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L’analfabetismo religioso

Per comprendere le cause dell’analfabetismo religioso bisogna guardare i processi


di secolarizzazione, i metodi educativi, i sistemi scolastici e la storia delle religioni
di tutti i diversi stati. L’analfabetismo sul piano economico produce dei costi sociali,
che dovrebbero essere a carico dello stato, ma quando questi sono troppo elevanti e
lo stato non se ne riesce a far carica, hanno una ricaduta sul piano sociale. I costi
derivano dal fatto che vi è l’incapacità di comprendere le differenti comunità
religiose, che portano alla mancanza di comunicazione, che a sua volta porta
all’esclusione di una minoranza religiosa. Anche lo stato neutrale riguardo le
questioni religiose non è sufficiente a governare il pluralismo religioso, le politiche
di integrazione di conseguenza risultano inesistenti e sul piano sociale producono
costi elevati nella convivenza multireligiosa e multiculturale. Vi è una conoscenza
parziale o nulla dei diritti religiosi, infatti le richieste da parte di membri di una
comunità religiosa differente risultano essere delle pretese, quando in realtà sono
solo dei diritti. Un esempio può essere quello del 2013, quando si è discusso
sull’apertura delle moschee in Italia, proposta che è stata ostacolata dalla lega nord.
Il partito ha definito le moschee antidemocratiche e l’islam anticostituzionale,
quando in realtà la chiusura di un luogo di culto è una violazione di libertà civile,
costituzionalmente garantita. La politica, infatti, produce elevati costi sociali
quando usa delle strategie di marketing tese a guadagnare consensi da un elettorato
sensibile alla tradizione cattolica conservatrice. Questa situazione in Italia è sempre
esistita, poiché le politiche hanno sempre cercato di privilegiare la religione
cattolica perché i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico e
culturale italiano. Infatti, viene difficile sostenere l’imparzialità di uno stato verso
tutti i gruppi religiosi, quando esso si limita a privilegiare il cattolicesimo, sia in
ambito dell’istruzione che in ambito economico, finanziando solo determinate
organizzazioni religiose. Essere uno stato laico dunque significa pratica
l’imparzialità verso le scelte Remigio e non religiose dei cittadini, che può garantire
attraverso sia l’esclusione (come nel caso dell’esposizione di un simbolo religioso da
parte di un personaggio facente parte di istituzioni pubbliche) che l’inclusione. Le
scuole in particolare devono praticare l’inclusione, perché con le trasformazioni
sociali vi è una richiesta di conoscenza delle tradizioni di una pluralità di religioni
che la scuola deve soddisfare. Per promuovere l’alfabetizzazione, dunque, le scuole
dovrebbero praticare un insegnamento non confessionale di una pluralità di
religioni. Le cause di un insegnamento religioso confessionale provengono da chiese
di stato che hanno un legame con la tradizione religiosa, che si confonde con la
genesi storica delle nazioni, o la separazione tra stato e chiesa, e infine la
collaborazione tra stato e chiesa.
L’Italia che è un paese di maggioranza cattolica, con i flussi migratori sta
diventando una società caratterizzata da una diversità religiosa molto articolata.
Questo passaggio da un monopolio cattolico ad una società con una pluralità di
religione sta cambiando la geografia socio-religiosa, cambiamento che costituisce
una novità rilevante in un paese che per ragioni storiche continua a definirsi
cattolico. La chiesa però continua ad occupare un ruolo centrale nello spazio
pubblico nonostante la diversità religiosa, anche sta iniziando a misurarsi con essa e
ad aprirsi maggiormente e a dialogare con le diverse fedi, tollerandole. Essa
comunque cerca di mantenere la propria superiorità che ha conquistato nel corso
del tempo.

Teologia nell’università
In Italia non vi è la presenza della teologia nelle università, per ragioni storiche,
ovvero l’imposizione di uno stato laico, l’episcopato che voleva mantenere il
controllo sull’insegnamento della teologia e lo sviluppo di cattedre di scienze delle
religioni. Una facoltà di teologia che è iscritta in un contesto pubblico dipende da
due autorità: quella ecclesiastica e quella pubblico-politica. Nel canone 812 del
codice del diritto canonico è riferito alla nomina dei docenti, in cui coloro che
insegnano discipline teologiche devono avere il mandato dell’autorità ecclesiastica,
e la richiesta del nulla osta se si tratta di una facoltà pubblica, passera prima
dall’intervento della santa sede che precede quindi quello dell’autorità. La chiesa è
desiderosa della teologia nelle università in quanto guadagna da l contesto
accademico, che favorisce luoghi di scambio e dialogo. Tutte le università cattoliche
o di formazione cristiana sono obbligate ad avere un esame di teologia. Il vantaggio
di questa materia sta nel testo biblico, che è il grande codice della cultura
occidentale, lo studio biblico viene infatti riservato solo alle facoltà ecclesiastiche, le
altre università soffrono dunque della mancanza di questo testo.

