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SCENA PRIMA

In una torre. Albert e Ivan.

ALBERT
Costi quel che costi, io andrò
al torneo. Dammi qua l'elmo, Ivan.

(Ivan gli porge l'elmo)

È tutto un buco, è rotto! Non posso


metterlo. Devo trovarne un altro.
Che colpo eh! Maledetto conte Delorge!

IVAN
Voi però gli avete reso la pariglia:
una volta disarcionato, lì è rimasto
come un morto per un giorno intero, e
ce ne ha messo per riprendersi.

ALBERT
Eppure, lui non c'ha rimesso affatto;
la sua gorgiera veneziana è intatta;
la camicia, poi, non gli costa niente,
è sua: non dovrà comprarla nuova.
Perché non gli ho tolto subito l'elmo?
Già! Mi sono vergognato delle donne
e del duca. Maledetto conte!
Meglio m'avesse rotto la testa.
Anche d'un abito ho bisogno. L'ultima
volta, a pranzo dal duca, i cavalieri
erano tutti in ghingheri, io solo
portavo la corazza. Fui costretto
a dire che ero lì, per caso.
Ma adesso che dirò? Oh! La povertà!
La povertà! Com'è avvilente.
Quando Delorge con la sua pesante lancia
mi trafisse l'elmo e mi sorpassò,
io, a capo scoperto, spronai il buon
Emiro e gli fui sopra, catapultandolo
venti passi avanti, come un maldestro
paggio; tutte le donne s'alzarono
in piedi e con loro Clotilde che,
coprendosi il volto, si lasciò sfuggire
un grido, mentre gli araldi plaudivano
il mio gesto. Ma nessuno pensò, allora,
alla ragione di tanto ardore e tanta
sovrumana forza. Ero furioso per l'elmo
rovinato, ma la causa di tanto eroismo
fu: l'avarizia. Sì! Malattia facile
da prendere, stando sotto lo stesso
tetto di mio padre. Ma come sta il mio
povero cavallo?

IVAN
Zoppica ancora.
Non potete cavalcarlo.

ALBERT
Non posso fare altro che comprare
un baio. Lo vendono per poco.

IVAN
È vero, ma soldi non ne abbiamo.

ALBERT
Quel mascalzone di Salomone che dice?

IVAN
Dice che senza un pegno, non può
più farvi prestiti.

ALBERT
Pegni? E dove vado a prenderli?

IVAN
Io gliel'ho detto.

ALBERT
E lui?

IVAN
Sbuffa e nicchia.

ALBERT
Ma dovevi dirgli che mio padre
è ricco, da buon ebreo, e che prima
o poi io sarò suo erede.

IVAN
Gliel'ho detto.

ALBERT
Beh?

IVAN
Nicchia e sbuffa.

ALBERT
Che disgrazia!
IVAN
Voleva venire qui, lui stesso.

ALBERT
Bene! Benissimo!
Non lo mollerò senza che sganci.

(Bussano alla porta)

UN EBREO
Vostro servo umilissimo...

ALBERT
Ah! Amico mio!
Maledetto ebreo, illustre Salomone,
avvicinati; mi dicono che non ti fidi
più delle parole.
L'EBREO
Ah! Nobile cavaliere,
ve lo giuro: io vorrei, davvero,
ma non posso. Dove prendo i soldi?
Non ho più niente a forza d'aiutar
i cavalieri. Nessuno paga. Anzi,
volevo chiedervi se una parte almeno...

ALBERT
Furfante!
Credi che se avessi soldi da buttare,
starei a perder tempo qui con te?
Basta, non fare il duro, amico mio,
tira fuori i soldi. Dammi un centone,
se non vuoi che ti frughi addosso.

L'EBREO
Un centone! Magari l'avessi!

ALBERT
Ascolta!
Non ti vergogni di non dare una mano
ai tuoi amici?

L'EBREO
Vi giuro che...

