materia di “misure di sicurezza”;5 l’art. 41, secondo
comma, Cost., il quale prevede, tra i limiti all’iniziativa economica
privata, quello della “sicurezza”.6
In relazione, poi, alla Parte II,7 vengono in considerazione:
l’art. 117, secondo comma, lett. d), Cost., il quale prevede tra le
materie di competenza legislativa statale esclusiva “sicurezza dello
Stato”;8 l’art. 117, secondo comma, lett. h), Cost., il quale indica tra le
competenze esclusive dello Stato “ordine pubblico e sicurezza”;9 l’art.
117, terzo comma, Cost., che prevede tra le materie di legislazione
concorrente Stato-Regioni “tutela e sicurezza del lavoro”; l’art. 120,
secondo comma, Cost., secondo il quale il potere sostitutivo del

Cost. che, nell’ambito delle limitazioni alla libertà di domicilio, stabilisce che esse
possono essere previste solo “non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le
garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”.
3 Cfr. l’art. 16, primo comma, Cost.: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare

liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la


legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione
può essere determinata da ragioni politiche”.
4 Cfr. l’art. 17, terzo comma, Cost.: “Delle riunioni in luogo pubblico deve essere

dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di
sicurezza e incolumità pubblica”. Collegata, in qualche modo, a tale prospettiva
anche la previsione di cui al successivo art. 18, primo coma, Cost. in materia di
libertà di associazione, in base alla quale “i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente […] per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”.
5 Cfr. l’art. 25, terzo comma, Cost.: “Nessuno può essere sottoposto a misure di

sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.


6 Cfr. l’art. 41, secondo comma, Cost.: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità

sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, ala dignità umana”.
7 Cfr. P. Bonetti, Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art. 117

della Costituzione, in le Regioni, 2002, pag. 483 ss.


8 Cfr. l’art. 117, secondo comma, lett. d), Cost.: “difesa e Forze armate; sicurezza

dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi”.


9 Cfr. l’art. 117, secondo comma, lett. h), Cost.: “ordine pubblico e sicurezza, ad

esclusione della polizia amministrativa locale”.

50
Governo ne confronti delle autonomie territoriali può essere attivato,
tra l’altro, in caso di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza
pubblica”;10 l’art. 126, secondo comma, Cost. che, tra i motivi di
scioglimento del Consiglio regionale, indica anche: “ragioni di
sicurezza nazionale”.11
A queste devono essere aggiunte anche le disposizioni che si
riferiscono a concetti analoghi, quali l’incolumità pubblica o l’ordine
pubblico (quest’ultimo, a partire dal 2001), non a caso a volte
richiamati congiuntamente alla sicurezza.12 Dalla lettura di tali
disposizioni si possono trarre alcune prime conclusioni: a) la sicurezza
è un bene di rilievo costituzionale; b) la sicurezza è un limite ad alcuni
diritti fondamentali; c) la sicurezza è uno specifico compito dei
pubblici poteri, con particolare riferimento all’apparato dello Stato.
Dal primo punto di vista, la lettura complessiva delle citate
disposizioni fa emergere subito una precisa dimensione della sicurezza
quale bene costituzionalmente tutelato. Solo un interesse ritenuto
degno di tutela da parte dell’ordinamento, infatti, può trovare tali

10 Cfr. l’art. 120, secondo comma, Cost.: “Il Governo può sostituirsi a organi delle
Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato
rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di
pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la
tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai
confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire
che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del
principio di leale collaborazione”.
11 Cfr. l’art. 126, primo comma, Cost.: “Con decreto motivato del Presidente della

Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del


Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi
violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti
per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di
deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge
della Repubblica”.
12 Così, in particolare, negli artt.: 14, terzo comma, Cost. (“incolumità pubblica”); 17,

terzo comma, Cost. (“incolumità pubblica”); 117, secondo comma, lett. h, Cost.
(“ordine pubblico”); e 120, secondo comma, Cost. (“incolumità”). Ma si vedano, in
questo senso, anche la specificazione relativa alla natura “pacifica e senz’armi” delle
riunioni (art. 17, primo comma, Cost.), nonché le limitazioni previste alla libertà di
associazione, con particolare riferimento al perseguimento di “fini […] vietati ai
singoli dalla legge penale” (art. 18, primo comma, Cost.)

51
molteplici riferimenti costituzionali, tanto da far ritenere che,
complessivamente, non solo rappresenti una delle esigenze tenute
presenti dal nostro Costituente, ma abbia una sua concreta ed
autonoma fisionomia rispetto agli ambiti in cui è operativamente
richiamata.
Dal secondo punto di vista, vengono in rilievo in particolare
gli artt. 14, 16, 17 e 41 Cost., all’interno dei quali la sicurezza (e/o
l’incolumità pubblica) sono richiamate quali limiti all’esercizio di
specifiche libertà (di domicilio, di circolazione, di riunione e di
iniziativa economica). Come appare evidente, si tratta in ogni caso di
libertà che, in qualche modo, potenzialmente incidono su (o
coinvolgono) una collettività di soggetti indeterminati, o a causa del
loro godimento obbligatoriamente plurisoggettivo (riunione), o a
causa delle concrete modalità di esercizio (circolazione e iniziativa
economica), oppure alla luce del generale contesto materiale di
riferimento (domicilio).13 Più in generale, rileva in quest’ambito anche
la previsione delle misure di sicurezza quale strumento di prevenzione
criminale (art. 25 Cost.).
Dal terzo punto di vista, si tratta delle disposizioni che
specificamente fanno riferimento all’autorità di pubblica sicurezza
(art. 13 Cost.) o, nell’ambito dell’individuazione delle materie di
competenza statale (e quindi dei relativi compiti), alla sicurezza dello
Stato, all’ordine pubblico e alla sicurezza (art. 117, secondo comma,
lett. d e h, Cost.). A queste, infine, sembrano potersi aggiungere anche
le già citate disposizioni che riguardano l’esercizio dei poteri sostitutivi
da parte del Governo per motivi di incolumità e sicurezza pubblica
(art. 120, secondo comma, Cost.), nonché lo scioglimento da parte del
Capo dello Stato dei Consigli regionali per motivi di sicurezza
nazionale (art. 126 Cost.).
Peculiare, infine, la previsione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., relativa alla competenza legislativa concorrente in materia di
tutela e sicurezza del lavoro. In questo caso, infatti, sembra che la

13 Cfr. G. Corso, Ordine pubblico nel diritto amministrativo, in Digesto delle discipline
pubblicistiche, X, Torino, 1995, pag. 439. Sul punto, vedi anche le considerazioni di
A. Pace, Art. 17, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-
Roma, 1977, pag. 186 ss., secondo il quale “ogni riunione, per la mera vicinanza
fisica dei compresenti, reca infatti in sé la possibilità di disordine”.

52
disposizione contenga allo stesso tempo l’indicazione di una precisa
finalità di azione dei pubblici poteri, in uno con la tutela di una
specifica fattispecie di diritto costituzionalmente rilevante: il diritto al
lavoro.14
Proprio tale ultima disposizione sembra fare da ponte verso
prospettive più ampie di lettura della collocazione costituzionale del
bene sicurezza, inteso in senso più “lato” e con riferimento alla
necessaria previsione di strumenti atti a garantire (sotto diversi aspetti)
una piena realizzazione della persona e della sua dignità, condizioni
ottimali di vita e lavoro, nonché una maggiore coesione e integrazione
sociale attraverso specifici interventi da parte delle pubbliche
amministrazioni.
Da questo punto di vista, allora, possono venire in rilievo
anche altre disposizioni costituzionali quali, ad esempio: gli artt. 32 e
117 Cost., in merito a quella che potremmo definire sicurezza
sanitaria; gli artt. 36, 38 e 117 Cost., in relazione alla c.d. sicurezza
sociale; gli artt. 9 e 117 Cost., in merito alla sicurezza ambientale; gli
artt. 47 e 117 Cost., con riferimento alla sicurezza economica e dei
mercati.15 Particolare, infine il caso dell’immigrazione, ambito
14 Sul punto, si vedano le osservazioni di P. Bonetti, op. cit., pagg. 503-504,
incentrate sulla problematica distinzione tra sicurezza del lavoro (in relazione
all’attuazione dell’art. 4 Cost.) e sicurezza sul lavoro (alla luce del collegamento con
l’art. 38 Cost.). Da ultimo, si veda la ricostruzione di A. Morrone, La tutela della
“sicurezza del lavoro” tra Stato autonomie. Commento all’art. 1 del d.lgs. n. 81 del 2008, in
corso di pubblicazione in C. Zoli (a cura di), Nuova sicurezza del lavoro, secondo il
quale, alla luce di una lettura sistematica degli artt. 2, 4, 35 e 41 Cost., la sicurezza
del lavoro “rileva, dal punto di vista costituzionale, come fine dello Stato, interesse
collettivo, diritto soggettivo”.
15 Si ricordano, in particolare: i riferimenti costituzionali alla “profilassi

internazionale”, alla “tutela della salute” e alla “alimentazione”, in relazione alla


sicurezza sanitaria (art. 117, secondo comma, lett. q; art. 117, terzo comma); le
disposizioni relative alla “tutela e sicurezza del lavoro”, alla “previdenza sociale” e
alla “previdenza complementare e integrativa”, con riferimento alla sicurezza
sociale (art. 117, terzo comma); alle competenze in materia di “tutela dell’ambiente
e dell’ecosistema”, di “protezione civile” e di “governo del territorio”, in
riferimento alla sicurezza ambientale (art. 117, secondo comma, lett. s; art. 117,
terzo comma); nonché alle disposizioni relative alla “tutela del risparmio e mercati
finanziari”, alla “tutela della concorrenza” e alle “casse di risparmio, casse rurali,
aziende di credito a carattere regionale”, per quanto riguarda la sicurezza
economica e dei mercati (art. 117, secondo comma, lett. e; art. 117, terzo comma).

53
materiale in cui sembrano confluire sia elementi attinenti alla sicurezza
in senso “stretto”, sia elementi relativi alla sicurezza in senso “lato”.
Dunque, se volessimo iniziare ad ipotizzare un percorso di
ricostruzione del contenuto della sicurezza nelle sue dimensioni
costituzionali, a partire dalle disposizioni che espressamente la
richiamano, potremmo sicuramente affermare come essa si manifesti,
in primis, come sicurezza esterna/interna, individuale/collettiva e
materiale.
Ciò sembra confermato, a ben vedere, anche dalla lettura
sistematica del nostro dettato costituzionale, che vede una conferma,
accanto all’amministrazione di pubblica sicurezza con compiti di
natura essenzialmente interna,16 dell’amministrazione della difesa, con
riferimento alla sicurezza esterna di natura militare. In questo senso,
tra l’altro, sembra andare l’esplicito riferimento al dovere di difendere
la patria, coessenziale al concetto stesso di cittadinanza, nell’ambito di
un ordinamento delle Forze armate ispirato allo “spirito democratico
della Repubblica” (art. 52 Cost.).
La prospettiva individuale, d’altro canto, appare ben
sottolineata dalla previsione di una serie di libertà tradizionalmente
connesse alla tutela di una sfera intangibile della persona, nei
confronti non solo dell’arbitrio dei pubblici poteri, ma anche delle
possibili incisioni da parte di terzi. A tale dimensione, però, si affianca
anche quella collettiva, con particolare riferimento alla sicurezza quale
esplicita limitazione all’esercizio di determinate fattispecie di libertà. In
questo caso, infatti, alla prospettiva meramente individuale di tutela, si
aggiunge un concetto di sicurezza che travalica i confini della persona,
per estendersi fino a ricomprendere esigenze collettive.17

Su tali prospettive, da ultimo, si veda A. Pajno, La “sicurezza urbana” tra poteri impliciti
e inflazione normativa, in Astrid, all’indirizzo www.astrid-online.it, sulla base di una
ricostruzione della sicurezza come nozione plurale e relazionale.
16 Sulla quale, tra gli altri, si rimanda a G. Corso, L’ordine pubblico, Bologna, 1979; G.

Landi, Pubblica sicurezza, in Enciclopedia del diritto, XXXVII, Milano, 1988, pag. 923
ss.; a S. Foà, Sicurezza pubblica, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XIV, Torino,
1999, pag. 127 ss.; nonché a G. Caia, L’ordine e la sicurezza pubblica, in S. Cassese (a
cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, I, Milano, 2003,
pag. 281 ss.
17 Non a caso, le specifiche limitazioni costituzionalmente previste, e che si sono

prima ricordate, qualificano spesso il sostantivo sicurezza (o incolumità) con

54
Infine, la conferma di una valenza essenzialmente materiale
della dimensione costituzionale della sicurezza sembra confermata
non solo dal dibattito in Assemblea costituente,18 e dalle note vicende
dell’ordine pubblico,19 ma anche dall’analisi delle singole disposizioni
che alla stessa sicurezza si riferiscono, spesso in connessione con altri
beni costituzionalmente tutelati quali la sanità e l’incolumità pubblica,
aventi tutti una più evidente natura materiale, e non meramente
ideale.20 Significativa, in questo senso, l’esclusione delle “ragioni
politiche” quale possibile causa di limitazione della libertà di
circolazione, ex art. 16 Cost.
Ciò, in definitiva, alla luce della scelta del Costituente per una
democrazia aperta, e non protetta, in cui i valori democratici, più che
intimamente condivisi, devono essere oggettivamente rispettati dal
punto di vista dei comportamenti esterni e del concreto modus operandi

l’aggettivo pubblica; circostanza che fa chiaramente intendere l’ambito di incidenza


dell’interesse protetto. Il tutto, come già detto, in conformità con l’evoluzione dello
Stato di diritto liberale in Stato costituzionale liberaldemocratico.
18 Si ricorda, in particolare, la diffidenza nei confronti dell’utilizzo del concetto in

questione nell’ambito della nuova Carta costituzionale, motivata dall’utilizzo in


chiave di svuotamento delle libertà fondamentali che ne era stato fatto durante il
periodo fascista. Particolarmente significativa, in questo senso, l’espunzione del
riferimento all’ordine pubblico originariamente previsto come limite alla libertà
religiosa, ex art. 19 Cost. Per una ricostruzione del dibattito in Assemblea
costituente, si veda V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La Costituzione della
Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori, Milano, 1976, pagg. 78-79; A. Cerri,
Ordine pubblico. II) Diritto costituzionale, in Enciclopedia giuridica, XXII, Roma, 1990,
pag. 2; G. Corso, Ordine pubblico nel diritto amministrativo, cit., pag. 438.
19 Sule quali, però, vedi infra.
20 La stessa problematica ricostruzione del concetto di buon costume, d’altronde,

sembra dimostrare la consapevolezza (presente, come noto, anche nella


giurisprudenza della Corte costituzionale) della necessità di ancorare a dati quanto
più possibile oggettivi le limitazioni alle libertà fondamentali della persona. In ogni
caso, come vedremo, la Corte costituzionale, pur riconducendo l’ambiguo concetto
di moralità pubblica a quello di sicurezza, ha specificato: “per quanto si riferisce alla
moralità, non dovrà certo tenersi conto delle convinzioni intime del cittadino di per
se stesse incoercibili, né delle teorie in materia di morale, la cui, manifestazione,
come ogni altra del pensiero, è libera o disciplinata da altre norme di legge. Ma i
cittadini hanno diritto di non essere turbati ed offesi da manifestazioni immorali,
quando queste risultino pregiudizievoli anche alla sanità, indicata nell’art. 16 della
Costituzione, o creino situazioni ambientali favorevoli allo sviluppo della
delinquenza comune” (cfr. la sent. n. 2/1956).

55
non solo dei singoli individui, ma anche delle stesse formazioni sociali
ove si svolge la loro personalità.
In questo senso, il dettato dell’art. 49 Cost., laddove tale
disposizione sembra imporre il “metodo democratico” ad un livello
essenzialmente esterno agli stessi partiti, e sostanzialmente in
relazione al rifiuto della violenza come strumento di lotta politica.21 In
senso analogo può essere richiamato non solo l’art. 21 Cost., che
limita all’ambito della legge penale le possibilità di sequestro della
stampa, ma anche quanto stabilito dall’art. 18 Cost. in relazione alla
libertà di associazione e dall’art. 54 Cost. in merito all’obbligo di
fedeltà alla Repubblica gravante su tutti i cittadini.22
Dunque, e non a caso, i principali strumenti di partecipazione
politica (sia in relazione al loro esercizio individuale, sia in forma
collettiva) confermano una lettura essenzialmente materiale dei limiti
alla loro libera espressione in qualche modo connessi alla sicurezza, e
con un particolare riferimento all’ambito dell’incriminazione penale.23
Nessuna generale suggestione normativa o ideale, quindi; ma
l’accettazione del bene costituzionale della sicurezza in senso
essenzialmente materiale; il quale però, come abbiamo già detto, dovrà
essere letto e ricostruito nell’ambito delle opzioni di fondo della Carta
costituzionale e delle sue impostazioni valoriali.

2. La sicurezza come garanzia dei (e come limite ai) diritti fondamentali

Come in parte già anticipato, rispetto alla tradizione liberale


l’affermazione del costituzionalismo liberaldemocratico parte da una

21 Sul punto, da ultimo, si veda la ricostruzione di G. Rizzoni, Art. 49, in R. Bifulco,


A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, I, Torino, 2006, in
particolare pag. 990 ss.
22 Cfr. G. Corso, Ordine pubblico. B) Diritto pubblico, in Enciclopedia del diritto, XXX,

Milano, 1980, pag. 1060 ss.


23 Coerente, in questo senso e più in generale, appare quindi il rifiuto di ogni forma

di costituzionalizzazione della problematica figura dell’abuso del diritto. Come


noto, diversa è stata la strada percorsa da altre esperienze costituzionali, quali per
esempio la Germania, la cui Carta fondamentale del 1949 prevede sia un controllo
sui partiti “antisistema” da parte del Tribunale costituzionale (cfr. l’art. 21), sia una
complessa disciplina dell’abuso dei diritti fondamentali (cfr. l’art. 18).

