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Portella della Ginestra  

1º maggio 1947 

La strage di Portella della Ginestra fu un eccidio commesso il 1º maggio 1947 in località Portella della


Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, da parte della banda criminale del
bandito Salvatore Giuliano che sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei
lavoratori, provocando undici morti e numerosi feriti.
Le motivazioni della strage, che nei giorni successivi fu seguita da assalti a sedi dei partiti di sinistra e
delle camere del lavoro della zona, risiedono, oltre che nella dichiarata avversione del bandito nei
confronti dei comunisti, anche nella volontà dei poteri mafiosi e dell'indipendentismo siciliano.
Nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, sono certe le responsabilità degli ambienti politici
siciliani interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra e aveva votato per
il Blocco del Popolo nelle elezioni del 1947.
Nel 1947, all’apertura del secondo dopoguerra, si tornava a festeggiare il 1º maggio la festa dei
lavoratori, spostata al 21 aprile, ossia al Natale di Roma, durante il regime fascista.
Circa duemila i lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, e altri da San Giuseppe Jato e San
Cipirello, molti dei quali agricoltori, si erano riuniti a Portella della Ginestra, una località montana del
comune di Piana degli Albanesi per manifestare contro il latifondismo a favore dell'occupazione delle
terre incolte e festeggiare la recente vittoria del Blocco del Popolo, l'alleanza tra i socialisti di Nenni e i
comunisti di Togliatti alle elezioni dell'assemblea regionale siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell'anno e
nelle quali la coalizione PSI-PCI aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 32% circa dei voti)
contro i 21 della DC (crollata al 20% circa). La località fu scelta perché alcuni decenni prima vi aveva
tenuto alcuni discorsi Nicola Barbato, una delle figure simbolo del socialismo siciliano. La
manifestazione era incentrata sulla sperata riforma agraria ed era stata preceduta nell'ottobre del 1944
dall'occupazione delle terre incolte che venne legalizzata dal Ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo, che
cercava così di sopperire alla povertà diffusa, il quale con alcuni decreti permise l'occupazione dei
terreni non utilizzati imponendo una diversa ripartizione dei raccolti che favoriva maggiormente gli
agricoltori rispetto ai proprietari rispetto alle consuetudini fino ad allora vigenti in Sicilia e che venne
visto come motivo di potenziale rivolgimento sociale che avrebbe alterato gli equilibri politici della
regione gestiti anche dalla mafia.
La strage venne organizzata il giorno prima a seguito di una lettera ricevuta da Salvatore Giuliano e da
lui subito bruciata. Questi, insieme ai suoi uomini, si recarono quindi sul promontorio dal quale si
dominava la vallata; durante il tragitto sequestrarono due ignari cacciatori che avevano incrociato per
caso per evitare che potessero raccontare qualcosa. Verso le 10 del mattino, un calzolaio di San
Giuseppe Iato diede inizio al comizio in sostituzione di Girolamo Li Causi, un deputato del Pci, quando
improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si
protrassero per circa un quarto d'ora e lasciarono sul terreno undici morti (otto adulti e tre bambini) e
ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate. I primi colpi erano stati
inizialmente scambiati per dei mortaretti, ma anche quando ci si rese conto della loro reale natura, la
mancanza di ripari impedì a molti di mettersi in salvo.
Nel mese successivo alla strage di Portella della Ginestra, avvennero attentati con mitra e bombe a
mano contro le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe
Jato e San Cipirello, provocando in tutto un morto e numerosi feriti: sui luoghi degli attentati vennero
lasciati dei volantini firmati dal bandito Salvatore Giuliano che incitavano la popolazione a ribellarsi
al comunismo.
La CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue
le organizzazioni dei lavoratori”. Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare a Portella della Ginestra
e a compiere gli attentati contro le sedi comuniste erano stati gli uomini del bandito
separatista Salvatore Giuliano, ex colonnello dell'E.V.I.S. (Esercito volontario per l’indipendenza della
Sicilia) Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento a "elementi reazionari in
combutta con i mafiosi".
l processo iniziatosi nel 1950, dapprima istruito a Palermo poi spostato a Viterbo  si concluse
nel 1953 con la conferma della tesi che gli unici responsabili erano Giuliano (ormai ucciso il 5 luglio
1950 da Gaspare Pisciotta, ma ufficialmente per mano del capitano Antonio Perenze) e i suoi uomini,
che furono condannati all'ergastolo. Durante il processo, il bandito Pisciotta, oltre ad attribuirsi
l'assassinio di Giuliano, lanciò pesanti accuse contro i deputati monarchici Giovanni Alliata Di
Montereale, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso e anche contro i
democristiani Bernardo Mattarella e Mario Scelba, da lui accusati di aver avuto incontri con il bandito
Giuliano per pianificare la strage: tuttavia la Corte d'Assise di Viterbo dichiarò infondate le accuse di
Pisciotta poiché il bandito aveva fornito nove diverse versioni sui mandanti politici della strage

Oltre a quello denunciato da Pisciotta, ci furono altre ipotesi sui mandanti. Una di queste fu quella
sostenuta da Girolamo Li Causi in sede parlamentare, dalle forze di sinistra e dalla CGIL, secondo la
quale il bandito Giuliano era solo l'esecutore del massacro: i mandanti, gli agrari e i mafiosi, avevano
voluto lanciare un preciso messaggio politico all'indomani della vittoria del Blocco del Popolo alle
elezioni regionali.
Sul movente dell'eccidio furono formulate alcune ipotesi già all'indomani della tragedia. Il 2 maggio
1947 il ministro dell'Interno Mario Scelba intervenne all'Assemblea Costituente, affermando che dietro
all'episodio non vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma che doveva essere considerato un fatto
circoscritto.

