Sei sulla pagina 1di 152

1

LA BATTAGLIA AERONAVALE DI MEZZO GIUGNO


Il contrasto delle forze aeronavali italo - tedesche alle Operazioni
britanniche “Harpoon” e “Vigorous”: 12-16 giugno 1942

FRANCESCO MATTESINI

Roma, 26 Settembre 2017


2

La situazione di Malta nella primavera del 1942 e la pianificazione


delle operazioni “Harpoon” e “Vigorous”
Nella terza decade di marzo 1942, soltanto due dei quattro piroscafi
del convoglio M.W. 10 (operazione “MG. 1”), partiti da Alessandria
scortati da unità navali della Mediterranean Fleet, erano riusciti a
raggiungere il porto maltese della Valletta, superando il blocco della
Squadra Navale italiana. Questa impegnandosi il giorno 22 nel Golfo della
Sirte con la corazzata Littorio (ammiraglio di squadra Angelo Iachino), gli
incrociatori pesanti della 3a Divisione Gorizia (ammiraglio Angelo Parona)
e Trento, l’incrociatore leggero Bande Nere e otto cacciatorpediniere,
affrontando un gruppo navale britannico di scorta al convoglio, costituito
dai quattro incrociatori leggeri Cleopatra (contrammiraglio Philip Vian),
Euryalus, Dido, Penelope, dall’incrociatore contraereo Carlisle, e sedici
cacciatorpediniere, non aveva saputo imporre al nemico la propria
superiorità potenziale.
Tuttavia l’operazione britannica, anche a causa dell’intervento navale
italiano, che ritardando l’arrivo a Malta del convoglio, previsto per la notte
tra il 22 e il 23 marzo, aveva agevolato l’indomani, in ore di luce, gli
attacchi della Luftwaffe, con il suo II Fliegerkorps dislocato in Sicilia, si
era conclusa con un quasi completo fallimento.
Gli aerei tedeschi Ju. 88 del II Fliegerkorps (generale Bruno Loerzer)
di base in Sicilia, dopo aver colpito ed affondato presso Malta i piroscafi
Clan Campbell e Breconshire del convoglio M.W. 10, nei giorni seguenti
all’arrivo alla Valletta avevano affondato nel porto gli altri due piroscafi, il
Pampas e il Talabot, mentre ancora si trovavano sotto scarico.
Inoltre, per varie cause, nel corso dell’operazione “M.G. 1”1 erano
stati affondati tre cacciatorpediniere: Heythrop dal sommergibile tedesco
U652, Southwold da mine posate dalle motosiluranti tedesche della 3a
Flottiglia, e Legion dai bombardieri Ju. 88 del II Fliegerkorps. Altri tre
cacciatorpediniere (Havock, Lively, Kingston), assieme all’incrociatore
Cleopatra, avevano riportato danni più o meno gravi, causati dal tiro
navale italiano, nella battaglia che, essendosi svolta con pessime

1
Francesco Mattesini, “la Seconda Battaglia della Sirte - 22 Marzo 1942”, in Collana Sism e
Accademia EDU (Internet).
3

condizioni atmosferiche, aveva agevolato alle navi di scorta britanniche la


difesa del convoglio. 2
Dopo questo disastro, il Comitato dei Capi di Stato Maggiore
britannici, a Londra, aveva costatato quanto fosse importante e vitale per la
sopravvivenza di Malta, prendere le più energiche misure.

22 marzo 1942, battaglia della seconda Sirte. L’incrociatore Cleopatra, ripreso dal ponte di comando
dall’Euryalus, mentre manovra stendendo una cortina du fumo per nascondersi alle salve da 381 m/m della
corazzata Littorio. Notare i sei cannoni prodieri da 133 m/m dell’Euryalus brandeggiati ad alta elevazione.
Entrambe le navi, dopo l’operazione “M.G. 1”, avrebbero preso parte anche all’operazione “Vigorous” del
giugno 1942.

Infatti, le critiche condizioni in cui venne a trovarsi Malta nel corso


del mese di aprile 1942, in cui l’offensiva del II Fliegerkorps, condotta
contro gli obiettivi dell’isola con sette gruppi da bombardamento e cinque
da caccia, 3 con una massa di oltre quattrocento aerei, raggiunse la
2
Francesco Mattesini, “Navi militari delle Marine Alleate affondate nel Mediterraneo
durante la seconda guerra mondiale”, in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina
Militare, in sei parti, Giugno 2001 – Settembre 2002.
3
Erano a disposizione del II Fliegerkorps: i bombardieri Ju. 88A del 54° Stormo, con la
squadriglia comando (Stab) e il gruppo I./KG.54, e con aggregati i gruppi da combattimento KGr.
606 e il KGr. 806; i bombardieri Ju. 88A dello Stab, II. e III./KG.77; i bombardieri Ju. 88A del 2°
Gruppo del 1° Stormo Sperimentale (II./LG.1) distaccato dal X Fliegerkorps, in Grecia; i
4

maggiore intensità distruttiva, indussero alcune alte personalità politiche e


militari britanniche a visitare l’isola. Dopo colloqui con il Governatore,
generale William Dobbie, esse si resero conto della necessità di far passare
un convoglio nel mese di maggio.

Seconda battaglia della Sirte, 22 marzo 1941. La corazzata Littorio, nave di bandiera dell’ammiraglio Angelo
Iachino, ripresa da uno dei cacciatorpediniere della scorta mentre, manovrando con mare molto mosso, sta
sparando con le artiglierie sulle navi britanniche.

Ma per permettere al convoglio di poter raggiungere Malta con una


certa sicurezza, era necessario far prima arrivare sull’isola il maggior
quantitativo di aerei e munizioni per rinforzarne la difesa, che in quel
momento vedeva disponibili soltanto una quindicina di caccia moderni
Spitfire V, sui trentadue arrivati nel corso del mese di marzo con decollo in
mare dalla portaerei Eagle, che si trovava distaccata a Gibilterra, dove
aveva sede il Comando del Nord Atlantico. Per realizzare il decollo degli
Spitfire, verificatosi nel corso di tre operazioni (“Spotter II”, “Picket I” e

bombardieri in picchiata Ju. 87D del 3° Gruppo del 3° Stormo Stuka (III./St.G.3); i caccia Bf. 109F
del 3° Stormo con lo Stab e il I. e II./JG.3; i caccia Bf. 109F del 53° Stormo con lo Stab, e il I., II. e
III./JG.53; e gli Ju. 88C da caccia notturna del I./NJG.2. Vi erano, inoltre, a disposizione
dell’O.B.S. gli Ju. 88D del 122° Gruppo da Ricognizione Strategica con lo Stab.(F)/122 e le
squadriglie 1. e 2.(F)/122.
5

“Picket II”), la Eagle si era spinta nel Mediterraneo occidentale, fino a


raggiungere una zona di partenza situata all’incirca a nord di Algeri.
Era inoltre indispensabile far giungere con il convoglio alcuni
dragamine per tenere sgombri gli accessi al porto della Valletta, e una
petroliera con benzina avio perché le riserve dell’isola, nelle misere
condizioni in cui si trovavano in quel momento, soggette a un rigoroso
razionamento, sarebbero bastate al massimo entro l’agosto. Se non avesse
ricevuto, prima possibile, gli aiuti richiesti urgentemente, Malta si sarebbe
ormai trovata nelle condizioni di non poter disporre dei mezzi per
continuare a combattere, e sotto la minaccia di doversi arrendere per
l’assottigliamento delle scorte di munizioni, di carburanti e, soprattutto, dei
viveri necessari per far sopravvivere una popolazione di 270.000 persone e
una guarnigione di circa 32.000 uomini.
Il Comitato dei Capi di Stato Maggiore britannici, tenendo in
considerazione che l’isola fortezza rappresentava il fulcro della loro
strategia nel Mediterraneo e la sua perdita avrebbe portato anche a quella
dell’Egitto e del Canale di Suez, esaminò la situazione generale e gli
impegni della Royal Navy sugli oceani, aumentati considerevolmente dopo
l’entrata in guerra del Giappone e per trasportare nella Russia
settentrionale gli aiuti di armi ed equipaggiamenti promessi all’Unione
Sovietica. Arrivò quindi alla conclusione che sarebbe stato impossibile
avviare in maggio un convoglio di rifornimento a Malta partendo da
Gibilterra. E questo perché, nelle descritte condizioni di difficoltà per
mancanza di mezzi, i britannici non potevano permettersi di farsi
danneggiare navi portaerei e corazzate, esponendole ad attacchi da parte
delle potenti forze aeree che l’Asse disponeva in Sardegna e in Sicilia; per
non parlare poi della minaccia dei sommergibili tedeschi che arrivati nel
Mediterraneo a iniziare dal settembre 1941, avevano già causato alla Royal
Navy le maggiori perdite, affondando, tra l’altro: la corazzata Barham con
l’U 331, la portaerei Ark Royal con l’U 81, gli incrociatori Galatea e
Naiad, rispettivamente con l’U 557 e con l’U 565, e i cacciatorpediniere
Heythrop e Jaguar, entrambi con l’U 652; oltre a naviglio minore e
ausiliario e a parecchie navi mercantili e da pesca.
Anche il progetto di inviare a Malta un convoglio da Alessandria fu
scartato poiché vi era la dichiarata convinzione che mancando una scorta
potente comprendente navi da battaglia e navi portaerei, che in quel
momento erano indisponibili perché impegnate nell’Artico e nell’Oceano
Indiano, la flotta italiana lo avrebbe intercetto con grande spiegamento di
6

forze, in condizioni da non poter ripetere “il provvidenziale scampo del


convoglio di marzo che fu principalmente dovuto alle condizioni del
tempo”.4

Primavera del 1942. Su un aeroporto della Sicilia gli equipaggi di un gruppo da bombardamento di Ju. 88 del II
Fliegerkorps, probabilmente il II./LG.1, festeggiano le 5000 missioni di guerra compiute dal reparto.

Ciononostante i Capi di Stato Maggiore britannici non intendevano


abbandonare l’isola assediata al suo destino, e come primi provvedimenti
presi vi furono, il 10 maggio, il rafforzamento dei caccia Spitfire V –
realizzato dal Mediterraneo occidentale tramite l’impiego della portaerei
statunitense Wasp e della britannica Eagle dai cui ponti decollarono
quarantasette Spitfire il 20 aprile ed altri sessantaquattro il 10 maggio – e il
contemporaneo invio di munizionamento, soprattutto contraereo, portato
alla Valletta dal posamine veloce Welshman. 5 Altri carichi di materiali

4
I.S.O. Playfair e altri, The Mediterranean and Middle East, Volume III, HMSO, Londra,
1960, p. 361.
5
Gli Spitfire del trasferimento del 20 aprile, decollati dalla Wasp, scoperti durante il volo
dai radiolocalizzatori tedeschi in Sicilia, furono sorpresi al momento dell’atterraggio sui tre
aeroporti di Malta da violente incursioni degli aerei tedeschi, e venti caccia britannici andarono
perduti. Nel trasferimento del 10 maggio le sorti si ribaltarono. Riforniti subito dopo l’atterraggio,
7

urgenti furono trasportati a Malta da alcuni sommergibili. Uno di questi


ultimi, l’Olympus, andò perduto l’8 maggio su uno sbarramento minato
posato dalle motosiluranti tedesche della 3a Flottiglia all’entrata del Grand
Harbour.

Il decollo dal ponte di volo della portaerei Eagle dei caccia Spitfire della RAF diretti a Malta.

A Londra vi era la speranza che con i magri aiuti inviati a Malta,


l’isola potesse resistere almeno fino alla metà di giugno del 1942, epoca
per la quale si sarebbe conosciuto l’esito dell’offensiva terrestre che
l’Esercito britannico (8a Armata) avrebbe scatenato in Cirenaica. Nello
stesso tempo, con il previsto miglioramento della situazione strategica
nell’Oceano Indiano, e la prevista occupazione del Madagascar da
realizzare alla fine di maggio (operazione “Ironclad”), si riteneva di poter
inviare a Malta un convoglio scortato dalla corazzata Warspite e da tre

ed impiegati in combattimento, i caccia britannici, decollati dalla Wasp e dalla Eagle, infersero una
dura sconfitta alle forze aeree dell’Asse, abbattendo nel corso della giornata ben quattordici aerei,
dodici tedeschi e due italiani, con la perdita di soli tre Spitfire. Era un’indiscutibile vittoria della
RAF ed una premessa che incoraggiava per il futuro, soprattutto per le possibilità che ora Malta
disponeva per assicurare la scorta ai convogli di rifornimento nell’ultimo tratto della loro traversata.
8

grandi e moderne navi portaerei della Flotta Orientale (Indomitable,


Illustrious Formidable), da far venire per l’occasione nel Mediterraneo
attraverso il Canale di Suez.

La portaerei statunitense Wasp fotografata in Atlantico dopo aver svolto nel Mediterraneo, il 10 maggio 1942,
assieme alla portaerei britannica Eagle, la missione per rifornire Malta con sessantaquattro caccia Spitfire,
imbarcati in Inghilterra (operazione Bowery), e fatti decollare da una posizione situata a nord di Algeri.
Sessanta di questi caccia della RAF arrivarono a destinazione dopo un volo di 500 miglia, e l’indomani inflissero
una dura sconfitta alle forze dell’Asse, che fino ad allora avevano esercitato il controllo sui cieli di Malta,
abbattendo ben quattordici velivoli, dodici tedeschi e due italiani, con la sola perdita di tre Spitfire.

Era chiaro a Londra, ed anche nell’ambito dei Comandi britannici in


Mediterraneo, che se il convoglio di giugno fosse fallito Malta sarebbe
caduta nelle mani dell’Asse, senza ulteriore sforzo da parte loro; e fra le
decisioni più impostanti prese per salvare l’isola – che non era più in grado
di esercitare una forte pressione sulle rotte marittime dell’Asse con la
Libia per le perdite navali subite e l’allontanamento di quelle ancora in
grado di navigare – vi fu quella di dargli una guida più energica. Il
Governatore, generale William Dobbie, logorato dopo due anni d’assedio,
fu sostituito il 7 maggio dal parigrado visconte John Vereker Gort,
decorato della Victoria Cross nella prima guerra mondiale e già
9

comandante del corpo di spedizione britannico in Francia, fino


all’evacuazione da Dunkerque. Lord Gort giunto a Malta da Gibilterra
(dove esercitava la carica di Governatore) si rese subito conto che
occorreva svincolare i vari corpi combattenti dai rispettivi comandanti in
capo del Medio Oriente così da dare a tutte le forze di Malta una direzione
unica. Il suo suggerimento fu accettato e il 15 maggio, in seguito ad un
cambiamento nella carica di Governatore, il generale Gort fu nominato
Comandante Supremo delle Forze Armate e dell’Amministrazione Civile.
Nei giorni che seguirono il piano che prevedeva di far arrivare a
Malta un convoglio, fu sostituito dall’Ammiragliato britannico con la
pianificazione di due operazioni separate, ma da realizzare
simultaneamente, mettendole in movimento dalle due estremità del
Mediterraneo, allo scopo di costringere italiani e tedeschi a non
concentrare tutte le loro forze aeronavali contro un solo obiettivo.
Secondo Londra, ciascuna delle due operazioni doveva svolgersi, con lo
scopo di raggiungere Malta, accettando i più gravi rischi e senza troppo
badare al conto da pagare in termine di perdite navali, di aerei e di uomini.
Il piano adottato per la navigazione tra Gibilterra e Malta, che ebbe in
codice il nome convenzionale di “Harpoon”, fu programmato con le stesso
modalità delle operazioni “Substance” 6 e “Halberd” 7 , effettuate con
successo nella terza decade dei mesi di luglio e settembre 1941, e che da
allora non erano state ripetute essendo stato più agevole, in quattro
occasioni, il rifornimento di Malta da levante. Movimenti che tra la fine
del 1941 e il mese di marzo 1942 erano stati agevolati dalle possibilità di
disporre della scorta aerea assicurata dal possesso degli aeroporti avanzati
della Cirenaica, conquistati dall’Esercito britannico nel mese di dicembre
durante l’operazione “Crusader”.
L’operazione “Harpoon” prevedeva di inviare alla Valletta un
convoglio di sei navi mercantili che per coprirne la destinazione ricevette
la sigla fittizia di W.S. 19/Z, ossia dei convogli Winston Speciale (W era il
nome di Churchill che ne venne a conoscenza solo dopo la guerra), diretti
dall’Inghilterra a Suez e in India, per la rotta del Capo di Buona Speranza.
6
Francesco Mattesini, “Le Operazioni britanniche “Substance” e “Stile” per il rifornimento
di Malta”, in Internet Accademia EDU; Francesco Mattesini, “L’Operazione Substance”, in
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare”, giugno 1992, p. 113-198.
7
Francesco Mattesini, “L’operazione Halberd. Cronistoria documentata di una mancata
battaglia navale”, in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare”, Dicembre
1990, 137-218.
10

Il convoglio, con un carico di 43.000 tonnellate. di approvvigionamenti e


carburanti, doveva salpare direttamente dalla Gran Bretagna. Le navi
mercantili, dopo essersi concentrate nell’Estuario del Clyde, nella Scozia
sudoccidentale, dovevano prendere il mare scortate da una formazione
della Home Fleet, che comprendeva i grandi incrociatori della 18a
Divisione Kenya e Liverpool. Nell’entrare nel Mediterraneo, la protezione
doveva essere rinforzata con l’aggiunta di unità pesanti che si trovavano a
Gibilterra a disposizione del Comando del Nord Atlantico, e che
comprendevano la vecchia corazzata Malaya, le anziane navi portaerei
Eagle e Argus e gli incrociatori Charybdis e Cairo.
La seconda operazione, chiamata “Vigorous”, consisteva nel mettere
in movimento verso l’isola un convoglio di undici navi mercantili, riunite
in vari porti del Mediterraneo orientale – Haifa, Porto Said e Alessandria –
scortato da un complesso misto di unità leggere e sottili della
Mediterranean Fleet e della Flotta dell’Oceano Indiano, comprendente
otto incrociatori; ma purtroppo, e ne vedremo più avanti il motivo, senza
poter disporre di nessun corazzata o nave portaerei.

Maggio 1942. Bellissima immagine dell’incrociatore britannico Kenya ripreso nell’Artico con mare grosso.
Nell’operazione “Vigorous” era la nave ammiraglia della Forza T.
11

L’incrociatore Liverpool, che assieme al Kenya era stato distaccato dalla Home Fleet per la scorta del convoglio
W.S. 19/Z. L’immagine è del 28 febbraio 1942.

La mimetizzazione del Liverpool nel 1942.

Per assicurare al duplice movimento il massimo dell’appoggio


aeronavale, ai primi di giugno la RAF inviò a Malta, tramite la portaerei
Eagle (capitano di vascello Edmund G.N. Ruskbrooke), altri
cinquantacinque Spitfire V, e alla vigilia delle due operazioni portò la
12

quantità di aerei disponibili sugli aeroporti dell’isola a circa duecento,


mediante rinforzi di caccia a lungo raggio Beaufighter, di ricognitori a
lungo raggio Baltimore, di bombardieri medi Wellington e di veloci
aerosiluranti Beaufort. Frattanto, tenne pronti in Egitto tutti i velivoli del
201° Gruppo di Cooperazione Aeronavale, a cui si aggiunse un reparto di
bombardieri pesanti statunitensi B. 24 “Liberator”, denominato
distaccamento HALPRO (Halverson Provisional Detachment dal nome del
Comandante colonnello Harry A. Halverson) che, inizialmente diretto in
India, da pochi giorni era stato trattenuto nel Medio Oriente. Il reparto fu
impiegato per la prima volta la notte del 12 giugno per bombardare gli
impianti petroliferi di Pleosti, in Romania, dove si produceva il
combustibile, nafta e benzina, vitale per lo sforzo di guerra della Germania
e dell’Italia. La missione, la prima svolta dall’Aviazione statunitense sul
suolo dell’Europa, portata a compimento con tredici velivoli decollati dalla
base egiziana di Fayid, ebbe scarsi effetti materiali, e portò alla perdita di
cinque B. 24, uno dei quali abbattuto sull’obiettivo e gli altri quattro
costretti, al ritorno dalla missione, ad atterrare in Turchia restandovi
internati.8
Il compito delle forze aeree era soprattutto quello di contrastare una
eventuale uscita della flotta italiana per dirigere contro i convogli
britannici, partendo dalle basi di Taranto, Messina, Cagliari e Palermo. Per
lo stesso motivo la Royal Navy ritenne necessario di pianificare un forte
sbarramento di sommergibili. Pur non potendo ancora disporre della base
della Valletta – essendo stata evacuata della 10a Flottiglia alla fine di
aprile per sottrarre i sommergibili agli attacchi degli aerei tedeschi che in
pochi giorni avevano affondato tre unità subacquee, e perché aveva
l’imboccatura del porto insidiata dalle mine posate intensamente dalle
motosiluranti germaniche della 3a Flottiglia – la Royal Navy attuò nel
Mediterraneo Centrale due concentramenti subacquei. Ciò comporto di
inviare in agguato nel basso Ionio nove sommergibili delle squadriglie 1a
di Alessandria (Proteus, Thorn, Taku, Thrasher, Porpoise) e 10a di Haifa
(Una, Uproar, Ultimatum, Umbra), dislocati su due successive linee di
sbarramento all’altezza delle coste meridionali della Grecia e di Creta, e
altri quattro sommergibili della 8a Flottiglia di Gibilterra (Safari,
Unbroken, Unison e Unruffled ) nel basso Tirreno, nel tratto di mare tra la
Sicilia e la Sardegna.

8
Kenn C. Rust, The 9th Air Force in World War II, Aero Publishers, Inc., Falibrook
(California), 1970, p. 11.
13

Tre dei quadrimotori B. 24 D ("Brooklyn Rambler", "Little Eva" e "Town Hall") impiegati il 12 giugno 1942
per bombardare Ploesti, costretti lo stesso giorno ad atterrare in Turchia, sull’aeroporto di Adapazari, dove
furono internati. Foto della Rivista Life.

La navigazione della Forza T in Atlantico e nel Mediterraneo tra il 5 e


il 13 giugno 1942

Secondo quanto fissato dai pianificatori della “Harpoon”, era stato


previsto di far accompagnare le sei navi mercantili del convoglio W.S.
19/Z da due gruppi ben distinti di unità navali di scorta, al comando del
vice ammiraglio Alban T.B. Curteis, Comandante in seconda della Home
Fleet, che alla partenza da Scapa Flow (Isole Orkadi), per trasferirsi a
Clyde, dove si erano concentrate le navi del convoglio e parte della scorta,
si trasferì dalla corazzata Rodney sull’incrociatore Kenya. L’insieme delle
14

forze navali a disposizione di Curteis ricevette la denominazione di Forza


T.
Il nucleo principale delle unità di scorta della Forza T, il gruppo
navale di protezione denominato Forza W, e che includeva la corazzata
Malaya (capitano di vascello S.W.A. Waller), le due portaerei Eagle e
Argus, tre incrociatori, e otto cacciatorpediniere, doveva spingersi da
Gibilterra fino all’ingresso del Canale di Sicilia. Quindi, una volta arrivata,
all’altezza di Biserta, nel tardo pomeriggio del 14 giugno, la Forza W, con
lo stesso vice ammiraglio Curteis sul Kenya, doveva invertire la rotta per
portarsi fuori dal raggio d’azione degli aerei dell’Asse dislocati in
Sardegna. Le navi mercantili del convoglio W.S. 19/Z, accompagnate dalle
unità del gruppo di scorta diretta, denominato Forza X e al comando del
facente funzione di capitano di vascello Cecil Campbell Hardy, dovevano
proseguire la navigazione per Malta, attraversando il Canale di Sicilia
nella notte sul 15 giugno, superando Capo Bon, per poi costeggiare la
costa della Tunisia e dirigere per Malta, passando a sud di Pantelleria.
La Forza X era costituita, per eccesso di sicurezza, dal solo piccolo
modesto incrociatore contraereo Cairo (4.200 tonn.) risalente alla prima
guerra mondiale e rimodernato nel 1935, da cinque cacciatorpediniere di
squadra, e da quattro cacciatorpediniere di scorta del tipo “Hunt”, questi
ultimi privi di tubi lanciasiluri. A queste dieci modeste navi si
aggiungevano quattro dragamine di squadra e sei motolance che da
Gibilterra erano destinate a raggiungere Malta per esercitarvi la bonifica
dalle mine dell’Asse, in particolare tedesche, che infestavano le acque
intorno all’isola.
Il convoglio W.S. 19/Z era costituito da cinque piroscafi da carico, i
britannici Burdwan, Orari e Troilus, l’olandese Tanimbar, lo statunitense
Chant, e dalla modernissima petroliera veloce Kentucky, anch’essa
statunitense, richiesta a Wahington dal Primo ministro Winston Churchill
per la sua forte velocità di 16 nodi e concessa in prestito dal Presidente
statunitense Delano Roosevelt alla Marina Mercantile britannica. La
Kentucky, partita dagli Stati Uniti, fu inviata direttamente a Gibilterra,
dove arrivò il 12 giugno con un carico di 14.100 tonnellate di combustibili,
costituito soprattutto dalla benzina per gli aerei di Malta. Commodoro del
convoglio, imbarcato sul piroscafo Troilus (Capitano W.G. Harrison), era
il capitano di fregata J.P. Pilditch, che essendo ufficiale della capitaneria
dopo l’arrivo alla Valletta era destinato ad assumere il comando del porto
di Malta.
15

Il piroscafo britannico Troilus sul quale si trovava il commodoro del convoglio W.S. 19/Z, capitano di fregata
J.P.W. Pilditch.

Tutte le navi mercantili, tranne naturalmente la Kentucky, salparono


da Clyde la sera del 4 giugno (inizio delle partenze alle ore 22.00), assieme
alle unità di scorta della Home Fleet, comprendente i grandi incrociatori
della 18a Divisione Kenya e Liverpool e i dieci cacciatorpediniere Onslow,
Marne, Matchless, Bedouin, Icarus, Escapade, Blankney, Middleton,
Badsworth e Kujawiak, quest’ultimo polacco. Passando a nord dell’Irlanda
e spingendosi molto a ovest dalle Isole britanniche, per poi procedere con
rotta sud transitando al largo della penisola iberica, il convoglio W.S.
19/Z, con il suo gruppo navale di scorta, nella notte tra l’11 e il 12 giugno,
navigando alla velocità di 12 nodi, supero a luci oscurate lo Stretto di
Gibilterra, ed entrò nel Mediterraneo, dove fu raggiunto dalla cisterna
Kentucky.
Il mattino dell’indomani sopraggiunse da Gibilterra il nucleo pesante
di scorta, comprendente la corazzata Malaya, le portaerei Argus e Eagle
(che imbarcavano ventidue aerei da caccia tra Hurricane e Fulmar 9), gli
9
A bordo dell’Eagle vi erano venti velivoli da caccia, dodici Hurricane dell’801° Squadron,
quattro della 813a Flight e quattro Fulmar dell’807° Squadron (tenente di vascello A.B. Fraser-
Harris), mentre l’Argus imbarcava due soli caccia Fulmar, anch’essi dell’807° Squadron, e diciotto
velivoli biplani Swordfish dell’824° Squadron, da impiegare nel compito di aerosiluranti e di
cacciasommergibili. Per avere maggiori possibilità nel rapido decollo dei caccia durante gli allarmi
16

incrociatori Charybdis e Cairo, il posamine veloce Welshman e i sette


cacciatorpediniere Antelope, Partridge, Ithuriel, Vidette, Westcott,
Wishart, Wrestler. Per guidare questi ultimi, quale nave comando della 17a
Flottiglia Cacciatorpediniere, l’Onslow (capitano di vascello H.T.
Amstrong) fu sottratto alla Forza X, per andare ad inserirsi organicamente
nella Forza W assieme all’Icarus e Escapade, che furono sostituiti dal
Partridge e dall’Ithuriel nella Forza X, a cui si aggiunse, quale nave
comando, l’incrociatore contraereo Cairo.

Ripresa aerea della portaerei Eagle mentre naviga con mare mosso.

aerei, i quattro Fulmar dell’807° Squadron furono trasferiti dalla Eagle sull’Argus, facendo in modo
che si avessero sempre aerei pronti sul ponte di volo delle due portaerei. Fu anche deciso che gli
Hurricane avrebbero assicurato la copertura ad alta quota, mentre i Fulnar avrebbero volato a bassa
quota, e gli Swordfish dell’Argus si sarebbero occupati soprattutto della protezione
antisommergibile.
17

L’atterraggio di un caccia Fulmar sulla portaerei Argus. Un altro velivolo dello stesso tipo è parcheggiato
all’estremità prodiera del ponte di volo.

