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TOSHIAKI TAKESHITA

IL GIAPPONE E
LA SUA CIVILTÀ:
PROFILO STORICO

Testo in italiano
Terminologia in giapponese

Seconda edizione
© 2005 CLUEB
Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna

Prima edizione 1996


Seconda edizione 2005

Volume pubblicato con il contributo di


The Japan Foundation Japanese Language Institute, Urawa
e dell’Università degli Studi di Bologna

Takeshita, Toshiaki
Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico / Toshiaki Takeshita – Bologna : CLUEB, 2005
463 p. ; 24 cm.
(Studi e testi orientali / collana diretta da Giorgio Renato Franci ; 8)
ISBN 978-88-491-2487-3

CLUEB
Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna
40126 Bologna - Via Marsala 31
Tel. 051 220736 - Fax 051 237758
www.clueb.com
In copertina: grafica di A. Foresti e R. Pancaldi
INDICE

Nota alla seconda edizione: 9


Nota alla prima edizione: 11
Avvertenze: 13
Sistema di traslitterazione in caratteri latini adottato nel testo: 17

Capitolo I Dalle origini all’unità nazionale: 19


§1. Scoperta della cultura paleolitica, 19
§2. Periodo jōmon (Età neolitica), 20
§3. Periodo Yayoi (Età dei metalli), 22

Capitolo II Età antica 1: periodo Yamato e periodo Nara: 29


§4. Istituzione socio-politica anteriore alla metà del VII secolo, 29
§5. Centralizzazione del potere, 31
§6. Sistema ritsuryō, 35
§7. Periodo Nara (710-794) e inizio del crollo del regime fondiario, 38
§8. Arrivo e introduzione della civiltà cinese, 41
§9. Religione autoctona: shintō, 44
§10. Storiografia e geografia, 46
§11. Letteratura, 50
§12. Buddhismo, 56
§13. Arti figurative, 63
§14. Vita quotidiana e varie, 69

Capitolo III Età antica 2: periodo Heian: 75


§15. Periodo Heian (794-1185/1192), 75
§16. Dittatura dei Fujiwara e insei, 77
§17. Sviluppo delle proprietà terriere, 82
§18. Nascita ed ascesa della classe dei guerrieri; gli Heishi e i Genji, 84
§19. Fine dell’invio di missioni culturali in Cina, 88
§20. Cultura nazionale (kokufū bunka) e classe aristocratica, 89
§21. Nascita dei kana, 90
§22. Letteratura, 93
§23. Buddhismo e shintoismo, 112
§24. Arti figurative, 119
§25. Vita quotidiana e varie, 125
Capitolo IV Medioevo: periodo Kamakura e periodo Muromachi: 131
§26. Ruolo storico dei bushi e periodizzazione del medioevo, 131
§27. Periodo Kamakura (1185/1192-1333), 132
§28. Restaurazione Kenmu (1334) e anni turbolenti della scissione dinastica
(1336-1392), 140
§29. Periodo Muromachi (1338-1568/1573), 142
§30. Attività economica e fenomeno di urbanizzazione, 145
§31. Scambi commerciali con il continente, 148
§32. Fenomeni caratterizzanti la cultura del medioevo, 149
§33. Buddhismo, 151
§34. Letteratura, 161
§35. Teatro, 174
§36. Arti figurative; manifestazioni artistiche sotto l’influenza dello zen, 177
§37. Diffusione della cultura nelle province, 183
§38. Vita quotidiana e varie, 184

Capitolo V Kinsei: periodo Azuchi-Momoyama e periodo Edo: 193


§39. Panorama degli sviluppi storici del kinsei, 193
§40. Fase di ristabilimento dell’ordine, 194
§41. Nascita del sistema bakuhan, 202
§42. In cammino verso l’isolamento nazionale (sakoku), 215
§43. Fase di stabilità del sistema bakuhan, 219
§44. Fase di difficoltà del bakuhan, 225
§45. Fase di crollo del regime dei Tokugawa, 229
§46. Osservazioni generali sulla cultura del kinsei, 233
§47. Cultura Momoyama, 234
§48. Ambiente culturale del periodo Edo, 239
§49. Cultura Genroku e cultura Kasei, 242
§50. Letteratura della cultura Genroku, 244
§51. Letteratura della cultura Kasei, 251
§52. Teatro popolare (ningyō jōruri e kabuki ), 258
§53. Studi ed istruzione, 263
§54. Arti figurative, 283
§55. Vita quotidiana e varie, 288

Capitolo VI Età moderna 1: era Meiji: 305


§56. Periodizzazione della storia del Giappone nelle età moderna e contem-
poranea, 305
§57. Il Giappone di fronte alla pressione dell’Occidente, 306
§58. Restaurazione Meiji, 307
§59. Slogan: ‘Arricchire il paese e rafforzare la potenza militare’ (fukoku kyō-
hei ), 312
§60. In cammino verso il governo costituzionale, 314
§61. Rapporti internazionali e diplomazia, 317
§62. Sviluppo del capitalismo, problemi sociali e movimento socialista, 322
§63. Bunmei kaika, 326
§64. Politica religiosa del governo Meiji, 328
§65. Ordinamento scolastico e politica d’istruzione, 332
§66. Studi e ricerche scientifiche, 338
§67. Letteratura moderna (narrativa - 1), 339
§68. Letteratura moderna (poesia - 1), 350
§69. Movimento di unificazione delle lingue parlata e scritta, 360
§70. Attività in alcuni campi artistici, 362

Capitlo VII Età moderna 2: era Taishō e primo ventennio dell’era Shōwa:
367
§71. Rapporti con l’estero nel periodo dalla prima guerra mondiale alla vigilia
della grande depressione del 1929, 367
§72. Alti e bassi dell’economia giapponese nel periodo dalla prima guerra
mondiale alla vigilia della grande depressione del 1929, 370
§73. Avanzata della ‘democrazia Taishō’ e suo naufragio, 371
§74. Espansione giapponese in Cina, 375
§75. La seconda guerra mondiale e il Giappone, 380
§76. Letteratura moderna (narrativa - 2), 383
§77. Letteratura moderna (poesia - 2), 389
§78. Attività in alcuni campi artistici, 393
§79. Assenza della libertà di ricerca scientifica, di pensiero e di parola, 394
§80. Dall’insegnamento pacifico all’insegnamento al servizio dell’Impero,
della lingua giapponese, 396
§81. Affermazione della cultura di massa, 397

Carte dei toponimi: 403


Indice dei termini: 415
Nota alla seconda edizione

Le novità di questa edizione de Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico sono riassumibili
in quattro punti:

1. Molte pagine sono dedicate alle informazioni folcloristiche, difficilmente ricavabili


dai libri di storia, per avere una visione la più globale possibile sul passato del Giappone.
2. I termini specialistici giapponesi sono utilizzati anche per l’apprendimento dei
singoli kanji (caratteri cinesi). A questo fine sono ripetuti anche in kanji ad ogni loro
comparsa.
3. È citato un numero considerevole di opere letterarie e di arti figurative.
4. Infine sono inserite sotto forma di note molte didascalie preparate originariamente
per la prima edizione, ma non pubblicate.

̆̆̆̆̆

Agli inizi del 2004 ho avuto il piacere di ricevere dal Magnifico Rettore una lettera che
dice:

«...l’indagine sulle Opinioni degli studenti sulla didattica per l’anno accade-
mico 2002-2003, condotta dall’Osservatorio Statistico della nostra Università ha
messo in evidenza la maggiore soddisfazione complessiva degli studenti per
l’insegnamento “Lingua e letteratura giapponese II” da Te impartito...».

Sono certo che se il mio insegnamento ha ottenuto il consenso degli studenti, ciò deri-
va da un ‘accorgimento’* su cui si basa una forma particolare di immersion in grado di
unire gli studi giapponesi e lo studio della lingua, quando quest’ultimo è ancora in fase
iniziale. Con questa edizione ampliata e con una didattica più globale il detto ‘accorgi-
mento’ riuscirà a raggiungere meglio il suo scopo.

Casalecchio di Reno, maggio 2005


T. Takeshita

*
Vedi: ‘Introduction to Japanese studies through elementary level of linguistic competence
— a group of teaching materials for that purpose’. The Preceedings of the 8th Japanese Language
symposium, September 12-14 2003, Bern, Association of Japanese Language Teachers in
Europe.

9
Nota alla prima edizione

Nei trattati in giapponese di storia, letteratura, religioni ecc. relative al Giappone si fa uso di
molti termini che il redattore di un vocabolario giapponese-italiano difficilmente inserirebbe
fra gli esponenti, in quanto non esistono corrispondenti parole in italiano, lingua che veicola
una realtà storico-culturale diversa da quella giapponese.
A mo’ d’esempio prendiamo il termine shŇen, e diciamo subito che nessuna parola italiana
ha un esatto riscontro con esso. Qualora non ci sia motivo di essere molto rigorosi, si trovano
dei vocaboli parzialmente equivalenti come questi: latifondo e corte (quest’ultimo nel senso
presente nell’espressione di « economia curtense »). Difatti, l’idea di « grande proprietà
fondiaria privata » è accomunata dai tre termini in esame (ossia shŇen, latifondo e corte). A
stretto rigore, però, bisogna dire che ciascuno dei tre racchiude un contesto storico diverso, e
quindi non equivale perfettamente agli altri due. Lo shŇen nella storia giapponese non può
essere chiamato diversamente da shŇen. Per afferrare pienamente il suo significato, bisogna
studiare 800 anni di storia del Giappone dall’VIII al XVI secolo.

Per l’autore questo volume costituisce uno dei materiali didattici sperimentali, finalizzati a
unificare l’insegnamento della lingua e le lezioni propedeutiche di studi giapponesi; in
particolare esso si propone di presentare in lingua originale e nel contesto storico-culturale
alcune centinaia di termini specialistici del tipo shŇen, nonché nomi di persona e toponimi di
rilievo, onde iniziare i novizi di nipponistica al giapponese scritto mediante la lettura di
Lineamenti di storia della cultura giapponese ଐஜ૨҄ӪƷƋǒLJƠ(1994, Clueb), altro manuale
sperimentale il cui testo sintetizza in giapponese accessibile quanto è esposto in italiano in
questo nostro volume. Ulteriori informazioni su questi testi gemelli si trovano nel seguente
mio articolo:

How Should the Japanese Language Be Taught in European Universities?:


Invitation to an ‘Irregular Immersion Program’. Japanese-Language Education around
the Globe, Vol. 5, April 1995. The Japan Foundation Japanese Language Institute.

Alcuni chiarissimi Colleghi hanno avuto la gentilezza di intervenire in mio aiuto. Il Prof. A.
Tamburello mi ha avanzato innumerevoli proposte di miglioramento scaturite dalla sua alta
competenza in materia. Il Prof. L. Dalsecco, invece, ha prodigato tutto se stesso per
correggere e limare il mio italiano. Ho un debito inoltre verso i Proff. A. Albanese e A. Passi,
i quali in un modo o nell’altro mi hanno dato una mano per la realizzazione di questo volume.
Ringrazio, infine, il Prof. G.R. Franci per aver voluto creare un posto per questo manuale
nella collana Studi e testi orientali, sebbene il suo formato, per motivi tecnici, superi alquanto
le misure standard degli altri volumi della serie.

Prima di premere il tasto « STAMPA » ho voluto apportare le ultime modifiche; temo di


aver inficiato un testo già così ben sistemato con gli aiuti offerti dai citati Colleghi, e perciò
eventuali pecche nel linguaggio sono esclusivamente imputabili al sottoscritto.

Casalecchio di Reno, giugno 1996


T. Takeshita

11
Avvertenze

(1) Per la traslitterazione in caratteri latini e la divisione dei termini giapponesi, sono stati
seguiti, in linea di massima, i criteri riportati a pag. XXXIX della Kodansha Encyclopedia
of Japan, vol. 9, (Index), 1983, e più specificamente:

࡮Il sistema di traslitterazione seguito è quello dato a pag. 17.


Va notato che per la resa del kana « ࠎ », diversamente dalla citata enciclopedia,
è usata la « n » in tutti i contesti fonici in ottemperanza alla tradizione accademica
italiana. Per esempio, TenpyŇ bunka, kanbun, Jinmu TennŇ.
࡮In giapponese le vocali lunghe hanno la funzione distintiva, di distinguere cioè una
parola da un’altra. Il segno diacritico () posto sopra le vocali (Ć, ĩ, ş, ē, Ň) segnala
che la durata di tali vocali raddoppia. P.es. ojisan (zio) vs. ojĩsan (nonno; anziano),
kuki (stelo) vs. kşki (aria), koko (questo luogo) vs. kŇkŇ (scuola media superiore).
࡮Quanto alla divisione di certi termini giapponesi, essa costituisce un problema di
difficile soluzione. Si tratta della questione di « Qual è la forma traslitterata da pre-
ferire, per esempio, tra yamatoe, yamato-e e yamato e ? » Sembra proprio impossibile
stabilire un criterio netto.

(2) Le date di nascita e morte, di accesso al trono e ritiro di imperatori, di inizio e fine
della carica di shŇgun, ministri ecc. riportate da pubblicazioni in materia, spesso non
coincidono. In questo volume, per quanto riguarda i personaggi giapponesi, tali date
sono state ricavate unicamente dal dizionario biografico Konsaisu jinmei jiten Nihon-hen (a
cura di Ueda, M. et alii), TŇkyŇ, SanseidŇ, 1981.

(3) Per i nomi personali giapponesi è rispettato l’uso giapponese, quello cioè di mettere
prima il cognome seguito dal nome.

(4) Tutti i termini giapponesi sono resi al maschile in italiano. Ad eccezione di toponimi,
nomi personali e cosiddetti nengŇ essi sono scritti in corsivo.

(5) Tutte le traduzioni in italiano sono dell’autore.

(6) Tutti i termini giapponesi sono stampati anche in kanji ṽሼ ogni volta che si
presentano.
Si tenga presente che i kanji ṽሼ adoperati nei termini specialistici di storia giap-
ponese e nei nomi propri rappresentano con frequenza letture insolite. Ciò è partico-
larmente vero per la terminologia buddhista.

Riguardo ai singoli kanji ṽሼ si segnala che:


• nel testo vengono presentati 1,092 kanji ṽሼ diversi, un numero sufficiente per
coprire il secondo livello (numero di kanji ṽሼ richiesti: 1.000 circa) del ‘Japanese

13
Language Proficiency Test’ effettuato annualmente su scala mondiale (l’Italia inclu-
sa), e
• i numeri alla destra di ciascun kanji ṽሼ riportati a piè di pagina corrispondono al
numero progressivo attribuito ai kanji ṽሼ nei seguenti due manuali per stranieri:

࡮N. Kuratani et alii, A New Dictionary of Kanji Usage, TŇkyŇ, Gakken, 1982.
࡮W. Hadamitzky & M. Spahn, Kanji & Kana, Rutland/TŇkyŇ, Charles E. Tuttle
Company, 1997.

Per esempio, ᣥ 808/1216 indica che ᣥ porta il numero 808 su A New Dictionary of
Kanji Usage e il numero 1216 su Kanji & Kana.
L’indicazione non reg. (p.es. ⇰ 1684/non reg.) significa che il kanji di cui si tratta non è
registrato (nel caso dell’esempio citato in Kanji & Kana).

(7) Quanto ai termini ed ai nomi propri cinesi, è data la precedenza, qualora esista, alla
forma latinizzata seguita, di regola, prima dall’espressione cinese (in trascrizione pinyin
ed eventualmente anche Wade-Giles), quindi da quella giapponese.

Per esempio:
forma latinizzata pinyin Wade-Giles
࡮confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ);
pinyin Wade-Giles pinyin Wade-Giles
࡮Chang’an (Ch’ang-an 㐳቟ giapp. ChŇan; oggi Xi’an, Hsi-an ⷏቟ giapp. Seian
[pronuncia effettiva per contrazione] Sēan).

A questo proposito, è da tenere presente che qualora i nomi personali e toponimi


cinesi siano trascritti in caratteri latini o pronunciati in cinese, i giapponesi non
riescono a identificarli. Bisogna ricorrere alle relative letture giapponesi (p.es. 㐳቟
ChŇan e non Chang’an, Ch’ang-an) o, per iscritto, ai caratteri cinesi non semplificati.

(8) Per la seconda edizione sono state consultate principalmente le seguenti pubblica-
zioni:

࡮Enoki, K. (a cura di), (ShinchŇ Nihon koten shşsei) RyŇjin hishŇ, TŇkyŇ, ShinchŇsha, 1979.
࡮Kitagawa, T. (a cura di), (ShinchŇ Nihon koten shşsei) Kanginshş, SŇan koutashş, TŇkyŇ,
ShinchŇsha, 1982.
࡮Sahara, M. et alii, Nihon rekishi-kan, TŇkyŇ, ShŇgakukan, 1993.
࡮Sahara, M. et alii, Nihon no shoku, Gengo, Vol. 23, No. 1, TŇkyŇ, Taishşkan shoten,
1994.
࡮Sakakura, A. et alii (a cura di), (ShinchŇ Nihon koten shşsei) Konjaku monogatarishş, HonchŇ
sezoku-bu, voll. 1-4, TŇkyŇ, ShinchŇsha, 1978-1984.
࡮Tanabe, Y. et alii, Atarashii shakai - Rekishi, TŇkyŇ, TŇkyŇ tosho k. k., 2002.

14
(9) Di regola le note brevi sono date tra parentesi. Quelle ٟ
relativamente lunghe, invece, sono sistemate a parte e
contradistinte con un segno come questo:

(10) Abbreviazioni e segni usati:

࡮abbr. ̆̆̆ abbreviazione


࡮c. ̆̆̆ in carica
࡮ca. ̆̆̆ circa
࡮cin. ̆̆̆ cinese
࡮giapp. ̆̆̆ giapponese
࡮ingl. ̆̆̆ inglese
࡮it. ̆̆̆ italiano
࡮lett. ̆̆̆ letteralmente
࡮pag. ̆̆̆ pagina
࡮p.es. ̆̆̆ per esempio
࡮portogh. ̆̆̆ portoghese
࡮r. ̆̆̆ regnato
࡮sans. ̆̆̆ sanscrito
࡮sec. ̆̆̆ secolo
࡮sp. ̆̆̆ spagnolo
࡮(ψ§...), (ψcarta...): La freccia sta per « Vedi ».
࡮(=...): Il segno di uguaglianza è usato con valore di « ossia », « in altre parole » e
simili.

15
Sistema di traslitterazione in caratteri latini adottato nel testo

a i u e o
a i u e o
ka ki ku ke ko ga gi gu ge go kya kyu kyo
ka ki ku ke ko ga (ghi) gu (ghe) go kya kyu kyo
sa shi su se so za ji zu ze zo sha shu sho
(sci) (gi) (scia) (sciu) (scio)
ta chi tsu te to da ji zu de do cha chu cho
ta (ci) (zu) te to da (gi) de do (cia) (ciu) (cio)
na ni nu ne no nya nyu nyo
na ni nu ne no nya nyu nyo
ha hi fu he ho ba bi bu be bo hya hyu hyo
ba bi bu be bo
ma mi mu me mo pa pi pu pe po mya myu myo
ma mi mu me mo pa pi pu pe po mya myu myo
ya yu yo gya gyu gyo
(ia) (iu) (io) (ghia) (ghiu) (ghio)
ra ri ru re ro ja ju jo rya ryu ryo
(gia) (giu) (gio) rya ryu ryo
wa o bya byu byo
(ua) o bya byu byo

n pya pyu pyo


pya pyu pyo

Di regola il sistema di traslitterazione qui riportato si basa sullo ‘spelling’ inglese. Gli
italofoni devono prestare attenzione alla lettura di certi suoni, in particolare quelli nei qua-
dretti grigi:
• Taluni suoni quali p.es. shi, chi, tsu, ya, wa sarebbero scritti in italiano come tra parentesi,
ossia rispettivamente sci, ci, zu [‘z’ sorda come in Firenze], ia e ua [‘i’ e ‘a’, ‘u’ e ‘a’
pronunciate in pratica contemporaneamente].
• La s è sempre sorda come in sasso, e la z, invece, sempre sonora come in zaino.
• Le consonanti di ha, hi, fu, he, ho sono scritte con i simboli dell’alfabeto IPA rispettiva-
mente [h], [ç], [ɮ], [h], [h].
[h]: suono di quando si appanna un vetro con il fiato. / [ç]: suono accompagnato da una
frizione meno forte della consonante tedesca ‘ch’ in ich, Terzo Reich. / [ɮ]: suono
prodotto quando si soffia leggermente attraverso l’apertura fra le labbra avvicinate. Si
pronuncia immaginando di spegnere una candala con una leggera soffiata. In giappo-
nese non esiste la consonante rappresentata dalla lettera ‘f ’ (fricativa labiodentale sorda
[f] come in fama, anfora).

Si veda inoltre il punto (1) delle Avvertenze.

17
CAPITOLO I

Dalle origini all’unità nazionale

§1. Scoperta della cultura paleolitica

CULTURA PRE- È relativamente di recente che la storia del Giappone viene


CERAMICA integrata da quella dell’età paleolitica (kyşsekki jidai ᣥ⍹ེᤨઍ1
lett. età degli antichi arnesi di pietra). Che anche il Giappone avesse avuto una cultura
paleolitica (kyşsekki bunka ᣥ⍹ེᢥൻ2 lett. cultura degli antichi arnesi di pietra) fu
provato, difatti, soltanto nel 1949, da strumenti di pietra scheggiati (dasei sekki ᛂ⵾⍹
ེ3 lett. arnesi in pietra di fabbricazione a forza di battere) rinvenuti, senza essere
accompagnati da ceramica, a Iwajuku (Iwajuku iseki ጤኋㆮ〔4 lett. scavi archeologici
di Iwajuku ψcarta 10). Si tratta d’una cultura che mentre conosceva la fabbricazione di
arnesi di pietra scheggiati (dasei sekki ᛂ⵾⍹ེ), ignorava ancora l’uso del vasellame
(doki ࿯ེ5 lett. recipiente di terra), per cui la cultura paleolitica giapponese viene
chiamata comunemente cultura pre-ceramica (sendoki bunka వ࿯ེᢥൻ 6 ), cultura
senza vasellame di terracotta (mudoki bunka ή࿯ེᢥൻ7) o anche cultura pre-jŇmon
(pure-jŇmon bunka ࡊ࡟✽ᢥᢥൻ8; jŇmon ✽ᢥ ψ§2).
Sin dal 1949 sono stati rinvenuti ciottoli scheggiati, che hanno consentito di datare
l’inizio della preistoria giapponese a 70-50 mila anni fa. A tutt’oggi non si conosce
ancora molto su questo stadio di sviluppo primordiale della storia giapponese. Si può

1 kyş/sek/ki/ ji/dai ᣥ 808/1216 ⍹ 276/78 ེ 483/527 ᤨ 19/42 ઍ 68/256


2 kyş/sek/ki/ bun/ka ᣥ 808/1216 ⍹ 276/78 ེ 483/527 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
3 da/sei/ sek/ki ᛂ 180/1020 ⵾ 318/428 ⍹ 276/78 ེ 483/527
4 Iwa/juku/ i/seki ጤ 744/1345 ኋ 406/179 ㆮ 780/1172 〔 931/1569
5 do/ki ࿯ 316/24 ེ 483/527
6 sen/do/ki/ bun/ka వ 201/50 ࿯ 316/24 ེ 483/527 ᢥ 136/111 ൻ 100/254㩷
7 mu/do/ki/ bun/ka ή 227/93 ࿯ 316/24 ེ 483/527 ᢥ 136/111 ൻ 100/254㩷
8 pu/re-/jŇ/mon/ bun/ka ࡊ࡟✽ 1005/1760 ᢥ 136/111 ᢥ 136/111 ൻ 100/254

19
comunque dire che trattandosi ancora dell’epoca glaciale era freddo, la gente cacciava
grandi mammiferi e si spostava in piccoli gruppi alla cerca del cibo senza sedentariz-
zarsi.

ٟ Un certo numero di pubblicazioni in materia uscite verso la fine del XX secolo


fa risalire l’età paleolitica giapponese a ben 600 mila anni fa. Tali descrizioni,
tuttavia, sono state ufficialmente dichiarate erronee, in quanto frutto di un inganno
tramato da un appassionato dilettante di archeologia. Costui era riuscito a
continuare, per un quarto di secolo e in poco meno di duecento scavi, ad interrare
inosservato ciottoli scheggiati per poi dissotterrarli, davanti ai colleghi, con le
proprie mani definite con timore reverenziale dai professionisti di archeologia
come kami no te (␹ߩᚻ9 lett. mani divine). Il caso (chiamato kyşsekki hakkutsu
netsuzŇ mondai ᣥ⍹ེ⊒ជ᝘ㅧ໧㗴10 lett. questione dei falsi ritrovamenti di
antichi arnesi di pietra) è venuto a galla nel novembre del 2000.

§2. Periodo jŇmon (Età neolitica)

CULTURA L’ultima fase dell’età della pietra, ossia la cosiddetta età neolitica (shinsek-
JņMON ki jidai ᣂ⍹ེᤨઍ11 lett. età dei nuovi arnesi di pietra), invece, è già
messa sufficientemente in luce. Si ritiene che in Giappone durasse migliaia d’anni fino al
IV secolo ca. a.C. Ciò che distingue nettamente questo periodo da quello precedente è
la presenza di terrecotte (doki ࿯ེ) e strumenti di pietra levigati (masei sekki ⏴⵾⍹
ེ12 lett. arnesi in pietra di fabbricazione per levigatura), e siccome non pochi oggetti
fittili (doki ࿯ེ) prodotti in questa fase di evoluzione recano decorazioni a corda dette
jŇmon (✽ᢥ lett. impronta di corda), l’età ritenuta come la fase neolitica giapponese, la
relativa cultura con la sua ceramica (doki ࿯ེ) vengono chiamate rispettivamente
periodo jŇmon (jŇmon jidai ✽ ᢥ ᤨ ઍ ), cultura jŇmon (jŇmon bunka ✽ ᢥ ᢥ ൻ ) e
ceramiche jŇmon (jŇmonshiki doki ✽ᢥᑼ࿯ེ13).
 ‫ޣ‬UNA ARRETRATEZZA MARCATA‫ޤ‬Bisogna tenere presente, però, che il
periodo jŇmon (jŇmon jidai ✽ᢥᤨઍ) non si identifica perfettamente con l’età neolitica
(shinsekki jidai ᣂ⍹ེᤨઍ) delle grandi civiltà fluviali. Esso presenta, infatti, una

9 kami/no/te ␹ 229/310 ߩᚻ 42/57


10 kyş/sek/ki/ hak/kutsu/ netsu/zŇ/ mon/dai ᣥ 808/1216 ⍹ 276/78 ེ 483/527 ⊒ 43/96 ជ 1276/1803
᝘ non reg./non reg.ㅧ 460/691 ໧ 75/162 㗴 123/354
11 shin/sek/ki/ ji/dai ᣂ 36/174 ⍹ 276/78 ེ 483/527 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
12 ma/sei/ sek/ki ⏴ 1376/1531 ⵾ 318/428 ⍹ 276/78 ེ 483/527
13 jŇ/mon/shiki/ do/ki ✽ 1005/1760 ᢥ 136/111 ᑼ 185/525 ࿯ 316/24 ེ 483/527

20
carenza economica marcata: a dispetto della presenza di arnesi di pietra politi (masei
sekki ⏴⵾⍹ེ) e vasellame (doki ࿯ེ), due elementi che contraddistinguono
fondamentalmente il neolitico (shinsekki jidai ᣂ⍹ེᤨઍ), il jŇmon jidai ✽ᢥᤨઍ era,
peraltro, caratterizzato dall’assenza (per non dire assoluta, ma pressoché totale) di
agricoltura e pastorizia.
Conseguentemente, la vita quotidiana era ancora basata sulla caccia, la pesca e la
raccolta di cibi vegetali che la natura produceva spontaneamente (saishş keizai ណ㓸⚻
ᷣ14 lett. economia di raccolta). Non fu condotta, perciò, una vita collettiva su vasta
scala, né vennero accumulati beni, né si delineò un’organizzazione politica o gerarchica
di amministrazione di un potere. Che i membri d’un villaggio fossero praticamente pari
nello status è testimoniato sia dal fatto che tutti i morti venivano seppelliti
indistintamente in fosse comuni, sia dalle abitazioni scavate nel terreno, dette abitazioni
a fossa (tateana[shiki] jşkyo ┱ⓣ[ᑼ]૑ዬ15 lett. abitazioni consistenti in una buca
verticale), che avevano tutte pressoché una stessa struttura e dimensione.
 ‫ޣ‬CUMULI DI CONCHIGLIE‫ޤ‬Finora sono stati rinvenuti lungo le coste circa
2.500 scarichi, chiamati kaizuka (⽴Ⴆ 16 lett. cumuli di conchiglie), utilizzati dagli
uomini preistorici, specie del periodo jŇmon (jŇmon jidai ✽ᢥᤨઍ), per depositarvi
rifiuti, in particolare gusci di conchiglie. Lì viene ritrovata una gran quantità non solo di
gusci di bivalvi, ma anche di cocci (doki ࿯ེ), strumenti di pietra (sekki ⍹ེ) ed altre
cose ancora che offrono informazioni archeologiche assai preziose.
‫ޣ‬DOGŞ ‫ޤ‬Avviene che nelle zone archeologiche jŇmon vengano ritrovate statuette
di terracotta, dette dogş (࿯஧17 lett. statue in forma umana di terra), che rappresentano
figure femminili. Si presume che tali opere fossero utilizzate a scopo religioso.
 ‫ޣ‬PROTO-GIAPPONESI‫ޤ‬Secondo il parere prevalente degli studiosi, gli uomini
jŇmon sarebbero gli antenati diretti dei giapponesi odierni e sono denominati
proto-giapponesi (gen nihonjin ේᣣᧄੱ18), ma del processo della loro formazione non
si sa ancora molto di sicuro, come pure resta ancora un mistero se la lingua giapponese
sia geneticamente isolata o faccia parte di qualche famiglia.

14 sai/shş/ kei/zai ណ 815/933 㓸 168/436 ⚻ 135/548 ᷣ 288/549


15 tate/ana/[shiki]/ jş/kyo ┱ non reg./non reg.ⓣ 1201/899[ᑼ 185/525] ૑ 248/156 ዬ 777/171
16 kai/zuka ⽴ 1590/240 Ⴆ 782/1751
17 do/gş ࿯ 316/24 ஧ 1708/1639
18 gen/ ni/hon/jin ේ 132/136 ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ੱ 9/1

21
§3. Periodo Yayoi (Età dei metalli)

CULTURA Verso il IV secolo ca. a.C. il Giappone entrò nell’età dei metalli
YAYOI (kinzokuki jidai ㊄ዻེᤨઍ 19 lett. periodo degli arnesi di metallo)
chiamata periodo Yayoi (Yayoi jidai ᒎ↢ᤨઍ20), che durò alcune centinaia di anni fino
al III secolo ca. d.C.. Ciò che ci dice che siamo in presenza di una nuova fase di cultura,
chiamata cultura Yayoi (Yayoi bunka ᒎ↢ᢥൻ), è, ancora una volta, la presenza di
stoviglie di terracotta (doki ࿯ེ): diversamente dal vasellame del periodo precedente,
le ceramiche Yayoi (yayoishiki doki ᒎ↢ᑼ࿯ེ) è di qualità più dura e sottile, quindi
migliore ed hanno decorazioni assai semplici o ne sono addirittura completamente
prive.

ٟ La denominazione Yayoi ᒎ↢ viene dal nome d’una località di TŇkyŇ (᧲੩


21 ψcarta 10), Yayoi ᒎ↢, dove nel 1884 fu rinvenuto per la prima volta un vaso

(doki ࿯ེ) di tale fattura.

 ‫ޣ‬AVVENTO DELLA CIVILTÀ CINESE‫ޤ‬Nel periodo Yayoi (Yayoi jidai ᒎ↢


ᤨઍ) ebbe inizio la penetrazione in Giappone, tramite la penisola coreana, di una
avanzata civiltà cinese. A questo riguardo sono da segnalare i seguenti due avvenimenti
di sicura importanza:

Ԙ Vennero apprese la risicoltura (inasaku Ⓑ૞22) e le tecniche agricole. La


coltivazione del riso (kome ☨23) ebbe inizio prima nella parte settentrionale del
Kyşshş (਻Ꮊ24 ψcarta 1), salendo poi man mano verso nord.
ԙ Furono introdotti utensili e armi di bronzo (seidŇki 㕍㌃ེ25) e di ferro (tekki
㋕ེ26) quasi contemporaneamente. Per questo la storia del Giappone entrò
direttamente nell’età del ferro (tekki jidai ㋕ེᤨઍ) senza una netta distinzione
con l’età del bronzo (seidŇki jidai 㕍㌃ེᤨઍ).

19 kin/zoku/ki/ ji/dai ㊄ 59/23 ዻ 799/1637 ེ 483/527 ᤨ 19/42 ઍ 68/256


20 Ya/yoi/ ji/dai ᒎ 1536/2065 ↢ 29/44 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
21 TŇ/kyŇ ᧲ 11/71 ੩ 16/189
22 ina/saku Ⓑ 966/1220 ૞ 99/360
23 kome ☨ 90/224
24 Kyş/shş ਻ 58/11 Ꮊ 542/195
25 sei/dŇ/ki 㕍 390/208 ㌃ 1437/1605 ེ 483/527
26 tek/ki ㋕ 327/312 ེ 483/527

22
ٟ Nel 1943 nella località ora chiamata Toro iseki (⊓ํㆮ〔27 sito archeologico
di Toro ψcarta 9) furono scoperte tracce di un villaggio del periodo Yayoi (Yayoi
jidai ᒎ↢ᤨઍ). Con gli scavi effettuati negli anni 1947-1950 è emerso che il
villaggio aveva un totale di oltre 75.000 m2 di risaie. Oggi il Toro iseki ⊓ํㆮ〔
è fra i siti archeologici di maggior interesse di tutto il Giappone.
ٟ Da quando fu introdotta la coltivazione del riso (kome ☨) ai giorni nostri
l’alimentazione dei giapponesi si è sempre basata sul riso (kome ☨) accompagnato
soprattutto da verdure e prodotti del mare. Si tratta di un regime alimentare
essenzialmente vegetariano denominato nihongata shokuseikatsu (ᣣᧄဳ㘩↢ᵴ28
lett. vita dietetica del tipo giapponese) che oggi gode di grande pregio.
ٟ Nel maggio del 2003 il National Museum of Japanese History (Kokuritsu rekishi
minzoku hakubutsukan ࿖┙ᱧผ᳃ଶඳ‛㙚29 lett. Museo nazionale di storia e
folclore giapponesi) ha fatto un annuncio sensazionale confermato successivamen-
te nel dicembre dello stesso anno. Nella parte settentrionale del Kyşshş ਻Ꮊ
l’inizio dello Yayoi jidai ᒎ↢ᤨઍ, (e quindi anche della risicoltura) risalirebbe
intorno al X secolo a.C. Qualora il mondo accademico confermasse questi dati,
l’attuale descrizione del Giappone preistorico e protostorico subirà profonde
modifiche.
ٟ I cinesi ai tempi della dinastia Shang (Shang ໡30 giapp. ShŇ, 1500 ca.-1100 ca.
a.C.), ossia della dinastia che un tempo i giapponesi chiamavano In (Გ31 cin. Yin,
Yin) dal nome della sua ultima capitale, adoperavano già strumenti in bronzo
(seidŇki 㕍㌃ེ) fusi con tecniche progredite; avevano conosciuto inoltre, molto
tempo prima (intorno al 4000 a.C.), sia l’agricoltura sia la pastorizia, e verso l’VIII
secolo a.C. entravano nell’età del ferro (tekki jidai ㋕ེᤨઍ).
Quando nacque il grande impero unificato della dinastia Han (Han ṽ32
giapp. Kan, 202 a.C.- 220 d.C. [per la precisione, dinastia Han anteriore, 202 a.C.-
8 d.C. e dinastia Han posteriore, 25-220]), ebbero non poca influenza sui popoli
limitrofi con la loro cultura d’alto livello.
La ‘via della seta’ (giapp. Kinunomichi ⛚ߩ㆏33㧘KinukaidŇ ⛚ⴝ㆏34 o anche
Shiruku rŇdo ࠪ࡞ࠢ ࡠ࡯࠼ dall’ingl. Silk Road), antichissima via carovaniera
che collegava la Cina con il Levante, ha la sua origine nell’epoca Han (Han ṽ
giapp. Kan).

27 To/ro/ i/seki ⊓ 572/960 ํ 1509/2036 ㆮ 780/1172 〔 931/1569


28 ni/hon/gata/ shoku/sei/katsu ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ဳ 423/888 㘩 269/322 ↢ 29/44 ᵴ 203/237
29 Koku/ritsu/ reki/shi/ min/zoku/ haku/butsu/kan ࿖ 8/40 ┙ 61/121 ᱧ 692/480 ผ 563/332 ᳃ 70/177
ଶ 1498/1126 ඳ 802/601 ‛ 126/79 㙚 319/327
30 ShŇ ໡ 353/412
31 In Გ non reg./non reg.
32 Kan ṽ 1394/556
33 Kinu/no/michi ⛚ 1010/1261 ߩ㆏ 129/149
34 Kinu/kai/dŇ ⛚ 1010/1261 ⴝ 790/186 ㆏ 129/149

23
 ‫ޣ‬NASCITA DI TANTI PICCOLI STATI䇽 Il trapianto della risicoltura (inasaku
Ⓑ૞) trasformò radicalmente la società primitiva giapponese. Una volta appresa la
coltivazione del riso (kome ☨), che richiede sia una gran mole di lavori intensi che
un’ingente quantità d’acqua, le comunità cominciarono a ingrandire, spinte dall’esigenza
della collaborazione di numerosa manodopera. Divenne possibile mettere da parte
prodotti sovrabbondanti. Fu questo il primo passo verso la disgregazione sociale. È
fuor di dubbio che l’uso degli efficienti utensili di metello (tekki ㋕ེ) accelerò tale
processo.
Inoltre, i lavori in collaborazione tra più villaggi per il governo delle acque o per
l’irrigazione, richiedevano una coordinazione, che andò accrescendo man mano autorità
politica fino al punto che chi la esercitava poté definirsi dominatore o signore potente
(gŇzoku ⽕ᣖ35 lett. [capo di] clan influente), di una zona a carattere territoriale. Si
assiste così alla nascita di tanti ‘piccoli stati’ (shŇkoku ዊ࿖36). Siamo intorno al I secolo
a.C..
A partire dagli ultimi secoli a.C. cominciano a parlare del Giappone le fonti cinesi.
Una tra le testimonianze più antiche oggi nota sulle situazioni protostoriche giapponesi
è un breve cenno dello Hanshu (Han shu 䇺ṽᦠ䇻37 giapp. Kanjo, lett. libro della
dinastia Han ṽ). Riferendosi al Giappone intorno al I secolo a.C., il suo autore dice:

« Ho appreso che al largo della Corea abitano i woren (wo-jên ୸ੱ38 giapp.
wajin, giapponesi). Sono organizzati in oltre 100 stati. Vengono periodicamente a
renderci omaggio con tributi ».

ٟ Lo Hanshu (Han shu 䇺ṽᦠ䇻 giapp. Kanjo) viene a volte chiamato anche
Qianhan shu (Ch’ien Han shu 䇺೨ṽᦠ䇻 39 giapp. Zenkanjo, lett. libro della
dinastia Han anteriore [202 a.C.-8 d.C]), perché malgrado il suo titolo non parla
dell’intera storia della dinastia Han, ma soltanto di quella degli Han anteriori,
Zenkan ೨ṽ, per l’appunto.

 ‫ޣ‬DUE ZONE DI CULTURA AVANZATA‫ޤ‬I reperti archeologici ci insegnano,

35 gŇ/zoku ⽕ 898/1671 ᣖ 599/221


36 shŇ/koku ዊ 63/27 ࿖ 8/40
37 Kan/jo 䇺ṽ 1394/556 ᦠ 130/131䇻
38 wa/jin ୸ non reg./non reg.ੱ 9/1
39 Zen/kan/jo 䇺೨ 38/47 ṽ 1394/556 ᦠ 130/131䇻

24
d’altro canto, che all’epoca dei ‘piccoli stati’ (shŇkoku ዊ࿖), c’erano in Giappone due
zone progredite, di cultura però alquanto diversa l’una dall’altra (ψi e j della carta 2).
Fra i reperti in bronzo dell’epoca, figurano armi a forma di spada (dŇken ㌃೶40
lett. spada di rame e dŇhoko ㌃㋿ o anche ㌃⍦41 lett. lancia di rame) ed oggetti a
forma di campana leggermente schiacciata e ritenuti di uso a scopo religioso (dŇtaku ㌃
㐇42 lett. campana [o sonaglio] di rame). I primi vengono ritrovati principalmente nella
parte settentrionale del Kyşshş (Kita Kyşshş ർ਻Ꮊ43) e i secondi nella regione
chiamata Kinki (Kinki chihŇ ㄭ⇰࿾ᣇ44 ψcarta 1). Oggi non si sa ancora a quale di
queste due zone si riferisca quella breve descrizione dello Hanshu (Han shu 䇺ṽᦠ䇻),
ossia del Kanjo.

YA M ATA I Più tardi, un altro libro di storia ufficiale cinese compilato nel III secolo
K O K U d.C., il Sanguo zhi (San-kuo chih 䇺ਃ࿖ᔒ䇻45 giapp. Sangokushi, lett.
Storia dei tre Regni), ci fornisce informazioni abbastanza dettagliate sul Giappone.
Dalle sue descrizioni che fanno riferimento al Giappone del III secolo ca., risulta
che c’era uno stato detto Yamatai (Yamatai koku ㇎㚍บ࿖46) e governato da una
regina di nome Himiko (ඬᒎ๭47 cin. Beimihu, Peimihu) che comandava ad una
trentina di stati. Ma non si sa dove si trovasse lo stato dello Yamatai koku ㇎㚍บ࿖, in
quanto se si seguisse l’itinerario così come segnato, si finirebbe addirittura nell’Oceano
Pacifico. Chi lo localizza nella parte settentrionale del Kyşshş (Kita Kyşshş ർ਻Ꮊ),
chi nella zona dello Yamato (ᄢ๺48 oggi prefettura di Nara [Nara-ken ᄹ⦟⋵49] ψ
carta 8). In ogni caso, si può affermare che durante i primi secoli d.C. il Giappone
attraversava una fase di unificazione politica.
 ‫ޣ‬VITA SPIRITUALE DEI GIAPPONESI AI TEMPI DELLO YAMATAI
KOKU ‫ޤ‬Il Sanguo zhi (San-kuo chih 䇺ਃ࿖ᔒ䇻 giapp. Sangokushi ) fa riferimento
anche agli usi e costumi dei giapponesi del III secolo ca. d.C.:

40 dŇ/ken ㌃ 1437/1605 ೶ 1248/879


41 dŇ/hoko ㌃ 1437/1605 ㋿ non reg./non reg., ㌃ 1437/1605 ⍦ 1672/773
42 dŇ/taku ㌃ 1437/1605 㐇 non reg./non reg.
43 Kita/ Kyş/shş ർ 103/73 ਻ 58/11 Ꮊ 542/195
44 Kin/ki chi/hŇ ㄭ 127/445 ⇰ 1684/non reg. ࿾ 40/118 ᣇ 28/70
45 San/goku/shi 䇺ਃ 10/4 ࿖ 8/40 ᔒ 622/573䇻
46 Ya/ma/tai/ koku ㇎ 1643/1457 㚍 512/283 บ 216/492 ࿖ 8/40
47 Hi/mi/ko ඬ p.412/1521 ᒎ 1536/2065 ๭ 640/1254
48 Yamato ᄢ 7/26 ๺ 151/124
49 Na/ra/ ken ᄹ 822/2044 ⦟ 520/321 ⋵ 195/194

25
« [...] Quando muore qualcuno, la bara è trattenuta per oltre dieci giorni senza
essere seppellita. In questo frattempo non si mangia carne; il responsabile del
funerale piange ad alta voce, mentre gli altri cantano, ballano e bevono alcolici.
Inumata la salma, tutta la famiglia si purifica in acqua [...]. Quando vengono in Cina,
proibiscono ad uno di essi di pettinarsi, di ripulirsi dalle cimici, di lavarsi il vestito, di
mangiare carne e di avvicinarsi alle donne come se fosse in lutto. [...] Quando hanno
bisogno di prevedere il futuro, screpolano ossa sul fuoco per interpretare le
fenditure con profezie fauste o infauste, come da noi si ricorre alla divinazione con
gusci di tartaruga. [...] La regina Himiko ඬᒎ๭ è assai abile ad influenzare la sua
gente con i suoi incantesimi medianici fra l’uomo e gli spiriti. [...] ».

Si ritiene che le descrizioni rispecchino la vita religiosa dei giapponesi del III secolo,
la quale in età posteriore prese il nome di shintŇ (␹㆏50 lett. via delle divinità ψ§9).
Taluni elementi qui descritti quali pratiche purificatoria e sciamanica (ࠪࡖ࡯ࡑ࠾࠭
ࡓ), sono ancor oggi vivi nella tradizione shintoista.

ٟ L’ultimo dei brani sopra riportati si trova, più precisamente, nel Wei zhi (Wei-
chih 䇺㝵ᔒ䇻51 giapp. Gishi ) che fa parte appunto del Sanguo zhi (San-kuo chih
䇺ਃ࿖ᔒ䇻 giapp. Sangokushi ). L’insieme delle sue descrizioni sul Giappone è noto
ai giapponesi con il nome di Gishi wajinden (㝵ᔒ୸ੱવ52 lett. descrizioni sui
giapponesi del Gishi 䇺㝵ᔒ䇻).

UNITÀ NAZIONA- Dopo le descrizioni sullo Yamatai koku ㇎㚍บ࿖, tuttavia,


LE COMPIUTA tutte le fonti (straniere) tacciono della situazione giapponese
per circa 100 anni a partire dalla metà del III secolo. Quando ripresero a parlarne, una
vasta area dal Kyşshş ਻Ꮊ alla regione detta Chşbu (Chşbu chihŇ ਛㇱ࿾ᣇ53 ψ
carta 1) era già stata unificata dal potere con sede nella zona dello Yamato ᄢ๺. Oggi
questa sede governativa e il suo potere politico si chiamano rispettivamente corte dello
Yamato (Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ54 lett. [governo presso] la corte dello Yamato ᄢ๺)
e Yamato seiken (ᄢ๺᡽ᮭ55 lett. potere politico dello Yamato).

50 shin/tŇ ␹ 229/310 ㆏ 129/149


51 Gi/shi 䇺㝵 non reg./non reg.ᔒ 622/573䇻
52 Gi/shi/ wa/jin/den 㝵 non reg./non reg.ᔒ 622/573 ୸ non reg./non reg.ੱ 9/1 વ 494/434
53 Chş/bu chi/hŇ ਛ 13/28 ㇱ 37/86 ࿾ 40/118 ᣇ 28/70
54 Yamato chŇ/tei ᄢ 7/26 ๺ 151/124 ᦺ 257/469 ᑨ 1493/1111
55 Yamato sei/ken ᄢ 7/26 ๺ 151/124 ᡽ 50/483 ᮭ 260/335

26
Tutto considerato, si presume che l’unità a livello quasi nazionale fosse compiuta
prima della metà del IV secolo. Ancora oggi non si sa che cosa fosse accaduto durante il
periodo a cavallo fra il III e il IV secolo, dato che, come detto, le fonti non ne fanno
menzione.
Il periodo Yayoi (Yayoi jidai ᒎ↢ᤨઍ) viene incluso a volte nell’età preistorica
(senshi jidai వผᤨઍ56), ossia fase di sviluppo culturale di cui non esistono documenti
ed altre volte nell’età protostorica (genshi jidai ේผᤨઍ57), fase di cui rimangono
materiali scritti ma quantitativamente scarsi e poco attendibili.

Ricapitoliamo quanto abbiamo visto finora nel seguente prospetto:


a.C ȸ Ⱥ d.C
10.000 5.000 1.000 500 200 100 1 100 200 300
periodo periodo jŇmon periodo Yayoi
pre-ceramico jŇmon jidai ✽ᢥᤨઍ Yayoi jidai ᒎ↢ᤨઍ
sendoki jidai
వ࿯ེᤨઍ abitazione a fossa (tateana[shiki] jşkyo ┱ⓣ[ᑼ]૑ዬ)

caccia, pesca e raccolta del cibo (saishş keizai ណ㓸⚻ᷣ) risicoltura (inasaku Ⓑ૞)
ʀ strumenti di pietra ʀ strumenti di pietra levigati ʀ strumenti di bronzo (seidŇki
scheggiati (dasei sekki (masei sekki ⏴⵾⍹ེ) 㕍㌃ེ) e di ferro (tekki ㋕
ᛂ⵾⍹ེ) ʀ ceramiche jŇmon (jŇmonshiki ེ)
ʀ cultura senza va- doki ✽ᢥᑼ࿯ེ) ʀ dŇken ㌃೶, dŇtaku ㌃㐇
sellame (mudoki bun-
⽴Ⴆ
ʀ kaizuka ʀ ceramiche Yayoi (yayoishiki
ka ή࿯ེᢥൻ)
ʀ dogş ࿯஧ doki ᒎ↢ᑼ࿯ེ)
ʀ Yamatai koku ㇎㚍บ࿖
età paleolitica età neolitica età dei metalli
kyşsekki jidai shinsekki jidai kinzokuki jidai
ᣥ⍹ེᤨઍ ᣂ⍹ེᤨઍ ㊄ዻེᤨઍ
età preistorica età protostorica
senshi jidai genshi jidai
వผᤨઍ ේผᤨઍ

56 sen/shi/ ji/dai వ 201/50 ผ 563/332 ᤨ 19/42 ઍ 68/256


57 gen/shi/ ji/dai ේ 132/136 ผ 563/332 ᤨ 19/42 ઍ 68/256

27
CAPITOLO II

Età antica 1: periodo Yamato e periodo Nara

Parte prima: Aspetti politico, sociale ed economico


(Centralizzazione del potere e formazione della classe aristocratica)

§4. Istituzione socio-politica anteriore alla metà del VII secolo

FORMA DI GOVERNO: Il potere politico (Yamato seiken ᄢ๺᡽ᮭ) nato, come


SISTEMA S HISEI si è detto, nello Yamato poggiava sulla coalizione dei
gŇzoku (⽕ᣖ58 ψ§3) che avevano allora la propria sfera di autorità appunto nello
Yamato ᄢ๺ o nelle aree limitrofe. Essi, che avevano intanto organizzato presumi-
bilmente entro la fine del V secolo, ciascuno intorno a sé, un gruppo di famiglie, detto
uji (᳁59 unità familiare riservata al ‘ceto dominante’, resa quasi sempre come clan con
approssimazione), riunite fra loro dal vincolo di sangue, presunto o reale, prestavano
servizio presso il governo Yamato (Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ) come capi uji (uji no kami
᳁਄60).
Il governo, dal canto suo, diede agli uji ᳁ diversi titoli onorifici ereditari chiamati
nel loro insieme kabane ᆓ61, quali per esempio omi ⤿62, muraji ㅪ63, kimi ำ64 che
designavano status socio-politici. In altre parole, il governo era, per così dire, una
federazione di uji ᳁, differenziati però, sul piano dello status, dai titoli kabane ᆓ,

58 gŇ/zoku ⽕ 898/1671 ᣖ 599/221


59 uji ᳁ 177/566
60 uji/ no/ kami ᳁ 177/566 ਄ 21/32
61 kabane ᆓ 1766/1746
62 omi ⤿ 981/835
63 muraji ㅪ 87/440
64 kimi ำ 700/793

29
motivo per cui a questa istituzione socio-politica si dà il nome di sistema shisei (shisei
seido ᳁ᆓ೙ᐲ65; nei testi in inglese: uji-kabane system).
 ‫ޣ‬ORIGINE DELL’IMPERATORE‫ޤ‬Al vertice della coalizione di potere c’era un
capo uji ᳁ che si potrebbe chiamare capo della federazione, ossia capo del gruppo di
quella famiglia chiamata oggi famiglia imperiale (kŇzoku ⊞ᣖ66 ψ§58). In origine,
quindi, anche l’imperatore (tennŇ ᄤ⊞67) era semplicemente capo di uno e un solo uji
᳁.
 Per fare riferimento al capo dei capi uji ᳁, ossia al primus inter pares, si usava il
termine Ňkimi (ᄢ₺68 letto anche daiŇ, lett. gran re) che stava ad indicare il primo fra i
detentori del titolo Ň (₺ lett. re) concesso dalla Cina. L’uso del titolo sumeramikoto (ᄤ
⊞ oggi si legge esclusivamente tennŇ ed è reso, per tacito accordo, sempre come
imperatore) iniziò nel VII secolo. (cfr. origine mitologica imperiale ψ§9, §10)

ٟ Nel 1784 nei pressi del luogo dove si trova oggi la città di Fukuoka (⑔ጟ69 ψ
carta 3) nel Kyşshş settentrionale (Kita Kyşshş ർ਻Ꮊ) fu casualmente trovato
da un agricoltore un sigillo di puro oro massiccio (23mm × 23mm, 109g) che
porta incisi i seguenti cinque kanji: ṽᆔᅛ࿖₺70. Viene letto solitamente ‘Kan
no Wa no Na no kokuŇ’ (lett. re dello stato di Na del Wa [ossia Giappone] degli Han
[ossia Cina]; ᆔ = ୸). Il Na ᅛ era uno dei ‘piccoli stati’ (shŇkoku ዊ࿖) e si
trovava intorno all’anno uno d.C. appunto là dove si estende oggi la città di
Fukuoka ⑔ጟ.
Si sa che i gŇzoku ⽕ᣖ di quei tempi cercavano ottenere dalla Cina il
prestigioso titolo Ň ₺ per valersene a scopo politico. Anche Himiko ඬᒎ๭
aveva il titolo Ň ₺ concesso dalla Cina dei Wei (㝵 giapp. Gi, 220-265).
ٟ La residenza del tennŇ ᄤ⊞, ossia la corte (kyştei ችᑨ71), se la si considerava
come sede del governo, si chiamava chŇtei ᦺᑨ. Se il primo governo unitario è
detto Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ, è perché si trattava del governo con sede presso la
corte sita nello Yamato ᄢ๺.
A partire dalla riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ72, dal 645 ψ§5) fino

65 shi/sei/ sei/do ᳁ 177/566 ᆓ 1766/1746 ೙ 196/427 ᐲ 83/377


66 kŇ/zoku ⊞ 964/297 ᣖ 599/221
67 ten/nŇ ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
68 Ň/kimi ᄢ 7/26 ₺ 499/294
69 Fuku/oka ⑔ 450/1379 ጟ 370/non reg.
70 Kan/ no/ Wa/ no/ Na/ no/ koku/Ň ṽ 1394/556 ᆔ 171/466 ᅛ 1891/1933 ࿖ 8/40 ₺ 499/294
71 kyş/tei ች 419/721 ᑨ 1493/1111
72 Tai/ka/ no/ kai/shin ᄢ 7/26 ൻ 100/254 ᡷ 294/514 ᣂ 36/174
73 E/do/ ji/dai ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ᤨ 19/42 ઍ 68/256

30
a tutto il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ73 1600/1603-1867 ψ§39, §41) la
denominazione rimase, invece, semplicemente chŇtei ᦺᑨ.

 ‫ޣ‬TERRENI E POPOLAZIONE DI PROPRIETÀ PRIVATA‫ޤ‬Come mezzi di


sostentamento gli uji ᳁, ovvero i gŇzoku ⽕ᣖ, possedevano privatamente terreni e
popolazione, chiamati rispettivamente tadokoro ↰⨿74 e be no tami ㇱ᳃75.
I terreni di proprietà dell’uji ᳁ dell’Ňkimi ᄢ₺, vennero chiamati con un termine
particolare: miyake ገୖ76.
I be no tami ㇱ ᳃ erano costituiti da agricoltori, pescatori ed artigiani che
lavoravano per l’uji ᳁ da cui dipendevano.
Al di sotto dei be no tami ㇱ᳃ c’erano, sia pure in numero esiguo, i paria (nuhi ᅛ
ᇗ77) di norma adibiti ai servizi domestici dei padroni e soggetti a compravendita.

§5. Centralizzazione del potere

LOTTE PER L’EGEMONIA Al governo Yamato (Yamato chŇtei ᄢ ๺ ᦺ ᑨ )


DEI GņZOKU POTENTI c’erano alcuni gŇzoku ⽕ᣖ particolarmente influenti,
fra cui il Sogauji (⯃ᚒ᳁78, comunemente letto Sogashi) con mansioni finanziarie, il
Mononobeuji (‛ㇱ᳁79, Mononobeshi) e l’ņtomouji (ᄢ઻᳁80, ņtomoshi) entrambi
responsabili degli affari miliari. Da una serie di lotte per l’egemonia usciva vittorioso,
verso la fine del VI secolo, il Sogauji (Sogashi ⯃ᚒ᳁) con una potenza paragonabile a
quella dell’uji ᳁ dell’Ňkimi ᄢ₺.

PRINCIPE SHņTOKU È di quei tempi (592) l’ascesa al trono di una sovrana Suiko
E IL SUO IDEALE (Suiko tennŇ ផฎᄤ⊞ 81 r. 592-628), affiancata da un
personaggio di rilievo nella storia giapponese: il principe ShŇtoku (ShŇtoku taishi ⡛ᓼ

74 ta/dokoro ↰ 24/35 ⨿ 1208/1327


75 be/ no/ tami ㇱ 37/86 ᳃ 70/177
76 miyake ገ p.412/1936 ୖ 708/1307
77 nu/hi ᅛ 1891/1933 ᇗ non reg./non reg.
78 So/ga/shi ⯃ non reg./non reg.ᚒ 1392/1302 ᳁ 177/566
79 Mono/nobe/shi ‛ 126/79 ㇱ 37/86 ᳁ 177/566
80 ņ/tomo/shi ᄢ 7/26 ઻ 1115/1027 ᳁ 177/566
81 Sui/ko/ ten/nŇ ផ 635/1233 ฎ 373/172 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297

31
ᄥሶ82 574-622?), reggente (sesshŇ ៨᡽83) dal 593.
Fra i diversi meriti politici, diplomatici e culturali a lui attribuibili figurano:

Ԙ l’introduzione di un nuovo sistema meritocratico di carriera cortigiana in


dodici ranghi distinti per colori di copricapo (Kan’i jşnikai ౰૏චੑ㓏84 lett.
ranghi di copricapo in dodici livelli, 603) in sostituzione del vecchio kabane (ᆓ
ψ§4) ereditario, e
ԙ l’emanazione del noto Codice in Diciassette Articoli (KenpŇ jşshichijŇ ᙗᴺච
৾᧦85 604, chiamato anche JşshichijŇ kenpŇ ච৾᧦ᙗᴺ it. Costituzione in
Diciassette Articoli) steso sotto l’influenza del pensiero confuciano e buddhista.

Il suo ideale politico, che cominciò a vedersi realizzato, tuttavia, soltanto dopo la
sua morte, consisteva, in ultima analisi, nel creare uno Stato centralizzato sotto l’autorità
indiscussa del sovrano (imperatore) invece del regime decentralizzato che lasciava ai
gŇzoku ⽕ᣖ ampie autonomie e la possibilità di sfidare il vertice.

ٟ I dodici livelli gerarchici del Kan’i jşnikai ౰૏චੑ㓏 vennero riorganizzati


in età posteriori in un complesso sistema di trenta ranghi di corte chiamato ikai
(૏㓏86 lett. ranghi). Nel Giappone contemporaneo gli ikai ૏㓏, semplificati,
costutuiscono puramente onorificenze concesse ai defunti meritevoli.
ٟ Il KenpŇ jşshichijŇ ᙗ ᴺ ච ৾ ᧦ , malgrado il termine kenpŇ ( ᙗ ᴺ lett.
Costituzione), è da intendere nel senso di norme disciplinari* imposte ai gŇzoku ⽕
ᣖ e come tali fondamentalmente diverso dalla Costituzione di uno Stato nell’età
moderna e contemporanea.

* P.es. « Art. 1 - Date importanza all’armonia e per principio non litigate. [...]. / Art. 2 -
Venerate i Tre Tesori. I Tre Tesori sono Buddha (hotoke ੽87 ψ§12), il dharma (hŇ
ᴺ88 ψ§12) e la comunità dei monaci. [...]. / Art. 3 - Di fronte agli editti imperiali,
rendetevi ossequiosi. [...] ».

82 ShŇ/toku/ tai/shi ⡛ 1306/674 ᓼ 839/1038 ᄥ 343/629 ሶ 56/103


83 ses/shŇ ៨ 1754/1692 ᡽ 50/483
84 Kan’/i/ jş/ni/kai ౰ 1548/1615 ૏ 482/122 ච 5/12 ੑ 6/3 㓏 253/588
85 Ken/pŇ/ jş/shichi/jŇ ᙗ 943/521 ᴺ 145/123 ච 5/12 ৾ 44/9 ᧦ 391/564
86 i/kai ૏ 482/122 㓏 253/588
87 hotoke ੽ 678/583
88 hŇ ᴺ 145/123

32
RIFORMA ‫ޣ‬COLPO DI STATO‫ ޤ‬Nel 645 il principe Naka no ņe (Naka no ņe
TAIKA no Ňji ਛᄢఱ⊞ሶ89 614?-671) destinato a diventare l’imperatore Tenji
(Tenji tennŇ ᄤᥓᄤ⊞90 r. 668-671), insieme con Nakatomi no Kamatari (ਛ⤿㎨⿷91
614-669), riuscì ad eliminare, in un bagno di sangue, il Sogauji (Sogashi ⯃ᚒ᳁) che
dominava la corte (Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ), aprendo, così, la via per una serie di
rinnovamenti istituzionali che nell’insieme prende il nome di riforma Taika (Taika no
kaishin ᄢൻᡷᣂ92 lett. riforma di grande trasformazione) di capitale importanza.

ٟ L’opinione generalmente accettata individua nella storia del Giappone tre


grandi riforme di radicale mutamento istituzionale: c riforma Taika (Taika no
kaishin ᄢൻᡷᣂ dal 645), d restaurazione Meiji (Meiji ishin ᣿ᴦ⛽ᣂ93 lett.
riforma Meiji o rinnovamento Meiji, dal 1868) e e riforma nel secondo
dopoguerra a cui ci si riferisce di solito con l’espressione di sengo no kaikaku (ᚢᓟ
ߩᡷ㕟94 dal 1945).
ٟ < Istituzione del nengŇ > In occasione della riforma Taika (Taika no kaishin
ᄢൻᡷᣂ) venne deciso, sull’esempio cinese, di dare un nome di riferimento
(giapp. nengŇ ᐕภ95 cin. nianhao, nien-hao, lett. denominazione dell’anno) ad
ogni raggruppamento d’un certo numero di anni. Il primo della serie fu Taika ᄢ
ൻ e la riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ) ebbe inizio il primo anno
Taika ᄢൻ, l’anno che coincide con il 645 dell’era cristiana.
A cominciare dalla riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ), numerosi
avvenimenti storici e fenomeni culturali vengono designati prefissando loro il nengŇ
ᐕภ del momento. Così, ad esempio, TenpyŇ ᄤᐔ96, JŇkyş ᛚਭ97 e Meiji ᣿
ᴦ98 in TenpyŇ bunka (ᄤᐔᢥൻ ψ§13), JŇkyş no ran (ᛚਭߩੂ99 ψ§27) e
Meiji ishin (᣿ᴦ⛽ᣂ100 ψ§58) sono tutti nengŇ ᐕภ.
Fino al 1867 un nengŇ ᐕภ durò mediamente solo cinque anni, in quanto

89 Naka/ no/ ņ/e/ no/ Ň/ji ਛ 13/28 ᄢ 7/26 ఱ 1049/406 ⊞ 964/297 ሶ 56/103
90 Ten/ji/ ten/nŇ ᄤ 364/141 ᥓ 1416/2099 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
91 Naka/tomi/ no/ Kama/tari ਛ 13/28 ⤿ 981/835 ㎨ 1277/2257 ⿷ 305/58
92 Tai/ka/ no/ kai/shin ᄢ 7/26 ൻ 100/254 ᡷ 294/514 ᣂ 36/174
93 Mei/ji/ i/shin ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174
94 sen/go/ no/ kai/kaku ᚢ 88/301 ᓟ 45/48 ߩᡷ 294/514 㕟 686/1075
95 nen/gŇ ᐕ 3/45 ภ 368/266
96 Ten/pyŇ ᄤ 364/141 ᐔ 143/202
97 JŇ/kyş ᛚ 861/942 ਭ 591/1210
98 Mei/ji ᣿ 84/18 ᴦ 181/493
99 JŇ/kyş/ no/ ran ᛚ 861/942 ਭ 591/1210 ߩੂ 734/689
100 Mei/ji/ i/shin ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174

33
vennero cambiati frequentemente in occasione, per esempio, dell’insediamento
d’un nuovo tennŇ ᄤ⊞, di avvenimenti fausti o infausti d’un certo rilievo e per
altri motivi ancora. A partire dal 1868, tuttavia, si è usato un solo nengŇ ᐕภ
durante tutto il regno d’un tennŇ ᄤ⊞. Ad esempio, il 2005 è il XVII anno Heisei
(Heisei Jşshichinen ᐔᚑච৾ᐕ101), e lo Heisei ᐔᚑ durerà fino al decesso o
all’eventuale abdicazione dell’attuale CXXV tennŇ (ovvero kinjŇ tennŇ ੹਄ᄤ⊞102
lett. attuale tennŇ che sta in alto. Soltanto dopo il suo decesso o l’eventuale
abdicazione si chiamerà Heisei tennŇ ᐔᚑᄤ⊞).
ٟ Il Nakatomiuji (Nakatomishi ਛ⤿᳁ ) si occupava degli affair del culto
shintoista dello Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ. Nakatomi no Kamatari ਛ⤿㎨⿷, in
riconoscimento dei suoi meriti per la riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ),
ebbe un nuovo uji ᳁ appunto dall’imperatore Tenji (Tenji tennŇ ᄤᥓᄤ⊞) e si
chiamò Fujiwara no Kamatari ⮮ ේ ㎨ ⿷ 103 , capostipite di quei Fujiwarauji
(Fujiwarashi ⮮ ේ ᳁ ) che nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ ቟ ᤨ ઍ 104
794-1185/1192) dominarono a loro volta la vita politica giapponese (ψ§16).

 ‫ޣ‬NASCITA DEL SISTEMA RITSURYņ ‫ޤ‬Nel 646 era emanato l’Editto di


riforma (Kaishin no mikotonori ᡷᣂߩ⹎105) che contemplava direttive a ispirazione
centralizzante, riassumibili in 3 punti:

Ԙ Avocazione allo Stato di tutti i terreni e della popolazione che prima erano alle
dirette dipendenze di ogni singolo gŇzoku ⽕ᣖ, principio chiamato kŇchi kŇmin
(౏࿾౏᳃106 lett. suolo pubblico e popolazione pubblica).
ԙ Creazione di un apparato burocratico centralizzato e di reti stradali.
Ԛ Introduzione di nuovi regimi, fondiario e tributario, a sostegno della nuova
struttura politica.

 < TaihŇ ritsuryŇ > Nel 701 fu portata a termine la redazione del codice detto
TaihŇ ritsuryŇ (ᄢቲᓞ઎ 107 in vigore dal 702; TaihŇ ᄢቲ: nengŇ ᐕภ), legge
fondamentale dello Stato, modellata sulla legislazione cinese della dinastia Tang (T’ang

101 Hei/sei/ yo/nen ᐔ 143/202 ᚑ 115/261 ྾ 18/6 ᐕ 3/45


102 kin/jŇ ten/nŇ ੹ 146/51 ਄ 21/32¶ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
103 Fuji/wara/ no/ Kama/tari ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ㎨ 1277/2257 ⿷ 305/58
104 Hei/an/ ji/dai ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
105 Kai/shin/ no/ mikotonori ᡷ 294/514 ᣂ 36/174 ߩ⹎ p.412/1885
106 kŇ/chi/ kŇ/min ౏ 122/126 ࿾ 40/118 ౏ 122/126 ᳃ 70/177
107 Tai/hŇ/ ritsu/ryŇ ᄢ 7/26 ቲ 661/296 ᓞ 1048/667 ઎ 668/831

34
໊108 giapp. TŇ, 618-907 ψ§8). All’inizio dell’VIII secolo il Giappone divenne così
uno stato governato a norma di legge. Il ritsu (ᓞ109 cin. lü, lü) e il ryŇ (઎110 cin. ling,
ling) corrispondono rispettivamente al codice penale e, grosso modo, all’insieme dei
codici amministrativo e civile. Al centralismo retto dal codice ritsuryŇ ᓞ઎ si fa
riferimento con l’espressione di ritsuryŇ seido (ᓞ઎೙ᐲ111 lett. sistema ritsuryŇ).

§6. Sistema ritsuryŇ

APPARATO BU- ‫ޣ‬ORGANI CENTRALI‫ޤ‬Il governo centrale era presieduto da


ROCRATICO due organi: jingikan ␹␧ቭ112 per gli affari del culto shintoista e
daijŇkan ᄥ᡽ቭ113, massimo organo per gli affari politici. Quest’ultimo era costituito,
in ordine gerarchico, da daijŇ daijin (ᄥ᡽ᄢ⤿114 gran ministro; organo non permanen-
te), sadaijin (Ꮐᄢ⤿115 ministro della sinistra), udaijin (ฝᄢ⤿116 ministro della destra),
dainagon (ᄢ⚊⸒117 lett. gran consigliere, vice-ministro) e pochi altri. Alle dipendenze
del daijŇkan ᄥ᡽ቭ agivano otto segretariati (shŇ ⋭118 lett. ministeri, dicasteri).
 ‫ޣ‬ORGANI LOCALI‫ޤ‬Il territorio nazionale venne diviso in 60-70 kuni (࿖119 it.
province ψcarta 12), amministrati dai kokushi (࿖ม120 it. governatori) nominati dal
governo centrale ed inviati dalla capitale. I kuni ࿖, a loro volta, vennero suddivisi in
gun (o anche koori ㇭121 it. distretti), e i posti dei loro amministratori detti gunji ㇭ม122
furono riservati ai gŇzoku ⽕ᣖ locali.

108 TŇ ໊ 1668/1697
109 ritsu ᓞ 1048/667
110 ryŇ ઎ 668/831
111 ritsu/ryŇ/ sei/do ᓞ 1048/667 ઎ 668/831 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
112 jin/gi/kan ␹ 229/310 ␧ non reg./non reg. ቭ 225/326
113 dai/jŇ/kan ᄥ 343/629 ᡽ 50/483 ቭ 225/326
114 dai/jŇ/ dai/jin ᄥ 343/629 ᡽ 50/483 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
115 sa/dai/jin Ꮐ 477/75 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
116 u/dai/jin ฝ 503/76 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
117 dai/na/gon ᄢ 7/26 ⚊ 994/758 ⸒ 279/66
118 shŇ ⋭ 245/145
119 kuni ࿖ 8/40
120 koku/shi ࿖ 8/40 ม 712/842
121 gun ㇭ 797/193
122 gun/ji ㇭ 797/193 ม 712/842

35
Alle località chiave furono preposti organi speciali, fra cui il Dazaifu (ᄢቿᐭ123 lett.
governatorato del capo dei funzionari pubblici ψ carta 3) nel Kyşshş settentrionale
(Kita Kyşshş ർ਻Ꮊ) tra l’altro per esigenze diplomatiche e di difesa nazionale.

APPARATO BUROCRATICO RAPPRESENTATO


SCHEMATICAMENTE DEL SISTEMA RITSUTYƿ

ORGANI CENTRALI ORGANI LOCALI

䎧䏄䏌䏍䒏䏎䏄䏑䎃 ᄥ᡽ቭ䎃 䏍䏌䏑䏊䏌䏎䏄䏑 kuni ࿖ località chiave

䎃 ␹␧ቭ

udaijin daijǀ daijin sadaijin kokushi * Dazaifu


ฝᄢ⤿ ᄥ᡽ᄢ⤿ Ꮐᄢ⤿ ࿖ม ᄢቿᐭ
(omissis)
Dainagon Gunji
ᄢ⚊⸒ ㇭ม
* L’insieme degli uffici da
ubenkan shǀnagon sabenkan
loro diretti e la località dove
ฝᑯቭ ዋ⚊⸒ Ꮐᑯቭ
tali uffici avevano sede si chia-
mano rispettivamente kokuga
quattro segretariati quattro segretariati
࿖ⴟ e kokufu ࿖ᐭ.

REGIMI FONDIA- L’obiettivo di fondo del sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ઎೙
RIO E TRIBUTARIO ᐲ) stava nel concretizzare il principio di ‘suolo e popolo di
dominio pubblico’ (kŇchi kŇmin ౏࿾౏᳃ ψ§5).
Difatti, tutti i terreni e tutte le popolazioni, tranne certe categorie di paria, furono
dichiarati soggetti allo Stato; intanto, sull’esempio del sistema fondiario-tributario della
Cina dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ) era varato un meccanismo d’amministrazione del
suolo e delle entrate finanziarie: furono assegnate vita natural durante determinate
porzioni di terreno chiamato kubunden (ญಽ↰124 lett. risaie ripartite per numeri di

123 Da/zai/fu ᄢ 7/26 ቿ 1826/1488 ᐭ 156/504


124 ku/bun/den ญ 213/54 ಽ 35/38 ↰ 24/35

36
bocche) a quanti avessero oltre 6 anni d’età (Handen shşju no hŇ ⃰↰෼᝼ᴺ125 lett.
regolamento di distribuzione ed incameramento dei terreni) con l’obbligo di pagare
un’imposta (in pratica, locale) so ⒅126 in natura (riso) e un’altra chŇ ⺞127 ugualmente
in natura (prodotti regionali quali seta, cotone, fili, tessuti, riso, sale ecc.). Ce n’era poi
una terza, detta yŇ ᐾ128, consistente nelle prestazioni di manodopera per lavori di fatica,
oppure in sostituzione, col controvalore pagabile in natura (tessuti). I terreni dei defunti
venivano incamerati in occasione della prima assegnazione terriera successiva al
decesso.
 Il trasporto di chŇ ⺞ e yŇ ᐾ fino alla capitale, da effettuare con spese e vitto a
carico dei contribuenti stessi, costituiva un onere particolarmente gravoso quanto lo
erano le corvée (zŇyŇ 㔀ᓷ129) da prestare per ordine del kokushi ࿖ม, nonché gli
obblighi di leva. Molti contadini-trasportatori, chiamati unkyaku (ㆇ⣉130 lett. gambe
che trasportano), partiti dalla loro casa a fossa (tateana[shiki] jşkyo ┱ⓣ[ᑼ]૑ዬ ψ§2)
in cui abitavano ancora nelle province, non vi ritornarono più, perché letteralmente
morti di fame, specie affrontando il viaggio di ritorno. Si pensi che un viaggio di andata
e ritorno poteva richiedere 30-40 giorni di cammino con carichi sulle spalle.

FORMAZIONE I gŇzoku ⽕ᣖ ai tempi del sistema shisei (shisei seido ᳁ᆓ೙ᐲ)


DELLA NOBILTÀ vennero inquadrati nella struttura governativa della corte (chŇtei
ᦺ ᑨ ) in qualità di alti funzionari statali, costituendo fin dagli inizi una classe
privilegiata: l’aristocrazia.

ٟ In seguito alla riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ) tutta la popolazione


fu divisa in due grandi categorie: ryŇmin (⦟᳃131 lett. gente buona) e senmin (⾭᳃
132 lett. gente umile, paria). Il primo fa riscontro in pratica con il kŇmin (౏᳃133

lett. popolazione pubblica) e si riferiva all’insieme di membri imperiali, nobili (ossia


funzionali statali di alti e medi ranghi), funzionali statali di bassi ranghi, contadini e
tecnici. Il secondo che risaliva alla gente definita nuhi ᅛᇗ sotto il sistema shisei

125 Han/den/ shş/ju/ no/ hŇ ⃰ 1448/1381 ↰ 24/35 ෼ 411/757 ᝼ 558/602 ᴺ 145/123


126 so ⒅ 1481/1083
127 chŇ ⺞ 108/342
128 yŇ ᐾ 1909/1696
129 zŇ/yŇ 㔀 812/575 ᓷ non reg./non reg.
130 un/kya/ku ㆇ 179/439 ⣉ 1021/1784
131 ryŇ/min ⦟ 520/321 ᳃ 70/177
132 sen/min ⾭ non reg./non reg.᳃ 70/177
133 kŇ/min ౏ 122/126 ᳃ 70/177

37
(shisei seido ᳁ᆓ೙ᐲ) si suddivideva al suo interno in cinque categorie chiamate
goshiki no sen (੖⦡ߩ⾭134 lett. cinque specie di paria). Certe categorie di senmin
⾭᳃ erano soggette a compravendita al pari dei loro avi.

Ai nobili, in particolare ai cortigiani altolocati (ossia ex-gŇzoku ⽕ᣖ della zona


dello Yamato ᄢ๺), vennero concessi, insieme con manodopera, dei terreni a diverso
titolo, molti dei quali esentasse, e furono distribuiti periodicamente i tributi trasportati
alla capitale.
I figli e i nipoti di coloro al di sopra d’un certo livello godevano, poi, del privilegio
di poter iniziare una carriera statale già partendo da buone posizioni, in deroga al
principio, senza dover sostenere esami di Stato, privilegio detto on’i (⬺૏135 lett. ranghi
dovuti alla nascita, ranghi concessi grazie al papà e al nonno).
 ‫ޣ‬ISTITUTI RELIGIOSI COME CATEGORIA PRIVILEGIATA‫ޤ‬Rientravano
nella classe privilegiata anche i grandi templi shintoisti e buddhisti, in quanto anche a
loro furono concessi vasti terreni esenti da tassazione.

§7. Periodo Nara (710-794) e inizio del crollo del regime fondiario

DAL PERIODO YAMATO Prima dell’VIII secolo la sede della corte (chŇtei ᦺᑨ),
AL PERIODO NARA ossia del governo, si spostava frequentemente quasi
sempre nell’ambito della zona dello Yamato ᄢ๺.
Nel 710 la corte (chŇtei ᦺᑨ) venne trasferita per l’ennesima volta, ma questa volta
in una città ancora più grandiosa della precedente sede governativa, costruita
sull’esempio della capitale cinese d’allora: Chang’an (Ch’ang-an 㐳቟136 giapp. ChŇan
ψcarta 11; oggi Xi’an, Hsi-an ⷏቟137 giapp. Seian). La città prese il nome di HeijŇkyŇ
(ᐔၔ੩138 lett. capitale-cittadella della pace, oggi città di Nara ᄹ⦟139 ψcarta 7).

134 go/shiki/ no/ sen ੖ 14/7 ⦡ 326/204 ߩ⾭ non reg./non reg.


135 on’/i ⬺ 1848/non reg.૏ 482/122
136 ChŇ/an 㐳 25/95 ቟ 128/105
137 Sei/an ⷏ 167/72 ቟ 128/105
138 Hei/jŇ/kyŇ ᐔ 143/202 ၔ 638/720 ੩ 16/189
139 Na/ra ᄹ 822/2044 ⦟ 520/321

38
Il periodo che va dalla Piano di HeijŇkyŇ ᐔၔ੩
nascita del governo Yamato Le sue strade ricordano la scacchiera
(Yamato chŇtei ᄢ ๺ ᦺ ᑨ ̆̆̆̆̆̆̆̆̆
ψ§3) al 710 è chiamato pe-
żShŇsŇin (Ⱥ§13)
riodo Yamato (Yamato jidai żTŇdaiji (Ⱥ§13)
ᄢ๺ᤨઍ o anche Yamato KŇfukuji (Ⱥ§18)
chŇtei jidai ᄢ๺ᦺᑨᤨઍ) ż
e i successivi 84 anni perio- ż città odierna di Nara
do Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨ TŇshŇdaiji (Ⱥ§13)
Yakushiji (Ⱥ§13)
ઍ 710-794).
0 2km
Gli studiosi giapponesi
chiamano kodai ( ฎ ઍ 140 città di Yamato kŇriyama
lett. età antica) l’insieme dei
tre periodi di Yamato (Yamato jidai ᄢ๺ᤨઍ, metà IV sec.-710), Nara (Nara jidai ᄹ
⦟ᤨઍ 710-794) e successivo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ141 794-1185/1192 ψ
§15).
 La storia del Giappone esce dalla fase protostorica (genshi jidai ේผᤨઍ142) verso il
VI-VII secolo. Qui sotto si dà uno specchietto della periodizzazione della storia politica
e con l’occasione anche della storia della cultura, specie delle arti figurative, fino all’VIII
secolo:

E T À A N T I C A ฎ ઍ
Unità naziona- Avvento del Inizio della
l e c o mp iu ta buddhismo riforma Taika
IV sec. 538 645 710 794
ᄢ ๺ ᤨ ઍ periodo NARA
s t o r i a periodo YAMATO
periodo Asuka 㘧㠽ᤨઍ ᄹ⦟ᤨઍ
politica
Sistema shisei ᳁ᆓ೙ᐲ sistema ritsuryǀ ᓞ઎೙ᐲ
storia del- cultura KOFUN cultura ASUKA c. HAKUHƿ cultura TENPYƿ
la cultura ฎზᢥൻ 㘧㠽ᢥൻ ⊕㡅ᢥൻ ᄤᐔᢥൻ

VACILLA E CROLLA IL È fuor di dubbio che il sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ


REGIME FONDIARIO ઎೙ᐲ) avesse favorito una grande crescita della forza
nazionale, crescita testimoniata in diversi settori; in particolare le arti figurative ebbero

140 ko/dai ฎ 373/172 ઍ 68/256


141 Hei/an ji/dai ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ᤨ 19/42 ઍ 68/256

39
uno dei momenti più gloriosi appunto durante il periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ).
Tuttavia, nonostante la floridezza della sovrastruttura, la base dell’ordinamento
ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ઎೙ᐲ) cominciò a vacillare a causa degli oneri eccessivi
imposti ai contadini. Già agli inizi del periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) ci furono
casi di abbandono (tŇbŇ ㅏ੢143 lett. fuga o anche furŇ ᶋᶉ144 lett. vagabondaggio) di
kubunden ญಽ↰, proprio quando, invece, lo Stato aveva bisogno di entrate crescenti.
Inoltre si assisteva ad una crescita demografica. In breve, occorreva più terra coltivata
per arricchire le casse dello Stato.
 ‫ޣ‬SANZE ISSHIN NO Hņ ‫ޤ‬Per venire incontro all’esigenza di maggiori entrate
venne emanato l’editto Sanze isshin no hŇ (ਃ਎৻りᴺ145 lett. regolamento di tre
generazioni o una generazione, 723) che permetteva a chi dissodasse terreni di coltivarli,
naturalmente con l’obbligo di pagare le imposte, per un periodo di una o tre genera-
zioni.
Il provvedimento, tuttavia, si rivelò insufficiente. Ci voleva un incentivo decisa-
mente allettante.
 ‫ޣ‬KONDEN EINEN SHIZAI Hņ ‫ޤ‬A questo punto lo Stato, venendo meno al
proprio principio iniziale (ossia kŇchi kŇmin ౏࿾౏᳃ lett. suolo pubblico e popo-
lazione pubblica ψ§5), finiva nel 743 per autorizzare quanti dissodassero terreni a
privatizzarli ‘per sempre’ con l’editto Konden einen shizai no hŇ (ნ↰᳗ᐕ⑳⽷ᴺ146 lett.
legge sulla privatizzazione eterna dei terreni dissodati, detto anche Konden eitai shiyş rei
ნ↰᳗ઍ⑳᦭઎147 lett. ordinanza sulla eterna proprietà privata dei terreni dissodati).
Quest’ultimo provvedimento costituì uno dei momenti decisivi nel corso della storia del
Giappone.
 ‫ޣ‬INIZIO DELLA FORMAZIONE DEGLI SHņEN ‫ޤ‬I nobili residenti alla
capitale e i grandi templi buddhisti e shintoisti, categorie principali che disponevano
allora di mezzi necessari, diedero il via alla gara di acquisizione delle terre incolte,
assorbendo manodopera alimentata da non pochi contadini fuggiti dai kubunden ญಽ
↰, perché oberati dalle imposte: fu così l’inizio della formazione di ‘vasti possedimenti

142 gen/shi/ ji/dai ේ 132/136 ผ 563/332 ᤨ 19/42 ઍ 68/256


143 tŇ/bŇ ㅏ 864/1566 ੢ 887/672
144 fu/rŇ ᶋ 1047/938 ᶉ 1445/1753
145 San/ze/ is/shin/ no/ hŇ ਃ 10/4 ਎ 152/252 ৻ 4/2 り 331/59 ᴺ 145/123
146 Kon/den/ ei/nen/ shi/zai/ no/ hŇ ნ 1962/1136 ↰ 24/35 ᳗ 690/1207 ᐕ 3/45 ⑳ 221/125 ⽷ 569/553

ᴺ 145/123
147 Kon/den/ ei/tai/ shi/yş/ rei ნ 1962/1136 ↰ 24/35 ᳗ 690/1207 ઍ 68/256 ⑳ 221/125 ᦭ 268/265 ઎
668/831

40
terrieri privati’, detti shŇen (⨿࿦148 lett. [shŇ ⨿] edificio per l’amministrazione del
terreno e [en ࿦] campo coltivato), che a loro volta determinarono fondamentalmente
l’evoluzione della storia giapponese, per circa 800 lunghi anni, fino al XVI secolo.

I FUJIWARA Nel settore strettamente politico cominciava l’ascesa del Fujiwarauji


(Fujiwarashi ⮮ේ᳁149 i Fujiwara ψ§5) in virtù dei suoi intrighi e
della sua abile politica matrimoniale consistente nel fornire mogli ai tennŇ ᄤ⊞ (ψ
§16).

EMISSIONE Sempre sull’esempio cinese dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ) fu coniata
DI MONETE per la prima volta nel 708 una moneta d’argento e di rame, chiamata
wadŇ kaihŇ (๺ห㐿⃠150 letto anche wadŇ kaichin; WadŇ ๺ห: nengŇ ᐕภ. Il significato
di kaihŇ/kaichin è poco chiaro.), e nel periodo che va dal 708 al 958 vennero battuti
dodici tipi di monete (kŇchŇ jşnisen ⊞ᦺචੑ㌛151 lett. dodici monete del governo
imperiale), ma generalmente l’ambito della loro circolazione era limitato alla capitale e
alle zone circostanti. Infatti, per soddisfare le esigenze della vita quotidiana, la gente
ricorreva ancora al baratto. Era soprattutto il riso (kome ☨) a sostituirsi al ruolo delle
monete.

Parte seconda: Cultura

§8. Arrivo e introduzione della civiltà cinese

PENISOLA COREANA MEDIA- Quando verso il IV secolo il Giappone co-


TRICE DELLA CULTURA CINESE minciava ad essere unificato sotto il governo

148 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447


149 Fuji/wara/shi ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ᳁ 177/566
150 wa/dŇ/ kai/hŇ ๺ 151/124 ห 23/198 㐿 80/396 ⃠ non reg./non reg.
151 kŇ/chŇ/ jş/ni/sen ⊞ 964/297 ᦺ 257/469 ච 5/12 ੑ 6/3 ㌛ 1097/648

41
Yamato (Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ), la Cina aveva già alle spalle una lunga storia di civiltà.
Era naturale che una cultura di così alto livello come quella cinese dovesse estendersi al
Giappone, proprio per motivi geografici, tramite la penisola coreana. A partire dal V
secolo l’introduzione si andò intensificando, specie per merito degli immigrati (toraijin
ᷰ᧪ੱ152 lett. gente proveniente dall’estero, detti a volte anche kikajin Ꮻൻੱ153 lett.
i naturalizzati) cinesi e soprattutto coreani. Essi portarono con sé conoscenze e tecniche
di diversi settori, realizzando un balzo in avanti della cultura, delle tecniche e della
produzione agricola del Giappone.
Particolarmente meritevoli furono i contributi apportati da coloro venuti dallo Stato
coreano di Paekche ([pronuncia: in italiano si scriverebbe Pec’ce] ⊖ᷣ 154 giapp.
Kudara, 350 ca.- 660 ψcarta 11). Al più tardi nel VI secolo vennero introdotti, per il
tramite degli immigrati (toraijin ᷰ᧪ੱ) o da Kudara ⊖ᷣ, anche i caratteri cinesi
(kanji ṽሼ155 ψ§11), il confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ156 giapp. jukyŇ ψ§53)
e il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ157 ψ§12) tutti destinati ad esercitare grande influenza
sulla storia e cultura giapponese.
 I toraiji ᷰ᧪ੱ, cui veniva riconosciuto valore e merito della loro presenza, ebbero
adeguate sistemazioni anche nella struttura governativa.

INVIO DI MISSIONI CULTURALI IN L’anno 607 (oppure l’anno 600 secondo il


CINA: KENZUIS HI E KENTņS HI Suishu [Sui shu 䇺㓍ᦠ䇻158 giapp. Zuisho],
uno dei libri di storia ufficiale cinese) fu il primo anno dell’iniziativa presa dal principe
ShŇtoku (ShŇtoku taishi ⡛ ᓼ ᄥ ሶ ψ §5) con il preciso intento di introdurre
direttamente dalla Cina quella sua civiltà e cultura avanzata. Si trattò dell’invio di
ambascerie dette kenzuishi (㆜㓍૶159 it. ambascerie) e, dal 630, kentŇshi (㆜໊૶160 it.
ambascerie) a Chang’an (Ch’ang-an 㐳቟ giapp. ChŇan ψ§7), capitale cinese delle
dinastie Sui (Sui 㓍 giapp. Zui, 589-618) e Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ, 618-907).

152 to/rai/jin ᷰ 615/378 ᧪ 113/69 ੱ 9/1


153 ki/ka/jin Ꮻ 454/317 ൻ 100/254 ੱ 9/1
154 Kudara ⊖ 73/14 ᷣ 288/549
155 kan/ji ṽ 1394/556 ሼ 612/110
156 ju/kyŇ ఌ 1968/1417 ᢎ 97/245
157 buk/kyŇ ੽ 678/583 ᢎ 97/245
158 Zui/sho 䇺㓍 non reg./non reg.ᦠ 130/131䇻
159 ken/zui/shi ㆜ 1180/1173 㓍 non reg./non reg.૶ 226/331
160 ken/tŇ/shi ㆜ 1180/1173 ໊ 1668/1697 ૶ 226/331

42
ٟ In Cina alla dinastia Sui (Sui 㓍 giapp. Zui) di breve durata successe la
gloriosa dinastia dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ) che dominava un territorio
sconfinatamente vasto estendentesi ad ovest fin quasi al Mar Caspio (Kasupikai
ࠞࠬࡇᶏ161). Riprese il traffico est-ovest che era stato a lungo inerte dopo la
caduta della dinastia Han (Han ṽ giapp. Kan ψ§3). La capitale Chang’an
(Ch’ang-an 㐳቟ giapp. ChŇan) con oltre un milione di abitanti era a quei tempi
una fiorente città cosmopolita.

 Agli inizi le ambascerie partivano a bordo di una o due navi e successivamente


formarono una flotta di quattro navi che trasportava un totale di 500-600 persone.
Erano composte da ambasciatore e suo seguito, capitano e suo equipaggio, studenti,
bonzi, medici, divinatori, pittori, tecnici quali carpentieri, artigiani, guardie, interpreti
ecc. Con le tecniche nautiche di allora arrivare alle coste cinesi era un’impresa assai
rischiosa. Comunque, nell’arco di quasi due secoli e mezzo dal 607 (o eventualmente dal
600) al 838 (l’anno in cui partì l’ultimo kentŇshi ㆜໊૶) l’invio di dette ambascerie fu
ripetuto quasi venti volte, e ciò produsse un accrescersi dell’influenza cinese, specie
sulla vita pubblica dei giapponesi a cominciare dalle istituzioni politiche varate in
occasione della riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ).
 < Episodio 1: Paese del Sol Levante > In occasione della spedizione dell’anno
607 con l’ambasciatore nella persona di Ono no Imoko (ዊ㊁ᆂሶ162 ?-?) ci fu un
incidente diplomatico, da cui trae origine il nome nazionale Nippon o Nihon (ᣣᧄ163
lett. origine del sole; ‘Paese del Sol Levante’, Giappone). Una lettera, redatta da ShŇtoku
taishi ⡛ᓼᄥሶ, iniziava con questa frase:

« Il Figlio del cielo del paese dove sorge il sole presenta questa lettera al Figlio
del cielo del paese dove tramonta il sole. Sta bene? [...]»

Visto che i cinesi erano (e sono) consapevoli di essere culturalmente superiori a tutti
gli altri popoli (chşka shisŇ ਛ⪇ᕁᗐ164 visione sino-centrica, sinocentrismo), la frase
citata non poté che provocare l’ira dell’allora imperatore cinese. Difatti avrebbe
comunicato all’addetto agli affari esteri: « È una lettera dei barbari. Manca del dovuto

161 Ka/su/pi/kai ࠞࠬࡇᶏ 158/117


162 O/no/ no/ Imo/ko ዊ 63/27 ㊁ 85/236 ᆂ 1204/408 ሶ 56/103
163 Nip/pon / Ni/hon ᣣ 1/5 ᧄ 15/25
164 chş/ka/ shi/sŇ ਛ 13/28 ⪇ 807/1074 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147

43
rispetto. Non riferite più le loro parole ». L’episodio ci induce comunque a notare che
nel VII secolo, diversamente dai tempi in cui il titolo Ň (₺ lett. re) era stato concesso
dalla Cina, il consolidamento della base dello Stato aveva fatto nascere in Giappone
aspirazioni tese ad innalzare il prestigio nazionale. (ψ§10)
 < Episodio 2: Abe no Nakamaro > Tra gli studenti dell’invio dell’anno 717 ci fu
un giovane di nome Abe no Nakamaro (㒙୚ખ㤗ํ165 698-770).
La seguente poesia citata in parecchi classici è oggi nota praticamente a tutti i
giapponesi. Si tratta di un cosiddetto waka (๺᱌166 lett. poesia giapponese ψ§11) che
Nakamaro ખ㤗ํ compose pensando con nostalgia alla capitale Nara ᄹ⦟, quando
gli si offrì nel 753 un’occasione di rimpatriare:

ᄤߩේ167߰ࠅߐߌ⷗168ࠇ߫ᤐᣣ169ߥࠆਃ═170ߩጊ171ߦ޿ߢߒ᦬172߆߽
Amanohara / furisake mireba / Kasuga naru / Mikasa no yama ni / ideshi tsuki kamo
[Trad. Guardo su verso il firmamento, quand’ecco vedo quella luna che
avevo visto salita sul monte Mikasa a Kasuga!]

Nakamaro ખ㤗ํ, tuttavia, non poté rivedere la patria a causa di un naufragio.


Morì a Chang’an (Ch’ang-an 㐳቟ giapp. ChŇan).

§9. Religione autoctona: shintŇ

 ‫ޣ‬UN NUMERO INFINITO DI KAMI ‫ޤ‬Sulla vita spirituale dei giapponesi


durante la fase iniziale del periodo Yamato (Yamato jidai ᄢ๺ᤨઍ) le notizie che
abbiamo sono scarse e incerte. Si sa, comunque, per certo che la vita quotidiana dei

165 A/be/ no/ Naka/ma/ro 㒙 1515/2258 ୚ 809/87 ખ 892/1347 㤗 1118/1529 ํ 1509/2036


166 wa/ka ๺ 151/124 ᱌ 478/392
167 Ama/no/hara ᄤ 364/141 ߩේ 132/136
168 mi/ru ⷗ 48/63 ࠆ (giapp. moderno: id.)
169 Kasuga ᤐ 461/460 ᣣ 1/5
170 Mi/kasa ਃ 10/4 ═ non reg./non reg.
171 ya/ma ጊ 60/34
172 tsu/ki ᦬ 26/17

44
giapponesi era circondata da innumerevoli divinità, dette kami ␹173, di svariata origine
e natura. Mettendole insieme, si parla infatti di ottocento miriadi (ossia ottomilioni) di
kami (yaoyorozu no kami ౎⊖ਁߩ␹174).
 Costituiva oggetto di culto qualsiasi cosa purché incutesse timore o fosse ritenuta
dotata d’una forza straordinaria e misteriosa, benefica o malefica che fosse. Così, pote-
vano essere venerati come kami ␹ volpi, serpenti, spade, pietre lavorate e qualunque
oggetto del mondo naturale quali astri, rocce, montagne, fiumi, alberi, e via dicendo.
Accanto alla credenza primitiva essenzialmente animistica (ࠕ࠾ࡒ ࠭ࡓ lett.
animismo) e sicuramente di origine molto antica, sorse in seguito alla formazione dei
gruppi di famiglie uji (᳁ ψ§4) un altro tipo di kami ␹, ossia divinità protettrici
chiamate ujigami ᳁␹, che ogni uji ᳁ si assegnava. Tale culto (ujigami shinkŇ ᳁␹ା
ઔ 175 ) consisteva e consiste nel venerare gli antenati dell’uji ᳁ di appartenenza.
L’ujigami ᳁␹ poteva essere a volte protettore di tutti i nativi di uno stesso luogo.

ٟ Il protettore degli oriundi di un dato ‘luogo’ si chiama, a stretto rigore,


ubusunagami (↥࿯␹176 lett. divinità della terra di nascita), in un certo senso
paragonabile al santo patrono nella tradizione cristiana.

 ‫ޣ‬POPOLO GIAPPONESE E RISICOLTURA‫ޤ‬La società primitiva giapponese


non conosceva la pastorizia ed era essenzialmente agricola. Il ritmo della vita era
regolato fondamentalmente dai cicli della risicoltura (inasaku Ⓑ૞). Per pregare e
ringraziare quel dato kami ␹ dalla cui volontà benevola o malevola era ritenuto che
dipendesse un raccolto abbondante o scarso, e con un officiante nella persona del capo
uji (uji no kami ᳁਄) venivano celebrati gli incontri (matsuri ⑂177) stagionali tra uomini
e kami ␹, in particolare il toshigoi no matsuri (o alternativamente kinensai ␨ᐕ⑂178
matsuri primaverile di preghiere per un buon raccolto; ᐕ [in questa espressione non
significa anno, età, ma] raccolto annuo di riso) e il niinamesai (o anche niiname no matsuri
ᣂཏ⑂179 matsuri autunnale di ringraziamento per il raccolto). Durante le cerimonie
venivano eseguite frequentemente pratiche magiche quali misogi ⑏180 e harai ␯181, atti

173 ka/mi ␹ 229/310


174 yaoyorozu/ no/ kami ౎ 41/10 ⊖ 73/14 ਁ 96/16 ߩ␹ 229/310
175 uji/gami/ shin/kŇ ᳁ 177/566 ␹ 229/310 ା 198/157 ઔ 1658/1056
176 ubu/suna/gami ↥ 142/278 ࿯ 316/24 ␹ 229/310
177 matsuri ⑂ 899/617
178 ki/nen/sai ␨ 1573/621 ᐕ 3/45 ⑂ 899/617
179 nii/name/sai ᣂ 36/174 ཏ non reg./non reg. ⑂ 899/617
180 misogi ⑏ non reg./non reg.

45
di purificazione ritenuti necessari per mettersi in comunicazione con i kami ␹, in
quanto ai kami ␹ non piaceva (e non piace) lo stato contaminato (kegare ⓚࠇ182
scritto anche ᳪࠇ lett. impurità, sporcizia), specie in senso spirituale e morale.
 Con l’avvento nel VI secolo del buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ183), l’insieme di questi
culti e riti, con l’aggiunta di altri elementi folcloristici e locali, venne ad essere distinto
con il nome di shintŇ (␹㆏184 lett. via dei kami ␹; it. shintoismo, scintoismo).
 ‫ޣ‬RELIGIONE NATURALISTICA E RURALE CARATTERIZZATA DAL-
LA MAGIA‫ޤ‬In sintesi, per shintŇ ␹㆏, almeno nella sua forma primitiva, s’intende il
complesso di pratiche magiche, usi e costumi sorti intorno alla produzione risicola dei
giapponesi. Originariamente, quindi, non esisteva dottrina, né v’erano libri sacri
paragonabili alla Bibbia o al Corano. Anche oggi il vero contenuto dello shintŇ ␹㆏
consiste nei riti magici per il benessere e la felicità della vita terrena, nonché per
l’allontanamento dei mali di questo mondo.
 ‫ޣ‬FAMIGLIA IMPERIALE E AMATERASU ņMIKAMI ‫ޤ‬Durante il periodo
kofun (kofun jidai ฎზᤨઍ185 ψ§13) vennero man mano costruiti santuari (jinja ␹␠
186 it. santuario shintoista) da consacrare ai kami ␹, animali, oggetti materiali o ujigami

᳁␹ che fossero. Fra i più noti è l’Ise jingş (દ൓␹ች187 santuario shintoista di Ise)
sito nella città di Ise (દ൓ ψcarta 7) e dedicato alla divinità centrale della mitologia
giapponese ( ψ §10), Amaterasu Ňmikami ( ᄤ ᾖ ᄢ [ ᓮ ] ␹ 188 lett. grande divinità
illuminatrice del cielo; tradotta comunemente come dea del sole) da cui l’uji ᳁
dell’Ňkimi ᄢ₺189, ovvero la casa imperiale, pretendeva di discendere.

§10. Storiografia e geografia

181 harai ␯ non reg./non reg.


182 kega/re ⓚ non reg./non reg.ࠇ
183 buk/kyŇ ੽ 678/583 ᢎ 97/245
184 shin/tŇ ␹ 229/310 ㆏ 129/149
185 ko/fun/ ji/dai ฎ 373/172 ზ 1901/1662 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
186 jin/ja ␹ 229/310 ␠ 30/308
187 I/se/ jin/gş દ 603/2011 ൓ 365/646 ␹ 229/310 ች 419/721
188 Ama/terasu/ Ň/mi/kami ᄤ 364/141 ᾖ 1072/998 ᄢ 7/26[ᓮ 620/708]␹ 229/310
189 Ň/kimi ᄢ 7/26 ₺ 499/294

46
KOJIKI E NI- Con il progressivo consolidarsi della base dello Stato centralizzato, la
HON S HOKI corte (chŇtei ᦺᑨ190) cominciò ad interessarsi dell’attività storiogra-
fica e produsse, agli inizi dell’VIII secolo, due opere sulla storia del Giappone, la quale,
per non poche parti, è inventata o modificata a scopo politico e, per giunta, si identifica
con la storia della famiglia imperiale: Kojiki (䇺ฎ੐⸥䇻191 lett. cronaca di cose antiche,
it. Cronaca di antichi avvenimenti, 712) e Nihon shoki (䇺ᣣᧄᦠ♿䇻192 it. Annali del Giappone,
720; dapprima chiamato Nihongi 䇺ᣣᧄ♿䇻193 e a partire dal periodo Heian [Heian jidai
ᐔ቟ᤨઍ194 794-1185/1192] Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻).
Entrambe iniziano dai tempi mitologici. Il primo arriva fino agli inizi e il secondo
alla fine del VII secolo. Il Kojiki 䇺ฎ੐⸥䇻 è un’opera in prevalenza letteraria, e perciò,
sotto l’aspetto dell’attendibilità, salvo naturalmente la mitologia, il Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ
♿䇻 le è superiore. Quest’ultimo, inoltre, fu scritto apparentemente con l’intento di
elevare il prestigio nazionale nei confronti dei cinesi.(ψ§8)
 Al fine di tenere i gŇzoku ⽕ᣖ sotto controllo la corte (chŇtei ᦺᑨ) introdusse nel
campo politico il sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ઎೙ᐲ195 ψ§6); nel campo spirituale
unificò intorno agli antenati della casa imperiale miti e leggende che riguardavano gli
ujigami (᳁␹ ψ§9) d’altri uji ᳁ con il preciso intento di legittimare la supremazia
politica dell’imperatore (tennŇ ᄤ⊞). La mitologia, chiamata kiki no shinwa (⸥♿ߩ␹
⹤196 lett. mitologia del Kojiki 䇺ฎ੐⸥䇻 e Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻; kiki ⸥♿ φ
Koji/ki 䇺ฎ੐⸥䇻 㧗 Nihon sho/ki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻; detta anche Nihon shinwa ᣣᧄ␹⹤
197 lett. mitologia giapponese), quale oggi si legge nelle suddette due opere

storiografiche, venne così creata intenzionalmente (ψ§79) presso la corte (chŇtei ᦺᑨ).
Data tale forzatura, sono presenti qua e là incoerenze.
Inoltre i primi quattordici sovrani (ovvero tennŇ ᄤ⊞) di cui parlano i due libri di
storia giapponese sono comunemente ritenuti mitici, perciò mai esistiti.

SOMMARIO DEL KIKI NO SHINWA

Quando si separarono il cielo e la terra, nel paese celeste di nome Takama ga Hara (㜞ᄤ

190 chŇ/tei ᦺ 257/469 ᑨ 1493/1111


191 Ko/ji/ki 䇺ฎ 373/172 ੐ 32/80 ⸥ 147/371䇻
192 Ni/hon/ sho/ki 䇺ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ᦠ 130/131 ♿ 930/372䇻
193 Ni/hon/gi 䇺ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ♿ 930/372䇻
194 Hei/an/ ji/dai ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
195 ritsu/ryŇ/ sei/do ᓞ 1048/667 ઎ 668/831 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
196 ki/ki/ no/ shin/wa ⸥ 147/371 ♿ 930/372 ߩ␹ 229/310 ⹤ 133/238
197 Ni/hon/ shin/wa ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ␹ 229/310 ⹤ 133/238

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ේ 198 lett. piano dell’alto cielo) apparvero dopo diverse generazioni due kami ␹ , un
maschio e una femmina: l’augusto Izanagi (Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ๮199; mikoto ๮:
suffisso onorifico) e l’augusta Izanami (Izanami no mikoto દ㇎㇊⟤๮200).
I due si sposarono e crearono innanzi tutto l’arcipelago giapponese (ņyashima ᄢ౎ᵮ
201 lett. molte isole). Generarono poi molti kami ␹ fra cui la divinità del fuoco, ma nel

partorirla Izanami no mikoto દ㇎㇊⟤๮ si ustionò e morì. Rattristatosi per la sua morte,
Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ๮, la inseguì nel mondo dei morti (Yomi no kuni 㤛ᴰ࿖202 lett.
paese delle sorgenti gialle). La moglie, però, gli fece promettere di non guardarla finché non
avesse ottenuto il permesso di ritornare fra i vivi, ma Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ๮, venuto
meno alla parola data, la guardò e la trovò in stato di decomposizione. Atterrito, scappò
dall’oltretomba ed andò a lavarsi in acqua per purificarsi (misogi ⑏ ψ§9).
Quando si lavò l’occhio sinistro, nacque la dea del sole (Amaterasu Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ]
␹ ψ§9). Quando si lavò l’occhio destro, nacque la divinità della luna (Tsukuyomi no mikoto
᦬⺒๮203) ed infine quando si lavò il naso, nacque la divinità della tempesta (Susanoo no
mikoto 㗇૒ਯ↵๮204). Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ๮ ordinò allora a questi tre figli di
governare rispettivamente il Takama ga Hara 㜞 ᄤ ේ , la notte e il mare. Tuttavia,
l’ultimogenito disobbedì, dicendo di voler andare, chissà perché, al paese della madre, cioè al
mondo delle tenebre. Sentendolo dire questo, l’augusto Izanagi (Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ
๮) andò in collera e lo mandò in esilio in Izumo (Izumo no kuni ಴㔕࿖205 provincia di

198 Takama/ ga/ Hara 㜞 49/190 ᄤ 364/141 ේ 132/136


199 I/za/na/gi/ no/ mikoto દ 603/2011 ㇎ 1643/1457 ㇊ 1257/non reg.ጘ 1433/872 ๮ 388/578
200 I/za/na/mi/ no/ mikoto દ 603/2011 ㇎ 1643/1457 ㇊ 1257/non reg.⟤ 289/401 ๮ 388/578
201 ņ/ya/shima ᄢ 7/26 ౎ 41/10 ᵮ non reg./non reg.
202 Yomi/ no/ kuni 㤛 1063/780 ᴰ 902/1192 ࿖ 8/40
203 Tsuku/yomi/ no/ mikoto ᦬ 26/17 ⺒ 484/244 ๮ 388/578
204 Su/sa/no/o/ no/ mikoto 㗇 936/2263 ૒ 697/2004 ਯ 697/2004 ↵ 228/101 ๮ 388/578
205 Izumo/ no/ kuni ಴ 17/53 㔕 1124/636 ࿖ 8/40
206 Shima/ne/ ken ፉ 173/286 ᩮ 535/314 ⋵ 195/194
207 kuni ࿖ 8/40
208 ken ⋵ 195/194
209 ņ/kuni/nushi/ no/ mikoto ᄢ 7/26 ࿖ 8/40 ਥ 91/155 ๮ 388/578
210 Ni/ni/gi/ no/ mikoto ㆸ non reg./non reg.ㆸ non reg./non reg.⧓ 588/435 ๮ 388/578
211 Taka/chi/ho/no/mine 㜞 49/190 ජ 79/15 Ⓞ 1485/1221 ፄ 1369/1350
212 ten/son/ kŇ/rin ᄤ 364/141 ቊ 1356/910 㒠 787/947 ⥃ 897/836
213 San/shu/ no/ jin/gi ਃ 10/4 ⒳ 435/228 ␹ 229/310 ེ 483/527
214 Kusa/nagi/ no/ tsurugi ⨲ 705/249 ⭿ non reg./non reg.೶ 1248/879
215 Ya/ta/ no/ kagami ౎ 41/10 ຎ non reg./non reg.㏜ 1358/863
216 Ya/sa/kani/ no/ maga/tama ౎ 41/10 ዤ 1842/1895 Ⅽ non reg./non reg.ߩᦛ 604/366 ₹ 610/295
217 Jin/mu/ ten/nŇ ␹ 229/310 ᱞ 448/1031 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297

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Izumo, oggi la metà orientale della prefettura di Shimane [Shimane-ken ፉᩮ⋵206] ψcarta
5). Lì l’augusto Susanoo (Susanoo no mikoto 㗇૒ਯ↵๮) prese moglie e cominciò ad
estendere la sua autorità nel mondo terrestre.

ٟ In questo nostro testo kuni ( ࿖ 207 ingl. province, it. provincia), unità
d’amministarazione locale premoderna, è tradotto quale provincia seguendo la
tradizione accademica italiana, e ken (⋵208 ingl. prefecture, it. prefettura), unità
d’amministrazione locale nell’età moderna e contemporanea o, meglio, versione
moderna del kuni, è reso come prefettura sempre in conformità alla tradizione
accademica italiana, anche se è improprio usare il termine italiano ‘prefettura’ in
senso ‘territoriale’.

 La dea del sole, Amaterasu Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ]␹ , d’altro canto, pensando che il
Giappone doveva essere governato da un suo figlio, trattò la donazione della terra di Izumo
಴㔕 con l’augusto ņkuninushi (ņkuninushi no mikoto ᄢ࿖ਥ๮209 lett. padrone del
grande paese), discendente di Susanoo no mikoto 㗇૒ਯ↵๮.
 Riuscita a pattuirla dopo molti anni, Amaterasu Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ]␹ inviò un suo
nipote (Ninigi no mikoto ㆸㆸ⧓๮210) a governare il Giappone. [A questo punto successe un
grosso disguido.] Il nipote [invece di scendere logicamente in Izumo ಴㔕] scese [chissà
perché] nel Kyşshş ਻Ꮊ, sul monte Takachihonomine (㜞ජⓄፄ211 ψcarta 3) (discesa
denominata tenson kŇrin ᄤቊ㒠⥃212 lett. discesa del nipote celeste), portando con sé tre
insegne imperiali (Sanshu no jingi ਃ⒳␹ེ213 lett. tre utensili divini, ossia Spada [Kusanagi
no tsurugi ⨲⭿೶214], Specchio [Yata no kagami ౎ຎ㏜215] e Gioielli [Yasakani no magatama
౎ ዤ Ⅽ ߩ ᦛ ₹ 216 ]) consegnatigli dalla dea del sole con l’incarico di tramandarli di
generazione in generazione.
 Dopo tre generazioni, un uomo destinato a diventare il primo sovrano con il nome di
Jinmu (Jinmu tennŇ ␹ᱞᄤ⊞217 lett. imperatore Jinmu) organizzò una spedizione militare
verso est e salì al trono nel 660 a.C. in Yamato (ᄢ๺ ψ§3).