ALBERT
Basta, basta!
Vuoi proprio un pegno? Roba da pazzi!
Che ti posso dare? La pelle d'un maiale;
se avessi qualcosa da impegnare, da tempo
l'avrei già venduto. Maledetto, la parola
d'un cavaliere per te non vale niente!

L'EBREO
La vostra parola,
finché vivete, basta ed avanza.
Come un talismano, v'apre i più pregiati
scrigni di Fiandra.
Ma se la date a me, povero ebreo,
e nel frattempo - Dio non voglia -
voi morite, in mano mia sarebbe
come la chiave d'un cofanetto,
buttato in fondo al mare.

ALBERT
Vuoi che mio padre mi sopravviva?

L'EBREO
Chissà! Non siamo noi a decidere;
un giovane si corica la sera
arzillo ed al mattino è morto,
così quattro vecchietti portano
a spalle la sua bara.
Il barone sta bene. Voglia Iddio
concedergli altri dieci, venti o
trent'anni di vita.

ALBERT
Ma cosa stai dicendo? Tra trent'anni
io toccherò i cinquanta e allora,
a cosa mi serviranno i soldi?

L'EBREO
I soldi? I soldi
servono ad ogni età. Per un giovane
sono i lesti servitori che lui
spedisce di qua e di là. Per un vecchio,
invece, sono gli amici fedeli ch'egli
tutela come la pupilla dei suoi occhi.

ALBERT
Ah, per mio padre non sono né amici
né servitori, ma suoi padroni. Li
serve come uno schiavo negro, come
un cane da guardia. Vive in una tana
fredda, beve acqua, mangia croste
secche, non dorme mai e non fa altro
che correre e latrare. Mentre l'oro,
tranquillo, se ne sta chiuso nei forzieri.
Ma vedrai, che prima o poi è me che
dovrà servire, e allora, addio pace!
L'EBREO
Certo, al funerale del barone,
scorrerà più danaro che lacrime.
Che Dio vi faccia erede quanto prima!

ALBERT
Amen!

L'EBREO
Si potrebbe...

ALBERT
Cosa?

L'EBREO
Così. Pensavo. Un mezzo ci sarebbe...

ALBERT
Quale?

L'EBREO
Conosco un vecchietto,
un ebreo, un povero speziale...

ALBERT
Uno strozzino come te, oppure
un po' più onesto?

L'EBREO
No, cavaliere, Tobia ha un'altra
attività. Prepara delle gocce che...
sono un vero portento.

ALBERT
A che mi servono?

L'EBREO
Bastano tre gocce in un bicchiere...,
non hanno né colore né sapore,
ed uno crepa, senza crampi, senza
nausee e senza alcun dolore.

ALBERT
Il tuo vecchietto traffica in veleni.

L'EBREO
Sì, anche.

ALBERT
Cosa? Invece del danaro mi proponi
un ducento fialette di veleno, a
dieci soldi l'una. Non è così?

L'EBREO
Volete scherzare! Nient'affatto!
Io volevo... forse, voi... pensavo
che per il barone fosse tempo di morire.

ALBERT
Cosa? Avvelenare mio padre! Come osi,
figlio d'un... Ivan, tienilo fermo!
Tu hai osato... ma lo sai, sporco
giudeo, cane, razza di vipera! Che io
t'appendo a quella trave?

L'EBREO
Ho sbagliato!
Perdonatemi: scherzavo.

ALBERT
Ivan, la corda.

L'EBREO
Io... io scherzavo.

ALBERT
Vattene via, cane maledetto! (L'ebreo esce)
Ecco a che punto mi spinge l'avarizia
di mio padre! Cosa ha osato propormi
quell'ebreo! Dammi un bicchiere di vino,
tremo tutto... Eppure quel danaro
mi serve. Rincorrilo! Prendi i soldi
e portami penna e calamaio. Gli darò,
a quel furfante, una ricevuta. Ma non
portarlo qua, quel Giuda!... No, aspetta!
Il suo danaro puzza di veleno,
come quello dei suoi avi... Avevo
chiesto del vino.

IVAN
Non ce n'è più; nemmeno una goccia.

