Sei sulla pagina 1di 2

Nelle prossime settimane pubblicheremo parecchi post sul tema delle carte dei vini dei

ristoranti e osterie italiane. Iniziamo con svelarvi alcuni “trucchi del mestiere” che secondo
me servono per valutare in maniera critica il valore di una carta dei vini.
Non parlerò di questione estetiche o pornografiche, come la forma “fisica” della carta (che
oggi va dal classico librone al modernissimo iPad), oppure del disordine e delle
mostruosità ortografiche con cui vengono riportati i nomi dei vini: queste simpatiche
amenità saranno eventualmente oggetto di altri post.
Intendo soffermarmi su alcune osservazioni, e conseguenti meccanismi mentali, che si
mettono in campo quando si apre una carta dei vini per scegliere cosa bere ma anche per
valutare com’è fatta e quanto ne capisce il proprietario.
1) Prima domanda, su chi prende le decisioni: ma chi l’ha fatta la carta dei vini? Il
proprietario del locale (o chi per lui si occupa del vino) oppure un distributore e/o agente
di commercio della zona?
Se si conoscono i cataloghi dei distributori di vino spesso la risposta è quasi immediata:
carta dei vini e catalogo sono pressoché uguali. Ma se non si conoscono i cataloghi – e mi
rendo conto è una conoscenza un po’ inutile nella vita quotidiana di un comune mortale –
c’è un altro modo per scoprire chi fa la carta: basta scegliere due-tre etichette piuttosto
insolite e chiedere all’oste “cosa mi dice di questi vini …”. Se questo comincia a
cincischiare senza sapere bene cosa dire, o peggio comincia a recitare noiosamente il
breviario allegato al catalogo, allora hai certezza che la lista l’ha fatta qualcun altro; se
invece si infervora e spende alcuni dei suoi preziosi minuti – la sala è piena, e non si può
stare più di 2 minuti al tavolo (ma 2 minuti sono più che sufficienti) – per raccontarti i vini
in oggetto e le aziende che li producono allora capisci che è lui “che comanda” la cantina .
2) Seconda domanda, sulla lunghezza/consistenza della carta: se chiedi “ma quanto vino
vendete in un anno?” spesso la risposta del patron del locale è “boh!”.
Ne consegue che gli acquisti – soprattutto in passato, ora “per fortuna” c’è la crisi e allora
si prova a essere più attenti – sono sempre stati superiori alle vendite. E te ne accorgi
quando ti passano sotto gli occhi le “giacenze invendute”: vini che non sono in carta
perché giustamente e saggiamente invecchiati in cantina, ma perché nessuno li ha mai
comprati. Un esempio: stessa azienda – che fa vini di “pronta beva” che escono in annata,
o appena lo concede il disciplinare – della quale vengono segnalati un Custoza 2010 e un
Bardolino 2008; oppure una Nosiola 2009 e un Teroldego 2006 …
La lunghezza della carta – lo diciamo chiaramente, e su questo concetto ci torneremo
anche in futuro – non è necessariamente sinonimo di buona carta, o di ricerca meditata
sui vini: tra una carta che presenta 200 vini – di cui almeno 150 comprati alla Metro o alla
Lidl – e una carta con 20-30 etichette scelte con cura non ho dubbi: meglio la seconda!.
3) Terza domanda, sull’identità del locale: ma visto il genere di cucina che fai, perché ci
sono questi vini in carta? Le risposte spesso sono veramente curiose.
È stato un cliente affezionato che mi ha consigliato l’acquisto di questo vino: beh, questa è
una buona cosa, ma “il personaggio” dovrebbe però impegnarsi a berne almeno la metà,
perché quel vino piace solo a lui (spesso perché l’azienda è del cugino della moglie). È
stato un agente di commercio un po’ imbroglione che te li ha rifilati, senza farti balenare
per la testa che 72 bottiglie di Aglianico del Vulture – seppure buonissimo e “di grido” – in
un locale che propone prevalentemente pesce di lago non le venderai mai … Hai ereditato
dalla gestione precedente, che faceva cucina di pesce, una cantina sostanziosamente
piena di bianchi, ma tu hai deciso di puntare sulla selvaggina e sulla carne alla griglia …

L’armonia tra la proposta di cucina e la proposta vinosa è fondamentale nel giudizio sulla
carta dei vini e sul locale in genere. Se fai una cucina “di ricerca”, piuttosto elaborata ed
estrosa, non puoi avere la lista dei vini più banale del mondo, con le stesse etichette
dell’Iper più vicino …; viceversa se fai cucina tradizionale umbra – e la fai piuttosto bene,
ricercando le migliori materie prime del territorio – sembra piuttosto fuori luogo tenere
tutta quella sfilza (accattivante per certi versi, tutti vini buonissimi …) di etichette di piccoli
produttori della Valle Isarco.
La carta dei vini a mio avviso deve “essere in linea” con il tenore e le aspettative del
locale: da un ristorante stellato mi aspetto una cosa, dalla semplice osteria di paese
un’altra; se trovi una proposta uguale nei due locali non va bene (specifico però che anche
l’osteria “alla buona” – dove vai a mangiare le fantastiche tagliatelle fatte dalla “signora” e
poco altro – dovrebbe avere 10 vini buoni in croce, non è più pensabile che non ci siano).
Di piccoli “segreti” come questi ce ne sarebbero ancora, ma non si può dirvi tutto subito …
a presto quindi!

Potrebbero piacerti anche