 È palese, in queste narrazioni, l’intento di legittimare la supremazia politica della


famiglia imperiale in base alla ‘donazione della terra’, detta kuniyuzuri (࿖⼑ࠅ218 lett.
cessione del paese).

 ‫ޣ‬FUDOKI ‫ޤ‬Nel 713, ossia nell’anno successivo alla compilazione del Kojiki 䇺ฎ
੐⸥䇻, la corte (chŇtei ᦺᑨ) ordinò a ciascuna provincia (kuni ࿖) la compilazione di
un’opera, chiamata fudoki (㘑࿯⸥ 219 lett. note geo-etnografiche), su produzione

218 kuni/yuzu/ri ࿖ 8/40 ⼑ 960/1013 ࠅ


219 fu/do/ki 㘑 246/29 ࿯ 316/24 ⸥ 147/371

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mineraria, flora, fauna, fertilità del terreno, toponomi, leggende, folclore ecc. Si tratta di
materiali utili ai fini conoscitivi delle situazioni provinciali non rilevabili dalle due opere
del Kojiki 䇺ฎ੐⸥䇻 e del Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻 incentrate sulla famiglia imperiale.
Purtroppo sono andate quasi tutte disperse e oggi ne restano soltanto cinque, di cui ci è
giunta in forma integrale una sola: Izumo fudoki (䇺಴㔕㘑࿯⸥䇻 lett. fudoki della
provincia di Izumo, 733).

§11. Letteratura

MAN’YņSHŞ Ad una data non precisata della seconda metà del periodo Nara (Nara
jidai ᄹ⦟ᤨઍ 710-794) risale una delle maggiori opere dell’intera
letteratura giapponese: Man’yŇshş (䇺ਁ⪲㓸䇻220 it. Raccolta di diecimila foglie, seconda
metà VIII sec.), cioè l’antologia più antica tramandataci di circa 4.500 liriche cantate
nell’arco di 400 anni dal IV all’VIII secolo.
Una sua peculiarità che la distingue da tutte le altre opere del genere compilate in
età posteriori è che gli autori delle liriche ivi incluse provenivano da tutti i ceti sociali.
Per non parlare di tennŇ ᄤ⊞, membri della famiglia imperiale e cortigiani, fra gli autori
figurano anche contadini, mendicanti e soldati detti sakimori (㒐ੱ221 lett. difensori)
inviati nel Kyşshş ਻Ꮊ per la difesa nazionale (ψ§6). Ciò sta a dimostrare Ԙ che la
classe dominante, diversamente da quella dell’età successiva, manteneva ancora contatti
diretti con le masse e non viveva in un mondo chiuso e riservato a sé (ψ§20), e ԙ che
anche un contadino, una contadinella o una massaia improvvisavano poesie in qualsiasi
momento della loro vita quotidiana.
Il tono prevalente è la schiettezza d’animo espressa senza artifici (detto man’yŇchŇ
ਁ⪲⺞222 lett. tono del Man’yŇshş), e anche per questo il Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 si
distingue da tutte le altre raccolte di poesie. A questo riguardo è da segnalare che molti
secoli più tardi venne elogiato più volte proprio per questa sua qualità (‘makoto’ no
bungaku 䇸 ߹ ߎ ߣ 䇹 ߩ ᢥ ቇ 223 lett. letteratura della ‘sincerità’) che rispecchia la
spontaneità dell’animo degli antichi.

220 Man’/yŇ/shş 䇺ਁ 96/16 ⪲ 405/253 㓸 168/436䇻


221 sakimori 㒐 325/513 ੱ 9/1
222 man’/yŇ/chŇ ਁ 96/16 ⪲ 405/253 ⺞ 108/342
223 ‘makoto’ no bungaku 䇸߹ߎߣ䇹ߩᢥ 136/111 ቇ 33/109

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ٟ La letteratura giapponese non ha tradizioni di poesia epica (jojishi ค੐⹞224).
Tutti i componimenti poetici sono liriche (jojŇshi ᛦᖱ⹞225). Il cosiddetto Man’yŇ
[no] jidai (ਁ⪲[ߩ]ᤨઍ lett. tempi del Man’yŇ, ovvero poco oltre un secolo che
arriva alla metà del periodo Nara) fu l’epoca d’oro delle liriche.

 ‫ ޣ‬METRICA DELLA POESIA TRADIZIONALE DETTA WAKA ‫ ޤ‬È


pressoché impossibile capire la metrica della poesia giapponese in base al concetto di
sillaba italiana, specie di fronte al testo trascritto in caratteri latini. Il primo passo per
capirla sta nell’afferrare il concetto di haku ᜉ226.
 < Haku > L’unità fonica di ‘durata’ rappresentata, nella stragrande maggioranza
dei casi, da ogni singolo kana (઒ฬ227 ψ§21) e di solito chiamata sillaba (onsetsu 㖸▵
228 unità fonetica fondamentale costituita da uno o più suoni che si pronunciano con la

stessa emissione di voce) nei trattati di letteratura giapponese, si chiama a stretto rigore
haku (ᜉ ‘tempo’ nel senso dell’espressione di ‘battere il tempo’).
Così, ciascun kana ઒ฬ quali per esempio

޽, ޿, ߁, ߫, ߬, ࠎ, ߟ, ߞ (ߟ piccolo)

costituisce uno haku ᜉ.


 Nei casi poi come ad esempio

߈߾, ߈ࠀ, ߈ࠂ, ߯߾, ߯ࠀ, ߯ࠂ

la combinazione di ۭ: uno haku ۭ ۭ ۭ ۭ ۭ ۭ


due kana ઒ ฬ di ߦߞ߸ࠎ ߦ ߞ ߸ ࠎ
cui il primo è di Nippon Ni p po n
grandezza normale ߹ࠎࠃ߁ߒࠀ߁ ߹ ࠎ ࠃ ߁ ߒࠀ ߁
e il secondo piccolo Man’yŇshş Ma n yo o shu u
rappresenta esso pure uno haku ᜉ. Ne consegue che come risulta dal prospetto
Nippon ᣣᧄ e Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 sono parole rispettivamente di 4 e 6 haku ᜉ.
Purché non ci siano motivi particolari, ciascun haku ᜉ tende ad essere pronunciato
con la stessa durata degli altri.

224 jo/ji/shi ค 1574/1067 ੐ 32/80 ⹞ 1094/570


225 jo/jŇ/shi ᛦ non reg./non reg.ᖱ 286/209 ⹞ 1094/570
226 haku ᜉ 1529/1178
227 ka/na ઒ 1322/1049 ฬ 116/82

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ٟ Dal punto di vista della lingua italiana le due espressioni Nippon ᣣᧄ e
Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 sarebbero sillabate così: Nip/pon (due sillabe), Man/yŇ/shş
(tre sillabe). Si tenga presente che la divisione in sillabe e quella in haku ᜉ fanno
riscontro nella stragrande maggioranza dei casi, ma non sempre.

 ‫ޣ‬BASE DELLA METRICA‫ޤ‬Le poesie tradizionali giapponesi, dette nel loro


complesso waka (๺᱌229 lett. poesie giapponesi; chiamate non di rado semplicemente
uta ᱌230) in opposizione alle poesie cinesi (kanshi ṽ⹞231 oppure semplicemente shi
⹞232), sono composte di due tipi di versi, uno di 5 haku ᜉ e l’altro di 7 haku ᜉ,
solitamente alternati per un certo numero di volte.
Si hanno, così, ad esempio schemi come questi:

Ԙ 5-7-5-7-[...]-5-7-5-7-7 chŇka (㐳᱌233 lett. poesia lunga)


ԙ5-7-5-7-7 tanka (⍴᱌234 lett. poesia breve)
Ԛ 5-7-7-5-7-7 sedŇka (ᣓ㗡᱌235 lett. poesia a forma iterata)

Di questi tre e pochi altri schemi numericamente ridottissimi soltanto il tipo ԙ è


sopravvissuto fino ad oggi: tutti gli altri vennero ben presto abbandonati. Difatti, nel
Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 il tanka ⍴᱌ è già numericamente dominante. Così, dal periodo
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ 794-1185/1192) fin circa a metà dell’era Meiji (Meiji jidai
᣿ᴦᤨઍ236 1868-1912 ψ§56, §68) le liriche originariamente in uno schema ben
specifico, ossia i tanka ⍴᱌, vennero chiamati solitamente col termine generale waka
๺᱌. In altre parole, per un lungo periodo di tempo sin dal periodo Heian (Heian jidai
ᐔ቟ᤨઍ) fino all’età moderna e contemporanea waka ๺᱌ e tanka ⍴᱌ erano
praticamente sinonimi, però si usava di preferenza il termine waka ๺᱌.
 Eccone un esempio dal Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻:

228 on/setsu 㖸 402/347 ▵ 731/464


229 wa/ka ๺ 151/124 ᱌ 478/392
230 uta ᱌ 478/392
231 kan/shi ṽ 1394/556 ⹞ 1094/570
232 shi ⹞ 1094/570
233 chŇ/ka 㐳 25/95 ᱌ 478/392
234 tan/ka ⍴ 789/215 ᱌ 478/392
235 se/dŇ/ka ᣓ 1648/1005 㗡 386/276 ᱌ 478/392
236 Mei/ji/ ji/dai ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᤨ 19/42 ઍ 68/256

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↰ሶߩᶆ237ࠁ߁ߜ಴238ߢߡ⷗ࠇ߫⌀⊕239ߦߙን჻240ߩ㜞Ꭸ241ߦ㔐242ߪ㒠243
ࠅߌࠆ
Tagonoura yu / uchiidete mireba / mashiro ni zo / Fuji no takane ni / yuki wa furikeru
[Trad. Attraversato Tagonoura, ecco apparire davanti a me alta in cielo e bianca di
neve la vetta del monte Fuji!]
Autore: Yamabe no Akahito (ጊㇱ⿒ੱ244 VIII sec.)

Vediamo di quanti haku ᜉ è composto ciascun verso:

ߚߏߩ߁ࠄࠁ (6 haku) / ߁ߜ޿ߢߡߺࠇ߫ (8 haku) / ߹ߒࠈߦߙ (5


haku) / ߰ߓߩߚ߆ߨߦ ( 7 haku) / ࠁ߈ߪ߰ࠅߌࠆ ( 7 haku).

Risulta che il primo e il secondo verso hanno uno haku ᜉ in eccesso. Si tratta d’un
fenomeno, piuttosto raro, chiamato jiamari (ሼ૛ࠅ245 lett. kana ઒ฬ di troppo).
 L’autore Yamabe no Akahito ጊㇱ⿒ੱ, insieme con Kakinomoto no Hitomaro (ᩑ
ᧄੱ㤗ํ246 seconda metà VII sec.), fu in pratica poeta di corte (kyştei shijin ችᑨ⹞ੱ
247). Akahito ⿒ੱ è noto per le sue poesie pittoresche.

ٟ Si segnala con l’occasione che la letteratura giapponese non ha mai avuto una
tradizione di poeti di corte (kyştei shijin ችᑨ⹞ੱ). In questo senso Hitomaro ੱ
㤗ํ e Akahito ⿒ੱ erano figure eccezionali.
ٟ I lettori sono invitati a constatare che il waka ๺᱌ citato al §8 di Abe no
Nakamaro 㒙୚ખ㤗ํ segue lo schema di 5-7-5-7-7.

Alcuni altri esempi di uta ᱌ sempre dal Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻:

237 Ta/go/no/ura ↰ 24/35 ሶ 56/103 ߩᶆ 856/1442


238 i/zu ಴ 17/53 ߠ (giapp. moderno: de/ru ಴ 17/53 ࠆ)
239 ma/shiro ⌀ 278/422 ⊕ 266/205
240 Fu/ji ን 539/713 ჻ 301/572
241 taka/ne 㜞 49/190 Ꭸ non reg./2058
242 yuki 㔐 907/949
243 fu/ru 㒠 787/947 ࠆ (giapp. moderno: id.)
244 Yama/be/ no/ Aka/hito ጊ 60/34 ㇱ 37/86 ⿒ 476/207 ੱ 9/1
245 ji/ama/ri ሼ 612/110 ૛ 735/1063 ࠅ
246 Kaki/no/moto/ no/ Hito/ma/ro ᩑ 1568/non reg.ᧄ 15/25 ੱ 9/1 㤗 1118/1529 ํ 1509/2036
247 kyş/tei/ shi/jin ች 419/721 ᑨ 1493/1111 ⹞ 1094/570 ੱ 9/1

53
ᤐ248ㆊ249߉ߡᄐ250᧪251ߚࠆࠄߒ⊕ᩪ252ߩ⴩253ᐓ254ߒߚࠅᄤ255ߩ㚅ౕጊ256
Haru sugite / natsu kitaru rashi / shirotae no / koromo hoshitari / ama no Kaguyama
[Sembra che sia passata la primavera e siamo in estate. Vedo abiti bianchi esposti al
sole sul celeste monte Kagu.]
Autrice: imperatrice regnante JitŇ (JitŇ tennŇ ᜬ⛔ᄤ⊞257 r. 690-697)

޽ߥ㉛258ߊ⾫259ߒࠄࠍߔߣ㈬260㘶261߹ߧੱ262ࠍࠃߊ⷗263ࠇ߫₎264ߦ߆߽ૃ
265ࠆ

Ana miniku / sakashira wo su to / sake nomanu / hito wo yoku miraba / saru ni ka mo niru
[Ma che brutto! Guardate bene quel tizio che atteggiandosi a saggio, non beve sake.
Quanto somiglia alle scimmie!]
Autore: ņtomo no Tabito (ᄢ઻ᣏੱ266 665-731)

Ⓑ267ߟߌ߫⊾268ࠆ޽߇ᚻ269ࠍߎࠃ߽߭߆Ლ270ߩ⧯ሶ271߇ข272ࠅߡགྷ273߆߻

248 haru ᤐ 461/460


249 su/gu ㆊ 399/413 ߋ (giapp. moderno: su/gi/ru ㆊ 399/413 ߉ࠆ)
250 natsu ᄐ 580/461
251 ku ᧪ 113/69 (giapp. moderno: ku/ru ᧪ 113/69 ࠆ)
252 shiro/tae ⊕ 266/205 ᩪ non reg./non reg.
253 koromo ⴩ 1019/677
254 ho/su ᐓ 1179/584 ߔ (giapp. moderno: id.)
255 ama ᄤ 364/141
256 Ka/gu/yama 㚅 832/1682 ౕ 513/420 ጊ 60/34
257 Ji/tŇ/ ten/nŇ ᜬ 184/451 ⛔ 239/830 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
258 mini/ku/shi ㉛ 1969/1527 ߊߒ (giapp. moderno miniku/i ㉛ 1969/1527 ޿)
259 saka/shi/ra ⾫ 1488/1288 ߒࠄ
260 sake ㈬ 781/517
261 no/mu 㘶 935/323 ߻ (giapp. moderno: id.)
262 hito ੱ 9/1
263 mi/ru ⷗ 48/63 ࠆ (giapp. moderno: id.)
264 saru ₎ 1717/1584
265 ni/ru ૃ 1219/1486 ࠆ (giapp. moderno: id.)
266 ņ/tomo/ no/ Tabito ᄢ 7/26 ઻ 1115/1027 ᣏ 566/222 ੱ 9/1
267 ine Ⓑ 966/1220
268 kaka/ru ⊾ non reg./non reg.ࠆ(giapp. moderno: id.)

54
Ine tsukeba / kakaru a ga te wo / koyoi mo ka / tono no wakugo ga / torite nagekamu
[A forza di battere il riso, ho le mani screpolate. Anche stasera il signorino del
padrone le prenderà nelle sue e mi compiangerà.]
Autrice ignota

㒐ੱ274ߦⴕ275ߊߪ⺕276߇⢛277ߣ໧278߰ੱࠍ⷗ࠆ߇⟴279ߒߐ‛ᕁ280߽߭ߖߕ
Sakimori ni / iku wa ta ga se to / tŇ hito wo / miru ga tomoshisa / monoomoi mo sezu
[Chi è la moglie di quel sakimori in partenza? Sono invidiosa di chi fa tale domanda
spensieratamente.]
Autrice ignota

La penultima poesia è uno dei cosiddetti azumauta ( ᧲ ᱌ 281 lett. poesie


orientali) composti da contadini e contadinelle delle province orientali (tŇgoku ᧲࿖
282). Nel Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 ce ne sono oltre duecento.

L’autrice dell’ultimo tanka ⍴᱌ è indubbiamente moglie di chi fu chiamato al


servizio di sakimori 㒐ੱ. La maggior parte dei sakimori 㒐ੱ era originaria dei
tŇgoku ᧲࿖.

QUESTIONE DI La prima scrittura che i giapponesi ebbero a disposizione furono


SCRITTURA i caratteri cinesi chiamati in giapponese kanji ṽሼ, ma agli inizi
della loro introduzione erano usati, come era naturale, dagli immigrati coreani e cinesi

269 te ᚻ 42/57
270 tono Ლ 1194/1130
271 waku/go ⧯ 372/544 ሶ 56/103
272 to/ru ข 190/65 ࠆ (giapp. moderno: id.)
273 nage/ku གྷ 1594/1246 ߊ (giapp. moderno: id.)
274 sakimori 㒐 325/513 ੱ 9/1
275 i/ku ⴕ 31/68 ߊ (giapp. moderno: id.)
276 ta ⺕ 1652/non reg. (giapp. moderno: dare ⺕ 1652/non reg.)
277 se ⢛ 796/1265
278 tŇ ໧ 75/162 ߰ (giapp. moderno: tŇ ໧ 75/162 ߁)
279 tomo/shi ⟴ non reg./non reg.ߒ (giapp. moderno: uraya/ma/shi/i ⟴ non reg./non reg.߹ߒ޿)
280 mono/omo/i ‛ 126/79 ᕁ 149/99 ߭ (giapp. moderno: mono/omo/i ‛ 126/79 ᕁ 149/99 ޿)
281 azuma/uta ᧲ 11/71 ᱌ 478/392
282 tŇ/goku ᧲ 11/71 ࿖ 8/40

55
(toraijin ᷰ᧪ੱ ψ§8) e dai loro discendenti operanti in seno al governo Yamato
(Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ) come scribi. Sulle prime essi eseguivano lavori di stesura e di
registrazione in lingua cinese e poi man mano cominciarono a tentare di traslitterare il
giapponese in kanji ṽሼ.
 L’adattamento dei kanji ṽሼ al giapponese fu laborioso. Comunque, ai tempi della
sovrana Suiko (Suiko tennŇ ផฎᄤ⊞ r. 592-628 ψ§5) anche i giapponesi (quelli colti,
naturalmente) scrivevano in un modo o in un altro il giapponese in caratteri cinesi.
Successivamente, nel periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) li adoperavano ormai con
una notevole scioltezza.
Il metodo di traslitterazione era assai complesso, ma l’idea di fondo consisteva
comunque nell’utilizzare i kanji ṽሼ come segni fonetici, trascurandone l’aspetto
semantico. I kanji ṽሼ usati nell’età antica come fonogrammi si chiamano man’yŇgana
ਁ⪲઒ฬ283, in quanto il Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 è ricco sia di svariati modi d’impiego di
kanji-fonogrammi che sotto l’aspetto quantitativo.
 Ecco come si presenta il testo della citata tanka ⍴᱌ di Akahito ⿒ੱ in una
copia manoscritta del Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻:

↰ాਯᶆᓬᛂ಴⠰⷗⠪⌀⊕⴩ਇ⋘⢻㜞ᎨῺ㔐ᵄ㔖ኅ⇐

Sembrerebbe un testo in cinese.


Dato il metodo astruso d’impiego dei kanji ṽሼ, il Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 risultava
di difficile decodificazione già nel successivo periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ).

§12. Buddhismo

UN CENNO SUL Il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ284 lett. insegnamento del Buddha) è


BUDDHISMO l’insieme di dottrina e pratica per la liberazione dal dolore (sans.
du 
kha, giapp. ku ⧰285) dell’esistenza umana e risale all’insegnamento di SiddhĆrtha
Gotama (giapp. GŇtama ShiddĆruta ࠧ࡯࠲ࡑ = ࠪ࠶࠳࡯࡞࠲ 566?-486? a.C.

283 man’/yŇ/ga/na ਁ 96/16 ⪲ 405/253 ઒ 1322/1049 ฬ 116/82


284 buk/kyŇ ੽ 678/583 ᢎ 97/245
285 ku ⧰ 597/545

56
oppure 463?-383? a.C.), principe indiano della stirpe ŒĆkya che popolava la regione
himalayana (zona sud dell’attuale Nepal).䎃
 In Giappone, SiddhĆrtha Gotama è meglio noto con i nomi di Butsuda o Budda (੽
㒚286 trascrizione fonetica del sanscrito Buddha, che significa il risvegliato, l’illuminato;
detto semplicemente anche hotoke ੽287), Shaka (㉼ㄸ288 abbreviazione di Shakamuni
[㉼ㄸ—ዦ trascrizione fonetica di ŒĆkyamuni, ossia il saggio della stirpe degli ŒĆkya]),
Shakuson (㉼ዅ289 espressione onorifica di Shaka ㉼ㄸ) e infine Seson (਎ዅ290 sans.
Bhagavat, lett. l’uomo nobile del mondo).

ٟ Un tempo, dando risalto al lato dottrinale, il bukkyŇ ੽ᢎ si chiamava buppŇ


੽ᴺ291 e in riferimento alla vita e pratica religiosa invece butsudŇ ੽㆏292. Il
termine bukkyŇ ੽ᢎ di creazione nell’età moderna si usa nei due sensi di buppŇ
੽ᴺ e butsudŇ ੽㆏.

 < SiddhĆrtha Gotama diviene Buddha > Da giovane Gotama condusse una vita
agiata e spensierata. Non gli mancava niente. Si sposò ed ebbe anche un figlio. Fuori del
palazzo paterno, intanto, ebbe modo di vedere un anziano sofferente, un ammalato e un
morto, e quando aveva ventinove anni, abbandonò la vita di principe e la sua famiglia e si
sottomise all’ascesi in cerca di liberazione (gedatsu ⸃⣕293 sans. vimok  a) dal dolore
esistenziale nell’eterno ciclo di nascita e morte (rinne ベᑫ sans. sa sĆra; detto anche
rinne tenshŇ ベᑫォ↢294) sancito dalla tradizione speculativa indiana. Tuttavia, dopo sei
anni di ogni sforzo trovò tale pratica inutile. Ormai trentacinquenne, si sedette nella
posizione del loto sotto un albero pĩpal (giapp. bodaiju ⪄ឭ᮸ 295 lett. albero di
illuminazione), ottenendo finalmente la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni (rinne ベ
ᑫ) e rivelò quale Buddha (butsuda ੽㒚) la legge vera ed eterna detta in sanscrito
dharma (giapp. hŇ o nori ᴺ296 lett. legge), parola chiave del bukkyŇ ੽ᢎ. 䎃

286 Butsu/da ੽ 678/583 㒚 non reg./non reg.


287 hotoke ੽ 678/583
288 Sha/ka ㉼ 1214/595 ㄸ non reg./non reg.
289 Shaku/son ㉼ 1214/595 ዅ 1220/704
290 Se/son ਎ 152/252 ዅ 1220/704
291 bup/pŇ ੽ 678/583 ᴺ 145/123
292 butsu/dŇ ੽ 678/583 ㆏ 129/149
293 ge/datsu ⸃ 192/474 ⣕ 843/1370
294 rin/ne/ ten/shŇ ベ 959/1164 ᑫ non reg./non reg. ォ 339/433 ↢ 29/44
295 bo/dai/ju ⪄ non reg./non reg.ឭ 378/628 ᮸ 1034/1144
296 hŇ ᴺ 145/123

57
Il Buddha Gotama morì all’età di ottant’anni dopo quarantacinque anni di predica-
zione.

ٟ Se il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) è un insegnamento di liberazione dal dolore


esistenziale e se SiddhĆrtha Gotama divenne un Buddha (butsuda ੽㒚) riuscendo
a liberarsi eternamente da tale dolore, si potrebbe dire che il buddhismo è
l’insegnamento per diventare buddha. Difatti, SiddhĆrtha Gotama è uno di essi. Ne
consegue che qualsiasi persona è dotata della possibilità di diventare un buddha
(busshŇ ੽ᕈ297 buddhità).

 ‫ޣ‬CHE COSA È IL DHARMA?‫ޤ‬Nell’ottica di Gotama, la vita è piena di dolore. Per


non parlare della nascita (shŇ ↢298), dell’invecchiamento (rŇ ⠧299), della malattia (byŇ ∛
300) e della morte (shi ᱫ301), l’incontrare la persona che non piace, il separarsi dalla

persona che si ama e il non ottenere ciò che si desidera costituiscono dolore (Issai kaiku.
৻ಾ⊝⧰302 lett. Tutto è dolore.). E questo, perché si è presi dall’attaccamento (shşjaku
ၫ⌕303 sans. t  Ć [lett. sete]) alle cose impermanente di questo mondo, tenacemente
radicato nell’animo. 䎃
A dispetto del fatto che per via dell’engi (✼⿠304 l’originarsi interdipendentemente;
sans. pratĩtyasamutpĆda) tutte le cose sono prive di natura propria (shohŇ muga ⻉ᴺή
ᚒ305) e soggette a mutamenti continui (shogyŇ mujŇ ⻉ⴕήᏱ306; shogyŇ ⻉ⴕ tutte le
cose dell’universo; mujŇ ήᏱ impermanenza, sans. anitya), ci si inganna e ci si
aggrappa a quel che è inevitabilmente destinato a subire mutamenti e a venire a mancare.
Ne consegue che per eliminare l’attaccamento (shşjaku ၫ⌕) quale causa del dolore,
bisogna rendersi conto che nulla può rimanere eternamente cos’ com’è (shogyŇ mujŇ ⻉
ⴕήᏱ).
Inversamente, se ci si libera dalla ignoranza (mumyŇ ή᣿307 sans. avidyĆ) della verità

297 bus/shŇ ੽ 678/583 ᕈ 199/98


298 shŇ ↢ 29/44
299 rŇ ⠧ 788/543
300 byŇ ∛ 441/380
301 shi ᱫ 254/85
302 Is/sai/ kai/ku. ৻ 4/2 ಾ 204/39 ⊝ 1324/587 ⧰ 597/545
303 shş/jaku ၫ 965/686 ⌕ 314/657
304 en/gi ✼ 1362/1131 ⿠ 443/373
305 sho/hŇ/ mu/ga ⻉ 602/861 ᴺ 145/123 ή 227/93 ᚒ 1392/1302
306 sho/gyŇ/ mu/jŇ ⻉ 602/861 ⴕ 31/68 ή 227/93 Ᏹ 356/497
307 mu/myŇ ή 227/93 ᣿ 84/18

58
(hŇ ᴺ) rendendosi conto dell’engi ✼⿠, ci si renderà liberi dall’attaccamento con
conseguenza di annullare il dolore, di spezzare quindi la catena di reincarnazioni (rinne
ベᑫ) e ci si così troverà in quello stato di perfetta quiete chiamato nirvĆ  a (lett.
estinzione del fuoco; giapp. nehan ᶔ᭯308, detto anche in tanti altri modi: jakumetsu ኎
Ṍ309, metsudo Ṍᐲ310, satori no kyŇchi ᖗࠅߩႺ࿾311 ecc.), mèta ultima dei buddhisti.䎃
 ‫ޣ‬SVILUPPO E DIFFUSIONE DEL BUDDHISMO‫ޤ‬Nel III secolo a.C. sotto
la protezione del re Aœoka (ࠕ࡚ࠪ࡯ࠞ₺ r. 268?-232? a.C.) il buddhismo (bukkyŇ ੽
ᢎ) si diffuse per tutta l’India. (In seguito, però, verso la fine del XII secolo vi
scomparve, assorbito dall’induismo).
 < MahĆyĆna e TheravĆda > Intorno al 200 d.C. il buddhismo acquisì una nuova
dimensione con NĆgĆrjuna (giapp. Ryşju 㦖᮸312 150 ca.-250 ca.), monaco-filosofo
indiano, che teorizzò la concezione dello shohŇ muga ⻉ᴺήᚒ con il termine ‘vuoto’
(kş ⓨ sans. œşnya o anche œşnyatĆ): tutto è vuoto (Issai kaikş. ৻ಾ⊝ⓨ313), ossia tutte
le cose sono prive di natura propria, in quanto esistono condizionate reciprocamente
secondo la legge dell’engi ✼⿠. Di qui deriva la seguente espressione ben nota in Hannya
shingyŇ 䇺⥸⧯ᔃ⚻䇻 314 (sans. PrajñĆpĆramitĆh daya-sştra; sştra [giapp. kyŇten ⚻ౖ 315 ]:
sacra scrittura buddhista):䎃

« La realtà fenomenica non differisce dal nirvĆ 


a, né il nirvĆ 
a dalla realtà
fenomenica ». (Shiki soku ze kş. Kş soku ze shiki ⦡හᤚⓨ316 ⓨහᤚ⦡, lett.
Forma ⦡ non è altro che vuoto ⓨ. Vuoto ⓨ non è altro che forma ⦡).

La citata frase, che esprime in estrema sintesi l’essenza della filosofia buddhista, sta
a significare che la vita di tutti i giorni e il nirvĆ a (giapp. nehan ᶔ᭯317) sono da

308 ne/han ᶔ non reg./non reg.᭯ non reg./non reg.


309 jaku/metsu ኎ 1871/1669 Ṍ 1387/1338
310 metsu/do Ṍ 1387/1338 ᐲ 83/377
311 sato/ri/ no/ kyŇ/chi ᖗ 1479/1438 ࠅߩႺ 792/864 ࿾ 40/118
312 Ryş/ju 㦖䋨=┥ 1110/1758䋩᮸ 1034/1144
313 Is/sai/ kai/kş. ৻ 4/2 ಾ 204/39 ⊝ 1324/587 ⓨ 233/140
314 Han/nya/ shin/gyŇ 䇺⥸ 559/1096 ⧯ 372/544 ᔃ 139/97 ⚻ 135/548䇻
315 kyŇ/ten ⚻ 135/548 ౖ 956/367
316 Shi/ki/ so/ku/ ze/ kş. ⦡ 326/204 හ 1052/463 ᤚ 1404/1591 ⓨ 233/140
317 ne/han ᶔ non reg./non reg.᭯ non reg./non reg.

59
considerarsi una stessa cosa. Così, darsi alla vita buddhista non significava più cercare di
afferrare il nirvĆ 
a (nehan ᶔ᭯) , poiché non c’è niente da afferrare, visto che qualsiasi
persona così com’è è già in nirvĆ a, anche se non se ne rende conto per mancanza della
vera saggezza chiamata hannya (⥸⧯ sans. prajñĆ), un particolare tipo di facoltà
intuitiva che ci consente di vedere le cose così come sono realmente (shinnyo ⌀ᅤ318
realtà assoluta, ossia non contaminata dall’attività mentale dell’uomo, sans. tathatĆ).
 Si cominciò intanto a credere in una serie di Buddha (butsuda ੽㒚) quali AmitĆbha
(Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽319 ψ§23), Bhai  ajyaguru (Yakushi nyorai ⮎Ꮷᅤ᧪320) e tanti
altri in aggiunta al Buddha storico (ovvero il Buddha Gotama) e bodhisattva (bosatsu ⪄
⮋321; trascrizione fonetica del sans. bodhisattva), coloro cioè che, seppur in grado di
conseguire l’illuminazione, con compassione (jihi ᘏᖤ322; ji ᘏ sans. maitrĩ; hi ᖤ sans.
karu  Ć) avevano fatto voto (hongan ᧄ㗿323) di entrare definitivamente nel nirvĆ  a (nehan
ᶔ᭯) soltanto dopo aver salvato tutti gli altri esseri viventi. Si assistette così alla nascita
del buddhismo cosiddetto mahĆyĆna o grande veicolo (daijŇ bukkyŇ ᄢਸ਼੽ᢎ324), che si
distinse dal buddhismo conservatore, chiamandolo hĩnayĆna o piccolo veicolo (shŇjŇ
bukkyŇ ዊਸ਼੽ᢎ325). 䎃
Il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) trasmesso in Giappone è principalmente il mahĆyĆna
(daijŇ bukkyŇ ᄢਸ਼੽ᢎ).

ٟ Il daijŇ bukkyŇ ᄢਸ਼੽ᢎ si chiama anche hokuden bukkyŇ (ർવ੽ᢎ326 lett.


buddhismo trasmesso a nord) o hoppŇ bukkyŇ (ർᣇ੽ᢎ327 lett. buddhismo del
nord). Lo shŇjŇ bukkyŇ ዊਸ਼੽ᢎ, d’altra parte, viene chiamato anche nanden
bukkyŇ (ධવ੽ᢎ328 lett. buddhismo trasmesso a sud) o nanpŇ bukkyŇ (ධᣇ੽ᢎ
lett. buddhismo del sud), ma oggi lo si preferisce chiamare jŇzabu bukkyŇ ਄ᐳㇱ
੽ᢎ329 lett. buddhismo dei posti d’onore, sans. TheravĆda, ossia ‘scuola degli

318 shin/nyo ⌀ 278/422 ᅤ 1521/1747


319 A/mi/da/ butsu 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg. ੽ 678/583
320 Yaku/shi/ nyo/rai ⮎ 541/359 Ꮷ 490/409 ᅤ 1521/1747 ᧪ 113/69
321 bo/satsu ⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.
322 ji/hi ᘏ 1829/1547 ᖤ 1032/1034
323 hon/gan ᧄ 15/25 㗿 869/581
324 dai/jŇ/ buk/kyŇ ᄢ 7/26 ਸ਼ 359/523 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
325 shŇ/jŇ/ buk/kyŇ ዊ 63/27 ਸ਼ 359/523 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
326 hoku/den/ buk/kyŇ ർ 103/73 વ 494/434 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
327 hop/pŇ/ buk/kyŇ ർ 103/73 ᣇ 28/70 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
328 nan/den/ buk/kyŇ ධ 205/74 વ 494/434 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
329 jŇ/za/bu/ buk/kyŇ ਄ 21/32 ᐳ 377/786 ㇱ 37/86 ੽ 678/583 ᢎ 97/245

60
anziani’).
ٟ Fra tutti i pensieri buddhisti v’erano lo shogyŇ mujŇ ⻉ⴕήᏱ, il kş (ⓨ o,
meglio, il mu ή 330[cin. wu; nulla], termine della filosofia taoista [RŇsŇ shisŇ ⠧⨿
ᕁᗐ331 ψ§33]) e la Terra Pura (jŇdo ᵺ࿯332 ψ§23) i quali ebbero un peso
straordinario sulla cultura giapponese. Di questi tre parleremo a più riprese in
seguito.

BUDDHISMO NEL 䇼BUDDHISMO COME INCANTESIMO䇽 Fu nel VI


GIAPPONE ANTICO secolo (e precisamente nel 538 o con minor probabilità nel
552) che il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) venne trasmesso alla corte dello Yamato (Yamato
chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ) da Paekche (⊖ᷣ giapp. Kudara ψ§8), avvenimento chiamato
bukkyŇ kŇden (੽ᢎ౏વ333 lett. trasmissione ufficiale del buddhismo)
I giapponesi d’allora, la cui coscienza religiosa era assai semplice e primitiva (ψ§9)
non riuscirono a capire la dottrina buddhista. Nel VII secolo c’erano sì coloro, fra cui
ShŇtoku taishi (⡛ᓼᄥሶ ψ§5), che ne ebbero una buona conoscenza, a volte anche
profonda, ma generalmente per i giapponesi del VI e VII secolo il buddhismo (bukkyŇ
੽ᢎ) era semplicemente una pratica magica e non un insegnamento della liberazione
dal dolore esistenziale. Il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) e lo shintoismo (shintŇ ␹㆏)
svolgevano in sostanza una stessa funzione magica. Ci si aspettava da ambedue i culti
effetti vantaggiosi per la vita terrena: guarigione dalle malattie, vittoria sui nemici ecc.
 ‫ ޣ‬BUDDHISMO COME PROTETTORE DELLO STATO‫ ޤ‬In seguito alla
politica filo-buddhista varata da ShŇtoku taishi ⡛ᓼᄥሶ la storia del buddhismo
giapponese entrò in una nuova fase verso la fine del VII secolo: a partire dai tempi
dell’imperatore Tenmu (Tenmu tennŇ ᄤᱞᄤ⊞334 r. 673-686) e durante tutto il periodo
Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) fu lo Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ઎࿖ኅ335 lett. stato
retto secondo il sistema ritsuryŇ) a prendere l’iniziativa di diffondere questa religione. Ciò
perché, nella convinzione che la presunta potenza magica e taumaturgica buddhista
proteggesse lo Stato, conformemente a quanto era predicato dal KonkŇ myŇkyŇ (䇺㊄శ᣿
⚻䇻336 sans. Suvar aprabhĆsottama-sştra), la corte (chŇtei ᦺᑨ) si propose di ottenere la
garanzia religiosa di stabilità e di pace dello Stato. All’idea che il buddhismo (bukkyŇ ੽

330 mu ή 227/93
331 RŇ/sŇ/ shi/sŇ ⠧ 788/543 ⨿ 1208/1327 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
332 jŇ/do ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24
333 buk/kyŇ/ kŇ/den ੽ 678/583 ᢎ 97/245 ౏ 122/126 વ 494/434
334 Ten/mu/ ten/nŇ ᄤ 364/141 ᱞ 448/1031 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
335 ritsu/ryŇ/ kok/ka ᓞ 1048/667 ઎ 668/831 ࿖ 8/40 ኅ 81/165
336 Kon/kŇ/ myŇ/kyŇ 䇺㊄ 59/23 శ 417/138 ᣿ 84/18 ⚻ 135/548䇻

61
ᢎ) protegga lo Stato ci si riferisce con l’espressione di chingo kokka ㎾⼔࿖ኅ337. 䎃
La politica filo-buddhista, che d’altra parte tenne sotto controllo il buddhismo
(bukkyŇ ੽ᢎ) in ogni suo aspetto, raggiunse il suo apice durante il regno dell’im-
peratore ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞ 338 r. 724-749). Nel 741 fu ordinata la
costruzione dei monasteri, detti kokubunji ࿖ಽኹ339 e kokubunniji ࿖ಽዦኹ340, in
ogni provincia e successivamente la costruzione, nella capitale Nara ᄹ⦟, del TŇdaiji
( ᧲ ᄢ ኹ 341 743-a tutt’oggi), monastero di grandi proporzioni, dedicato ad una
gigantesca statua in bronzo del Buddha Birushana (Birushana butsu Ჩ⋝ㆤ㇊੽342
trascrizione fonetica del sans. Vairocana, 752-presente)

ٟ La gigantesca statua del Vairocana del TŇdaiji ᧲ ᄢ ኹ si chiama


popolarmente Nara no daibutsu (ᄹ⦟ߩᄢ੽343 lett. grande buddha a Nara).
Distrutta più volte da incendi, quella attuale è alta metri 16,2. Sia il TŇdaiji ᧲ᄢ
ኹ che il suo daibutsu ᄢ੽ simboleggiavano la ricchezza e la forza dello Stato
ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ઎࿖ኅ344).
ٟ In materia del bukkyŇ ੽ᢎ ShŇtoku taishi ⡛ᓼᄥሶè ricordato soprattutto
quale l’autore di tre commentari ad altrettanti sştra (kyŇten ⚻ౖ) tutti fondamen-
tali della tradizione mahĆyĆna: MyŇhŇ rengekyŇ (䇺ᅱᴺ⬒⪇⚻䇻345 it. Il sştra del loto
della buona legge; sans. Saddharmapu arĩka-sştra), YuimagyŇ ( 䇺⛽៺⚻䇻 346 sans.
Vimalakĩrti-nirdeœa-sştra) e ShŇmangyŇ ( 䇺ൎ㝍⚻䇻 347 sans. ŒrĩmĆlĆdevĩ-sihanĆda-
sştra). Mettendo insieme i tre commentari, si parla del SangyŇ gisho (ਃ⚻⟵⇺348
lett. commentari a tre sştra).䎃

 Ebbe inizio nei sette grandi templi (nanto shichidaiji ධㇺ৾ᄢኹ349; nanto ධㇺ lett.

337 chin/go/ kok/ka ㎾ 1520/1786 ⼔ 653/1312 ࿖ 8/40 ኅ 81/165


338 ShŇ/mu/ ten/nŇ ⡛ 1306/674 ᱞ 448/1031 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
339 koku/bun/ji ࿖ 8/40 ಽ 35/38 ኹ 687/41
340 koku/bun/ni/ji ࿖ 8/40 ಽ 35/38 ዦ 1661/1620 ኹ 687/41
341 TŇ/dai/ji ᧲ 11/71 ᄢ 7/26 ኹ 687/41
342 Bi/ru/sha/na/ butsu Ჩ non reg./non reg.⋝ non reg./non reg.ㆤ 1927/1767 ㇊ 1257/non reg.੽ 678/583
343 Na/ra/ no/ dai/butsu ᄹ 822/2044 ⦟ 520/321 ߩᄢ 7/26 ੽ 678/583
344 ritsu/ryŇ/ kok/ka ᓞ 1048/667 ઎ 668/831 ࿖ 8/40 ኅ 81/165
345 MyŇ/hŇ/ ren/ge/kyŇ 䇺ᅱ 1045/1154 ᴺ 145/123 ⬒ non reg./non reg.⪇ 807/1074 ⚻ 135/548䇻
346 Yui/ma/gyŇ 䇺⛽ 926/1231 ៺ 1074/1530 ⚻ 135/548䇻
347 ShŇ/man/gyŇ 䇺ൎ 197/509 㝍 non reg./non reg.⚻ 135/548䇻
348 San/gyŇ/ gi/sho ਃ 10/4 ⚻ 135/548 ⟵ 287/291 ⇺ non reg./non reg.
349 nan/to/ shichi/dai/ji ධ 205/74 ㇺ 92/188 ৾ 44/9 ᄢ 7/26 ኹ 687/41

62
capitale a sud, ossia Nara ᄹ⦟), tra cui il TŇdaiji ᧲ᄢኹ, costruiti a Nara ᄹ⦟ lo
studio approfondito della dottrina buddhista. Ce n’erano allora sei scuole filosofiche
(nanto rikushş ධㇺ౐ቬ350 letto anche nanto rokushş; lett. sei scuole a Nara) che, però,
come tali miravano all’acquisizione di conoscenze intellettuali, e quindi non avevano in
pratica nulla a che fare con la vita religiosa in senso proprio della popolazione in
generale.
 Inoltre, la protezione del buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) da parte dello Stato permise
che, da un lato, gli shŇen (⨿࿦351 ψ§7) dei grandi templi aumentassero smisuratamente
e, dall’altro, si verificassero casi di ingerenza da parte di monaci negli affari politici dello
Stato. DŇkyŇ (㆏㏜352 ?-772), ad esempio, esercitò un tale ascendente sulla corte (chŇtei
ᦺᑨ) da osare aspirare al trono imperiale.
 Stando così le cose, il buddhismo del periodo Nara (Nara bukkyŇ ᄹ⦟੽ᢎ lett.
buddhismo di Nara) era ancora lontano dallo svolgere la sua vera missione salvifica.

§13. Arti figurative

CULTURA Nella storia della cultura la prima fase notevolmente lunga del periodo
KOFUN Yamato (Yamato jidai ᄢ๺ᤨઍ353) è chiamata periodo kofun (kofun jidai
ฎზᤨઍ354) e la relativa cultura kofun bunka (ฎზᢥൻ355 lett. cultura kofun), in
quanto i gŇzoku ⽕ᣖ si facevano costruire tumuli sepolcrali mastodontici, detti appun-
to kofun (ฎზ lett. tumuli sepolcrali antichi), che simboleggiavano la loro autorità.
 < zenpŇ kŇenfun > I kofun ฎზ hanno diverse forme. I più caratteristici sono a
forma di ‘toppa di serratura’, e tali tumuli sono chiamati zenpŇ kŇenfun (೨ᣇᓟ౞ზ356
lett. tumulo sepolcrale quadrilatero nella parte anteriore e rotondo in quella posteriore).

350 nan/to/ riku/shş ධ 205/74 ㇺ 92/188 ౐ 20/8 ቬ 1023/616


351 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447
352 DŇ/kyŇ ㆏ 129/149 ㏜ 1358/863
353 Yamato ji/dai ᄢ 7/26 ๺ 151/124 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
354 ko/fun/ j/idai ฎ 373/172 ზ 1901/1662 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
355 ko/fun/ bun/ka ฎ 373/172 ზ 1901/1662 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
356 zen/pŇ/ kŇ/en/fun ೨ 38/47 ᣇ 28/70 ᓟ 45/48 ౞ 2/13 ზ 1901/1662

63
Ne è un esempio tipico la tomba chiamata
Daisen kofun (ᄢ઄ฎზ358 V sec.) ed ‘attribuita’
all’imperatore Nintoku (Nintoku tennŇ ੳᓼᄤ
⊞359 prima metà V sec.) che occupa un’area
oltre due volte maggiore di quella della piramide
di Cheope. Le salme furono seppellite di solito
nella parte rotonda, cioè posteriore. 486m
 < haniwa > Fra i ritrovamenti sono figure di
terracotta, chiamate haniwa (ၨベ360 lett. cilindro Daisen kofun ᄢ઄ฎზ, chiamato
di creta), disposte all’intorno dei kofun ฎზ. Nei anche NintokuryŇ kofun ੳᓼ㒺ฎ
sarcofagi o intorno ad essi sono solitamente si- ზ 357 (lett. sepolcro kofun di Nintoku

tennŇ Ⱥcarta7)
stemati, oltre ad oggetti per l’uso religioso, armi,
strumenti agricoli, stoviglie ed altre cose ancora. A volte vengono rinvenuti dipinti
murali.
Ci sono due tipi di haniwa ၨベ: entŇ haniwa (౞╴ၨベ361 lett. haniwa cilindrico)
letteralmente a forma cilindrica e keishŇ haniwa (ᒻ⽎ၨベ362 lett. haniwa che rappresen-
tano diverse figure [case, animali, barche, persone ecc.]).

DUE SECOLI E MEZZO D’ORO DEL- Come si è detto precedentemente, i giap-


LE ARTI FIGURATIVE BUDDHISTE ponesi non erano a tutta prima in grado
di cogliere l’essenza del buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ), ma dalle opere d’arte ed architet-
toniche ispirate a tale dottrina e loro pervenute erano rimasti affascinati, e nel periodo
Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ), mossi anche dall’idea di un ‘buddhismo protettore dello
Stato’ (chingo kokka ㎾⼔࿖ኅ363 ψ§12), produssero opere di prim’ordine nel campo
delle arti figurative buddhiste.
 ‫ޣ‬CULTURA ASUKA‫ޤ‬La denominazione cultura Asuka (Asuka bunka 㘧㠽ᢥൻ
364) è dovuta al toponimo Asuka (㘧㠽 ψcarta 3), cioè alla zona della parte meridio-

nale, in cui risiedeva la corte (chŇtei ᦺᑨ), della conca di Nara ᄹ⦟.

357 Nin/toku/ryŇ/ ko/fun ੳ 1346/1619 ᓼ 839/1038 㒺 1912/1844 ฎ 373/172 ზ 1901/1662


358 Dai/sen/ ko/fun ᄢ 7/26 ઄ 1025/1891 ฎ 373/172 ზ 1901/1662
359 Nin/toku/ ten/nŇ ੳ 1346/1619 ᓼ 839/1038 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
360 hani/wa ၨ non reg./non reg.ベ 959/1164
361 en/tŇ/ hani/wa ౞ 2/13 ╴ 1567/1472 ၨ non reg./non reg.ベ 959/1164
362 keishŇ haniwa ᒻ 408/395 ⽎ 575/739 ၨ non reg./non reg.ベ 959/1164
363 chin/go/ kok/ka ㎾ 1520/1786 ⼔ 653/1312 ࿖ 8/40 ኅ 81/165
364 Asuka bun/ka 㘧 440/530 㠽 932/285 ᢥ 136/111 ൻ 100/254

64
Si tratta della cultura rappresentata dal tempio di HŇryşji (ᴺ㓉ኹ365 607-presente),
Nara-ken ᄹ⦟⋵, considerato eretto da ShŇtoku taishi ⡛ᓼᄥሶ e da una serie di
opere (statue, dipinti e oggetti d’artigianato) ivi custodite.
 < Architettura: HŇryşji > È il tempio più noto in Giappone. I suoi edifici
originari (chiamati Wakakusagaran ⧯⨲ૄ⮣366 lett. tempio delle erbe giovani) sono
ritenuti distrutti da un incendio nel 670. Benché quelli attuali non risalgano presu-
mibilmente oltre l’inizio dell’VIII secolo, si tratta comunque della costruzione in legno
più antica che oggi esista al mondo. Le colonne presentano la cosiddetta entasi (entashisu
ࠛࡦ࠲ࠪࠬ).

ٟ < Periodo kofun e periodo Asuka nella storia politica > Anche nella storia
politica si parla sia del periodo kofun (kofun jidai ฎზᤨઍ) che del periodo Asuka
(Asuka jidai 㘧㠽ᤨઍ).
Originariamente le espressioni kofun jidai ฎზᤨઍ e Asuka jidai 㘧㠽ᤨઍ
furono usate rispettivamente in archeologia e in storia dell’arte, ed adesso sono
adoperate, per estensione, anche nella storia politica.
Il periodo Asuka (Asuka jidai 㘧㠽ᤨઍ) nella storia politica si riferisce quasi
sempre al regno (592-628) della sovrana Suiko (Suiko tennŇ ផฎᄤ⊞ r. 592-628
ψ§5)

Anche diversi uji ᳁ gareggiavano in tale epoca nel costruirsi un tempio (ujidera ᳁
ኹ p.es. Asukadera 㘧㠽ኹ367 di Sogashi ⯃ᚒ᳁368) che fungesse da simbolo del pro-
prio potere al posto dei giganteschi kofun ฎზ andati ormai fuori moda.
 < Scultura > Per quanto riguarda la scultura, è da ricordare innanzitutto la Triade
di ŒĆkyamuni (Shaka sanzonzŇ 䇺㉼ㄸਃዅ௝䇻369 sans. trikĆya, 623) di Kuratsukuri no
Tori (㕷૞ᱛ೑370 ?-?; toraijin ᷰ᧪ੱ371 cinese), conservata nello HŇryşji ᴺ㓉ኹ. I
loro volti abbozzano un ‘arcaico sorriso’ (arukaikku sumairu ࠕ࡞ࠞࠗ࠶ࠢ ࠬࡑࠗ࡞
dall’ingl. archaic smile) al pari delle altre statue di questo periodo.
Sono ben note poi le statue aggraziate, dette hanka shiizŇ (䇺ඨ〉ᕁᗅ௝䇻372 lett.

365 HŇ/ryş/ji ᴺ 145/123 㓉 1255/946 ኹ 687/41


366 Waka/kusa/ga/ran ⧯ 372/544 ⨲ 705/249 ૄ non reg./non reg.⮣ non reg./non reg.
367 Asuka/dera 㘧 440/530 㠽 932/285 ኹ 687/41
368 So/ga/shi ⯃ non reg./non reg.ᚒ 1392/1302 ᳁ 177/566
369 Sha/ka/ san/zon/zŇ 䇺㉼ 1214/595 ㄸ non reg./non reg.ਃ 10/4 ዅ 1220/704 ௝ 906/740䇻
370 Kura/tsukuri/ no To/ri 㕷 non reg./non reg.૞ 99/360 ᱛ 400/477 ೑ 219/329
371 to/rai/jin ᷰ 615/378 ᧪ 113/69 ੱ 9/1
372 han/ka/ shi/i/zŇ 䇺ඨ 224/88 〉 non reg./non reg.ᕁ 149/99 ᗅ non reg./non reg.௝ 906/740䇻

65
immagine di meditazione con la gamba destra appoggiata sul ginocchio sinistro) del
Miroku bosasu (ᒎ൅⪄⮋373 sans. Maitreya, ossia bodhisattva destinato a diventare un
buddha in un lontano avvenire per salvare l’umanità, it. il Buddha futuro), conservate
presso i templi di KŇryşji (ᐢ㓉ኹ374 603?) a KyŇto ੩ㇺ375 e Chşgşji (ਛችኹ376
ricostruito nel XVI sec.) adiacente allo HŇryşji ᴺ㓉ኹ.
 < Oggetti d’artigianato > È degno di menzione il Tamamushi no zushi (䇺₹⯻෠
ሶ䇻377 lett. cassa-custodia di statuette e sştra buddhisti con bupresti, prima metà VII
sec.), opera d’artigianato ricoperta di quasi diecimila elitre iridate di insetti detti bupresti,
tramandata fino ad oggi presso lo HŇryşji ᴺ㓉ኹ. Da ultimo, Tenjukoku shşchŇ 䇺ᄤኼ
࿖❭Ꮽ䇻378, tessuto ricamato conservato nel tempio di Chşgşji ਛችኹ.
 < Cultura internazionale > Le opere architettoniche e di belle arti presentano
influenze non soltanto cinesi, ma a volte anche indiane, persiane e greche. Natural-
mente tali influenze furono mediate dalla Cina e dalla Corea.
 ‫ޣ‬CULTURA HAKUHņ‫ޤ‬La cultura HakuhŇ (HakuhŇ bunka ⊕㡅ᢥൻ379; Haku-
hŇ: nengŇ ᐕภ non usato effettivamente) può essere definita uno specchio della fiducia
in sé che aveva la classe dominante dello Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ઎࿖ኅ) in
corso di riassetto ed è piena di forza e vitalità.
In questo periodo si cominciò a costruire templi e a scolpire una statuaria buddhista
anche nelle province. Però le maggiori opere del periodo sono la pittura murale che
ricorda quella di Ajanta (antico centro monastico) in India, dello HŇryşji ᴺ㓉ኹ e la
Pagoda orientale (TŇtŇ ᧲Ⴁ380) dello Yakushiji (⮎Ꮷኹ381 698-presente) a Nara ᄹ
⦟.
Fanno parte di questa cultura anche i dipinti murali dai colori tuttora vividi del
Takamatsuzuka kofun (㜞᧻Ⴆฎზ382 ψcarta 7).
 ‫ޣ‬CULTURA TENPYņ‫ޤ‬La cultura del periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) è

373 Mi/roku/ bo/sasu ᒎ 1536/2065 ൅ non reg./non reg.⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.
374 KŇ/ryş/ji ᐢ 311/694 㓉 1255/946 ኹ 687/41
375 KyŇ/to ੩ 16/189 ㇺ 92/188
376 Chş/gş/ji ਛ 13/28 ች 419/721 ኹ 687/41
377 Tama/mushi/ no/ zu/shi 䇺₹ 610/295 ⯻ 1073/873 ෠ non reg./non reg.ሶ 56/103䇻
378 Ten/ju/koku/ shş/chŇ 䇺ᄤ 364/141 ኼ 1132/1550 ࿖ 8/40 ❭ non reg./non reg.Ꮽ 1181/1107䇻
379 Haku/hŇ/ bun/ka ⊕ 266/205 㡅 non reg./non reg.ᢥ 136/111 ൻ 100/254
380 TŇ/tŇ ᧲ 11/71 Ⴁ 1516/1840
381 Yaku/shi/ji ⮎ 541/359 Ꮷ 490/409 ኹ 687/41
382 Taka/matsu/zuka/ ko/fun 㜞 49/190 ᧻ 215/696 Ⴆ 782/1751 ฎ 373/172 ზ 1901/1662

66
chiamata cultura TenpyŇ (TenpyŇ bunka ᄤᐔᢥൻ383; TenpyŇ: nengŇ ᐕภ 729-749),
in quanto si manifestò in modo particolarmente esuberante durante l’era appunto
TenpyŇ ᄤᐔ che coincide praticamente al regno dell’imperatore ShŇmu [ShŇmu tennŇ
⡛ᱞᄤ⊞384 r. 724-749]) e si colloca all’apice delle arti figurative buddhiste giapponesi
sia qualitativamente che quantitativamente. La città di Nara ᄹ⦟ e i suoi dintorni
costituiscono, difatti, una mecca di tutti i cultori di belle arti buddhiste.
 < Architettura: TŇdaiji > A Nara ᄹ⦟ vennero eretti, oltre al già citato TŇdaiji
᧲ᄢኹ con i suoi edifici massicci, molti grandi templi (chiamati nel loro insieme nanto
shichidaiji ධㇺ৾ᄢኹ ψ§12) con le loro costruzioni ugualmente poderose dalle
colonne e gronde tinte di vermiglio e con grate-finestre di verde, dando alla capitale un
aspetto imponente simile a quello di una grande e rigogliosa città cinese.
Il seguente tanka (⍴᱌ ossia poesia conforme allo schema 5-7-5-7-7 ψ§11) del
Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 canta appunto tale veduta:

 ޽ࠍߦࠃߒ*ᄹ⦟ߩㇺ385ߪດ386ߊ⧎387ߩߦ߶߰߇ߏߣߊ੹388⋓389ࠅߥࠅ
 Awoniyoshi * / Nara no miyako wa / saku hana no / niŇ ga gotoku / ima sakari nari
 [Adesso la capitale Nara è all’apice dei suoi splendori come se fossero fiori dai
colori vivi e brillanti].
Autore: Ono no Oyu (ዊ㊁⠧390 ?-737)

* Il termine ‘awoniyoshi ’ è uno dei cosiddetti makurakotoba (ᨉ⹖391 lett. parole da guanciale)

383 Ten/pyŇ/ bun/ka ᄤ 364/141 ᐔ 143/202 ᢥ 136/111 ൻ 100/254


384 ShŇ/mu/ ten/nŇ ⡛ 1306/674 ᱞ 448/1031 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
385 miyako ㇺ 92/188
386 sa/ku ດ 1435/927 ߊ (giapp. moderno: id.)
387 hana ⧎ 551/255
388 ima ੹ 146/51
389 saka/ri ⋓ 737/719 ࠅ
390 O/no/ no/ Oyu ዊ 63/27 ㊁ 85/236 ⠧ 788/543
391 makura/kotoba ᨉ non reg./non reg.⹖ 1624/843
392 haha Უ 554/112
393 oya ⷫ 381/175
394 kusa/makura ⨲ 705/249 ᨉ non reg./non reg.
395 tabi ᣏ 566/222
396 tsuyu 㔺 1144/951
397 yş ᄕ 627/81

67
usati preposti a una determinata parola (o a un determinato gruppo di parole) a scopo
retorico (per motivi, cioè, di ritmo, tono, risonanza, estetica ecc.). Ecco alcune combinazioni:

• awoniyoshi ޽ࠍߦࠃߒ 㧗 Nara ᄹ⦟


• tarachine no ߚࠄߜߨߩ 㧗 haha (Უ 392madre), oya (ⷫ 393genitori)

• kusamakura ⨲ᨉ394 㧗 tabi (ᣏ395 viaggio), tsuyu (㔺396 rugiada), yş (ᄕ397 sera)
• hisakata no ਭᣇߩ398 㧗 ame (ᄤ399 cielo), ame (㔎 pioggia), hikari (శ400 luce), kumo
(㔕401 nubi), tuki (᦬402 luna) ecc.

 < Scultura > La cultura TenpyŇ (TenpyŇ bunka ᄤᐔᢥൻ) si distinse soprattutto
nel campo scultoreo con una serie di opere di rara qualità, tra cui il NikkŇ bosatsuzŇ (䇺ᣣ
శ⪄⮋௝䇻403 lett. statua del bodhisattva della luce solare, sans. SşryaprabhĆ) e il GakkŇ
bosatsuzŇ (䇺᦬శ⪄⮋௝䇻 404 lett. statua del bodhisattva del chiaro di luna, sans.
CandraprabhĆ) del TŇdaiji ᧲ᄢኹ. Si tratta di statue pacate e piene di grazia.
Con i citati capolavori ai due lati si innalza al centro un terzo capolavoro: Fukş-
kenjaku kannonzŇ (䇺ਇⓨ⟚⚝ⷰ㖸௝䇻405 lett. statua del bodhisattva della rete e della
corda, sans. AmoghapĆœa).
Si ricorda poi il ritratto di Jianzhen (giapp. GanjinzŇ 䇺㐓⌀௝䇻406 lett. immagine di
Ganjin) conservato nel TŇshŇdaiji (໊᜗ឭኹ407 759-presente) da lui stesso eretto.
Jianzhen (Chien Chên 㐓⌀, giapp. Ganjin, 688-763) fu un bonzo cinese. Malgrado
oltre dieci anni di un continuo calvario persistette nei suoi propositi, riuscendo alla fine
a mettere piede in Giappone nel 753. Da lui vennero ufficialmente trasmessi in Giap-
pone i precetti (kairitsu ᚓᓞ408), parte indispensabile del buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ).
 < Pittura > È degno di menzione il KichijŇten gazŇ (䇺ศ␽ᄤ↹௝䇻409 lett. disegno
raffigurante KichijŇten; KichijŇten ศ␽ᄤ divinità della buona fortuna, sans. Œri-

398 hisa/kata/ no ਭ 591/1210 ᣇ 28/70 ߩ


399 ame ᄤ 364/141 (giapp. moderno: letto solitamente ten)
400 hikari శ 417/138
401 kumo 㔕 1124/636
402 tuki ᦬ 26/17
403 Nik/kŇ/ bo/satsu/zŇ 䇺ᣣ 1/5 శ 417/138 ⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.௝ 906/740䇻
404 Gak/kŇ/ bo/satsu/zŇ 䇺᦬ 26/17 శ 417/138 ⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.௝ 906/740䇻
405 Fu/kş/ken/jaku/ kan/non/zŇ 䇺ਇ 134/94 ⓨ 233/140 ⟚ non reg./non reg.⚝ 1155/1059 ⷰ 463/604 㖸
402/347 ௝ 906/740䇻

406 Gan/jin/zŇ 䇺㐓 1171/1664 ⌀ 278/422 ௝ 906/740䇻


407 TŇ/shŇ/dai/ji ໊ 1668/1697 ᜗ 747/455 ឭ 378/628 ኹ 687/41
408 kai/ritsu ᚓ 1191/876 ᓞ 1048/667
409 Kichi/jŇ/ten/ ga/zŇ 䇺ศ 464/1141 ␽ 1549/1576 ᄤ 364/141 ↹ 150/343 ௝ 906/740䇻

68
mahĆdevĩ) dello Yakushiji ⮎Ꮷኹ a Nara ᄹ⦟. È un’ottima fonte di informazioni
sull’abbigliamento femminile della classe cristocratica dell’epoca.
 < ShŇsŇin: oggetti d’artigianato > Anche se non è di cultura strettamente bud-
dhista, il deposito shŇsŇin (ᱜୖ㒮 410 metà VIII sec.) annesso al TŇdaiji ᧲ᄢኹ
conserva in stato perfetto oltre diecimila oggetti d’artigianato usati giornalmente dal-
l’imperatore ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞ ψ§12).
Si trovano anche oggetti (p.es. strumento musicale che porta un disegno d’un cam-
mello) provenienti, tramite la Cina dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ ψ§8), dall’Asia
Centrale, dal Vicino Oriente, dalla Grecia ecc.. Al pari dell’Asuka bunka 㘧㠽ᢥൻ
anche la cultura TenpyŇ (TenpyŇ bunka ᄤᐔᢥൻ) poteva considerarsi di dimensione
internazionale, anche se il traffico era unidirezionale.

§14. Vita quotidiana e varie

VITA DEL- 䇼VITA DEI MEMBRI IMPERIALI E DELL’ALTO STRATO


LA GENTE NOBILIARE䇽 Nel 1987 a Nara ᄹ⦟ vennero rinvenuti oltre tremila
pezzi di mokkan (ᧁ◲411 documenti su legno). Dalla scritta recata da uno di essi fu
appurato che lì si trovava l’abitazione del principe Nagaya (Nagaya Ň 㐳ደ₺ 412
684?-729), nipote dell’imperatore Tenmu (Tenmu tennŇ ᄤᱞᄤ⊞ ψ§12). Trattandosi
di un personaggio che ricoprì la carica di ministro della sinistra (sadaijin Ꮐᄢ⤿), i
reperti ivi ritrovati offrono la possibilità di ricostruire la vita quotidiana e del suo tenore
nell’alto strato nobiliare dell’VIII secolo.
Il terreno su cui risiedeva Nagaya Ň 㐳ደ₺, si estendeva per ben 60.000 m2. Su
questo vasto terreno dotato di due pozzi e circondato dalle mura esistevano 45-50
fabbticati classificabili in tre gruppi: (a) edifici destinati alla vita privata del principe, (b)
abitazioni del personale alle sue dipendenze e (c) costruzioni adibite a molteplici scopi
(p.es. ufficio per l’amministrazione della residenza, cucina, una serie di laboratori per la
produzione di bevande alcoliche, diversi arnesi, tessuni ed altri oggetti di consumo
giornaliero, locali in cui prestavano servizio calligrafi, scultori di statue del Buddha ecc.).
Dalla presenza di diversi laboratori e di personale specializzato, si può desumere che
per quanto riguarda la fornitura e la produzione dell’occorrente per la vita di tutti i

410 shŇ/sŇ/in ᱜ 109/275 ୖ 708/1307 㒮 236/614


411 mok/kan ᧁ 148/22 ◲ 870/1533
412 Naga/ya/ Ň 㐳 25/95 ደ 270/167 ₺ 499/294

69
giorni, Nagaya Ň 㐳ደ₺ disponesse praticamente di tutti i mezzi necessari, manodo-
pera compresa, all’interno delle mura della propria residenza, anche se finanziariamente
dipendeva dai terreni agricoli che possedeva altrove, fuori delle mura.
Si desume inoltre che i suoi redditi annui ammontassero a una cifra astronomica
corrispondente a più di un milione di euro dei nostri tempi.
Da ultimo, si ritiene assai probabile che anche altri nobili d’alto rango del periodo
Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) disponessero più o meno di un’analoga organizzazione che
rendeva la loro vita privata autosufficiente.

 ‫ޣ‬VITA DEI SEMPLICI DIPENDENTI PUBBLICI‫ޤ‬Della realtà che certe


categorie degli statali di bass’ordine dovevano affrontare quotidianamente possiamo
informarci abbastanza bene per quanto riguarda le loro condizioni di lavoro nel periodo
Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ), in quanto sono tuttora conservati nel deposito ShŇsŇin
(ᱜୖ㒮 ψ§13) dei documenti che parlano del personale addetto alla copiatura di sştra
(kyŇten ⚻ౖ), naturalmente di quelli tradotti in cinese.
Il loro compito consisteva nel tracciare accuratamente col pennello in media 3.800
caratteri cinesi (kanji ṽሼ) al giorno, il che richiedeva ore e ore di lavoro sin dal primo
mattino. A loro non era permesso di rincasare giornalmente; tutti insieme consumavano
pasti forniti dallo Stato e si riposavano in dormitorio di proprietà statale e soltanto
dopo 2-3 mesi di servizio era loro permesso far ritorno a casa per un paio di giorni.
A causa del loro lavoro sedentario, dei pasti poveri di valore nutritivo e delle cattive
condizioni igienico-sanitarie erano soggetti a diverse malattie professionali e infettive.
Soffrivano non di rado anche di malattie della pelle, di pustole e simili, giacché non
soltanto non si lavavano quasi mai, ma portavano per giorni e giorni gli stessi indumenti
sudici.
I dipendenti pubblici di cui stiamo parlando erano pagati a cottimo, quindi chi
contraeva una malattia, poteva trovarsi immediatamente in difficoltà economiche, cui
cercava rimedio impegnando le proprie future retribuzioni col chiedere prestiti all’uf-
ficio di appartenenza, pur sapendo che il tasso d’interesse mensile era addiritura del 10
percento. Si verificavano a volte anche casi di fuga di coloro che, oberati dai debiti, si
trovavano ad essere insolventi.
Si vede che fra ricchi e poveri c’era un gap economico assai enorme.

‫ޣ‬‫ޣ‬VITA NELLE COMUNITÀ RURALI‫ ޤ‬La quasi totalità della popolazione dello
Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ઎࿖ኅ) era costituita dai contadini. Tuttavia, gli strati
letterati d’allora, in particolare, i nobili, non facero quasi mai nessun riferimento, negli
scritti, alla vita degli agricoltori, il che rende pressoché impossibile ricostruire la loro

70
vita quotidiana; comunque, le seguenti sono tappe principali del corso della loro vita.
Con la nascita erano registrati all’anagrafe chiamata KŇgonenjaku (ᐬඦᐕ☋413 lett.
anagrafe dell’anno di KŇgo, cioè del 670), la prima anagrafe giapponese a livello
nazionale. Il parto avveniva, per usanza, in una piccola costruzione, detta ubuya ↥ደ414,
messa su solitamente ad hoc volta per volta.
Compiuti almeno 6 anni d’età erano soggetti allo Handen shşju no hŇ (⃰↰෼᝼ᴺ415
ψ§6) con l’obbligo di pagare le imposte.
Secondo le disposizioni del codice ritsuryŇ (TaihŇ ritsuryŇ ᄢቲᓞ઎416 701, in
vigore dal 702; YŇrŇ ritsuryŇ 㙃⠧ᓞ઎417 718, in vigore dal 757) gli uomini e le donne
potevano sposarsi rispettivamente a 15 e 13 anni d’età. Visto che la società giapponese
nell’età antica era sessualmente assai libera, i rapporti sessuali precedevano la formalità
(ossia riti nuziali) e dopo il matrimonio il marito che per costume viveva separato dalla
moglie la visitava di notte (tipo di vita coniugale detto tsumadoikon ᆄ໧ᇕ418 ψ§22).
Le coppie, piuttosto prolifere, generavano a volte anche 10 figli.
Sembra che le percentuali di divorzio fossero altissime. La mancata visita per un
periodo di circa tre mesi da parte dell’uomo e il rifiuto di aprirsi la porta da parte della
donna nei confronti dell’uomo venivano interpretati quale manifestazione della volontà
di divorziare.
Difficilmente si poteva sperare di vivere fino a sessant’anni, poiché molto
probabilmente cadevano vittime di malattie. Difatti, mietevano la popolazione gravi
malattie infettive quali vaiolo, dissenteria e colera. L’habitat poco affidabile sotto
l’aspetto igienico-sanitario facilitava non solo il manifestarsi frequente delle epidemie,
ma anche le infestazioni parassitarie.
Le salme erano trasferite in una piccola capanna, detta moya ༚ደ419, dove venivano
svolti i riti di stampo confuciano per la rinascita, consistenti nel richiamare indietro lo
spirito che si riteneva si fosse separato dal corpo.
< Hinkyş mondŇ no uta > Per quanto riguarda il tenore di vita della gente di
campagna, abbiamo una testimonianza: si tratta di un chŇka (㐳᱌420 metrica: 5-7-5-7-

413 KŇ/go/nen/jaku ᐬ non reg./non reg.ඦ 98/49 ᐕ 3/45 ☋ 1463/1198


414 ubu/ya ↥ 142/278 ደ 270/167
415 Han/den/ shş/ju/ no/ hŇ ⃰ 1448/1381 ↰ 24/35 ෼ 411/757 ᝼ 558/602 ᴺ 145/123
416 Tai/hŇ/ ritsu/ryŇ ᄢ 7/26 ቲ 661/296 ᓞ 1048/667 ઎ 668/831
417 YŇ/rŇ/ ritsu/ryŇ 㙃 605/402 ⠧ 788/543 ᓞ 1048/667 ઎ 668/831
418 tsuma/doi/kon ᆄ 767/671 ໧ 75/162 ᇕ 633/567
419 mo/ya ༚ 1614/1678 ደ 270/167
420 chŇ/ka 㐳 25/95 ᱌ 478/392

71
[...]-5-7-5-7-7) nel Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻, noto con il nome di Hinkyş mondŇ no uta (⽺┆
໧╵ߩ᱌ 421 lett. Domanda e risposta sulla povertà e sull’indigenza, detto anche
Hinkyş mondŇka ⽺┆໧╵᱌ 731 ca.) di Yamanoue (o anche Yamanoe) no Okura (ጊ਄
ᙘ⦟422 660-733).
L’autore di nascita presumibilmente poco brillante, ma dotto e promosso al basso
rango nobiliare, andò più volte in province in veste di governatore (kokushi ࿖ม423) ed
ebbe così modo di osservare da vicino la vita stentata dei contadini. Okura ᙘ⦟
stesso dovrebbe peraltro aver condotto, almeno in età avanzata, una vita abbastanza
agiata, quale si confaceva al suo rango.

« Nelle notti di pioggia mista a vento, nelle notti di neve mista a pioggia, fa così
freddo che non so cosa fare, prendo in mano di tanto in tanto un pizzico di sale
grezzo e me lo metto in bocca, succhio la feccia di sake sciolta nell’acqua calda,
continuo a tossire, tiro su col naso, accarezzo la mia barba misera, dico che
all’infuori di me non ci saranno altri esseri umani e me ne sento fiero, ma fa tanto
freddo che mi copro con una tela di canapa, mi metto tutti i miei abiti privi di
maniche, nelle notti così fredde i padri e le madri di gente più povera di me avranno
fame, si intirizziranno, le mogli e i figli piangeranno chiedendo cibi e vestiti, nei
momenti così, tu, come tiri avanti?
Dicono che il cielo e la terra sono vasti, ma per me si sono fatti angusti? Dicono
che il sole e la luna risplendono, ma a me sono avari di dare la loro luce? È così per
tutta la gente o solo per me? Mi è capitato di nascere quale uomo, anch’io sono
fatto come tutti gli altri, porto sulle spalle stracci senza imbottitura di cotone,
paragonabili ad alghe marine, nel tugurio schiacciato e storto mi circondano sulla
paglia messa in diretto contatto con la terra il mio papà e la mia mamma da parte
del mio guanciale e mia moglie e i miei figli verso i miei piedi, gemono e si
lamentano, dal fornello non sale fumo, nell’apparecchio a vapore per il riso ci sono
delle ragnatele, non penso più a cuocere il riso, mi addoloro e gemo, quand’ecco mi
arriva dall’ingresso la voce esigente del capo villaggio con una frusta in mano come
il proverbio che dice, ‘tagliare le estremità a una cosa già corta’, non so proprio dove
sbattere la testa, è così la vita umana? »

421 Hin/kyş/ mon/dŇ/ no/ uta ⽺ 1282/753 ┆ 1821/897 ໧ 75/162 ╵ 434/160 ߩ᱌ 478/392
422 Yama/no/ue/ no/ Oku/ra ጊ 60/34 ਄ 21/32 ᙘ 1662/381 ⦟ 520/321
423 koku/shi ࿖ 8/40 ม 712/842

72
REGIME ALIMENTARE DEGLI Dal citato chŇka 㐳᱌ di Okura ᙘ⦟ si può
ABITANTI DELLA CAPITALE desumere che la gente di campagna si trovassero
con ogni probabilità vicini a morire per fame o per denutrizione.
Sembra invece che gli abitanti della capitale, specie i nobili-funzionali pubblici
residenti alla capitale, si nutrissero di cibi non molto dissimili da quelli che i giapponesi
d’oggi consumano. Si nota in particolare l’abbondanza di varietà di pesci ed altri
prodotti del mare.
Le carni di animali domestici non venivano consumate o quasi, in quanto il
buddhismo ammonisce di non uccidere alcun essere vivente. Difatti il « non privare
della vita » è il primo dei precetti che i buddhisti sono tenuti ad osservare.
Così, ai tempi dell’imperatore Tenmu (Tenmu tennŇ ᄤᱞᄤ⊞) e per l’esattezza nel
675 fu proibito consumare la carne di certi animali (« È vietato consumare le carni di
bovini, cavalli, cani, scimmie e galline »). In seguito, nel 736 un editto dell’imperatore
ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞) decretava fuorilegge la macellazione. Inoltre, in certe
occasioni, dette hŇjŇe (᡼↢ળ 424 lett. riunione di liberazione degli esseri viventi),
venivano liberati animali in cattività. Si sa che quando il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) fu
introdotto in Giappone, il regime alimentare dei giapponesi consisteva già fondamen-
talmente nella combinazione di ‘riso’, ‘verdure’ e ‘prodotti del mare’. Non c’è dubbio
che i sopraccitati provvedimenti produssero l’effetto che tale consuetudine dietetica si
consolidasse ulteriormente.
La gente d’allora conosceva di certo diversi modi di cuocere i cibi. A questo
riguardo è da mettere in particolare rilievo il fatto che si preferiva consumare i cibi
d’accompagnamento possibilmente ‘crudi’. Adesso si sa per certo che la gente mangiava
crudi o quasi non soltanto verdure, ma anche pesci d’acque dolce quali carpe e carassi.
Le verdure venivano consumate volentieri in salamoia, quindi crude. È da dire che la
predilezione dei giaponesi per ortaggi in salamoia (tsukemono ẃ‛425) e fettine di pesce
mangiate crude (sashimi ೝり426), entrambi indispensabili alla cucina giapponese d’oggi,
ha un’origine antica.
Da ultimo, non si usava quasi mai l’olio. Si vede che la tradizione di una cucina poco
oleosa, tanto meno grassa, della cucina giapponese ha anch’essa una lunga storia.

424 hŇ/jŇ/e ᡼ 282/512 ↢ 29/44 ળ 12/158


425 tsuke/mono ẃ 1841/1793 ‛ 126/79
426 sashi/mi ೝ 954/881 り 331/59

73
CAPITOLO III

Età antica 2: periodo Heian

Parte prima: Aspetti politico, sociale ed economico


(Governo aristocratico e nascita della classe samuraica)

§15. Periodo Heian (794-


Piano di HeiankyŇ ᐔ቟੩
1185/1192)

 Nel 794 l’imperatore Kan-


żKinkaku (Ⱥ§32)
mu (Kanmu tennŇ ᪂ᱞᄤ⊞
427 r. 781-806), per sottrarre la ż RyŇanji (Ⱥ§36)
Kitano Tenmangş (Ⱥ§16)
politica dello Stato alle inge-
ż Ginkaku (Ⱥ§32)
renze delle forze buddhiste
(ψ§12), trasferì la corte (chŇtei
Chion’in (Ⱥ§33)
ᦺᑨ428) a HeiankyŇ (ᐔ቟੩
429 lett. capitale della pace e
ż Yasaka jinja (Ⱥ§25)

della tranquillità, città attuale Rokuharamitsuji (Ⱥ§36)

di KyŇto ੩ㇺ430 ψcarta 7), SanjşsangendŇ (Ⱥ§36)


Stazione ferr. di KyŇto
nuova capitale imponente, co-
ż
struita anch’essa sul modello città odierna di KyŇto
Katsura rikyş (Ⱥ§54) TŇji (Ⱥ§23)
di Chang’an (Ch’ang-an 㐳቟ 0 2km
431 giapp. ChŇan). Da allora

427 Kan/mu/ ten/nŇ ᪂ non reg./non reg.ᱞ 448/1031 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297


428 chŇ/tei ᦺ 257/469 ᑨ 1493/1111
429 Hei/an/kyŇ ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ੩ 16/189
430 KyŇ/to ੩ 16/189 ㇺ 92/188
431 ChŇ/an 㐳 25/95 ቟ 128/105

75
per oltre mille anni la corte (chŇtei ᦺᑨ) rimase quasi sempre a HeiankyŇ ᐔ቟੩
/KyŇto ੩ㇺ, e di questo periodo fa parte la prima fase, detta periodo Heian (Heian
jidai ᐔ቟ᤨઍ 794-1185/1192), di circa 400 anni, durante il quale il potere effettivo
risiedeva alla corte (chŇtei ᦺᑨ).

ٟ En passant, si segnala che sotto certi aspetti sia HeijŇkyŇ ᐔၔ੩ (lett.
‘capitale-cittadella della pace’) sia HeiankyŇ ᐔ቟੩ (lett. ‘capitale della pace e
della tranquillità’) lasciavano molto a desiderare. Citeremo due tali esempi:
mancato ordine pubblico e scarsa igiene pubblica.
Si sa che in entrambe le città era assai precaria la sicurezza pubblica. Risulta
che la gente comune, quando usciva di casa, specie dopo il tramonto, doveva
portare con sé una spada o un arco e delle frecce per difendersi. Non venivano
risparmiate neanche le monache: in una canzonetta popolare allora in voga alla
capitale si trova, infatti, un verso come il seguente: ‘Non c’è monaca che non sia
armata di naginata (㐳ಷ432 lett. spada lunga)’ È da dire che a dispetto di come
venivano chiamate si trattava di città ben lontane dall’essere ‘tranquille’ e in ‘pace’.
Inoltre, adesso si sa per certo che si gettavano direttamente nei fossati scavati
ai due lati delle strade le acque di rifiuto e persino quelle dei pozzi neri, nonché le
immondizie. Si può facilmente immaginare come da questi piccoli focolai le
malattie infettive epidemiche si difondessero (ed infatti si diffondevano ripetuta-
mente) in un batter d’occhio su una vasta zona. Si può dire che diversamente da
quanto si immagina spontaneamente dalle opere letterarie ed artistiche d’alto
livello del tempo, igienicamente queste capitali dovrebbero essere state inaccet-
tabili.

 Dal punto di vista del regime politico è opportuno suddividere questo periodo in
tre fasi:

E T À A N T I C A ฎ ઍ
1192
794 969 1086 1185
p. NARA periodo H E I A N
ᄹ⦟ᤨઍ ᐔ ቟ ᤨ ઍ
dittatura dei Fujiwara insei
sistema ritsuryǀ ᓞ઎೙ᐲ sekkan seiji ៨㑐᡽ᴦ 㒮 ᡽
c. TENPYƿ c. KƿNIN-JƿGAN cultura NAZIONALE / cultura FUJIWARA
ᄤᐔᢥൻ ᒄੳ࡮⽵ⷰᢥൻ ࿖㘑ᢥൻ / ⮮ේᢥൻ

432 naginata 㐳 25/95 ಷ 1494/37

76
 Si è già detto che i tre periodi di Yamato (Yamato jidai ᄢ๺ᤨઍ), Nara (Nara jidai
ᄹ⦟ᤨઍ) e Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) costituiscono l’età antica (kodai ฎઍ433).
Sotto l’aspetto delle istituzioni politiche il periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ), difatti,
non andrebbe separato da quello precedente, ma culturalmente ha una sua propria
fisionomia che lo distingue; in particolare, nella storia della letteratura si è soliti tracciare
una linea netta fra i due periodi di Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) e Heian (Heian jidai ᐔ
቟ᤨઍ): la letteratura anteriore al trasferimento della capitale a HeiankyŇ (Heian sento
ᐔ቟ㆫㇺ434 794) viene spesso chiamata jŇdai bungaku (਄ઍᢥቇ435 lett. letteratura
dell’età superiore) e la letteratura che fa riscontro in pratica con quella del periodo
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) chşko bungaku (ਛฎᢥቇ436 lett. letteratura dell’antichità
media) o anche ŇchŇ bungaku (₺ᦺᢥቇ437 lett. letteratura di corte del sovrano).

§16. Dittatura dei Fujiwara e insei

SEKKAN All’inizio del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) vennero varati diversi
S E I J I provvedimenti finalizzati all’aggiustamento e alla rivitalizzazione del
sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ઎೙ᐲ) in ogni suo settore, ma con scarsi successi,
specie nel settore fondiario. In contrasto con il progressivo rilassamento dello Stato
ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ઎࿖ኅ), l’ascesa del Fujiwarashi (Fujiwarauji ⮮ේ᳁ψ§5, §7)
procedeva a ritmo accelerato in virtù sia della politica matrimoniale spinta sempre più
energicamente che degli intrighi orditi ai danni dei rivali.

ٟ < Sugawara no Michizane: vittima dei Fujiwara > Fra le vittime delle
macchinazioni dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) si ricorda Sugawara no Michizane
(⩲ේ㆏⌀438 845-903), uno dei massimi studiosi d’allora dell’istituto d’istruzione,
detto daigakuryŇ (ᄢቇኰ439 lett. università; chiamato anche daigaku ᄢቇ), per la
preparazione di funzionari statali.
 Fu eccezionalmente promosso a udaijin (ฝᄢ⤿ ψ§6) per controbilanciare i

433 ko/dai ฎ 373/172 ઍ 68/256


434 Hei/an/ sen/to ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ㆫ 1975/921 ㇺ 92/188
435 jŇ/dai/ bun/gaku ਄ 21/32 ઍ 68/256 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
436 chş/ko/ bun/gaku ਛ 13/28 ฎ 373/172 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
437 Ň/chŇ/ bun/gaku ₺ 499/294 ᦺ 257/469 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
438 Suga/wara/ no/ Michi/zane ⩲ non reg./non reg.ේ 132/136 ㆏ 129/149 ⌀ 278/422
439 dai/gaku/ryŇ ᄢ 7/26 ቇ 33/109 ኰ 1462/1323

77
Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁ ), ma nel 901, accusato falsamente da uno dei
Fujiwara di aver complottato contro l’imperatore, fu degradato ed esiliato al
Dazaifu (ᄢቿᐭ440 ψ§6) dove morì due anni dopo. Sono tramandati gli episodi
infausti accaduti dopo la sua morte ed attribuiti al suo spirito vendicativo (onryŇ ᕉ
㔤441 ψ§25). Venne annoverato tra i kami ␹ ed a lui furono dedicati i santuari
shintoisti Tenmangş ᄤḩች, fra cui Kitano Tenmangş (ർ㊁ᄤḩች442 detto
anche Kitano jinja ർ㊁␹␠443 o Kitano Tenjin ർ㊁ᄤ␹444) di KyŇto ੩ㇺ.
 Michizane ㆏⌀, al momento di lasciare KyŇto ੩ㇺ, compose il seguente
waka ๺᱌445 ben noto, guardando i fiori di ume * ᪢446 (pronuncia: [mme]) del
suo giardino:

ߎߜ็447߆߫ߦ߶߭߅ߎߖࠃ᪢ߩ⧎448޽ࠆߓߥߒߣߡᤐ449ࠍᔓ450
ࠆߥ
Kochi fukaba / nioi okose yo / ume* no hana /aruji nashitote / haru wo wasuru na
[Voi, fiori di ume*! Quando soffia il vento da est, emanate il vostro profumo.
Rimarrete senza il vostro padrone, ma non dimenticate la primavera.]
* pianta di origine cinese. I suoi fiori sono intensamente profumati e costituiscono
tradizionalmente uno degli argomenti preferiti di poesia waka ๺᱌. I suoi frutti,
chiamati anch’essi ume ᪢, sempre agri anche quando sono maturi ricordano a
prima vista albicocche immature. Molti dizionari bilingui erroneamente
identificano gli ume ᪢ con susine o prugne.

 ‫ ޣ‬SEKKAN SEIJI ‫ ޤ‬Nella seconda metà del IX secolo, furono ricoperti e


successivamente monopolizzati dai Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) due massimi organi
tra quanti creati in aggiunta a quelli dell’apparato burocratico stabilito dal ryŇ (ryŇge no
kan ઎ᄖቭ lett. organi istituiti all’esterno del ryŇ ઎; ryŇ ψ§5). Si tratta di sesshŇ (៨

440 Da/zai/fu ᄢ 7/26 ቿ 1826/1488 ᐭ 156/504


441 on/ryŇ ᕉ non reg./non reg.㔤 1361/1168
442 Kita/no/ Ten/man/gş ർ 103/73 ㊁ 85/236 ᄤ 364/141 ḩ 579/201 ች 419/721
443 Kita/no/ jin/ja ർ 103/73 ㊁ 85/236 ␹ 229/310 ␠ 30/308
444 Kita/no/ Ten/jin ർ 103/73 ㊁ 85/236 ᄤ 364/141 ␹ 229/310
445 wa/ka ๺ 151/124 ᱌ 478/392
446 ume ᪢ 1009/1734
447 fu/ku ็ 973/1255 ߊ (giapp. moderno: id.)
448 hana ⧎ 551/255
449 haru ᤐ 461/460
450 wasu/ru ᔓ 1095/1374 ࠆ (giapp. moderno: wasu/re/ru ᔓ 1095/1374 ࠇࠆ)

78
᡽451 reggente dell’imperatore minorenne) e kanpaku (㑐⊕452 [in sostanza] reggente
dell’imperatore maggiorenne) per l’esercizio delle funzioni sovrane.
 Uno dei meccanismi sfruttati dai Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) per salire e
rimanere al potere consisteva, come abbiamo già accennato a più riprese, nel dare in
sposa le proprie figlie agli imperatori, fare poi salire al trono principi-nipoti (spesso di
soli 6, 7 o 8 anni d’età) e manovrare gli affari dello Stato in qualità di parente materno
(gaiseki ᄖᚘ453) investito del titolo di sesshŇ ៨᡽ o kanpaku 㑐⊕.
 Al governo amministrato dalle due cariche di sesshŇ ៨᡽ e kanpaku 㑐⊕ si fa
riferimento con l’espressione di sekkan seiji (៨㑐᡽ᴦ454; sekkan ៨㑐 φ ses/shŇ ៨
᡽ 㧗 kan/paku 㑐⊕).
 ‫ޣ‬FUJIWARA NO MICHINAGA‫ޤ‬Il personaggio che rappresenta il successo
straordinario del Fujiwarashi ⮮ේ᳁ è Fujiwara no Michinaga (⮮ේ㆏㐳455 966-1027).
Dopo aver tenuto l’ufficio di sadaijin Ꮐᄢ⤿, ottenne la carica di sesshŇ ៨᡽. Lo Eiga
monogatari (䇺ᩕ⪇‛⺆䇻456 e anche 䇺ᩕ⧎‛⺆䇻 it. Storia di splendori ψ§22) riporta le
seguenti sue parole che costituiscono una testimonianza eloquente della gloria di
Michinaga ㆏㐳:

« Anche se muoio, non me ne lamenterò minimamente. Ho esercitato da solo il


potere supremo per oltre ben 30 anni.
Ho dato in moglie all’imperatore IchijŇ ৻᧦457 la primogenita ShŇshi ᓆሶ
458,che ha dato due imperatori, Go-IchijŇ ᓟ৻᧦459 e Go-Sujaku ᓟᧇ㓴. Ho
dato in sposa la secondogenita Kenshi ᅪ ሶ all’imperatore SanjŇ ਃ ᧦ , la
terzogenita Ishi ᆭሶ all’imperatore Go-IchijŇ ᓟ৻᧦. La quartogenita Kishi
ሜሶ andò sposa all’imperatore Go-Sujaku ᓟᧇ㓴 quando egli era ancora
principe ereditario, e partorì l’imperatore Go-Reizei ᓟ಄ᴰ.
Il primogenito Yorimichi 㗬㆏ è diventato sadaijin Ꮐᄢ⤿ con la carica di

451 ses/shŇ ៨ 1754/1692 ᡽ 50/483


452 kan/paku 㑐 104/398 ⊕ 266/205
453 gai/seki ᄖ 120/83 ᚘ non reg./non reg.
454 sek/kan/ sei/ji ៨ 1754/1692 㑐 104/398 ᡽ 50/483 ᴦ 181/493
455 Fuji/wara/ no/ Michi/naga ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ㆏ 129/149 㐳 25/95
456 Ei/ga/ mono/gatari 䇺ᩕ 745/723 ⪇ 807/1074 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻
457 Ichi/jŇ ৻ 4/2 ᧦ 391/564
458 ShŇ/shi ᓆ 1338/1827 ሶ 56/103
459 Go-/Ichi/jŇ ᓟ 45/48 ৻ 4/2 ᧦ 391/564

79
kanpaku 㑐⊕, e Norimichi ᢎㅢ ministro dell’interno (naidaijin ౝᄢ⤿460 [uno
dei ryŇge no kan ઎ᄖቭ461]). Yorimune 㗬ቬ e Yoshinobu ⢻ା sono nominati
gon-dainagon (ᮭᄢ⚊⸒462; gon ᮭ provvisorio, in soprannumero), e infine Nagaie
㐳ኅ gon-chşnagon (ᮭਛ⚊⸒; chşnagon ਛ⚊⸒ [uno dei ryŇge no kan ઎ᄖቭ]).
A partire dal nostro capostipite nessuno ha avuto una vita così gloriosa come
questa mia. Non credo che potremo ripeterla in avvenire. Perciò, trovandomi ora
sull’orlo della fossa, non ho niente di cui pentirmi ».

 Poi, secondo il diario ShŇyşki (䇺ዊฝ⸥䇻463 978-1032) di Fujiwara no Sanesuke (⮮


ේታ⾗ 957-1046), Michinaga ㆏㐳 avrebbe cantato, in occasione delle nozze della
terzogenita Ishi ᆭሶ, il seguente waka (๺᱌ ψ§11), paragonando se stesso ad una
luna piena:

 ߎߩ਎464ࠍ߫ᚒ465߇਎ߣߙᕁ466߰ᦸ᦬467ߩᰳ468ߌߚࠆߎߣ߽ߥߒߣᕁ߳߫
Kono yo woba / waga yo to zo omŇ / mochizuki no / kaketaru koto mo / nashi to omoeba
[Questo mondo, lo considero il mio, perché a me non manca nulla, così come non
manca niente ad una luna piena].

INSEI: GOVERNO DEGLI Verso la metà dell’XI secolo la dittatura dei


IMPERATORI ABDICATARI Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) cominciava a dare i
primi segni di declino, quando salì al trono l’imperatore Go-SanjŇ (Go-SanjŇ tennŇ ᓟ
ਃ᧦ᄤ⊞ 469 r. 1068-1072). Dopo oltre 100 anni sua madre era la prima a non

460 nai/dai/jin ౝ 51/84 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835


461 ryŇ/ge/ no/ kan ઎ 668/831 ᄖ 120/83 ቭ 225/326
462 gon-/dai/na/gon ᮭ 260/335 ᄢ 7/26 ⚊ 994/758 ⸒ 279/66
463 ShŇ/yş/ki 䇺ዊ 63/27 ฝ 503/76 ⸥ 147/371䇻
464 yo ਎ 152/252
465 wa/ga ᚒ 1392/1302 ߇
466 omŇ (omo/o) ᕁ 149/99 ߰ (giapp. moderno: omŇ ᕁ 149/99 ߁)
467 mochi/zuki ᦸ 361/673 ᦬ 26/17
468 ka/ku ᰳ 968/383 ߊ (giapp. moderno: ka/ke/ru ᰳ 968/383 ߌࠆ)
469 Go-/San/jŇ/ ten/nŇ ᓟ 45/48 ਃ 10/4 ᧦ 391/564 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297

80
discendere dalla linea sesshŇ e kanpaku (sekkanke ៨㑐ኅ470 lett. casa di sesshŇ ៨᡽ e
kanpaku 㑐⊕) dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁), ossia la linea principale, detta hokke
(ർኅ471 lett. casa settentrionale), dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) che aveva il diritto
esclusivo di fornire mogli agli imperatori (tennŇ ᄤ⊞).
 Fu questa l’occasione propizia per ripristinare l’autorità imperiale senza alcun timore.
Il suo successore l’imperatore Shirakawa (Shirakawa tennŇ ⊕ᴡᄤ⊞472 r. 1072-1086),
unanime con il Go-SanjŇ tennŇ ᓟ ਃ᧦ ᄤ⊞ , dopo l’abdicazione a favore d’un
giovanissimo figlio, continuò ad occuparsi degli affari dello Stato presso il suo in (㒮473
abitazione dell’imperatore abdicatario [jŇkŇ ਄⊞474] e di nobildonne d’alto rango),
istituendo una nuova forma di governo detta insei (㒮᡽475 it. governo claustrale,
[intermittentemente] 1086-1840).
Intorno al suo in 㒮 e a quelli dei suoi successori si formò un gruppo di sostenitori
anti-Fujiwara, molti dei quali zuryŇ (ฃ㗔476 ψ§17) arricchiti che simboleggiavano una
nuova emergente forza sorta nei villaggi agricoli; se si considera, inoltre, che lo insei 㒮
᡽ era sostenuto anche da un corpo armato, detto hokumen no bushi (ർ㕙ߩᱞ჻477
bushi-guardie del lato settentrionale dello in 㒮 ; bushi ᱞ ჻ ψ §18), alle dirette
dipendenze degli imperatori in ritiro, esso fu, in pratica, un potere transitorio foriero
dell’avvicinarsi d’un radicale mutamento istituzionale. Sotto lo insei 㒮᡽ il potere dei
Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) registrò un netto declino.

ٟ L’arco di circa un secolo che va dal 1086 (inizio dello insei 㒮᡽) al 1179
(soppressione dello insei 㒮᡽ ad opera di Taira no Kiyomori ᐔᷡ⋓478 ψ§18)
o al 1185 (battaglia di Dannoura [Dannoura no tatakai სࡁᶆߩᚢ޿479] ψ§18)
durante cui gli imperatori abdicatari, in concorrenza con gli imperatori in carica,
rappresentavano la massima autorità politica è chiamato spesso inseiki (㒮᡽ᦼ480
lett. periodo dello insei ).

470 sek/kan/ke ៨ 1754/1692 㑐 104/398 ኅ 81/165


471 hok/ke ർ 103/73 ኅ 81/165
472 Shira/kawa/ ten/nŇ ⊕ 266/205 ᴡ 698/389 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
473 in 㒮 236/614
474 jŇ/kŇ ਄ 21/32 ⊞ 964/297
475 in/sei 㒮 236/614 ᡽ 50/483
476 zu/ryŇ ฃ 223/260 㗔 338/834
477 hoku/men/ no/ bu/shi ർ 103/73 㕙 165/274 ߩᱞ 448/1031 ჻ 301/572
478 Taira/ no/ Kiyo/mori ᐔ 143/202 ᷡ 509/660 ⋓ 737/719
479 Dan/no/ura/ no/ tataka/i ს 1384/1839 ࡁᶆ 856/1442 ߩᚢ 88/301 ޿
480 in/sei/ki 㒮 236/614 ᡽ 50/483 ᦼ 119/449

81
§17. Sviluppo delle proprietà terriere

 Si è già detto che in seguito al riconoscimento (743) di privatizzazione del terreno


dissodato ex-novo, gli shŇen ⨿࿦481 in possesso dei cortigiani altolocati della capitale e
dei monasteri si andavano moltiplicando durante l’VIII e il IX secolo. Si tratta di shŇen
⨿࿦ chiamati dagli storici specificamente jikonchikei shŇen (⥄ნ࿾♽⨿࿦482 lett. shŇen
formati per dissodamento per conto proprio)

CROLLO DELLA BASE Parallelamente a quanto sopra si rivelava sempre più


DELLO STATO RITSURYņ impraticabile il regime fondiario Handen shşju no hŇ (⃰
↰෼᝼ᴺ483 ψ§6), che pertanto agli inizi del X secolo fu abbandonato definitiva-
mente. In pratica ciò segnò la fine dello Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ઎࿖ኅ).

SHņEN INDIPENDEN- Originariamente gli shŇen ⨿࿦ erano stati soggetti ad


T I DA L L O S TAT O una tassazione identica a quella del regime tributario (ψ
§6) istituito dal ritsuryŇ ᓞ઎, ma a partire dal IX-X secolo i loro proprietari (shŇen ryŇshu
⨿࿦㗔ਥ484), ossia nobili residenti alla capitale e istituti religiosi, facendo valere la
propria autorità, cominciarono ad ottenere, in proporzioni sempre più cospicue,
l’esenzione dalle imposte (fuyu no ken ਇャᮭ485) e, in un secondo tempo, anche la
facoltà di respingere l’intervento dei poteri di polizia dello Stato (funyş no ken ਇ౉ᮭ
486). A questo punto gli shŇen ⨿࿦ equivalsero, per così dire, a zone extraterritoriali.

Ai coltivatori (shŇmin ⨿᳃ 487 lett. abitanti di shŇen), però, furono ugualmente


imposti il tributo nengu (ᐕ⽸488 lett. tributo annuale; tributo che corrispondeva in
pratica all’imposta so [⒅489 ψ§6] del sistema ritsuryŇ) e la corvée che finivano poi nelle
tasche dei proprietari di shŇen (shŇen ryŇshu ⨿࿦㗔ਥ). Erano, come dire, evasioni fiscali
legittimate pubblicamente.

481 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447


482 ji/kon/chi/kei/ shŇ/en ⥄ 53/62 ნ 1962/1136 ࿾ 40/118 ♽ 786/908 ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447
483 Han/den/ shş/ju/ no/ hŇ ⃰ 1448/1381 ↰ 24/35 ෼ 411/757 ᝼ 558/602 ᴺ 145/123
484 shŇ/en/ ryŇ/shu ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447 㗔 338/834 ਥ 91/155
485 fu/yu/ no/ ken ਇ 134/94 ャ 424/546 ᮭ 260/335
486 fu/nyş/ no/ ken ਇ 134/94 ౉ 74/52 ᮭ 260/335
487 shŇ/min ⨿ 1208/1327 ᳃ 70/177
488 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
489 so ⒅ 1481/1083

82
SHņEN FORMATI I nobili d’alto rango della capitale ed i templi non erano gli
PER DONAZIONE unici a possedere shŇen ⨿࿦: a causa della progressiva disfun-
zione dello Handen shşju no hŇ ⃰↰෼᝼ᴺ, che a lungo andare finiva, per forza di cose,
col permettere la privatizzazione, per così dire, automatica dei kubunden (ญಽ↰490 ψ
§6), i potenti locali (ossia gŇzoku ⽕ᣖ) con in testa i gunji (㇭ม491 ψ§6) e il ceto
superiore dei coltivatori pervennero, anch’essi, ad essere dei proprietari (myŇshu ฬਥ
492) di possedimenti (myŇden ฬ↰493 lett. terre che portano il nome del proprietario) di

una certa consistenza.


Essi come tali, tuttavia, non avevano forza sufficiente a far fronte alle ingerenze
prepotenti dei kokushi ࿖ม494 e dei rivali, tanto meno quindi ad ottenere l’immunità
fiscale al pari dei personaggi prestigiosi (kenmon seika ᮭ㐷൓ኅ495 p.es. Fujiwarashi ⮮
ේ᳁). Ricorsero allora ad un accorgimento, quello di chiedere a un kenmon seika ᮭ㐷
൓ኅ di agire da prestanome in cambio di un compenso periodico e continuarono
ugualmente ad occuparsi degli affari dei terreni, facendosi nominare dai donatari (ryŇke
㗔ኅ496) amministratore (shŇkan ⨿ቭ497). A volte accadeva che i donatari (ryŇke 㗔ኅ),
non sentendosi molto sicuri, si rivolgevano a loro volta ad un superiore (honke ᧄኅ498)
per ottenere appoggio e protezione. Così, si formarono shŇen ⨿࿦ chiamati più
propriamente kishinchikei shŇen (ነㅴ࿾♽⨿࿦499 shŇen formati per donazione).
 ‫ޣ‬SHņEN E SOVRASTRUTTURA‫ޤ‬Mediante il meccanismo descritto qui sopra,
a partire dal X secolo, le terre private si concentrarono almeno nominalmente nelle
mani di pochi alti personaggi e istituti religiosi. Il governo aristocratico e la cultura
aristocratica del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) poggiavano non soltanto sui
lauti stipendi elargiti dallo Stato, ma anche sulle ricchezze provenienti da una immensa
mole di shŇen ⨿࿦ così accumulatisi in mano a pochi privilegiati che erano proprietari
assenti.

490 ku/bun/den ญ 213/54 ಽ 35/38 ↰ 24/35


491 gun/ji ㇭ 797/193 ม 712/842
492 myŇ/shu ฬ 116/82 ਥ 91/155
493 myŇ/den ฬ 116/82 ↰ 24/35
494 koku/shi ࿖ 8/40 ม 712/842
495 ken/mon/ sei/ka ᮭ 260/335 㐷 385/161 ൓ 365/646 ኅ 81/165
496 ryŇ/ke 㗔 338/834 ኅ 81/165
497 shŇ/kan ⨿ 1208/1327 ቭ 225/326
498 hon/ke ᧄ 15/25 ኅ 81/165
499 ki/shin/chi/kei/ shŇ/en ነ 545/1361 ㅴ 125/437 ࿾ 40/118 ♽ 786/908 ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447

83
KOKUSHI PARAGONABILI Da ultimo, riguardo alla terra sotto il diretto controllo
AD ALTI CORTIGIANI dei kokushi ࿖ม, detta kokugaryŇ (࿖ⴟ㗔500 terreni
pubblici di proprietà dello Stato; kokuga ࿖ⴟ ψ§6), la situazione non differiva molto.
In seguito alla nascita dei myŇshu ฬਥ i compiti dei kokushi ࿖ม si ridussero a
uno solo: quello di riscuotere il più alto numero di imposte e versarne al fisco solo una
quantità stabilita; tutto il resto veniva intascato con l’avallo tacito del governo. È quindi
evidente che per i nobili di medio e basso rango, i posti di kokushi ࿖ม istituzional-
mente loro riservati costituivano vere miniere d’oro. L’avidità dei kokushi ࿖ม, insieme
a quella dei jitŇ (࿾㗡501 ψ§27) del periodo successivo, è passata alla storia.

ٟ En passant, ricordiamo che a partire dalla metà del periodo Heian (Heian jidai
ᐔ ቟ ᤨ ઍ ) i kokushi ࿖ ม furono chiamati solitamente zuryŇ ( ฃ 㗔 502
[originariamente] subentro al predecessore) e quasi tutte le scrittrici-dame di corte
(ψ§22) della letteratura Heian (Heian bungaku ᐔ቟ᢥቇ503, chşko bungaku ਛฎ
ᢥቇ lett. letteratura dell’antichità media, ŇchŇ bungaku ₺ᦺᢥቇ504 it. letteratura
di corte Heian) erano figlie di zuryŇ ฃ㗔.

§18. Nascita ed ascesa della classe dei guerrieri; gli Heishi e i Genji

SITUAZIONI SOCIO- L’allentamento del potere dello Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka
POLITICHE LOCALI ᓞ઎࿖ኅ) sfociò in un elevato assenteismo nei compiti da
parte dei cortigiani, la cui gestione, poi, degli shŇen ⨿࿦, era ben lungi dall’essere da
loro svolta, personalmente. Molti kokushi ࿖ม, dal canto loro, anziché recarsi ad
occupare le proprie cariche in provincia, non si muovevano dalla capitale (yŇnin ㆝છ505
lett. allontanamento dal compito) e riscuotevano ugualmente le loro spettanze.
Le situazioni socio-politiche locali erano pertanto in stato di abbandono, ed ai più
abili e spregiudicati tutto ciò forniva cospicui vantaggi.

500 koku/ga/ryŇ ࿖ 8/40 ⴟ non reg./non reg.㗔 338/834


501 ji/tŇ ࿾ 40/118 㗡 386/276
502 zu/ryŇ ฃ 223/260 㗔 338/834
503 Hei/an/ bun/gaku ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
504 Ň/chŇ/ bun/gaku ₺ 499/294 ᦺ 257/469 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
505 yŇ/nin ㆝ non reg./non reg.છ 310/334

84
NASCITA All’epoca in cui i Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) godevano del loro
DEI BUSHI secolo d’oro alla capitale, nelle province stava emergendo una nuova
forza, che oggi viene chiamata degli storici giapponesi bushi (ᱞ჻506 guerriero; it.
samurai ଂ507).
Costoro, sia pure di diverse origini, avevano comunque dei terreni agricoli in
proprio all’interno degli shŇen ⨿࿦ o dei kokugaryŇ (࿖ⴟ㗔 ψ§17) e loro stessi li
amministravano direttamente a differenza dei cortigiani che continuarono ad abitare alla
capitale. Col tempo poi dovettero armarsi per difendere i propri interessi di fronte ad
una situazione fattasi di anarchia. Si organizzarono inoltre in gruppi chiamati bushidan
ᱞ჻࿅508 con il rapporto reciproco di « fedeltà – protezione »; in un secondo tempo
più bushidan ᱞ჻࿅ si coalizzarono, sempre mediante vassallaggio, in unità maggiori,
ciascuna sotto il comando di un capo carismatico, detto tŇryŇ ᫟᪞509, del gruppo
nucleare. Così, sorsero qua e là diversi corpi armati di grande organico.
 ‫ޣ‬CRESCITA DEI BUSHI E LORO INGRESSO ALLA CAPITALE‫ ޤ‬I bushi
ᱞ჻ si battevano per estendere la propria sfera d’influenza; non solo, ma capitavano
ogni tanto casi di insurrezione di taluni bushi ᱞ჻ e le sollevazioni venivano poi
represse dai bushi ᱞ჻ stessi.

ٟ Del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) sono ben noti i seguenti due casi di
insurrezione:
‫ ڏ‬Taira no Masakado no ran ( ᐔ዁㐷ߩੂ 510 lett. Ribellione di Taira no
Masakado, prima metà X sec.), tentativo di indipendenza di Taira no Masakado
(ᐔ዁㐷 ?-940). Si proclamò shinnŇ (ᣂ⊞511 lett. nuovo tennŇ ᄤ⊞).
‫ ڏ‬Fujiwara no Sumitomo no ran (⮮ේ⚐෹ߩੂ512 lett. Ribellione di Fujiwara
no Sumitomo, prima metà X sec.), pirateria di Fujiwara no Sumitomo (⮮ේ⚐
෹ ?-941), ex-kokushi ࿖ม fattosi pirata capo.

 La forza dei bushi ᱞ჻ e la loro preparazione militare avevano da tempo attirato


l’attenzione e l’apprezzamento dei nobili che, vista la propria incapacità di agire di
fronte ai disordini, cominciarono ad invitarli alla capitale per la propria sicurezza

506 bu/shi ᱞ 448/1031 ჻ 301/572


507 samurai ଂ 1823/571
508 bu/shi/dan ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 ࿅ 172/491
509 tŇ/ryŇ ᫟ 1899/1406 ᪞ non reg./non reg.
510 Taira/ no/ Masa/kado/ no/ ran ᐔ 143/202 ዁ 561/627 㐷 385/161 ߩੂ 734/689
511 shin/nŇ ᣂ 36/174 ⊞ 964/297
512 Fuji/wara/ no/ Sumi/tomo/ no/ ran ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ⚐ 828/965 ෹ 543/264 ߩੂ 734/689

85
personale. Ciò soprattutto perché in quei tempi (e anche nei secoli successivi) i monaci
armati chiamati sŇhei ( ௯ ౓ 513 lett. monaci-soldati) mantenuti dai grandi templi
buddhisti, in particolare dal KŇfukuji ⥝⑔ኹ514 di Nara ᄹ⦟ e dall’Enryakuji (ᑧᥲ
ኹ515 ψ§23), per l’esigenza di difesa dei loro shŇen ⨿࿦ si davano spesso ad atti di
prepotenza anche nei confronti del chŇtei ᦺᑨ con richieste esorbitanti, e per giunta,
non di rado, si scatenavano in combattimenti tra di loro, spargendo disordini per la
capitale.
Fatto sta che i monasteri che erano stati un tempo il baluardo di garanzia della pace
dello Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ઎࿖ኅ) erano cresciuti e divenuti una potenza
terrena che sfidava lo Stato.