Dalla legge casati agli accordi di villa madama


Con la legge Boncompagni del 1848 la religione cattolica era fondamento
dell’educazione morale e gli alunni non cattolici non erano obbligati ad intervenirvi.
Vi era una forma di tolleranza, in cui la religione cattolica rimaneva il fondamento
dell’istruzione e gli alunni acattolici erano coloro che predicavano una religione che
veniva riconosciuta dalle leggi dello stato. A questa seguirà la legge casati del 1859
che prevedeva l’insegnamento della religione cattolica in tutte le classi della scuola
elementare, in cui l’obbligo di impartire tale insegnamento veniva affidato ai
comuni e ai maestri, gli alunni che non volevano partecipare potevano servirsi di
una dispensa su richiesta dei genitori. Da questo momento lo stato riconosce, il
diritto di non essere obbligati a seguire la lezione di tale insegnamento. Le cose
cambiano nel 1870, quando pochi giorni dopo la breccia di porta pia, il ministro
della pubblica istruzione, Cesare Correnti, emanò una circolare che rendeva
facoltativo l’insegnamento religioso, con l’obbligo ai comuni di concederlo solo a chi
ne avesse fatto esplicita richiesta. Questa proposta era legata alle tensioni tra stato e
Santa Sede in seguito alla proclamazione di Roma capitale d’Italia, contrasti che
portarono il papa, nel 1874 ad emanare il non expedit, ovvero il divieto ad i cattolici
di partecipare alle elezioni sia come candidati che come elettori. Nel 1877 viene fatta
la legge Coppino, che aumenta l’obbligo scolastico fino ai 9 anni e cancella la
religione dalle materie scolastiche, sostituendola con una nuova materia avente una
morale laica e non più confessionale. Nel 1904 con la legge Orlando, viene elevato
l’obbligo scolastico fino ai 12 anni, ed introduce nozioni di tipo morale e civile
all’insegnamento, senza menzionare la religione, in quanto si aprirà una discussione
sulla possibilità di abolire l’insegnamento religioso. La questione venne dibattuta
dalla “federazione nazionale insegnanti scuola media”, in cui il relatore Alberto
Fioravanti e Gaetano Salvemini sostennero la tesi dell’abolizione di ogni
insegnamento religioso, che doveva essere sostituito con un’educazione morale
civile, opinione che si ispirava alle leggi di separazione francese. Giovanni Gentile
invece introdusse un nuovo concetto di laicità in cui la scuola non è di uno stato
laico indifferente al fatto religioso, ma esso è laico perchè è divino di per se e non ha

bisogno che questa natura divina provenga dalla chiesa. Fioravanti e Salvemini
ottennero la maggioranza e si giunse così all’approvazione di una mozione a favore
dell’abolizione dell’insegnamento religioso e la laicizzazione degli insegnanti. Nel
1908 con il regolamento Rava, si attua nuovamente la legge casati e si stabilisce, che
è impegno dei comuni assicurare l’insegnamento della religione su richiesta delle
famiglie. Il presidente del consiglio, Giovanni Giolitti, nella sua lotta contro
l’analfabetismo, promuove la statalizzazione delle scuole elementari, in cui ritorna il
problema dell’educazione religiosa, in cui adesso è lo stato che deve gestirla e non
più i comuni (1911 legge Daneo-Credaro). Nel 1923 con la riforma scolastica di
Gentile, si reintrodusse l’insegnamento religioso nelle scuole elementari a
fondamento e coronamento dell’istruzione, riforma che aiutò Mussolini nella sua
carriera politica, al fine di ricevere appoggio dai cattolici. Per il fascismo
l’insegnamento della religione cattolica era uno strumento utile nell’educazione
nazionale del popolo italiano, insegnamento concordato con la Santa Sede, ma
posto sotto il controllo esclusivo dello stato. La riforma Gentile riprese alcuni
articoli della legge Casati, in cui permetteva ai genitori che ne facessero richiesta di
impartire personalmente ai figli l’insegnamento religioso. La Santa Sede ottenne il
controllo dell’adozione dei libri di testo, che dovevano essere approvati dall’autorità
ecclesiastica. Nel 1929 con i patti lateranensi, l’insegnamento dell’istruzione
cattolica vanne esteso anche nelle scuole medie, il trattato nell’articolo 1, stabiliva
che la religione cattolica romana fosse l’unica religione dello stato, e l’articolo 36 del
concordato, stabilisce l’insegnamento della religione cattolica come fondamento e
coronamento di tutta l’istruzione pubblica e che i maestri, professori o sacerdoti
dovranno essere approvati dall’autorità ecclesiastica, così come i libri di testo. La
religione cattolica diventa dunque una materia di programma, con l’inserimento di
voti nella pagella scolastica. L’articolo 5 e 6 riguardano coloro che non professano la
religione cattolica, in cui nell’articolo 5 viene stabilito che la discussione in materia
religiosa è pienamente libera, articolo contestato dal papa, che invece affermava che
la libertà di coscienza e di discussione deve essere praticata secondo la dottrina
cattolica. Nell’articolo 6 invece viene garantita la possibilità e non il diritto di una
dispensa per gli alunni non cattolici. Nel 1946 nasce l’assemblea costituente, in cui
vi sarà una commissione incaricata di elaborare il progetto di costituzione, essa
viene divisa in tre sottocommissioni. La prima sottocommissione si occupava dei
diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino, tra cui l’istruzione, i relatori che si
occuparono di questa sottocommissione furono Aldo Moro e Concetto Marchesi.
Marchesi contestava la centralità del ruolo dello stato all’interno della scuola,
dicendo che lo stato deve riconoscere l’educazione e l’organizzazione delle scuole,
ma non deve subordinarsi ad esse. Marchesi era inoltre a favore dell’introduzione
nelle università di cattedre di storia delle religioni, ma in disaccordo per la
soppressione delle facoltà teologiche nelle università italiane. Moro invece
affermava che la diffusione dell’istruzione dovesse essere interesse collettivo e
soprattuto dello stato che doveva formare dei cittadini al fine di assumerli nelle
funzioni sociali, lo stato dunque doveva garantire l’insegnamento della verità
religiosa in tutte le scuole ad esclusione delle università. La proposta di Moro era la
seguente: “lo stato assicura a tutti gli studenti, che vogliono usufruirne,
l’insegnamento religioso”. Marchesi voleva rifarsi alla riforma Gentile, che
prevedeva invece, l’obbligo dei comuni ad impartire nelle scuole elementari
l’insegnamento religioso sotto richiesta dei genitori. Questo dibattito venne poi
risolto da Dossetti, che propose il rinvio di essa, quindi da quel momento
l’assemblea smette di trattare dell’insegnamento religioso, fino alla trattazione degli
articoli 7 e 8 della costituzione. Questi due articoli parlano dei rapporti tra stato e
chiesa, in cui queste due autorità sono indipendenti e i loro rapporti vengono legati
dai patti lateranensi, e tutte le confessioni religiose diverse da quella cattolica,
hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti. Nel 1984 vengono stipulati
gli accordi di Villa Madama tra Santa Sede e repubblica italiana, con il fine di
modificare i patti lateranensi, essi affermavano che l’insegnamento della religione
cattolica doveva essere assicurato nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, ma
non in quelle universitarie, poiché in Italia i principi del cattolicesimo fanno parte
del patrimonio storico del popolo italiano. Gli accordi, garantivano a ciascuno il
diritto se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento nel rispetto e nella libertà di
tutti, la religione cattolica apostolica romana non doveva essere più considerata la
religione di stato. L’insegnamento della religione cattolica non poteva essere svolto
secondo metodi catechistici, ma doveva essere impartito garantendo l’obiettività
storica, il pluralism0 e lo sviluppo dello spirito critico negli alunni. Lo stato sarà
laico e dovrà garantire una tutela nei confronti di tutti gli individui che vengono
trattati con disparità a causa della propria appartenenza, o non appartenenza ad
una fede religiosa. Gli accordi di villa madama però non cambiano la logica dei patti
lateranensi, in quanto le politiche scolastiche sulla religione non riguardano
l’insegnamento di una pluralità di religioni, la libertà religiosa è quindi tutelata in
negativo, attraverso il diritto di sottrarsi all’ora di religione, di conseguenza con
l’ora di religione cattolica monopolista cresce nel paese l’analfabetismo religioso.