Per scortare il convoglio a Malta nel secondo tratto della


navigazione, la Forza X rimase pertanto a disporre del Cairo e dei nove
cacciatorpediniere: cinque di squadra della 11° Squadriglia, Bedouin
(capitano di vascello G.B. Scurfield), Marne, Matchless, Ithuriel,
Partridge; e quattro di scorta della 12a Squadriglia, Blankney (capitano di
corvetta P.F. Powlett), Badsworth, Middleton e Kujawiak.
Nel contempo erano sopraggiunti i quattro dragamine di squadra
della 17a Flottiglia Hebe (capitano di corvetta. G. Mowatt), Hythe, Rye e
Speedy e le sei motolance della 6a Flottiglia ML 462 (capitano di corvetta.
EJ. Stowlger), 121, 134, 135, 168 e ML 459. Queste navi, tutte fornire di
apparati per il dragaggio, erano destinate a raggiungere Malta per
esercitarvi la bonifica dalle mine dell’Asse che, come detto, infestavano le
acque intorno all’isola. Durante la navigazione, le motolance, che a causa
delle modeste caratteristiche degli scafi disponevano di un motore a
benzina, per la loro minore velocità si mantennero a poppa delle navi
mercantili, che una volta entrate nel Mediterraneo avevano aumentato
l’andatura a 13 nodi.
Nel corso della giornata del 13 giugno, in una zona situata a sud delle
Isole Baleari, fu distribuito il carico di nafta a quei cacciatorpediniere della
Forza T che, provenienti da Clyde, non avevano avuto l’occasione di
entrare a Gibilterra per rifornirsi, e che pertanto fecero il pieno dalla
cisterna di squadra Brown Range (capitano D.B.C. Ralph), che era scortata
dalle corvette Coltsfoot e Geranium. Questa piccola formazione, salpata da
Gibilterra nella notte del giorno 11, si chiamava Forza Y.
18

In quel momento la Forza T del vice ammiraglio Curteis era al


completo dell’organico, e costituita dalle seguenti trentanove unità: sei
navi mercantili, una nave da battaglia, due navi portaerei, quattro
incrociatori, un posamine veloce, diciassette cacciatorpediniere, quattro
dragamine di squadra, sei motolance, e per il rifornimento in mare era
disponibile una cisterna ausiliaria con due corvette di scorta.

Le contromisure italiane e tedesche

Per rendersi conto della vastità e dello scopo delle forze impiegate
dall’operazione britannica, le cui navi avevano attraversato a luci oscurate
lo Stretto di Gibilterra senza però riuscire a sfuggire all’osservazione degli
agenti dell’Asse, a partire dal 12 giugno Superaereo e l’O.B.S. avevano
disposto il più ampio servizio di ricognizione strategica in tutto il
Mediterraneo occidentale, con la partecipazione anche degli idrovolanti
dell’Aviazione Ausiliaria della Marina (Ricognizione Marittima).
In quest’attività di ricognizione senza lacuna e mantenimento del
contatto, il II Fliegerkorps partecipò nel corso della mattinata e del
pomeriggio del 12 giugno con tredici velivoli Ju. 88D della 1a e 2a
Squadriglia del 122° Gruppo Ricognizione Strategica di Trapani (1. e
2.(F)/122), che per le loro missioni a lungo raggio decollavano
dall’aeroporto di Cagliari Elmas, in Sardegna. L’Aeronautica italiana della
Sardegna, a iniziare dalle ore 14.00 e fino a dopo il tramonto del sole,
partecipò alle medesimi missioni a lungo raggio con cinque velivoli Cant.
Z. 1007 bis del 51° Gruppo Ricognizione Strategica, di base a Villacidro.
Anche nella giornata del 13 gli Ju. 88D delle due squadriglie da
ricognizione tedesche mandarono in volo undici Ju. 88, e fu uno di questi
velivoli, della 1.(F)/122, che alle 09.00 scoprì la formazione navale
britannica avanzante su più gruppi in lat. 38°17’N, long. 01°27’E, e la
segnalò comprendente una nave da battaglia, due portaerei e quattro
incrociatori.
Questo primo avvistamento da parte del ricognitore tedesco, che era
stato percepito dal radar dell’incrociatore Cairo, a cui si aggiunse la
successiva presenza di aerei francesi e spagnoli impegnati a tenere sotto
controllo la formazione navale britannica, tenne in allarme le navi
portaerei Eagle e Argus. Per vigilare contro i ricognitori, e temendo il
verificarsi di attacchi di bombardieri e aerosiluranti, le due portaerei
19

mantennero in volo pattuglie di caccia, impiegando gli Hurricane dell’801°


Squadron e della 213a Flight (squadriglia) ad alta quota e i Fulmar
dell’807° Squadron a bassa quota.

Sopra, una pattuglia di quattro velivoli da caccia Sea Hurricane IB si apprestano a decollare da una portaerei.
Sotto, la pattuglia è in volo di vigilanza nella classica formazione a quattro dita.
20

Da questa vigilanza si verificarono due intercettazioni contro


altrettanti ricognitori. La prima riguardò uno Ju. 88D della 1(F)/122 , che
attaccato da due caccia Hurricane dell’801° Squadron della Eagle, guidati
dai sottotenenti di vascello G.W. Parish e A.G. Blanchared, e rimasto
alquanto danneggiato, costrinse il pilota, capitano Nikolaus Büsen, ad
effettuare un atterraggio di emergenza in Algeria. Andò peggio a un
ricognitore Cant. Z. 1007 bis della 212a Squadriglia del 51° Gruppo, che
attaccato in serata da un Hurricane della 213a Flight della Eagle, pilotato
dal tenente di vascello T.J.A. King-Joyce, fu costretto ad ammarare. Il
pilota del trimotore, tenente Gerolamo Piccioni, e i cinque membri del suo
equipaggio furono raccolti da un cacciatorpediniere britannico.
Frattanto il servizio antisom intorno alla Forza T era svolto dagli
Swordfish della Argus, mentre quello strategico era realizzato dalla RAF
con gli idrovolanti di base a Gibilterra, i Catalina del 202° Squadron, a cui
erano stati aggregati alcuni Sunderland del 10° Squadron Australiano. La
loro attiva vigilanza portò il Sunderland del maggiore pilota R.B. Barrage
ad avvistare ed attaccare presso le coste della Sardegna il sommergibile
italiano Otaria (tenente di vascello Alberto Gorini) che il mattino del 13
giugno si stava trasferendo nella zona d’agguato assegnata al largo delle
coste algerine. Tra l’aereo e il sommergibile, che fu mancato dalle bombe
da 250 libbre sganciate contro di esso, si ebbe uno scambio di colpi di
mitragliera senza conseguenze per entrambi gli avversari, sebbene alcuni
proiettili avessero colpito il Sunderland, ed altri causato un ferito a bordo
dell’Otaria.

Disegno pittorico di un idrovolante Sunderland della RAF. Notare sul dorso della carlinga le quattro antenne
del radar di scoperta navale A.S.V.
21

Continuando a dirigere con rotta levante (270°) verso il Canale di


Sicilia, nel pomeriggio del 13 giugno la Forza T fu avvistata dal piroscafo
spagnolo Cabo Prior a circa 60 miglia a nord-nordovest di Orano, e la
notizia, che confermava l’inoltro della formazione navale nemica verso il
Canale di Sicilia, fu subito portata dai servizi d’informazione a conoscenza
dei comandi dell’Asse.
Contemporaneamente agli avvenimenti descritti, nel Mediterraneo
orientale si metteva in movimento l’operazione “Vigorous”. Trovare una
scorta per le undici navi da carico che facevano parte del convoglio M.W.
11 non era stato un compito facile. Fino all’ultimo l’ammiraglio Henry
Harwood, nuovo Comandante della Mediterranean Fleet, aveva sperato di
poter disporre di una delle tre portaerei moderne della classe “Illustrious”,
presenti nell’Oceano Indiano, ma poiché questo non fu possibile dovette
accontentarsi di ricevere quattro incrociatori leggeri e dieci
cacciatorpediniere che giunsero in rinforzo dalla Flotta Orientale attraverso
il Canale di Suez. In tal modo, pur non potendo disporre di unità pesanti
per fronteggiare un eventuale combattimento con la flotta italiana,
Harwood riuscì a mettere insieme un gruppo di scorta abbastanza forte,
potendo contare sui sette incrociatori Cleopatra, Dido, Euryalus,
Hermione, Arethusa, Newcastle, Birmingham, a cui si aggiungevano
l’incrociatore contraereo Coventry, ventisei cacciatorpediniere e tredici
unita minori, inclusa la Centurion. Quest’ultima era una vecchia ex
corazzata che, essendo stata attrezzata a nave contraerea, e adeguatamente
camuffata con torri e cannoni di legno, doveva servire per far credere agli
italiani la presenza di una vera nave da battaglia moderna del tipo “King
Gorge V”.

La silhouette mimetizzata di un incrociatore della classe “Dido”. Nel dettaglio pittorico si può ammirare la
ripartizione dell’armamento principale ad alta elevazione, particolarmente utili nella difesa contraerea. A questa
classe d’incrociatori, durante l’operazione “Vigorous”, appartenevano il Cleopatra, Dido, Euryalus e Hermione
22

Due incrociatorri della 15a Divisione della Mediterranean Fleet impegnati a difendersi da attacchi aerei al largo
delle coste della Cirenaica. Il primo è l’Euryalus seguito dall’Arethusa.

A guidare in mare l’intero complesso navale, fu destinato, a bordo


del Cleopatra, il comandante della 15a Divisione Incrociatori
contrammiraglio Philip Vian, che era considerato il vincitore della
Seconda Battaglia della Sirte del 22 marzo 1942.
Nel progettare l’operazione “Vigorous” molto conto era stato fatto
sull’offensiva che l’8a Armata britannica avrebbe scatenato per
riconquistare gli aeroporti avanzati della Cirenaica. Ma nella terza decade
di maggio il generale Erwin Rommel, comandante dell’armata corazzata
italo-tedesca in Nord Africa, aveva attaccato per primo ed il passaggio del
convoglio M.W. 11 venne a coincidere proprio con il momento cruciale di
una grande battaglia terrestre il cui andamento era sfavorevole ai
britannici, con la caduta della posizione strategica di Bir Acheim,
verificatasi il 12 giugno. Quattro giorni dopo, quando si erano già concluse
le operazioni “Harpoon” e “Vigorous”, l’8a Armata si trovava già in piena
crisi di disfacimento, che avrebbe portato il 20-21 giugno alla caduta di
Tobruch, e ad una ritirata precipitosa in Egitto fino alle fatali dune di El
Alamein.
23

L’incrociatore britannico Cleopatra, la nave comando della 15a Divisione su cui era imbarcato il contrammiraglio
Philip Vian.

In queste condizioni venne a mancare gran parte dell’appoggio aereo


promesso dalla RAF del Medio Oriente che, essendo costretta ad
impegnarsi in appoggio all’Esercito, poté dedicare alla “Vigorous”
soltanto pochi Squadron di velivoli per la ricognizione, la scorta e
l’attacco.
Fortunatamente per i britannici nella notte sul 13 giugno riuscì
un’azione di Commandos contro gli aeroporti di Creta (Heraklion,
Maleme, Tjmbaki e Kastelli-Pediata), pianificata, con l’impiego dei
sommergibili ellenici Triton e Papanikolis e da alcune motosiluranti che
sbarcarono i sabotatori prima e durante l’operazione Vigorous, per
diminuire il peso degli attacchi tedeschi che avevano sull’isola la maggior
parte dei loro bombardieri di prima linea del X Fliegerkorps: i velivoli Ju
88 del 1° e del 2° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale (I. e II./LG.1), e del
1° Gruppo del 54° Stormo Bombardamento (I./KG.54), quest’ultimo
trasferito a Creta dalla Sicilia alla fine di maggio per concorre all’appoggio
delle operazioni terrestri dell’Asse in Cirenaica.10
10
L’operazione si era resa necessaria dopo l’ultima incontestabile dimostrazione di
pericolosità della Luftwaffe avvenuta l’11 maggio 1942, quando i reparti da bombardamento del X
Fliegerkorps attaccarono a sud di Creta una squadriglia di quattro grossi cacciatorpediniere di
24

Il maggiore successo dei sabotatori fu conseguito a Maleme, con


l’impiego di sei guastatori (quattro francesi e due britannici, tra cui il
capitano Lord George Patrick Jellicoe fratello di un famoso ammiraglio
della prima guerra mondiale), che sbarcati nel Golfo di Malia dal
sommergibile Triton (capitano di corvetta E. Kontoyiannis), presero terra
su battelli pneumatici all’alba del 10 giugno, per poi dopo una lunga
marcia infiltrarsi nella notte tra il 13 e il 14 nel perimetro dell’aeroporto.
Mentre un Blenheim del 14° Squadrone con capo equipaggio il sergente
pilota australiano J.H. Heliot volando in tondo e lanciando da una quota di
circa 1.000 metri bengala e bombe stornava l’attenzione dei tedeschi, nella
confusione i guastatori, con l’impiego di bombe ritardate Lewes,
riuscirono a distruggere non meno di ventotto aerei tedeschi, sei autocarri,
circa 100.000 litri di benzina e 400 bombe.
La più grave perdita fu lamentata in tale circostanza dal 1° Gruppo
del 1° Stormo Sperimentale che, comandato dal capitano Joachim Helbig,
ebbe distrutti o danneggiati gravemente nell’aeroporto di Maleme sedici
dei suoi Ju 88A. 11 Altri due Ju 88D rimasti danneggiati in modo
irreparabile appartenevano alla squadriglia da ricognizione 2.(F)/123
(capitano pilota Ali Bayer). L’obiettivo di Maleme era stato prescelto
perché, dai rilievi fotografici della ricognizione aerea britannica, risultava
che in quel campo di volo vi fossero ben sessantasei Ju 88, che
rappresentavano una grave minaccia per lo svolgimento dell’operazione
Vigorous.

squadra della Mediterranean Fleet, la 14a comandata dal capitano di vascello Albert Lawrence
Poland sul Jervis, mentre, attuando l’operazione M.G. 2, dirigeva per rientrare ad Alessandria dal
tentativo, non riuscito, di intercettare un convoglio proveniente dall’Italia a nord di Bengasi.
Nell’occasione si verificarono tre attacchi aerei a cui parteciparono trentaquattro Ju. 88 del I. e
II./LG.1; e furono i velivoli del 1° Gruppo, in due azioni successive, a cui parteciparono i medesimi
eccezionali equipaggi guidati dal loro comandante, capitano pilota Joachim Helbig, che riuscirono a
colpire e ad affondare i cacciatorpediniere Lively, Jackal e Kipling.
11
Archivio Stato Maggiore Aeronautica Ufficio Storico (d’ora in poi ASMAUS), Messaggio
in arrivo, trasmesso alle 16.40 del 14 Giugno 1942 da Romulus 2 (Comando II Fliegerkorps) a
Superaereo. Invece secondo Peter Taghon, in Die Geschichte des Lehrgeschwaders 1, Volume I, p.
499 sg., le perdite dell’LG.1 furono rappresentate da sette Ju 88 del I./LG.1 danneggiati al 30-40%
dai sabotatori, e uno Ju. 88 del II./LG.1 distrutto al 70% dall’attacco del velivolo Blenheim del 14°
Squadron.
25

Il bombardiere britannico Blenheim IV con lacolorazione tropicalizzata adottata nel Medio


Oriente.

Ciononostante, grazie all’ottima organizzazione della


Luftwaffe, gli Ju 88 del I./LG.1 furono prontamente rimpiazzati con
velivoli del medesimo tipo, inviati dal IV/.LG.1 (capitano Gerhard
Richter), presente in Grecia, e che svolgeva a Salonicco compiti
addestrativi per gli equipaggi di volo del 1° Stormo Sperimentale
(Lehrgeschwaders 1 – L.G. 1), comandato dal colonnello pilota Franz von
Brenda. 12 Non riuscì invece un altro attacco di guastatori britannici
pianificato contro gli aeroporti della Libia, poiché gli italiani, tramite il
loro Servizio Informazioni Militari (S.I.M.), che aveva copia del
cosiddetto “Codice nero”, usato con Washington dal colonnello Frank
Bonner Fellers dall’ambasciata statunitense del Cairo, 13 ne vennero a
conoscenza intercettando il seguente telegramma:14
12
Per l’attività di volo del 1° Stormo Sperimentale ci siamo valsi oltre che delle relazioni e
dei documenti operativi dell’OBS, che si trovano all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore
Aeronautica, anche del citato libro di Pater Taghon, Die Geschichte des Lehrgeschwaders 1,
Volume 2°, 1942 – 1945, V.D.M., Germania, 2004.
13
L’'11 dicembre 1941, la Sezione Prelevamento (“P”) del SIM, diretta dal maggiore dei
Carabinieri Manfredi Talamo, era penetrata nell'Ambasciata degli Stati Uniti, in Via Veneto, e si era
impossessata, fotografandolo, del Black Code (Codice Nero) custodito nella cassaforte dell'Addetto
militare a Roma, colonnello Norman E. Fiske. Il codice, e i documenti che si trovavano nella
cassaforte, migliaia di pagine, furono rimessi a posto dopo che erano stati fotografati. Ritenendo il
Black Code impenetrabile, gli statunitensi continuarono ad usalo. Le loro trasmissioni, intercettate
dal SIM nella sede romana di Forte Braschi, servirono agli italiani, ed ai tedeschi che ne erano
26

Il capitano pilota Joachim Helbig, seconda da sinistra, Comandante del I./LG.1. Nel 1943 comandante dell’LG.1
nel corso della sua attività bellica raggiunse il grado di generale, e ricevette le insegne di Croce di Cavaliere con
Fronde di Quercia Spade e Brillanti.

WASHINGTON da CAIRO – N. 446 – p. 89 – 11.6.1942 – ore 22,30


(radio) -Dipartimento Guerra – Washington
Nella notte dal 12 al 13 giugno unità di sabotaggio britannici
svolgeranno un attacco simultaneo con bombe contro gli aerei di nove
aerodromi dell’Asse. Tali unità progettano di raggiungere gli obiettivi per
mezzo di paracadutisti e di pattuglie di reparti at largo raggio del deserto
(long range desert patrols). Questo metodo di attacco offre tremende
possibilità di distruzione.
F/to Fellers

Su questa informazione nel pomeriggio del 12 giugno, il S.I.M.


Comando Supremo trasmetteva il seguente allarme agli Alti Comandi delle

spesso informati, di conoscere praticamente tutti i piani dei Comandi britannici del Medio Oriente,
in particolare dell’8a Armata, agevolando la controffensiva del generale Rommel del 21 gennaio
1942, e la successiva offensiva che portò alla conquista do Tobruch il 20 giugno.
14
Archivio Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico (d’ora in poi ASMEUS), SIM, Tentativi
britannici di sabotaggio sugli aeroporti della Cirenaica (Giugno 1942-XX), Allegato n. 1.
27

Forze Armate e dei settori interessati all’operazione di sabotaggio


britannica: 15

Risulta da fonte sicura che notte sul 13 et successiva, unità


sabotaggio britanniche effettueranno attacco contro aeroporti. Probabile
impiego anche paracadutisti et pattuglie terrestri. Quanto sopra per
urgenti conseguenti disposizioni.
F/to: Ugo Cavallero - 191512

Questo avvertimento del Capo di Stato Maggiore Generale delle


Forze Armate italiane, permise di mettere in allarme tutto il settore della
Cirenaica, e di non concedere alle camionette dei “Topi del deserto” del
maggiore David Stirling, che arrivavano dall’Oasi di Cufra, il necessario
spazio di manovra per raggiungere gli obiettivi.

Un reparto di “Long Range Desert Patrols”, specializzato nelle opere di sabotaggio dietro alle linee del fronte
dell’Asse in Libia, in particolare gli aeroporti, impiegando per i loro rapidi spostamenti le Jeep (nell’immagine) e
le camionette Chevrolet, armate con mitragliatrici Lewis.

15
Ibidem, Allegato n. 2.
28

Ciononostante, e malgrado l’accresciuta l’opera di sorveglianza, ai


“Long Range Desert Patrols” riuscì un opera di sabotaggio sull’aeroporto
tedesco di Benina, presso Bengasi, che nella notte sul 13, applicando ai
velivoli bombe ritardate, portò alla distruzione di quattro aerei (un Ju. 88,
un Ju. 87, un Bf. 110 e un Ju. 52) e di dieci motori, e all’incendio di un
aviorimessa officina. L’attacco fu guidato dallo stesso maggiore Stirling,
che poi riuscì a rientrare a Cufra.
Lo stato di allarme riguardo anche la Sicilia, per cui, su richiesta
dell’OBS, fu disposto di aumentare la vigilanza costiera e la sorveglianza
esterna ed interna degli aeroporti dell’isola.

***

La riunione del convoglio M.W. 11 e della sua scorta fu segnalata il


pomeriggio del 13 giugno al largo di Alessandria da un ricognitori tedesco
Ju. 88 della 12a Squadriglia del 4° Gruppo del 1° Stormo Sperimentale
(12./LG.1), a disposizione del Fliegerführer Africa, e i Comandi dell’Asse,
già informati dagli agenti dei servizi d’informazione in Spagna del transito
per lo Stretto di Gibilterra, a fanali spenti, delle unità partecipanti
all’operazione “Harpoon”, poterono organizzare per tempo le azioni di
contrasto.
Sugli scopi delle due operazioni britanniche, dopo l’avvistamento del
convoglio partito da Alessandria, alle 18.00 del 12 giugno Supermarina
fece il seguente apprezzamento della situazione, basato su cinque ipotesi.
Nella prima ipotesi si riteneva che il convoglio diretto a Malta da
levante effettuando un rifornimento in mare simultaneo a quello in atto da
ponente, marciando alla velocità di 10 nodi sarebbe arrivato a Malta alle
20.00 del 16 giugno, mentre se avesse sviluppato velocità di 12 nodi e
mezzo sarebbe arrivato a destinazione alle 07.00 del 16. Se invece la
velocità fosse stata di 15 nodi il convoglio poteva arrivare a Malta alle
17.00 del 15 giugno. Si riteneva che la scorta del convoglio potesse essere
rinforzata nella zona a sud di Creta.
Ritenendo che il convoglio di ponente sarebbe giunto a Malta nelle
prime ore del mattino del 15, l’apprezzamento di Supermarina portava a
concludere:16
16
Archivio Ufficio Storico Marina Militare, Roma, (da ora in poi AUSMM),
Supermarina,“Apprezzamento alle 180013 sulla operazione iniziata il 120013 con partenza di un
grosso convoglio da Alessandria”, Scontri navali e operazioni di guerra, b. 57.
16
AUSE, Diario del Comando Supremo, giugno 1942.
29

L’arrivo dei due convogli a Malta con uno sfasamento di 24 ore


potrebbe essere spiegato come segue:
Non suddividere sui due convogli la protezione aerea;
b) Rinforzare la scorta del convoglio di levante con quella del
convoglio di ponente;
c) scaricare nelle prime 24 ore almeno una parte dei piroscafi del
convoglio di ponente per dirigerli vuoti per Alessandria con scorte riunite.

Riguardo alle altre quattro ipotesi si poteva prevedere un’operazione


anfibia, con sbarco alle spalle delle truppe dell’Asse nella zona cirenaica di
Ras Hilal il mattino del 15, il rifornimento di Tobruch, il passaggio di
piroscafi vuoti diretti a ponente, e infine lo sgombero di Tobruch.
Da parte dell’aviazione italiana e tedesca fu attuato un adeguato
schieramento di reparti offensivi sugli aeroporti della Libia, di Creta e
dell’Egeo, e un rafforzamento delle unità presenti in Sicilia e in Sardegna
con nuovi velivoli fatti affluire dalle basi della penisola italiana, Nel
contempo, fin dal giorno 12, Supermarina aveva ricevuto dal generale
Ugo Cavallero, Capo dello Stato Maggiore Generale delle Forze Armate
italiane (Comando Supremo) il seguente tassativo ordine, emanato da
Benito Mussolini dopo un colloquio con l’ammiraglio Arturo Riccardi,
Sottosegretario di Stato e Capo di Stato Maggiore della Regia Marina:17

“Il 12 giugno 42. Duce ha disposto che la nostra Squadra prenda il


mare per affrontare Forza H uscita stamane da Gibilterra. Quanto sopra,
in seguito a consultazione che ho avuta con S.E. Riccardi. Ha soggiunto
come considerazione che se le forze navali inglesi vengono verso il
Mediterraneo centrale, le forze navali italiane non possono rimanere nei
porti. Il consumo della nafta è quindi giustificato.
Generale Cavallero.

Nel frattempo, come vedremo, nel Mediterraneo orientale, la sera del


13 giugno si verificarono i primi allarmi aerei per la presenza in mare del
convoglio dell’operazione “Vigorous”.

17
AUSE, Diario del Comando Supremo, giugno 1942.
30

L’inizio dell’operazione Vigorous e i primi attacchi della Luftwaffe

Da parte britannica, nella gamma delle astuzie per cercare di stornare


l’attenzione della vigilanza dell’Asse dai preparativi in atto, l’operazione
Vigorous ebbe inizio in modo insolito, facendo partire le navi del
convoglio M,W.11 in tre sezioni che dovevano riunirsi in mare, costituite
come segue:
1a) Sezione M.W.11/A, salpò da Porto Said con i quattro piroscafi
Ajax, Edimburg, City of Lincoln, City of Pretoria e Elizabeth Bakke,
scortati dai cacciatorpediniere di squadra Hotspur, Incostant, Napier,
Nestor, Nizam e Norman.
2a) Sezione M.W.11/B, salpò da Alessandria con le petroliere
Bulkoil e Potaro, scortate dai cacciatorpediniere di squadra Fortune,
Pakenham e Paladin.
3a ) Sezione M.W.11/C, salpò da Haifa, con i piroscafi Aagtekerk,
Buthan, City of Calcutta e Rembrandt, scortati dall’incrociatore contraereo
Coventry e dagli otto cacciatorpediniere di scorta Dulverton, Exmoor,
Croome, Eridge, Airedale, Beaufort, Aldenham e Hurworth.
Le forze di protezione (Forza A), salpate da Alessandria, erano
invece costituite dai sette incrociatori Cleopatra (contrammiraglio Vian),
Dido, Euryalus, Hermione, Arethusa, Newcastle (contrammiraglio
Tennant) e Birmingam, dagli otto cacciatorpediniere di squadra Griffin,
Hasty, Hero, Javelin, Jervis, Kelvin, Sikh e Zulu, e dai due
cacciatorpediniere di scorta Hurworth e Tetcott.
Infine, sempre da Alessandria, presero il mare le quattro corvette
Delphinium, Erica, Primula e Snapdragon, i due dragamine di squadra
Boston e Seaham, la nave camuffata Centurion, le quattro motosiluranti
MTB-259, MTB-261, MTB-262, e MTB-264, e le due navi salvataggio
Antwerp e Malines. La Centurion, considerata sacrificabile per la sua
scarsa importanza, trasportava 1.000 tonnellate di rifornimenti vari
destinati a Malta ed era armata soltanto con tredici mitragliere da 20 m/m
Oerlikon.
Era stato fissato che il convoglio M.W. 11, una volta riunito,
dovesse procedere per Malta con una velocità media di 13 nodi, ma era
una stima ottimistica come fu constatato fin dalle prime fasi
dell’operazione Vigorous.
Occorre subito dire che la Vigorous era nata per i britannici sotto una
cattiva stella.
31

Allo scopo di farsi avvistare e provocare anzitempo l’uscita delle


forze navali italiane, nella speranza di esporla ad attacchi e farle
consumare il combustibile, stratagemma che diciamolo subito non ebbe
successo, la sezione M.W.11/C era salpata da porto Said la sera dell’11
giugno, con i suoi quattro piroscafi scortati dall’incrociatore Coventry
(capitano di vascello Ronald John Robert Dendy) e dagli otto piccoli
cacciatorpediniere di scorta della 5a Flottiglia, del tipo “Hunt”. Lo scopo
della missione, denominata Rembramt, era quello di trovarsi all’imbrunire
dell’indomani 12 sul meridiano 24°50’E, raggiunto il quale doveva tornare
indietro con il favore della notte per ricongiungersi con le altre due sezioni
del convoglio, salpate da Haifa e Alessandria con un intervallo di trentasei
ore.
Questo movimento fu in effetti rilevato dagli Ju.88 da ricognizione
del X Fliegerkorps ((generale Hans Ferdinand Geisler), che avvistarono il
convoglio una prima volta alle 06.15 del 12 a nord di Alessandria e infine,
dopo altri avvistamenti, alle 17.15 in lat. 31°42’N, long. 27°03’E,
corrispondente a 20 miglia a ponente di Sollum.18
In seguito a quest’ultimo avvistamento, intorno alle 18.20 dalle basi
di Creta furono inviati all’attacco, in due formazioni, venti bombardieri
Ju.88. I primi sette velivoli, spingendosi fino a Marsa Matruh, non
trovarono l’obiettivo Degli altri tredici, tutti del I./LG.54, soltanto otto
riuscirono ad attaccare il convoglio proprio mentre le sue navi stavano
accostando per levante per incontrarsi con le sezioni M.W.11/A e
M.W.11/B. Tra le 20.20 e le 20.45 gli Ju.88, guidati dal loro comandante
di gruppo capitano George Graf von Platen, attaccarono con decisione in
picchiata tra le 20.08 e le 20.10, e nel ritirarsi i loro equipaggi ritennero di
aver colpito in pieno con le bombe una nave pattuglia e tre piroscafi, uno
dei quali era saltato in aria.