ٟ Riguardo agli atti prepotenti e sfrenati dei sŇhei ௯౓ l’imperatore abdicatario


Shirakawa hŇŇ (⊕ᴡᴺ⊞516 insei 1086-1129 ψ§16; hŇŇ ᴺ⊞: titolo assunto
dagli imperatori che avevano abdicato e si erano fatti monaci) avrebbe deplorato
che tre cose sfuggivano al suo controllo: Il fiume Kamogawa (⾐⨃Ꮉ517, ട⨃Ꮉ
o anche 㡞Ꮉ) ingrossato, i dadi da gioco e i sŇhei ௯౓ dell’Enryakuji ᑧᥲኹ.
ٟ La parola samurai ଂ deriva dal fatto che durante la seconda metà del periodo
Heian (Heian jidai ᐔ ቟ ᤨ ઍ ) essi servivano (servire: saburŇ ଂ ߰ 518 e
successivamente samurŇ ଂ߰ per mutamento fonetico), come guardie, la famiglia
imperiale e la classe aristocratica.
I due termini bushi ᱞ჻ e samurai ଂ possono essere considerati in pratica
sinonimi, anche se a rigore non coincidono perfettamente. Mentre la tradizione
storiografica occidentale ricorre di solito all’uso della parola samurai ଂ, quella
giapponese adotta invece il termine bushi ᱞ჻, e samurai ଂ non è mai usato
neppure nei testi di storia giapponese ad uso delle scuole elementari. Ciò perché
quest’ultima è una parola autoctona (yamato kotoba ᄢ๺⸒⪲519 ψ§22) e come
tale agli orecchi dei giapponesi suona fin troppo infantile.

513 sŇ/hei ௯ 1423/1366 ౓ 447/784


514 KŇ/fuku/ji ⥝ 695/368 ⑔ 450/1379 ኹ 687/41
515 En/ryaku/ji ᑧ 758/1115 ᥲ 1793/1534 ኹ 687/41
516 Shira/kawa/ hŇ/Ň ⊕ 266/205 ᴡ 698/389 ᴺ 145/123 ⊞ 964/297
517 Ka/mo/gawa ⾐ 778/756 ⨃ 1166/1467 Ꮉ 111/33
518 saburŇ ଂ 1823/571 ߰ (pronuncia: sabura/u Ⱥ saburŇ)
519 yamato/ koto/ba ᄢ 7/26 ๺ 151/124 ⸒ 279/66 ⪲ 405/253

86
GHI HEISHI Di uji (᳁ ψ§4) militari detti buke (ᱞኅ520 termine contrapposto a
versus I GENJI kuge ౏ኅ521, cioè alla nobiltà di corte) ce n’erano due spiccatamente
influenti: Heishi (ᐔ᳁522 o anche Tairauji ᐔ᳁) e Genji (Ḯ᳁523 o anche Minamotouji
Ḯ᳁).
Ambedue erano discendenti di kokushi ࿖ม di origine imperiale (shinseki kŇka ⤿
☋㒠ਅ524 lett. discesa all’anagrafe di suddito ψ§22) che, senza tornare alla capitale, si
erano stabilizzati in province e si occupavano della gestione agricola. Erano, per così
dire, i sangue blu della nascente classe samuraica, quindi i tŇryŇ ᫟᪞525 più prestigiosi.

ٟ La seguente canzonetta popolare canta sull’emergere dei bushi ᱞ჻ attraverso


la figura di Minamoto no Yoshiie (Ḯ⟵ኅ 1039-1106) detto Hachiman TarŇ ౎
ᐈᄥ㇢, noto per le sue doti militari particolarmente brillanti:
Nel profondo delle montagne / abitato da aquile, / come potrebbero vivere /
gli uccelli ordinari? / Benché chiamato / ugualmente Genji, / Hachiman TarŇ /
fa paura. (dal RyŇjin hishŇ 䇺᪞Ⴒ⒁ᛞ䇻526 1170 ca.)

 ‫ޣ‬GLORIA EFFIMERA DEGLI HEISHI ‫ ޤ‬Nel 1156 e nel 1159 si ebbero


conflitti all’interno del kuge ౏ኅ, ossia della nobiltà di corte (chŇtei ᦺᑨ), e per
entrambi gli scontri l’ordine venne ristabilito ad opera del buke ᱞኅ, specie per merito
di Taira no Kiyomori (ᐔᷡ⋓527 1118-1181), capo degli Heishi ᐔ᳁. Egli prese in
pugno le redini dello Stato in pochi anni, ma a dispetto del fatto che i tempi erano
ormai profondamente mutati non seppe istituire una nuova forma di governo, bensì
riprodusse in pratica una copia esatta del secolo d’oro dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ
᳁) quasi sotto ogni aspetto (p.es. forma di governo, economia basata sugli shŇen ⨿࿦,
politica matrimoniale, vita quotidiana dedita agli svaghi ecc.), e proprio in questo
risiedette il suo maggior errore. Gli splendori degli Heishi ᐔ᳁ furono di brevissima
durata.

520 bu/ke ᱞ 448/1031 ኅ 81/165


521 ku/ge ౏ 122/126 ኅ 81/165
522 Hei/shi࡮Taira/uji ᐔ 143/202 ᳁ 177/566
523 Gen/ji࡮Minamoto/uji Ḯ 827/580 ᳁ 177/566
524 shin/seki/ kŇ/ka ⤿ 981/835 ☋ 1463/1198 㒠 787/947 ਅ 72/31
525 tŇ/ryŇ ᫟ 1899/1406 ᪞ non reg./non reg.
526 RyŇ/jin/ hi/shŇ 䇺᪞ non reg./non reg.Ⴒ non reg./non reg.⒁ 865/807 ᛞ 1970/1153䇻
527 Taira/ no/ Kiyo/mori ᐔ 143/202 ᷡ 509/660 ⋓ 737/719

87
Lo Heike monogatari ( 䇺 ᐔ ኅ ‛ ⺆ 䇻 528 it. Storia dei Taira ψ §34), opera
sostanzialmente letteraria ma anche fedele ai fatti storici, racconta come gli Heike (ᐔኅ
sinonimo di Heishi ᐔ᳁ e Tairauji ᐔ᳁) dovessero essere annientati dai Genji Ḯ᳁
nella battaglia navale di Dannoura (Dannoura no tatakai სࡁᶆߩᚢ޿ 529 , 1185;
Dannoura სࡁᶆ ψcarta 5) dopo una serie di scontri armati Genji Ḯ᳁ vs Heishi
ᐔ᳁ chiamati, nel loro insieme, genpei gassen (Ḯᐔวᚢ530 lett. battaglie Genji-Heishi,
1180-1185).
 Toccò, così, a Minamoto no Yoritomo (Ḯ㗬ᦺ531 ψ§27), capo dei Genji Ḯ᳁
vittoriosi, il compito di aprire una pagina assolutamente nuova della storia giapponese.

Parte seconda: Cultura

§19. Fine dell’invio di missioni culturali in Cina

ADATTAMENTO DELLA CULTURA Durante i primi 40-50 anni del periodo


CINESE ALLA REALTÀ GIAPPONESE Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) fu inviata
in Cina due volte la missione culturale kentŇshi (㆜໊૶532 ψ§8) e tramite questo canale
ufficiale vennero introdotte in Giappone due nuove scuole buddhiste (ψ§23). Il terzo
invio fu progettato per l’anno 894 con Sugawara no Michizane ⩲ේ㆏⌀ quale
ambasciatore, che però propose e ottenne l’abolizione dei kentŇshi ㆜໊૶ (l’anno
dell’ultimo invio: 838), visto che la dinastia dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ), per quanto
fosse stata gloriosa, era ormai in netto declino e il suo impero prossimo allo sfacelo
(907).

528 Hei/ke/ mono/gatari 䇺ᐔ 143/202 ኅ 81/165 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻


529 Dan/no/ura/ no/ tataka/i ს 1384/1839 ࡁᶆ 856/1442 ߩᚢ 88/301 ޿
530 gen/pei/ gas/sen Ḯ 827/580 ᐔ 143/202 ว 46/159 ᚢ 88/301
531 Minamoto/ no/ Yori/tomo Ḯ 827/580 㗬 706/1512 ᦺ 257/469
532 ken/tŇ/shi ㆜ 1180/1173 ໊ 1668/1697 ૶ 226/331

88
 Nel X secolo sotto il governo sekkan seiji ៨㑐᡽ᴦ533 l’adattamento progressivo
della cultura cinese alla realtà giapponese produsse come risultato una cultura
aristocratica, chiamata letteralmente ‘cultura alla maniera/di carattere nazionale’,
‘cultura tipicamente giapponese’ (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ534 termine contrapposto alla
cultura dei Tang, T’ang ໊ detta tŇfş bunka ໊㘑ᢥൻ535) oppure, specie nel campo
delle belle arti anche cultura Fujiwara (Fujiwara bunka ⮮ේᢥൻ536), e le tradizioni del
kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ continuarono a condizionare lo sviluppo della cultura giap-
ponese per lunghi secoli successivi.
 ‫ޣ‬INTERSCAMBI PRIVATI CON LA CINA‫ޤ‬Malgrado la sospensione nell’anno
894 dei rapporti ufficiali con la Cina, dalla metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨ
ઍ) alla metà del periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ537 1185/1192-1333
ψ§27), specie durante il governo di Taira no Kiyomori ᐔᷡ⋓, furono condotti su
base privata scambi commerciali con la Cina della dinastia Song (Sung ቡ538 giapp. SŇ,
960-1279) sorta sulle rovine dell’impero Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ, 618-907). Si
vedevano monaci buddhisti recarsi in Cina a studiare tramite questo canale privato.

§20. Cultura nazionale (kokufş bunka) e classe aristocratica

CULTURA RAFFINATA La cultura nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ) nel suo


MA ANCHE INSANA complesso è definita di solito raffinata, elegante, delicata,
armoniosa, effeminata, d’alto livello, libera da influssi cinesi, unica al mondo ecc. Non
sarebbe giusto negare tali qualità, ma questo tipo di valutazione non è sufficiente.
 Fondamentalmente, la cultura nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ) è una cultura
creata dalla classe privilegiata per essere poi fruita dalla stessa classe che l’aveva
prodotta.
Si è detto che i cortigiani dimenticarono completamente di essere funzionari statali.
Le loro mansioni consistevano in poche cose: eseguire, secondo il calendario
prestabilito e tramandato per secoli, cerimonie e feste in conformità delle prassi rituali e

533 sek/kan/ sei/ji ៨ 1754/1692 㑐 104/398 ᡽ 50/483 ᴦ 181/493


534 koku/fş/ bun/ka ࿖ 8/40 㘑 246/29 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
535 tŇ/fş/ bun/ka ໊ 1668/1697 㘑 246/29 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
536 Fuji/wara/ bun/ka ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
537 Kama/kura/ ji/dai ㎨ 1277/2257 ୖ 708/1307 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
538 SŇ ቡ non reg./non reg.

89
convenzioni (yşsoku kojitsu ᦭ ⡯ ᡿ ታ 539 ), e assistere alle funzioni religiose.
Diversamente dai funzionari del periodo del Man’yŇshş (䇺ਁ⪲㓸䇻540 ψ§11), i loro
interessi erano limitati alla capitale HeiankyŇ ᐔ቟੩, alla natura che la circondava e alla
loro stessa vita chiusa. Tutte le altre cose, quali la natura di altre regioni o la vita
quotidiana delle masse, essi le ignoravano totalmente come se non esistessero.
Quanto stava loro a cuore era darsi agli svaghi, fare una rapida carriera politica,
riuscire nel maggior numero possibile di avventure galanti ed ammirare, in primavera,
fiori di ciliegio, e, in autunno, la luna. È vero che in campo letterario-artistico sono
descritte o dipinte, già raramente però, anche le figure di contadini al lavoro, ma è
impossibile riconoscere in loro, donne o uomini che fossero, una qualsiasi compren-
sione o simpatia verso chi lavorava. Per loro i contadini erano semplicemente degli
oggetti facenti parte degli aspetti stagionali al pari dei fiori di ciliegio, della luna, della
neve, dei venti, delle foschie, dei canti di cuculi e di usignoli (kachŇ fşgetsu ⧎㠽㘑᦬541
lett. fiori, uccelli, venti e luna, ossia paesaggi naturali considerati quali temi di opere
artistiche e letterarie) su cui continuarono a poetare per secoli, chissà perché, senza
avvertirne noia alcuna.
La cultura nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ) era, dunque, anche insana, esagerata-
mente convenzionale e riservata ad una cerchia ristrettissima, sia socialmente che geo-
graficamente.

§21. Nascita dei kana

Agli inizi del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) nacquero due gruppi di
scrittura hiragana ᐔ઒ฬ542 e katakana  ઒ฬ543 derivati ambedue dai man’yŇgana (ਁ
⪲઒ฬ544 ψ§11), ovvero dai caratteri cinesi (kanji ṽሼ545) usati come fonogrammi.
 Generalmente, nei periodi precedenti per rappresentare graficamente, per esempio,
il suono /ka/, si adoperava qualsiasi kanji ṽሼ che avesse questa pronuncia. Nel

539 yş/soku/ ko/jitsu ᦭ 268/265 ⡯ 335/385 ᡿ 455/173 ታ 89/203


540 Man’/yŇ/shş 䇺ਁ 96/16 ⪲ 405/253 㓸 168/436䇻
541 ka/chŇ/ fş/getsu ⧎ 551/255 㠽 932/285 㘑 246/29 ᦬ 26/17
542 hira/ga/na ᐔ 143/202 ઒ 1322/1049 ฬ 116/82
543 kata/ka/na   905/1045 ઒ 1322/1049 ฬ 116/82
544 man’/yŇ/ga/na ਁ 96/16 ⪲ 405/253 ઒ 1322/1049 ฬ 116/82
545 kan/ji ṽ 1394/556 ሼ 612/110

90
Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 sono usati, ad esempio, oltre 10 kanji ṽሼ diversi per questo
suono. Tuttavia, con l’andar del tempo, per ciascun suono venne ad essere utilizzato un
numero di kanji ṽሼ sempre minore scelti fra i più semplici, e verso la fine del
periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ 710-794) per il suono /ka/ ad esempio, se ne
adoperavano soltanto alcuni: ട, น, 㑄, ⾐ e pochi altri, mentre alla fine del
processo di eliminazione questi pochi kanji ṽሼ rimasti vennero schematizzati o
spezzettati fino a diventare nuovi simboli grafici molto semplici, chiamati oggi hiragana
(ᐔ઒ฬ p.es. ߆, ߈, ߊ) e katakana ( ઒ฬ p.es. ࠞ, ࠠ, ࠢ).

HIRAGANA Gli hiragana ᐔ઒ฬ rappresentano ciascuno, per così dire, la resa
corsiva di un intero kanji (p.es. ട ψ ߆). Le donne usavano
esclusivamente questa scrittura, ragion per cui furono chiamati scrittura da donna
(onnade ᅚᚻ546 lett. mano della donna). Durante tutto il periodo Heian (Heian jidai ᐔ
቟ᤨઍ), diversamente dal giapponese scritto odierno, vennero usati solitamente senza
essere mescolati con i kanji ṽሼ.

ࠎ ࠊ ࠄ ߿ ߹ ߪ ߥ ߚ ߐ ߆ ޽
ᣡ ๺ ⦟ ਽ ᧃ ᵄ ᄹ ᄥ Ꮐ ട ቟
ࠋ ࠅ ޿ ߺ ߭ ߦ ߜ ߒ ߈ ޿
ὑ ೑ એ ⟤ Ყ ੳ ⍮ ਯ ᐞ એ
߁ ࠆ ࠁ ߻ ߰ ߧ ߟ ߔ ߊ ߁
ቝ ⇐ ↱ ᱞ ਇ ᅛ Ꮉ ኸ ਭ ቝ
ࠌ ࠇ ߃ ߼ ߳ ߨ ߡ ߖ ߌ ߃
ᕺ ␞ ⴩ ᅚ ㇱ ␼ ᄤ ਎ ⸘ ⴩
ࠍ ࠈ ࠃ ߽ ߶ ߩ ߣ ߘ ߎ ߅
㆙ ํ ਈ Ძ ଻ ਫ ᱛ ᦥ Ꮖ ᣈ

KATAKANA D’altra parte, i katakana  ઒ฬ sono, ciascuno, un frammento


estratto da un determinato kanji (p.es. ട ψ ࠞ). Furono monaci e
studiosi ad escogitarli come segni ausiliari per leggere o, per meglio dire, tradurre in
giapponese testi in cinese chiamati kanbun ṽᢥ547.

546 onna/de ᅚ 178/102 ᚻ 42/57


547 kan/bun ṽ 1394/556 ᢥ 136/111

91
ࡦ ࡢ ࡜ ࡗ ࡑ ࡂ ࠽ ࠲ ࠨ ࠞ ࠕ
ዌ ๺ ⦟ ਽ ᧃ ౎ ᄹ ᄙ ᢔ ട 㒙
ࡣ ࡝ ࠗ ࡒ ࡅ ࠾ ࠴ ࠪ ࠠ ࠗ
੗ ೑ દ ਃ Ყ ࠾ ජ ਯ ᐞ દ
࠙ ࡞ ࡙ ࡓ ࡈ ࠿ ࠷ ࠬ ࠢ ࠙
ቝ ᵹ ↱ — ਇ ᅛ Ꮊ 㗇 ਭ ቝ
ࡤ ࡟ ࠛ ࡔ ࡋ ࡀ ࠹ ࠮ ࠤ ࠛ
ᕺ ␞ ᳯ ᅚ ㇱ ␼ ᄤ ਎ ੺ ᳯ
ࡥ ࡠ ࡛ ࡕ ࡎ ࡁ ࠻ ࠰ ࠦ ࠝ
਱ ํ ਈ Ძ ଻ ਫ ᱛ ᦥ Ꮖ ᣈ

ٟ Letteralmente kanbun ṽᢥ significa testi in cinese del periodo Han ṽ. Sul


piano effettivo, invece, testi scritti della Cina nei tempi antichi. La parola Kan (ṽ
cin. Han, Han) è usata cioè in riferimento alla Cina di ogni epoca senza limitarsi
alla Cina degli Han.
Sono chiamati kanbun ṽᢥ anche i testi che i giapponesi scrivevano in cinese
o più spesso in cinese grammaticalmente scorretto o poco appropriato. Tali kanbun
ṽᢥ in pseudo-cinese si chiama, a stretto rigore, hentai kanbun (ᄌ૕ṽᢥ548 lett.
testi in cinese anomalo).

 ‫ޣ‬HEITAIGANA E CALLIGRAFIA ARTISTICA‫ޤ‬Come si è detto sopra, per un


dato suono c’erano più man’yŇgana ਁ⪲઒ฬ, e quindi altrettante forme diverse di kana
઒ฬ. Per un lungo periodo fino agli inizi del XX secolo tutte le forme, specie quelle
del gruppo hiragana ᐔ઒ฬ, continuarono ad essere usate parallelamente. L’insieme di
kana ઒ฬ in forma diversa dagli hiragana ᐔ઒ฬ attualmente in uso si chiama
hentaigana (ᄌ૕઒ฬ549 lett. kana a forma diversa).
 Che gli hiragana ᐔ઒ฬ stentassero tanto a lungo ad unificarsi trova le cause nella
calligrafia artistica detta shodŇ (ᦠ㆏550 ψ§24); in altre parole, se la loro unificazione
ritardava è perché, diversamente dai katakana  ઒ฬ adibiti ad un uso strettamente
pratico, agli hiragana ᐔ઒ฬ si richiedeva di soddisfare anche esigenze di varietà a fini
estetici.
 ‫ޣ‬SIGNIFICATO STORICO‫ޤ‬Come si capisce dal caso del Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻
rivelatosi illeggibile già nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ), con i soli kanji ṽሼ

548 hen/tai/ kan/bun ᄌ 324/257 ૕ 110/61 ṽ 1394/556 ᢥ 136/111


549 hen/tai/ga/na ᄌ 324/257 ૕ 110/61 ઒ 1322/1049 ฬ 116/82
550 sho/dŇ ᦠ 130/131 ㆏ 129/149

92
è impossibile effettuare, in lingua scritta, comunicazioni precise e spedite. È chiaro
perciò che il ruolo svolto dai kana ઒ฬ può dirsi incalcolabilmente prezioso. A
riprova di ciò basti ricordare che tutta la mole di produzione letteraria della cultura
nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ) sarebbe stata certamente ineffettuabile senza l’uso
degli hiragana ᐔ઒ฬ.

§22. Letteratura

TRADIZIONE DELLA LET- Ai tempi di ShŇtoku taishi (⡛ᓼᄥሶ 574-622 ψ


TERATURA IN CINESE §5), per non parlare degli immigrati (toraijin ᷰ᧪
ੱ) e dei loro discendenti che servivano il governo Yamato (Tamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ)
come scribi, c’era già un certo numero di giapponesi, fra cui il citato principe, in grado
di leggere e scrivere il cinese. Da allora fino al XIX secolo incluso, per gli intellettuali di
sesso maschile la padronanza del cinese, lingua aulica e dotta, e gli studi sinologici
costituivano parte indispensabile della loro preparazione culturale.
Tradizionalmente era dato per scontato che essi si servissero del cinese per scrivere
(p.es. per tenere un diario, per scrivere opere di speculazione). Ma ciò non fu tutto. Essi
si dedicarono anche al componimento di poesie in cinese (kanshi ṽ⹞551 ψ§11).
Durante i secoli dei kenzuishi ㆜㓍૶ e dei kentŇshi (㆜໊૶ ψ§8) comporre poesia in
cinese era assai di moda; in particolare, la prima metà del IX secolo (ossia mezzo secolo
iniziale del periodo Heian) ne vide una tale fioritura da essere chiamata spesso kokufş
ankoku jidai (࿖㘑ᥧ㤥ᤨઍ552 lett. tempi bui per la maniera nazionale, ovvero tempi
sfavorevoli al waka; waka ๺᱌ ψ§11). Difatti, durante detto periodo per opere
letterarie s’intendevano le poesie in cinese (kanshi ṽ⹞).
 ‫ޣ‬LINGUA CINESE LETTA ALLA GIAPPONESE‫ޤ‬Qui sopra si è detto che in
passato gli intellettuali maschi sapevano leggere testi in cinese. A stretto rigore, ciò non
significa, tuttavia, che leggessero il cinese come lingua straniera: leggevano testi cinesi
come se fossero scritti in giapponese con il metodo cosiddetto kundoku (⸠⺒553 lett.
lettura con la pronuncia giapponese), servendosi cioè dell’aspetto semantico dei
caratteri cinesi.
Così, quasi tutti i giapponesi che andarono a studiare in Cina avevano bisogno di

551 kan/shi ṽ 1394/556 ⹞ 1094/570


552 koku/fş/ an/koku/ ji/dai ࿖ 8/40 㘑 246/29 ᥧ 1044/348 㤥 317/206 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
553 kun/doku ⸠ 1059/771 ⺒ 484/244

93
ricorrere ad un interprete, visto che non avevano padronanza del cinese come lingua
straniera in senso vero e proprio.

ٟ Il kundoku ⸠⺒ è l’insieme di metodo e tecniche per leggere o, meglio,


tradurre in giapponese classico testi cinesi. Anche adesso i giapponesi, quando
affrontano testi in cinese antico, ricorrono al metodo kundoku (⸠⺒ ψ§53).
Leggere i numeri arabi (1, 2, 3 ...) dicendo ‘uno, due, tre ...’ , ‘ichi, ni, san ...’ o
‘one, two, three ...’ non si differisce sostanzialmente dal kundoku ⸠⺒, in quanto i
significati rappresantati dai segni 1, 2, 3 ... vengono espressi o, meglio, resi in
italiano, in giapponese o in inglese. Il kundoku ⸠⺒, quindi, non è monopolio dei
giapponesi: anche gli italofoni lo eseguono inconsciamente nella vita di tutti i
giorni!

LETTERATURA DEL PE- Durante il periodo aureo della cultura nazionale


RIODO DEI FUJIWARA (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ) fu prodotta dalle dame di
compagnia (nyŇbŇ ᅚᚱ) un’enorme quantità di opere letterarie (nyŇbŇ bungaku ᅚᚱᢥ
ቇ554 lett. letteratura di dame di corte). È un fenomeno considerato unico al mondo.
Che cosa le spinse a prendere il pennello?
 ‫ޣ‬ISTITUZIONI FAMILIARI, NOBILDONNE HEIAN E LETTERATU-
RA‫ޤ‬A questo punto bisogna esaminare quali erano le istituzioni familiari dell’età antica,
mettendone subito in rilievo due aspetti: poliginia e il cosiddetto tsumadoikon ᆄ໧ᇕ,
ossia istituzione matrimoniale secondo cui la moglie abita nella casa nativa (sato ㉿555)
insieme con i genitori, e il marito che abita altrove la visita a casa sua di notte. Sia per
rispondere alla domanda di cui sopra, che per interpretare correttamente la letteratura e
certe canzonette popolari (minkan kayŇ ᳃㑆᱌⻦556) del periodo Heian (Heian jidai ᐔ
቟ᤨઍ) e delle età posteriori, bisogna tenere presente che, anche senza parlare di
poliginia, lo tsumadoikon ᆄ໧ᇕ operava ai danni delle donne. Molte opere narrative di
questo periodo possono con ragione essere chiamate letteratura dell’infelicità delle
donne.
 < Vita coniugale delle nobildonne Heian > La società primitiva giapponese era
matriarcale. Durante il periodo del sistema shisei (shisei seido ᳁ᆓ೙ᐲ557 ψ§4), tuttavia,
il matriarcato venne man mano sostituito dal patriarcato, e ciò causò un abbassamento
progressivo dello status della donna. Ciononostante, si può dire che durante il periodo

554 nyŇ/bŇ/ bun/gaku ᅚ 178/102 ᚱ 772/1237 ᢥ 136/111 ቇ 33/109


555 sato ㉿ 1077/142
556 min/kan/ ka/yŇ ᳃ 70/177 㑆 27/43 ᱌ 478/392 ⻦ 1531/1647
557 shi/sei/ sei/do ᳁ 177/566 ᆓ 1766/1746 ೙ 196/427 ᐲ 83/377

94
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ), sotto l’aspetto economico, le donne, specie le contadine
la cui manodopera era preziosa, godevano ancora d’una posizione sociale relativamente
alta.
 La classe aristocratica non si occupava di alcuna attività produttiva, e quindi donne
di quel ceto avevano ben poca ragion d’essere oltre che costituire l’oggetto dell’amore
degli uomini. Per questo, pur dicendo che godevano ancora d’uno status relativamente
elevato, sotto l’aspetto affettivo, erano deboli, soprattutto a causa della poliginia e
dell’istituzione tsumadoikon ᆄ໧ᇕ.
 Si potrebbe schematizzare la vita coniugale dei nobili Heian (Heian kizoku ᐔ቟⾆
ᣖ558) nel modo che segue: l’uomo ha più mogli, e ogni moglie abita nella casa nativa e
deve aspettare che suo marito la visiti a casa sua. L’uomo, d’altro canto, ha una piena
libertà di frequentare sempre la stessa moglie o di corteggiarne qualcun’altra. Non è
difficile immaginare quanto, in tali condizioni, le donne soffrissero, sia del timore che
un giorno i loro mariti cessassero di colpo di frequentarle, sia per gelosia, venendo a
sapere che i mariti frequentavano altre donne. Si presume che, in ultima analisi, fossero
l’angoscia e la consapevolezza dell’infelicità femminile ad indurre le dame di compagnia
(nyŇbŇ ᅚ ᚱ ) in servizio presso i massimi circoli culturali a rivolgersi all’attività
letteraria.

ٟ Più avanti alla voce‫ޣ‬NIKKI ‫ޤ‬avremo modo di vedere un esempio della vita
infelice di nobildonne Heian.
ٟ Un paio di canzonette popolari cantate sullo sfondo del tsumaidoikon ᆄ໧ᇕ:
‫ ڏ‬Il mio amore / l’altro ieri non si è fatto vedere, / ieri non è venuto. / Se oggi
non ci sarà la sua visita, / domani come faccio / a sopportarne la mancanza?
(dal RyŇjin hishŇ 䇺᪞Ⴒ⒁ᛞ䇻559 1170 ca.)
‫ ڏ‬Vieni, vieni, vieni da me. / Hai già iniziato a farmi visita / e caso mai non
venissi più, / la gente pettegolerebbe sul mio conto. / Vieni pure, senza
complimenti. (dal Kanginshş 䇺㑄ี㓸䇻560 1518)

 Un’ultima cosa da aggiungere: se le dame di corte (nyŇbŇ ᅚᚱ) possedevano una


sufficiente preparazione culturale tale da permettere loro di darsi all’attività letteraria, è
perché i loro padri, appartenenti alla classe zuryŇ (ฃ㗔561 ψ§17) arricchita, si erano
preoccupati di fornire alle figlie un’istruzione tale da consentirne l’ingresso alla corte

558 Hei/an/ ki/zoku ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ⾆ 1119/1171 ᣖ 599/221


559 RyŇ/jin/ hi/shŇ 䇺᪞ non reg./non reg.Ⴒ non reg./non reg.⒁ 865/807 ᛞ 1970/1153䇻
560 Kan/gin/shş 䇺㑄 1645/1532 ี 1805/1250 㓸 168/436䇻
561 zu/ryŇ ฃ 223/260 㗔 338/834

95
(kyştei ችᑨ562 residenza dell’imperatore; cfr. chŇtei ᦺᑨ ψ§4), avendo pur sempre di
mira di trarne un vantaggio per la propria carriera politica.

 Tre sono i generi che rappresentano la letteratura della cultura nazionale (kokufş
bunka ࿖㘑ᢥൻ): waka ๺᱌563, nikki (ᣣ⸥564 lett. diario) e monogatari (‛⺆565 lett.
narrativa, racconto).
 ‫ޣ‬WAKA ‫ޤ‬Successivamente al periodo detto dei ‘tempi bui per il waka ๺᱌’ (kokufş
ankoku jidai ࿖㘑ᥧ㤥ᤨઍ), nel clima generale della nipponizzazione della cultura
cinese (ψ§19), era ritornato di moda il waka ๺᱌, e agli inizi del X secolo venne
compilato il Kokin [waka]shş (䇺ฎ੹[๺᱌]㓸䇻566 it. Raccolta di poesie giapponesi antiche e
moderne, 905; Il termine waka ๺᱌ viene frequentemente omessa.), la prima della serie
di 21 raccolte (nijşichidaishş ੑච৻ઍ㓸 567 ) che, sul modello appunto del Kokin
[waka]shş 䇺ฎ੹[๺᱌]㓸䇻 ritenuto a lungo l’antologia più autorevole di waka ๺᱌,
vennero via via compilate per ordine imperiale nell’arco di oltre 500 anni. Contiene
poco più di 1.100 waka (per la precisione tanka ⍴᱌568, poesie cioè che seguono lo
schema di 5-7-5-7-7) di diversi autori, permeate prevalentemente di un tono soave,
idealistico e soggettivo (kokinchŇ ฎ੹⺞569 lett. tono del Kokin [waka]shş).
Eccone un paio di esempi:

 ਎570ߩਛߦߚ߃ߡ᪉571ߩߥ߆ࠅߖ߫ᤐ572ߩᔃ573ߪߩߤߌ߆ࠄ߹ߒ
Yo no naka ni / taete sakura no / nakariseba / haru no kokoro wa /
nodokekaramashi
[Se non ci fosse un solo ciliegio in questo mondo, l’animo in primavera
sarebbe sereno.]

562 kyş/tei ች 419/721 ᑨ 1493/1111


563 wa/ka ๺ 151/124 ᱌ 478/392
564 nik/ki ᣣ 1/5 ⸥ 147/371
565 mono/gatari ‛ 126/79 ⺆ 274/67
566 Ko/kin/ [wa/ka]/shş 䇺ฎ 373/172 ੹ 146/51[๺ 151/124 ᱌ 478/392]㓸 168/436䇻
567 ni/jş/ichi/dai/shş ੑ 6/3 ච 5/12 ৻ 4/2 ઍ 68/256 㓸 168/436
568 tan/ka ⍴ 789/215 ᱌ 478/392
569 ko/kin/chŇ ฎ 373/172 ੹ 146/51 ⺞ 108/342
570 yo ਎ 152/252
571 sakura ᪉ 1121/928
572 haru ᤐ 461/460

96
Autore: Ariwara no Narihira (࿷ේᬺᐔ574 825-880)

⑺575᧪576ߧߣ⋡577ߦߪߐ߿߆ߦ⷗578߃ߨߤ߽㘑579ߩ߅ߣߦߙ߅ߤࠈ߆ࠇߧ

Aki kinu to / me niwa sayakani / mienedomo / kaze no oto ni zo / odorokarenuru
[Anche se non vedo chiari segni dell’autunno, resto sorpreso ad udire il vento.]
Autore: Fujiwara no Toshiyuki (⮮ේᢅⴕ580 ?-905)

᦬581⷗582ࠇ߫ߜߝߦ߽ߩߎߘᖤ583ߒߌࠇࠊ߇り584߭ߣߟߩ⑺ߦߪ޽ࠄߨߤ
Tsuki mireba / chijini mono koso / kanashikere / waga mi hitotsu no / aki niwa aranedo
[La luna, a guardarla, mi spezza il cuore. E pensare che non sono solo io ad essere in
autunno.]
Autore: ņe no Chisato (ᄢᳯජ㉿585 ?-?)

 ‫ޣ‬NIKKI ‫ޤ‬La tradizione letteraria nikki ᣣ⸥ trae origine dal Tosa nikki (䇺࿯૒ᣣ
⸥䇻586 it. Diario di Tosa, 935 ca.) di Ki no Tsurayuki (♿⽾ਯ587 872?-945?), uno dei
massimi intellettuali di allora e uno dei compilatori del Kokin [waka]shş 䇺ฎ੹[๺᱌]
㓸䇻588.

573 kokoro ᔃ 139/97


574 Ari/wara/ no/ Nari/hira ࿷ 243/268 ේ 132/136 ᬺ 54/279 ᐔ 143/202
575 aki ⑺ 540/462
576 ku ᧪ 113/69 (giapp. moderno: ku/ru ᧪ 113/69 ࠆ)
577 me ⋡ 65/55
578 mi/yu ⷗ 48/63 ࠁ (giapp. moderno: mi/e/ru ⷗ 48/63 ߃ࠆ)
579 kaze 㘑 246/29
580 Fuji/wara/ no/ Toshi/yuki ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ᢅ 1381/1735 ⴕ 31/68
581 tsuki ᦬ 26/17
582 mi/ru ⷗ 48/63 ࠆ (giapp. moderno: id.)
583 kana/shi ᖤ 1032/1034 ߒ (giapp. moderno: kana/shi/i ᖤ 1032/1034 ߒ޿)
584 mi り 331/59
585 ņ/e/ no/ Chi/sato ᄢ 7/26 ᳯ 517/821 ජ 79/15 ㉿ 1077/142
586 To/sa/ nik/ki 䇺࿯ 316/24 ૒ 285/1744 ᣣ 1/5 ⸥ 147/371䇻
587 Ki/ no/ Tsura/yuki ♿ 930/372 ⽾ 1128/914 ਯ 697/2004
588 Ko/kin/ [wa/ka]/shş 䇺ฎ 373/172 ੹ 146/51[๺ 151/124 ᱌ 478/392]㓸 168/436䇻

97
 < Tosa nikki > Si tratta del diario di 55 giorni tenuto da Tsurayuki ⽾ਯ durante
il viaggio di ritorno alla capitale dalla provincia di Tosa (Tosa no kuni ࿯૒࿖ ψcarta
6; oggi KŇchi-ken 㜞⍮⋵589) dove teneva l’ufficio di kokushi ࿖ม.
 Come si è rilevato, gli uomini, specie i funzionari pubblici, solevano servirsi del
cinese per scrivere. D’altronde tenere un diario è un’attività che rientra nella vita privata;
nel diario uno esprime il proprio mondo interiore. Per dire la verità, la lingua cinese e le
parole di origine cinese poco si addicevano a tale fine (e poco si addicono anche adesso).
Tsurayuki ⽾ਯ (di sesso maschile) preferì, così, tenere il suo diario di viaggio in
giapponese, e quindi si vide costretto a servirsi degli hiragana ᐔ઒ฬ considerati allora
scrittura da donna (onnade ᅚᚻ ψ§21), ragion per cui dovette iniziare l’opera con la
seguente dichiarazione ben nota:

« Ho sentito dire che gli uomini tengano diari. Sono una donna, ma anch’io
terrò un diario ».

ٟ Nella lingua giapponese c’è un’opposizione netta fra parole autoctone (yamato
kotoba ᄢ๺⸒⪲590 chiamate anche wago ๺⺆591 ) e parole di origine cinese
(kango ṽ⺆592). I giapponesi operano una innata distinzione fra le prime e le
seconde, scegliendo quelle che meglio si addicono per esprimere lo stato d’animo e
per svolgere attività intellettuale.
Le poesie che un tempo gli intellettuali lasciavano (e a volte anche adesso
lasciano) in punto di morte (jisei no uta ㄉ਎ߩ᱌593 lett. poesia di chi lascia il
mondo) furono (e sono) uno o due waka ๺᱌ composti esclusivamente di yamato
kotoba ᄢ๺⸒⪲. Le dolci parole d’amore sono tutte yamato kotoba ᄢ๺⸒⪲;
infatti, una confessione d’amore fatta in kango ṽ⺆ suonerebbe falsa.
Per contro, ad esempio, le pubblicazioni di carattere accademico sono ricolme
di kango ṽ⺆. Qualora fossero redatte in yamato kotoba ᄢ๺⸒⪲, rischierebbero
di essere giudicate poco scientifiche, poco accademiche indipendentemente dal
contenuto.

 Dopo Tsurayuki ⽾ਯ la produzione letteraria del genere nikki ᣣ⸥ passò nelle

589 KŇ/chi/ ken 㜞 49/190 ⍮ 207/214 ⋵ 195/194


590 yamato/ koto/ba ᄢ 7/26 ๺ 151/124 ⸒ 279/66 ⪲ 405/253
591 wa/go ๺ 151/124 ⺆ 274/67
592 kan/go ṽ 1394/556 ⺆ 274/67
593 ji/sei/ no/ uta ㄉ 868/688 ਎ 152/252 ߩ᱌ 478/392

98
mani delle dame di corte (nyŇbŇ ᅚᚱ). La prima di una serie di questo filone fu il KagerŇ
nikki.
 < KagerŇ nikki > Il KagerŇ nikki (䇺ⱳⰭᣣ⸥䇻594 it. Diario di un’effimera, 974?)
scritto dalla madre di Fujiwara no Michitsuna (Fujiwara no Michitsuna no haha ⮮ේ㆏
✁Უ595 [oggi chiamata così, in quanto il suo nome resta ignoto], 935?-995) ci fornisce
un esempio tipico di mogli infelici.
 Nell’opera è denunciato insistentemente il tragico modo di essere della vita
coniugale dell’autrice stessa. Suo marito è Fujiwara no Kaneie (⮮ේ౗ኅ596, 929-990),
padre di Fujiwara no Michinaga (⮮ේ㆏㐳 ψ§16), quindi un alto personaggio. Anche
l’autrice è di origine nobiliare, ma di medio rango (zuryŇ ฃ㗔, per l’appunto). Da
questo rapporto sbilanciato scaturiscono inevitabilmente frizioni. Per suo marito, che
sta facendo una carriera brillantissima, essa, figlia d’un piccolo nobile, non è che un
semplice oggetto di svago. Il marito la tradisce in continuazione ed è sempre pronto a
fare la corte ad altre. A dispetto di tutti gli sforzi dell’autrice, la situazione peggiora. Il
marito le si allontana sempre di più. Così, anche l’autrice, suo malgrado, finisce per
essere scontrosa e perversa, e alla fine cerca un ultimo filo di speranza di vita nel suo
unico figlio Michitsuna ㆏✁, non avendo altre alternative, condizionata com’è dai
limiti invalicabili dei suoi tempi. Dice: « Data la precarietà delle cose, mi sento sospesa
fra l’essere e il non essere. Chiamerò, perciò, questo mio il diario di un’effimera ».
 < Makura no sŇshi: inizio del genere zuihitsu > Sia pure di natura alquanto
diversa dal nikki ᣣ⸥ si ebbe il Makura no sŇshi (䇺ᨉ⨲ሶ䇻597 it. Appunti del guanciale,
1000 ca.) in cui l’autrice Sei ShŇnagon (ᷡዋ⚊⸒ 598 966?-1021/1027?), dama al
servizio di una consorte (di sangue Fujiwara ⮮ේ) dell’imperatore IchijŇ (IchijŇ tennŇ
৻᧦ᄤ⊞ r. 986-1011), espose in modo vivido le sue impressioni ed opinioni sulla
natura e sulla vita della corte, dando inizio al genere cosiddetto zuihitsu (㓐╩599 lett.
lasciarsi guidare dal pennello; [raccolta di] appunti ed osservazioni occasionali su quanto
avviene nella società e nella vita di tutti i giorni; miscellanea).
 L’opera, anche se le osservazioni ivi esposte si rivelano a volte frivole, è considerata
una delle gemme della letteratura Heian.
 ‫ޣ‬MONOGATARI 䇽 Si tratta del genere che ebbe origine dalla fusione di due filoni

594 Kage/rŇ/ nik/ki 䇺ⱳ non reg./non reg.Ⱝ non reg./non reg.ᣣ 1/5 ⸥ 147/371䇻
595 Fuji/wara/ no/ Michi/tsuna/ no/ haha ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ㆏ 129/149 ✁ 1250/1609 Უ 554/112
596 Fuji/wara/ no/ Kane/ie ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ౗ 1042/1081 ኅ 81/165
597 Maku/ra/ no/ sŇ/shi 䇺ᨉ non reg./non reg.⨲ 705/249 ሶ 56/103䇻
598 Sei/ ShŇ/na/gon ᷡ 509/660 ዋ 231/144 ⚊ 994/758 ⸒ 279/66
599 zui/hitsu 㓐 1364/1741 ╩ 940/130

99
di natura diversi rappresentati
x dal Taketori monogatari (䇺┻ข‛⺆䇻600 it. Storia di un tagliabambù, inizi X sec.;
narrativa fantastica familiare ai bambini giapponesi con il titolo di Kaguyahime 䇺߆ߋ߿
ᆢ䇻601, fanciulla meravigliosa venuta dalla luna), e
x dall’Ise monogatari (䇺દ൓‛⺆䇻602 it. Racconti di Ise, inizi X sec.; raccolta di poesie
waka ๺᱌ con note introduttive sulla vita sentimentale di Ariwara no Narihira ࿷ේ
ᬺᐔ603 825-880, uomo reputato di bell’aspetto).

 < Genji monogatari > Appartiene a questo genere uno dei massimi capolavori (o
il massimo capolavoro secondo non pochi degli studiosi e critici letterari) dell’intera
letteratura giapponese: Genji monogatari (䇺Ḯ᳁‛⺆䇻604 it. Storia di Genji, 1008?-1014?)
di Murasaki Shikibu (⚡ᑼㇱ605 978?-?), dama di corte (nyŇbŇ ᅚᚱ).
Dopo la morte del marito, l’autrice entrò al servizio di una consorte (diversa da
quella servita da Sei ShŇnagon ᷡዋ⚊⸒) dell’imperatore IchijŇ (IchijŇ tennŇ ৻᧦ᄤ
⊞). Giacché la padrona era una figlia di Fujiwara no Michinaga (⮮ේ㆏㐳 ψ§16), il
Genji monogatari 䇺Ḯ᳁‛⺆䇻, insieme con il Makura no sŇshi 䇺ᨉ⨲ሶ䇻, fu un frutto
della gloria dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁).
 Romanzo fiume di mole eccezionale, il suo intreccio assai complesso si svolge, sullo
sfondo del pensiero buddhista, intorno a due protagonisti. I personaggi che si
presentano nel romanzo ammontano ad oltre 300, tutti con una propria personalità. Il
pennello dell’autrice penetra in profondità la psicologia umana.
 L’opera costituisce, inoltre, una miniera di informazioni sulla vita e sulla società
dell’aristocrazia Heian (Heian kizoku ᐔ቟⾆ᣖ606).
 Eccone un sunto ridotto ad una mera esposizione di principali vicende appena
sufficienti per seguire l’evolversi della storia:

SOMMARIO DELLA TRAMA

Sotto chissà quale regno, c’era una dama di lignaggio non molto alto, chiamata Kiritsubo
no kŇi (᩿ᄃᦝ⴩607; Kiritsubo ᩿ᄃ lett. Cortile di Paulonia, nome della camera, in cui

600 Take/tori/ mono/gatari 䇺┻ 719/129 ข 190/65 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻


601 Ka/gu/ya/hime 䇺߆ߋ߿ᆢ 1534/1757䇻
602 Ise/ mono/gatari 䇺દ 603/2011 ൓ 365/646 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻
603 Ari/wara/ no/ Nari/hira ࿷ 243/268 ේ 132/136 ᬺ 54/279 ᐔ 143/202
604 Gen/ji/ mono/gatari 䇺Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻
605 Murasaki/ Shiki/bu ⚡ 1489/1389 ᑼ 185/525 ㇱ 37/86
606 Hei/an/ ki/zoku ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ⾆ 1119/1171 ᣖ 599/221

100
abitava la dama in parola, dei palazzi imperiali [dairi ౝⵣ]; kŇi ᦝ⴩ alto titolo di dame al
servizio in camera da letto del tennŇ ᄤ⊞)
La nobildonna degnata dal sovrano di tutta la sua attenzione diede alla luce una gemma di
principe, ma si ammalò e morì, non sapendo resistere al disprezzo e alle gelosie delle sue
colleghe invidiose della preferenza accordatale dall’imperatore.

ٟ È erroneo giudicare e criticare le usanze giapponesi di mille anni fa con la


legge morale cristiana del XX-XXI secolo.
Nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) in cui vigeva la poliginia non
esisteva una netta distinzione tra consorti (imperiali) e dame (predilette dal tennŇ

607 Kiri/tsubo/ no/ kŇ/i ᩿ 1569/2110 ᄃ non reg./non reg.ᦝ 978/1008 ⴩ 1019/677
608 mi/yasun/dokoro ᓮ 620/708 ᕷ 872/1242 ᚲ 107/153
609 shin/seki/ kŇ/ka ⤿ 981/835 ☋ 1463/1198 㒠 787/947 ਅ 72/31
610 Hikaru/ Gen/ji శ 417/138 Ḯ 827/580 ᳁ 177/566
611 Aoi/ no/ ue ⫓ non reg./non reg.਄ 21/32
612 Fuji/tsubo/ no/ nyŇ/go ⮮ 206/2231 ᄃ non reg./non reg.ᅚ 178/102 ᓮ 620/708
613 Utsu/semi ⓨ 233/140 ⱻ non reg./non reg.
614 Yş/gao ᄕ 627/81 㗻 527/277
615 Murasaki/ no/ ue ⚡ 1489/1389 ਄ 21/32
616 Rei/zei/tei ಄ 607/832 ᴰ 902/1192 Ꮲ 1024/1179
617 Oboro/zuku/yo/ no/ kimi ᧀ non reg./non reg.᦬ 26/17 ᄛ 258/471 ำ 700/793
618 Su/ma 㗇 936/2263 ⏴ 1376/1531
619 Aka/shi ᣿ 84/18 ⍹ 276/78
620 Aka/shi/ no/ hime/gimi ᣿ 84/18 ⍹ 276/78 ᆢ 1534/1757 ำ 700/793
621 dai/jŇ/ dai/jin ᄥ 343/629 ᡽ 50/483 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
622 Roku/jŇ/in ౐ 20/8 ᧦ 391/564 㒮 236/614
623 jŇ/do ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24
624 Uji/jş/jŇ ቝ 757/990 ᴦ 181/493 ච 5/12 Ꮭ non reg./non reg.
625 Kaoru/ dai/shŇ ⮍ 1735/1774 ᄢ 7/26 ዁ 561/627
626 Onna/ san/ no/ miya ᅚ 178/102 ਃ 10/4 ች 419/721
627 U/ji/gawa ቝ 757/990 ᴦ 181/493 Ꮉ 111/33
628 ņi/ gimi ᄢ 7/26 ำ 700/793
629 Naka/ no/ kimi ਛ 13/28 ำ 700/793
630 NiŇ/ no/ miya ൬ non reg./non reg.ች 419/721
631 Aka/shi/ no/ chş/gş ᣿ 84/18 ⍹ 276/78 ਛ 13/28 ች 419/721
632 kŇ/gŇ ⊞ 964/297 อ 1759/1119
633 Uki/fune ᶋ 1047/938 ⥱ 1334/1094
634 Yo/kawa/ no/ sŇ/zu ᮮ 297/781 Ꮉ 111/33 ௯ 1423/1366 ㇺ 92/188
635 Gen/shin Ḯ 827/580 ା 198/157

101
ᄤ⊞). Non si possono quindi definire queste ultime quali concubine o amanti
nell’accezione odierna, carica di una certa connotazione. Tutte le dame che
partorivano principi e principesse erano, agli occhi del mondo, ugualmente
consorti dette miyasundokoro (ᓮᕷᚲ608 lett. posto di riposo del tennŇ ᄤ⊞) e
non avevano nulla da temere sotto l’aspetto morale.

Il principe intanto crebbe sano sotto una cura amorevole del padre, il quale, preoccupato
per l’avvenire di questo figlio prediletto che sarebbe rimasto senza sostenitori influenti da
parte materna dopo il suo ritiro dal trono, preferì ridurlo al rango di suddito (shinseki kŇka ⤿
☋㒠ਅ609 lett. discesa all’anagrafe di suddito), creando così per lui un nuovo casato non
imperiale di nome Genji Ḯ᳁. Un po’ per la sua straordinaria bellezza fisica e un po’ per il
suo talento, la gente lo chiamò Hikaru Genji (శḮ᳁610 lett. Genji lo splendente).

ٟ Ai tempi di Murasaki Shikibu ⚡ᑼㇱ il matriarcato, sia pure in corso di


declino, si faceva tuttora sentire, quindi per fare una carriera brillante era molto
importante avere parenti influenti in linea materna.
ٟ Shinseki kŇka ⤿☋㒠ਅ: provvedimento preso per diversi motivi. Anche gli
Heishi ᐔ᳁ e i Genji Ḯ᳁, discendevano dalla famiglia imperiale per shinseki
kŇka ⤿☋㒠ਅ.

All’età di 12 anni, com’era consuetudine in quei tempi, Genji Ḯ᳁ diventò mag-


giorenne; gli fu data in sposa Aoi no ue (⫓਄611; Aoi ⫓ malva; ue ਄ suffisso posto al
nome della consorte d’un nobile) di 16 anni, figlia del ministro della sinistra (sadaijin Ꮐᄢ⤿
ψ§6). Egli però non ne rimase contento; fatto sta che nel suo cuore alloggiava l’immagine di
una persona indimenticabile: Fujitsubo no nyŇgo (⮮ᄃᅚᓮ612; Fujitsubo ⮮ᄃ lett. Cortile
di Glicine, nome della camera di questa nyŇgo; nyŇgo ᅚᓮ titolo di dame di un rango
superiore al kŇi ᦝ⴩) di 17 anni, portata a corte, al posto della defunta madre di Genji Ḯ
᳁, per la sua somiglianza a quest’ultima. L’affezione quale quella filiale di Genji Ḯ᳁ per
lei si era mutata col tempo in un tenero sentimento verso l’altro sesso. Tuttavia, data la
condizione (quella cioè di essere consorte del padre-imperatore) in cui si trovava Fujitsubo no
nyŇgo ⮮ᄃᅚᓮ, ovviamente c’era un limite invalicabile.
Ebbe inizio così una serie di avventure galanti insaziabili di Genji Ḯ᳁ con diverse
nobildonne (p.es. Utsusemi ⓨⱻ613, Yşgao ᄕ㗻614 ecc.).
A 18 anni, in un monastero nei pressi della capitale, Genji Ḯ᳁ trova per caso una
graziosa fanciulla sui 10 anni dal volto che ricorda Fujitsubo no nyŇgo ⮮ᄃᅚᓮ. La porta a
casa sua con l’intento di allevarla, con le proprie mani, per farne un giorno sua compagna
ideale. È Murasaki no ue (⚡਄615; Murasaki ⚡ viola), donna saggia e modesta (e l’unica che
si possa definire relativamente felice tra tutte quelle descritte nel Genji monogatari Ḯ᳁‛⺆).
Quasi nello stesso tempo Genji Ḯ᳁ finisce con l’avere segretamente un rapporto con
Fujitsubo no nyŇgo ⮮ᄃᅚᓮ. Dall’unione nasce un maschio che sarà un giorno l’imperatore
Reizei (Reizeitei ಄ᴰᏢ616; tei Ꮲ sinonimo di tennŇ ᄤ⊞). Genji Ḯ᳁ e Fujitsubo no

102
nyŇgo ⮮ᄃᅚᓮ si tormentano profondamente.
L’ambiente che circanda Genji Ḯ᳁ prende intanto una brutta piega: comincia a farsi
sentire l’autorità del ministro della destra (udaijin ฝᄢ⤿ ψ§6), rivale del suocero di Genji
Ḯ᳁. Per giunta egli combina un grosso guaio; intreccia una relazione con Oborozukuyo no
kimi (ᧀ᦬ᄛำ617; Oborozukuyo ᧀ᦬ᄛ lett. notte con la luna velata di nuvole; kimi ำ
suffisso onorifico), figlia del ministro della destra (udaijin ฝᄢ⤿), e la relazione venne
scoperta.
Vistosi costretto ad allontanarsi dalla capitale, si trattiene per un paio d’anni a Suma (㗇
⏴618 ψcarta 7) e Akashi (᣿⍹619 ψcarta 7), dove viene a conoscere Akashi no ue ᣿⍹਄,
figlia di un ex-kokushi (࿖ม ψ§6) arricchito, la quale darà a Genji Ḯ᳁ una figlia descritta
come Akashi no himegimi (᣿⍹ᆢำ620; himegimi ᆢำ espressione onorifica di figlia d’un
nobile).
A 28 anni Genji Ḯ᳁ fu autorizzato a rientrare alla capitale.
L’anno seguente sale al trono l’imperatore Reizei (Reizei tei ಄ᴰᏢ, ossia figlio di Genji
Ḯ᳁ e Fujitsubo no nyŇgo ⮮ᄃᅚᓮ), ed egli apprende che il suo vero padre è Genji Ḯ᳁.
Prendono ora l’avvio gli anni d’oro del protagonista. Viene promosso a daijŇ daijin (ᄥ᡽
ᄢ⤿621 ψ§6). Genji Ḯ᳁, a 33 anni, non è più quello di prima. È un uomo giudizioso con
una brillante carriera alle spalle. Fa costruire un palazzo quanto mai sontuoso di nome
RokujŇin ౐᧦㒮622; lì ospita tutte le donne con cui ha avuto a che fare e conduce una vita
piena di gusto di rara squisitezza. Il RokujŇin ౐᧦㒮, con le sue quattro zone di primavera,
estate, autunno ed inverno, costituisce, per così dire, un paradiso terrestre paragonabile alla
Terra Pura (jŇdo ᵺ࿯623 ψ§23).
Murasaki no ue ⚡਄ muore a 43 anni. L’anno seguente Hikaru Genji శḮ᳁, ormai di
52 anni, si decide a farsi monaco ed esce di scena.

‫ܮ‬

Gli ultimi 10 capitoli (su un totale di 54), comunemente detti nel loro complesso UjijşjŇ (ቝᴦච
Ꮭ624 dieci capitoli di Uji; Uji ቝᴦ ψcarta 7), costituiscono in pratica la parte seconda.
La storia ambientata ad un paesino di Uji ቝᴦ riguarda la vita sentimentale di Kaoru daishŇ (⮍
ᄢ዁625; daishŇ ᄢ዁ comandante supremo del gendarme), formalmente figlio di Genji Ḯ᳁, ma in
realtà figlio extraconiugale di una donna di sangue imperiale che era una delle sue mogli: Onna san no
miya (ᅚਃች626 lett. principessa terzogenita; miya ች suffisso onorifico posto ai membri imperiali).
Contrariamente a Genji Ḯ᳁ dal temperamento esuberante, Kaoru ⮍, devoto alla pratica religiosa,
ha un carattere introverso e poco deciso.

‫ܮ‬

In riva al fiume Ujigawa ቝᴦᎹ627 abitava appartato un principe, fratellastro di Genji Ḯ


᳁, contrariato dal destino avverso. Viveva con due figlie: ņi gimi (ᄢำ628 espressione
onorifica di primogenita d’un nobile) e Naka no kimi (ਛำ629 espressione onorifica di

103
secondogenita d’un nobile). Kaoru ⮍ vuole prendere in moglie ņi gimi ᄢำ , che
malgrado la fiducia posta in lui si rifiuta di concedersi, ed agisce invece, per il bene di sua
sorella, in modo che sia quest’ultima ad unirsi con lui. Naka no kimi ਛำ, tuttavia, finisce
con l’essere moglie di NiŇ no miya (൬ች630 lett. principe dal colore smagliante), amico di
Kaoru ⮍, nato dall’imperatore Reizei (Reizei tei ಄ᴰᏢ) e Akashi no chşgş (᣿⍹ਛች631 la
stessa Akashi no himegimi ᣿⍹ᆢำ; chşgş ਛች imperatrice-moglie).

ٟ Durante la prima metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ), al di sopra
del chşgş ਛች, c’era un altro titolo di massimo rango d’imperatrice-moglie: kŇgŇ
⊞อ632. Nella seconda metà i due titoli furono pareggiati.

ņi gimi ᄢำ, visto che sua sorella non è sposata felicemente, si addolora e muore.
Kaoru ⮍ viene poi attratto da una ragazza che ricorda ņi gimi ᄢำ nei lineamenti.
Difatti è sorellastra di lei; è l’ultima eroina di nome Ukifune (ᶋ⥱633 lett. nave galleggiante),
povera ragazza sballottata dalla sorte. Niou no miya ൬ች, erede dell’indole avventuriera di
Genji Ḯ᳁, riesce a sedurla, perché casualmente scambiato per Kaoru ⮍. Ukifune ᶋ⥱,
trovatasi tra due uomini e non sapendo regolarsi, cerca di togliersi la vita, gettandosi nel fiume
Ujigawa ቝᴦᎹ; salvata poi da Yokawa no sŇzu (ᮮᎹ௯ㇺ634 monaco amidista ritenuto
modellato su Genshin Ḯା635 ψ§23; Yokawa ᮮᎹ parte dell’Enryakuji ᑧᥲኹ ψ§23;
sŇzu ௯ㇺ alto titolo ecclesiastico), si fa monaca.
Alla capitale Ukifune ᶋ⥱ era stata data per morta, ma il sŇzu ௯ㇺ, quando vi si recò,
ebbe modo di raccontare l’accaduto. Kaoru ⮍ le inoltrò una lettera affidandola al fratello di
lei, ma Ukifune ᶋ⥱ si rifiutò di riconoscere persino il proprio fratello, e la lettera rimase
senza risposta.

 In età molto posteriore l’essenza del Genji monogatari 䇺Ḯ᳁‛⺆䇻 fu definita da


Motoori Norinaga (ᧄዬት㐳636 ψ§53) come mono no aware (‛ߩຟ637, ‛ߩຟࠇ
[grosso modo] atmosfera percepita dall’animo sensibile), ossia clima spirituale permeato
d’una sottile malinconia, avvertito quando si fondono armoniosamente l’io ed il mondo
esterno che lo circonda, specie quando quest’ultimo è di esistenza precaria. Per
Norinaga ት㐳 tale disposizione d’animo fu l’ideale di vita della nobiltà Heian (Heian
kizoku ᐔ቟⾆ᣖ).
 Scritto ben 300 anni prima della Divina Commedia (Shinkyoku 䇺␹ᦛ䇻638 1304-1321)
di Dante (Dante ࠳ࡦ࠹), il Genji monogatari 䇺Ḯ᳁‛⺆䇻 continuò ad esercitare una

636 Moto/ori/ Nori/naga ᧄ 15/25 ዬ 777/171 ት 1012/625 㐳 25/95


637 mono/ no/ awa/re ‛ 126/79 ߩຟ 1670/1675 ࠇ࡮‛ 126/79 ߩຟ 1670/1675
638 Shin/kyoku 䇺␹ 229/310 ᦛ 604/366䇻

104
influenza incalcolabile non soltanto sull’attività letteraria dei posteri, ma perfino sul
modo di pensare e sui sensi estetici, quindi anche sui comportamenti dei giapponesi
nella loro vita quotidiana. Gli studiosi, specie quelli stranieri di letteratura giapponese
assegnano a quest’opera un posto di prim’ordine nella letteratura mondiale.

LETTERATURA DEL PE- Con il sorgere della classe dei bushi (ᱞ჻ ψ§18) si
RIODO DELLO INSEI andò affermando man mano un nuovo tipo di cultura
ricco di elementi popolari, sconosciuti alla cultura nazionale fondamentalmente
aristocratica (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ), e quando lo sviluppo di quest’ultima giunse a un
punto morto in seguito al mutar dei tempi e per l’inerzia della nobiltà, un altro tipo di
cultura rude, ma sana cominciò a guadagnare terreno.
 < Konjaku monogatari[shş] > Nel periodo dello insei (㒮᡽ ψ§16) si ebbe, così,
il Konjaku monogatari[shş] (䇺੹ᤄ‛⺆[㓸]䇻639 lett. [raccolta di] racconti di « Molti anni
or sono », it. Racconti del tempo che fu, fine XI sec. o inizio XII sec.; shş 㓸: omissibile),
opera che rispecchia chiaramente le mutate situazioni socio-politiche e si colloca
all’apice di una serie di opere chiamate complessivamente setsuwa bungaku (⺑⹤ᢥቇ640
lett. letteratura dei racconti popolari tramandati di generazione in generazione). In essa
sono sistemate oltre 1.000 novelle raggruppate in tre categorie: novelle indiane, novelle
cinesi e novelle giapponesi.
 L’ultima categoria dedicata al Giappone è suddivisa ulteriormente in settore
buddhista e settore laico. Se questa raccolta è stimata di grande valore, ciò si deve
principalmente alle novelle dell’ultimo settore laico giapponese.
I loro protagonisti, al pari degli autori di poesie del Man’yŇshş 䇺 ਁ ⪲ 㓸 䇻 ,
provengono da tutte le classi sociali: imperatori (tennŇ ᄤ⊞), nobili (kizoku ⾆ᣖ),
dipendenti pubblici di bass’ordine, monaci, studiosi, divinatori (onmyŇji 㒶㓁Ꮷ641),
commercianti, contadini, pescatori, bushi ᱞ჻. Non mancano, certo, ladri, briganti,
mendicanti e simili. Dal punto di vista dell’argomento sono esposti casi non di rado
anche di assassinio, di stupro, di corruzione.
A totale differenza dal mondo chiuso e morboso e dei sensi estetici estremamente
acuiti della letteratura femminile o effeminata, il mondo del Konjaku monogatari[shş] 䇺੹
ᤄ‛⺆[㓸]䇻 è poco elegante, non di rado anche rude e volgare, ma è sano, aperto e
soprattutto pieno di vitalità: segni precursori del medioevo (chşsei ਛ਎642).

639 Kon/jaku/ mono/gatari/[shş] 䇺੹ 146/51 ᤄ 1200/764 ‛ 126/79 ⺆ 274/67 [㓸 168/436]䇻


640 setsu/wa/ bun/gaku ⺑ 307/400 ⹤ 133/238 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
641 on/myŇ/ji 㒶 1408/867 㓁 990/630 Ꮷ 490/409
642 chş/sei ਛ 13/28 ਎ 152/252

105
Ecco due novelle dal Konjaku monogatari[shş] 䇺੹ᤄ‛⺆[㓸]䇻:

STORIA DEL SAKAN, ASO, CHE IMBATTUTOSI IN UN RA-


PINATORE, SE LA CAVÒ GRAZIE AD ACCORGIMENTI ASTUTI

« Molti anni or sono c’era un funzionario cortigiano con la qualifica di sakan*


ผ643, di nome Aso no [lacuna] 㒙⯃644[lacuna]. Era basso di statura, ma aveva del
fegato. Abitava nella parte occidentale della capitale.
Una volta, gli capitò di lasciare l’ufficio a tarda notte per tornare a casa; passò
per la porta Taiken (Taikenmon* ᓙ⾫㐷 645 ), percorrendo poi il viale ņmiya
(ņmiyaŇji* ᄢችᄢ〝646) verso sud in gissha* ‐ゞ647. Si era intanto spogliato
completamente, piegando tutti i capi di vestiario man mano che se li toglieva di
dosso e li aveva sistemati con cura sotto la stuoia del pavimento. Così, stava seduto
nudo all’interno della carrozza. Aveva su di sé solo il copricapo e un paio di tabi*
⿷ⴼ648.
All’incrocio con il viale NijŇ (NijŇŇji* ੑ᧦ᄢ〝649) girò ad ovest, e quando si
trovò vicino alla porta Bifuku (Bifukumon* ⟤⑔㐷650), incappò in un bandito.
Costui gli venne incontro a passo svelto ed afferrò una stanga della carrozza. Prese
a botte il ragazzino che governava il bue e lo costrinse a fuggire, facendogli
abbandonare la bestia. Il funzionario aveva al suo seguito un paio di inservienti, che
pure se la diedero a gambe. Il malvivente si avvicinò poi alla carrozza e tirò su il
sudare* ☄651. Avendo trovato il sakan ผ nudo, domandò con stupore: ‘Ma che
scherzo è questo!?’ Il sakan ผ, tenendo in mano uno shaku* ╈652, rispose con
compostezza come se si rivolgesse a un personaggio altolocato: ‘Sono finito così in
viale ņmiya (ņmiyaŇji* ᄢችᄢ〝). Lì mi sono venuti incontro dei giovanotti

643 sakan ผ 563/332


644 A/so 㒙 1515/2258 ⯃ non reg./non reg.
645 Tai/ken/mon ᓙ 374/452 ⾫ 1488/1288 㐷 385/161
646 ņ/miya/Ň/ji ᄢ 7/26 ች 419/721 ᄢ 7/26 〝 367/151
647 gis/sha ‐ 909/281 ゞ 162/133
648 ta/bi ⿷ 305/58 ⴼ 703/1329
649 Ni/jŇ/Ň/ji ੑ 6/3 ᧦ 391/564 ᄢ 7/26 〝 367/151
650 Bi/fuku/mon ⟤ 289/401 ⑔ 450/1379 㐷 385/161
651 sudare ☄ non reg./non reg.
652 shaku ╈ non reg./non reg.

106
dell’alta nobiltà. Essi si sono degnati di strapparmi gli indumenti.
Sentendolo dire questo, il malintenzionato scoppiò a ridere e si allontanò.
Dopodiché, chiamati ad alta voce dal sakan ผ, rispuntarono il fanciullo e gli uomini
del seguito. Fu così che tornò a casa.
Parlò alla moglie dell’accaduto. ‘Hai una tale forza d’animo da far vergogna ai
rapinatori!,’ rispose ella, ridendo.
Difatti, la sua fu un’audacia davvero rara. Una persona ordinaria non troverebbe
il coraggio di denudarsi e di nascondere gli indumenti con l’intenzione di raccontar
frottole ad eventuali rapinatori. La gente ha continuato a dire di generazione in
generazione che se egli si era espresso in quel modo, era perché sapeva parlare
abilmente ».

ٟ * sakan ผ : una delle più basse qualifiche del daijŇkan. / Taikenmon ᓙ⾫㐷 ,
Bifukumon ⟤⑔㐷: due delle porte del quartiere degli uffici governativi. / ņmiyaŇji ᄢ
ችᄢ〝 , NijŇŇji ੑ᧦ᄢ〝 : due delle strade larghe della capitale. / gissha ‐ゞ :
carrozza trainata da un bue, usata un tempo dai nobili quale mezzo di trasporto. / tabi ⿷
ⴼ: calze tradizionali giapponesi. / sudare ☄: avvolgibile a stecche di bambù. Svolgeva la
funzione di porta e di tenda./ shaku ╈: tavola di legno stretta e lunga circa 30 cm, tenuta
nella mano destra. Si usava per appoggiarvi i promemoria letti in occasioni ufficiali. Oggi fa
parte dell’abbigliamento dei sacerdoti shintoisti.

YZ

STORIA DELLA VOLPE DEL FIUME KņYA, LA QUALE


SI TRAMUTA IN UNA DONNA E SALE IN GROPPA AI CAVALLI

« Anni e anni or sono c’era a est del tempio Ninnaji ੳ๺ኹ653 un fiume di
nome KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ654). Calata la sera, stava in piedi in riva a questo
fiume una fanciulla dalla candida presenza. Ella, quando vedeva qualcuno andare a
cavallo, chiedeva un favore:
‘Per cortesia, fatemi salire in groppa al vostro cavallo e portatemi alla capitale.’
Una volta montata in groppa, andava per quattro o cinque chŇ* ↸655, saltando

653 Nin/na/ji ੳ 1346/1619 ๺ 151/124 ኹ 687/41


654 KŇ/ya/gawa 㜞 49/190 㓁 990/630 Ꮉ 111/33
655 chŇ ↸ 114/182

107
poi giù di punto in bianco. Qualora inseguita, riassumeva le sembianze d’una volpe
e scappava, emettendo guaiti.
Circolava la voce che il fenomeno si fosse verificato ripetutamente. Una volta,
quando chiacchieravano molti takiguchi* Ṛญ nella loro stazione di servizio (taki-
guchi dokoro Ṛญᚲ656), uno di loro parlò della giovane ragazza-volpe del fiume
KŇya.
‘Scommetto che io la catturerò. Se la volpe riesce a scappare, è perché i cavalieri
non si ingegnano a catturarla,’ disse un giovane takiguchi Ṛญ coraggioso ed anche
giudizioso.
Sentendolo parlare così, le [lacuna] guardie eccitate dissero:
‘Questa è grossa! Non ce la farete.’
‘Vi giuro che domani notte la catturerò e la trascinerò qui,’ replicò il giovane
takiguchi Ṛญ.
‘State scherzando. Non ci riuscirete,’ ribadirono i suoi colleghi.
Seguì un vivace scambio di parole. Non cedette nessuna delle due parti.
La notte seguente la guardia di cui si tratta, senza portare [lacuna], salì sul dorso
d’un magnifico cavallo di razza e andò tutta sola al fiume KŇya. Lo attraversò, ma
non avendo trovato la fanciulla, prese la strada di ritorno e mentre procedeva alla
volta di HeiankyŇ ᐔ቟੩657, vide una giovane ragazza.
Ella, vedendo il takiguchi Ṛญ passare, disse con un bel sorriso:
‘Vi prego di prendermi in groppa al vostro cavallo.’
Era carina ed affascinante.
‘Montate subito. Dove volete andare?,’ domandò.
‘Devo andare alla capitale. E siccome si è fatta sera, mi piacerebbe andare in
groppa al vostro cavallo.’
Immediatamente il giovane la prese dietro di sé e non appena salita, la legò per
la vita alla sella con delle redini che aveva portato con sé per questo preciso scopo.
‘Ma cosa fate!?,’ domandò la giovane.
‘Vi porto con me e stanotte dormirò con voi tra le mie braccia. Se vi lego, è
perché non voglio perdervi,’ rispose.
Intanto si era fatto completamente buio.
Il takiguchi Ṛ ญ procedette per il viale IchijŇ (IchijŇŇji ৻ ᧦ ᄢ 〝 ) in
direzione est. Quando aveva oltrepassato il viale Nishi ņmiya (Nishi ņmiyaŇji ⷏

656 taki/guchi/ dokoro Ṛ 1285/1759 ญ 213/54 ᚲ 107/153


657 Hei/an/kyŇ ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ੩ 16/189

108
ᄢችᄢ〝658), vide venire da est, illuminato da torce, un lungo corteo di carrozze.
Si sentiva una voce alta che intimava di fare largo.
‘Passano personaggi d’alto lignaggio?,’ si chiese il takiguchi Ṛญ.
Tornò indietro e percorrendo il viale Nishi ņmiya (Nishi ņmiyaŇji ⷏ᄢችᄢ
〝), giunse al viale NijŇ (NijŇŇji ੑ᧦ᄢ〝) e lì andò verso est. Passando poi per il
viale ņmiya (ņmiyaŇji ᄢችᄢ〝) della parte orientale di HeiankyŇ ᐔ቟੩, arrivò
alla porta Tsuchimikado (Tsuchimikado ࿯ᓮ㐷659).
Avendo ordinato ai suoi uomini di aspettarlo presso questa porta, domandò:
‘Siete qui?’
‘Sì, signore. Siamo qui,’
Apparve una decina di uomini.
Il takiguchi Ṛญ slegò la fanciulla e la tirò giù dal cavallo, quindi l’afferrò per il
braccio ed entrò per la porta. Con le torce in testa condusse la ragazza alla stazione
delle guardie-takiguchi (takiguchi dokoro Ṛญᚲ).
I suoi colleghi che lo attendevano tutti insieme, quando sentirono la sua voce,
domandarono all’unisono:
‘E allora?’
‘Eccola qui catturata,’ rispose.
‘Ora lasciatemi andare. C'è molta gente che ci guarda,’ disse la fanciulla
addolorata, ma la giovane guardia, invece di liberarla, continuava a tenerla per il
braccio.
Tutti i suoi colleghi uscirono fuori e circondarono i due. Poi attizzando le torce,
dissero:
‘Lasciatela libera qui dentro,’
‘Ma, cosa dite!? Potrebbe scappare. Non la libererò,’ replicò il giovane.
‘Non preoccupatevene. Suvvia, lasciatela. Divertiamoci. Caso mai scappasse, la
colpiremo alla coscia. Siamo in molti. È impossibile che manchiamo il bersaglio.’
Una decina di uomini prendeva la mira, pronta a colpire.
‘D’accordo.’
Il takiguchi Ṛญ mollò la presa. Ed ecco che immediatamente la fanciulla
riprese l’aspetto di una volpe e scappò, emettendo guaiti. Scomparvero anche tutti i
suoi colleghi come se fossero cancellati da un colpo di spugna. E siccome si
spensero anche le fiamme, si fece buio fitto.
Il takiguchi Ṛญ, sconcertato, chiamò i suoi uomini, ma non ve n’era più

658 Nishi/ ņ/miya/Ň/ji ⷏ 167/72 ᄢ 7/26 ች 419/721 ᄢ 7/26 〝 367/151


659 Tsuchi/mi/kado ࿯ 316/24 ᓮ 620/708 㐷 385/161

109
nessuno. Guardò intorno e si trovò in mezzo a un campo sconosciuto a cielo aperto.
Ebbe un terrore indescrivibile. Si sentì più morto che vivo. Comunque, facendosi
coraggio, guardò di nuovo tutt’intorno, e dall’aspetto delle montagne e del luogo
capì che si trovava nel cimitero di Toribeno* 㠽ㇱ㊁660.
‘Credevo di aver prima preso il viale Nishi ņmiya (Nishi ņmiyaŇji ⷏ᄢችᄢ
〝), e poi percorso un bel tratto del perimetro del Daidairi* ᄢౝⵣ661. E invece
…, accidenti! Sono finito in un luogo di questo genere! Anche quel corteo con
fiaccole che ho visto nel viale IchijŇ (IchijŇŇji ৻᧦ᄢ〝) dev’essere stato un
[inganno tramato*] dalla volpe,’ pensò.
Dal momento che non poteva comunque restare lì con le mani in mano, dopo
un po’ di tempo si mise a camminare e arrivò a casa verso mezzanotte. Il giorno
seguente il giovane si sentì male e rimase inchiodato a letto come se fosse morto.
Nel frattempo, visto che il takiguchi Ṛญ atteso non si era fatto vivo quella
notte, i suoi colleghi dissero tra risate:
‘Che fine avrà fatto quel certo Signore che ha dichiarato di farcela a catturare la
volpe del fiume KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ)?’
Lo fecero chiamare.
La sera del terzo giorno il giovane takiguchi Ṛญ si presentò alla stazione delle
guardie (takiguchi dokoro Ṛญᚲ) con l’aria di chi era stato gravemente ammalato.
‘Cosa avete fatto della volpe di quella notte?,’ domandarono i colleghi.
‘Quella notte ho avuto una malattia insopportabile, e quindi non sono potuto
andare. Ci proverò stanotte'.
‘Allora, questa volta ne catturerete due,’ dissero così, prendendosi gioco di lui.
Il takiguchi Ṛญ si allontanò senza replicare parola, ma pensò dentro di sé:
‘Visto che la volpe è stata prima ingannata da me, non credo che stasera si farà
vedere. Comunque, caso mai si presentasse, questa volta non la libererò per nessun
motivo durante tutta la notte. Se non apparirà, non verrò mai più a farmi vedere alla
stazione (takiguchi dokoro Ṛญᚲ) e rimarrò rinchiuso in casa.’
Quella notte andò a cavallo al fiume KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ), accompagnato
da molti suoi uomini muscolosi.
‘Potrei eventualmente finire con il rovinare la mia vita per una stupidaggine di
questo genere.’ pensò. Tuttavia, siccome era stato lui a dichiarare di farcela, non
poteva tornare indietro.
Attraversò il fiume, ma non trovò la fanciulla. Quando tornò indietro, la vide in

660 Tori/be/no 㠽 932/285 ㇱ 37/86 ㊁ 85/236


661 Dai/dai/ri ᄢ 7/26 ౝ 51/84 ⵣ 755/273

110
piedi in riva. Il suo viso non era quello della giovane della sera precedente.
‘Vorrei salire in groppa al vostro cavallo,’ gli fu chiesto come prima.
La fece montare. La legò ben stretta anche questa volta con delle redini.
A HeiankyŇ ᐔ቟੩ prese il viale IchijŇ (IchijŇŇji ৻᧦ᄢ〝), e siccome era
diventato buio, si fece precedere da uomini con torce e si fece scortare da altri
uomini accanto al cavallo, prendendo altri provvedimenti opportuni. Procedette
intimando di fare largo. Non incontrò nessuno.
Sceso da cavallo alla porta Tsuchimikado (Tsuchimikado ࿯ᓮ㐷), afferrò la
giovane per i capelli e si mise a trascinarla. La ragazza, piangendo, oppose resistenza,
ma fu condotta alla stazione delle guardie (takiguchi dokoro Ṛญᚲ).
‘Com’è andata la cosa?,’ chiesero.
‘Eccola,’ rispose il takiguchi Ṛญ.
La fanciulla, legata questa volta assai strettamente, fu messa a sedere. Mantenne
l’aspetto umano per un po’ di tempo, sennonché maltrattata spietatamente in mille
modi diversi, finì col riassumere la figura di una volpe. Il giovane takiguchi Ṛญ la
malmenò con una torcia, bruciandole quasi interamente il pelo. Ogni tanto scoccava
una [freccia sibilante*].
‘Voi, d’ora in poi, non prenderete in giro più nessuno con i vosti scherzi di
cattivo gusto,’ disse e la lasciò andare.
La volpe ridotta al punto di non poter più camminare si allontanò a malapena.
Dopodiché il takiguchi Ṛญ raccontò ai suoi colleghi per filo e per segno la sua
storia, a cominciare dal fatto di essere finito, ingannato, a Toribeno 㠽ㇱ㊁ e altre
esperienze.
Circa dieci giorni più tardi il takiguchi Ṛญ, volendo catturarla un’altra volta,
andò a cavallo al fiume KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ). Quella stessa fanciulla stava in
piedi in riva con l’aria di chi aveva sofferto di una grave malattia.
‘Cara mia, montate in groppa al cavallo,’ disse.
‘Verrei montare ..., ma non ce la faccio a sopportare le vostre fiamme…’ rispose
e scomparve.
La nostra volpe se la passò male, perché aveva ingannato quell’uomo. È una
faccenda che dev’essere accaduta non molto tempo fa. Poiché si tratta di una storia
rara, la gente l’ha tramandata.
Ora vediamo un po’. Si sa che fin dai tempi antichi le volpi hanno l’abitudine di
tramutarsi in persone. La nostra era talmente abile nell’ingannare gli uomini da
condurli persino a Toribeno 㠽ㇱ㊁. Se era così brava, quando fu catturata per la
seconda volta, come mai non fece apparire carrozze e come mai non gli fece
smarrire il cammino? La gente ha continuato a dire di generazione in generazione

111
che le volpi sembrano agire diversamente a seconda della disposizione d’animo
dell’uomo con cui hanno a che fare ».

ٟ * chŇ ↸: unità di distanza. Un chŇ equivale a circa 109 metri. / takiguchi Ṛญ: bushi
ᱞ჻662 con compito di sorveglianza dei palazzi imperiali. / Toribeno 㠽ㇱ㊁: si scrive
anche 㠽ㄝ㊁ fin dai tempi antichi uno dei cimiteri di KyŇto ੩ㇺ663. / Daidairi ᄢ
ౝⵣ: quartiere in cui si trovavano i palazzi imperiali e quelli governativi, di HeiankyŇ ᐔ
቟੩ e anche di HeijŇkyŇ ᐔၔ੩ / [inganno tramato], [freccia sibilante]: lacune
facilmente colmabili. C’era la credenza che la freccia sibilante potesse scongiurare gli influssi
malefici.

 ‫ޣ‬REKISHI MONOGATARI ‫ޤ‬Per concludere, si ricorda una serie di opere


chiamate rekishi monogatari (ᱧผ‛⺆ 664 Storie romanzate), qualcosa come opere
storiche e romanzi insieme, cui appartengono ad esempio l’ņkagami (䇺ᄢ㏜䇻665 it. Il
grande specchio, inizi XII sec.) e lo Eiga monogatari (䇺ᩕ⪇‛⺆䇻666 scritto anche come
䇺ᩕ⧎‛⺆䇻 it. Storia di splendori, XI sec.). Quest’ultimo racconta la storia di 200 anni
dall’887 al 1092, incentrandosi soprattutto sulla gloria di Fujiwara no Michinaga ⮮ේ㆏
㐳.
Si può dire che anche questo genere fu un frutto della nipponizzazione della
tradizione culturale cinese.

§23. Buddhismo e shintoismo

 Nei primi anni del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) vennero introdotte dalla
Cina due nuove scuole buddhiste, una da Kşkai ⓨᶏ667 e l’altra da SaichŇ ᦨẴ668.

662 bu/shi ᱞ 448/1031 ჻ 301/572


663 KyŇ/to ੩ 16/189 ㇺ 92/188
664 reki/shi/ mono/gatari ᱧ 692/480 ผ 563/332 ‛ 126/79 ⺆ 274/67
665 ņ/kagami 䇺ᄢ 7/26 ㏜ 1358/863䇻
666 Ei/ga/ mono/gatari 䇺ᩕ 745/723 ⪇ 807/1074 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻
667 Kş/kai ⓨ 233/140 ᶏ 158/117
668 Sai/chŇ ᦨ 121/263 Ẵ 1637/1334

112
SCUOLA Nell’806 venne fondata la setta Shingon (Shingonshş ⌀⸒ቬ669; shş ቬ
SHINGON scuola, setta) da Kşkai (ⓨᶏ 774-835), che eresse il KongŇbuji (㊄೰ፃ
ኹ lett. tempio sulla punta del diamante, 816-a tutt’oggi) sul monte di nome KŇyasan
670

(㜞㊁ጊ671 monte KŇya ψcarta 7; san ጊ montagna) nella provincia di Kii (Kii no
kuni ♿દ࿖672 ψcarta 8; oggi Wakayama-ken ๺᱌ጊ⋵673). Si tratta di una scuola la
cui dottrina altamente metafisica fu quella del buddhismo esoterico (mikkyŇ ኒᢎ674
sans. VajrayĆna [veicolo di diamante], it. tantrismo).
Il mikkyŇ ኒᢎ dello Shingonshş ⌀⸒ቬ fu chiamato tŇmitsu (᧲ኒ675 lett. mikkyŇ
orientale; tŇmitsu ᧲ኒ φ TŇ/ji ᧲ኹ 㧗 mik/kyŇ ኒᢎ), denominazione di deriva-
zione dal TŇji (᧲ኹ lett. tempio orientale, 796-presente) dello Shingonshş ⌀⸒ቬ a
KyŇto ੩ㇺ.
 Il buddhismo esoterico è una forma di mahĆyĆna (daijŇ bukkyŇ ᄢਸ਼੽ᢎ ψ§12)
sorta in India verso il IV secolo (secondo certe pubblicazioni di vecchia data verso il
VII sec.) ed accompagnata da riti mistici. Esso predica che se ci si concentra, pronun-
ciando la formula magica shingon (⌀⸒ lett. vera parola; sans. mantra; cin. zhenyan,
chên-yen) e ponendo le mani in date posizioni, si può diventare buddha con il corpo
fatto di carne e ossa (sokushin jŇbutsu හりᚑ੽676 lett. Il corpo così com’è diventa
buddha.) e che nello stesso tempo ci si assicura benessere e felicità in questo mondo.
 Kşkai ⓨᶏ era assai versatile ed è noto ai giapponesi non soltanto come
fondatore dello Shingonshş ⌀⸒ቬ, ma anche come calligrafo, poeta, studioso e
operatore di servizi sociali, tra cui fondazione a KyŇto ੩ㇺ di un istituto d’istruzione
di nome Shugei shuchiin (⛱⧓⒳ᥓ㒮677, 828), il primo in Giappone per l’istruzione
della gente comune. Fu insignito con il nome postumo di KŇbŇ daishi (ᒄᴺᄢᏧ678,
lett. Grande Maestro-Diffusore del dharma; dharma ψ§12).

669 Shin/gon/shş ⌀ 278/422 ⸒ 279/66 ቬ 1023/616


670 Kon/gŇ/bu/ji ㊄ 59/23 ೰ 1854/1610 ፃ 1369/1350 ኹ 687/41
671 KŇ/ya/san 㜞 49/190 ㊁ 85/236 ጊ 60/34
672 Ki/i/ no/ kuni ♿ 930/372 દ 603/2011 ࿖ 8/40
673 Waka/yama/ ken ๺ 151/124 ᱌ 478/392 ጊ 60/34 ⋵ 195/194
674 mik/kyŇ ኒ 858/806 ᢎ 97/245
675 tŇ/mitsu ᧲ 11/71 ኒ 858/806
676 soku/shin/ jŇ/butsu හ 1052/463 り 331/59 ᚑ 115/261 ੽ 678/583
677 Shu/gei/ shu/chi/in ⛱ non reg./non reg.⧓ 588/435 ⒳ 435/228 ᥓ 1416/2099 㒮 236/614
678 KŇ/bŇ/ dai/shi ᒄ 1075/2064 ᴺ 145/123 ᄢ 7/26 Ꮷ 490/409

113
SCUOLA SaichŇ (ᦨẴ 767-822) studiò sul monte cinese Tiantai (T’ien-t’ai ᄤบ679
TENDAI giapp. Tendai). Al rimpatrio (805) fondò la setta Tendai (Tendaishş ᄤบ
ቬ ) sul monte Hiei (Hieizan Ყซጊ681 detto non di rado semplicemente Eizan ซ
680

ጊ ψcarta 7; zan ጊ montagna) vicino a KyŇto ੩ㇺ. Un piccolo monastero che egli
aveva fondato in quel luogo divenne col tempo una gigantesca comunità religiosa:
l’Enryakuji (ᑧᥲኹ682 788-a tutto’oggi). La sua tradizione di studi era caratterizzata
dall’eclettismo-sincretismo di diverse dottrine, pur privilegiando il MyŇhŇ rengekyŇ (䇺ᅱᴺ
⬒⪇⚻䇻 683 it. Il sştra del loto della buona legge; sans. Saddharmapu arĩka-sştra abbr.
HokkekyŇ o anche HokekyŇ 䇺ᴺ⪇⚻䇻 it. Il sştra del loto) e, dopo la morte di SaichŇ
684

ᦨẴ, da elementi del buddhismo esoterico con il nome di taimitsu (บኒ685 lett. mikkyŇ
del Tendaishş; taimitsu บኒ φ Ten/dai/shş ᄤบቬ 㧗 mik/kyŇ ኒᢎ).
 SaichŇ ebbe il nome postumo onorifico di DengyŇ daishi (વᢎᄢᏧ 686 lett.
Grande Maestro-Trasmettitore dell’Insegnamento).

 < Enryakuji > L’Enryakuji ᑧᥲኹ, che da una parte manteneva un gran numero
di sŇhei (௯౓687 ψ§18) ed esercitava un enorme ascendente, costituiva dall’altra anche
la massima sede di studi di molteplici discipline e di cultura, paragonabile ad una
università: furono impartite lezioni non soltanto di diverse forme buddhiste, ma anche
di agraria, ingegneria civile, farmacologia, arte militare, astronomia, waka ๺᱌ 688 ,
confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ689 giapp. jukyŇ ψ§53) ecc.
Grazie comunque alla sua flessibilità nel permettere la coesistenza di più dottrine
buddhiste l’Enryakuji ᑧᥲኹ diventò la culla dei movimenti riformatori (ψ§33) del
buddismo giapponese. Insieme con lo HŇryşji (ᴺ㓉ኹ ψ§13) e il TŇdaiji (᧲ᄢኹ ψ
§12) è il monastero più citato nella storia del Giappone.

679 Ten/dai ᄤ 364/141 บ 216/492


680 Ten/dai/shş ᄤ 364/141 บ 216/492 ቬ 1023/616
681 Hi/ei/zan Ყ 557/798 ซ non reg./non reg.ጊ 60/34
682 En/ryaku/ji ᑧ 758/1115 ᥲ 1793/1534 ኹ 687/41
683 MyŇ/hŇ/ ren/ge/kyŇ 䇺ᅱ 1045/1154 ᴺ 145/123 ⬒ non reg./non reg.⪇ 807/1074 ⚻ 135/548䇻
684 Hok/ke/kyŇ / Ho/ke/kyŇ 䇺ᴺ 145/123 ⪇ 807/1074 ⚻ 135/548䇻
685 tai/mitsu บ 216/492 ኒ 858/806
686 Den/gyŇ/ dai/shi વ 494/434 ᢎ 97/245 ᄢ 7/26 Ꮷ 490/409
687 sŇ/hei ௯ 1423/1366 ౓ 447/784
688 wa/ka ๺ 151/124 ᱌ 478/392
689 ju/kyŇ ఌ 1968/1417 ᢎ 97/245

114
RICAPITOLAZIONE:
Kşkai (KŇbŇ daishi) KŇyasan KongŇbuji Shingonshş tŇmitsu
ⓨᶏ㧔ᒄᴺᄢᏧ㧕 㜞㊁ጊ ㊄೰ፃኹ ⌀⸒ቬ ᧲ኒ
SaichŇ (DengyŇ daishi) Hieizan Enryakuji Tendaishş taimitsu
ᦨẴ㧔વᢎᄢᏧ㧕 Ყซጊ ᑧᥲኹ ᄤบቬ บኒ

ٟ Mettendo insieme lo Shingonshş ⌀⸒ቬ e il Tendaishş ᄤบቬ, si parla


spesso del buddhismo delle montagne (sangaku bukkyŇ ጊጪ੽ᢎ690; sangaku ጊ
ጪ montagne), in quanto diversamente dal buddhismo del periodo Nara (Nara
bukkyŇ ᄹ⦟੽ᢎ 691 ), le due scuole ebbero la loro sede nel profondo delle
montagne.

 ‫ޣ‬BUDDHISMO PER L’ARISTOCRAZIA‫ޤ‬Le nuove forme di buddhismo, lo


Shingonshş ⌀⸒ቬ e il Tendaishş ᄤบቬ resosi esoterico, vennero abbracciati con
entusiasmo dalla nobiltà non tanto per le loro dottrine solenni e profonde quanto per le
loro preghiere e pratiche magiche e taumaturgiche (kajikitŇ ടᜬ␨⑄692) in grado di
rispondere alle esigenze dei nobili nella loro vita terrena, e furono, infatti, assai in voga
durante la prima metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ).
 In seguito alla introduzione delle dottrine esoteriche, il buddhismo giapponese
mutò il suo ruolo, per così dire, dal talismano per la pace e sicurezza dello Stato (chingo
kokka ㎾⼔࿖ኅ693 ψ§12) al mago che appagava con incantesimi (kajikitŇ ടᜬ␨⑄)
i desideri terreni dei singoli nobili od esorcizzava i demoni che li perseguitavano (ψ
§25).
 Non tendeva ancora la sua mano salvifica verso la gente comune, ma è altrettanto
vero che nel frattempo andavano maturando i tempi per la nascita d’un nuovo tipo di
buddhismo diverso dai preesistenti.

BUDDHISMO DELLA TERRA 䇼CULTO DELLA TERRA PURA‫ޤ‬JŇdokyŇ (ᵺ


PURA ED ESCATOLOGIA ࿯ ᢎ 694 buddhismo della Terra Pura), così si
chiamava questa nuova forma del buddhismo sorta verso la metà del periodo Heian.

690 san/gaku/ buk/kyŇ ጊ 60/34 ጪ 1091/1358 ੽ 678/583 ᢎ 97/245


691 Na/ra/ buk/kyŇ ᄹ 822/2044 ⦟ 520/321 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
692 ka/ji/ki/tŇ ട 187/709 ᜬ 184/451 ␨ 1573/621 ⑄ non reg./non reg.
693 chin/go/ kok/ka ㎾ 1520/1786 ⼔ 653/1312 ࿖ 8/40 ኅ 81/165
694 jŇ/do/kyŇ ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ᢎ 97/245

115
(Ma, per dire la verità, il buddhismo della Terra Pura era già stato introdotto dal
continente nel lontano VI secolo.)

ٟ Terra Pura (jingtu, ching-t’u ᵺ࿯ giapp. jŇdo): terra priva di dolore e piena di
beatitudine, abitata da buddha e bodhisattva (bosatsu ⪄⮋).
È predicato che esiste un gran numero di jŇdo ᵺ࿯, ma nella tradizione
religiosa dell’Asia orientale il termine jŇdo ᵺ࿯ si riferisce in pratica ad « una »
ben specifica: Gokuraku jŇdo (ᭂᭉᵺ࿯695 sans. SukhĆvatĩ, detto anche SaihŇ
gokuraku jŇdo ⷏ᣇᭂᭉᵺ࿯696, perché si ritiene che si trovi a ponente).

 Uno dei primi a predicare il culto della Terra Pura (jŇdo ᵺ࿯) in Giappone fu Kşya
(ⓨ਽ letto anche KŇya, 903-972), monaco del Tendaishş ᄤบቬ.
Successivamente un altro monaco pure del Tendaishş ᄤบቬ, Genshin (Ḯା697
detto anche EshinsŇzu ᕺᔃ௯ㇺ698 942-1017), nella sua opera ņjŇyŇshş (䇺ᓔ↢ⷐ㓸䇻
699 lett. Essenza sulla rinascita nella Terra Pura, 985) così insegnava: se si presta fede al

Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽700; Amida 㒙ᒎ㒚: trascrizione fonetica del
sanscrito AmitĆbha e AmitĆyus), ovvero Buddha-Salvatore che presiede la sua Terra
Pura (jŇdo ᵺ࿯) situata a ponente (SaihŇ gokuraku jŇdo ⷏ᣇᭂᭉᵺ࿯), sia evocando
costantemente la sua immagine e le immagini della sua Terra Pura (pratica detta kansŇ
ⷰᗐ701 lett. visualizzazione mentale), che pronunciando il suo nome (pratica chiamata
shŇmyŇ ⒓ฬ702), si può rinascere, dopo la morte, nel Paradiso di nome Terra Pura
(Gokuraku ŇjŇ ᭂᭉᓔ↢703 lett. andare in Gokuraku jŇdo ᭂᭉᵺ࿯ e rinascervi).
 Il buddhismo della Terra Pura (jŇdokyŇ ᵺ ࿯ ᢎ , chiamato alternativamente
buddhismo amidista o amidismo) che prometteva la felicità nella vita ultraterrena, in
netto contrasto con il buddhismo esoterico (mikkyŇ ኒᢎ) volto ad appagare i desideri
terreni, andò via via sostituendo questo ultimo, trovando i suoi fedeli principalmente fra
i nobili.

695 Goku/raku/ jŇ/do ᭂ 652/336 ᭉ 232/358 ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24


696 Sai/hŇ/ goku/raku/ jŇ/do ⷏ 167/72 ᣇ 28/70 ᭂ 652/336 ᭉ 232/358 ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24
697 Gen/shin Ḯ 827/580 ା 198/157
698 E/shin/sŇ/zu ᕺ 875/1219 ᔃ 139/97 ௯ 1423/1366 ㇺ 92/188
699 ņ/jŇ/yŇ/shş 䇺ᓔ 1283/918 ↢ 29/44 ⷐ 117/419 㓸 168/436䇻
700 A/mi/da/ butsu 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.੽ 678/583
701 kan/sŇ ⷰ 463/604 ᗐ 352/147
702 shŇ/myŇ ⒓ 1187/978 ฬ 116/82
703 Goku/raku/ Ň/jŇ ᭂ 652/336 ᭉ 232/358 ᓔ 1283/918 ↢ 29/44

116
ٟ L’insieme di kansŇ (ⷰᗐ: evocare l’immagine dell’Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽ e le
immagini del suo jŇdo ᵺ࿯) e shŇmyŇ (⒓ฬ: recitare il nome d’Amida, pronun-
ciando « Namu Amida butsu » (ධή㒙ᒎ㒚੽704 Ho fede nel Buddha Amida) si
chiama nenbutsu (ᔨ੽705 lett. evocare l’immagine del buddha). Genshin Ḯା
diede importanza al kansŇ ⷰᗐ e allo shŇmyŇ ⒓ฬ un posto marginale. Tale
forma di nenbutsu ᔨ੽ si chiama specificatamente kansŇ nenbutsu ⷰᗐᔨ੽. Nel
periodo successivo il contenuto dottrinario del nenbutsu ᔨ੽ fu rivoluzionato (ψ
§33).
ٟ La disposizione mentale, rilevabile soprattutto in opere letterarie, di voler
odiare e lasciare questo mondo sporco (onri edo ෤㔌ⓚ࿯706) e di vagheggiare la
rinascita nella Terra Pura (gongu jŇdo ᰵ᳞ᵺ࿯707) è caratteristica dell’amidismo
per eccellenza.

 ‫ޣ‬ESCATOLOGIA DEL BUDDHISMO‫ޤ‬La crescente popolarità dell’amidismo


(jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ) non era senza motivi.
La seconda metà, specie l’ultima fase, del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) fu
un tempo caotico di transizione durante il quale il potere politico passava man mano
dalla classe aristocratica (kuge ౏ኅ) nelle mani dei bushi ᱞ჻: prepotenze della
famiglia Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁), battaglie combattute frequentemente e dapper-
tutto, grandi templi con i loro monaci armati (sŇhei ௯౓). Inoltre, c’era un susseguirsi
di carestie, epidemie e calamità naturali. Per la gente comune di allora vivere significava
come riuscire a mantenersi in vita. La situazione reale del tempo ricordava l’escatologia
del buddhismo conosciuta con il nome di mappŇ shisŇ (ᧃᴺᕁᗐ708 lett. pensiero sulla
fine del dharma) che prevedeva il declino dell’insegnamento del Buddha attraverso tre
stadi successivi.
 Se l’amidismo (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ) veniva accettato da un numero sempre crescente di
gente, era perché in quei tempi si credeva che si sarebbe entrati nel 1052 nell’ultima fase
di declino del dharma (mappŇ ᧃᴺ lett. fine del dharma) e che una volta cominciata
l’era mappŇ ᧃᴺ, non ci sarebbe stata altra salvezza che affidarsi alla mano salvifica del
Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽) il quale, prima di diventare Buddha (Butsuda,
Budda ੽㒚), aveva fatto voti (in particolare il 18° dei 48 voti) di bosatsu (⪄⮋709 sans.

704 Na/mu/ A/mi/da/ butsu ධ 205/74 ή 227/93 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.੽ 678/583
705 nen/butsu ᔨ 469/579 ੽ 678/583
706 on/ri/ e/do ෤ non reg./non reg.㔌 641/1281 ⓚ non reg./non reg.࿯ 316/24
707 gon/gu/ jŇ/do ᰵ non reg./non reg.᳞ 332/724 ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24
708 map/pŇ/ shi/sŇ ᧃ 528/305 ᴺ 145/123 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
709 bo/satsu ⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.

117
bodhisattva ψ§12).

FUSIONE DEL BUDDHISMO Il Nihon shoki (ᣣᧄᦠ♿ ψ§10) parla di un con-


E DELLO SHINTOISMO flitto fra Sogashi (⯃ᚒ᳁ ψ§5) e Mononobeshi
‛ㇱ᳁ riguardo all’accettazione o meno del buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ). Oggi, l’opi-
nione prevalente vuole che si trattasse di uno scontro facente parte di una serie di lotte
per il potere all’interno del governo Yamato (Yamato chŇtei ᄢ๺ᦺᑨ), e come tale non
fu, quindi, un conflitto di carattere strettamente religioso.
Si può affermare benissimo che sin da quando fu introdotto il buddhismo (bukkyŇ
੽ᢎ) nel VI secolo, le due religioni, quella straniera e quella autoctona, coesistevano
pacificamente.
 ‫ޣ‬SHINBUTSU SHŞGņ ‫ޤ‬Ma poi, nel periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) quel
certo stato di simbiosi si tramutò in fusione (shinbutsu shşgŇ ␹੽⠌ว710 o anche
shinbutsu konkŇ ␹੽ᷙᶳ711 lett. sincretismo shintŇ-buddhista): via via vennero costru-
iti, accanto e quindi annessi ai santuari shintoisti, templi buddhisti chiamati jingşji (␹ች
ኹ712: ␹ች santuario shintoista; ኹ tempio buddhista). Così, per esempio, si esegui-
vano letture orali di sştra (kyŇten ⚻ౖ), ossia scritture sacre buddhisti, davanti all’altare
shintoista. (Ciò sarebbe come dire: messa cattolica celebrata in una moschea).
 ‫ޣ‬HONJI SUIJAKUSETSU ‫ޤ‬Successivamente, nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ
቟ᤨઍ) si sostenne addirittura che le divinità shintoiste (kami ␹) non fossero altro
che manifestazioni in forme diverse di buddha e bodhisattva, idea denominata honji
suijakusetsu (ᧄ࿾ုㅇ⺑713 lett. teoria sulla manifestazione in diverse figure dell’entità
suprema; honji ᧄ ࿾ esseri supremi, ossia buddha e bodhisattva; suijaku ု ㅇ
manifestazione in forma di kami). Sorsero così forme alquanto diverse di shintŇ ␹㆏
rappresentate dal cosiddetto ryŇbu shintŇ ਔㇱ␹㆏714, shintoismo cioè dottrinalmente
organizzato sul modello dello Shingonshş ⌀⸒ቬ.
La conseguenza dello shinbutsu shşgŇ ␹੽⠌ว fu che per un lungo periodo di
dieci secoli fino al 1868 (l’anno in cui fu operato il cosiddetto shinbutsu bunri ␹੽ಽ㔌
715 lett. separazione di shintŇ ␹㆏ e bukkyŇ ੽ᢎ ψ§64) avveniva che si erigesse una

pagoda accanto ad un santuario shintoista (qualcosa come se la Basilica di S. Pietro

710 shin/butsu/ shş/gŇ ␹ 229/310 ੽ 678/583 ⠌ 665/591 ว 46/159


711 shin/butsu/ kon/kŇ ␹ 229/310 ੽ 678/583 ᷙ 888/799 ᶳ non reg./non reg.
712 jin/gş/ji ␹ 229/310 ች 419/721 ኹ 687/41
713 hon/ji/ sui/jaku/setsu ᧄ 15/25 ࿾ 40/118 ု 1716/1070 〔 931/1569 ⺑ 307/400
714 ryŇ/bu/ shin/tŇ ਔ 281/200 ㇱ 37/86 ␹ 229/310 ㆏ 129/149
715 shin/butsu/ bun/ri ␹ 229/310 ੽ 678/583 ಽ 35/38 㔌 641/1281

118
ospitasse una statua del Buddha al posto della Pietà di Michelangelo) o che dei sacerdoti
buddhisti servissero in un tempio shintoista senza che per questo si avvertisse alcunché
di strano.

ٟ < Honji suijaku > Nel sştra del loto (HokekyŇ 䇺ᴺ⪇⚻䇻) il Buddha storico
(ossia Shaka ㉼ㄸ) è considerato quale manifestazione dell’eterna verità assoluta.
Lo honji suijaku ᧄ࿾ုㅇ fu la naturale conseguenza dell’applicazione di tale
concetto sui rapporti tra buddha e bodhisattva buddhisti (considerati quali honji
ᧄ࿾, cioè esseri supremi) da una parte e kami ␹ shintoisti (visti come suijaku
ုㅇ, ossia manifestazione in forme diverse di buddha e bodhisattva) dall’altra.
Il significato di honji suijaku ᧄ࿾ုㅇ può essere visualizzato, ad esempio,
come segue:

< honji > buddha eterno come < honji > buddha e bodhisattva
quello predicato nel Sştra del Loto

Ȼ Ö Ȼ
< suijaku > Buddha storico < suijaku > kami

ٟ È lecito dire che sin dai tempi antichi i giapponesi erano e sono assai indulgenti
con le religioni in sé. Anche oggi, per una stragrande maggioranza dei giapponesi,
tanto per fare un esempio, matrimonio secondo i riti shintoisti e funerale in
tempio buddhista non sono atti incompatibili fra di loro.
cfr. « [...] non avrai altri dèi all’infuori di me ». « [...] io, il Signore, sono il tuo
Dio, un Dio geloso [...] ». (Esodo).

§24. Arti figurative

OPERE D’ARTE DEL Nella storia della cultura, i primi cento anni circa del
PERIODO KņNIN-JņGAN periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) sono distinti
con il nome di periodo KŇnin-JŇgan (KŇnin-JŇgan jidai ᒄੳ࡮⽵ⷰᤨઍ716 810-824 /
859-877; KŇnin, JŇgan: nengŇ ᐕภ).
Si tratta d’un periodo caratterizzato, nel campo letterario, dalla composizione
poetica in cinese (kanshi ṽ⹞ ψ§11, §22) e, nel campo delle arti figurative, dalla
produzione di statue, strumenti e dipinti utilizzati per i riti del buddhismo esoterico

716 KŇ/nin/-/JŇ/gan/ ji/dai ᒄ 1075/2064 ੳ 1346/1619࡮⽵ 1318/1681 ⷰ 463/604 ᤨ 19/42 ઍ 68/256

119
(mikkyŇ ኒᢎ). Questi ultimi oggetti oggi considerati opere d’arte del buddhismo
esoterico (mikkyŇ bijutsu ኒᢎ⟤ⴚ717) ispirano, per la loro misticità ed inscrutabilità,
uno strano sentimento di soggezione.
Un paio di esempi delle opere del mikkyŇ bijutsu ኒᢎ⟤ⴚ: pittura del KifudŇ (䇺㤛
ਇേ䇻718 838; FudŇ ਇേ sans. Acala) dell’OnjŇji ࿦ၔኹ719, città di ņtsu (ᄢᵤ720 ψ
carta 7), statua dello Yakushi nyoraizŇ (䇺⮎Ꮷᅤ᧪௝䇻721 sans. Bhai ajyaguru) del GangŇji
ర⥝ኹ 722 a Nara ᄹ⦟ e statua del Nyoirin kannonzŇ (䇺ᅤᗧベⷰ㖸௝䇻 723 sans.
CintĆma icakra, 850 ca.) del Kanshinji ⷰᔃኹ724, prefettura di ņsaka (ņsaka fu ᄢ㒋ᐭ
725 ψcarta 8).䎃

 ‫ޣ‬CALLIGRAFIA ARTISTICA 1‫ޤ‬A questo punto, indipendentemente dal mikkyŇ


bijutsu ኒᢎ⟤ⴚ, è opportuno parlare brevemente dello shodŇ (ᦠ㆏726 lett. via della
scrittura), ossia calligrafia artistica eseguita con pennelli simili a quelli da pittore e
inchiostro di china. Si tratta di un fenomeno peculiare nato in Cina e sviluppatosi nella
sua area culturale, specie in Cina e in Giappone.
La storia dello shodŇ ᦠ㆏ in Giappone risale al periodo Asuka (Asuka jidai 㘧㠽
ᤨઍ). Molti anni dopo, agli inizi del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) Kşkai (ⓨ
ᶏ ψ§23) promosse per primo lo shodŇ ᦠ㆏ quale forma d’arte. Ai suoi tempi
c’erano tre calligrafi particolarmente abili, tra cui Kşkai ⓨᶏ. I tre furono chiamati in
età posteriore sanpitsu (ਃ╩727 lett. tre pennelli). Ai loro tempi sotto l’influenza della
cultura cinese andavano di moda gli stili vigorosi della Cina dei Tang (T’ang ໊ giapp.
TŇ). L’esemplare di calligrafia più noto di questo periodo è dato dalla raccolta di lettere,
chiamata FşshinjŇ (䇺㘑ାᏝ䇻728 lett. fascicolo di notizie portate dal vento, 812 ca.),
scritte da Kşkai ⓨᶏ a SaichŇ ᦨẴ.

717 mik/kyŇ/ bi/jutsu ኒ 858/806 ᢎ 97/245 ⟤ 289/401 ⴚ 299/187


718 Ki/fu/dŇ 䇺㤛 1063/780 ਇ 134/94 േ 86/231䇻
719 On/jŇ/ji ࿦ 412/447 ၔ 638/720 ኹ 687/41
720 ņ/tsu ᄢ 7/26 ᵤ 679/668
721 Yaku/shi/ nyo/rai/zŇ 䇺⮎ 541/359 Ꮷ 490/409 ᅤ 1521/1747 ᧪ 113/69 ௝ 906/740䇻
722 Gan/gŇ/ji ర 328/137 ⥝ 695/368 ኹ 687/41
723 Nyo/i/rin/ kan/non/zŇ 䇺ᅤ 1521/1747 ᗧ 118/132 ベ 959/1164 ⷰ 463/604 㖸 402/347 ௝ 906/740䇻
724 Kan/shin/ji ⷰ 463/604 ᔃ 139/97 ኹ 687/41
725 ņ/saka/-fu ᄢ 7/26 㒋 401/non reg.ᐭ 156/504
726 sho/dŇ ᦠ 130/131 ㆏ 129/149
727 san/pitsu ਃ 10/4 ╩ 940/130
728 Fş/shin/jŇ 䇺㘑 246/29 ା 198/157 Ꮭ non reg./non reg.䇻

120
OPERE D’ARTE ED ARCHITETTONI- Per quanto riguarda poi la cultura nazio-
CHE DELLA CULTURA FUJIWARA nale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ729), ossia la
cultura tipicamente giapponese, si è già parlato della letteratura. Restano da vedere altri
campi:
 ‫ޣ‬SHINDENZUKURI E YAMATOE ‫ ޤ‬I nobili Heian (Heian kizoku ᐔ቟⾆ᣖ)
abitavano una casa di stile chiamato shindenzukuri (ኢᲚㅧ730 lett. stile architettonico di
palazzo da letto). Visto che oggi non ne rimane una, la sua pianta e il suo aspetto si
possono soltanto presumere da materiali scritti e da cosiddetti emakimono (⛗Ꮞ‛731
lett. rotoli di dipinti). Comunque si sa per certo che su un vasto terreno (in media 120m
ca. ˜ 120m ca.) c’erano parecchi edifici collegati tra loro da corridoi (watadono ᷰᲚ
732 lett. edifici di passaggio). Si tratta di una abitazione sontuosa, ma il pavimento non

era ancora ricoperto di tatami ⇥733. L’edificio più grande e adibito alla vita pubblica e
privata del padrone si trovava al centro e si chiamava appunto shinden (ኢᲚ lett.
palazzo da letto). Il tutto era
esposto a sud.
shindenzukuri
Uno degli elementi caratte-
ኢᲚㅧ
ristici dello shindenzukuri ኢᲚ                  watadono
ㅧ stava in un grande giardino                  shinden
riproducente in ‘miniatura’
scene della natura, con laghet-
yarimizu
to (ike ᳰ 734 ), corsi d’acqua
                
(yarimizu ㆜ ᳓ 735 ), ponti,
cumuli di terra paragonati a                  tsuridono
montagne (tukiyama ▽ ጊ 736                  ike
lett. montagne costruite) ecc.                  nakajima
 I paraventi (byŇbu ዳ㘑 ) 737

e le altre pareti divisorie (fusuma ⶲ738 porte scorrevoli rivestite di carta o di tessuto)

729 koku/fş/ bun/ka ࿖ 8/40 㘑 246/29 ᢥ 136/111 ൻ 100/254


730 shin/den/zukuri ኢ 1079/1079 Ლ 1194/1130 ㅧ 460/691
731 e/maki/mono ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507 ‛ 126/79
732 wata/dono ᷰ 615/378 Ლ 1194/1130
733 tatami ⇥ 1300/1087
734 ike ᳰ 548/119
735 yari/mizu ㆜ 1180/1173 ᳓ 144/21
736 tuki/yama ▽ 820/1603 ጊ 60/34
737 byŇ/bu ዳ non reg./non reg.㘑 246/29

121
degli ambienti all’interno degli edifici erano ornati dai cosiddetti yamatoe (ᄢ๺⛗739
pittura [di stile] giapponese) che rappresentavano diverse scene stagionali della natura o
aspetti delle ricorrenze celebrative.
 < Yamatoe > Fu chiamato così in contrapposizione a karae (໊⛗740 pittura [di
stile] cinese). Generalmente, si tratta di dipinti o, meglio, disegni non eseguiti dal vero,
ma piuttosto stilizzati, idealizzati e decorativi, quindi privi sia di prospettiva che di
ombra e come tali non rappresentano fedelmente la realtà concreta. Questa sua qualità
costituì il nucleo della pittura giapponese in genere, manifestandosi in pieno nel periodo
Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867).
 < Vita umana e natura > È da rilevare con l’occasione che a partire dal periodo
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) la fusione della vita umana e la natura o, per meglio dire,
un certo atteggiamento dei giapponesi di voler vivere in seno alla natura costituì un
pilastro della cultura giapponese. Il giardino annesso allo shindenzukuri ኢᲚㅧ ne parla
eloquentemente.
 ‫ޣ‬CALLIGRAFIA ARTISTICA 2‫ޤ‬Nel processo generale di nipponizzazione della
cultura cinese anche lo stile ideale dello shodŇ ᦠ㆏ mutò da quello rigido e vigoroso
imparato dalla Cina in un altro elegante, armonioso e fluido. Questa volta si parla del
sanseki (ਃそ741 lett. tre tracce di pennello), di cui è ben noto Ono no Michikaze (o
anche Ono no TŇfş) (ዊ㊁㆏㘑742 894-966). Nacque così verso la metà del periodo
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) uno stile definito giapponese (wayŇshofş ๺᭽ᦠ㘑743
detto anche jŇdaiyŇ ਄ઍ᭽744 lett. stile dell’età antica) e venne preso a modello dai
posteri.
 ‫ ޣ‬ARTE DELL’AMIDISMO‫ < ޤ‬HŇŇdŇ e KonjikidŇ > Con il sorgere del
buddhismo della Terra Pura (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ), poi, molti nobili si costruirono padiglioni
amidisti, detti amidadŇ 㒙ᒎ㒚ၴ745, sia per mettere in pratica il nenbutsu (ᔨ੽ ψ§23),
sia per potersi immergere, già durante la vita terrena, nella beatitudine del Paradiso della
Terra Pura (Gokuraku jŇdo ᭂᭉᵺ࿯). Ne sono esempi magnifici tramandati fino ad

738 fusuma ⶲ non reg./non reg.