I tre monoteismi abramitici nei manuali scolastici


Parlare di analfabetismo rimanda al contesto scolastico, in cui i manuali che
vengono trattati, se analizzati, rispecchiano le lacune e i limiti di apprendimento,
poiché molte volte si tende a semplificare gli argomenti indirizzati allo studio dei
ragazzi. In Italia mancano i libri di storia delle religioni, quindi per fare un’analisi
dei testi che parlano di religione bisogna vedere come viene trattata nei manuali di
storia delle scuole medie e superiori, poiché i manuali di storia sono quelli
maggiormente sottoposti a condizionamenti culturali, ideologici e politici. I temi
che si trovano nella maggior parte dei manuali sono: le origini dell’islam, la figura di
Gesù e gli ebrei nel novecento.
L’origine del cristianesimo
La visione centrale del cristianesimo all’interno dei manuali scolastici è quella di
una religione che da vittima passa ad essere una religione dominante. A livello
quantitativo al cristianesimo viene dedicato solo un capitolo, in cui in esso vengono
trattate le sue origini all’interno di un’unità relativa alla fine dell’impero romano, di
cui si attribuisce al cristianesimo il suo crollo. L’idea che il cristianesimo sia la causa
del crollo dell’impero proviene dallo storico inglese Gibbon, che pensava che il
cristianesimo avesse creato la certezza che la vita dopo la morte sarebbe stata
migliore, di conseguenza i cittadini romani si mostrarono indifferenti alla vita
terrena. L’impostazione di Gibbon oggi però non viene condivisa, poiché l’idea di
una romanità che cessa di esistere non corrisponde alla realtà, essa infatti continua
a trasformarsi, l’impero cambia nome e caratteristiche ma non si annienta nella
storia. A livello qualitativo il cristianesimo viene percepito dai manuali come la

