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LA BEFFA DI BUCCARI

Per risollevare il morale di un


esercito abbattuto dopo la disfatta
di Caporetto, una sconfitta che
ancora bruciava negli animi, si
pensò di compiere azioni belliche
che mettessero in risalto il valore e
la qualità dei reparti militari
italiani. Come quella che avvenne
nella notte tra il 10 e l’11 febbraio
1918, “una tra le imprese più audaci” della Prima Guerra Mondiale.
La cosiddetta “Beffa di Buccari”, in realtà, non fu né una vittoria né una
sconfitta, ma una “semplice” missione simbolica. Tutto iniziò con un’incursione
militare della Marina italiana nel porto di Bakar (in italiano Buccari), oggi
in Croazia, vicino a Rijeka (Fiume), portata a termine da pochi uomini al comando
di Costanzo Ciano. A partecipare furono i Mas 96 (guidati dal capitano di
corvetta Luigi Rizzo, con a bordo Gabriele D’Annunzio), i Mas 95 (con il tenente
di vascello Profeta De Santis) e i Mas 94 (on il sottotenente di vascello Andrea
Ferrarini). Con il termin e Mas ci si riferisce a un motoscafo armato
silurante o motoscafo anti sommergibile. Ricevuto l’ordine dal Comandante della
Divisione Navale di Venezia, le motosiluranti tricolori, protette da unità leggere
della Marina e da sommergibili da guerra, dopo quattordici ore arrivarono nei
pressi dell’isola di Cherso. Procedendo lungo la costa istriana, raggiunsero nella
notte la baia di Buccari, dove secondo lo spionaggio si trovavano diverse navi
austriache, sia civili che militari. Le unità italiane riuscirono a superare la difesa
nemica e, anche se non riuscirono ad affondare nessuna imbarcazione,
dimostrarono la loro inefficacia. Per ricordare l’evento, il Vate coniò anche
l’espressione “memento audere semper” (l’acronimo richiama la sigla
Mas), “ricordati di osare sempre”, andando a sostituire il motto “motus animat
spes”, non abbastanza virile per un’impresa militare. Fece incidere la scritta
anche sulla tavoletta dietro la ruota del timone del Mas 96, conservato al
Vittoriale degli Italiani, la casa-museo nei pressi di Gardone Riviera dove visse
per alcuni anni. Un motto coniato per esortare i partecipanti all’azione
ad assumersi tutti i rischi che essa implicava, con coraggio e sprezzo del
pericolo. Un invito a forzare la realtà. Nonostante l’esito inconcludente dal punto
di vista militare (le conseguenze sulla flotta austro-ungarica furono limitate, uno
dei piroscafi italiani risultò danneggiato), la “Beffa di Buccari” ebbe il merito di
risollevare il morale della Marina e dell’Esercito italiani, come già era avvenuto
poche settimane prima, grazie alla vittoriosa incursione di Trieste, nel dicembre
1917, quando i MAS 9 e 13, guidati da Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini, avevano
affondato la corazzata austro-ungarica Wien. Come scrive il sito della Marina,
l’incursione mostrò <<le facili smagliature ed il mancato coordinamento del
sistema di vigilanza austriaco>>, una debolezza che poteva essere sfruttata
ancora.
Nei mesi successivi alla “Beffa di Buccari”, Ciano divenne presidente della Camera
e poi ministro delle Comunicazioni. Suo figlio Galeazzo sposò Edda, figlia di Benito
Mussolini, e divenne uno dei più importanti esponenti del fascismo. D’Annunzio si
diede all’aviazione e nell’agosto 1918 volò sopra Vienna, facendo cadere sulla
città dei volantini. Non tutti, però, credono a questa vicenda. La “Beffa di
Buccari” potrebbe essere, infatti, una «fake news», una bufala, come spiega nel
suo libro «Disertori in Adriatico» Giacomo Scotti. Dei sei siluri sparati nessuno
esplose. Nella baia non c’era nemmeno una nave militare austriaca, come aveva
rilevato un ricognitore, ma solo vecchie carrette del mare in disarmo. Un
insuccesso totale che il Poeta fece passare per una missione riuscita.

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