739 Yamato/e ᄢ 7/26 ๺ 151/124 ⛗ 976/345
740 kara/e ໊ 1668/1697 ⛗ 976/345
741 san/seki ਃ 10/4 〔 931/1569
742 O/no/ no/ Michi/kaze ዊ 63/27 ㊁ 85/236 ㆏ 129/149 㘑 246/29
743 wa/yŇ/sho/fş ๺ 151/124 ᭽ 472/403 ᦠ 130/131 㘑 246/29
744 jŇ/dai/yŇ ਄ 21/32 ઍ 68/256 ᭽ 472/403
745 a/mi/da/dŇ 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.ၴ 662/496

122
oggi lo HŇŇdŇ (㡅ಪၴ746 lett. padiglione hŇŇ, it. Sala [o Aula] della fenice, 1053) del
ByŇdŇin (ᐔ╬㒮747 lett. tempio di uguaglianza) costruito a Uji (ቝᴦ ψcarta 7) da
Fujiwara no Yorimichi (⮮ේ㗬ㅢ 992-1074), figlio di Michinaga ㆏㐳 e il KonjikidŇ
(㊄⦡ၴ748 lett. padiglione del colore oro, 1105) del tempio di Chşsonji ਛዅኹ749 a
Hiraizumi (ᐔᴰ 750 ψcarta 4). Nel periodo dello insei (inseiki 㒮᡽ᦼ 751 1086-
1179/1185) la cultura della capitale cominciò a diffondersi nelle province. La costru-
zione di un padiglione amidista (amidadŇ 㒙ᒎ㒚ၴ) sontuoso come il KonjikidŇ ㊄⦡
ၴ a Hiraizumi ᐔᴰ fu espressione di tale tendenza.
 < Amida nyorai zazŇ e Amida raigŇzu > Oltre che dagli amidadŇ 㒙ᒎ㒚ၴ
l’arte del buddhismo amidista (jŇdokyŇ geijutu ᵺ࿯ᢎ⧓ⴚ752) è rappresentata anche
dalle statue del Buddha Amida (Amida nyorai zazŇ 䇺㒙ᒎ㒚ᅤ᧪ထ௝䇻753 lett. statua
dell’Amida butsu seduto) come quella (1053) magnifica posta nello HŇŇdŇ 㡅ಪၴ,
opera di JŇchŇ (ቯᦺ754 ?-1057), massimo scultore di arte sacra buddhista dell’epoca, e
dalla pittura detta Amida raigŇzu (㒙ᒎ㒚᧪ㄫ࿑755 lett. disegno raffigurante l’Amida
che viene ad accogliere; a volte detto semplicemente raigŇzu ᧪ㄫ࿑).
Con il diffondersi del buddhismo amidista nacque la credenza che l’Amida butsu 㒙
ᒎ㒚੽ discendesse, insieme con molti bodhisattva (bosatsu ⪄⮋), a prendere i
morenti per portarli al suo jŇdo ᵺ࿯. Gli Amida raigŇzu 㒙ᒎ㒚᧪ㄫ࿑ rappresen-
tano appunto il momento della sua discesa. Il più noto è il KŇyasan shŇju raigŇzu (䇺㜞㊁
ጊ⡛ⴐ᧪ㄫ࿑䇻756 lett. disegno della discesa del Buddha Amida accompagnato da
bodhisattva, del monte KŇyasan, 1100 ca.; KŇyasan 㜞㊁ጊ ψ§23). Anche all’interno
dello HŇŇdŇ 㡅ಪၴ ce n’è uno dipinto su una porta.
 I nobili, che, in questo mondo tenevano in pugno il potere, all’ultimo momento
della loro vita prendevano nello stesso pugno un filo tenuto all’altra estremità dal-

746 HŇ/Ň/dŇ 㡅 non reg./non reg.ಪ non reg./non reg.ၴ 662/496


747 ByŇ/dŇ/in ᐔ 143/202 ╬ 601/569 㒮 236/614
748 Kon/jiki/dŇ ㊄ 59/23 ⦡ 326/204 ၴ 662/496
749 Chş/son/ji ਛ 13/28 ዅ 1220/704 ኹ 687/41
750 Hira/izumi ᐔ 143/202 ᴰ 902/1192
751 in/sei/ki 㒮 236/614 ᡽ 50/483 ᦼ 119/449
752 jŇ/do/kyŇ/ gei/jutu ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ᢎ 97/245 ⧓ 588/435 ⴚ 299/187
753 A/mi/da/ nyo/rai/ za/zŇ 䇺㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.ᅤ 1521/1747 ᧪ 113/69 ထ
1874/non reg.௝ 906/740䇻

754 JŇ/chŇ ቯ 62/355 ᦺ 257/469


755 A/mi/da/ rai/gŇ/zu 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.᧪ 113/69 ㄫ 726/1055 ࿑ 631/339
756 KŇ/ya/san/ shŇ/ju/ rai/gŇ/zu 䇺㜞 49/190 ㊁ 85/236 ጊ 60/34 ⡛ 1306/674 ⴐ 570/792 ᧪ 113/69 ㄫ

123
l’Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽, nella speranza di essere issati al Paradiso della Terra Pura
(Gokuraku jŇdo ᭂᭉᵺ࿯). Anche per loro l’ultimo sostegno spirituale era quello
religioso.
 ‫ޣ‬EMAKIMONO ‫ޤ‬Da ultimo, a partire dal periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ),
specie dalla seconda metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) fino al periodo
Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ ψ§29) venne prodotto un gran numero di
emakimono (⛗Ꮞ‛ 757 lett. rotoli di dipinti), ossia rotoli che portano solitamente
alternati una serie di disegni in stile yamatoe ᄢ๺⛗ e testi detti kotobagaki ⹖ᦠ758.
Sono reputati una forma artistica di cui è assai difficile trovarne simili in altri paesi.
Tra le opere prodotte nello Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ sono Genji monogatari emaki (䇺Ḯ
᳁‛⺆⛗Ꮞ䇻759 lett. rotolo illustrato del Genji monogatari, prima metà XII sec.) di
Fujiwara no Takayoshi (⮮ේ㓉⢻760 ?-?), uno dei massimi capolavori di emakimono ⛗
Ꮞ‛, e ChŇjşgiga (䇺㠽₞ᚨ↹䇻 761 lett. disegni raffiguranti uccelli e bestie che si
divertono, periodo a cavallo tra Heian e Kamakura) attribuito a TobasŇjŇ (㠽⠀௯ᱜ762
1053-1140; sŇjŇ ௯ᱜ massimo rango di bonzo), capolavoro forse meglio noto di
qualsiasi altro per il contenuto peculiare. Originariamente è privo di kotobagaki ⹖ᦠ.
 < Hikime kagihana > hikime kagihana (ᒁ⋡㋭㥦763 lett. occhi a linea e naso a
uncino). In certi emakimono ⛗Ꮞ‛, tra cui il Genji monogatari emaki 䇺Ḯ᳁‛⺆⛗Ꮞ䇻,
tutti i nobili (e solo essi) hanno un viso stereotipato degli occhi e dal naso rappresentati
rispettivamente da due linee semplici (hikime ᒁ⋡) e da una linea piegata quasi a
uncino ( ) (kagihana ㋭㥦) con l’effetto di essere resi impersonali, e ciò per facilitare i
nobili-fruitori ad immedesimarsi facilmente nei personaggi che sarebbe loro piaciuto
essere nella vita reale. Le donne della classe aristocratica guardavano i dipinti,
ascoltando i testi letti da una dama di compagnia. Questa modalità di fruizione degli
emakimono ⛗Ꮞ‛ non differiva sostanzialmente dal vedere, nel XXI secolo, la
televisione o il cinema.

726/1055 ࿑ 631/339䇻
757 e/maki/mono ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507 ‛ 126/79
758 kotoba/gaki ⹖ 1624/843 ᦠ 130/131
759 Gen/ji/ mono/gatari/ e/maki 䇺Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67 ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507䇻
760 Fuji/wara/ no/ Taka/yoshi ⮮ 206/2231 ේ 132/136 㓉 1255/946 ⢻ 341/386
761 ChŇ/jş/gi/ga 䇺㠽 932/285 ₞ 1600/1582 ᚨ 1632/1573 ↹ 150/343䇻
762 To/ba/sŇ/jŇ 㠽 932/285 ⠀ 732/590 ௯ 1423/1366 ᱜ 109/275
763 hiki/me/ kagi/hana ᒁ 238/216 ⋡ 65/55 ㋭ non reg./non reg.㥦 1459/813

124
§25. Vita quotidiana e varie

VITA DEL- 䇼 VITA PUBBLICA DEI DIPENDENTI STATALI ‫ ޤ‬Tutti i


LA GENTE funzionari statali, quindi i nobili inclusi, erano tenuti a prestare servizio
presso l’ufficio da cui dipendevano, ed inoltre, fin dai tempi di ShŇtoku taishi (⡛ᓼᄥ
ሶ 574-622?), a iniziare la loro giornata lavorativa di buon mattino, terminandola
ugualmente presto (Art. 8 del KenpŇ jşshichijŇ ᙗᴺච৾᧦ ψ§5).
Secondo quanto stabilito dall’Engishiki (ᑧ༑ᑼ764, 927, in vigore dal 967; engi ᑧ
༑: nengŇ ᐕภ), codice di norme applicative del ritsuryŇ ᓞ઎, l’orario di lavoro
terminava, durante la stagione estiva, verso le dieci e in inverno, invece, un po’ più tardi,
verso mezzogiorno. Comunque, per tutto l’anno i funzionari pubblici avevano l’intero
pomeriggio a proprio completa disposizione. A loro era conecesso, inoltre, un giorno di
riposo per ogni quattro giornate lavorative consecutive.
C’era, tuttavia, una categoria assai ristretta di nobili altolocati che costituiva
un’eccezione a quanto sopra. Si tratta dei cosiddetti kugyŇ ౏෌765, componenti del
massimo organo collegiale dello Stato. Risulta che nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟
ᤨઍ) essi si recavano a corte verso sera, uscendone a notte inoltrata, dato che detto
organo soleva riunirsi, di norma in presenza dell’imperatore (tennŇ ᄤ⊞), verso sera e
con l’andar del tempo a ora sempre più tarda.
Capitava spesso che pernottassero alla corte, rincasando presto la mattina seguente.
Così, gli affari di massima importanza dello Stato (quali promozione da un rango ad un
altro, nomina a posti vacanti, messa a punto dei particolari relativi alla celebrazione di
solennità tradizionali ecc.) venivano discussi e delibrati di notte.
< Doppio lavoro degli statali di bass’ordine > Poco innanzi abbiamo detto che
nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) anche i semplice funzionari godevano di
mezza giornata lavorativa.
Si sa, peraltro, che con i soli redditi di lavoro dipendente questi subalterni potevano
difficilmente sostenere la propria vita. È noto inoltre che non erano sempre pagati a
cedenza regolare a causa del calo delle entrate tributarie dovuto al diffondersi a macchia
d’olio degli shŇen (⨿࿦ ψ§17) esentasse. Si può quindi ragionevolmente presumere che
per arrotondare lo stipendio quasi tutti i semplici statali dedicassero il pomeriggio a un
secondo lavoro, con ogni probabilità, agricolo, e ciò sia perché abitavano di solito alla
periferia dove la vita costava meno, sia perché venivano loro fornite due volte l’anno

764 En/gi/shiki ᑧ 758/1115 ༑ 770/1143 ᑼ 185/525


765 ku/gyŇ ౏ 122/126 ෌ non reg./non reg.

125
dallo Stato delle zappe a titolo di emolumenti stagionali (kiroku ቄ⑍766 lett. stipendi
stagionali).
 ‫ޣ‬VITA CONDIZIONATA DA MILLE SUPERSTIZIONI E TABÙ‫ޤ‬In ogni
occasione la gente, specie la nobiltà, aveva bisogno di consultare l’oracolo per appurare
se un dato giorno fosse fausto o meno, se una data direzione fosse propizia o no
(kikkyŇ kafuku ศರ⑒⑔767 lett. buona e cattiva sorte); qualora la sorte risultasse
avversa o fosse successa qualche disgrazia a dispetto di tutte le precauzioni divinatorie,
doveva allora fare allontanare i presunti influssi malefici ricorrendo all’esorcismo
(kajikitŇ ടᜬ␨⑄) eseguito dai monaci del buddhismo esoterico (mikkyŇ ኒᢎ ψ
§23).
Se poi cambiava frequentemente nengŇ ᐕภ è fondamentalmente perché aveva
esigenza di sentirsi sempre assistita dalla buona sorte.

ٟ Un paio di esempi delle ‘precauzioni divinatorie’:


‫ڏ‬ monoimi (‛ᔊ768 lett. tabù) — Nei giorni prestabiliti del mese e in quelli
giudicati infausti dall’oracolo si rimaneva in casa per evitare di venire
contaminati dalle impurità (kegare ⓚࠇ769 ψ§9) temute secondo la tradizione
shintoista o ci si asteneva dall’avvicinarsi alle donne, dal fare certe cose ecc.
‫ ڏ‬katatagae (ᣇ㆑770 lett. cambio di direzione) — Per raggiungere un luogo,
qualora la direzione risultasse malaugurata, un giorno prima ci si recava
appositamente altrove e di lì si andava alla destinazione.

Nell’epoca a cavallo tra i due periodi Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) e Heian (Heian
jidai ᐔ቟ᤨઍ) si andò sempre più generalizzando la credenza che gli spiriti maligni
(goryŇ ᓮ㔤771, detto anche mononoke ‛ߩᕋ772) dei morti fuoriusciti dal corpo, invece
di andare immediatamente all’aldilà, provocassero guai e incidenti nefasti (goryŇ shinkŇ
ᓮ㔤ାઔ773).
Si temevano soprattutto gli spiriti vendicativi (onryŇ ᕉ㔤774 lett. spirito che serba
rancore) di coloro che erano morti di morte violenta o accusati falsamente. L’onryŇ (ᕉ

766 ki/roku ቄ 871/465 ⑍ non reg./non reg.


767 kik/kyŇ/ ka/fuku ศ 464/1141 ರ 1725/1280 ⑒ 1753/1809 ⑔ 450/1379
768 mono/imi ‛ 126/79 ᔊ 1819/1797
769 kega/re ⓚ non reg./non reg.ࠇ
770 kata/tagae ᣇ 28/70 ㆑ 496/814
771 go/ryŇ ᓮ 620/708 㔤 1361/1168
772 mono/no/ke ‛ 126/79 ߩᕋ 1367/1476
773 go/ryŇ/ shin/kŇ ᓮ 620/708 㔤 1361/1168 ା 198/157 ઔ 1658/1056

126
㔤) più noto sarà forse quello di Sugawara no Michizane (⩲ේ㆏⌀ ψ§16). Anche il
Sandai jitsuroku (䇺ਃઍታ㍳䇻775 lett. registro dei fatti dei tre regni, 901), libro di storia
trentennale (858-887), parla di spiriti onryŇ ᕉ㔤:

« L’imperatore SudŇ (SudŇ tennŇ ፏ㆏ᄤ⊞776), il principe Iyo (Iyo shinnŇ દ੍


ⷫ₺777) e sua madre Fujiwara (Fujiwara fujin ⮮ේᄦੱ778), Tachibana no Hayanari
ᯌㅺ൓779, Fun’ya no Miyatamaro ᢥቶች↰㤗ํ780 ed altri ancora furono uccisi
in seguito a false accuse. Per questo essi si sono trasformati in onryŇ ᕉ㔤. Di
recente, se siamo stati colpiti frequentemente da gravi epidemie che hanno mietuto
molte vittime, ciò è attribuibile ai loro goryŇ ᓮ㔤 ».

< ņnmyŇdŇ > Ad alimentare lo spirito irrazionale della gente fu soprattutto la


credenza popolare di origine cinese dello yin-yang (㒶㓁 giapp. onmyŇdŇ 㒶㓁㆏781
letto anche on’yŇdŇ); insieme di credenze astrologiche e divinatorie cinesi. Al governo
centrale c’era persino un ufficio adibito a tali arti. Il più noto divinatore di questa
tradizione fu Abe no Seimei (቟୚᥍᣿ 921-1005) raccontato ad esempio nel Konjaku
monogatari[shş] 䇺੹ᤄ‛⺆[㓸]䇻.
< Dalla cerimonia goryŇe ad una festa popolare > Per placare gli onryŇ ᕉ㔤 la
corte (chŇtei ᦺᑨ) celebrò nel 863 a Shinsen’en (␹ᴰ⧞782 lett. giardino delle sorgenti
divine) una festa, chiamata goryŇe ᓮ㔤ળ783, invitando sia sacerdoti del buddhismo
esoterico (mikkyŇ ኒᢎ), che cantanti e danzatrici. Da allora il goryŇe ᓮ㔤ળ venne
celebrato sempre più frequentemente e anche con la partecipazione delle masse presso
diversi santuari shintoisti (jinja ␹␠784) di KyŇto ੩ㇺ.

774 on/ryŇ ᕉ non reg./non reg.㔤 1361/1168


775 San/dai/ jitsu/roku 䇺ਃ 10/4 ઍ 68/256 ታ 89/203 ㍳ 416/538䇻
776 Su/dŇ/ ten/nŇ ፏ 1855/1424 ㆏ 129/149 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
777 I/yo/ shin/nŇ દ 603/2011 ੍ 160/393 ⷫ 381/175 ₺ 499/294
778 Fuji/wara/ fu/jin ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ᄦ 265/315 ੱ 9/1
779 Tachi/bana/ no/ Haya/nari ᯌ non reg./non reg.ㅺ 1581/734 ൓ 365/646
780 Fun’/ya/ no/ Miya/ta/ma/ro ᢥ 136/111 ቶ 421/166 ች 419/721 ↰ 24/35 㤗 1118/1529 ํ 1509/2036
781 on/myŇ/dŇ 㒶 1408/867 㓁 990/630 ㆏ 129/149
782 Shin/sen’/en ␹ 229/310 ᴰ 902/1192 ⧞ non reg./non reg.
783 go/ryŇ/e ᓮ 620/708 㔤 1361/1168 ળ 12/158
784 jin/ja ␹ 229/310 ␠ 30/308

127
Tra tutti i goryŇe ᓮ㔤ળ erano ben noti i seguenti due: Tenjin matsuri ᄤ␹⑂785
per calmare l’onryŇ ᕉ㔤 di Sugawara no Michizana ⩲ේ㆏⌀ e Gion goryŇe (␧࿦ᓮ
㔤ળ786 oggi Gion matsuri ␧࿦⑂787, ossia matsuri ⑂ del Yasaka jinja ౎ဈ␹␠788
lett. santuario Yasaka) rivolto a tutti gli onryŇ ᕉ㔤 . In particolare, quest’ultima
celabrazione perse, col tempo, il suo carattere originario, trasformandosi man mano in
una festa popolare a puro scopo di divertimento.

REGIME ALI- A norma del codice TaihŇ ritsuryŇ ᄢቲᓞ઎ furono istituiti nel
MENTARE 703 a FujiwarakyŇ (⮮ේ੩789 694-710), capitale modellata per la
prima volta su quella cinese, due mercati a gestione governativa: mercato est (higashi no
ichi ᧲Ꮢ790) e mercato ovest (nishi no ichi ⷏Ꮢ791). In seguito tali luoghi commerciali
furono aperti sia a HeijŇkyŇ ᐔၔ੩ che a HeiankyŇ ᐔ቟੩. I mercati di quest’ultima
capitale erano regolati dall’Engishiki ᑧ༑ᑼ. Dall’elenco degli alimentari oggetto di
transazione da esso stabiliti ci si può fare un’idea di quale fosse il regime alimentare
della gente di HeiankyŇ ᐔ቟੩.
Al mercato est (higashi no ichi ᧲Ꮢ) ad esempio si vendevano i seguenti generi
alimentari: riso, sale, frutti di alberi e di piante erbacee, alghe marine, pesci seccati, pesci
crudi, oli, grano, hiru ( ⫦ 792 spezie quale aglio), hishio ( ㉟ 793 sostanza pastosa
consumata come cibo d’accompagnamento al riso), sakubei (⚝㘿794 una specie di
pasta), kokorobuto (ᔃᄥ795 sostanza gelatinosa fatta di alghe marine e ridotta a forma di
grossi spaghetti), wakame (⧯Ꮣ796 tipo particolare di alghe marine),.
Nel Giappone antico c’era una forte carenza di sapore dolce. Si sa che nel periodo
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) c’era un dolcificante liquido chiamato amazura (↞⪾797
lett. pianta dolce rampicante/strisciante). Era un alimento assai prezioso, estratto da

785 Ten/jin/ matsuri ᄤ 364/141 ␹ 229/310 ⑂ 899/617


786 Gi/on/ go/ryŇ/e ␧ non reg./non reg.࿦ 412/447 ᓮ 620/708 㔤 1361/1168 ળ 12/158
787 Gi/on/ matsuri ␧ non reg./non reg.࿦ 412/447 ⑂ 899/617
788 Ya/saka/ jin/ja ౎ 41/10 ဈ 595/443 ␹ 229/310 ␠ 30/308
789 Fuji/wara/kyŇ ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ੩ 16/189
790 higashi/ no/ ichi ᧲ 11/71 Ꮢ 78/181
791 nishi/ no/ ichi ⷏ 167/72 Ꮢ 78/181
792 hiru ⫦ non reg./non reg.
793 hishio ㉟ non reg./non reg.
794 saku/bei ⚝ 1155/1059 㘿 non reg./non reg.
795 kokoro/buto ᔃ 139/97 ᄥ 343/629
796 waka/me ⧯ 372/544 Ꮣ 749/675

128
una pianta omonima. Oggi però non si sa più esattamente di quale pianta si trattasse, in
quanto non era più cercata da quando nel periodo NanbokuchŇ (NanbokuchŇ jidai ධ
ർᦺᤨઍ798 1336-1392) i giaponesi vennero a conoscere lo zucchero. Si immagina,
comunque, che la sua dolcezza non sarebbe molto gradita da noi che siamo abituati al
sapore gradevole dei nostri zuccheri.
Sotto l’influenza del buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) non si consumavano carni di
animali domestici o di allevamento. Difatti, i maiali entrati in Giappone quasi contem-
poraneamente con la risicoltura non si vedevano più nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ
቟ᤨઍ).
Da ultimo, come nei secoli precedenti si consumavano due pasti, uno al mattino e
l’altro la sera, a base di riso cotto a vapore (kowaii ᒝ㘵799).

ABBIGLIAMEN- L’abbigliamento dei nobili che nel periodo Nara (Nara jidai ᄹ
TO DEI NOBILI ⦟ᤨઍ) era stato di stile cinese prese un aspetto comunemente
giudicato giapponese nel processo di adattamento della cultura cinese alla realtà giap-
ponese.
A questo riguardo si suol parlare dell’abbigliamento da cerimonia delle dame di
corte (nyŇbŇ ᅚᚱ), detto nyŇbŇ shŇzoku (ᅚᚱⵝ᧤800 ufficialmente chiamato karaginumo
shŇzoku ໊⴩⵷ⵝ᧤801 e meglio noto con il nome popolare di jşnihitoe චੑන802 lett.
un capo di kimono ⌕‛803 consistente di dodici vestiti), composto da molti (e non
necessariamente dodici) abiti di seta di diversi colori indossati l’uno sopra l’altro. Le
combinazioni di colori che si vedevano intorno al collo e all’apertura delle maniche
costituivano il punto chiave dell’eleganza e di buon gusto, quindi anche un argomento
preferito di pettegolezzi di solito maliziosi.
L’abbigliamento maschile corrispondente al nyŇbŇ shŇzoku ᅚ ᚱ ⵝ ᧤ era il
cosiddetto sokutai ᧤Ꮺ804.

797 ama/zura ↞ 1212/1492 ⪾ 1313/non reg.


798 Nan/boku/chŇ/ ji/dai ධ 205/74 ർ 103/73 ᦺ 257/469 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
799 kowa/ii ᒝ 112/217 㘵 1083/325
800 nyŇ/bŇ/ shŇ/zoku ᅚ 178/102 ᚱ 772/1237 ⵝ 589/1328 ᧤ 998/501
801 kara/ginu/mo/ shŇ/zoku ໊ 1668/1697 ⴩ 1019/677 ⵷ 1803/non reg.ⵝ 589/1328 ᧤ 998/501
802 jş/ni/hitoe ච 5/12 ੑ 6/3 න 593/300
803 ki/mono ⌕ 314/657 ‛ 126/79
804 soku/tai ᧤ 998/501 Ꮺ 718/963

129
CAPITOLO IV

Medioevo: periodo Kamakura e periodo Muromachi

Parte prima: Aspetti politico, sociale ed economico


(Passaggio del potere dalla corte imperiale al governo samuraico)

§26. Ruolo storico dei bushi e periodizzazione del medioevo

 Dell’arco di circa 400 anni (1185/1192-1568/1573) ci sono diverse interpretazioni,


ma gli storici giapponesi sono quasi unanimi nel chiamare il periodo in esame chşsei (ਛ
਎805 medioevo).
Si tratta della fase di evoluzione che costituisce la storia del processo graduale
dell’acquisizione, da parte della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖806), d’un pieno
potere de facto, riconoscendo agli imperatori (tennŇ ᄤ⊞) soltanto l’autorità spirituale e
non di rado volgendola a proprio vantaggio. Quindi, diversamente dall’omonima epoca
europea, il medioevo (chşsei ਛ਎) giapponese sarebbe da considerare come una lunga
fase preparatoria del feudalesimo (hŇken seido ኽᑪ೙ᐲ807) a pieno titolo. Il ruolo
storico che spettò ai bushi ᱞ჻ fu quello di demolire le istituzioni aristocratiche e di
instaurare il regime feudale (hŇken seido ኽᑪ೙ᐲ) onde portare avanti la storia
giapponese. Anche se i bushi ᱞ ჻ impiegarono quattro lunghi secoli, alla fine
comunque pervennero al pieno dominio.
I circa 400 anni di cui si tratta vengono divisi solitamente secondo il seguente
schema:

805 chş/sei ਛ 13/28 ਎ 152/252


806 bu/shi/ kai/kyş ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 㓏 253/588 ⚖ 505/568
807 hŇ/ken/ sei/do ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377

131
M E D I O E V O ਛ ਎
1192 1338 1477 1573
1185 1333 1336 1392 1467 1568
p e r i o d o M U R O MAC H I
periodo KAMAKURA ቶ ↸ ᤨ ઍ
㎨ ୖ ᤨ ઍ periodo
periodo SENGOKU
NANBOKUCHƿ
ᚢ ࿖ ᤨ ઍ
ධർᦺᤨઍ
cultura KAMAKURA cultura KITAYAMA cultura HIGASHIYAMA
㎨ୖ ᢥൻ ർጊ ᢥൻ ᧲ጊ ᢥൻ
Restaurazione Kenmu (Kenmu no shinsei ᑪᱞᣂ᡽)

ٟ Ci sono degli studiosi che includono nel chşsei ਛ਎ il cosiddetto inseiki (㒮᡽
ᦼ808 lett. periodo dello insei, 1086-1179/1185).
ٟ Come appare dal prospetto, sia il NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ809 che il
Sengoku jidai ᚢ ࿖ ᤨ ઍ 810 sono periodi distinti solitamente all’interno del
Muromachi jidai ቶ ↸ ᤨ ઍ 811 , ma taluni studiosi preferiscono limitare il
Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ ad un arco di tempo compreso tra il 1392 e il 1467
(oppure il 1568/1573).

§27. Periodo Kamakura (1185/1192-1333)

KAMAKURA La fase iniziale di circa 150 anni del medioevo (chşsei ਛ਎) viene
BAKUFU chiamata periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ 812 1185/
1192-1333), in quanto il governo del buke ᱞኅ813, ossia della classe militare, detto
bakufu (᐀ᐭ814 lett. sede governativa [al riparo] di tende; originariamente quartiere
generale dell’accampamento), fondato, su consenso della corte (chŇtei ᦺᑨ815), da Mi-

808 in/sei/ki 㒮 236/614 ᡽ 50/483 ᦼ 119/449


809 Nan/boku/chŇ/ ji/dai ධ 205/74 ർ 103/73 ᦺ 257/469 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
810 Sen/goku/ ji/dai ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
811 Muro/machi/ ji/dai ቶ 421/166 ↸ 114/182 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
812 Kama/kura/ ji/dai ㎨ 1277/2257 ୖ 708/1307 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
813 bu/ke ᱞ 448/1031 ኅ 81/165
814 baku/fu ᐀ 836/1432 ᐭ 156/504
815 chŇ/tei ᦺ 257/469 ᑨ 1493/1111

132
namoto no Yoritomo (Ḯ㗬ᦺ816 1147-1199), capo dei Genji Ḯ᳁ (Minamotouji Ḯ
᳁) usciti vittoriosi sugli Heishi ᐔ᳁ a Dannoura (სࡁᶆ817 ψcarta 5), si trovava a
Kamakura (㎨ୖ ψcarta 10) poco distante dalla città odierna di TŇkyŇ ᧲੩818. Il
bakufu ᐀ᐭ istituito a Kamakura ㎨ୖ si chiama Kamakura bakufu (㎨ୖ᐀ᐭ go-
verno samuraico con sede a Kamakura).

ٟ La storia del Giappone ebbe tre bakufu ᐀ᐭ senza che venisse mai soppresso
il chŇtei ᦺᑨ, ossia il governo retto (almeno formalmente) dai tennŇ ᄤ⊞. Il
Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ fu il primo della serie. Ne consegue che da questo
momento fino al 1867 (ψ§45) in Giappone esistevano, parallelamente, quasi
sempre due governi centrali, uno de facto della classe samuraica (ossia bakufu ᐀
ᐭ) e l’altro ideale e nominale della classe nobiliare della corte (ovvero chŇtei ᦺ
ᑨ).

ORGANIZZAZIONE DEL 䇼ORGANI CENTRALI A KAMAKURA‫ޤ‬Rispetto


K A M A K U R A BA K U F U all’ordinamento politico del ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ઎
೙ᐲ819 ψ§6), la struttura del Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ, specie nella sua fase ini-
ziale, fu estremamente semplice. Dal capo detto shŇgun ዁ァ820 dipendevano tre organi
principali:

Ԙ Samurai dokoro ଂᚲ821 per il controllo dei vassalli detti gokenin ᓮኅੱ822,
ԙ Mandokoro ᡽ᚲ823 (nei primi momenti detto Kumonjo ౏ᢥᚲ824) per gli
affari politici e finanziari, e
Ԛ Monchşjo ໧ᵈᚲ825 con competenza giudiziaria.

 < ShŇgun > In origine lo shŇgun ዁ァ fu uno dei ryŇge no kan (઎ᄖቭ826 ψ§16),

816 Minamoto/ no/ Yori/tomo Ḯ 827/580 㗬 706/1512 ᦺ 257/469


817 Dan/no/ura ს 1384/1839 ࡁᶆ 856/1442
818 TŇ/kyŇ ᧲ 11/71 ੩ 16/189
819 ritsu/ryŇ/ sei/do ᓞ 1048/667 ઎ 668/831 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
820 shŇ/gun ዁ 561/627 ァ 193/438
821 Samurai/ dokoro ଂ 1823/571 ᚲ 107/153
822 go/ke/nin ᓮ 620/708 ኅ 81/165 ੱ 9/1
823 Man/dokoro ᡽ 50/483 ᚲ 107/153
824 Kumonjo ౏ 122/126 ᢥ 136/111 ᚲ 107/153
825 Mon/chş/jo ໧ 75/162 ᵈ 437/357 ᚲ 107/153
826 ryŇ/ge/ no/ kan ઎ 668/831 ᄖ 120/83 ቭ 225/326

133
e per la precisione il comandante della spedizione militare contro i non assoggettati,
detti ezo (Ⲍᄱ827 letto anche emishi), che abitavano nella parte settentrionale dello
Honshş (ᧄᎺ828 ψcarta 1), e a partire da Yoritomo 㗬ᦺ, che nel 1192 fu nominato
shŇgun ዁ァ dalla corte (chŇtei ᦺᑨ), venne a designare il capo del governo militare,
ossia del bakufu ᐀ᐭ. Ufficialmente fu chiamato seii tai shŇgun (ᓕᄱᄢ዁ァ829 lett.
generalissimo assoggettatore dei barbari).

ٟ Taluni studiosi ritengono che i termini ezo Ⲍᄱ e emishi Ⲍᄱ si riferissero a


una minoranza etnica, oggi chiamata ainu ࠕࠗ࠿ (circa 30.000 al 1993), diversa
dai giapponesi veri e propri.
ٟ Il termine shogunato, forma italianizzata di derivazione da shŇgun ዁ァ, si usa
nel senso sinonimico di bakufu ᐀ᐭ. Perciò le seguenti parole ed espressioni sono
intercambiabili: bakufu ᐀ᐭ, shogunato, governo militare, governo samuraico,
governo del buke ᱞኅ, governo dei bushi ᱞ჻ e infine governo dei samurai ଂ.

 < Gokenin > I gokenin ᓮኅੱ furono quei bushi ᱞ჻ unitisi allo shŇgun ዁ァ
con il rapporto reciproco di ‘beneficio (goon ᓮᕲ830) – prestazioni (hŇkŇ ᄺ౏831) e
fedeltà (chşsei ᔘ⺈832)’. È vero che non pochi bushi ᱞ჻ preferirono mantenere la
propria autonomia senza assoggettarsi allo shŇgun ዁ァ, ma se il periodo Kamakura
(Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ) si distingue da quello precedente, è appunto per la
presenza, sia pure ancora parziale, di tale vincolo tipicamente feudale.
 ‫ޣ‬ORGANI LOCALI‫ޤ‬Per quanto riguarda l’amministrazione locale,

Ԙ in ogni kuni (࿖833 it. provincia ψ§6) fu posto un governatore militare detto
shugo (቞⼔834 lett. difensore, protettore) per gli affari, in specie militari e di
polizia,
ԙ mentre negli shŇen ⨿࿦835 e nei kokugaryŇ (࿖ⴟ㗔836 ψ§17) si installava un

827 ezo Ⲍ non reg./non reg.ᄱ non reg./non reg.


828 Hon/shş ᧄ 15/25 Ꮊ 542/195
829 sei/i/ tai/ shŇ/gun ᓕ 1492/1114 ᄱ non reg./non reg.ᄢ 7/26 ዁ 561/627 ァ 193/438
830 go/on ᓮ 620/708 ᕲ 1353/555
831 hŇ/kŇ ᄺ 1106/1541 ౏ 122/126
832 chş/sei ᔘ 1040/1348 ⺈ 1244/718
833 ku/ni ࿖ 8/40
834 shu/go ቞ 564/490 ⼔ 653/1312
835 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447
836 koku/ga/ryŇ ࿖ 8/40 ⴟ non reg./non reg.㗔 338/834

134
amministratore militare detto jitŇ (࿾㗡837 lett. capo terreno) con compiti di
sovrintendenza e di esazione delle imposte nengu (ᐕ⽸838 ψ§17).
Ԛ Furono gokenin ᓮኅੱ ad essere nominati shugo ቞⼔ e jitŇ ࿾㗡.

 ‫ޣ‬CONFLITTI DI INTERESSI‫ޤ‬Prima della nomina di shugo ቞⼔ e jitŇ ࿾㗡,


nei kuni (࿖ it. province) c’erano già kokushi (࿖ม839 it. governatori ψ§6) inviati dalla
corte (chŇtei ᦺᑨ). Inoltre, gli shŇen ⨿࿦ erano gestiti dagli amministratori (shŇkan ⨿
ቭ840 ψ§17) nominati dai proprietari. Ne conseguirono inevitabilmente conflitti di
interessi, nei kokugaryŇ ࿖ⴟ㗔 (terreni pubblici di proprietà dello Stato; kokuga ࿖ⴟ
ψ§6), fra shugo ቞⼔ e kokushi ࿖ม e, negli shŇen ⨿࿦, fra jitŇ ࿾㗡 da una parte e
proprietari terrieri, ossia nobiltà e istituti religiosi dall’altra.
Un punto importante della storia medievale giapponese sta nel processo di sciogli-
mento dell’antagonismo fra le due forze: la nuova (ossia il buke ᱞኅ) e l’antica (cioè il
kuge ౏ኅ).

FAMIGLIA HņJņ E Morto Yoritomo (㗬ᦺ c[arica di shŇgun] 1192-1199) nel 1199,
SUA DITTATURA il potere del Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ passò nelle mani
della vedova, HŇjŇ Masako (ർ᧦᡽ሶ841 1157-1225) soprannominata amashŇgun (ዦ዁
ァ842 lett. shŇgun-monaca) e del di lei padre, HŇjŇ Tokimasa (ർ᧦ᤨ᡽843 1138-1215;
un discendente degli Heishi ᐔ᳁, quindi ex-rivali dei Genji Ḯ᳁, ma pur sempre di
origine samuraica). Da quel momento la famiglia HŇjŇ (HŇjŇshi, HŇjŇuji ർ᧦᳁844)
esercitò il potere effettivo, monopolizzando, da una parte, l’ufficio detto shikken (ၫᮭ
845 lett. presa in pugno del potere; in pratica reggente dello shŇgun ዁ァ) e insediando,

dall’altra, degli shŇgun-fantocci prima nelle persone dei figli di Yoritomo 㗬ᦺ e poi di
sangue nobile o imperiale di KyŇto ੩ㇺ846. Il governo così amministrato a nome del
bakufu ᐀ᐭ dalla famiglia HŇjŇ (HŇjŇshi ർ᧦᳁) viene chiamato shikken seiji ၫᮭ᡽

837 ji/tŇ ࿾ 40/118 㗡 386/276


838 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
839 koku/shi ࿖ 8/40 ม 712/842
840 shŇ/kan ⨿ 1208/1327 ቭ 225/326
841 HŇ/jŇ/ Masa/ko ർ 103/73 ᧦ 391/564 ᡽ 50/483 ሶ 56/103
842 ama/shŇ/gun ዦ 1661/1620 ዁ 561/627 ァ 193/438
843 HŇ/jŇ/ Toki/masa ർ 103/73 ᧦ 391/564 ᤨ 19/42 ᡽ 50/483
844 HŇ/jŇ/shi ർ 103/73 ᧦ 391/564 ᳁ 177/566
845 shik/ken ၫ 965/686 ᮭ 260/335
846 KyŇ/to ੩ 16/189 ㇺ 92/188

135
ᴦ847.

ٟ Si noti il ripetersi tenacemente del fenomeno peculiare secondo cui il potere


veniva esercitato, a vario titolo, da qualcuno diverso dal suo legittimo titolare: in
passato ‘idealmente’ la sovranità spettava sempre al tennŇ ᄤ⊞, ma nella seconda
metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) le funzioni sovrane erano svolte,
sul piano effetivo, dai reggenti (sesshŇ ៨᡽) e simili (kanpaku 㑐⊕ e jŇkŇ ਄⊞
imperatori abdicatari). Nel Kamakura jidai ㎨ ୖ ᤨ ઍ accadde, poi, che il
governo effettivo non era più presso il chŇtei ᦺᑨ, ma da parte del bakufu ᐀ᐭ
capeggiato dallo shŇgun ዁ァ , che a sua volta era controllato dal reggente
chiamato shikken ၫᮭ. Anche in seguito fino al 1868 il tennŇ ᄤ⊞ rimaneva
ugualmente privo del potere sovrano.
L’attuale Costituzione (1947-presente) definisce il tennŇ ᄤ⊞ quale simbolo
dell’unità del popolo giapponese a cui spetta la sovranità (Art. 1).
Ormai semplicemente per tacito accordo il termine tennŇ ᄤ⊞ viene tradotto
come ‘imperatore’, ma tale traduzione è poco appropriata, perché ingannevole.

AVANZATA DEL BUKE E A KyŇto ੩ㇺ intanto era in corso lo insei (㒮


RETROCESSIONE DEL KUGE ᡽ ψ§16). Nel 1221 l’ex-imperatore Go-Toba
(Go-Toba jŇkŇ ᓟ 㠽 ⠀ ਄ ⊞ 848 insei 1198-1221; jŇkŇ ਄ ⊞ : imperatori in ritiro)
emanava un’ordinanza affinché si insorgesse contro lo shogunato (bakufu ᐀ᐭ), ma
soltanto pochi bushi ᱞ჻ vi aderivano. Una serie di battaglie chiamata JŇkyş no ran (ᛚ
ਭߩੂ849 lett. Disordini di JŇkyş, 1221; JŇkyş ᛚਭ: nengŇ ᐕภ) finì con la vittoria
schiacciante del bakufu ᐀ᐭ ed ebbe il risultato di consolidare l’autorità di Kamakura
㎨ୖ e di accelerare, per contro, il declino del potere di KyŇto ੩ㇺ.
 ‫ޣ‬EROSIONE DEI TERRENI DA PARTE DEI BUSHI ‫ޤ‬Man mano che
cresceva la forza dei bushi ᱞ჻, andavano aumentando i casi della loro ingerenza
aggressiva negli affari degli shŇen ⨿࿦850: molti jitŇ ࿾㗡851 e gokenin ᓮኅੱ852 si
appropriavano delle imposte-riso e spesso finirono per impossessarsi addirittura dei
terreni. In particolare, i jitŇ ࿾㗡, anche quando venivano incaricati dai proprietari
terrieri della riscossione di imposte (jitŇ uke ࿾㗡⺧853 lett. incarico dato ai jitŇ), non di

847 shik/ken/ sei/ji ၫ 965/686 ᮭ 260/335 ᡽ 50/483 ᴦ 181/493


848 Go-/To/ba/ jŇ/kŇ ᓟ 45/48 㠽 932/285 ⠀ 732/590 ਄ 21/32 ⊞ 964/297
849 JŇ/kyş/ no/ ran ᛚ 861/942 ਭ 591/1210 ߩੂ 734/689
850 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447
851 ji/tŇ ࿾ 40/118 㗡 386/276
852 go/ke/nin ᓮ 620/708 ኅ 81/165 ੱ 9/1
853 ji/tŇ/ uke ࿾ 40/118 㗡 386/276 ⺧ 657/661

136
rado finivano col depositare il riso raccolto nei propri magazzini. Casi di dispute si
susseguivano interminabili, ma poi generalmente si addiveniva alla loro soluzione con
cessioni da parte del kuge ౏ኅ. I proprietari ricorrevano persino alla divisione dello
shŇen ⨿࿦ in due parti, dandone una in dono al jitŇ ࿾㗡 in cambio del suo impegno
di non intromettersi più nell’altra (shitaji chşbun ਅ࿾ਛಽ854 lett. dimezzamento della
terra [di shŇen ⨿࿦]).

ٟ Il detto popolare: « Naku ko to jitŇ ni wa katenu » (ᵅߊ855ሶ856ߣ࿾㗡ߦߪൎߡ


857ߧ È impossibile vincere bambini che piangono e jitŇ) sta a significare che i jitŇ
erano irragionevoli e prepotenti al pari dei bambini che non vogliono più capire,
quando piangono.

Così, la storia medievale del processo di scioglimento dell’antagonismo fra le due


forze: la nuova e l’antica si riduce, in ultima analisi, a quella di un vero e proprio proces-
so di erosione degli shŇen ⨿࿦ da parte dei bushi ᱞ჻.
 ‫ޣ‬GOSEIBAI SHIKIMOKU ‫ޤ‬Nel 1232 il potere HŇjŇ ർ᧦ compilò il primo
codice della classe dei bushi (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖858), il Goseibai shikimoku (ᓮᚑᢌᑼ
⋡859 lett. articoli per il giudizio) detto anche JŇei shikimoku (⽵᳗ᑼ⋡ lett. articoli
dell’era JŇei; JŇei ⽵᳗: nengŇ ᐕภ). Si tratta di una legislazione in cui vennero
codificati per la prima volta diritto consuetudinario e regole della classe samuraica (bushi
kaikyş ᱞ჻㓏⚖). In età posteriore fu assunta dai bushi ᱞ჻ sempre a modello della
loro legislazione.(ψ§29, §41)
 ‫ޣ‬ISTITUZIONI FAMILIARI DEI BUSHI ‫ޤ‬Diversamente dall’età antica in cui
vigeva lo tsumadoikon (ᆄ໧ᇕ860 ψ§22), nel periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖ
ᤨઍ) si andava generalizzando man mano lo yomeirikon ᇾ౉ᇕ861, iniziatosi fra i bushi
ᱞ჻, istituzione questa che imponeva la coabitazione dei coniugi nella casa del marito
e che costituì l’inizio di una graduale caduta sociale della donna. Tuttavia, per quanto
riguarda il Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ lo status socio-economico femminile non fu
ancora tanto basso quanto lo divenne nei periodi successivi, dal momento che per

854 shita/ji/ chş/bun ਅ 72/31 ࿾ 40/118 ਛ 13/28 ಽ 35/38


855 na/ku ᵅ 1192/1236 ߊ (giapp. moderno: id.)
856 ko ሶ 56/103
857 ka/tsu ൎ 197/509 ߟ (giapp. moderno: id.)
858 bu/shi/ kai/kyş ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 㓏 253/588 ⚖ 505/568
859 Go/sei/bai/ shiki/moku ᓮ 620/708 ᚑ 115/261 ᢌ 562/511 ᑼ 185/525 ⋡ 65/55
860 tsuma/doi/kon ᆄ 767/671 ໧ 75/162 ᇕ 633/567
861 yome/iri/kon ᇾ 1469/1749 ౉ 74/52 ᇕ 633/567

137
effetto del sistema di successione ereditaria detta bunkatsu sŇzoku ಽഀ⋧⛯862, i beni
venivano ancora divisi fra moglie, figli e figlie.

TENTATIVI D’INVA- Nel 1271 sorse in Cina una dinastia dei mongoli, di
SIONE DEI MONGOLI nome Yuan (Yüan ర giapp. Gen, 1271-1368).
Khubilai (ᔮᔅὓ giapp. Kubirai ࠢࡆ࡜ࠗ o anche Fubirai ࡈࡆ࡜ࠗ 1215-
863

1294, r. 1271-1294), il primo a sedere sul trono cinese, di fronte al rifiuto del potere
HŇjŇ ർ᧦ alle sue reiterate richieste di rendergli omaggio, organizzò due spedizioni
militari di punizione (genkŇ రና864 lett. disastri a causa degli Yüan), la prima nel 1274
con 30.000 uomini e successivamente nel 1281 con un numero schiacciante di 140.000
soldati.

ٟ Proprio in quei tempi Marco Polo ࡑ࡞ࠦ = ࡐ࡯ࡠ si trovava in Cina al


servizio di Khubilai.

Sia dal punto di vista tattico, che sotto l’aspetto dell’efficienza delle armi, i mongoli
erano superiori, ma per divina provvidenza, in ambedue le battaglie infuriarono i tifoni,
che colarono a picco una buona parte delle navi di Kubilai, salvando così il Giappone e
diffondendo fra i giapponesi la credenza, nota con il nome di shinkoku shisŇ ␹࿖ᕁᗐ
865, che il Giappone fosse un paese fondato e protetto dai kami ␹ shintoisti, credenza

destinata ad esercitare una grande influenza sul pensiero dei periodi successivi.
 ‫ޣ‬SUPERIORITÀ SAMURAICA ORMAI AFERMATASI‫ޤ‬Il fatto che malgrado
le lettere di Kubilai presentate al Dazaifu (ᄢቿᐭ866 ψ§6), che era un organo del
potere di KyŇto ੩ㇺ, spettasse al governo di Kamakura (Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀
ᐭ) svolgere azioni diplomatiche, stava a testimoniare che nella seconda metà del XIII
secolo il potere de facto era ormai nelle mani del bakufu ᐀ᐭ e che l’autorità del chŇtei
ᦺᑨ era in netto declino.
 ‫ޣ‬COLLASSO DELLA BASE DELLO SHOGUNATO‫ޤ‬Anche se l’indipendenza
nazionale era stata salvata grazie ai venti divini (kamikaze ␹㘑867), le tentate invasioni
mongole lasciarono al Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ gravi problemi finanziari: non c’era

862 bun/katsu/ sŇ/zoku ಽ 35/38 ഀ 357/519 ⋧ 66/146 ⛯ 214/243


863 Khu/bi/lai ᔮ non reg./non reg.ᔅ 292/520 ὓ 1382/1331
864 gen/kŇ ర 328/137 ና non reg./non reg.
865 shin/koku/ shi/sŇ ␹ 229/310 ࿖ 8/40 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
866 Da/zai/fu ᄢ 7/26 ቿ 1826/1488 ᐭ 156/504
867 kami/kaze ␹ 229/310 㘑 246/29

138
nessun bottino da distribuire a coloro che lo meritavano. Pretendevano ricompense
persino i sacerdoti, sostenendo che erano state le loro preghiere a fare intervenire i
kamikaze ␹㘑. Non vedendo alcuna possibilità di essere premiati in modo soddi-
sfacente, la fedeltà dei gokenin ᓮኅੱ868 cominciò a vacillare.
 Fra i motivi che li inducevano ad allontanarsi dallo shogunato, ce n’era un altro: a
causa del progressivo spezzettamento terriero dovuto al frazionamento provocato dalle
successioni (bunkatsu sŇzoku ಽഀ⋧⛯) di cui si è parlato poco innanzi, non pochi fra i
gokenin ᓮኅੱ, rivoltisi agli usurai, finivano per rimanere senza terra con la con-
seguenza di non essere più in grado di prestare servizi per sopraggiunte ulteriori
difficoltà economiche. Con le ordinanze come quella nota con il nome di Einin no
tokuseirei (᳗ੳߩᓼ᡽઎869 lett. decreto benevolo di Einin, 1297; Einin ᳗ੳ: nengŇ
ᐕภ) il bakufu ᐀ᐭ cercò di salvare i gokenin ᓮኅੱ in crisi finanziaria, ordinando,
per esempio, depennamenti dei loro debiti ai danni dei creditori. Ovviamente tali
provvedimenti non fecero altro che gettare la società in disordine. La base del bakufu
᐀ᐭ andò, così, crollando gradualmente.

FINE DELLO SHOGU- Le difficoltà in cui versava il potere degli HŇjŇ (HŇjŇshi,
NATO DI KAMAKURA HŇjŇuji ർ᧦᳁) per conto del bakufu ᐀ᐭ offrirono
al chŇtei ᦺᑨ il destro per tentare ancora una volta il ripristino dell’autorità imperiale. Il
promotore del progetto fu l’imperatore Go-Daigo (Go-Daigo tennŇ ᓟ㉑㉓ᄤ⊞870 r.
1318-1339) sostenuto dai suoi fedeli, tra cui Kusunoki Masashige (ᬮᧁᱜᚑ 871
1294-1336), potente bushi ᱞ჻ locale, elogiato per la sua fedeltà indiscussa al tennŇ ᄤ
⊞.
A differenza di quanto era avvenuto nel tentativo del 1221 (JŇkyş no ran ᛚਭߩੂ
872) questa volta si schierò, alla fin fine, dalla parte dell’imperatore un gran numero di

bushi ᱞ჻, fra cui persino potenti vassalli shogunali (gokenin ᓮኅੱ) quali Ashikaga
Takauji (⿷೑ዅ᳁873 ψ§29), Nitta Yoshisada (ᣂ↰⟵⽵874 1301-1338) ed altri. Nel
1333 lo shogunato di Kamakura (Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ) fu rovesciato, e si
chiudeva così l’omonimo periodo.

868 go/ke/nin ᓮ 620/708 ኅ 81/165 ੱ 9/1


869 Ei/nin/ no/ toku/sei/rei ᳗ 690/1207 ੳ 1346/1619 ߩᓼ 839/1038 ᡽ 50/483 ઎ 668/831
870 Go-/Dai/go/ ten/nŇ ᓟ 45/48 ㉑ non reg./non reg.㉓ non reg./non reg.ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
871 Kusu/no/ki/ Masa/shige ᬮ non reg./non reg.ᧁ 148/22 ᱜ 109/275 ᚑ 115/261
872 JŇ/kyş/ no/ ran ᛚ 861/942 ਭ 591/1210 ߩੂ 734/689
873 Ashi/kaga/ Taka/uji ⿷ 305/58 ೑ 219/329 ዅ 1220/704 ᳁ 177/566
874 Nit/ta/ Yoshi/sada ᣂ 36/174 ↰ 24/35 ⟵ 287/291 ⽵ 1318/1681

139
§28. Restaurazione Kenmu (1334) e anni turbolenti della scissione dinastica
(1336-1392)

VITA EFFIMERA DELLA Il dominio della corte (chŇtei ᦺᑨ) in seguito alla
RESTAURAZIONE KENMU restaurazione del potere imperiale (Kenmu no shinsei
ᑪᱞᣂ᡽ lett. nuovo governo di Kenmu; Kenmu ᑪᱞ: nengŇ ᐕภ) del 1334 fu di
875

breve durata (1334-1336), in quanto, di fronte alla parzialità delle premiazioni, si ribellò
Ashikaga Takauji ⿷೑ዅ᳁, sia insediando nel 1336 un altro tennŇ ᄤ⊞ a KyŇtŇ ੩
ㇺ, che aprendo nel 1338 un suo bakufu ᐀ᐭ.

ٟ Un tempo, sotto l’influenza del kŇkoku shikan ( ⊞࿖ผⷰ 876 lett. inter-
pretazione della storia [giapponese] nell’ottica di stato governato dal tennŇ ᄤ⊞),
si usava un’altra espressione in riferimento alla restaurazione del potere impariale
del 1334: Kenmu no chşkŇ (ᑪᱞਛ⥝877 lett. restaurazione imperiale Kenmu ᑪ
ᱞ al punto intermedio [tra gli altri due momenti in cui l’imperatore divenne la
figura centrale della vita politica giapponese, ossia riforma Taika [Taika no kaishin
ᄢൻᡷᣂ878] del 645 (ψ§5) e restaurazione del governo imperiale [Ňsei fukko ₺
᡽ᓳฎ879] del 1867 (ψ§45)]).
Il kŇkoku shikan ⊞࿖ผⷰ fu dominante negli anni 1931-’45.

Go-Daigo tennŇ ᓟ㉑㉓ᄤ⊞, fedelissimo alla propria causa, fuggì nel 1336,
accompagnato da pochi kuge ౏ኅ, a sud di KyŇtŇ ੩ㇺ, in una località montuosa di
nome Yoshino (ศ㊁880 ψcarta 7) e fu così l’inizio del periodo durato una sessantina
d’anni, chiamato periodo NanbokuchŇ (NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ881 1336-1392)
durante cui esistevano due corti (NanbokuchŇ ධർᦺ lett. due corti sud e nord): una
al sud (ossia a Yoshino ศ㊁) chiamata NanchŇ (ධᦺ882 lett. corte del sud) e una al
nord (a KyŇto ੩ㇺ) detta HokuchŇ (ർᦺ883 lett. corte del nord).

875 Ken/mu/ no/ shin/sei ᑪ 244/892 ᱞ 448/1031 ᣂ 36/174 ᡽ 50/483


876 kŇ/koku/ shi/kan ⊞ 964/297 ࿖ 8/40 ผ 563/332 ⷰ 463/604
877 Ken/mu/ no/ chş/kŇ ᑪ 244/892 ᱞ 448/1031 ਛ 13/28 ⥝ 695/368
878 Tai/ka/ no/ kai/shin ᄢ 7/26 ൻ 100/254 ᡷ 294/514 ᣂ 36/174
879 Ň/sei/ fuk/ko ₺ 499/294 ᡽ 50/483 ᓳ 585/917 ฎ 373/172
880 Yoshi/no ศ 464/1141 ㊁ 85/236
881 Nan/boku/chŇ/ ji/dai ධ 205/74 ർ 103/73 ᦺ 257/469 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
882 Nan/chŇ ධ 205/74 ᦺ 257/469
883 Hoku/chŇ ർ 103/73 ᦺ 257/469

140
EPOCA NAN- Dopo un susseguirsi di battaglie in ogni parte, l’era NanbokuchŇ
BOKUCHņ (NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ) si concluse nel 1392 formal-
mente con la fusione delle due corti (chŇtei ᦺᑨ), ma sul piano effettivo con la sop-
pressione di quella del sud.
Il fatto più saliente registrato durante il NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ fu che
l’ascesa del buke ᱞኅ e la caduta del kuge ౏ኅ erano divenute ormai irreversibili.
 ‫ޣ‬SHUGO DAIMYņ ‫ޤ‬Furono gli shugo ቞⼔884 a saper abilmente approfittare
della situazione caotica. I proprietari di shŇen ⨿࿦885, afflitti dalle mancate entrate a
causa dell’appropriazione di imposte nengu ᐕ⽸886 operata dai jitŇ ࿾㗡887, iniziarono
ad affidare l’incarico delle esazioni agli shugo (shugouke ቞⼔⺧888 lett. incarico dato
agli shugo ቞⼔) nella speranza di potersi assicurare un’entrata sia pure modesta ma
costante. Gli shugo ቞⼔, tuttavia, si rivelarono non meno avidi e subdoli; fu quindi il
loro turno di immagazzinare il riso-nengu ᐕ⽸ nei propri depositi.
 Inoltre, col passar del tempo, gli shugo ቞⼔, usurpando sia shŇen ⨿࿦ che
kokugaryŇ ࿖ⴟ㗔889, andarono trasformando le province (kuni ࿖), originariamente
unità amministrative locali del sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ઎೙ᐲ890), in domini
quasi a sé stanti e a volte anche ereditari. I jitŇ ࿾㗡 ed altre categorie di bushi ᱞ჻
finirono con l’essere incorporati nella loro struttura feudale. Gli shugo ቞⼔, saliti nel
potere fino al punto di divenire signori autonomi, si chiamano shugo daimyŇ ቞⼔ᄢฬ
891.

ٟ < daimyŇ ᄢฬ > È uno dei termini usati frequentemente nella storia
giapponese. La traduzione letterale nel contesto storico sarebbe ‘proprietari di
vasti/molti terreni’, in quanto etimologicamente deriva da daimyŇshu ᄢฬਥ892,
ossia proprietari (myŇshş ฬਥ ψ§17) di una grande quantità (dai ᄢ) di myŇden
(ฬ↰893 terreni privati dei myŇshu). (Se è così, dovrebbe esistere e, infatti, esiste

884 shu/go ቞ 564/490 ⼔ 653/1312


885 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447
886 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
887 ji/tŇ ࿾ 40/118 㗡 386/276
888 shu/go/uke ቞ 564/490 ⼔ 653/1312 ⺧ 657/661
889 koku/ga/ryŇ ࿖ 8/40 ⴟ non reg./non reg.㗔 338/834
890 ritsu/ryŇ/ sei/do ᓞ 1048/667 ઎ 668/831 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
891 shu/go/ dai/myŇ ቞ 564/490 ⼔ 653/1312 ᄢ 7/26 ฬ 116/82
892 dai/myŇ/shu ᄢ 7/26 ฬ 116/82 ਥ 91/155
893 myŇ/den ฬ 116/82 ↰ 24/35

141
anche il termine shŇmyŇ ዊฬ894, ovvero sempre nel contesto storico proprietari di
piccola/modesta quantità di terreni, anche se esso non si incontra quasi mai in una
trattazione generale di storia giapponese).

§29. Periodo Muromachi (1338-1568/1573)

SHOGUNATO DI Lo shogunato creato nel 1338 da Ashikaga Takauji (⿷೑ዅ᳁895


MUROMACHI c. 1338-1358) si chiama Muromachi bakufu (ቶ↸᐀ᐭ896 o an-
che Ashikaga bakufu ⿷೑᐀ᐭ), in quanto ai tempi del III shŇgun ዁ァ897 Ashikaga
Yoshimitsu (⿷೑⟵ḩ898 c. 1368-1394) la sede shogunale fu posta presso quella resi-
denza sontuosa chiamata Hana no gosho (⧎ߩᓮᚲ899 lett. palazzo dei fiori) che egli si
fece costruire in una zona dal nome, appunto, di Muromachi ቶ↸ di KyŇto ੩ㇺ.
L’arco di circa 230 anni dello shogunato degli Ashikaga (Ashikagashi, Ashikagauji ⿷೑
᳁) si chiama periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ o anche Ashikaga jidai
⿷೑ᤨઍ 1338-1568 [oppure 1573, anno del crollo del Muromachi bakufu ቶ↸᐀ᐭ]).
 La sua struttura governativa fu pressoché identica a quella dello shogunato di
Kamakura (Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ), ma diversamente da quest’ultimo il Muro-
machi bakufu ቶ↸᐀ᐭ aveva l’unica alternativa di poggiare sull’equilibrio delle forze
fra shŇgun ዁ァ e potenti shugo daimyŇ ቞⼔ᄢฬ; di conseguenza, anche se il potere
del chŇtei ᦺᑨ era ormai decaduto, non fu in genere cosa facile per gli shŇgun ዁ァ far
sentire appieno la propria autorità.

GUERRA DI ņNIN E UN SECOLO 䇼GUERRA DI ņNIN‫ޤ‬Ai tempi dell’VIII


DI ANARCHIA PER L’EGEMONIA shŇgun ዁ァ Ashikaga Yoshimasa (⿷೑⟵
᡽ c. 1449-1473) scoppiò la cosiddetta guerra di ņnin (ņnin no ran ᔕੳߩੂ901
900

1467-1477; ņnin ᔕੳ: nengŇ ᐕภ) per un concorso di molteplici cause attribuibili, in
ultima analisi, allo spirito fazioso e di rivalità generatosi all’interno del bakufu ᐀ᐭ. Per

894 shŇ/myŇ ዊ 63/27 ฬ 116/82


895 Ashi/kaga/ Taka/uji ⿷ 305/58 ೑ 219/329 ዅ 1220/704 ᳁ 177/566
896 Muro/machi/ baku/fu ቶ 421/166 ↸ 114/182 ᐀ 836/1432 ᐭ 156/504
897 shŇ/gun ዁ 561/627 ァ 193/438
898 Ashi/kaga/ Yoshi/mitsu ⿷ 305/58 ೑ 219/329 ⟵ 287/291 ḩ 579/201
899 Hana/ no/ go/sho ⧎ 551/255 ߩᓮ 620/708 ᚲ 107/153
900 Ashi/kaga/ Yoshi/masa ⿷ 305/58 ೑ 219/329 ⟵ 287/291 ᡽ 50/483
901 ņ/nin/ no/ ran ᔕ 413/827 ੳ 1346/1619 ߩੂ 734/689

142
undici anni venne combattuta una continua battaglia sia dentro che intorno alla città di
KyŇto ੩ㇺ, riducendola pressoché alla rovina.
 ‫ޣ‬PERIODO SENGOKU‫ޤ‬I disordini si estesero man mano a tutto il territorio
nazionale, sfociando, così, in un secolo di vera e propria anarchia, detto periodo Sen-
goku (Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ902 lett. periodo del paese in guerra, 1467/1477-1568/
1573).
Il Muromachi bakufu ቶ↸᐀ᐭ si ridusse ad una mera esistenza nominale. Si
assisteva a scene pietose di kuge ౏ኅ che, spogliati ormai delle proprietà terriere, e
quindi non sapendo più come sostentarsi, o avendo avuto la casa bruciata, andavano ad
abitare in provincia, contando sull’amicizia delle conoscenze. I contadini, dal canto loro,
iniziarono insurrezioni in massa con le armi in mano.
< GekokujŇ > Fu un secolo crudo e brutale durante cui non vigeva nient’altro che
l’imperativo di ‘uccidere’. Spuntavano e poi sparivano una dopo l’altra nuove figure.
Non furono risparmiati neppure gli shugo daimyŇ ቞⼔ᄢฬ: quasi tutti scomparvero
dalla scena politica e militare, vinti da rivali o più spesso addirittura rovesciati da un
proprio suddito, a sua volta, messo fuori gioco da un proprio dipendente. Questo
fenomeno, che si potrebbe definire una sorta di intenso metabolismo socio-politico, era
chiamato allora gekokujŇ (ਅ೦਄903 lett. il basso vince l’alto).
 ‫ޣ‬SENGOKU DAIMYņ ‫ޤ‬Col tempo, intanto, cominciarono ad affermarsi qua e là
dei bushŇ (ᱞ዁904 lett. capo militare, condottiero; capo di un gruppo organizzato di
bushi ᱞ჻), abili nel mantenersi a galla nel caos del gekokujŇ ਅస਄. Per una buona
parte erano stati vassalli o valvassori di qualcuno. I nuovi padroni saliti al potere
vengono chiamati oggi dagli storici sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ905.
 I sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ, tagliati i ponti con la tradizione e ignorando gli shŇgun
዁ァ, non avevano altro scopo che quello di consolidare la propria autorità ed allargare
il proprio dominio territoriale, chiamato ryŇgoku (㗔࿖906 detto propriamente bunkoku
ಽ࿖907), su cui esercitarla in modo esclusivo (ichien chigyŇ ৻౞⍮ⴕ908 esercizio pieno
ed esclusivo del potere su un territorio). Ogni dominio era come un piccolo stato
indipendente. Al fine di rafforzare la propria forza militare e favorire lo sviluppo econo-

902 Sen/goku/ ji/dai ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᤨ 19/42 ઍ 68/256


903 ge/koku/jŇ ਅ 72/31 ೦ non reg./non reg.਄ 21/32
904 bu/shŇ ᱞ 448/1031 ዁ 561/627
905 sen/goku/ dai/myŇ ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᄢ 7/26 ฬ 116/82
906 ryŇ/goku 㗔 338/834 ࿖ 8/40
907 bun/koku ಽ 35/38 ࿖ 8/40
908 ichi/en/ chi/gyŇ ৻ 4/2 ౞ 2/13 ⍮ 207/214 ⴕ 31/68

143
mico nel proprio dominio (ryŇgoku 㗔࿖) essi vararono diversi provvedimenti: emana-
zione di una legge (bunkokuhŇ ಽ࿖ᴺ909 detta anche kahŇ ኅᴺ910) per uno stretto
controllo dei sudditi e degli agricoltori; governo delle acque fluviali e bonifiche; sfrut-
tamento di miniere; sistemazione della rete stradale; costruzione, intorno al proprio
castello, di una città (oggi chiamata jŇkamachi ၔਅ↸911 lett. città ai piedi di un castello,
it. città-castello ψ§30) economicamente fiorente.
 È inutile dire che i sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ, signori assoluti, non riconobbero
l’istituzione dello shŇen ⨿࿦912, terreno gravato di diversi diritti esercitati da più per-
sone (ψ§17, §27), preparando, così, la strada al regime feudale (hŇken seido ኽᑪ೙ᐲ
913) del periodo successivo.

 ‫ޣ‬CRESCITA E RIVOLTE DEI CONTADINI‫ ޤ‬A partire dall’epoca Nanboku-


chŇ (NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ) anche la vita nei villaggi agricoli registrò muta-
menti.
Grazie all’aumento della resa del suolo e in generale allo sviluppo di diverse indu-
strie (ψ§30), i contadini riuscirono ad innalzare il loro tenore di vita. Inoltre,
cominciarono via via ad unirsi, prima nell’ambito dei singoli villaggi, in organizzazioni
autogestite, chiamate sŇ ᗉ914, che avrebbero dato origine ad una vita solidale e, in un
secondo tempo, a livello di maggior dimensione fra più villaggi. L’unione di più villaggi
mediante il sŇ ᗉ viene chiamata gŇsonsei (ㇹ᧛೙915 lett. sistema gŇson).
Essi, così organizzati, non assomigliavano più ai loro antenati, i quali non
conoscevano altre forme di protesta che la fuga (tŇbŇ ㅏ੢916, chiamata dal medioevo
in avanti chŇsan ㅏᢔ917, ψ§7). Entrati nel XV secolo, diedero, difatti, il via ad una
serie di insurrezioni dette doikki (࿯৻ឨ918 letto anche tsuchi ikki; do / tsuchi ࿯ abbr.
di domin ࿯᳃ indigeni; ikki ৻ឨ [originariamente] solidarietà) per molteplici riven-
dicazioni.

909 bun/koku/hŇ ಽ 35/38 ࿖ 8/40 ᴺ 145/123


910 ka/hŇ ኅ 81/165 ᴺ 145/123
911 jŇ/ka/machi ၔ 638/720 ਅ 72/31 ↸ 114/182
912 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447
913 hŇ/ken/ sei/do ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
914 sŇ ᗉ non reg./non reg.
915 gŇ/son/sei ㇹ 1004/855 ᧛ 210/191 ೙ 196/427
916 tŇ/bŇ ㅏ 864/1566 ੢ 887/672
917 chŇ/san ㅏ 864/1566 ᢔ 611/767
918 doik/ki ࿯ 316/24 ৻ 4/2 ឨ non reg./non reg.

144
Inoltre, qua e là si ebbero sollevazioni, chiamate ikkŇ ikki ৻ะ৻ឨ919, degli adepti
del JŇdo shinshş (ᵺ࿯⌀ቬ920 ψ§33), scuola buddhista chiamata anche ikkŇshş ৻ะቬ
921. I rivoltosi infersero, così, duri colpi al Muromachi bakufu ቶ↸᐀ᐭ, agli shugo

daimyŇ ቞⼔ᄢฬ e ai proprietari di shŇen ⨿࿦, anche se con il sorgere dei sengoku
daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ fu tolta loro ogni possibilità di sommossa. Comunque, sta di fatto
che l’istituzione shŇen ⨿࿦ si stava sgretolando anche dal suo interno in seguito al
risveglio dei contadini e di altre categorie di gente oppressa.

§30. Attività economica e fenomeno di urbanizzazione

SVILUPPO E- Il periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ), malgrado l’in-


CONOMICO stabilità politica, vide svilupparsi molte industrie.
L’uso intensivo del terreno e del concime, le migliorate tecniche agricole e la costru-
zione di canali di irrigazione aumentarono notevolmente la produttività della terra.
Era fiorente anche l’industria artigiana per la quale si segnalava un aumento della
domanda.
Gli sviluppi dell’agricoltura e delle attività artigiane influenzarono così favorevol-
mente gli scambi commerciali. Il commercio, che nella seconda metà del periodo Heian
(Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) era esercitato solitamente come secondo lavoro a tempo perso,
diventò nel periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ) un’attività a sé stante, e nel
periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ) sorsero, ad esempio, negozi fissi
accanto ai mercati periodici (ichi Ꮢ922).
C’erano poi spedizionieri a dorso di cavallo (spedizionieri chiamati bashaku 㚍୫923
lett. presa in prestito di cavalli) o a bordo di un veicolo (spedizionieri detti shashaku ゞ
୫924 lett. presa in prestito di un veicolo) e grossisti (toimaru ໧ਣ925 detti anche toiya
໧ደ926).

919 ik/kŇ/ ik/ki ৻ 4/2 ะ 217/199 ৻ 4/2 ឨ non reg./non reg.


920 JŇ/do/ shin/shş ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ⌀ 278/422 ቬ 1023/616
921 ik/kŇ/shş ৻ 4/2 ะ 217/199 ቬ 1023/616
922 ichi Ꮢ 78/181
923 ba/shaku 㚍 512/283 ୫ 996/766
924 sha/shaku ゞ 162/133 ୫ 996/766
925 toi/maru ໧ 75/16275/162 ਣ 567/644
926 toi/ya ໧ 75/162 ደ 270/167

145
 L’attività finanziaria fu svolta non soltanto dai monti di pietà chiamati allora dosŇ (࿯
ୖ927 lett. magazzino dai muri di terra), ma anche dai produttori di sake ㈬928, detti
sakaya ㈬ደ929. Le tasse che lo shogunato di Muromachi (Muromachi bakufu ቶ↸᐀
ᐭ) imponeva sull’attività finanziaria costituivano una voce importante fra le entrate di
bilancio. Va da sé che anche lo sviluppo di tutte queste attività economiche contribuì al
collasso degli shŇen ⨿࿦ ad economia chiusa.
 < Associazioni monopolistiche di mercanti e artigiani > Nel medioevo i
mercanti e gli artigiani costituivano ‘corporazioni professionali’ o ‘gilde’, dette za ᐳ930
sotto la protezione di kuge ౏ኅ o istituti religiosi e godevano il monopolio d’una
determinata attività in una data zona in cambio di prestazioni e contributi finanziari. (ψ
§40)

ٟ Anche adesso teatri e cinema giapponesi portano nomi che terminano di solito
in za ᐳ (p.es. Kabukiza ᱌⥰પᐳ931 , Odeonza ࠝ࠺ࠝࡦᐳ ). Tale za ᐳ
deriva appunto dalle associazioni esclusive che un tempo erano costituite dalla
gente dello spettacolo. Per analogia il Teatro alla Scala, ad esempio, viene chiamato
in giapponese Sukaraza ࠬࠞ࡜ᐳ.

 < Economia monetaria > L’emissione di monete, dopo le prime esperienze (ψ


§7), era rimasta sospesa a partire dalla metà del periodo Heian (sin verso la fine del XVI
secolo ψ§40). Durante il medioevo alcuni tipi di monete importate dalla Cina erano
largamente in circolazione, favorendo così lo sviluppo dell’attività commerciale. Non di
rado si pagavano in moneta anche le imposte.
 < Pellegrinaggio > Le escursioni ed i pellegrinaggi ai templi buddhisti e ai santuari
shintoisti, che avevano avuto inizio nel Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ, divennero sempre
più di moda nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ.

NASCITA E CRESCI- Lo sviluppo dell’attività di produzione e del commercio da


TA DELLE CITTÀ una parte e l’aumento dei traffici dall’altra fecero sorgere,
specie durante il Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ, numerose città di diversa origine:

927 do/sŇ ࿯ 316/24 ୖ 708/1307


928 sake ㈬ 781/517
929 saka/ya ㈬ 781/517 ደ 270/167
930 za ᐳ 377/786
931 Ka/bu/ki/za ᱌ 478/392 ⥰ 746/810 પ non reg./non reg.ᐳ 377/786

146
Ԙ jŇkamachi (ၔਅ↸932 lett. città ai piedi di un castello, it. città-castello), città
cioè cresciuta intorno ad un castello che i sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ933 costrui-
vano intorno ai loro castelli, invitando mercanti ed artigiani a venirvi a risiedere
(p.es. Yamaguchi ጊญ934 ψcarta 5; Odawara ዊ↰ේ935 ψcarta 10),
ԙ monzenmachi (㐷೨↸936 lett. città di fronte al cancello degli istituti religiosi)
cresciute intorno ai templi buddhisti e ai santuari shintoisti (p.es. Uji-Yamada
ቝᴦጊ↰937 oggi Ise દ൓938 ψcarta 7),
Ԛ shukubamachi ኋ႐↸939, ossia villaggi-sosta per viaggiatori,
ԛ minatomachi ᷼↸940, cioè città portuali (p.es. Sakai ႓941 ψcarta 7; Hakata
ඳᄙ942 oggi parte di Fukuoka ⑔ጟ943 ψcarta 3).

ٟ Si rileva con l’occasione che le città giapponesi, diversamente da quelle ad


esempio italiane, non furono mai circondate da mura.

 < Machishş > Riguardo alle ultime due città di cui sopra (Sakai ႓ e Hakata ඳ
ᄙ), è da ricordare che, durante il Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ, esse ebbero una gloriosa
storia di autonomia per mano dei loro abitanti chiamati machishş (↸ⴐ944 letti a volte
anche chŇshu, lett. gente di comunità [di una città]), ossia in pratica mercanti ed artigiani
di città del Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ, organizzatisi in un corpo di autogoverno e di
autodifesa. Tra i più noti sono quelli di KyŇto ੩ㇺ, Sakai ႓ e Hakata ඳᄙ.
La loro tradizione culturale libera dalle convenzioni venne ereditata, nell’età succes-
siva, dai chŇnin (↸ੱ945 lett. gente di comunità [di una città]; mercanti ed artigiani di
città dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ ψ§40, §41) e fiorì sotto il nome di cultura dei chŇnin

932 jŇ/ka/machi ၔ 638/720 ਅ 72/31 ↸ 114/182


933 sen/goku/ dai/myŇ ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᄢ 7/26 ฬ 116/82
934 Yama/guchi ጊ 60/34 ญ 213/54
935 O/da/wara ዊ 63/27 ↰ 24/35 ේ 132/136
936 mon/zen/machi 㐷 385/161 ೨ 38/47 ↸ 114/182
937 U/ji/-/Yama/da ቝ 757/990 ᴦ 181/493 ጊ 60/34 ↰ 24/35
938 I/se દ 603/2011 ൓ 365/646
939 shu/ku/ba/machi ኋ 406/179 ႐ 34/154 ↸ 114/182
940 minato/machi ᷼ 445/669 ↸ 114/182
941 Sakai ႓ non reg./non reg.
942 Haka/ta ඳ 802/601 ᄙ 161/229
943 Fuku/oka ⑔ 450/1379 ጟ 370/non reg.
944 machi/shş ↸ 114/182 ⴐ 570/792
945 chŇ/nin ↸ 114/182 ੱ 9/1

147
(chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ946 ψ§48).

§31. Scambi commerciali con il continente

MERCANTI Durante i due periodi di lotte ed anarchia (ossia, NanbokuchŇ jidai


ARMATI ධർᦺᤨઍ e Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ) nella parte occidentale del
Giappone c’erano gruppi di abitanti che si recavano fin sulle coste coreane e cinesi per
svolgervi scambi commerciali, ma con richieste impossibili da soddisfare. Vistisi
respinte le richieste, si trasformavano di colpo in saccheggiatori. Le loro razzie erano
talmente devastanti da creare una causa del crollo della dinastia coreana d’allora.
Chiamati wakŇ (୸ና 947 cin. wokou, wok’ou, pirati-depredatori giapponesi), i loro
misfatti facevano rabbrividire coreani e cinesi.

COMMERCIO A TAGLIAN- Nello stesso anno del 1368 in cui Ashikaga Yoshimi-
DO DI RISCONTRO tsu (⿷೑⟵ḩ948 ψ§29) venne nominato shŇgun ዁
ァ, in Cina nacque la dinastia Ming (Ming ᣿949 giapp. Min, 1368-1644). Yoshimitu ⟵
ḩ, accogliendo la richiesta cinese di sopprimere le attività dei wakŇ ୸ና e qualifican-
dosi come suddito dell’imperatore cinese, iniziò in via ufficiale scambi commerciali con
la Cina, e siccome per l’esigenza di distingere le navi regolari da quelle dei wakŇ ୸ና, i
comandanti di quelle autorizzate dovevano esibire in Cina un tagliando di riscontro
chiamato kangŇfu ൊว╓950, ossia parte staccata di una bolletta a madre e figlia, il com-
mercio esercitato per i canali ufficiali con la Cina durante il Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ
si chiama kangŇ bŇeki (ൊว⾏ᤃ951 1404-1547).

946 chŇ/nin/ bun/ka ↸ 114/182 ੱ 9/1 ᢥ 136/111 ൻ 100/254


947 wa/kŇ ୸ non reg./non reg.ና non reg./non reg.
948 Ashi/kaga/ Yoshi/mitsu ⿷ 305/58 ೑ 219/329 ⟵ 287/291 ḩ 579/201
949 Min ᣿ 84/18
950 kan/gŇ/fu ൊ 1309/1502 ว 46/159 ╓ 1653/505
951 kan/gŇ/ bŇ/eki ൊ 1309/1502 ว 46/159 ⾏ 1037/760 ᤃ 810/759

148
Parte seconda: Cultura

§32. Fenomeni caratterizzanti la cultura del medioevo

NUOVI PROTAGONI- Nella parte prima si è visto che nell’arco di 400 anni l’op-
STI DELLA CULTURA posizione dicotomica iniziale fra kuge ౏ኅ e buke ᱞኅ
si andava sciogliendo in seguito ad una stabilizzazione sempre più solida di quest’ultima
categoria nei campi politico e socio-economico. Questi mutamenti ambientali determi-
narono fondamentalmente l’indirizzo evolutivo della cultura del periodo in esame,
operando, cioè, in modo tale che la presenza sia dei bushi ᱞ჻ che dei cittadini
comuni si riflettesse sulla cultura con un peso sempre maggiore.
Tanto per fare un paio di esempi, nel periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨ
ઍ), si assistette, da una parte, all’affermazione del buddhismo amidista (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ
952) e, dall’altra, alla nascita d’un nuovo genere letterario cosiddetto guerresco (gunki

monogatari ァ⸥‛⺆953). I protagonisti furono rispettivamente la gente comune, in


quanto fu ad essa che le nuove scuole amidiste (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ) tesero una mano di
salvezza e i bushi ᱞ჻, in quanto fu di loro che le opere guerresche (gunki monogatari
ァ⸥‛⺆) narrarono.
Nel periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ) poi, per l’interessamento del
buke ᱞኅ, sorsero nuove forme di cultura, a tutta prima, e in buona parte, popolari,
ma assurte nel corso del tempo ad un livello artistico di prim’ordine. La nascita del
teatro nŇ ⢻954 ne offre un buon esempio. Si può parlare, così, di un gekokujŇ (ਅ೦਄
955 ψ§29) anche nel campo della cultura.

 Parallelamente a quanto sopra, è da notare inoltre che, soprattutto in seguito alla


formazione di città-centri culturali provinciali, per la prima volta anche le masse giun-
sero a fruire, seppure parzialmente, della cultura che, fino allora, era stata monopoliz-
zata dai ceti più elevati.

CULTURA DEL KUGE E LA SUA AS- Ciò non significa, tuttavia, che i cortigia-
SIMILAZIONE DA PARTE DEL BUKE ni (kuge ౏ኅ) perdessero di colpo ogni

952 jŇ/do/kyŇ ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ᢎ 97/245


953 gun/ki/ mono/gatari ァ 193/438 ⸥ 147/371 ‛ 126/79 ⺆ 274/67
954 nŇ ⢻ 341/386
955 ge/koku/jŇ ਅ 72/31 ೦ non reg./non reg.਄ 21/32

149
facoltà creativa della loro propria cultura in concomitanza con l’istituzione del primo
bakufu ᐀ᐭ a Kamakura ㎨ୖ. Prima di decadere anche dalla posizione di promotori
culturali per non più risollevarsi, essi produssero, difatti, agli inizi del periodo Kamakura
(Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ), un’ultima opera degna di nota e qualitativamente irripeti-
bile. Per spiegarci con un esempio moderno, essi furono come una lampadina irradiante
un bagliore intenso prima di spegnersi per sempre, fulminata. Subentrarono a loro nella
produzione della cultura monaci buddhisti e bushi ᱞ჻ di alto rango, permettendo,
così, alla tradizione della cultura aristocratica di Heian ᐔ቟ di avere un’eredità.
 Agli inizi, tuttavia, i bushi ᱞ჻ non erano all’altezza di qualificarsi come eredi,
tanto meno quindi come promotori culturali. Quasi tutti illetterati e culturalmente
barbari, dovettero genuflettersi davanti ai nobili di KyŇto ੩ㇺ e fare ogni sforzo per
acquisire una cultura aristocratica. E tali sforzi diedero il loro frutto, nel periodo
Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ), sotto gli shŇgun ዁ァ Ashikaga Yoshimitsu
(⿷೑⟵ḩ ψ§29) e Ashikaga Yoshimasa (⿷೑⟵᡽ ψ§29). Si tratta di due fasi
culminanti distinte nella storia della cultura con i nomi di cultura Kitayama (Kitayama
bunka ർጊᢥൻ956) e cultura Higashiyama (Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ957).
 ‫ޣ‬CULTURA KITAYAMA E CULTURA HIGASHIYAMA‫ޤ‬Si chiamano così
perché si tratta di culture simboleggiate da due edifici concepiti per la villeggiatura e di
alto pregio architettonico: il Padiglione d’oro (Kinkaku ㊄㑑 958 1397-a tutt’oggi;
distrutto dal fuoco nel 1950 e ricostruito nel 1955) e il Padiglione d’argento (Ginkaku
㌁㑑959 1489-presente) costruiti rispettivamente da Yoshimitsu ⟵ḩ a Kitayama ർ
ጊ e da Yoshimasa ⟵᡽ a Higashiyama ᧲ጊ, di KyŇto ੩ㇺ. Tali culture sono
caratterizzate, specie quella di Higashiyama (Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ), da una
profonda influenza esercitata dal buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ960 ψ§33) sulla
fusione di elementi culturali di origine popolare con quelli della tradizione culturale
aristocratica.

ٟ Tra tutti gli edifici ora esistenti in Giappone il più noto agli stranieri sarà il
Kinkaku ㊄㑑. Si tratta di una costruzione che fa parte del tempio zen (zendera ⑎
ኹ961) di nome Rokuonji 㣮⧞ኹ962 detto popolarmente Kinkakuji ㊄㑑ኹ. È

956 Kita/yama/ bun/ka ർ 103/73 ጊ 60/34 ᢥ 136/111 ൻ 100/254


957 Higashi/yama/ bun/ka ᧲ 11/71 ጊ 60/34 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
958 Kin/kaku ㊄ 59/23 㑑 480/837
959 Gin/kaku ㌁ 264/313 㑑 480/837
960 zen/buk/kyŇ ⑎ 1551/1540 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
961 zen/dera ⑎ 1551/1540 ኹ 687/41

150
scorretto, quindi, parlare del Kinkakuji ㊄㑑ኹ in riferimento solo al Kinkaku ㊄
㑑 come accade frequentemente.
Alla stessa stregua non è corretto chiamare il Ginkaku ㌁㑑 Ginkakuji ㌁㑑
ኹ. Difatti anche il Ginkaku ㌁㑑 è uno degli edifici che costituiscono un tempio
zen (zendera ⑎ኹ): JishŇji ᘏᾖኹ963 chiamato popolarmente Ginkakuji ㌁㑑
ኹ.

 ‫ޣ‬CULTURA GIAPPONESE CHE OGGI AFFASCINA GLI STRANIERI:


TEATRO Nņ, PITTURA MONOCROMATICA, IKEBANA, CERIMONIA
DEL TÈ ECC.‫ޤ‬Le diverse manifestazioni artistiche sorte durante il Muromachi jidai
ቶ↸ᤨઍ vivono ancor oggi nella vita quotidiana dei giapponesi proprio al confine tra
l’arte e la religione. Quando si parla della cultura squisitamente giapponese, ci si riferisce
il più delle volte appunto a loro. (ψ§35, §36).

§33. Buddhismo

 Il periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ) costituì un’epoca particolarmente


significativa sia per la nascita di diverse forme di buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) a favore
della gente comune, che per l’introduzione della scuola zen (Zenshş ⑎ቬ964) destinata a
svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo della cultura giapponese. Diversamente
da quanto avveniva per le scuole preesistenti, quali per esempio anni e anni di studi
faticosi di sştra (kyŇten ⚻ౖ965), molteplici pratiche gravose di lunga durata, costru-
zione di templi o donazione di terreni, tutti i nuovi tipi di buddhismo del Kamakura
jidai ㎨ୖᤨઍ, chiamati complessivamente Kamakura [shin]bukkyŇ ㎨ୖ[ᣂ]੽ᢎ966,
erano comunemente caratterizzati dalla loro esortazione a mettere in atto una sola
forma di pratica (ossia nenbutsu ᔨ੽967, shŇdai ໒㗴968o zazen ᐳ⑎969) accessibile a
qualsiasi persona.

962 Roku/on/ji 㣮 1141/2279 ⧞ non reg./non reg.ኹ 687/41


963 Ji/shŇ/ji ᘏ 1829/1547 ᾖ 1072/998 ኹ 687/41
964 Zen/shş ⑎ 1551/1540 ቬ 1023/616
965 kyŇ/ten ⚻ 135/548 ౖ 956/367
966 Kama/kura/ [shin]/buk/kyŇ ㎨ 1277/2257 ୖ 708/1307[ᣂ 36/174]੽ 678/583 ᢎ 97/245
967 nen/butsu ᔨ 469/579 ੽ 678/583
968 shŇ/dai ໒ 1062/1646 㗴 123/354
969 za/zen ᐳ 377/786 ⑎ 1551/1540

151
RINNOVAMENTO Dapprima si vedranno ulteriori sviluppi della scuola amidista
DEL BUDDHISMO (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ970 ψ§23) e la nascita della scuola Nichiren
(Nichirenshş ᣣ⬒ቬ ). 971

Tre furono i protagonisti principali dei movimenti riformatori: HŇnen ᴺὼ972,


Shinran ⷫ㣦973 e Nichiren ᣣ⬒974. Come succede spesso con i rinnovatori in qual-
siasi campo d’attività, anche loro furono vittime delle persecuzioni da parte delle forze
sclerotizzate.
 ‫ޣ‬HņNEN‫ޤ‬Fu HŇnen (ᴺὼ 1133-1212) a muovere i primi passi sul terreno della
riforma nel periodo a cavallo Heian e Kamakura.
 Naturalmente ai suoi tempi si conosceva già il culto della Terra Pura (jŇdokyŇ ᵺ࿯
ᢎ) del tipo predicato due secoli prima da Genshin (Ḯା975 ψ§23). Per HŇnen ᴺὼ,
tuttavia, la mente degli uomini era talmente debole da non poter meditare sull’immagine
dell’Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽976. Quindi egli insegnava che per rinascere nella Terra Pura
bastava semplicemente recitare la formula: « Namu Amida butsu » (ධή㒙ᒎ㒚੽977
Ho fede nel Buddha Amida.).
 Si tratta del tipo di nenbutsu ᔨ੽ detto shŇmyŇ nenbutsu (⒓ฬᔨ੽978 lett. nenbutsu
consistente nel recitare il nome). Si noti che il contenuto effettivo del nenbutsu ᔨ੽ è
molto diverso da quello (ossia kansŇ nenbutsu ⷰᗐᔨ੽979) consigliato da Genshin Ḯ
ା. E fu soltanto a questo punto, dopo oltre sei secoli dal suo avvento in Giappone
(bukkyŇ kŇden ੽ᢎ౏વ980 538), che il buddhismo fu posto finalmente alla portata di
qualsiasi persona.
 Man mano che HŇnen ᴺὼ andava guadagnando la stima di un numero crescente
di gente, le forze buddhiste preesistenti, sia ritenendolo eterodosso, sia per questioni di
concorrenza, vollero che la sua dottrina venisse soppressa, riuscendo nel 1207 a far

970 jŇ/do/kyŇ ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ᢎ 97/245


971 Nichi/ren/shş ᣣ 1/5 ⬒ non reg./non reg.ቬ 1023/616
972 HŇ/nen ᴺ 145/123 ὼ 375/651
973 Shin/ran ⷫ 381/175 㣦 non reg./non reg.
974 Nichi/ren ᣣ 1/5 ⬒ non reg./non reg.
975 Gen/shin Ḯ 827/580 ା 198/157
976 A/mi/da/ butsu 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.੽ 678/583
977 Na/mu/ A/mi/da/ butsu ධ 205/74 ή 227/93 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.੽ 678/583
978 shŇ/myŇ/ nen/butsu ⒓ 1187/978 ฬ 116/82 ᔨ 469/579 ੽ 678/583
979 kan/sŇ/ nen/butsu ⷰ 463/604 ᗐ 352/147 ᔨ 469/579 ੽ 678/583
980 buk/kyŇ/ kŇ/den ੽ 678/583 ᢎ 97/245 ౏ 122/126 વ 494/434

152
emanare nei suoi confronti il divieto (nenbutsu chŇji ᔨ੽஗ᱛ981 lett. soppressione del
nenbutsu), avvenimento detto Ken’ei no hŇnan (ᑪ᳗ߩᴺ㔍982 lett. persecuzione del
buddhismo di Ken’ei; Ken’ei ᑪ᳗: nengŇ ᐕภ), e in quella occasione HŇnen ᴺὼ,
ormai anziano, venne esiliato nello Shikoku (྾࿖ ψcarta 1).
 La scuola che ha origine da HŇnen ᴺὼ è chiamata JŇdoshş (ᵺ࿯ቬ983 lett. scuola
della Terra Pura) con sede centrale (sŇhonzan ✚ᧄጊ984; zan ጊ montagna: un altro
modo di dire tempio buddhista) presso il Chion’in (⍮ᕲ㒮985 1212/1234-presente) a
KyŇto ੩ㇺ.

ٟ cfr. Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. (S. Paolo, Lettera ai
Romani)

 ‫ޣ‬SHINRAN‫ޤ‬Shinran (ⷫ㣦 1173-1262), discepolo di HŇnen ᴺὼ, spingendosi


all’estremo del cammino intrapreso dal suo maestro, predicò così: la rinascita nel Para-
diso della Terra Pura (Gokuraku jŇdo ᭂᭉᵺ࿯986) è assicurata, se si recita semplice-
mente « Namu Amida butsu » ධή㒙ᒎ㒚੽, affidandosi totalmente ai voti (hongan ᧄ
㗿987) misericordiosi del Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽) nel più profondo
abbandono di sé alle leggi della Natura (jinen hŇni ⥄ὼᴺῺ988 lett. così com’è, stato
privo di qualsiasi intenzione e volontà umana).
 Presso Shinran ⷫ㣦 il Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽) e la Terra Pura
(jŇdo ᵺ࿯) non sono altro che il simbolo dello stato libero da ogni attività mentale
(wuwei ziran, wu wei tzu jan ήὑ⥄ὼ989 giapp. mui shizen ψ§33). Se è così, è da dire
che, al punto definitivamente raggiunto da Shinran ⷫ㣦, il buddhismo amidista (jŇdo-
kyŇ ᵺ࿯ᢎ) non differisce sostanzialmente dal buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ990)
anche se si presenta in una forma (tariki ઁജ991 ψ§33) diametralmente opposta a

981 nen/butsu/ chŇ/ji ᔨ 469/579 ੽ 678/583 ஗ 752/1185 ᱛ 400/477


982 Ken’/ei/ no/ hŇ/nan ᑪ 244/892 ᳗ 690/1207 ߩᴺ 145/123 㔍 442/557
983 JŇ/do/shş ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ቬ 1023/616
984 sŇ/hon/zan ✚ 154/697 ᧄ 15/25 ጊ 60/34
985 Chi/on’/in ⍮ 207/214 ᕲ 1353/555 㒮 236/614
986 Goku/raku/ jŇ/do ᭂ 652/336 ᭉ 232/358 ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24
987 hon/gan ᧄ 15/25 㗿 869/581
988 ji/nen/ hŇ/ni ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ᴺ 145/123 Ὼ non reg./non reg.
989 mu/i/ shi/zen ή 227/93 ὑ 1137/1484 ⥄ 53/62 ὼ 375/651
990 zen/buk/kyŇ ⑎ 1551/1540 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
991 ta/riki ઁ 355/120 ജ 69/100

153
quella (jiriki ⥄ജ992 ψ§33) di quest’ultimo.
 Un altro fatto che caratterizza il buddhismo di Shinran ⷫ㣦 è che per lui fra vita
monastica e vita laica non sussisteva alcuna differenza. Egli stesso prese moglie, crean-
do così un nuovo modello di vita buddhista (zaike bukkyŇ ࿷ኅ੽ᢎ993 lett. buddhismo
di chi sta a casa, ossia buddhismo praticato a casa senza farsi monaco).
 In occasione del nenbutsu chŇji ᔨ੽஗ᱛ del 1207 fu esiliato nella provincia di
Echigo (Echigo no kuni ⿧ᓟ࿖994 ψcarta 12; oggi Niigata-ken ᣂẟ⋵995).
 La scuola da lui fondata si chiama JŇdo shinshş (ᵺ࿯⌀ቬ996 lett. vera scuola della
Terra Pura), detto popolarmente anche IkkŇshş ৻ะቬ997, in quanto i suoi fedeli si
affidano con slancio (ikkŇ ৻ะ) al Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽).
Tempio principale (sŇhonzan ✚ᧄጊ): Honganji ᧄ㗿ኹ (1272-1602). Dal 1602 ad
oggi ci sono due sŇhonzan ✚ᧄጊ per scisma: Higashi honganji ᧲ᧄ㗿ኹ998 e Nishi
honganji ⷏ᧄ㗿ኹ999 ambedue a KyŇto ੩ㇺ.
 ‫ޣ‬NICHIREN‫ޤ‬Sia Nichiren (ᣣ⬒ 1222-1282), che HŇnen ᴺὼ e Shinran ⷫ㣦
studiarono tutti al monastero di Enryakuji (ᑧᥲኹ1000 ψ§23), ma solo Nichiren ᣣ⬒
scelse di imboccare una via alquanto diversa da quella degli altri due. Egli ereditò dalla
scuola Tendai (Tendaishş ᄤบቬ1001) il MyŇhŇ rengekyŇ (䇺ᅱᴺ⬒⪇⚻䇻1002 ψ§23),
ritenendolo l’unico e supremo sştra (kyŇten ⚻ౖ1003) idoneo a salvare la gente nell’era
mappŇ (ᧃᴺ1004 ψ§23).
Diversamente dall’amidismo (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ) che indirizzava il pensiero della gente
verso la vita ultraterrena, Nichiren ᣣ⬒, profondamente interessato ai problemi del
mondo terreno e alla loro soluzione, quindi tutto preso dalla coscienza ardente della
missione, che riteneva affidatagli, di trasformare questo mondo in quello del Buddha,
esercitò tali pressioni sul Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ affinché si adottasse detto sştra

992 ji/riki ⥄ 53/62 ജ 69/100


993 zai/ke/ buk/kyŇ ࿷ 243/268 ኅ 81/165 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
994 Echi/go/ no/ kuni ⿧ 529/1001 ᓟ 45/48 ࿖ 8/40
995 Nii/gata/ ken ᣂ 36/174 ẟ 1036/1626 ⋵ 195/194
996 JŇ/do/ shin/shş ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ⌀ 278/422 ቬ 1023/616
997 Ik/kŇ/shş ৻ 4/2 ะ 217/199 ቬ 1023/616
998 Higashi/ hon/gan/ji ᧲ 11/71 ᧄ 15/25 㗿 869/581 ኹ 687/41
999 Nishi/ hon/gan/ji ⷏ 167/72 ᧄ 15/25 㗿 869/581 ኹ 687/41
1000 En/ryaku/ji ᑧ 758/1115 ᥲ 1793/1534 ኹ 687/41
1001 Ten/dai/shş ᄤ 364/141 บ 216/492 ቬ 1023/616
1002 MyŇ/hŇ/ ren/ge/kyŇ 䇺ᅱ 1045/1154 ᴺ 145/123 ⬒ non reg./non reg.⪇ 807/1074 ⚻ 135/548䇻
1003 kyŇ/ten ⚻ 135/548 ౖ 956/367

154
(kyŇten ⚻ౖ), da finire per essere mandato ben due volte in esilio. Fu anche aggressivo
nei confronti delle altre forme di buddhismo, in particolare verso l’amidismo (jŇdokyŇ
ᵺ࿯ᢎ), in quanto quest’ultimo era dottrinalmente contrastante con il suo buddhismo
(aldilà vs mondo terreno).
Incitava, del resto, la gente a recitare una formula assai semplice, chiamata daimoku
㗴⋡1005: « Namu MyŇhŇ rengekyŇ » (ධήᅱᴺ⬒⪇⚻1006 Ho fede nel Sştra del loto della
buona legge). Si tratta della pratica chiamata shŇdai ໒㗴1007 (shŇ ໒ recitare + dai 㗴
φdaimoku㗴 㗴⋡)
 La scuola Nichiren (Nichirenshş ᣣ⬒ቬ1008 detta anche Hokkeshş ᴺ⪇ቬ1009
lett. setta del Sştra del loto), sua creatura, quindi di nascita giapponese ed erede della sua
personalità, è tradizionalmente faziosa, fanatica ed interessata ai problemi politici dello
Stato.
Tempio principale (sŇhonzan ✚ ᧄጊ): Kuonji ਭ ㆙ኹ 1010 (1281-presente) sul
mon- te Minobu (Minobusan りᑧጊ1011 ψcarta 9).

ٟ In seguito al sorgere delle nuove forme di buddhismo, apparvero anche presso


le diverse scuole buddhiste preesistenti (kyşbukkyŇ ᣥ੽ᢎ1012 lett. vecchio bud-
dhismo) dei bonzi eccellenti, tra cui MyŇe (᣿ᕺ1013 chiamato anche KŇben 㜞
ᑯ1014 1173-1232). Monaco dall’anima candida e cristallina, è oggi rispettato ed

1004 map/pŇ ᧃ 528/305 ᴺ 145/123


1005 dai/moku 㗴 123/354 ⋡ 65/55
1006 Na/mu/ MyŇ/hŇ/ ren/ge/kyŇ ධ 205/74 ή 227/93 ᅱ 1045/1154 ᴺ 145/123 ⬒ non ⪇
reg./non reg.

807/1074 ⚻ 135/548

1007 shŇ/dai ໒ 1062/1646 㗴 123/354


1008 Nichi/ren/shş ᣣ 1/5 ⬒ non reg./non reg.ቬ 1023/616
1009 Hok/ke/shş ᴺ 145/123 ⪇ 807/1074 ቬ 1023/616
1010 Ku/on/ji ਭ 591/1210 ㆙ 803/446 ኹ 687/41
1011 Mi/nobu/san り 331/59 ᑧ 758/1115 ጊ 60/34
1012 kyş/buk/kyŇ ᣥ 808/1216 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
1013 MyŇ/e ᣿ 84/18 ᕺ 875/1219
1014 KŇ/ben 㜞 49/190 ᑯ 793/711
1015 Kawa/bata/ Yasu/nari Ꮉ 111/33 ┵ 942/1418 ᐽ 783/894 ᚑ 115/261
1016 kumo 㔕 1124/636
1017 i/zu ಴ 17/53 ߠ (giapp. moderno: de/ru ಴ 17/53 ࠆ)
1018 ware ᚒ 1392/1302
1019 fuyu ౻ 903/459
1020 tsuki ᦬ 26/17

155
amato da non pochi giapponesi. È noto soprattutto per le controversie con HŇnen
ᴺὼ.
Il seguente suo waka ๺᱌ fu riportato da Kawabata Yasunari (Ꮉ┵ᐽᚑ1015
1899-1972 ψ§76), premio Nobel per la letteratura nel 1968, nella sua conferenza
tenuta all’Accademia svedese:

㔕1016ࠍ಴1017ߢߡᚒ1018ߦߣ߽ߥ߰౻1019 ߩ᦬1020㘑1021߿り1022 ߦߒ߻


㔐1023߿಄1024߼ߚ߈
Kumo o idete / ware ni tomonŇ / fuyu no tsuki / kaze ya mi ni shimu / yuki ya
tsumetaki?
[La luna d’inverno, uscita dalle nubi, mi fa compagnia. Non ti penetra il vento?
Non ti gela la neve?]

BUDDHI- Indipendentemente dai movimenti rinnovatori di cui sopra, fu intro-


SMO ZEN dotto dalla Cina il buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ1025). I contributi
offerti a questo riguardo dai monaci zenisti cinesi trasferitisi in Giappone non sono da
trascurare, ma i maggiori meriti sono attribuibili ai due monaci giapponesi: Eisai ᩕ⷏
1026 e DŇgen ㆏ర1027. Entrambi, dopo aver studiato al monte Hiei (Hieizan Ყซጊ

1028 ψ§23; si usa per lo più nel senso del monastero di Enryakuji ᑧᥲኹ 1029 ),

andarono in Cina per ulteriori studi.


 Il buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ) con la sua pratica zazen (ᐳ⑎ 1030 lett.
meditazione zen nella posizione del loto) fu accettato volentieri dai bushi ᱞ჻ in virtù
del severo autocontrollo che lo caratterizzava (e naturalmente lo caratterizza tuttora).
 ‫ޣ‬EISAI‫ޤ‬Fu MyŇan Eisai (᣿ᐻᩕ⷏1031 1141-1215; si suole chiamarlo semplice-
mente Eisai ᩕ⷏ o anche YŇsai ᩕ⷏) ad introdurlo per primo nel XII secolo. Egli
fondò la scuola Rinzai (Rinzaishş ⥃ᷣቬ1032).

1021 kaze 㘑 246/29


1022 mi り 331/59
1023 yuki 㔐 907/949
1024 tsu/me/ta/shi ಄ 607/832 ߼ߚߒ㧔giapp. moderno: tsume/ta/i ಄ 607/832 ߚ޿㧕
1025 zen/buk/kyŇ ⑎ 1551/1540 ੽ 678/583 ᢎ 97/245
1026 Ei/sai ᩕ 745/723 ⷏ 167/72
1027 DŇ/gen ㆏ 129/149 ర 328/137
1028 Hi/ei/zan Ყ 557/798 ซ non reg./non reg.ጊ 60/34
1029 En/rya/ku/ji ᑧ 758/1115 ᥲ 1793/1534 ኹ 687/41
1030 za/zen ᐳ 377/786 ⑎ 1551/1540
1031 MyŇ/an/ Ei/sai ᣿ 84/18 ᐻ non reg./non reg.ᩕ 745/723 ⷏ 167/72
1032 Rin/zai/shş ⥃ 897/836 ᷣ 288/549 ቬ 1023/616

156
Eisai ᩕ⷏ è noto anche come diffusore dell’abitudine di bere tè (ψ§36).
Templi principali (chiamati daihonzan ᄢᧄጊ1033) del Rinzaishş ⥃ᷣቬ: Nanzenji
ධ⑎ኹ 1034 (1291-presente), Tenryşji ᄤ㦖ኹ 1035 (1339-attuale) e parecchi altri a
KyŇto ੩ㇺ, Kamakura ㎨ୖ ecc.
 ‫ޣ‬DņGEN‫ޤ‬Successivamente nel 1227 venne portato anche da Eihei DŇgen (᳗ᐔ
㆏ర1036 1200-1253; è chiamato di solito semplicemente DŇgen ㆏ర), che aprì la
scuola SŇtŇ (SŇtŇshş ᦡᵢቬ1037). Fu quest’ultimo a dargli una solida base dottrinale.
Secondo lui il fine ultimo del buddhismo si realizza nell’intimo di ciascuno soltanto
mediante la pratica di continuare a stare seduti in meditazione zenista (shikan taza ด▤
ᛂထ1038 lett. non fare altro che restare seduto in meditazione zenista).
Al contrario dell’amidismo (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ) che esortava all’abbandono totale e
passivo di sé ai voti (hongan ᧄ㗿1039) del Buddha Amida (tariki ઁജ1040 lett. forza
altrui), DŇgen ㆏ర insistette sulla necessità di dedicarsi, con le proprie forze (jiriki
⥄ജ1041 lett. forza di sé), alla pratica. Ciò perché, mentre per HŇnen ᴺὼ e Shinran
ⷫ㣦 il buddhismo doveva servire alla salvezza del debole genere umano, totalmente
preso dall’attaccamento (shşjaku ၫ⌕1042 ψ§12), per DŇgen ㆏ర il buddhismo non
era altro che la vita reale di tutti i giorni.
Templi principali (daihonzan ᄢᧄጊ) del SŇtŇshş ᦡᵢቬ: Eiheiji (᳗ᐔኹ 1043
1244-attuale) alla omonima cittadina e SŇjiji (✚ᜬኹ1044 1321-presente) a Yokohama
(ᮮᵿ1045 ψcarta 10).
 ‫ޣ‬PUNTO DI INCONTRO DELLO ZEN CON LA CULTURA‫ޤ‬Un fatto
curioso del buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ) giapponese è che lo stesso, oltrepassan-
do i confini della religione, si unì strettamente all’attività artistica.
A questo punto è opportuno distinguere lo zen (⑎ meditazione zen, cin. chan,

1033 dai/hon/zan ᄢ 7/26 ᧄ 15/25 ጊ 60/34


1034 Nan/zen/ji ධ 205/74 ⑎ 1551/1540 ኹ 687/41
1035 Ten/ryş/ji ᄤ 364/141 㦖䋨=┥ 1110/1758䋩ኹ 687/41
1036 Ei/hei/ DŇ/gen ᳗ 690/1207 ᐔ 143/202 ㆏ 129/149 ర 328/137
1037 SŇ/tŇ/shş ᦡ p.412/1929 ᵢ 1756/1301 ቬ 1023/616
1038 shi/kan/ ta/za ด non reg./non reg.▤ 519/328 ᛂ 180/1020 ထ 1874/non reg.
1039 hon/gan ᧄ 15/25 㗿 869/581
1040 ta/riki ઁ 355/120 ജ 69/100
1041 ji/riki ⥄ 53/62 ജ 69/100
1042 shş/jaku ၫ 965/686 ⌕ 314/657
1043 Ei/hei/ji ᳗ 690/1207 ᐔ 143/202 ኹ 687/41
1044 SŇ/ji/ji ✚ 154/697 ᜬ 184/451 ኹ 687/41

157
ch’an, sans. dhyĆna) dal buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ) o la setta zen (Zenshş ⑎
ቬ): lo zen ⑎ trae origine in India ed è una delle pratiche presenti presso ogni forma
di buddhismo, mentre il buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ), sorto ed affermatosi in
Cina e come tale colmo di essenze cinesi, si riferisce a un tipo particolare del bud-
dhismo che insegna a mettere in pratica solo lo zen ⑎ secondo determinate modalità.
 L’obiettivo dello zen ⑎ sta nell’afferrare con immediatezza il vuoto (kş ⓨ1046 ψ
§12), ossia, a dirlo alla cinese, il nulla (wu, wu ή1047 giapp. mu) o, per meglio dire, il
mondo della non-mente (wuxin, wu hsin ήᔃ1048 giapp. mushin), ossia lo stato non
elaborato dall’attività mentale (wuwei ziran, wu wei tzu jan ήὑ⥄ὼ1049 giapp. mui
shizen), pensiero base della filosofia taoista (RŇsŇ shisŇ ⠧⨿ᕁᗐ 1050 ), specie di
Zhuangzi (Chuang-tzu ⨿ሶ giapp. SŇshi).