56
diversa e più articolata concezione dei diritti, cui seguono una
trasformazione non solo del concetto di sicurezza, ma anche delle
stesse finalità del potere statale. La nascita e il consolidamento dei
diritti sociali, le c.d. libertà positive, affermano, infatti, l’insufficienza
di un mero non agere dello Stato,24 imponendo determinati interventi
attivi dei pubblici poteri non tanto (e non solo) in chiave di garanzia
difensiva dei singoli diritti individuali, quanto in chiave di vera e
propria promozione dei diritti della persona e della sua dignità.
In quest’ottica, dunque, compito dei pubblici poteri non è solo
quello di intervenire ex post, in chiave essenzialmente repressiva, nei
confronti di comportamenti che abbiano intaccato la sfera “naturale”
di intangibilità dei diritti individuali; ma anche quello di promuovere
l’effettiva garanzia dei diritti della persona nell’ambito del contesto
sociale di riferimento, pur attraverso interventi che, ex ante, creino le
condizioni per una piena espressione della persona e della sua dignità.
L’evoluzione di tale impostazione, tipica dello Stato
costituzionale liberaldemocratico, deve oggi confrontarsi con i
complessi processi di trasformazione delle società moderne, alla luce
dell’evoluzione tecnologica, delle dinamiche globali di produzione e
delle sfide del multiculturalismo. In tale contesto, come vedremo,
compito dello Stato non è tanto garantire un preteso “diritto alla
sicurezza” dei singoli individui, quanto la complessiva “sicurezza dei
diritti” dei cittadini, in un contesto sociale complesso e ricco di
contraddizioni.25
La nostra Costituzione, in questo senso, rappresenta una
sintesi efficace delle due dimensioni della sicurezza. Se, infatti, l’art. 2
Cost. afferma il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili
dell’uomo, in un’ottica non priva di suggestioni giusnaturalistiche,
richiede allo stesso tempo anche l’adempimento degli inderogabili

24 Come, invece, era tipico delle concezioni liberali, ben rappresentate (in questo
senso) dall’art. 4 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789:
“La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così l’esistenza
dei diritti naturali di ciascun uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli
altri membri della società il godimento di questi diritti. Questi limiti non possono
essere determinati che dalla legge”.
25 Su tale tradizionale contrapposizione, letta in chiave di politica criminale, si

vedano le osservazioni di A. Baratta, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti?, in


Democrazia e diritto, n. 2/2000, pag. 19 ss.

57
doveri di solidarietà politica, economica e sociale, configurando la
presenza di interessi collettivi posti a fondamento di determinate
prestazioni individuali.
Se, al primo comma, il successivo art. 3 Cost. riconosce
l’eguaglianza formale tra tutti i cittadini, al secondo comma prevede la
promozione dell’eguale libertà nei diritti attraverso l’eliminazione degli
ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà
e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana.
Dunque, una visione che mette al centro non tanto l’individuo
inteso come essere a sé stante, isolato dal contesto sociale di
riferimento, ma la persona umana nelle sue relazioni sociali, centro di
imputazione di diritti e di doveri; e una garanzia non solo della
“sicurezza da” potenziali intrusioni nell’ambito di sfere individuali di
libertà, ma anche della “sicurezza di” poter esprimere in pieno la
propria personalità, attraverso il patrimonio costituzionale dei diritti e
nell’ambito del (e non prescindendo dal) contesto sociale di
riferimento.26
In questo senso, una serie di specifiche disposizioni
costituzionali tutela fattispecie di libertà storicamente ricondotte alla
sicurezza della sfera personale. Si tratta, in primis, delle già citate libertà
negative, le prime storicamente affermatesi nell’evoluzione del
costituzionalismo liberale, e miranti a tutelare la sfera personale da
indebite limitazioni delle pubbliche autorità, oltre che da intrusioni
private.27
In quest’ottica, la sicurezza, direttamente collegata all’espressa
qualificazione di tali situazioni giuridiche soggettive come
“inviolabili”, rappresenta innanzitutto un importante strumento di
tutela dei diritti: come abbiamo visto, infatti, nella concezione liberale
classica compito dello Stato è proprio quello di garantire il pieno

26 Sul punto, per tutti, si veda la ricostruzione di A. Barbera, op. ult. cit., pag. 103, il
quale sottolinea l’importanza del riferimento alla persona “non come valore
astratto, ma come persona fisica nel suo concreto essere” e nelle sue relazioni
sociali.
27 Cfr., in particolare, l’at. 13 Cost. (libertà personale), l’art. 14 Cost. (libertà di

domicilio) e l’art. 15 Cost. (libertà di comunicazione privata).

58
godimento dei diritti dei singoli individui, al riparo da possibili
interferenze esterne.
Allo stesso tempo, nell’ambito dell’affermazione dei principi
del costituzionalismo liberaldemocratico, la Carta del 1948 riconosce
ampie sfere di intervento dei pubblici poteri connesse alle c.d. libertà
positive, con particolare riferimento ai diritti sociali, garantendo il
giusto equilibrio tra esigenze individuali e collettive di tutela
nell’ambito della garanzia dei diritti fondamentali della persona.28
Contemporaneamente, però, la stessa Costituzione prevede
espressamente che la sicurezza può rappresentare anche uno
strumento legittimo di limitazione dei diritti individuali, come nel caso
della libertà di circolazione, di cui all’art. 16 Cost., della libertà di
riunione, di cui all’art. 17 Cost., o della libertà di iniziativa economica,
di cui art. 41 Cost. In ogni caso, come (anche se ambiguamente)
affermato dalla Corte costituzionale fin dalla sua prima decisione,
insito nel concetto stesso di libertà vi è anche il concetto del suo
limite, rinvenibile non solo (in chiave individualistica) nell’esercizio
delle altrui libertà, ma anche (in chiave solidaristica) nell’ambito della
tutela di specifiche esigenze collettive.29
In questo senso, alla luce di una lettura sistematica del dettato
costituzionale, possono venire in considerazione: a) le disposizioni
che prevedono la possibilità di limitazioni a determinati diritti della
persona in vista del soddisfacimento di specifiche esigenze collettive;30

28 Cfr., ad esempio, gli artt. 32, 33, 34 e 38 Cost. (diritto alla salute, all’istruzione,
all’assistenza e alla previdenza sociale).
29 Cfr. la sent. n. 1/1956: “E’ da rilevare, in via generale, che la norma la quale

attribuisce un diritto non escluda il regolamento dell’esercizio di esso. Una


disciplina delle modalità di esercizio di un diritto, in modo che l’attività di un
individuo rivolta al perseguimento dei propri fini si concili con il perseguimento dei
fini degli altri, non sarebbe perciò da considerare di per sé violazione o negazione
del diritto. E se pure si pensasse che dalla disciplina dell’esercizio può anche
derivare indirettamente un certo limite al diritto stesso, bisognerebbe ricordare che
il concetto di limite é insito nel concetto di diritto e che nell’ambito
dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi
reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza civile”.
30 Particolarmente evidenti, in questo senso, le disposizioni della c.d. Costituzione

economica (cfr., in particolare, gli artt. 41, 42 e 43 Cost.), in relazione a clausole


generali come “utilità sociale”, “fini sociali”, “funzione sociale” e “interesse
generale”.

59
b) tutte le citate previsioni di legittime limitazioni, da parte dei
pubblici poteri, a libertà pur proclamate espressamente come
inviolabili;31 nonché, più in generale, c) le disposizioni costituzionali
che si riferiscono espressamente all’adempimento di determinati
doveri, specificati da apposite diposizioni di legge.32
Da questo punto di vista, la giurisprudenza costituzionale, non
senza alcune incertezze,33 ha tentato di valorizzare la natura
essenzialmente materiale ed oggettiva della sicurezza, con particolare
riferimento ai casi in cui essa viene espressamente richiamata quale
limite a determinati diritti fondamentali. Secondo il Giudice delle
leggi, infatti, “sembra razionale e conforme allo spirito della
Costituzione dare alla parola sicurezza il significato di situazione nella
quale sia assicurato ai cittadini, per quanto è possibile, il pacifico
esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con
tanta forza”. Dunque, sicurezza non solo come “incolumità fisica”dei
cittadini, ma come garanzia per il cittadino di poter “svolgere la
propria lecita attività senza essere minacciato da offese alla propria
personalità fisica e morale”, nell’ambito di un “ordinato vivere
civile”.34

31 Cfr., ad esempio, i già citati artt. 13, 14 e 15 Cost. In tutti questi casi, infatti, la
previsione di una riserva assoluta di legge impone al legislatore l’individuazione di
“casi e modi” coerenti con i principi e i valori della nostra Carta fondamentale, e
finalizzati alla ragionevole tutela di un bene di sicuro rilievo costituzionale (su tali
profili, però, vedi infra).
32 Come ad esempio, alla luce del generale richiamo di cui all’art. 2 Cost. (“doveri

inderogabili di solidarietà economica politica e sociale”), gli attuali artt. 52, 53 e 54


Cost., letti in collegamento con l’art. 23 Cost. Sul rilievo costituzionale dei doveri,
per tutti, si veda G. Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano,
1967. Significativa, in questo senso, l’attività dei servizi d’informazione e la
disciplina del segreto di Stato, limite alla libera manifestazione del pensiero
riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (entro certi limiti) come legittimo,
alla luce del suo fondamento nell’art. 52 Cost. (su tali aspetti, però, vedi ultra, Cap.
III)
33 Soprattutto in relazione alle tormentate vicende relative all’ordine pubblico quale

limite implicito all’esercizio dei diritti fondamentali della persona (su tale aspetto,
però, vedi più ampiamente infra).
34 Così la sent. n. 2/1956, sui rapporti tra la libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e la

disciplina allora vigente del rimpatrio con foglio di via obbligatorio (art. 157 del r.d.
n. 773/1931, TULPS).

60
Così, ad esempio, è avvenuto in relazione al divieto,
penalmente sanzionato a titolo di contravvenzione, di “radunata
sediziosa”35 o in merito alle manifestazioni o grida sediziose la quali,
come noto, possono anche portare allo scioglimento di una riunione
in luogo pubblico.36 Secondo la Corte, infatti, per “atteggiamento
sedizioso” deve intendersi “soltanto quello che implica ribellione,
ostilità, eccitazione al sovvertimento delle pubbliche istituzioni e che
risulti in concreto idoneo a produrre un evento pericoloso per l’ordine
pubblico”, dal momento che, per espresso dettato costituzionale, le
riunioni devono essere invece “pacifiche e senz’armi”.37
Analogamente, in relazione all’esercizio dell’iniziativa
economica privata,38 la Corte costituzionale ha individuato nella
“sicurezza” non solo l’integrità psico-fisica dei lavoratori, anche in
connessione con l’esigenza di una tutela della salubrità dell’ambiente
di lavoro,39 ma anche la tutela (più in generale) della salute e dell’igiene
pubblica, connessa alla salvaguardia del diritto dell’individuo a vivere

35 Cfr. l’art. 655 c.p.: “Chiunque fa parte di una radunata sediziosa di dieci o più
persone è punito, per l solo fatto della partecipazione, con l’arresto fino ad un
anno. Se chi fa parte della radunata è armato, la pena è dell’arresto non inferiore a
sei mesi […]”.
36 Si veda, in proposito, quanto previsto dall’art. 20 del R.D. n. 773/1931 (TULPS).

Sul punto, vedi anche l’art. 654 c.p., che prevede, tra l’altro, una sanzione
amministrativa pecuniaria per chi “compie manifestazioni o emette grida sediziose”
in luogo pubblico.
37 Così la sent. n. 15/1973, in relazione alla compatibilità, tra l’altro, con l’art. 17

Cost. degli artt. 654 e 655 del c.p. In quella occasione la Corte escluse ogni
contrasto con l’art. 17 Cost. perché “il diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente e
senza armi […]. al pari di ogni altro diritto di libertà, implica la posizione di limiti e
condizioni che lo disciplinino onde evitare che il suo esercizio possa avvenire in
modo socialmente dannoso e pericoloso”. In questo senso “le disposizioni
denunciate […] si armonizzano perfettamente col precetto dell’art. 17 della
Costituzione, poiché rispondono appunto alla necessità di assicurare l’ordine
pubblico e la tranquillità pubblica, tendono cioè a garantire beni che sono
patrimonio dell’intera collettività”.
38 Cfr., sul punto, le osservazioni di M. Luciani, La produzione economica privata nel

sistema costituzionale, Padova, 1983, pag. 194, il quale sottolinea come la nozione di
sicurezza utilizzata in tale disposizione sarebbe una nozione diversa da quella
prevista nell’ambito delle altre libertà, perché risulterebbe tutelata “in quanto
interesse soggettivo e non oggettivo”.
39 Cfr. ad esempio, le sentt. nn. 21/1964, 74/1981 e 479/1987.

61
in un ambiente non degradato, finalità di indubbia “utilità sociale”.
Alla luce di tale impostazione, “il legislatore bene può imporre
limitazioni all’iniziativa economica privata in vista della tutela della
salute, della sicurezza e della dignità umana […] in considerazione del
valore assoluto della persona umana sancito dall’art. 2 Cost., e tenuto
conto della primaria rilevanza che l’art. 32 Cost. assegna alla salute”.40
Più in generale, la possibilità di una lettura della sicurezza sia
come garanzia, sia come limite ai diritti fondamentali si riflette anche
sul piano del diritto internazionale e di quello comunitario (pur nelle
loro specifiche caratteristiche e peculiarità).41 In tali ambiti, infatti, alla
proclamazione della tutela di determinate situazioni di libertà, attinenti
alla tradizionale sfera della sicurezza personale,42 si affianca
l’individuazione di tutta una serie di limitazioni attinenti non solo al
rispetto delle libertà altrui, ma anche all’ordine pubblico, alla sicurezza
nazionale, alla morale, alla salute, alla prevenzione dei reati, al
benessere economico, a finalità di interesse generale o alla
democrazia,43 anche se, da ultimo, con l’indicazione della necessità di
salvaguardare il contenuto essenziale dei diritti e il criterio di
proporzionalità.44
40 Così, in particolare, la sent. n. 479/1987. In altre decisioni, come noto, il giudice
delle leggi ha riconosciuto fine di “utilità sociale” anche la “tutela dei consumatori e
della loro salute” (cfr., ad es., la sent. n. 137/1971), mentre ha di recente
considerato limite non irragionevole, alla luce dell’art. 41, secondo comma, Cost.,
una disciplina legislativa regionale dello svolgimento dell’attività delle scuole e dei
maestri di sci volta a “garantire la tutela dell’incolumità degli allievi e dei terzi,
trattandosi di attività “caratterizzata da profili di pericolosità” (così la sent. n.
428/2008, sulla quale si veda M. Ruotolo, op. cit., pag. 13).
41 In questo senso, ad esempio, appaiono significativi gli artt. 3 e 29 della

Dichiarazione universale dei diritti del 1948; gli artt. 5, 8, 9, 10, 11, 15, 17 e 18 della
Convenzione europea dei diritti del 1950; gli artt. 4, 9, 18, 19, 21 e 22 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici del 1966; ma anche gli artt. 6, 52 e 54 della
Carta europea dei diritti del 2000.
42 Come, ad esempio, nel caso dell’art. 3 della Dichiarazione del 1948 (Diritto alla

vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona); nel caso dell’art. 5 della
Convenzione del 1950 (Diritto alla libertà e alla sicurezza); nel caso dell’art. 9 del
Patto del 1966 (Diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona); nel caso
dell’art. 6 della Carta del 2000 (Diritto alla libertà e alla sicurezza).
43 Cfr., ad esempio, gli artt. 29 della Dichiarazione del 1948; 8, 9, 10 e 11 della

Convenzione del 1950; 18, 19, 21 e 22 del Patto del 1966.


44 Così, in particolare, l’art. 52 della Carta del 2000.

62
Ovviamente, le dinamiche di composizione tra i diversi
interessi in gioco e l’apprezzamento del limite tollerabile di solidarietà
richiesta al singolo nei confronti del gruppo sociale non sono lasciate
dalla nostra Costituzione solamente alla sola (e occasionale)
autodeterminazione della comunità, ma risultano orientate alla luce dei
principi che stanno alla base del patto costituente (in primis quelli
personalista e pluralista). Inevitabile, in questo senso, la già citata
necessità di un bilanciamento costituzionalmente orientato tra gli
stessi, all’interno del quale giocano un ruolo determinante il
legislatore, i giudici nonché, in ultima analisi, la giurisdizione
costituzionale.
Sul piano del diritto positivo, come noto, sono previste nel
nostro testo costituzionale diverse legittime ipotesi di limitazione della
sfera della sicurezza personale dei singoli individui da parte delle
pubbliche autorità. E’ altrettanto vero, però, che spesso esse sono
circondate da una serie di garanzie particolarmente significative, con
specifico riguardo all’ambito penale. Si tratta, a ben vedere, di
garanzie non solo (per così dire) procedurali, ma anche di natura più
sostanziale: in particolare, riserva di legge e riserva di giurisdizione.45
Senza affrontare in maniera approfondita le caratteristiche dei
due istituti, basti ricordare come essi siano una delle eredità più
evidenti del costituzionalismo liberale e dell’affermazione dei principi
dello Stato di diritto. Le principali ipotesi di limitazione della sfera
personale dei singoli, infatti, dovranno trovare fondamento in esplicite
previsioni legislative, e dovranno avvenire sotto lo stretto controllo
dell’autorità giudiziaria. La legge, espressione dell’organo
rappresentativo della sovranità popolare, garantirà che le ipotesi di
limitazione siano collegate ad esigenze di carattere generale (e
costituzionalmente fondate);46 l’intervento dell’autorità giudiziaria

45Cfr., in particolare, gli artt. 13, 14, 15 e 21 Cost.


46 Sul significato della riserva di legge, tra gli altri, si vedano i contributi di S. Fois,
La riserva di legge. Lineamenti storici e problemi attuali, Milano, 1963; A. Di Giovine,
Introduzione allo studio della riserva di legge nell’ordinamento costituzionale italiano, Torino,
1969; R. Balduzzi, F. Sorrentino, Riserva di legge, in Enciclopedia del diritto, XL, Milano,
1989, pag. 1207 ss.