18
Secondo il bollettino sull’attività giornaliera di OBS n. 198, il X Fliegerkorps impiegò il
12 giugno, per compiti di ricognizione marittima nel Mediterraneo orientale quattordici Ju.88,
mentre un altro Ju.88D fu inviato a svolgere servizio fotografico su Alessandria e Porto Said,
rilevandovi un gran numero di navi tra cui nel primo dei due porti sette incrociatori. Il primo
avvistamento del convoglio M.W.11/C si verificò alle 06.15 in lat. 31°17’N, long. 29°45’E., e il
velivolo che lo effettuò segnalò trattarsi di una formazione che procedeva con rotta ovest (270°) a
velocità media, e comprendente un probabile incrociatore contraereo, quattro piroscafi e motonavi
per 40.000 tonn, e 7 navi scorta. ASMAUS, DCHg 1, b. 11.
32

Una successiva valutazione dell’OBS ridimensionò quest’ottimistico


risultato, sostenendo che una sola motonave era stata colpita ed incendiata.
In effetti, soltanto una bomba esplodendo vicina allo scafo del City of
Calcutta (8.063 tsl) causò il danneggiamento del piroscafo, il quale, per le
avarie riportate alle macchine e per l’allagamento della stiva n. 5, avendo
ridotto la velocità a 11 nodi, dovette essere dirottato su Tobruch scortato
dai due piccoli cacciatorpediniere Exmoor e Crome.

Un velivolo Ju 88 del I./KG.54, il gruppo da bombardamento tedesco che la sera del 13 giugno, partendo da
Creta, iniziò gli attacchi contro il convoglio dell’operazione “Vigorous”, colpendo il piroscafo City of Calcutta.
L’emblema dello stormo era la testa di morto.

Junker 88 della 3a Squadriglia del I./KG.54.


33

Il piroscafo City of Calcutta, che fu danneggiata nell’attacco dei bombardieri Ju. 88 del I./LG.1.

Informata dell’attacco, Supermarina si rese conto che questo


convoglio, formato da parecchi piroscafi e da una scorta molto numerosa,
era il più importante per la sopravvivenza di Malta, e pertanto, agendo in
base agli ordini del Duce, decise di intervenire, in entrambe le direzioni,
disponendo:

1°) – a occidente, un ampio schieramento, con quattordici


sommergibili, l’impiego notturno di Mas nel Canale di Sicilia; la partenza
da Palermo, la sera del 14 giugno, della 7a Divisione Navale, con gli
incrociatori leggeri Eugenio di Savoia e Raimondo Montecuccoli, per
trovarsi l’indomani all’alba a sud di Pantelleria, accompagnati da sette
cacciatorpediniere, poi ridotti a cinque (Alfredo Oriani, Ascari, Premuda,
Antonio Vivaldi e Lanzerotto Malocello) per sopraggiunte avarie alle
macchine del Nicolò Zeno e del Vincenzo Gioberti.

2°) a oriente, uno schieramento di sette sommergibili e l’impiego,


con partenze da Taranto e Messina, del grosso della flotta con le due
moderne navi da battaglia della 9a Divisione Navale Littorio e Vittorio
Veneto, gli incrociatori pesanti della 3a Divisione Navale Gorizia e Trento,
gli incrociatori leggeri della 8a Divisione Navale Giuseppe Garibaldi e
34

Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, e dodici cacciatorpediniere: Alpino,


Aviere, Bersagliere, Camicia Nera, Corazziere, Legionario, Mitragliere,
Geniere, Folgore, Freccia, Saetta e Antonio Pigafetta.

Tuttavia il Capo di Stato Maggiore della Regia Marina nel portare a


conoscenza l’uscita delle navi dai porti per affrontare in nemico in
entrambi i bacini del Mediterraneo, aveva specificato: “Intervento è
subordinato possibilità protezione aerea”. In base ad accordi discussi e
stabiliti da Supermarina con Superaereo e l’O.B.S., che fecero notare la
scarsità degli aerei da caccia a disposizione, fu infine deciso che alla scorta
della 7a Divisione Navale nella zona di Pantelleria avrebbe provveduto il
Comando dell’Aeronautica della Sicilia, mentre a levante la scorta sarebbe
stata assunta dai reparti del X Fliegerkorps dislocati in Grecia e a Creta,
rinforzati dai velivoli dei reparti scuola e addestramento tedeschi che si
trovano nelle basi della Puglia. Furono anche programmate, con velivoli
italiani e tedeschi, azioni di bombardamento sugli aeroporti di Malta, nelle
notti tra il 13 e il 15 giugno, allo scopo, richiesto da Supermarina che
temeva soprattutto l’intervento notturno degli aerosiluranti, di agevolare i
movimenti delle forze navali italiane.

Novembre 1941, il generale Ugo Cavallero, Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze Armate Italiane, in
visita a Napoli alla corazzata Littorio. Alla sua sinistra è l’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, Comandante in
Capo della Squadra Navale.
35

Le impressionanti artiglierie da 381 m/m della corazzata Littorio al suo posto di ormeggio a Taranto nel 1942.
Notare in cielo i palloni di sbarramento per la difesa aerea della grande base.

Complesso di mitragliere da 20 m/m della Littorio sul fianco della seconda torre di grosso calibro prodiera da 381
m/m. Sulla torre dei 152 m/m un altro complesso di mitragliere da 20 m/m.
36

Il cacciatorpediniere italiano Legionario, l’unica nave della flotta italiana fornita di apparato di
radiolocalizzazione tedesco Dete, tipo Fu.Mo. 21/39. Il grande pannello dell’antenna ruotante, a materasso. è ben
visibile sulla coffa modificata, sopra il ponte di comando.

L’incrociatore pesante Gorizia, nave ammiraglia della 3a Divisione Navale, a Messina nella primavera del 1942.
37

Da parte della Marina germanica vennero inviati in agguato a nord


delle coste libico-egiziane sette U-boote della 29a Flottiglia (U-77, U-81,
U-205, U-431, U-453 e U 559), di base alla Spezia e a Salamina, e sei
motosiluranti della 3a Flottiglia (S-56, S-54, S-55, S-58, S-59 e S-60),
dislocate a Derna e concentrate nella notte del 14 giugno nella zona di
mare ad ovest di Tobruch.
Uno dei sommergibili, l’U-77 (tenente di vascello Heinrich
Schonder), il mattino del giorno 12 giugno silurò ed affondò il
cacciatorpediniere di scorta britannico Grove (capitano di corvetta J.W.
Rylands), che stava rientrando ad Alessandria dopo aver scortato un
convoglio a Tobruch. Secondo i piani della “Vigorous”, il Grove, dopo
essersi rifornito ad Alessandria, avrebbe dovuto partecipare alla protezione
dei piroscafi diretti a Malta, movimento che però non avrebbe potuto
realizzare a causa di un incidente occorsogli a Tobruch che, per danni allo
scafo riportati per urto sul fondale della rada, lo aveva costretto a ridurre la
velocità a circa 6 nodi. Fatto quest’ultimo che lo aveva portato ad essere
un ottimo bersaglio per l’U-77.

Il sommergibile tedesco U 77 che il 12 giugno 1942 affondò il cacciatorpediniere britannico Grove ad ovest di
Alessandria, e il suo comandante, tenente di vascello Heinrich Schonder.
38

Il cacciatorpediniere di scorta britannico Grove che fu affondato il 12 giugno quando da Tobruch si stava
trasferendo ad Alessandria per partecipare all’operazione “Vigorous”, dal sommergibile tedesco U 77.

L’attacco dell’Aeronautica della Sardegna alla Forza T il mattino del


14 giugno

Nella notte del 13 giugno la Forza T entrò nella zona d’agguato più
occidentale dello sbarramento dei sommergibili italiani, due dei quali,
l’Uarsciek e il Giada, individuate le navi britanniche dirette a levante in
più colonne, manovrando in superficie le attaccarono a levante di Algeri.
L’Uarsciek, che si trovava a 90 miglia a nord di Bougie, alle 01.20
del 14 giugno lanciò di tre siluri contro le due sagome che apparivano più
grandi e senza sovrastrutture; motivo per il quale il comandante del
sommergibile, tenente di vascello Raffaello Allegri, ritenne fossero navi
portaerei. Nella fase di disimpegno, furono udite due esplosioni che dettero
a bordo dell’Uarsciek l’errata impressione che la portaerei fosse stata
colpita.
Poco più di tre ore dopo, Il comandante del Giada, tenente di
vascello Gaspare Cavallina, avvistata la Forza T a circa 50 miglia a nord di
Capo de Fer e individuata la portaerei Eagle, manovrando in emersione
l’attaccò alle 05.05 lanciando, da una distanza di 2.500 metri, i quattro
siluri di prora del sommergibile, che però fallirono il bersaglio.
39

L’elegante sagome del sommergibile Giada mentre procedeva in superficie a forte velocità.

Dopo questo duplice insuccesso, alle 05.50 la Forza T fu avvistata da


uno dei tre velivoli Cant. Z. 1007 bis 51° Gruppo Ricognizione Strategica,
che erano partiti ancor prima dell’alba dalla Sardegna, con il compito di
localizzare la formazione navale nemica, tenerne il contatto e fare da
radiofaro per guidare l’attacco delle formazioni offensive.
Il trimotore, della 213a Squadriglia, trasmise il segnale di scoperta,
ma subito dopo fu attaccato da due caccia Hurricane dell’801° Squadron
della portaerei Eagle, pilotati dal capitano di corvetta R.A. Brabner e dal
sottotenente di vascello P.J. Hutton, e colpito ripetutamente fu costretto ad
ammarare nei pressi di Carloforte, dove l’equipaggio fu recuperato da un
idrovolante Cant. Z. 506 della 613 Squadriglia Soccorso, decollato
dall’idroscalo di Elmas.19
Alle 07.49 si verificò un nuovo avvistamento delle navi britanniche
da parte di un altro Cant. Z. 1007 bis.

19
SMAUS, Diario Storico del 51° Gruppo Ricognizione Strategica e Diario Storico della
613a Squadriglia Soccorso.
40

Un idrovolante Cant. Z. 506 B, impiegato per compiti di ricognizione dall’Aviazione Ausiliaria della Marina, e
per il soccorso anche dalla Regia Aeronautica.

Immediatamente Superaereo ordinò al Comandante dell’Aeronautica


della Sardegna, generale di divisione aerea Aldo Urbani, di anticipare la
partenza degli aerei offensivi, con direzione sudovest, per realizzare
l’attacco in massa, prima che il nemico si trovasse a transitare a sud
dell’isola, com’era stato programmato la sera del 13 dallo stesso Urbani. In
questo modo si voleva conseguire il duplice vantaggio di permettere alle
forze aeree della Sardegna di poter ripetere l’attacco nel pomeriggio, nei
limiti dell’autonomia della caccia di scorta, e di costringere le navi
nemiche eventualmente danneggiate di navigare il più a lungo possibile a
velocità ridotta, in modo da agevolare i successivi attacchi aerei
dell’Aeronautica della Sicilia, programmati per il pomeriggio di quel
giorno, 14 giugno. Per questa serie di attacchi erano stati ammassati, con
rinforzi arrivati sulle due grandi isole dal continente, ben
trecentoquarantasette aerei, che attaccarono pesantemente la Forza T nel
corso della giornata.
I decolli delle formazioni offensive ebbero effettivo inizio alle ore
09.00 (ora X), con la partenza da Elmas di otto tuffatori Cr. 42 del 24°
Gruppo Caccia Terrestre ripartiti in due sezioni, ciascuna guidata da un
41

trimotore S. 79 del 36° Stormo Aerosiluranti, e si conclusero in un quarto


d’ora con il decollo dalle varie basi della Sardegna meridionale di:

- quattordici S. 84 dei gruppi 108° e 109° del 36° Stormo


Aerosiluranti;
- otto S. 79 del 130° Gruppo Aerosiluranti,
- dieci S. 79 bis del 104° Gruppo Aerosiluranti, con aggregati
velivoli ed equipaggi del 2° e 3° Nucleo Addestramento Aerosiluranti;
- diciotto Cant. Z. 1007 bis dei gruppi 29° e 33° del 9° Stormo
Bombardamento Terrestre;
- diciannove Cr. 42 del 24° Gruppo Caccia Terrestre;
- venti Mc. 200 del 7° e 16° Gruppo del 54° Stormo Caccia Terrestre.

Si trattava complessivamente di un complesso di novantanove


velivoli, che attaccarono, tre le 10.00 e le 10.30, in ondate successive ma
sufficientemente coordinate.

L’Mc. 200, altro velivolo da caccia che equipaggiava in Sicilia e a Pantelleria le squadriglie del 54° Stormo. Nei
confronti dei caccia britannici era sfavorito dalla bassa velocità e dall’armamento particolarmente modesto,
limitato a due mitragliere da 12.7 m/m.
42

Un S. 79 del 130° Gruppo Aerosiluranti di base in Sardegna, ad Elmas. In primo piano il carrello che è servito al
personale specialista per trasportare il siluro sotto il velivolo, fino all’aggancio.

Aerosilurante S. 84 del 36° Stormo.

Nel corso dell’azione, secondo la relazione britannica del vice


ammiraglio Curteis i velivoli italiani attaccarono alle 10.12 contrastati da
43

un violentissimo fuoco contraereo, con la Malaya che sparava con tiro di


sbarramento anche con i suoi cannoni di medio calibro da 152 m/m.
Questa violenta reazione, lontana e vicina, generando un turbinio di scoppi
e di proiettili traccianti diretti contro gli S.84, costrinse i piloti a lanciare
da grande distanza, stimata in 3.500 metri, i loro siluri che le navi
britanniche evitarono con una pronta accostata di emergenza di 45°
mettendo la prua verso gli attaccanti, manovra ordinata dal nave
ammiraglia Kenya. Conseguentemente nessun siluro giunse a segno,
mentre, nel corso di un vero tiro al bersaglio, andarono perduti ben sei
S.84.
I primi a essere abbattuti furono due velivoli del 109° Gruppo, l’S.84
del colonnello Farina che, colpito da una cannonata esplose e precipitò in
mare a circa 4.000 metri dalle navi, e l’S.84 del capitano Paolo Simeoni,
comandante della 259a Squadriglia, in seguito all’attacco di due Fulmar
dell’807° Squadron pilotati dal tenente di vascello Philip Hall e dal
sottotenente di vascello Peter Palmer, A bordo del velivolo del colonnello
Farina si trovava, quale copilota, il maggiore Mario Turba, comandante del
109° Gruppo. La stessa sorte subirono due velivoli della pattuglia del 108°
Gruppo, con piloti i tenenti Angelo Zanelli e Oreste Bedosti, che si erano
accodati per l’attacco ai nove S.84 del 109° Gruppo, così come non rientro
alla base l’equipaggio del tenente Angelo Abate, del 109° Gruppo. Infine
l’ultima perdita riguardò uno degli S.84 della pattuglia del 108° Gruppo
che era stata costretta a ritardare l’attacco. Il velivolo pilotato dal
sottotenente Oliviero Donati, fu costretto ad ammarare, ma i sei uomini
dell’equipaggio, tre dei quali erano feriti, furono tratti in salvo dopo sette
ore di permanenza su un battellino da un idrovolante Cant.Z.506 della 613 a
Squadriglia Soccorso, decollato da Cagliari con pilota il maresciallo Bosio.
Da parte britannica, nell’attacco agli aerosiluranti, andarono perduti
due Fulmar dell’807° Squadron. Quello del tenente Hall fu colpito
dapprima dai mitraglieri degli S.84 e poi dai piloti dei Cr.42 del 24°
Gruppo, dei quali il tenente Italo Marchi e il sottotenente Giorgio Moretti
sostennero di aver abbattuto un velivolo di quel tipo. Nel tornare verso la
Argus, il Fulmar fu raggiunto dai proietti dalle mitragliere Oerlikon del
cacciatorpediniere Wrestler (tenente di vascello R.W.B. Lacon), e
precipitò in mare. Il pilota, decedette, mentre si salvò l’osservatore
sottotenente di vascello L.D. Hurry, recuperato da una nave della Forza T.
Il secondo Fulmar ad andare perduto era quello pilotato dal sottotenente di
44

vascello Palmer e con osservatore il sottotenente di vascello John Ceely.


Entrambi decedettero.20

Un aerosilurante S. 84 del 36° Stormo, in alto a sinistra, nel momento in cui sta dirigendo all’attacco. Notare le
colonne d’acqua sollevate dal fuoco contraereo delle navi britanniche.

Alle 10.00, mentre si svolgeva il disastroso e inconcludente attacco


degli S.84 del 36° Stormo, gli aerosiluranti S.79 del 104° e del 130°
20
Nel descrivere le operazioni e i combattimenti aerei ci siamo attenuti per la parte italiana
ai Diari Storici conservati nell’Archivio dell’Ufficio Storico dell’Aeronautica (Roma); in particolare
per il contrasto all’operazione Harpoon, il Diario Storico dell’Aeronautica della Sardegna, il Diario
Storico del Comando Aeronautica della Sicilia, il Diario Storico del Comando Caccia della Sicilia,
e il Diario Storico dell’Aviazione Ausiliaria della Marina. Sono stati inoltre utili i Diari Storici dei
Reparti aerei e i fonogrammi operativi giornalieri inviati a Superaereo, e da questi fatti pervenire al
Comando Supremo a Supermarina e all’OBS. Anche per la parte tedesca la ricerca si è sviluppata
sulle relazioni giornaliere operative, compilate dall’Ufficio di Collegamento della Regia
Aeronautica distaccato presso l’OBS. Per la parte inglese, ed in generale di tutti i combattimenti
sulle navi britanniche e sull’attività delle forze aeree di Malta, sono risultati fondamentali i libri
della Grub Street (Londra) Malta: The Spitfire year 1942, di Christopher Shores, Brian Cull e
Nicola Malizia., e Spitfire over Malta. The epic air battles of 1942, di Brian Cull e Frederick Galea.
45

Gruppo e del 2° e 3° Nucleo Addestramento arrivarono sull’obiettivo da


nord, in colonna di cunei di cinque velivoli ciascuno. Accolti anch’essi
dalla violentissima reazione delle unità navali e dall’aggressività dei caccia
delle portaerei, gli S.79, che sopraggiungevano sulla sinistra della
formazione navale, attraversando alla quota di 150 metri la linea dei
cacciatorpediniere della scorta. Quindi aggirato da poppa il convoglio, gli
S.79 lo attaccarono da sud sul lato dritto, scindendosi in due gruppi – con i
velivoli del 130° che precedevano quelli del 104° – per poi lanciare i loro
siluri in formazione diradata contro le navi mercantili della colonna
meridionale che si presentavano in condizioni favorevoli, dall’altezza di
circa 50-100 metri e dalla distanza media di circa 1.800 metri.
Questo attacco riuscì, nonostante la violenta reazione contraerea delle
navi e l’aggressività dei caccia delle portaerei, che persistevano nell’azione
di contrasto anche dove più violento era il fuoco delle artiglierie e delle
mitragliere. Tre pattuglie di S.79 diressero contro i piroscafi e
l’incrociatore tipo “Southampton” che li guidava, la quarta pattuglia
diresse contro quella che fu ritenuta una corazzata. Uno dei siluri colpì la
nave di testa della colonna, l’incrociatore Liverpool, che in quel momento
procedeva alla velocità di 21 nodi, e un altro siluro raggiunse, a centro
nave, il piroscafo olandese Tanimbar, che occupava l’ultimo posto nella
colonna di dritta.
Di essi, l’S.79 del maggiore Reinero che, dopo essere sfuggito
volando a pelo d’acqua ad un caccia che lo aveva inseguito dopo lo
sgancio del siluro, stava rientrando alla base al limite dell’autonomia, assai
danneggiato e con il primo armiere Pietro Chessa ferito, fu costretto ad
atterrare ad Elmas, invece che a Decimomannu, senza il poppino sinistro
asportato da una granata. Il secondo S.79, quello del sottotenente Giovanni
Babini, i cui danni furono gravissimi, fu anch’esso costretto ad atterrare a
Elmas. Infine, i danni riportati dal terzo S.79, che era stato colpito ai
serbatoi durante la fase d’attacco e poi dalla caccia durante la manovra di
scampo, perdendo carburante costrinse il pilota, tenente Enrico
Marescalchi, ad effettuare abilmente un atterraggio di fortuna senza
carrello su un prato di modeste dimensioni a circa 4 chilometri da Capo
Teulada.21

21
Carlo Unica, Storia degli Aerosiluranti Italiani, Edizioni Bizzarri, Roma, 1974, p. 197 sg.
46

Un aerosilurante Italiano, ancora con il siluro, dirige all’attacco delle navi del convoglio W.S.19/Z dopo aver
superato un incrociatore della scorta.

Un aereo italiano abbattuto brucia alla superficie del mare presso una nave britannica.
47

L’incrociatore Liverpool dopo essere stato colpito da un siluro, probabilmente sganciato degli S. 79 del 130°
Gruppo Aerosiluranti.

Nella foto, scattata da un aereo italiano il piroscafo olandese Tanimbar è colpito da un siluro lanciato da un S. 79.
La nave è interamente nascosta da una cortina di fumo.
48

Il totale delle perdite di quest’ondata d’attacco di aerosiluranti fu


rappresentato dall’abbattimento dei due S.79 della 253a Squadriglia del
104° Gruppo, e di due caccia di scorta, un Mc.200 del 16° Gruppo del 54°
Stormo, con pilota sergente maggiore Raimondo Giardini, e un Cr.42 del
24° Gruppo con pilota il sergente maggiore Aldo Mazzolani. Giardini e
Mazzolani furono abbattuti dagli Hurricane della Eagle.
Il successivo e ultimo attacco dei Cant.Z.1007 bis del 9° Stormo,
portato da una quota di circa 4.000 metri e con rotta 90°, ebbe ugualmente
un certo successo. I velivoli arrivando sopra le navi della Forza T in due
formazioni, a breve intervallo l’una dall’altra, subito dopo che si era
concluso l’attacco degli aerosiluranti S.79, e sganciarono settantanove
bombe: sessantasette da 160 chili e dodici da 100. Una salva sganciata
dalla formazione di otto velivoli del 29° Gruppo (maggiore Cesare de
Porto) centro ancora il Tanimbar. Due bombe colpirono il piroscafo. Il suo
lato sinistro fu avvolto dalle fiamme. Poi il Tanimbar assunse uno
sbandamento a sinistra di 20 gradi, e il comandante ordinò di abbandonare
la nave. Due imbarcazioni di bordo si capovolsero, ma gli uomini
dell’equipaggio avevano i salvagente e si tuffarono in mare. In sette minuti
il Tanimbar (8.169 tsl), che imbarcava munizioni, affondò in fiamme di
poppa con ventitré uomini dell’equipaggio. I trentuno superstiti furono
raccolti dal dragamine di squadra Rye e dalla motolancia ML 462. Nessun
successo conseguirono invece nel successivo attacco i dieci Cant.Z.1007
bis del 33° Gruppo (maggiore Ercole Savi). Tutti i velivoli rientrarono alla
base danneggiati, alcuni in modo grave.

All’orizzonte una colonna di fumo indica il punto in cui un velivolo italiano abbattuto è precipitato.
49

14 giugno 1942. La corazzata Malaya sotto il bombardamento degli aerei italiani.

Il piroscafo olandese Tanimbar una delle sei navi mercantili del convoglio W.S. 19/Z. Nel corso dell’attacco del
mattino del 14 giugno da parte dei velivoli dell’Aeronautica della Sardegna, la nave fu dapprima colpita e
arrestata da un siluro sganciato da un aerosilurante S. 79 (del 105° o 130° Gruppo) e subito finita dalle bombe
sganciate dai Cant. Z. 1007 bis del 9° Stormo B.T.
50

A sinistra, dopo essere stato colpito dal siluro, l’incrociatore britannico Liverpool in fiamme., fortemente
sbandata e in evidenti difficoltà di manovra. A destra, il Liverpool è rimorchiato dal cacciatorpediniere Antelope
verso Gibilterra.

A bordo del silurato incrociatore Liverpool (capitano di vascello


William Rudolph Slayter) vi furono, tra i membri dell’equipaggio, quindici
morti e ventuno feriti, e di essi quasi tutti si trovavano nella sala macchine.
Inoltre l’incrociatore ebbe rese inutilizzabili due torri dei cannoni
principali da 152 mm, la X e la Y. Sfuggendo a nuovi attacchi aerei
dell’Aeronautica della Sardegna, che nel pomeriggio del 14 giugno e nella
giornata del 15 impiego formazioni di aerosiluranti e di bombardieri, il
Liverpool, continuò la sua lenta e faticosa navigazione verso occidente.
Raggiunto nel pomeriggio del 15 dal rimorchiatore Salvonia, che subentrò
nel rimorchio al cacciatorpediniere Antelope, e poi dalle corvette Jonquil e
Spirea, dal trawler Lady Hogarth e dalla motolancia ML 458 che
rinforzarono la sua piccola scorta, il Liverpool arrivò a Gibilterra il 17
giugno, per essere subito immesso in bacino.
In totale le azioni della giornata del 14 giugno, ripetute nel
pomeriggio senza successo da aerosiluranti e bombardieri contro il gruppo
navale del danneggiato incrociatore Liverpool, non ebbero quei successi
che erano da aspettarsi e costarono all’Aeronautica della Sardegna la
51

perdita di sedici velivoli: nove aerosiluranti, sei dei quali S. 84 del 36°
Stormo con il loro comandante colonnello pilota Giovanni Farina, di
quattro bombardieri, tre Cant. Z. 1007 e un S.79, e cinque caccia di scorta,
quattro Cr. 42 e un Mc. 200.

Un S. 84 aerosilurante della 258^ Squadriglia. Apparteneva al 36° Stormo, che nell’attacco al convoglio
dell’operazione “Harpoon” del mattino del 14 giugno perse ben sei velivoli, compresi quello del comandante
dello stormo colonnello Farina, di due comandanti di gruppi e di un comandante di squadriglia. Lo stesso
reparto perse anche un S,.79 assegnato a guidare all’attacco una delle formazioni di velivoli Cr. 42 bombe alarti.

L’incrociatore Charybdis, che con i suoi dieci cannono ad alta elevazione da 133 mm. era assegnato alla scorta
delle navi portaerei della Forza T.
52

Gli attacchi dell’Aeronautica della Sicilia e del II Fliegerkorps nel


pomeriggio del 14 giugno.

Dopo le azioni mattinali degli aerei della Sardegna, la navigazione


della Forza T, sempre tenuta sotto controllo dagli aerei da ricognizione
dell’Asse, proseguì con una certa tranquillità, prima che si svolgessero, nel
tardo pomeriggio, gli attacchi degli aerei tedeschi e italiani decollati dalla
Sicilia.
Il primo attacco fu iniziato dal II Fliegerkorps, che mandò in volo
quattordici Ju. 88 dei gruppi da combattimento KGr. 606 (capitano Rolf
Siedschlag) e KGr. 806 (maggiore Richard Linke), ma entrambi inquadrati
nel 54° Stormo Bombardamento (KG.54). Essi furono scortati
sull’obiettivo da diciassette Bf. 109 della Squadriglia Comando del 53°
Stormo Caccia (Stab./JG.53) e del suo 2° Gruppo (II./JG. 53),
rispettivamente guidati dal maggiore Günther von Maltzahan, comandante
dello stormo, e dal capitano Walter Spies, comandante del gruppo.
Due dei bombardieri furono costretti a rientrare per guasti meccanici,
e i dodici Ju. 88 che alle 17.22 attaccarono in picchiata scendendo da 3.000
metri di quota dalla direzione del sole, accolti dal violento fuoco
contraereo delle navi, scelsero a bersaglio le due navi portaerei della
formazione britannica, che non riportarono alcun danno. E questo sebbene
una delle bombe che inquadrò l’Argus (capitano di vascello G.T. Philip),
cadendo sulla sinistra vicino alla prora, fosse esplosa sull’altro lato della
portaerei passando proprio sotto lo scafo. Nel corso di quest’attacco
inconcludente il maggiore von Maltzahan, asso dell’JG. 53, abbatté un
caccia Fulmar dell’807° Squadron, conseguendo la sua
sessantaquattresima vittoria.
Dopo questo attacco, che secondo i rapporti britannici si sarebbe
svolto tra le 18.15 e le 18.35, alle ore 20.00 fu data libertà di manovra al
posamine Welshman (capitano di vascello William Howard Dennis
Friedberger), che aumentando la velocità a 28 nodi diresse per Malta con il
suo carico di benzina e munizioni. Superato il Canale di Sicilia, entrò alla
Valletta alle ore 07.30 del 15 giugno senza essere stato minimamente
disturbato, sebbene fosse stato avvistato alle 20.35 del 14 da un velivolo
tedesco Ju.88 del II Fliegerkorps e chiaramente riconosciuto per una unità
veloce del tipo “Manxman”.
53

Nelle due immagini uno dei cacciatorpediniere britannici di scorta al convoglio dell’operazione Harpoon sotto
attacco aereo, ripreso dalla portaerei Eagle.
54

Pomeriggio del 14 giugno. L’attacco degli Ju. 88 del KGr.606 e KGr.806. Una salva di bombe cade a prora della
portaerei britannica Argus.