ٟ Messi insieme i pensieri di Lao-tzu (⠧ሶ giapp. RŇshi, ?-? [IV sec. a.C.]) e di
Zhuangzi (Chuang-tzu ⨿ሶ giapp. SŇshi, 365?-290? a.C.), due grandi pensatori
cinesi, si parla del RŇsŇ shisŇ (⠧⨿ᕁᗐ; RŇsŇ ⠧⨿ φRŇshi ⠧ሶ + SŇshi
⨿ሶ).

 < KŞ, MU > Si tratta del mondo in cui si annulla ogni tipo di dualità quali, ad
esempio, bello e brutto, molto e poco, vita e morte, esserci e non esserci, sì e no, dentro
e fuori, più scuro e meno scuro, soggettività ed oggettività e così via, in quanto tali
opposizioni sono semplicemente frutti del giudizio soggettivo ed arbitrario della mente
umana su una stessa medesima cosa. Ogni fenomeno è un prodotto illusorio creato
dall’operazione mentale dell’uomo. Non c’è niente che abbia un suo proprio essere che
possa chiamarsi tale. Nel mondo privo di qualsiasi operazione concettuale discriminante
(wuxin, wu hsin ήᔃ giapp. mushin), per opera della prajñĆ (giapp. hannya ⥸⧯1051 ψ
§12) la totalità apparirà un tutto unico armonioso che trascende sia il tempo che lo
spazio, e di ciò, può rendersi conto soltanto chi abbia fatto un tipo di esperienza
religiosa strettamente personale e diretta chiamata, solitamente in giapponese, satori (ᖗ

1045 Yo/ko/hama ᮮ 297/781 ᵿ 418/785


1046 kş ⓨ 233/140
1047 mu ή 227/93
1048 mu/shin ή 227/93 ᔃ 139/97
1049 mu/i/ shi/zen ή 227/93 ὑ 1137/1484 ⥄ 53/62 ὼ 375/651
1050 RŇ/sŇ/ shi/sŇ ⠧ 788/543 ⨿ 1208/1327 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
1051 han/nya ⥸ 559/1096 ⧯ 372/544

158
ࠅ1052 il rendersi conto del dharma).
 Chi abbia fatto tale esperienza rappresenterà simbolicamente il nuovo mondo che
gli si è dischiuso. Ciò perché si tratta di un mondo privo di forma concreta, quindi
inesprimibile, né trasmissibile con parole (Furyş monji. KyŇge betsuden. ਇ┙ᢥሼ ᢎᄖ
೎વ1053 La verità non si trasmette con parole, ma da cuore a cuore.). Ciò che viene
espresso da chi abbia fatto l’esperienza del satori ᖗࠅ non è altro che il mondo della
non-mente (mui shizen ήὑ⥄ὼ) che si estende all’infinito temporalmente, spazial-
mente e anche quantitativamente, ed è qui che lo zen ⑎ si unisce all’attività artistica.
L’infinito è espresso simbolicamente in forma definita: l’eternità è ridotta ad un mo-
mento; l’estensione illimitata ad un punto; il massimo al minimo.
 Un buon esempio della cultura artistica zenista è offerto dai quadri cosiddetti
suibokuga (᳓ა↹1054 chiamati anche sumie ა⛗1055) di origine cinese, ossia quadri
dipinti solo ad inchiostro nero. Essi sono caratterizzati, inoltre, dagli spazi lasciati in
bianco che occupano a volte anche oltre il 50% della superficie. Se li si guarda con la
mente zenista, ossia con gli occhi della mente di cui alla seconda metà della nota
espressione già citata:

« Forma non è altro che vuoto. Vuoto non è altro che forma »
(Shiki soku ze kş. Kş soku ze shiki. ⦡හᤚⓨ ⓨහᤚ⦡1056 ψ§12),

il nero si trasformerà in una continuità infinita di sfumature di qualsiasi colore (Sumi ni


gosai ari. აߦ੖ᓀ1057޽ࠅ䇯 lett. Nel colore nero ci sono cinque colori.), e gli spazi
non dipinti rappresenteranno innumerevoli paesaggi (Muichimotsuchş mujinzŇ. ή৻‛ਛ
ήዧ⬿1058 lett. Laddove non c’è una sola cosa c’è di tutto inesauribilmente). Dire che
non c’è che un colore equivale a dire che ci sono tutti i colori. Dire che non è dipinto
niente equivale a dire che è dipinto un numero infinito di cose. Il « non esserci » zenista
non è quel non esserci o assenza contrapposto all’esserci o presenza. Il non esserci e

1052 sato/ri ᖗ 1479/1438 ࠅ


1053 Fu/ryş/ mon/ji/. KyŇ/ge/ betsu/den. ਇ 134/94 ┙ 61/121 ᢥ 136/111 ሼ 612/110 ᢎ 97/245 ᄖ
120/83 ೎ 255/267 વ 494/434

1054 sui/boku/ga ᳓ 144/21 ა 1431/1705 ↹ 150/343


1055 su/mie ა 1431/1705 ⛗ 976/345
1056 Shiki/ soku/ ze/ kş/. Kş/ soku/ ze/ shiki. ⦡ 326/204 හ 1052/463 ᤚ 1404/1591 ⓨ 233/140 ⓨ
233/140 හ 1052/463 ᤚ 1404/1591 ⦡ 326/204

1057 go/sai ੖ 14/7 ᓀ 1341/932


1058 Mu/ichi/motsu/chş/ mu/jin/zŇ. ή 227/93 ৻ 4/2 ‛ 126/79 ਛ 13/28 ή 227/93 ዧ 1603/1726 ⬿

159
l’esserci non sono divisi come due concetti contrastanti, ma formano un tutt’uno.
La mente zenista non è nemmeno quella mente che abbia perso completamente la
sua facoltà: il mondo del nulla zenista (mui shizen ήὑ⥄ὼ) è un mondo dinamico e
generativo; di lì vengono fuori cose infinite così come dallo zero (espressione matema-
tica del kş ⓨ [vuoto], per l’appunto) nascono numeri infiniti. Si osservi la seguente
rappresentazione:

VUOTO, KŞ, MU
‫ڢ‬
㧗п ̖ Ⱥ 㧗㧟 Ⱥ 㧗㧞 Ⱥ 㧗㧝 Ⱥ 㧜 Ⱥ 㧙㧝 Ⱥ 㧙㧞 Ⱥ 㧙㧟 Ⱥ ̖ 㧙п

Forma non è altro che vuoto.


Vuoto non è altro che forma.

 Lo zen ⑎ è tradotto di solito con questa parola: meditazione. Ma la meditazione


nel senso occidentale (p.es. « il considerare attentamente e a lungo un’idea, un problema,
un testo e sim., allo scopo di intenderli bene, d’indagarli » in: Il Grande Dizionario
Garzanti della Lingua Italiana, 2005) è l’esatto opposto dello zen ⑎, ossia proprio ciò
che non si dovrebbe fare per l’esperienza del satori ᖗࠅ.
 Alla mente razionale la cultura zenista si presenterà in forme definibili con i seguen-
ti tipi di concetto a valenza negativa:

uno (o, uni-, mono-), piccolo (o, poco), povero (o, misero), vecchio (o, brutto,
sporco), senza (o, in-), buio (o, scuro), quieto (o, silenzioso), semplice (o, sobrio,
disadorno), fermo (o, lento), irregolare (o, deforme, asimmetrico).

‫ޣ‬‫ޣ‬CINQUE TEMPLI ZEN DI KYņTO E ALTRETTANTI DI KAMAKURA‫ޤ‬


Nel periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ ↸ ᤨ ઍ ) vennero designati sul
modello cinese cinque templi zenisti d’alto rango per ciascuna località di KyŇto ੩ㇺ e
Kamakura ㎨ୖ. Furono tutti del Rinzaishş ⥃ᷣቬ e chiamati rispettivamente KyŇto
gozan (੩ㇺ੖ጊ1059 lett. cinque montagne di KyŇto; zan ጊ montagna: un altro modo
di dire tempio buddhista) e Kamakura gozan (㎨ୖ੖ጊ lett. cinque templi di Kama-

429/1286

1059 KyŇ/to/ go/zan ੩ 16/189 ㇺ 92/188 ੖ 14/7 ጊ 60/34

160
kura). A partire dal 1386 al di sopra dei dieci templi ce n’era uno di massimo rango:
Nanzenji ධ⑎ኹ1060 già citato. Messi insieme tutti gli undici, si parla semplicemente di
gozan (੖ጊ lett. cinque montagne).
 I monaci zenisti di questi templi sotto una particolare protezione shogunale, anziché
essere religiosi, erano piuttosto dei cultori della cultura cinese, specie della filosofia
neo-confuciana di Zhuzi (Chu Hsi ᧇሶ1061 giapp. Shushi ψ§53) e prepararono la
base della fioritura degli studi confuciani (ruxue, juhsüeh ఌቇ1062 giapp. jugaku), in
particolare neo-confuciani (shushigaku ᧇሶቇ) del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ
1063).

§34. Letteratura

POESIE ‫ޣ‬WAKA ‫ޤ‬Nei tempi d’inquietudini sociali e politiche che facevano da


transizione fra il mondo antico e quello medievale, come si è visto, c’era un
gruppo di monaci (p.es. HŇnen ᴺὼ) che si era gettato coraggiosamente nel bel mezzo
delle masse sofferenti nell’ardente speranza di salvare quelle anime. Peraltro, c’erano
altri monaci (p.es. Kamo no ChŇmei 㡞㐳᣿ 1064 ) che, ritirandosi in montagna e
tenendosi lontani dalle agitazioni e dai disordini sociali, aspiravano a trovare una pace
spirituale personale, conducendo vita eremitica.
I nobili invece sceglievano una terza via: preferivano continuare ad abitare a KyŇto
੩ㇺ e darsi al componimento di poesie estremamente fantastiche che riecheggiavano
il loro abbandono nostalgico ai ricordi di un tempo. Così, crearono ancora un’altro
mondo di waka ๺᱌, per così dire, sospeso fra realtà e sogno. Lo Shin kokin [waka]shş
(䇺ᣂฎ੹[๺᱌]㓸䇻1065 it. Nuova raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne, 1205; waka
๺᱌: omissibile) sta a rappresentare il punto definitivamente raggiunto dalla cultura
aristocratica.
Ecco un paio di waka ๺᱌ dallo Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ੹[๺᱌]㓸䇻:

1060 Nan/zen/ji ධ 205/74 ⑎ 1551/1540 ኹ 687/41


1061 Shu/shi ᧇ 1720/1503 ሶ 56/103
1062 ju/gaku ఌ 1968/1417 ቇ 33/109
1063 E/do/ ji/dai ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1064 Kamo/ no/ ChŇ/mei 㡞 1570/non reg.㐳 25/95 ᣿ 84/18
1065 Shin/ ko/kin/ [waka]/shş 䇺ᣂ 36/174 ฎ 373/172 ੹ 146/51[๺ 151/124 ᱌ 478/392]㓸 168/436䇻

161
᥵1066ࠇߡࠁߊᤐ1067ߩߺߥߣߪߒࠄߨߤ߽㔰1068ߦ⪭1069ߟࠆቝᴦ1070ߩᩊ
⥱1071
Kurete yuku / haru no minato wa / shiranedomo / kasumi ni otsuru / Uji no shibabune
[La primavera si va inoltrando; in quale porto andrà a finire? Vedo scivolare giù
nella foschia del fiume Uji una barca carica di ramoscelli.]
Autore: Jakuren hŇshi (኎⬒ᴺᏧ1072 bonzo Jakuren, ?-1202)

ᕁ1073߭޽߹ࠅߘߥߚߩⓨ1074ࠍߥ߇߻ࠇ߫㔰ࠍಽ1075ߌߡᤐ㔎1076ߙ㒠1077

Omoiamari / sonata no sora o / nagamureba / kasumi o wakete / harusame zo furu
[Non potendomi contenere, guardo il cielo su di te, quand’ecco vedo cadere la
pioggia primaverile attraverso la foschia.]
Autore: Fujiwara no Toshinari (⮮ේବᚑ1078 1114-1204)

᩿1079ߩ⪲1080߽〯1081ߺಽߌ߇ߚߊߥࠅߦߌࠅ߆ߥࠄߕੱ1082ࠍᓙ1083ߟߣ
ߥߌࠇߤ

1066 ku/ru ᥵ 915/1428 ࠆ (giapp. moderno: ku/re/ru ᥵ 915/1428 ࠇࠆ)


1067 ha/ru ᤐ 461/460
1068 kasumi 㔰 1530/2261
1069 o/tu ⪭ 393/839 ߟ (giapp. moderno: o/chi/ru ⪭ 393/839 ߜࠆ)
1070 U/ji ቝ 757/990 ᴦ 181/493
1071 shiba/bune ᩊ non reg./non reg.⥱ 1334/1094
1072 Jaku/ren/ hŇ/shi ኎ 1871/1669 ⬒ non reg./non reg.ᴺ 145/123 Ꮷ 490/409
1073 omŇ (o/mo/o) ᕁ 149/99 ߰ (giapp. moderno: omŇ ᕁ 149/99 ߁)
1074 sora ⓨ 233/140
1075 wa/ku ಽ 35/38 ߊ (giapp. moderno: wa/ke/ru ಽ 35/38 ߌࠆ)
1076 haru/same ᤐ 461/460 㔎 655/30
1077 fu/ru 㒠 787/947 ࠆ (giapp. moderno: id.)
1078 Fuji/wara/ no/ Toshi/nari ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ବ 1321/1845 ᚑ 115/261
1079 kiri ᩿ 1569/2110
1080 ha ⪲ 405/253
1081 fu/mu 〯 1067/1559 ߻ (giapp. moderno: id.)
1082 hito ੱ 9/1
1083 ma/tsu ᓙ 374/452 䈧 (giapp. moderno: id.)

162
Kiri no ha mo / fumiwakegataku / narinikeri / Kanarazu hito o / matsu to nakere do
[Si sono ammucchiate così tante foglie di paulonia da ostacolare il cammino!
Non m’aspetto però la visita di nessuno.]
Autrice: Shikishi naishinnŇ (ᑼሶౝⷫ₺1084 principessa Shikishi, ?-1201)

 < Yşgen > A proposito delle poesie dello Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ੹[๺᱌]㓸䇻,
si suole parlare d’un ideale estetico permeato da un tono squisitamente medioevale:
yşgen (ᐝ₵ 1085 lett. oscuro, recondito, appena percettibile). La parola yşgen ᐝ₵,
termine di provenienza dalla filosofia taoista (RŇsŇ shisŇ ⠧ ⨿ ᕁ ᗐ 1086 ψ §33),
cominciò ad essere usata nella letteratura saggistica di poesia verso la fine del periodo
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ). Da allora ne parlarono molti fra cui Kamo no ChŇmei
(㡞㐳᣿1087 ψ§34) nel MumyŇshŇ (䇺ήฬᛞ䇻1088 it. Trattato senza nome, 1211?):

« Quando si sente parlare del cosiddetto yşgen ᐝ₵, non si capisce bene che
cosa significa. Siccome io stesso non ho approfondito molto questo argomento,
non penso di poterlo definire in modo chiaro e netto. Mi risulta, comunque, che gli
intenditori autorevoli in materia si siano riferiti a certi sentimenti non espressi con
parole o ad una certa atmosfera suggerita da una visione poco consistente.
Faccio un esempio: il cielo serale d’autunno non ha colori ed è dominato dal
silenzio. Guardandolo, succede che i nostri occhi si riempiano di lacrime senza
motivo e non possiamo spiegarcene il perché, né sappiamo dire dov’è lo yşgen ᐝ₵.
Chi non se ne intende pensa che in un cielo siffatto non ci sia un bel niente da
gustare, ed ammira soltanto fiori di ciliegio e foglie colorate d’autunno che si
presentano realmente alla vista. [...]
Un altro esempio: quando si guardano montagne autunnali attraverso gli squarci
lasciati dal diradarsi delle nebbie, ciò che si vede è indistinto, ma attraente ed allora
ci si lascia rapire dalle fantasie, domandandoci fin dove si estendano quei colori
autunnali ed ammirando lo splendore di quella veduta immaginata. Le immagini che
la mente si crea in tal modo, possiamo allora dirle superiori al paesaggio reale colto

1084 Shiki/shi/ nai/shin/nŇ ᑼ 185/525 ሶ 56/103 ౝ 51/84 ⷫ 381/175 ₺ 499/294


1085 yş/gen ᐝ 1876/1228 ₵ 1514/1225
1086 RŇ/sŇ/ shi/sŇ ⠧ 788/543 ⨿ 1208/1327 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
1087 Kamo/ no/ ChŇ/mei 㡞 1570/non reg.㐳 25/95 ᣿ 84/18
1088 Mu/myŇ/shŇ 䇺ή 227/93 ฬ 116/82 ᛞ 1970/1153䇻

163
dalla vista in tutta la sua nitidezza ».

 Il termine yşgen ᐝ₵ fu usato con diverse connotazioni, ma quasi tutti i letterati


d’oggi sono unanimi nel dire che si riferisca a un clima psicologico tendente alla
malinconia causata dalla presenza di ‘due elementi’ (come, per esempio, le montagne
autunnali e la nebbia di cui al brano di ChŇmei 㐳᣿). Sarebbe insomma qualcosa
come un terzo colore indefinibile quale si ottiene sovrapponendo due pezzi di vetro
diversamente colorati.
 Per esemplificare la ‘doppia struttura’ di yşgen ᐝ₵ si suole citare il seguente ben
noto waka ๺᱌ dello Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ੹[๺᱌]㓸䇻:

⷗1089ࠊߚߖ߫⧎1090߽߽ߺߝ߽ߥ߆ࠅߌࠅᶆ1091ߩߣ߹ደ1092ߩ⑺1093ߩᄕ
᥵1094
Miwataseba / hana mo momiji mo / nakarikeri / ura no tomaya no / aki no yşgure
[A perdita d’occhio non vedo fiori di ciliegio, né foglie colorate d’autunno, ma
soltanto una capanna dal tetto di giunchi vicino all’insenatura nel crepuscolo
autunnale.]
Autore: Fujiwara no Sadaie (⮮ේቯኅ1095 1162-1241)

Uno dei due elementi è il colore grigio scuro della sera e l’altro consiste nei fiori e
nelle foglie dai colori sgargianti che stanno nei ricordi di Sadaie ቯኅ. Egli proietta
questi ultimi nel paesaggio in penombra e li guarda attraverso un vetro colorato quale
semioscurità serale. Che si percepisca o meno uno yşgen ᐝ₵ là dove s’incontrano i
‘due elementi’ di natura opposta fra loro, dipende dalla disposizione e capacità mentale
di chi legge questo waka ๺᱌. È evidente, comunque, che agli inizi del periodo Kama-
kura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ) i pensieri taoisti e zenisti cominciavano ad infiltrarsi

1089 mi/wa/ta/su ⷗ 48/63 ࠊߚߔ (giapp. moderno: id.)


1090 ha/na ⧎ 551/255
1091 ura ᶆ 856/1442
1092 ya ደ 270/167
1093 aki ⑺ 540/462
1094 yş/gure ᄕ 627/81 ᥵ 915/1428
1095 Fuji/wara/ no/ Sada/ie ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ቯ 62/355 ኅ 81/165

164
nel criterio estetico.
‫ޣ‬‫ޣ‬RENGA ‫ޤ‬Dopo la compilazione dello Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ੹[๺᱌]㓸䇻, ci
fu un processo di decadenza del waka ๺᱌, e in sua sostituzione venne in voga la
cosiddetta poesia a catena (renga ㅪ᱌1096 lett. poesie collegate, poesie congiunte) che
aveva origine dai tempi del Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻.
Sotto l’aspetto metrico, dapprima si trattò di una poesia, formalmente identica al
tanka (⍴᱌ 5-7-5-7-7), cantata però non da una ma da due persone in collaborazione:
qualcuno componeva la prima metà (kami no ku ਄ߩฏ1097 5-7-5) e qualcun altro la
seconda (shimo no ku ਅߩฏ1098 7-7) (tanrenga ⍴ㅪ᱌1099 lett. renga breve).
Successe, poi, nel periodo dello insei (inseiki 㒮᡽ᦼ1100 1086-1179/1185), che più
di due persone cominciassero a comporre, sempre in collaborazione, molte strofe
concatenate:

(5-7-5)-(7-7)-(5-7-5)-(7-7)-(5-7-5)-(7-7)- ̖

genere di poesia detto specificamente kusari renga (㎮ㅪ᱌1101 lett. poesia a catena) o
anche chŇrenga (㐳ㅪ᱌1102 lett. renga lungo). La gente si divertiva a vedere sviluppi
veriegati o, meglio, inaspettati sia come significato che come atmosfera poetica. Oggi,
quando si parla semplicemente del renga ㅪ᱌ ci si riferisce senz’altro a quest’ultimo
tipo di poesia consistente in tante strofe (44, 50, 100, 1,000, ... strofe) che si susseguono.
Più tardi, nel periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ), soppiantando il
tanka ⍴᱌ tradizionale, il kusari renga ㎮ㅪ᱌, ossia la poesia a catena (renga ㅪ᱌),
andò trovando appassionati cultori anche fra i contadini attraverso, per esempio,
l’organizzazione sŇ (ᗉ1103 ψ§29) da loro stessi amministrata e per merito di Iio SŇgi
(㘵የቬ␧1104 1421-1502), considerato il massimo maestro nel genere del renga ㅪ᱌.
SŇgi ቬ␧, nelle sue numerose peregrinazioni, lo trapiantò in una vasta zona del

1096 ren/ga ㅪ 87/440 ᱌ 478/392


1097 kami/ no/ ku ਄ 21/32 ߩฏ 1258/337
1098 shimo/ no/ ku ਅ 72/31 ߩฏ 1258/337
1099 tan/ren/ga ⍴ 789/215 ㅪ 87/440 ᱌ 478/392
1100 in/sei/ki 㒮 236/614 ᡽ 50/483 ᦼ 119/449
1101 kusari/ ren/ga ㎮ 1605/1819 ㅪ 87/440 ᱌ 478/392
1102 chŇ/ren/ga 㐳 25/95 ㅪ 87/440 ᱌ 478/392
1103 sŇ ᗉ non reg./non reg.
1104 Ii/o/ SŇ/gi 㘵 1083/325 የ 675/1868 ቬ 1023/616 ␧ non reg./non reg.

165
Giappone.
 Fu da questo genere poetico che nacque nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ
1600/1603-1867) una nuova forma di poesia brevissima (ψ§50) che oggi, insieme con
il tanka ⍴᱌, è autentica espressione della tradizionale versificazione giapponese.

LETTERATURA Si è già detto che a partire dalla metà del periodo Heian (Heian jidai
GUERRESCA ᐔ቟ᤨઍ), specie nel medioevo (chşsei ਛ਎) venne prodotto un
gruppo di opere narrative chiamato gunki [o anche senki ] monogatari (ァ⸥[ᚢ⸥]‛⺆
1105 lett. racconti guerreschi) o anche gunkimono (ァ⸥‛ lett. opere guerresche). Tale

letteratura, sorta insieme con la nascita della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖),
costituì il filone che rispecchiò meglio di qualsiasi altro i tempi profondamente mutati.
Si tratta di opere che narrano battaglie e gesta eroiche dei bushi ᱞ჻, costituendo in tal
modo un mondo di forza dinamica e virile, estraneo ai monogatari ‛⺆ (p.es. Genji
monogatari Ḯ᳁‛⺆) del periodo precedente, ed è proprio qui che i gunkimono ァ⸥‛
si distinguono nettamente dalle opere aristocratiche, delicate, fragili, effeminate e a volte
anche lugubri della cultura nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ).
‫ޣ‬HEIKE MONOGATARI ‫ޤ‬Il massimo capolavoro del genere (e nel contempo
una delle opere che rappresentano la letteratura giapponese di tutti i tempi) è lo Heike
monogatari (䇺ᐔኅ‛⺆䇻1106 it. Storia dei Taira, prima metà XIII sec. ψ§18) che, dopo
aver esposto diversi episodi durante il periodo di gloria effimera dei Taira (Tairauji ᐔ
᳁, Heishi ᐔ᳁; Le tre espressioni di Heike ᐔኅ, Tairauji ᐔ᳁ e Heishi ᐔ᳁ sono
tutte sinonimiche.), passa a raccontare diverse battaglie, ordinandole in modo tale che
ciascuna di esse costituisca una tappa fatale verso la patetica totale disfatta subita nel
1185 a Dannoura (სࡁᶆ1107 ψcarta 5).
Dalla prima frase sino all’ultima, infatti, è fortemente permeato dal pensiero bud-
dhista shogyŇ mujŇ (⻉ⴕήᏱ1108 lett. Ogni cosa terrena è impermanente. ψ§12),
entrato ormai nel profondo dell’animo dei giapponesi con il diffondersi del culto della
Terra Pura (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ1109).
 L’intera opera può essere paragonata ad una creazione epica, non soltanto per il
contenuto, ma anche per la ritmicità della lingua chiamata wakan konkŇbun (๺ṽᷙᶳᢥ

1105 gun/ki/ mono/gatari ァ 193/438 ⸥ 147/371 ‛ 126/79 ⺆ 274/67࡮sen/ki/ mono/gatari ᚢ 88/301


⸥ 147/371 ‛ 126/79 ⺆ 274/67࡮gun/ki/mono ァ 193/438 ⸥ 147/371 ‛ 126/79
1106 Hei/ke/ mono/gatari 䇺ᐔ 143/202 ኅ 81/165 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻
1107 Dan/no/ura ს 1384/1839 ࡁᶆ 856/1442
1108 sho/gyŇ/ mu/jŇ ⻉ 602/861 ⴕ 31/68 ή 227/93 Ᏹ 356/497
1109 jŇ/do/kyŇ ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ᢎ 97/245

166
1110 lett. frasi composte promiscuamente da parole giapponesi e da [un’alta percentuale
di] parole cinesi).
 Ecco alcune righe iniziali e del resto ben note dell’opera:

␧࿦♖⥢1111ߩ㏹1112ߩჿ1113, Il suono della campana del mona-


GionshŇja no / kane no koe, / stero Jetavana-vihĆra
⻉ⴕήᏱߩ㗀1114߈޽ࠅ‫ޕ‬ vibra del tono dell’impermanenza
shogyŇ mujŇ no / hibiki ari. delle cose terrene.
ᴕ⟜෺᮸1115ߩ⧎ߩ⦡1116, Il colore dei fiori degli alberi œĆla
Shara sŇju no / hana no iro, /
⋓⠪1117ᔅ⴮1118ߩℂ1119ࠍ㗼1120ߔ‫ޕ‬ simboleggia il destino di chi è in auge
jŇja / hissui no / kotowari o / arawasu. e deve inevitabilmente decadere.
ᅍ1121ࠇࠆੱ߽ਭ1122ߒ߆ࠄߕ‫ޕ‬ I potenti non possono continuare ad
Ogoreru hito mo / hisashikarazu. / esserlo eternamente.
ด1123ᤐߩᄛ1124ߩᄞ1125ߩᅤ1126ߒ‫ޕ‬ È come un sogno fuggevole di una
Tada haru no yo no / yome no gotoshi. notte primaverile.
⁴1127߈⠪1128߽ㆀ1129ߦߪ੢1130߮ߧ‫ޕ‬ Anche l’eroe più valoroso è desti-
Takeki mono mo / tsuini wa horobinu. / nato ad essere vinto,

1110 wa/kan/ kon/kŇ/bun ๺ 151/124 ṽ 1394/556 ᷙ 888/799 ᶳ non reg./non reg.ᢥ 136/111
1111 Gion/shŇ/ja ␧ non reg./non reg.࿦ 412/447 ♖ 672/659 ⥢ 1056/791
1112 kane ㏹ 1425/1821
1113 koe ჿ 467/746
1114 hibi/ki 㗀 647/856 ߈
1115 sha/ra/ sŇ/ju ᴕ non reg./non reg.⟜ 1762/1860 ෺ 1178/1594 ᮸ 1034/1144
1116 iro ⦡ 326/204
1117 jŇ/ja ⋓ 737/719 ⠪ 22/164
1118 his/sui ᔅ 292/520 ⴮ 1577/1676
1119 kotowari ℂ 95/143
1120 arawa/su 㗼 1682/1170 ߔ (giapp. moderno: id.)
1121 ogo/ru ᅍ non reg./non reg.ࠆ (giapp. moderno: id.)
1122 hisa/shi ਭ 591/1210 ߒ (giapp. moderno: hisa/hi/i ਭ 591/1210 ߒ޿)
1123 tada ด non reg./non reg.
1124 yo ᄛ 258/471
1125 yume ᄞ 969/811
1126 goto/shi ᅤ 1521/1747 ߒ (giapp. moderno: yŇ/da ࠃ߁ߛ)
1127 take/shi ⁴ 1378/1579 ߒ
1128 mono ⠪ 22/164
1129 tsui/ni ㆀ 1427/1133 ߦ
1130 horo/bu ੢ 887/672 ߱ (giapp. moderno: horo/bi/ru Ṍ 1387/1338 ߮ࠆ࡮੢ 887/672 ߮ࠆ)

167
஍1131ߦ㘑1132ߩ೨ߩႲ1133ߦหߓ‫ޕ‬ proprio come lo è la polvere al co-
Hitoeni / kaze no mae no / chiri ni onaji. spetto del vento.

 Il testo che descrive, com’è ovvio, scontri armati Genji Ḯ᳁ versus Heishi ᐔ᳁ è
cosparso anche di preziosi episodi a volte commoventi o pietosi ed altre volte
pittoreschi. Di seguito se ne riporta il sommario di un paio:

DUE SHIRABYņSHI: GIņ E HOTOKE GOZEN

Taira no Kiyomori (ᐔᷡ⋓ ψ§18) promosso, nel 1167, a daijŇ daijin ᄥ᡽ᄢ⤿1134 era
gonfio di superbia.
In quei tempi andava in voga alla capitale una danza accompagnata da canti, detta
shirabyŇshi (⊕ᜉሶ1135; si usa anche nel senso di danzatrice-cantante di tale arte), eseguita da
donne travestite da uomo e solitamente di facili costumi. Ce n’era una assai abile nel mestiere,
di nome GiŇ ␳₺1136, mantenuta nell’abbondanza da Kiyomori ᷡ⋓.
Trascorsi tre anni, venne alla capitale una bella shirabyŇshi ⊕ᜉሶ più giovane di lei,
chiamata Hotoke gozen (੽ᓮ೨1137; gozen ᓮ೨ suffisso onorifico), che volle esibirsi davanti
a Kiyomori ᷡ⋓. Quando si accorse del disinteresse di questi, poté eseguire il suo numero
per intercessione di GiŇ ␳₺. Kiyomori ᷡ⋓, infatuatosi immediatamente della nuova
venuta, sostituì GiŇ ␳₺ con la giovane. « Vattene di qui senza indugio » furono le sue parole.
Le venne tagliato anche ogni mezzo di sostentamento.
Prima di congedarsi dal palazzo di Kiyomori ᷡ⋓, GiŇ ␳₺ dal cuore straziato lasciò
scritto un waka ๺᱌ nella camera in cui abitava:

⪢1138߃಴1139ߠࠆ߽ᨗ1140ࠆࠆ߽หߓ㊁ㄝ1141ߩ⨲1142޿ߠࠇ߆⑺*ߦ޽

1131 hitoe/ni ஍ 1649/1159 ߦ


1132 kaze 㘑 246/29
1133 chiri Ⴒ non reg./non reg.
1134 dai/jŇ/ dai/jin ᄥ 343/629 ᡽ 50/483 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
1135 shira/byŇ/shi ⊕ 266/205 ᜉ 1529/1178 ሶ 56/103
1136 Gi/Ň ␳ non reg./non reg.₺ 499/294
1137 Hotoke/ go/zen ੽ 678/583 ᓮ 620/708 ೨ 38/47
1138 mo/yu ⪢ non reg./non reg.ࠁ (giapp. moderno: mo/e/ru ⪚ non reg./non reg.߃ࠆ)
1139 i/zu ಴ 17/53 ߠ (giapp. moderno: da/su ಴ 17/53 ߔ)
1140 ka/ru ᨗ 1783/974 ࠆ (giapp. moderno: ka/re/ru ᨗ 1783/974 ࠇࠆ)
1141 no/be ㊁ 85/236 ㄝ 696/775

168
ߪߢߪߟߴ߈
Moeizuru mo / karuru mo onaji / nobe no kusa / izure ka aki* ni / awade hatsubeki
[Le erbe, fresche o secche, sono ugualmente piante del campo. Entrambe sono
destinate ad andare incontro all’autunno (al disinteresseާda parte dell’uomo䈁)].

* La parola aki è usata in due sensi diversi di ‘autunno’ [aki ⑺] e ‘disinteresse,


noia’ [aki 㘻߈]. L’uso di tali parole, dette kakekotoba [ដ⹖1143 o anche  ⹖
parola a doppio senso], fa parte delle tecniche retoriche tradizionali di
versificazione giapponese.

L’anno successivo GiŇ ␳₺ venne inaspettatamente chiamata da Kiyomori ᷡ⋓ ad


eseguire numeri davanti a Hotoke gozen ੽ᓮ೨ per intrattenerla. Sopportando l’insop-
portabile, comunque si recò e si trovò assegnata ad un posto miserabile. Di fronte
all’umiliazione più volte inflittale, si decise a farsi monaca insieme con la madre e la sorella
minore. Aveva 21 anni.
Una notte le tre, mentre recitavano il nome d’Amida butsu (nenbutsu ᔨ੽1144 ψ§23),
sentirono bussare alla porta di bambù della loro capanna. Era Hotoke gozen ੽ᓮ೨, fattasi
anch’essa monaca. Aveva abbandonato la sistemazione offertale da Kiyomori ᷡ⋓, convinta
della caducità meno durevole d’un lampo degli splendori terreni. Aveva appena 17 anni.
Mentre ascoltava Hotoke gozen ੽ᓮ೨ parlare col cuore in mano, GiŇ ␳₺ sentì
sciogliersi il rancore; Hotoke gozen ੽ᓮ೨ non aveva la minima intenzione di subentrarle.
Le due anime che fino allora non si erano incontrate si conciliarono armoniosamente, e da
quel momento le quattro devote d’Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽ praticarono tutte insieme la via
della salvezza.

ٟ Oggi alla periferia di KyŇto ੩ㇺ si trova un monastero di monache detto


GiŇji ␳₺ኹ. Un tempo lì c’era il tempio ņjŇin (ᓔ↢㒮1145; ŇjŇ ᓔ↢ rinascita
nella Terra Pura; in 㒮 qui sinonimo di tera ኹ) presso cui si ritirarono GiŇ ␳
₺, la madre, la sorella e Hotoke gozen ੽ᓮ೨.

YZ

NASU NO YOICHI

Si tratta di un episodio su una mirabile frecciata durante la battaglia di Yashima (Yashima

1142 kusa ⨲ 705/249


1143 kake/kotoba ដ 1183/1464 ⹖ 1624/843
1144 nen/butsu ᔨ 469/579 ੽ 678/583
1145 ņ/jŇ/in ᓔ 1283/918 ↢ 29/44 㒮 236/614

169
no tatakai ደፉߩᚢ޿1146, 1185; Yashima ደፉ ψcarta 6) combattuta poco oltre un mese
prima di quella finale a Dannoura სࡁᶆ.
C’era, a terra, una cavalleria Genji Ḯ᳁ di circa 300 uomini guidata da Minamoto no
Yoshitsune (Ḯ⟵⚻1147 1159-1189, fratellastro di Minamoto no Yoritomo Ḯ㗬ᦺ ψ§27);
in mare, a bordo di imbarcazioni, c’erano gli Heishi ᐔ᳁. Scendeva la sera senza che nessuna
parte risultasse vittoriosa, quand’ecco che si vide una nave addobbata accostarsi a terra. A
bordo si vedeva una giovane donna elegantemente vestita. Ella, tirato fuori un ventaglio rosso
con al centro un disco d’oro, lo innestò all’estremità di un’asta, piantandola quindi alla prua.
Fece poi cenno con la mano.
« Cosa vorrebbe dire? » Yoshitsune ⟵⚻ si consultò con un tale erudito.
« Gli Heishi ᐔ᳁ vorrebbero invitarci a colpire il ventaglio con una frecciata. Può darsi,
però, che abbiano teso qualche tranello. Sarà comunque il caso di abbatterlo al più presto ».
« Abbiamo un arciere all’altezza del compito? »
« Sì, mio Signore. Ne abbiamo uno che si chiama Nasu no Yoichi (㇊㗇ਈ৻1148 ?-?). È
un giovane basso di statura, ma è un tiratore sicuro »
« Ne hai qualche prova da addurre? »
« Riesce a colpire due uccelli su tre in volo, mio Signore ».
« Chiamalo subito ».
[...]
« Yoichi ਈ৻, dimostra davanti a tutti la tua maestria ».
L’ordine di Yoshitsune ⟵⚻ fu perentorio. Yoichi ਈ৻, a dorso di cavallo, si spinse fin
oltre la battigia, in mezzo ad un gran numero di spettatori che seguiva ogni sua mossa. Se ci
riusciva, bene; in caso contrario sarebbe stato un disonore dei Genji Ḯ᳁ per generazioni.
Yoichi ਈ৻ era pronto ad uccidersi sul posto. Il bersaglio era lontano alcune decine di
metri, e il mare era mosso per una tramontana che si era alzata da poco. Gli sembrava
impossibile riuscirci. Ad occhi chiusi Yoichi ਈ৻ pregò tutti i kami (␹ ψ§9). La preghiera
fu esaudita; il vento calò. Fu il momento da non perdere.
Scoccata una prima freccia, il ventaglio, colpito a tre centimetri dal perno, volò all’insù,
svolazzò per un attimo al vento e finì giù in mare, ridotto in tre pezzi. A vederli andare su e
giù in balia delle onde e luccicare al sole del tramonto, si alzò tutt’intorno un’acclamazione.
Vinto forse da una forte emozione, un uomo sui cinquant’anni degli Heike ᐔኅ eseguì,
cantando, una danza mai ⥰1149 con in mano una naginata (㐳ಷ1150 lett. spada lunga; Si
immagini una spada con una manica lunga quanto un’asta di una lancia. it. alabarda [forse
dall’ingl. halbert]).

‫ܮ‬

1146 Ya/shima/ no/ tataka/I ደ 270/167 ፉ 173/286 ߩᚢ 88/301 ޿


1147 Minamoto/ no/ Yoshi/tsune Ḯ 827/580 ⟵ 287/291 ⚻ 135/548
1148 Na/su/ no/ Yo/ichi ㇊ 1257/non reg.㗇 936/2263 ਈ 485/539 ৻ 4/2
1149 mai ⥰ 746/810
1150 naginata 㐳 25/95 ಷ 1494/37

170
Lo Heike monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻 ha una novantina di versioni alquanto diverse tra loro.
In certi testi l’episodio si conclude diversamente:

‫ܮ‬

La giovane donna che aveva fatto cenno d’invito ai Genji Ḯ᳁ era una Heike selezionata
tra mille dame. Di fronte allo spettacolo che ricordava fiori di ciliegio e foglie colorate
d’autunno improvvisò un waka ๺᱌:

ߣ߈ߥࠄߧ⧎߿߽ߺߓࠍߺߟࠆ߆ߥ⧐㊁*ೋἑ**ߩ߽߰ߣߥࠄߨߤ
Tokinaranu / hana ya momiji o / mitsuru kana / Yoshino Hatsuse no / fumoto naranedo
[Ho avuto modo di ammirare fiori di ciliegio e foglie rosse di aceri, cose che
non m’aspettavo di vedere. E pensare che non siamo a Yoshino, né a Hatsuse].

* Yoshino (⧐㊁ = ศ㊁ ψcarta 7) / ** Hatsuse ೋἑ: una località dell’Asuka (㘧㠽


ψcarta 7). Sia Yoshino ศ㊁ che Hatsuse ೋἑ erano (e sono) note per i loro fiori
di ciliegio.

 < Biwa hŇshi > La letteratura guerresca (gunki monogatari ァ ⸥ ‛ ⺆ ) è


caratterizzata anche dal fatto che molte delle sue opere non soltanto erano lette come
tutti gli altri monogatari ‛⺆, ma anche e soprattutto venivano recitate da cantastorie
ciechi dai capelli rasi a mo’ di bonzo e vestiti da monaci, chiamati biwa hŇshi (ℚℛᴺᏧ
1151; ᴺᏧ lett. bonzo), professionisti (e non necessariamente bonzi nel vero senso

della parola) che declamavano, accompagnandosi con uno strumento a corda detto biwa
ℚℛ.
Essi, affidandosi ad un solo bastone e con un biwa ℚℛ sulla schiena, andavano in
giro di villaggio in villaggio e recitavano passi di romanzi guerreschi (gunkimono ァ⸥
‛) a volte in palazzi di nobili e bushi ᱞ჻ ed altre volte per strada davanti a contadini,
artigiani, pescatori, giovani e vecchi. Si capisce che a differenza del Genji monogatari (Ḯ
᳁‛⺆ ψ§22) che secondo l’autrice del Sarashina nikki (䇺ᦝ⚖ᣣ⸥䇻1152 [opera della
cultura Fujiwara] it. Diario di Sarashina, 1060 ca.), lei stessa avrebbe letto dietro un
paravento, avvicinando a sé una lampada ad olio, la letteratura guerresca (gunki
monogatari ァ⸥‛⺆) penetrò, per opera dei biwa hŇshi ℚℛᴺᏧ ed altre categorie di
narratori, in tutti i ceti sociali, illetterati compresi. Così, anche sotto l’aspetto sia della
modalità di fruizione che delle categorie di appartenenza dei fruitori, la letteratura

1151 bi/wa/ hŇ/shi ℚ non reg./non reg.ℛ non reg./non reg.ᴺ 145/123 Ꮷ 490/409
1152 Sara/shina/ nik/ki 䇺ᦝ 978/1008 ⚖ 505/568 ᣣ 1/5 ⸥ 147/371䇻

171
guerresca (gunki monogatari ァ⸥‛⺆) del medioevo (chşsei ਛ਎) e quella femminile
ed aristocratica (nyŇbŇ bungaku ᅚᚱᢥቇ1153 lett. letteratura di dame di corte) del
periodo precedente appartenevano a due mondi diversi.
Lo Heike monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻 narrato dai biwa hŇshi ℚℛᴺᏧ fu chiamato in
particolare heikyoku (ᐔᦛ 1154 φ Hei/ke monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻 㧗 kyoku ᦛ
melodia) o anche heikebiwa ᐔኅℚℛ1155 e risultò sempre un genere strappalacrime.
 < Etica dei bushi > Come si può constatare da un episodio, riportato poco
innanzi, dello Heike monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻, dalla letteratura guerresca (gunkimono ァ⸥
‛) trapela il mondo dello spirito dei bushi ᱞ჻ che in età posteriore fu codificato
sotto l’etichetta di bushidŇ (ᱞ჻㆏1156 ψ§53), ma che nel medioevo (chşsei ਛ਎) era
chiamato con diverse espressioni, fra cui kyşba no michi (ᑿ㚍ߩ㆏1157 lett. via dell’arte
del tiro con l’arco e dell’equitazione). Potrebbe essere definito come cavalleria dei bushi
ᱞ჻ ed era caratterizzato principalmente dalla pronta rinuncia alla vita pur di difen-
dere il proprio onore, dall’osservanza della lealtà, dell’autocontrollo e della frugalità.
Pare che diversamente dalla cavalleria occidentale la cortesia verso le donne non
entrasse in tali regole di vita.

ٟ In quei tempi i bushi ᱞ჻ erano intenti a esercitarsi nell’arte del tiro con
l’arco dal dorso di un cavallo al galoppo. Secondo i bersagli l’esercitazione veniva
chiamata diversamente: se il bersaglio consisteva in una serie di tavole quadrate da
colpire, una dopo l’altra, con frecce fornite di una palla sibilante (dette kaburaya ㏒
⍫1158), si chiamava yabusame (ᵹ㏒㚍1159 lett. lasciare andare kaburaya dal cavallo).
Se si colpivano cani in corsa, inuŇmono (›ㅊ‛1160 lett. esercitazione di caccia al
cane). Qualora il bersaglio fosse un oggetto a forma di cappello, kasagake (═ 1161
lett. cappello di falasco appeso).

 ‫ޣ‬TAIHEIKI ‫ޤ‬Del gunki㩷 monogatari ァ⸥‛⺆ c’era un’altra opera familiare al

1153 nyŇ/bŇ/ bun/gaku ᅚ 178/102 ᚱ 772/1237 ᢥ 136/111 ቇ 33/109


1154 hei/kyoku ᐔ 143/202 ᦛ 604/366
1155 hei/ke/bi/wa ᐔ 143/202 ኅ 81/165 ℚ non reg./non reg.ℛ non reg./non reg.
1156 bushi/dŇ ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 ㆏ 129/149
1157 kyş/ba/ no/ michi ᑿ 1539/212 㚍 512/283 ߩ㆏ 129/149
1158 kabura/ya ㏒ non reg./non reg.⍫ 1092/213
1159 yabusame ᵹ 296/247 ㏒ non reg./non reg.㚍 512/283
1160 inu/Ň/mono › 1295/280 ㅊ 398/1174 ‛ 126/79
1161 kasa/gake ═ non reg./non reg.  1275/911

172
pubblico: Taiheiki (䇺ᄥᐔ⸥䇻1162 it. Cronaca della grande pace, seconda metà XIV sec.) che
narra il susseguirsi di disordini durante l’epoca NanbokuchŇ (NanbokuchŇ jidai ධർ
ᦺᤨઍ1163) e il ristabilimento dell’ordine. Anche di quest’opera veniva data una lettura
ritmica da professionisti, che in età posteriore vennero chiamati taiheiki yomi (ᄥᐔ⸥⺒
ߺ1164 lett. lettori/recitatori del Taiheiki).
 ‫ޣ‬LETTERATURA D’EREMITI‫ޤ‬Quasi tutti i gunki monogatari ァ⸥‛⺆, data la
loro origine recitativa, sono anonimi e senza data, ma si ritiene che gli autori
appartenessero alla categoria degli eremiti. L’insieme delle opere dovute al loro pennello
viene chiamato a volte letteratura d’eremiti (inja bungaku 㓝⠪ᢥቇ1165) o letteratura di
romitaggio (sŇan bungaku ⨲ᐻᢥቇ1166).

ZUIHITSU Un altro genere rappresentativo della letteratura d’eremiti (inja bungaku


㓝⠪ᢥቇ) è lo zuihitsu (㓐╩1167 ψ§22). Sono ben noti lo HŇjŇki (䇺ᣇ
ਂ⸥䇻 1168 lett. appunti in un romitaggio di un jŇ per un jŇ [un jŇ = 3m ca.], it. Ricordi di
un eremo, Ricordi della mia capanna, 1212) di Kamo no ChŇmei (㡞㐳᣿1169 1155?-1216) e
lo Tsurezuregusa (䇺ᓤὼ⨲䇻1170 lett. osservazioni per ammazzare la noia, it. Ore d’ozio,
1331?) del bonzo KenkŇ (KenkŇ hŇshi ౗ᅢᴺᏧ1171 detto anche Yoshida KenkŇ ศ↰
౗ᅢ, 1283?-1350?).
 ChŇmei 㐳᣿ parla, nella prima metà, della precarietà della vita umana in questo
mondo (shogyŇ mujŇ ⻉ⴕήᏱ1172) attraverso diversi avvenimenti calamitosi che egli
stesso aveva visto e vissuto da giovane ed espone, nella seconda metà, la sua vita
semplice di eremita in una piccola capanna (3 m˜3 m˜2 m) in montana nei pressi di
KyŇto ੩ㇺ.
 Lo Tsurezuregusa 䇺 ᓤ ὼ ⨲ 䇻 invece è caratterizzato da una netta tendenza
speculativa e saggistica, il che gli ha procurato un posto particolare nella letteratura

1162 Tai/hei/ki 䇺ᄥ 343/629 ᐔ 143/202 ⸥ 147/371䇻


1163 Nan/boku/chŇ/ ji/dai ධ 205/74 ർ 103/73 ᦺ 257/469 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1164 tai/hei/ki/ yo/mi ᄥ 343/629 ᐔ 143/202 ⸥ 147/371 ⺒ 484/244 ߺ
1165 in/ja/ bun/gaku 㓝 1511/868 ⠪ 22/164 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
1166 sŇ/an/ bun/gaku ⨲ 705/249 ᐻ non reg./non reg.ᢥ 136/111 ቇ 33/109
1167 zui/hitsu 㓐 1364/1741 ╩ 940/130
1168 HŇ/jŇ/ki 䇺ᣇ 28/70 ਂ 1317/1325 ⸥ 147/371䇻
1169 Ka/mo/ no/ ChŇ/mei 㡞 1570/non reg.㐳 25/95 ᣿ 84/18
1170 Tsurezure/gusa 䇺ᓤ 768/430 ὼ 375/651 ⨲ 705/249䇻
1171 Ken/kŇ/ hŇ/shi ౗ 1042/1081 ᅢ 308/104 ᴺ 145/123 Ꮷ 490/409
1172 sho/gyŇ/ mu/jŇ ⻉ 602/861 ⴕ 31/68 ή 227/93 Ᏹ 356/497

173
giapponese. Copre una vasta gamma di argomenti quali religione e filosofia, vita umana,
usi e costumi, etica, società, natura, waka ๺᱌, politica, la casa ecc. Al pari dello HŇjŇki
䇺 ᣇ ਂ ⸥ 䇻 poggia fondamentalmente sulla concezione buddhista della caducità,
impermanenza di tutte le cose (shogyŇ mujŇ ⻉ⴕήᏱ), ma il tono è meno pessimista e
parla anche delle gioie che può dare la vita terrena.

OTOGI- Da ultimo, nel periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ) si ebbe


ZņS HI un gruppo di brevi racconti, chiamato otogizŇshi ᓮૄ⨲ሶ1173, che insieme
con la letteratura d’eremiti (inja bungaku 㓝 ⠪ ᢥ ቇ ) rispecchiò bene, ma con
angolazione diversa da quella di quest’ultima, le mutate situazioni socio-politiche del
periodo. Benché si tratti di opere create per passatempo e come tali non di alto valore
artistico, tuttavia esse sono ricche di elementi popolari. Nella storia della letteratura o
della cultura sono definite opere di transizione dai monogatari ‛⺆ aristocratici del
periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) alla narrativa per le masse del periodo Edo (Edo
jidai ᳯᚭᤨઍ).
 Fanno parte di questo genere certe fiabe assai popolari anche oggi fra i bambini
giapponesi quali IssunbŇshi (䇺৻ኸᴺᏧ䇻1174 lett. bonzo-nanetto alto issun [tre centimetri
ca.]) e Urashima TarŇ ( 䇺 ᶆ ፉ ᄥ ㇢ 䇻 1175 [nome del protagonista, pescatore
immaginario]).

§35. Teatro

TEATRO Nņ Uno dei maggiori avvenimenti culturali che si ebbero durante il


medioevo (chşsei ਛ਎1176) fu la nascita del cosiddetto nŇ ⢻1177.
Si tratta di una forma teatrale altamente stilizzata, con l’uso di maschera, consistente
principalmente in tre elementi: danza (mai ⥰ 1178 ), canto (utai ⻦ 1179 ) e musica

1173 o/togi/zŇ/shi ᓮ 620/708 ૄ non reg./non reg.⨲ 705/249 ሶ 56/103


1174 Is/sun/bŇ/shi 䇺৻ 4/2 ኸ 1523/1894 ᴺ 145/123 Ꮷ 490/409䇻
1175 Ura/shima/ Ta/rŇ 䇺ᶆ 856/1442 ፉ 173/286 ᄥ 343/629 ㇢ 237/980䇻
1176 chş/sei ਛ 13/28 ਎ 152/252
1177 nŇ ⢻ 341/386
1178 mai ⥰ 746/810
1179 utai ⻦ 1531/1647

174
strumentale (hayashi ྭ ሶ 1180 ). Nella storia della cultura giapponese merita
un’attenzione particolare, e ciò non tanto perché si trattò della prima forma teatrale
d’arte, quanto perché sorse con la piena partecipazione di tutti i fenomeni culturali
manifestatisi nel medioevo (chşsei ਛ਎), e precisamente:

Ԙ innalzamento a livello artistico di elementi della cultura popolare,


ԙ successione da parte del buke ᱞኅ della tradizione della cultura del kuge ౏
ኅ,
Ԛ influenza dello zen ⑎ sull’estetica,
ԛ salvezza mediante l’amidismo (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ), e infine
Ԝ partecipazione delle masse alla fruizione della cultura.

Il nŇ ⢻, una delle tre espressioni rappresentative del teatro tradizionale giapponese,


raggiunse una perfezione artistica di rara qualità nel periodo Muromachi (Muromachi
jidai ቶ↸ᤨઍ) per merito di due drammaturghi che erano anche attori: Kan’ami (ⷰ
㒙ᒎ1181 pronunciato a volte anche Kannami, 1332?-1384?) e suo figlio Zeami (਎㒙ᒎ
1182 1363-1443).

I testi cantati del nŇ ⢻ si chiamano yŇkyoku ⻦ᦛ1183.


 ‫ޣ‬CENNO STORICO‫ޤ‬Le origini del nŇ ⢻ risalgono al periodo Nara (Nara jidai
ᄹ⦟ᤨઍ). Nei villaggi agricoli d’allora si davano diversi spettacoli popolari ed
attrazioni varie per lo più di provenienza straniera quali, ad esempio, acrobazie, mimica,
giochi di destrezza. Dall’insieme di questi sorse, in un primo tempo, durante il periodo
Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ), una rappresentazione scenica di carattere farsesco nota
con il nome di sarugaku (₎ᭉ1184 lett. musica scimmiesca) la cui essenza consisteva in
mimica (ossia, interpretazione e rappresentazione realistica). Da allora e per un lungo
periodo di tempo questo spettacolo buffonesco seguì, negli ambienti prevalentemente
popolari, un lento processo di evoluzione ed assimilazione di diversi elementi artistici di
altre forme di spettacolo, e nel 1374 ebbe la fortuna di incontrare il patrocinio del III
shŇgun ዁ァ Ashikaga Yoshimitsu (⿷೑⟵ḩ ψ§29) del Muromachi bakufu ቶ↸᐀
ᐭ.
 La protezione accordata dal buke ᱞኅ fu il momento decisivo per la nascita del nŇ

1180 haya/shi ྭ non reg./non reg.ሶ 56/103


1181 Kan’/a/mi ⷰ 463/604 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065
1182 Ze/a/mi ਎ 152/252 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065
1183 yŇ/kyoku ⻦ 1531/1647 ᦛ 604/366
1184 saru/gaku ₎ 1717/1584 ᭉ 232/358

175
(⢻ chiamato inizialmente sarugaku no nŇ ₎ᭉ⢻ 1185 ). Prima di incontrare il suo
mecenate, Kan’ami ⷰ㒙ᒎ aveva mirato a creare un teatro artistico, perfeziondo la
mimica realistica, ma al nuovo ambiente in cui doveva ora esibirsi, il suo sarugaku ₎ᭉ,
teatro fino ad allora a ispirazione ‘realistica’, risultò poco confacente, non essendo in
grado di soddisfare pienamente il gusto aristocratico. Ciò perché il buke ᱞኅ aveva
ormai assimilato (ψ§32) appieno la cultura del kuge ౏ኅ dando pregio così allo yşgen
(ᐝ₵1186 ψ§34), e soltanto quando il figlio subentrò al padre, si vide nascere il nŇ ⢻
dal raffinato simbolismo.
 < Yşgen del nŇ > L’ulteriore tocco dato dal figlio Zeami ਎㒙ᒎ al sarugaku ₎
ᭉ, una volta innalzato già a livello d’arte dal padre Kan’ami ⷰ㒙ᒎ, consisteva nel
porre l’eleganza e la soavità della danza in primo piano, ossia di fronte alla mimica
realistica; o, sarà forse meglio dire che egli cercò di ‘adombrare, con la danza, la mimica
realistica’ che stava tanto a cuore a suo padre.
Si noti che lo yşgen ᐝ₵, concetto-chiave del teatro di Zeami ਎㒙ᒎ, è a doppia
struttura, come pure lo è presso il waka ๺᱌ (ψ§34) dello Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ
੹[๺᱌]㓸䇻. Se il nŇ ⢻ viene solitamente definito teatro di simbolismo, lo si deve
appunto a questa doppia struttura.
 < Due modi diversi di manifestazione dello yşgen > È da notare in particolare
che lo yşgen ᐝ₵ del waka ๺᱌ si presenta con una certa atmosfera oscura e
sentimentale, ma nel teatro nŇ ⢻, invece, si riferisce ad una bellezza semplicemente
graziosa come Zeami ਎㒙ᒎ stesso dice: « La vera essenza dello yşgen ᐝ₵ è la
bellezza e la soavità ». « Ciò che è sfarzoso non è altro che lo yşgen ᐝ₵ ». Risulta
perciò che sono diametralmente opposte le manifestazioni rappresentate dalla stessa
parola yşgen ᐝ₵, ma quanto al meccanismo per cui, di due elementi, uno serve a
nascondere e negare l’altro, non c’è nessuna differenza.
 ‫ޣ‬PALCOSCENICO E MASCHERA‫ޤ‬Si è visto che per l’estetica yşgen ᐝ₵ del
nŇ ⢻ c’è di mezzo lo zen ⑎. Lo stesso dicasi anche sia per il palcoscenico assai sobrio,
sia per le maschere che sembrano a prima vista senza espressione. Dire, con la mente
razionale, che il palcoscenico del nŇ ⢻ è pressoché privo di arredo e le sue maschere
non hanno espressione è uguale a dire, nell’ottica zenista, che il palcoscenico è arredato
a puntino e le maschere assumono qualsiasi espressione.
 ‫ޣ‬Nņ E AMIDISMO‫ޤ‬Per la trama, invece, è il buddhismo della Terra Pura (jŇdokyŇ
ᵺ ࿯ ᢎ ) che ne costituisce lo sfondo: molte pièce di Zeami ਎ 㒙 ᒎ sono
comunemente caratterizzate dall’apparizione di un fantasma, anima non ancora

1185 saru/gaku/ no/ nŇ ₎ 1717/1584 ᭉ 232/358 ⢻ 341/386


1186 yş/gen ᐝ 1876/1228 ₵ 1514/1225

176
rassegnata d’un defunto. La sua salvezza viene attuata mediante le preghiere rivolte alla
compassione (jihi ᘏᖤ1187) dell’Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽.

KYņGEN Con l’affermazione del nŇ ⢻ come teatro serio e classico, gli elementi
comici che originariamente facevano parte del sarugaku ₎ᭉ assunsero
una diversa forma di spettacolo a sé stante, detta kyŇgen (⁅⸒1188 lett. parole pazze),
qualcosa di simile alla farsa realistica e satirica. Sia linguisticamente che sotto l’aspetto
dei temi trattati, è un teatro degno di essere definito di gusto popolare.
I kyŇgen ⁅⸒ vengono rappresentati intercalati fra un nŇ ⢻ e l’altro in modo da
alternare la tensione al rilassamento.
 Mettendo insieme nŇ ⢻ e kyŇgen ⁅⸒, si parla spesso del nŇgaku ⢻ᭉ1189.

§36. Arti figurative; manifestazioni artistiche sotto l’influenza dello zen

ARTI FIGURATIVE DELLA Parlando dello Heike monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻 si è già


CULTURA KAMAKURA rilevata la tendenza di fondo della cultura Kamakura
(Kamakura bunka ㎨ୖᢥൻ 1190 ) contraddistinta dalla forza, dal dinamismo e dal
realismo, elementi che rispecchiano la figura e lo spirito dei bushi ᱞ჻, padrone del
periodo.
 ‫ޣ‬SCULTURA‫ޤ‬La virilità che caratterizza fondamentalmente la cultura Kamakura
(Kamakura bunka ㎨ୖᢥൻ) si rileva in modo particolarmente evidente nel campo
della scultura. È noto che la cultura Kamakura (Kamakura bunka ㎨ୖᢥൻ), al pari
della cultura TenpyŇ (TenpyŇ bunka ᄤᐔᢥൻ1191), diede molte statue d’alto livello
artistico.
Furono attivi degli scultori i cui nomi finiscono in -kei: Unkei (ㆇᘮ1192 ?-1223,
discendente di JŇchŇ ቯᦺ1193 ψ§24), Tankei (Ḗᘮ1194 1173-1256; primogenito di

1187 ji/hi ᘏ 1829/1547 ᖤ 1032/1034


1188 kyŇ/gen ⁅ 1352/883 ⸒ 279/66
1189 nŇ/gaku ⢻ 341/386 ᭉ 232/358
1190 Kama/kura/ bun/ka ㎨ 1277/2257 ୖ 708/1307 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
1191 Ten/pyŇ/ bun/ka ᄤ 364/141 ᐔ 143/202 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
1192 Un/kei ㆇ 179/439 ᘮ 962/1632
1193 JŇ/chŇ ቯ 62/355 ᦺ 257/469
1194 Tan/kei Ḗ non reg./non reg.ᘮ 962/1632

177
Unkei) e Kaikei (ᔟᘮ1195 ?-?, discepolo del padre di Unkei).
Ecco un paio di capolavori statuari:
Una coppia di guardiani, detti KongŇ rikishizŇ (䇺㊄೰ജ჻௝䇻 1196 lett. statue
dell’uomo invincibile dotato di forza, chiamato anche NiŇzŇ 䇺ੳ₺௝䇻1197 lett. statue
del re benevolo, 1203, sans. Vajradhara) del tempio del TŇdaiji ᧲ᄢኹ. Le opere alte
oltre 8 m circa furono scolpite in soli 70 giorni da Unkei ㆇᘮ e Kaikei ᔟᘮ in
collaborazione.
MuchakuzŇ (䇺ή⪺௝䇻1198 lett. ritratto di Muchaku, 1208 ca; Muchaku ή⪺sans.
Asa ga, monaco indiano del IV-V sec.) e SeshinzŇ (䇺਎ⷫ௝䇻1199 lett. statua di Seshin,
1208 ca.; Seshin ਎ⷫ sans. Vasubandhu, monaco e fratello di Asa ga) di Unkei ㆇᘮ,
presso il KŇfukuji ⥝⑔ኹ1200 a Nara ᄹ⦟. Ambedue le opere sono particolarmente
realistiche. 䎃
Kşya shŇninzŇ (䇺ⓨ਽਄ੱ௝䇻1201 lett. statua del reverendo bonzo Kşya (ⓨ਽ o
anche KŇya ψ§23) di KŇshŇ (ᐽൎ1202 ?-?, quartogenito di Unkei), Rokuharamitsuji
౐ ᵄ ⟜ Ᵽኹ 1203 a KyŇto ੩ ㇺ . È nota soprattutto per il modo ingegnoso di
rappresentare il nenbutsu ᔨ੽1204 (« Namu Amida butsu » (ධή㒙ᒎ㒚੽1205 Ho fede
nel Buddha Amida ψ§23) recitato da Kşya ⓨ਽. Il nenbutsu ᔨ੽ è letteralmente
‘scolpito’ ed esce dalla bocca di Kşya ⓨ਽㧍
 ‫ޣ‬PITTURA‫ޤ‬La produzione di emakimono ⛗Ꮞ‛1206 toccò l’apice soprattutto
sotto l’aspetto quantitativo: p.es. Kitano Tenjin engiemaki (䇺ർ㊁ᄤ␹✼⿠⛗Ꮞ䇻1207 lett.
emakimono raffigurante l’origine del Kitano Tenjin; Kitano Tenjin ർ㊁ᄤ␹ ψ§16,
1219) di Fujiwara no Nobusane (⮮ේାታ1208 1177-1265?).

1195 Kai/kei ᔟ 882/1409 ᘮ 962/1632


1196 Kon/gŇ/ riki/shi/zŇ 䇺㊄ 59/23 ೰ 1854/1610 ജ 69/100 ჻ 301/572 ௝ 906/740䇻
1197 Ni/Ň/zŇ 䇺ੳ 1346/1619 ₺ 499/294 ௝ 906/740䇻
1198 Mu/chaku/zŇ 䇺ή 227/93 ⪺ 773/859 ௝ 906/740䇻
1199 Se/shin/zŇ 䇺਎ 152/252 ⷫ 381/175 ௝ 906/740䇻
1200 KŇ/fuku/ji ⥝ 695/368 ⑔ 450/1379 ኹ 687/41
1201 Kş/ya/ shŇ/nin/zŇ 䇺ⓨ 233/140 ਽ 1553/2005 ਄ 21/32 ੱ 9/1 ௝ 906/740䇻
1202 KŇ/shŇ ᐽ 783/894 ൎ 197/509
1203 Roku/hara/mitsu/ji ౐ 20/8 ᵄ 606/666 ⟜ 1762/1860 Ᵽ non reg./non reg.ኹ 687/41
1204 nen/butsu ᔨ 469/579 ੽ 678/583
1205 Na/mu/ A/mi/da/ butsu ධ 205/74 ή 227/93 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.੽ 678/583
1206 e/maki/mono ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507 ‛ 126/79
1207 Kita/no/ Ten/jin/ en/gi/e/maki 䇺ർ 103/73 ㊁ 85/236 ᄤ 364/141 ␹ 229/310 ✼ 1362/1131 ⿠ 443/373

⛗ 976/345 Ꮞ 636/507䇻
1208 Fuji/wara/ no/ Nobu/sane ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ା 198/157 ታ 89/203

178
Lo spirito del realismo imperante portava, d’altra parte, alla produzione di molti
ritratti detti nisee (ૃ⛗ 1209 lett. pittura somigliante). Il più noto è il Minamoto no
YoritomozŇ (䇺Ḯ㗬ᦺ௝䇻1210 lett. ritratto di Minamoto no Yoritomo; c’è una voce che
dice che si tratta del ritratto di un’altra persona) di Fujiwara no Takanobu (⮮ේ㓉ା1211
1142-1205).
 ‫ޣ‬ARCHITETTURA‫ ޤ‬In questo periodo furono trasmessi dalla Cina dei Song
(Sung ቡ1212 giapp. SŇ, 960-1279) due stili architettonici: tenjikuyŇ (ᄤ┼᭽1213 lett. stile
indiano [ma per la verità l’India non ha nulla a che fare], detto anche daibutsuyŇ ᄢ੽᭽
1214 lett. stile grande buddha), stile grandioso e karayŇ (໊᭽1215 lett. stile T’ang, ossia

TŇ, detto anche zenshşyŇ ⑎ቬ᭽1216 stile scuola zen), stile semplice e disadorno.
Il tenjikuyŇ ᄤ┼᭽ fu adottato per la ricostruzione del TŇdaiji nandaimon (᧲ᄢኹ
ධᄢ㐷 1217 lett. grande portale meridionale del TŇdaiji ᧲ᄢኹ ψ§12, 1199). La
coppia del KongŇ rikishizŇ 䇺㊄೰ജ჻௝䇻 di cui abbiamo parlato poco innanzi è posta
all’interno di questo portale, uno di fronte all’altro.
Il karayŇ ໊᭽, invece, venne utilizzato di solito per templi zen (zendera ⑎ኹ). Un
buon esempio è offerto dallo Shariden (⥢೑Ლ 1218 lett. edificio per le reliquie,
Muromachi jidai [1338-1568]) del tempio di Enkakuji (౞ⷡኹ1219 1282-presente) a
Kamakura ㎨ୖ.
In contrapposizione ai sopraccitati due stili esogeni lo stile preesistente, quindi
tradizionale giapponese, si chiama wayŇ (๺᭽ 1220 lett. stile giapponese). Ne è un
esempio il tempio a forma assai oblunga, chiamato popolarmente SanjşsangendŇ (ਃච
ਃ㑆ၴ1221 lett. padiglione delle trentatré campate, 1164, 1266-presente) a KyŇto ੩ㇺ.
Nella penombra del suo interno sono disposte ordinatamente, per oltre cento metri,

1209 nise/e ૃ 1219/1486 ⛗ 976/345


1210 Minamoto/ no/ Yori/tomo/zŇ 䇺Ḯ 827/580 㗬 706/1512 ᦺ 257/469 ௝ 906/740䇻
1211 Fuji/wara/ no/ Taka/nobu ⮮ 206/2231 ේ 132/136 㓉 1255/946 ା 198/157
1212 SŇ ቡ non reg./non reg.
1213 ten/jiku/yŇ ᄤ 364/141 ┼ non reg./non reg.᭽ 472/403
1214 dai/butsu/yŇ ᄢ 7/26 ੽ 678/583 ᭽ 472/403
1215 kara/yŇ ໊ 1668/1697 ᭽ 472/403
1216 zen/shş/yŇ ⑎ 1551/1540 ቬ 1023/616 ᭽ 472/403
1217 TŇ/dai/ji/ nan/dai/mon ᧲ 11/71 ᄢ 7/26 ኹ 687/41 ධ 205/74 ᄢ 7/26 㐷 385/161
1218 Sha/ri/den ⥢ 1056/791 ೑ 219/329 Ლ 1194/1130
1219 En/kaku/ji ౞ 2/13 ⷡ 896/605 ኹ 687/41
1220 wa/yŇ ๺ 151/124 ᭽ 472/403
1221 San/jş/san/gen/dŇ ਃ 10/4 ච 5/12 ਃ 10/4 㑆 27/43 ၴ 662/496

179
mille e una statua del senju kannon (ජᚻⷰ㖸1222 lett. bodhisattva dalle mille mani). La
loro vista a colpo d’occhio è spettacolare.
Passiamo al mondo dei laici. I bushi ᱞ჻ abitavano una casa di stile detto
bukezukuri (ᱞኅㅧ1223 lett. stile architettonico dei guerrieri). Dall’Ippen shŇnin eden (䇺৻
ㆉ਄ੱ⛗વ䇻1224 lett. disegni biografici del reverendo Ippen, 1299) sul conto del noto
monaco amidista Ippen (৻ㆉ 1239-1289), fondatore della scuola Jishş ᤨቬ1225, risulta
che la casa dei bushi ᱞ჻ era costruita nel bel mezzo di risaie e campi coltivati ed era
circondata da fossato. Sopra il cencello erano disposti, pronto per l’uso, archi, frecce e
scudi. All’interno del recinto c’era una stalla ed era tenuto anche un falco per la caccia.
 ‫ޣ‬ARMATURA‫ޤ‬Una descrizione a parte spetta all’armatura. Il tipo detto Ňyoroi (ᄢ
㎸1226 lett. grande armatura) destinato all’uso per combattimenti a cavallo assunse
forme definitive. Assai ricco di decorazioni sfarzose, pesava mediamente ben trenta chili.
Le battaglie dette genpei gassen (Ḯᐔวᚢ1227 1180-1185 ψ§18) costituirono ‘momenti
d’oro’ per lo Ňyoroi ᄢ㎸. Tuttavia, sia per la scarsa praticità, che per il mutamento
dell’arte militare cadde man mano in disuso.

DIVERSE FORME ARTISTICHE ZENI- Nel periodo Muromachi (Muromachi


STI DELLA CULTURA HIGASHIYAMA jidai ቶ ↸ ᤨ ઍ ) sorsero, sotto una
forte influenza dello zen ⑎, molte forme d’arte e ne abbiamo già esaminato le seguenti
due:

Ԙ < nŇ ⢻ ψ§35>, teatro di simbolismo, e


ԙ < suibokuga (᳓ა↹ chiamato anche sumie ა⛗) ψ§33>, in particolare
sansuiga (ጊ᳓↹1228 lett. pittura di montagne e acque, ossia pittura paesag-
gistica), rappresentati dalle opere di Sesshş TŇyŇ (㔐⥱╬ᬢ1229 1420-1506),
monaco zenista, pittore e autore di un’opera reputata massimo capolavoro di
sansuiga ጊ᳓↹ in Giappone: Sansui chŇkan (䇺ጊ᳓㐳Ꮞ䇻1230 lett. lunga opera

1222 sen/ju/ kan/non ජ 79/15 ᚻ 42/57 ⷰ 463/604 㖸 402/347


1223 bu/ke/zukuri ᱞ 448/1031 ኅ 81/165 ㅧ 460/691
1224 Ip/pen/ shŇ/nin/ e/den 䇺৻ 4/2 ㆉ 1861/1160 ਄ 21/32 ੱ 9/1 ⛗ 976/345 વ 494/434䇻
1225 Ji/shş ᤨ 19/42 ቬ 1023/616
1226 Ň/yoroi ᄢ 7/26 ㎸ non reg./non reg.
1227 gen/pei/ gas/sen Ḯ 827/580 ᐔ 143/202 ว 46/159 ᚢ 88/301
1228 san/sui/ga ጊ 60/34 ᳓ 144/21 ↹ 150/343
1229 Ses/shş/ TŇ/YŇ 㔐 907/949 ⥱ 1334/1094 ╬ 601/569 ᬢ non reg./non reg.
1230 San/sui/ chŇ/kan 䇺ጊ 60/34 ᳓ 144/21 㐳 25/95 Ꮞ 636/507䇻

180
paesaggistica [40cm × 15m ca.], 1486). È ben nota anche una coppia di queste
altre opere: ShştŇ sansuizu (䇺⑺౻ጊ᳓࿑䇻1231 lett. paesaggi in autunno e in
inverno, ?).
Un altro esemplare frequentemente citato del suibokuga ᳓ა↹ è lo HyŇ-
nenzu (ⅺ㞜࿑1232 lett. disegno di zucca vuota e pesce gatto) di Josetsu (ᅤ᜕
1233 inizi del Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ). Nella parte superiore ci sono frasi

(san ⼝1234 o anche san ⾥) scritte da una trentina di monaci zen (zensŇ ⑎௯
1235). Nell’area culturale cinese i dipinti sono accompagnati non di rado da

poesie o frasi. Tali scritti si chiamano in giapponese san (⼝࡮⾥).

Riguardo alla cultura Higashiyama (Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ) si ricordino


inoltre:

Ԛ < cerimonia del tè (sadŇ ⨥㆏1236 letto anche chadŇ) > meglio nota agli
stranieri quale chanoyu ⨥ߩḡ1237.
La tradizione del sadŇ ⨥㆏ risale al monaco zen, Eisai (ᩕ⷏ ψ§33) e tre
secoli dopo ad opera di Murata JukŇ (᧛↰⃨శ1238 1422-1502) il ‘bere tè’ ebbe
la sua forma artistica con il nome di wabicha (ଌ⨥1239; wabi ଌ ψ§47). Nella
stanza detta chashitsu ⨥ቶ1240, di stile sukiyazukuri ᢙነደㅧ1241 estremamente
piccola e disadorna destinata a tale cerimonia, regnava (e regna) un profondo
silenzio. Lo wabicha ଌ⨥ fu poi trasmesso prima a Takeno JŇŇ (ᱞ㊁⚫㣁1242
1502-1555) che lo elaborò ulteriormente, quindi da JŇŇ ⚫㣁 a Sen no Rikyş
(ජ೑ભ1243 1522-1591 ψ§47) che gli diede la forma definitiva.

1231 Shş/tŇ/ san/sui/zu 䇺⑺ 540/462 ౻ 903/459 ጊ 60/34 ᳓ 144/21 ࿑ 631/339䇻


1232 HyŇ/nen/zu ⅺ non reg./non reg.㞜 non reg./non reg.࿑ 631/339
1233 Jo/setsu ᅤ 1521/1747 ᜕ 1785/1801
1234 san ⼝ non reg./non reg.࡮⾥ 881/745
1235 zen/sŇ ⑎ 1551/1540 ௯ 1423/1366
1236 sa/dŇ ⨥ 805/251 ㆏ 129/149
1237 cha/no/yu ⨥ 805/251 ߩḡ 1022/632
1238 Mura/ta/ Ju/kŇ ᧛ 210/191 ↰ 24/35 ⃨ 1540/1504 శ 417/138
1239 wabi/cha ଌ non reg./non reg.⨥ 805/251
1240 cha/shitsu ⨥ 805/251 ቶ 421/166
1241 su/ki/ya/zukuri ᢙ 188/225 ነ 545/1361 ደ 270/167 ㅧ 460/691
1242 Take/no/ JŇ/Ň ᱞ 448/1031 ㊁ 85/236 ⚫ 938/456 㣁 non reg./non reg.
1243 Sen/ no/ Ri/kyş ජ 79/15 ೑ 219/329 ભ 583/60

181
ԛ < arte di disporre fiori, composizione floreale (kadŇ ⪇㆏1244 scritto a
volte anche ⧎㆏) > conosciuta agli stranieri con il nome di ikebana ↢ߌ⧎1245,
termine entrato ormai anche nel lessico italiano.
L’origine del kadŇ ⪇㆏ sta nell’antica abitudine di offrire fiori all’anima dei
defunti. Molti secoli dopo, nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ sorse ad opera di
IkenobŇ Senkei (ᳰဌኾᘮ1246 ?-?) la scuola IkenobŇ (IkenobŇryş kadŇ ᳰဌᵹ
⪇㆏1247) che oggi raccoglie il numero magiore di seguaci.
Ԝ < karesansui teien (ᨗጊ᳓ᐸ࿦1248 it. giardino di paesaggio asciutto) >,
ovvero giardini zenisti d’alto simbolismo nati nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ.
Rappresentano la natura solo con pietre, sabbia bianca e a volte anche con
arbusti, ma non vi è mai usata l’acqua. Nati sotto l’influenza del sansuiga (ጊ᳓
↹ pittura paesaggistica), l’effetto sulla visione mentale è identico a quello di
tale stile di pittura.
Uno degli esemplari più noti ed anche il più austero è quello comunemente
detto sekitei (⍹ᐸ1249 lett. giardino di pietre, 1499) presso il RyŇanji (㦖቟ኹ
1250 o anche ┥቟ኹ 1450-tuttora) di KyŇto ੩ㇺ. Si tratta di un giardino

costituito da 15 pietre grandi e piccole sistemate in cinque gruppi, sabbia bianca


e un po’ di muschio ai piedi delle pietre. Non vi è una sola pianta, tanto meno
una goccia d’acqua.
ԝ < shoinzukuri ᦠ㒮ㅧ1251 >, prototipo dello stile architettonico dell’abita-
zione odierna. Per shoin ᦠ㒮 s’intendeva originariamente lo studio dei monaci
zenisti. Fu nell’abitazione shoinzukuri ᦠ㒮ㅧ che il pavimento di legno venne
per la prima volta ricoperto per intero di tatami ⇥1252.
L’esemplare più citato è il TŇgudŇ (᧲᳞ၴ1253 1486-presente) che si trova
dall’altra parte del laghetto antistante il Ginkaku (㌁㑑1254 ψ§32). Lo shoin ᦠ

1244 ka/dŇ ⪇ 807/1074 ㆏ 129/149࡮⧎ 551/255 ㆏ 129/149


1245 i/ke/bana ↢ 29/44 ߌ⧎ 551/255
1246 Ike/no/bŇ/ Sen/kei ᳰ 548/119 ဌ 1203/1858 ኾ 526/600 ᘮ 962/1632
1247 Ike/no/bŇ/ryş/ ka/dŇ ᳰ 548/119 ဌ 1203/1858 ᵹ 296/247 ⪇ 807/1074 ㆏ 129/149
1248 kare/san/sui/ tei/en ᨗ 1783/974 ጊ 60/34 ᳓ 144/21 ᐸ 560/1112 ࿦ 412/447
1249 seki/tei ⍹ 276/78 ᐸ 560/1112
1250 RyŇ/an/ji 㦖䋨=┥ 1110/1758䋩቟ 128/105 ኹ 687/41
1251 sho/in/zukuri ᦠ 130/131 㒮 236/614 ㅧ 460/691
1252 tatami ⇥ 1300/1087
1253 TŇ/gu/dŇ ᧲ 11/71 ᳞ 332/724 ၴ 662/496
1254 Gin/kaku ㌁ 264/313 㑑 480/837

182
㒮 nel TŇgudŇ ᧲᳞ၴ è noto con il nome di DŇjinsai หੱᢪ1255.

ٟNel Giappone premoderno, specie medievale, la gente che si occupava delle


attività, oggi considerate squisitamente artistiche, di spettacolo di varietà (geinŇ ⧓
⢻1256), giardinaggio, architettura, artigianato e simili era collocata a uno strato
sociale paragonabile a quello dei paria (senmin ⾭᳃1257 ψ§6). Difatti, disprezzata,
era chiamata kawaramono (ᴡේ⠪1258 lett. gente del greto), perché si esibiva lì o
perché aveva la propria dimora lì. Anche il sarugaku ₎ᭉ, prima di assurgere al
teatro nŇ ⢻, era chiamato atti dei mendicanti (kojiki no shogyŇ ਼㘩ߩᚲᬺ1259) e
come tale considerato un’arte dei paria.

§37. Diffusione della cultura nelle province

 La diffusione della cultura non si limitò in senso verticale, ma si verificò anche


spazialmente, specie a partire dalla guerra di ņnin (ņnin no ran ᔕੳߩੂ1260 1467-
1477) per tutto il periodo Sengoku (Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ1261).
Tradizionalmente i kuge ౏ኅ preferivano abitare a KyŇto ੩ㇺ, ma nel periodo
Sengoku (Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ), essi, impoveritisi di anno in anno fino al punto di
non saper più come mantenere la propria famiglia alla capitale, andavano ad abitare in
provincia, o perché lì possedevano i propri shŇen ⨿࿦, o perché lì avevano conoscenze
su cui potevano contare. I nobili di KyŇto ੩ㇺ, ossia i kuge ౏ኅ, contribuirono a
loro insaputo a trapiantare la cultura della capitale in diverse località del paese.
Nacquero così in province centri culturali, fra cui Yamaguchi ጊญ1262 e Odawara
ዊ↰ේ1263, entrambe jŇkamachi (ၔਅ↸1264 lett. città ai piedi di un castello ψ§30).

1255 DŇ/jin/sai ห 23/198 ੱ 9/1 ᢪ 1363/1478


1256 gei/nŇ ⧓ 588/435 ⢻ 341/386
1257 sen/min ⾭ non reg./non reg.᳃ 70/177
1258 kawara/mono Ꮉ 111/33 ේ 132/136 ⠪ 22/164
1259 ko/jiki/ no/ sho/gyŇ ਼ non reg./non reg.㘩 269/322 ߩᚲ 107/153 ᬺ 54/279
1260 ņ/nin/ no/ ran ᔕ 413/827 ੳ 1346/1619 ߩੂ 734/689
1261 Sen/goku/ ji/dai ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1262 Yama/guchi ጊ 60/34 ญ 213/54
1263 O/da/wara ዊ 63/27 ↰ 24/35 ේ 132/136
1264 jŇ/ka/machi ၔ 638/720 ਅ 72/31 ↸ 114/182

183
§38. Vita quotidiana e varie

VITA DEL- ‫ޣ‬VITA DEGLI BUSHI IN UN JņKAMACHI ‫ޤ‬In una stretta valle
LA GENTE non molto lontana dall’Eiheiji (᳗ᐔኹ1265 1244-a tutt’oggi), celebre
complesso di templi zen (zendera ⑎ኹ1266) fondato da DŇgen (㆏ర ψ§33), nella
provincia di Echizen (Echizen no kuni ⿧೨࿖1267 ψcarta 12; oggi Fukui-ken ⑔੗⋵
1268), c’era un centro abitato di nome IchijŇdani (৻ਸ਼⼱1269 1471-1573). Si tratta di un

jŇkamachi ၔਅ↸1270 costruito dagli Asakura (Asakurashi, Asakurauji ᦺୖ᳁1271), una


delle casate più potenti di sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ1272 e nota specie per la legge (e più
precisamente bunkokuhŇ ಽ࿖ᴺ1273 ψ§29) denominata Diciassette articoli di Asakura
Toshikage (Asakura Toshikage jşshichikajŇ ᦺୖᢅ᥊ච৾▎᧦1274 1471-1481).
Le ricerche archeologiche ivi effettuate assai recentemente (seconda metà del XX
sec.) hanno messo in luce l’intero urbanistica di questo centro abitato in montagna e la
vita quotidiana che i bushi ᱞ჻ conducevano lì. Adesso si sa che sia materialmente che
culturalmente la vita della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖) era più ricca di
quanto si credeva.
Gli Asakura (Asakurashi, Asakurauji ᦺୖ᳁) avevano un rapporto d’amicizia con
non pochi kuge ౏ኅ. Erano anche imparentati con un paio di famiglie nobili di KyŇto
੩ㇺ, e questi ultimi venivano ben accolti a IchjŇdani ৻ਸ਼⼱ e trasmisero agli
Asakura (Asakurashi ᦺୖ᳁) e ai loro sudditi l’essenza della tradizionale cultura
aristocratica. C’erano inoltre attori del teatro nŇ ⢻1275, maestri della poesia a catena
(renga ㅪ᱌1276), studiosi di chiara fama ed altri personaggi esperti in qualche arte a
soggiornare in questa valle. Gli Asakura (Asakurashi ᦺୖ᳁) spronavano i propri
sudditi a imparare anche da loro per arricchire le risorse umane del proprio dominio

1265 Ei/hei/ji ᳗ 690/1207 ᐔ 143/202 ኹ 687/41


1266 zen/dera ⑎ 1551/1540 ኹ 687/41
1267 Echi/zen/ no/ kuni ⿧ 529/1001 ೨ 38/47 ࿖ 8/40
1268 Fuku/i/ ken ⑔ 450/1379 ੗ 252/1193 ⋵ 195/194
1269 Ichi/jŇ/dani ৻ 4/2 ਸ਼ 359/523 ⼱ 249/653
1270 jŇ/ka/machi ၔ 638/720 ਅ 72/31 ↸ 114/182
1271 Asa/kura/shi ᦺ 257/469 ୖ 708/1307 ᳁ 177/566
1272 sen/goku/ dai/myŇ ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᄢ 7/26 ฬ 116/82
1273 bun/koku/hŇ ಽ 35/38 ࿖ 8/40 ᴺ 145/123
1274 Asa/kura/ Toshi/kage/ jş/shichi/ka/jŇ ᦺ 257/469 ୖ 708/1307 ᢅ 1381/1735 ᥊ 645/853 ච 5/12

৾ 44/9 ▎ 1943/1473 ᧦ 391/564


1275 nŇ ⢻ 341/386

184
(ryŇgoku 㗔࿖1277 o anche bunkoku ಽ࿖).
Nel 1536 a IchijŇdani ৻ਸ਼⼱ fu pubblicato da un medico un libro di medicina. Si
tratta di un testo altamente specialisico redatto sotto l’influenza della medicina cinese
dei Ming (Ming ᣿1278 giapp. Min, 1368-1644), e inoltre laddove esisteva la casa di un
altro medico, è stata rinvenuta parte di una copia a mano di un testo in cinese di
farmacologia. Questi reperti ed altri indizi ci insegnano che anche a IchijŇdani ৻ਸ਼⼱,
malgrado si trattasse di una cittadina provinciale in montagna, erano condotti studi
d’alto livello in diversi campi e possiamo anche presumere che gli intellettuali, quali
sacerdoti, bushi ᱞ჻ di categorie superiori, medici ecc. fossero assetati di sempre
maggior sapere.
Si sa che la famiglia Asakura (Asakurashi ᦺୖ᳁) possedeva servizi da tè di grande
valore artisico, ma il piacere della cosiddetta cerimonia del tè (sadŇ ⨥㆏1279 o anche
chanoyu ⨥ߩḡ1280) non era monopolio del padrone. Rusulta che tale cerimonia era
appassionatamente seguita anche dai suoi sudditi. Difatti, in quasi tutte le zone di
IchijŇdani ৻ਸ਼⼱ è stato portato alla luce un gran numero di utensili per il chanoyu ⨥
ߩḡ: tazze da tè, macinini in pietra, recipienti per tè polverizzato, vasi di porcellana per
tè ed altri oggetti ancora.
Le stanze erano ornate sia da incensieri che da fiori posti in vasi a volte dai disegni
originali. Si può immaginare che in tale ambiente di gusto fine ed anche artistico i bushi
ᱞ჻ si divertivano a giocare a shŇgi (዁ᫎ1281 scacchi giapponesi) nei momenti di pace.
Sembra proprio che la loro vita quotidiana fosse più pacata ed anche più squisita di
quanto non si creda.

‫ޣ‬VITA DEI BAMBINI E DEGLI ANZIANI‫ޤ‬Di solito siamo portati a ritenere


che nei passati lontani in cui la vita non era certo facile anche i giovanissimi fassero
sottoposti a lavori per una buona parte della giornata. Sembra invece che tale
presunzione sia erronea, dal momento che in non pochi emakimono ⛗Ꮞ‛1282 di
produzione medievale sono disegnate molte figure di warawa (┬1283 bambini-fanciulli)

1276 ren/ga ㅪ 87/440 ᱌ 478/392


1277 ryŇ/goku 㗔 338/834 ࿖ 8/40
1278 Min ᣿ 84/18
1279 sa/dŇ ⨥ 805/251 ㆏ 129/149
1280 cha/no/yu ⨥ 805/251 ߩḡ 1022/632
1281 shŇ/gi ዁ 561/627 ᫎ 1259/1835
1282 e/maki/mono ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507 ‛ 126/79
1283 warawa ┬ 1111/410 (giapp. moderno: ko/domo ሶ 56/103 ଏ 456/197, ji/dŇ ఽ 556/1217 ┬ 1111/410)

185
che si danno spensieratamente a molteplici giochi.
Che i bambini solessero divertirsi a giocare molto è testimoniato anche da una nota
canzonetta del già citato RyŇjin hishŇ (䇺᪞Ⴒ⒁ᛞ䇻1284 1170 ca.), raccolta di canzonette
popolari (chiamate specificamente imayŇ ੹᭽1285 lett. moda corrente, costume attuale)
in voga dalla metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ) agli inizi del periodo
Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ). Si tratta di un imayŇ ੹᭽ che ci dà la
sensazione di udire le voci allegre di bambini del tutto presi dai giochi:

ㆆ1286߮ࠍߖࠎߣ߿↢1287߹ࠇߌ߻ Saranno forse nati con l’intento di


Asobi o sen to ya / umarekemu. giocare.
ᚨ1288ࠇߖࠎߣ߿↢߹ࠇߌ߻ Saranno forse nati per divertirsi.
Tawabure sen to ya / umarekemu.
ㆆ1289߱ሶଏ1290ߩჿ1291⡞1292ߌ߫
Quando sento i bambini giocare,
Asobu kodomo no / koe kikeba,
ᚒ1293߇り1294ߐ߳ߎߘേ1295߇ࠆࠇ mi comincia a ballare da sé il
waga mi sae koso / yurugarure. corpo.

È vero che in emakimono ⛗Ꮞ‛1296 non mancano figure di ragazzini che eseguono
certi compiti a loro affidati come quello di accompagnare bushi ᱞ჻ o monaci; nelle
processioni di nobili, poi, sono sempre disegnati fanciulli, ma malgrado tutto sembra
lecito dire che rispetto ai bambini e ai fanciulli dei nostri giorni i warawa ┬ del
medioevo fossero associati più strettamente all’idea ludica.

1284 RyŇ/jin/ hi/shŇ 䇺᪞ non reg./non reg.Ⴒ non reg./non reg.⒁ 865/807 ᛞ 1970/1153䇻
1285 ima/yŇ ੹ 146/51 ᭽ 472/403
1286 aso/bi ㆆ 728/1003 ߮
1287 u/ma/ru ↢ 29/44 ߹ࠆ (giapp. moderno: u/ma/re/ru ↢ 29/44 ߹ࠇࠆ)
1288 tawabu/re ᚨ 1632/1573 ࠇ (lettura alternativa: tawamu/re ᚨ 1632/1573 ࠇ)
1289 aso/bu ㆆ 728/1003 ߱
1290 ko/domo ሶ 56/103 ଏ 456/197
1291 koe ჿ 467/746
1292 ki/ku ⡞ 262/64 ߊ
1293 wa/ga ᚒ 1392/1302 ߇
1294 mi り 331/59
1295 yu/ru/gu േ 86/231 ࠆߋ (giapp. moderno: yu/ru/gu ំࠆߋ)
1296 e/maki/mono ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507 ‛ 126/79

186
Gli anziani, d’altro canto, come trascorrevano le loro giornate? Dagli emakimono ⛗
Ꮞ‛ sono rilevabili solo alcuni compiti a loro congeniali: prendersi cura dei bambini,
lavori di filatura, sorveglianza dei campi coltivati ecc., e delle loro condizioni di vita non
trapela nessuna informazione. Era praticata loro la virtù kŇ (ቁ1297 cin. xiao, hsiao, it.
pietà filiale) confuciana?

REGIME ALI- Generalmente i pasti del periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖ


MENTARE ᤨઍ) non poteva dirsi ricchi. Per rendersene conto basta pensare
che prima dell’epoca NanbokuchŇ (NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ) si assisteva piut-
tosto ad una penuria di cibo. In particolare, nei tempi di carestie venivano presto a
mancare anche quasi totalmente i viveri. Da diversi indizi si può quindi arguire per certo
che agli inizi del periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ) anche i bushi ᱞ჻ di
categoria superiore consumavano pasti frugali. Con ogni probabilità i pranzi da loro
offerti agli ospiti d’onore o consumati in occasione dei banchetti erano ugualmente
sobri.
Nel periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ), tuttavia, la produzione e la
fornitura dei generi alimentari realizzarono un salto quantitativo, grazie soprattutto al
grande sviluppo compiuto nell’agricoltura e in tutte le altre attività produttive (ψ§30).
Inoltre, i bushi ᱞ჻ che fecero di tutto per acquisire la raffinata cultura aristocratica di
KyŇto ੩ㇺ assimilarono anche la tradizione culinaria della nobiltà, riuscendo così a
creare una nuova cultura gastronomica accanto al caratteristico pasto vegetariano (shŇjin
ryŇri ♖ㅴᢱℂ1298) formatosi nei templi zen (zendera ⑎ኹ).
Il tipo di pasto che rappresentava la nuova cultura gastronomica è il cosiddetto
honzen ryŇri (ᧄ⤝ᢱℂ1299 lett. pranzo servito su un ‘tavolino-vassoio principale a
quattro gambe’) consistente nelle vivande servite, davanti a ciascun commensale, su una
fino a cinque ‘piccole tavole quadrate’ (dette zen ⤝) simili ad altrettanti vassoi muniti di
quattro gambe. In origine era pranzo da cerimonia dei nobili Heian (Heian kizoku ᐔ቟
⾆ᣖ), e dal periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ) venne consumato
quotidianamente sia dal kuge ౏ኅ che dal buke ᱞኅ.
Sembra che nel medioevo (chşsei ਛ਎) l’honzen ryŇri ᧄ⤝ᢱℂ avesse un aspetto
sfarzoso, in quanto insieme con le vivande venivano servite, a scopo puramente
decoraivo, tante altre cose fantasiose che in realtà non potevano essere consumate, e se
esso ha un’importanza nella storia della cucina giapponese, è perché nel periodo

1297 kŇ ቁ 1249/542
1298 shŇ/jin/ ryŇ/ri ♖ 672/659 ㅴ 125/437 ᢱ 212/319 ℂ 95/143
1299 hon/zen/ ryŇ/ri ᧄ 15/25 ⤝ non reg./non reg.ᢱ 212/319 ℂ 95/143

187
successivo diede origine al chakaiseki (⨥ᙬ⍹1300 o semplicemente anche kaiseki ᙬ⍹)
sotto l’influenza esercitata dallo shŇjin ryŇri ♖ㅴᢱℂ. Si può perciò certamente dire
che, così come molte altre forme artistiche oggi definite squisitamente giapponese
traggono origine nel Muronachi jidai ቶ↸ᤨઍ, anche la base della cucina giapponese
venne preparata appunto in questo periodo.
Abbiamo già detto che i giapponesi vennero a conoscere lo zucchero nel
NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ. Difatti, a partire dal XIV secolo vennero effettuate
importazioni di notevole quantità di tale alimento, ma è chiaro che esso era ancora
prezioso. Per vederlo prodotto in Giappone si doveva attendere il periodo Edo (Edo
jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867 ψ§41).

ABBIGLIA- Uno dei fattori che concorrono a costituire la storia dell’abbigliamento è


MENTO quello dei materiali con cui sono confezionati gli indumenti. Attual-
mente è senz’altro il cotone il materiale usato più largamente ed anche confortevole a
contatto con la pelle.
La storia del cotone in Giappone risale al periodo Asuka (Asuka jidai 㘧㠽ᤨઍ1301
ψ§13). Presso il celebre tempio HŇryşji (ᴺ㓉ኹ1302 VII/VII sec. - a tutt’oggi ψ§13)
è custodito ancora oggi del tessuto di cotone di fabbricazione indubbiamente cinese.
Secondo una credenza, poi, sarebbero arrivati in giappone, nel 799, portati da nuafraghi
stranieri, semi di cotone che però non si adattarono al nuovo habitat. Così, per un
lungo tempo fino al medioevo (chşsei ਛ਎) il cotone restava pressoché sconosciuto in
Giappone, e fu solanto nel periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ) che se ne
cominciò a vedere, prima importato dalla Corea e dalla Cina, poi coltivato anche in
Giappone.
Prima di allora per la produzione di tessuti si utilizzavano le fibre di svariate piante
in gran parte erbacee (tutte chiamate promiscuamente asa 㤗1303) rappresentate dalla
canapa (asa 㤗, e per l’esattezza taima ᄢ㤗1304). La seta si usava anche in Giappone fin
dall’età antica, ma era in praica riservata al vestiario dei nobili.
Ovviamente nel medioevo (chşsei ਛ਎) gli indumenti di cotone non erano ancora
alla portata delle tasche di tutti, ma di fronte alla poca flessibilità, alla cattiva tenuta del
calore e ai problemi di tintura dei mateiali di tessuto preesistenti, la qualità e la praticità

1300 cha/kai/seki ⨥ 805/251 ᙬ 1736/1408 ⍹ 276/78


1301 Asuka/ ji/dai 㘧 440/530 㠽 932/285 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1302 HŇ/ryş/ji ᴺ 145/123 㓉 1255/946 ኹ 687/41
1303 asa 㤗 1118/1529
1304 tai/ma ᄢ 7/26 㤗 1118/1529

188
del cotone come fibra tessile devono essere state una piccola, ma piacevole rivoluzione
nella vita di tutti i giorni. Difatti, per le sue proprietà positive già agli inizi dell’Edo jidai
ᳯᚭᤨઍ il cotone, al pari degli asa 㤗, era comunemente usato anche per gli indu-
menti dei contadini.

VIAGGI E PEL- Nel medioevo (chşsei ਛ਎), soprattutto nella seconda metà, un
LEGRINAGGI numero sempre maggiore di gente intraprendeva viaggi per varie
esigenze malgrado un alto rischio di restare vittime di briganti. I venditori ambulanti in
particolare percorrevano in lungo e in largo quasi tutto il territorio nazionale in seguito
al cospicuo sviluppo avvenuto in ogni campo dell’attività produttiva. C’erano poi
trasportatori di mestiere, bashaku (㚍୫1305 ψ§30), che viaggiavano per conto di terzi
con carichi a dorso di cavallo. Si vedevano inoltre artisti di strada andare in giro non di
rado con i loro animali addestrati. Non erano pochi infine quei pellegrini che si
recavano a templi buddhisti (tera ኹ) e santuari shintoisti (jinja ␹␠1306) siti in luoghi
anche lontani e di non facile accesso.
Riguardo a quanto sopra, degni di menzione sono i cosiddetti Kumano mŇde (ᾢ㊁
⹚ 1307 lett. pellegrinaggi a Kumano).

ٟ Montuoso, impervio ed inoltre coperto da una vegetazione lussereggiante,


Kumano (ᾢ㊁ ψcarta7) è avvolto anche oggi da una certa atmosfera (definibile
come kami ␹, oggetto di venerazione della tradizione shintoista) che incute
timore. Difatti sin dai tempi remoti era considerato come luogo sacro abitato da
divinità.
Più tardi con il sorgere del sincretismo shintŇ-buddhista (shinbutsu shşgŇ ␹੽
⠌ว1308 ψ§23) i kami ␹ di Kumano ᾢ㊁ furono considerate come manife-

1305 ba/sha/ku 㚍 512/283 ୫ 996/766


1306 jin/ja ␹ 229/310 ␠ 30/308
1307 Kuma/no/ mŇde ᾢ 1148/2149 ㊁ 85/236 ⹚ non reg./non reg.
1308 shin/butsu/ shş/gŇ ␹ 229/310 ੽ 678/583 ⠌ 665/591 ว 46/159
1309 A/mi/da/ butsu 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg.੽ 678/583
1310 Yaku/shi/ nyo/rai ⮎ 541/359 Ꮷ 490/409 ᅤ 1521/1747 ᧪ 113/69
1311 Kan/non/ bo/satsu ⷰ 463/604 㖸 402/347 ⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.
1312 Sai/hŇ/ goku/raku/ jŇ/do ⷏ 167/72 ᣇ 28/70 ᭂ 652/336 ᭉ 232/358 ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24
1313 jŇ/kŇ ਄ 21/32 ⊞ 964/297
1314 Kuma/no/ san/sha ᾢ 1148/2149 ㊁ 85/236 ਃ 10/4 ␠ 30/308
1315 Yoshi/no/-/Kuma/no/ koku/ritsu/ kŇ/en ศ 464/1141 ㊁ 85/236 ᾢ 1148/2149 ㊁ 85/236 ࿖ 8/40

┙ 61/121 ౏ 122/126 ࿦ 412/447

189
stazioni del Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽ 1309 ψ§23), del Buddha
Yakushi (Yakushi nyorai ⮎Ꮷᅤ᧪1310, sans. Bhai ajyaguru) e del Kannon bosatsu
(ⷰ㖸⪄⮋1311, sans. Avalokiteœvara).䎃
Successivamente, nella seconda metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔ቟ᤨ
ઍ), con il diffondersi del buddhismo amidista (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ) Kumano ᾢ㊁
venne paragonato alla Terra Pura a Ponente (SaihŇ gokuraku jŇdo ⷏ᣇᭂᭉᵺ࿯
1312 ). Nella speranza di potersi assicurare la rinascita nel paradiso presieduto

dall’Amida butsu 㒙ᒎ㒚੽, i membri della casa imperiale, i nobili e soprattutto


gli imperatori abdicatari (jŇkŇ ਄⊞1313) si recavano assiduamente in pellegrinaggio
ai tre santuari di Kumano (Kumano sansha ᾢ㊁ਃ␠1314).
ٟ Oggi Kumano ᾢ㊁ insieme con Yoshino (ศ㊁ ψ§28) sostituisce un parco
nazionale (Yoshino-Kumano kokuritsu kŇen ศ㊁ᾢ㊁࿖┙౏࿦1315).

Nel medioevo, specie dopo il JŇkyş no ran (ᛚਭߩੂ1316 1221), con il declino
politico della corte (chŇtei ᦺᑨ) si vedevano raramente imperatori in ritiro partire per
Kumano ᾢ㊁, mentre presso bushi ᱞ჻, monaci e soprattutto gente comune, i
Kumano mŇde ᾢ㊁⹚ andarono sempre più di moda, arrivando al punto massimo di
affluenza nella seconda metà del XVI secolo. In riferimento alle visite incessanti di
fedeli nel medioevo (chşsei ਛ਎) è stata tramandata fino ad oggi un’espressione come
questa: una lunga coda di formiche in pellegrinaggio ai santuari di Kumano (ari no
Kumano mŇde Ⳟߩᾢ㊁⹚1317).
Una della peculiarità che caratterizzavano i pellegrinaggi Kumano (Kumano mŇde
ᾢ㊁⹚) stava nel numero elevato di donne che vi partecipava, in quanto diversamente
dai celebri monasteri, quali l’Enryakuji ᑧᥲኹ 1318 , il KongŇbuji ㊄೰ፃኹ 1319 , il
TŇdaiji ᧲ᄢኹ1320 e da altri, che vietavano l’accesso alle donne (nyonin kinzei ᅚੱ⑌
೙1321, lett. divieto alle donne), a Kumano ᾢ㊁ potevano recarsi liberamente anche
loro.

ٟAl 2004 si attiene al nyonin kinzei ᅚੱ⑌೙ solo il monte ņminesan (ᄢፄጊ
1322 ψcarta 7), uno dei maggiori centri di pratica del cosiddetto shugendŇ ୃ㛎㆏

1316 JŇ/kyş/ no/ ran ᛚ 861/942 ਭ 591/1210 ߩੂ 734/689


1317 ari/ no/ Kuma/no/ mŇde Ⳟ non reg./non reg.ߩᾢ 1148/2149 ㊁ 85/236 ⹚ non reg./non reg.
1318 En/ryaku/ji ᑧ 758/1115 ᥲ 1793/1534 ኹ 687/41
1319 Kon/gŇ/bu/ji ㊄ 59/23 ೰ 1854/1610 ፃ 1369/1350 ኹ 687/41
1320 TŇ/dai/ji ᧲ 11/71 ᄢ 7/26 ኹ 687/41
1321 nyo/nin/ kin/zei ᅚ 178/102 ੱ 9/1 ⑌ 853/482 ೙ 196/427
1322 ņ/mine/san ᄢ 7/26 ፄ 1369/1350 ጊ 60/34

190
1323 nato dal sincretismo tra il mikkyŇ ኒᢎ e il culto tradizionale giapponese
delle montagne (sangaku shinkŇ ጊጪାઔ1324).

ISTRU- Si è già rilevato che agli inizi del Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ il buke ᱞኅ,
ZIONE militarmente brillante ma culturalmente barbaro, dovette genuflettersi
davanti al kuge ౏ኅ e fare ogni sforzo per trapiantare la cultura aristocratica di KyŇto
੩ㇺ nella parte orientale (tŇgoku ᧲࿖1325 lett. province orientali) del Giappone.
Faceva parte di tali sforzi la creazione nella provincia di Musashi (Musashi no kuni
ᱞ⬿࿖1326 ψcarta 12) di una ricca biblioteca, chiamata Kanesawa bunko (㊄ᴛᢥᐶ1327
letto anche Kanazawa bunko: lett. biblioteca Kanesawa, verso la metà del Kamakura
jidai), dotata di oltre ventimila titoli fra sştra (kyŇten ⚻ౖ1328) e libri cinesi e giapponesi.
Lì furono impartite anche lezioni.
Nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ, poi, venne aperto nella provincia di Shimotsuke
(Shimotsuke no kuni ਅ㊁࿖1329 ψcarta 12) un istituto d’istruzione di nome Ashikaga
gakkŇ (⿷೑ቇᩞ1330 lett. scuola Ashikaga) per bushi ᱞ჻ e bonzi. Nel XVI secolo fu
chiamato dai gesuiti (ψ§40, §47) bantŇ no daigaku (ဈ᧲ߩᄢቇ1331 lett. università delle
province orientali: bantŇ ဈ᧲ sinonimo di tŇgoku ᧲࿖ lett. province orientali). Difatti,
insieme con il Kanesawa bunko ㊄ᴛᢥᐶ, costituiva uno dei maggiori centri di studi
d’alto livello nel Giappone medioevale.
Da ultimo, fu ugualmente nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ che i figli dei bushi ᱞ჻
e dei mercanti iniziarono ad imparare a leggere e a scrivere nei templi buddhisti (tera
ኹ).

ٟ Riguardo all’istruzione e cultura della gente comune del tŇgoku ᧲࿖ nel


medioevo ci è stato tramandato un episodio (eventualmente di creazione da parte
di qualcuno) oggi noto in pratica a tutti i giapponesi, perché citato da molti testi ad
uso dell’istruzione obbligatoria.

1323 shu/gen/dŇ ୃ 644/945 㛎 404/532 ㆏ 129/149


1324 san/gaku/ shin/kŇ ጊ 60/34 ጪ 1091/1358 ା 198/157 ઔ 1658/1056
1325 tŇ/goku ᧲ 11/71 ࿖ 8/40
1326 Mu/sashi/ no/ kuni ᱞ 448/1031 ⬿ 429/1286 ࿖ 8/40
1327 Kane/sawa/ bun/ko ㊄ 59/23 ᴛ 403/994 ᢥ 136/111 ᐶ 656/825
1328 kyŇ/ten ⚻ 135/548 ౖ 956/367
1329 Shimo/tsuke/ no/ kuni ਅ 72/31 ㊁ 85/236 ࿖ 8/40
1330 Ashi/kaga/ gak/kŇ ⿷ 305/58 ೑ 219/329 ቇ 33/109 ᩞ 176/115
1331 ban/tŇ/ no/ dai/gaku ဈ 595/443 ᧲ 11/71 ߩᄢ 7/26 ቇ 33/109

191
Un giorno ņta DŇkan (ᄥ↰㆏ἠ1332 1432-1486), fondatore di una modesta
città castello (jŇkamachi ၔਅ↸1333) destinato a diventare l’odierna città di TŇkyŇ
᧲੩, fu sorpreso da un acquazzone durante una caccia, ma ebbe la fortuna di
trovare nei pressi una casupola. Alla contadinella venuta al suo appello chiese in
prestito qualcosa per ripararsi dalla pioggia. Ella tuttavia gli porse in silenzio un
ramo munito di fiori dello yamabuki ( ጊ็ 1334 arbusto delle rosacee diffuso
nell’Asia orientale. In primavera porta fiori di colore giallo, raccolti a capolino, che
non danno frutti). Sul momento DŇkan ㆏ἠ non riuscì a capire il significato del
gesto e solo più tardì venne a sapere che in quel momento la ragazza aveva in
mente il seguente waka ๺᱌ antico:

৾㊀౎㊀ 1335 ⧎ߪດߌߤ߽ጊ็ߩታ 1336 ߩ৻䈧䈣䈮䈭䈐䈡ᖤ


1337䈚䈐

Nanae yae / hana wa sake domo / yamabuki no / mi no hitotsu dani /naki zo


kanashiki
[È vero che gli yamabuki fioriscono con infiorescenza a capolino, ma
non danno un solo frutto. Mi rincresce.]

L’espressione ‘mi no hitotsu dani naki zo’ (non c’è un solo frutto) può essere
interpretata anche nel senso di ‘mino䋨⬉1338䋩 hitotsu dani naki zo’ (non c’è un solo
impermeabile di paglia di riso). La contadinella, cioè, servendosi addirittura della
tecnica retorica kakekotoba (ដ⹖1339 ψ§34), volle rispondergli in questo senso:
‘Gli yamabuki fioriscono con infiorescenza a capolino senza dare un solo frutto, e
noi non abbiamo un solo impermeabile di paglia. Mi dispiace di non poter
soddisfare la Sua richiesta.’
Secondo l’episodio, DŇkan ㆏ἠ, vergognatosi profondamente della propria
ignoranza, si sarebbe messo d’impegno a coltivare l’arte di comporre waka ๺᱌.
Se è vero che i bushi ᱞ჻, inizialmente quasi tutti illetterati, fecero ogni
sforzo per la propria preparazione culturale, è altrettanto vero che tra la gente
comune c’erano non pochi contadini che sapevano leggere e scrivere.

1332 ņ/ta/ DŇ/kan ᄥ 343/629 ↰ 24/35 ㆏ 129/149 ἠ non reg./non reg.


1333 jŇ/ka/machi ၔ 638/720 ਅ 72/31 ↸ 114/182
1334 yama/buki ጊ 60/34 ็ 973/1255
1335 nana/e/ ya/e ৾ 44/9 ㊀ 155/227 ౎ 41/10 ㊀ 155/227
1336 mi ታ 89/203
1337 kana/shi ᖤ 1032/1034 ߒ (giapp. moderno: kana/shi/i ᖤ 1032/1034 ߒ޿)
1338 mino ⬉ non reg./non reg.
1339 kake/kotoba ដ 1183/1464 ⹖ 1624/843

192
CAPITOLO V

Kinsei: periodo Azuchi-Momoyama e periodo Edo (o Tokugawa)

Parte prima: Aspetti politico, sociale e economico


(Regime feudale e suo crollo)

§39. Panorama degli sviluppi storici del kinsei

 L’arco di 300 anni successivo al medioevo (chşsei ਛ਎1340) si chiama kinsei (ㄭ਎
1341 lett. epoca vicina; trad. ingl. ‘early modern age’).