ALBERT
E quello che dalla Spagna, in dono
m'ha spedito Ramon?

IVAN
L'ultima bottiglia l'ho portata
al fabbro, ieri; era ammalato.

ALBERT
Ah, sì, ricordo.
Dammi dell'acqua, allora! Maledetta vita!
No, ho deciso: andrò dal duca e mi
farò sentire. Che costringano mio padre
a trattarmi come un figlio e non come un
topo, venuto al mondo in uno scantinato.

SCENA SECONDA

Un sotterraneo.

IL BARONE
Come il giovin signore, altro non aspetta
che d'incontrarsi con una furba cortigiana,
o con una sciocca da lui sedotta, così io
tutto il giorno non aspetto altro che
di recarmi al mio segreto nascondiglio,
ai miei fidati scrigni. Giorno fausto,
questo, se il sesto scrigno (quello non
ancora pieno) posso riempire d'una manciata
d'oro. Non è molto, certo, ma poco a poco
aumenterà. Ho letto da qualche parte
che una volta un re ordinò ai suoi fedeli
d'ammassare della terra con le mani
fino a farne un bel colle da cui,
felice, poteva guardare la distesa dei
suoi bianchi accampamenti e il mare
dalle sue veloci navi attraversato.
Così anch'io, portando con queste mie
povere mani, qui nel sotterraneo, il mio
solito tributo, mi sono eretto il mio
colle personale, dalla cui cima posso
guardare tutto quanto è in mio potere.
Cosa mi sfugge? Come un demone io da qui
posso l'intero mondo governare;
a un mio cenno, sorgeranno palazzi;
nei miei parchi meravigliosi le ninfe,
a frotte allegre, arriveranno; e le muse
i loro doni porteranno; un servizievole
genietto per me si darà da fare; e la
virtù e la fatica sapranno i miei premi
attendere. Ad un mio fischio, obbediente
arriverà strisciando fino a me, anche
l'orribile delitto, leccherà la mia mano,
mi guarderà negli occhi, pronto a cogliere
il segno d'un mio comando.
Tutto mi obbedisce - ed io a nessuno.
Superiore ad ogni desiderio, sono
sereno. Conosco il mio potere: quello
che ho, mi basta. (Guarda il suo oro)
Può sembrar poco,
ma quante inquietudini, inganni,
lacrime, preghiere, maledizioni
umane rappresenta! Questo
doblone antico, per esempio. Proprio
oggi me l'ha dato una vedova, dopo
aver pianto con i suoi tre figli,
in ginocchio, per un giorno intero,
sotto la finestra.
Pioveva, poi smetteva e ripioveva,
ma l'ipocrita stava sempre lì; potevo
scacciarla, ma qualcosa mi diceva che
era venuta il debito a pagare, per non
esser l'indomani messa dentro.
E questo qua? Tibot, me l'ha portato.
Dove l'avrà mai preso quel furfante
fannullone? L'avrà, certo, rubato;
o, forse, per strada, di notte, in un bosco...
Sì! Se tutto il sangue, il sudore e
le lacrime versate per questo tesoro
qui custodito, sgorgassero dal sottosuolo
all'improvviso, ci sarebbe un nuovo diluvio
ed io, di certo, nei miei amati antri,
affogherei... Ma è il momento!

(Tenta di aprire un forziere)

Ogni volta che voglio aprire un forziere,


mi prende una febbre e dei tremori.
Non è paura (no, certo! Non ho niente
da temere! Ho con me la mia fida spada
che il mio oro difenderà) eppure...
mi sento oppresso da una strana sensazione...
È scientificamente accertato che c'è
gente a cui piace ammazzare.
Quando infilo la chiave nella toppa,
provo la stessa cosa di chi trafigge
una vittima: un piacere misto a un
grande orrore. (Apre il forziere)
Questa è beatitudine! (Versa dentro il danaro)
Dentro! Basta andare in giro per il
mondo, servi delle passioni e dei bisogni
umani, dormite ora il sonno potente della
pace, come gli dèi nei loro alti cieli...
Oggi, voglio prepararmi una gran festa:
accenderò una candela per ciascun forziere,
poi li aprirò tutti e nel mezzo me ne starò
a guardare quei bei mucchi luccicanti.