63
rappresenterà una garanzia tecnica (e indipendente) di rispetto delle
ipotesi e delle procedure previste dal legislatore.47
Il tutto, al fine di evitare possibili arbitrii dei pubblici poteri, in
un sistema di controlli reciproci in cui acquista rilievo particolare
anche il ruolo della giurisdizione costituzionale, volta a garantire il
rispetto delle norme e dei principi costituzionali da parte dello stesso
legislatore rappresentativo.
Dunque, non solo garanzie procedurali, ma anche di natura
più sostanziale. Se, infatti, riserva di legge e riserva di giurisdizione
rappresentano il margine ultimo di legittimità procedurale delle
possibili limitazioni della sfera personale dei singoli, delimitazioni
sostanziali (o cronologiche) quanto ai contenuti e ai possibili effetti
delle singole misure di limitazione riducono ulteriormente a livello
costituzionale il campo di intervento dei pubblici poteri.
Si pensi, ad esempio, ai termini di convalida giudiziaria,
rigorosamente previsti a pena di decadenza degli eccezionali interventi
d’urgenza ad opera dell’autorità di pubblica sicurezza.48 Ma, più in
generale, si veda anche la serie di articolati limiti sostanziali alla
penalizzazione, che rappresenta il contesto tradizionale, anche se non
esclusivo, di limitazione delle libertà della persona (ad es. i principi di
legalità, offensività, tassatività e determinatezza, colpevolezza, nonché
la finalità rieducativa della pena, di cui in particolare agli artt. 25 e 27
Cost.).49

47 Sul punto, per tutti, si rinvia a V. Angiolini, Riserva di giurisdizione e libertà


costituzionali, Padova, 1992.
48 Previsti, in particolare dall’art. 13, terzo comma, Cost. (e, alla luce dell’esplicito

rinvio, dall’art. 14, secondo comma, Cost.): “In casi eccezionali di necessità ed
urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può
adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore
all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono
revocati e restano privi di ogni effetto”; ma anche dall’art. 21, quarto comma, Cost.:
“[…] quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento
dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da
ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro
ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore
successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto”.
49 Su tali aspetti, in particolare, vedi A. Barbera, F. Cocozza, G. Corso, Le libertà dei

singoli e delle formazioni sociali, in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto
pubblico, I) Diritto pubblico generale, Bologna, 1997, pag. 246 ss.

64
In questo senso, la sicurezza personale (nel senso tradizionale
di “sicurezza da”) è garantita a livello costituzionale attraverso una
serie di limitazioni alle possibilità di intervento dei pubblici poteri. Il
tutto, a ben vedere, non solo a garanzia del rispetto formale di
determinate procedure costituzionalmente previste, ma anche a tutela
di determinati contenuti (e limiti) dei citati diritti fondamentali e
dell’agire dei pubblici poteri. Così, ad esempio, la riserva di legge, e in
particolare quella assoluta, non rappresenterà solo una garanzia di
intervento collegata alla particolare natura del’atto legislativo,
espressione dell’organo rappresentativo delle volontà popolare,
rispetto alla normazione secondaria dell’esecutivo; ma manifesterà
anche un preciso limite per lo stesso legislatore, nel senso di imporre
un determinato contenuto dell’atto legislativo, escludendone un altro
(e limitando, quindi, le scelte discrezionali delle autorità chiamate ad
eseguire o ad applicare le norme).50 A sua volta, il previo intervento
giurisdizionale dovrà esser motivato per evidenziare le ragioni addotte
e la loro coerenza con le previsioni (costituzionali e) legislative.51
Dunque, se volessimo cercare di delineare i principi
costituzionali comuni alle legittime restrizioni della sfera personale
connessa alle tradizionali libertà negative (artt. 13, 14, 15 e 21 Cost.),
potremmo rilevare: a) la tendenziale, anche se non esclusiva,
connessione ad ipotesi di reato; b) la garanzia di una riserva di legge
assoluta, quanto ai casi e ai modi; c) la generale previsione di una
riserva giurisdizionale; d) l’eccezionale previsione di limitati interventi
di polizia, salvo convalida successiva da parte del giudice.
Eppure la stessa Costituzione fa emergere un’altra sfera
attinente alla sicurezza, quella collegata ad esigenze collettive di tutela,
derivante dalla promozione del sistema delle libertà costituzionali in
via positiva (ex artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.), più che dalla
garanzia delle tradizionali libertà negative, potenzialmente svincolata
dall’ambito penale e dalla funzione repressiva dello Stato, e nel cui

50 Così, per tutti, F. Sorrentino, Le fonti del italiano, Padova, 2009, pag. 47 ss.
51 Si sofferma in particolare sui rapporti tra obbligo di motivazione dell’atto
limitativo, ex artt. 13, 14, 15 e 21 Cost., e generale obbligo di motivazione dei
provvedimenti giurisdizionali, ex art. 111, sesto comma, Cost. V. Angiolini, op. cit.,
pag. 127 ss.

65
ambito le citate garanzie procedurali e sostanziali vanno quindi lette
sistematicamente con i principi costituzionali di riferimento.
La consapevolezza del Costituente sul punto non sembra
possa essere messa in discussione. Si pensi, ad esempio, al riferimento
al sistema delle “misure di sicurezza”, distinto dal sistema delle pene;52
alla specialità delle garanzie del domicilio nei casi di limitazioni “per
motivi di sanità e di incolumità pubblica”, o per fini economici e
fiscali;53 ma anche alla previsione di limiti massimi alla carcerazione
preventiva.54
Più in generale, tali esigenze appaiono più evidenti nell’ambito
dei c.d. diritti della socialità, e cioè di quelle fattispecie di libertà che
appaiono strettamente connesse all’inserimento della persona
all’interno della comunità di riferimento, e che non possono
prescindere concettualmente dalle relazioni reciproche: libertà di
riunione e di associazione, ma anche di circolazione e di iniziativa
economica (cfr. gli artt. 16, 17, 18 e 41 Cost.).
Ebbene, proprio nel momento in cui la persona viene
proiettata nell’ambito delle sue relazioni sociali, le preoccupazioni del
Costituente appaiono più complesse, e appare una diversa sfera di
operatività della sicurezza (la già citata “sicurezza di”), volta anche alla
tutela di esigenze di natura collettiva. Non a caso, molti dei riferimenti
alla sicurezza si trovano in questo ambito; dall’esplicito richiamo alle
esigenze di sicurezza o incolumità pubblica,55 fino all’espressa
indicazione di interventi di natura preventiva, oltre a quelli tradizionali
di tipo repressivo.56

52 Cfr. l’art. 25, terzo comma, Cost.: “Nessuno può essere sottoposto a misure di
sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
53 Art. 14, terzo comma, Cost.: “Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità

e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”.


54 Così l’art. 13, quinto comma, Cost.: “La legge stabilisce i limiti massimi della

carcerazione preventiva”.
55 Come nel caso dei già citati artt. 16, primo comma, e 17, terzo comma, Cost.
56 Così, ad esempio, gli artt. 13, quinto comma, e 17, terzo comma, Cost. Sul punto,

in ogni caso, vedi però anche l’art. 21, sesto comma, in relazione alla tutela del
buon costume: “Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre
manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a
prevenire e a reprimere le violazioni”.

66
Conseguentemente, anche le tradizionali garanzie subiscono
un riadattamento, essendo tale sfera di intervento caratterizzata da: a)
una non necessaria connessione ad ipotesi di reato;57 b) una riserva di
legge tendenzialmente relativa, in ossequio ai canoni dello Stato di
diritto;58 c) una tradizionale competenza in merito della pubblica
amministrazione, al di fuori di ogni generale previsione di una riserva
di giurisdizione; d) un controllo essenzialmente successivo da parte
dell’autorità giudiziaria.
In ogni caso, anche tale categoria di interventi dovrà svolgersi
nel rispetto delle norme e dei principi costituzionali, dovendo le
esigenze che ne stanno alla base essere ricondotte non certo ad un
presunto ed indefinito ordine pubblico ideale, ma a concrete e
oggettive esigenze di rilievo costituzionale, valutabili in vista della
complessiva promozione del sistema delle libertà fondamentali.
Dunque, a differenza di quanto accadeva durante il fascismo,
un sistema volto non tanto a controllare e a limitare i diritti dei singoli
individui, in vista di una loro funzionalizzazione agli ideali di regime,
nell’ambito di un determinato ordine sociale; ma volto a rileggerli in
chiave personalista, alla luce del principio di solidarietà, e a
contemperarli con le esigenze collettive di promozione sociale che

57 A volte, invece, direttamente o indirettamente evocata (si pensi ai “fini vietati ai


singoli dalla legge penale”, di cui all’art. 18, primo comma, Cost.; o alla
specificazione relativa allo svolgimento pacifico delle riunioni, di cui all’art. 17,
primo comma, Cost.).
58 Sul punto, si veda anche quanto stabilito dall’art. 23 Cost., in base al quale

“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base


alla legge”. A prescindere dall’ambito patrimoniale, infatti (più strettamente
collegato al dovere ex art. 53 Cost.), il riferimento all’ambito personale sembra
configurare l’art. 23 Cost. come il fondamento della c.d. libertà individuale, in
stretto collegamento il principio di legalità del’azione amministrativa. Sul punto, per
tutti, cfr. A. Pace, Libertà personale (diritto costituzionale), in Enciclopedia del diritto, XXV,
Milano, 1974, in particolare pag. 291 ss. Da ultimo, e in senso sostanzialmente
analogo, si veda anche G. Filippetta, La libertà personale e le libertà di domicilio, di
circolazione e individuale, in R. Nania, P. Ridola (a cura di), op. cit., II, pag. 594,
secondo l quale l’art. 23 Cost. opererebbe come “garanzia di chiusura, imponendo il
rispetto della riserva di legge per ogni intervento che incida su fattispecie di libertà e
che non ricada nella sfera di operatività di altre specifiche disposizioni
costituzionali”.

67
sono affidate espressamente dalla Costituzione alla Repubblica,
considerata nel suo insieme.
Nel complesso, l’intero dibattito in Assemblea costituente
sembra riflettere queste preoccupazioni.59 Da un lato, infatti, la
memoria dell’utilizzo in chiave repressiva delle misure di polizia sotto
il precedente regime totalitario ha spinto ad una chiara delimitazione
dei poteri dell’amministrazione in materia di libertà fondamentali,
attraverso la previsione, nei casi già indicati, del necessario intervento
dell’autorità giudiziaria.
Dall’altro, la consapevolezza della necessità di tutelare anche
esigenze più generali di sicurezza collettiva ha comunque portato al
mantenimento di un’area di intervento diretto dell’autorità di pubblica
sicurezza, in ogni caso riconducibile, però, o a casi eccezionali di
necessità e urgenza (salva convalida successiva dell’autorità
giudiziaria), o a ipotesi di tutela di specifici interessi pubblici, di natura
materiale (quali, appunto, la sanità, la sicurezza o l’incolumità
pubblica). In ogni caso, come in parte già anticipato, nessuna ipotesi
di restrizione amministrativa delle libertà della persona risulta
ammissibile per motivi ideali o politici.60

3. L’inesistenza di un “diritto alla sicurezza”

Alla luce di tali considerazioni, non sembra potersi condividere


l’opinione di quella parte della dottrina che, pur problematicamente,
ritiene configurabile (con particolare riferimento all’ordinamento
italiano) l’esistenza di un vero e proprio “diritto alla sicurezza”, quale
situazione giuridica soggettiva in capo ai singoli individui.61 Infatti,

59 Si veda, in particolare, il dibattito in Assemblea svoltosi nei giorni 26 marzo – 11


aprile 1947, ora in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori della Assemblea
Costituente, I, Roma, 1970, pag. 665 ss.
60 Cfr., in questo senso, l’art. 16, primo comma, Cost., con regola che può, però,

intendersi espressione di un principio più generale, come sembra dimostrato anche


dall’art. 22 Cost.: “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità
giuridica, della cittadinanza, del nome”.
61 Cfr., tra gli altri, P. Torretta, “Diritto alla sicurezza” e altri diritti e libertà della persona:

un complesso bilanciamento costituzionale, in A. D’Aloia (a cura di), Diritti e Costituzione.


Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano, 2003, pag. 451 ss; E Castorina, Diritto alla

68
anche in base alla lettura dei dati storici e normativi sopra riportati, le
diverse dimensioni costituzionali della sicurezza che si sono indicate
rappresentano tutte un complesso bene di rilievo costituzionale, che
mira alla tutela della persona nelle sue relazioni sociali, e quindi anche
delle specifiche fattispecie di libertà espressamente codificate dalla
nostra Carta fondamentale. Che, poi, rispetto a tale complessa
dimensione costituzionale della sicurezza si manifesti, dal punto di
vista soggettivo, un’aspettativa di (o un’aspirazione alla) sicurezza da
parte di singoli individui, in nulla incide nella definizione dello statuto
costituzionale della sicurezza.
Tale consapevolezza, in ogni caso, emerge anche dalla stessa
dottrina citata, la quale spesso riconduce il presunto “diritto alla
sicurezza” o ad una sorta di precondizione necessaria per l’esercizio
dei diritti fondamentali della persona, o ad un valore superprimario e
incomprimibile dell’ordinamento (sostanzialmente insuscettibile di
ogni possibile bilanciamento con altri diritti o valori costituzionali),
oppure ad una specie di nuovo diritto sociale, che racchiude diversi
elementi essenziali della qualità della vita, e volto a garantire
un’esistenza complessivamente protetta ai singoli individui.
Ebbene, in molti di questi casi appare evidente la necessità di
un ricorso o a categorie sostanzialmente metagiuridiche, o a
concezioni assolute (e quindi indimostrabili), o a definizioni talmente
vaste da risultare, in sintesi, indefinite.62 Ancora una volta, allora,

sicurezza, riserva di legge e principio di proporzionalità: le premesse per una “democrazia


europea”, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2003, in particolare pag. 308
ss.; S. Raimondi, Per l’affermazione ella sicurezza pubblica come diritto, in Diritto
amministrativo, 2006, pag. 747 ss; G. de Vergottini, La difficile convivenza fra libertà e
sicurezza: la risposta delle democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti nazionali, in AA.VV.,
Libertà e sicurezza nelle democrazie contemporanee, Padova, 2007, in particolare pag. 56
ss.; G. Cerrina Feroni, G. Morbidelli, La sicurezza: un valore superprimario, in Percorsi
costituzionali, 1/2008, in particolare pag. 34 ss.; T.E. Frosini, Il diritto costituzionale alla
sicurezza, in Forum di Quaderni costituzionali, all’indirizzo www.forumcostituzionale.it.
62 Cfr., sul punto, quanto affermato da E. Denninger, Diritti dell’uomo e Legge

fondamentale, Torino, 1998, pag. 38, secondo il quale il preteso “diritto fondamentale
alla sicurezza” rischia di apparire “più una procura in bianco affidata allo Stato per
ogni possibile intervento sulla libertà che non un autentico diritto fondamentale”.
In proposito, si vedano anche le osservazioni critiche di P. Bonetti, op. cit., pagg. 55-
56 e pagg. 308-309, che sottolinea in questo senso le peculiarità dell’ordinamento
francese, con particolare riferimento alla legge del 15 novembre 2001 sulla sicurezza

69
sembra emergere la natura della sicurezza come categoria polisemica
ed essenzialmente relazionale, e proprio per questo da ricondurre alle
già citate disposizioni costituzionali, pur lette sistematicamente tra
loro e alla luce dei principi fondamentali del nostro ordinamento.
Delle due, infatti, l’una: o la sicurezza, letta in termini di autonoma
situazione giuridica soggettiva, non indica nulla di preciso, rinviando
all’esercizio ed alla tutela delle specifiche libertà costituzionalmente
previste; oppure, sul piano strettamente oggettivo e materiale, è un
complesso bene di rilievo costituzionale che attiene alla garanzia
dell’ordinata e pacifica convivenza dei cittadini, alla tutela della loro
incolumità psico-fisica e garanzia dei loro diritti rispetto a possibili
lesioni.63
Appare significativo, in questo senso, che anche i sostenitori di
una lettura dell’art. 2 Cost. come categoria “aperta”, in grado di
riconoscere fondamento costituzionale anche a nuovi diritti,
espressione di valori emergenti dall’evoluzione del corpo sociale,64
abbiano di recente autorevolmente sottolineato la necessità che, in
ogni caso, “la dignità di diritto va riconosciuta solo a quelle situazioni
in cui determinati interessi soggettivi […] siano direttamente e
immediatamente tutelati e sia data agli stessi la pretesa di azionare
rimedi giurisdizionali per la loro reintegrabilità”.65 Questo perché, pur
ritenendo le libertà costituzionali incomprimibili dentro lo schema
rigido del diritto soggettivo, si ritiene in ogni caso che quest’ultimo sia
un elemento essenziale, anche se non esclusivo, anche al fine di

quotidiana, il cui art. 1 recita: “La sicurezza è un diritto fondamentale”. Tuttavia, la


stessa disposizione continua affermando che “essa è una condizione per l’esercizio
delle libertà e per la riduzione delle diseguaglianze”, facendo ancora una volta
emergere la necessità di un (generale) riferimento alla tutela dei diritti fondamentali
della persona. Per una ricostruzione di tale legislazione, delle sue origini e delle sue
successive evoluzioni, si veda D. Thomas, L’evoluzione della procedura penale francese
contemporanea: la tentazione securitaria, in V. Baldini (a cura di), Sicurezza e Stato di diritto:
problematiche costituzionali, Cassino, 2005, pag. 97 ss.
63 In questo senso, da ultimo, anche M. Ruotolo, op. cit., pag. 45, il quale sottolinea

la “priorità della sicurezza dei diritti, riguardata in termini promozionali, rispetto al


presunto diritto alla sicurezza”.
64 Il riferimento, per tutti, è ad A. Barbera, Art. 2, cit., in particolare pag. 80 ss.
65 Così A. Barbera, Nuovi diritti: attenzione ai confini, in L. Califano (a cura di), Corte

costituzionale e diritti fondamentali, Torino, 2004, pag. 19 ss., in particolare pag. 29.

70
evitare che posano “evaporare nell’aria rarefatta delle condizioni
generali di libertà”.66
La sicurezza, dunque, non rappresenta tanto il contenuto di
un’autonoma e determinata situazione giuridica soggettiva, ma appare
piuttosto come valore accolto dal nostro ordinamento costituzionale.
Anche per questo, le riflessioni proposte si muoveranno
essenzialmente sul piano del diritto oggettivo, considerando la
sicurezza, nelle sue diverse dimensioni costituzionali, quale bene
meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Non ogni valore
costituzionale, infatti, è di per sé, quasi automaticamente,
riconducibile ad uno specifico diritto di libertà. Anzi, come abbiamo
in parte già anticipato, proprio la natura polisemica che
contraddistingue i valori costituzionali, quale sintesi di una pluralità di
interessi, richiama la possibilità che tali interessi siano individuati non
solo in determinati diritti fondamentali, ma anche in beni di natura
collettiva.
Alcuni spunti, in questo senso, sembrano venire anche dalla
stessa giurisprudenza costituzionale.67 Nell’ambito di una questione
molto circoscritta, e relativa alla presunta incostituzionalità di alcune
norme processuali che limitano il ricorso alle misure cautelari
personali in relazione ad alcune fattispecie di reato,68 è stata, infatti,
prospettata una lesione dell’art. 2 Cost., come principio fondamentale
in base al quale “compito primario della Repubblica […] è quello di
garantire i diritti inviolabili dell’uomo, tra cui rientra senza dubbio
quello di vedere protetta la propria sicurezza dalla commissione di
fatti puniti come reato”.