K I N S E I ㄭ ਎
1573 1603
1568 1600 1651 1716 1843 1867
p. A-M
p e r i o d o E D O o anche p e r i o d o T O K U G A W A
቟࿯
ᳯ ᚭ ᤨ ઍ / ᓼ Ꮉ ᤨ ઍ
᩶ጊᤨઍ
Consolidamento Stabilità del Crisi dello Stato bakuhan Crollo
Ristabilimen- del sistema ba- sistema baku- • riforma KyŇhŇ (1716-1745) dello
to dell’ordine • riforma Kansei (1787-1793) Stato
kuha ᐀⮲૕೙ han ᐀⮲૕೙ • riforma TenpŇ (1841-1943) bakuhan
cultura
c u l t u r a GENROKU c u l t u r a KASE I
MOMOYAMA
ర ⑍ ᢥ ൻ ൻ ᡽ ᢥ ൻ
᩶ጊᢥൻ

Il kinsei ㄭ਎ consiste in due periodi tradizionalmente separati con altrettanti nomi


diversi ed è interpretato, dal punto di vista dell’ordinamento socio-politico, come l’era

1340 chş/sei ਛ 13/28 ਎ 152/252


1341 kin/sei ㄭ 127/445 ਎ 152/252

193
del feudalesimo (hŇken seido ኽᑪ೙ᐲ1342), malgrado la presenza di molti fenomeni ed
elementi difficilmente interpretabili del periodo feudale (hŇken jidai ኽᑪᤨઍ1343) nel
senso occidentale dell’espressione.
Si suole dividere il kinsei ㄭ਎ in più fasi come appare dal prospetto. Di seguito ne
vedremo una per una.

§40. Fase di ristabilimento dell’ordine

 La situazione del più completo decentramento e di anarchia creata e mantenuta per


un secolo dai sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ1344 che non prendevano ordini da nessuno, fu
portata a termine durante gli ultimi trent’anni del XVI secolo da tre bushŇ (ᱞ዁1345 lett.
capi militari, condottieri) di origine poco brillante o addirittura contadina. In ordine di
successione, cioè, da

x Oda Nobunaga (❱↰ା㐳1346 1534-1582),


x Toyotomi Hideyoshi (⼾⤿⑲ศ1347 1536?-1598) e
x Tokugawa Ieyasu (ᓼᎹኅᐽ1348 1542-1616).

Furono i primi due a preparare la via al feudalesimo, sia unificando il territorio


nazionale che iniziando a creare nuovi ordinamenti, e il tutto fu ereditato da Ieyasu ኅ
ᐽ di cui si parlerà più avanti (ψ§41).

ٟ La seguente poesia faceta (zareuta ᚨ᱌1349) tramandata fino ad oggi dice che
Ieyasu ኅᐽ riuscì a diventare padrone del Giappone senza fatica, entrando
abilmente in possesso dei frutti degli sforzi dei suoi predecessori: Nobunaga ା㐳
e Hideyoshi ⑲ศ.

1342 hŇ/ken/ sei/do ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377


1343 hŇ/ken/ ji/dai ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1344 sen/goku/ dai/myŇ ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᄢ 7/26 ฬ 116/82
1345 bu/shŇ ᱞ 448/1031 ዁ 561/627
1346 O/da/ Nobu/naga ❱ 753/680 ↰ 24/35 ା 198/157 㐳 25/95
1347 Toyo/tomi/ Hide/yoshi ⼾ 642/959 ⤿ 981/835 ⑲ 859/1683 ศ 464/1141
1348 Toku/gawa/ Ie/yasu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኅ 81/165 ᐽ 783/894
1349 zare/uta ᚨ 1632/1573 ᱌ 478/392

194
❱↰߇ߟ߈⠀ᩊ*߇ߎߨߒᄤਅ1350㘿**ߔࠊࠅߒ߹߹ߦ㘩1351߁ߪᓼ

Oda ga tsuki / Hashiba* ga koneshi / tenka mochi** / suwarishi mamani / kş wa Toku-
gawa.
[Il mochi** detto territorio nazionale, pestato da Oda e impastato da Hashiba*,
lo mangia Tokugawa comodamente seduto]

* Hideyoshi ⑲ศ, prima che si chiamasse Toyotomi Hideyoshi ⼾⤿⑲ศ, si chiamava


Hashiba Hideyoshi ⠀ᩊ⑲ศ. / ** Pezzi, solitamente lasciati indurire, di riso di
qualità glutinosa cotto a vapore e pestato. Si consumano riscaldati direttamente sul
fuoco, perché così tornano ad essere molli. Specialità tradizionale soprattutto per le
festività di capodanno. Le operazioni di pestatura e di impastatura costituiscono lavori
pesanti.

 Al potere esercitato da Oda Nobunaga ❱↰ା㐳 e Toyotomi Hideyoshi ⼾⤿⑲


ศ, ci si riferisce con l’espressione shokuhŇ seiken (❱⼾᡽ᮭ1352 lett. potere politico di
Oda e Toyotomi; sho/kuhŇ ❱⼾ φ O/da ❱↰ 㧗 Toyo/tomi ⼾⤿) e il relativo
periodo si chiama periodo Azuchi-Momoyama (Azuchi-Momoyama jidai ቟࿯᩶ጊᤨ
ઍ1353 seconda metà XVI sec.), mettendo insieme i nomi di due località (Azuchi ቟࿯
ψcarta 7 e Momoyama ᩶ጊ parte della città odierna di KyŇto ੩ㇺ) dove i due si
costruirono castelli (AzuchijŇ [቟࿯ၔ1354 1576] di Nobunaga e FushimijŇ [ફ⷗ၔ1355
1594] di Hideyoshi).

ODA NO- Nobunaga ା㐳, in origine un modesto sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ nella
BUNAGA provincia di Owari (Owari no kuni የᒛ࿖ ψcarta 12), intraprese
l’impresa di unificazione nazionale verso il 1560, eliminando nel 1573 anche il
Muromachi bakufu ቶ↸᐀ᐭ che esisteva ormai solo nominalmente. Tuttavia, ancora
prima di aver potuto ristabilire l’ordine su tutto il territorio nazionale fu tradito da un
proprio suddito, Akechi Mitsuhide (᣿ᥓశ⑲1356 1526-1582) e si vide costretto a
suicidarsi al tempio HonnŇji ᧄ⢻ኹ1357 a KyŇto ੩ㇺ, avenimento detto HonnŇji no

1350 ten/ka ᄤ 364/141 ਅ 72/31


1351 kş 㘩 269/322 ߁ (giapp. moderno: kş 㘩 269/322 ߁ o, meglio, ta/be/ru 㘩 269/322 ߴࠆ)
1352 shoku/hŇ/ sei/ken ❱ 753/680 ⼾ 642/959 ᡽ 50/483 ᮭ 260/335
1353 A/zuchi/-/Momo/yama/ ji/dai ቟ 128/105 ࿯ 316/24 ᩶ 1642/1567 ጊ 60/34 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1354 A/zuchi/jŇ ቟ 128/105 ࿯ 316/24 ၔ 638/720
1355 Fushi/mi/jŇ ફ 1412/1356 ⷗ 48/63 ၔ 638/720
1356 Ake/chi/ Mitsu/hide ᣿ 84/18 ᥓ 1416/2099 శ 417/138 ⑲ 859/1683
1357 Hon/nŇ/ji ᧄ 15/25 ⢻ 341/386 ኹ 687/41

195
hen (ᧄ⢻ኹߩᄌ1358 Incidente all’HonnŇji, 1582).
 Era stato Nobunaga ା㐳 a sopprimere definitivamente il potere dei templi
buddhisti che ostacolavano l’opera di unificazione politica: per esempio, distruzione
dell’Enryakuji mediante fuoco e massacro di oltre 1,600 bonzi (Enryakuji yakiuchi ᑧᥲ
ኹ὾ᛂߜ1359 1571), una lunga serie di battaglie (1570-1580) con l’Ishiyama Honganji
(⍹ጊᧄ㗿ኹ1360 1496-1580), tempio che con sede ad ņsaka (ᄢဈ; dall’era Meiji ᄢ
㒋) costituiva allora il quartiere generale degli ikkŇ ikki (৻ะ৻ឨ1361 ψ§29).

TOYOTOMI Hideyoshi ⑲ศ nacque nella famiglia di un contadino (che era stato


HIDEYOSHI uno dei cosiddetti ashigaru [⿷シ1362 lett. gambe leggere, gambe agili],
guerrieri della classe più bassa, alle dipendenze degli Oda [Odashi, Odauji ❱↰᳁]) e
da giovane cominciò a servire Nobunaga ା㐳 quale suo attendente personale con il
compito di badare alle sue calzature. Riuscì a fare una rapida carriera e dopo l’Incidente
all’HonnŇji, subentrò al padrone nell’impresa di unificazione del territorio nazionale.
Nel 1585 fu nominato kanpaku (㑐⊕1363 ψ§16) dall’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) e
successivamente nel 1586 daijŇ daijin (ᄥ᡽ᄢ⤿1364 ψ§6). Preferì così avvalersi, a
proprio vantaggio, dell’autorità virtuale del tennŇ ᄤ⊞ anziché aprire il suo bakufu ᐀
ᐭ, riuscendo nel 1590 ad imporre la propria autorità su tutti i daimyŇ ᄢฬ1365. Fu così
compiuta l’unificazione nazionale, chiamata in particolare tenka tŇitsu ᄤਅ⛔৻1366.

ٟ A stretto rigore il termine daimyŇ ᄢฬ usato sopra andrebbe sostituita con


sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ, ma a partire dal periodo Azuchi-Momoyama (Azuchi-
Momoyama jidai ቟࿯᩶ጊᤨઍ) si suol parlare semplicemente di daimyŇ ᄢฬ.

 Tra tutte le azioni ed imprese anche megalomani (p.es. i falliti tentativi di conquista
della Corea e della Cina, 1592-1596 e 1597-1598) di Hideyoshi ⑲ศ, rivestono una
importanza particolare i seguenti due provvedimenti, in quanto i loro esiti, ereditati da

1358 Hon/nŇ/ji/ no/ hen ᧄ 15/25 ⢻ 341/386 ኹ 687/41 ߩᄌ 324/257


1359 En/ryaku/ji/ yaki/u/chi ᑧ 758/1115 ᥲ 1793/1534 ኹ 687/41 ὾ 733/920 ᛂ 180/1020 ߜ
1360 Ishi/yama/ Hon/gan/ji ⍹ 276/78 ጊ 60/34 ᧄ 15/25 㗿 869/581 ኹ 687/41
1361 ik/kŇ/ ik/ki ৻ 4/2 ะ 217/199 ৻ 4/2 ឨ non reg./non reg.
1362 ashi/garu ⿷ 305/58 シ 650/547
1363 kan/paku 㑐 104/398 ⊕ 266/205
1364 dai/jŇ/ dai/jin ᄥ 343/629 ᡽ 50/483 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
1365 dai/myŇ ᄢ 7/26 ฬ 116/82
1366 ten/ka/ tŇ/itsu ᄤ 364/141 ਅ 72/31 ⛔ 239/830 ৻ 4/2

196
Ieyasu ኅᐽ, fecero parte della base della società feudale dei Tokugawa (Tokugawa
hŇkenshakai ᓼᎹኽᑪ␠ળ1367).

Ԙ < Sistemazione catastale dei terreni > Al fine di assicurarsi uno stretto
controllo a livello nazionale dei terreni e dei contadini, a partire dal 1582
effettuò una verifica fondiaria (kenchi ᬌ࿾1368), chiamata in particolare TaikŇ
kenchi ᄥ㑒ᬌ࿾1369, consistente nel misurare ogni appezzamento di terreno,
determinare la sua area, valutarne la capacità produttiva espressa in koku (⍹1370;
un koku = 180 litri ca. [150kg ca.]) di riso ed iscrivere il relativo coltivatore nel
registro catastale, detto kenchichŇ ᬌ࿾Ꮽ1371.
La conseguenza logica fu che da questo momento per contadini s’intesero
coloro iscritti nel registro, e sempre in base al registro essi vennero sottoposti ad
una imposta nengu ᐕ ⽸ 1372 ed obbligati a risiedere inchiodati su di un
determinato terreno.
Inoltre, il TaikŇ kenchi ᄥ㑒ᬌ࿾ fece piazza pulita degli ultimi, sia pure
pochissimi, avanzi di shŇen ⨿࿦1373; dopo questa operazione non rimase più
niente del regime dell’età antica (kodai ฎઍ1374).
ԙ < Disarmo dei civili > L’altro provvedimento fu costituito dal privare delle
armi tutti coloro che non si identificavano in uno status samuraico, operazione
chiamata katanagari (ಷ⁚1375 lett. caccia alle spade, 1588). Ai contadini fu così
tolta la possibilità di insurrezioni armate (doikki o anche tsuchi ikki ࿯৻ឨ1376
ψ§29).

 ‫ޣ‬INIZIO DI CREAZIONE DEL SISTEMA DI CLASSI STRATIFICATE‫ޤ‬


Mediante le due operazioni schematizzate qui sopra venne tracciata una linea netta

1367 Toku/gawa/ hŇ/ken/sha/kai ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ␠ 30/308 ળ 12/158


1368 ken/chi ᬌ 351/531 ࿾ 40/118
1369 Tai/kŇ/ ken/chi ᄥ 343/629 㑒 non reg./non reg.ᬌ 351/531 ࿾ 40/118
1370 koku ⍹ 276/78
1371 ken/chi/chŇ ᬌ 351/531 ࿾ 40/118 Ꮽ 1181/1107
1372 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
1373 shŇ/en ⨿ 1208/1327 ࿦ 412/447
1374 ko/dai ฎ 373/172 ઍ 68/256
1375 katana/gari ಷ 1494/37 ⁚ 1650/1581
1376 do/ik/ki ࿯ 316/24 ৻ 4/2 ឨ non reg./non reg.

197
fra bushi ᱞ჻ ed agricoltori (nŇmin ㄘ᳃1377); si tratta della separazione chiamata heinŇ
bunri (౓ㄘಽ㔌1378 lett. separazione di bushi e agricoltori; hei ౓ 㧩 bushi ᱞ჻㧧 nŇ
ㄘ φnŇ/min ㄘ᳃).
Inoltre, non soltanto i bushi ᱞ჻, ma anche artigiani e commercianti vennero
radunati, non di rado forzatamente, in zone urbanizzate, specie in jŇkamachi (ၔਅ↸1379
lett. città ai piedi di un castello ψ§30). Venne loro proibito di cambiare mestiere. Fu
così che i contadini vennero separati anche dai cosiddetti chŇnin (↸ੱ1380 l’insieme di
artigiani e commercianti che conducevano una vita comunitaria in città ψ§41).
Fu preparata in questo modo la via a quel sistema di classi stratificate (ovvero bushi
ᱞ჻ - contadini [nŇmin ㄘ᳃] - chŇnin ↸ੱ) che caratterizzò l’ordinamento feudale
dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenseido ᓼᎹኽᑪ೙ᐲ1381).
‫ޣ‬‫ޣ‬POLITICA ECONOMICA DI NOBUNAGA E HIDEYOSHI‫ ޤ‬Gli za (ᐳ1382
ψ§30) monopolistici vennero sciolti dai sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ affinché venissero
liberalizzate ed incoraggiate le attività dei commercianti e degli artigiani, politica detta
rakuichi-rakuza ᭉᏒ࡮ᭉᐳ1383. A questo riguardo è particolarmente nota la politica
varata da Nobunaga ା㐳 nel 1577 ad Azuchi ቟࿯, suo jŇkamachi ၔਅ↸.
Sotto Hideyoshi ⑲ ศ , inoltre, si procedette nel 1588 ad una ripresa della
coniazione di monete dopo una lunga interruzione di tale attività (ψ§7, §30). Come si
vedrà più avanti, fra i fattori che determinarono il crollo del regime feudale (hŇken seido
ኽᑪ೙ᐲ) ci fu un fiorente commercio accompagnato da un’economia monetaria
sviluppata. Ne furono gettati i primi semi già in questo periodo.

PRIMI CONTATTI Poco prima dei tempi di Nobunaga ା㐳 e Hideyoshi ⑲ศ


CON GLI EUROPEI era intervenuto un elemento decisamente nuovo nella storia
del Giappone, aprendo quell’arco di circa cento anni che gli studiosi occidentali di storia
giapponese chiamano secolo cristiano (tradotto in giapponese solitamente come
kirishitan no seiki ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦߩ਎♿1384 metà XVI sec.- metà XVII sec.).
 In seguito alle grandi scoperte geografiche effettuate intorno al 1500 da navigatori

1377 nŇ/min ㄘ 362/369 ᳃ 70/177


1378 hei/nŇ/ bun/ri ౓ 447/784 ㄘ 362/369 ಽ 35/38 㔌 641/1281
1379 jŇ/ka/machi ၔ 638/720 ਅ 72/31 ↸ 114/182
1380 chŇ/nin ↸ 114/182 ੱ 9/1
1381 Toku/gawa/ hŇ/ken/sei/do ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
1382 za ᐳ 377/786
1383 raku/ichi/-/raku/za ᭉ 232/358 Ꮢ 78/181࡮ᭉ 232/358 ᐳ 377/786
1384 ki/ri/shi/ta/n/ no/ sei/ki ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦߩ਎ 152/252 ♿ 930/372

198
ed esploratori europei, il XVI secolo vide portoghesi e spagnoli espandersi oltremare. I
due popoli, in particolare i portoghesi, conducevano allora intense attività commerciali
in Asia, servendosi come base dei loro possedimenti in India (Goa, portoghesi), sulla
penisola di Malacca (Malacca, portoghesi), in Cina (Macao ψcarta 11, portoghesi) e
nelle Filippine (Manila, spagnoli). La loro venuta in Giappone era in ogni caso scontata.
 Nel 1543, nel bel mezzo del caos del periodo Sengoku (Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ
1385) approdò accidentalmente all’isola di nome Tanegashima (⒳ሶፉ1386 ψcarta 3), a

sud del Kyşshş ਻Ꮊ1387, una nave mercantile straniera che era diretta in Cina. A bordo
c’era un certo numero di portoghesi. I giapponesi ebbero, così, il primo contatto diretto
con gli europei e vennero a conoscere con l’occasione il fucile (per l’esattezza hinawajş
Ἣ✽㌂1388 archibugio a miccia), avvenimento chiamato teppŇ denrai (㋕⎔વ᧪1389 lett.
avvento del fucile).

ٟ L’arma da fuoco venne riprodotta immediatamente da artigiani, specie della


città di Sakai (႓1390 ψ§30). Si dice che dopo solo alcuni anni dall’arrivo dei primi
due esemplari Nobunaga ା㐳 disponesse già di un reparto di fucilieri. Il reparto,
utilizzato abilmente da Nobunaga ା㐳, svolse un ruolo fondamentale per l’opera
di unificazione nazionale.
Un buon esempio ne è offerto dalla cosiddetta battaglia di Nagashino
(Nagashino no tatakai 㐳◉ߩᚢ޿1391 1575). In sostanza si trattò di un incontro
fra 3.000 archibugieri di Nobunaga ା㐳 e cavalleria tradizionale del Takedashi
ᱞ↰᳁1392 uno dei potenti sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ. La battaglia finì con la
vittoria schiacciante dell’alleanza Nobunaga ା㐳 - Ieyasu ኅᐽ, e fece epoca
nella storia delle battaglie giapponesi.

 ‫ޣ‬FRANCESCO SAVERIO‫ޤ‬La venuta dei mercanti portoghesi fu seguita dal-


l’arrivo di numerosi missionari cattolici, specie gesuiti, di cui il primo a mettere piede in
Giappone nel 1549 fu Francesco Saverio (sp. Francisco de Xavier, giapp. Furanshisuko
Zabieru ࡈ࡜ࡦࠪࠬࠦ = ࠩࡆࠛ࡞ 1506-1552) della Compagnia di Gesù (Iezusu-

1385 Sen/goku/ ji/dai ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᤨ 19/42 ઍ 68/256


1386 Tane/ga/shima ⒳ 435/228 ሶ 56/103 ፉ 173/286
1387 Kyş/shş ਻ 58/11 Ꮊ 542/195
1388 hi/nawa/jş Ἣ 432/20 ✽ 1005/1760 ㌂ 1163/829
1389 tep/pŇ/ den/rai ㋕ 327/312 ⎔ 1217/1764 વ 494/434 ᧪ 113/69
1390 Sakai ႓ non reg./non reg.
1391 Naga/shino/ no/ tataka/i 㐳 25/95 ◉ non reg./non reg.ߩᚢ 88/301 ޿
1392 Take/da/shi ᱞ 448/1031 ↰ 24/35 ᳁ 177/566

199
kai ࠗࠛ࠭ࠬળ1393 detto anche Yasokai ⡍⯃ળ1394). I giapponesi d’allora usavano il
termine kirishitan (ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ dal portogh. christão) per riferirsi sia alla religione
cattolica che ai cattolici. I missionari vennero chiamati bateren (ࡃ࠹࡟ࡦ, ઻ᄤㅪ1395
dal portogh. padre).
 ‫ޣ‬NANBAN ‫ޤ‬Nel 1584 giunsero anche i primi mercanti spagnoli. I portoghesi e gli
spagnoli, fra i quali gli italiani sia pure poco numerosi, furono chiamati nanbanjin (ධⱄ
ੱ1396 barbari del sud) sull’esempio dei cinesi che li chiamavano appunto barbari del
sud, sia perché i cinesi avevano (e anche adesso hanno) una forte visione sino-centrica
(chşka shisŇ ਛ⪇ᕁᗐ1397 ψ§8), sia perché questi europei venivano via mare appunto
dal sud.

ٟ In passato i cinesi chiamavano barbari tutti i popoli che abitavano intorno alla
Cina. Gli abitanti (p.es. vietnamiti) della penisola oggi detta indocinese erano
chiamati nanban (ධⱄ barbari del sud), in quanto vivevano a sud della Cina. Per
analogia, popoli quali tibetani e turchi seijş (⷏ᚐ1398 barbari dell’ovest), i popoli
delle steppe hokuteki (ർ⁇1399 barbari del nord) e infine coreani e giapponesi tŇi
(᧲ᄱ1400 barbari dell’est).

Si rileva con l’occasione che in generale qualsiasi cosa che avesse a che fare con i
nanbanjin ධⱄੱ prese nei relativi vocaboli l’espressione nanban ධⱄ: nanbanji ධⱄ
ኹ1401 tempio dei barbari del sud, ossia chiesa cattolica; nanbansen ධⱄ⦁ nave dei
barbari del sud; nanban fşzoku ධⱄ㘑ଶ usi e costumi dei barbari del sud; nanban bŇeki
ධⱄ⾏ᤃ commercio con i barbari del sud, e via dicendo.
 ‫ޣ‬SCAMBI COMMERCIALI‫ޤ‬Il commercio con gli europei venne condotto
principalmente nei porti di Hirado (ᐔᚭ1402 ψcarta 3), Nagasaki (㐳ፒ1403 ψcarta 3)

1393 Ie/zu/su/kai ࠗࠛ࠭ࠬળ 12/158


1394 Ya/so/kai ⡍ non reg./non reg.⯃ non reg./non reg.ળ 12/158
1395 ba/te/ren ઻ 1115/1027 ᄤ 364/141 ㅪ 87/440
1396 nan/ban/jin ධ 205/74 ⱄ 1894/1879 ੱ 9/1
1397 chş/ka/ shi/sŇ ਛ 13/28 ⪇ 807/1074 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
1398 sei/jş ⷏ 167/72 ᚐ non reg./non reg.
1399 hoku/teki ർ 103/73 ⁇ non reg./non reg.
1400 tŇ/i ᧲ 11/71 ᄱ non reg./non reg.
1401 nan/ban/ji ධ 205/74 ⱄ 1894/1879 ኹ 687/41 㧔-sen ~⦁ 313/376, -fş/zoku ~㘑 246/29 ଶ 1498/1126,
-bŇ/eki ~⾏ 1037/760 ᤃ 810/759 㧕
1402 Hira/do ᐔ 143/202 ᚭ 342/152
1403 Naga/saki 㐳 25/95 ፒ 457/1362

200
e Funai (ᐭౝ1404 oggi ņita ᄢಽ1405 ψcarta 3), tutti localizzati nel Kyşshş ਻Ꮊ,
sotto la protezione dei daimyŇ ᄢฬ delle rispettive zone.
 C’erano, d’altra parte, delle navi mercantili giapponesi che si spingevano fino nella
penisola indocinese, in Indonesia e in India (ψ§42).
 ‫ޣ‬RELIGIONE CATTOLICA‫ޤ‬Con l’evangelizzazione impegnativa di molti mis-
sionari venuti poco più di due anni dopo Francesco Saverio ࡈ࡜ࡦࠪࠬࠦ = ࠩࡆ
ࠛ࡞, la chiesa cattolica annoverò numerosi fedeli, specie nel Kyşshş ਻Ꮊ: a livello
nazionale, 100 mila nel 1579, 150 mila nel 1582 e 200 mila nel 1587. Per la preparazione
di sacerdoti e per dare istruzione a ragazzi giapponesi furono fondati rispettivamente
korejio (ࠦ࡟ࠫࠝ dal portogh. collegio) e seminariyo (࠮ࡒ࠽࡝࡛ dal portogh. semi-
nario).
 Sia nel Kyşshş ਻Ꮊ che nel Kinki ㄭ⇰1406 abbracciò la fede cristiana anche una
ventina di daimyŇ (kirishitan daimyŇ ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦᄢฬ1407) fra cui ņmura Sumitada (ᄢ᧛
⚐ᔘ1408 1533-1587), ņtomo SŇrin (ᄢ෹ቬ㤅1409 1530-1587), Arima Harunobu (᦭
㚍᥍ା1410 1567-1612) e Takayama Ukon (㜞ጊฝㄭ1411 ?-1615).
 ‫ޣ‬POLITICA DI NOBUNAGA E HIDEYOSHI NEI CONFRONTI DEL
CATTOLICESIMO‫ޤ‬Nobunaga ା㐳 protesse la religione cattolica per tenere sotto
controllo i templi buddhisti e si dimostrò favorevole agli scambi commerciali con i
nanbanjin ධⱄੱ, mentre Hideyoshi ⑲ศ, che agli inizi dava il suo tacito avallo
all’evangelizzazione, nel 1587 mise al bando il cattolicesimo (kinkyŇrei ⑌ᢎ઎1412 lett.
ordinanza di divieto del cristianesimo; ordinanza detta specificamente bateren tsuihŇrei
ࡃ࠹࡟ࡦㅊ᡼઎ lett. ordine di espulsione dei bateren) in ultima analisi per timore che
la solidarietà dei convertiti costituisse un ostacolo alla sua politica interna.
Il bando, però, non produsse che scarsi effetti, in quanto era egli stesso a promuo-
vere attivamente gli scambi commerciali ai quali l’attività dei missionari era strettamente
legata. Sta di fatto, comunque, che il cambiamento del suo atteggiamento verso il
cristianesimo segnò l’inizio della politica anti-cattolica giapponese. Nel 1597 si ebbero i

1404 Fu/nai ᐭ 156/504 ౝ 51/84


1405 ņita ᄢ 7/26 ಽ 35/38
1406 Kin/ki ㄭ 127/445 ⇰ 1684/non reg.
1407 ki/ri/shi/ta/n/ dai/myŇ ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦᄢ 7/26 ฬ 116/82
1408 ņ/mura/ Sumi/tada ᄢ 7/26 ᧛ 210/191 ⚐ 828/965 ᔘ 1040/1348
1409 ņ/tomo/ SŇ/rin ᄢ 7/26 ෹ 543/264 ቬ 1023/616 㤅 non reg./non reg.
1410 Ari/ma/ Haru/nobu ᦭ 268/265 㚍 512/283 ᥍ 739/662 ା 198/157
1411 Taka/yama/ U/kon 㜞 49/190 ጊ 60/34 ฝ 503/76 ㄭ 127/445
1412 kin/kyŇ/rei ⑌ 853/482 ᢎ 97/245 ઎ 668/831

201
primi 26 martiri (Nijşroku seijin junkyŇ ੑච౐⡛ੱᱵᢎ1413 lett. martirio dei 26 santi;
tutti santificati nel 1862).

§41. Nascita del sistema bakuhan

 Morto Hideyoshi ⑲ศ nel 1598, sorse un contrasto fra Tokugawa Ieyasu (ᓼᎹኅ
ᐽ1414 1542-1616) e Ishida Mitsunari (⍹↰ਃᚑ1415 1560-1600), entrambi ex-potenti
sudditi di Hideyoshi ⑲ศ.
Il disaccordo sfociò nel 1600 nella cosiddetta battaglia di Sekigahara (Sekigahara no
tatakai 㑐ࡩේߩᚢ޿1416; Sekigahara 㑐ࡩේ ψcarta 9), la quale fu l’ultimo degli
innumerevoli scontri ‘eliminatori’ occorsi sin dal periodo Sengoku (Sengoku jidai ᚢ࿖
ᤨઍ). Fu Ieyasu ኅᐽ a uscirne vittorioso. Nel 1603, nominato shŇgun ዁ァ1417, aprì il
suo bakufu ᐀ᐭ1418 a Edo (ᳯᚭ oggi TŇkyŇ ᧲੩ ψcarta 10).

SHņGUNATO DEI TOKUGAWA, I 265 anni da allora (1603) oppure dalla bat-
HAN E SISTEMA BAKUHAN taglia di Sekigahara (Sekigahara no tatakai 㑐
ࡩේߩᚢ޿, 1600) fino alla restaurazione del governo imperiale (Ňsei fukko ₺᡽ᓳฎ
1419 1867 ψ§45) costituiscono il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ1420 detto anche

Tokugawa jidai ᓼ Ꮉ ᤨ ઍ 1421 1600/1603-1867). Il bakufu ᐀ ᐭ dei Tokugawa


(Tokugawashi, Tokugawauji ᓼᎹ᳁) è chiamato Tokugawa bakufu (ᓼᎹ᐀ᐭ1422 detto
anche Edo bakufu ᳯᚭ᐀ᐭ, it. bakufu Tokugawa).
Vennero definitivamente sistemate dai successivi II e III shŇgun ዁ァ, Tokugawa
Hidetada (ᓼᎹ⑲ᔘ1423 c. 1605-1623) e Tokugawa Iemitsu (ᓼᎹኅశ1424 c. 1623-

1413 Ni/jş/roku/ sei/jin/ jun/kyŇ ੑ 6/3 ච 5/12 ౐ 20/8 ⡛ 1306/674 ੱ 9/1 ᱵ 1885/1799 ᢎ 97/245
1414 Toku/gawa/ Ie/yasu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኅ 81/165 ᐽ 783/894
1415 Ishi/da/ Mitsu/nari ⍹ 276/78 ↰ 24/35 ਃ 10/4 ᚑ 115/261
1416 Seki/ga/hara/ no/ tataka/i 㑐 104/398 ࡩේ 132/136 ߩᚢ 88/301 ޿
1417 shŇ/gun ዁ 561/627 ァ 193/438
1418 baku/fu ᐀ 836/1432 ᐭ 156/504
1419 Ň/sei/ fuk/ko ₺ 499/294 ᡽ 50/483 ᓳ 585/917 ฎ 373/172
1420 E/do/ ji/dai ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1421 Toku/gawa/ ji/dai ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1422 Toku/gawa/ baku/fu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᐀ 836/1432 ᐭ 156/504
1423 Toku/gawa/ Hide/tada ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ⑲ 859/1683 ᔘ 1040/1348

202
1651) le sue istituzioni politiche, chiamate dagli storici giapponesi sistema bakuhan
(bakuhan taisei ᐀⮲૕೙1425; bakuhan ᐀⮲ φ baku/fu ᐀ᐭ 㧗 han ⮲).

ٟ Dopo la morte di Hideyoshi ⑲ศ era presente al castello di ņsaka (ņsakajŇ


ᄢဈၔ1426) il suo erede Toyotomi Hideyori (⼾⤿⑲㗬1427 1593-1615) che si era
ridotto ad un semplice daimyŇ ᄢฬ in seguito alla battaglia di Sekigahara
(Sekigahara no tatakai 㑐ࡩේߩᚢ޿). Egli tuttavia, insieme con sua madre
Yodogimi ( ᶰำ 1428 1567?-1615; gimi ำ suffisso onorifico), costituiva ugual-
mente una grande minaccia al Tokugawashi ᓼᎹ᳁, in quanto sostenuto da un
numero notevole di fedelissimi ai Toyotomi (Toyotomishi, Toyotomiuji ⼾⤿᳁
1429 , Toyotomike ⼾⤿ኅ ). L’egemonia definitiva del Tokugawashi ᓼᎹ᳁ fu

stabilita soltanto dopo le due campagne dette campagna d’inverno e campagna


d’estate, a ņsaka (ņsaka fuyu no jin ᄢဈ౻ߩ㒯1430 1614 e ņsaka natsu no jin ᄢ
ဈᄐߩ㒯 1615; messi insieme ņsaka no jin ᄢဈߩ㒯).

‫ޣ‬SUCCESSIONE (1603-1867) DEGLI SHņGUN DEI TOKUGAWA‫ޤ‬

ԘIeyasu ԙHidetada ԚIemitsu ԛIetsuna ٧: gosanke ᓮਃኅ1431 ψ§53


ኅᐽ ⑲ᔘ ኅశ ኅ✁ : shŇgun citati nel testo
‫ غ‬ԝIenobu ԞIetsugu
ኅት ኅ⛮
٧‫غ‬ ԜTsunayoshi
✁ศ
٧‫غ‬ ԟYoshimune ԠIeshige ԡIeharu ԣIeyoshi ԤIesada
ศቬ ኅ㊀ ኅᴦ ኅᘮ ኅቯ
‫غ غ‬ ԢIenari ‫ غ‬ԥIemochi
ኅᢧ ኅ⨃
٧‫غ‬ ԦYoshinobu
ᘮ༑

1424 Toku/gawa/ Ie/mitsu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኅ 81/165 శ 417/138


1425 baku/han/ tai/sei ᐀ 836/1432 ⮲ 1566/1382 ૕ 110/61 ೙ 196/427
1426 ņ/saka/jŇ ᄢ 7/26 ဈ 595/443 ၔ 638/720
1427 Toyo/tomi/ Hide/yori ⼾ 642/959 ⤿ 981/835 ⑲ 859/1683 㗬 706/1512
1428 Yodo/gimi ᶰ non reg./non reg.ำ 700/793
1429 Toyo/tomi/shi ⼾ 642/959 ⤿ 981/835 ᳁ 177/566 (-ke ~ኅ 81/165)
1430 ņ/saka/ fuyu/ no/ jin ᄢ 7/26 ဈ 595/443 ౻ 903/459 ߩ㒯 823/1404 (-natsu- ~ᄐ 580/461~)

203
‫ޣ‬ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA BAKUHAN ‫ޤ‬La seguente rappre-
sentazione grafica dimostra schematicamente l’organizzazione del sistema bakuhan
(bakuhan taisei ᐀⮲૕೙):

‫ޣ‬SISTEMA BAKUHAN (BAKUHAN TAISEI ᐀⮲૕೙)‫ޤ‬

TOKUGAWA BAKUFU ᓼᎹ᐀ᐭ


chŇtei HAN ⮲
ᦺ ᑨ SHņGUN ዁ァ

Ļ Ȼ Ȼ
istituti JIKISAN ⋥ෳ1433 DAIMYņ ᄢฬ
religiosi (vassalli dello shŇgun con meno di 10 mila koku ⍹1434 di (vassalli dello shŇgun con
riso. Ce n’erano due categorie: hatamoto e gokenin) oltre 10 mila koku di
ኹ␠1432 riso)
HATAMOTO ᣛᧄ1435 GOKENIN * ᓮኅੱ1436
(jikisan autorizzati a (jikisan non autorizzati a Ȼ
presentarsi davanti allo presentarsi davanti allo vassalli di daimyŇ
shŇgun) shŇgun)
Ļ Ȼ
Vassalli valvassori
Ļ Ļ
Contadini contadini
artigiani artigiani
commercianti commercianti

* Da non confondere con i gokenin ᓮኅੱ del Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ


: nominato dal tennŇ ᄤ⊞
/ Ⱥ: controllato da...

1431 go/san/ke ᓮ 620/708 ਃ 10/4 ኅ 81/165


1432 ji/sha ኹ 687/41 ␠ 30/308
1433 jiki/san ⋥ 329/423 ෳ 392/710
1434 koku ⍹ 276/78
1435 hata/moto ᣛ 1174/1006 ᧄ 15/25
1436 goke/nin ᓮ 620/708 ኅ 81/165 ੱ 9/1

204
 Il sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲૕೙) aveva due centri di governo, uno
centrale e gli altri locali. Quello centrale era il bakufu ᐀ᐭ con al vertice lo shŇgun ዁
ァ e gli altri locali erano i cosiddetti han (⮲ 1437 [grosso modo] domini feudali)
governati dai daimyŇ ᄢฬ.
Lo han ⮲ era il feudo (chigyŇchi ⍮ⴕ࿾1438) di un daimyŇ ᄢฬ su cui gli era
riconosciuto dallo shŇgun ዁ァ l’esercizio (chigyŇ ⍮ⴕ) dei poteri tributario, esecutivo e
giudiziario, e retto dal proprio ordinamento amministrativo. A prescindere dalla pre-
senza dello shogunato dei Tokugawa (Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ), lo han ⮲ di un
daimyŇ ᄢฬ era proprio come se fosse il dominio (ryŇgoku 㗔࿖1439 ψ§29) di un
sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ. In altre parole, salvo certi doveri e prestazioni gli han ⮲,
notevolmente autonomi, non dovevano, ad esempio, alcun tributo periodico al bakufu
᐀ᐭ, né il bakufu ᐀ᐭ nessun aiuto finanziario agli han ⮲. Inoltre, a parte le
restrizioni imposte dallo shŇgun ዁ァ, un daimyŇ ᄢฬ era libero di governare il suo han
⮲ come meglio credeva.
Il sistema bakuhan ᐀⮲ (bakuhan taisei ᐀⮲૕೙) accomunava in sé, quindi, due
aspetti: quello centralizzato e quello decentralizzato.
 Nell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ per daimyŇ ᄢฬ s’intendevano i bushi ᱞ჻ a cui veniva
concesso dallo shŇgun ዁ァ un feudo (chigyŇchi ⍮ⴕ࿾) con oltre 10 mila koku ⍹ di
riso. Ce n’erano agli inizi circa 200 e nella seconda metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ circa
270.

 ‫ޣ‬STRUTTURA DEL BAKUFU E DELLO HAN ‫ޤ‬L’organigramma riportato


alla pagina successiva può costituire una rappresentazione schematica della struttura del
Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ.
 L’apparato burocratico del Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ era in pratica un’or-
ganizzazione smisuratamente ingrandita rispetto a quella del Tokugawashi ᓼᎹ᳁ di
quando questi erano ancora semplice daimyŇ ᄢฬ. Ciò significa, inversamente, che,
prescindendo dall’imponenza del bakufu ᐀ᐭ, la struttura governativa di uno han ⮲
era pressoché uguale a quella del bakufu ᐀ᐭ. Data la natura anche decentralizzata del
sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲૕೙), non è detto tuttavia che tutti gli han ⮲
fossero organizzati in modo identico.

1437 han ⮲ 1566/1382


1438 chi/gyŇ/chi ⍮ 207/214 ⴕ 31/68 ࿾ 40/118
1439 ryŇ/goku 㗔 338/834 ࿖ 8/40

205
ORGANIGRAMMA SCHEMATICO DEL TOKUGAWA BAKUFU ᓼᎹ᐀ᐭ

SHņGUN ዁ァ

TAIRņ ᄢ⠧1440
(organo non permanente, 1 posto)

ņsaka jŇdai KyŇto shoshidai jishabugyŇ wakadoshiyori rŇjş


ᄢဈၔઍ1441 ੩ㇺᚲมઍ1442 ኹ␠ᄺⴕ1443 ⧯ᐕነ1444 ⠧ਛ1445
rappresentante controllo della corte e controllo degli i- collaborazione affari poli-
capo a ņsaka, 1 dei daimyŇ del Giappo- stituti religiosi, 4 con i rŇjş, 3-5 tici, 5-6 po-
posto ne occidentale, 1 posto posti posti sti

metsuke OngokubugyŇ kanjŇbugyŇ Edo Ňmetsuke


⋡ઃ1446 ㆙࿖ᄺⴕ1447 ൊቯᄺⴕ1448 machibugyŇ ᄢ⋡ઃ1451
sor veglianza ammin., polizia e af- affari finanziari e ᳯᚭ↸ᄺⴕ1450 sorvegl.
di hatamoto e fari giudiziari di città controllo dei terreni amministrazione, dei daimyŇ,
gokenin, circa importanti e lontane alle dirette dipen- polizia e affari 4-5 posti
10 posti (KyŇto, ņsaka, Na- denze shogunali giudiziari di Edo,
gasaki ecc.) (tenryŇ ᄤ㗔1449), 4 2 posti

daikan gundai
ઍቭ1452 ㇭ઍ1453
tenryŇ tenryŇ
piccolo grande

1440 tai/rŇ ᄢ 7/26 ⠧ 788/543


1441 ņ/saka/ jŇ/dai ᄢ 7/26 ဈ 595/443 ၔ 638/720 ઍ 68/256
1442 KyŇ/to/ shoshi/dai ੩ 16/189 ㇺ 92/188 ᚲ 107/153 ม 712/842 ઍ 68/256
1443 ji/sha/bu/gyŇ ኹ 687/41 ␠ 30/308 ᄺ 1106/1541 ⴕ 31/68
1444 waka/doshi/yori ⧯ 372/544 ᐕ 3/45 ነ 545/1361
1445 rŇ/jş ⠧ 788/543 ਛ 13/28
1446 me/tsuke ⋡ 65/55 ઃ 251/192
1447 on/goku/bu/gyŇ ㆙ 803/446 ࿖ 8/40 ᄺ 1106/1541 ⴕ 31/68
1448 kan/jŇ/bu/gyŇ ൊ 1309/1502 ቯ 62/355 ᄺ 1106/1541 ⴕ 31/68
1449 ten/ryŇ ᄤ 364/141 㗔 338/834
1450 E/do/ machi/bu/gyŇ ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ↸ 114/182 ᄺ 1106/1541 ⴕ 31/68
1451 Ň/me/tsuke ᄢ 7/26 ⋡ 65/55 ઃ 251/192
1452 dai/kan ઍ 68/256 ቭ 225/326
1453 gun/dai ㇭ 797/193 ઍ 68/256

206
MECCANISMI 䇼NEI CONFRONTI DEI BUSHI ‫ޤ‬A seconda dei rapporti
DI CONTROLLO di « intimità – estraneità » con la famiglia Tokugawa (Tokugawa-
shi, Tokugawauji ᓼᎹ᳁) i daimyŇ ᄢฬ vennero classificati in tre categorie:

Ԙ shinpan (ⷫ⮲1454 lett. han imparentato): daimyŇ ᄢฬ legati allo shŇgun ዁ァ


da vincoli di parentala,
ԙ fudai [daimyŇ] (⼆ઍ[ᄢฬ]1455; fudai ⼆ઍ lett. vassallaggio ereditario; daimyŇ
ᄢฬ: omissibile): coloro che erano già sudditi prima della battaglia di Sekiga-
hara (Sekigahara no tatakai 㑐ࡩේߩᚢ޿), e
Ԛ tozama [daimyŇ] (ᄖ᭽[ᄢฬ]1456; tozama ᄖ᭽ lett. signore esterno): coloro che
si assoggettarono solo dopo detta battaglia, ossia ex-rivali o ex-colleghi di
Ieyasu ኅᐽ.

I primi due furono infeudati in zone-chiave, e i tozama [daimyŇ] ᄖ᭽[ᄢฬ], quelli


cioè che avrebbero potuto eventualmente ribellarsi, in regioni remote e in maniera tale
che si sorvegliassero tra loro. Questi ultimi, inoltre, per motivi ovvi erano raramente
chiamati a ricoprire cariche di grande responsabilità del bakufu ᐀ᐭ.
 < Governo ferreo che faceva leva sulla forza militare > Nei primi anni furono
eseguiti frequentemente il ritiro-sequestro di feudo (kaieki ᡷ ᤃ 1457 ), la sua
decurtazione (genpŇ ᷫኽ1458) e il suo cambiamento (tenpŇ ォኽ1459 detto anche kunigae
࿖ᦧ1460), con la conseguenza di privare di sostentamento alcune centinaia di migliaia di
bushi ᱞ჻ senza padrone, detti rŇnin (ᶉੱ1461 o anche ‗ੱ), ossia coloro senza
impiego, quindi senza stipendi (hŇroku ୊⑍1462), creando così un grave problema
sociale.
 < Norme di divieto > Nel 1615 usciva la prima versione del Buke shohatto ᱞኅ⻉
ᴺᐲ 1463 , contenente le norme di divieto imposte ai daimyŇ ᄢฬ. In occasione

1454 shin/pan ⷫ 381/175 ⮲ 1566/1382


1455 fu/dai/ [dai/myŇ] ⼆ 1407/1167 ઍ 68/256 [ᄢ 7/26 ฬ 116/82]
1456 to/zama/ [dai/myŇ] ᄖ 120/83 ᭽ 472/403 [ᄢ 7/26 ฬ 116/82]
1457 kai/eki ᡷ 294/514 ᤃ 810/759
1458 gen/pŇ ᷫ 533/715 ኽ 1039/1463
1459 ten/pŇ ォ 339/433 ኽ 1039/1463
1460 kuni/gae ࿖ 8/40 ᦧ 849/744
1461 rŇ/nin ᶉ 1445/1753 ੱ 9/1࡮‗ non reg./non reg.ੱ 9/1
1462 hŇ/roku ୊ 1914/1542 ⑍ non reg./non reg.
1463 Bu/ke/ sho/hat/to ᱞ 448/1031 ኅ 81/165 ⻉ 602/861 ᴺ 145/123 ᐲ 83/377

207
dell’insediamento di un nuovo shŇgun ዁ァ ne venne data lettura davanti a tutti i daimyŇ
ᄢฬ convocoti.
 < Residenze alternate nel servizio > Fra tutti i provvedimenti di controllo nei
confronti dei daimyŇ ᄢฬ il più geniale fu l’istituzione detta sankin kŇtai (ෳൕ੤ઍ1464
1635-1864) consistente nel far risiedere ad anni alterni a Edo ᳯᚭ e al proprio han ⮲,
ideata al preciso scopo di far sostenere enormi spese sia per i soggiorni a Edo ᳯᚭ
che per questi viaggi periodici accompagnati da centinaia di sudditi. La moglie e i figli
dovevano invece rimanere sempre a Edo ᳯᚭ come ostaggi.
 ‫ޣ‬NEI CONFRONTI DEGLI AGRICOLTORI‫ޤ‬Anche di coltivatori, ce n’erano
diverse categorie di cui i principali erano honbyakushŇ (ᧄ⊖ᆓ1465 lett. contadini veri e
propri; [approssimativamente] coltivatori diretti), ossia contadini iscritti nel registro
catastale (ψ§40), e mizunomi byakushŇ (᳓๘⊖ᆓ1466 lett. contadini che bevono acqua),
ossia fittavoli e simili.
 < Pilastro delle entrate dello stato > Oltre all’imposta principale detta honto
mononari ( ᧄ ㅜ ‛ ᚑ 1467 lett. frutti della terra censita), da pagare in riso, che
rappresentava per lo più il 40% (shikŇ rokumin ྾౏౐᳃1468 imposta 40%, percentuale
spettante al contadino 60%) e a volte anche il 50% (gokŇ gomin ੖౏੖᳃1469 imposta
50%, quota che spetta al contadino 50%) sul raccolto, i coltivatori erano sottoposti a
più tributi di diverso titolo, detti complessivamente nengu (ᐕ⽸1470 ψ§17).
 L’atteggiamento dei bushi ᱞ჻ in materia di riscossione del nengu ᐕ⽸ era
questo: « Quanto più si strizzano i contadini e gli stracci bagnati, tanto più ne esce ».
« Bisogna fare sì che i contadini non muoiano, ma non possano neppur campare ». Per
assicurarsi la regolare esazione tributaria il bakufu ᐀ᐭ prese diversi provvedimenti fra
cui il cosiddetto divieto eterno di compravendita dei terreni agricoli (Denpata [o anche
Tahata] eitai baibai kinshirei ↰⇌᳗ઍᄁ⾈⑌ᱛ઎ 1471 1643-1872) e l’accollamento
obbligatorio di un eventuale mancato pagamento di taluno, da parte degli altri membri

1464 san/kin/ kŇ/tai ෳ 392/710 ൕ 750/559 ੤ 200/114 ઍ 68/256


1465 hon/byaku/shŇ ᧄ 15/25 ⊖ 73/14 ᆓ 1766/1746
1466 mizu/nomi/ byaku/shŇ ᳓ 144/21 ๘ non reg./non reg.⊖ 73/14 ᆓ 1766/1746
1467 hon/to/ mono/nari ᧄ 15/25 ㅜ 814/1072 ‛ 126/79 ᚑ 115/261
1468 shi/kŇ/ roku/min ྾ 18/6 ౏ 122/126 ౐ 20/8 ᳃ 70/177
1469 go/kŇ/ go/min ੖ 14/7 ౏ 122/126 ੖ 14/7 ᳃ 70/177
1470 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
1471 Den/pata (= Ta/hata)/ ei/tai/ bai/bai/ kin/shi/rei ↰ 24/35 ⇌ 1216/36 ᳗ 690/1207 ઍ 68/256

ᄁ 131/239 ⾈ 330/241 ⑌ 853/482 ᱛ 400/477 ઎ 668/831

208
del suo gruppo di appartenenza, detto goningumi (੖ੱ⚵1472 lett. gruppo di cinque
persone), ossia gruppo di cinque o sei famiglie corresponsabilizzate nella vita sociale).
 La vita quotidiana dei contadini era regolata fin nei minimi particolari affinché non
diminuissero le entrate tributarie. Le istruzioni note con il nome di Keian no o-furegaki
(ᘮ቟ᓮ⸅ᦠ1473 lett. direttive di Keian, 1649; Keian ᘮ቟: nengŇ ᐕภ) parlano, ad
esempio, in questi sensi:

x « Lavorate dalla mattina a tarda sera senza commettere negligenze ».


x « Non bevete sake ㈬1474 e tè comprati a pagamento ».
x « Voi contadini avete poco cervello. In autunno spensieratamente fate mangiare al-
la moglie e ai figli riso ed altri cereali, ma il cibo è prezioso. Non mangiate troppo
riso ».
x « Sia il marito che la moglie devono lavorare. Divorziate, quindi, dalla moglie, an-
che se bella, qualora questa beva frequentemente tè o viaggi molto spesso per
diporto ».
x « Non fumate, perché il fumo non serve a riempire lo stomaco ».
x « Una volta pagate le imposte, sarete completamente liberi da ogni pensiero come
nessun altro. Rendetevene conto e continuate a dire, di generazione in generazione,
che è bello fare il contadino ».

 Per il controllo dei villaggi agricoli i bushi ᱞ჻ si servivano delle organizzazioni


autogestite dai contadini, i cui capi, nanushi (ฬਥ1475 da non confondere con i myŇshu
ฬਥ dei secoli passati, un altro nome di nanushi è shŇya ᐣደ1476) nominati fra gli
honbyakushŇ ᧄ⊖ᆓ, facevano da tramite fra contadini e autorità.
 ‫ޣ‬NEI CONFRONTI DEI CHņNIN ‫ޤ‬Nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ)
per chŇnin (↸ੱ1477 lett. persona/gente del chŇ [↸ unità comunitaria dotata di una
certa autonomia in città]) s’intendevano, a stretto rigore, gli abitanti delle città che si
occupavano di attività commerciali o artigianali e che erano, inoltre, proprietari di beni

1472 go/nin/gumi ੖ 14/7 ੱ 9/1 ⚵ 189/418


1473 Kei/an/ no/ o/fure/gaki ᘮ 962/1632 ቟ 128/105 ᓮ 620/708 ⸅ 1256/874 ᦠ 130/131
1474 sake ㈬ 781/517
1475 na/nushi ฬ 116/82 ਥ 91/155
1476 shŇ/ya ᐣ non reg./non reg.ደ 270/167
1477 chŇ/nin ↸ 114/182 ੱ 9/1

209
immobili (jinushi ࿾ਥ1478 proprietari di terreni; iemochi ኅᜬ1479 proprietari di case).
Gli affittuari (jigari ࿾୫ 1480 affittuari di un terreno; tanagari ᐫ୫ 1481 detti anche
tanako ᐫሶ1482 affittuari di una casa, inquilino), in uno stato di seminterdizione, non
erano chŇnin ↸ੱ a pieno titolo, quindi non potevano partecipare all’organo di
autogoverno del chŇ ↸ di appartenenza, né avavano autonomia giuridica.
I chŇnin ↸ੱ veri e propri e gli affittuari di immobili delle città corrispondevano
rispettivamente agli honbyakushŇ ᧄ⊖ᆓ e ai mizunomi byakushŇ ᳓๘⊖ᆓ dei villaggi
agricoli.
 Anche i chŇnin ↸ੱ dovevano versare le tasse (dette unjŇ [ㆇ਄1483 lett. consegna
delle cose trasportate ai superiori] e myŇgakin [౵ട㊄1484 lett. denaro di riconoscenza
per la protezione]), ma tali imposte erano, agli occhi del bakufu ᐀ᐭ, di importanza
secondaria, quindi non erano così gravose come i nengu ᐕ⽸ imposti ai contadini. Si
può dire che pure essendo anch’essi sotto il torchio delle restrizioni, beneficiavano di
una relativa libertà. Queste condizioni permisero loro di acquisire una forza economica
a volte perfino superiore a quella dei daimyŇ ᄢฬ, e riuscirono ben presto a farsi
promotori di cultura.
 ‫ޣ‬NEI CONFRONTI DELLA CORTE E DEGLI ISTITUTI RELIGIOSI‫ޤ‬
Formalmente il bakufu ᐀ᐭ dimostrava rispetto per la famiglia imperiale e il kuge ౏
ኅ. Sul piano effettivo, invece, controllava rigorosamente ogni loro mossa mediante il
KyŇto shoshidai (੩ㇺᚲมઍ1485 ψ§41 [organigramma: Struttura dello shogunato dei
Tokugawa]).
Nei confronti sia della corte (chŇtei ᦺᑨ1486) che degli istituti religiosi il bakufu ᐀
ᐭ aveva imposto sue norme di divieto: Kinchş narabini kuge shohatto (⑌ਛਗ౏ኅ⻉ᴺ
ᐲ1487 lett. norme di divieto nei confronti della famiglia imperiale e del kuge, 1615) e

1478 ji/nushi ࿾ 40/118 ਥ 91/155


1479 ie/mochi ኅ 81/165 ᜬ 184/451
1480 ji/gari ࿾ 40/118 ୫ 996/766
1481 tana/gari ᐫ 211/168 ୫ 996/766
1482 tana/ko ᐫ 211/168 ሶ 56/103
1483 un/jŇ ㆇ 179/439 ਄ 21/32
1484 myŇ/ga/kin ౵ non reg./non reg.ട 187/709 ㊄ 59/23
1485 KyŇ/to/ sho/shi/dai ੩ 16/189 ㇺ 92/188 ᚲ 107/153 ม 712/842 ઍ 68/256
1486 chŇ/tei ᦺ 257/469 ᑨ 1493/1111
1487 Kin/chş/ narabini/ ku/ge/ sho/hat/to ⑌ 853/482 ਛ 13/28 ਗ 716/1165 ౏ 122/126 ኅ 81/165 ⻉
602/861 ᴺ 145/123 ᐲ 83/377

210
Shoshş jiin hatto (⻉ቬኹ㒮ᴺᐲ1488 lett. norme di divieto nei confronti dei templi
buddhisti di tutte le sette, 1601). Il chŇtei ᦺᑨ era ormai un’istituzione solo formale.

ISTITUZIONI SO- 䇼ISTITUZIONI SOCIALI‫ޤ‬Fra le istituzioni caratteristi-


CIALI E FAMILIARI che che costituivano i pilastri per il mantenimento del regime
dei Tokugawa (Tokugawa shihaitaisei ᓼᎹᡰ㈩૕೙1489) c’era una rigida divisione della
popolazione in ceti sociali paragonabili ad un sistema di casta, operata prima da
Hideyoshi ⑲ศ mediante kenchi ᬌ࿾1490 e katanagari (ಷ⁚1491 ψ§40), poi ereditata
e stabilizzata dal Tokugawashi ᓼᎹ᳁. Si tratta dell’organizzazione delle categorie
socio-politiche di appartenenza, chiamate mibun りಽ1492, per nascita, e quindi eredi-
tarie, quali shi (჻1493 φbu/shi ᱞ჻), nŇ (ㄘ1494 φnŇ/min ㄘ᳃ agricoltori), kŇ
(Ꮏ 1495 φshok/kŇ ⡯Ꮏ artigiani), shŇ (໡ 1496 φ shŇ/nin ໡ੱ commercianti).
Questa divisione in quattro classi fondamentali, dette nel loro insieme shimin (྾᳃1497
lett. quattro popoli), rispecchiava la valutazione, nell’ottica dei bushi ᱞ჻, dell’ordine di
importanza delle occupazioni. L’espressione che si incontra immancabilmente negli
scritti che parlano del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ), e cioè

SHI - Nņ - Kņ - SHņ (჻ㄘᎿ໡ pronuncia: SHI Ϫ NņKņSHņ)


( Ϫ : dal tono alto al tono basso)

fa riferimento appunto a questo ordinamento gerarchico delle classi sociali (mibun り


ಽ), e siccome le ultime due, messe insieme, venivano chiamate, come si è già visto a
più riprese, chŇnin ↸ੱ, le quattro categorie di fondo si riducevano sostanzialmente a
tre:

SHI - Nņ - CHņNIN (჻࡮ㄘ࡮↸ੱ)

1488 Sho/shş/ ji/in/ hat/to ⻉ 602/861 ቬ 1023/616 ኹ 687/41 㒮 236/614 ᴺ 145/123 ᐲ 83/377
1489 Toku/gawa/ shi/hai/tai/sei ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᡰ 302/318 ㈩ 304/515 ૕ 110/61 ೙ 196/427
1490 ken/chi ᬌ 351/531 ࿾ 40/118
1491 katana/gari ಷ 1494/37 ⁚ 1650/1581
1492 mi/bun り 331/59 ಽ 35/38
1493 shi ჻ 301/572
1494 nŇ ㄘ 362/369
1495 kŇ Ꮏ 169/139
1496 shŇ ໡ 353/412
1497 shi/min ྾ 18/6 ᳃ 70/177

211
 Il sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀ ⮲ ૕ ೙ 1498 ) era fondamentalmente un
meccanismo per lo sfruttamento dei contadini da parte dei bushi ᱞ჻. La classe dei
chŇnin ↸ੱ era considerata qualcosa di accessorio. Era naturale, quindi, che i contadini
fossero collocati idealmente al secondo posto per il ruolo loro assegnato, ma sul piano
effettivo essi venivano dopo i chŇnin ↸ੱ, sia perché dovevano sostenere praticamente
tutti gli oneri della società che per le gravose restrizioni loro imposte.
 Per stornare il malcontento dei chŇnin ↸ੱ, il Tokugawashi ᓼᎹ᳁ istituzio-
nalizzò, al di sotto degli shimin ྾᳃, due gruppi di paria: eta (ⓚᄙ1499 [kanji utilizzati
foneticamente per scrivere eta, mattatore ] lett. molta impurità) e hinin (㕖ੱ1500 lett.
non persona), soggetti a restrizioni particolarmente dure sia come mestieri a cui
potevano accedere (conciatura, esecuzione della pena capitale, elemosinare ecc.), sia
come zone di abitazione in cui venivano isolati (burakumin ㇱ⪭᳃1501 lett. gente dei
‘ghetti’ ψ§58).
 Il kuge ౏ኅ e i sacerdoti costituivano entrambi una classe a sé.
 I bushi ᱞ჻ che si erano collocati al massimo vertice gerarchico godevano di
diversi privilegi, come quello di portare la spada o di praticare il kirisute gomen (ಾᝥᓮ
఺1502 lett. Mi permetto di ucciderti con un colpo di spada.) che li autorizzava ad
uccidere chŇnin ↸ੱ e contadini sul posto, qualora ne avessero ricevuto offesa.
 Contrarre matrimonio e allacciare rapporti di amicizia tra gente di categorie diverse
venivano poi ad essere resi estremamente difficili.
 < Principio di organizzazione sociale > Il rapporto fra una categoria e un’altra
era regolato secondo il principio di ‘superiore > inferiore / nobile > umile’ (jŇge sonpi
਄ਅዅඬ1503). Inoltre una stessa categoria fu suddivisa ulteriormente in più strati, ed il
principio di gerarchia regolava anche il rapporto fra individuo e individuo di una stessa
categoria.

 Per non parlare dell’ordine di:


x shi ჻ > nŇ ㄘ > kŇ Ꮏ > shŇ ໡,
c’era tutta una serie di ‘alto – basso’ in ogni campo d’attività e di relazioni sociali:

1498 baku/han/ tai/sei ᐀ 836/1432 ⮲ 1566/1382 ૕ 110/61 ೙ 196/427


1499 e/ta ⓚ non reg./non reg.ᄙ 161/229
1500 hi/nin 㕖 491/498 ੱ 9/1
1501 bu/raku/min ㇱ 37/86 ⪭ 393/839 ᳃ 70/177
1502 kiri/sute/ go/men ಾ 204/39 ᝥ 1223/1444 ᓮ 620/708 ఺ 1084/733
1503 jŇ/ge/ son/pi ਄ 21/32 ਅ 72/31 ዅ 1220/704 ඬ p.412/1521

212
x uomo > donna,
x shŇgun ዁ァ > daimyŇ ᄢฬ࡮hatamoto ᣛᧄ࡮gokenin ᓮኅੱ > bushi ᱞ჻ di
medio rango > bushi ᱞ჻ di categorie inferiori,
x honbyakushŇ ᧄ⊖ᆓ > mizunomi byakushŇ ᳓๘⊖ᆓ,
x chŇnin ↸ੱ a pieno titolo (jinushi ࿾ਥ࡮iemochi ኅᜬ) > jigari ࿾୫࡮tanagari ᐫ
୫,
x datore di lavoro (shujin ਥੱ1504) > impiegati (hŇkŇnin ᄺ౏ੱ1505). Quest’ultima
classe impiegatizia aveva al suo interno tre sottoclassi: bantŇ (⇟㗡1506 manager) >
tedai (ᚻઍ1507 dipendenti ordinari) > detchi (ৼ⒩1508 garzone-apprendista).
 Così pure anche nella famiglia ormai organizzata in modo patriarcale:
x marito > moglie,
x genitori > figli,
x primogenito > secondogenito > ̖ > primogenita > secondogenita ̖.

 In una parola, la società del periodo Tokugawa (Tokugawa jidai ᓼᎹᤨઍ) era
strutturata in modo da assumere, mediante concatenazione di innumerevoli rapporti di
‘alto – basso’ (jŇge ਄ਅ), l’aspetto di una gigantesca piramide con al vertice lo shŇgun
዁ァ. Lì ad ogni individuo era assegnato un posto preciso, a scarsa mobilità.
 Se i Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁), ereditando da Hideyoshi ⑲ศ la sua
politica di separazione heinŇ bunri (౓ㄘಽ㔌1509 ψ§40), creò e stabilizzò il sistema di
classi così minutamente stratificate, è perché avevano bisogno di tenere la società scissa
appunto in mille categorie per impedire che gli assoggettati, compresi i bushi ᱞ჻
subalterni, si sollevassero solidalmente.
 Per giustificare e mantenere tale ordinamento socio-politico il Tokugawa bakufu ᓼ
Ꮉ᐀ᐭ adottò la dottrina confuciana o, meglio, neo-confuciana (ψ§53).
 ‫ޣ‬ISTITUZIONI FAMILIARI‫ޤ‬Lo status della donna che era stato svilito sin dal
periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ), toccò il fondo con l’istituzione del
regime dei Tokugawa (Tokugawa shihaitaisei ᓼᎹᡰ㈩૕೙1510).

1504 shu/jin ਥ 91/155 ੱ 9/1


1505 hŇ/kŇ/nin ᄺ 1106/1541 ౏ 122/126 ੱ 9/1
1506 ban/tŇ ⇟ 323/185 㗡 386/276
1507 te/dai ᚻ 42/57 ઍ 68/256
1508 det/chi ৼ 794/184 ⒩ 1368/1230
1509 hei/nŇ/ bun/ri ౓ 447/784 ㄘ 362/369 ಽ 35/38 㔌 641/1281
1510 Toku/gawa/ shi/hai/tai/sei ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᡰ 302/318 ㈩ 304/515 ૕ 110/61 ೙ 196/427

213
Sotto l’istituzione matrimoniale yomeirikon (ᇾ౉ᇕ1511 ψ§27) ormai generalizzata e
a seconda dell’insegnamento confuciano, la giovane sposa, invece di essere la moglie del
marito, era in realtà la sposa della famiglia del marito, era costretta a servire
incondizionatamente il suocero e la suocera con cui coabitava e che rappresentavano la
casa del marito, ed infine era utilizzata come strumento di procreazione per non far
estinguere la famiglia, unità base della piramide dei Tokugawa. Pur di assicurare a tutti i
costi la continuazione del lignaggio familiare, veniva incoraggiata la poliginia, mentre
l’adulterio della moglie, invece, era punito con la pena capitale.
Il diritto di divorzio spettava solo al marito. Bastava che il marito desse alla moglie
un foglio (chiamato mikudarihan ਃⴕඨ lett. tre righe e mezzo) recante scritta
appunto in tre righe e mezzo la sua volontà di divorziare espressa sostanzialmente con
queste parole: ‘Divorzio da te. Sei libera di risposarti.’ Tutto qui.
D’altra parte, le mogli che non ne potevano più non avevano altra scelta che
condurre, per ottenere il divorzio, tre anni di vita monacale presso uno di un paio di
determinati templi buddhisti chiamati popolarmente enkiridera (✼ಾኹ1512 lett. tempio
che taglia il vincolo, detto anche kakekomidera 㚟ㄟኹ1513 lett. tempio in cui rifugiarsi).

ٟ Erano particolarmente note le seguenti due enkiridera ✼ಾኹ: TŇkeiji ᧲ᘮ


ኹ1514 e Mantokuji ḩᓼኹ1515 rispettivamente nella provincia di Sagami (Sagami
no kuni ⋧ᮨ࿖1516 ψcarta 12) e in quella di KŇzuke (KŇzuke no kuni ਄㊁࿖
1517).

 Quanto alla successione ereditaria, specie nella classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻
㓏⚖1518), era il primogenito ad essere il solo a subentrare al padre (tandoku sŇzoku න⁛
⋧⛯1519). Per non parlare delle figlie, tutti gli altri figli erano considerati di infimo grado.
La dignità del singolo era l’utopia delle utopie.
 In breve, la società organizzata dai Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁) fu una società

1511 yome/iri/kon ᇾ 1469/1749 ౉ 74/52 ᇕ 633/567


1512 en/kiri/dera ✼ 1362/1131 ಾ 204/39 ኹ 687/41
1513 kake/komi/dera 㚟 1477/1882 ㄟ 280/776 ኹ 687/41
1514 TŇ/kei/ji ᧲ 11/71 ᘮ 962/1632 ኹ 687/41
1515 Man/toku/ji ḩ 579/201 ᓼ 839/1038 ኹ 687/41
1516 Sagami/ no/ kuni ⋧ 66/146 ᮨ 691/1425 ࿖ 8/40
1517 KŇzuke/ no/ kuni ਄ 21/32 ㊁ 85/236 ࿖ 8/40
1518 bu/shi/ kai/kyş ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 㓏 253/588 ⚖ 505/568
1519 tan/doku/ sŇ/zoku න 593/300 ⁛ 479/219 ⋧ 66/146 ⛯ 214/243

214
a ordinamento esageratamente gerarchico, dal maschilismo (danson johi ↵ዅᅚඬ1520
lett. pregiare gli uomini e svilire le donne) spinto all’estremo, e da un tipo di collettività
di fronte alla quale la volontà del singolo individuo non contava alcunché.

§42. In cammino verso l’isolamento nazionale (sakoku )

SCAMBI COMMERCIALI Nel porto di Hirado (ᐔᚭ1521 ψcarta 3, §39) ebbero


CON GLI STRANIERI inizio scambi commerciali anche con olandesi ed inglesi
rispettivamente nel 1609 e nel 1613. Questi stranieri, diversamente da portoghesi e spa-
gnoli, erano chiamati, prima dai cinesi e poi anche dai giapponesi, gente dai capelli rossi
(kŇmŇjin ⚃Ძੱ1522).
 Giungevano ogni anno nei porti del Kyşshş ਻Ꮊ peraltro decine di navi cinesi.
 Sin dai tempi di Hideyoshi ⑲ศ, le navi giapponesi, chiamate [go]shuinsen ([ᓮ]ᧇශ
⦁1523 lett. navi del sigillo vermiglio; go ᓮ: omissibile) si spingevano fino all’Asia
sudorientale (TŇnan Ajia ᧲ධࠕࠫࠕ1524), munite di una patente (detta shuinjŇ ᧇශ
⁁1525 lett. documento dal bollo vermiglio) con cui anche Ieyasu ኅᐽ, che incorag-
giava attivamente il commercio con l’estero, garantiva che non si trattava di una nave
pirata wakŇ (୸ና1526 ψ§31). Il commercio condotto con le navi [go]shuinsen [ᓮ]ᧇශ
⦁ viene chiamato [go]shuinsen bŇeki ([ᓮ]ᧇශ⦁⾏ᤃ1527 dai tempi di Hideyoshi al
1635).
 Cresceva intanto il numero dei giapponesi che andavano anche a trasferirsi nei paesi
sudorientali dell’Asia, dando vita qua e là a veri e propri quartieri giapponesi chiamati
nihonmachi ᣣᧄ↸1528.
 Si vede che i giapponesi del periodo Azuchi-Momoyama (Azuchi-Momoyama jidai
቟࿯᩶ጊᤨઍ tutta la seconda metà del XVI sec.) e di una trentina d’anni iniziali del

1520 dan/son/ jo/hi ↵ 228/101 ዅ 1220/704 ᅚ 178/102 ඬ p.412/1521


1521 Hira/do ᐔ 143/202 ᚭ 342/152
1522 kŇ/mŇ/jin ⚃ 927/820 Ძ 521/287 ੱ 9/1
1523 [go]/shu/in/sen [ᓮ 620/708]ᧇ 1720/1503 ශ 720/1043 ⦁ 313/376
1524 TŇ/nan/ A/ji/a ᧲ 11/71 ධ 205/74 ࠕࠫࠕ
1525 shu/in/jŇ ᧇ 1720/1503 ශ 720/1043 ⁁ 414/626
1526 wa/kŇ ୸ non reg./non reg.ና non reg./non reg.
1527 [go]/shu/in/sen/ bŇ/eki [ᓮ 620/708]ᧇ 1720/1503 ශ 720/1043 ⦁ 313/376 ⾏ 1037/760 ᤃ 810/759
1528 ni/hon/machi ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ↸ 114/182

215
periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867) avevano una mentalità aperta
verso l’estero ed erano curiosi di cose esotiche.

POLITICA ISOLAZIONI- Visti gli introiti che gli venivano dal commercio estero,
STA E ANTICATTOLICA agli inizi Ieyasu ኅᐽ chiudeva un occhio sul diffon-
dersi del cristianesimo (kirishitan ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ, in termine moderno kirisutokyŇ ࠠ࡝ࠬ
࠻ᢎ1529). Il numero dei convertiti, intanto, che nel 1587 erano 200 mila (ψ§40)
arrivava nel 1605 a qualcosa come 750 mila. Geograficamente il cattolicesimo era ormai
presente anche nella regione del TŇhoku (TŇhoku chihŇ ᧲ർ࿾ᣇ1530 ψcarta 1).
La sua dottrina (ossia, l’uguaglianza di tutti davanti a Dio), tuttavia, non era
compatibile con le istituzioni feudali dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenseido ᓼᎹኽᑪ೙
ᐲ1531 ψ§40). Il bakufu ᐀ᐭ ebbe un primo sospetto dell’eventualità che i giapponesi
cattolicizzati potessero mettersi solidalmente contro il regime. Inoltre, non piaceva
affatto al bakufu ᐀ᐭ che i daimyŇ ᄢฬ degli han ⮲ meridionali si arricchissero
grazie al commercio con gli stranieri.
 Diversamente dai portoghesi e dagli spagnoli, i nuovi arrivati, ovvero olandesi ed
inglesi, invece, non ne volevano sapere di questioni religiose. Per monopolizzare il
commercio con il Giappone fecero pervenire all’orecchio del bakufu ᐀ᐭ la voce che i
due paesi iberici avrebbero progettato di colonizzare terre straniere servendosi
dell’evangelizzazione e provocarono così un inasprimento della politica anticattolica
shogunale cui si accompagnò ben presto una progressiva restrizione sulle transazioni
commerciali:

x È del 1624 il divieto di approdo alle navi spagnole.


x Nel 1633 vengono imposte restrizioni al rimpatrio dei giapponesi residenti
all’estero.
x Nel 1635 scatta il divieto nei confronti delle navi giapponesi di recarsi oltremare
(fine del [go]shuinsen bŇeki [ᓮ]ᧇශ⦁⾏ᤃ).
x Nel 1639 il divieto di approdo viene esteso alle navi portoghesi in seguito
all’insurrezione di contadini-cristiani (Shimabara-Amakusa no ikki ፉේ࡮ᄤ⨲
৻ឨ1532 lett. solidarietà a Shimabara-Amakusa; Shimabara-Amakusa ፉේ࡮ᄤ

1529 ki/ri/su/to/kyŇ ࠠ࡝ࠬ࠻ᢎ 97/245


1530 TŇ/hoku/ chi/hŇ ᧲ 11/71 ർ 103/73 ࿾ 40/118 ᣇ 28/70
1531 Toku/gawa/ hŇ/ken/sei/do ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
1532 Shima/bara/-/Ama/kusa/ no/ ik/ki ፉ 173/286 ේ 132/136࡮ᄤ 364/141 ⨲ 705/249 ৻ 4/2 ឨ
non reg./non reg.

216
⨲ ψcarta 3; a volte detta anche Shimabara no ran ፉේߩੂ1533 lett. rivolta a
Shimabara) scoppiata nel 1637 nel Kyşshş ਻Ꮊ.
x Nel 1641 viene trasferita la casa commerciale olandese (Oranda shŇkan ࠝ࡜ࡦ
࠳໡㙚1534 1609-1858) da Hirado ᐔᚭ all’isoletta artificiale (13.000 m2) di
nome Dejima (಴ፉ1535 it. [quasi sempre] Deshima) creata nel 1634, origina-
riamente per confinarvi portoghesi, nel porto di Nagasaki 㐳ፒ1536.

ٟ L’isoletta artificiale Dejima ಴ፉ era a forma di ventaglio. In seguito ad una


serie di lavori di bonifica eseguiti a partire dall’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ1537,
1868-1912) fu persa la sua forma originaria e adesso rimane soltanto il toponimo
di DejimachŇ (಴ፉ↸1538 lett. area/zona/quartiere Dejima).
Quasi tutti gli studiosi europei ed americani di storia giapponese la chiamano
Deshima, ma un giapponese medio, quando parla spontaneamente, direbbe
Dejima. Difatti è ߢߓ߹ la pronuncia registrata nei dizionari enciclopedici
autorevoli quali KŇjien ᐢㄉ⧞1539 e KŇjirin ᐢㄉᨋ1540.

 Gli inglesi, vinti dagli olandesi in questa gara commerciale, si erano ritirati
volontariamente dal Giappone sin dal 1623.
 ‫ޣ‬ISOLAMENTO NAZIONALE (SAKOKU )‫ޤ‬Il 1639 (taluni studiosi preferi-
scono l’anno 1641) fu il primo anno dell’isolamento nazionale, chiamato sakoku (㎮࿖
1541 lett. chiusura del paese, paese chiuso, 1639/1641-1854), istituzione che, insieme

con il sistema di stratificazione sociale (shi-nŇ-kŇ-shŇ ჻ㄘᎿ໡ ψ§41), caratterizzò


fondamentalmente il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ). Per oltre 200 anni, fino al
1854 (apertura del paese ψ§45), Nagasaki 㐳ፒ costituì uno dei pochissimi spiragli
tenuti aperti dal Tokugawashi ᓼᎹ᳁ verso il resto del mondo con mediatori nelle
persone di olandesi al Dejima ಴ፉ e di cinesi nel quartiere cinese (TŇjin yashiki ໊ੱ
ደᢝ1542 lett. area di abitazioni dei cinesi, dal 1688) pure a Nagasaki 㐳ፒ.

1533 Shima/bara/ no/ ran ፉ 173/286 ේ 132/136 ߩੂ 734/689


1534 O/ra/n/da/ shŇ/kan ࠝ࡜ࡦ࠳໡ 353/412 㙚 319/327
1535 De/ji/ma ಴ 17/53 ፉ 173/286
1536 Naga/saki 㐳 25/95 ፒ 457/1362
1537 Mei/ji/ ji/dai ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1538 De/jima/chŇ ಴ 17/53 ፉ 173/286 ↸ 114/182
1539 KŇ/ji/en ᐢ 311/694 ㄉ 868/688 ⧞ non reg./non reg.
1540 KŇ/ji/rin ᐢ 311/694 ㄉ 868/688 ᨋ 420/127
1541 sa/koku ㎮ 1605/1819 ࿖ 8/40
1542 TŇ/jin/ ya/shiki ໊ 1668/1697 ੱ 9/1 ደ 270/167 ᢝ 1053/1451

217
ٟ Oltre che a Nagasaki 㐳ፒ il Giappone, malgrado il regime del sakoku ㎮࿖,
mantenne contatti con l’estero tramite due han ⮲: Tsushima han (ኻ㚍⮲1543 ψ
carta 3) e Satsuma han (⮋៺⮲1544 ψcarta 3) rispettivamente con la Corea e con
le isole Ryşkyş (℄⃿1545 oggi Okinawa-ken ᴒ✽⋵1546 ψcarta 13)

A partire dal 1644 (secondo certe fonti, dal 1641) il bakufu ᐀ᐭ pretese dagli
olandesi la presentazione di un notiziaio annuale detto Oranda fşsetsugaki (䇺๺⯗㘑⺑
ᦠ䇻 1547 ; ๺⯗ trascrizione fonetica di Olanda; fşsetsugaki 㘑⺑ᦠ lett. appunti di
dicerie) mediante il quale poteva continuare ad informarsi sulla situazione mondiale.
 En passant, si segnala che c’era un gruppo di studiosi che, affascinati dalle scienze
europee, non lasciavano nulla di intentato pur di apprenderle attraverso la piccola
apertura di Nagasaki 㐳ፒ. (ψ§52)
 ‫ޣ‬PERSECUZIONE DEI CATTOLICI‫ޤ‬Contemporaneanente a quanto sopra
all’interno del paese cominciò ad infuriare la persecuzione dei cristiani.

x Nel 1612 v’è il divieto di professare la fede cattolica (kinkyŇrei ⑌ᢎ઎1548 lett.
Ordinanza di divieto del cristianesimo) nelle zone alle dirette dipendenze
shogunali (tenryŇ ᄤ㗔1549 ψ§41).
x Nel 1614 vi furono 148 kirishitan ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ, fra cui Takayama Ukon (㜞ጊฝ
ㄭ1550 ψ§40), esiliati all’estero.
x Risale poi con tutta probabilità al 1629 la prima messa in atto del cosiddetto
fumie (〯⛗1551 lett. premere la pittura col piede), operazione per scoprire i
kirishitan ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ, consistente nel far calpestare immagini sacre cristiane.
La pratica si protrasse fino al 1858. Molti caddero martiri.

ٟ Il termine fumie 〯⛗ si usa di solito sia in riferimento all’immagine sia all’atto


di calpestarla, ma per quest’ultimo alcuni studiosi preferiscono il termine ebumi ⛗
〯.

1543 Tsushima/ han ኻ 55/365 㚍 512/283 ⮲ 1566/1382


1544 Satsu/ma/ han ⮋ non reg./non reg.៺ 1074/1530 ⮲ 1566/1382
1545 Ryş/kyş ℄ non reg./non reg.⃿ 379/726
1546 Oki/nawa/ ken ᴒ 829/1346 ✽ 1005/1760 ⋵ 195/194
1547 Oranda/ fş/setsu/gaki 䇺๺ 151/124 ⯗ non reg./non reg.㘑 246/29 ⺑ 307/400 ᦠ 130/131䇻
1548 kin/kyŇ/rei ⑌ 853/482 ᢎ 97/245 ઎ 668/831
1549 ten/ryŇ ᄤ 364/141 㗔 338/834
1550 Taka/yama/ U/kon 㜞 49/190 ጊ 60/34 ฝ 503/76 ㄭ 127/445
1551 fumi/e 〯 1067/1559 ⛗ 976/345

218
 < Templi buddhisti al servizio del bakufu > Per assicurarsi il totale sradicamen-
to della fede cattolica il Tokugawashi ᓼᎹ᳁ utilizzò il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ1552) a
scopo politico.
A tutti i cittadini venne richiesto di iscriversi presso un tempio buddhista che a sua
volta doveva attestare l’adesione di maschi e di femmine al buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ).
Si tratta della politica religiosa del Tokugawashi ᓼᎹ᳁ chiamata terauke seido (ኹ⺧೙
ᐲ1553 a partire dal 1640 ca.). Senza il certificato, che fungeva da carta d’identità,
rilasciato dal tempio di iscrizione era ormai impossibile celebrare funerali, sposarsi,
impiegarsi, mettersi in viaggio ecc. I templi buddhisti finirono così per essere in pratica
anagrafi del bakufu ᐀ᐭ.
 < Kirishitan entrati nella clandestinità > Malgrado le severe persecuzioni,
tuttavia, una parte dei kirishitan ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ sopravvisse clandestinamente fino alla
loro scoperta nel 1865 (ψ§64).

§43. Fase di stabilità del sistema bakuhan

GOVERNO A ISPIRAZIONE Diversamente dal mezzo secolo iniziale durante cui


BENEVOLA CONFUCIANA i primi tre shŇgun ዁ ァ avevano adottato una
severa politica oppressiva (budan seiji ᱞᢿ᡽ᴦ1554 lett. governo ferreo che fa leva sulla
forza militare) per la sistemazione del regime, la fase successiva, di poco oltre mezzo
secolo dal IV al VII shŇgun ዁ァ, ossia dal 1651 al 1716, fu caratterizzata sia
dall’autorità shogunale ormai ben stabilizzata che dal governo illuministico e umanitario,
detto bunchi seiji (ᢥᴦ᡽ᴦ1555 lett. governo civile), amministrato secondo lo spirito di
benevolenza confuciana (cin. ren, jen ੳ1556, giapp. jin ψ§52).
 Al riguardo di quanto sopra è da ricordare la partecipazione al governo sotto il VI e
il VII shŇgun ዁ァ di Arai Hakuseki (ᣂ੗⊕⍹ 1557 1657-1725 ψ§53), uno dei
massimi studiosi neo-confuciani del tempo. Il bunchi seiji ᢥᴦ᡽ᴦ che raggiunse

1552 buk/kyŇ ੽ 678/583 ᢎ 97/245


1553 tera/uke/ sei/do ኹ 687/41 ⺧ 657/661 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
1554 bu/dan/ sei/ji ᱞ 448/1031 ᢿ 493/1024 ᡽ 50/483 ᴦ 181/493
1555 bun/chi/ sei/ji ᢥ 136/111 ᴦ 181/493 ᡽ 50/483 ᴦ 181/493
1556 jin ੳ 1346/1619
1557 Ara/i/ Haku/seki ᣂ 36/174 ੗ 252/1193 ⊕ 266/205 ⍹ 276/78

219
l’apice con il suo intervento è chiamato in particolare ShŇtoku no chi (ᱜᓼߩᴦ1558 lett.
governo/amministrazione secondo la retta virtù, 1709-1716; ShŇtoku ᱜᓼ: nengŇ ᐕ
ภ).

CRESCITA DELL’ECO- Fin dai tempi antichi e sin verso il 1600 l’incremento
NOMIA E DELLE CITTÀ demografico giapponese era appena percettibile, ma poi
durante tutta la prima metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ continuò a registrare un forte
attivo. Dal primo censimento a livello nazionale del 1721 risulta che il Giappone era
allora abitato da oltre 31 milioni di persone, ossia dal doppio della popolazione stimata
ai tempi di Nobunaga ା㐳 e Hideyoshi ⑲ศ. Tale aumento presuppone che ci fosse
stato, ed infatti c’era stato, un intenso sviluppo economico, ed in particolare durante il
periodo del bunchi seiji ᢥᴦ᡽ᴦ si assistette ad una piena espansione sia dell’e-
conomia che delle città.
 ‫ޣ‬SVILUPPO DI DIVERSE INDUSTRIE‫ޤ‬Fu l’attività agricola a sostenere
l’intera struttura del sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲૕೙), perciò sia lo shogunato
(bakufu ᐀ᐭ) che gli han ⮲ fecero ogni sforzo per la bonifica e il dissodamento di
terreni incolti allo scopo di realizzare maggiori raccolti e quindi maggiori entrate.
Rispetto all’epoca di Hideyoshi ⑲ศ, agli inizi del XVIII secolo la terra coltivata era
aumentata di due volte per estensione. Vennero apportate, inoltre, notevoli migliorie
agli utensili agricoli. Intorno alle grandi città ebbe inizio la coltivazione di ortaggi
destinati alla vendita.
 Al pari dell’agricoltura, anche le altre industrie (artigianale, tessile, estrattiva, fore-
stale, ittica, salifera, del sake ㈬1559 ecc.) fecero un notevole passo avanti. Una stra-
grande maggioranza di prodotti, oggi detti tipici regionali, ha origine in questa epoca.
 ‫ޣ‬INFRASTRUTTURE‫ <ޤ‬Rete stradale > In seguito all’istituzione del sankin
kŇtai (ෳൕ੤ઍ1560 residenze alternate nel servizio ψ§41) venne sistemata la rete
stradale, a cominciare dalle cinque arterie chiamate gokaidŇ ੖ⴝ㆏1561, fra cui TŇkaidŇ
(᧲ᶏ㆏1562 ψcarta 2) che collegava Edo ᳯᚭ e KyŇto ੩ㇺ con 53 tappe dette
shukuba (ኋ႐1563 lett. luoghi di alberghi, ossia stazione di sosta ψ§30) e NakasendŇ

1558 ShŇ/toku/ no/ chi ᱜ 109/275 ᓼ 839/1038 ߩᴦ 181/493


1559 sake ㈬ 781/517
1560 san/kin/ kŇ/tai ෳ 392/710 ൕ 750/559 ੤ 200/114 ઍ 68/256
1561 go/kai/dŇ ੖ 14/7 ⴝ 790/186 ㆏ 129/149
1562 TŇ/kai/dŇ ᧲ 11/71 ᶏ 158/117 ㆏ 129/149
1563 shuku/ba ኋ 406/179 ႐ 34/154

220
(ਛጊ㆏1564 o anche ਛ઄㆏ ψcarta 2) che da Edo ᳯᚭ si allungava fin vicino a
KyŇto ੩ㇺ in 67 shukuba ኋ႐. Benché il bakufu ᐀ᐭ avesse proibito, da una parte,
la costruzione di ponti sui fiumi strategicamente importanti e istituito, dall’altra, posti di
blocco detti sekisho 㑐ᚲ1565, fra cui quello al passo di Hakone (Hakone no seki ▫ᩮ㑐
1566; Hakone ▫ᩮ ψcarta 2, carta 9), il traffico ne risultò, comunque, assai facilitato.

ٟ I fiumi strategicamente importanti dovevano essere guadati a piedi, a cavallo,


sulle spalle o in portantina. A volte poteva capitare che i trasportatori, detti
kumosuke 㔕ഥ1567, solitamente senza dimora fissa e privi di scrupoli, arrivati nel
bel mezzo del fiume, pretendessero una maggiorazione del compenso, e qualora
non venissero soddisfatti, gettasero i clienti nell’acqua.
In caso di piena i viaggiatori restavano per forza bloccati anche giorni e giorni.
ٟ Ad alcuni posti di blocco, fra cui lo Hakone no seki ▫ᩮ㑐, il Tokugawa
bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ sorvegliava il traffico con una severità particolare per impedire
che venissero trasportati a Edo ᳯᚭ fucili e si allontanesseo per contro da Edo
ᳯᚭ mogli-ostaggi di daimyŇ ᄢฬ. A questa politica shogunale finalizzata a
sopprimere ogni possibilità di insurrezione ci si riferisce con l’espressione irideppŇ
ni deonna (౉ࠅ㋕⎔ߦ಴ᅚ1568 lett. fucili che entrano e donne che escono).

 < Linee di navigazione > Malgrado la sistemazione della rete stradale, non si
verificarono progressi degni di nota nei veicoli a ruote. In seguito all’apertura di linee
costiere e fluviali i trasporti di carichi pesanti e di gran mole continuavano ad essere
effettuati di solito per via d’acqua. È detto che giornalmente un totale di 2.000 natanti
entrassero ed uscissero dal porto di ņsaka (ᄢဈ ψcarta 7).
I trasporti marittimi ņsaka-Edo (ᄢဈ㨪ᳯᚭ) erano particolarmente intensi ed
avvenivano a bordo di navi dette higakikaisen (⪉၂ᑫ⦁1569 lett. navi ‘losanghe’ di
trasporto marittimo) e tarukaisen (ᮻᑫ⦁1570 lett. navi ‘botti’ di trasporto marittimo) in
concorrenza.
 < Servizio postale > C’era il servizio postale detto hikyaku (㘧⣉1571 lett. gambe
volanti [perché i corrieri andavano di corsa a mo’ di maratona]) che collegava, ad

1564 Naka/sen/dŇ ਛ 13/28 ጊ 60/34 ㆏ 129/149࡮ਛ 13/28 ઄ 1025/1891 ㆏ 129/149


1565 seki/sho 㑐 104/398 ᚲ 107/153
1566 Hako/ne/ no/ seki ▫ 944/1091 ᩮ 535/314 㑐 104/398
1567 kumo/suke 㔕 1124/636 ഥ 407/623
1568 i/ri/dep/pŇ/ ni/ de/onna ౉ 74/52 ࠅ㋕ 327/312 ⎔ 1217/1764 ߦ಴ 17/53 ᅚ 178/102
1569 hi/gaki/kai/sen ⪉ 980/non reg.၂ 1272/1276 ᑫ non reg./non reg.⦁ 313/376
1570 taru/kai/sen ᮻ 1730/non reg.ᑫ non reg./non reg.⦁ 313/376
1571 hi/kyaku 㘧 440/530 ⣉ 1021/1784

221
esempio, Edo ᳯᚭ e ņsaka ᄢဈ via KyŇto ੩ㇺ — 550km — tre volte al mese in
5-9 giorni per andata e ritorno.
 ‫ޣ‬ECONOMIA MONETARIA E ATTIVITÀ BANCARIA‫ޤ‬Il bakufu ᐀ᐭ che
aveva ereditato la politica monetaria di Hideyoshi ⑲ศ continuò a coniare monete e le
fece circolare in ogni angolo del paese. Sorsero in grandi città agenzie di cambio, dette
ryŇgaeshŇ ਔᦧ໡1572, che svolgevano praticamente gli stessi servizi di quelli offerti dalle
banche d’oggi, compresa l’emissione di titoli di credito simili agli assegni odierni. Tra le
maggiori erano Mitsui ਃ੗ di Edo ᳯᚭ e KŇnoike 㡨ᳰ di ņsaka ᄢဈ.
 < Monete > Avevano corso legale monete d’oro, d’argento e di metalli comuni. Le
monete d’oro si distinguevano in Ňban (ᄢ್1573 lett. formato grande) e koban (ዊ್1574
lett. formato piccolo); quelle d’argento in chŇgin (ৼ㌁1575 lett. pezzo d’argento) e
mameitagin (⼺᧼㌁ 1576 lett. piccola piastra d’argento). Quanto infine a monete di
metalli comuni erano in larga circolazione Kan’ei tsşhŇ (ኡ᳗ㅢቲ1577; Kan’ei ኡ᳗
nengŇ; tsşhŇ ㅢቲ lett. tesori che vanno in giro). I cambi dei tre tipi di monete erano
estremamente complessi, motivo per cui la presenza dei ryŇgaeshŇ ਔᦧ໡ era in-
dispensabile.
 ‫ ޣ‬CITTÀ RIGOGLIOSE ‫ ޤ‬Le città di diversa origine dei periodi precedenti
(jŇkamachi ၔਅ↸1578, monzenmachi 㐷೨↸1579, shukubamachi ኋ႐↸1580, minatomachi
᷼↸1581 ψ§30) si ingrandirono ulteriormente. La crescita, specie di Edo ᳯᚭ, fu
sbalorditiva: nella prima metà del XVIII secolo, e per la precisione nel 1721, essa
vantava un milione di abitanti. ņsaka ᄢဈ, con i suoi 380 mila abitanti, era il centro
del commercio. (cfr. Nel 1801 Londra aveva 850 mila abitanti).

ٟ La metà della popolazione di Edo ᳯ ᚭ era costituita da coloro che


appartenevano alla classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ ჻ 㓏 ⚖ 1582 ) e di loro

1572 ryŇ/gae/shŇ ਔ 281/200 ᦧ 849/744 ໡ 353/412


1573 Ň/ban ᄢ 7/26 ್ 291/1026
1574 ko/ban ዊ 63/27 ್ 291/1026
1575 chŇ/gin ৼ 794/184 ㌁ 264/313
1576 mame/ita/gin ⼺ 988/958 ᧼ 709/1047 ㌁ 264/313
1577 Kan’/ei/ tsş/hŇ ኡ 1471/1050 ᳗ 690/1207 ㅢ 71/150 ቲ 661/296
1578 jŇ/ka/machi ၔ 638/720 ਅ 72/31 ↸ 114/182
1579 mon/zen/machi 㐷 385/161 ೨ 38/47 ↸ 114/182
1580 shuku/ba/machi ኋ 406/179 ႐ 34/154 ↸ 114/182
1581 minato/machi ᷼ 445/669 ↸ 114/182
1582 bu/shi/ kai/kyş ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 㓏 253/588 ⚖ 505/568

222
inservienti (hŇkŇnin ᄺ౏ੱ1583). Se un’alta percentuale (50%) degli abitanti di Edo
ᳯᚭ era rappresentata da bushi ᱞ჻ e loro familiari, è perché ogni han ⮲
adibiva un notevole numero di persone al servizio a Edo (edozume ᳯᚭ⹣1584 o
anche edoban ᳯᚭ⇟1585) per venire incontro a diverse esigenze, tra sui quella di
amministrare residenze, magazzini ed altri edifici di sua proprietà costruiti a Edo
(nel loro complesso chiamati edoyashiki ᳯᚭደᢝ1586 lett. case a Edo) per il
sankin kŇtai ෳൕ੤ઍ1587. Il numero del personale edozume ᳯᚭ⹣ di uno han
⮲ poteva ammontare a volte anche a 3.000-5.000.
ٟ < Un aspetto urbanistico dei jŇkamachi > Nei jŇkamachi ၔਅ↸, la gente
abitava in zone differenziate secondo la distinzione di shi-nŇ-kŇ-shŇ (჻ㄘᎿ໡1588
ψ §41). Le zone immediatamente circostanti il castello erano riservate alle
abitazioni dei bushi ᱞ჻ chiamate bukeyashiki (ᱞኅደᢝ1589, dette anche samurai
yashiki ଂደᢝ1590). Al di fuori delle zone residenziali samuraiche abitavano i
chŇnin ↸ੱ. I quartieri dei chŇnin ↸ੱ erano a loro volta ulteriormente suddivisi
per mestieri: rione dei pescivendoli, rione degli erbivendoli, rione dei falegnami,
rione dei tintori ecc. Gli eta ⓚᄙ 1591 e hinin 㕖ੱ 1592 vivevano isolati alle
periferie.
In origine anche Edo ᳯᚭ fu un jŇkamachi ၔਅ↸. Così, anche oggi riman-
gono toponomi quali KajichŇ (㎊ಃ↸1593 rione dei fabbri), Kon’yachŇ (⚬ደ↸1594
rione dei tintori), DaikuchŇ (ᄢᎿ↸1595 rione dei falegnami), BakurŇchŇ (㚍༟↸
1596 rione dei commercianti di cavalli) ecc.

 La voga dei pellegrinaggi (jisha sankei ኹ␠ෳ⹚1597) e dei viaggi di piacere (monomi

1583 hŇ/kŇ/nin ᄺ 1106/1541 ౏ 122/126 ੱ 9/1


1584 e/do/zume ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ⹣ 1035/1142
1585 e/do/ban ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ⇟ 323/185
1586 e/do/ya/shiki ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ደ 270/167 ᢝ 1053/1451
1587 san/kin/ kŇ/tai ෳ 392/710 ൕ 750/559 ੤ 200/114 ઍ 68/256
1588 shi/nŇ/kŇ/shŇ ჻ 301/572 ㄘ 362/369 Ꮏ 169/139 ໡ 353/412
1589 bu/ke/ya/shiki ᱞ 448/1031 ኅ 81/165 ደ 270/167 ᢝ 1053/1451
1590 samurai/ ya/shiki ଂ 1823/571 ደ 270/167 ᢝ 1053/1451
1591 e/ta ⓚ non reg./non reg.ᄙ 161/229
1592 hi/nin 㕖 491/498 ੱ 9/1
1593 Ka/ji/chŇ ㎊ 1733/1817 ಃ non reg./non reg.↸ 114/182
1594 Kon’/ya/chŇ ⚬ 1738/1493 ደ 270/167 ↸ 114/182
1595 Dai/ku/chŇ ᄢ 7/26 Ꮏ 169/139 ↸ 114/182
1596 Ba/kurŇ/chŇ 㚍 512/283 ༟ non reg./non reg.↸ 114/182
1597 ji/sha/ san/kei ኹ 687/41 ␠ 30/308 ෳ 392/710 ⹚ non reg./non reg.

223
yusan ‛⷗ㆆጊ1598) intrapresi da un numero crescente di gente (ψ§55) concorse a
rendere fiorenti le città ‘sante’ (monzenmachi 㐷೨↸ ψ§30) e le città di sosta (shukuba-
machi ኋ႐↸).

MECCANISMO FONDAMENTALE DELL’ECO- Favorita dai forti aumenti


NOMIA ED ASCESA ECONOMICA DEI CHņNIN della produzione agricola ed
artigianale, dalla sistemazione di infrastrutture, dalla circolazione monetaria e
dall’attività degli operatori bancari, anche il commercio registrò uno sviluppo rigoglioso
su scala nazionale; anzi, per la verità, bisogna dire che fin dal primo momento l’attività
commerciale era destinata a fiorire per effetto d’un certo meccanismo insito nell’or-
ganizzazione economica della società feudale dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenshakai ᓼ
Ꮉኽᑪ␠ળ1599).
 ‫ޣ‬MECCANISMO FONDAMENTALE DELL’ ECONOMIA‫ޤ‬Sia il bakufu ᐀
ᐭ che gli han ⮲ riscuotevano le imposte (nengu ᐕ⽸1600) in natura, ossia in riso, ma
poi tramite i commercianti, dovevano per forza convertirne il valore in moneta per far
fronte alle esigenze di uscita.
 Basta pensare al sankin kŇtai ෳൕ੤ઍ: non era certo il caso di portare con loro
sacchi di riso pesanti ed ingombranti per pagare alloggio e vitto durante il viaggio. I
vassalli poi ricevevano gli stipendi (hŇroku ୊⑍1601) in forma di assegnazioni in terreni
(chigyŇchi ⍮ⴕ࿾1602) o riso (fuchimai ᛔᜬ☨1603 riso dato a titolo di stipendio), e
siccome anche i redditi dei terreni erano costituiti in riso, essi pure erano costretti a
cedere il cereale ai commercianti in cambio di denaro. Se era scontato lo sviluppo
dell’attività commerciale, fu proprio per via di questo meccanismo detto komezukai no
keizai (☨૶޿ߩ⚻ᷣ1604 lett. economia d’uso del riso).
 ‫ޣ‬ASCESA ECONOMICA DEI CHņNIN ‫ޤ‬I centri economici durante la prima
metà del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) furono Edo ᳯᚭ, KyŇto ੩ㇺ e
soprattutto ņsaka ᄢဈ. Il riso ed altri prodotti venivano concentrati prima ad ņsaka
ᄢဈ per essere poi distribuiti in ogni parte del Giappone.

1598 mono/mi/ yu/san ‛ 126/79 ⷗ 48/63 ㆆ 728/1003 ጊ 60/34


1599 Toku/gawa/ hŇ/ken/sha/kai ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ␠ 30/308 ળ 12/158
1600 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
1601 hŇ/roku ୊ 1914/1542 ⑍ non reg./non reg.
1602 chi/gyŇ/chi ⍮ 207/214 ⴕ 31/68 ࿾ 40/118
1603 fu/chi/mai ᛔ 1748/1721 ᜬ 184/451 ☨ 90/224
1604 kome/zuka/i/ no/ kei/zai ☨ 90/224 ૶ 226/331 ޿ߩ⚻ 135/548 ᷣ 288/549

224
 Ad ņsaka ᄢဈ ogni han ⮲ disponeva di magazzini, detti kurayashiki ⬿ደᢝ1605,
in cui depositare riso ed altri prodotti del proprio han ⮲ destinati alla vendita. Per il
ruolo chiave che spettava ad ņsaka ᄢဈ nell’economia del paese essa fu a volte
chiamata tenka no daidokoro (ᄤਅߩบᚲ 1606 lett. cucina dell’intera nazione). La
quotazione di mercato fissata ad ņsaka ᄢဈ venne presa in ogni parte del paese quale
prezzo cui conformarsi.

ٟ Anche oggi ņsaka ᄢ㒋, insieme con TŇkyŇ ᧲੩, costituisce uno dei due
centri dell’economia del Giappone.

L’aumento del volume d’affari sfociò necessariamente in un’ascesa economica della


classe dei chŇnin ↸ੱ. Col tempo emerse un ceto di mercanti non solo abbienti, ma
estremamente facoltosi (gŇshŇ ⽕໡1607), fra cui, tanto per fare un solo nome, Kinokuni-
ya Bunzaemon (♿࿖ደᢥᏀⴡ㐷1608 ?-?). I chŇnin ↸ੱ cominciavano così a domina-
re il campo economico e la vita economica dei bushi ᱞ჻ a dispetto della valutazione
negativa che gravava sull’attività commerciale considerata ignobile, perché a scopo di
lucro senza produrre niente.
 Con la cultura Genroku (Genroku bunka ర⑍ᢥൻ1609 ψ§49) si ebbe la prima
manifestazione rigogliosa di questa esuberante ricchezza dei mercanti straricchi (gŇshŇ
⽕໡).

§44. Fase di difficoltà del bakuhan

IMPOVERIMEN- Contrariamente a quanto si verificava con le condizioni floride


TO DEI BUS HI dei chŇnin ↸ੱ, dal XVIII secolo si ebbe l’inizio di tempi duri
per i bushi ᱞ჻, i cui stipendi erano privi di ogni meccanismo di aumento, malgrado la
vita in città accrescesse l’esigenza di soddisfare molti bisogni. Per sbarcare il lunario i
bushi ᱞ჻ ricorrevano a prestiti ipotecari, impegnavano le spade, simbolo del loro

1605 kura/ya/shiki ⬿ 429/1286 ደ 270/167 ᢝ 1053/1451


1606 ten/ka/ no/ dai/dokoro ᄤ 364/141 ਅ 72/31 ߩบ 216/492 ᚲ 107/153
1607 gŇ/shŇ ⽕ 898/1671 ໡ 353/412
1608 Ki/no/kuni/ya/ Bun/za/e/mon ♿ 930/372 ࿖ 8/40 ደ 270/167 ᢥ 136/111 Ꮐ 477/75 ⴡ 394/815
㐷 385/161
1609 Gen/roku/ bun/ka ర 328/137 ⑍ non reg./non reg.ᢥ 136/111 ൻ 100/254

225
status, o chiedevano ai chŇnin ↸ੱ lavori a domicilio. Verso la fine del secolo non era
già più raro che i bushi ᱞ჻, vendendo lo status samuraico a commercianti benestanti,
adottassero loro figli, con doti naturalmente.
La distinzione che era regnata fra le categorie sociali iniziò così a venir meno.

VILLAGGI AGRI- A dire il vero, tuttavia, furono i cambiamenti nei villaggi agricoli
COLI MUTATI quelli che infersero i colpi più seri al sistema bakuhan (bakuhan
taisei ᐀⮲૕೙1610). L’economia monetaria andava distruggendo la loro economia
chiusa ed iniziò così la disgregazione della classe agraria.
La vita degli strati inferiori era in condizioni di estrema indigenza: chi, malgrado il
divieto (Denpata eitai baibai kinshirei ↰⇌᳗ઍᄁ⾈⑌ᱛ઎1611 ψ§41), vendeva terreni
e forniva manodopera a chi li comprava o si dava al vagabondaggio; chi, per pagare le
imposte, vendeva le proprie figlie ai quartieri di piacere (yşri ㆆ㉿1612 ψ§48); chi
uccideva neonati, non trovandosi economicamente in grado di allevarli, infanticidio
detto mabiki (㑆ᒁ1613 lett. sfoltimento).
Di fronte alle difficili condizioni di vita, l’incremento demografico subì un arresto.
Non erano più rispettati i divieti shogunali. La base del regime feudale (hŇken seido ኽᑪ
೙ᐲ1614) cominciava così a cedere.
 ‫ޣ‬SOMMOSSE DEI CONTADINI E DI ALTRE CATEGORIE DI GENTE‫ޤ‬
 In concomitanza col deteriorarsi delle condizioni di vita, a partire dalla metà del
XVIII secolo, si moltiplicarono, ad un ritmo crescente, i tumulti dei contadini, chiamati
hyakushŇ ikki (⊖ᆓ৻ឨ1615 lett. solidarietà dei contadini). Inoltre, sopraggiungevano
spesso carestie. Si dice che una di esse, che durò parecchi anni verso la fine del XVIII
secolo (Tenmei no kikin ᄤ᣿ߩ㘫㙰1616 lett. carestia di Tenmei; Tenmei ᄤ᣿ nengŇ
ᐕภ 1781-1789), mietesse centinaia di migliaia di vittime. In città, poi, gli indigenti e i
vagabondi spesso insorgevano in massa, devastando case e magazzini dei commercianti,
specie di riso, agitazioni chiamate uchikowashi (ᛂᲛߒ1617 lett. distruzione per colpi).

1610 baku/han/ tai/sei ᐀ 836/1432 ⮲ 1566/1382 ૕ 110/61 ೙ 196/427


1611 Den/pata(= Ta/hata)/ ei/tai/ bai/bai/ kin/shi/rei ↰ 24/35 ⇌ 1216/36 ᳗ 690/1207 ઍ 68/256

ᄁ 131/239 ⾈ 330/241 ⑌ 853/482 ᱛ 400/477 ઎ 668/831


1612 yş/ri ㆆ 728/1003 ㉿ 1077/142
1613 ma/biki 㑆 27/43 ᒁ 238/216
1614 hŇ/ken/ sei/do ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
1615 hyaku/shŇ/ ik/ki ⊖ 73/14 ᆓ 1766/1746 ৻ 4/2 ឨ non reg./non reg.
1616 Ten/mei/ no/ ki/kin ᄤ 364/141 ᣿ 84/18 ߩ㘫 1947/1304 㙰 non reg./non reg.
1617 uchi/kowa/shi ᛂ 180/1020 Მ non reg./non reg.ߒ

226
 Indignatosi per le pietose condizioni di vita delle masse, nel 1837 si sollevò ņshio
HeihachirŇ (ᄢႮᐔ౎㇢1618 1793-1837), studioso di yŇmeigaku (㓁᣿ቇ1619 ψ§53) ed
ex-agente di pubblica sicurezza del bakufu ᐀ᐭ, in testa ad una moltitudine di rivoltosi,
fra cui anche agenti in servizio all’interno dello shogunato (bakufu ᐀ ᐭ ). La
sollevazione (ņshio HeihachirŇ no ran ᄢႮᐔ౎㇢ߩੂ1620 1837), anche se repressa
immediatamente, fu un duro colpo morale per la classe dominante del regime dei
Tokugawa (Tokugawa shihaitaisei ᓼᎹᡰ㈩૕೙1621).

RIFORME FI- ‫ޣ‬BAKUFU ‫ޤ‬Nel XVIII e nella prima metà del XIX secolo, il pro-
NANZIARIE gressivo aumento delle difficoltà fece sì che il bakufu ᐀ᐭ effet-
tuasse tre riforme finalizzate al riassetto finanziario:

Ԙ riforma KyŇhŇ* (KyŇhŇ no kaikaku ੨଻ᡷ㕟1622 1716-1745)


promotore: VIII shŇgun Tokugawa Yoshimune ᓼᎹศቬ1623 (c. 1716-1745)
ԙ riforma Kansei* (Kansei no kaikaku ኡ᡽ᡷ㕟1624 1787-1793)
promotore: rŇjş Matsudaira Sadanobu ᧻ᐔቯା1625 (c. 1787-1793)
Ԛ riforma TenpŇ* (TenpŇ no kaikaku ᄤ଻ᡷ㕟1626 1841-1843)
promotore: rŇjş Mizuno Tadakuni ᳓㊁ᔘ㇌1627 (c. 1834-1845)
* KyŇhŇ, Kansei, TenpŇ: nengŇ ᐕภ

 La riforma KyŇhŇ (KyŇhŇ no kaikaku ੨଻ᡷ㕟) riuscì a produrre effetti positivi,


ma furono di breve durata, e in generale, i promotori di alto rango delle riforme (shŇgun
዁ァ stesso o rŇjş ⠧ਛ1628 ψ§41 [Vedi organigramma]), non seppero fare altro che
insistere sull’austerità e sulla frugalità o emettere, per salvare hatamoto ᣛᧄ1629 e gokenin

1618 ņ/shio/ Hei/hachi/rŇ ᄢ 7/26 Ⴎ 1058/1101 ᐔ 143/202 ౎ 41/10 ㇢ 237/980


1619 yŇ/mei/gaku 㓁 990/630 ᣿ 84/18 ቇ 33/109
1620 ņ/shio/ Hei/hachi/rŇ/ no/ ran ᄢ 7/26 Ⴎ 1058/1101 ᐔ 143/202 ౎ 41/10 ㇢ 237/980 ߩੂ 734/689
1621 Toku/gawa/ shihai/tai/sei ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᡰ 302/318 ㈩ 304/515 ૕ 110/61 ೙ 196/427
1622 KyŇ/hŇ/ no/ kai/kaku ੨ 1952/1672 ଻ 166/489 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
1623 Toku/gawa/ Yoshi/mune ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ศ 464/1141 ቬ 1023/616
1624 Kan/sei/ no/ kai/kaku ኡ 1471/1050 ᡽ 50/483 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
1625 Matsu/daira/ Sada/nobu ᧻ 215/696 ᐔ 143/202 ቯ 62/355 ା 198/157
1626 Ten/pŇ/ no/ kai/kaku ᄤ 364/141 ଻ 166/489 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
1627 Mizu/no/ Tada/kuni ᳓ 144/21 ㊁ 85/236 ᔘ 1040/1348 ㇌ 1001/808
1628 rŇ/jş ⠧ 788/543 ਛ 13/28
1629 hata/moto ᣛ 1174/1006 ᧄ 15/25

227
ᓮኅੱ1630 in crisi economica, l’ordinanza di depennamento forzoso (kienrei ᫈᝙઎
1631 lett. ordinanza di abbandono, 1789 e 1843) dei debiti da loro contratti, senza poter

arrestare la tendenza al mutamento dei tempi.