Salvatore Giuliano
Salvatore Giuliano, noto come il bandito Giuliano, il Re di Montelepre, detto "Turiddu" (Montelepre, 16
novembre 1922 – Castelvetrano, 5 luglio 1950), è stato un brigante italiano. A capo di una banda
armata, per alcuni mesi sfruttò la copertura dell'EVIS, il braccio armato del Movimento Indipendentista
Siciliano attivo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ma il suo nome resta principalmente
legato alla strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947), in cui morirono undici persone e altre
ventisette rimasero ferite. Il 5 luglio 1950 il ventisettenne Giuliano venne ritrovato morto nel cortile della
casa di un avvocato di Castelvetrano: un comunicato del Comando forze repressione
banditismo annunciò ufficialmente che era stato ucciso in un conflitto a fuoco avvenuto la notte
precedente con un reparto di carabinieri alle dipendenze del capitano Antonio Perenze, un ufficiale del
colonnello Luca. Sin dall'inizio apparvero però diverse incongruenze nella versione degli inquirenti sulla
fine del bandito. Giuliano fu ucciso dal Pisciotta nel sonno nella casa di Castelvetrano dove si
nascondeva; il cadavere sarebbe poi stato trasportato nel cortile della casa stessa, dove gli uomini del
colonnello Luca e del capitano Perenze inscenarono una sparatoria per permettere a Pisciotta di
fuggire e continuare così la sua opera di confidente sotto copertura.[3] Successivamente
nel 1954 Pisciotta fu avvelenato nel carcere dell'Ucciardone dopo aver bevuto del caffè con
della stricnina.
Sulla morte di Giuliano esistono almeno cinque differenti versioni ed è stata oggetto di segreto di
Stato fino al 2016. Alcuni, come il ricercatore storico Giuseppe Casarrubea, addirittura sostengono che
il Giuliano morto in Sicilia fosse un sosia, e che il vero Salvatore fu fatto fuggire all'estero oppure
divenne latitante e fu ucciso solo alcuni anni più tardi, in un bar di Napoli, con un caffè al cianuro.
Secondo un'ultima ipotesi, al posto del bandito fu ucciso, forse intenzionalmente, un suo sosia, per
essere poi tumulato al suo posto. Per queste ragioni lo studioso Giuseppe Casarrubea ha chiesto alla
Procura di Palermo di riaprire la bara tumulata nella cappella della famiglia Giuliano a Montelepre per
accertarne l'identità. La riesumazione è avvenuta il 28 ottobre 2010 ma l'esame del DNA e gli
accertamenti medico-legali hanno confermato che i resti sepolti nella tomba della famiglia Giuliano
appartengono realmente al bandito e quindi l'inchiesta è stata archiviata

Portella della Ginestra


di Ignazio Buttitta

Nta lu chianu dâ Purtedda chiusa a 'n menzu a ddu' muntagni


c'è 'na petra supra l'erba pi ricordu a li compagni.
A l'addritta nni 'sta petra a lu tempu di li Fasci 
un apostulu parrava di lu beni pi cu nasci.
E di tannu finu a ora a Purtedda dâ Ginestra
quannu veni 'u primu maggiu 'i cumpagni fannu festa...

E Giulianu lu sapìa ch'era 'a festa di li poveri,


'Na jurnata tutta suli doppu tantu tempu a chiòviri
Cu ballava, cu cantava, cu accurdava li canzuni
E li tavuli cunzati di nuciddi e di turrùni!

Ogni asta di bannera, era zappa, vrazza e manu


Era terra siminata, pani càudu, furnu e granu.

La spiranza d'un dumani chi fa 'u munnu 'na famigghia


La vidèvunu vicinu e cuntavunu li migghia,
l'uraturi di ddu jornu jera Japicu Schirò,
dissi: « Viva 'u primu maggiu », e la lingua ci siccô.

Di lu munti 'i la Pizzuta ch'è l'artura cchiù vicina


Giulianu e la so banna scatinô 'a carneficina.

A tappitu e a vintagghiu,
mitragghiavunu la genti
Comi fauci chi meti
cu lu focu 'ntra li denti,
c'è cu cianci spavintatu,
c'è cu scappa e grida ajutu,
c'è cu jetta 'i vrazza a l'aria
a difìsa comu scutu..

E li matri cu lu ciatu,
cu lu ciatu - senza ciatu:
– Figghiu miu, corpu e vrazza
comu 'nchiommur' aggruppatu!

Doppu un quartu di ddu 'nfernu, vita, morti e passioni,


'i briganti si nni jeru senza cchiù munizioni,
arristàr a menzu ô saŋŋu e 'ntà l'erba di lu chianu,
vinti morti, puvireddi, chi vulìanu un munnu umanu..
E 'nta l'erba li ciancèru matri e patri agginucchiati,
cu li lacrimi li facci ci lavàvunu a vasàti.

Epifania Barbatu, cu lu figghiu mortu 'nterra dici:


« A li poveri, puru ccà, ci fannu a guerra... »
Mentri Margarita la Glisceri, ch'era ddà cu cincu fìgghi
arristô morta ammazzata, e 'nto ventri avea 'u sestu figghiu...
'A 'ddu jornu, fu a Purtedda, cu ci va doppu tant'anni,
vidi morti 'n carni e ossa, testa, facci, corpa e jammi,
vivi ancora, ancora vivi e 'na vuci 'n celu e 'n terra,
e 'na vuci 'n celu e 'n terra: O justizia, quannu arrivi?
O giustizia, quannu arrivi?!!

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