66 Cfr. A. Barbera, op. ult. cit., pag. 29. Tra le ipotesi individuate dall’Autore come
esemplificazione di tale rischio appaiono, tra le altre, il “diritto alla pace”, il “diritto
alla qualità della vita”, il “diritto ala democrazia”, il “diritto allo sviluppo” e, non
ultimo, proprio il “diritto alla sicurezza” (cfr., in particolare, pagg. 24-25).
67 Cfr. S. Raimondi, op. cit., pag. 754 ss.; M. Ruotolo, op. cit., pag. 6.
68 In particolare, il giudice a quo lamentava l’incostituzionalità del combinato

disposto degli artt. 280 e 391, quinto comma, c.p.p., dal momento che consente di
applicare una misura cautelare coercitiva nei confronti di persona sottoposta ad
indagini per uno dei reati di cui all’art. 381, secondo comma, c.p.p. “solo ove la
stessa sia stata arrestata in flagranza di reato, e non anche quando si proceda nei
confronti di indagato in stato di libertà”.

71
Tuttavia la Corte, con l’ord. n. 187/2001,69 ha dichiarato la
manifesta infondatezza della questione, affermando chiaramente che
“tra i diritti inviolabili dell’uomo non rientra l’aspettativa dei
consociati di vedere tutelata la propria sicurezza mediante una
disciplina legislativa […] volta a generalizzare il ricorso alle misure
cautelari limitative della libertà personale”. Pur nella consapevolezza
della peculiarità della questione decisa,70 l’affermazione della Corte,
nella sua apoditticità, appare comunque chiara, e in grado di assumere
una portata più generale.
A prescindere, infatti, dagli strumenti processuali al centro
della specifica questione di costituzionalità, il ragionamento della
Corte sembra comunque potersi estendere a qualunque ipotesi di
tutela, in via autonoma e generalizzata, di un presunto “diritto alla
sicurezza” che, se affermato, rischierebbe invece di porsi “in antitesi
con le specifiche regole costituzionali che garantiscono la libertà
personale”.71

4. Le esigenze della sicurezza e l’assetto dei poteri, tra forma di Stato e forma di
governo

Come abbiamo già anticipato, l’individuazione del bene


costituzionale sicurezza, nelle sue diverse dimensioni, si colloca al
crocevia tra la c.d. Costituzione dei diritti e la c.d. Costituzione dei
poteri.72 Infatti, anche alla luce della sua valenza polisemica e plurale,

69 Per un commento a tale decisione, cfr. A. Pace, L’accesso alla categoria “aperta” dei
diritti inviolabili incontra solo puntuali dinieghi o anche limiti?, in Giurisprudenza costituzionale,
2001, pag. 1438 ss.
70 Secondo S. Raimondi, op. cit., pag. 755, proprio tale circostanza dovrebbe far

ritenere “che la Corte non abbia voluto affrontare il problema, che avrebbe
richiesto ben maggiore approfondimento, della ricomprensione o meno tra i diritti
inviolabili dei cui all’art. 2 dell’aspettativa dei consociati a vedere tutelata la propria
sicurezza”.
71 Così A. Pace, op. ult. cit., pag. 1440.
72 Sul punto, per tutti, si veda M. Luciani, La “Costituzione dei diritti” e la

“Costituzione dei poteri”. Noterelle brevi su un modello interpretativo ricorrente,


in AA.VV, Scritti in onore di Vezio Crisafulli, II, Padova, 1985, pag. 497 ss.

72
esso appare strettamente collegato ad una determinata concezione del
potere statale, della sua legittimazione e delle sue finalità.
Dunque, il tentativo di ricostruire lo statuto costituzionale
della sicurezza non può prescindere dall’analisi dei principi che
regolano le istituzioni e gli apparati appositamente previsti per la sua
garanzia e la sua tutela. Tale legame, come abbiamo in parte già visto,
è particolarmente evidente nel passaggio tra Stato assoluto e Stato
liberale.
Se, infatti, nel primo caso le finalità di garanzia della vita e della
sicurezza dei consociati sono il fondamento stesso della costruzione
del pactum subiectionis e dell’individuazione del potere sovrano,
illimitato e totale dello Stato-Leviatano; con l’affermazione dei
principi dello Stato di diritto, della separazione dei poteri e della tutela
delle libertà della classe borghese, in connessione con (pur ancora
limitate) forme di rappresentanza politica, la sicurezza diviene oggetto
di specifica disciplina giuridica.
In ogni caso, leggendo in filigrana gli elementi di continuità tra
i due momenti di evoluzione del costituzionalismo moderno, il
compito di garantire la sicurezza appartiene all’apparato
amministrativo del pubblico potere, che in questo senso si specializza
sempre più dando vita ad un settore che adesso viene comunemente
individuato come amministrazione di pubblica sicurezza.73
Dunque, in questo senso, la sicurezza è fin dalle origini fatto di
amministrazione e, di conseguenza, fatto di organizzazione
amministrativa; dapprima nell’ambito di un assetto accentrato in cui
unico interprete delle esigenze della collettività è il sovrano assoluto
(che manifesta in questo caso il potere di dettare specifiche norme, di
curarne l’attuazione tramite i suoi funzionari e di poter giudicare in
ultima istanza sulla loro corretta applicazione); successivamente

73 Sulla quale, tra gli altri, si vedano i contributi di M. di Raimondo, Il sistema


dell’amministrazione della pubblica sicurezza, Padova, 1984; A. Chiappetti, Polizia (diritto
pubblico), in Enciclopedia del diritto, XXXIV, Milano, 1985, pag. 20 ss.; C. Mosca,
Pubblica sicurezza (ordinamento della amministrazione della), in Novissimo Digesto
italiano, Appendice VI, Torino, 1986, pag. 133 ss.; nonché di G. Caia, op. cit., in
particolare pag. 290 ss.

73
nell’ambito delle finalità e dei limiti stabiliti dalla legge dell’organo
rappresentativo per eccellenza: il Parlamento.74
E’ in questo momento, infatti, che si manifesta con particolare
evidenza il mito della legge quale espressione della volontà generale e
della sovranità delle assemblee parlamentari, sulla scia delle
suggestioni della Rivoluzione francese. Dunque, in questo senso, il
problema della complessiva legittimità del sistema dei pubblici poteri
sembra sovrapporsi e limitarsi a quello connesso alla legalità formale
delle concrete modalità del suo esercizio.
In ogni caso, da un punto di vista più generale, emerge proprio
in questo momento la tendenza a circoscrivere le questioni
concernenti la sicurezza nell’ambito dell’amministrazione interna di
polizia, riconoscendo autonomia, da un lato, sia all’apparato militare
di difesa esterna (costituito e organizzato secondo principi e norme
del tutto peculiari), sia, dall’altro, alla diversa funzione di repressione
degli illeciti penali spettante all’autorità giudiziaria.75
Significativo, in questo senso, quanto previsto dall’art. 1 del
r.d. n. 773/1931 (TULPS), in base al quale “l’autorità di pubblica
sicurezza veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza
dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà; cura
l’osservanza delle leggi e dei regolamenti […] dello Stato, delle
province e dei comuni […]; presta soccorso nel caso di pubblici e
privati infortuni”. Questa definizione, pur espressione di una
concezione particolarmente estensiva ed accentrata dei compiti
dell’amministrazione di pubblica sicurezza, estesa alla vigilanza e al
controllo su vasti settori di attività privata, ben rappresenta il nucleo
centrale che caratterizza la sua attività, in senso oggettivo e materiale.

74 Per una ricostruzione della citata evoluzione, in particolare, si rimanda a A.


Chiappetti, L’attività di polizia, cit., passim.
75 Si veda, sul punto, quanto affermato da A. Chiappetti, op. ult. cit., in particolare

pag. 64 ss., secondo il quale, tra il XVII e il XVIII secolo, negli ordinamenti europei
continentali (e in particolare in Francia e in Germania, patria del Polizeistaat) “il
termine police o polizei viene utilizzato […] per indicare il più ristretto significato di
attività amministrativa esercitata dagli organi dell’apparato di governo ad esclusione
della giurisdizione e perfino alcuni significati più limitati, riguardanti una sola parte
dell’attività amministrativa stessa, escludendo, cioè, l’attività fiscale, l’esercito e così
via”. Sul punto, con particolare riferimento al’esperienza tedesca, cfr. anche M.
Stolleis, op. cit., in particolare pag. 487 ss.

74
L’evoluzione successiva del nostro ordinamento, infatti, pur
riducendo di molto tale area di intervento, soprattutto alla luce
dell’affermazione dei principi democratici e del pluralismo territoriale
che caratterizzano la Costituzione repubblicana,76 ha mantenuto
sostanzialmente integro il nucleo storico di tradizionale competenza
dell’autorità di pubblica sicurezza.
Non è un caso, allora, che proprio sulla scia di tale evoluzione
vengano sottolineate, pur con diversi accenni, le differenziazioni tra
ambito di intervento della polizia amministrativa, della polizia di
sicurezza e di quella giudiziaria. La prima, come noto, strettamente
collegata all’esercizio di specifiche funzioni amministrative, quale
manifestazione di poteri di vigilanza e controllo;77 la seconda, in
particolare, con compiti di prevenzione rispetto al compimento di atti
penalmente rilevanti o comunque socialmente pericolosi;78 l’ultima,
invece, col compito di reprimere le violazioni della legge penale,

76 Sull’importanza del pluralismo nel disegno costituzionale del 1948, con


particolare riferimento all’organizzazione amministrativa dello Stato si rimanda a L.
Arcidiacono, Organizazione pluralistica e strumenti di collegamento. Profili dogmatici, Milano,
1974.
77 Sul punto, ora, vedi il dettato dell’art. 159, primo comma, del d.lgs. n. 112/1998,

secondo il quale “le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla polizia


amministrativa […] concernono le misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che
possono essere arrecati ai soggetti giuridici ed alle cose nello svolgimento di attività
[…] senza che ne risultino lesi o messi in pericolo i beni e gli interessi tutelati in
funzione dell’ordine pubblico”. Sulla polizia amministrativa, cfr. A. Nova, Polizia
amministrativa, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XI, Torino, 1996, pag. 314 ss.
78 Per la quale, ora, si veda l’art. 159, secondo comma, del d.lgs. n. 112/1998,

secondo cui “le funzioni e i compiti amministrativi relativi all’ordine pubblico e


sicurezza pubblica […] concernono le misure preventive e repressive dirette al
mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici
fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile
convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei
cittadini e dei loro beni”. Tali compiti, sulla base del successivo art. 160, secondo
comma, sono affidate all’amministrazione della pubblica sicurezza così come
disciplinata dalla legge n. 121/1981 “che individua, ai fini della tutela dell’ordine e
della sicurezza pubblica, le forze di polizia”. Sulla polizia di sicurezza, tra gi altri, si
vedano M. Colacito, Sicurezza (polizia di), in Enciclopedia giuridica, XXVIII, Roma,
1990; e G. Corso, Polizia di sicurezza, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XI, Torino,
1996, pag. 319 ss.

75
nell’ambito più specifico dell’esercizio della giurisdizione e a supporto
di questa. 79
La stessa giurisprudenza costituzionale, d’altronde, ha
evidenziato tale diverso ambito di intervento, sottolineando che
mentre le funzioni di polizia amministrativa “concernono le attività
[…] dirette a evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati
alle persone o alle cose” nello svolgimento di attività ricomprese nelle
materie di competenza statale o regionale”; le funzioni,
rispettivamente, di polizia di sicurezza e di polizia giudiziaria
riguardano “le misure preventive e repressive dirette al mantenimento
dell’ordine pubblico”, vero e proprio “nucleo delle funzioni […] di
pubblica sicurezza”.80
Le prime, allora, “proprio per questo loro rapporto di stretta
strumentalità con determinate attività, […] sono funzioni accessorie
rispetto ai settori materiali al cui servizio operano, seguendone la
destinazione e la disciplina giuridica”, statale o regionale che sia; le
seconde invece, di competenza dell’amministrazione statale di
pubblica sicurezza, “si caratterizzano per essere primariamente dirette
a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle
persone, la sicurezza dei possessi, la fede pubblica e ogni altro bene
giuridico che l’ordinamento ritiene, in un determinato momento

79 Cfr., in questo senso, il dettato dell’art. 109 Cost., in base al quale “l’autorità
giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”. Sul punto, ora, vedi anche
l’art. 55 c.p.p., secondo cui la polizia giudiziaria “deve, anche di propria iniziativa,
prendere notizia ei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori,
ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e
raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”. Sulla
polizia giudiziaria, tra gli altri, vedi A. Cerri, Polizia giudiziaria. I) Diritto pubblico, in
Enciclopedia giuridica, XXIII, Roma, 1990; nonché D. Manzione, Polizia giudiziaria, in
Enciclopedia del diritto, Aggiornamento VI, Milano, 2002, pag. 860 ss.
80 Così, in particolare, la sent. n. 218/1988, anche in riferimento alla precedente

sent. n. 77/1987, e alla luce di una definizione dell’ordine pubblico come concetto
individuato “da quei beni giuridici fondamentali o da quegli interessi pubblici
primari sui quali, in base alla Costituzione e alle leggi ordinarie, si regge l’ordinata e
civile convivenza dei consociati nella comunità nazionale”, tra i quali, in particolare,
rientrano “l’integrità fisica e psichica delle persone, la sicurezza dei possessi e il
rispetto o la garanzia di ogni altro bene giuridico di fondamentale importanza per
l’esistenza e lo svolgimento dell’ordinamento” (su tale concetto, però, vedi più
ampiamente infra).

76
storico, di primaria importanza per la propria esistenza e per il proprio
funzionamento”.81
Dunque, rientra nelle competenze dell’amministrazione di
pubblica sicurezza “non qualsiasi interesse pubblico alla cui cura siano
preposte le pubbliche amministrazioni”, ma soltanto la cura di “quegli
interessi essenziali al mantenimento di un’ordinata convivenza civile”.
Tale precisazione, per la Corte, “é necessaria ad impedire che una
smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico si
converta in una preminente competenza statale in relazione a tutte le
attività che vanificherebbe ogni ripartizione di compiti tra autorità
statali di polizia e autonomie locali”.82
Tale impianto, dunque, appare ancora oggi confermato
nell’ambito degli assetti costituzionali liberaldemocratici, pur con
alcune rilevanti novità. Da un lato, infatti, la progressiva estensione
dei compiti di intervento attivo dei pubblici poteri, e in particolare
della pubblica amministrazione, comporta come conseguenza la
parallela estensione dei connessi compiti di polizia amministrativa.
Dall’altro, con l’introduzione a livello costituzionale delle c.d. libertà
positive e dei diritti sociali, la dimensione collettiva della sicurezza
appare assumere una rilevanza maggiore, e un autonomo fondamento
costituzionale.
Il tutto, in ogni caso, alla luce di una visione dei rapporti tra
Stato e cittadino non meramente conservativa, ma anche
promozionale, in vista di quella garanzia della persona e dei suoi diritti
che sembra essere uno dei cardini del costituzionalismo
liberaldemocratico. A ciò si aggiunga la forte valorizzazione del
principio del pluralismo, sia sociale sia territoriale, che articola
ulteriormente i piani di intervento a tutela della sicurezza e delle sue
complessive esigenze, con particolare riferimento alla sicurezza in
senso “lato” e al possibile ruolo delle Regioni e degli enti locali.83

81 Così, espressamente, la sent. n. 1013/1988.


82 Cfr. la sent. n. 290/2001.
83 Si ricordano, in proposito, le già citate disposizioni di cui agli artt. 117 e 118

Cost., le quali delineano un complesso di competenze (a livello legislativo e


amministrativo) che, in materia di sicurezza, con particolare riferimento alla sua
nozione in senso “lato”, vedono coinvolti non solo, lo Stato, ma anche Regioni ed
enti locali. Su tal profilo, però, vedi più ampiamente ultra, al Cap. V.

77
Lo stesso riparto di competenze successivo alla riforma del
Titolo V attuata dalla legge cost. n. 3/2001 sembrerebbe confermare
tale lettura, con l’affermazione della già citata potestà legislativa
esclusiva statale in materia “ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione
della polizia amministrativa locale”.84 Competenza, quella in
questione, che la Corte costituzionale ha inizialmente ricostruito in
senso oggettivo e materiale, in riferimento alle “misure inerenti alla
prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico”,
escludendo invece che possa essere nozione stabilmente, e in via
estensiva, “collegata con la tutela della salute, dell’ambiente, del lavoro
e così via”;85 tutti beni costituzionali che, in via promozionale e
preventiva, possono essere quindi oggetto delle funzioni di vigilanza e
controllo svolte nell’ambito dei tradizionali poteri di polizia
amministrativa in capo ai diversi livelli di governo, e alla luce delle
rispettive competenze materiali.
In senso solo parzialmente analogo sembra andare anche l’art.
120, secondo comma, Cost. delineando i presupposti relativi
all’esercizio ai poteri sostitutivi del Governo nei confronti delle
autonomie territoriali. In quel contesto, infatti, il riferimento
all’esistenza di un “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza
pubblica” sembra riconducibile non solo ala tradizionale funzione di
ordine pubblico (intesa quale prevenzione e repressione dei reati), ma

84 Vedi, sul punto, la sent n. 313/2003: “Quanto alla polizia di sicurezza, finalizzata
ad adottare le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine
pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi
pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità
nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni
(secondo la definizione del comma 2 dell’art. 159 del decreto legislativo n. 112 del
1998), la competenza legislativa in materia, come già prima della riforma del Titolo
V della Parte II della Costituzione, è oggetto di riserva a favore dello Stato, a norma
della lettera h) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione ora vigente, che
ha riguardo all’ordine pubblico e alla sicurezza, con netta distinzione dalla polizia
amministrativa locale che segue invece, in quanto strumentale, la distribuzione delle
competenze principali cui accede”.
85 Cfr., per tutte, la sent. n. 407/2002. Sulla giurisprudenza relativa al riparto di

competenze in materia di sicurezza dopo la riforma del Titolo V, però, vedi più
ampiamente ultra, Cap. V.