 < Tanuma Okitsugu, capitale commerciale e corruzione > Tra il KyŇhŇ no
kaikaku ੨଻ᡷ㕟 e il Kansei no kaikaku ኡ᡽ᡷ㕟 ci sono circa venti anni, oggi
definiti periodo di Tanuma (Tanuma jidai ↰ᴧᤨઍ1632), con il potere effettivo nelle
mani del rŇjş ⠧ਛ Tanuma Okitsugu (↰ᴧᗧᰴ1633 c. 1767-1786). Diversamente da
Yoshimune ศቬ che aveva cercato maggiori entrate nei villaggi agricoli (p.es. con
l’aumento della percentuale dei tributi nengu ᐕ ⽸ 1634 ), Tanuma ↰ ᴧ cercò di
arricchire le casse shogunali, approfittando del potere economico dei ricchi mercanti
con la conseguenza, però, di permettere che dilagasse il malcostume delle tangenti. La
ventina d’anni di Tanuma ↰ᴧ è ricordata quale periodo infestato dalla corruzione in
una atmosfera liberale.
 ‫ ޣ‬HAN ‫ ޤ‬Le situazioni finanziarie degli han ⮲ non erano migliori di quelle
shogunali. I debiti che essi contraevano con grossi commercianti si andavano gonfiando
smisuratamente.
Tuttavia, mentre il bakufu ᐀ᐭ faceva, ma invano, gli estremi tentativi di salvatag-
gio del regime, alcuni han ⮲ delle regioni sud-occidentali conducevano positivamente
le loro riforme, preparando anche l’avvento di personaggi cui sarebbe toccato il
compito di porre le basi del Giappone moderno. I seguenti sono i principali di tali han
⮲ di solito chiamati yşhan (㓶⮲1635 han potenti [nella fase finale del periodo Edo]).
Tutti erano di tozama daimyŇ (ᄖ᭽ᄢฬ1636 ψ§41).

Ԙ han di Satsuma (Satsuma han ⮋៺⮲1637 ψcarta 3; territorio dell’odierno


Kagoshima-ken 㣮ఽፉ⋵1638 ψcarta 13) e parte meridionale del Miyazaki-ken
ችፒ⋵1639)

1630 go/ke/nin ᓮ 620/708 ኅ 81/165 ੱ 9/1


1631 ki/en/rei ᫈ 1103/962 ᝙ non reg./non reg.઎ 668/831
1632 Ta/numa/ ji/dai ↰ 24/35 ᴧ 1150/996 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1633 Ta/numa/ Oki/tsugu ↰ 24/35 ᴧ 1150/996 ᗧ 118/132 ᰴ 235/384
1634 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
1635 yş/han 㓶 500/1387 ⮲ 1566/1382
1636 to/zama/ dai/myŇ ᄖ 120/83 ᭽ 472/403 ᄢ 7/26 ฬ 116/82
1637 Satsu/ma/ han ⮋ non reg./non reg.៺ 1074/1530 ⮲ 1566/1382
1638 Ka/go/shima/ ken 㣮 1141/2279 ఽ 556/1217 ፉ 173/286 ⋵ 195/194
1639 Miya/zaki/ ken ች 419/721 ፒ 457/1362 ⋵ 195/194

228
ԙ han di ChŇshş (ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲1640 ψcarta 5; oggi Yamaguchi-ken ጊญ
⋵1641)
Ԛ han di Tosa (Tosa han ࿯૒⮲1642 ψcarta 6; oggi KŇchi-ken 㜞⍮⋵1643)
ԛ han di Saga (Saga han ૒⾐⮲1644 detto anche Hizen han ⢈೨⮲1645 ψcarta
3; territorio dell’odierne Saga-ken ૒⾐⋵ e del Nagasaki-ken 㐳ፒ⋵1646)

GERMOGLI DELL’IN- Agli inizi del XIX secolo, ossia ancora in pieno sistema
DUSTRIA MODERNA feudale (hŇken seido ኽᑪ೙ᐲ1647), nel campo dell’industria
esisteva già una forma embrionale (kŇjŇsei shukŇgyŇ Ꮏ ႐ ೙ ᚻ Ꮏ ᬺ 1648 industria
artigianale caratterizzata dalla divisione del lavoro in un labotorio) del moderno sistema
di produzione. Tale organizzazione abbracciava la fabbricazione di prodotti tessili, sake
㈬1649, olio di semi, ghisa e salsa di soia detta shŇyu ㉟ᴤ1650.

§45. Fase di crollo del regime dei Tokugawa

FINE DELL’ISOLA- Ai gravi problemi che il bakufu ᐀ ᐭ non riusciva a


MENTO NAZIONALE risolvere, vennero ad aggiungersi pressioni dall’esterno
(naiyş gaikan ౝᘷᄖᖚ 1651 lett. preoccupazioni interne e malattie esterne).
A partire dal periodo a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo cominciarono ad
apparire all’orizzonte navi di potenze occidentali, che esprimevano non di rado espli-
citamente la richiesta di allacciare rapporti commerciali. Agli inizi il bakufu ᐀ᐭ, fer-
mamente deciso nella propria politica isolazionistica, le allontanava con cannonate (Iko-

1640 ChŇ/shş/ han 㐳 25/95 Ꮊ 542/195 ⮲ 1566/1382


1641 Yama/guchi/ ken ጊ 60/34 ญ 213/54 ⋵ 195/194
1642 To/sa/ han ࿯ 316/24 ૒ 285/1744 ⮲ 1566/1382
1643 KŇ/chi/ ken 㜞 49/190 ⍮ 207/214 ⋵ 195/194
1644 Sa/ga/ han ૒ 285/1744 ⾐ 778/756 ⮲ 1566/1382
1645 Hi/zen/ han ⢈ 1398/1723 ೨ 38/47 ⮲ 1566/1382
1646 Naga/saki/ ken 㐳 25/95 ፒ 457/1362 ⋵ 195/194
1647 hŇ/ken/ sei/do ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
1648 kŇ/jŇ/sei/ shu/kŇ/gyŇ Ꮏ 169/139 ႐ 34/154 ೙ 196/427 ᚻ 42/57 Ꮏ 169/139 ᬺ 54/279
1649 sake ㈬ 781/517
1650 shŇ/yu ㉟ non reg./non reg.ᴤ 689/364
1651 nai/yş/ gai/kan ౝ 51/84 ᘷ 1627/1032 ᄖ 120/83 ᖚ 1138/1315

229
kusen uchiharairei ⇣࿖⦁ᛂᛄ઎1652 lett. ordinanza di scacciare le navi stranieri con
cannonate, 1825-1842), ma quando nel 1853 entrarono nel porto di Uraga (ᶆ⾐1653
oggi parte di Yokosuka ᮮ㗇⾐1654 ψcarta 10) quattro navi da guerra americane
comandate dal Commodoro M.C. Perry (Perĩ ࡍ࡝࡯), latore di una lettera del presi-
dente statunitense Fillmore, la situazione internazionale nell’Asia orientale era giunta ad
un punto tale che il Giappone non avrebbe più potuto restare chiuso in se stesso.

ٟ I giapponesi, in preda al panico, chiamarono le quattro navi da guerra


americane kurofune (㤥⦁1655 lett. navi nere), perché i nanbansen ධⱄ⦁, navi
(anche se non americane, comunque) occidentali, erano dipinti in nero. Oggi
l’espressione kurofune 㤥⦁ viene usata quale simbolo della pressione esercitata
dalle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ1656).

Infatti, l’anno successivo (1854) il bakufu ᐀ᐭ non ebbe altra scelta che firmare il
Trattato d’amicizia nippo-statunitense (Nichibei washin jŇyaku ᣣ☨๺ⷫ᧦⚂1657 1854)
per evitare che il Giappone seguisse la stessa miserabile sorte subita dalla Cina in
seguito alla guerra dell’oppio (Ahen sensŇ ࠕࡋࡦᚢ੎1658 o anche 㒙 ᚢ੎ 1840-
1842; guerra oggi definita d’invasione inglese in Cina; ahen ࠕࡋࡦ dall’ingl. opium).
Era la fine dell’isolamento (kaikoku 㐿 ࿖ 1659 lett. apertura del paese, 1854). Il
Giappone si apriva così anche all’Inghilterra, alla Russia e all’Olanda con analoghi
trattati.
 ‫ޣ‬TRATTATI INEGUALI‫ ޤ‬Successivamente, nel 1858 (5° anno Ansei ቟᡽1660)
su pressioni del console generale statunitense in Giappone T. Harris (Harisu ࡂ࡝ࠬ)
venne concluso il Trattato commerciale nippo-statunitense (Nichibei shşkŇ tsşshŇ jŇyaku
ᣣ☨ୃᅢㅢ໡᧦⚂1661, 1858), a cui seguirono anche questa volta analoghi trattati con
Inghilterra, Russia, Olanda e Francia.

1652 I/koku/sen/ uchi/harai/rei ⇣ 707/1061 ࿖ 8/40 ⦁ 313/376 ᛂ 180/1020 ᛄ 664/582 ઎ 668/831


1653 Ura/ga ᶆ 856/1442 ⾐ 778/756
1654 Yoko/su/ka ᮮ 297/781 㗇 936/2263 ⾐ 778/756
1655 kuro/fune 㤥 317/206 ⦁ 313/376
1656 sei/Ň/ rek/kyŇ ⷏ 167/72 ᰷ 766/1022 ೉ 891/611 ᒝ 112/217
1657 Nichi/bei/ wa/shin/ jŇ/yaku ᣣ 1/5 ☨ 90/224 ๺ 151/124 ⷫ 381/175 ᧦ 391/564 ⚂ 137/211
1658 A/hen/ sen/sŇ ࠕࡋࡦᚢ 88/301 ੎ 271/302࡮㒙 1515/2258   905/1045 ᚢ 88/301 ੎ 271/302
1659 kai/koku 㐿 80/396 ࿖ 8/40
1660 An/sei ቟ 128/105 ᡽ 50/483
1661 Nichi/bei/ shş/kŇ/ tsş/shŇ/ jŇ/yaku ᣣ 1/5 ☨ 90/224 ୃ 644/945 ᅢ 308/104 ㅢ 71/150 ໡ 353/412

᧦ 391/564 ⚂ 137/211

230
 Per il Giappone i trattati del 1858, detti Ansei no gokakoku jŇyaku (቟᡽ߩ੖߆࿖᧦
⚂1662 lett. trattati di Ansei con cinque paesi), furono penalizzanti, perché ineguali
(fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂1663 trattati ineguali) particolarmente sotto due aspetti, di
cui uno era di natura giurisdizionale: gli stranieri dei paesi contraenti che avessero
commesso reati in Giappone avrebbero goduto del diritto di non essere soggetti alla
giurisdizione giapponese (chigai hŇken ᴦᄖᴺᮭ1664 extraterritorialità). L’altro riguar-
dava le tariffe doganali: al Giappone fu negato il diritto di stabilire autonome tariffe
doganali (kanzei jishuken 㑐⒢⥄ਥᮭ1665 autonomia tariffaria).
 I trattati ineguali (fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂) stavano a significare pertanto che le
potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ), con chissà quale autorità, non ricono-
scevano il Giappone quale stato sovrano a pieno titolo, ossia lo consideravano semi-
coloniale, e costituirono perciò un gravoso lavorio diplomatico di revisione (jŇyaku kaisei
᧦⚂ᡷᱜ1666) per il successivo governo Meiji. (Meiji seifu ᣿ᴦ᡽ᐭ1667 ψ§61)

ٟ Gli Ansei no gokakoku jŇyaku ቟᡽ߩ੖߆࿖᧦⚂ furono firmati dal bakufu


᐀ᐭ rappresentato dal tairŇ ᄢ⠧ 1668 (ψ §41) Ii Naosuke ( ੗દ⋥ᒠ 1669
1815-1860) senza consenso del chŇtei ᦺᑨ, causa per cui s’inasprirono i movi-
menti delle forze contrarie all’apertura del paese (kaikoku 㐿࿖). Naosuke ⋥ᒠ
ricorse alle maniere forti: repressione ferrea (Ansei no taigoku ቟᡽ߩᄢₐ1670
lett. carcerazione di massa di Ansei, 1858-1859). Di lì a non molto, nel 1860,
Naosuke ⋥ᒠ fu assassinato (Sakuradamon gai no hen ᪉↰㐷ᄖߩᄌ1671 lett.
incidente all’esterno della porta Sakuradamon [del castello di Edo]). La sua morte
segnò l’inizio di un rapido declino dell’autorità del Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ.

FINE DELLO SHOGU- L’ultima fase di una quindicina d’anni (1853 ca.-1867)
NATO DEI TOKUGAWA del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) viene chiamata

1662 An/sei/ no/ go/ka/koku/ jŇ/yaku ቟ 128/105 ᡽ 50/483 ߩ੖ 14/7 ߆࿖ 8/40 ᧦ 391/564 ⚂ 137/211
1663 fu/byŇ/dŇ/ jŇ/yaku ਇ 134/94 ᐔ 143/202 ╬ 601/569 ᧦ 391/564 ⚂ 137/211
1664 chi/gai/ hŇ/ken ᴦ 181/493 ᄖ 120/83 ᴺ 145/123 ᮭ 260/335
1665 kan/zei/ ji/shu/ken 㑐 104/398 ⒢ 383/399 ⥄ 53/62 ਥ 91/155 ᮭ 260/335
1666 jŇ/yaku/ kai/sei ᧦ 391/564 ⚂ 137/211 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275
1667 Mei/ji/ sei/fu ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᡽ 50/483 ᐭ 156/504
1668 tai/rŇ ᄢ 7/26 ⠧ 788/543
1669 I/i/ Nao/suke ੗ 252/1193 દ 603/2011 ⋥ 329/423 ᒠ non reg./non reg.
1670 An/sei/ no/ tai/goku ቟ 128/105 ᡽ 50/483 ߩᄢ 7/26 ₐ 1644/884
1671 Sakura/da/mon/ gai/ no/ hen ᪉ 1121/928 ↰ 24/35 㐷 385/161 ᄖ 120/83 ߩᄌ 324/257

231
bakumatsu (᐀ᧃ1672 lett. fase finale del Tokugawa bakufu; φ Tokugawa baku/fu ᓼ
Ꮉ᐀ᐭ 㧗 matsu ᧃ fine, termine; espressione che si usa frequentemente parlando
della storia di questo periodo) e fu caratterizzata dall’andamento quanto mai movi-
mentato e burrascoso della situazione interna, creata da una serie di scontri tra le
quattro forze del bakufu ᐀ᐭ, del chŇtei ᦺᑨ, di alcuni han ⮲ non sempre concordi
fra loro e infine delle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ), la cui politica nei
confronti del Giappone a sua volta conobbe scissioni. E, per giunta, non mancarono
sommosse popolari.
 A causa della forte inflazione acuitasi in seguito alla ripresa degli scambi commer-
ciali con l’Occidente, si verificò una escalation del movimento politico detto sonnŇ jŇi
undŇ (ዅ₺ᡠᄱㆇേ1673 o anche ዅ⊞ᡠᄱㆇേ) che portava avanti sia la ‘riverenza
verso l’imperatore’ (sonnŇ ዅ₺, ዅ⊞) che la ‘xenofobia’ (jŇi ᡠᄱ lett. espulsione dei
barbari). Ne erano alfieri bushi-patrioti di medio-basso rango dalla mente aperta.
Chiamati shishi (ᔒ჻1674 lett. uomini con ideali, ovvero uomini di azione dediti alla
causa nobile anche a rischio della propria vita), erano originari principalmente dello han
di ChŇshş (ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲1675) e degli altri yşhan (㓶⮲1676 ψ§44). Tuttavia,
convintisi poi dell’assurdità ed impossibilità di competere con le forze occidentali,
nettamente superiori dal punto di vista della forza militare, detto movimento si
trasformò in un altro, mirante ad abbattere lo shogunato dei Tokugawa (tŇbaku undŇ ⸛
᐀ㆇേ1677 lett. movimento di abbattimento del bakufu ᐀ᐭ) e venne promosso dagli
shishi ᔒ჻ degli han di ChŇshş (ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲) e di Satsuma (Satsuma han ⮋
៺ ⮲ 1678 ) unitisi in una coalizione (SatchŇ rengŇ ⮋ 㐳 ㅪ ว 1679 lett. alleanza
ChŇshş-Satsuma; SatchŇ ⮋㐳 φ Satsuma ⮋៺ 㧗 ChŇshş 㐳Ꮊ).
 Nel 1867 anche il bakufu ᐀ᐭ nella persona del XV e ultimo shŇgun ዁ァ Toku-
gawa Yoshinobu (ᓼᎹᘮ༑1680 c. 1866-1967), rendendosi conto della impossibilità di

1672 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305


1673 son/nŇ/ jŇ/i/ un/dŇ ዅ 1220/704 ₺ 499/294 (⊞ 964/297)ᡠ non reg./non reg.ᄱ non reg./non reg.ㆇ 179/439
േ 86/231
1674 shi/shi ᔒ 622/573 ჻ 301/572
1675 ChŇ/shş/ han 㐳 25/95 Ꮊ 542/195 ⮲ 1566/1382
1676 yş/han 㓶 500/1387 ⮲ 1566/1382
1677 tŇ/baku/ un/dŇ ⸛ 466/1018 ᐀ 836/1432 ㆇ 179/439 േ 86/231
1678 Satsu/ma/ han ⮋ non reg./non reg.៺ 1074/1530 ⮲ 1566/1382
1679 Sat/chŇ/ ren/gŇ ⮋ non reg./non reg.㐳 25/95 ㅪ 87/440 ว 46/159
1680 Toku/gawa/ Yoshi/nobu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᘮ 962/1632 ༑ 770/1143

232
resistere, restituì il potere all’imperatore (taisei hŇkan ᄢ᡽ᄺㆶ1681 lett. restituzione del
potere politico), con ciò sia segnando la propria fine, che chiudendo definitivamente la
lunga storia di circa 700 anni del governo del buke ᱞኅ.
 In seguito, nello stesso anno del 1867, con la proclamazione della restaurazione del
governo imperiale (Ňsei fukko ₺᡽ᓳฎ1682), aveva inizio la storia dell’età moderna e
contemporanea del Giappone.

ٟ Nel bakumatsu ᐀ᧃ lo shŇgun ዁ァ fu chiamato dai diplomatici occidentali


taikun (ᄢำ1683 termine onorifico di kunshu ำਥ sovrano).

Parte seconda: Cultura

§46. Osservazioni generali sulla cultura del kinsei

 Il kinsei ㄭ਎ ebbe tre grandi apici culturali: cultura Momoyama (Momoyama


bunka ᩶ጊᢥൻ1684), cultura Genroku (Genroku bunka ర⑍ᢥൻ1685) e cultura Kasei
(Kasei bunka ൻ᡽ᢥൻ1686), ciascuna con una fisionomia propria, ben distinta dalle
altre. È da tenere presente che è consuetudine includere nel periodo della cultura
Momoyama (Momoyama bunka ᩶ጊᢥൻ) i primi quindici anni (ossia fino all’ņsaka
natsu no jin ᄢဈᄐߩ㒯1687 1615 ψ§41) di storia politica del periodo Edo (Edo jidai
ᳯᚭᤨઍ). (ψ§39)
 La tendenza generale di evoluzione consisteva in una crescita della cultura popolare

1681 tai/sei/ hŇ/kan ᄢ 7/26 ᡽ 50/483 ᄺ 1106/1541 ㆶ 1139/866


1682 Ň/sei/ fuk/ko ₺ 499/294 ᡽ 50/483 ᓳ 585/917 ฎ 373/172
1683 tai/kun ᄢ 7/26 ำ 700/793
1684 Momo/yama/ bun/ka ᩶ 1642/1567 ጊ 60/34 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
1685 Gen/roku/ bun/ka ర 328/137 ⑍ non reg./non reg.ᢥ 136/111 ൻ 100/254
1686 Ka/sei/ bun/ka ൻ 100/254 ᡽ 50/483 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
1687 ņ/saka/ natsu/ no/ jin ᄢ 7/26 ဈ 595/443 ᄐ 580/461 ߩ㒯 823/1404

233
fino al punto in cui la maggioranza dei suoi promotori-fruitori fu costituita da chŇnin ↸
ੱ. Non erano poi rari quei bushi (ᱞ჻ e più precisamente rŇnin ᶉੱ1688, ossia bushi
ᱞ჻ senza signore ψ§41), specie agli inizi del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ),
che, avendo perso la protezione di un daimyŇ ᄢฬ, e quindi lo stipendio (hŇroku ୊⑍
1689), cercavano di guadagnarsi da vivere come scrittori o studiosi-insegnanti.

 Un altro aspetto rilevabile era, salvo pochi casi d’eccezione, la presenza d’una forte
dose di realismo, e anche questo si andò accentuando col passare del tempo.
 Da ultimo, malgrado oltre un secolo e mezzo di distanza rimangono tuttora,
esplicitamente o implicitamente, nella vita quotidiana dei giapponesi delle tracce della
realtà giornalmente vissuta dalla gente del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ).

§47. Cultura Momoyama

 La cultura Momoyama (Momoyama bunka ᩶ጊᢥൻ seconda metà del XVI sec. e
una quindicina d’anni iniziali del periodo Edo) espresse più orientamenti, tutti
inconciliabilmente disparati, ma in ultima analisi l’aspetto dominante fu quello della sua
imponente, rigogliosa vitalità. Si trattava cioè della manifestazione sia di uno spirito
d’iniziativa dei sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ1690, uomini fattisi da sé, che non badavano alle
convenzioni, sia di un’energia talmente esuberante da estendersi fino all’Asia
sudorientale (TŇnan Ajia ᧲ධࠕࠫࠕ1691) (ψ§42).
 Due erano i settori che rappresentavano questa cultura: anzitutto l’architettura,
specie i castelli (jŇkaku kenchiku ၔㇳᑪ▽1692 lett. architettura di castello e di mura)
che si ergevano al centro dei jŇkamachi ၔਅ↸ e poi le gigantesche pitture eseguite
all’interno delle costruzioni imponenti.

CASTELLI E PITTURA ‫ޣ‬CASTELLI‫ޤ‬Durante il periodo Azuchi-Momoyama


DELLA SCUOLA KANņ (Azuchi-Momoyama jidai ቟࿯᩶ጊᤨઍ) e nella prima
quindicina d’anni del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) prevalse la costruzione a
ritmo accelerato di castelli solidi e grandiosi, i quali, oltre a servire naturalmente a scopi

1688 rŇ/nin ᶉ 1445/1753 ੱ 9/1


1689 hŇ/roku ୊ 1914/1542 ⑍ non reg./non reg.
1690 sen/goku/ dai/myŇ ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᄢ 7/26 ฬ 116/82
1691 TŇ/nan/ A/ji/a ᧲ 11/71 ධ 205/74 ࠕࠫࠕ
1692 jŇ/kaku/ ken/chiku ၔ 638/720 ㇳ 1770/1673 ᑪ 244/892 ▽ 820/1603

234
militari, erano anche palazzi nei quali i daimyŇ ᄢ ฬ , molti dei quali parvenus,
ostentavano il loro potere e la loro ricchezza.
 Fra tutti i castelli oggi rimasti, il meglio conservato e più noto è il castello di Himeji
(HimejijŇ ᆢ〝ၔ1693 1608, Himeji ψcarta 7) detto anche castello dell’airone bianco
(ShirasagijŇ ⊕㣕ၔ1694), in quanto ha i muri dipinti interamente in bianco.
 ‫ޣ‬PITTURA GRANDIOSA DELLA SCUOLA KANņ‫ޤ‬Per arredare gli interni
dei castelli (p.es. AzuchijŇ [቟࿯ၔ 1576-1582] di Nobunaga, FushimijŇ [ફ⷗ၔ1695
1594-1623] e ņsakajŇ [ᄢဈၔ 1583, distrutto due volte dal fuoco; ricostruito in
cemento armato nel 1931] di Hideyoshi) e delle altre costruzioni gigantesche (p.es.
Jurakudai ⡝ᭉ╙1696 1587-1595; abitazione di Hideyoshi ⑲ศ a KyŇto ੩ㇺ) con
pitture intonate all’imponenza dell’ambiente, vennero chiamati artisti di prim’ordine,
specie della scuola KanŇ (KanŇha ⁚㊁ᵷ1697 dalla metà del periodo Muromachi
all’era Meiji), filone che emergeva sugli altri per le pitture audaci, di grandi dimensioni e
dai colori vividi e forti. Su commissione dei supremi signori quali Nobunaga ା㐳 e
Hideyoshi ⑲ศ i suoi artisti rappresentati da KanŇ Eitoku (⁚㊁᳗ᓼ1698 1543-1590)
decorarono in squadra porte scorrevoli (fusuma ⶲ1699) e paraventi (byŇbu ዳ㘑1700)
pieghevoli dei loro castelli con pitture sfarzose e piene di forza, dette shŇhekiga (㓚ო↹
1701 lett. pitture su divisori e muri), specie con damie (Ớ⛗1702 [tipo particolare di

shŇhekiga 㓚ო↹] lett. pitture a colori intensi con l’uso anche di materiali quali oro,
argento, verderame ecc.), fino allora sconosciute nella tradizione pittorica giapponese.

ٟ Non è detto che l’interno di tutti i castelli fosse sontuoso. I castelli di semplici
daimyŇ ᄢฬ avevano interni solitamente sobri e disadorni.

 < Pittori e opere > Ecco un paio di massimi pittori dell’epoca e loro opere citate
frequentemente: KanŇ Eitoku (⁚㊁᳗ᓼ 1543-1590), Karajishizu byŇbu (䇺໊ₑሶ࿑ዳ

1693 Hime/ji/jŇ ᆢ 1534/1757 〝 367/151 ၔ 638/720


1694 Shira/sagi/jŇ ⊕ 266/205 㣕 non reg./non reg.ၔ 638/720
1695 Fushi/mi/jŇ ફ 1412/1356 ⷗ 48/63 ၔ 638/720
1696 Ju/raku/dai ⡝ non reg./non reg.ᭉ 232/358 ╙ 76/404
1697 Ka/nŇ/ha ⁚ 1650/1581 ㊁ 85/236 ᵷ 293/912
1698 Ka/nŇ/ Ei/toku ⁚ 1650/1581 ㊁ 85/236 ᳗ 690/1207 ᓼ 839/1038
1699 fusuma ⶲ non reg./non reg.
1700 byŇ/bu ዳ non reg./non reg.㘑 246/29
1701 shŇ/heki/ga 㓚 676/858 ო 1064/1489 ↹ 150/343
1702 dami/e Ớ 1185/957 ⛗ 976/345

235
㘑䇻1703 lett. paravento recante un disegno di leoni cinesi, ?) di proprietà della casa
imperiale, Rakuchş Rakugaizu byŇbu 䇺ᵡਛᵡᄖ࿑ዳ㘑䇻1704 lett. paravento di vedute
interne ed esterne di KyŇto; Hasegawa TŇhaku ( 㐳 ⼱ Ꮉ ╬ ષ 1705 1539-1610),
Chichakuin fusumae (ᥓⓍ㒮ⶲ⛗1706 lett. dipinti eseguiti su paraventi del tempio di
Chichakuin, 1592?) a KyŇto ੩ㇺ; KaihŇ YşshŇ (ᶏർ෹᧻1707 1533-1615), Sansuizu
byŇbu (䇺ጊ᳓࿑ዳ㘑䇻1708 lett. paravento di paesaggi, 1602).

CULTURA Ovviamente, di natura assai diversa con il suo esotismo fu la cultura


ESOTICA nanban (nanban bunka ධⱄᢥൻ1709 ψ§40) incentrata sui dipinti (nan-
ban bijutsu ධⱄ⟤ⴚ lett. belle arti nanban) eseguiti su paraventi (nanban byŇbu ධⱄዳ
㘑) con tema nanban, quali nanbanjin ධⱄੱ, nanbanji ධⱄኹ, nanbansen ධⱄ⦁,
nanban bŇeki ධⱄ⾏ᤃ ecc..
 Veicolate dai nanbanjin ධⱄੱ, furono introdotte anche nuove nozioni in diversi
campi del sapere quali l’astronomia, la geografia, la medicina, la nautica ecc.
 < Missionari e la lingua giapponese > Per l’esigenza dell’attività di evangeliz-
zazione i missionari studiarono il giapponese e produssero materiali per il suo
apprendimento, tali, che oggi costituiscono fonti preziose di consultazione per lo studio
del giapponese d’allora. Di queste opere sono degne di menzione le seguenti due:
Vocabulario da Lingoa de Iapam (Nippo jisho 䇺ᣣ⫁ㄉᦠ䇻 1710 1603-1604, Nagasaki)
compilato da un gruppo di alcuni gesuiti e Arte da Lingoa de Iapam (Nihon daibunten 䇺ᣣ
ᧄᄢᢥౖ䇻 1711 1604-1608, Nagasaki) di João Rodriguez (Rodorigesu ࡠ࠼࡝ࠥࠬ
1561-1634), gesuita portoghese che riuscì ad acquisire un’ottima padronanza della
lingua e cultura giapponese.

1703 Kara/jishi/zu/ byŇ/bu 䇺໊ 1668/1697 ₑ non reg./non reg.ሶ 56/103 ࿑ 631/339 ዳ non reg./non reg.㘑
246/29䇻
1704 Raku/chş/ Raku/gai/zu/ byŇ/bu 䇺ᵡ non reg./non reg.ਛ 13/28 ᵡ non reg./non reg.ᄖ 120/83 ࿑
631/339 ዳ non reg./non reg.㘑 246/29䇻

1705 Hase/gawa/ TŇ/haku 㐳 25/95 ⼱ 249/653 Ꮉ 111/33 ╬ 601/569 ષ 1671/1176


1706 Chi/chaku/in/ fusuma/e ᥓ 1416/2099 Ⓧ 506/656 㒮 236/614 ⶲ non reg./non reg.⛗ 976/345
1707 Kai/hŇ/ Yş/shŇ ᶏ 158/117 ർ 103/73 ෹ 543/264 ᧻ 215/696
1708 San/sui/zu/ byŇ/bu 䇺ጊ 60/34 ᳓ 144/21 ࿑ 631/339 ዳ non reg./non reg.㘑 246/29䇻
1709 nan/ban/ bun/ka ධ 205/74 ⱄ 1894/1879 ᢥ 136/111 ൻ 100/254㧔-bi/jutsu ~⟤ 289/401 ⴚ 299/187,

-byŇ/bu ~ዳ non reg./non reg.㘑 246/29, -jin ~ੱ 9/1, -ji ~ኹ 687/41, -sen ~⦁ 313/376, -bŇ/eki ~⾏
1037/760 ᤃ 810/759㧕

1710 Nip/po ji/sho 䇺ᣣ 1/5 ⫁ non reg./non reg.ㄉ 868/688 ᦠ 130/131䇻


1711 Ni/hon/ dai/bun/ten 䇺ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ᄢ 7/26 ᢥ 136/111 ౖ 956/367䇻

236
 Inoltre, vennero stampate pubblicazioni dette kirishitanban ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ  1712
grazie agli attrezzi da stampa a caratteri mobili portati da Alessandro Valignano
(BarinyĆno ࡃ࡝࠾ࡖ࡯ࡁ, 1538-1606; detto a volte anche Valignani ࡃ࡝࠾ࡖ࡯࠾),
visitatore della Compagnia di Gesù (Iezusukai ࠗࠛ࠭ࠬળ1713, Yasokai ⡍⯃ળ1714),
originario di Chieti.

ٟ I citati attrezzi da stampa, tuttavia, vennero persi ben presto, in quanto


trasportati a Macao ࡑࠞࠝ, Cina, in seguito all’ordinanza anticattolica (kinkyŇrei
⑌ᢎ઎1715) del 1612 (ψ§42).

 < Prestiti linguistici > Oggetti materiali che non esistevano nel Giappone d’allora
entrarono insieme con le parole che li designavano, e siccome i portoghesi precedettero
gli spagnoli di circa 40 anni, quasi tutti i prestiti linguistici (gairaigo ᄖ᧪⺆1716 lett.
parole venute dall’estero) d’allora furono dal portoghese: pan (ࡄࡦ portogh. pão:
pane), tabako (ߚ߫ߎ portogh. tabaco: tabacco), botan (ࡏ࠲ࡦ portogh. botão: bot-
tone), karuta (ࠞ࡞࠲ portogh. carta: carte da gioco giapponesi), birŇdo (ࡆࡠ࡯࠼
portogh. veludo, sp. velludo: velluto), tenpura (ߡࠎ߲ࠄ portogh. temporas: fritti di
verdura e di pesce), kanaria (ࠞ࠽࡝ࠕ sp. canaria: canarino) ed altri.

TRADIZIONE DELLA Un aspetto di natura ancora diversa fu rappresentato


CULTURA HIGASHIYAMA da una gran voga delle forme artistiche originarie del
periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ ↸ ᤨ ઍ ), in particolare della cultura
Higashiyama (Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ1717 ψ§32), di cui la celebre cerimonia del
tè (sadŇ, chadŇ ⨥㆏1718, chanoyu ⨥ߩḡ1719) merita una menzione.
 ‫ޣ‬WABICHA ‫ ޤ‬Fu Sen no Rikyş (ජ೑ભ1720 1522-1591) ad elevare ulteriormente
lo spirito del wabicha (ଌ⨥1721 ψ§36), iniziato da Murata JukŇ (᧛↰⃨శ1722 ψ§36).

1712 ki/ri/shi/ta/n/ban ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ  677/1046


1713 I/e/zu/su/kai ࠗࠛ࠭ࠬળ 12/158
1714 Ya/so/kai ⡍ non reg./non reg.⯃ non reg./non reg.ળ 12/158
1715 kin/kyŇ/rei ⑌ 853/482 ᢎ 97/245 ઎ 668/831
1716 gai/rai/go ᄖ 120/83 ᧪ 113/69 ⺆ 274/67
1717 Higashi/yama/ bun/ka ᧲ 11/71 ጊ 60/34 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
1718 sa/dŇ ⨥ 805/251 ㆏ 129/149
1719 cha/no/yu ⨥ 805/251 ߩḡ 1022/632
1720 Sen/ no/ Ri/kyş ජ 79/15 ೑ 219/329 ભ 583/60
1721 wabi/cha ଌ non reg./non reg.⨥ 805/251
1722 Mura/ta/ Ju/kŇ ᧛ 210/191 ↰ 24/35 ⃨ 1540/1504 శ 417/138

237
La moda del wabicha ଌ⨥ era però in netto contrasto con il fenomeno culturale dei
castelli grandiosi, quindi sfarzosi e dei loro annessi e connessi ugualmente appariscenti.
 Il wabicha ଌ⨥ consiste, è vero, in ultima analisi, nel bere tè, ma se lo si distingue
dal bere caffè o Coca Cola, è perché si tratta di un atto spirituale caratterizzato da una
certa coscienza estetica detta wabi ଌ. In altre parole, il wabicha ଌ⨥ non è un atto per
soddisfare né il palato, né la sete, ma una pratica quasi rituale per nobilitare l’animo alla
zenista, e la sua essenza sta nella parola wabi ଌ.
 < Wabi > Diciamo subito che il wabi ଌ è una forma sviluppata dello yşgen ᐝ₵
1723. Al pari di quest’ultimo, quindi, anche il wabi ଌ è l’effetto di una doppia struttura.

I due si differenziano tuttavia in un solo punto: mentre nello yşgen ᐝ₵ uno dei due
elementi si intravede attraverso l’altro (per esempio, ‘montagne autunnali’ che, come
abbiamo già detto, si presentano allo sguardo tramite squarci di ‘nebbia diradata’ ψ
§34), nel wabi ଌ un elemento, ossia l’elemento negatore, copre totalmente l’altro
ovvero l’elemento negato, con conseguenza che l’elemento negato non può più essere
colto visivamente, ma soltanto percepito dalla mente. Che uno dei due elementi venga
negato per intero dall’altro, ma che il negato rimanga ugualmente percepibile trova
riscontro rispettivamente con la prima e la seconda metà del detto già citato più volte:
« Forma è vuoto. Vuoto è forma » (ψ§12, §33).
 Lo stesso fu espresso da JukŇ ⃨శ e Rikyş ೑ભ con queste parole: « Sarebbe
buona cosa tenere uno splendido cavallo in una stalla dal tetto di paglia ». (JukŇ ⃨శ).
« Per fare un buon cucchiaino da tè, bisogna tagliare il bambù, ma in modo che non
appaia bello. Il contenitore del tè va fatto rozzo. Il suo fondo va tagliato in modo che
non risulti lavorato accuratamente ». (Rikyş ೑ભ).
 Qualsiasi oggetto occorrente per il wabicha ଌ⨥, compresa la stanza chashitsu (⨥ቶ
1724 ψ§36), può apparire agli occhi dei non iniziati piccolo, misero, brutto e quindi di

poco o nessun pregio, ma questa fenomenologia negativa nasconde in sé un mondo a


valore positivo che si espande all’infinito. Lo spirito del wabicha ଌ⨥ sta nel godersi il
‘valore positivo nato dalla negazione’. Rikyş ೑ભ chiamò questo spirito wakei seijaku
๺ᢘᷡ኎1725.
 Il chashitsu ⨥ቶ più noto ora esistente è il Taian ᓙᐻ1726 del tempio zen di
MyŇkian ᅱ༑ᐻ1727 costruito, per ordine di Hideyoshi, da Sen no Rikyş ජ೑ભ. Lì

1723 yş/gen ᐝ 1876/1228 ₵ 1514/1225


1724 cha/shitsu ⨥ 805/251 ቶ 421/166
1725 wa/kei/ sei/jaku ๺ 151/124 ᢘ 1247/705 ᷡ 509/660 ኎ 1871/1669
1726 Tai/an ᓙ 374/452 ᐻ non reg./non reg.
1727 MyŇ/ki/an ᅱ 1045/1154 ༑ 770/1143 ᐻ non reg./non reg.

238
dentro tutto appare di valore negativo (stanza angusta, muri nerastri ecc.) agli occhi dei
non-iniziati.
 Nell’ottica della storia della cultura, il mutamento dello yşgen ᐝ₵ in wabi ଌ è da
considerare fenomeno parallelo all’indirizzo fondamentale di evoluzione della cultura
giapponese (ψ§46): il wabi ଌ era sorto laddove la cultura popolare era divenuta
dominante su quella tradizionale dell’aristocrazia di Heian (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ).

§48. Ambiente culturale del periodo Edo

GRANDI CITTÀ < ChŇnin bunka > La cultura del periodo Edo (Edo jidai ᳯ
E CHņNIN ᚭᤨઍ) poté realizzarsi grazie alla piena partecipazione della
classe arricchita, quella cioè dei chŇnin ↸ੱ. Per questo è denominata cultura dei chŇnin
(chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ). È una cultura sorta nelle grandi città.
 Sugli aspetti animati e dinamici della vita dei chŇnin ↸ੱ di ņsaka ᄢဈ, KyŇto
੩ㇺ e Edo ᳯᚭ intorno alla fine del XVII secolo, ossia dell’era Genroku (Genroku
jidai ర ⑍ᤨઍ 1728 1688-1704; Genroku ర⑍ : nengŇ ᐕภ ), Engelbert Kämpfer
(1651-1716), medico tedesco venuto al Dejima ಴ፉ 1729 nel 1690, scrisse quanto
segue:

« Questa città (ņsaka ᄢဈ, n.d.a.), popolosa ed avvantaggiata nei collegamenti


sia per via d’acqua che di terra, costituisce il maggior centro commerciale in tutto il
Giappone.
Qui abitano cittadini benestanti, tecnici e produttori di ogni genere di cose.
Malgrado i suoi numerosi abitanti, questa città non solo permette di guadagnarsi
facilmente da vivere, ma è anche piena di ogni genere di cose che servono alla vita
lussuosa e ai piaceri dei sensi, tanto che i giapponesi la chiamano il paradiso dei
piaceri. Sia a teatro che nelle case private si eseguono quasi ogni giorno spettacoli
teatrali. In mercato i commercianti fanno a gara nel richiamo dei possibili
acquirenti.
Vi sono esposte anche tante cose rare e straordinarie. Taluni radunano una
grande folla di spettatori con i loro uccelli ed animali addestrati, talaltri con i loro

1728 Gen/roku/ ji/dai ర 328/137 ⑍ non reg./non reg.ᤨ 19/42 ઍ 68/256


1729 De/jima ಴ 17/53 ፉ 173/286

239
giochi di prestigio ed esibizioni acrobatiche. Ad ņsaka ᄢဈ c’è, così, tutta una
serie di mezzi di divertimento e si può trascorrere piacevolmente il tempo libero. È
naturale perciò che un gran numero di gente facoltosa di altre regioni e molti
viaggiatori si raccolgano qui e vi si trattengano ».
« Questa città (KyŇto ੩ㇺ, n.d.a.) è un centro di varie attività artistiche, di
produzione e di commercio. Fondono rame e coniano monete. Stampano libri.
Producono tessuti dai disegni meravigliosi a colori d’oro e d’argento. Non c’è quasi
nessuna casa che non venda o produca oggetti di prima qualità quali coloranti,
statuette finemente lavorate, strumenti musicali, scatole laccate d’artigianato, quadri
ecc. ».
« (Ad Edo ᳯᚭ) la prima vista che mi si presentò fu quella d’un mercato del
pesce. Lì si vendevano in abbondanza alghe marine, molluschi e pesci. Nelle strade
c’era più viavai di quanto non avessi mai immaginato. Passavano processioni di
daimyŇ ᄢฬ e di sudditi dello shŇgun ዁ァ. C’erano anche andirivieni, a piedi o in
portantina, di donne elegantemente vestite. Lungo le strade c’erano, uno accanto
all’altro, negozi di abbigliamento, spezie, altari buddhisti, libri, ceramiche, medicinali
ed altre cose. C’era chi vendeva in piedi davanti all’ingresso, o anche in negozio, ma
tutti ugualmente rivolgendosi ad alta voce ai passanti. Nelle strade poi erano poste
grandi bancarelle ». (History of Japan 1727, traduzione da testi originali in tedesco e
latino; titolo della versione in giapponese: Nihonshi 䇺ᣣᧄ⹹䇻1730)

 Si vede che nelle grandi città c’erano intense attività commerciali e produttive, inviti
ai consumi e una forte inclinazione alla vita godereccia. L’insieme di tali fattori
socio-economici e mentali costituiva appunto la forza motrice della cultura dei chŇnin
(chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ).

LIMITI DEL RUOLO Tuttavia, al potere dei chŇnin ↸ੱ c’era un limite. Si


STORICO DEI CHņNIN possono paragonare i chŇnin ↸ ੱ alla borghesia
francese sotto l’ancien régime, con la differenza, però, che essi non poterono o, per
meglio dire, non pensarono neppur lontanamente di imprimere una svolta decisiva alla
storia giapponese. Innanzitutto, i bushi ᱞ჻ erano per loro i maggiori clienti. Inoltre,
sapevano bene che la loro forza economica non avrebbe significato niente, qualora i
bushi ᱞ჻ si fossero decisi a passare alle maniere forti. Era quindi naturale che,
diversamente dai contadini, i chŇnin ↸ੱ non tentassero insurrezioni di sorta.

1730 Ni/hon/shi 䇺ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ⹹ 950/574䇻

240
QUARTIERI DI PIACERE E Fra i fenomeni sociali che caratterizzarono il periodo
LA CULTURA BORGHESE Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) fu un rigoglio dei quartieri
di piacere, in particolare, di quei quartieri ufficialmente autorizzati, detti yşri (ㆆ㉿1731
denominazioni alternative: yşkaku ㆆ ㇳ , kuruwa ㇳ , irozato ⦡ ㉿ , akusho ᖡ ᚲ ,
hanamachi ⧎ ↸ , keiseimachi ௑ ၔ ↸ ; abolito nel 1957), delle case di tolleranza
(notevolmente diverse di quelle in senso occidentale: erano quacosa come ‘ristorante di
lusso, teatro di varietà e bordello’ messi insieme). Per non parlare di ņsaka ᄢဈ,
KyŇto ੩ㇺ ed Edo ᳯᚭ, ce n’erano pure nelle città portuali (minato machi ᷼↸) e
nelle città con al centro un castello (jŇkamachi ၔਅ↸). Questi quartieri, yşri ㆆ㉿,
erano zone libere dalla distinzione delle categorie di appartenenza. Denominatore
comune: il denaro. Tali quartieri costituivano, per così dire, nel deserto feudale dei
Tokugawa (Tokugawashi ᓼ Ꮉ ᳁ ) oasi di libertà dove chi poteva permetterselo
comprava momenti di libertà e godimento, spendendo con noncuranza somme
cospicue.

ٟ I principali yşri ㆆ㉿ erano i seguenti: Shimabara ፉේ1732 a KyŇto ੩ㇺ,


Shinmachi ᣂ↸1733 a ņsaka ᄢဈ, Yoshiwara ศේ1734 a Edo ᳯᚭ.

 Per i chŇnin ↸ੱ la vita ideale era mettere da parte più denaro possibile, sia
lavorando sodo che limitando le spese quando si era ancora giovani e, dopo essersi
ritirati dal lavoro intorno ai 45 anni d’età, darsi a godere la vita, andando a teatro e in
pellegrinaggio, mangiando ciò che piaceva, eseguendo la cerimonia del tè (sadŇ, chadŇ ⨥
㆏1735, chanoyu ⨥ߩḡ) e soprattutto frequentando quartieri di piacere (yşri ㆆ㉿);
tutte cose di cui, chi ci riusciva, andava poi orgoglioso. Erano appunto tali località che
alimentavano, insieme con il teatro (ψ§52), la cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥ
ൻ).

1731 yş/ri ㆆ 728/1003 ㉿ 1077/142, yş/kaku ㆆ 728/1003 ㇳ 1770/1673, kuruwa ㇳ 1770/1673, iro/zato
⦡ 326/204 ㉿ 1077/142, aku/sho ᖡ 504/304 ᚲ 107/153, hana/machi ⧎ 551/255 ↸ 114/182, kei/sei/ machi
௑ 913/1441 ၔ 638/720 ↸ 114/182
1732 Shima/bara ፉ 173/286 ේ 132/136
1733 Shin/machi ᣂ 36/174 ↸ 114/182
1734 Yoshi/wara ศ 464/1141 ේ 132/136
1735 sa/dŇ, cha/dŇ ⨥ 805/251 ㆏ 129/149, cha/no/yu ⨥ 805/251 ߩḡ 1022/632

241
§49. Cultura Genroku e cultura Kasei

CULTURA Il termine Genroku ర⑍ è il nengŇ ᐕภ dato agli anni 1688-1704. A


GENROKU stretto rigore, quindi, l’era Genroku (Genroku jidai ర⑍ᤨઍ) durò
una quindicina d’anni, ma con una più libera interpretazione, ci si può riferire ad una
fascia di una trentina d’anni, corrispondente al periodo del V shŇgun ዁ァ Tokugawa
Tsunayoshi (ᓼᎹ✁ศ 1736 c. 1680-1709), conosciuto anche con il soprannome di
inukubŇ (›౏ᣇ1737 shŇgun dei cani) a causa della sua predilezione morbosa per gli
animali, specie per i cani, ai danni della vita serena dei cittadini.

ٟ A partire dal 1685 Tokugawa Tsunayoshi ᓼᎹ✁ศ emanò a più riprese


un’ordinanza conosciuta con il nome di ShŇrui awaremi no rei (↢㘃ᘿߺߩ઎1738
lett. ordinanza d’amore per gli esseri viventi) che mirava a proteggere cani, gatti,
uccelli ecc. e addirittura persino topi. Tenne da più parti a Edo ᳯᚭ oltre
centomila cani randagi con le spese a carico degli abitanti della città. Essi, inoltre,
dovevano contare il numero di pesciolini rossi tenuti a casa e farne rapporto alle
autorità. Quando poi ne moriva uno, dovevano denunciarne il decesso. Guai a chi
osasse uccidere e mangiare animali! Morto Tsunayoshi ✁ศ , tale fastidiosa
ordinanza fu immediatamente soppressa, come era da attendersi.

 Per cultura Genroku (Genroku bunka ర⑍ᢥൻ), d’altro canto, s’intendono


solitamente le manifestazioni culturali della prima metà del periodo Edo (Edo jidai ᳯ
ᚭᤨઍ 1600/1603-1867) incentrate su quelle degli anni (1680-1709) dello shŇgun
Tsunayoshi ዁ァ✁ศ.
 I promotori della cultura provenivano dalla classe dei bushi ᱞ჻ ed in particolare
dai ceti più facoltosi dei chŇnin (gŇshŇ ⽕໡1739) della regione di ņsaka ᄢဈ e KyŇto
੩ㇺ, e siccome nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) questa zona veniva chiamata
Kamigata ( ਄ ᣇ 1740 lett. parte ᣇ in cui risiede l’imperatore ਄ ψ carta 2) in
opposizione alla regione del KantŇ (KantŇ chihŇ 㑐᧲࿾ᣇ1741 ψcarta 1, lett. regione
ad est ᧲ del posto di blocco 㑐ᚲ di Hakone ψ§43) con al centro la città di Edo
ᳯᚭ, la cultura Genroku (Genroku bunka ర⑍ᢥൻ) si chiama anche cultura

1736 Toku/gawa/ Tsuna/yoshi ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ✁ 1250/1609 ศ 464/1141


1737 inu/ku/bŇ › 1295/280 ౏ 122/126 ᣇ 28/70
1738 ShŇ/rui/ aware/mi/ no/ rei ↢ 29/44 㘃 680/226 ᘿ non reg./non reg.ߺߩ઎ 668/831
1739 gŇ/shŇ ⽕ 898/1671 ໡ 353/412
1740 Kami/gata ਄ 21/32 ᣇ 28/70
1741 Kan/tŇ/ chi/hŇ 㑐 104/398 ᧲ 11/71 ࿾ 40/118 ᣇ 28/70

242
Kamigata (Kamigata bunka ਄ᣇᢥൻ).
 ‫ޣ‬ATTIVITÀ EDITORIALE‫ޤ‬Si rileva con l’occasione che alla fioritura della
cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ), specie della sua letteratura, concorsero
positivamente due fattori: da una parte iniziativa editoriale resa possibile dallo sviluppo
dell’arte della stampa che si avvaleva di matrici incise nel legno e dall’altra diffusione
dell’istruzione (ψ§53).
 Con il sorgere di case editrici gestite a base commerciale si ebbe nel XVII secolo un
improvviso aumento di pubblicazioni. Senza bisogno di parlare di opere su
confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ1742 giapp. jukyŇ), buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ1743),
medicina e classici, furono oggetto di pubblicazione anche gli scritti dei contemporanei
sugli argomenti più disparati. Vennero stampati persino manuali di culinaria (ψ§55),
guide turistiche (ψ§55), sull’arte di disporre fiori (kadŇ ⪇㆏1744, ⧎㆏ ikebana ↢ߌ
⧎ ψ§36) ecc. Risulta che nel 1698 (11° anno Genroku, Genroku jşichinen ర⑍ 11 ᐕ
1745) c’erano almeno 400 editori, quasi tutti operanti a KyŇto ੩ㇺ.

CULTURA Il termine kasei (ൻ᡽ 1804-1830) è abbreviazione della combinazione


K A S E I di due nengŇ ᐕภ : Bun/ka (ᢥൻ 1804-1818) e Bun/sei (ᢥ᡽
1818-1830), ma è applicato generalmente al periodo tra la fine (1793) della riforma
Kansei (Kansei no kaikaku ኡ᡽ᡷ㕟1746) e l’inizio (1841) della riforma TenpŇ (TenpŇ
no kaikaku ᄤ଻ᡷ㕟1747).
 L’espressione cultura Kasei (Kasei bunka ൻ᡽ᢥൻ1748), d’altra parte, è usata di
solito in riferimento alla cultura della seconda metà del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨ
ઍ) incentrata su quella degli anni 1793-1841.
 La cultura Kasei (Kasei bunka ൻ᡽ᢥൻ) con il suo centro di produzione ormai
spostatosi ad Edo ᳯᚭ, la si può caratterizzare sotto diversi aspetti:

Ԙ partecipazione di un numero sempre maggiore di chŇnin ↸ੱ; in particolare,


una buona parte degli scrittori era di estrazione medio-bassa della classe dei
chŇnin ↸ੱ,

1742 ju/kyŇ ఌ 1968/1417 ᢎ 97/245


1743 buk/kyŇ ੽ 678/583 ᢎ 97/245
1744 ka/dŇ ⪇ 807/1074 ㆏ 129/149࡮⧎ 551/255 ㆏ 129/149, i/ke/bana ↢ 29/44 ߌ⧎ 551/255
1745 Gen/roku/ jşichi/nen ర 328/137 ⑍ non reg./non reg.11 ᐕ 3/45
1746 Kan/sei/ no/ kai/kaku ኡ 1471/1050 ᡽ 50/483 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
1747 Ten/pŇ/ no/ kai/kaku ᄤ 364/141 ଻ 166/489 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
1748 Ka/sei/ bun/ka ൻ 100/254 ᡽ 50/483 ᢥ 136/111 ൻ 100/254

243
ԙ decadentismo sempre più marcato,
Ԛ innalzamento dei livelli culturali locali.

§50. Letteratura della cultura Genroku

 La cultura Genroku (Genroku bunka ర⑍ᢥൻ) fu rappresentata dalla letteratura


Kamigata (Kamigata bungaku ਄ᣇᢥቇ) come si suol chiamarla. Difatti, l’era Genroku
(Genroku jidai ర⑍ᤨઍ) è considerata quella degli anni d’oro della letteratura.
 Spiccano tre nomi: Ihara Saikaku ੗ේ⷏㢬1749, Matsuo BashŇ ᧻የ⧊⭈1750 e
Chikamatsu Monzaemon ㄭ᧻㐷Ꮐⴡ㐷1751 rispettivamente per narrativa, poesia e
opere teatrali. L’ultimo citato, Chikamatsu ㄭ᧻, fu drammaturgo, quindi ne parleremo
al paragrafo riservato al teatro (ψ§52).

SAIKAKU E Ihara Saikaku (੗ේ⷏㢬 1642-1693) nato nella famiglia di un


UKIYO-ZņSHI commerciante di ņsaka ᄢဈ, fu uno scrittore di raro realismo. Ebbe
successo in particolare per due tipi di opere: kŇshokumono (ᅢ⦡‛1752 lett. opere
amoroso-erotiche) e chŇninmono ( ↸ ੱ ‛ 1753 lett. opere sui chŇnin). Il primo è
ambientato più o meno nei quartieri di piacere (yşri ㆆ㉿1754) e il secondo descrive la
vita e la mentalità dei commercianti presi totalmente dalle questioni di denaro.
 Le maggiori opere sono, per il primo, KŇshoku ichidaiotoko (䇺ᅢ⦡৻ઍ↵䇻1755 it.
Vita di un libertino, 1682) e, per il secondo, Nippon eitaigura (䇺ᣣᧄ᳗ઍ⬿䇻1756 it. Il
magazzino eterno del Giappone, 1688; guraȸkura ⬿ magazzini: simbolo dei beni
patrimoniali) in cui Saikaku ⷏㢬 narra trenta episodi di gente arricchita o impoverita,
dichiarando: « In questo mondo non c’è niente di più interessante dei soldi » (Yo ni zeni
hodo omoshiroki mono wa nashi. ਎ߦ㌛⒟㕙⊕߈‛ߪߥߒ1757).

1749 I/hara/ Sai/kaku ੗ 252/1193 ේ 132/136 ⷏ 167/72 㢬 1120/2277


1750 Matsu/o/ Ba/shŇ ᧻ 215/696 የ 675/1868 ⧊ non reg./non reg.⭈ non reg./non reg.
1751 Chika/matsu/ Mon/za/e/mon ㄭ 127/445 ᧻ 215/696 㐷 385/161 Ꮐ 477/75 ⴡ 394/815 㐷 385/161
1752 kŇ/shoku/mono ᅢ 308/104 ⦡ 326/204 ‛ 126/79
1753 chŇ/nin/mono ↸ 114/182 ੱ 9/1 ‛ 126/79
1754 yş/ri ㆆ 728/1003 ㉿ 1077/142
1755 KŇ/shoku/ ichi/dai/otoko 䇺ᅢ 308/104 ⦡ 326/204 ৻ 4/2 ઍ 68/256 ↵ 228/101䇻
1756 Nip/pon/ ei/tai/gura 䇺ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ᳗ 690/1207 ઍ 68/256 ⬿ 429/1286䇻
1757 Yo/ ni/ zeni/ ho/do/ omo/shiro/ki/ mono/ wa/ na/shi. ਎ 152/252 ߦ㌛ 1097/648 ⒟ 530/417

㕙 165/274 ⊕ 266/205 ߈‛ 126/79 ߪߥߒ

244
 Il KŇshoku ichidaiotoko 䇺ᅢ⦡৻ઍ↵䇻, specchio della vita ideale dei chŇnin ↸ੱ, è
la prima opera letteraria, degna di tale nome, scritta e letta dalla classe borghese stessa e
che diede origine ad un nuovo genere chiamato ukiyozŇshi (ᶋ਎⨲ሶ1758; zŇshi ⨲ሶ
fascicolo) caratterizzato dal realismo con cui sono descritti gli aspetti edonistici e gli usi
e costumi dei chŇnin ↸ੱ.
 < Ukiyo > Il termine ukiyo (ᶋ਎ lett. mondo a galla, it. mondo fluttuante) di uso
frequente quando si parla della cultura dei chŇnin ↸ੱ, significa qualcosa come vita e
costumi goderecci, e non di rado anche licenziosi, del mondo corrente dei chŇnin ↸ੱ.
La parola yo (਎ lett. questo mondo) citata poco innanzi è usata da Saikaku ⷏㢬
proprio in tale senso. Ukiyo ᶋ਎ e yo ਎ sono, infatti, sinonimici.

SOMMARIO DEL KņSHOKU ICHIDAI OTOKO

Yonosuke ਎ ਯ ੺ 1759 , figlio nato da una nota intrattenitrice (yşjo ㆆ ᅚ 1760 it.
[solitamente] prostituta) d’un quartiere di piacere e da un ricco commerciante del Kamigata
਄ᣇ, sa che cos’è l’amore già a soli 7 anni e in una notte d’estate amoreggia con una donna
di servizio di casa sua.
A 8 anni, innamoratosi di una cugina di ben 10 anni maggiore di lui, le manda una lettera
d’amore fatta scrivere dal maestro di scrittura. Man mano che cresce, allarga la sua sfera
d’azione; allaccia rapporti con intrattenitrici, serventi di bagno pubblico, vedove e così via.
A 19 anni, nominato direttore della filiale di Edo ᳯᚭ, va in quella città, ma a causa della
vita troppo sfrenata viene ripudiato dal padre. Comincia così per lui un lungo periodo di
vagabondaggio, durante il quale conosce la necessità di guadagnarsi da vivere, ma non
dimentica mai il suo dongiovannismo (kŇshoku ᅢ⦡). Persino quando finisce in carcere,
instaura approcci con una detenuta nella cella accanto.
Dopo avere vagabondato per 15 anni fino all’età di 33, Yonosuke ਎ਯ੺ è ora un uomo
mirabilmente navigato (sui ☴1761 ψ§50) in fatto d’amore.
A 34 anni apprende che il padre è morto e gli ha lasciato in eredità una somma tanto
ingente da non poter essere spesa neanche in una lunga vita. Inizia allora una vita esemplare
da esperto del sui ☴ con le intrattenitrici di prim’ordine delle tre città di Edo ᳯᚭ, KyŇto
੩ㇺ e ņsaka ᄢဈ.
A 60 anni Yonosuke ਎ਯ੺ ha ormai visitato tutti i quartieri di piacere dell’intero
Giappone. Fino a quel momento ha avuto a che fare con 3.742 donne. Nasconde in una
località di KyŇto ੩ㇺ una forte somma rimastagli e con alcuni amici fa costruire una nave
cui dà il nome di affari libertini. Salpa diretto ad un’isola che si dice essere abitata da sole
donne, poi, da quel momento, non si sa più nulla di lui.

1758 uki/yo/zŇ/shi ᶋ 1047/938 ਎ 152/252 ⨲ 705/249 ሶ 56/103


1759 Yo/no/suke ਎ 152/252 ਯ 697/2004 ੺ 666/453
1760 yş/jo ㆆ 728/1003 ᅚ 178/102
1761 sui ☴ 1537/1708

245
 < Sui > A proposito dell’ukiyozŇshi ᶋ਎⨲ሶ, specie del KŇshoku ichidaiotoko 䇺ᅢ
⦡৻ઍ↵䇻, si parla del sui ☴.
 Si tratta d’un senso estetico spirituale ritenuto indispensabile per i divertimenti
piacevoli con le intrattenitrici (yşjo ㆆᅚ). Per sui ☴ s’intendevano, cioè, certi compor-
tamenti ed atteggiamenti comprensivi di chi aveva non soltanto una buona cultura ed
educazione, ma anche una buona conoscenza degli usi e costumi dei quartieri yşri ㆆ㉿,
tale da permettere di trovarvisi sempre in consonanza. Erano fattori contrari al sui ☴
la riluttanza a spendere, il lasciarsi trasportare sfrenatamente, il cercare di monopoliz-
zare una determinata intrattenitrice ecc. Il sui ☴ possiede un che di comune con il
mono no aware (‛ߩຟࠇ1762 ψ§22, §53).

BASHņ E Durante l’era Genroku (Genroku jidai ర ⑍ ᤨ ઍ 1688-1704) si


HAIKAI affermò per merito di Matsuo BashŇ (᧻የ⧊⭈ 1644-1694) un nuovo
genere poetico di soli 17 haku (ᜉ1763 ψ§11; termine di solito usato: onsetsu 㖸▵1764
sillabe o on 㖸 suoni) che insieme con il tanka ⍴᱌ 1765 di 31 haku (5-7-5-7-7)
rappresenta la versificazione tradizionale giapponese.
 Dapprima si vedrà sommariamente come si originò.
 Altrove si è già parlato del renga ㅪ᱌1766, ossia della poesia a catena (ψ§34). Dopo
la morte di SŇgi ቬ␧ sorse, accanto al renga ㅪ᱌ vero e proprio, un altro genere di
renga ㅪ᱌ di natura diversa che per esigenza di differenziazione venne chiamato haikai
no renga (େ⺽ߩㅪ᱌1767 lett. renga spiritoso e umoristico) e in abbreviazione sem-
plicemente haikai (େ⺽ lett. umorismo, arguzia, facezia).
 Intervenne, inoltre, un fenomeno singolare: la prima strofa di tre versi (5-7-5) dello
haikai no renga େ⺽ߩㅪ᱌ si rese suscettibile di staccarsi da tutto il resto, venendo
così a costituire una poesia a sé, brevissima, come si è detto qui sopra, di 17 haku ᜉ.
Oggi questo segmento (5-7-5) si chiama haiku େฏ1768, ma nel periodo Edo (Edo jidai
ᳯᚭᤨઍ) veniva chiamato hokku (⊒ฏ1769 strofa iniziale) e dopo BashŇ ⧊⭈ anche
haikai େ⺽. Il merito di BashŇ ⧊⭈ sta nell’aver elevato lo haikai umoristico (haikai

1762 mo/no/ no/ awa/re ‛ 126/79 ߩຟ 1670/1675[ࠇ]


1763 haku ᜉ 1529/1178
1764 on/setsu 㖸 402/347 ▵ 731/464
1765 tan/ka ⍴ 789/215 ᱌ 478/392
1766 ren/ga ㅪ 87/440 ᱌ 478/392
1767 hai/kai/ no/ ren/ga େ 1280/1035 ⺽ non reg./non reg.ߩㅪ 87/440 ᱌ 478/392
1768 hai/ku େ 1280/1035 ฏ 1258/337
1769 hok/ku ⊒ 43/96 ฏ 1258/337

246
no renga େ⺽ߩㅪ᱌) ad un livello artistico.
 BashŇ ⧊⭈ visse una vita di viaggi, lasciandone diversi diari considerati capolavori,
fra cui Oku no hosomichi (䇺ᅏߩ⚦㆏䇻1770 it. Lo stretto sentiero verso il profondo nord, opera
postuma del 1702) che racconta il suo lungo viaggio del 1689 per le regioni oggi
chiamate TŇhoku (TŇhoku chihŇ ᧲ർ࿾ᣇ1771 ψcarta 1) e Hokuriku (Hokuriku chihŇ
ർ㒽࿾ᣇ1772 ψcarta 1; Hokuriku ർ㒽). È detto che durante questo viaggio giun-
gesse alla convinzione che i suoi predecessori (ossia, SaigyŇ ⷏ⴕ1773 poeta errante del
waka ๺᱌1774, 1118-1190; SŇghi ቬ␧1775 ψ§34; Sesshş 㔐⥱1776 ψ§36; Rikyş ೑
ભ1777 ψ§47), ciascuno di un campo artistico diverso da quelli degli altri, avevano
cercato una sola cosa comune a tutte le attività artistiche, e che questa sola cosa doveva
apparire in veste nuova a seconda dei tempi, pensiero denominato fueki ryşkŇ (ਇᤃᵹ
ⴕ1778; fueki ਇᤃ non mutamento, immutabalità; ryşkŇ ᵹⴕ moda corrente, voga)
che costituì la base dell’attività artistica di BashŇ ⧊⭈.
 BashŇ ⧊⭈ prese l’indirizzo opposto alla forte tendenza realistica ed edonistica
della cultura del tempo e si avvicinò al mondo spirituale squisitamente medievale.

ٟ Può intervenire facilmente qualche confusione terminologica. La causa sta nel


termine haikai େ⺽ che viene usato in riferimento a due cose diverse. A questo
proposito sarà bene tener presente:

haikai no renga େ⺽ߩㅪ᱌


[5-7-5]-[7-7]-[5-7-5]-[7-7]- ̖̖ haikai (abbr. di haika no renga)
renku (ㅪฏ1779in opposizione allo haiku)
hokku ⊒ฏ
(dopo BashŇ anche) haikai େ⺽
(dopo Masaoka Shiki [1867-1902 ψ§68]) haiku େฏ

Oggi il termine haikai େ⺽ è di uso accademico. Se non si tratta di

1770 Oku/ no/ hoso/michi 䇺ᅏ 878/476 ߩ⚦ 721/695 ㆏ 129/149䇻


1771 TŇ/hoku/ chi/hŇ ᧲ 11/71 ർ 103/73 ࿾ 40/118 ᣇ 28/70
1772 Hoku/riku/ chi/hŇ ർ 103/73 㒽 651/647 ࿾ 40/118 ᣇ 28/70
1773 Sai/gyŇ ⷏ 167/72 ⴕ 31/68
1774 wa/ka ๺ 151/124 ᱌ 478/392
1775 SŇ/ghi ቬ 1023/616 ␧ non reg./non reg.
1776 Ses/shş 㔐 907/949 ⥱ 1334/1094
1777 Ri/kyş ೑ 219/329 ભ 583/60
1778 fu/eki/ ryş/kŇ ਇ 134/94 ᤃ 810/759 ᵹ 296/247 ⴕ 31/68

247
dissertazioni scientifiche, è decisamente meglio usare la parola haiku େฏ.
Occorre un’altra precisazione: la frase « si affermò un nuovo genere poetico di
soli 17 haku ᜉ » non significa che nell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ la prima strofa di tre
versi (5-7-5) dello haikai (no renga) େ⺽䋨ߩㅪ᱌䋩 avesse cominciato ad essere
composta sempre indipendentemente da tutto il resto. Anzi, il più delle volte essa
fu letteralmente la strofa iniziale (hokku ⊒ฏ). In altre parole lo schema di 5-7-5
non era ancora del tutto indipendente. Per la sua perfetta autonomia si doveva
attendere Masaoka Shiki ᱜጟሶⷙ1780.

 ‫ޣ‬CHE COSA È LO HAIKU ?‫ޤ‬Se ne riporta un esempio, forse il più noto:

ฎᳰ1781߿ⰶ1782㘧1783߮ߎ߻᳓1784ߩ㖸1785 ⧊⭈
Furuike ya / kawazu tobikomu / mizu no oto BashŇ
[Vecchio stagno... È saltata dentro una rana. Rumor d’acqua.]

 Nell’età moderna e contemporanea sono sorte diverse correnti haikiste, non di rado
incompatibili fra di loro (ψ§68, §77), ma per la stragrande maggioranza dei giapponesi
d’oggi uno haiku େฏ, per essere tale, deve soddisfare i seguenti requisiti:

Ԙ Lo haiku େฏ è un genere lirico composto di tre versi secondo lo schema di


5-7-5 per un totale di 17 haku ᜉ.

Nell’esempio citato i tre versi sono:


߰ (fu) ࠆ (ru) ޿ (i) ߌ (ke) ߿ (ya) 5 haku
߆ (ka) ࠊ (wa) ߕ (zu) ߣ (to) ߮ (bi) ߎ (ko) ߻ (mu) 7 haku
ߺ (mi) ߕ (zu) ߩ (no) ߅ (o) ߣ (to) 5 haku

1779 ren/ku ㅪ 87/440 ฏ 1258/337


1780 Masa/oka/ Shi/ki ᱜ 109/275 ጟ 370/non reg.ሶ 56/103 ⷙ 488/607
1781 furu/ike ฎ 373/172 ᳰ 548/119
1782 kawazu ⰶ non reg./non reg.
1783 to/bi/ko/mu 㘧 440/530 ߮ߎ߻ (giapp. moderno: id.)
1784 mi/zu ᳓ 144/21
1785 oto 㖸 402/347

248
ԙ In uno haiku େฏ c’è sempre una (e una sola) parola che designa una delle
quattro stagioni. Tali parole si chiamano kigo (ቄ⺆1786 lett. parola stagionale) o
anche kidai (ቄ㗴 lett. tema stagionale).
Nella citata poesia di BashŇ ⧊⭈ il kigo ቄ⺆ è kawazu (ⰶ rana) che si
riferisce alla primavera. Oltre alle parole ed espressioni quali harukaze (ᤐ㘑1787
vento primaverile), yuku haru (ⴕߊᤐ primavera che se ne va) e simili che, per
motivi chiari di per sé, sono kigo ቄ⺆ della primavera, lo sono anche quelle
parole che designano
(a) cose che in primavera si notano nel mondo della natura quali sakura (᪉
1788 fiori di ciliegio), chŇ (Ⲕ1789 farfalle), tubame (ῆ1790 rondini), kasumi (㔰1791

foschie), nadare (㔐፣1792 valanghe), kawazu ⰶ per l’appunto ecc., e


(b) usi e costumi, fenomeni e ricorrenze che hanno a che fare con la
primavera, quali chatsumi (⨥៰1793 raccolta di foglie del té), shunmin (ᤐ⌁1794
sonnolenza primaverile), nyşgakushiki ( ౉ ቇ ᑼ 1795 [in Giappone l’anno
scolastico inizia in aprile] cerimonia d’apertura scolastica) ecc.
I criteri (a) e (b) si applicano anche alle altre tre stagioni. Ci sono poi kigo ቄ
⺆ la cui appartenenza è stabilita convenzionalmente.
Esistono dizionari classificatori di kigo ቄ⺆, chiamati haikai saijiki େ⺽ᱦᤨ
⸥1796 o a volte semplicemente saijiki ᱦᤨ⸥.

ٟ Il raggruppamento dei kigo ቄ⺆ per stagioni viene operato secondo il


calendario cosiddetto inreki (㒶ᥲ1797 lett. calendario lunare, e più precisamente
calendario basato fondamentalmente sul movimento della luna, tenuto conto se-

1786 ki/go ቄ 871/465 ⺆ 274/67, ki/dai ቄ 871/465 㗴 123/354


1787 haru/kaze ᤐ 461/460 㘑 246/29
1788 sakura ᪉ 1121/928
1789 chŇ Ⲕ non reg./non reg.
1790 tubame ῆ non reg./non reg.
1791 kasumi 㔰 1530/2261
1792 nadare 㔐 907/949 ፣ 1700/1122
1793 cha/tsumi ⨥ 805/251 ៰ 1065/1447
1794 shun/min ᤐ 461/460 ⌁ 1298/849
1795 nyş/gaku/shiki ౉ 74/52 ቇ 33/109 ᑼ 185/525
1796 hai/kai/ sai/ji/ki େ 1280/1035 ⺽ non reg./non reg.ᱦ 550/479 ᤨ 19/42 ⸥ 147/371
1797 in/reki 㒶 1408/867 ᥲ 1793/1534, kyş/reki ᣥ 808/1216 ᥲ 1793/1534
1798 Mei/ji/ go/nen ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ੖ 14/7 ᐕ 3/45
1799 tai/yŇ/reki ᄥ 343/629 㓁 990/630 ᥲ 1793/1534, shin/reki ᣂ 36/174 ᥲ 1793/1534

249
condariamente anche di quello del sole; detto anche kyşreki [ᣥᥲ lett. vecchio
calendario]).
Con l’occasione si segnala che in Giappone il 3 dicembre 1872 (5° anno Meiji
[Meiji gonen ᣿ᴦ੖ᐕ 1798 ] ψ§56) il calendario lunare (inreki 㒶ᥲ ) venne
sostituito con il calendario solare (taiyŇreki ᄥ㓁ᥲ1799 detto anche shinreki ᣂᥲ
lett. nuovo calendario) in modo che detta data del vecchio sistema coincidesse con
il 1° gennaio 1873 secondo il calendario gregoriano. Tra i due sistemi di datazione
c’è quindi una discordanza di circa un mese.

I kigo ቄ⺆ svolgono un ruolo fondamentale: se lo haiku େฏ può essere


una forma lirica malgrado la sua brevità eccezionale, lo si deve per una buona
parte alla funzione associativo-suggestiva dei kigo ቄ ⺆ che racchiudono
immagini comuni ai giapponesi.

Ԛ Nello haiku େฏ è usata di solito un’apposita tecnica per concludere netta-


mente il significato con uno dei tre versi. L’ultima parola che sta in fondo al
verso con cui si conclude il significato si chiama kireji (ಾሼ1800 lett. parola che
taglia). Il kireji ಾሼ, quindi, può essere qualsiasi parola, ma in pratica si
riferisce a ya ߿ e kana ߆ߥ, in quanto questi due sono di uso frequente. In
fondo al primo verso dello haiku େฏ sopraccitato è presente ya ߿.
I kireji ಾሼ, che con la loro forza espressiva e pregnante danno risalto alla
parola che si trova immediatamente prima, servono a richiamare alla mente dei
lettori varie immagini attinenti alla parola cui sono posposti. La loro funzione è
quindi essenzialmente uguale a quella dei kigo ቄ⺆.

 In conclusione, lo haiku େฏ è una forma poetica soggetta allo schema di 5-7-5 e


dotata di meccanismi di associazione-suggestione in virtù dei quali (e qualora ci sia una
preparazione adeguata da parte dei lettori) riesce a creare con soli 17 haku ᜉ un
mondo tridimensionale estensibile all’infinito. A questo riguardo, Donald Keene
(1922- ), studioso autorevole della letteratura giapponese, dice: « Si gonfiano (si
espandono) le immagini ».
 < Sabi > All’essenza dello haikai େ⺽ di BashŇ ⧊⭈ si suol fare riferimento
con alcuni termini, tra cui sabi ኎1801. A questo riguardo si tenga presente che il sabi ኎
è un altro modo di dire wabi (ଌ1802 ψ§47). Vale a dire che sabi ኎ e wabi ଌ sono

1800 kire/ji ಾ 204/39 ሼ 612/110


1801 sabi ኎ 1871/1669
1802 wabi ଌ non reg./non reg.

250
sinonimi. L’unica differenza sta nel fatto che in letteratura si usa il termine sabi ኎ e a
proposito del wabicha ଌ⨥1803 wabi ଌ. Di conseguenza quanto abbiamo già detto
circa il wabi ଌ vale per il sabi ኎.
 In breve, il sabi ኎ si riferisce al valore positivo di ciò che appare di valore negativo.
A dirlo con le parole di BashŇ ⧊⭈, ‘bisogna nobilitare il proprio animo e tornare a
poetare su cose della vita quotidiana, servendosi di parole di tutti i giorni’. Significa che
ciò che viene espresso nello haikai େ⺽ ha bisogno di essere l’espressione di un animo
nobile, però gli argomenti devono essere dell’ambito della vita di tutti i giorni di
qualsiasi persona e le parole da usare devono essere quelle facili e familiari che si usano
ugualmente nella vita di tutti i giorni; in altri termini lo haikai େ⺽ deve imperniarsi
sulla vita quotidiana e le parole da utilizzare non devono essere né ricercate né di
categorie speciali (= negazione, ossia prevalenza dell’elemento popolare), ma gli
argomenti banali e le parole semplici e disadorne d’uso giornaliero devono racchiudere
o adombrare ispirazioni di un animo elevato (= elemento negato che risorge appunto
per negazione).

§51. Letteratura della cultura Kasei

 La letteratura, prodotta principalmente ad Edo ᳯᚭ, della cultura Kasei (Kasei


bunka ൻ᡽ᢥൻ1804) viene chiamata solitamente letteratura Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥ
ቇ) in opposizione alla letteratura Kamigata (Kamigata bungaku ਄ᣇᢥቇ1805 ψ§50),
mentre l’intera letteratura dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ si suol chiamare letteratura kinsei
(kinsei bungaku ㄭ਎ᢥቇ1806; kinsei ㄭ਎ ψ§39) oppure a volte anche letteratura del
periodo Edo (Edo jidai no bungaku ᳯᚭᤨઍߩᢥቇ) per distinguerla dalla letteratura
di Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ). Abbiamo quindi le seguenti equazioni:

㧩 LETTERATURA DEL PERIODO EDO


LETTERATURA KINSEI (Edo jidai no bungaku ᳯᚭᤨઍߩᢥቇ)
(kinsei bungaku ㄭ਎ᢥቇ)
㧩 LETT. KAMIGATA 㧗 LETT. EDO
(Kamigata bungaku ਄ᣇᢥቇ) (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ)

1803 wabi/cha ଌ non reg./non reg.⨥ 805/251


1804 Ka/sei/ bun/ka ൻ 100/254 ᡽ 50/483 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
1805 Kami/gata/ bun/gaku ਄ 21/32 ᣇ 28/70 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
1806 kin/sei/ bun/gaku ㄭ 127/445 ਎ 152/252 ᢥ 136/111 ቇ 33/109

251
NARRATIVA Ad eccezione delle opere facenti parte del filone ukiyozŇshi ᶋ਎⨲ሶ
dell’era Genroku (Genroku jidai ర⑍ᤨઍ1808), in generale la
1807

narrativa della letteratura kinsei (kinsei bungaku ㄭ਎ᢥቇ), detta nel suo insieme gesaku
(ᚨ૞1809 lett. opere per passatempo), fu priva di originalità ed inoltre caratterizzata da
una tale grottesca decadenza da incorrere nella censura severa del bakufu ᐀ᐭ. Così, la
cultura Kasei (Kasei bunka ൻ᡽ᢥൻ), malgrado una produzione tanto fertile, non
diede opere letterarie che non temessero confronto con il Genji monogatari (䇺Ḯ᳁‛⺆䇻
1810 ψ§22), lo Heike monogatari (䇺ᐔኅ‛⺆䇻 1811 ψ§34) o la letteratura realistica

ukiyozŇshi ᶋ਎⨲ሶ di Saikaku ⷏㢬.

Letteratura del periodo EDO ᳯᚭᤨઍߩᢥቇ


era MEIJI
Letteratura del Kamigata Letteratura di Edo ᣿ᴦᤨઍ
਄ ᣇ ᢥ ቇ ᳯ ᚭ ᢥ ቇ

GESAKU ᚨ ૞

yomihon
⺒ᧄ

kanazǀshi ukiyozǀshi kokkeibon


઒ฬ⨲ሶ ᶋ਎⨲ሶ ṖⓀᧄ
sharebon Continua alla
ᵜ⪭ᧄ letteratura ge-
ninjǀbon
saku dei pri-
ੱᖱᧄ
REPRESSIONE mi anni Mei-
rifor. Kansei
ji.
REPRESSIONE
rifor. Tenpǀ
akahon
⿒ᧄ
kusazǀshi kurohon kibyǀshi gǀkan
⨲෺⚕ 㤥ᧄ 㤛⴫⚕ วᏎ
aohon
㕍ᧄ

1807 uki/yo/zŇ/shi ᶋ 1047/938 ਎ 152/252 ⨲ 705/249 ሶ 56/103


1808 Gen/roku/ ji/dai ర 328/137 ⑍ non reg./non reg.ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1809 ge/saku ᚨ 1632/1573 ૞ 99/360
1810 Gen/ji/ mono/gatari 䇺Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻
1811 Hei/ke/ mono/gatari 䇺ᐔ 143/202 ኅ 81/165 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻

252
 ‫ޣ‬PANORAMA DELLE EVOLUZIONI DEL GESAKU ‫ޤ‬Le ramificazioni del
gesaku ᚨ૞ sono assai complesse. Qualora si affrontino opere che trattano diffusa-
mente la letteratura kinsei (kinsei bungaku ㄭ਎ᢥቇ), la rappresentazione delle relative
diramazioni riportata alla pagina precedente potrà essere di aiuto per capirne meglio
l’evoluzione.
 ‫ޣ‬GLI SCRITTORI (DETTI SPECIFICAMENTE GESAKUSHA ᚨ૞⠪1812)
PRINCIPALI DELLA LETTERATURA GESAKU ‫ޤ‬

x sharebon (ᵜ⪭ᧄ1813 lett. libri piacevoli):


SantŇ KyŇden (ጊ᧲੩વ1814 1761-1816)
x kokkeibon (ṖⓀᧄ1815 lett. libri di umorismo):
Jippensha Ikku (ච㄰⥢৻਻1816 1765-1831)
Shikitei Sanba (ᑼ੪ਃ㚍1817 1776-1822)
x ninjŇbon (ੱᖱᧄ1818 lett. libri di sentimento d’amore):
Tamenaga Shunsui (ὑ᳗ᤐ᳓1819 1790-1843)
x kibyŇshi (㤛⴫⚕1820 lett. libri dalla copertina gialla):
Koikawa Harumachi (ᕜᎹᤐ↸1821 1744-1789)
x yomihon (detto anche yomibon ⺒ᧄ1822 lett. libri per lettura):
Ueda Akinari (਄↰⑺ᚑ1823 1734-1809)
Takizawa Bakin (Ṛᴛ㚍ℙ1824 1767-1848)

 Si presume che verso la fine del XVIII secolo fra Edo ᳯᚭ e ņsaka ᄢဈ esi-
stessero 800-900 biblioteche a pagamento su un totale di circa un milione e mezzo di
abitanti. Inoltre, vennero alla ribalta nuovi scrittori che riuscivano a guadagnarsi da

1812 ge/saku/sha ᚨ 1632/1573 ૞ 99/360 ⠪ 22/164


1813 share/bon ᵜ non reg./non reg.⪭ 393/839 ᧄ 15/25
1814 San/tŇ/ KyŇ/den ጊ 60/34 ᧲ 11/71 ੩ 16/189 વ 494/434
1815 kok/kei/bon Ṗ 1468/1267 Ⓚ non reg./non reg.ᧄ 15/25
1816 Jip/pen/sha/ Ik/ku ච 5/12 ㄰ 586/442 ⥢ 1056/791 ৻ 4/2 ਻ 58/11
1817 Shiki/tei/ San/ba ᑼ 185/525 ੪ 1496/1184 ਃ 10/4 㚍 512/283
1818 nin/jŇ/bon ੱ 9/1 ᖱ 286/209 ᧄ 15/25
1819 Tame/naga/ Shun/sui ὑ 1137/1484 ᳗ 690/1207 ᤐ 461/460 ᳓ 144/21
1820 ki/byŇ/shi 㤛 1063/780 ⴫ 124/272 ⚕ 501/180
1821 Koi/kawa/ Haru/machi ᕜ 1123/258 Ꮉ 111/33 ᤐ 461/460 ↸ 114/182
1822 yomi/hon ⺒ 484/244 ᧄ 15/25
1823 Ue/da/ Aki/nari ਄ 21/32 ↰ 24/35 ⑺ 540/462 ᚑ 115/261

253
vivere solo con la penna. È da dire che l’amore dei giapponesi per la lettura era molto
alto, (come lo è, del resto, a tutt’oggi).

GENERI ‫ ޣ‬WAKA E HAIKAI ‫ ޤ‬Al pari della narrativa anche i versi erano
POETICI qualitativamente in declino a dispetto dell’aumento numerico di coloro che
poetavano.
 Nel campo dello haikai େ⺽, tuttavia, sono degni di menzione due nomi: Yosa
Buson ( ਈ ⻢ ⭢ ᧛ 1825 1716-1783), haikista-pittore, che compose haikai େ ⺽
pittoreschi e Kobayashi Issa (ዊᨋ৻⨥1826 1763-1827) che espresse sentimenti uma-
nitari.

⩿1827ߩ⧎߿᦬1828ߪ᧲1829ߦᣣ1830ߪ⷏1831ߦ ⭢᧛
Nanohana ya / tsuki wa higashi ni / hi wa nishi ni Buson
[Fiori di colza. La luna a est, il sole a ovest.]
(kidai ቄ㗴: nanohana ⩿ߩ⧎ fiori di colza: primavera)

∳1832ⰶ1833߹ߌࠆߥ৻⨥ᤚ1834ߦ᦭1835ࠅ ৻⨥
Yasegaeru / Makeruna Issa / kore ni ari Issa
[Rana magra ! Non ti lasciare vincere. Issa è qui, dalla parte tua !]
(kidai ቄ㗴: kaeru ⰶ rana: primavera)

1824 Taki/zawa/ Ba/kin Ṛ 1285/1759 ᴛ 403/994 㚍 512/283 ℙ 1486/1251


1825 Yo/sa/ Bu/son ਈ 485/539 ⻢ 1162/901 ⭢ non reg./non reg.᧛ 210/191
1826 Ko/bayashi/ Is/sa ዊ 63/27 ᨋ 420/127 ৻ 4/2 ⨥ 805/251
1827 na/no/hana ⩿ 1108/931 ߩ⧎ 551/255
1828 tsuki ᦬ 26/17
1829 higashi ᧲ 11/71
1830 hi ᣣ 1/5
1831 nishi ⷏ 167/72
1832 ya/su ∳ non reg./non reg.ߔ (giapp. moderno: ya/se/ru ∳ non reg./non reg.ߖࠆ)
1833 kaeru ⰶ non reg./non reg.
1834 kore ᤚ 1404/1591
1835 a/ri ᦭ 268/265 ࠅ (giapp. moderno: a/ru ޽ࠆ)

254
ᚒ1836ߣ᧪1837ߡㆆ1838ߴ߿ⷫ1839ߩߥ޿㓴1840 ৻⨥
Ware to kite / asobe ya oya no / nai suzume Issa
[Vieni a giocare con me, o passero orfano!]
(kidai ቄ㗴: suzume 㓴 passero: primavera)

 ‫ޣ‬SENRYŞ ‫ޤ‬Di poesia della cultura Kasei (Kasei bunka ൻ᡽ᢥൻ), ce n’era un
genere formalmente identico allo haikai (େ⺽ ossia, 5-7-5), ma da distinguere da
questo sia dal punto di vista dell’origine che sotto l’aspetto del contenuto. Chiamato
senryş Ꮉᩉ1841, andava assai in voga fra la gente comune.
 In origine era un esercizio di composizione poetica consistente nell’anteporre una
strofa ( 5-7-5) davanti a un’altra ( 7-7) precedentemente assegnata in modo da costituire
una poesia a forma di waka (๺᱌ 5-7-5-7-7). La strofa da anteporre e quella
precedentemente data si chiamavano rispettivamente tsukeku (ઃฏ1842 lett. strofa in
aggiunta) e maeku (೨ฏ1843 lett. strofa precedente, strofa di prima).
 Per esempio, si assegna come maeku ೨ฏ:

ᢾ1844ࠅߚߊ߽޽ࠅᢾࠅߚߊ߽ߥߒ
Kiritaku mo ari / kiritaku mo nashi ( 7-7)
[Non so se sia il caso di ucciderlo o no con un colpo di spada].

e qualcuno lo fa precedere dal seguente tsukeku ઃฏ:

ߧߔੱࠍߣࠄ߳ߡߺࠇ߫ࠊ߇ሶ1845ߥࠅ
Nusubito o / toraete mireba / waga ko nari ( 5-7-5)

1836 ware ᚒ 1392/1302


1837 ku ᧪ 113/69 (giapp. moderno: ku/ru ᧪ 113/69 ࠆ)
1838 aso/bu ㆆ 728/1003 ߱ (giapp. moderno: id.)
1839 oya ⷫ 381/175
1840 suzume 㓴 non reg./non reg.
1841 sen/ryş Ꮉ 111/33 ᩉ 1104/1871
1842 tsuke/ku ઃ 251/192 ฏ 1258/337
1843 mae/ku ೨ 38/47 ฏ 1258/337
1844 ki/ru ᢾ non reg./non reg.ࠆ (giapp. moderno: id.)
1845 ko ሶ 56/103

255
[Ho catturato un ladro e ho saputo che si tratta di mio figlio].

Si ha così questa poesia divertente:

Ho catturato un ladro e ho saputo che si tratta di mio figlio.


Non so se sia il caso di ucciderlo o no con un colpo di spada.

 Successe poi che si cominciasse a indire concorsi pubblici di tsukeku ઃฏ a premi.


L’arbitro selezionatore (tenja ὐ⠪1846 lett. persona che dà un voto) più autorevole fu
Karai Senryş (ᨩ੗Ꮉᩉ1847 1718-1790), motivo per cui col tempo lo tsukeku ઃฏ
andò via via prendendo il nome di senryş Ꮉᩉ.
 In prosieguo il senryş Ꮉᩉ cominciò ad essere composto come poesia a sé stante.
A questo punto, formalmente non si distingueva più dallo haikai େ⺽, se non sotto
l’aspetto del contenuto, in quanto il senryş Ꮉᩉ era (ed è) libero dalle restrizioni di kigo
ቄ⺆ e kireji (ಾሼ ψ§50) e la sua vera essenza era (ed è) qualcosa di umoristico,
spiritoso, arguto, satirico, ironico e simili. Vuoi qualitativamente, vuoi sotto l’aspetto del
numero di appassionati (si parla di decine di migliaia), il senryş Ꮉᩉ era pienamente
degno di essere considerato ‘poesia di massa’.

 In riferimento alla differenza di caratteri dei tre eroi del kinsei ㄭ ਎ , cioè
l’impazienza di Nobunaga ା㐳, la volontà ferrea e lo sforzo di Hideyoshi ⑲ศ, e la
pazienza e l’abilità da vecchio volpone di Ieyasu ኅᐽ ci sono stati tramandati i
seguenti senryş Ꮉᩉ, eventualmente tsukeku ઃฏ o comunque versi faceti (zareuta ᚨ
᱌1848):

x 㡆1849߆ߧߥࠄᲕ1850ߒߡߒ߹߳߶ߣߣ߉ߔ (In riferimento a Nobunaga ା㐳)


Nakanu nara / koroshite shimae / hototogisu
[I cuculi, se non cantano, li ammazzo].

1846 ten/ja ὐ 141/169 ⠪ 22/164


1847 Kara/i/ Sen/ryş ᨩ 904/985 ੗ 252/1193 Ꮉ 111/33 ᩉ 1104/1871
1848 zare/uta ᚨ 1632/1573 ᱌ 478/392
1849 na/ku 㡆 1186/925 ߊ (giapp. moderno: id.)
1850 koro/su Ვ 546/576 ߔ (giapp. moderno: id.)

256
x 㡆߆ߧߥࠄ㡆߆ߒߡߺߖ߁߶ߣߣ߉ߔ (In riferimento a Hideyoshi ⑲ศ)
Nakanu nara / nakashite miseyŇ / hototogisu
[I cuculi, se non cantano, li faccio cantare].

x 㡆߆ߧߥࠄ㡆ߊ߹ߢᓙ1851ߚ߁߶ߣߣ߉ߔ (In riferimento a Ieyasu ኅᐽ)


Nakanu nara / nakumade matŇ / hototogisu
[I cuculi, se non cantano, aspetterò fino a quando canteranno].

 ‫ޣ‬KYņKA ‫ޤ‬Accanto al senryş Ꮉᩉ (5-7-5) umoristico e satirico, c’era un altro


genere di versi, chiamato kyŇka (⁅᱌1852 lett. poesia pazza), ugualmente di contenuto
faceto e formalmente uguale al waka (๺᱌ 5-7-5-7-7). Un folto numero di intellettuali
se ne occuparono, permettendo al kyŇka ⁅᱌ di dominare per un certo periodo di
tempo la letteratura Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ).
Un paio di esempi:

 ߆ߊ߫߆ࠅ߼ߢߚߊ⷗1853ࠁࠆ਎1854ߩਛࠍ߁ࠄ߿߹ߒߊ߿ߩߙߊ᦬ᓇ1855
 Kaku bakari / medetaku miyuru / yononaka o / urayamashiku ya nozoku / tsukikage
 [La luna spia questo mondo che appare così splendido. Ne sarà invidiosa?]
Autore: ņta Nanpo (ᄢ↰ධ⇔1856 1749-1823)

 ޿ߟߺߡ߽ߐߡ߅⧯1857޿ߣญ‫ޘ‬1858ߦ߶߼ߘ߿ߐࠆࠆᐕ1859ߙߊ߿ߒ߈
 Itsu mitemo / sate owakai to / kuchiguchini / homesoyasaruru /toshi zo kuyashiki
 [Mi complimenta la gente, dicendo, ‘Sei sempre giovane, eh!’. Ciò significa che ho già
una certa età. Povero me!]
Autore: Akera KankŇ (ᧇᭉ▤ᳯ1860 1738-11798)

1851 ma/tsu ᓙ 374/452 ߟ (giapp. moderno: id.)


1852 kyŇ/ka ⁅ 1352/883 ᱌ 478/392
1853 mi/yu ⷗ 48/63 ࠁ (giapp. moderno: mi/e/ru ⷗ 48/63 ߃ࠆ)
1854 yo ਎ 152/252
1855 tsuki/kage ᦬ 26/17 ᓇ 630/854
1856 ņ/ta/ Nan/po ᄢ 7/26 ↰ 24/35 ධ 205/74 ⇔ p.412/1901
1857 waka/i ⧯ 372/544 ޿ (giapp. moderno: id.)
1858 kuchi/guchi/ni ญ 213/54‫ޘ‬174/p.58 ߦ
1859 toshi ᐕ 3/45

257
ٟ La letteratura della seconda metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ è comunemente
giudicata di scarso valore letterario, ma ciò non significa che il ruolo da essa svolto
nell’evoluzione della cultura giapponese sia stato di poco conto. La questione della
sua valutazione fuori del puro ambito letterario-estetico e nell’ottica della storia
della cultura sembra ancora sostanzialmente aperta.

§52. Teatro popolare (ningyŇ jŇruri e kabuki )

CHIKAMATSU E Accanto al teatro nŇ (⢻1861 ψ§35) che nel periodo Edo (Edo
NINGYņ JņRURI jidai ᳯᚭᤨઍ) fu adibito a teatro da cerimonia shogunale, e
come tale non segnò più ulteriori sviluppi, si affermarono due nuove forme di
spettacolo popolare: kabuki ᱌⥰પ 1862 e ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ 1863 . Oggi que-
st’ultimo è meglio noto con il nome di bunraku ᢥᭉ1864 di derivazione dal Bunrakuza
(ᢥᭉᐳ1865 1872-1963; za ᐳ ψ §30), nome di un teatro a ņsaka ᄢဈ e relativa
compagnia del ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ.
 Su tutti i drammaturghi non solo dell’epoca Genroku (Genroku jidai ర⑍ᤨઍ),
ma dell’intero periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) faceva spicco la figura di Chikamatsu
Monzaemon (ㄭ᧻㐷Ꮐⴡ㐷1866 1653-1724). Egli scrisse per ambedue i generi, e
soprattutto per il ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ, combinazione di burattini (ayaturi ningyŇ ᠲ
ࠅੱᒻ1867), storia declamata e musica. La storia declamata al suono dello shamisen ਃ
๧✢ si chiamava appunto jŇruri ᵺℲⅇ e il nome di Takemoto Gidayş (┻ᧄ⟵ᄥᄦ
1868 1651-1714) è noto per il brillante stile di declamazione detto gidayşbushi (⟵ᄥᄦ▵
1869 lett. melodia di Gidayş).

 Se Chikamatsu ㄭ ᧻ lasciò una fama imperitura è perché seppe abilmente


descrivere in uno stile letterariamente elevato e con profonda emozione la tragedia di

1860 Ake/ra/ Kan/kŇ ᧇ 1720/1503 ᭉ 232/358 ▤ 519/328 ᳯ 517/821


1861 nŇ ⢻ 341/386
1862 ka/bu/ki ᱌ 478/392 ⥰ 746/810 પ non reg./non reg.
1863 nin/gyŇ/ jŇ/ru/ri ੱ 9/1 ᒻ 408/395 ᵺ 1559/664 Ⅎ non reg./non reg.ⅇ non reg./non reg.
1864 bun/raku ᢥ 136/111 ᭉ 232/358
1865 Bun/raku/za ᢥ 136/111 ᭉ 232/358 ᐳ 377/786
1866 Chika/matsu/ Mon/za/e/mon ㄭ 127/445 ᧻ 215/696 㐷 385/161 Ꮐ 477/75 ⴡ 394/815 㐷 385/161
1867 ayatu/ri/ nin/gyŇ ᠲ 985/1655 ࠅੱ 9/1 ᒻ 408/395
1868 Take/moto/ Gi/da/yş ┻ 719/129 ᧄ 15/25 ⟵ 287/291 ᄥ 343/629 ᄦ 265/315
1869 gi/da/yş/bushi ⟵ 287/291 ᄥ 343/629 ᄦ 265/315 ▵ 731/464

258
chi, in quella società feudale dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenshakai ᓼᎹኽᑪ␠ળ1870),
istituzionalmente inumana e dalle mille restrizioni, aveva obbedito fino in fondo al
comando del proprio cuore (ninjŇ ੱᖱ1871 lett. sentimenti umani). Il suo nome è par-
ticolarmente legato ai jŇruri ᵺℲⅇ in cui il protagonista fedele ai dettami del ninjŇ ੱ
ᖱ, trovatosi in un vicolo cieco per via dei doveri socio-morali (giri ⟵ℂ1872) a cui non
poteva sottrarsi, non vide altra soluzione che suicidarsi insieme alla sua innamorata: tipo
di suicidio chiamato shinjş (ᔃਛ1873 lett. l’interno del cuore, ossia reciproca dimo-
strazione d’affetto degli innamorati, it. doppio suicidio).

ٟ A proposito dello shinjş ᔃਛ si tenga presente che ciò che costituisce il suo
sfondo è l’ideologia di ‘odiare e lasciare questo mondo sporco’ (onri edo ෤㔌ⓚ࿯
1874) e di ‘vagheggiare la rinascita nella Terra Pura’ (gongu jŇdo ᰵ᳞ᵺ࿯1875) (ψ
§23) dell’amidismo (jŇdokyŇ ᵺ࿯ᢎ1876), per cui, diversamente dalla tradizione
cristiana, il suicidio non viene affatto biasimato moralmente.

 Le pièce in cui Chikamatsu ㄭ᧻ descrisse le tragedie sociali dei chŇnin ↸ੱ sono


chiamate in particolare sewamono (਎⹤‛1877 lett. opere sulla vita quotidiana della gente
comune nella società odierna). La sua tematica era sesso e denaro, e in questo senso il
sewamono ਎⹤‛ di Chikamatsu ㄭ᧻ non differiva dall’ukiyozŇshi ᶋ਎⨲ሶ1878 di
Saikaku ⷏㢬1879, ma diversamente da quest’ultimo, che intratteneva i suoi lettori susci-
tando risate, Chikamatsu ㄭ᧻ strappava lacrime agli spettatori. La sua letteratura è
perciò qualitativamente diversa da quella di Saikaku ⷏㢬.
 Il massimo capolavoro del sewamono ਎⹤‛ scritto per il ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ
è il Sonezaki shinjş (䇺ᦥᩮፒᔃਛ䇻1880 it. Doppio suicidio d’amore a Sonezaki, 1703), fatto
di cronaca veramente accaduto meno di un mese prima della rappresentazione.

1870 Toku/gawa/ hŇ/ken/sha/kai ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ␠ 30/308 ળ 12/158


1871 nin/jŇ ੱ 9/1 ᖱ 286/209
1872 gi/ri ⟵ 287/291 ℂ 95/143
1873 shin/jş ᔃ 139/97 ਛ 13/28
1874 on/ri/ e/do ෤ non reg./non reg.㔌 641/1281 ⓚ non reg./non reg.࿯ 316/24
1875 gon/gu/ jŇ/do ᰵ non reg./non reg.᳞ 332/724 ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24
1876 jŇ/do/kyŇ ᵺ 1559/664 ࿯ 316/24 ᢎ 97/245
1877 se/wa/mono ਎ 152/252 ⹤ 133/238 ‛ 126/79
1878 uki/yo/zŇshi ᶋ 1047/938 ਎ 152/252 ⨲ 705/249 ሶ 56/103
1879 Sai/kaku ⷏ 167/72 㢬 1120/2277
1880 Sone/zaki/ shin/jş 䇺ᦥ 1482/non reg.ᩮ 535/314 ፒ 457/1362 ᔃ 139/97 ਛ 13/28䇻

259
SOMMARIO DEL SONEZAKI SHINJŞ

Tokubē ᓼ౓ⴡ1881 è impiegato (tedai ᚻઍ1882 ψ§41) del negozio Hiranoya ᐔ㊁ደ
1883 a ņsaka ᄢဈ. Il suo proprietario è lo zio che, per tramandare (ψ§41) il nome del
negozio, ha intenzione di adottare Tokubē ᓼ౓ⴡ e fargli sposare una cugina di parte della
moglie. La matrigna di Tokubē ᓼ౓ⴡ, d’accordo, accetta dal padrone di Hiranoya ᐔ㊁ደ
una somma di denaro a titolo di dote. Tokubē ᓼ౓ⴡ, tuttavia, respinge questo matrimonio,
in quanto ha già una ragazza di nome o-Hatsu ߅ೋ1884, intrattenitrice (yşjo ㆆᅚ1885) d’un
quartiere di piacere (yşri ㆆ㉿1886). Ora egli deve restituire il denaro-dote allo zio-padrone,
ma il destino vuole che prima di restituirglielo, lo presti ad un amico. Costui, non solo non
glielo restituisce, ma lo offende pubblicamente, accusandolo di aver creato una falsa prova di
debito. A questo punto, a Tokubē ᓼ౓ⴡ, non più in grado né di restituire il denaro al
padrone-zio, né di riscattarsi dal disonore, non resta che uccidersi con o-Hatsu ߅ೋ che
vuole essergli compagna anche nella morte. I due si tolgono la vita nel bosco di Sonezaki ᦥ
ᩮፒ.

 ‫ޣ‬GIRI vs NINJņ ‫ޤ‬Nelle pubblicazioni che parlano della letteratura kinsei (kinsei
bungaku ㄭ਎ᢥቇ) e, in generale, della cultura giapponese ci si imbatte quasi sempre in
espressioni come questa: giri to ninjŇ no itabasami (⟵ℂߣੱᖱߩ᧼᜽ߺ1887 trovarsi tra
giri e ninjŇ, detto anche giri to ninjŇ no kattŇ ⟵ℂߣੱᖱߩ⪾⮮ lett. conflitti tra giri e
ninjŇ). È un’espressione che presuppone la presenza di una frizione fra i due concetti:
uno (ossia giri ⟵ℂ) che ha a che fare con la società e l’altro (ninjŇ ੱᖱ) strettamente
personale. Li esamineremo un po’ più da civino.
 Il giri (⟵ℂ doveri socio-morali) si riferisce alle norme di condotta socialmente
sancite e da seguire nei confronti della gente con cui si ha a che fare. In altri termini,
usanze o norme consuetudinarie, quindi non codificate, da rispettare nei rapporti
interpersonali, e come tali esistenti in ogni tempo e in ogni società. Ovviamente il suo
contenuto varia a seconda di quanto variano le norme di comportamento in una data
società.
 D’altra parte per ninjŇ (ੱᖱ lett. sentimento umano) s’intende ogni sentimento che

1881 Toku/bē (Toku/be/e) ᓼ 839/1038 ౓ 447/784 ⴡ 394/815


1882 te/dai ᚻ 42/57 ઍ 68/256
1883 Hira/no/ya ᐔ 143/202 ㊁ 85/236 ደ 270/167
1884 o-/Ha/tsu ߅ೋ 261/679
1885 yş/jo ㆆ 728/1003 ᅚ 178/102
1886 yş/ri ㆆ 728/1003 ㉿ 1077/142
1887 gi/ri/ to/ nin/jŇ/ no/ ita/basa/mi (- no/ kat/tŇ) ⟵ 287/291 ℂ 95/143 ߣੱ 9/1 ᖱ 286/209 ߩ

᧼ 709/1047 ᜽ 1923/1354 ߺ (̖ߩ⪾ 1313/non reg.⮮ 206/2231)

260
nasce spontaneamente nell’animo umano (p.es. amore, pietà, gratitudine, rimorso, odio,
tristezza).
 Non è detto che il giri ⟵ℂ entri necessariamente in conflitto con il ninjŇ ੱᖱ,
ma se viene usato in contrapposizione al ninjŇ ੱᖱ, si riferisce ai doveri od obblighi
etico-sociali i quali, pur con tutta l’onerosità, ne esigono ugualmente l’adempimento
sotto pena di una sanzione sociale.
 Nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) la volontà dell’individuo era di solito
compressa sia per via dell’ideologia confuciana, che per la prospettiva d’una sicura e
severissima sanzione, consistente in una emarginazione detta murahachibu (᧛౎ಽ1888
esclusione dalla vita della collettività salvo occasioni di funerale e incendio). Difatti tale
emarginazione sociale quasi integrale rendeva estremamente difficile l’esistenza per via
della scarsa possibilità di cambiamento del luogo di residenza.
 Ispirato dalla cronaca, Chikamatsu ㄭ ᧻ andò controcorrente. Malgrado la
definizione consueta di tragedia, il Sonezaki shinjş 䇺ᦥᩮፒᔃਛ䇻 ed altri jŇruri ᵺℲ
ⅇ del genere sewamono ਎⹤‛ sono opere in cui fu esaltata la vittoria del ninjŇ ੱᖱ
sul giri ⟵ℂ.

ٟ Ancora oggi i comportamenti dei giapponesi, specie quelli della gente di


campagna, sono dominati notevolmente dalla coscienza del giri ⟵ℂ. Le condotte
egocentriche che si basano su ‘Io faccio come mi pare’ vengono presto o tardi
socialmente punite (p.es. rottura dei rapporti interpersonali, rovina della carriera
ecc.).
 Con l’occasione si aggiunge che le comunità giapponesi hanno una forte
tendenza a privilegiare lo spirito collettivo e a ricercare l’armonia fra tutti i membri
anche se ciò va a discapito della propria individualità.

KABUKI In origine (siamo agli inizi del periodo Edo, quindi intorno al 1600) il
kabuki ᱌⥰પ1889 fu un tipo di danza eseguita da donne vestite in modo
bizzarro e solitamente di facili costumi. A partire dalla metà del XVIII secolo, ossia
sotto la cultura Kasei (Kesei bunka ൻ᡽ᢥൻ), il kabuki ᱌⥰પ sviluppatosi ormai in
una forma particolare di rappresentazione teatrale, superò in popolarità il ningyŇ jŇruri
ੱᒻᵺℲⅇ e cominciò ad avere grande affluenza di pubblico ad Edo ᳯᚭ.
 Per avere una prima idea di cosa fosse (e sia tuttora) il kabuki ᱌⥰પ, di solito
definito come teatro, sarebbe forse opportuno considerarlo qualcosa come musical,
revue o spettacolo di varietà, in quanto gli elementi centrali non sono mai stati vere e
proprie trame, ma piuttosto azioni esageratamente stilizzate degli attori chiamati yakusha

1888 mura/hachi/bu ᧛ 210/191 ౎ 41/10 ಽ 35/38

261
ᓎ⠪1890. La gente andava (e va) a vedere innanzitutto gli yakusha ᓎ⠪ preferiti e poi
le loro performances. Oggi rimangono a testimoniarlo molti fascicoli, chiamati Yakusha
hyŇbanki 䇺ᓎ⠪⹏್⸥䇻1891, di commenti sulla loro immagine e la loro bravura. Non
per nulla i pittori di ukiyoe (ᶋ਎⛗1892 ψ§54) li dipingevano e tali opere, chiamate
yakushae ᓎ⠪⛗1893, andavano a ruba.
 Si può dire che la popolarità personale degli attori (yakusha ᓎ⠪) — il divismo —
si perpetuò dalle origini, cioè fin da quando lo spettacolo era rappresentato da donne
leggere (onna kabuki ᅚ᱌⥰પ1894) che come tali attiravano gli uomini; ma anche dopo
l’allontanamento (1629) di tali donne (e le donne in generale) dalle scene, il carattere
originario contro il buoncostume non andò perduto. Prima continuarono ad alimentarlo
i giovinetti del wakashu kabuki (⧯ⴐ᱌⥰પ1895 kabuki eseguito principalmente dai
giovinetti, vietato nel 1652; wakashu ⧯ⴐ giovane maschio), poi gli onnagata o oyama
(ᅚᒻ1896 attori travestiti da donna) dello yarŇ kabuki (㊁㇢᱌⥰પ1897 kabuki eseguito
solo dai maschi; yarŇ ㊁㇢ uomo adulto). Fu appunto per questo divismo che il kabuki
᱌⥰પ riscosse una vasta popolarità, ed esso, insieme con gli yşri (ㆆ㉿ ψ§48),
costituì un fulcro della cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ).
Il kabuki ᱌⥰પ raggiunse la piena maturità verso la fine dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ.
Difatti, l’opera da ritenersi più nota di tutti i tempi è appunto di quell’epoca: TŇkaidŇ
Yotsuya kaidan (䇺᧲ᶏ㆏྾⼱ᕋ⺣䇻1898 lett. storia dell’orrore a Yotsuya del TŇkaidŇ;
solitamente detto semplicemente Yotsuya kaidan (䇺྾⼱ᕋ⺣䇻; prima rappresentazione:
1825) di Tsuruya Nanboku (㢬ደධർ1899 1755-1829).
Si ricordano quali yakusha ᓎ⠪ i seguenti nomi: Sakata TŇjşrŇ I (ဈ↰⮮ච㇢1900
[shodai ೋઍ 1901 primo di una serie] 1647-1709) di Kamigata ਄ᣇ 1902 , Ichikawa

1889 ka/bu/ki ᱌ 478/392 ⥰ 746/810 પ non reg./non reg.


1890 yaku/sha ᓎ 315/375 ⠪ 22/164
1891 Yaku/sha/ hyŇ/ban/ki 䇺ᓎ 315/375 ⠪ 22/164 ⹏ 428/1028 ್ 291/1026 ⸥ 147/371䇻
1892 uki/yo/e ᶋ 1047/938 ਎ 152/252 ⛗ 976/345
1893 yaku/sha/e ᓎ 315/375 ⠪ 22/164 ⛗ 976/345
1894 onna/ ka/bu/ki ᅚ 178/102 ᱌ 478/392 ⥰ 746/810 પ non reg./non reg.
1895 waka/shu/ ka/bu/ki ⧯ 372/544 ⴐ 570/792 ᱌ 478/392 ⥰ 746/810 પ non reg./non reg.
1896 onna/gata ᅚ 178/102 ᒻ 408/395
1897 ya/rŇ/ ka/bu/ki ㊁ 85/236 ㇢ 237/980 ᱌ 478/392 ⥰ 746/810 પ non reg./non reg.
1898 TŇ/kai/dŇ/ Yo/tsuya/ kai/dan 䇺᧲ 11/71 ᶏ 158/117 ㆏ 129/149 ྾ 18/6 ⼱ 249/653 ᕋ 1367/1476

⺣ 303/593䇻
1899 Tsuru/ya/ Nan/boku 㢬 1120/2277 ደ 270/167 ධ 205/74 ർ 103/73
1900 Saka/ta/ TŇ/jş/rŇ ဈ 595/443 ↰ 24/35 ⮮ 206/2231 ච 5/12 ㇢ 237/980
1901 sho/dai ೋ 261/679 ઍ 68/256

262
DanjşrŇ I (ᏒᎹ࿅ච㇢ 1903 [shodai ೋઍ] 1660-1704) di Edo ᳯᚭ e Yoshizawa
Ayame I (⧐ᴛ޽߿߼1904 [shodai ೋઍ] 1673-1729), onnagata ᅚᒻ.