(Accende le candele e apre uno dopo l'altro tutti i forzieri)


Sono io il re!... Che magico splendore!
Io controllo le forze di questo mio potere,
che per me è tutto: felicità, gloria e onore.
Sono io il re!... Ma chi dopo di me,
ne prenderà il potere? Il mio erede.
Un pazzo, un giovane sprecone,
compagno di depravati fannulloni.
Appena morirò, lui scenderà subito qui
sotto, in questi luoghi silenziosi e calmi,
con una folla di questi avidi e scaltri adulatori.
Sottratte le chiavi al mio cadavere,
aprirà tra le risa i miei forzieri.
E questi miei tesori spariranno nelle tasche
bucate di quei dandy.
Fracasserà le sacre coppe,
spargendo a terra il balsamo regale.
Tutto sperpererà... ma con che diritto?
Come se tutto questo mi fosse stato
regalato o vinto al gioco, come fa
qualcuno che tira i dadi e accumula fortuna.
Nessuno sa quante amare rinunce,
quante passioni soffocate e tetri
pensieri e diurne angosce e notti
insonni, tutto questo m'è costato!
E magari mio figlio dirà che
avevo un cuore arido, che ignoravo
desideri e rimorsi di coscienza.
Già! La coscienza, questo adunco rapace
che dilania il cuore, ospite sempre
inopportuno, che fastidioso si inserisce per
riscuotere i suoi crediti, questa
strega che la luna oscura, le tombe
scoperchia per farne uscire i morti.
No! Si dia prima da fare per la sua
ricchezza, vedremo poi se sarà ancora
così sciocco da sperperare quello
che il sangue gli è costato.
O, se da sguardi indegni nascondere
potessi questa mia tana! Se potessi
resuscitare e far la guardia ai miei
forzieri, per proteggere dai vivi,
come ora, il mio tesoro!...

SCENA TERZA

A Palazzo. Albert e il duca.

ALBERT
Credetemi signore! A lungo ho sopportato
l'onta amara della povertà! Se non fossi
al limite, non starei a lamentarmi.

IL DUCA
Vi credo, un cavaliere del vostro rango
non accusa, senza ragione, il padre.
Anche se non manca chi... State tranquillo,
a vostro padre parlerò io a quattr'occhi.
Lo sto aspettando. Da tempo non lo
vedo. Era amico di mio nonno. Da
bambino, ricordo, salire mi faceva sopra
il suo cavallo e in testa mi metteva,
come una campana, il suo pesante elmo.

(Guarda dalla finestra)

Chi è là?
Magari è lui.

ALBERT
È proprio lui, signore.

IL DUCA
Entrate in quella stanza. Vi farò
un segnale.

(Albert esce, entra il barone)

Barone, sono contento di vedervi


in piena salute.

IL BARONE
Ed io, signore, sono felice
di poter rispondere a un vostro invito.

IL DUCA
È passato molto tempo, barone.
Vi ricordate di me?

IL BARONE
Io, signore?
Mi pare di vedervi come allora.
Eravate un ragazzetto sveglio.
Il vostro defunto nonno mi diceva:
«Filippo (lui mi chiamava sempre
così) tra vent'anni, davanti a questo
piccolo, saremo due babbei...». Quello,
eravate voi...

IL DUCA
Vediamoci più spesso. Voi avete
dimenticato casa mia.

IL BARONE
Io sono vecchio, signore, la mondanità
non è per me. I tornei e le feste
piacciono a voi giovani. A me non
dicono più niente. Se ci toccasse, però,
una guerra, sarei ancora pronto, pur
con qualche affanno, a rimontare in sella;
per voi la mia mano tremante riuscirebbe
ancora a sfoderar la spada.