78
anche ad una più ampia tutela dell’integrità personale dei cittadini, a
prescindere dai fattori di rischio rilevanti.86
Un assetto che, in ogni caso, in relazione alla sicurezza in
senso “stretto” conferma la sostanziale centralità dell’amministrazione
dello Stato, che vede nella legge parlamentare la sua regolamentazione
operativa, ma che trova in Costituzione i principi e le norme che ne
rappresentano il fondamento, nell’ambito di specifiche opzioni
assiologiche.
Coerentemente con tali presupposti, la Carta costituzionale
declina le esigenze organizzative connesse alle diverse dimensioni
della sicurezza nell’ambito di una forma di governo ispirata ai canoni
della democrazia parlamentare.
Dunque, un ruolo centrale, in questo senso, sembra essere
rimesso agli organi protagonisti del rapporto fiduciario, vera e propria
cinghia di trasmissione della sovranità popolare: Parlamento, da un
lato, e Governo, dall’altro. Più nello specifico, potere legislativo e
amministrazione. Se, infatti, alla legge spetta intervenire per regolare
l’esercizio dei diritti fondamentali nell’ambito degli interessi e dei
limiti costituzionalmente previsti, all’amministrazione tocca dare
esecuzione e continua tutela a tali pubblici interessi.
Il compito del potere giudiziario, invece, sarà invece quello di
tutelare le posizioni giuridiche soggettive chiamate in causa nell’ambio
dell’esercizio dei poteri amministrativi concernenti la sicurezza, in
virtù dei principi dello Stato di diritto. Ovvio, in questo senso, il

86 Spunti, in questo senso, sembrano venire anche dalla sent. n. 6/2004 in materia
di “sicurezza dell’approvvigionamento di energia elettrica”, nella quale la Corte
esclude che, in tale ambito, possa attivarsi la competenza legislativa dello Stato in
materia di ordine pubblico e sicurezza, richiamando solo la possibilità di un
intervento sostitutivo del Governo, ex art. 120, secondo coma, Cost., in relazione
all’esistenza di eventuali gravi pericoli per l’incolumità e la sicurezza pubblica. Su
tale decisione, si vedano le opinioni di B. Caravita, op. cit., pagg. 7-8, e di M.
Ruotolo, op. cit., pag. 17, i quali sottolineano come, in base alla ricostruzione della
Corte, la nozione di “pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica” risulti
più ampia rispetto alla nozione di “ordine pubblico e sicurezza”, ex art. 117,
secondo comma, lett. h), Cost. In ogni caso, il contestuale riferimento all’incolumità
pubblica conferma la natura oggettiva e materiale anche della nozione di
“sicurezza” accolta nell’art. 120, secondo comma, Cost.

79
riferimento all’ambito di intervento di quelle che, come abbiamo
visto, tradizionalmente si indicano come polizia amministrativa e
polizia di sicurezza (e giocando, invece, la magistratura un ruolo del
tutto peculiare rispetto alle attività della polizia giudiziaria,
funzionalmente collegata all’esercizio della giurisdizione penale).
Un compito, quindi, quello della magistratura, essenzialmente
successivo (a parte alcuni, rilevanti, casi), volto a valutare la legalità
dell’azione amministrativa e le eventuali responsabilità dei pubblici
funzionari. Di fronte ad alcune tradizionali libertà civili, 87 invece, la
riserva di giurisdizione espressamente prevista coinvolge i magistrati
direttamente per quanto riguarda la decisione relativa alle esigenze di
limitazione della sfera personale dei singoli individui.
In questi casi, dunque, il giudice non si limiterà, ex post, ad
un’eventuale valutazione dell’operato dell’amministrazione di pubblica
sicurezza, ma valuterà ex ante le esigenze connesse alla richiesta
limitazione della sfera di libertà del singolo. In caso di urgenza, però,
si afferma nuovamente un titolo autonomo di intervento delle forze di
polizia, salvo la prescritta convalida giudiziaria. I concreti rapporti, in
questo senso, tra amministrazione di pubblica sicurezza e autorità
giudiziaria sembrano poter essere ricostruiti attraverso un esame
sistematico delle diverse norme contenute negli artt. 13, 14, 15 e 21
Cost.
Come in parte già sottolineato, non sembra un caso che il
Costituente abbia utilizzato la nozione di “autorità di pubblica
sicurezza” nell’ambito dell’art. 13 Cost., mentre l’art. 21 parla di
“polizia giudiziaria”. Nel secondo caso, infatti, il richiamo alla polizia
giudiziaria in materia di sequestro della stampa appare coerente con la
specifica riserva di legge rinforzata prevista, che parla espressamente
di “delitti” in un contesto in cui appare proibita ogni forma di
intervento preventivo (“la stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure”). Dunque se di fattispecie penali si tratta,
appare coerente il coinvolgimento, pur in via eccezionale, della polizia
giudiziaria, funzionalmente istituita per il perseguimento dei reati.

87Le più volte citate libertà personale (art. 13 Cost.), libertà di domicilio (art. 14
Cost.), libertà di comunicazione privata (art. 15 Cost.) e libertà di manifestazione
del pensiero (art. 21 Cost.).

80
Diverso, invece, il caso dell’art. 13 Cost. A prescindere
dall’annoso dibattito sul c.d. vuoto dei fini che contraddistinguerebbe
tale disposizione,88 non sembra potersi accogliere quella
interpretazione che, di fatto, riconduce le forme legittime di
limitazione della libertà personale all’esercizio della sola giurisdizione
penale, interpretando quindi “autorità di pubblica sicurezza” quasi
come un sinonimo di “polizia giudiziaria”.
La riserva di giurisdizione prevista nell’ambito dell’art. 13
Cost., infatti, più che delimitare l’intervento della magistratura alle
classiche forme di esercizio dell’attività processuale, vuole estendere le
garanzie giurisdizionali di fronte ad ogni caso di limitazione della
libertà personale. E’, infatti, l’eredità moderna dell’antica garanzia
dell’habeas corpus, finalizzata a valutare tempestivamente (quando non
preventivamente) la fondatezza degli interventi limitativi posti in
essere dalle pubbliche autorità.89
Dunque, in assenza di ogni espressa previsione di poteri
esclusivamente connessi alla previa commissione di fattispecie penali,
l’art. 13 Cost. parla coerentemente di autorità di pubblica sicurezza,
volendo ricomprendere tutte le forme di possibile limitazione della
libertà personale, anche al di fuori del processo penale in senso
stretto.
Che, d’altronde, non fossero le garanzie tipiche del processo
ad essere richiamate, ma quelle più in generale riconducibili ad
un’autorità giudiziaria autonoma e indipendente dal governo e dalla
sua amministrazione, è evidente solo se si pensi alla pacifica
accettazione anche del pubblico ministero quale organo appartenente
all’autorità giudiziaria indicata.90

88 Cfr., A. Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1967; A Pace,
Problematica delle libertà costituzionali, Padova, 1992; nonché, nel tentativo di ancorare
la limitazioni possibili esclusivamente agli artt. 25, 30 e 32 Cost., L. Elia, Libertà
personale e misure di prevenzione, Milano, 1962; P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà
fondamentali, Bologna, 1984.
89 In questo, come noto, in perfetta coerenza con quanto previsto dall’art. 111,

settimo comma, sulla garanzia del ricorso in Cassazione nei confronti dei
provvedimenti de libertate.
90 Evidente, in questo senso, il dibattito in Assemblea costituente,da cui emerge la

preoccupazione di sottrarre alla sfera della discrezionalità dell’amministrazione le


limitazioni alla libertà personale, per riportarle sotto il peculiare controllo di legalità

81
A sua volta, per le sue peculiarità, mantiene una sua precisa
autonomia non solo funzionale, ma anche istituzionale, il sistema della
difesa nazionale, connesso al già citato ordinamento delle Forze
armate.91 Esso, infatti, mantiene le caratteristiche di apparato
autonomo e separato rispetto all’amministrazione della pubblica
sicurezza, finalizzato essenzialmente alla difesa esterna dello Stato e,
proprio per tali peculiarità, ispirato a specifici principi di
organizzazione e responsabilità (vero e proprio “ordinamento
speciale”). Non a caso, la Carta costituzionale individua un’apposita
competenza esclusiva statale in merito a “difesa e Forze armate”,
affiancandovi, però, anche il riferimento alla “sicurezza dello Stato”
(art. 117, secondo comma, lett. d, Cost.).
In questo caso, però, il concetto di sicurezza dello Stato
sembra evocare quel “supremo interesse […] dello Stato nella sua
personalità internazionale, cioè l’interesse dello Stato-comunità alla
propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla
stessa sua sopravvivenza” richiamato più volte dalla stessa Corte
costituzionale nella sua giurisprudenza in materia di segreto di Stato,
alla luce della “necessità di protezione da ogni azione violenta o
comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro
assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi
collettività organizzata a Stato”.92

tipico di un’autorità giudiziaria autonoma e indipendente dal potere politico, così


come si stava delineando all’interno della Costituzione.
91 Sul punto, per tutti, si vedano i contributi di G. de Vergottini, Indirizzo politico della

difesa e sistema costituzionale, Milano, 1971; P. Bonetti, Ordinamento della difesa nazionale e
Costituzione italiana, Milano, 2000; A Baldanza, La difesa, in S. Cassese (a cura di),
Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, I, Milano, 2003, in
particolare pag. 307 ss.
92 Cfr., in particolare, le sentt. nn. 82/1976, 86/1977, 106/2009. Interesse che,

secondo il Giudice delle leggi, “trova espressione, nel testo costituzionale, nella
formula solenne dell’art. 52, che afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa
della Patria […] in relazione con altre norme della stessa Costituzione che fissano
elementi e momenti imprescindibili del nostro Stato: in particolare, vanno tenuti
presenti la indipendenza nazionale, i principi della unità e della indivisibilità dello
Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri essenziali dello Stato stesso nella
formula di Repubblica democratica (art. 1)”. Sul punto, più ampiamente, vedi però
ultra, Cap. III.

82
Tale interesse, pur con le dovute specificazioni connesse
all’articolazione territoriale della Repubblica, sembra in qualche modo
riconducibile anche al concetto di “sicurezza nazionale” di cui parla
l’art. 126 Cost.,93 in relazione all’eventuale scioglimento del Consiglio
regionale o alla possibile rimozione del Presidente della Giunta,
concetto che, dunque, sembra anch’esso doversi interpretare in senso
sostanzialmente oggettivo e materiale.94

5. Le vicende costituzionali dell’ordine pubblico, tra limiti impliciti e


bilanciamento

Il percorso appena citato può essere colto nell’ambito delle


tormentate vicende che hanno caratterizzato il concetto di ordine
pubblico nel nostro ordinamento. Come noto, diverse possono essere
(e sono) le definizioni date dell’ordine pubblico dal punto di vista
giuridico; esse, in particolare, cambiano a seconda del settore
normativo di riferimento.95 Si succedono, così: una definizione di

93 Da ultimo, sottolinea problematicamente le peculiarità della nozione di


“sicurezza nazionale”, di cui all’art. 126 Cost., P. Bonetti, Ordine pubblico, sicurezza,
polizia locale e immigrazione nel nuovo art. 117 della Costituzione, cit., in particolare pag.
501 ss.
94 In senso diverso, cfr. C. De Fiores, Art. 126, in R. Bifulco, A. Celotto, M.

Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino, 2006, in particolare
pagg. 2495-2496; M. Ruotolo, op. cit., pag. 18. Secondo tali Autori, infatti, vi sarebbe
una distinzione tra “sicurezza pubblica”, intesa in senso “stretto”, e “sicurezza
nazionale” di cui all’art. 126 Cost., dal momento che in quest’ultima nozione
potrebbero ricadere anche ipotesi di secessione non violenta ad opera di alcune
regioni, alla luce della necessaria garanzia del principio di indivisibilità della
Repubblica di cui all’art. 5 Cost. Tuttavia, a ben guardare, ipotetiche dichiarazioni di
indipendenza votate da un Consiglio regionale, pur non compromettendo
direttamente l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, potrebbero comunque
rappresentare un’ipotesi di “atto contrario alla Costituzione”, motivo di per sé
sufficiente ad attivare gli stessi poteri sanzionatori previsti dall’at. 126 Cost.
95 Per una ricostruzione delle origini della nozione di “ordine pubblico” si vedano,

tra gli altri, i contributi di A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana,
in Archivio giuridico, 1963, pag. 111 ss.; L. Paladin, Ordine pubblico, in Novissimo Digesto
italiano, XII, Torino, 1965, pag. 30 ss.; G. Corso, L’ordine pubblico, cit., pag. 133 ss.;
A. Cerri, Ordine pubblico (Diritto costituzionale), in Enciclopedia giuridica, XII, Roma,

83
ordine pubblico nell’ambito del diritto privato (come limite
all’autonomia dei singoli individui); una definizione rilevante sul piano
del diritto internazionale privato (come limite al riconoscimento di
efficacia interna di atti giuridici prodotti da altri ordinamenti); una
definizione specifica nell’ambito del diritto internazionale pubblico (in
relazione al rispetto di quelle norme che regolano i rapporti tra Stati
riconosciuti come vero e proprio ius cogens); una definizione rilevante
nell’ambito del diritto pubblico, e costituzionale (in particolare, quale
garanzia di ordinata e pacifica convivenza, a tutela della sicurezza dei
singoli e della collettività).
In realtà, con riferimento al ruolo dell’ordine pubblico
nell’ambito del diritto costituzionale, le interpretazioni sono state assai
differenti (anche alla luce di una giurisprudenza costituzionale
oscillante).
Secondo alcuni, infatti, l’unica accezione costituzionalmente
compatibile di ordine pubblico sarebbe quella limitata alla sua essenza
materiale, connessa alla garanzia della sicurezza e dell’incolumità dei
cittadini (anche alla luce del dibattito emerso in sede di Assemblea
costituente e sulla base delle disposizioni costituzionali più volte
citate).96
Altri, invece (pur problematicamente), ritengono possa essere
identificato, in via generale, anche un suo contenuto ideale o
normativo, consistente nel rispetto e nella garanzia dei principi
fondamentali dell’ordine costituzionale, con particolare riferimento al
c.d. ordine democratico.97

1990; nonché, da ultimo, F. Angelini, Ordine pubblico e integrazione costituzionale europea,


Padova, 2007, pag. 25 ss.
96 Così, tra gli altri, G. Corso, Ordine pubblico. B) Diritto costituzionale, cit., in

particolare pag. 1060 ss.


97 Cfr, ad es., L. Paladin, Ordine pubblico, cit., pag. 130 che parla di “ordine pubblico

normativo, spettante allo Stato-ordinamento, quale sistema coerente ed unitario di


valori e di principi”; C. Lavagna, Il concetto di ordine pubblico alla luce delle norme
costituzionali, in Democrazia e diritto, 1967, pag. 367 ss. Ma si veda anche la definizione
di V. Crisafulli, La scuola nella Costituzione, in AA.VV., Studi in onore di G.M. De
Francesco, Milano, 1957, pag. 276 ss., che parla di “sistema di valori e di principi
inderogabili, che informano storicamente l’ordinamento generale della comunità
statale”.

84
Gli stessi autori che vanno alla ricerca di un suo eventuale
fondamento costituzionale, però, giungono alla conclusione di
un’impossibilità logica di pensare l’ordine pubblico ideale (a livello
costituzionale) come un limite a specifiche libertà, dal momento che
proprio la tutela delle libertà rappresenta uno dei principi e valori
fondanti l’ordinamento stesso.98 Come in parte già anticipato, però, a
questo punto sembra che la questione si apra fino a sfiorare, da un
lato, la concezione e lo stesso contenuto dei più volte evocati principi
supremi dell’ordinamento,99 nonché, dall’altro, gli elementi di
“protezione” democratica eventualmente rintracciabili nella nostra
Carta fondamentale (con particolare riferimento agli artt. 8, 18, 21, 49
e 54 Cost.).
Evidenti, in questo senso, le differenti conseguenze in materia
di libertà fondamentali. Se, infatti, si accetta una nozione di ordine
pubblico in senso meramente materiale, allora le uniche limitazioni
possibili saranno quelle espressamente previste dal testo costituzionale
o comunque collegate alla funzione di prevenzione e repressione dei
reati. All’opposto, nell’ambito di un’interpretazione dell’ordine
pubblico come ordine ideale, alla luce dei principi fondamentali della

98 Evidente dimostrazione delle difficoltà della dottrina sul punto appare la


posizione di C. Esposito, in un primo tempo problematicamente attento al
problema dell’illegittimità costituzionale di un eventuale utilizzo delle libertà
fondamentali volto a minare le stesse garanzie, direttive o strutture implicitamente
poste dalla Costituzione al riparo dallo stesso procedimento di revisione (cfr.
Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, in C. Esposito, La Costituzione
italiana. Saggi, Padova, 1954, pag. 50 ss.). Successivamente, invece, contrario alla
possibilità di ricavare un contenuto ideale di ordine pubblico costituzionale, quale
limite all’esercizio delle libertà fondamentali, dal generale obbligo di fedeltà alla
Repubblica previsto dall’art. 54 Cost. (cfr. La libertà di manifestazione del pensiero
nell’ordinamento italiano, Milano, 1958, pag. 52). Sottolinea il mutamento di
prospettiva, in particolare, L. Paladin, op. cit., pag. 132, la cui ricostruzione (in ogni
caso) non sembra del tutto priva di ambiguità. Parzialmente differente, sul punto, la
posizione di A. Pace, op. ult. cit., pag. 119, il quale invece ritiene possibile far valere
una nozione ideale di ordine pubblico costituzionale esclusivamente in relazione
alle libertà economiche, alla luce del peculiare ordine economico disegnato dal
Costituente.
99 Sui quali, in particolare, si vedano le sentt. nn. 30/1972, 31/1972, 32/1972,

18/1982, 1146/1988. Analogamente, in relazione ai “principi fondamentali


dell’ordinamento”, si vedano le sentt. nn. 183/1973, 48/1979, 170/1984.

85
Costituzione, esso potrebbe rappresentare un limite generale (in
quanto immanente) a tutte le libertà costituzionali.
Dal canto suo, la giurisprudenza costituzionale ha assunto una
posizione ambigua e oscillante, spesso sovrapponendo le due
concezioni di ordine pubblico. Alla luce della già citata impostazione
contenuta nella sua prima, storica, decisione (fondata, come noto,
sulla distinzione tra limiti connessi alla garanzia delle libertà e limiti
relativi all’esercizio delle stesse), la Corte ha, infatti, dapprima
espressamente escluso, in relazione all’art. 16 Cost., che “la sicurezza
riguardi solo l’incolumità fisica”, sostenendo invece che “sembra
razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare alla parola
sicurezza il significato di situazione nella quale sia assicurato ai
cittadini, per quanto è possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di
libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza. Sicurezza si ha
quando il cittadino può svolgere la propria lecita attività senza essere
minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale; è
l’ordinato vivere civile , che è indubbiamente la meta di uno Stato di
diritto, libero e democratico”.100
Successivamente, in relazione alla libertà di manifestazione del
pensiero, ha affermato la natura implicita e (in qualche modo)
generalizzata del limite dell’ordine pubblico, inteso quale “bene
collettivo, che non è dammeno della libertà di manifestazione del
pensiero”. Secondo la Corte, infatti, “l’esigenza dell’ordine pubblico,
per quanto altrimenti ispirata rispetto agli ordinamenti autoritari, non
è affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, né è
incompatibile con essi.
In particolare, al regime democratico e legalitario, consacrato
nella Costituzione vigente […], è connaturale un sistema giuridico, in
cui gli obbiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non

100 Così, in particolare, la già citata sent. n. 2/1956, in relazione alla disciplina allora
vigente del rimpatrio con foglio di via obbligatorio e del rimpatrio per traduzione
(art. 157 del TULPS del 1931). Secondo la Corte, infatti, “la pericolosità in riguardo
all’ordine pubblico non può consistere in semplici manifestazioni di natura sociale
o politica, le quali trovano disciplina in altre norme di legge, bensì in manifestazioni
esteriori di insofferenza o di ribellione ai precetti legislativi ed ai legittimi ordini
della pubblica Autorità, manifestazioni che possono facilmente dar luogo a stati di
allarme e a violenze, indubbiamente minacciose per la sicurezza della generalità dei
cittadini”.