sintesi tra ebraismo e paganesimo, in cui la lotta tra cristiani e pagani ci permette di
capire una parte della storia del cristianesimo, ossia quella registrata dalle fonti
scritte. Le fonti scritte vengono registrate da persone che fanno parte dell’élite per
l’élite, quindi di conseguenza non viene percepito il pensiero del cristiano comune
dell’epoca. Anche se, la vera conflittualità dei cristiani non era nei confronti dei
pagani ma nei confronti dei cristiani stessi, al fine di imporre un’ortodossia e
mostrarsi vicini al potere imperiale. La lotta con i pagani porta anche all’immagine
di un cristianesimo prima oppresso e poi trionfante, anche se questa visione viene
ormai vista come una forzatura che tende a valorizzare miti e credenze. Nella
manualistica dunque troviamo una ricostruzione catechistica della vita di Gesù, un
focus sulla morte di Gesù, le persecuzioni e viene anche fatta una forte confusione
con i termini. Nel manuale di Diotti ad esempio la nascita di Gesù risale al 5 a.c
mentre in quello di Mosconi al 6 a.c, inoltre si dice che Gesù sia nato a Betlemme,
mentre alcune fonti dicono che sia nato a Nazareth luogo in cui ha assunto l’epiteto
di Nazareno. Nella maggior parte dei manuali il cristianesimo viene presentato
come culto imperiale, quindi posto all’interno dell’impero romano, ma una
differenza si può trovare nel manuale di Cantarella e Guidorizzi, in cui viene anche
presentato come culto orientale. Un cristianesimo che trova la sua diffusione nel
momento in cui l’impero romano arriva al bacino orientale del mediterraneo, da qui
il cristianesimo si potrà dunque diffondere in occidente. In conclusione all’interno
dei manuali scolastici il cristianesimo viene presentato tramite delle visioni
storiografiche che la storia romana ha abbandonato da molto tempo, non si riesce
dunque a comprendere il problema religioso del cristianesimo, non sempre a causa
di una mancanza di conoscenza, ma perché molte volte si danno semplicemente per
scontati determinati aspetti, quindi non si parla di analfabetismo ma di
alfabetizzazione mediocre e standardizzata su temi storici-religiosi.
Islam
L’islam all’interno dei manuali scolastici viene rappresentato attraverso numerosi
errori, semplificazioni e closed views. La visione dell’Islam che trasmettono i
manuali è quella di una religione violenta e aggressiva, questi stereotipi vengono
rafforzati ad esempio, tramite il concetto di jihad come guerra santa. I musulmani si
rifanno a due significati di jihad, ovvero: la grande jihad che è la guerra per l’auto
controllo, per il dominio delle passioni e la lotta contro il male, e la piccola jihad che
è una guerra legale che va fatta solo in caso di difesa. A causa però
dell’analfabetismo religioso, il concetto di jihad nei manuali viene confuso con la
guerra santa, trasmettendo il messaggio che l’islam ha l’obbligo religioso di fare
guerra a chi non è musulmano. Il fondamentalismo ha una storia all’interno del
cristianesimo, ma ad un certo punto della storia, molto probabilmente dopo l’11
settembre 2001 esso venne associato all’islam, sia nei mezzi di comunicazione che
nella manualistica. Nella manualistica viene trattata anche l’espansione araba, in
cui si parla del corano, ma nella maggior parte dei capitoli viene trattato sempre il
concetto di guerra santa, rendendo la religione musulmana funzionale alle vicende
politiche e all’espansione militare. Di conseguenza lo studente è portato ad
immaginare la relazione tra occidente e mondo islamico sempre in conflitto, poiché
si concede più spazio allo scontro militare che allo scambio culturale. Nel manuale
di storia di Leone, lo spazio dedicato all’islam è più ampio di quello dedicato al
cristianesimo, e lo presenta in modo differente dagli altri testi. Questo testo parla
sia del territorio, facendo riferimento ai culti politeistici insediati all’epoca del

profeta, ma anche ad alcune vicende relative alla vita di Maometto, poi vi è un


capitolo dedicato alla guerra santa, l’islam politico e infine qualche
approfondimento sul corano, la schiavitù, la donna e la cultura. Nonostante la
vastità degli argomenti trattati in questo manuale, il focus centrale resta sempre
quello che si vede in tutti i manuali, ovvero i musulmani come un popolo guerriero.
Alcuni errori più persistenti che vengono fatti, sono ad esempio quello di
considerare Allah come il Dio dei musulmani ed errori sull’apparato iconografico
come quello di confondere scene di festa come scene di guerra. Per quanto riguarda
invece le closed views, vengono fatti dei discorsi che tendono a semplificare l’islam e
renderlo il nemico dell’occidente, come la trattazione delle crociate in antagonismo
all’islam. Sorge inoltre il problema della frammentarietà, poiché l’islam viene
presentato in maniera eurocentrica, oscurando così ampi periodi di storia che
riguardano i popoli musulmani, che risultano essere fondamentali per
comprenderne la cultura. Con le forti migrazioni, in Italia si è sentito il bisogno di
adeguarsi a questa situazione inattesa di pluralismo religioso, infatti gli insegnanti
hanno sentito il bisogno di acquisire maggiori conoscenze e strumenti idonei per
svolgere il proprio ruolo in un’ottica di educazione interculturale. La manualista
dunque, resta fondamentale per fare didattica, ma bisogna interrogarsi
sull’adeguatezza dei contenuti che trattano, con una capacità di analisi, da parte
degli insegnanti al fine di promuovere un’educazione interculturale e di reciproco
apprendimento. L’immagine dell’islam che la scuola trasmette attraverso i libri di
testo è di base razzista, trasmettendo così gli stereotipi nei confronti della religione
e della cultura musulmana, incoraggiando un populismo islamofobico.
Ebraismo
La trattazione della questione ebraica all’interno dei manuali di storia è centrata
soprattuto sulla persecuzione razziale durante fascismo e nazismo. Da questa
tragedia si mettono in moto due tipi di rimozione, ovvero quella della violenza
subita e quella della violenza commessa. Si tende infatti a dichiararsi assolti dalla
strage ebraica, tramite l’uso di termini scorretti, come ad esempio il termine
olocausto che serve all’uomo in modo da non rendersi responsabile dell’accaduto. Il
termine olocausto infatti, per gli ebrei indica un sacrificio rituale, quindi utilizzarlo
per descrive la strage del novecento sottintende che le vittime si sacrificassero per
una causa più alta. La rimozione della violenza commessa è molto pericolosa,
perché può portare al ripetersi della violenza perpetrata dai nostri antenati, anche a
causa dell’analfabetismo si rimuove la violenza, proprio perchè vi è una mancanza
di conoscenza di essa. Sotto il profilo storico-religioso ciò che troviamo all’interno
della manualistica è poco rilevante, solo dopo l’istituzione della giornata della
memoria il 20 luglio 2000 è cresciuta la sensibilizzazione nei confronti delle
persecuzioni ebraiche, focalizzarsi su questo, tende però a tralasciare aspetti
religiosi e culturali. Quello che si dovrebbe trovare all’interno dei manuali è: la
storia del cristianesimo, a partire dalla sua territorialità, in quando la storia
dell’ebraismo antico è collegata alla configurazione geografica della terra di Israele,
una trattazione del testo sacro in relazione alle sue traduzioni, in quanto ha un forte
impatto sulla storia dell’ebraismo e lo sviluppo teologico, ma anche una trattazione
sul monoteismo, termine che in antichità non esisteva e che oggi è diventato un
problema storico. All’interno dei manuali non si trova nulla di questo, ci si sofferma
solo sugli ebrei del novecento, ma una riflessione più approfondita possiamo
trovarla all’interno del manuale di Brava, Foa e Scrafia, “i fili della memoria” del