Porto della Valletta il mattino del 15 giugno. Il posamine veloce Welshman, attraccato ad una banchina del porto,
scarica rapidamente i rifornimenti urgenti che aveva trasportato a Malta.
55

Adeguandosi agli ordini impartiti da Superaereo, ed informando dei


suoi intendimenti i Comandi dell’Aeronautica Sardegna, del II
Fliegerkorps e di Marina Messina, il generale di squadra aerea Silvio
Scaroni fin dalle ore 15.00 del 14 giugno aveva provveduto a mandare in
volo i suoi tre ricognitori Cant.Z.1007 bis del 50° Gruppo Bombardamento
Terrestre. Agevolati dalle condizioni atmosferiche favorevoli che resero le
navi nemiche facilmente individuabili, il primo velivolo segnalò il
convoglio nemico alle 15.20, e il secondo velivolo mantenne poi il
contatto fino alle ultime luci del giorno.
Superaereo aveva richiesto che la partenza dei velivoli dell’ondata
d’attacco dell’Aeronautica della Sicilia avvenisse alle ore 17.00, ma il
generale Scaroni, su sua richiesta telefonica, fu autorizzato di ritardarla di
quarantacinque minuti. I decolli degli aerei iniziarono dopo le ultime
raccomandazioni, in modo che ogni pilota fosse in condizioni di ben
conoscere i propri compiti e per preparare gli animi alla imminente grande
prova che era lo stata affidata. I velivoli, decollarono dalle varie basi
occidentali della Sicilia. lasciarono le basi dell’isola nelle seguenti tre
formazioni, con complessivi centotre aerei, ai cui equipaggi era richiesto di
coordinare l’attacco in modo da far arrivare contemporaneamente
sull’obiettivo bombardieri in quota, tuffatori e aerosiluranti:
- la prima formazione, decollata alle 17.55 da Castelvetrano, era
costituita da quattordici aerosiluranti S.79 del 132° Gruppo, guidati da un
velivolo tedesco Ju.88 avente anche compito di radiofaro, e scortati da
diciassette caccia Re.2001 del 2° Gruppo e da sette caccia Mc.200 del 54°
Stormo;

Un aerosilurante S. 79 della 278a Squadriglia del 132° Gruppo Aerosiluranti, in volo per attaccare le navi
nemiche.
56

- la seconda formazione, decollata alle 18.00 da Chinisia, era


costituita da diciassette bombardieri in picchiata Ju.87 del 102° Gruppo,
guidati in mare aperto da un velivolo S.79 del 10° Stormo bombardieri, e
scortati da diciannove caccia Mc.202 del 155° Gruppo;
- la terza formazione (5° Nucleo Bombardieri), decollata, sempre alle
18.00, da Sciacca era costituita da cinque bombardieri S.79 del 10°
Stormo, da quattro bombardieri Cant.Z.1007 bis del 50° Gruppo e da nove
bombardieri S.84 del 4° Gruppo, scortata da undici caccia Mc.202 del
155° Gruppo.

S. 79 della 58a Squadriglia del 32° Gruppo del 10° Stormo Bombardamento Terrestre in volo a bassa quota sul
mare. I velivoli di questo Stormo, dell’Aeronautica della Sicilia, furono impiegati nel corso dell’attività di
contrasto all’operazione Harpoon per il bombardamento alle unità navali britanniche e per l’attività di
ricognizione.

Gli aerosiluranti del 132° Gruppo, guidati dal loro comandante


capitano pilota Carlo Emanuele Buscaglia e ripartiti equamente nelle due
veterane squadriglie 278a e 281a, arrivarono in vista del convoglio alle
19.06 a 15 miglia a nord di Capo Blanc, per poi iniziare la manovra
d’attacco avvicinandosi alle navi da nordest. Essi sopraggiunsero sulle
navi della Forza T, come scrisse il vice ammiraglio Curteis, volando
”piuttosto alti sul mare”, per poi aggirare “il convoglio di poppa, fuori
57

della portata delle artiglierie, e quindi planando lo attaccarono dal lato


destro”. Tuttavia, le segnalazioni tempestive fornite dagli apparati radar
sull’avvicinamento delle formazioni aeree italiane, permisero di portare le
scorte aeree dai quattro caccia che erano in volo, a otto, facendone
prontamente decollare altri quattro dalle portaerei. Ciononostante, “questi
aerei furono attivamente impegnati da un maggior numero di caccia
italiani e non poterono quindi far poco per disturbare l’attacco”, che
secondo gli orari britannici si svolse tra le 20.36 e le 20.32.
In effetti, gli aerosiluranti erano protetti dai caccia di scorta Re.2001
del 2° Gruppo, comandati dal tenente colonnello Aldo Quarantotti, la cui
superiorità, in velocità e manovrabilità a bassa quota, rispetto alle
caratteristiche dei Fulmar e degli Hurricane, permise agli equipaggi degli
S.79 di avvicinarsi alle navi e, come vedremo, di arrivare al lancio dei
siluri con una certa tranquillità. Furono però accolti da una violenta
reazione contraerea che abbatté un S.79 della 278a Squadriglia, con capo
equipaggio il sottotenente pilota Giannino Negri, il quale, colpito dai
caccia britannici, fu visto dirigere in fiamme verso l’obiettivo per poi
esplodere in aria, e precipitare in mare. Altri S.79 furono colpiti, e di essi i
danni più gravi furono riportasti dal velivolo del sottotenente pilota
Vittorio Moretti, che con l’ala destra fortemente squarciata e con un
alettone quasi staccato, essendo al limite delle possibilità di manovra si
sfasciò completamente in atterraggio al rientro a Castelvetrano. Tuttavia, si
salvò l’intero equipaggio, compresi tre uomini che erano rimasti feriti nel
combattimento.
Rimasti anche intralciati dall’atmosfera fumosa della battaglia, alle
19.25 gli equipaggi degli S.79 lanciarono da distanza ravvicinata e a bassa
quota i siluri, senza poter osservare bene il risultato conseguito. La
maggior parte dei velivoli, non individuando i piroscafi del convoglio, il
loro obiettivo principale, aveva diretto contro il gruppo costituito dalla
corazzata Malaya, la portaerei Argus, l’incrociatore Charybdis e il
cacciatorpediniere Vidette, che in quel momento si trovavano 2 miglia
sulla dritta del convoglio. Una pattuglia di quattro S.79, guidata dal
capitano Buscaglia, attaccò da breve distanza, valutata in 300 metri,
l’Argus ma senza riuscire a colpirla per la pronta accostata a sinistra della
portaerei, che gli permise di passare parallela alle scie dei siluri. Uguali
risultati negativi conseguirono gli attacchi di cinque velivoli che diressero
contro la corazzata Malaya, quelli di un'altra pattuglia di tre velivoli
58

dirtetti contro l’incrociatore Charybdis, e dell’unico S.79 che riuscì ad


attaccare un piroscafo.22

La parte poppiera della Argus, sul cui ponte di volo vi è un caccia Fulmar, fotografata dal primo aviere Giovanni
Capalbi, a bordo di un S. 79 della 281 a Squadriglia del 132° Gruppo Aerosiluranti, il cui pilota, capitano Carlo
Faggioni, aveva lanciato il siluro da distanza ravvicinata senza riuscire a colpire la portaerei.

Un Fulmar dell’807° Squadron della Eagle, uno degli otto caccia


britannici che si trovavano in volo al momento dell’attacco o erano in
procinto di decollare dai ponti delle portaerei, fu abbattuto dalle
mitragliere del dragamine Hebe (capitano di corvetta George Mowatt), ma
il pilota, sottotenente di vascello J.F. Rankin, e il suo cannoniere, vennero
raccolti dal dragamine Hythe (capitano di corvetta Leslie Beara Miller).
Un Hurricane della 213a Flight dell’Eagle fu abbattuto in combattimento
da un Re.2001 del 2° Gruppo Caccia, ma anche stavolta il pilota,
sottotenente di vascello B.E. Bullivant, fu salvato da una nave britannica,
il cacciatorpediniere Matchless (capitano di corvetta John Mowlam). Altri
22
Nonostante l’insuccesso, nel Diario Storico del 132° Gruppo Aerosiluranti (ASMAUS) è
riportato “molti componenti degli equipaggi hanno visto sprigionarsi denso fumo dalla nave
portaerei e dalla nave da battaglia. Alcuni piloti della caccia di scorta hanno, osservato un
piroscafo ed un incrociatore avvolti da fumo nero, cosa questa confermata, per l’incrociatore,
dalla documentazione fotografica. Da informazioni successive è risultato che la nave da battaglia
tipo “Malaya” e la nave portaerei ARGUS, quest’ultima attaccata esclusivamente da 4 nostri
aerosiluranti, sono state colpite e danneggiate”.
59

due Hurricane, rimasti gravemente danneggiati, dovettero compiere


disastrosi atterraggi forzati sulla Eagle, mentre da parte italiana non
rientrarono alla base due Re.2001 del 2° Gruppo Caccia, uno dei quali,
pilotato dal maresciallo Giovanni Treggia, sceso in mare a poche miglia
dalle coste della Sicilia, fu recuperato da una nave da pesca italiana,
mentre l’altro velivolo, con pilota il maresciallo Olindo Simionato, era
stato costretto ad atterrare in Tunisia per avaria al motore, venendo in
seguito riportato in Italia.
I piloti italiani non mancavano certamente di ottimismo, dal
momento che quelli dei soli Re.2001 si accreditarono il fantasioso
abbattimento di ben undici caccia britannici, due dei quali ad opera del
tenente colonnello Quarantotti, e altrettanti dal tenente Agostino
Celentano. Anche ai piloti britannici non mancò l’ottimismo, dichiarando
di aver abbattuto due aerosiluranti.

14 giugno 1942. La corazzata Malaya, facendo fumo, manovra per schivare i siluri lanciati dagli aerosiluranti
italiani.
60

Terminato l’attacco degli aerosiluranti, arrivò sulle navi britanniche,


dai quartieri poppieri (ossia da ponente), la formazione dei diciotto
bombardieri in quota, che i britannici scambiarono per velivoli Ju.88
volanti a una quota di circa 4.000 metri, mentre in realtà erano a 5.000
metri. Tutti i velivoli del 5° Nucleo Bombardieri, quattro S.79, quattro
Cant.Z.1007 bis e nove S.84, che procedevano in formazioni in colonna,
avanzando sotto violento fuoco contraereo, ma nessuna reazione di caccia
nemici, effettuarono lo sgancio delle bombe (sessantasette da 160 chili e
dodici da 100 chili), dopo aver sorvolato le unità di scorta ed essere portati
lungo le colonne della formazione navale.

Un incrociatore leggero del convoglio dell’operazione Harpoon inquadrato dalle bombe sganciate dai Cant. Z.
1007 bis della 210a Squadriglia del 50° Gruppo Bombardamento Terrestre.
61

Il bombardamento di due navi britanniche realizzato dagli S. 79 del 10° Stormo. Come si vede le bombe sono
molto disperse, e soltanto una cade di prora a destra di un probabile incrociatore

Gli equipaggi dei bombardieri, rientrati al completo alla base,


riferirono di aver colpito quattro unità, inclusa la nave da battaglia,
quest’ultima a opera dei Cant.Z.1007 bis del 50° Gruppo, mentre i loro
undici caccia di scorta Mc.202 del 155° Gruppo non ebbero occasione di
intervenire.23
Mentre gli aerosiluranti e i bombardieri stavano ultimando la loro
azione, sopraggiunse sul convoglio, da prua a sinistra, la formazione dei
diciassette Ju.87 del 102° Gruppo che, guidata dal loro comandante
capitano pilota Giuseppe Cenni, volavano ad una quota di 3.500 metri. Di
essi, cinque velivoli, del tipo B, erano armati con bombe antinave SD da
1000 chili e gli altri dodici, del tipo R, con bombe antinave SD da 500
chili, tutte di produzione tedesca. Questo arrivo di velivoli, come affermò
il capitano di vascello Amstrong del cacciatorpediniere Onslow, “attirò
completamente l’attenzione della scorta dagli aerosiluranti”, distraendola
23
Alle 06.30 del 15 Giugno dalla CIAF Torino telefonò a Supermarina per denunciare un
incidente in cui sarebbero occorsi gli aerei italiani, che avrebbero attaccato alle ore 19.16 del 14
giugno, e quindi nel corso dell’azione serale dell’Aeronautica Sicilia, un convoglio francese diretto
a Biserta, a 4 miglia da Porto Farina.
62

proprio mentre si concludeva, alle 19.20, il loro attacco, e per evitarne la


minaccia l’ammiraglio Curteis ordinò alle navi tre accostate di emergenza
verso sinistra, per mantenere gli aerosiluranti di poppa alla formazione
navale, in modo da presentare il minimo bersaglio.24
Gli equipaggi degli Ju.87, attaccando a tuffo da circa 2.000 metri di
quota, per poi sganciare da un’altezza di circa 300 metri, ritennero di aver
affondato con tre bombe un incrociatore, di aver colpito con altre due
bombe un cacciatorpediniere, e di aver colpito e spaccato in due una nave
mercantile, mentre in realtà non conseguirono alcun risultato nei riguardi
delle navi attaccate, i cacciatorpediniere Icarus e Wrestler che si trovavano
sulla sinistra del convoglio.
Ancora una volta non vi furono attacchi di caccia ma soltanto
reazione contraerea, e nel rientrare alla base di Chinisia, protetti di Mc.202
del 155° Gruppo Caccia (maggiore Duilio Fanali), uno degli Ju.87 della
formazione, per esaurimento del carburante, fu costretto a scendere in
mare a pochi chilometri dalla costa della Sicilia. Il velivolo affondò, ma i
due uomini dell’equipaggio, il sottotenente pilota Antonio Secchione e
l’armiere 1° aviere motorista Antonio Fusco, furono raccolti poco dopo da
un idrovolante tedesco Do. 24 della 6a Squadriglia Soccorso di Siracusa.
Nelle relazioni britanniche è scritto che le azioni serali
dell’Aeronautica italiana, erano state ben sincronizzate e realizzate con
maggiore decisione di quelle del mattino. Tuttavia non conseguirono
risultati, anche per la prontezza di manovra della formazione navale che,
nel caso dell’attacco degli aerosiluranti che arrivavano dal traverso a dritta,
“effettuò tre accostate di emergenza verso sinistra, per presentare la
poppa del convoglio verso il nemico”. Soltanto nel corso dei successivi
attacchi dei bombardieri in quota e in picchiata, il cacciatorpediniere
Icarus (capitano di corvetta Colin Douglas Maud) fu particolarmente
fortunato nell’evitare le bombe. Tre caccia britannici furono abbattuti in
combattimento (aggiungendosi ai quattro precedentemente perduti nel
corso della giornata) mentre le perdite italiane furono costituite
dall’abbattimento di altrettanti velivoli, un S.79, un Ju.87, e un Re.2001,
quest’ultimo uno dei caccia di scorta agli aerosiluranti, sceso in mare
presso le coste tunisine.
Occorre tuttavia dire, per non trovare scusanti, che le azioni degli
equipaggi dell’Aeronautica Sicilia, il cui coordinamento tra vari reparti era

24
HMSO, “Mediterranean Convoy Operation, Operation Harpoon”, Supplement to the
London Gazette, 1 Agosto 1948, n. 38377.
63

stato indubbiamente migliore di quello dei velivoli dell’Aeronautica


Sardegna, furono vanificate, oltre che dalla micidiale reazione contraerea
delle navi di scorta nemiche, e dagli aggressivi caccia delle navi portaerei
Eagle e Argus, dall’imprecisione nello sgancio di bombe e siluri.

Al termine di un attacco aereo, su un incrociatore britannico una pausa per l’equipaggio di un complesso
quadrinato “pom-pom”. Osservare ai piedi degli uomini i bossoli del consumo dei proietti da 40 mm.

Sull’efficacia della difesa su quello che fu l’ultimo attacco con le


forze navali britanniche ancora riunite, nella relazione dell’Ammiragliato
britannico è riportato:25

“In paragone ai grossi attacchi aerei della mattina provenienti dalla


Sardegna, i tentativi effettuati dal nemico, tra le 2000 e le 2020, furono
ben sincronizzati e alcuni ufficiali ritennero che l’attacco degli
aerosiluranti fosse stato condotto con maggiore vigore. Anche gli attacchi
della sera non causarono alcun danno e questo dipese principalmente
dalle accostate di emergenza effettuate dal convoglio, perché né il tiro di

25
Section Historic Admiralty,” Operation Harpoon: June 1942”, Scambio notizie con
Ammiragliato britannico. Copia della traduzione dell’USMM si trova anche nella busta “Battaglia
di Pantelleria”, fondo Scontri Navali e Operazioni di Guerra, 57 ter.
64

artiglierie, né l’azione della caccia furono paragonabili a quelle del


mattino”.

Sull’opera di intercettazione aerea, considerando che i radar avevano


agito bene nel dare i segnali di allarme, fu lamentato il fatto che le
portaerei Eagle e Argus “mancavano di adeguate installazioni per guidare
i caccia” e che “al massimo, potevano mantenere in volo dieci aerei”.
Tuttavia, secondo le valutazioni dell’ufficiale addetto alle operazioni di
volo, “i risultati raggiunti dalla piccola forza di aerei da caccia della
marina erano stati molto sorprendenti”. Fu valutato che,
complessivamente, “i sedici Hurricane e i sei Fulmar dalle portaerei
abbatterono undici aerei nemici; ne danneggiarono o respinsero altri,
perdendo in tutto sette aerei”: tre Hurricane dell’801° Squadron e quattro
Fulmar dell’807°. 26 Di questi caccia tre andarono perduti nell’ultimo
attacco, e di essi uno fu abbattuto, uno si sfasciò in atterraggio, e un altro
precipitò per essere stato colpito dal fuoco stesso delle navi.

Questa immagine del giugno 1943 vede raccolti alcuni tra i più famosi piloti di aerosiluranti. Al centro è il
maggiore Melley, comandante del 130° Gruppo Aerosiluranti. Gli ufficiali alla sua sinistra sono il capitano di
Bella (con la barba) e il capitano Graziani, quelli alla sua destra il capitano Giulio Marini e il capitano Cimicchi.

26
Ibidem.
65

In campo avverso, nonostante le solite ottimistiche valutazioni degli


equipaggi di volo italiani, che dichiararono numerosi colpi a segno sulle
navi e numerosi abbattimenti di aerei nemici, le perdite subite nella
giornata del 14 giugno degli aerei delle portaerei britanniche furono
modeste. Esse furono limitate a tre soli velivoli da caccia, che portarono al
totale delle perdite della giornata a sette velivoli (tre Hurricane dell’801°
Squadron e quattro Fulmar dell’807°), due dei quali abbattuti dal fuoco
amico delle navi, che nel corso degli attacchi sparavano su ogni aereo che
si avvicinava, uno dai caccia tedeschi e quattro dagli aerei italiani. A
queste perdite si aggiunse quella un velivolo Albacore che, per un guasto
al motore durante una missione antisommergibile, fu costretto ad
ammarare.

L’attraversamento del Canale di Sicilia del convoglio


W.S.19/Z e della Forza X

La sera del 14 giugno, alle ore 20.14, trovandosi nel punto 36 miglia
per 10° dall’isola dei Cani a nord di Bisertas (lat. 37°38’N, long. 10°
13’E), la Forza W del vice ammiraglio Curteis cominciò ad accostare per
invertìre la rotta con la corazzata Malaya, le portaerei Eagle e Argus, gli
incrociatori Kenya e Charybdis e i cinque cacciatorpediniere Onslow,
Icarus, Escapade, Wrestler e Vidette. Da questo momento le cinque navi
mercantili, i piroscafi Burdwan, Orari, Troilus, Chant e la petroliera
Kentucky, proseguirono con la Forza X, la scorta diretta del convoglio
W.S.19/Z guidata del capitano di vascello Cecil Campbell Hardy,
comandante dell’incrociatore contraereo Cairo, e che comprendeva: i
cinque cacciatorpediniere di squadra Bedouin, Marne, Matchless, Ithuriel
e Partridge, i quattro cacciatorpediniere di scorta Blankney, Badsworth,
Middleton e Kujawiak, i quattro dragamine di squadra Hebe, Speedy, Rye e
Hythe, e le sei motolancie ML-121, 134, 135, 168, 459 e 462.
Alle 20.56, per rimpiazzare nella protezione del convoglio i caccia
delle portaerei, che si stavano allontanando, e i cui piloti erano stanchi da
una lunga giornata di scorte navali e di combattimenti aerei, giunsero da
Malta dopo un volo di circa 250 miglia, quattro caccia a lungo raggio
Beaufighter del 235° Squadrone, guidati dal comandante del reparto
maggiore A.E. Cock.
66

Anche dopo che gli attacchi aerei erano terminati sulle navi della Forza X la vigilanza non veniva rallentata. I
serventi di un “pom-pom” a quattro canne di un incrociatore sono pronti a far fuoco in caso di necessità.

Nell’invertire la rotta a occidente, la Forza W subì un’insidia


subacquea da parte del sommergibile Alagi venutosi a trovare, nella sua
manovra di attacco proprio entro la scorta del convoglio, da dove il tenente
di vascello Puccini, in parte osservando col telescopio, in parte per le
esplosioni delle bombe, aveva avvistato in lontananza la corazzata Malaya,
e poi assistito allo svolgimento degli attacchi degli aerei italiani della
Sicilia contro la formazione navale, che gli sfilava di fronte.
Nell’avvicinarsi allettante obiettivo della Malaya l’Alagi si trovo in buona
posizione per attaccare una portaerei, contro la quale il comandante del
sommergibile, tenente di vascello Sergio Puccini, alle ore 21.00 lancio di
due siluri fortemente angolati, che non arrivarono a segno.27

27
Sei giorni prima, la sera dell’8 giugno, trovandosi a nord di Capo Bon, Puccini aveva
attaccato con l’Alagi un convoglio italiano di due piroscafi diretto da Napoli e Palermo a Tripoli, e
del cui passaggio in zona non era stato informato. Lanciando i siluri aveva affondato una delle tre
navi della scorta, il cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare. Scagionato da ogni colpa, Puccini
mantenne il comando dell’Alagi per tutta la guerra, conseguendo tre successi: l’affondamento della
67

L’Alagi, Il sommergibile italiano di media crociera Alagi, della classe 600 serie “Adua”, dopo le modifiche della
torretta e la mimetizzazione. Fu uno dei tre battelli che riuscirono ad attaccare ne navi del convoglio
dell’operazione “Harpoon”, ma senza successo.

Il sommergibile Alagi in bacino alla metà del 1942.

Sempre in serata, dopo il tramonto del sole, il posamine veloce


Welshman (capitano di vascello W.H.D. Friedberger) si staccò dalla Forza
T, e proseguendo la navigazione ad alta velocità (28 nodi) superò il Canale
di Sicilia e raggiunse Malta il mattino dell’indomani, giorno 15,

petroliera turca Antares (12 luglio 1942), e il danneggiamento degli incrociatori britannici Kenya
(12 agosto 1942) e Cleopatra (16 luglio 1943).
68

portandovi il carico urgente che trasportava, costituito da benzina e


munizioni.
Da questo momento, mentre la Forza W manovrava per portarsi in
una zona di sicurezza lontana dagli aeroporti della Sardegna, le cinque
navi mercantili del convoglio W.S. 19/Z (Troilu, Burdwan, Orari Chant,
Kentucky) proseguirono la navigazione per Malta assieme alle Forza X, la
scorta diretta del capitano di vascello Hardy.
Erano a sua disposizione della Forza X l’incrociatore contraereo
Cairo, i cinque cacciatorpediniere di squadra Bedouin, Marne, Matchless,
Ithuriel, Partridge, i quattro cacciatorpediniere di scorta Blankney,
Badsworth, Middleton e Kujawiak, i quattro dragamine di squadra Hebe,
Speedy, Rye e Hythe, e le sei motolancie ML-121, ML-134, ML-135, ML-
168, ML-459, ML-462.
L’ultimo attacco aereo della giornata del 14 giugno, fu realizzato
contro il convoglio diretto a Malta da una formazione di Ju.88 del 54°
Stormo Bombardamento del II Fliegerkorps, che impiegò nell’azione
crepuscolare nove velivoli del gruppo da combattimento KGr.606. Data
l’ora tarda e il calare dell’oscurità, i bombardieri arrivarono sull’obiettivo
senza nessuna scorta di caccia.
Gli Ju.88 si avvicinarono in formazione dalla zona più scura
dell’orizzonte e, con le navi che si profilavano nettamente verso ponente,
alle 21.05 iniziarono la picchiata per sganciare sette tonnellate di bombe da
una quota di circa 1.000 metri.
I risultati dell’attacco, realizzato sotto un forte tiro contraereo, e
senza che i Beaufighter nell’oscurità potessero far molto per contrastarlo,
non furono quelli sperati dai tedeschi, e due Ju.88 della 3a Squadriglia del
KGr.606, con capo equipaggio i tenenti pilota Gerhard Koopmann e
Arthur Penske, colpiti dalle artigliere delle navi non rientrarono alla base.
E’ anche possibile che uno dei due Ju.88 sia stato abbattuto da un caccia
notturno Beaufighter dell’89° Squadron di Malta, avente per pilota il
capitano G. McL. Hayton.
Rientrati alla base, gli equipaggi che avevano partecipato all’attacco
riferirono di aver colpito con una bomba una motonave.
Superata la zona del Banco Skerki, a nord di Biserta, e doppiato
Capo Bon, la navigazione del convoglio W.S. 19/Z e delle unità di scorta
della Forza X proseguì nella notte costeggiando le coste della Tunisia,
fuori dalle ampie zone di mare minate dagli italiani. La navigazione si
svolse tranquilla, sebbene nella zona di transito del Canale di Sicilia
69

Supermarina avesse inviato in agguato i quattro Mas 563, 564, 557 e 560,
della 2a Flottiglia, salpati da Trapani alle 19.30 del 14 giugno per poi
trasferirsi alle 06.00 del 15 a Pantelleria, senza aver fatto alcun
avvistamento delle navi nemiche. Altri quattro piccoli scafi della 2a
Flottiglia, i Mas 574, 576, 548, 543, i primi due salpati da Pantelleria gli
altri due da Mazzara del Vallo, erano rimasti in agguato dopo il tramonto
del sole fino alla 23.00 del 14, prima ancora del transito del convoglio
britannico, e pertanto in questo compito di vigilanza preventiva anch’essi
non ebbero occasione di effettuare avvistamenti.
Superato lo scoglio di unità insidiose, le prime luci del mattino del 15
giugno riservarono ai britannici una brutta sorpresa, poiché il convoglio,
trovò ad attenderlo, a sud di Pantelleria, le unità italiane della 7 a Divisione
Navale, comandata dall’ammiraglio di divisione Alberto da Zara
sull’incrociatore Eugenio di Savoia.

La prima e la seconda fase della battaglia navale di Pantelleria

All’alba del 15 giugno, tre caccia lungo raggio Beaufigter del 235°
Squadron, che da Malta si apprestava a raggiungere il convoglio W.S.19/Z
per assumerne il servizio di scorta, avvistarono le unità italiane a 15 miglia
al traverso a sinistra delle navi britanniche, che con rotta 130° si trovavano
a 25 miglia a sudovest di Pantelleria. Subito, per radiotelefono, il
comandante dei velivoli trasmise al Cairo il segnale di allarme. Fu questa
la prima notizia che su quella sgradita presenza delle navi italiane arrivo al
comandante Hardy alle 06.20, che corrispondeva alle 05,20 ora italiana. A
quest’ultimo orario noi ci uniformeremo, per non creare confusione, nel
descrivere le fasi della battaglia che stava iniziando.
Il capitano di vascello Hardy, un’ufficiale cui non mancava l’energia,
ricevuta la segnalazione dell’avvicinamento delle navi italiane non si perse
d’animo, ed affrontò con decisione l’inattesa e sconcertante intervento
nemico, sottovalutato, come abbiamo detto, nella pianificazione
dell’Harpoon.
In quel momento si trovano di fronte: da parte italiana, due
incrociatori con sedici cannoni da 152 m/m e 12 da 100 m/m, e cinque
cacciatorpediniere con cinque cannoni da 149 m/m (il Premuda) e ventuno
da 120 m/m; da parte britannica, un incrociatore con otto cannoni da 102
m/m, cinque cacciatorpediniere di squadra con trenta cannoni da 120 m/m
70

e due da 102 m/m, e quattro cacciatorpediniere di squadra con ventiquattro


cannoni da 102 m/m, gli stessi dell’incrociatore Cairo. Quanto ai
lanciasiluri, ve ne erano quarantadue da 533 m/m sulle navi italiane,
mentre da parte britannica, con il Cairo e i i quattro“Hunt” che non li
possedevano, ve ne erano 40 da 533 m/m sui cinque cacciatorpediniere di
squadra.

Un caccia a lungo raggio Beaufighter del 235° Squadron, reparto che era stato dislocato a Malta dal Medio
Oriente per la scorta a lungo raggio del convoglio W.S. 19/Z.

Come si vede il potenziale d’artiglieria era nettamente superiore per


le navi italiane, poiché la portata dei cannoni principali era di 22.000 metri
per gli incrociatori italiani e 15.000 metri per quella dei cacciatorpediniere
di squadra britannici, mentre la quantità dei tubi lanciasiluri era
praticamente uguale per entrambi gli avversari, con una leggera differenza
a favore degli italiani.
Non appena avvistate le navi della formazione britannica
l’ammiraglio Da Zara, nel dirigere all’attacco, partì letteralmente alla
carica ordinando di aumentare la velocità dapprima a 28 nodi per poi
raggiungere gradatamente i 32 nodi. Questo fatto, poi duramente
contestatogli dall’ammiraglio Angelo Iachino, superiore di Da Zara quale
71

Comandante della Squadra Navale, ebbe un primo effetto negativo nella


condotta dell’attacco perché lasciò i cinque cacciatorpediniere della 7a
Divisione Navale, a dover inseguire gli incrociatori, perdendo cammino;
specialmente le unità più lente della 14a Squadriglia classe “Navigatori”, il
Vivaldi e il Malocello. Ragion per cui, come vedremo, poco dopo
l’apertura del tiro da parte dell’Eugenio e del Montecuccoli, Da Zara
ordinò alle due siluranti di staccarsi dalla formazione per andare ad
attaccare autonomamente il convoglio nemico, e con lui rimasero i tre
cacciatorpediniere della 10a Squadriglia, Oriani. Ascari e Premuda.

