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dal “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”

Il dialogo si svolge a Venezia, nel palazzo Sagredo sul Canal Grande e dura quattro
giorni. Vi partecipano due amici di Galileo da poco scomparsi, il fiorentino Filippo
Salviati e il veneziano Gianfrancesco Sagredo, e Simplicio; il primo di essi esprime le
idee di Galileo, mentre Sagredo è la persona colta che le condivide (συμμερίζομαι)
entusiasta, in polemica con l'aristotelico Simplicio, un personaggio probabilmente fittizio
(φανταστικός). Nella prima giornata si criticano i fondamenti della concezione
aristotelica della natura: il concetto di perfezione assoluta, la differenza di mondo celeste
e mondo sublunare γήινος, l'assunzione αναδοχή della terra a centro dell'universo. La
giornata termina con il confronto tra la conoscenza divina e la conoscenza umana.
La seconda giornata comprende la confutazione αντίκρουση delle prove aristoteliche
contro il moto della terra intorno al proprio asse. Tra gli altri argomenti si porta il così
detto principio di relatività galileiana, per cui quando ci si trova all'interno di un
sistema non si può stabilire con esperienze di carattere meccanico se il sistema stesso è
in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme.
Nella terza giornata si discute del moto annuo della terra; nella quarta si parla delle
maree. Galileo rapporta tale fenomeno al movimento di rotazione terrestre, ipotesi poi
rivelatasi erronea e perciò abbandonata.
“A Galileo il dialogo si presentava come la espressione più immediata e palpitante del
drammatico conflitto di due epoche da lui stesso per gran parte determinato e patito; di
cui l'una, onusta di secoli e di gloria, non si aspettava ne si rassegnava a morire e l'altra,
appena affacciata alla scena del mondo, fremeva di vita e di insofferenza.
Nessuna forma, più del dialogo, era forse adatta a fermare e a chiarire le opposte
posizioni; anche Simplicio, se si guarda bene, è reso ridicolo, ma non sciocco. Simplicio
è uno irretito in tesi preconcette, e che sembra godere un mondo a starsene in quella
rete, tanto che stretto dalle argomentazioni degli avversari butta là il sospetto che “non
entri qualche gioco di mano” piuttosto che arrendersi alla evidenza; e tanto più viene
rimpicciolito di fronte agli avversari, quanto più è fatto ostinato (non sciocco, ripeto), e
quanto più s'in volge nelle nuvole, e nega di vedere il sole sfolgorante, ma perchè si
compiace di tener gli occhi ben chiusi.
Infine nessuna forma più del dialogo offriva qualche garanzia perche l'Autore poteva,
attraverso i prestanome dei Salviati e dei Sagredo, dar voce più piena e più libera alla
sua passione.
D'altra parte la varietà degli interlocutori e la frequente novità delle osservazioni e delle
digressioni quale scaturisce dalla natura stessa di una discussione, se permette una
libertà speciale di movimento, impone altresì all' Autore una sapienza costruttiva e una
felice distribuzione delle parti si che tutte concorrano a dar luce al cammino segnato e
fulgore alla mèta raggiunta. Gioco dunque di vena e di arte; ma in questo Galileo fu
davvero maestro”.

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