2000, in cui essi si focalizzano su questioni lessicali importanti, come il termine


olocausto e la distinzione fra antisemitismo, antiebraismo e antigiudaismo.
L’antigiudaismo è un termine con cui la chiesa cattolica ha cominciato a definire il
suo antiebraismo, per non confondersi con l’antisemitismo nazista e fascista, poiché
dato che i cristiani sono sempre stati in contrasto con gli ebrei, vi era il rischio che la
chiesa cattolica venisse colpevolizzata a causa dell’antisemitismo. Quindi essa iniziò
a discostarsi dalle politiche naziste e fasciste, chiamando la sua contrarietà nei
confronti degli ebrei con il termine antigiudaismo, che a differenza
dell’antisemitismo ha come caratteristiche l’opposizione religiosa nei confronti
dell’ebraismo, che secondo la chiesa cattolica può cessare durante un confronto,
non ha dunque nulla a che vedere con l’ebreo in se ma soltanto con la sua religione.
L’antisemitismo invece ha a che fare con matrici etniche e razziali, è un’opposizione
alla razza ebraica, infatti questo pensiero si tradurrà, all’interno delle politiche
naziste e fasciste. L’antiebraismo infine, è un’opposizione generale nei confronti
dell’ebraismo, in cui non viene specificata la radice razziale o religiosa.

IL PROBLEMA
Weber lega l’economia alla religione, proponendo una prospettiva diversa a quella
marxista, la religione dunque non sarà più intesa come sovrastruttura
dell’economia ma come motore di essa. Il pensiero di Weber viene spesso associato
a quello di Durkheim, ma in realtà hanno pensieri piuttosto differenti riguardo il
metodo di indagine religioso, che viene spesso semplificato. Lo scopo di Weber, a
differenza di Durkheim non è capire l’essenza religiosa, Durkheim al fine della sua
tesi nella comprensione della religione, capisce che essa è un fatto sociale per
eccellenza, per lui il fenomeno religioso ha origine infatti nella società, che è innata
nell’uomo, poiché formata da soli individui, ma allo stesso tempo esterna all’uomo
perché eccede ciascun individuo. La religione secondo Durkheim è un sistema
solidale di credenze e pratiche, relative a delle entità sacre, credenze pratiche che
uniscono in una stessa comunità morale, chiamata chiesa, tutti gli aderenti. In
Weber invece non possiamo trovare una definizione di religione, in quanto la sua
ricerca è mirata alla comprensione del nesso causale fra economia e religione.
Lo sviluppo capitalistico va ricondotto a ragioni storico-religiose, in cui il carattere
prevalentemente protestante all’interno delle imprese capitalistiche, ha come base
l’educazione religiosa, che il protestantesimo ha imposto nel corso del tempo. Tra
calvinisti e protestanti vi sono numerose differenze culturali come nella dottrina e
nel rapporto con le istituzioni civili, ma fra di essi vi sono anche delle importanti
affinità, che ci servono per comprende la loro superiorità in termini economici. Con
Lutero e Calvino, la salvezza è decisa solo in base alla volontà di Dio, considerato
come un’autorità inalienabile davanti al quale chiunque si deve sottomettere,
mentre per i cattolici ci si può salvare solo attraverso il libero arbitrio delle buone
azioni. I paesi in cui si svilupparono maggiormente i riformisti, furono di
conseguenza i paesi più sviluppati economicamente, in quanto la loro educazione
religiosa li portava a vedere l’affermazione nella vita terrena come lo scopo primario
della loro vita. Da questa morale riformista, Weber prende la tesi di Schell e
Hertling, in cui trova un nesso tra i riformisti e il capitalismo, essi dunque

affermano che il ceto borghese tedesco era per la maggioranza protestante in


quanto il papa condannando la modernità, non portava i cattolici a guardare al
progresso economico. Weber partendo da questa tesi anziché argomentare in
maniera teologica, utilizza statistiche matematiche, che gli permettono di
comprendere che il nesso tra protestantesimo e imprenditorialità e cattolicesimo e
scarsa imprenditorialità si fondasse su un carattere spirituale, da lui calcolato,
indotto dall’educazione. I protestanti sia come classe dominata che come classe
dominante, hanno dimostrato in ogni caso questa loro tendenza al razionalismo
economico, che nei cattolici non può essere osservata, questo avviene perché il
cattolico tende ad avere un minore impulso nei confronti dell’economia industriale,
ciò che gli basta è l’avere una somma di denaro che gli permetta di soddisfare i suoi
bisogni primari. Il protestante, invece assume durante il corso della sua educazione
un forte spirito commerciale, che lo porta in uno stato di supremazia economica,
Weber infatti invita a guardare al pietismo, che interpreta rifacendosi agli studi di
Sombart, il quale afferma che vi è una connaturata coincidenza tra lo sviluppo del
pietismo e lo sviluppo del senso per gli affari. In questi paesi che, grazie
all’educazione religiosa, risultano economicamente più sviluppati, sorge però un
problema: nel raggiungimento di tale progresso economico, com’è possibile che i
riformisti che dovrebbero godere del benessere che deriva dai loro successi,
rimangano soffocati da una tirannia puritana? Weber per rispondere a questa
domanda si rifà al lavoro indefesso, i riformisti hanno il continuo bisogno di
guadagnare perché associano il successo economico nella terra alla grazia di Dio, in
quanto il loro scopo sta nel qui ed ora, nella vita intramondana, a differenza dei
cattolici che agiscono al fine di avere uno scopo in una vita dopo la morte.