Ripresa da un aereo bella immagine del vecchio incrociatore Cairo nella mimetizzazione e la disposizione
dell’armamento contraereo in uso dalla nave nel 1942, su quattro torrette binate da 102 m/m. Era la nave
comando della Forza X, destinata ad accompagnare il convoglio dell’operazione Harpoon fino a Malta. I suoi
otto cannoni contraerei da 102 m/m, erano buoni per il tiro contraereo ma decisamente insufficienti per
affrontare un combattimento balistico.

Il profilo del Cairo.


72

Ripresa aerea, con mare agitato, del Middleton, uno dei quattro cacciatorpediniere di scorta classe “Hunt” della
Forza X.

Era stato previsto che in caso di necessità la Forza X sarebbe stata


rinforzata con l’incrociatore Liverpool. Ma quest’ultimo era stato silurato e
gravemente danneggiato dagli aerosiluranti della Sardegna. Pertanto, il
vice ammiraglio Curteis, informato nel pomeriggio del 14 giugno
dell’avvistamento delle navi italiane salpate da Cagliari, da parte dei
sommergibili Unison e Safari, dislocati nella stessa linea di agguato tra
la Sardegna e la Sicilia, non se l’era sentita di privarsi di un altro
incrociatore della Forza W perché ritenne essenziale la sua presenza per la
protezione delle due portaerei.
Inoltre, essendo le unità della 7a Divisione Navale dirette verso est –
dovendo entrare a Palermo da dove ripresero il mare durante la notte, con i
cacciatorpediniere ridotti a cinque per le avarie verificatesi sul Gioberti e
sullo Zeno – i comandi britannici ritennero che le navi italiane fossero
dirette verso lo Stretto di Messina per passare nello Ionio e ricongiungersi
al grosso della Squadra Navale. Questa era stata segnalata nel Golfo di
Taranto, da un velivolo da ricognizione Baltimore del 69° Squadron di
Malta, mentre con rotta sud procedeva per attaccare il convoglio
dell’operazione “Vigorous”, come d’altronde già risultava ai comandi
britannici dalle intercettazioni della loro organizzazione crittografica Ultra,
che continuava a decrittare correttamente sia le trasmissioni compilate con
73

il codice della macchina cifrante tedesca Enigma, sia della Hagelin C. 38,
di costruzione svedese, impiegata dagli italiani.
Nascondendo le navi mercantili del convoglio con una cortina di
fumo, cui parteciparono anche i quattro dragamine di squadra praticamente
inutili, assieme alle sei motolancie, nel combattimento navale che si stava
sviluppando, il comandante Hardy mandò all’attacco i suoi cinque
cacciatorpediniere di squadra, che però furono duramente contrastati dal
fuoco degli incrociatori italiani. Il tiro dall’Eugenio e dal Montecuccoli si
dimostrò subito molto celere e ben calibrato dai direttori del tiro; ma
indubbiamente sarebbe stato molto più efficace se fosse stato sostenuto
dalle segnalazioni degli idrovolanti da ricognizione Ro. 43, catapultati dai
due incrociatori per tenere sotto osservazione le navi britanniche e per
trasmettere al Comando della 7a Divisione i dati sulla loro composizione e
sui loro spostamenti.

Ore 06.38 del 15 giugno 1942, inizia l’attacco della 7 a Divisione Navale dell’ammiraglio Alberto Da Zara al
convoglio dell’operazione “Harpoon”. L’apertura del fuoco dell’incrociatore Eugenio di Savoia.

Purtroppo uno dei due velivoli, quello dell’Eugenio, avente per pilota
il tenente Mario Sordi e per osservatore il tenente di vascello Vitaliano
Marsigliani, fu attaccato e abbattuto dal maggiore W.C. Wigmore, pilota di
uno dei due caccia Beaufighter del 235° Squadron che, sopraggiunti da
Malta per assumere la scorta al convoglio, in quel momento si trovavano
nel cielo della zona della battaglia. L’altro Ro. 43, quello del
74

Montecuccoli, non poté trasmettere nulla per un sopraggiunto guasto alla


radio verificatosi durante il catapultamento. Dell’idrovolante abbattuto si
salvò il pilota, tenente Sordi, recuperato dalla sezione di Mas 564 e 563,
salpati da Pantelleria.
Il tiro dell’Eugenio di Savoia (capitano di vascello Franco Zannoni) e
del Raimondo Montecuccoli (capitano di vascello Arturo Solari), fu
inizialmente ben diretto contro i cacciatorpediniere di squadra della 11a
Squadriglia che, guidati dal Bedouin (capitano di fregata B.G. Scurfield),
venivano decisamente all’attacco, sostenuti soltanto dal Cairo che,
sparando con le sue modeste artiglierie appoggiava la coraggiosa azione
offensiva delle sue siluranti. Nel contempo il Cairo svolgeva un duplice
compito, perché continuava a rivolgeva la sua attenzione anche alla
protezione del convoglio, impegnandosi con i quattro cacciatorpediniere di
scorta e i quattro dragamine di squadra ad occultarlo, stendendo cortine di
fumo e nebbia artificiale risultate molto efficaci per nascondere i piroscafi
al tiro nemico.

Da sinistra, i capitani di vascello Arturo Solari e Franco Zanoni, comandanti degli incrociatori Raimondo
Montecuccoli e Eugenio di Savoia.
75

Il Cacciatorpediniere (ex jugoslavo) Premuda. I suoi quattro cannoni da 149 m/m contribuirono a dare maggiore
potenza alla 7^ Divisione Navale, e apparvero efficaci specialmente nella prima parte del combattimento.

Come abbiamo detto, l’ammiraglio Da Zara aveva diretto la sezione


dei cacciatorpediniere Vivaldi e Malocello, che non reggevano la velocità
dei suoi incrociatori, contro i piroscafi del convoglio nascosti dal fumo.
Mentre manovravano in modo da aggirare il convoglio da sud, facendo
fuoco con le artiglierie e lanciando i siluri, uno dei quali sembrò,
ottimisticamente, aver colpito un piroscafo, le due siluranti italiane si
trovarono la strada sbarrata dai quattro cacciatorpediniere di scorta della
12a Squadriglia Blankney, Badsworth, Middleton e Kujawiak, e subito
vennero contrastati dal tiro a lunga distanza dei cacciatorpediniere di
squadra Marne e del Matchless, che nella formazione, inizialmente in linea
di fila, erano le ultime due unità della 11a Squadriglia guidata dal Bedouin
all’attacco degli incrociatori italiani.
Ne consegui che il Marne e il Matchless furono costretti ad
impegnarsi su due fronti, sparando con le loro artiglierie da 120 mm,
distribuite su tre torri binate a tenuta stagna, e in grado di sparare, ad alta
76

elevazione (55°) e a tiro rapido, dai dodici ai quindici colpi al minuto con
ciascun cannone.
Nel frattempo, dopo alcuni minuti dall’apertura del fuoco, il tiro
degli incrociatori italiani, efficacemente appoggiato dai cannoni da 149
m/m del cacciatorpediniere Premuda (capitano di fregata Mario Bartalesi),
centrò e danneggiò gravemente il Bedouin, che fu colpito ripetutamente da
ben dodici proiettili, mentre altri tre proiettili raggiunsero il Partridge,
Entrambe le navi rimasero immobilizzate in fiamme, ma difficile risulta
stabilire, come è stato fatto da Enrico Cernuschi nel periodico Storia
Militare, da quali delle cinque navi italiane, che sparavano tutte sugli stessi
bersagli, fossero arrivati i colpi a segni. E’ comunque certo che i colpi più
duri furono assestati alle due navi dai due incrociatori e dal Premuda.
Dall’ammiraglio Da Zara, il Bedouin fu erroneamente ritenuto un
incrociatore pesante della classe “London”, che addirittura, secondo la
versione riferita dallo stesso Comandante della 7a Divisione, fu visto
saltare in aria dietro la cortina difensiva di fumo e nebbia artificiale stesa
dalle navi britanniche per proteggerlo.

Il Bedouin che guidava i cacciatorpediniere di squadra della 11 a Flottiglia della Home Fleet, ripreso lungo le
coste delle Isole Loften.
77

L’incrociatore Montecuccoli ripreso da un aereo italiano durante la battaglia di Pantelleria.

Nel frattempo, da distanze comprese tra i 17.000 e i 20.000 metri, era


stato preso di mira anche il Cairo. L’incrociatore fu colpito due volte da
proietti da 152 mm sparati a tiro celere dall’Eugenio e dal Montecuccoli,
che per fortuna della nave britannica causarono soltanto scarsi danni, non
essendo esplosi. La fortuna del Cairo risedette sul fatto che, avendo
esaurito il munizionamento a palla, gli incrociatori italiani, ad iniziare
dalle 06.32, stavano impiegando proietti perforanti, che esplodevano
soltanto se trovavano all’urto una forte resistenza.
Da parte italiana, leggeri danni riportarono i due incrociatori, colpiti
entrambi da proiettili da 120 mm: due centrarono l’Eugenio ed uno il
Montecuccoli, dove vi furono tre morti e diversi feriti.
Mentre il combattimento continuava, il convoglio – venuto a trovarsi
senza adeguata difesa essendo la quasi totalità della scorta impegnata a
fronteggiare le navi italiane – fu attaccato da formazioni di bombardieri
del II Fliegerkorps, decollati dai vicini aeroporti della Sicilia.
Approfittando del fatto che gli Spitfire a lungo raggio di Malta non erano
ancora arrivati ad assumere la scorta al convoglio, che si trovava ancora
fuori dal loro raggio d’azione, e che la maggior parte delle unità di scorta
erano impegnate contro le navi italiane, nel corso di due ore attaccarono
trenta Ju. 88 dei gruppi da combattimento I./KG. 54, KGr. 606 e KG. 806.
A questi reparti si sarebbero aggiunti nel corso della giornata, provenienti
da Iraklion (Creta) e da Derna (Cirenaica), gli Ju. 88 del gruppo da
78

bombardamento II./LG.1 e della squadriglia 10/LG.1, subito impiegati


dopo un rapido rifornimento negli aeroporti della Sicilia.
L’attacco dei trenta Ju. 88, decollati in tre formazioni, fu
particolarmente efficace, poiché, attaccando senza contrasto di caccia
nemici non ancora arrivati da Malta, riuscirono a colpire tre delle cinque
navi mercantili. Il piroscafo statunitense Chant, centrato in pieno da una
bomba nel primo attacco, realizzato do quattro velivoli del I./KG.54 uno
dei quali fu abbattuto dalla reazione delle navi, saltò in aria. La petroliera
Kentucky che, per il carburante trasportato, era la nave più importante del
convoglio, presa di mira da sette Ju. 88 del KGr. 606, a causa di una
bomba caduta vicino allo scafo restò immobilizzata, sebbene fosse rimasta
intatta, per la rottura di una conduttura del vapore. Infine, nell’ultimo
attacco di undici Ju. 88 del I./KG.54, che furono scortati da quattordici
caccia Bf. 109 del II./JG.53 il piroscafo Burdwan fu anch’esso inquadrato
dalle bombe e si arrestò in fiamme, con il timone in avaria e la sala
macchine allagata.
A questo punto le condizioni per annientare interamente il convoglio
W.S. 19/Z, ridotto ai piroscafi Orari e Troilus, erano tra le più favorevoli,
anche perché l’ammiraglio Da Zara, come sostenuto dall’ammiraglio
Iachino, aveva a disposizione ancora quindici ore di luce da sfruttare
adeguatamente. Ma a guastare tutto contribuirono due fatti negativi
verificatisi a breve distanza di tempo.
Il primo fu determinato dalla necessità di dare aiuto al
cacciatorpediniere Vivaldi (capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni),
che gravemente danneggiato da uno dei colpi da 120 mm sparati dal
Marne e dal Matchless, era rimasto immobilizzato e in fiamme, protetto
dal sezionario Malocello (capitano di fregata Mario Leoni), che tentava di
tenere lontano le unità nemiche.
Ciò costrinse l’ammiraglio Da Zara a distaccare dalla sua divisione i
restanti tre cacciatorpediniere, Oriani, Ascari, Premuda, in soccorso del
Vivaldi, che però si salvo prima del loro arrivo. E questo avvenne anche
per l’appoggio fornitogli dal Malocello, che con i suoi cannoni continuò a
far fuoco sui cacciatorpediniere britannici, intenzionati a dare al Vivaldi il
colpo di grazia; ma soprattutto vi contribuì il fatto che prima il Marne e il
Matchless, e successivamente i quattro cacciatorpediniere di scorta, si
allontanarono su ordine del Cairo, per contribuire a fronteggiare gli
incrociatori italiani, duramente impegnati dai cinque cacciatorpediniere di
79

squadra, che si trovavano in stato di netta inferiorità ed anche piuttosto a


mal partito.
Nel dirigere verso il Vivaldi l’Oriani, l’Ascari e il Premuda si
trovarono la strada sbarrata dal Blankney, Badsworth, Middleton e
Kujawiak. Il comandante della 10a Squadriglia, capitano di vascello
Riccardo Pontremoli, sull’Oriani, con un comportamento che fu giudicato
rinunciatario ed errato da parte dell’ammiraglio Iachino, ritenendo di aver
di fronte forze nemiche superiori, incluso un incrociatore, decise di
sottrarsi al combattimento dirigendo con le sue tre unità verso nord per
aggirare il lungo sbarramento minato italiano 7/AN, che si trovava a sud di
Pantelleria ed era lungo ben 25 miglia.

A destra il capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni comandante del Vivaldi e della 14a Squadriglia
Cacciatorpediniere. Secondo da sinistra è l’ammiraglio Iachino.
80

Il cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi a Taranto nel settembre del 1940 dopo le riparazioni dei danni subiti il 1°
agosto nello speronamento e affondamento del sommergibile britannico Oswald.

Il cacciatorpediniere Vivaldi in fiamme.


81

Un cacciatorpediniere italiano stende una cortina di fumo.

Un cacciatorpediniere italiano manovra, facendo fumo, sotto li tiro delle navi britanniche. Notare a poppa
dell’unità l’imprecisa e ampia dispersione di una salva.
82

Cortina di nebbia artificiale stesa con i nebbiogeni sistemati a poppa da uno degli incrociatori italiani.

Il Badsworth uno dei quattro cacciatorpediniere di scorta della classe “Hunt” della Forza X.
83

Il cacciatorpediniere di squadra Marne nel 1942. Notare la disposizione dei cannoni da 120 m/m, con
caricamento veloce, in torrette protette.

Una volta completata la manovra, per poi tornare a sud dall’altro lato
dello sbarramento (così da percorrere inutilmente almeno 50 miglia),
arrivato con molto ritardo nella zona in cui si trovava il danneggiato
Vivaldi, ormai non più sottoposto agli attacchi del nemico, il comandante
Pontremoli ricevette l’ordine di ricongiungersi agli incrociatori con
l’Oriani e l’Ascari. Il Premuda e il Malocello restarono con il Vivaldi in
fiamme, fino al momento in cui, raggiunto anche da sei mas per
aumentarne la protezione, il menomato cacciatorpediniere entrò nel
porticciolo di Pantelleria, dove con molta fatica fu estinto l’incendio.
Quindi il Premuda e il Malocello si allontanarono per raggiungere agli
incrociatori, arrivandovi quando il combattimento di Pantelleria era già
terminato.
84

Gli sforzi dell’equipaggio e del personale di Marina di Pantelleria per estinguere l’incendio del Vivaldi.

Finalmente gli incendi del Vivaldi vennero estinti.


85

La battaglia di Pantelleria tra le ore 06.30 e le 08.00 del 15 giugno 1942. Carta dell’Ammiragliato Britannico
86

Il cacciatorpediniere Malocello nella primavera del 1943 quando aveva ricevuto un radiolocalizzatore tedesco.
Notare l’antenna ruotante a materasso sopra il ponte di comando.

La mimetizzazione in guerra del cacciatorpediniere Vivaldi, dal sito Internet “Betasom – XI Gruppo
Sommergibili Atlantici”.
87

Il comandante del Malocello, capitano di fregata Mario Leoni, al centro della foto scattata a Bordeaux nel
settembre 1940. Leoni, che comandava allora il sommergibile Malaspina, conversa con ufficiali della Marina
germanica. Alla sua destra e il capitano di corvetta Rudolf Rösing, già famoso comandante del sommergibile U
48 e poi ufficiale di collegamento del Comando Sommergibili tedeschi (B.d.U.) presso la base di Betasom, il
Comando dell’XI Gruppo Sommergibili italiani operanti in Atlantico.

Il secondo fatto negativo, quello più grave, fu causato da


un’intempestiva manovra tattica dell’ammiraglio Da Zara, determinata da
un suo intempestivo errore di valutazione, che troppo spesso si è voluto
ignorare. Essendo stato costretto a privarsi dell’appoggio dei tre
cacciatorpediniere della 10a Squadriglia per inviarli in aiuto al Vivaldi e del
Malocello, con la conseguenza che le sue navi si trovarono divise in tre
gruppi molto distanti tra loro e tutti impegnati da nuclei nemici di
consistenza numerica superiore, se non potenziale per le differenze di
artiglieria dell’Eugenio, del Montecuccoli e del Premuda , il Comandante
della 7a Divisione Navale, invece di mantenere la posizione in modo da
continuare a sbarrare la rotta al nemico, alle 07.00 sospese
improvvisamente il combattimento, per allontanarsi verso est.
Questa manovra tattica fu giustificata da Da Zara, con l’intenzione di
costringere le navi britanniche ad inseguirlo, attirandole sullo sbarramento
minato 7 AN, manovra che però lo allontanava dal convoglio W.S.19/Z la
88

cui distruzione costituiva il suo obiettivo primario. Vistò che il nemico non
lo stava inseguendo, invece di ritornare verso sud per tentare di riprendere
la posizione più favorevole per attaccare il convoglio, Da Zara diresse
verso nordovest, dove apparivano colonne di “fumo persistenti” di navi in
fiamme. Ma così facendo, ancora una volta compì un’errata manovra
tattica, che fu poi aggravata dalla decisione di risalire, con rotta nord, le 25
miglia dello sbarramento 7 AN per ricercare il nemico, mentre invece, una
volta tornato verso sud, Da Zara trovò soltanto i relitti in fiamme delle navi
mercantili colpite dagli aerei tedeschi.
Nel corso di questa manovra, prolungatasi per circa due ore, le navi
italiane, che stavano costeggiando lo sbarramento minato 7 AN, per
raggiungere la zona in cui apparivano i fumi dei roghi delle navi in
fiamme, vennero attaccate da sei aerosiluranti britannici, due Beaufort del
217° Squadron della RAF e quattro Albacore dell’828° Squadron della
FAA (Fleet Air Arm – Aviazione Navale), decollati da Malta. La loro
scorta, costituita da sedici Spitfire del 249° Squadron, era dovuta rientrare
anzitempo a causa dell’insufficiente raggio d’azione dei caccia.
Conseguentemente, gli aerosiluranti, che erano al comando del capitano di
corvetta A.J.J. Roe, proseguendo la loro missione senza alcuna protezione,
individuate le navi italiane a nord di Pantellerie, le attaccarono, lanciando i
siluri contro l’Eugenio, il Montecuccoli e il Malocello senza riuscire a
colpirli.
Contribuirono all’insuccesso degli aerei britannici le pronte ed
efficaci contromanovre dei due incrociatori e del cacciatorpediniere, e la
loro reazione di fuoco, cui si aggiunse l’intervento di due velivoli Mc. 200
del 54° Stormo Caccia, che essendo di scorta alle navi intralciarono la
manovra d’attacco degli aerosiluranti. Uno dei Mc. 200 colpì gravemente
all’impianto idraulico l‘Albacore del sottotenente di vascello pilota Harry
Horrocks, che però riuscì a rientrare a Malta.
Raggiunta la zona delle navi in fiamme alle 12.15, le unità della 7a
Divisione presero di mira la immobilizzata petroliera Kentucky, che per il
suo carico di ben 14.500 tonnellate di combustibili, preziosissimi per
Malta, era la nave più importante del convoglio, quella che doveva essere
protetta ad ogni costo.
L’unico danno della Kentucky (capitano C. R. J. Roberts) era
rappresentato da un incendio in esaurimento scoppiato nella sala macchine
per la rottura di una conduttura principale di vapore, determinata
dall’esplosione di una bomba caduta nei pressi dello scafo. Pur essendo
89

ancora intatta, la petroliera era stata abbandonata dall’equipaggio, poiché


le navi di scorta avevano ricevuto l’ordine di affondarla per non ritardare,
con un lento rimorchio di 150 miglia, la navigazione del convoglio verso
Malta, a scapito della sua sicurezza.

L’Impianto binato poppiero OTO da 120/50, mod. 1931, di un caccia della classe Poeti, cui appartenevano
l’Oriani e il Gioberti.

Gli incrociatori Eugenio e Montecuccoli e i cacciatorpediniere Oriani


e Ascari, trovarono la Kentucky che aveva nei suoi pressi il
cacciatorpediniere di scorta Badsworth e i dragamine di squadra Hythe e
l’Hebe, che erano stati incaricati di recuperare gli equipaggio del piroscafo
Burdwan e della petroliera per poi affondarle entrambe. Le tre navi
britanniche, vedendo arrivare in lontananza le minacciose sagome degli
incrociatori italiani, si allontanarono alla massima forza senza avere la
possibilità di rispondere al fuoco, iniziato dalle unità della 7a Divisione alla
distanza di circa 18.000 metri. L’Hebe (capitano di corvetta George
Mowatt), che si trovava il più vicino alla Kentucky, mentre manovrava alla
massima velocità di 17 nodi coprendosi di fumo, fu colpito da un proiettile
perforante da 152 mm che lo raggiunse sul ponte, distruggendo il bagno
nella cabina del comandante, per poi passare oltre lo scafo senza
90

esplodere. Il dragamine riuscì a sfuggire alla distruzione, assieme


all’Hythe e al Badsworth, anche perché i due incrociatori italiani, dopo
quattro minuti dall’inizio del fuoco, cessarono di sparare per l’aumentata
distanza dei bersagli, erroneamente ritenuti molto veloci.

Battaglia di Pantelleria. L’incrociatore Eugenio di Savoia sta sparando con le torri prodiere da 152 m/m e con i
cannoni da 100 m/m.

Non fu altrettanto fortunata la Kentucky che, presa dall’Eugenio e dal


Montecuccoli sotto un violento tiro d’artiglieria, e colpita anche da un
siluro dell’Oriani, visto deflagrare sollevando una colonna di fumo bianco,
fu lasciata che stava bruciando da un capo all’altro e sviluppando una
lunghissima colonna di fumo, visibile a 30 miglia di distanza.
Nel contempo il cacciatorpediniere Ascari (capitano di fregata
Teodorico Capone) lanciò i siluri contro un piroscafo abbandonato dalla
scorta e in fiamme. Si trattava certamente del Burdwan, poiché l’altro
piroscafo, lo statunitense Chant, colpito dalle bombe degli Ju. 88 del
I./KG.54 era già affondato, esplodendo, e di lui, trasportando carburante,
non restava alla superficie del mare che una densa colonna di fumo nero. Il
medesimo Burdwan fu poi attaccato da un velivolo italiano S 79 del 132°
Gruppo Aerosiluranti guidato dal comandante del reparto, capitano pilota
91

Carlo Emanuele Buscaglia, che al rientro a Pantelleria si disse convinto di


aver dato a quel piroscafo il colpo di grazia.
Frattanto, proseguendo nella navigazione verso nord, allontanandosi
dalle navi superstiti del convoglio che dirigeva in tutt’altra direzione, i due
incrociatori italiani avvistarono due cacciatorpediniere, ritenuti del tipo
“Jervis” e, considerando che avessero intenzioni aggressive, si diressero
verso di essi, iniziando l’inseguimento, per poi cominciare a sparare alle
12.35 alla distanza di 19.500 metri. Si trattava del Bedouin, a rimorchiato
del Partridge, che essendo riuscito a rimettere in moto una macchina
aveva ricevuto dal comandante Hardy l’ordine di tentare di raggiungere
Gibilterra. Mentre l’Eugenio e il Montecuccoli aprivano il fuoco, il
Partridge mollò il rimorchio, stese intorno all’immobilizzato Bedouin una
cortina di fumo, e poi si allontanò.

Bellissima foto del cacciatorpediniere Ascari, con la mimetizzazione del 1942.

Lasciato solo il Bedouin era ormai un bersaglio allettante per le navi


italiane, che però esitarono a dargli il colpo di grazia; manovra ritardata
dallo stato di incertezza e di cautela con cui manovrò l’ammiraglio Da
Zara che, sospendendo il fuoco, non se la sentì di stringere le distanza
avvicinandosi alla cortina di fumo che stava occultando il grosso
cacciatorpediniere. A un certo punto dietro a quella cortina fu osservata
un’esplosione, determinata dal siluro sganciato da un velivolo S 79 della
92

281a Squadriglia del 132° Gruppo Aerosiluranti, avente per pilota il


sottotenente Marino Aichner, che aveva colpito a centro nave il Bedouin.
Questi, sbandando sul fianco sinistro, affondo in cinque minuti
capovolgendosi.
Nel corso dell’attacco l’S 79, che era decollato da Pantelleria assieme
a quello del capitano Buscaglia, fu colpito ad un serbatoio della benzina
dalla reazione del Bedouin, e fu costretto ad ammarare non lontano dalla
sua vittima. Tuttavia, i sette membri dell’equipaggio si salvarono
prendendo posto su un battellino e furono poi raccolti da mezzi di soccorso
nazionali. L’equipaggio del Bedouin fu anch’esso raccolto da altri mezzi di
soccorso italiani. Un idrovolante Cant. Z. 506, ammarando, raccolse i dieci
uomini più gravemente feriti; gli altri furono salvati dalla piccola nave
ospedale Meta che, per errore, alle 19.00 fu attaccata, fortunatamente
senza riportare danni, da una pattuglia di sei caccia italiani Cr. 42 del 54°
Stormo, quattro dei quali armati con bombe da cinquanta chili, decollati da
Pantelleria al comando del capitano pilota Bruno Visconti.

Il comandante del 132° Gruppo Aerosiluranti, capitano pilota Carlo Emanuele Buscaglia (a destra), e il capitano
pilota Giuseppe Cimicchi (a sinistra), altro rappresentativo pilota della specialità, osservano un siluro.
93

L’Eugenio e il Montecuccoli, vista sfumare l’occasione di affondare


il cacciatorpediniere Bedouin, rivolsero l’attenzione sul Partridge, che
incredibilmente non riuscirono a raggiungere sebbene la velocità massima
sostenibile del cacciatorpediniere britannico, per i danni riportati alle
macchine e allo scafo, non superasse i 17 nodi, e quella degli incrociatori
italiane fosse di ben 30 nodi.
Il Partridge, una volta che gli incrociatori della 7a Divissione
cessarono di inseguirlo, invertì la rotta per controllare i movimenti delle
unità italiana da grande distanza, e lo fece fin quando ricevette dal
comandante Hardy, preoccupato della sua incolumità, l’ordine di
raggiungere Gibilterra.

Il Partridge, uno dei cinque cacciatorpediniere di squadra britannici della Forza X che nelle prime fasi della
battaglia di Pantelleria si impegnarono, assieme al piccolo incrociatore contraereo Cairo, a sostenere l’urto delle
navi italiane. Nel corso ndell’azione il Partridge fu colpito da tre proiettili e per un certo tempo rimase
immobilizzato assieme al capo flottiglia Bedouin.

Durante la navigazione verso Capo Bon, per poi proseguire per la sua
destinazione, il Partridge fu attaccato da un velivolo tedesco Ju. 88 le cui
94

bombe, cadendo vicino allo scafo costrinsero il cacciatorpediniere a


fermarsi, per riparazioni che si prolungarono per circa un’ora.

La rotta e il tiro delle unità della 7 a Divisione Navale nell’azione pomeridiana di Pantelleria nel rapporto
dell’ammiraglio Da Zara.