86
possono esser realizzati se non con gli strumenti e attraverso i
procedimenti previsti dalle leggi, e non è dato per contro pretendere
di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o
addirittura di violenza. Tale sistema rappresenta l’ordine istituzionale
del regime vigente; e appunto in esso va identificato l’ordine pubblico
del regime stesso. Non potendo dubitarsi che, così inteso, l’ordine
pubblico è un bene inerente al vigente sistema costituzionale, non può
del pari dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di
preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale,
instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a
renderle inoperanti mediante l’uso o la minaccia illegale della forza -
sia finalità immanente del sistema costituzionale”.101
Chiara la valenza sostanzialmente ambigua di una tale
concezione di ordine pubblico, da un lato riferita ad un determinato
assetto normativo di principi costituzionali, dall’altro connessa a
forme coattive o violente di attentato all’ordine istituzionale del
regime vigente. In ogni caso, chiara la sua natura di interesse
costituzionale che può giustificare limitazioni ad altri beni
costituzionalmente garantiti (e, in particolare, al sistema delle
libertà).102
Contemporaneamente, in relazione alla disciplina del rimpatrio
con foglio di via obbligatorio nei confronti dei soggetti dediti ad
attività contrarie alla morale pubblica, prevista dalla legge n.
1423/1956, la Corte ha ribadito che “non può dirsi pericoloso per la
pubblica moralità colui che proclami o pratichi principi morali
difformi da quelli correnti né colui che viva trascurando ogni principio

101 Cfr., in questo senso, la sent. n. 19/1962, in relazione all’art. 656 c.p.
concernente la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose
atte a turbare l’ordine pubblico. Su tale decisione si vedano le osservazioni di C.
Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero e l’ordine pubblico, in Giurisprudenza
costituzionale, 1962, pag. 191 ss.; e di P. Barile, La libertà di espressione del pensiero e le
notizie false, esagerate e tendenziose, in Foro italiano, 1962, I, pag. 855 ss.
102 Secondo la Corte, infatti, “la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite

insuperabile nella esigenza che attraverso l’esercizio di essi non vengano sacrificati
beni, ugualmente garantiti dalla Costituzione. Il che tanto più vale, quando si tratti
di beni che - come l’ordine pubblico - sono patrimonio dell’intera collettività” (cfr.
ancora la sent. n. 19/1962). In senso conforme, vedi anche le successive sentt. nn.
199/1972 e 210/1976).

87
morale, se e fino a quando egli con la sua condotta non metta in
essere un pericolo per la pubblica sicurezza o per la sanità”, in questo
modo riconducendo anche tale ipotesi a quelle, di natura oggettiva,
espressamente previste dall’art. 16 Cost.103
Ulteriore conferma delle ambiguità della Corte in materia
sembra essere anche la successiva decisione con cui, sempre in
relazione all’art. 21 Cost., 104 si afferma che “la garanzia dei diritti
inviolabili dell’uomo diventerebbe illusoria per tutti, se ciascuno
potesse esercitarli fuori dell’ambito delle leggi, della civile
regolamentazione, del ragionevole costume. Anche diritti primari e
fondamentali […] debbono venir contemperati con le esigenze di una
tollerabile convivenza”. In questo senso, l’ordine pubblico deve essere
inteso quale “ordine pubblico costituzionale […] che deve essere
assicurato appunto per consentire a tutti il godimento effettivo dei
diritti inviolabili dell’uomo”.105
Nel complesso, quindi, una giurisprudenza in base alla quale il
contenuto essenziale del concetto di ordine pubblico “è dato da quei
beni giuridici fondamentali o da quegli interessi pubblici primari sui
quali, in base alla Costituzione e alle leggi ordinarie, si regge l’ordinata
e civile convivenza dei consociati nella comunità nazionale […] fra i
quali rientrano l’integrità fisica e psichica delle persone, la sicurezza

103 Così la sent. n. 126/1962, in sostanziale continuità con quanto affermato dalla
precedente sent. n. 2/1956 in relazione all’analoga misura prevista dall’art. 157 del
TULPS del 1931: “per quanto si riferisce alla moralità, non dovrà certo tenersi
conto delle convinzioni intime del cittadino di per se stesse incoercibili, né delle
teorie in materia di morale, la cui, manifestazione, come ogni altra del pensiero, è
libera o disciplinata da altre norme di legge”. In ogni caso, proseguiva la Corte, “i
cittadini hanno diritto di non essere turbati ed offesi da manifestazioni immorali,
quando queste risultino pregiudizievoli anche alla sanità, indicata nell’art. 16 della
Costituzione, o creino situazioni ambientali favorevoli allo sviluppo della
delinquenza comune. Riassumendo, nel testo dell’art. 16 della Costituzione la parola
motivi (di sanità o di sicurezza) va intesa nel senso di fatti che costituiscano un
pericolo per la sicurezza dei cittadini, quale è stata più sopra definita”.
104 Per una ricostruzione della non scarsa giurisprudenza in materia, si veda A.

Cerri, op. cit., in particolare pagg. 8-9.


105 Cfr. la sentenza n. 168/1971, sull’art. 650 c.p. in merito al reato di inosservanza

dei provvedimenti dell’autorità per ragione d’ordine pubblico. Su tale decisione, si


rimanda a A. Pace, Ordine pubblico materiale, ordine pubblico costituzionale, ordine pubblico
secondo la Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1971, pag. 1777 ss.

88
dei possessi e il rispetto o la garanzia di ogni altro bene giuridico di
fondamentale importanza per l’esistenza e lo svolgimento
dell’ordinamento”.106
Da ultimo, però, il Giudice delle leggi sembra in qualche modo
aver accettato una nozione più strettamente materiale dello stesso,107
anche alla luce della già citata riforma del Titolo V del 2001 che ha per
la prima volta inserito espressamente il concetto di ordine pubblico in
Costituzione, in connessione con la “sicurezza”. Significative, in
questo senso, le affermazioni in base alle quali la materia “ordine
pubblico e sicurezza”, vera e propria endiadi, indicherebbe il “settore
riservato allo Stato relativo alle misure inerenti alla prevenzione dei
reati o al mantenimento dell’ordine pubblico”, riguardante “le
funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali
l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed
ogni altro bene che assume primaria importanza per l’esistenza stessa
dell’ordinamento”.108
Dunque, riprendendo le parole della Corte, se appare vero che
ad un regime democratico e legalitario, quale quello consacrato nella
Costituzione italiana del 1948, “è connaturale un sistema giuridico in
cui gli obiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non
possono essere realizzati se non con gli strumenti e attraverso i
procedimenti previsti dalle leggi, e non è dato per contro pretendere
di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o
addirittura di violenza”,109 è altrettanto vero che questo sembra essere
un limite generale connesso all’ambito della prevenzione e repressione
dei reati, senza alcuna suggestione di tipo puramente ideale o
immanente in merito alla ricostruzione del sistema delle libertà
costituzionali del cittadino.
Tale tendenza, allora, potrebbe apparire coerente con la già
citata giurisprudenza costituzionale volta a ritenere che “il concetto di
limite è insito nel concetto di diritto e che nell’ambito

106 Così, in particolare, la sent. n. 218/1988.


107 Cfr. la sent. n. 290/2001
108 Cfr., ad esempio, le sentt. nn. 407/2002, 6/2004, 162/2004, 428/2004, 95/2005,

383/2005, 222/2006, 237/2006, 129/2009, 196/2009. Su tale giurisprudenza, però,


vedi più ampiamente ultra, Cap. V.
109 Così, espressamente, la già citata sent. n. 19/1962.

89
dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi
reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza
civile”, motivo per cui è da escludere che, prevedendo una specifica
libertà, “la Costituzione abbia consentite attività le quali turbino la
tranquillità pubblica, ovvero abbia sottratta alla polizia di sicurezza la
funzione di prevenzione dei reati”.110
In realtà, a ben vedere, il concetto di limite dovrebbe (a rigore)
essere inteso quale specifica ed espressa delimitazione ab externo di una
determinata fattispecie di libertà, laddove le esigenze di tutela di altre
sfere di libertà, o di ulteriori interessi costituzionalmente rilevanti,
pongono il diverso problema di un reciproco bilanciamento, che è
operazione logicamente e materialmente successiva all’individuazione
degli esatti confini delle diverse fattispecie.111
Che, poi, accanto a tali (eventuali) limitazioni ab externo sia
individuabile una sorta di limitazione ab interno, connessa alla stessa
interpretazione della libertà di cui si tratta e del suo reale significato
normativo, è discorso diverso, e che formalmente sembra dover
prescindere dalla questione dell’interpretazione di limitazioni espresse.
E’, come noto, il problema connesso all’individuazione dei c.d. limiti
naturali o impliciti dei diritti costituzionali, cui spesso la Corte si è
riferita nella sua giurisprudenza, pur con tecniche decisorie non
sempre univoche, “a metà strada tra interpretazione giuridica e
bilanciamento”.112
Tuttavia, pur nella consapevolezza della difficoltà di
individuare un limite preciso tra i diversi momenti, una cosa è

110 Cfr. la sent. n. 1/1956.


111 Sul punto, in particolare, si vedano le osservazioni di C. Esposito, op. ult. cit.,
pagg. 193-194, il quale, pur riconoscendo la dimensione costituzionale di alcuni
valori che, in relazione alla libera manifestazione del pensiero, richiedono un’opera
di bilanciamento, ricostruisce in maniera puntuale il limite dell’ordine pubblico
attraverso l’indicazione delle specifiche norme costituzionali che sembrano
indirettamente richiamarlo (artt. 13, 14, 16, 17, e 18 Cost.).
112 Così, in particolare, A. Morrone, Il custode della ragionevolezza, cit., pag. 317 ss., cui

si rimanda per un’analisi approfondita della citata giurisprudenza costituzionale. Sul


punto cfr. anche R. Bin, Diritti e argomenti. Il bilanciamento degli interessi nella
giurisprudenza costituzionale, Milano, 1992, pag. 57 ss., il quale sottolinea anche
l’analogia con la tecnica del definitional balancing utilizzata dalla Corte suprema
americana.

90
l’attribuzione di significato all’oggetto di tutela di una determinata
fattispecie di libertà, attraverso la sua esatta delimitazione; altra
l’interpretazione delle eventuali limitazioni espressamente previste
dalla singola disposizione; altra ancora, e successiva, l’eventuale
bilanciamento con altri interessi costituzionali potenzialmente in
conflitto.113
Da questo punto di vista, come già in parte anticipato, sembra
che le esigenze costituzionali connesse all’ordine pubblico e alla
sicurezza, nel nostro ordinamento costituzionale, giochino un ruolo
particolare soprattutto dal secondo e terzo punto di vista, in relazione
all’individuazione di specifiche limitazioni ab externo e nell’ambito del
bilanciamento tra diversi interessi costituzionali.
Non sembra, invece, possibile individuarne un ruolo della
sicurezza quale limite immanente alla ricostruzione di una specifica
libertà, l’individuazione del cui oggetto di tutela dovrebbe prescindere
logicamente non solo dalla presenza di eventuali limitazioni esterne,
ma anche dalle successive operazioni di bilanciamento eventualmente
azionabili. Non fosse altro perché, come noto, mentre
l’individuazione dell’oggetto di tutela di una libertà è operazione
interpretativa, in qualche modo, generale e astratta, l’operatività delle
specifiche limitazioni eventualmente previste e, ancora di più,
l’eventuale bilanciamento con altri interessi costituzionali appaiono
operazioni da attuare concretamente e caso per caso.

6. Le frontiere costituzionali della sicurezza: istituzioni, diritti, dimensioni


territoriali

La sicurezza, quindi, è un bene le cui dimensioni costituzionali


possono essere colte solo nell’ambito di una lettura sistematica dei

113 Sottolinea, pur problematicamente, la distinzione tra questi diversi momenti R.

Bin, op. cit., pag. 60, secondo il quale “l’individuazione dei limiti naturali o impliciti
dei diritti sembra richiedere operazioni che possono essere compiute con gli
strumenti tradizionali dell’interpretazione”, essendo finalizzata ad “assegnare un
significato […] alla disposizione”. Il bilanciamento, invece, mira a “raggiungere una
soluzione soddisfacente in presenza di un conflitto tra interessi”, non pretendendo
di “fissare l’unico significato attribuibile ad una disposizione”.

91
principi e dei valori fondanti di un determinato ordinamento. Per
quanto riguarda la nostra Carta costituzionale, attraverso la
ricostruzione fin qui operata, è stato possibile coglierne alcuni aspetti
peculiari, mentre altri ne sono stati, sia pur problematicamente,
esclusi.
Così si è sottolineata la natura non solo individuale, ma anche
collettiva degli interessi riconducibili al valore della scurezza; ne è stata
confermata la tradizionale valenza sia esterna, sia interna; se ne è colta
la dimensione essenzialmente materiale, in connessione con le
competenze di specifici apparati pubblici, distinti da quelli finalizzati
all’esercizio della giurisdizione o organizzati in vista della difesa
militare.
Sulla base di tali premesse, sembra utile individuare alcuni
settori di osservazione privilegiata per verificare preliminarmente la
validità di una tale ricostruzione alla luce delle diverse dimensioni
costituzionali appena evidenziate. La sicurezza, infatti, è interesse
costituzionale che viene in considerazione non solo nell’ambito della
disciplina costituzionale dei diritti costituzionali, ma anche quale
compito di specifici apparati pubblici. Inoltre, come abbiamo visto,
l’articolazione territoriale della Repubblica, da ultimo ridisegnata dalla
riforma del Titolo V, riconosce sfere di intervento anche a livello
regionale e locale, con particolare (ma non esclusivo) riferimento alla
sicurezza in senso “lato”.
Per tali motivi si è scelto di articolare la nostra ricerca sulla
base di tre ideali direttrici: a) sicurezza e istituzioni; b) sicurezza e
diritti; c) dimensioni territoriali della sicurezza. Dal primo punto di
vista, si delineeranno i tratti fondamentali dei servizi di informazione;
dal secondo punto di vista, saranno analizzate le misure di
prevenzione; dal terzo punto di vista, saranno invece ricostruite le
competenze regionali e locali in materia di sicurezza. Questa scelta,
come vedremo, è dovuta ad una serie di fattori.
Innanzitutto, in relazione alla sicurezza delle istituzioni, appare
di grande interesse approfondire il ruolo, l’organizzazione e gli attuali
poteri dei servizi di informazione per la sicurezza della Repubblica, di
recente oggetto di una complessa e innovativa riforma legislativa.114

114 Si veda la legge n. 124/2007.

92
In questo caso, in realtà, non è tanto (o non solo) l’espresso
collegamento degli stessi servizi alle esigenze della sicurezza che li
pone all’attenzione dello studioso; quanto la concreta disciplina
organizzativa, i rapporti con gli organi di indirizzo politico e con
l’amministrazione di pubblica sicurezza, la tutela dei diritti dei terzi
coinvolti, i poteri e i controlli dell’autorità giudiziaria nonché il
controllo (in qualche modo privilegiato) che va prefigurandosi in
materia da parte della Corte costituzionale.
Anche questo, quindi, sembra un terreno particolarmente
indicato per saggiare la tenuta delle dimensioni costituzionali della
sicurezza più volte citate. Pur se in modo meno evidente, infatti,
anche il settore dei servizi di informazione ha visto diversi interventi
legislativi successivamente all’entrata in vigore della Costituzione, che
hanno spesso fatto seguito all’accertamento di gravi irregolarità (e
infedeltà) di alcuni funzionari dei servizi rispetto ai fini istituzionali
previsti.
Infine, come noto, in materia di attività informative si è
formata una giurisprudenza costituzionale piuttosto articolata (anche
se molto meno complessa di quella relativa alle misure di
prevenzione), pur formalmente incentrata, in particolare, sulla
disciplina del segreto di Stato e sui relativi limiti operativi.
E’, quindi, il settore dei servizi di informazione un settore che,
di recente, è stato ripensato alle basi, anche in considerazione della
necessità di garantire un più efficace strumento di supporto alle
politiche per la sicurezza dello Stato.
In questo senso, quale apparato amministrativo del tutto
peculiare quanto a finalità, il sistema di intelligence sembra attualmente
muoversi in una zona non priva di sovrapposizioni ed ambiguità
rispetto alle competenze istituzionali di altri organi od apparati
pubblici. In particolare, come vedremo, ciò accade proprio sul piano
della prevenzione di pericoli particolarmente gravi per la sicurezza e
l’incolumità pubblica (come il terrorismo o la criminalità organizzata).
Non è un caso, allora, che le già citate emergenze criminali,
che hanno rappresentato altrettante tappe di evoluzione della
disciplina legislativa in materia di misure di prevenzione, siano state
l’occasione per il riconoscimento in capo ai servizi di informazione di
sempre maggiori compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica

93
(come, ad es., nel caso della criminalità di stampo mafioso o del
terrorismo internazionale). In quest’opera di progressivo, anche se
solo parziale, allineamento legislativo, il dato che sembra emergere
con particolare evidenza è quello di un utilizzo, in primis, degli ordinari
strumenti di prevenzione di pubblica sicurezza. Da ultimo, come
vedremo, forse nella consapevolezza delle peculiarità dell’attività di
informazione dei servizi rispetto alle funzioni tradizionalmente
spettanti all’amministrazione di pubblica sicurezza, i funzionari delle
agenzie di intelligence sono stati dotati di uno specifico status, connesso
al riconoscimento di particolari garanzie funzionali, che in parte cerca
di identificarne meglio (non senza ambiguità) funzioni specifiche ed
ambiti esclusivi di operatività.
Per quanto riguarda, invece, le misure di prevenzione, esse,
come noto, hanno rappresentato negli anni successivi all’entrata in
vigore della Costituzione, un terreno di riflessione particolarmente
fecondo, dando vita ad un filone giurisprudenziale particolarmente
ricco. In parallelo, la stessa disciplina legislativa dei poteri di
prevenzione ha subito molteplici interventi, sia in relazione alla
tipologia delle misure, sia con riferimento ai soggetti potenzialmente
destinatari delle stesse. La stessa legislazione, più volte ritoccata, è
stata poi progressivamente estesa a nuove categorie di soggetti, di
fronte alle diverse emergenze criminali che hanno minacciato, nel
corso degli anni, le istituzioni democratiche repubblicane. Ciò, in
particolare, è avvenuto in relazione alla criminalità organizzata,
all’eversione politica nonché, da ultimo, alla violenza sportiva e al
terrorismo internazionale.115
Alla luce dell’evoluzione appena ricostruita, le misure di
prevenzione hanno quindi rappresentato uno dei principali strumenti
di difesa sociale di fronte a fenomeni delittuosi inizialmente
sconosciuti e particolarmente complessi, parallelamente alla previsione
di specifiche sanzioni di natura penale. Proprio per questo, la loro
analisi critica può rappresentare una verifica “sul campo”delle
concrete modalità di attuazione delle dimensioni costituzionali della
sicurezza che si sono fin qui evidenziate e della loro progressiva
evoluzione dal punto di vista materiale.
115 Si
vedano in particolare, a partire dalla legge n. 1423/1956, le successive leggi
nn. 575/1965, 152/1975, 401/1989 e 438/2001.