LO SPIRITO DEL CAPITALISMO


Weber lega l’economia alla religione, proponendo una prospettiva diversa a quella
marxista, la religione dunque non sarà più intesa come sovrastruttura
dell’economia ma come motore di essa. Il pensiero di Weber viene spesso associato
a quello di Durkheim, ma in realtà hanno pensieri piuttosto differenti riguardo il
metodo di indagine religioso, che viene spesso semplificato. Lo scopo di Weber, a
differenza di Durkheim non è capire l’essenza religiosa, Durkheim al fine della sua
tesi nella comprensione della religione, capisce che essa è un fatto sociale per
eccellenza, per lui il fenomeno religioso ha origine infatti nella società, che è innata
nell’uomo, poiché formata da soli individui, ma allo stesso tempo esterna all’uomo
perché eccede ciascun individuo. La religione secondo Durkheim è un sistema
solidale di credenze e pratiche, relative a delle entità sacre, credenze pratiche che
uniscono in una stessa comunità morale, chiamata chiesa, tutti gli aderenti. In
Weber invece non possiamo trovare una definizione di religione, in quanto la sua
ricerca è mirata alla comprensione del nesso causale fra economia e religione.
Se si vuole parlare dell’espressione “spirito del capitalismo”, dandogli un senso
qualsiasi, si può solo associare all’individualità storica, ovvero un complesso di
relazioni nella realtà storica, che noi in base all’importanza che gli attribuiamo,
riuniamo nella totalità di un concetto, alla fine della nostra analisi. Dunque, lo
spirito del capitalismo non esiste all’interno di una realtà storica, ma è il modo in
cui noi diamo senso ad una serie di avvenimenti storici, creando una materia
concettuale che nella sua forma non esiste in natura. Weber segue la visione di
Sombart, che è in contrapposizione con l’impostazione materialistica, in cui la storia

è governata dal principio economico del profitto, Sombart invece, vede la storia
come un processo razionale che segue alcune fasi, la fase precapitalistica e la fase
capitalista, in cui alcuni elementi che troviamo durante la prima fase, ci saranno
anche nella seconda e viceversa. Nella fase precapitalistica si segue il principio del
soddisfacimento dei bisogni, ma in esso vi è presente anche una forma di
commercio che rimanda al sistema capitalista, con il capitalismo infatti, troviamo
anche il principio del soddisfacimento dei bisogni ma è più dominante la logica del
profitto. Infatti molte imprese capitalistiche possono assumere un carattere
tradizionalista, poiché la forma capitalistica e il suo spirito, non sempre coincidono
e non seguono una legge fissa.
Il motivo per cui il capitalismo è nato, è proprio questa inversione di un rapporto
naturale, in cui il guadagno è considerato lo scopo della vita dell’uomo e non più
come un mezzo per soddisfare i propri bisogni, questa inversione del rapporto
contiene all’interno una serie di sentimenti, che sono in stretta connessione con le
confessioni religiose. Il concetto caratteristico dell’etica sociale della civiltà
capitalistica è fondato sul fatto che l’uomo senta un obbligo morale di fronte
all’oggetto della sua attività professionale, che appare come una valorizzazione della
propria capacità di lavoro o del proprio capitale. Nasce così il moderno spirito
capitalistico, in cui l’uomo guadagna in modo esorbitante, senza il freno di alcuna
norma interiore, infatti il capitalismo non accetta coloro che vengono rappresentati
dal libero arbitrio, che di conseguenza vengono economicamente eliminati.
La vocazione professionale (Beruf) è un tipo di coscienza che non si può avere in
natura, non riguarda infatti, l’uomo tradizionalista che vuole guadagnare solo ciò
che gli è necessario, ma non è neanche il prodotto immediato di alti o bassi salari,
che l’imprenditore decide di dare agli operai al fine di farli produrre maggiormente
a minor costo. La vocazione professionale è il risultato di un lungo processo
educativo, in cui l’uomo per essere gradito da Dio deve adempiere ai doveri intra-
mondani, doveri che derivano dalla posizione che l’uomo occupa nella vita, ovvero
la professione che occupa, che diventerà la sua vocazione. L’educazione religiosa
pietistica ad esempio, porta il pietista a “provocare” Dio al fine di ottenere una
risposta che lo porti a comprendere la sua salvezza o la sua dannazione, questo
atteggiamento si configura in una possibilità più ampia di avere un successo
economico, in quanto il pietista si sente obbligato nell’adempiere il proprio lavoro,
aumentando così la propria capacità lavorativa. Tramite il lavoro professionale
indefesso, il calvinista metteva Dio nelle condizioni di dirgli la sua categoria di
appartenenza, a differenza del cattolico che rende razionale ciò che prima faceva
l’incantesimo, ovvero il prete tramite il miracolo della conversione di pane e vino in
corpo e sangue di Cristo, veniva visto come un mago a cui il pentito poteva
rivolgersi al fine di avere la certezza del perdono. Di conseguenza colui che aveva la
certezza che i propri peccati fossero assolti non sentiva il bisogno di affermarsi nella
vita mondana, mentre colui che rimaneva nel mistero del futuro, ricercava tramite il
lavoro indefesso di raggiungere la grazia di Dio. Tramite le tesi di Baxter, Weber
dimostra il nesso spirituale tra calvinismo e imprenditorialità, affermando che, dove
lo stato di grazia veniva raggiunto tramite la configurazione ascetica vi era uno
sviluppo di vita capitalistica, da questo ne deriva la lotta contro la concupiscenza e
l’attaccamento ai beni esteriori, ovvero una lotta contro l’uso irrazionale della
proprietà. In cui dato che vi era un ostacolo al consumo del profitto, poiché non si
poteva godere da esso, lo si investiva al fine di rendere maggiore gloria a Dio sulla