***

Mentre si svolgevano gli avvenimenti descritti, le unità della 7a


Divisione Navale erano state bombardate da alta quota da alcuni aerei, il
cui tipo e la nazionalità non furono precisati, ma che dovevano essere
probabilmente tedeschi, che in quel periodo stavano effettuando diversi
attacchi contro le navi britanniche, assieme a quelli della Regia
Aeronautica.
95

Occorre dire che da parte italiana, vi furono notevoli difficoltà a


intervenire con l’aviazione contro il convoglio britannico poiché, dopo gli
attacchi serali, all’alba del 15 l’Aeronautica della Sicilia era ridotta a
disporre soltanto di quattro siluri. Inoltre gran parte dei bombardieri,
rimasti danneggiati o richiedenti accurate divisioni, essendo stati il giorno
avanti frettolosamente ammassati sugli aeroporti occidentali dell’isola, si
trovavano nella condizione di non poter completare il rifornimento per
deficienza di personale specializzato. Basti pensare che durante la giornata
del 15 giugno furono inviati in volo, per tenere sotto controllo la situazione
nel Canale di Sicilia, appena quattro ricognitori S. 79 del 10° Stormo
Bombardieri. Di essi soltanto uno, decollato alle 05.05 in seguito ad un
primo avvistamento segnalato da un idrovolante da ricognizione Cant. Z.
506 dell’Aviazione Marittima, fornì un apprezzabile contributo nel
mantenere il contatto con le navi nemiche fino alle ore 13.00.
Vediamo ora come avvenne l’intervento dei velivoli italiani, e il
proseguimento delle azioni di quelli tedeschi del II Fliegerkorps, che si
verificò dopo il fruttifero intervento dei primi trenta Ju. 88, con il decollo
di altri venticinque bombardieri, ripartiti in tre formazioni.
In seguito ad una richiesta di appoggio aereo offensivo pervenuto
dalla 7a Divisione, e ai rapporti dei ricognitori che alle 07.45 avevano
avvistato un gruppo di piroscafi a 40 miglia a sud-est di Capo Bon, il
Comando dell’Aeronautica della Sicilia ordinò la partenza di dodici
bombardieri – otto S. 84 e quattro S. 79 – che furono seguiti da tre
aerosiluranti S.79, tre bombardieri Cant. Z. 1007 bis e diciotto bombardieri
in picchiata Ju. 87, scortati da una trentina di caccia Mc. 202.
I decolli delle prime due formazioni di bombardieri si verificarono
alle 08.20, dopo che agli equipaggi era stato dato tassativo ordine di
attaccare soltanto navi mercantili, come aveva raccomandato Supermarina,
per evitare equivoci con le unità da guerra nazionali. I quattro bombardieri
S. 79 del 10° Stormo, raggiunta la zona indicata per attaccare il convoglio,
avvistarono soltanto unità navali, due delle quali in fiamme, probabilmente
i cacciatorpediniere Bedouin e Patridge. Avendo l’ordine di non attaccare
unità da guerra, essendovi in zona quelle italiane, il comandante della
formazione, colonnello Pasquale d’Ippolito, trascurando, per negligenza
(come gli fu poi contestato dal generale Scaroni), di prolungare la ricerca
delle navi mercantili del convoglio, la cui presenza non poteva essere
lontana, ordinò ai suoi velivoli il rientrare alla base.
96

Aeroporto di Sciacca. Velivoli S. 79 della 55a Squadriglia del 30° Gruppo del 10° Stormo B.T.

Il pilota di un MC.202 della 360ª Squadriglia del 155º Gruppo del 51º Stormo Caccia, prende posto sul suo
velivolo per andare ad assumere la scorta agli aerei offensivi.
97

Alle 10.45 la formazione egli otto bombardieri S. 84 del 4° Gruppo,


riuscì ad avvistarono ed attaccare il convoglio britannico a 60 miglia a sud
di Pantelleria, senza però riuscire ad attenere alcun risultato. Lo sgancio di
trentasei bombe da centosessanta chili contro le navi fu realizzato da 3.000
metri di quota, ed avvenne con il contrasto di quattro Spitfire a lungo
raggio del 126° Squadron della RAF che, al comando del capitano J.P.
Winfield, riuscirono ad abbatterete in fiamme due S. 84, tra cui quello del
comandante del 4° Gruppo, maggiore Gastone Valentini.
La stessa sezione di Spitfire, la prima che decollando da Malta
raggiunse il convoglio per assumerne la scorta, grazie all’adozione di
serbatoi supplementari da sessanta galloni necessari per aumentarne
l’autonomia dei caccia, ottenne subito dopo un altro successo, abbattendo
un idrovolante RS. 14 della 144a Squadriglia della Ricognizione Marittima.
Degli equipaggi dei tre velivoli italiani abbattuti si salvarono soltanto il
maggiore Valentini e due uomini del suo velivolo, recuperati in mare da
un idrovolante soccorso nazionale.
Nel frattempo, i tre S. 79, della 281a Squadriglia del 132° Gruppo
Aerosiluranti, guidati dal capitano Buscaglia, furono attaccati durante la
rotta da un caccia a lungo raggio Beaufighter del 235° Squadron della
RAF, con pilota il sergente A.J. Hall, e furono costretti ad atterrare a
Pantelleria, da dove soltanto due di essi, riparati alla meglio i danni subiti,
poterono riprendere il volo alle 12.20, scortati da undici velivoli da caccia,
sei Re. 2001 e cinque Mc. 202. Come abbiamo visto i due S.79 ebbero
occasione di liberarsi dei loro siluri in modo redditizio contro due navi
danneggiate e immobilizzate, affondando il cacciatorpediniere Bedouin e
colpendo, probabilmente, il piroscafo Burdwan.
Ancora con esito negativo si concluse l’attacco portato alle 12.15 da
una formazione di dieci bombardieri in picchiata Ju. 87 del 102° Gruppo
(capitano Giuseppe Cenni), che erano scortati da venticinque caccia Mc.
202 del 155° Gruppo (maggiore Duilio Fanali). Nel cielo del convoglio gli
aerei italiani trovarono ad attenderli dodici Spitfire del 601° Squadron e,
nel combattimento che seguì, andarono furono abbattuti uno Ju. 87, un Mc.
202 e uno Spitfire, mentre nessuna nave britannica rimase colpita dalle
bombe sganciate a tuffo.
Vediamo adesso come si realizzarono gli attacchi delle tre formazioni
di bombardieri tedeschi, due dei quali erano stati costretti a interrompere la
missione per noie meccaniche, per cui arrivarono sull’obiettivo ventitré Ju.
88.
98

Alle 14.20 la prima formazione costituita da diciotto velivoli,


manovrando con il sole alle spalle effettuò l’attacco in picchiata contro
alcune unità navali che si trovavano nella zona di Pantelleria. Furono
probabilmente parte di questi velivoli ad effettuare l’attacco contro le unità
della 7a Divisione, nel corso del quale le bombe sganciate sulle navi
italiane risultarono centrate, ma nessuna unità riporto danni, sebbene il
cacciatorpediniere Ascari fosse stato particolarmente preso di mira.
Alle 14.32, sopraggiunse la seconda formazione, costituita da tre Ju.
88 del KGr 606 la cui attenzione fu rivolta ad una petroliera in fiamme,
che gli equipaggi tedeschi ritennero di aver colpito con una bomba. Si
trattava certamente della Kentucky (vedi sottostante immagine), non
ancora affondata dopo il martellamento d’artiglieria a cui l’avevano
sottoposta le navi dell’ammiraglio Da Zara.

La cisterna Kentucky in fiamme fotografata alle 14.53 da uno Ju. 88 del KGr. 606.

Infine, alle 14.35, arrivarono i quattro Ju. 88 della terza formazione


che bombardarono il cacciatorpediniere Partridge, danneggiandogli il
timone per un colpo vicino e costringendolo, come abbiamo detto, a
fermarsi temporaneamente.
Intorno alle 17.00, mentre le navi della 7a Divisione stavano
lasciando la zona di Pantelleria per rientrare alla base, trovandosi a levante
dell’isola furono nuovamente attaccate da tre aerosiluranti Albacore
dell’828° Squadron della FAA, gli ultimi rimasti disponibili a Malta. Al
99

comando del tenente di vascello W.D. Winterbottom, gli Albacore


attaccando da breve distanza lanciarono i loro siluri contro il Montecuccoli
che con pronta ed efficace manovra evitò di restare colpito.
Nel cielo delle navi vigilava in quel momento una formazione di
nove Re. 2001 del 2° Gruppo Caccia che, al comando del tenente Giorgio
Gasperoni, intervennero subito dopo il lancio dei siluri mitragliando e
colpendo due Albacore. Uno di essi, che aveva riportato gravi danni, riuscì
a rientrare faticosamente a Malta, mentre il secondo Albacore, pilotato dal
sergente C. Armitage, fu abbattuto. La stessa fine fu riservata, dal Re.
2001 del tenente Gasperoni, a un caccia a lungo raggio Beaufighter del
235° Squadron che, pilotato dal sottotenente di vascello Cyril Casey, stava
scortando gli aerosiluranti. I quattro uomini degli equipaggi dei due
velivoli britannici, pilota e navigatore, decedettero.
Occorre dire che durante la giornata del 15 giugno, per tutte le
quindici ore di luce a iniziare dalle ore 05.20 e fino alle ore 20.30,
l’Aeronautica della Sicilia, su preventiva richiesta di Supermarina,
impiegò per la protezione della 7a Divisione Navale complessivamente
centodiciassette velivoli da caccia: ventinove Mc. 202, ventisei Mc. 200,
venti Re. 2001, diciotto G. 50, nove Re. 2000 e quindici Cr. 42, che
effettuarono missioni di scorta alle navi ad alta e bassa quota.
Dopo l’ultimo attacco degli Albacore, le unità della 7a Divisione
Navale poterono proseguire la navigazione di rientro, raggiungendo nella
tarda mattinata dell’indomani, 16 giugno, il porto di Napoli accolte da
spontanee ed intense manifestazioni di giubilo. Occorre dire che durante la
navigazione le navi italiane, passando la sera del 15 vicino all’isola di
Marettimo, erano state avvistate dal sommergibile britannico Unbroken
(tenente di vascello A.C.G. Mars), che però non poté far nulla per
attaccarle, poiché stavano transitando ad alta velocità lontane dal suo
raggio d’azione.

***

Ritornando alla navigazione del convoglio britannico e delle sue


unità di scorta, dobbiamo concludere che l’ammiraglio Da Zara, pur
avendo agito in buona fede, con la sua errata manovra di risalire lo
sbarramento minato 7 AN aveva permesso alle unità britanniche di
sganciarsi dapprima dal combattimento, e poi di proseguire speditamente
la navigazione per Malta, con rotta diretta.
100

Inizialmente, a partire dalle prime ore del mattino del 15 giugno, alla
scorta delle navi del convoglio W.S. 19/Z avevano provveduto sezioni di
caccia a lungo raggio della RAF, i bimotori Beaufigter e gli Spitfire a
lungo raggio forniti di serbatoi supplementari, e in grado di spingersi alla
distanza di 150 miglia dalle basi aeree di Malta. Ma a iniziare dalle 09.30,
con il convoglio che si trovava a 110 miglia da Malta, si succedettero nella
protezione delle navi gli Spitfire a corto raggio della RAF Dandosi
regolarmente il cambio, gli Spitfire degli Squadron 126°, 249°, 185°, 601°
e 603°, fornirono la protezione aerea al convoglio e alle unità di scorta,
assieme ai Beaufighter del 135° Squadron, facendolo con ottimo successo.
E questo sebbene l’aviazione dell’Asse continuasse a fare di tutto, per
quanto consentito dai mezzi disponibili, per impedire l’arrivo a
destinazione dei due superstiti piroscafi del convoglio, il Troilus e l’Orari
che essendo illesi continuavano a marciare verso est alla velocità di 14
nodi.
Le azioni aeree offensive pomeridiane, furono portate a compimento
quasi esclusivamente dagli aerei tedeschi, poiché tredici velivoli
dell’Aeronautica della Sicilia, tre S. 79 e sei S. 84 decollati alle 15.45,
seguiti da due Cr. 42 con bombe alari da 50 chili, non trovarono le navi da
attaccare.
Da parte sua il II Fliegerkorps, a iniziare dalle 17.00 e fino alle
19.20, mandò in volo ventotto bombardieri Ju. 88, ripartiti in due ondate,
che furono scortate dai caccia Bf. 109 del II./JG.53, e da venti Mc. 202 del
155° Gruppo Caccia al comando del maggiore Fanali.
Alle 18.10 la prima ondata, costituita da dieci Ju. 88 del KGr. 606,
attaccò in picchiata il convoglio britannico, prendendo di mira, senza
riuscire a colpirli, il piroscafo Troilus, il cacciatorpediniere Matchless e il
posamine veloce Welshman, che rientrato da Malta dopo aver scaricato il
suo carico urgente di benzina e munizioni, alle 16.30 si era ricongiunto alla
Forza X. I Bf.109 del II./JG. 53 che scortavano gli Ju. 88, e che in parte
erano dovuti rientrare assieme ai venti Mc. 202 del 155° Gruppo per
raggiunto limite di autonomia, ingaggiarono combattimento con quattro
Spitfire del 249° Squadron, abbattendone due e costringendone un altro a
effettuare al ritorno a Malta un disastroso atterraggio forzato, sfasciandosi
completamente.
101

Un Bf. 109 del JG.53, che ha pitturato sul motore il simbolo dello stormo, l’Asso di picche.

Infine, nell’ultimo tentativo per cercare di impedire ai due superstiti


mercantili del convoglio britannico di raggiungere Malta, la seconda
ondata di bombardieri, costituita da diciotto Ju. 88 ripartiti in tre
formazioni, non arrivò sull’obiettivo. Essendo senza scorta, verso il
tramonto fu costretta ad allontanarsi per l’intervento, di quattro Spitfire del
249° Squadron che, guidati dal capitano P.B. Lucas, abbatterono uno Ju.
88 facente parte di una formazione di sette velivoli del KGr. 806.

Il ritardato arrivo alla Valletta delle navi superstiti del convoglio W.S.
19/Z. L’insidia delle mine tedesche

Nonostante gli attacchi aerei del pomeriggio del 15 giugno fossero


stati fallimentari per le forze dell’Asse, il tempo perso nel lungo
combattimento con le unità della 7^ Divisione Navale, portò per i
britannici ad altre spiacevoli conseguenze. Le navi del convoglio, ridotte
agli indenni piroscafi Troilus e Orari, che secondo i piani avrebbero
dovuto arrivare a destinazione nel pomeriggio, raggiunsero l’entrata del
porto della Valletta durante la notte, con molto ritardo, mentre le unità di
scorta della Forza X, che dovevano rientrare a Gibilterra, furono costrette a
dirigere verso il Grand Harboor, per rifornirsi a scapito dei magri depositi
102

di Malta. Ne conseguì che al momento in cui le navi della formazione


cominciarono a percorrere la rotta di sicurezza conducente al Grand
Harbour, si ebbe a verificare un episodio, inaspettato, che avrebbe potuto
avere conseguenze catastrofiche.
E ciò avvenne per un errore di manovra, causato dai dragamine che,
con i loro divergenti in mare per tener sgombra la rotta, stavano guidando
verso l’entrata del Grand Harbour le altre navi procedenti in lunga linea di
fila. Nell’oscurità, uscendo dal canale dragato che conduceva al porto, la
formazione navale, tra le 00.40 e le 02.10 del 16 agosto, finì sullo
sbarramento minato MT.14 che era stato posato in quella zona, il 21 aprile
1942, da zsi motosiluranti tedesche della 3a Flottiglia (tenente di vascello
Friedrich Kemmenade).
Fu una mezza catastrofe dal momento che proprio sull’uscio di casa
affondarono il cacciatorpediniere Kujawiak (polacco) e il dragamine
ausiliario Justified (del servizio dragaggio di Malta), e riportarono gravi
danni il piroscafo Orari, i due cacciatorpediniere Badsworth e Matchless e
il dragamine di squadra Hebe.
Occorre sottolineare che anche questo disastro fu dovuto, di riflesso,
all’intervento a Pantelleria delle navi dell’ammiraglio Da Zara, perché, lo
ripetiamo, era stato previsto che il convoglio dovesse raggiungere le acque
di Malta nel pomeriggio del 15 giugno, con piena luce diurna. Invece a
causa del ritardo accumulato nel corso del lungo combattimento, le navi si
presentarono all’ingresso del canale dragato che portava alla Valletta con il
buio più profondo, che non concesse al comandante Hardy di capire dove
si trovasse e cosa stava per succedere nell’attraversare quello stretto
budello.
Sebbene due navi mercantili, sulle sei originali del convoglio W.S.
19/Z, fossero riuscite a passare, portando con i loro rifornimenti un certo
ossigeno all’esausta piazzaforte maltese, il risultato dell’operazione
“Harpoon” era costato molto caro alla Royal Navy, che nel contempo
dovette anche subire una grossa e più cocente umiliazione nel
Mediterraneo occidentale.
103

Il cacciatorpediniere di scorta polacco Kujawiak, affondato all’imboccatura del Grand Harbour dalle mine
tedesche posate dalle motosiluranti della 3a Flottiglia. Era una delle quattro unità del tipo “Hunt” della 12 a
Flottiglia che nel corso del combattimento di Pantelleria ebbe il compito di proteggere, a distanza ravvicinata, le
navi mercantili del convoglio W.S. 19/Z.

Il cacciatorpediniere di scorta Badsworth dopo l’arrivo alla Valletta, danneggiato dall’esplosione di una mina
tedesca incocciata all’entrata del Grand Harbour.
104

Porto della Valletta. Viene esaminata la falla apertasi sullo scafo del piroscafo Orari dopo l’esplosione di una
mina all’ingresso della rotta di sicurezza che portava al Grand Harbour.

Disegno di Antonio Mattesini


105

Lo svolgimento dell’Operazione “Vigorous”

In effetti, anche l’operazione “Vigorous” era nata sotto una cattiva


stella. Durante la giornata del 14 giugno, la formazione navale britannica,
che si trovava a transitare nel “Bomb Alley” (“Viale delle Bombe”), come
i britannici chiamavano la pericolosa strettoia tra le coste della Cirenaica e
di Creta, fu pesantemente attaccato dagli aerei da bombardamento
germanici.
Il Comando del X Fliegerkorps impiegò gli Ju. 88 dei gruppi I. e
II./LG.1, gli Ju. 88 del I./KG.54, e gli He. 111 del II./KG.100, mentre il
Comando del Fliegerführer Afrika mandò all’attacco gli Ju. 87 dei gruppi
da bombardamento in picchiata II. e III./St.G.3 e gli Ju. 88 della
squadriglia 12./LG.1, scortati dai caccia Bf. 109 dello stormo JG.27 e del
gruppo III./JG.53. Assicuravano il servizio di ricognizione strategica con i
loro Ju. 88D le squadriglie 1(F)/121 a Derna, in Cirenaica, e 1(F)/123 a
Kastelli, nell’Isola di Creta.
Nel complesso, secondo le relazioni dell’O.B.S. disponibili presso
l’Ufficio Storico dell’Aeronautica italiana, furono impegnati trentadue
velivoli da ricognizione e ben centoottantotto bombardieri, dei quali ultimi
però sessantasei non trovarono il convoglio da attaccare. Gli altri
centoventidue bombardieri che riuscirono ad attaccare il convoglio
conseguirono risultati molto inferiori a quelli ottimisticamente valutati
dagli equipaggi germanici, che sostennero di aver colpito otto navi da
carico e un incrociatore, mentre in realtà i successi reali furono molto più
modesti, essendo riusciti a colpire direttamente solamente tre navi
mercantili.
Occorre anche dire che L’attività aerea della Luftwaffe si sviluppò
con un certo ritardo. Sebbene il convoglio M.W. 11 si fosse già da tempo
inoltrato nel “Bomb Alley”, esso procedette nel corso della mattinata con
una certa tranquillità, protetto dai caccia della RAF, in parte sottratti
all’appoggio alle forze terrestri britanniche impegnate nella battaglia
terrestre che si combatteva davanti a Tobruch, e che vedeva impegnati gli
aerei di entrambi gli avversari: britannici, tedeschi e italiani.
La prima nave a fare le spese dell’offensiva aerea germanica fu il
piroscafo olandese Aagtekerk, che per sopraggiunte avarie alle macchine
era stato dirottato per Tobruch scortato dal cacciatorpediniere Tetcott. Esso
fu attaccato intorno alle 12.30 del 14, a circa 12 miglia dalla sua
destinazione, da una formazione di trentasette bombardieri in picchiata Ju.
106

87 del II./St.G.3 al comando del maggiore pilota Kurt Kuhlmey. Colpito


da tre bombe l’Aagtekerk (6.811 tsl) affondò in fiamme. Nel medesimo
attacco gli Ju. 87 del II./St.G.3 danneggiarono con una bomba esplosa
vicino allo scafo la corvetta Primula (capitano di corvetta J.H. Fuller),
anch’essa dirottata per Tobruch per sopraggiunte noie alle macchine.
Nella circostanza, gli Ju. 87 del II./St.G.3 e del III./St.G.3 furono
scortati da numerosi Bf. 109 del III./JG.53 e del I./JG.27 che, decollando
da Derna, in due occasioni impegnarono in combattimento i caccia
britannici, abbattendone quattro: due Kittyhawks del 250° Squadron della
RAF e due “Tomahawks” del 5° Squadron sudafricano, con la perdita di
un Bf. 109 del III./JG.53, che aveva per pilota il tenente Karl-Heinz
Quaritsch, il quale era accreditato di tredici vittorie, cinque delle quali
conseguite nel cielo di Malta. Un altro velivolo tedesco, uno Ju. 88 della 7 a
Squadriglia del III./St.G.3 fu abbattuto dalle artiglierie del
cacciatorpediniere Tetcott (tenente di vascello H.R. Raycroft), e ciò
avvenne nel corso dell’attacco che aveva portato all’affondamento del
piroscafo Aagtekerk.

Il piroscafo olandese Aagtekerk che il 14 giugno fu affondato dai bombardieri in picchiata tedeschi Ju.87 del
II./St.G.3.
107

Un velivolo da ricognizione Ju. 88 della 1.(F)/122, che era dislocata a Derna (Cirenaica).
Furono i velivoli di questa squadriglia, assieme a quelli della 2(F)/123 di base a Kastelli
(Creta), ad avvistare e poi tenere tenacemente il contatto con la formazione navale britannica
dell’operazione “Vigorous”, permettendo gli attacchi tempestivi dei bombardieri del X
Fliegerkorps e del Fliegerführer Afrika.

Fra le 15.39 e le 20.10 del 14 giugno andarono all’attacco della


formazione navale britannica settantatre aerei da bombardamento
germanici Ju.88, ripartiti in quattro ondate decollate dagli aeroporti di
Creta, Iraklion, Tjmbaki e Maleme. La prima ondata sopraggiunta
sull’obiettivo alle 15.39, comprendeva con nove velivoli; la seconda
ondata attaccò tra le 15.45 e le 18.04 con ventuno velivoli ripartiti in più
formazioni; la terza ondata attaccò alle 16.35 con ventisette velivoli; e
infine la quarta andata, costituita da 16 velivoli, attaccò tra le 19.50 e le
ore 20.16.
Alle 17.30, durante l’attacco di una formazione di sei Ju. 88 del
I./LG.1, decollati da Derna e guidati dal loro comandante di gruppo
capitano Helbig, furono colpite due navi mercantili britanniche. Il
piroscafo Buthan (6.104 tsl), raggiunto sul ponte da tre bombe in rapida
successione affondò in venti minuti. La petroliera Potaro (5.410 tsl),
108

rimasta danneggiata, con le stive numero 4 e numero 5 allagate, essendo


risultata troppo lenta per continuare nella navigazione per Malta, fu
rimandata ad Alessandria scortata da due cacciatorpediniere

Il piroscafo Buthan, che attaccato dagli Ju 88 del I./LG.1 e colpito da tre bombe affondò in
venti minuti.

Il piroscafo Potaro che rimase danneggiato nella medesima azione degli aerei tedeschi.
109

Su un aeroporto tedesco del Mediterraneo l’equipaggio di un velivolo da bombardamento Ju.


88 si prepara per il decollo, studiando sulla carta i dettagli della missione.

Con l’eliminazione del Buthan e il danneggiamento della Potaro, la


consistenza del convoglio M.W. 11 si ridusse dalle undici navi mercantili
che lo componevano a sette. Da parte della Luftwaffe le operazioni della
giornata portarono alla perdita di sei velivoli: un Bf. 109 del III./JG.53,
due Ju. 87, uno del II./St.G.3 e l’altro del III./St.G.3, e tre Ju. 88, uno del
II./LG.1, con il quale decedette il tenente pilota Gerhard Brenner insignito
della Ritterkreuz, un altro del medesimo gruppo, ed uno del I./KG.54. I
due ultimi Ju. 88 rientrando danneggiati alle loro basi di Heraklion e
Tymbaki, durante l’atterraggio si sfasciarono restando fuori uso.
Alle 18.45 attaccarono il convoglio cinque bombardieri italiani Cant.
Z. 1007 bis del 47° Stormo dell’Aeronautica dell’Egeo, guidati dal
capitano Carlo Reghini, al quale era stato ordinato di bombardare da alta
quota le navi da carico e segnalare la posizione in cui si trovavano le navi
nemiche. I Cant. Z. 1007 bis arrivati sull’obiettivo, in lat. 34°10’N, long.
23°10’E, volando in formazione a V sganciarono le loro bombe da una
quota di 5.000 metri, sotto una reazione contraerea violentissima che colpì
110

non gravemente tre velivoli, e poi andarono ad atterrare a Derna,


giungendovi alle ore 20.00, come era stato consigliato dal loro comando,
in caso di necessità.
Nella sua relazione, compilata dopo il rientro a Rodi da Derna,
avvenuta intorno a mezzogiorno del 15 giugno, il capitano Reghini
dichiarò che “date le cattive condizioni di visibilità e la quota di attacco di
5000 metri non era stato possibile precisare i tipi delle unità che
componevano il convoglio”. Lo sgancio delle bombe era stato diretto
contro “una delle quattro navi più grandi del convoglio che navigava in
linea di fila”; e aggiunse che il tiro era risultato centrato, tanto che per la
unanime testimonianza dei componenti gli equipaggi dei suoi velivoli, la
prima nave era stata “colpita in pieno e vista avvolta da fiamme dovute ad
un enorme scoppio”. Nella fase di allontanamento era stata vista da alcuni
uomini un'altra unità che, anch’essa evidentemente colpita, stava
riducendo la sua velocità.28

Cant. Z. 1007 bis della 230a Squadriglia, 95° Gruppo, 35° Stormo.

28
AUSA, “Relazione sulle azioni aeree dei giorni 14 e 15 Giugno 1942 da parte
dell’Aeronautica dell’Egeo nel Mediterraneo orientale contro il noto convoglio inglese e risultati
ottenuti”.
111

Disegno pittorico di un Cant. Z. 1007 bis della 230 a Squadriglia. Da Wings Palette.

Dai rapporti britannici non risulta che all’ora dell’attacco dei Cant. Z.
1007 bis del 47° Stormo fosse rimasta colpita qualche nave del convoglio
M.W.11.
Non trovò invece l’obiettivo una formazione di quattro aerosiluranti
italiani S. 79 del 41° Gruppo Autonomo della 5a Squadra Aerea, decollata
da Derna.
Infine, durante la notte, tra le 20.48 e le 03.20, si ebbero altri attacchi
contro il convoglio da parte di sedici aerei tedeschi Ju.88 del I./KG.54 del
II Fliegerkorps, decollati dalla Sicilia, che però non portarono a risultati
positivi, sebbene gli equipaggi rientrati alla base avessero sostenuto di aver
messo a segno tre bombe su un incrociatore e una bomba su un
piroscafo.29
Mentre il convoglio dell’operazione Vigorous, nella giornata del 14
giugno, stava procedendo verso est, sottoposto a incessanti attacchi aerei,
una delle quattro motosiluranti della 10a Flottiglia, la MTB 259 (tenente di
vascello R.A. Allan), si era venuta a trovare in difficoltà di navigazione. A
causa delle condizioni del mare molto mosso (forza 4 e 5), e imbarcando
acqua che allagò la sala macchine, la MTB 259 fu autoaffondata, dopo
essere stata abbandonata dall’equipaggio, raccolto dalla MTB 268 (tenente
di vascello D.C. Souter) che poi, non potendo sostenere la velocità del
convoglio fissata in 14 nodi, diresse per rientrare ad Alessandria assieme
alle altre due motosiluranti.

29
La successione degli attacchi, tratta dai bollettini operativi dell’O.B.S. inviati agli Stati
Maggiori delle Forze Armate italiane, fu la seguente: Alle 15.39 nove Ju 88; dalle 15.45 alle 18.04
ventuno Ju 88, alle 16.35 ventisette Ju 88, alle 18.45 i cinque Cant. Z. 1007 bis; tra le 19.50 e le
21.10 sedici Ju 88; infine, dalle 18.48 del 14 giugno e fino alle 03.20 del 15 undici Ju 88.
112

La motosilurante MTB 268, quando ancora era la statunitense PT 19. Alla stessa classe
apparteneva la affondata MTB 259.

