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LA VITA

Luigi Pirandello nasce nel 1867 a Girgenti (ribattezzata Agrigento durante il fascismo) in una
famiglia borghese (il padre dirigeva miniere di zolfo). Si laureò in lettere all’università di Bonn con
una tesi sul dialetto della sua città. In Germania entrò in contatto con la cultura romantica che ebbe
profonda influenza nella sua opera.
Nel 1893 scrisse il suo primo romanzo, l’esclusa. Nel 1894 sposò Maria Antonietta Portulano. Nel
1897 iniziò ad insegnare lingua italiana come supplente presso l’Istituto Superiore di Magistero di
Roma.
Nel 1903 un allagamento delle miniere di zolfo nelle quali il padre aveva investito tutto il suo
patrimonio e quello della nuora, provocò il dissesto economico della famiglia. Il fatto ebbe
conseguenze drammatiche nella vita di Pirandello. Alla notizia del disastro la moglie, il cui
equilibrio psichico era già fragile, ebbe una crisi che la portò irreversibilmente alla follia. La
convivenza con la moglie costituì per Pirandello un tormento continuo, che può essere visto come il
germe della sua concezione della famiglia come trappola che imprigiona e soffoca l’uomo.
Con il dissesto economico mutò anche la condizione sociale di Pirandello che fu costretto, per
integrare lo stipendio di insegnante, ad intensificare la produzione di novelle e romanzi. Lavorò
anche per il cinema scrivendo soggetti per film. Il declassamento sociale gli fornì lo spunto per la
rappresentazione del grigiore soffocante della vita piccolo borghese e del rifiuto per i meccanismi
sociali alienanti, sentiti come trappola in cui l’uomo si dibatte senza successo.
Il primo contatto con il mondo teatrale avvenne nel 1910, ma solo dopo il 1915 divenne soprattutto
scrittore per il teatro. Scrisse e fece rappresentare una serie di drammi che modificavano
profondamente il linguaggio della scena del tempo: Pensaci Giacomino, Liolà, Così è (se vi pare), il
berretto a sonagli, il giuoco delle parti. Erano gli anni della guerra e Pirandello aveva visto con
favore l’intervento, considerandolo come il compimento del processo risorgimentale, ma la guerra
incise dolorosamente sulla sua vita: il figlio Stefano, partito volontario, fu fatto prigioniero e in
conseguenza di ciò la malattia mentale della moglie si aggravò.
Il successo del teatro di Pirandello arriva a partire del 1920. nel 1921 scrisse sei personaggi in cerca
d’autore. I suoi drammi vennero rappresentati in tutto il mondo.
Nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, Pirandello si iscrisse al partito fascista, e questo gli servì
per ottenere appoggi da parte del regime. Dopo un iniziale entusiasmo, pur evitando ogni forma di
rottura o di dissenso, Pirandello aumentò il suo distacco dal regime fascista.
Le sue opere vennero raccolte in pubblicazioni organiche: le Novelle per un anno, che
raccoglievano la sua produzione novellistica, e le Maschere nude, in cui venivano sistemati i testi
drammatici. Nel 1934 gli venne assegnato il premio Nobel per la letteratura. Ammalatosi di
polmonite morì nel 1936 lasciando incompleto il suo ultimo lavoro teatrale “I giganti della
montagna” dedicato ai miti.