terra, mettendo così in pratica dei meccanismi che da un lato producono una
rappresentazione della grazia e dall’altro producono un soddisfacimento
economico.
L’uomo precapitalistico dalla sua ricchezza non ricava nulla, tranne che l’irrazionale
sentimento del compimento del suo dovere professionale, ed è per questo che di
fronte agli occhi dell’uomo capitalista moderno appare incomprensibile ed
enigmatico. Lo spirito dell’uomo capitalista si può quindi definire un fenomeno di
adattamento, in cui non arriva più ad essere necessaria l’approvazione religiosa,
poiché il capitalismo una volta raggiunto il suo obiettivo non avrà più bisogno di
antichi sostegni.
«Il tipo ideale rappresenta un quadro concettuale il quale non è la realtà storica, e
neppure la realtà "vera e propria", ma tuttavia serve né più né meno come schema
in cui la realtà deve essere sussunta come esempio; esso ha il significato di un puro
concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di
illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico»

Catechismo
Il catechismo è nato nel contesto luterano, nel 1529 esso inizia ad essere destinato ai
pastori luterani, ovvero coloro che gestiscono la parrocchia. Successivamente venne
ampliato anche ai pastori cattolici, il cattolicesimo si appropriò così del catechismo,
pubblicando il primo catechismo della chiesa cattolica nel 1566, che era una
proposta di catechismo contraria a quella del luteranesimo. Il primo catechismo
viene quindi pubblicato tre anni dopo la fine del concilio di Trento, concilio che
cercava di affrontare tutte le questioni che aveva posto Lutero, cercando di
contrastare tutte le sue questioni, proponendo delle alternative alle sue proposte.
Infatti, il catechismo cattolico del 1566 è simmetrico, uguale e contrario alla
proposta di Lutero di un catechismo per i pastori Luterani. Con un salto di 350
anni, il catechismo venne poi destinato ai bambini e più avanti anche ai vescovi
cattolici, idea che nasce all’interno del sinodo cattolico dei vescovi, in cui all’interno
di esso passerà la proposta di Ratzinger di sterilizzare gli effetti del concilio vaticano
secondo. Il concilio vaticano secondo era un concilio in cui la chiesa cattolica cercò
di fare pace con il mondo moderno, riconducendo il governo della chiesa dal solo
papa e i vescovi che lo coadiuvano, cercando di mediare anche con le altre chiese
cristiane e religioni. Ratzinger pensava che il concilio vaticano secondo avesse avuto
delle derive causate da una valorizzazione eccessiva dei dettati conciliari, il suo
catechismo nasce infatti dal progetto di sterilizzazione del concilio vaticano
secondo, l’idea che abbiamo oggi di catechismo proviene proprio dal peso di
Ratzinger all’interno della chiesa cattolica. Lutero inizialmente non fu il primo a
cercare dei metodi per alfabetizzare le masse in ambito religioso, infatti egli si
affianca alle proposte di Erasmo da Rotterdam e Melantone, tuttavia nessuno oltre
Lutero, cercò di concretizzare l’idea di educare gli strati più umili e poveri della
società attraverso il catechismo. Questo avvenne sicuramente grazie alla svolta che
ci fu nel 1517, in cui vennero separate due realtà all’interno della cristianità, quella
cattolica e quella protestante, in cui questo bisogno di alfabetizzare le masse si
concretizzerà grazie alla produzione di un programma scolastico per diffondere il

protestantesimo. All’interno della riforma, si sviluppò anche il catechismo


calvinista, in cui Calvino propone dei testi leggeri e comprensibili ai bambini in
forma dialogata, in cui si concentra sui i temi trattati anche da Lutero, ovvero: i
dieci comandamenti, il padre nostro, il battesimo e l’eucarestia. Qualche anno dopo
si sviluppò anche il catechismo di Heidelberg, in cui si cerca di proporre un
catechismo unitario per tutto il mondo della riforma, non solo quindi per luterani e
calvinisti.