A tutto questo si aggiunse la notizia, arrivata dalla ricognizione aerea


della RAF, che una forte squadra italiana, con due navi da battaglia e
incrociatori, era uscita da Taranto e sarebbe stata in vista della formazione
navale britannica all’alba dell’indomani, 15 giugno. Sebbene la quantità
numerica delle unità italiane fosse di consistenza nettamente inferiore a
quella delle unità di scorta britanniche che proteggevano il convoglio
M.W.11, il deterrente costituito dai diciotto pezzi da 381 mm del Littorio e
del Vittorio Veneto, perfettamente riconosciute dai ricognitori britannici,
avrebbe costituito, in caso di contatto balistico, una minaccia che non
poteva essere sottovalutata.
L’ammiraglio Harwood, contava sul fatto che l’avanzata delle navi
italiane sarebbe stata menomata dai nove sommergibili mandati in agguato
a ponente della Morea e di Creta, e forse arrestata dagli attacchi
predisposti con gli aerosiluranti e i bombardieri della RAF dislocati a
Malta e sugli aeroporti dell’Egitto. Pertanto, rispondendo al
contrammiraglio Vian che chiedeva direttive, Harwood gli ordinò di
continuare la navigazione verso est fino alle 02.00 del 15, ora per la quale,
se il Comandante in mare non avesse ricevuta la notizia che l’avanzata
della squadra italiana era stata fermata, egli doveva invertire la rotta.
113

In seguito all’ordine del Comandante in Capo della Mediterranean


Fleet, alle 01.45 l’incrociatore Cleopatra, nave di bandiera
dell’ammiraglio Vian, ordinò alla forza navale l’inversione di rotta,
accostando verso levante; manovra difficoltosa perché realizzata, in ore
notturne da ben cinquanta navi, proprio nella zona in cui si trovavano in
agguato le sei motosiluranti tedesche della 3a Flottiglia, ripartite in tre
sezioni. In tal modo quattro delle sei motosiluranti trovarono l’occasione
propizia per attaccare. Le prime due, la S 59 e la S 58, agevolate
dall’oscurità, effettuarono dei lanci di siluri senza colpire, e furono
contrastate dal fuoco delle artiglierie e delle mitragliere dei
cacciatorpediniere di scorta Airedale e Aldenham. Successivamente la S
56, comandata dal tenente di vascello Siegrfried Wuppermann, attaccò il
grosso incrociatore Newcastle (Capitano di vascello P.B.R.W William-
Powlett) a 90 miglia a nordovest di Derna, e alle 00.56 del 15 giugno lo
colpì a prua sul fianco destro, con uno dei due siluri, lanciati a breve
intervallo da una distanza stimata di circa 600 metri, e giunto a segno dopo
trenta secondi dal “fuori”.

La S 58, una delle sei motosiluranti tedesche della 3a Flottiglia, che si era trasferita da Augusta a Derna nel
maggio 1942 per appoggiare dal mare l’offensiva del generale Rommel in Cirenaica.

Il Newcastle, nave di bandiera del contrammiraglio W.G. Tennant


Comandante della 4a Divisione incrociatori, che nella manovra di
114

inversione della rotta sviluppatasi a nord di Apollonia era rimasta scaduta


di varie miglia di poppa al convoglio assieme al Birmingham e quattro
cacciatorpediniere, si era accorto della minaccia accendendo il proiettore
di plancia in direzione delle motosilurante S 56 e illuminandole di prora,
ma ciò avvenne quando era ormai troppo tardi. Il Newcastle riuscì soltanto
a schivare il primo siluro della motosilurante del comandante
Wuppermann, ma non il secondo, che arrivò a segno mentre la S 56
manovrava per allontanarsi alla velocità di 33 nodi, facendo fumo per
nascondersi alla reazione delle navi britanniche.

L’incrociatore britannico Newcastle, in una immagine dell’immediato dopoguerra. Il mattino del 15 giugno,
trovandosi a nord delle coste della Cirenaica, fu colpito e danneggiato gravemente da un siluro lanciato dalla
motosilurante tedesca S 56, comandata dal tenente di vascello Siegfried Wuppermann. Nonostante una grossa
falla apertasi nello scafo, l’unità continuò a rimanere in formazione fino al termine dell’operazione “Vigorous”.

Nonostante il danno riportato dallo scafo, su cui si era aperta


una’ampia falla con conseguenti vasti allagamenti, il Newcastle, protetto
da tre cacciatorpediniere, rallentò la sua navigazione per controllare lo
stato dei danni, mentre l’equipaggio puntellava compartimenti interni
prodieri. Dopo di che l’incrociatore fu ancora in grado di sostenere una
115

velocità di 24 nodi, che gli permise, sebbene visibilmente menomato, di


raggiungere la formazione, e di mantenere la posizione di scorta.

L’attacco della motosiluranti tedesca S 59 all’incrociatore britannico Newcastle, che fu


colpito da un siluro (ricostruzione pittorica di Robert Taylor).

Nelle scarse condizioni di luce di quella notte, due ore dopo il


siluramento del Newcastle si verifico un altro attacco con successo portato
dalla motosilurante S 55 dal sottotenente di vascello Horst Weber. Alle
02.51 essa colpì con un siluro il cacciatorpediniere di squadra Hasty, che
scortava i due incrociatori della 4a Divisione. Gravemente danneggiato, e
con la sala caldaie allagata, l’Hasty si arrestò, e poiché i sue condizioni
apparvero subito precarie, l cacciatorpediniere Hotspur (tenente di vascello
Terence Desmond Herrick) si avvicinò e constatata la difficoltà di un
rimorchio dell’unità danneggiata, la affondò con un siluro dopo averne
recuperato l’equipaggio. Tra i tredici caduti dell’Hasty vi fu anche il
comandante, capitano di corvetta Nigel Hubert George Austen.
116

Il cacciatorpediniere britannico Hasty, che nelle prime ore del 15 giugno fu silurato e affondato dalla
motosilurante tedesca S 55.

Nel frattempo contro la flotta italiana si sviluppavano gli attacchi


degli aerei della RAF. Nel corso della notte erano stati inviati alla ricerca
della Squadra Navale, che transitava con rotta sud-est al largo delle coste
occidentali della Grecia quattro aerosiluranti Wellington del 38° Squadron,
decollati da Luqa, dei quali soltanto uno riuscì a rintracciare ed attaccare le
navi senza conseguire alcun risultato. Con le prime luci del giorno 15
giugno, le azioni continuarono da parte di due formazioni di aerosiluranti,
la prima con nove Beaufort del 217° Squadron provenienti da Malta, la
seconda con undici Beaufort del 39° Squadron decollati dalle basi
egiziane, assieme ad un formazione di sette bombardieri pesanti B.24
statunitensi del Distaccamento HALPRO e due britannici (Libertator) del
160° Squadron.
Questi attacchi, furono portati con decisione e al prezzo anche di
gravi perdite, perché frequentemente contrastati dai velivoli da caccia
tedeschi (Bf. 109, Bf. 110 e Ju. 88C) che, dagli aeroporti della Grecia, di
Creta e della Cirenaica, proteggevano le navi dell’ammiraglio Iachino. In
seguito a questa vigilanza, si ebbero diversi abbattimenti di velivoli da
ricognizione e offensivi britannici, ed anche gravi danneggiamenti, tanto
117

che alcuni aerosiluranti, che rientravano dalla missione in condizioni


precarie, si sfasciarono atterrando alla base.
Tuttavia, alle 09.15, nel corso di un primo attacco, realizzato dai
nove aerosiluranti Beaufort del 217° Squadron, un siluro, sganciato dal
velivolo del tenente pilota A.H. Aldridge – che con estrema decisione
prese di mira l’ultima nave della linea degli incrociatori dell’ammiraglio
de Courten – centro sulla dritta lo scafo del Trento, comandato dal
capitano di vascello Leo Esposito. L’esplosione apri una grossa falla in
corrispondenza del locale caldaie di prora, che subito si riempì d’acqua.
L’allagamento si estese in seguito allo scardinamento della paratia con il
corrispondente locale delle caldaie di centro, facendovi scoppiare un
incendio, costrinse il personale a evacuarlo.

Sull’incrociatore Garibaldi i serventi armano i cannoni contraerei da 100 m/m su impianti binati, preparandosi a
far fuoco sui velivoli nemici che stanno sopraggiungendo all’attacco.
118

A bordo della Littorio, il tiro di un complesso di mitragliere Breda da 37 m/m, mod. 1939.

La mancanza di vapore fermò le macchine di prora del Trento, che


cominciò a scadere rispetto alle altre navi della formazione, mentre una
lunga colonna di fumo nero si levava dal suo fumaiolo prodiero. Poco
dopo, sempre per mancanza di vapore, le macchine dell’incrociatore, che
era leggermente sbandato a prora, cessarono di funzionare e il Trento si
arrestò. Tuttavia le sue condizioni non apparivano disperate, e a bordo si
sperò di poter domare l’incendio, per poi tentare di rimettere in moto le
macchine. Due cacciatorpediniere, l’Antonio Pigafetta e il Saetta, per
ordine dell’ammiraglio Iachino, furono distaccati dalla squadra per recarsi
ad assistere e scortare l’incrociatore non appena fosse riuscito a muovere.
Ma il Trento, con l’incendio che si stava estendendo, si trovava in
condizioni di non potersi muovere con le sue macchine.
Prima che i cacciatorpediniere avessero il tempo di prendere il Trento
a rimorchio, alle 10.45 si verificò l’attacco del sommergibile britannico,
Umbra, comandato dal tenente di vascello S.L.C. Maydon. Questi ordinò il
lancio di due siluri uno dei quali raggiunse l’incrociatore a prua, in
corrispondenza del deposito munizioni della torre n. 2 dei cannoni da 203
mm. L’esplosione del deposito, verificatasi subito dopo che il Trento era
119

stato colpito, squarciò l’incrociatore, sollevando a prua il ponte di coperta


ed eruttando d’ovunque rottami incandescenti, e né causò il rapido
affondamento in lat. 36°10’N, long. 18°40’E. Tutti i naufraghi che,
abbandonata la nave, si trovavano nelle zattere, compresi i feriti, vedendo
la loro nave che si stava inabissando, levarono il loro grido di fede e di
devozione: “Viva il TRENTO! – Viva il Re! – Viva il Duce!”.30

Il tenente di vascello S.L.C. Maydon al periscopio del sommergibile Umbra.

Poiché gli equipaggi degli aerosiluranti che avevano condotto


l’attacco riferirono di aver colpito le due corazzate nemiche, il
contrammiraglio Vian ricevete dall’ammiraglio Harwood l’ordine di
tornare nuovamente verso occidente. Egli effettuò la manovra, ma fu
ancora costretto ad invertire la rotta in quanto, per le notizie che
giungevano dai ricognitori, era apparso chiaro che la squadra italiana
continuava ad avanzare ad alta velocità e si trovava a sole 150 miglia dal
convoglio.

30
AUSMM, Supermarina, “Relazione del Comando 3a Divisione Navale sull’affondamento
del R. Incrociatore “Trento”, Scontri Navali e Operazioni di Guerra, b. 57.
120

15 giugno 1942. L’ultima immagine dell’incrociatore Trento, (scattata dal Duca d’Aosta) quando ancora non era
stato colpito e arrestato dagli aerosiluranti di Malta.

Al centro dell’immagine della rivista LIFE l’ ammiraglio di divisione Raffaele de Courten consulta la carta con
due ufficiali del suo stato Maggiore. Era il comandante della 8 a Divisione Navale e come ufficiale più anziano in
grado, anche del gruppo incrociatori, costituito dal Garibaldi, dell’Aosta, dal Gorizia e dal Trento, gli ultimi due
della 3a Divisione Navale dell’ammiraglio Angelo Parona.
121

Tutte queste manovre finirono per attardare il complesso navale


britannico nelle pericolose acque tra Creta e la Cirenaica, e per farle
pagare un forte pedaggio, con una serie impressionante di attacchi aerei,
portati da velivoli tedeschi e italiani, provenienti dagli aeroporti di Creta,
della Cirenaica e dell’Egeo.
Nel primo di questi attacchi, intorno alle ore 10.30, fu danneggiato
gravemente l’incrociatore Birmingham (capitano di vascello Henry
Berwick Crane), per opera di una formazione di dieci bombardieri in
picchiata tedeschi Ju. 87 del 3° Gruppo del 3° Stormo Stuka (III./St.G.3 ex
II./St.G.2), comandato del famoso maggiore pilota Walter Enneccerus, che
avreva già danneggiato gravemente, con i suoi velivoli, le portaerei
Illustrious (10 gennaio 1941) e Formidable (26 maggio 1941), oltre ad
affondare l’incrociatore Southampton (11 gennaio 1941).

Il Birmingham, la nave di bandiera del contrammiraglio Tennant, comandante della 4 a Divisione Incrociatori.
Assieme al gemello Newcastele era l’unità più potente partecipante all’operazione Vigorous.

Poi, alle ore 15.25 dello stesso giorno, trovandosi il convoglio a metà
strada tra Tobruch e la costa meridionale dell’isola di Creta, il
cacciatorpediniere di scorta Airedale (capitano di corvetta Archibald
122

George Forman) fu gravemente colpito durante una massiccia incursione


di trentatré Ju. 87 tedeschi del 2° Gruppo del 3° Stormo Stuka (II./St.G.3),
comandato dal capitano pilota Kurt Kuhlmey. Centrato da cinque bombe,
una delle quali colpì in pieno la nave determinando la violenta esplosione
di un deposito di munizioni da 102 mm e delle bombe di profondità, e
rimasto immobilizzato, per ordine del contrammiraglio Vian l’Airedale
dovette essere affondato, con il cannone, dai cacciatorpediniere di scorta
Aldenham e Hurworth, dopo che gli stessi ne avevano recuperato gli
uomini dell’equipaggio.

ll cacciatorpediniere di scorta britannico Airedale, che fu affondato nel pomeriggio del 15 giugno dai
bombardieri in picchiata Ju. 87 del II./St.G.3.

Mentre nel convoglio ebbero gli avvenimenti descritti, sempre allo


scopo di arrestare la marcia delle navi italiane, queste ultime furono
attaccate verso le ore 10.00 del 15 giugno, nel corso di un’azione
combinata tra i dodici aerosiluranti Beaufort del 39° Squadron e i nove
bombardieri in quota B. 24, sette statunitensi e due britannici “Liberator”,
che secondo i piani doveva avvenire in modo sincronizzato.
Le vedette delle navi dell’ammiraglio Iachino videro sopraggiungere
la formazione dei sette bombardieri quadrimotori B. 24 dell’Aviazione
dell’Esercito statunitense (distaccamento HALPRO), proveniente dalla
Palestina. Nel corso dell’attacco, a cui parteciparono, con azione diversiva
a bassa quota, anche i due Liberator del 160° Squadron della RAF, i
123

velivoli statunitensi, che erano guidati dal maggiore pilota Alfred


Kalberer, riuscirono a centrare il Littorio (capitano di vascello Vittorio
Bacigalupi) con una bomba da 500 libbre (228 chili), che esplodendo a
prora, sulla corazza di una torre di tiro spessa 350 mm, determinò soltanto
una grossa proiezione di schegge, che uccisero un marinaio. Non si ebbe a
bordo alcun danno materiale, a parte il danneggiamento a poppa dei due
aerei da ricognizione Ro. 43 in dotazione, causato dalla concussione delle
esplosioni della bomba che aveva colpito la Littorio e di altre cadute
vicinissimo alla corazzata, sollevando altissime colonne d’acqua.
Uno dei due idrovolanti della corazzata, ormai inservibile, fu gettato
in mare per liberare la catapulta su cui si trovava. La Littorio, essendo la
nave di bandiera dell’ammiraglio Iachino, continuò a guidare con
decisione le altre navi della formazione verso il complesso navale
britannico a una velocità sostenuta.
Nel frattempo, la formazione dei dodici aerosiluranti Beaufort, tutti
del 39° Squadron della RAF (Motto: “Ante Lucem”), decollati dalla base
egiziana LG 05 di Sidi el Barrani al comando del tenente colonnello A.J.
Mason e con l’ordine di raggiungere Malta dopo l’attacco, procedeva
verso le navi italiane, scortata soltanto da due caccia a lungo raggio
Beaufighter del 272° Squadron. La formazione dei quattordici velivoli fu
però intercettata da cinque caccia Bf. 109 della 8a Squadriglia del
III./JG.53 che, al comando del capitano Helmut Besler, da appena sei
giorni insignito della Ritterkreuz la croce di cavaliere della croce di ferro,
si trovavano in trasferimento da Creta alla Cirenaica.

Messerschmitt- Bf.109F della Squadriglia 8./JG.53


124

I piloti tedeschi ritennero che si trattasse di una formazione di


quindici aerosiluranti Beaufort. Nel combattimento che seguì due Beaufort
precipitarono sotto le raffiche dei Bf. 109, che inoltre colpirono altri
cinque aerosiluranti, che furono costretti a ritirarsi con gravi danni senza
aver portato a termine l’attacco alle navi italiane, che non erano ancora in
vista. Nel rientrare alla base tre Beaufort, come vedremo, andarono
perduti, due per disastrosi atterraggi, il terzo essendo stato costretto ad
ammarare mentre stava tentando di raggiungere l’aeroporto maltese di
Luqa. Non andò meglio ai due “Beaufighter” del 272° Squadron che, nel
rientrare a Gambut, furono abbattuti da due sezioni di Bf. 109 tedeschi, la
prima dello Stab./JG.53 e la seconda del III./JG.27, che incrociavano di
vigilanza al largo della costa africana.

Il maggiore Patrick Gibbs comandante degli aerosiluranti Beaufort del 39° Squadron e il il tenente colonnello
Alfred F. Kalberer, che nel dopo guerra con i gradi generale guido le superfortezze volanti B. 29 negli attacchi
contro il Giappone. Nel corso dell’operazione Vigorous Kalberer comandò i sette B. 24 dell’HALPRO nel
l’attacco contro la flotta italiana, in cui fu colpita da una bomba, senza conseguenze, la corazzata Littorio.
125

Un velivolo B. 24 D dell’HALPRO.

Una bella immagine in volo di un aerosilurante Bristol Beaufort della RAF. Fu un aereo di questo tipo, del 217°
Squadron, che partendo da Malta, il mattino del 15 giugno colpì ed immobilizzò l’incrociatore Trento.
126

Dopo l’azione dei caccia tedeschi della 8./JG.53, soltanto cinque


Beaufort, guidati dal tenente colonnello Mason e dal maggiore Patrick
Gibbs, comandante del 39° Squadron, riuscirono a proseguire la missione
assegnatagli, rintracciando ed attaccando le corazzate italiane provenendo
da nord. Ma essendo stati accolti da un fortissimo sbarramento di fuoco
contraereo delle artiglierie e a puntamento diretto delle mitragliere, due
Beaufort, compreso quello del maggiore Gibbs, furono costretti a
disimpegnarsi, e gli altri tre, che realizzarono il lancio da distanze
superiori ai 1.000 metri, non conseguirono alcun risultato, poiché i siluri
furono facilmente evitati dalle navi da battaglia con la manovra. Dalle
corazzate italiane uno dei siluri fu visto esplodere nell’intervallo tra la
Littorio e la Vittorio Veneto che la seguiva in formazione, e questo fatto,
visto dagli equipaggi degli aerosiluranti, dette l’impressione che una delle
due grosse navi fosse stata colpita.
I due Beaufort danneggiati dal fuoco delle navi da battaglia e dalle
altre unità di scorta riuscirono a raggiungere Malta, ma nell’atterrare a
Luqa senza carrello, strisciando con la pancia della carlinga sulla pista di
volo, si sfasciarono irreparabilmente. Conseguentemente l’attacco alle navi
italiane si concluse per il 39° Squadron in modo tragico dal momento che
andarono perduti o restarono fuori combattimento ben sette dei dodici
Beaufort che avevano partecipato alla missione, ed entrambi i due
Beaufighter della scorta. Inoltre due Bf. 109 del III./JG.27 attaccarono
uno dei due Liberator del 160° Squadron della RAF che stava rientrando
dall’attacco alla flotta italiana, danneggiandolo seriamente, tanto che, con
un membro dell’equipaggio deceduto, il velivolo dovette effettuare un
atterraggio forzato nell’aeroporto di Fayid, nell’Egitto Orientale oltre il
Canale di Suez.
Gli equipaggi britannici riferirono al vice maresciallo dell’aria Park,
con molto ottimismo, di aver colpito le due corazzate. La notizia fu
trasmessa da Malta al comando della RAF del Medio Oriente, il quale a
sua volta ne informò il comandante della Mediterranean Fleet, che si
trovava in trepida attesa dei risultati dell’attacco, dal quale derivava la
possibilità di far riprendere al convoglio la rotta per Malta.
127

Al rientro a Malta dalla missione di aerosilura mento dei Beaufort del 217° Squadrton l’aereo del sottotenente
pilota Strever, rimasto colpito dai proietti della contraerea delle navi italiane, essendo stato costretto ad atterrare
a Luqa senza carrello viene trainato, fuori dal campo di volo, da un carro armato Matilda. Il Beaufort fu
considerato fuori uso.

15 giugno 1942. La corazzata Littorio ripresa dalla gemella Vittorio Veneto mentre procede con rotta sud-est ad
elevata velocità
128

La Vittorio Veneto ripresa anch’essa da un cacciatorpediniere della scorta mentre sta fronteggiando l’attacco
nemico sparando con le armi contraeree.

Una salva di bombe sganciate dai B. 24 inquadra la Littorio, che è colpita sulla prima totte prodiera dei cannoni
da 381, procvurandogli soltanto danni superficiali.
129

L’armamento contraereo di centro nave della Littorio in azione. A sinistra i due complessi binati da 37 mm, e
sulla destra una delle mitragliere binate da 20 mm. In basso uno dei sei cannoni da 90 mm, sistemati in torrette
protette.

Un aerosilurante Beaufort del 39° Squadron passa di prora alla Littorio inquadrato dal tiro delle mitragliere
della corazzata.

Occorre dire che il fortunoso intervento dei Bf. 109 della 8./JG.53,
che si trovarono a passare sul punto giusto al momento giusto essendo in
trasferimento dalla Grecia in Libia, oltre a impedire a sette Beaufort su
dodici di andare all’attacco delle navi italiane, aveva anche impedito che
130

gli aerosiluranti britannici potessero coordinare pericolosamente il loro


attacco con quello dei bombardieri statunitensi. E’ di questo fatto
l’ammiraglio Iachino, che nei suoi rapporti aveva lamentato
polemicamente la mancanza degli aerei di scorta tedeschi sul cielo delle
sue navi, dovette ricredersi quando conobbe, da una relazione dell’O.B.S.,
come in realtà si erano svolti i fatti.
La situazione della scorta aerea era invece conosciuta a Roma in
quelle ore, poiché avendo Supermarina richiesto per la protezione delle
navi dell’ammiraglio Iachino una maggiore presenza degli aerei tedeschi,
alle 11.25 del 15 giugno l’O.B.S. comunicò a Superaereo che la scorta al
gruppo “Littorio” era assicurata con velivoli Bf. 109, Bf. 110, He. 111 e
Ju. 88, e che al momento almeno cinque di essi si trovavano nelle
vicinanze delle unità italiane. L’O.B.S. specificò che l’abbattimento di otto
aerosiluranti Beaufort [ne andarono perduti sette e due Beaufighter], sui
quindici che si riteneva avessero attaccato le navi italiane, era la
dimostrazione che la scorta era in atto.31
Nel tardo pomeriggio del 15 giugno, la Squadra Navale italiana, in
base agli ordini ricevuti da Supermarina di non impegnarsi in azioni
notturne, diresse verso nord per portarsi in posizione di attesa presso le
coste occidentali della Grecia, per poi eventualmente intervenire il mattino
dell’indomani se le navi nemiche avessero continuato la rotta per Malta,
che avrebbe dovuto comportare, come speravano gli italiani, lo sviluppo
un combattimento da prolungarsi per una lunga giornata di luce. Notando
quella manovra, segnalata dai ricognitori, il Comando britannico ad
Alessandria arrivò all’errata valutazione che il nemico si stesse ritirando
per i gravi danni riportati negli attacchi aerei. Pertanto, ritenendo
esistessero le premesse per far proseguire il convoglio M.W. 11, ora
ridotto a sei navi mercantili (Rembrandt, Bulkoil, Ajax, Edimburg, City of
Lincoln, City of Pretoria), l’ammiraglio Harwood comunicò al
contrammiraglio Vian di proseguire la rotta per Malta. Ma il comandante

31
Nel corso della giornata del 15 giugno i reparti del X Fliegerkorps, decollando dagli
aeroporti dalla Grecia e da Creta, e in minor misura i reparti del Fliegerführer Africa, partendo dalle
basi della Cirenaica, parteciparono alla scorta della Squadra Navale italiana con una quarantina di
velivoli da bombardamento e da caccia a grande autonomia, in gran parte Ju. 88. Per partecipare
alle scorte navali, il 14 giugno i venticinque Bf. 109 del III./JG.53, e quindi tutti i caccia
bellicamente efficienti del gruppo, erano stati trasferiti dalla Cirenaica sull’aeroporto di Eleusis,
presso Atene. Particolarmente attivi per la protezione delle unità dell’ammiraglio Iachino si
dimostrarono i caccia notturni Ju. 88 C, uno dei quali, del I./NJG. 2, con pilota e capo equipaggio il
tenente Schule, abbatté un ricognitore Maryland. Inoltre, i velivoli tedeschi si dimostrarono molto
utili nello sventare alcuni tentativi di attacco dei sommergibili britannici alle navi italiane.
131

in mare, che proprio in quel momento si trovava con la sua squadra


esposto ad alcuni dei più violenti attacchi aerei della giornata, avendo
constatato che il consumo di munizionamento contraereo delle sue navi era
tale da non permettere loro di resistere ad un'altra giornata di incursioni,
preferì continuare nella sua rotta per levante.
Gli attacchi aerei che tanto stavano preoccupando il contrammiraglio
Vian, ebbero la loro conclusione intorno alle 18.00, e ciò avvenne mentre
il convoglio M.W. 11 e la sua scorta, procedendo nella navigazione verso
Alessandria con rotta sudest si trovavano a circa 100 miglia a nord di
Tobruch.
Si trattò un’incursione coordinata di aerei italiani, cui presero parte,
con decollo dagli aeroporti della Libia e da Rodi, quindici aerosiluranti S.
79 e otto bombardieri Cant. Z. 1007 bis, e in cui s’inserì un attacco di nove
bombardieri Ju. 88 del I./LG.1 (capitano pilota Joachim Helbig). Gli aerei
tedeschi, attaccando per primi in picchiata procurarono danni, per colpi
vicini, al danneggiato incrociatore Newcastle e avarie gravi alla nave
camuffata (ex corazzata) Centurion, che per le sue dimensioni nel corso
dell’operazione “Vigorous” attirò particolarmente l’attenzione degli aerei
dell’Asse.

L’incrociatore Arethusa, che nel pomeriggio del 15 giugno riportò danni per bombe cadute vicino allo scafo
sganciate da velivoli Ju 88 del I./LG.1.
132

La vecchia corazzata britannica Centurion, che esercitava le funzioni di nave bersaglio radiocomandato. Per
ingannare la ricognizione dell’Asse la nave, che era armata soltanto con tredici mitragliere da 20 mm, era stata
camuffata ad Alessandria, con finti cannoni di legno, in modo da apparire molto simile alla nuova nave da
battaglia Anson della classe “King George V”. L’inganno non riuscì, perché i tedeschi e gli italiani compresero
subito trattarsi di una nave camuffata. Costituì comunque un appetitoso bersaglio per gli aerei tedeschi e italiani
e rientrò ad Alessandria gravemente danneggiata da bombe.

Gli aerosiluranti italiani, accolti da un formidabile fuoco di


sbarramento contraereo, e contrastati con decisione dai caccia della RAF,
non conseguirono risultati, perdendo un velivolo, mentre invece un buon
risultato conseguirono gli otto Cant. Z. 1007 bis del 35° Stormo
Bombardamento Terrestre, che partiti da Derna erano comandati dal
colonnello pilota Bruno Borghetti. Alle ore 18.06 due bombe, sganciate da
alta quota (5.000 metri), caddero vicinissime allo scafo del
cacciatorpediniere di squadra australiano Nestor (capitano di fregata
Alvord Sydney Rosenthal), come risulta chiaramente da una immagine
scattata nell’occasione dal un fotografo di uno dei Cant Z. 1007 bis. A
causa di una falla apertasi nello scafo, presso il fumaiolo, e che causò
l’allagamento della sala caldaie, il Nestor si fermò con gravi danni alle
macchine, e poiché non poteva proseguire la navigazione, fu ordinato di
affondarlo al cacciatorpediniere Javelin (capitano di corvetta H.C. Simms),
che nel tentativo di salvarlo lo aveva preso a rimorchio.
133

Velivoli Cant. Z. 1007 bis della 191a Squadriglia, dell’86° Gruppo del 35° Stormo Bombardamento Terrestre.
Questo Stormo dislocato in Libia, alle dipendenze della 5 a Squadra Aerea, effettuo un attacco in quota nel
pomeriggio del 15 giugno contro il convoglio dell’operazione “Vigorous”, colpendo e immobilizzando con due
bombe cadute vicinissimo allo scafo il cacciatorpediniere australiano Nestor.

Il cacciatorpediniere australiano Nestor.


134

Il momento in cui il Nestor fu centrato dalle bombe sganciate dai Cant. Z. 1007 bius del 35° Stormo.