LA VISIONE DEL MONDO E LA POETICA


Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalista: la realtà è tutta vita,
eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all’altro. L’uomo tende a cristallizzarsi in
forme individuali, a fissarsi in una realtà che egli stesso si dà, in una personalità che vorrebbe
coerente e unitaria. In realtà, questa personalità è un’illusione che scaturisce dal sentimento
soggettivo che noi abbiamo del mondo.
Non solo noi stessi, però, ci fissiamo in una “forma”, anche gli altri, con cui viviamo in società,
vedendoci ciascuno secondo la sua particolare prospettiva ci danno determinate forme. Noi
crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda
della visione di chi ci guarda. Ciascuna di queste “forme” è una costruzione fittizia, una “maschera”
che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il contesto sociale. Sotto questa maschera non c’è un
volto definitivo, immutabile: non c’è nessuno, o meglio vi è un fluire di stati in continua
trasformazione, per cui un istante più tardi non siamo più quelli che eravamo prima. Pirandello fu
influenzato dalle teorie dello psicologo Binet sulle alterazioni della personalità, ed era convinto che
nell’uomo coesistessero più persone, ignote a lui stesso; condusse quindi una critica serrata al
concetto di identità personale.
L’io si disgrega; la crisi dell’idea di identità e di persona risente dei grandi processi in atto nella
realtà contemporanea: L’espandersi della grande industria e dell’uso delle macchine, che
meccanizzano l’esistenza dell’uomo e riducono l’individuo ad insignificante rotella di un
gigantesco meccanismo; il formarsi delle grandi metropoli moderne in cui l’uomo smarrisce il
legame personale con gli altri e diviene una particella isolata. L’idea dell’individuo creatore del
proprio destino è ormai tramontata. Pirandello è uno degli interpreti più acuti di questi fenomeni e li
riflette nelle sue teorie e nelle sue costruzioni letterarie. La presa di coscienza di questa
inconsistenza dell’io suscita nei personaggi piandelliani smarrimento e dolore. L’avvertire di non
essere nessuno, provoca angoscia ed orrore, genera un senso di solitudine tremenda. L’individuo
soffre anche ad essere fissato dagli altri in forme in cui non può riconoscersi e che sente come
trappole dalle quali è impossibile liberarsi.
La società gli appare una costruzione artificiosa. Tutta l’opera pirandelliana, infatti, si basa sul
rifiuto delle forme della vita sociale, dei ruoli che essa impone e sul bisogno di autenticità. In
particolare, nelle novelle e nei romanzi la critica di Pirandello si appunta sulla condizione piccolo
borghese, mentre il teatro predilige ambienti alto borghesi. L’istituto in cui si manifesta per
eccellenza la trappola della forma che imprigiona l’uomo è la famiglia. L’altra grande trappola è
quella economica, costituita dalla condizione sociale e dal lavoro. I suoi personaggi sono prigionieri
di una condizione misera e stentata, di lavori monotoni e frustranti. Da questa trappola non c’è, per
Pirandello, una via d’uscita, il suo pessimismo è totale, la sua critica rimane solo negativa e non
propone alternative. Ideologicamente tutto ciò si accompagnava a posizioni conservatrici se non
addirittura reazionarie. L’unica via di fuga che dà ai suoi personaggi è la fuga nell’irrazionale o
nella follia (si pensi al personaggio di Enrico quarto).
Il rifiuto della vita sociale produce nell’opera pirandelliana la figura del forestiere della vita, colui
che si isola rifiutando di assumere la sua “parte”, osservando gli altri con atteggiamento umoristico,
di irrisione e pietà. In questa figura di eroe estraniato dalla realtà si proietta la condizione stesa di
Pirandello come intellettuale.

IL RELATIVISMO CONOSCITIVO
Se, come abbiamo detto, la realtà è in perpetuo divenire, essa non si può fissare in schemi. Ogni
immagine è solo una proiezione soggettiva. Il reale è multiforme, polivalente, le prospettive
possibili sono infinite e tute equivalenti. Caratteristico della visione pirandelliana è, dunque, il
RELATIVISMO CONOSCITIVO: non si dà una verità oggettiva fissata a priori. Ognuno ha la sua
verità, che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Ne deriva una naturale
incomunicabilità fra gli uomini: essi non possono intendersi, perché ciascuno fa riferimento alla
realtà com’è per lui e non sa come sia per gli altri. Questa incomunicabilità accresce il senso di
solitudine dell’individuo che si scopre “nessuno”.
Il relativismo conoscitivo e il soggettivismo assoluto collegano Pirandello al clima culturale
europeo del primo Novecento in cui si consuma la crisi del Positivismo. La posizione di Pirandello
viene, dunque, fatta rientrare nell’ambito del Decadentismo.