IL DUCA
Barone, ci è noto il vostro zelo;
eravate amico di mio nonno e mio
padre vi stimava molto. Io vi conosco
come fidato e ardito cavaliere.
Ma sediamoci. Avete figli, barone?

IL BARONE
Uno solo.

IL DUCA
Come mai, non è qui a casa mia?
Voi, forse, v'annoiate, ma a lui,
data l'età, potrebbe far piacere.

IL BARONE
Lui non ama il chiasso e la mondanità.
È scontroso e di indole cupa;
come un cerbiatto, gli piace errare
per i boschi del castello.

IL DUCA
Non gli fa bene chiudersi. Dobbiamo
abituarlo all'allegria, ai balli ed
ai tornei. Mandatelo da me; assegnategli
una somma, pari al suo rango...
Qualcosa v'ha alterato? Forse il viaggio
v'ha stancato?

IL BARONE
No, signore, non sono stanco;
sono solo turbato. Non volevo
ammetterlo, ma voi m'obbligate a dire
di mio figlio, ciò che avrei voluto
tenervi nascosto. Signore, disgraziatamente
egli non merita né i vostri favori,
né la vostra attenzione. Conduce
la sua giovinezza tra intemperanze
e i più bassi vizi.
IL DUCA
Questo perché, barone, è solo.
Solitudine ed ozio sono la rovina
dei giovani. Mandatelo qui a corte,
perderà queste brutte abitudini,
frutto dell'isolamento.

IL BARONE
Perdonatemi signore, ma a questo
non posso acconsentire.

IL DUCA
E perché mai?

IL BARONE
Abbiate riguardo di un vecchio...

IL DUCA
Esigo che voi mi confidiate la ragione
di questo vostro rifiuto.

IL BARONE
Sono in collera con mio figlio.

IL DUCA
E per cosa?

IL BARONE
Perché s'è comportato male.

IL DUCA
Cosa ha fatto?

IL BARONE
Abbiate riguardo di un vecchio...

IL DUCA
È molto strano,
forse, vi vergognate di lui?

IL BARONE
Sì... è vero.

IL DUCA
Ma cosa ha fatto?

IL BARONE
Mi... mi... voleva assassinare.

IL DUCA
Assassinare! Allora, lo denuncerò
come un infame delinquente.

IL BARONE
Non posso dimostrarlo, ma io so
che attende solo la mia morte;
so anche che ha tentato...

IL DUCA
Cosa?

IL BARONE
Di derubarmi.

(Albert entra di corsa nella stanza)

ALBERT
Barone, voi mentite!

IL DUCA (al figlio)


Ma come avete osato?

IL BARONE
Tu qui? Tu, tu, come osi...
dire questo a tuo padre? Dire che
mente! E davanti al duca! A me, a me
che sono un cavaliere!

ALBERT
Siete un bugiardo.

IL BARONE
Giustizia divina, perché non scagli
la tua folgore? Raccogli, allora,
sarà la spada a giudicare!

(Getta il guanto che il figlio s'affretta a raccogliere)

ALBERT
Vi ringrazio! Questo è il primo dono
di padre.

IL DUCA
Cosa vedo davanti a me? Un figlio
che raccoglie la sfida del vecchio
padre! In che tempi ho assunto il
titolo ducale! Silenzio! Tu sei un pazzo
e tu un piccolo tigrotto! Basta!

(Al figlio)
Lasciate la spada e restituitemi
quel guanto. (Glielo toglie)

ALBERT (a parte)
Peccato!

IL DUCA
Con gli artigli l'avevi afferrato!
Mostro! Andate e non osate ai miei
occhi comparire, finché non sarò io
a chiamarvi. (Albert esce)
E voi, vecchio sciagurato,
non vi vergognate...?

IL BARONE
Perdonate, signore...
non sto più in piedi... le mie ginocchia
si piegano... soffoco!... soffoco!
Le mie chiavi. Dove sono? Le
mie chiavi, le mie chiavi!...

IL DUCA
È morto! Dio mio!
Che brutti tempi! Che brutta gente!

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