16 giugno 1942. Dopo un tentativo di rimorchio, il Nestor ricevette il colpo dei grazia dal cacciatorpediniere
Javelin con cariche di profondità. Nell’immagine, fortemente sbandato il Nestor cominciò ad affondare di prora.
135

I reparti del 10° Fliegerkorps e del Fliegerführer Afrika durante la


giornata del 15 giugno impiegarono complessivamente ventitré ricognitori
e centotrenta bombardieri. Di essi però soltanto ottantaquattro bombardieri
rintracciarono ed attaccarono il convoglio dell’operazione “Vigorous”
perdendo uno Ju. 88 del KG.60 (del reparto scuola da bombardamento
costituito a Foggia nel gennaio 1942) e uno Ju. 87 del II./St.G.3. Le ultime
incursioni della giornata furono condotte tra le ore 20.00 e le ore 21.00 da
diciotto Ju. 88, i cui equipaggi, sebbene avessero affermato al rientro di
aver colpito alcune navi, in realtà non conseguirono alcun risultato pratico.
Infine, alle ore 01.27 del 16 giugno, mentre il complesso navale
britannico si trovava a nord di Sollum, a metà strada fra l’estremità
orientale di Creta e la costa egiziana, l’incrociatore l’Hermione (capitano
di vascello Geoffrey Nigel Oliver) venne colpito sul fianco destro da due
siluri lanciati dal sommergibile tedesco U-205 (tenente di vascello Franz
George Reschke).
Con i locali macchine e caldaie e un’adiacente deposito allagati, e
venuta a mancare la corrente, l’incrociatore cominciò ad inclinarsi
raggiungendo subito i 22 gradi di sbandamento, dopo di ché fu necessario
ordinare all’equipaggio di abbandonare la nave, che affondò in venti
minuti, con la perdita di ottantotto uomini.

L’Hermione, che fu affondato dal sommergibile tedesco U 205. Era uno degli incrociatori leggeri della classe
“Dido” che faceva parte della 15a Divisione del contrammiraglio Vian.
136

Il tenente di vascello Franz-Georg Reschke, e il suo sommergibile U 205, nell’immagine all’arrivo alla Spezia
dall’Atlantico nel febbraio 1942

Anche le navi italiane non furono esenti da perdite perché, mentre si


spostavano a nord verso le coste ioniche della Grecia per rimanervi in
posizione di attesa durante le ore notturne, nel corso di un attacco notturno
realizzato con determinazione da cinque aerosiluranti Wellington del 38°
Squadron della RAF decollati da Malta, alle 23.40 del 15 giugno la
corazzata Littorio fu colpita a prua da un siluro.
A realizzare il siluramento della Littorio fu il Wellington del tenente
pilota O.L. Hawes, che dopo aver trascorso diciannove minuti per trovare
un varco, coraggiosamente era passato attraverso la cortina di fumo stesa
dai cacciatorpediniere di scorta fino a trovare un corridoio chiaro in fondo
al quale era la corazzata. Il tenente Hawes non poté neanche sviluppare
una regolare manovra di attacco perché il gigantesco bersaglio della
Littorio gli si parò davanti quasi all’improvviso. Non gli restò che
lanciare, alle 23.40, sotto il nutrito fuoco contraereo della corazzata, i suoi
due siluri da distanza ravvicinata. Uno dei siluri colpì sulla prora a prora
la Littorio, ma senza conseguenze per la sicurezza della corazzata.
Grazie alle pronte operazioni di bilanciamento, per contenere
l’allagamento interno, la Littorio si raddrizzò dall’iniziale lieve
sbandamento, e quando la centrale di galleggiamento riferì in plancia che
tutto era in ordine, l’unità rimesse in moto le motrici, che non avevano
subito alcun danno, poté muovere e in breve tempo riportarsi alla velocità
di 20 nodi.
Questa volta, sebbene il danno alla corazzata non fosse grave,
l’ammiraglio Iachino fu indotto a ordinare alle sue navi l’inversione la
rotta per rientrare a Taranto, destinazione poi confermatagli da
137

Supermarina. Ciò poteva essere un motivo determinante per convincere i


britannici a ritenere nuovamente aperta la strada per Malta. Ma
l’inversione di rotta della flotta italiana, trasmessa dai ricognitori, arrivò
all’ammiraglio Harwood quando ormai non poteva più far nulla per
riprendere la navigazione verso occidente, perché le navi del
contrammiraglio Vian si trovavano in piena rotta di ritirata verso
Alessandria, e con i depositi di munizioni quasi vuoti, e a corto di
combustibile.

Disegno di Antonio Mattesini.

Comunque fossero state le cause del ritiro delle navi del


contrammiraglio Vian, indubbiamente da ricercare, come fonte primaria,
sull’intervento delle unità dell’ammiraglio Iachino, questo fatto,
stigmatizzato al parlamento di Londra dal capo dell’opposizione Clement
Atlee, permise alla flotta italiana, per la prima ed ultima volta, di poter
vantare di aver conseguito, meritatamente, una grande vittoria strategica.
138

Il successo del contrasto navale alle due operazioni britanniche


poteva essere completo, e risultare determinante per la sopravvivenza di
Malta, se l’incertezza di manovra dell’ammiraglio Da Zara a Pantelleria
non avesse permesso ai due superstiti piroscafi del convoglio W.S. 19/Z di
raggiungere l’isola, portandone le scorte essenziali fino al mese di
settembre.
Nel fare un resoconto delle deludenti operazioni “Harpoon” e
“Vigorous”, dobbiamo constatare che le perdite britanniche furono di
quantità considerevolmente superiori a quelle riportate dagli italiane,
limitate all’affondamento dell’incrociatore Trento, al danneggiamento
della corazzata Littorio e del cacciatorpediniere Vivaldi, e al mancato
rientro alla base di quarantatre aerei: ventotto italiani e quindici tedeschi.
Da parte britannica, nelle due operazioni andarono perdute
complessivamente quattordici navi, e molte furono danneggiate, anche
gravemente. Su diciassette mercantili partiti con i due convogli, sei
affondarono durante la rotta (quattro a occidente e due a levante), altre
nove navi mercantili, tutte del convoglio di levante, tornarono indietro, e
soltanto due piroscafi della “Harpoon” arrivarono a Malta trasportando
15.000 tonnellate di rifornimenti. Ingenti perdite riportarono anche le forze
navali di scorta, perché furono affondati due cacciatorpediniere e un
dragamine ausiliario a occidente di Malta, e un incrociatore, tre
cacciatorpediniere e una motosilurante ad oriente dell’isola. Altre unità, e
tra queste i grandi incrociatori della classe “Town”, Liverpool, Newcastle e
Birminham, riportarono gravi danni che li posero fuori combattimento per
lungo periodo di tempo, con riparazioni che si svolsero in arsenali lontani
dal fronte del Mediterraneo. Inoltre i britannici persero in combattimento
una trentina di velivoli, dei quali otto imbarcati sulle portaerei e cinque
della RAF di Malta.
In questa mattanza i meriti maggiori andarono indubbiamente alla
Luftwaffe e alla Kriegsmarine, ma anche l’Aeronautica italiana non
sfiguro, potendo vantare il grave danneggiamento causato all’incrociatore
Liverpool e l’affondamento del piroscafo Tanimbar e dei due grossi
cacciatorpediniere di squadra Nestor e Bedouin, quest’ultimo già
immobilizzato dal tiro navale. Purtroppo, nessun successo riuscirono a
realizzare i sommergibili italiani, sebbene ne fossero stati impiegati ben
ventidue contro i due convogli britannici. Gli unici attacchi portati dal
Giada, Uarsciek e Alagi a nord delle coste dell’Algeria e della Tunisia,
139

nella giornata del 14 giugno, non avevano conseguito alcun risultato,


poiché i loro siluri erano stati evitati dalle navi britanniche.

La torretta modificata del sommergibile Uarsciek, a Taranto nel dicembre 1941.

L’Alagi, Il sommergibile italiano di media crociera Alagi, della classe 600 serie “Adua”, dopo le modifiche della
torretta e la mimetizzazione. Fu uno dei tre battelli che riuscirono ad attaccare ne navi del convoglio
dell’operazione “Harpoon”, ma senza successo.

Tuttavia, la Regia Marina, con l’intervento delle sue navi di


superficie risultò determinante nel causare le condizioni che portarono alle
forti perdite nel nemico ad occidente di Malta, e alla sua ritirata nel
Mediterraneo orientale.
In conclusione il costo pagato dai britannici con le due operazione
“Harpoon” e “Vigorous” fu alquanto elevato. Tuttavia, l’arrivo a La
140

Valletta di un carico di 15.000 tonnellate di rifornimenti, disperatamente


attesi, trasportato dai due superstiti piroscafi del convoglio “W.S.19/Z”,
permise a Malta di portare le scorte necessarie per sopravvivere – che per
le razioni dei viveri erano ridotte ad una quantità di appena nove giorni –
fino al mese di settembre, anche se restarono particolarmente allarmanti
per la continuazione delle operazioni della RAF, condizionate dalle
deficienze delle scorte di benzina avio, per il mancato arrivo della
petroliera Kentucky.
Pertanto, l’aver fatto arrivare a Malta i due piroscafi fu un indubbio
successo e, come riconobbero i tedeschi, uno smacco per l’Asse,
soprattutto della Marina italiana con la sua 7a Divisione Navale che, pur
impegnandosi nelle acque di Pantelleria in un combattimento con
supremazia potenziale di forze, non era riuscita ad impedire alle navi
nemiche di raggiungere l’isola.

Riproduzione grafica britannica della battaglia di mezzo agosto. Dal volume sulla RAF di Dennis Richards e
Hilary St. George Sanders.

Da parte italiana, le cause dell’insuccesso navale di Pantelleria


furono giustificate con le abbondanti cortine di nebbia emesse per
occultarsi dalle navi britanniche, che avrebbero intralciato l’osservazione
delle navi dell’ammiraglio Da Zara. Queste, inoltre, sarebbero state
avvantaggiate dal possesso del radar, mancante agli italiani, che avrebbe
141

permesso al nemico di seguire le mosse degli incrociatori e dei


cacciatorpediniere dell’ammiraglio Da Zara, e di contrattaccarli. In effetti,
mentre le cortine di fumo servirono effettivamente, com’era logico, per
nascondere le navi convoglio dal tiro delle navi italiane, il radar non servi
molto ad agevolare i britannici nelle loro manovre difensive poiché, in un
combattimento a distanza e con luce diurna furono molto più utili i
binocoli e i telemetri, aggiunta all’aggressività dei loro cinque
cacciatorpediniere di squadra, sostenuti dall’incrociatore contraereo Cairo
con le sue modeste artiglierie.
Inoltre l’errata valutazione di aver conseguito un grande successo
trasmesse dal Comando della 7a Divisione – che segnalò di aver affondato
un incrociatore, tre cacciatorpediniere e quattro piroscafi – finirono per
trarre in inganno anche Supermarina, il quale, evidentemente male
informato dalle notizie che arrivavano in sede, ritenendo fosse stato
raggiunto lo scopo di distruggere il convoglio nemico, nel pomeriggio del
15 giugno ordinò a Da Zara di rientrare alla base. Il Duce stesso, rimasto
entusiasta dal combattimento sostenuto dalla 7a Divisione, si recò pochi
giorni dopo a Napoli (25 giugno) e dopo gli elogi distribuì
abbondantemente medaglie al Valor Militare all’ammiraglio e agli uomini
dei suoi equipaggi, che più si erano distinti.
Tuttavia, nei giorni successivi Mussolini cominciò ad avere dei
dubbi, perché la radio e la stampa britannica, facendo conoscere le forze
navali che avevano partecipato alla battaglia e le perdite subite per attacco
aereo, ironizzarono abbondantemente su quel presunto successo della 7 a
Divisione, che il Duce si vantava di aver personalmente realizzato,
ordinando l’uscita delle navi, e che fu smentito anche dalle notizie che
arrivavano da Berlino.
L’episodio di Pantelleria, dal quale seguì una dura polemica tra Da
Zara e Iachino che, con scambio di corrispondenza dai toni polemici, fece
notare al Comandante della 7a Divisione i suo molti errori di manovra,
determinò negli ambienti tedeschi molta delusione. E ciò perché dal punto
di vista strategico il successo britannico vanificava tutti gli sforzi profusi
dalla Luftwaffe e dalla Regia Aeronautica per neutralizzare Malta,
impedendone il rifornimento e di riflesso il rafforzamento della
formidabile isola fortezza.
142

Il Duce, alla cui estrema sinistra è l’ammiraglio Riccardi e dietro di lui l’ammiraglio Da Zara, passa in rassegna
gli uomini della passa in rassegna gli uomini delle unità della 7a Divisione Navale.

Napoli 25 giugno 1942. Il Capo del Governo Benito Mussolini decora con la Medaglia d’Argento al Valor
Militare l’ammiraglio Alberto Da Zara, allora ritenuto l’indiscusso vincitore della battaglia di Pantelleria,
143

Il 24 giugno 1942 Mussolini, si recò a Taranto per portare il suo saluto agli equipaggi della Squadra Navale, che
avevano partecipato nello Ionio al contrasto all’operazione britannica “Vigorous”, fallita per l’intervento delle
navi italiane. Nell’immagine il Duce passa in rassegna l’equipaggio della corazzata Littorio, affiancato sulla
destra dall’ammiraglio Iachino e seguito dall’ammiraglio Riccardi.

Dopo aver terminato la rassegna, Mussolini, dalla poppa della Littorio parla agli equipaggio della corazzata. Alle
sue spalle, da sinistra, gli ammiragli Riccardi e Iachino.
144

Ma il Duce non poteva dimenticare i protagonisti della Regia Aeronautica. Per decorare gli aviatori che si erano
meritati medaglie al valor Benito Musssolini, accompagnato nella visita dal generale Fougier, arrivò in volo a
Cagliari Elmas accolto dal Comandante dell’Aeronautica della Sardegna, generale Aldo Urbani. Nell’immagine
il Duce appunta la medaglia sul petto di uno degli aviatori.

Quindi, il 25 giugno, il Duce si trasferì on Sicilia, e dopo aver decorato gli aviatori dell’isola, rese omaggio al
personale della Luftwaffe che tanti successi contro le navi britannici aveva registrato nel corso del contrasto alle
operazioni Harpoon e Vigorous.
145

A causa del clima polemico che si respirava a Supermarina per


l’insuccesso di Da Zara, del quale apparivano, dalle sue relazioni e dalle
sue dichiarazioni giustificatrici, le molte lacune tattiche, l’ammiraglio
Iachino si sentì in dovere di intervenire in questa polemica. Lo fece con un
documento dall’oggetto “Osservazioni sulla Battaglia di Pantelleria”
datato 9 gennaio 1943 (vedi lettera allegata). In esso egli esponeva tutti i
suoi concetti critici, sull’aumento di velocità, fino a raggiungere 32 nodi,
che era stata impressa alla 7a Divisione all’inizio del combattimento. Tale
aumento di velocità aveva portato per far scadere dapprima i
cacciatorpediniere più lenti della 14a Flottiglia, il Vivaldi e il Malocello,
che si trovavano a poppa dell’Eugenio e del Montecuccoli, e poi anche i tre
cacciatorpediniere della 10a Squadriglia Oriani, Ascari e Premuda, che
inizialmente li procedevano di prora. E questo avveniva proprio mentre
agli incrociatori dovevano apprestarsi a fronteggiare un attacco silurante
delle unità nemiche, e nel frattempo occorreva impegnare gli incrociatori
del nemico, ritenuti erroneamente da Da Zara almeno in numero pari ai
due della sua 7a Divisione.
Ma quello che soprattutto Iachino contestò a Da Zara era
l’impostazione del combattimento. La sua attenzione avrebbe dovuto
essere rivolta ad attaccare il convoglio nemico, che cercava di allontanarsi,
protetto dalle navi di scorta impegnate nel combattimento con le unità
italiane, e cercare di distruggerlo. E ciò doveva essere fatto mantenendo il
contatto con il convoglio, e continuando a impegnare le forze di scorta che
lo proteggevano, fino a eliminarle e disperderle. Quindi Iachino considerò,
giustamente, nella rottura del contatto e nell’irrazionale manovra di Da
Zara nel dirigere verso nord, per risalire lo sbarramento 7 AN nel tentativo
di portarvi le navi britanniche ad attraversarlo, la causa che impedì di
realizzare la distruzione del convoglio nemico. Ne conseguì che quando le
unità della 7a Divisione erano tornate a sud per riprendere il
combattimento, il convoglio non era più in vista.
Infine, l’insuccesso della Marina italiana a Pantelleria, da molti sotto
valutato nella storiografia, vanificò le speranze di Supermarina, che dopo
tante delusioni aveva sperato, impiegando a Pantelleria la 7a Divisione
Navale, di conseguire un indiscutibile successo. E ciò anche per dimostrare
al Comando Supremo e all’O.B.S. che le forze navali italiane stavano
impegnandosi seriamente e in modo redditizio nel blocco di Malta,
concordato con il feldmaresciallo Kesselring. Ma, in questo caso,
purtroppo l’insuccesso di Pantelleria non era da addebitare all’organo
146

operativo dell’Alto Comando Navale italiano che aveva realizzato, con le


forze disponibili, un ottimo piano d’impiego, ma soltanto alle indecisioni
ed errori di natura tattica verificatisi nel corso della battaglia.
In definitiva, a differenza di quanto avvenuto in Italia, dove
l’operazione Mezzo Giugno e la battaglia di Pantelleria sono alquanto
note, almeno nei tratti più salienti, molto poco fino ad oggi è stato scritto
in Gran Bretagna su quello che è stato chiamato il "convoglio
dimenticato", mancando anche un libro che tratti l’argomento della
Vigorous e dell’Harpoon in modo approfondito.32 E questo, per un popolo
orgoglioso e dalle forti radici della tradizione, come è quello inglese, è
dovuto al fatto ché le due operazioni si erano concluse con risultati non
soddisfacenti e di scarso prestigio, rispetto ad altre più fortunate, su cui la
letteratura anglo-sassone è stata particolarmente attenta.
La realtà, oggi rivalutata, porta invece a stabilire che il convoglio
dell’operazione Harpoon fu quello che contribuì a salvare Malta nel
periodo forse più nero della sua storia. Se nessuna nave del convoglio
W.S. 19/Z fosse arrivata a destinazione, probabilmente Malta sarebbe
caduta per fame, e non vi sarebbe stato, due mesi più tardi, il successivo
tentativo di salvarla con la grande operazione Pedestal, ne tanto facile
sarebbe stato possibile per i britannici di attaccare ad El Alamein nel
novembre 1942, conseguendo quella grande vittoria che ribaltò le sorti
della guerra nel Nord Africa.

FRANCESCO MATTESINI

32
L’Aurore di questo Saggio ha compilato un poderoso ed esaustivo libro dal titolo La
Battaglia Aeronavale di Mezzo Giugno. Il contrasto italo-tedesco alle operazioni Harpoon e
Vigorous, che ha consegnato a un Editore per la stampa.
147

Lettera privata dell’Ammiraglio Angelo Iachino inviata


all’ammiraglio Alberto Da Zara
_________________

OSSERVAZIONI SULLA BATTAGLIA DI PANTELLERIA

1°) Velocità e frazionamento della F.N.


Queste due questioni vanno esaminate insieme poiché sono l’uno la
conseguenza dell’altra. Ti confesso che le tue argomentazioni in proposito
non mi hanno convinto: rimango dell’opinione che era preferibile
affrontare il primo urto col nemico a forze riunite anziché sparpagliate, e
che perciò era meglio tener bassa la velocità entro i 28 nodi). L’averla
aumentata a 32 nodi non mi pare abbia portato reali vantaggi, mentre ha
certamente sottratto all’azione, nella prima fase del combattimento, le armi
dei 5 nostri CC.TT., proprio quando ve ne era più bisogno per respingere
un ardito attacco di siluranti avversarie. In quella fase dell’azione gli
incrociatori sono rimasti praticamente soli, poiché i due VIVALDI erano
già stati distaccati, ed i tre ORIANI stavano scadendo dalla parte esterna
rispetto al nemico, e perciò non prendevano alcuna parte utile alla
battaglia. L’inoperosità della X Squadriglia in questa fase è in parte da
attribuirsi alla scarsa iniziativa del suo Comandante, ma è certamente stata
provocata dall’eccessivo aumento di velocità degli incrociatori.
Non si deve con questo concludere che la velocità delle navi va
sempre subordinata a quella dei CC.TT. che le scortano: le navi possono
benissimo abbandonare la scorta per andare alla velocità che risulta più
conveniente onde raggiungere un determinato obiettivo tattico, com’è p.es.
nel caso di inseguimento del nemico. Ma qui non si trattava di inseguire il
nemico, si trattava invece di respingere un attacco silurante e di
intercettare un convoglio che camminava al massimo a 14 nodi. Non
sembra quindi vi fosse necessità di aumentare la velocità oltre i limiti
consentiti dalla scorta; e l’abbandonare questa scorta non poteva
verosimilmente facilitare la manovra dei nostri incrociatori nel loro duello
coi similari nemici.
Quanto al vantaggio che la velocità offre a chi è attaccato da siluranti
veloci, esso è indubbio, ma non è necessario per questo correre a tutta
forza. Il nemico infatti per avvicinarsi, deve necessariamente assumere una
rotta convergente, e quindi non può guadagnare sul beta, a meno di grande
superiorità di velocità; e anche in questo caso, basta una piccola accostata
148

in fuori (come la Divisione ha fatto per un poco, assumendo rotta 160°) per
far decisamente scadere il nemico a poppavia. Quanto poi ad evitare i
siluri già lanciati è generalmente sufficiente una piccola accostata,m
soprattutto quando il lancio ha luogo nei settori poppieri. Se si assume
infatti velocità-nave di 28 nodi, velocità-siluro di 40, corsa siluro 8000 m.,
per lanciare su un beta di 120°, occorre avvicinarsi a 3.500 m., e basta
un’accostata di 20° da parte del bersaglio per mettere il siluro di poppa ed
impedirne sicuramente l’arrivo.
Anche quindi sotto questo punto di vista, una velocità di 28 nodi si
poteva considerare del tutto sufficiente.

2°) Impostazione del combattimento

E’ evidente che in un combattimento, che aveva lo scopo di


intercettare e distruggere un convoglio, l’obiettivo principale, e
conseguentemente il polo della manovra tattica, era e doveva essere il
convoglio. Il criterio tattico della difesa inglese è giustamente stato quello
di frapporre continuamente i propri incrociatori fra gli attaccanti e i
piroscafi, in modo da sottrarre questi ultimi all’offesa. Da parte delle forze
attaccanti l’impostazione del combattimento non poteva logicamente
essere che quella di fare il contrario, cioè puntare sul convoglio, e
mantenere il contatto con esso fino a che, eliminate e disperse le forze
nemiche, lo si sarebbe potuto distruggere. Data tale impostazione, non
sembra potesse risultare vantaggioso per noi l’allontanamento per lungo
tempo dal convoglio, sia pure per avvolgere la testa della formazione
navale nemica, compito praticamente irraggiungibile, (si trattava di due
incrociatori veloci), e comunque sterile ai fini dell’obiettivo principale.
La 7^ Divisione correndo ad alta velocità verso Sud, e poi verso Sud-
Ovest, è venuta a perdere del tutto il contatto col convoglio, e si è trovata,
fra le 6.30 e le 8.00, esattamente impallata dal nemico rispetto ai piroscafi
da intercettare. Una volta perduto il contatto con questi piroscafi, contatto
che così fortunatamente si era potuto stabilire alle prime luci del mattino,
esso non è stato più ripreso per tutta la giornata, e non si è così potuto
conseguire l’obiettivo principale dell’azione.

3°) Fase decisiva del combattimento


149

A mio modo di vedere, è quella compresa fra le 6.15 e le 8.15 del


mattino. E’ in questa fase infatti che si verificano le più vistose avarie sugli
incrociatori nemici, e precisamente, secondo le osservazioni fatte
dall’EUGENIO:
- alle 6.15 un incrociatore nemico (tipo SOUTHAMPTON o DIDO)
colpito, sbanda di almeno 70°, e l’Ammiraglio lo giudica affondato;
- alle 6.59 un altro incrociatore più piccolo, colpito, viene coperto da
cortine di nebbia: il nemico ripiega allontanandosi, e manda le siluranti
all’attacco;
- alle 7.15 un grande incendio viene osservato in direzione del
gruppo nemico tuttora occultato da nebbia;
- alle 7.17 viene osservato un grande scoppio dietro la cortina
nemica.
A questo punto qual’era l’apprezzamento della situazione che si
poteva fare da bordo della Nave Ammiraglia ? Al momento dell’incontro
col nemico, all’alba, erano stati chiaramente individuati due incrociatori,
uno più grande dell’altro, accompagnati da CC.TT. e naviglio minore di
scorta al convoglio. Alle 6.15 l’incrociatore maggiore è stato visto in
condizioni di affondamento: rimanevano quindi soltanto quello minore e i
CC.TT.. Fra le 6.59 e le 7.17 questo incrociatore è stato visibilmente
colpito, e l’incendio con scoppio successivo lasciava sperare nella sua
distruzione. Non dovevano quindi, dopo tale istante, rimanere più
incrociatori nemici a galla, o al minimo, volendo essere molto cauti
nell’apprezzare i danni, doveva essere rimasto un solo incrociatore di
piccole dimensioni e seriamente danneggiato. Questo almeno è
l’apprezzamento che si poteva fare in base agli elementi raccolti sul
momento e sul posto, grazie all’osservazione diretta degli avvenimenti.
I nostri due incrociatori invece non avevano subito fino a quel
momento che danni di lieve entità (un colpo da 120 su ogni nave con
pochissime perdite) ed erano in piena efficienza. Dalle 7.17 quindi la
relatività delle forze navali in presenza era, o per lo meno doveva essere
apprezzata, tutta a nostro vantaggio; e si poteva logicamente sperare che,
avendo ancora 12 ore di luce, il nemico sarebbe stato schiacciato o
disperso, e il convoglio annientato. Per far questo, per sfruttare cioè il
successo iniziale, occorreva, alle 7.23, dopo respinto l’attacco silurante,
accostare per N-E anziché per N-W, in modo da mantenere il contatto col
nemico, certamente minorato, e avvicinarsi al convoglio che non poteva
frattanto essere andato molto lontano. Ancora alle 8.15 vi era la possibilità
150

di portare l’azione a fondo, e conseguire l’obiettivo principale, accostando


verso Nord anziché verso Sud. Sono appunto queste accostate, e la
decisione successiva di passare a levante dello sbarramento, che hanno
portato ad una lunga interruzione del combattimento e hanno consentito al
nemico di sfuggire alla nostra ricerca e di raggiungere Malta.

4°) Azione del VIVALDI e del MALOCELLO

L’attacco di questi due CC.TT. contro il convoglio protetto da forze


superiori è stato condotto molto brillantemente e probabilmente ha
conseguito qualche risultato concreto. Nel disimpegnarsi, il VIVALDI, già
sotto il fuoco concentrato di molte unità nemiche, è stato colpito, e dopo
poco si è fermato. Il MALOCELLO lo ha difeso abilmente, ed ambedue
hanno energicamente reagito colle artiglierie e coi siluri: ma è certo che se
il nemico, preponderante di forze, non avesse, per ragioni tutt’ora
sconosciute desistito dall’attacco di quei due CC.TT., essi ne sarebbero
usciti molto malconci.
Tuttavia non vi è nulla da osservare su quanto fatto dal VIVALDI e dal
MALOCELLO in quella fase dell’azione, né tanto meno in quella
successiva, in cui il VIVALDI fu miracolosamente tratto in salvo.
L’osservazione che, dopo il lancio contro il convoglio, il gruppo
VIVALDI avrebbe dovuto allontanarsi in direzione diversa da quella presa
verso Sud, non ha grande consistenza, sia perché bisognerebbe dimostrare
che, prendendo una diversa direzione, avrebbe evitato di essere colpito, sia
perché, logicamente, il gruppo tendeva alla riunione cogli incrociatori. E la
rotta che, meglio di ogni altra agevolava la riunione era certamente quella
verso Sud, tanto più che era presumibile che prima o poi i nostri
incrociatori sarebbero ritornati a Nord per avvicinarsi al convoglio, polo
della manovra.

5°) Azione della X Squadriglia

E’ stato già notato che questa Squadriglia non ha brillato di grande


iniziativa nella prima fase del combattimento, quando rimasta indietro per
l’aumentata velocità degli incrociatori, ha assistito passivamente
all’attacco silurante nemico senza intervenire che con pochissime salve di
artiglieria. Né più brillante è stato il comportamento di questa Squadriglia
quando, alle 6.16, è stata mandata verso Nord a prestare assistenza al
151

gruppo VIVALDI. Essa infatti, dopo invertita la rotta, si è trovata faccia a


faccia con i CC.TT. nemici che, ultimato l’attacco alla nostra formazione,
ripiegavano sul grosso.
Scambiandoli per un nuovo gruppo nemico, e ritenendo che fra essi
vi fosse un incrociatore, la Squadriglia ha continuato ad accostare
assumendo rotta a Sud-Est, ed ha poi pensato bene di passare a levante
dello sbarramento per arrivare da Nord sul punto ove il VIVALDI
aspettava la sua assistenza! Fortunatamente il nemico aveva desistito
dall’attacco al VIVALDI, e questo, accompagnato dal MALOCELLO,
aveva potuto riprendere la rotta a Nord, in modo che il congiungimento
colla X Squadriglia ha potuto aver luogo alle 7.55 in acque ormai
tranquille.
In complesso non mi pare che la condotta del Comandante
PONTREMOLI abbia brillato durante l’azione: secondo me, egli non ha
dimostrato in questa occasione molta iniziativa né molto spirito
combattivo.
F/to Iachino

9 Gennaio 1943-XX
152

Potrebbero piacerti anche