LA POETICA: L’UMORISMO
Il più famoso saggio in cui Pirandello ha enunciato la sua concezione della poetica è “L’umorismo”
che risale al 1908. L’opera d’arte, secondo Pirandello, nasce dal movimento della vita interiore.
Nell’opera umoristica la parte più importante è la riflessione. Dalla riflessione nasce il “sentimento
del contrario”, che è il tratto caratterizzante l’umorismo per Pirandello. Lo scrittore propone un
esempio: se vedo una vecchia signora coi capelli tinti e tutta imbellettata, avverto che è il contrario
di ciò che una vecchia signora dovrebbe essere. Questo avvertimento del contrario è il comico. Ma
se interviene la riflessione, e suggerisce che quella signora soffre a mostrarsi così e lo fa solo
nell’illusione di poter trattenere l’amore del marito più giovane, dall’avvertimento del contrario,
cioè dal comico, passo al sentimento del contrario, cioè all’umoristico.
La riflessione nell’arte umoristica permette di cogliere la molteplicità della realtà delle cose. Se
coglie il ridicolo di una persona ne individua anche la sofferenza; se si trova di fronte al serio, non
può evitare di fare emergere anche il ridicolo. In una realtà multiforme, tragico e comico vanno
sempre insieme.
La definizione di umorismo data da Pirandello riflette perfettamente l’arte contemporanea che
riflette la coscienza di un mondo non più ordinato ma frantumato, in cui non vi sono più punti di
riferimento fissi, ma solo ambiguità e contraddizioni.
Le opere, le novelle, i romanzi, i drammi di Pirandello sono tutti testi umoristici, in cui tragico e
comico sono mescolati, da cui emerge il senso di un mondo frantumato.

IL TEATRO
Pirandello divenne famoso grazie al Teatro. La critica lo definisce il più grande drammaturgo del
ventesimo secolo. Scriverà moltissime opere che vengono divise in base alla fase di maturazione
dell’autore:
- Prima fase: teatro siciliano;
- Seconda fase: il teatro umoristico (o dello specchio);
- Terza fase: il teatro nel teatro;
- Il teatro dei miti rimasto incompiuto.
Nella fase del teatro siciliano Pirandello scrive interamente in dialetto siciliano perché egli lo
considera più vivo dell’italiano ed esprime di più l’aderenza alla realtà. Le opere maggiori di questo
periodo sono: liolà e pensaci Giacomino.
La fase del teatro umoristico è caratterizzata da personaggi che spezzano le certezze del mondo
borghese introducendo la visione relativistica della realtà con lo scopo di “denudare le maschere”.
Egli stesso definirà il suo teatro “TEATRO DELLO SPECCHIO” perché rappresenta la vita nuda,
con le sue realtà; uno specchio nel quale ci si riflette con una maschera che nasconde l’ipocrisia e i
vari aspetti delle persone. Le maggiori opere di questo periodo sono: Così è se vi pare, la giara,
l’uomo la bestia e la virtù.
Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano radicalmente, per Pirandello il teatro deve parlare
anche agli occhi oltre che alle orecchie. A tal scopo ripristinerà il palcoscenico multiplo (derivato da
Shakespeare) in cui si possono guardare più scene svolte contemporaneamente in ambienti diversi.
Pirandello abolisce il concetto della quarta parete, cioè la parete invisibile che divide il pubblico
dagli attori, con il tentativo di coinvolgere il pubblico che non è più passivo, ma rispecchia la
propria vita in quella degli attori sulla scena.

LE NOVELLE
Pirandello scrisse le Novelle per un anno in seguito ad un contratto che stipulò con il corriere della
sera impegnandosi a scriverne una al giorno per un anno.
Analizzando le novelle possiamo renderci conto che ciò che manca è una delineazione tematica, una
cornice.
Il tempo in cui le novelle sono ambientate non è definito, alcune sono nell’epoca umbertina, altre in
quella giolittiani e post giolittiani. Le novelle siciliane, il tempo non è fissato, ma è un tempo antico,
di una società che non vuole cambiare e che è rimasta ferma.
I paesaggi sono vari: per quelle siciliane si ha spesso il tipico paesaggio rurale nel quale troviamo il
contrasto tra le generazioni dovuto all’unità d’Italia. Altro ambiente delle novelle pirandelliana è la
Roma in età umbertina o giolittiana.
I personaggi, spesso con problemi economici e familiari, sono sempre alle prese con il male di
vivere, con il caso e con la morte. Non troviamo mai grandi personaggi, ma troviamo quelli che
possono essere della porta accanto, cioè sarte, balie, professori, piccoli proprietari di negozi. Il
destino di costoro è brutalizzato dalla sorte e dalla famiglia. I personaggi ci vengono presentati
senza un’analisi psicologica. Le fisionomie sono spesso eccentriche, per il sentimento del contrario,
hanno un carattere opposto di come si presentano. I personaggi li troviamo sempre preda del caso
che li fa cambiare.
Nelle novelle troviamo soprattutto il pensiero dell’autore sulla questione sociale. Pirandello riflette
una visione tragica della vita. Vede l’uomo come una creatura smarrita che cerca la verità e la luce
ma non può arrivarvi.
Tra le novelle più famose vi sono: la giara, Ciàula scopre la luna.

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