94
In questo senso, infatti, esse sono misure finalizzate a garantire
la sicurezza, attraverso la prevenzione di possibili comportamenti
antisociali; incidono sulle libertà della persona, oltre che sui suoi beni;
vedono una difficile ripartizione tra compiti dell’amministrazione di
pubblica sicurezza e controllo di legalità ad opera della giurisdizione.
Incrociano, insomma, tutti i problematici confini connessi alle
dimensioni costituzionali della sicurezza.
Infine, appare rilevante ricostruire l’attuale ripartizione di
competenze in materia di “sicurezza” tra i diversi livelli di governo,
statale, regionale e locale. La più volte citata riforma del Titolo V della
Costituzione, di cui alla legge cost. n. 3/2001, infatti, ha
profondamente innovato i rapporti tra centro e periferia,
riconoscendo nuovi ed incisivi spazi di intervento non solo alle
Regioni, ma anche agli enti locali. In questo senso, pur nell’ambito
dell’espresso riconoscimento di una competenza esclusiva dello Stato
in relazione alla c.d. sicurezza in senso “stretto”, l’attuale Carta
costituzionale indica comunque la necessità di un coordinamento, sul
piano operativo, tra i diversi livelli di amministrazione, e in particolare
tra Stato e Regioni, in materia di “ordine pubblico e sicurezza” (art.
118, terzo comma, Cost.).116
Anche in questo settore, allora, alle inevitabili esigenze di
disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, confermate dalla
citata competenza legislativa statale esclusiva, si affianca la
consapevolezza, sul piano dell’attuazione amministrativa delle relative
politiche, di un coinvolgimento delle Regioni entro i limiti di una
tollerabile differenziazione a livello territoriale.
Ancora più evidente, poi, appare il ruolo delle autonomie
territoriali nell’ambito della c.d. sicurezza in senso “lato”, in primis alla
luce della già citata attribuzione di rilevanti competenze legislative alle
Regioni: dalla tutela della salute alla sicurezza del lavoro; dalla tutela
dell’ambiente, alla protezione civile; dal governo del territorio
all’assistenza sociale, fino alla polizia amministrativa regionale e locale.
Da ultimo, l’introduzione del principio di sussidiarietà verticale, di cui

116 Cfr. l’art. 118, terzo comma, Cost.: “La legge statale disciplina forme di
coordinamento fra Stato e regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del
secondo comma dell’art. 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento
nella materia della tutela dei beni culturali”.

95
all’art. 118 Cost., impegna il livello locale quale livello generale di
amministrazione, con un significativo aumento delle funzioni gestite
direttamente nell’ambito del territorio.
L’importanza di tale ulteriore dimensione della sicurezza, e
delle relative forme di coordinamento, è confermata, infine, dalla
cospicua legislazione regionale in materia di gestione integrata delle
politiche di sicurezza sul territorio, dall’esperienza dei “patti” per la
sicurezza, stipulati con sempre maggiore frequenza tra ammirazione di
pubblica scurezza e amministrazioni regionali e locali, nonché, da
ultimo, dall’espresso riconoscimento di rinnovati poteri di intervento
dei sindaci, quali ufficiali di Governo, a tutela dell’incolumità pubblica
e della sicurezza urbana.117

117 Cfr., in particolare, l’art. 6 della legge n. 125/200, che ha modificato sul punto
l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL).

96
CAPITOLO TERZO

SICUREZZA E ISTITUZIONI:
TRA GOVERNO E GIURISDIZIONE

Sommario: 1. “Sicurezza dello Stato”, “sicurezza nazionale”, “sicurezza


della Repubblica”. Il fondamento costituzionale dell’attività di informazione
per la sicurezza. 2. Servizi di informazione e segreto di Stato: i problematici
profili di sovrapposizione. 3. La legge n. 801/1977: il ruolo centrale della
Presidenza del Consiglio. 4. La legge n. 124/2007 e la riforma dei servizi di
informazione. I rapporti con l’amministrazione di pubblica sicurezza. 5.
Attività di intelligence e diritti fondamentali. La disciplina delle garanzie
funzionali. 6. Sicurezza della Repubblica e funzione giurisdizionale: verso un
bilanciamento impossibile?

1. “Sicurezza dello Stato”, “sicurezza nazionale”, “sicurezza della Repubblica”.


Il fondamento costituzionale dell’attività di informazione per la sicurezza.

L’attività dei servizi di informazione per a sicurezza, 1 come


noto, pone diversi problemi di ordine costituzionale.
Da un lato, infatti, appare caratterizzata da compiti,
organizzazione e responsabilità del tutto peculiari, in modo da
evidenziare la questione dei confini di una sua autonoma
identificazione nell’ambito dell’amministrazione statale.
Dall’altro, come vedremo, pur nelle sue peculiarità, deve
comunque essere collocata nell’ambito di un ordinamento

1 Tale funzione informativa, come noto, consiste essenzialmente nel c.d. processo
di intelligence, suddivisibile in varie fasi: a) la raccolta di notizie, documenti e
materiali; b) la loro valutazione; c) il coordinamento di quanto raccolto; d)
l’interpretazione; e) l’analisi; f) l’approntamento di situazioni e la diffusione delle
notizie elaborate e dei punti di situazione. Per una ricostruzione generale dei profili
dell’attività dei servizi, da ultimo, si veda A. Massera, C. Mosca, I servizi di
informazione, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto
amministrativo speciale, I, Milano, 2003, pagg. 533-534.
costituzionale ispirato a precise opzioni di fondo, e in particolare
figlio del costituzionalismo liberaldemocratico. Per questo, dunque,
non sembra potersi prescindere dalle origini storiche dell’attività di
spionaggio e dal ruolo via via assunto dai servizi di informazione
nell’evoluzione del moderno concetto di Stato.2
In questo senso, nel corso degli anni, e nell’ambito di
ordinamenti diversi tra loro, sono state avanzate diverse letture del
fondamento dell’attività di informazione e sicurezza. Se, infatti,
all’interno di contesti assolutistici o autoritari il concetto di ragion di
Stato, che tanto ha rappresentato nell’evoluzione del pensiero politico
moderno, può apparire un sufficiente (anche se assai sfuggente)
appiglio,3 diverso sembra dover essere l’approccio seguito alla luce
dell’affermazione dei principi del costituzionalismo liberale e dello
Stato di diritto.
Da questo punto di vista, infatti, le teorie dello stato di
necessità, variamente proposte ed elaborate, portano ad una
prospettiva in ogni caso sostanzialmente diversa, in cui si afferma un
contesto di ordinaria garanzia di un determinato assetto, ispirato a
precisi canoni organizzativi e espressamente orientato alla tutela e alla
promozione di specifici interessi, che può eccezionalmente esser
derogato al fine di salvaguardare la sua stessa esistenza. Ciò che, in
sostanza, prima era la regola, sembra divenire l’eccezione, con tutti i
problemi che ugualmente ne derivano.
In ogni caso, come è stato messo in evidenza, appare sempre
difficile fondare su un fatto normativo, di per sé espressione di una
forza derogatoria rispetto al sistema delle norme poste all’interno di
un ordinamento, la previsione di strumenti ed apparati volti a tutelare
stabilmente un particolare interesse pubblico, quale la sicurezza.4

2 Sul punto, da ultimo, si veda C. Mosca, Profili storici sui servizi di informazione e di
sicurezza, in C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, I servizi di
informazione e il segreto di Stato, Milano, 2008, pag. 5 ss.
3 Sull’importanza della dottrina della ragion di Stato e sulla sua influenza

nell’evoluzione del pensiero politico occidentale si rimanda, per tutti, a F.


Meinecke, Die idee der Staaträson in der neueren Geschichte (1924), trad. italiana L’idea
della ragion di Stato nella storia moderna, Firenze, 1977.
4 Sul punto, in generale, si vedano le osservazioni critiche di S. Labriola, Le

informazioni per la sicurezza dello Stato, Milano, 1978, pag. 40 ss.; e di G. Cocco, I servizi
di informazione e di sicurezza nell’ordinamento italiano, Padova, 1980, pag. 8 ss.

98
Dal punto di vista operativo, infatti, l’attività dei servizi di
informazione mira alla raccolta di notizie utili alla salvaguardia non
solo dell’indipendenza e dell’integrità dello Stato (generalmente
riconducibili alla politica estera e di difesa), ma anche (sul piano più
propriamente interno) finalizzate alla tutela dello Stato democratico e
delle istituzioni che ne sono a fondamento.
E’ dunque rispetto alle peculiarità di tale funzione informativa
che deve porsi il problema del suo fondamento costituzionale. Non a
caso, come vedremo, le posizioni avanzate in dottrina (soprattutto
successivamente alla riforma del 1977 e alla formalizzazione del c.d.
doppio binario) muovono tutte a partire da una ricostruzione degli
artt. 52 e 54 Cost.5
In base ad una prima ricostruzione, infatti, la funzione di
informazione si fonderebbe sul dovere di fedeltà alla Repubblica
sancito dall’art. 54 Cost.6 Secondo tale impostazione, infatti, esso non
si manifesterebbe in modo generalizzato ed eguale per tutti i cittadini,
ma si articolerebbe sulla base delle specifiche funzioni ricoperte da
ciascun soggetto (con particolare riferimento all’esercizio di potestà
pubbliche).
Dunque, in relazione all’attività di informazione, esso si
concretizzerebbe nella tutela delle garanzie costituzionali e
democratiche, con particolare riferimento al principio democratico e
ai procedimenti decisionali che ne rappresentano l’ossatura.
Diversamente, invece, si ritiene da parte di coloro che
riconducono le funzioni di informazione per la sicurezza al combinato
disposto di cui agli artt. 52 e 54 Cost., con particolare riferimento, il
primo, alla sicurezza connessa alla difesa esterna e, il secondo, alla
sicurezza sul piano interno.7
Sulla base di un’analoga lettura, il collegamento tra le due
disposizioni si concretizzerebbe alla luce del fatto che il dovere di

5 Per una ricostruzione delle diverse teorie prospettate, da ultimo, si veda A. Poggi,

Servizi di informazione e sicurezza, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XV, Torino,


1999, pag. 77 ss.
6 Così, per tutti, S. Labriola, op. cit., pag. 46 ss.
7 In questo senso, in parte anche sulla base dell’insegnamento di G. Lombardi,

Contributo allo studio dei doveri costituzionali, cit., pag. 240 ss., A. Massera, Servizi di
informazione e di sicurezza, in Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, pagg. 396-397.

99
fedeltà rappresenterebbe “un dovere di difesa dello Stato
repubblicano e delle sue istituzioni fondamentali per garantire la
possibilità di restare fedeli ai valori in esso rappresentati ed accettati”.8
Altri, poi, fondano l’attività dei servizi di informazione su di
un collegamento tra l’art. 52 Cost. e l’art. 5 Cost., attraverso
l’affermazione del sacro dovere di difesa della Patria, da declinarsi
quale finalità “di protezione della sicurezza dello Stato-comunità –
intesa come indipendenza nazionale, unità e indivisibilità della
Repubblica […] e come complesso di caratteri che ne esprimono la
democraticità – contro ogni azione violenta o comunque non
conforme allo spirito democratico”.9
Infine, sottolineando le peculiarità dei principi del
costituzionalismo liberaldemocratico accolti dal nostro testo
costituzionale, c’è chi dubita di un reale fondamento costituzionale di
tale attività, valutandone poteri e limiti esclusivamente alla luce del
sistema (quello si costituzionalmente fondato) delle libertà e della
tutela del metodo democratico.10
In ogni caso, a prescindere dalle diverse letture proposte, un
dato che sembra emergere è la generalizzata riconduzione delle attività
di informazione per la sicurezza c.d. esterna all’art. 52 Cost. e al
connesso problema della difesa militare.
Più problematico, invece, il fondamento di una specifica
funzione di informazione, propria di un’autonoma struttura
burocratica, operante sul piano della sicurezza interna. In questo
ambito, infatti, tale attività deve coordinarsi con gli specifici compiti di
prevenzione dei reati tradizionalmente riconosciuti
all’amministrazione di pubblica sicurezza. 11

8 Così G. Cocco, op. cit., pag. 50.


9 In questo senso A. Anzon, Servizi segreti, in Enciclopedia giuridica, XXVIII, Roma,
1992, pag. 1.
10 In questo senso, da ultimo, A. Poggi, op. cit., pagg. 81-82, la quale, tuttavia,

conclude manifestando una preferenza per il richiamo al dovere di fedeltà di cui al


più volte citato art. 54 Cost. “che grava principalmente sul Governo, in virtù delle
competenze istituzionali di cui è attributario e per esso, in parte, anche sui servizi”.
11 Non a caso, tutte le volte in ci è stata messa in dubbio la scelta per la

duplicazione dei servizi, ciò si è verificato con particolare riferimento all’ambito


della tutela della sicurezza interna.

100
Sul punto, però, non deve essere dimenticata la profonda
diversità (almeno dal punto di vista generale) quanto alle specifiche
finalità dei due apparati. Mentre, infatti, l’autorità di pubblica sicurezza
(come abbiamo già visto) è dotata di una competenza generalizzata in
materia di prevenzione delle situazioni o dei comportamenti
considerati socialmente pericolosi per la collettività; i servizi di
informazione per la sicurezza, a rigore, dovrebbero agire al fine di
acquisire tutte gli elementi idonei ad una più efficace gestione della
sicurezza nazionale. In questo senso, tali attività sembrerebbero poter
svolgere un ruolo propedeutico, a livello conoscitivo, rispetto a
successive decisioni sul piano più propriamente operativo.12
Tuttavia, come noto, compiti più propriamente operativi sono
riconosciuti direttamente in capo agli stessi funzionari dei servizi
informativi, anche se nell’ambito di attività in ogni caso finalizzate
all’acquisizione di determinate informazioni (o volte ad impedire, in
chiave difensiva, l’acquisizione di specifiche notizie da parte di servizi
di altri paesi). Ciò, come vedremo, pone i già citati problemi di
coordinamento con le attività proprie della polizia di sicurezza.13
Come noto, mancano puntuali prese di posizione della Corte
costituzionale sul fondamento costituzionale dei servizi di
informazione per la sicurezza.14 Tuttavia, anche se in una materia del
tutto peculiare come la tutela processuale del segreto militare, la Corte
costituzionale ha avuto modo di definire supremo “l’interesse della
sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, e cioè

12 Così, per tutti, Labriola, op. cit., pag. 24 ss., secondo il quale l’attività dei servizi di
informazione, di natura essenzialmente conoscitiva, sarebbe meramente
strumentale rispetto a decisioni eventualmente prese da altri apparati dello Stato,
con particolare riferimento ai diversi ambiti della prevenzione e repressione.
13 Sul punto, in particolare, si veda G. Cocco, op. cit., pag. 71 ss., che sottolinea le

differenze tra ordinaria attività di prevenzione della polizia di sicurezza e specifici


compiti dei servizi di informazione, rilevando comunque una particolare forza
attrattiva di questi ultimi (anche a livello operativo) ogni volta che entrino in gioco
la sicurezza dello Stato e la difesa delle sue istituzioni.
14 Come vedremo, infatti, l’attenzione della Corte è stata rivolta soprattutto alla

diversa questione della disciplina del segreto di Stato e del suo fondamento
costituzionale, anche se nell’ambito di vicende che riguardavano, come noto, il
comportamento di funzionari appartenenti ai servizi e mettevano in gioco, quindi,
(pur solo indirettamente) anche il loro complessivo ruolo istituzionale.