Animismo Naturismo + Frazer


Naturismo: il fenomeno religioso non è innato dall’uomo, ma ha origine nel contatto
dell’uomo con gli eventi naturali; Animismo: il fenomeno religioso è innato nell’uomo e ha
origine nel concetto di anima. Per Durkheim il fenomeno religioso ha origine nella
società, la quale è innata nell’uomo perchè è costituita di soli individui, ma allo
stesso tempo è esterna all’uomo perchè eccede ciascun individuo. Come animisti e
naturisti, lui è essenzialmente sostantivista. Naturismo e animismo richiamano
all’empirismo e all’innatismo, il naturalismo in rapporto alla discussione della tradizione
loso ca occidentale moderna sull’origine della conoscenza, corrisponde all’empirismo
(la conoscenza comincia con l’esperienza sensibile), l’animismo invece a quella innatista.
Nella radice dei nostri giudizi esistono le categorie dell’intelletto che corrisponde alle
proprietà universali delle cose, cui non ci possiamo sottrarre, esse sono l’ossatura
dell’intelligenza, secondo durkheim. Le categorie dell’intelletto sono nate nella religione,
nel momento in cui la consideriamo come fatto sociale, è fuori e dentro l’uomo, una realtà
che ha caratteristiche proprie, un individuo da solo non può produrre le impressioni che
esercita su di lui la società, si capisce come la ragione riesce a trascendere le
conoscenze empiriche. Parte dalle categorie dell’intelletto e giunge a parlare delle
conoscenze empiriche, lui cerca una risposta collocandosi a questa tradizione (sono i
suoi riferimenti: naturismo e innatismo) tutti intenzionati a capire che cos’è la religione.
Durkheim muove una critica al naturismo, sul contenuto, se si da per valido che le
religioni nascono per fornire l’interpretazione del mondo e poi destinate ad essere
superate dalla conoscenza scienti ca, cosi dobbiamo immaginare che le religioni si
fondino su illusioni, Durkeim quindi dice che è impossibile che le grandi tradizioni
religiose si fondino su una grande allucinazione collettiva, critica il concetto di
stupore, la natura non stupisce, essa è una regolarità e non è possibile che sia una
sorpresa che suscita la religione, quello che vede dai dati dei viaggiatori è che non è a
grandezza del fenomeno ma è il tipo di cosa che diventa sacra (non grandi movimenti, ma
un tipo di fenomeno che per qualche motivo ha valore sacrale ex:una foglia). Come può
essere fondata sulla natura la religione, se essa cerca di prevederla. Tylor espone una tesi
evoluzionistica relativa al fenomeno religioso che nasce dalla prospettiva animista, tesi
fondata sul concetto di anima fondata sull’idea che l’anima sia il doppio dell’uomo,
qualcosa di cui faccio esperienza quando sogno o quando sono in stato di trans.
Critica di Durkheim all’animismo: l’evoluzione dall’animismo al politeismo, devono
spiegare come la per poter dimostrare l'evoluzione dall'animismo al politeismo, devono:

1. Provare che credenza di anima non è stata mutuata da altre religioni Ci riescono
supponendo che chiunque, anche il «selvaggio nel sogno si faccia l'idea di una sua
copia, di un suo 'doppio', che si distacca dal odioɔ

2. Spiegare in che modo dall'idea di anima come doppio, si sia generata l'idea di spirito
(entità immateriale oggetto di adorazione) Ci riescono postulando che ciò sia
fi
fi

fi

avvenuto con il culto dei morti: anima: sonno = spirito: morte, cioè lo spirito sarebbe
la credenza nell'anima-doppio del defunto

3. Spiegare come dall'idea di spirito umano sia derivato il culto degli spiriti di enti
naturali, non umani Ci riescono postulando nel primitivo un'innata incapacità di
distinguere animato/inanimato (Tylor es. bambino-giochi; Spencer: i primitivi
proiettano sulla natura caratteristiche umane)

Terzo obiettivo polemico di Durkheim è Frazer: ora di critica e di ammirazione, Frezer


era una persona che ripotava molti dati che devono essere rispettati, soprattuto su i suoi
studi sul totemismo. É critico per la nozione di magia, presuppone che il mago sia il
precursore dello scienziato che porta a compimento la gura del sacerdote, pone
mago e scienziato sulla stessa linea, supponendo che il mago parte da premesse
sbagliate e lo scienziato da quelle giuste, lo critica per questo. Frazer si fa passare
sotto gli occhi fenomeni religiosi e de nisce magici fenomeni religiosi e non riesce a
riconoscerli, ma nei suoi confronti lui ha anche un debito particolare, poiché oltre alla tesi
sulla magia frazer aveva scritto il totemismo (opera) scritta due anni prima dell’opera di
Durkheim, l’insieme dei suoi dati non possono essere liquidati, gli si può porre alcune
critiche ma lo si deve riconoscere per l’insieme di dati che conosceva, punto di partenza
di Durkheim, Frazer aveva detto che il totemismo era istituto giuridico e religioni, la
credenza del totem che conferivano un valore sacrale erano noti da decenni, inizialmente
si pensava che era la credenza ad identi carsi di uhm simbolo, m esigenza di carattere
sociale e giuridico, ma con la seconda metà dell’800 riconoscersi in un totem aveva
anche un valore religioso, frazer aveva formato questa intuizione che però risale a Lennan
(capire che il totemismo ha valore religioso). Conferiscono un valore religioso a duna
pianta, pietra ecc. SISTEMA RELIGIOSO: P. 15: «Nostro obiettivo, in questo libro, è
studiare la religione più primitiva e semplice conosciuta, fama l'analisi, tentarne la
spiegazione. Un sistema relligloso, per esser tale deve rispondere a questi due requisiti:
essere inserito nel contesto sociale più semplice di ogni altro sul piano organizzativo;
poter essere spiegato senza il ricorso ad alcun elemento di altra religione antecedente»

Ma che cos'è la religione? p. 59: «Arriviamo dunque alla seguente de nizione:


una religione è un sistema solidale di credenze e di pratiche relative a delle
entità sacre, cioè separate, interdette; credenze pratiche che uniscono in una
medesima comunità morale, chiamata chiesa, tutti gli aderenti
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