101
l’interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale,
indipendenza e - al limite - alla stessa sua sopravvivenza. Interesse
presente e preminente su ogni altro in tutti gli ordinamenti statali,
quale ne sia il regime politico, che trova espressione, nel nostro testo
costituzionale, nella formula solenne dell’art. 52, che proclama la
difesa della Patria sacro dovere del cittadino”.15
Queste affermazioni, pur dovendo essere contestualizzate
rispetto ai giudizi di legittimità da cui sono scaturite, evidenziano
come le esigenze della sicurezza siano ben tenute presenti dalla Corte,
anche se non toccano espressamente la complessiva attività dei servizi
di informazione, essendo limitate alla sfera della difesa militare dello
Stato. Dunque, a rigore, esse sembrano poter fondare nell’art. 52
Cost. solo una parte delle attività dei servizi di informazione per
sicurezza esterna (e, in particolare, le attività c.d. difensive, come il
controspionaggio).
Successivamente, in un’analoga occasione, la Corte ha
precisato ulteriormente le esigenze connesse alla difesa e alla sicurezza
nazionale, sviluppando il ragionamento di cui alla precedente
decisione.16 Per individuare il fondamento costituzionale del segreto
di Stato, infatti, occorre fare riferimento non solo al concetto di difesa
della Patria di cui all’art. 52 Cost., ma anche a quello di “sicurezza
nazionale”, espressamente previsto “nell’art. 126 della Costituzione ed
in numerose altre disposizioni degli Statuti delle Regioni ad autonomia
speciale”.17
15 Così la sent. n. 82/1976, su cui si vedano le osservazioni di G. Musio, Il segreto
politico-militare davanti alla Corte costituzionale; e di A. Anzon, Segreto di Stato e
Costituzione, entrambi in Giurisprudenza costituzionale, 1976, rispettivamente pag. 588
ss. e pag. 1755 ss.
16 Cfr la sent. n. 86/1977. Su tale decisione si vedano i commenti di A. Anzon,

Interrogativi sui riflessi sostanziali della nozione di segreto di Stato individuata dalla Corte
costituzionale; A.M. Sandulli, Note minime in tema di segreto di Stato; P. Pisa, Il segreto di
Stato di fronte alla Corte Costituzionale: luci ed ombre in attesa della riforma, tutti in
Giurisprudenza costituzionale, 1977, rispettivamente pag. 866 ss., pag. 1200 ss. e pag.
1206 ss.
17 “Il primo concetto, quello di difesa della Patria, può avere una accezione molto

larga ed abbracciare anche aspetti che vanno al di là di quel che in effetti merita di
trovare una protezione che valga a superare (come si vedrà in prosieguo) altri
principi che pur sono ritenuti essenziali nel nostro ordinamento costituzionale. Ma
si può osservare che in altre disposizioni il concetto di difesa assume un significato

102
Ebbene, secondo la Corte proprio a tali concetti “occorre fare
riferimento per dare concreto contenuto alla nozione del segreto
politico-militare”, ponendoli però anche “in relazione con altre norme
della stessa Costituzione che fissano elementi e momenti
imprescindibili del nostro Stato: in particolare vanno tenuti presenti
l’indipendenza nazionale, i principi dell’unità e dell’indivisibilità dello
Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri essenziali dello Stato
stesso nella formula di Repubblica democratica (art. 1). Con riguardo
a queste norme si può, allora, parlare della sicurezza esterna ed interna
dello Stato, della necessità di protezione da ogni azione violenta o
comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro
assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi
collettività organizzata a Stato e che, come si è detto, possono
coinvolgere l’esistenza stessa dello Stato. In tal modo si caratterizza
sicuramente la natura di questi interessi istituzionali, i quali devono
attenere allo Stato-comunità e, di conseguenza, rimangono nettamente
distinti da quelli del Governo e dei partiti che lo sorreggono”.18
Dunque, un fondamento costituzionale composito, che alle
esigenze strettamente militari connesse alla difesa dello Stato affianca
gli interessi connessi al concetto di sicurezza nazionale, intesa quale
tutela, sul piano interno, da ogni azione violenta di tipo eversivo,
contraria allo spirito democratico delle istituzioni repubblicane.
Chiaro, in questo senso, l’allargamento prospettico della Corte, che
estende le esigenze di tutela della sicurezza anche al profilo interno,
sostanzialmente avallando il processo di riforma dei servizi di
informazione allora in discussione in Parlamento (e non a caso
conclusosi di lì a poco).

più specifico, come nell’art. 87 Cost. che prevede un organo ad hoc denominato
Consiglio supremo di difesa e che certamente, anche nel silenzio della norma, ha
compiti attinenti in maniera rigorosa ai problemi concernenti la difesa militare e,
pertanto, la sicurezza dello Stato” (così la citata sent. n. 86/1977).
18 Secondo la Corte, quindi, “è solo nei casi nei quali si tratta di agire per la

salvaguardia di questi supremi, imprescindibili interessi dello Stato che può trovare
legittimazione il segreto in quanto mezzo o strumento necessario per raggiungere il
fine della sicurezza. Mai il segreto potrebbe essere allegato per impedire
l’accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale” (cfr. sempre la sent. n.
86/1977; forte sembra l’eco delle vicende italiane di quegli anni).

103
Come abbiamo già visto, la riforma costituzionale di cui alla
legge cost. n. 3/2001 sembra, da ultimo, avere recepito le peculiarità
dell’attività dei servizi di informazione, mettendone in risalto
l’autonomia rispetto ai tradizionali apparati di pubblica sicurezza. In
questo senso, infatti, deve leggersi il riconoscimento di due distinti
ambiti di competenza legislativa statale: il primo connesso alla
“sicurezza dello Stato” (art. 117, secondo comma, lett. d); l’altro
relativo a “ordine pubblico e sicurezza” (art. 117, secondo comma,
lett. h, Cost.).
Diversamente da quanto affermato in dottrina,19 non sembra
quindi che la nozione di “sicurezza dello Stato” appaia vaga e
indeterminata, potendosi invece chiaramente distinguere dalla nozione
di ordine pubblico e sicurezza, anche alla luce della già citata
giurisprudenza costituzionale.
Non, quindi, la tradizionale funzione di prevenzione e
repressione dei reati, di generale competenza dell’amministrazione di
pubblica sicurezza e delle forze di polizia, quanto le specifiche attività,
di tradizionale competenza dei servizi di informazione, volte alla
“protezione da ogni azione violenta o comunque non conforme allo
spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei
supremi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a
Stato” e che involgono, sul piano interno o esterno, “il supremo
interesse della sicurezza dello Stato […] alla propria integrità
territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla sua stessa
sopravvivenza”.20
Più problematica, invece, può apparire la distinzione di fronte
a minacce criminali di stampo eversivo o terroristico, la quale per loro
stessa natura possono mettere in grave pericolo il libero
funzionamento delle istituzioni democratiche e degli organi

19 Cfr. P. Bonetti, Ordine pubblico, sicurezza, polizia locale e immigrazione nel nuovo art 117
Cost., cit., in particolare pag. 501 ss. Lo stesso Autore, d’altronde, ne individua
successivamente i confini, qualificandola “materia che concerne sia l’individuazione
dei beni e degli interessi irrinunciabili dello Stato, sia l’individuazione delle minacce
o dei pericoli a tali interessi o beni, sia le misure da adottare per mantenere,
sviluppare e difendere tali interessi, inclusa la predisposizione di eventuali apparati
o servizi per le informazioni e l sicurezza (militare e civile) dello Stato”.
20 In questo senso, la più volte citata sent. n. 86/1977.

104
costituzionali della Repubblica. Qui, però, il problema non è più un
problema concettuale, dovendo piuttosto essere affrontato sul piano
del coordinamento operativo il problema connesso agli eventuali
profili di sovrapposizione tra attività di intelligence e attività
dell’amministrazione di pubblica sicurezza.21
In questo senso, come in parte già visto, il concetto di
sicurezza dello Stato sembra in qualche modo affine al concetto di
“sicurezza nazionale”, previsto dall’art. 126 Cost. quale autonomo
motivo di scioglimento del Consiglio regionale o di rimozione del
Presidente della Giunta. Tale nozione, infatti, non sembra limitata al
contrasto di specifiche situazioni di ordine pubblico,22 ma pare
evocare la necessaria tutela rispetto a gravi minacce alla tranquillità e
alla pacifica convivenza nell’ambito del territorio regionale, tali da
rappresentare un concreto pericolo per l’integrità territoriale della
Repubblica e per la sua indivisibilità.23
Da ultimo, come vedremo, il legislatore ha indicato tali delicati
ambiti di intervento con l’espressione riassuntiva di “sicurezza della
Repubblica”, rimettendone la tutela ai servizi di informazione, sotto la
diretta responsabilità del Presidente del Consiglio, quasi a voler
sottolineare l’attinenza a interessi che trascendono ciascun livello
territoriale di governo, locale, regionale, o statale, per ricondursi
direttamente alla tutela dell’ordinamento repubblicano nel suo
complesso.

21 Su tali profili, da ultimo, sia consentito un rinvio a T.F. Giupponi, Servizi di


informazione e forze di polizia dopo la legge n. 124/2007, in Astrid Rassegna, n. 10/2009,
all’indirizzo www.astrid-online.it.
22 Come, invece, nel caso di rimozione dei consiglieri comunali o provinciali, dei

componenti delle giunte o dello stesso sindaco o presidente della provincia, nonché
in caso di scioglimento dei rispettivi consigli. Tali provvedimenti, infatti, possono
essere adottati, per quanto ci interessa, in seguito al compimento di “atti contrari
alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi
motivi di ordine pubblico” (cfr. gli artt. 141, primo comma, lett. a, e 142, primo
comma, del d.lgs. n. 267/2000).
23 In questo senso, sostanzialmente, L. Paladin, Diritto regionale, Padova, 2000, pag.

432. Sul punto, però, vedi anche quanto già detto supra, Cap. II.

105
2. Servizi di informazione e segreto di Stato: i problematici profili di
sovrapposizione

Prima di procedere oltre nell’analisi del ruolo istituzionale e dei


poteri connessi all’attività di informazione per la sicurezza, anche alla
luce dell’evoluzione normativa in materia, è necessario dar conto dei
rapporti tra quest’ultima e la disciplina dei pubblici segreti, con
particolare riferimento al segreto di Stato. Come noto, attraverso tale
istituto viene tradizionalmente vietata la conoscenza e la divulgazione
di notizie in grado di compromettere la sicurezza dello Stato, sia sul
piano militare connesso alla difesa esterna, sia sul piano del contrasto
alle forme di eversione dell’ordine costituzionale.
All’entrata in vigore della Costituzione, diverse disposizioni dei
codici penale e di procedura penale del 1930 si riferivano alla tutela
del segreto di Stato, sotto entrambi i profili.24 A tali disposizioni, poi,
andavano aggiunte quelle relative alla tutela delle c.d. notizie riservate,
categoria quanto mai controversa e di difficile ricostruzione.25 Come
in molti settori dell’ordinamento, ispirati ad una concezione dello
Stato incompatibile con i principi di una democrazia costituzionale,
emergeva nettamente un contrasto con il dettato della Carta
fondamentale del 1948.26
In ogni caso, a parte qualche rara eccezione, per decenni il
dibattito sulla disciplina legislativa in materia di segreto di Stato e sulla
sua compatibilità con le disposizioni della Costituzione è stato in
qualche modo influenzato dall’attualità connessa alle note vicende

24 Si ricordano, in particolare, gli artt. 256, 257, 259, 261, 263 c.p.; nonché gli artt.
342 e 352 c.p.p. Sulla tutela penale del segreto di Stato, e sui connessi profili
problematici, si vedano, in particolare, P. Pisa, Il segreto di Stato. Profili penali, Milano,
1977; M. Chiavario (a cura di), Segreto di Stato e giustizia penale, Bologna, 1978.; G.
Paolozzi, La tutela processuale del segreto di Stato, Milano, 1983; G. De Stefano,
Sicurezza delle Repubblica e processo penale, Napoli, 2001. Da ultimo, per una
ricostruzione storica dell’evoluzione normativa in materia, si veda G. Scandone,
Profili storici, in C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, op. cit., pag.
397 ss.
25 Cfr. Gli artt. 258 e 262 c.p.; nonché il successivo r.d. n. 1161/1941.
26 Si pensi, solo per fare qualche esempio, alla tutela della libertà di manifestazione

del pensiero, sulla base dell’art. 21 Cost.; ma anche alla tutela dell’esercizio della
funzione giurisdizionale, e penale in particolare, anche alla luce dell’art. 112 Cost.

106
giudiziarie che hanno visto più volte coinvolti i vertici dei servizi di
informazione nell’ambito delle trame eversive riconducibili alla c.d.
strategia della tensione. In questo senso, quindi, la riflessione sul
segreto di Stato è andata sostanzialmente di pari passo con il dibattito
relativo ai servizi di informazione, alle loro modalità operative e ai
relativi episodi di deviazione.27
Ciò, come noto, alla luce dell’utilizzo in chiave sostanzialmente
difensiva del segreto da parte dei funzionari dei servizi implicati nelle
diverse vicende politico-giudiziarie (dallo scandalo SIFAR alle
deviazioni del SID, fino ai recenti casi che hanno coinvolti dirigenti
del SISDE e del SISMI). La conseguenza, sul punto, è stata la
sostanziale sovrapposizione di ambiti di disciplina essenzialmente
diversi.
Se, infatti, l’attività dei servizi di informazione, per sua stessa
natura, deve svolgersi in un contesto di particolare riservatezza
(circostanza che, non a caso, comunemente porta ad indicare tali
apparati con il termine di servizi segreti),28 ciò non vuol dire che ogni
attività da loro posta in essere debba essere schermata dalla disciplina
del segreto di Stato.
Quest’ultimo strumento, infatti, rappresenta una tutela al
massimo livello contro la conoscenza e la diffusione di notizie in
grado di arrecare un concreto pregiudizio alla sicurezza dello Stato;
laddove l’attività dei servizi mira invece a raccogliere informazioni
(anche di dominio pubblico) per elaborare analisi di sintesi relative a
determinate situazioni da porre all’attenzione del potere esecutivo.
Non è un caso, allora, che la gran parte della dottrina che si è
interrogata sul fondamento costituzionale del segreto di Stato lo abbia
ricondotto (pur con diverse sfumature) ai già citati artt. 52 e 54 Cost.,
analogamente a quanto avvenuto in materia di attività di informazione
per la sicurezza.29 Secondo alcuni autori, poi, segreto di Stato e servizi

27 Per una ricostruzione dei principali episodi, si veda G. Ferrari, L’avventura del
segreto nell’Italia repubblicana tra gli anni ‘60 ed ‘80, in AA.VV., Il segreto nella realtà
giuridica italiana, Padova, 1983, pag. 23 ss.; nonché, in chiave storica, G. De Lutiis,
Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, 1991.
28 Cfr. U. Fragola, L’amministrazione invisibile, Napoli, 1998.
29 Da ultimo, per una ricostruzione dei principali problemi teorici connessi al

fondamento costituzionale del segreto di Stato, si veda A. Morrone, Il nomos del

107
di informazione risulterebbero inscindibilmente connessi, alla luce
della loro comune natura strumentale rispetto alle funzioni preventiva
e repressiva dei reati.30
In realtà, come in parte già anticipato, riservatezza delle
modalità operative e tutela attraverso il segreto di Stato appaiono
attività sostanzialmente diverse: “mentre l’attività di informazione […]
è, nella sua essenza, un’attività conoscitiva, cioè un’attività che tende
ad acquisire dati, ad apprendere fatti o notizie, a svelare trame e
segreti; viceversa l’attività di segretazione tende a rendere inconoscibili
dati, notizie o attività di importanza fondamentale, altrimenti
conoscibili”.31
A tale ricostruzione, a ben vedere, non sembra possa essere
opposta l’affermazione in base alla quale “è indubbio sia che l’attività
di segretazione è strettamente correlata a quella di informazione e
sicurezza, sia che questa assume, per forza di cose, marcate
caratteristiche di segretezza”, al punto da renderla una sorta di attività
sommersa e separata.32
Tali affermazioni, infatti, sembrano ancora una volta
sovrapporre due ambiti differenti di intervento: l’uno, sicuramente,
circondato da peculiari esigenze di riservatezza; l’altro, invece, quale
strumento di massima tutela rispetto alla conoscibilità di determinate
notizie. Se, dunque, nulla esclude che gli esiti delle attività di
informazione per la sicurezza, e cioè le analisi finali prospettate su
alcune specifiche situazioni di rischio, vengano tutelate dal segreto di
Stato, ciò non vuol dire che tale esito risulti obbligato.33

segreto di Stato, tra politica e Costituzione, in Forum di Quaderni costituzionali, all’indirizzo


www.forumcostituzionale.it.
30 Così, in particolare, S. Labriola, op. cit., pag. 22 ss.
31 Cfr. G. Cocco, op. cit., pag. 37.
32 Così, da ultimo, A. Poggi, op. cit., pag. 79.
33 Solo per fare un esempio, mentre le attività c.d. difensive (come nel caso del

controspionaggio rispetto ai servizi di intelligence di altri paesi), sembrano essere


chiaramente rivolte ad impedire l’acquisizione di notizie da parte di altri servizi di
informazione, e quindi appaiono parzialmente più omogenee con gli interessi che
stanno a fondamento del potere di segretazione, così non sembra accadere nel caso
di attività c.d. offensive, le quali, invece, mirano ad acquisire informazioni utili a
garantire la sicurezza esterna (ma, con le dovute peculiarità, anche interna) dello

108
In ogni caso, tale sovrapposizione è stata il frutto (in parte
inevitabile) anche di alcune decisioni della Corte costituzionale,34 ed è
stata in qualche modo avallata dallo stesso legislatore del 1977, il quale
ha sentito la necessità di intervenire contemporaneamente in relazione
ad entrambi gli ambiti, pur nella convinzione (smentita nei fatti) della
provvisorietà delle relative norme. Da ultimo, la citata tendenza
sembra aver subito una battuta d’arresto, alla luce dell’intervento
riformatore di cui alla legge n. 124/2007.
Infatti, con tale provvedimento legislativo, come vedremo, se
da un lato si è confermata la scelta per una disciplina contestuale
dell’attività di intelligence dei servizi di informazione e della tutela del
segreto di Stato, dall’altro si sono meglio evidenziati i diversi ambiti di
intervento dei servizi.
Inoltre, con particolare riferimento alle forme di tutela delle
attività operative dei servizi, esse non sono più lasciate all’esclusivo
(ed estremo) ombrello protettivo previsto dalla disciplina del segreto
di Stato, ma risultano articolate attraverso una serie di specifiche
garanzie funzionali35 e alla luce di un articolato sistema di
classificazione a tutela della riservatezza di determinate informazioni,
per la prima volta disciplinato a livello di fonte primaria.
In ogni caso, come vedremo, ulteriori profili di
sovrapposizione non mancano, con particolare riferimento al
procedimento previsto per opporre la sussistenza della speciale causa
di giustificazione connessa alle già citate garanzie funzionali, il quale
ricalca essenzialmente quello stabilito in materia di segreto di Stato (a
sua volta in gran parte ritagliato alla luce della consolidata
giurisprudenza costituzionale in materia).

3. La legge n. 801/1977: il ruolo centrale della Presidenza del Consiglio

Gran parte delle questioni fin qui accennate sono state


all’origine della riforma di cui alla più volte citata legge n. 801/1977 la

Stato. In quest’ultimo ambito, infatti, il segreto di Stato non sembra (di per sé)
rilevare.
34 Si veda, in particolare, la sent. n. 86/1977
35 Cfr., in particolare, gli artt. 17-19 della legge n. 124/2007.

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quale, però, non le ha completamente risolte, perpetuando, in alcuni
casi, le ambiguità già segnalate.
Rispetto all’assetto normativo previgente,36 tre sembrano
essere i punti centrali della citata riforma: a) affermazione di un
importante ruolo di direzione e indirizzo del Presidente del Consiglio
in materia di politica di informazione e sicurezza; b) formalizzazione
del sistema c.d. duale, attraverso la riforma del vecchio servizio di
informazione militare (il SID, ora SISMI) e co