§53. Studi ed istruzione

Per quanto concerne l’influenza sul Giappone nell’età moderna e contemporanea, il


settore culturale più importante riguarda senz’altro gli studi e l’istruzione durante il
periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ).
In considerazione della complessità e della vastità dell’argomento, facciamo
precedere questa trattazione da uno specchietto molto schematico dell’evoluzione delle
principali scuole di studi in diversi campi, affinché ci si possa fare una prima idea
globale in materia.

periodo EDO p. MEIJI


ᳯ ᚭ ᤨ ઍ ᣿ ᴦ
1600 1650 1700 1750 1800 1850 1867
era Genroku riforma Kansei
Governo a ispirazione Divieto di studi
benevola confuciana eterodossi, 1790
Fujiwara Seika Hayashi Razan <FAMIGLIA HAYASHI>
Arai Hakuseki
shushigaku
Kinoshita Jun’an
ᧇሶቇ
Yamazaki Ansai
yǀmeiaku Nakae Tǀju ƿshio Heihachirǀ
㓁᣿ቇ Kumazawa Banzan
Yamaga Sokǀ
kogaku Itǀ Jinsai Aoki Kon’yǀ
ฎቇ Ogynj Sorai
Dazai Shundai
rangaku Maeno Ryǀtaku Fukuzawa Yukichi
⯗ቇ Sugita Genpaku
mitogaku* <STORIOGRAFIA>
᳓ᚭቇ Fujita Tǀko
kokugaku* Motoori Norinaga
࿖ቇ Hirata Atsutane
shingaku Ishida Baigan
ᔃቇ
* Esercitò influenza sul movimento sonnŇ jŇi undŇ ዅ₺ᡠᄱㆇേ (Ⱥ§45).

1902 Kami/gata ਄ 21/32 ᣇ 28/70


1903 Ichi/kawa/ Dan/jş/rŇ Ꮢ 78/181 Ꮉ 111/33 ࿅ 172/491 ච 5/12 ㇢ 237/980
1904 Yoshi/zawa/ A/ya/me ⧐ 1339/1775 ᴛ 403/994 ޽߿߼

263
 Le prime tre scuole sono di studi (neo-)confuciani, la quarta di storiografia e di
pensiero sincretistico confuciano-shintoista, la quinta di filologia giapponese e di idea-
lizzazione della vita nel Giappone antico. La sesta si occupa essenzialmente degli studi
del sapere tecnico-scientifico dell’Europa centrosettentrionale, e la settima e ultima di
un insegnamento moralizzatore delle masse.

DOTTRINA FEUDALE DEI TOKUGAWA: CON- In un lungo arco di tempo an-


FUCIANESIMO E NEO-CONFUCIANESIMO teriore al periodo Edo (Edo
jidai ᳯᚭᤨઍ) furono principalmente il confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ1905
giapp. jukyŇ) e soprattutto il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ1906) a plasmare una buona parte
del pensiero giapponese. Poi, nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) avvenne che il
buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) retrocedesse e, in sostituzione, il confucianesimo (jukyŇ ఌ
ᢎ) passasse in primo piano per soddisfare l’esigenza dei Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ
᳁). In parte tenuto conto che da quel momento fino alla fine della seconda guerra
mondiale (Dai niji sekai taisen ╙ੑᰴ਎⇇ᄢᚢ1907) il peso confuciano nella società
giapponese non è trascurabile, ed in parte per capire meglio il confucianesimo (jukyŇ ఌ
ᢎ) giapponese non perfettamente identificabile con quello cinese, sarà opportuno dare
un breve ragguaglio di tale magistero.
 ‫ޣ‬CONFUCIANESIMO E NEO-CONFUCIANESIMO IN CINA‫ޤ‬In Cina
intorno al 1100 a.C. nacque la dinastia Zhou (Chou ๟ giapp. Shş1908, 1100 ca.- 256
a.C.) poggiata su un ordinamento feudale (hŇken seido ኽᑪ೙ᐲ1909), ma dai periodi
delle Primavere e Autunni (Chunqiu shidai, Ch’un-ch’iu-shih-tai ᤐ⑺ᤨઍ1910 giapp.
Shunjş jidai, 770-403 a.C.) e dei Regni Combattenti (Zhanguo shidai, Chan-kuo-shih-tai
ᚢ࿖ᤨઍ1911 giapp. Sengoku jidai, 403-221 a.C.), la forza di controllo di detta dinastia
si trovava in declino. I signori potenti si combattevano tra di loro per l’egemonia. La
società era in disordine. Così, in cerca di nuovi principi di governo, sorse una
moltitudine di pensatori, fra cui Confucio (Kong Fuzi, K’ung Fu-tzu ሹᄦሶ 551?-479
a.C., comunemente Kongzi, K’ung-tzu ሹሶ1912 giapp. KŇshi).

1905 ju/kyŇ ఌ 1968/1417 ᢎ 97/245


1906 buk/kyŇ ੽ 678/583 ᢎ 97/245
1907 Dai/ ni/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ੑ 6/3 ᰴ 235/384 ਎ 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
1908 Shş ๟ 694/91
1909 hŇ/ken/ sei/do ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
1910 Shun/jş/ ji/dai ᤐ 461/460 ⑺ 540/462 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1911 Sen/goku/ ji/dai ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1912 KŇ/shi ሹ 1755/940 ሶ 56/103

264
 < Confucianesimo > Per confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ; a
volte anche ruxue [juhsüeh ఌቇ1913 giapp. jugaku, lett. studi confuciani]) s’intende
pertanto il complesso delle dottrine etico-politiche predicate appunto da Confucio
(Kongzi, K’ung-tzu ሹ ሶ giapp. KŇshi) e sviluppate principalmente da Mencio
(Mengzi, Mêng-tzu ቃሶ1914 giapp. MŇshi, 372?-289? a.C.) e Xunzi (Hsü-tzu ⨬ሶ1915
giapp. Junshi, 298?-235? a.C.).
L’ideale di Confucio (ሹሶ giapp. KŇshi) stava nell’instaurare e mantenere un nuo-
vo ordine socio-politico mediante la massima osservanza delle norme di condotta socia-
le, dette nel loro insieme li (li ␞1916 giapp. rei ), nelle stesse forme che Confucio
(Kongzi, K’ung-tzu ሹሶ giapp. KŇshi) credeva vigessero agli inizi del periodo Zhou
(Chou ๟ giapp. Shş).
 Nella tradizione confuciana la virtù-chiave per un buon ordine ad ogni livello è il
dovere filiale (cin. xiao, hsiao ቁ1917 giapp. kŇ, [in senso stretto] devozione ed obbe-
dienza al padre; it. pietà filiale) che riguarda il rapporto padre-figlio, uno dei cinque
rapporti umani, cioè sovrano-suddito, padre-figlio, marito-moglie, fratello maggiore-
fratello minore, amico-amico. A partire dal periodo dei Regni Combattenti, venne
esaltata anche la lealtà (cin. zhong, chung ᔘ1918 giapp. chş ) del suddito verso il
padrone, ma il dovere filiale (cin. xiao, hsiao ቁ giapp. kŇ ) rimase ugualmente di
importanza fondamentale, in quanto indissolubile, e perciò permanente, diversamente
dal dovere di lealtà (cin. zhong, chung ᔘ giapp. chş ) che poteva essere sciolto
mediante il ritiro dal servizio.
Come emerge dagli insegnamenti sul dovere filiale (cin. xiao, hsiao ቁ giapp. kŇ ) e
di lealtà (cin. zhong, chung ᔘ giapp. chş ), lo schema fondamentale della legge morale
confuciana per il mantenimento di un buon ordine socio-politico consiste nell’ob-
bedienza ai superiori da parte degli inferiori. Ciò perché tutti i rapporti interpersonali
sono presi nell’ottica di ‘alto – basso’, ‘nobile – umile’ e tale ordine è considerato
l’essenza dei rapporti umani. Il li (li ␞ giapp. rei ) citato sopra si riferisce, in parole
povere, all’insieme di regole di comportamento richieste appunto da tale ordine.
 Ma la sottomissione dei subordinati non è tutto quel che c’è nel confucianesimo
(rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ ). I confuciani predicavano ai sovrani come governare

1913 ju/gaku ఌ 1968/1417 ቇ 33/109


1914 MŇ/shi ቃ non reg./non reg.ሶ 56/103
1915 Jun/shi ⨬ non reg./non reg.ሶ 56/103
1916 rei ␞ 983/620
1917 kŇ ቁ 1249/542
1918 chş ᔘ 1040/1348

265
il popolo. A loro dire, spettava al governante non soltanto stabilire il li (li ␞ giapp. rei ),
ma persino tenere sotto controllo l’intero universo con i suoi atti virtuosi in piena
conformità col li (li ␞ giapp. rei ) a lui confacente. La felicità o meno del popolo
dipendeva unicamente dalla virtù del sovrano. Gli fu richiesto perciò di esercitare il
potere per il benessere del popolo con la benevolenza (cin. ren, jen ੳ1919 giapp. jin )
paragonabile all’amore paterno. Fu sostenuto che il sovrano privo della benevolenza
venisse bandito e la sua dinastia fosse sostituita con un’altra virtuosa (cin. yixing geming,
ihsing kêming ᤃᆓ㕟๮1920 giapp. ekisei kakumei). Così, tutto sommato, il confu-
cianesimo (jukyŇ ఌᢎ), mentre denotava certamente una tendenza conservatrice, era
anche pervaso di spirito umanitaristico.
 Quanto sopra esposto per sommi capi costituiva la base dell’insegnamento confu-
ciano in ogni epoca. Sotto la dinastia Han (Han ṽ1921 giapp. Kan, 202 a.C.-220 d.C.
ψ§3) il confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ) fu designato scuola ufficiale di studi dell’impero e
da allora fino agli inizi del XX secolo svolse il ruolo di guida della classe dirigente cinese.
Tuttavia, dopo la caduta dell’impero Han (Han ṽ giapp. Kan), rimase confinato al
ruolo di studi esegetici-commentari (⚻ቇ1922 giapp. keigaku, studi dei libri canonici
confuciani [keiten ⚻ౖ1923]) e come tale non segnò ulteriori sviluppi sotto l’aspetto
speculativo.

ٟ Si badi di non confondere keiten ⚻ౖ (testi canonici confuciani) e kyŇten ⚻


ౖ (sştra, ossia scritture sacre buddhisti)

 < Neo-confucianesimo > Si doveva attendere fino alla dinastia dei Song (Sung
ቡ 1924 giapp. SŇ, 960-1279) per vederlo rifiorire sotto la denominazione di neo-
confucianesimo (tradotto in giapponese letteralmente quale shinjugaku ᣂఌቇ1925; per
l’esattezza Songxue, Sung-hsüeh ቡቇ1926 giapp. sŇgaku, scuola dei Song) caratterizzato
dagli interessi metafisici e cosmologici sotto l’influenza esercitata dal buddhismo

1919 jin ੳ 1346/1619


1920 eki/sei/ kaku/mei ᤃ 810/759 ᆓ 1766/1746 㕟 686/1075 ๮ 388/578
1921 Kan ṽ 1394/556
1922 kei/gaku ⚻ 135/548 ቇ 33/109
1923 kei/ten ⚻ 135/548 ౖ 956/367
1924 SŇ ቡ non reg./non reg.
1925 shin/ju/gaku ᣂ 36/174 ఌ 1968/1417 ቇ 33/109
1926 sŇ/gaku ቡ non reg./non reg.ቇ 33/109

266
(bukkyŇ ੽ᢎ) e dalla filosofia taoista (giapp. RŇsŇ shisŇ ⠧⨿ᕁᗐ1927).
L’elaborazione del neo-confucianesimo (shinjugaku ᣂఌቇ, sŇgaku ቡቇ) si deve
soprattutto a Zhu Xi (Chu Hsi ᧇ᾵1928 giapp. Shuki, 1130-1200; meglio noto sia in
Cina che in Giappone come Zhuzi, Chu-tzu ᧇሶ1929 giapp. Shushi, da cui shushigaku
[ᧇሶቇ 1930 scuola di Zhuzi], termine in pratica sinonimico giapponese di neo-
confucianesimo).
In breve la sua è dottrina che correla la natura umana, l’ordine sociale e il principio
cosmologico chiamato li (li ℂ1931 giapp. ri ). Sostiene che sia la natura umana sia
l’ordine sociale sono soggetti al medesimo principio celeste, quindi la pratica della
coltivazione morale di ciascuno porta automaticamente alla sistemazione ideale
dell’ordine sociale ad opera appunto del principio cosmologico. È caratterizzata dalla
soppressione dei desideri e da uno sforzo morale rigoroso, ritenuti entrambi indi-
spensabili per riportare la natura umana ordinaria e torbida a quella originaria, pura e
buona.
 Alla scuola di Zhuzi (shushigaku ᧇሶቇ) si oppose quella di Lu Xiangshan (Lu
Hsiang-shan 㒽 ⽎ ጊ 1932 giapp. Riku ShŇzan, 1139-1192) che dava importanza
primaria al sentimento. Molto più tardi quest’ultimo ebbe un erede in Wang Yangming
(Wang Yangming ₺ 㓁 ᣿ 1933 giapp. ņ YŇmei, 1472-1528) il quale diede corpo
definitivo al Xinxue (Hsin-hsüeh ᔃቇ1934 giapp. shingaku, lett. studio dell’animus; in
Giappone chiamato yŇmeigaku 㓁᣿ቇ1935 lett. studio di Yangming).
La dottrina di Wang Yangming (₺㓁᣿ giapp. ņ YŇmei) consiste nell’affermare
che originariamente l’animo umano è dotato di senso morale, quindi la norma
fondamentale di condotta sta nel seguire quanto comanda spontaneamente il cuore,
arrivando così alla conclusione quasi diametralmente opposta a quella di Zhuzi (Chu
Hsi ᧇሶ giapp. Shushi). Rimase ortodossa, tuttavia, la corrente che seguì Zhuzi (ᧇሶ
Shushi).

1927 RŇ/sŇ/ shi/sŇ ⠧ 788/543 ⨿ 1208/1327 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147


1928 Shu/ki ᧇ 1720/1503 ᾵ non reg./non reg.
1929 Shu/shi ᧇ 1720/1503 ሶ 56/103
1930 shu/shi/gaku ᧇ 1720/1503 ሶ 56/103 ቇ 33/109
1931 ri ℂ 95/143
1932 Riku/ ShŇ/zan 㒽 651/647 ⽎ 575/739 ጊ 60/34
1933 ņ/ YŇ/mei ₺ 499/294 㓁 990/630 ᣿ 84/18
1934 shin/gaku ᔃ 139/97 ቇ 33/109
1935 yŇ/mei/gaku 㓁 990/630 ᣿ 84/18 ቇ 33/109

267
ٟ Per interpretare il kŇ (cin. xiao, hsiao ቁ), uno dei concetti fondamentali del
confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ), si suole prendere in considerazione solo il rapporto
di padre-figlio e per estensione tutt’al più genitori-figlio. A questo riguardo, un
autorevole studioso di storia della filosofia cinese ammonisce, dicendo: « [...] si ha
la tendenza ad interpretare riduttivamente il kŇ ቁ nel senso di pietà filiale,
devozione cioè verso i genitori da parte dei figli, ma tale interpretazione è sba-
gliata. Il kŇ ቁ racchiude anche altri due aspetti: da una parte esecuzione dei riti
religiosi dedicati a tutti gli antenati e dall’altra procreazione dei figli. [...] il kŇ ቁ
consiste nell’insieme di questi tre aspetti ». (Kaji Nobuyuki ട࿾િⴕ 䇺ఌᢎߣ
ߪ૗߆䇻[Che cosa è il confucianesimo? ], 1990)
In parole povere, il kŇ ቁ di cui parla Kaji ട࿾ è il kŇ ቁ religioso che
sottostà alle dottrine etico-politiche confuciane, ovvero una ‘trovata’ della mente
cinese per assicurare la continuità della vita dal suo primordio al presente e dal
presente all’eternità.
Se Kaji ട࿾ ha ragione, bisognerà dire che l’espressione italiana di ‘pietà
filiale’ (traduzione letterale dell’ingl. ‘filial pity’?) copre solo parzialmente il campo
semantico di kŇ ቁ.

 ‫ޣ‬SHUSHIGAKU QUALE DOTTRINA FEUDALE DEI TOKUGAWA ‫ޤ‬Il


sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲૕೙1936) con al vertice lo shŇgun ዁ァ fu il regime
più organizzato nei minimi particolari rispetto a qualsiasi altro precedente. Il confu-
cianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ ), specie la scuola di Zhuzi (shushigaku ᧇ
ሶቇ), che predicava l’ordine gerarchico di sovrano-suddito, padre-figlio, marito-moglie
ecc. e la virtù di obbedienza degli inferiori ai superiori rispondeva squisitamente al fine
del consolidamento e mantenimento delle istituzioni socio-politiche conservatrici dei
Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁), e ciò anche perché le virtù e l’ordine sociale
predicati da Zhu Xi (Chu Hsi ᧇ᾵ giapp. Shuki, ovvero Zhuzi, Chu-tzu ᧇሶ giapp.
Shushi) non si limitavano alla sfera della vita umana, ma si ricollegavano attraverso il
principio cosmologico li (li ℂ giapp. ri ), regolatore di qualsiasi cosa, ai fenomeni
dell’universo; lo shushigaku ᧇሶቇ poteva cioè servire anche alla legittimazione del
regime feudale dei Tokugawa, dichiarandolo conforme alla legge di natura. Fu quindi
fin troppo naturale che assurgesse al rango di dottrina ufficiale dei Tokugawa (Toku-
gawashi ᓼᎹ᳁).
 ‫ ޣ‬STUDI (NEO-)CONFUCIANI NEL GIAPPONE TOKUGAWA ‫ ޤ‬La
relazione dei Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁) con la scuola neo-confuciana di Zhuzi
(shushigaku ᧇሶቇ) risale a Fujiwara Seika (⮮ේᗗ┃1937 1561-1619), originariamente

1936 baku/han/ tai/sei ᐀ 836/1432 ⮲ 1566/1382 ૕ 110/61 ೙ 196/427


1937 Fuji/wara/ Sei/ka ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ᗗ non reg./non reg.┃ non reg./non reg.

268
monaco in uno dei Cinque templi zen di KyŇto (KyŇto gozan ੩ㇺ੖ጊ1938 ψ§33) e
successivamente studioso neo-confuciano, che su invito di Ieyasu ኅᐽ gli tenne
lezioni.
In seguito Hayashi Razan (ᨋ⟜ጊ1939 1583-1657), discepolo di Seika ᗗ┃ e
studioso strettamente chuhsista, venne assunto alle dipendenze shogunali, e da quel
momento di generazione in generazione la famiglia Hayashi (Rinke ᨋኅ1940) rimase
responsabile del settore d’istruzione del Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ.
Ma la famiglia Hayashi (Rinke ᨋኅ) non diede personalità brillanti, quando invece
fuori degli ambienti del bakufu ᐀ᐭ, come si vedrà di seguito, erano attivi eccellenti
studiosi d’altre scuole, i quali non potevano non esercitare un’influenza sugli studi
shogunali; motivo per cui, in occasione della riforma Kansei (Kansei no kaikaku ኡ᡽
ᡷ 㕟 1941 1787-1793 ψ §44), venne proibito di insegnare dottrine non chuhsiste
all’istituto d’istruzione shogunale della famiglia Hayashi (Rinke ᨋኅ), divieto chiamato
Kansei igaku no kin (ኡ᡽⇣ቇߩ⑌1942 lett. divieto di studi eterodossi di Kansei, 1790),
sebbene ciò non implicasse una proibizione generale di coltivare studi non chuhsisti. È
in quel momento che lo shushigaku ᧇሶቇ ottenne lo status di studi shogunali ufficiali a
pieno titolo.
Nel 1797 l’istituto che era stato piuttosto la scuola privata degli Hayashi (Rinke ᨋ
ኅ) fu incorporato nella struttura shogunale quale scuola d’istruzione del bakufu ᐀ᐭ
con il nome di ShŇheizaka gakumonjo (᣽ᐔဈቇ໧ᚲ1943 lett. Istituto degli Studi di
ShŇheizaka [ShŇheizaka ᣽ᐔဈ: ShŇhei ᣽ᐔ cin. Changping, Ch’ang-p’ing, nome
del luogo di nascita di Confucio; zaka ဈ terreno in pendenza], 1797-1871; chiamato
anche ShŇheikŇ ᣽ᐔ㤟1944), cui vennero ammessi i figli di hatamoto ᣛᧄ1945 e gokenin
(ᓮኅੱ1946 ψ§41).
 Nei circoli chuhsisti non shogunali spiccavano due nomi: Kinoshita Jun’an (ᧁਅ㗅
ᐻ1947 1621-1698), maestro rinomato, e Yamazaki Ansai (ጊፒ㑧ᢪ1948 1618-1682),

1938 KyŇ/to/ go/zan ੩ 16/189 ㇺ 92/188 ੖ 14/7 ጊ 60/34


1939 Hayashi/ Ra/zan ᨋ 420/127 ⟜ 1762/1860 ጊ 60/34
1940 Rin/ke ᨋ 420/127 ኅ 81/165
1941 Kan/sei/ no/ kai/kaku ኡ 1471/1050 ᡽ 50/483 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
1942 Kan/sei/ i/gaku/ no/ kin ኡ 1471/1050 ᡽ 50/483 ⇣ 707/1061 ቇ 33/109 ߩ⑌ 853/482
1943 ShŇ/hei/zaka/ gaku/mon/jo ᣽ 1552/2089 ᐔ 143/202 ဈ 595/443 ቇ 33/109 ໧ 75/162 ᚲ 107/153
1944 ShŇ/hei/kŇ ᣽ 1552/2089 ᐔ 143/202 㤟 non reg./non reg.
1945 hata/moto ᣛ 1174/1006 ᧄ 15/25
1946 go/ke/nin ᓮ 620/708 ኅ 81/165 ੱ 9/1
1947 Ki/no/shita/ Jun’/an ᧁ 148/22 ਅ 72/31 㗅 813/769 ᐻ non reg./non reg.

269
chuhsista severo con i suoi allievi. Entrambi ebbero molti discepoli di valore. Arai
Hakuseki (ᣂ੗⊕⍹1949 ψ§43) fu allievo di Jun’an 㗅ᐻ. Ansai 㑧ᢪ è noto anche
per il suo sincretismo confuciano-shintoista (suika shintŇ ုട␹㆏1950).
 < Istituti d’istruzione degli han > Anche negli han ⮲ i daimyŇ ᄢฬ fondarono
istituti d’istruzione, detti hankŇ ⮲ᩞ1951, per istruire i figli dei propri sudditi. In tutto il
Giappone ce n’erano oltre trecento. Gli insegnanti erano, per una buona parte, chuhsisti,
ma nel bakumatsu (᐀ᧃ1952, ossia una quindicina d’anni finale del Tokugawa bakufu ᓼ
Ꮉ᐀ᐭ ψ§45) non pochi han ⮲ accolsero cultori di studi occidentali (yŇgakusha ᵗ
ቇ⠪1953 ψ§53) nel corpo docente.
Fu aperto inoltre un numero considerevole di scuole, dette gŇgaku ㇹቇ1954, per
dare istruzione anche alla gente comune. Di queste ultime, ce n’erano oltre cinquecento
in tutto il Giappone agli inizi dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ1955 1868-1912).
 < YŇmeigaku > In Giappone il Xinxue (Hsin-hsüeh ᔃቇ1956 giapp. shingaku) di
Wang Yangming (₺㓁᣿ giapp. ņ YŇmei) trovò un erede nella persona di Nakae TŇju
(ਛᳯ⮮᮸1957 1608-1648) che lo chiamò, come si è già visto, yŇmeigaku 㓁᣿ቇ1958.
 < Kogaku > Ad eccezione di pochi, in generale i chuhsisti giapponesi si limitavano
a ricalcare quanto avevano appreso dai libri neo-confuciani di autori cinesi, senza cioè
svilupparne la critica; come tali a rigore non erano studiosi-pensatori veri e propri, ma
piuttosto trasmettitori-divulgatori del pensiero neo-confuciano cinese.
Contro tale atteggiamento passivo sorse un gruppo di studiosi che si propose di
chiarire la vera essenza del confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ) originario tramite la lettura
puntuale e l’indagine filologica dei testi canonici confuciani (keiten ⚻ౖ1959) prodotti
nella Cina antica. Essi affrontarono materiali di prima mano e pensarono con la propria
mente. Il complesso di tale orientamento di studi, caratterizzato soprattutto dalla meto-

1948 Yama/zaki/ An/sai ጊ 60/34 ፒ 457/1362 㑧 1758/non reg.ᢪ 1363/1478


1949 Ara/i/ Haku/seki ᣂ 36/174 ੗ 252/1193 ⊕ 266/205 ⍹ 276/78
1950 sui/ka/ shin/tŇ ု 1716/1070 ട 187/709 ␹ 229/310 ㆏ 129/149
1951 han/kŇ ⮲ 1566/1382 ᩞ 176/115
1952 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305
1953 yŇ/gaku/sha ᵗ 366/289 ቇ 33/109 ⠪ 22/164
1954 gŇ/gaku ㇹ 1004/855 ቇ 33/109
1955 Mei/ji/ ji/dai ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1956 shin/gaku ᔃ 139/97 ቇ 33/109
1957 Naka/e/ TŇ/ju ਛ 13/28 ᳯ 517/821 ⮮ 206/2231 ᮸ 1034/1144
1958 yŇ/mei/gaku 㓁 990/630 ᣿ 84/18 ቇ 33/109
1959 kei/ten ⚻ 135/548 ౖ 956/367

270
dologia positivistica di ricerca, è chiamato kogaku (ฎቇ1960 lett. studi antichi) e l’in-
sieme delle correnti di studi a ciò ispirantisi Kogakuha (ฎቇᵷ1961 lett. scuola di studi
antichi). In Giappone fu appunto questo filone accademico a conseguire il livello più
alto negli studi confuciani (jugaku ఌቇ).
 Due furono i massimi esponenti di questa scuola: ItŇ Jinsai (દ⮮ੳᢪ1962 1627-
1705) e Ogyş Sorai (⩆↢ᓖᓭ1963 1666-1728), entrambi, con migliaia di discepoli
sparsi per tutto il Giappone. Oggi il loro atteggiamento razionale, anzi scientifico, in
particolare di Sorai ᓖᓭ, è valutato assai positivamente per la nascita di studi ugual-
mente positivistici in altri campi (p.es. filologia giapponese, studi olandesi), preparando
in tal modo un buon terreno di trapianto del sapere scientifico occidentale nell’età
moderna e contemporanea. Anche dopo il divieto di studi eterodossi di Kansei (Kansei
igaku no kin ኡ᡽⇣ቇߩ⑌ 1964 ) che, ripetiamo, escludeva dall’istituto d’istruzione
shogunale tutte le dottrine non chuhsiste, la scuola di studi antichi (Kogakuha ฎቇᵷ)
non segnò regresso.
 I frutti della ricerca che i diversi filoni del kogaku ฎቇ avevano in comune, stavano,
in ultima analisi, nella loro conclusione umana ed indulgente grazie alla quale i sen-
timenti spontanei venivano svincolati dal rigorismo formale chuhsista; atteggiamento
che trovava riscontro nell’atmosfera realistica della cultura Genroku (Genroku bunka
ర⑍ᢥൻ).
 ‫ޣ‬BUSHIDņ ‫ޤ‬Nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) l’etica dei bushi ᱞ჻, già
chiamata nel medioevo kyşba no michi (ᑿ㚍ߩ㆏1965 ψ§34), venne codificata con il
nome di bushidŇ ᱞ჻㆏1966, principalmente da Yamaga SokŇ (ጊ㣮⚛ⴕ1967 1622-
1685), confuciano (jusha ఌ⠪1968) della scuola di studi antichi (Kogakuha ฎቇᵷ).
 I bushi ᱞ჻, nel periodo in cui regnava una pace duratura in assenza di battaglie
vere e proprie (l’ultima fu la rivolta a Shimabara-Amakusa [Shimabara-Amakusa no ikki
ፉේ࡮ᄤ⨲৻ឨ 1637-1638] ψ§42) non erano più guerrieri come lo erano stati prima,
ma piuttosto burocrati sia presso il bakufu ᐀ᐭ che negli han ⮲. A loro veniva

1960 ko/gaku ฎ 373/172 ቇ 33/109


1961 Ko/gaku/ha ฎ 373/172 ቇ 33/109 ᵷ 293/912
1962 I/tŇ/ Jin/sai દ 603/2011 ⮮ 206/2231 ੳ 1346/1619 ᢪ 1363/1478
1963 O/gyş/ So/rai ⩆ non reg./non reg.↢ 29/44 ᓖ non reg./non reg.᧪ 113/69
1964 Kan/sei/ i/gaku/ no/ kin ኡ 1471/1050 ᡽ 50/483 ⇣ 707/1061 ቇ 33/109 ߩ⑌ 853/482
1965 kyş/ba/ no/ michi ᑿ 1539/212 㚍 512/283 ߩ㆏ 129/149
1966 bu/shi/dŇ ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 ㆏ 129/149
1967 Yama/ga/ So/kŇ ጊ 60/34 㣮 1141/2279 ⚛ 717/271 ⴕ 31/68
1968 ju/sha ఌ 1968/1417 ⠪ 22/164

271
richiesto innanzi tutto di rendersi esatto conto del ruolo e della responsabilità della
classe dirigente che essi stessi avevano costituito. In altre parole, il loro compito
maggiore consisteva nell’esemplificare nei confronti delle masse la vita virtuosa con-
fuciana tramite la loro lealtà (chş ᔘ) nei confronti del signore, una stretta autodisciplina
quali comportamenti sempre dignitosi anche nelle avversità, e ulteriore sublimazione
delle proprie virtù sia attraverso gli studi confuciani (jugaku ఌቇ) che le arti marziali.
 Il bushidŇ ᱞ჻㆏, mentre da un lato svolgeva certamente un ruolo positivo
nell’elevare il senso di responsabilità sociale nella classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏
⚖), permise dall’altro ai Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁) il mantenimento dello status
quo, esigendo dai loro sudditi obbedienza e pazienza in pratica illimitate.
 < Storia dei 47 rŇnin (rŇnin ψ§41) > Nell’era Genroku (Genroku jidai ర⑍ᤨ
ઍ) si verificò un caso, chiamato nel campo storiografico AkŇ jiken (⿒Ⓞ੐ઙ1969 caso
AkŇ) e in quello letterario Chşshingura (䇺ᔘ⤿⬿䇻1970 lett. magazzino dei sudditi leali),
di osservanza esemplare dei dettami del bushidŇ ᱞ჻㆏. In Occidente lo stesso è noto
come la ‘Storia dei 47 rŇnin’ (corrispondenti espressioni fisse piu vicine giapponesi: AkŇ
shijşshichishi [⿒Ⓞ྾ච৾჻1971 lett. quarantasette bushi di AkŇ], AkŇ gishi [⿒Ⓞ⟵჻
1972 lett. sudditi fedeli di AkŇ], AkŇ rŇshi [⿒Ⓞᶉ჻1973 lett. rŇnin di AkŇ]). La vicenda

richiese quasi due anni di tempo per concludersi.


Da questo avvenimento ci si può fare una idea di che cosa rappresentava per la
classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖) la lealtà (chş ᔘ) del suddito verso il signore e
in generale il bushidŇ ᱞ჻㆏.

SOMMARIO DEL CHŞSHINGURA

Nel marzo del 1701 (14° anno di Genroku [Genroku jşyonen ర⑍ 14 ᐕ]), nel castello di
Edo (EdojŇ ᳯᚭၔ1974, oggi kŇkyo ⊞ዬ1975 residenza del tennŇ ᄤ⊞), sede shogunale,
Asano Naganori (ᵻ㊁㐳⍱1976 1667-1701), daimyŇ ᄢฬ dello han di AkŇ (AkŇ han ⿒Ⓞ

1969 A/kŇ/ ji/ken ⿒ 476/207 Ⓞ 1485/1221 ੐ 32/80 ઙ 290/732


1970 Chş/shin/gura 䇺ᔘ 1040/1348 ⤿ 981/835 ⬿ 429/1286䇻
1971 A/kŇ/ shi/jş/shichi/shi ⿒ 476/207 Ⓞ 1485/1221 ྾ 18/6 ච 5/12 ৾ 44/9 ჻ 301/572
1972 A/kŇ/ gi/shi ⿒ 476/207 Ⓞ 1485/1221 ⟵ 287/291 ჻ 301/572
1973 A/kŇ/ rŇ/shi ⿒ 476/207 Ⓞ 1485/1221 ᶉ 1445/1753 ჻ 301/572
1974 E/do/jŇ ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ၔ 638/720
1975 kŇ/kyo ⊞ 964/297 ዬ 777/171
1976 Asa/no/ Naga/nori ᵻ 838/649 ㊁ 85/236 㐳 25/95 ⍱ non reg./non reg.

272
⮲ ψcarta 8), ferì con un colpo di spada Kira Yoshinaka (ศ⦟⟵ᄩ1977 1641-1702), alto
dignitario responsabile del cerimoniale shogunale. Si sa che fra i due c’era stato qualche
contrasto, e su di esso sono avanzate diverse ipotesi. La vera causa dell’incidente rimane
tuttora avvolta nel buio.
Asano ᵻ㊁ fu immediatamente condannato a morte mediante seppuku (ಾ⣻1978 it.
harakiri ⣻ಾ1979, a volte anche karakiri [forma erronea di harakiri ], tipo di pena capitale
ritenuto onorevole, consistente nell’essere decapitato al momento di squarciarsi il ventre),
mentre Kira ศ⦟ se la cavò senza incorrere in nessuna pena. La sentenza era iniqua di
fronte al codice samuraico che stabiliva che in caso di contesa a viva forza dovevano essere
punite entrambe le parti.
Alla famiglia Asano (Asanoke ᵻ㊁ኅ1980) fu ritirato (kaieki ᡷᤃ1981 ψ§41) anche il
feudo (chigyŇchi ⍮ⴕ࿾1982), il che significava annullamento dello han di AkŇ (AkŇ han ⿒Ⓞ
⮲), quindi estinzione della famiglia Asano (Asanoke ᵻ㊁ኅ). Da quel momento tutti i
sudditi si trovarono senza signore (rŇnin ᶉੱ1983). Fallì ogni sforzo di ņishi Yoshio (ᄢ⍹⦟
㓶1984 1659-1703), capo vassallo (karŇ ኅ⠧1985), che non lasciò nulla di intentato sia per
restaurare la casa Asano (Asanoke ᵻ㊁ኅ) che per chiedere che anche Kira ศ⦟ venisse
punito. Venne elaborato, così, in tutta segretezza un piano di vendetta da 47 rŇnin (shijşshichishi
྾ච৾჻) fedeli raccoltisi intorno a ņishi ᄢ⍹, e a distanza di un anno e nove mesi, nel
dicembre 1702, i 47 fecero irruzione nell’abitazione di Kira ศ⦟, riuscendo a decapitarlo. Il
loro sforzo e la loro pazienza in quel frattempo di fronte a mille difficoltà furono davvero
sovrumani.
La mattina seguente i 46 (uno scomparve dopo l’irruzione) fecero rapporto davanti alla
tomba dell’ex signore ed attesero il provvedimento shogunale nei loro riguardi.
Ma intanto si formavano due netti partiti; gli uni che sostenevano la loro colpevolezza e
gli altri l’assoluta innocenza, esaltandola quale specchio del bushidŇ ᱞ჻㆏. Si susseguirono
discussioni incandescenti. Il verdetto finale (febbraio 1703) formulato in base all’opinione di
Ogyş Sorai ⩆↢ᓖᓭ1986 (che avrebbe detto: ‘Capisco assai bene il loro stato d’animo, ma
la legge non va falsata.’) fu comunque questo: ‘Tutti a morte. È permesso, tuttavia, di
compiere il seppuku ಾ⣻’. Il più giovane fu figlio di ņishi Yoshio ᄢ⍹⦟㓶 di 15 anni.

1977 Ki/ra/ Yoshi/naka ศ 464/1141 ⦟ 520/321 ⟵ 287/291 ᄩ 468/351


1978 sep/puku ಾ 204/39 ⣻ 1345/1271
1979 hara/kiri ⣻ 1345/1271 ಾ 204/39
1980 Asa/no/ke ᵻ 838/649 ㊁ 85/236 ኅ 81/165
1981 kai/eki ᡷ 294/514 ᤃ 810/759
1982 chi/gyŇ/chi ⍮ 207/214 ⴕ 31/68 ࿾ 40/118
1983 rŇ/nin ᶉ 1445/1753 ੱ 9/1
1984 ņ/ishi/ Yoshi/o ᄢ 7/26 ⍹ 276/78 ⦟ 520/321 㓶 500/1387
1985 ka/rŇ ኅ 81/165 ⠧ 788/543
1986 O/gyş/ So/rai ⩆ non reg./non reg.↢ 29/44 ᓖ non reg./non reg.᧪ 113/69

273
 Se la lealtà (chş ᔘ) del suddito verso il padrone si poteva concretare con una
siffatta drammaticità anche dopo la morte di quest’ultimo, ovvero quando non c’era più
nessun rapporto formale d’impiego, è perché diversamente dalla tradizione confuciana
in Cina, in Giappone il rapporto ‘signore – suddito’ (e per analogia anche il rapporto
‘datore di lavoro – impiegato’) era regolato alla stessa stregua di quello di ‘padre – figlio’
preso quale prototipo, quindi consapevolizzato come vincolo indissolubile e persino
ereditario. Inoltre, il mutamento di natura del rapporto ‘signore – suddito’ rispetto al
modello cinese non finiva qui: la lealtà (chş ᔘ) verso il signore aveva persino la priorità
sulla devozione ed obbedienza filiare (kŇ ቁ). Appunto per questo ed altri aspetti
ancora il confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ) giapponese non può essere identificato con
quello della Cina, sua terra d’origine.
 Le tombe di Asano ᵻ㊁ e i suoi fedeli si trovano ancora oggi nel tempio
buddhista Sengakuji ᴰጪኹ1987 di TŇkyŇ ᧲੩. La vicenda ha continuato ad essere
sceneggiata e romanzata ripetutamente ed oggi ne esistono parecchie versioni. Anche
adesso il Chşshingura 䇺ᔘ⤿⬿䇻 ha qualcosa che tocca la sensibilità dei giapponesi,
tanta fu l’influenza esercitata sul loro animo.

MITOGAKU Secondo il confucianesimo (rujiao, juchiao ఌ ᢎ giapp. jukyŇ)


giapponese del periodo Tokugawa (Tokugawa jidai ᓼᎹᤨઍ, Edo
jidai ᳯᚭᤨઍ), la lealtà (chş ᔘ) non solo non si estingueva, ma aveva persino la
priorità sulla devozione filiare (kŇ ቁ). Abbiamo visto inoltre che nella ‘Storia dei 47
rŇnin’ il chş ᔘ è indirizzato al daimyŇ ᄢฬ, ossia al padrone diretto dei 47, ma ci fu
una tradizione di studi, chiamata mitogaku (᳓ᚭቇ1988 lett. scuola di Mito), che nel XIX
secolo enucleava che l’autorità destinataria ultima del chş ᔘ non fosse il daimyŇ ᄢฬ,
né lo shŇgun ዁ァ, bensì il tennŇ ᄤ⊞.
Originariamente si trattava di una scuola di storiografia (Dai Nihonshi 䇺ᄢᣣᧄผ䇻
1989 it. Grande storia del Giappone, 1657-1906) caratterizzata dal sincretismo confuciano-

shintoista e sviluppatasi nello han di Mito (Mito han ᳓ᚭ⮲1990 parte della odierna
prefettura di Ibaraki [Ibaraki-ken ⨙ၔ⋵1991] con il capoluogo alla città di Mito ψ
carta 10), uno dei tre shinpan (ⷫ⮲1992 ψ§41) di rango particolarmente elevato (gosanke

1987 Sen/gaku/ji ᴰ 902/1192 ጪ 1091/1358 ኹ 687/41


1988 mi/to/gaku ᳓ 144/21 ᚭ 342/152 ቇ 33/109
1989 Dai/ Ni/hon/shi 䇺ᄢ 7/26 ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ผ 563/332䇻
1990 Mi/to/ han ᳓ 144/21 ᚭ 342/152 ⮲ 1566/1382
1991 Ibara/ki/ ken ⨙ 1269/non reg.ၔ 638/720 ⋵ 195/194
1992 shin/pan ⷫ 381/175 ⮲ 1566/1382

274
ᓮਃኅ1993 lett. onorevoli tre famiglie ψ§41 [Successione (1603-1867) degli shŇgun]).
L’idea di indirizzare il chş ᔘ all’imperatore (sonnŇron ዅ₺⺰1994) costituì, nel bakuma-
tsu ᐀ᧃ1995, la base ideologica di sostegno del movimento sonnŇ jŇi undŇ (ዅ₺ᡠᄱㆇ
േ1996 ψ§45).
 Si è già visto che nel XIX secolo il regime bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲૕೙1997)
ormai scricchiolava sia per i problemi accumulatisi all’interno del paese che sotto la
pressione straniera (naiyş gaikan ౝᘷᄖᖚ 1998 ψ§45). In mezzo a tale difficoltà
l’indirizzare il chş ᔘ all’imperatore, ossia la riverenza verso l’imperatore (sonnŇ ዅ₺),
della scuola di Mito minava la base del potere Tokugawa. Che una tale ideologia fosse
preparata appunto da uno dei tre shinpan ⷫ⮲ investiti di una dignità particolare fu
invero una ironia della storia.

KOKUGAKU Per kokugaku (࿖ቇ1999 lett. studi nazionali) s’intende solitamente la


corrente accademica di orientamento ‘fondamentalistico’ del periodo
Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ). Questa tradizione di studi, attraverso ricerche filologiche di
opere classiche (quali Kojiki 䇺ฎ੐⸥䇻2000, Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻2001, Genji monogatari
䇺Ḯ᳁‛⺆䇻2002) dell’età antica, mirò a far luce sulla vita spirituale dei giapponesi non
ancora ‘contaminata dai pensieri stranieri’ quali confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ
giapp. jukyŇ) e buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ), ossia su quella loro vita spirituale che dopo
l’avvento dei sistemi di pensiero esogeni si sarebbe chiamata shintŇ ␹㆏.
 Il kokugaku ࿖ቇ ebbe inizio verso l’era Genroku (Genroku jidai ర⑍ᤨઍ
1688-1704) con uno studio filologico ed obiettivo del Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 condotto
da Keichş (ᄾᴒ 2003 1640-1701), monaco dello Shingonshş ⌀⸒ቬ 2004 . Successi-

1993 go/san/ke ᓮ 620/708 ਃ 10/4 ኅ 81/165


1994 son/nŇ/ron ዅ 1220/704 ₺ 499/294 ⺰ 267/293
1995 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305
1996 son/nŇ/ jŇ/i/ un/dŇ ዅ 1220/704 ₺ 499/294 ᡠ non reg./non reg.ᄱ non reg./non reg.ㆇ 179/439 േ 86/231
1997 baku/han/ tai/sei ᐀ 836/1432 ⮲ 1566/1382 ૕ 110/61 ೙ 196/427
1998 nai/yş/ gai/kan ౝ 51/84 ᘷ 1627/1032 ᄖ 120/83 ᖚ 1138/1315
1999 koku/gaku ࿖ 8/40 ቇ 33/109
2000 Ko/ji/ki 䇺ฎ 373/172 ੐ 32/80 ⸥ 147/371䇻
2001 Man’/yŇ/shş 䇺ਁ 96/16 ⪲ 405/253 㓸 168/436䇻
2002 Gen/ji/ mono/gatari 䇺Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻
2003 Kei/chş ᄾ 1153/565 ᴒ 829/1346
2004 Shin/gon/shş ⌀ 278/422 ⸒ 279/66 ቬ 1023/616

275
vamente, ad opera di Kada no Azumamaro (⩄↰ᤐḩ2005 1669-1736) e Kamo no
Mabuchi ( ⾐ ⨃ ⌀ ᷗ 2006 1697-1769), entrambi figli di sacerdoti shintoisti, andò
mostrando una tendenza sempre più marcata a liberare i classici dall’interpretazione
secondo gli schemi confuciani e buddhisti, consuetudinaria in quei tempi, e nel
contempo ad idealizzare il ritorno alla vita spirituale pura e originaria dei giapponesi,
dando con Motoori Norinaga (ᧄዬት㐳2007 1730-1801) i frutti maggiori sia sotto
l’aspetto della metodologia di ricerca che nell’ottica ideologica.
 ‫ޣ‬VIA DEGLI ANTICHI DI NORINAGA‫ޤ‬Il Kojikiden (䇺ฎ੐⸥વ䇻2008 it.
Commento al Kojiki, 48 voll., 1764-1798) di Norinaga ት㐳, commentario monumentale
al Kojiki 䇺ฎ੐⸥䇻 e frutto di una metodologia di studio rigorosamente positivistica,
sta a testimoniare che Norinaga ት㐳 aveva respinto il modo di vedere e pensare alla
cinese da lui chiamato karagokoro (ṽᗧ2009 lett. mentalità cinese). Egli trovava nel Kojiki
䇺ฎ੐⸥䇻 la ‘via degli antichi’ (inishie no michi ฎߩ㆏2010 [in termine moderno kodŇ
ฎ㆏2011], in pratica identificabile con lo shintŇ primitivo [koshintŇ ฎ␹㆏2012 lett. shintŇ
antico], ovvero shintŇ ␹㆏ di quei tempi in cui non portava ancora tale nome) e la
vagheggiò quale sublime modello di vita.
A suo dire, la via degli antichi si trova nel vero cuore (magokoro ⌀ᔃ2013), ossia nel
candido cuore innato (umaretsukitaru mama no kokoro ↢߹ࠇߟ߈ߚࠆ߹߹ߩᔃ2014)
ed è modo spontaneo di vivere, in quanto è tale vita quella conforme al volere dei kami
␹. Con questa idea di fondo Norinaga ት㐳 aveva rigettato confucianesimo (jukyŇ ఌ
ᢎ) e buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ), definendoli frutti dell’attività vanagloriosa dell’intel-
letto umano. A costituire il nucleo del pensiero di Norinaga ት㐳 fu appunto il
rispetto verso quanto voleva l’animo innato, ivi compresi anche desideri terreni. Per lui
tale modo di vivere dei giapponesi nell’età mitologica si accordava con la volontà dei
kami ␹.

2005 Ka/da/ no/ Azuma/maro ⩄ 1020/391 ↰ 24/35 ᤐ 461/460 ḩ 579/201


2006 Ka/mo/ no/ Ma/buchi ⾐ 778/756 ⨃ 1166/1467 ⌀ 278/422 ᷗ 1538/non reg.
2007 Moto/ori/ Nori/naga ᧄ 15/25 ዬ 777/171 ት 1012/625 㐳 25/95
2008 Ko/ji/ki/den 䇺ฎ 373/172 ੐ 32/80 ⸥ 147/371 વ 494/434䇻
2009 kara/gokoro ṽ 1394/556 ᗧ 118/132
2010 inishie/ no/ michi ฎ 373/172 ߩ㆏ 129/149
2011 ko/dŇ ฎ 373/172 ㆏ 129/149
2012 ko/shin/tŇ ฎ 373/172 ␹ 229/310 ㆏ 129/149
2013 ma/gokoro ⌀ 278/422 ᔃ 139/97
2014 u/ma/re/tsu/ki/ta/ru/ ma/ma/ no/ kokoro ↢ 29/44 ߹ࠇߟ߈ߚࠆ߹߹ߩᔃ 139/97

276
 Parlando del Genji monogatari 䇺Ḯ᳁‛⺆䇻2015, si è citata la seguente espressione di
Norinaga ት㐳: mono no aware (‛ߩຟ[ࠇ]2016 ψ§22). Si tratta di parole uscite come
conseguenza naturale del suo atteggiamento di fondo, che fu quello di rispettare lo stato
d’animo spontaneo.
 Va aggiunto infine che malgrado la dichiarazione in senso contrario di Norinaga ት
㐳, i ricercatori interessati dei nostri tempi sono unanimi nel segnalare molte analogie
dello studio di Norinaga ት㐳 con quello di Ogyş Sorai ⩆↢ᓖᓭ nel senso che
Norinaga ት㐳 è debitore verso quest’ultimo.
 ‫ޣ‬FUKKO SHINTņ DI ATSUTANE‫ޤ‬Dopo la morte di Norinaga ት㐳 i suoi
studi filologici e linguistici (Bunkengakuha ᢥ₂ቇᵷ lett. scuola filologica) da una parte
e ideologici (KodŇha ฎ㆏ᵷ lett. scuola del kodŇ) dall’altra vennero ereditati separa-
tamente.
Fu Hirata Atsutane (ᐔ↰◊⢬2017 1776-1843) a risultare il maggior erede del lato
ideologico. L’atteggiamento contro il pensiero straniero e il sogno di ritorno all’antichità,
entrambi già rilevabili presso Norinaga ት㐳 e tutti gli altri predecessori, vennero spin-
ti all’estremo da Atsutane ◊⢬, con la conseguenza che l’idea fino allora accarezzata
della via degli antichi si tramutasse in un ismo di nome fukko shintŇ (ᓳฎ␹㆏2018 lett.
ripristino dello shintŇ ␹㆏, shintŇ ␹㆏ da ripristinare), la cui ideologia imperniata
sulla mitologia del kiki (kiki no shinwa ⸥♿ߩ␹⹤ 2019 ψ§10) quale canone più
importante, insieme con quella della scuola di Mito (mitogaku ᳓ᚭቇ), costituì nel
bakumatsu ᐀ᧃ la forza motrice del movimento sonnŇ jŇi undŇ ዅ₺ᡠᄱㆇേ2020 ed
esercitò una grande influenza, tramite la politica religiosa (ψ§64) del governo Meiji
(Meiji seifu ᣿ᴦ᡽ᐭ2021), anche sulla storia del Giappone nell’età moderna.

RANGAKU Uno dei fattori carenti, per non dire totalmente assenti, per un lungo
periodo di tempo, nella cultura tradizionale giapponese, fu senza dubbio
lo spirito scientifico e razionale.
Fu soltanto durante il periodo Tokugawa (Tokugawa jidai ᓼᎹᤨઍ) che nacque
una certa tendenza positivistica in alcuni campi di studio, come si è già visto, a

2015 Gen/ji/ mono/gatari 䇺Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67䇻


2016 mono/ no/ awa[/]re ‛ 126/79 ߩຟ 1670/1675[ࠇ]
2017 Hira/ta/ Atsu/tane ᐔ 143/202 ↰ 24/35 ◊ 1749/1883 ⢬ non reg./non reg.
2018 fuk/ko/ shin/tŇ ᓳ 585/917 ฎ 373/172 ␹ 229/310 ㆏ 129/149
2019 ki/ki/ no/ shin/wa ⸥ 147/371 ♿ 930/372 ߩ␹ 229/310 ⹤ 133/238
2020 son/nŇ/ jŇ/i/ un/dŇ ዅ 1220/704 ₺ 499/294 ᡠ non reg./non reg.ᄱ non reg./non reg.ㆇ 179/439 േ 86/231
2021 Mei/ji/ sei/fu ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᡽ 50/483 ᐭ 156/504

277
cominciare dalla scuola confuciana di nome Kogakuha ฎቇᵷ2022, e su questa base
metodologicamente indispensabile si vide sorgere un filone di studi chiamati a lungo dai
cultori stessi rangaku (⯗ቇ2023 lett. studi olandesi). Essi, però, sapevano che i loro studi
erano in sostanza qualcosa come studi occidentali (yŇgaku ᵗቇ2024), ossia studi sul
sapere tecnico-scientifico dell’Europa centrosettentrionale (Germania, Inghilterra,
Olanda). Se li chiamavano rangaku ⯗ቇ è perché venivano mediati dall’Olanda che,
come si ricorderà, era presente al Dejima ಴ፉ2025 nel porto di Nagasaki 㐳ፒ2026.
 Fu Arai Hakuseki (ᣂ੗⊕⍹2027 ψ§43) ad essere il primo a riconoscere espli-
citamente la netta superiorità delle scienze occidentali per la loro immediata utilizza-
bilità a fini pratici. Successivamente, durante la riforma KyŇhŇ (KyŇhŇ no kaikaku ੨
଻ᡷ㕟2028 1716-1745) promossa dall’VIII shŇgun ዁ァ Tokugawa Yoshimune (ᓼᎹ
ศቬ2029 c. 1716-1745) per salvare le difficoltà finanziarie, venne varata una politica
culturale consistente nell’incoraggiamento degli studi delle scienze occidentali, limitan-
doli però a quelli utili e mirati a miglioramenti tecnici per aumentare la produttività.
 ‫ޣ‬KAITAI SHINSHO E INIZIO DEGLI STUDI OLANDESI‫ޤ‬Una data
memorabile per gli studi olandesi (rangaku ⯗ቇ) fu il 1774, l’anno in cui venne
pubblicato il Kaitai shinsho (䇺⸃૕ᣂᦠ䇻2030 it. Nuovo testo di anatomia), traduzione ad
opera di Maeno RyŇtaku (೨㊁⦟ᴛ2031 1723-1803), Sugita Genpaku (᧖↰₵⊕2032
1733-1817) ed altri di un libro di anatomia, il quale era stato tradotto a sua volta in
olandese da un testo originale tedesco. La riuscita in questa vera impresa stava a
significare che l’olandese fino allora utilizzato dagli interpreti (oranda tsşji ࠝ࡜ࡦ࠳ㅢ
⹖2033 o anche ࠝ࡜ࡦ࠳ㅢ੐) solo come mezzo di comunicazione orale al Dejima
಴ፉ serviva ormai per aprire, tramite i libri, la via verso una conoscenza notevolmente
sistematica delle scienze tecniche e naturali d’Europa attraverso il varco, sia pure

2022 Ko/gaku/ha ฎ 373/172 ቇ 33/109 ᵷ 293/912


2023 ran/gaku ⯗ non reg./non reg.ቇ 33/109
2024 yŇ/gaku ᵗ 366/289 ቇ 33/109
2025 De/jima ಴ 17/53 ፉ 173/286
2026 Naga/saki 㐳 25/95 ፒ 457/1362
2027 Ara/i/ Haku/seki ᣂ 36/174 ੗ 252/1193 ⊕ 266/205 ⍹ 276/78
2028 KyŇ/hŇ/ no/ kai/kaku ੨ 1952/1672 ଻ 166/489 ߩᡷ 294/514 㕟 686/1075
2029 Toku/gawa/ Yoshi/mune ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ศ 464/1141 ቬ 1023/616
2030 Kai/tai/ shin/sho 䇺⸃ 192/474 ૕ 110/61 ᣂ 36/174 ᦠ 130/131䇻
2031 Mae/no/ RyŇ/taku ೨ 38/47 ㊁ 85/236 ⦟ 520/321 ᴛ 403/994
2032 Sugi/ta/ Gen/paku ᧖ 910/1872 ↰ 24/35 ₵ 1514/1225 ⊕ 266/205
2033 o/ra/n/da/ tsş/ji ࠝ࡜ࡦ࠳ㅢ 71/150 ⹖ 1624/843࡮ࠝ࡜ࡦ࠳ㅢ 71/150 ੐ 32/80

278
strettissimo, rimasto aperto a Nagasaki 㐳ፒ.
 Di lì a soli 14 anni, nel 1788, venne pubblicato il primo manuale di lingua olandese
e successivamente, nel 1796, il primo vocabolario olandese-giapponese di ben 64.000
lemmi, moltiplicando traduzioni in molti campi tecnico-scientifici (p.es. medicina,
astronomia, geografia, fisica, chimica, biologia ecc.).
 ‫ޣ‬STUDI OCCIDENTALI DEL BAKUMATSU ‫ޤ‬Nel XIX secolo, da quando si
presentò la questione della pressione esercitata da alcune potenze straniere (ψ§45), gli
studi occidentali si trasformarono prevalentemente in scienze militari per obbedire
all’esigenza di una difesa costiera.
In seguito, tuttavia, cresciuto l’interesse verso le società moderne europee che
avevano reso possibile un enorme progresso delle scienze e delle tecniche, nel baku-
matsu ᐀ᧃ si ebbe inizio dell’apprendimento anche dell’inglese e di altre lingue
europee ed il campo degli studi fu esteso alle discipline umanistiche e sociali. A questo
riguardo, a dire il vero, il diffondersi delle conoscenze anche se solo nel campo delle
scienze tecniche e naturali aveva avuto col tempo inevitabilmente una sua influenza nel
settore dell’ideologia, ma il pensiero illuministico dei cultori di studi olandesi (rangakusha
⯗ቇ⠪2034) o, meglio, degli occidentalisti (yŇgakusha ᵗቇ⠪2035) aveva finito per restare
schiacciato sotto le repressioni shogunali (p.es. Bansha no goku ⱄ ␠ ߩ ₐ lett.
carcerazione dell’associazione barbara, 1839).
 Ciò che venne effettivamente studiato ed accettato con il nome di rangaku ⯗ቇ e
yŇgaku ᵗቇ furono le tecniche e le conoscenze scientifiche occidentali nei loro svilup-
pi pratici (jitsugaku ታቇ lett. scienze immediatamente utilizzabili a scopo pratico). Se
alcuni han ⮲ riuscirono a sanare le loro situazioni finanziarie (ψ§44), ciò fu dovuto in
buona parte all’applicazione positiva degli studi occidentali (yŇgaku ᵗቇ) sulla produ-
zione.
In breve, l’introduzione della civiltà occidentale nel bakumatsu ᐀ᧃ fu un tentativo
di trapiantare nella società tradizionale del Giappone le scienze naturali e le moderne
tecniche, specie quelle militari, europee e nordamericane. Le seguenti parole ben note di
Sakuma ShŇzan (૒ਭ㑆⽎ጊ 2036 1811-1864), cultore di studi sia confuciani che
occidentali e precursore della formazione del Giappone moderno, lo testimoniano
eloquentemente: « TŇyŇ no dŇtoku. SeiyŇ no geijutsu ». (᧲ᵗ㆏ᓼ ⷏ᵗ⧓ⴚ2037 lett.

2034 ran/gaku/sha ⯗ non reg./non reg.ቇ 33/109 ⠪ 22/164


2035 yŇ/gaku/sha ᵗ 366/289 ቇ 33/109 ⠪ 22/164
2036 Sa/ku/ma/ ShŇ/zan ૒ 285/1744 ਭ 591/1210 㑆 27/43 ⽎ 575/739 ጊ 60/34
2037 TŇ/yŇ/ no/ dŇ/toku./ Sei/yŇ/ no/ gei/jutsu ᧲ 11/71 ᵗ 366/289 ㆏ 129/149 ᓼ 839/1038㩷 ⷏
167/72 ᵗ 366/289 ⧓ 588/435 ⴚ 299/187

279
etica orientale, arti occidentali), parole con cui ShŇzan ⽎ጊ incoraggiava a unire lo
spirito orientale e le tecniche occidentali.
 ‫ ޣ‬VALUTAZIONE GENERALMENTE ACCETTATA ‫ ޤ‬Le scienze e la
tecnologia del Giappone d’oggi, tuttavia, non possono dirsi frutto della tradizione del
rangaku ⯗ቇ e yŇgaku ᵗቇ del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ), in quanto a
partire dall’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-1912) le scienze ad altissimo livello
vennero importate ex-novo direttamente dall’Occidente (ψ§65). Si deve riconoscere,
comunque, che se il Giappone nell’età moderna e contemporanea ha avuto un buon
successo in questa operazione di trapianto, lo deve anche alla buona preparazione del
terreno effettuata durante il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) dai cultori della
materia.

ٟ In materia di rangaku ⯗ቇ c’è una figura straniera indimenticabile: Philipp


Franz von Siebold (ࠪ࡯ࡏ࡞࠻ 1796-1866), medico tedesco venuto a Dejima
಴ፉ nel 1823. L’anno successivo, autorizzato dal bakufu ᐀ᐭ in via eccezio-
nale, aprì a Nagasaki 㐳ፒ una scuola privata di medicina e di scienze naturali
(Narutakijuku 㡆ṚႶ2038; Narutaki 㡆Ṛ toponimo; oggi Facoltà di Medicina,
Università di Nagasaki). Dalla sua scuola uscirono molti giovani brillanti.

ISTRUZIONE ED EDUCAZIO- 䇼 GņGAKU ‫ ޤ‬Al gŇgaku ㇹቇ 2039 è già stato


NE DELLA GENTE COMUNE fatto cenno, quando si è parlato poco innanzi
degli istituti d’istruzione degli han ⮲.
 ‫ޣ‬TERAKOYA ‫ޤ‬L’istruzione dei figli della gente non appartenente alla classe
samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖), iniziata nel periodo Muromachi (Muromachi jidai
ቶ↸ᤨઍ) presso i templi buddhisti (tera ኹ) (ψ§38), si diffuse largamente sia per
esigenze reali della vita di tutti i giorni, in particolare per l’attività commerciale, sia a
seguito dell’incoraggiamento da parte del bakufu ᐀ᐭ.
Per insegnare a ragazzi e ragazze dai 6 ai 13-14 anni a leggere e a scrivere, nonché
ad eseguire semplici calcoli, in ogni parte del paese fu aperto, specie nella seconda metà
dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ, un gran numero di scuole private dette terakoya ኹሶደ2040.
Venivano chiamate così, perchè gli allievi che avevano ricevuto istruzione presso templi
buddhisti (tera ኹ) nei periodi precedenti erano stati chiamati terako (ኹሶ lett. allievi
del tera ኹ). Terakoya ኹሶደ significava, quindi, semplicemente case per allievi, ossia

2038 Naru/taki/juku 㡆 1186/925 Ṛ 1285/1759 Ⴖ 1727/1674


2039 gŇ/gaku ㇹ 1004/855 ቇ 33/109
2040 tera/ko/ya ኹ 687/41 ሶ 56/103 ደ 270/167

280
scuola (privata), e come tale non è detto che anche nell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ avessero a
che fare con i tera ኹ . Difatti, la stragrande maggioranza (circa l’80%) dei
maestri-gestori di terakoya ኹሶደ erano rŇnin (ᶉੱ2041 bushi senza signore, quindi
senza stipendi ψ§41), medici, sacerdoti shintoisti e soprattutto chŇnin ↸ੱ2042.
 Si dice che verso la fine dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ ci fossero a livello nazionale ben
oltre diecimila terakoya ኹሶደ e che sempre intorno alla metà del XIX secolo il tasso
di ‘scolarizzazione’ avesse raggiunto il 40% per i ragazzi e il 10% per le ragazze.
 Da ultimo, nell’età successiva sia i terakoya ኹሶደ che i gŇgaku ㇹቇ vennero
riorganizzati e incorporati nel moderno sistema scolastico insieme con tutti gli altri tipi
di istituti d’istruzione. (ψ§65)

  
 ܱᛖ૙ƁƔ 䎮䎸䎱䎧䎲䎮䎸 ᚞ᛠ Ɣ 䎮䎤䎮䎬䎮䎸䎧䎤䎶䎫䎬䎥䎸䎱 ୿ƖɦƠ૨
䎭䎬䎷䎶䎸䎪䎲䎮䎼䒎ƀܱ  
  
ጊ 㜞 ᡿ ਇ ࡟⾆

Ԙ ԙ Ԛ Ԝ ࡟ԛ
ੱ ⢈ ᡿ ਇ ࡟⾆

Il JitsugokyŇ (䇺ታ⺆ᢎ䇻 attribuito alla penna di Kşkai ⓨᶏ), testo in kanbun


ṽᢥ (cinese classico scritto) e largamente usato nei terakoya ኹሶደ, diede un
࡙࡞ࠟ

ࠠࠟ

contributo inestimabile alla diffusione dello spirito confuciano. Inizia con le quattro

frasi riportate a sinistra. Proviamo a leggerle con il metodo kundoku ⸠⺒. Si


leggono nell’ordine dei numeri e per tradizione in giapponese classico.
ࠞ࡜

ࠞ࡜

  
Yama takaki ga yue ni tŇtokarazu. Ki aru o motte tŇtoshi to nasu. (kundoku ⸠⺒)
  
એ ࡟᦭ ࡟ᥓ ὑ ࡟⾆

એ ࡟᦭ ࡟᮸ ὑ ࡟⾆

ԟ ࡟Ԟ ࡟ԝ ԡ ࡟Ԡ

ጊ㜞߈߇᡿ߦ⾆߆ࠄߕ‫ޕ‬᮸᦭ࠆࠍએߞߡ⾆ߒߣὑߔ‫ޕ‬
䏓࠹

䏓࠹

(kakikudashibun ᦠ߈ਅߒᢥ)
࡞ࡥ

࡞ࡥ

Se le montagne sono nobili, non è perché sono alte, ma perché hanno gli alberi.

Hito koyuru ga yue ni tŇtokarazu. Chi aru o motte tŇtoshi to nasu.


ࠪ࠻

ࠪ࠻

ੱ⢈ࠁࠆ߇᡿ߦ⾆߆ࠄߕ‫ޕ‬ᥓ᦭ࠆࠍએߞߡ⾆ߒߣὑߔ‫ޕ‬
Se le persone sono nobili, non è perché ingrassano, ma perché hanno intelletto.

ٟ In riferimento all’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ ogni tanto si incontrano descrizioni


come questa: « Alle scuole di ordine elementare condotte dal clero buddhista (i
terakoya) si affiancano [...] ». Le descrizioni del genere sono sbagliate. Può darsi che

2041 rŇ/nin ᶉ 1445/1753 ੱ 9/1


2042 chŇ/nin ↸ 114/182 ੱ 9/1

281
nella mente dell’autore il terakoya sia scritto ኹዊደ2043 (lett. modesta costruzione
facente parte di o annessa a un tempio buddista), errore che può essere constatato
anche presso non pochi giapponesi.

 ‫ޣ‬SHINGAKU ‫ޤ‬Riguardo all’educazione sia plasmatrice che esaltatrice della morale


dei chŇnin ↸ੱ, degno di nota è lo shingaku (ᔃቇ2044 lett. studio del cuore; da non
confondere con il Xinxue, Hsin-hsüeh ᔃቇ [giapp. shingaku] di Lu Xiangshan 㒽⽎
ጊ2045 [giapp. Riku ShŇzan] e Wang Yangming ₺㓁᣿2046 [giapp. ņ YŇmei], cioè lo
yŇmeigaku 㓁᣿ቇ 2047 ) fondato da Ishida Baigan (⍹↰᪢ጤ 2048 1685-1744). Viene
chiamato anche Sekimon shingaku ⍹㐷ᔃቇ2049 (Sekimon ⍹㐷 φ Ishi/da Baigan
⍹↰᪢ጤ 㧗 mon 㐷: scuola, tradizione accademica).
 Si trattò di una scuola sincretistica di confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ giapp.
jukyŇ), shintoismo (shintŇ ␹㆏) e buddhismo zen (zenbukkyŇ ⑎੽ᢎ), caratterizzata
dalla predicazione, con esemplificazione tangibile, delle virtù scaturite dalle esperienze e
speculazioni personali di Ishida Baigan ⍹↰᪢ጤ.
 ‘I profitti dei commercianti corrispondono agli stipendi dei bushi ᱞ჻’. Con queste
parole egli sostenne la legittimità dei lucri derivanti dal commercio, attività allora
considerata, come si è già detto altrove, ignobile, insistendo nel contempo sul giusto
modo di agire per ricavare utili, riassumibile in tre virtù: onestà, parsimonia e diligenza
(p.es. ‘Non farti prestare soldi che non intendi restituire’. ‘Non cercare di trarre profitti
esagerati’. ‘Se hai continuato ad usare un tot in passato, farai sì che ne bastino due terzi’.
‘Non risparmiarti fatica a favore del tuo padrone’.), e a tale etica fu data, nella successiva
era Meiji (Meiji jidai ᣿ ᴦ ᤨ ઍ ), il nome di chŇnindŇ ( ↸ ੱ ㆏ 2050 lett. via dei
commercianti) sull’esempio dell’espressione bushidŇ ᱞ჻㆏.
 Baigan ᪢ጤ ebbe oltre 400 discepoli ed essi apersero via via quasi 150 corsi per lo
shingaku dŇwa (ᔃቇ㆏⹤ 2051 lett. parole moralizzatrici dello shingaku), disseminati
ovunque in Giappone, costituendo così, accanto ai terakoya ኹሶደ, un altro grosso
veicolo di diffusione del confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ) fra le

2043 tera/ko/ya ኹ 687/41 ዊ 63/27 ደ 270/167


2044 shin/gaku ᔃ 139/97 ቇ 33/109
2045 Riku/ ShŇ/zan 㒽 651/647 ⽎ 575/739 ጊ 60/34
2046 ņ/ YŇ/mei ₺ 499/294 㓁 990/630 ᣿ 84/18
2047 yŇ/mei/gaku 㓁 990/630 ᣿ 84/18 ቇ 33/109
2048 Ishi/da/ Bai/gan ⍹ 276/78 ↰ 24/35 ᪢ 1009/1734 ጤ 744/1345
2049 Seki/mon/ shin/gaku ⍹ 276/78 㐷 385/161 ᔃ 139/97 ቇ 33/109
2050 chŇ/nin/dŇ ↸ 114/182 ੱ 9/1 ㆏ 129/149
2051 shin/gaku/ dŇ/wa ᔃ 139/97 ቇ 33/109 ㆏ 129/149 ⹤ 133/238

282
masse, motivo per cui diversamente da quanto era accaduto sia in Cina che in Corea,
dove il jukyŇ ఌᢎ rimaneva confinato alla classe dirigente, nel Giappone Tokugawa
esso era praticato a livello di tutto il popolo nella vita di tutti i giorni.

§54. Arti figurative

DIVERSE CORRENTI ‫ ޣ‬POPOLARITÀ DELL’UKIYOE ‫ ޤ‬La cultura dei


PITTORICHE chŇnin (chŇnin bunka ↸ ੱ ᢥ ൻ ) era rappresentata non
soltanto dalla letteratura e dal teatro, ma anche dalla pittura e dalla silografia dette ukiyoe
(ᶋ਎⛗2052; ukiyo ᶋ਎ ψ§50). Si tratta di opere in dipinti originali (nikuhitsuga ⡺╩
↹ 2053 ) e soprattutto silografiche (mokuhanga ᧁ   ↹ 2054 ) che raffiguravano di
preferenza donne, specie intrattenitrici (yşjo ㆆᅚ2055 ψ§50) di yşri (ㆆ㉿2056 ψ§48),
attori di kabuki (yakusha ᓎ⠪ 2057 ψ§52) e nel XIX secolo anche paesaggi, e si
distinguevano per il loro carattere popolare da tutte quelle di altre correnti pittoriche di
vario stile presenti durante il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ).
 L’ukiyoe ᶋ਎⛗, originariamente pittura dipinta a pennello detta fşzokuga (㘑ଶ↹
2058 lett. pittura di usi e costumi della vita quotidiana), cominciò a godere rapidamente

d’una vasta popolarità grazie alla produzione in serie a minor costo resa possibile
dall’introduzione della tecnica silografica ad opera di Hishikawa Moronobu (⪉ᎹᏧት
2059 1618-1694). La vendita a prezzo contenuto realizzata grazie alla stampa fu un

fenomeno parallelo alla diffusione dell’ukiyozŇshi ᶋ਎⨲ሶ2060 nel campo letterario. È


ben noto che circa il 30% delle opere di Moronobu Ꮷት ha come oggetto raffigu-
razioni pornografiche, e tal genere di opere è chiamato in particolare shunga (ᤐ↹2061
lett. pittura di primavera). (Con l’occasione si segnala che il termine ukiyo ᶋ਎ aveva

2052 uki/yo/e ᶋ 1047/938 ਎ 152/252 ⛗ 976/345


2053 niku/hitsu/ga ⡺ 779/223 ╩ 940/130 ↹ 150/343
2054 moku/han/ga ᧁ 148/22   677/1046 ↹ 150/343
2055 yş/jo ㆆ 728/1003 ᅚ 178/102
2056 yş/ri ㆆ 728/1003 ㉿ 1077/142
2057 yaku/sha ᓎ 315/375 ⠪ 22/164
2058 fş/zoku/ga 㘑 246/29 ଶ 1498/1126 ↹ 150/343
2059 Hishi/kawa/ Moro/nobu ⪉ 980/non reg.Ꮉ 111/33 Ꮷ 490/409 ት 1012/625
2060 uki/yo/zŇ/shi ᶋ 1047/938 ਎ 152/252 ⨲ 705/249 ሶ 56/103
2061 shun/ga ᤐ 461/460 ↹ 150/343

283
anche tale connotazione.)
 L’ukiyoe ᶋ਎⛗ arrivò alla massima fioritura sotto la cultura Kasei (Kasei bunka
ൻ᡽ᢥൻ2062). Uscirono le prime stampe multicolori, dette specificamente nishikie ㍪
⛗2063, per merito di Suzuki Harunobu (㋈ᧁᤐା2064 1725-1770), creatore di figure
muliebri che sembrano uscire dal mondo delle fiabe o, con un esempio dei nostri tempi,
dai cartoni animati di Walt Disney, e, dopo Kitagawa Utamaro (༑ᄙᎹ᱌㤚2065 1753-
1806) ben noto anche fra gli stranieri, in particolare per le opere (dette bijinga ⟤ੱ↹
2066 lett. disegni di belle donne) che raffigurano donne solitamente lascive, si ebbero

due grandi ukiyoeshi (ᶋ਎⛗Ꮷ2067 lett. maestri di ukiyoe) brillanti soprattutto quali
paesaggisti: Katsushika Hokusai (⪾㘼ർᢪ2068 1760-1849) e AndŇ Hiroshige (቟⮮ᐢ
㊀2069 1797-1858; chiamato anche Utagawa Hiroshige ᱌Ꮉᐢ㊀2070; Utagawa ᱌Ꮉ:
cognome del suo maestro). Fra le opere che costoro ci hanno lasciato, si segnalano le
note serie, rispettivamente di Fugaku sanjşrokkei (䇺ንᎪਃච౐᥊䇻2071 it. Le trentasei
vedute del monte Fuji, 1828) e TŇkaidŇ gojşsantsugi (䇺᧲ᶏ㆏੖චਃᰴ䇻 2072 it. Le
cinquantatré stazioni del TŇkaidŇ, 1833 ψ§43).
 < Ukiyoe e pittura francese > Nella seconda metà del XIX secolo dopo la fine
dell’isolamento nazionale (sakoku ㎮࿖2073), una gran mole di ukiyoe ᶋ਎⛗ venne
portata in Europa e negli USA. È noto che esercitarono influenza sugli impressionisti
francesi: uno dei casi di contributo offerto in passato dalle arti giapponesi a quelle
occidentali unitamente a quelli delle porcellane e delle lacche (shikki ṭེ2074).
 ‫ޣ‬PITTURA DECORATIVA DEL RINPA ‫ޤ‬C’era poi una corrente, detta Rinpa
(℘ᵷ2075 lett. scuola Rin, it. scuola Rinpa), che ebbe inizio con Tawaraya SŇtatsu (ୈደ

2062 Ka/sei/ bun/ka ൻ 100/254 ᡽ 50/483 ᢥ 136/111 ൻ 100/254


2063 nishiki/e ㍪ 1512/2256 ⛗ 976/345
2064 Suzu/ki/ Haru/nobu ㋈ 818/1822 ᧁ 148/22 ᤐ 461/460 ା 198/157
2065 Ki/ta/gawa Uta/maro ༑ 770/1143 ᄙ 161/229 Ꮉ 111/33 ᱌ 478/392 㤚 non reg./non reg.
2066 bi/jin/ga ⟤ 289/401 ੱ 9/1 ↹ 150/343
2067 uki/yo/e/shi ᶋ 1047/938 ਎ 152/252 ⛗ 976/345 Ꮷ 490/409
2068 Katsu/shika/ Hoku/sai ⪾ 1313/non reg.㘼 972/979 ർ 103/73 ᢪ 1363/1478
2069 An/dŇ/ Hiro/shige ቟ 128/105 ⮮ 206/2231 ᐢ 311/694 ㊀ 155/227
2070 Uta/gawa/ Hiro/shige ᱌ 478/392 Ꮉ 111/33 ᐢ 311/694 ㊀ 155/227
2071 Fu/gaku/ san/jş/rok/kei 䇺ን 539/713 Ꭺ 1091/1358 ਃ 10/4 ච 5/12 ౐ 20/8 ᥊ 645/853䇻
2072 TŇ/kai/dŇ/ go/jş/san/tsugi 䇺᧲ 11/71 ᶏ 158/117 ㆏ 129/149 ੖ 14/7 ච 5/12 ਃ 10/4 ᰴ 235/384䇻
2073 sa/koku ㎮ 1605/1819 ࿖ 8/40
2074 shik/ki ṭ 1966/1546 ེ 483/527
2075 Rin/pa ℘ non reg./non reg.ᵷ 293/912

284
ቬ㆐2076 ?-1643), culminando nel Genroku jidai (ర⑍ᤨઍ2077 1688-1704) con Ogata
KŇrin (የᒻశ℘2078 1658-1716). Si tratta di un filone le cui opere furono elaborate
stilisticamente e come tali altamente decorative, motivo per cui vengono chiamate
sŇshokuga (ⵝ㘼↹2079 lett. pittura decorativa). Si suol dire che la proprietà decorativa
considerata la vera essenza della pittura giapponese sin dallo yamatoe (ᄢ๺⛗ ψ§24) si
manifestò appieno con Ogata KŇrin የᒻశ℘.
Le opere della scuola Rinpa ℘ᵷ sono rappresentate delle seguenti due di KŇrin
శ℘: KŇhakubaizu byŇbu (䇺⚃⊕᪢࿑ዳ㘑䇻2080 lett. paravento recante disegni di fiori di
ume [᪢2081 ψ§16] rossi e bianchi, inizi XVIII sec.) e Kakitsubatazu byŇbu (䇺ῆሶ⧎࿑ዳ
㘑䇻2082 lett. paravento con disegni di iris, ?).
 ‫ޣ‬ATMOSFERA POETICA DELLA PITTURA DEI LETTERATI‫ޤ‬Nella
seconda metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ sorse il cosiddetto bunjinga (ᢥੱ↹2083 lett.
pittura dei letterati), disegni cioè eseguiti dai letterati quale seconda attività o per diporto,
e siccome le opere di questo filone seguono stilisticamente la tradizione meridionale
cinese, vengono chiamate anche nanga (ධ↹2084 lett. pittura del sud) e sono permeate
di una atmosfera soave e poetica.
La massima opera frequentemente citata è il ChŇbenzu (䇺㊒ଢ࿑䇻2085 lett. disegno
sulla comodità di pescare) di Ike no Taiga (ᳰᄢ㓷2086 1723-1776), uno di una serie di
disegni chiamata JşbenjşgijŇ (䇺චଢචቱᏝ䇻2087 lett. quaderno di dieci comodità e dieci
agi, 1771), dipinta in collaborazione da Ike no Taiga ᳰᄢ㓷 e Yosa Buson (ਈ⻢⭢᧛
2088 1716-1783 ψ§51).

 ‫ޣ‬REALISMO DEL MARUYAMAHA ‫ޤ‬A partire da verso la metà dell’Edo jidai


ᳯᚭᤨઍ cominciarono a disegnare dal vero molti pittori, fra cui Maruyama ņkyo (ਣ

2076 Tawara/ya/ SŇ/tatsu ୈ 1527/1890 ደ 270/167 ቬ 1023/616 ㆐ 525/448


2077 Gen/roku/ ji/dai ర 328/137 ⑍ non reg./non reg.ᤨ 19/42 ઍ 68/256
2078 O/gata/ KŇ/rin የ 675/1868 ᒻ 408/395 శ 417/138 ℘ non reg./non reg.
2079 sŇ/shoku/ga ⵝ 589/1328 㘼 972/979 ↹ 150/343
2080 KŇ/haku/bai/zu/ byŇ/bu 䇺⚃ 927/820 ⊕ 266/205 ᪢ 1009/1734 ࿑ 631/339 ዳ non reg./non reg.㘑 246/29䇻
2081 ume ᪢ 1009/1734
2082 Kakitsubata/zu/ byŇ/bu 䇺ῆ non reg./non reg.ሶ 56/103 ⧎ 551/255 ࿑ 631/339 ዳ non reg./non reg.㘑
246/29䇻

2083 bun/jin/ga ᢥ 136/111 ੱ 9/1 ↹ 150/343


2084 nan/ga ධ 205/74 ↹ 150/343
2085 ChŇ/ben/zu 䇺㊒ 1225/1862 ଢ 578/330 ࿑ 631/339䇻
2086 Ike/ no/ Tai/ga ᳰ 548/119 ᄢ 7/26 㓷 1271/1456
2087 Jş/ben/jş/gi/jŇ 䇺ච 5/12 ଢ 578/330 ච 5/12 ቱ 1872/1086 Ꮭ non reg./non reg.䇻
2088 Yo/sa/ Bu/son ਈ 485/539 ⻢ 1162/901 ⭢ non reg./non reg.᧛ 210/191

285
ጊᔕ᜼2089 1733-1795) con il suo SesshŇzu byŇbu (䇺㔐᧻࿑ዳ㘑䇻2090 lett. paravento
con disegni di pini sotto la neve, 1765) e Shaseizukan (䇺౮↢࿑Ꮞ䇻2091 lett. rotolo di
illustrazioni disegnati dal vero). La sua scuola, chiamata Maruyamaha (ਣጊᵷ2092 lett.
scuola Maruyama), ebbe molti seguaci soprattutto a KyŇto ੩ㇺ.

PRODOTTI DEL- Si è già detto che nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) sorsero
L’ARTIGIANATO o si affermarono qua e là prodotti tipici regionali (ψ§43). Tanto
per citare solo alcuni degli oggetti più pregiati di produzione artigianale c’erano
porcellane di Arita (Aritayaki ᦭↰὾2093; Arita ψcarta 3), tessuti di seta chiamati
nishijin’ori ⷏㒯❱2094 di KyŇto ੩ㇺ, tinture yşzenzome ෹⑎ᨴ2095 pure di KyŇto
੩ㇺ, lacche (shikki ṭེ2096) di Wajima (Wajimanuri ベፉႣ2097; Wajima ψcarta 9).
Un paio di esempi frequentemente citati di oggetti singoli: scatola-custodia del-
l’occorrente per scrivere, chiamata suzuribako ⎮▫2098, di cui sono celebri gli esemplari
di Hon’ami KŇetsu (ᧄ㒙ᒎశᖝ2099 1558-1637), artista assai versatile e di Ogata
KŇrin (የᒻశ℘ 1658-1716), personaggio centrale della scuola pittorica Rinpa ℘ᵷ.
Altri esempi sono vasi-contenitori per le foglie del tè in porcellana, chiamati chatsubo ⨥
ᄃ2100, di Nonomura Ninsei (㊁‫᧛ޘ‬ੳᷡ2101 ?-?), ceramista.

ARCHI- Nel campo dell’architettura si ebbe a KyŇto ੩ㇺ il celeberrimo Ka-


TETTURA tsura rikyş ᩵㔌ች2102 lett. palazzo distaccato a Katsura (o del principe
Katsura), 1620/1624-presente), residenza di villeggiatura di stile sukiyazukuri ᢙነደㅧ
2103, costruita dal principe HachijŇ no miya Toshihito (HachijŇ no miya Toshihito shinnŇ

2089 Maru/yama/ ņ/kyo ਣ 567/644 ጊ 60/34 ᔕ 413/827 ᜼ 439/801


2090 Ses/shŇ/zu/ byŇ/bu 䇺㔐 907/949 ᧻ 215/696 ࿑ 631/339 ዳ non reg./non reg.㘑 246/29䇻
2091 Sha/sei/zu/kan 䇺౮ 489/540 ↢ 29/44 ࿑ 631/339 Ꮞ 636/507䇻
2092 Maru/yama/ha ਣ 567/644 ጊ 60/34 ᵷ 293/912
2093 Ari/ta/yaki ᦭ 268/265 ↰ 24/35 ὾ 733/920
2094 nishi/jin’/ori ⷏ 167/72 㒯 823/1404 ❱ 753/680
2095 yş/zen/zome ෹ 543/264 ⑎ 1551/1540 ᨴ 1161/779
2096 shik/ki ṭ 1966/1546 ེ 483/527
2097 Wa/jima/nuri ベ 959/1164 ፉ 173/286 Ⴃ 1333/1073
2098 suzuri/bako ⎮ non reg./non reg.▫ 944/1091
2099 Hon’/a/mi/ KŇ/etsu ᧄ 15/25 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 శ 417/138 ᖝ 1690/1368
2100 cha/tsubo ⨥ 805/251 ᄃ non reg./non reg.
2101 No/no/mura/ Nin/sei ㊁ 85/236䇱174/p.58 ᧛ 210/191 ੳ 1346/1619 ᷡ 509/660
2102 Katsura/ ri/kyş ᩵ 1158/2109 㔌 641/1281 ች 419/721
2103 su/ki/ya/zukuri ᢙ 188/225 ነ 545/1361 ደ 270/167 ㅧ 460/691

286
౎᧦ችᥓੳⷫ₺2104 chiamato anche Katsura no miya ᩵ች2105 1597-1629). In una
perfetta armonia con un vasto giardino di tipo chisen kaiyşshiki teien (ᳰᴰ࿁ㆆᑼᐸ࿦
2106 lett. giardino con laghetti e sorgenti intorno a cui andare a zonzo), è l’ultimo

capolavoro del filone della cultura Higashiyama (Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ2107 ψ


§32) e si colloca all’apice dell’architettura residenziale giapponese.
 Insieme con il Katsura rikyş ᩵㔌ች, è memorabile il santuario shintoista NikkŇ
TŇshŇgş (ᣣశ᧲ᾖች2108 1636; NikkŇ ᣣశ ψcarta 10), mausoleo di Tokugawa
Ieyasu ᓼᎹኅᐽ. Si tratta di una costruzione estremamente pomposa eretta dal potere
e dalla ricchezza dei Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁) nell’atmosfera secolare dei tempi.
Bruno Taut (ࡉ࡞࡯ࡁ = ࠲࠙࠻ 1880-1938), architetto tedesco, mentre portò alle
stelle la semplicità e sobrietà del Katsura rikyş ᩵㔌ች, di fronte all’architettura
multicolore e ricca di ornamenti del NikkŇ TŇshŇgş ᣣశ᧲ᾖች parlò invece di un
certo cattivo gusto, ma si trattò di un’opinione derivata dai pregiudizi del tempo. Il
monocromatismo e la semplicità di opere appartenenti al filone culturale Higashiyama
(Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ) non costituiscono certo la totalità del bello giap-
ponese: anche le opere improntate al gusto ‘barocco’ fanno pienamente parte delle belle
arti giapponesi, anzi fu proprio tale spirito ad alimentare l’ukiyo ᶋ਎2109 (ψ§50).
 Un altro tipo di costruzione caratteristico del periodo fu l’abitazione adibita anche a
negozio dei commercianti di stile detto dozŇzukuri (࿯⬿ㅧ2110 lett. costruzione di stile
magazzino dai muri di terra), la quale, a scopo antincendio, aveva una rivestitura esterna
massiccia a base di terra e malta.

ٟ Per quanto riguarda la scultura l’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ fu mediocre. Non


esistono opere degne di menzione ad eccezione di statue di buddha in stato
grezzo, lavorate cioè solo con una accetta da Enkş (౞ⓨ2111 ?-1695), bonzo
errante.

2104 Ha/chi/jŇ/ no/ miya/ Toshi/hito/ shin/nŇ ౎ 41/10 ᧦ 391/564 ች 419/721 ᥓ 1416/2099 ੳ
1346/1619 ⷫ 381/175 ₺ 499/294
2105 Katsura/ no/ miya ᩵ 1158/2109 ች 419/721
2106 chi/sen/ kai/yş/shiki/ tei/en ᳰ 548/119 ᴰ 902/1192 ࿁ 64/90 ㆆ 728/1003 ᑼ 185/525 ᐸ 560/1112
࿦ 412/447
2107 Higashi/yama/ bun/ka ᧲ 11/71 ጊ 60/34 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
2108 Nik/kŇ/ TŇ/shŇ/gş ᣣ 1/5 శ 417/138 ᧲ 11/71 ᾖ 1072/998 ች 419/721
2109 uki/yo ᶋ 1047/938 ਎ 152/252
2110 dozŇ/zukuri ࿯ 316/24 ⬿ 429/1286 ㅧ 460/691
2111 En/kş ౞ 2/13 ⓨ 233/140

287
§55. Vita quotidiana e varie

INFRASTRUTTURE ED ORGANIZZAZIO- Con ogni probabilità Edo ᳯ ᚭ


NE PER LA VITA QUOTIDIANA A EDO era la città più popolata del mondo
sin dagli inizi del XVIII secolo fino a quando nel XIX secolo fu sostituita da Londra.
Al pari della TŇkyŇ ᧲੩ d’oggi anche Edo ᳯᚭ d’allora aveva bisogno giorna-
liero di un’ingente quantità di viveri ed altri materiali di ogni genere cui faceva riscontro
un’altrettanta mole di rifiuti e simili. Ma vediamo anzitutto, specie sotto il profilo infra-
strutturale, com’era organizzata questa metropoli per far fronte alle diverse esigenza di
vita quotidiana dei suoi abitanti.

‫ޣ‬‫ޣ‬ACQUEDOTTI‫ޤ‬Tra le cose indispensabili per la vita di tutti i giorni figura l’acqua.


Quasi tutto il fabbisogno idrico di Edo ᳯᚭ era fornito principalmente da tre canali,
tra cui l’acquedotto Tamagawa (Tamagawa jŇsui ₹Ꮉ਄᳓ 2112 ; jŇsui ਄᳓ acqua
potabile dell’acquedotto) e l’acquedotto Kanda (Kanda jŇsui ␹↰਄᳓2113), entrambi
costruiti nel XVII secolo e utilizzati anche dopo il periodo Tokugawa (Tokugawa jidai
ᓼᎹᤨઍ), fino agli inizi del XX secolo.
Le acque, una volta condotte in zone urbane, venivano distribuite, tramite reti di
conduttura in legno, nei pozzi da cui erano poi attinte all’occorrenza. I pozzi erano a
volte annessi, ad uso esclusivo, a botteghe-abitazioni di ricchi commercianti e a residen-
ze di autorità, ma di norma erano scavati lungo le strade per l’uso comune di tutti gli
abitanti. Per procurarsi dell’acqua si doveva per forza andare fuori di casa, e il compito
spettava, con ogni probabilità, alle donne, come lo testimonia la locuzione tuttora viva:
idobata kaigi (੗ᚭ┵ળ⼏2114 lett. riunione intorno al pozzo, ovvero chiacchiere in cui
si perdono le donne intorno ai pozzi, mentre attingono acque o fanno il bucato).
 Da ultimo, merita di essere messo in particolare evidenza che non si conoscono casi
rilevanti di crisi idriche a Edo ᳯᚭ, attribuibili ad insufficienza di fornitura.

‫ޣ‬FORNITURA DEI GENERI ALIMENTARI‫ޤ‬Passiamo ora ad esaminare


l’approvigionamento dei viveri. Fin dai tempi antichi l’alimento base dei giapponesi
consisteva e consiste a tutt’oggi nel riso (nihongata shokuseikatsu ᣣᧄဳ㘩↢ᵴ ψ§3). Si
sa che nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) il consumo di questo cereale, che prima
era riservato ai ceti superiori, si generalizzò nelle grandi città. Senza dubbio era ingente

2112 Tama/gawa/ jŇ/sui ₹ 610/295 Ꮉ 111/33 ਄ 21/32 ᳓ 144/21


2113 Kan/da/ jŇ/sui ␹ 229/310 ↰ 24/35 ਄ 21/32 ᳓ 144/21
2114 i/do/bata/ kai/gi ੗ 252/1193 ᚭ 342/152 ┵ 942/1418 ળ 12/158 ⼏ 52/292

288
la sua quantità giornalmente consumata a Edo ᳯᚭ che vantava, come abbiamo detto
più volte, oltre un milione di abitanti.
Il riso proveniente dagli han ⮲ circostanti non era però sufficiente a sfamare la sua
popolazione. Occorreva dipendere anche da quel riso che affluiva ad ņsaka ᄢဈ da
ogni parte del Giappone per essere poi venduto sul mercato di quella città (ψ§43). È
da dire che per quanto riguarda l’alimento base, diversamente dalle risorse idriche,
l’approvigionamento di Edo ᳯᚭ era alquanto precario.
Quanto agli altri generi alimentari (verdure e prodotti del mare) ed ai combustibili
(legna e carbone vegetale) di consumo giornaliero, ebbe inizio, intorno a Edo ᳯᚭ, la
loro produzione a scopo di commercializzazione. Della loro distribuzione poi, se ne
occuparono organizzazioni appositamente create.

‫ޣ‬SISTEMAZIONE DI IMMONDIZIE E FECI‫ޤ‬Laddove si svolge la vita


umana esiste inevitabilmente il problema di come far fronte alle immondizie e ai rifiuti.
Sembra che agli inizi essi venissero gettati in fosse scavate negli spazi rimasti aperti nelle
aree urbane. Man mano però che andavano scarseggiando spazi liberi in seguito
all’aumento della popolazione, si assistette ad un graduale degrado igienico-sanitario:
cumuli sempre più grandi di rifiuti cominciavano a farsi notare abbandonati qua e là.
Per affrontare tali problemi ambientali furono create, ad esempio, al centro città
organizzazioni autogestite dagli abitanti della zona con il preciso compito di raccogliere
immondizie per poi gettarle alla foce del fiume Sumidagawa 㓈↰Ꮉ2115, affidandole
all’azione scompositrice di agenti naturali. Sembra che non pensassero, chissà perché,
alla soluzione alternativa di incenerimento.
È da segnalare inoltre che la gente parsinomiosa non buttava via a cuor leggero
certi materiali riciclabili quali carta, indumenti ecc., ma li utilizzava più volte, con-
tribuendo, anche se inconsciamente, a frenare l’aumento inarrestabile che altrimenti si
sarebbe verificato dei rifiuti.
La città di Edo ᳯᚭ doveva far fronte anche a un’enorme quantità di feci, e
quest’altro problema fu risolto brillantemente, utilizzandole quale concime nelle zone
agricole circostanti. I rifiuti organici espulsi dai suoi abitanti erano merci da commer-
cializzare. Edo ᳯᚭ e suoi dintorni erano cioè uniti tra loro in un rapporto, per così
dire, simbiotico in fatto di fornitura di viveri e concime.
Riepilogando, diciamo che per la sistemazione di rifiuti ed escrementi veniva
sfruttata l’azione ripulitrice della natura. Diversamente dalle antiche capitali giapponesi
(ψ§15) e dalle città europee d’allora prive ancora delle fognature, quindi igienicamente

2115 Sumi/da/gawa 㓈 1686/1640 ↰ 24/35 Ꮉ 111/33

289
inaccettabili, la città di Edo ᳯᚭ dotata di un ottimo ecosistema riuscì così a man-
tenersi senza dubbio pulita e igienica.

‫ ޣ‬SERVIZIO ANTINCENDIO ‫ ޤ‬Per gli abitanti di Edo ᳯ ᚭ gli incendi


costituivano una costante fonte di preoccupazione. C’è infatti una nota espressione:
« Gli incendi e le risse sono i fiori degli spettacoli di Edo » (Kaji to kenka wa Edo no hana
Ἣ੐ߣ༗ནߪᳯᚭߩ⪇2116). Dato che la città era costruita quasi interamente in legno,
scoppiava frequentemente un incendio, e una volta verificatosi, si estendeva in un batter
d’occhio. Il più disastroso, noto con il nengŇ ᐕภ del momento, Meireki no taika (᣿ᥲ
ߩᄢἫ2117 lett. grande incendio di Meireki, 1657), continuò ad infuriare per due giorni,
riducendo in cenere il 60% delle zone urbane e mietendo oltre centomila vittime. Si può
benissimo dire che gli incendi facevano parte degli avvenimenti quotidiani degli abitanti
di Edo ᳯᚭ.
 Agli inizi il servizio antincendio era svolto dai corpi costituiti dai bushi ᱞ჻. Nel
1720 vennero costituite anche squadre, chiamate irohagumi machibikeshi (޿ࠈߪ⚵↸Ἣ
ᶖ2118 lett. squadre di spegnimento degli incendi contraddistinte dalle lettere i, ro, ha ecc.
dell’area abitata dai chŇnin ↸ੱ) di circa diecimila pompieri-chŇnin. Tuttavia, visto che
l’operazione di spegnimento consisteva allora principalmente nell’abbattere fabbricati
intorno alle zone in fiamme, essa risultava assai pericolosa e poco adatta ai chŇnin ↸ੱ,
e pertanto il nucleo dei machibikeshi ↸ Ἣ ᶖ andò costituendosi man mano da
personale specializzato.

VITA DEL- ‫ޣ‬VITA DEI BUSHI ‫ޤ‬Facciamo prima lo schizzo di come i daimyŇ
LA GENTE ᄢฬ passavano mediamente tutta la loro vita dalla nascita alla morte.
Esaminiamo poi più da vicino un anno della loro vita, e specificatamente di quella di
Ikeda Mitsumasa (ᳰ↰శ᡽2119 1609-1682), capo (hanshu ⮲ਥ2120 lett. capo di uno
han, in sostanza sinonimo di daimyŇ ᄢฬ) dello han ⮲ di Okayama (Okayama han ጟ
ጊ⮲2121 ψcarta 5) e stimato promotore di un governo illuministico-umanitario (bunchi

2116 Ka/ji/ to/ ken/ka/ wa/ E/do/ no/ hana Ἣ 432/20 ੐ 32/80 ߣ༗ non reg./non reg.ན non reg./non
reg. ߪᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ߩ⪇ 807/1074
2117 Mei/reki/ no/ tai/ka ᣿ 84/18 ᥲ 1793/1534 ߩᄢ 7/26 Ἣ 432/20
2118 i/ro/ha/gumi/ machi/bi/keshi ޿ࠈߪ⚵ 189/418 ↸ 114/182 Ἣ 432/20 ᶖ 336/845
2119 Ike/da/ Mitsu/masa ᳰ 548/119 ↰ 24/35 శ 417/138 ᡽ 50/483
2120 han/shu ⮲ 1566/1382 ਥ 91/155
2121 Oka/yama/ han ጟ 370/non reg.ጊ 60/34 ⮲ 1566/1382

290
seiji ᢥᴦ᡽ᴦ2122) secondo lo spirito confuciano, e infine vediamo la vita di un bushi
ᱞ჻ subalterno.

 < daimyŇ > Il corso della vita dalla nascita alla morte di un daimyŇ ᄢฬ può
essere illustrato rapidamente attraverso le seguenti tappe principali: all’età di circa dieci
anni veniva presentato allo shŇgun ዁ァ. Compiuti quindici anni circa, lo si festeggiava
per aver raggiunto la maggior età. Quasi contemporaneamente gli veniva regalato dalla
corte (chŇtei ᦺᑨ) di solito il quinto rango (goi ੖૏2123) che come tale l’annoverava nel
rango dell’aristocrazia, seppure di bass’ordine. Quando aveva poi all’incirca ventun anni,
subentrava al padre e dopo aver trascorso poco più di trentacinque anni in veste di
daimyŇ/hanshu (ᄢฬ/⮲ਥ) la sua vita si concludeva in media all’età di poco oltre
sessant’anni.
 In obbedienza all’istituzione del sankin kŇtai (ෳൕ੤ઍ2124 residenze alternate ψ
§41) Mitsumasa శ᡽ partiva da Okayama ጟጊ verso il 10 marzo, arrivando a Edo
ᳯᚭ dopo circa 20 giorni di viaggio. L’anno seguente lasciava Edo ᳯᚭ di regola in
aprile e faceva ritorno ad Okayama ጟጊ il mese successivo.
 Durante l’anno in cui gli toccava risiedere a Edo ᳯᚭ il ciclo della sua vita si
svolgeva press’a poco nel modo che segue: a Capodanno riceveva i suoi sudditi al
servizio Edozume (ᳯᚭ⹣2125 servizio da prestare a Edo) che gli presentavano gli
auguri di buon anno. Il 2 gennaio si recava al castello di Edo (EdojŇ ᳯᚭၔ2126, oggi
kŇkyo ⊞ዬ2127 residenza del tennŇ ᄤ⊞), sede shogunale, a presentare a sua volta gli
auguri di buon anno allo shŇgun ዁ァ. Successivamente andava in visita tra alcune
decine di alti dignitari del bakufu ᐀ᐭ a rendere loro osseguio.
 Oltre ai primi giorni del nuovo anno, anche il 1°, il 15 e il 28 di ogni mese, nonché
in occasione di certe festività, per un totale di una cinquantina di volte l’anno, si
presentava al castello di Edo (EdojŇ ᳯᚭၔ) per essere ricevuto in udienza dallo shŇgun
዁ァ. Inoltre, gli capitava ogni tanto di accompagnare lo shŇgun ዁ァ quando questi si
recava, per le funzioni, a certi istituti religiosi, tra cui il TŇshŇgş ᧲ᾖች2128, santuario
shintoista dedicato a Ieyasu ኅᐽ, capostipite della famiglia Tokugawa (Tokugawashi,

2122 bun/chi/ sei/ji ᢥ 136/111 ᴦ 181/493 ᡽ 50/483 ᴦ 181/493


2123 go/i ੖ 14/7 ૏ 482/122
2124 san/kin/ kŇ/tai ෳ 392/710 ൕ 750/559 ੤ 200/114 ઍ 68/256
2125 E/do/zume ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ⹣ 1035/1142
2126 E/do/jŇ ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ၔ 638/720
2127 kŇ/kyo ⊞ 964/297 ዬ 777/171
2128 TŇ/shŇ/gş ᧲ 11/71 ᾖ 1072/998 ች 419/721

291
Tokugawauji ᓼᎹ᳁). Agli affari relativi al suo proprio han ⮲ doveva sì riservare
notevole numero di ore, ma una maggiore percentuale del suo tempo era dedicato a
diverse prestazioni, come quelle sopraccitate, nei confronti dello shŇgun ዁ァ in quanto
suo suddito.
 In maggio, non appena tornato allo han ⮲ di Okayama (Okayama han ጟጊ⮲),
riceveva tutti i suoi sudditi. Gli affari ordinari di cui doveva occuparsi non erano pochi:
autorizzazione o meno di successioni, di ritiri dal servizio, di adozioni di figli e di altre
cose simili sempre riguardanti i propri sudditi; aumenti e decurtazioni delle retribuzioni;
nuove nomine, promozioni e ritiri di mandato nell’apparato amministrativo dello han
⮲; premiazioni dei meritevoli per la pratica della virtù confuciana kŇ ቁ2129 o atti di
onestà; appelli presentati non solo dai bushi ᱞ჻ ma anche da qualsiasi abitante del
suo han ⮲; riscossioni delle imposte (nengu ᐕ⽸2130 lett. tributi annuali) e così via.
 A Capodanno, per ricevere oltre ottocento suoi sudditi impiegava tutta la mattinata.
Il giorno seguente si recava al santuario TŇshŇgş ᧲ᾖች di Okayama ጟጊ, e nello
stesso giorno del 2 e il giorno successivo 3 concedeva a tutti i suoi sudditi samuraici una
fatta di carne delle gru che gli erano state regalate dallo shŇgun ዁ァ a fine anno. In
occasione di festività e a fine anno riceveva in udienza i suoi sudditi, come egli stesso
era ricevuto dallo shŇgun ዁ァ durante la permanenza a Edo ᳯᚭ.
 Ovviamente la sua vita nel proprio han ⮲ era di gran lunga più libera e lo faceva
sentire a proprio agio. Di tanto in tanto si concedeva anche svaghi come caccia e gite di
piacere.
Mitsumasa శ᡽ era un appassionato seguace del confucianesimo (rujiao, juchiao
ఌ ᢎ giapp. jukyŇ), quindi certamente dedicava notevole ore della sua giornata
all’approfondimento di tale dottrina sia a Okayama ጟጊ che a Edo ᳯᚭ. Si sa che
persino durante il viaggio di sankin kŇtai ෳൕ੤ઍ studiava sui commentari dei testi
canonici confuciani (keiten ⚻ౖ).

 < Bushi subalterno > Quanto ai bushi ᱞ჻ di gradi inferiori e alle loro giornate,
prenderemo come esempio un subalterno (di nome Asahi Bunzaemon ᦺᣣᢥᏀⴡ㐷
2131) alle dipendenze del capo vassallo dello han ⮲ di Owari (Owari han የᒛ⮲ ψ

carta 9). Quando era ancora giovane, il suo maggior compito consisteva nel montare di
guardia al castello di Nagoya (NagoyajŇ ฬฎደၔ2132; Nagoya ψcarta 9). Di norma

2129 kŇ ቁ 1249/542
2130 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
2131 Asa/hi/ Bun/za/e/mon ᦺ 257/469 ᣣ 1/5 ᢥ 136/111 Ꮐ 477/75 ⴡ 394/815 㐷 385/161
2132 Na/go/ya/jŇ ฬ 116/82 ฎ 373/172 ደ 270/167 ၔ 638/720

292
una volta ogni nove giorni prestava detto servizio 24 ore su 24. Faceva parte delle sue
mansioni anche intervenire in aiuto in caso di emergenza (p.es. incendio). Inoltre, tre
volte al mese (il 1°, il 15 e il 26) andava dal suo diretto superiore a rendergli omaggio.
Dopo che venne promosso al rango di burocrate con il titolo di otatami bugyŇ (ᓮ⇥ᄺⴕ
2133 addetto a quanto riguardava i tatami ⇥ per la pavimentazione del castello) si

recava quasi tutti i giorni al suo ufficio, ma l’orario di lavoro terminava in mattinata.
C’erano inoltre alcune riunioni mensili a cui partecipava.

‫ޣ‬VITA DEI CHņNIN ‫ޤ‬Si esamina la vita di un paio di chŇnin ↸ੱ che abitava
a Edo ᳯᚭ nella prima metà del XIX secolo. Il termine chŇnin ↸ੱ aveva ormai
perso il suo significato originario (ψ§41) ed era usato in quei tempi semplicemente nel
senso di abitanti non samuraici delle città.
 Secondo la statistica dell’ultimo anno (1867) del periodo Tokugawa (Tokugawa jidai
ᓼᎹᤨઍ) relativa a una unità comunitaria (chŇ ↸2134) del quartire Shibuya (ᷦ⼱ oggi
uno dei quartieri più frequentati di TŇkyŇ ᧲੩) una stragrande maggioranza di chŇnin
↸ੱ (ossia 126 famiglie su un totale di 172) abitava in monolocali presi in affitto, e più
specificamente, in cosiddetto nagaya (㐳ደ2135 lett. casa lunga), ossia fabbricato assai
modesto di forma oblunga diviso in cinque-dieci minuscoli monolocali (2,7m ˜ 3,6m
o poco oltre), eretto solitamente dietro grandi negozi dall’aspetto decoroso di stile
dozŇzukuri (࿯⬿ㅧ2136 ψ§54) costruiti lungo le strade. Risulta che gli inquilini si
occupavano dei più svariati mestieri: dalle attività commerciali o artigianali ai lavori di
fatica, servizi al bagno pubblico, pratica di massaggi o agopuntura, lavori occasionali di
qualunque genere ecc.
 La statistica, in quanto tale, non parla della realtà quotidiana di questa gente.
Abbiamo peraltro un fascicolo intitolato ChşkŇshi (䇺ᔘቁ⹹䇻2137 lett. registro degli atti
di chş ᔘ e kŇ ቁ) da cui emergono certi aspetti della loro vita. Ne citeremo un paio di
esempi. Entrambi riguardano inquilini di nagaya 㐳ደ in pieno centro di Edo ᳯᚭ.

x ShŇgorŇ ㏹੖㇢2138, falegname. Nacque in una povera famiglia malgrado la pro-


fessione di suo padre che esercitava l’arte medica. Quando aveva 14-15 anni, guada-

2133 o/tatami/ bu/gyŇ ᓮ 620/708 ⇥ 1300/1087 ᄺ 1106/1541 ⴕ 31/68


2134 chŇ ↸ 114/182
2135 naga/ya 㐳 25/95 ደ 270/167
2136 do/zŇ/zukuri ࿯ 316/24 ⬿ 429/1286 ㅧ 460/691
2137 Chş/kŇ/shi 䇺ᔘ 1040/1348 ቁ 1249/542 ⹹ 950/574䇻
2138 ShŇ/go/rŇ ㏹ 1425/1821 ੖ 14/7 ㇢ 237/980

293
gnava già piccoli compensi facendo lavoretti per i vicini di casa. All’età di 17 anni si
decise a fare il falegname. Imparò il mestiere in alcuni anni di apprendistato. Riuscì a
guadagnarsi anche clienti fissi. Bruciata la casa più volte per l’estendersi di incendi,
dovette continuamente cambiare dimora insieme con i genitori a suo carico. Senza
ammogliarsi prendeva cura dei genitori ormai vecchi. Sin dalle prime ore del mattino
era al lavoro in cantiere.
x Toyo ߣࠃ, figlia di TomigorŇ ን੖㇢2139. Quasi cieco il padre e malaticcia la
madre, toccava a Toyo mantenere la famiglia con lavori a cottimo (pulizie, lavori di
cucito, bucati ecc.). Prese marito, ma l’unione, poco felice, finì in divorzio. Perse l’unico
figlio. Malgrado le disgrazie che l’avevano colpita una dopo l’altra continuò a praticare
la virtù kŇ ቁ senza far mancare vitto e vestiario ai suoi genitori.

 Si tratta delle pratiche esemplari del kŇ ቁ predicato dai confuciani del Giappone
Tokugawa. Ci dovrebbero peraltro essere stati anche soggetti poco raccomandabili non
registrati, in quanto tali, nel ChşkŇshi 䇺ᔘቁ⹹䇻. Comunque sia, si vede che come si
può facilmente immaginare, una buona parte dei chŇnin-inquilini di nagaya 㐳ደ viveva
alla giornata, sempre incalzata dal bisogno di guadagnare pur di sbarcare il lunario.

ٟ Si rileva che diversamente dagli odierni abitanti di condomini (che per


questione di ‘tono’ i giapponesi chiamano in inglese mansion, pronunciandola
manshon ࡑࡦ࡚ࠪࡦ che non sanno un bel niente dei propri vicini di casa per il
culto pedissequo dell’individualismo occidentale o, meglio, per disinteresse o, forse
ancora meglio, per menefreghismo, questi semplici cittadini di nagaya 㐳ደ, si
aiutavano tra di loro in ogni momento, erano cioè legati tra loro da una coscienza
di solidarietà rilevabile in questa locuzione: rinka aidana no mono (㓞ኅ⋧ᐫߩ⠪
2140 lett. noi, inquilini, che viviamo l’uno accanto all’altro), espressione che fa
cogliere qualcosa di umano e filantropico. Essi non erano dei semplici vicini di
casa.

‫ޣ‬VITA IN UN VILLAGGIO AGRICOLO‫ޤ‬La vita in campagna, invece, variava


alquanto non soltanto a seconda delle regioni, ma anche da stagione a stagione. Pren-
deremo come esempio un villaggio agricolo di nome Ogawa (Ogawa ዊᎹ2141, oggi
città di Suwa ⺪⸰2142 ψcarta 9) nella provincia di Shinano (Shinano no kuni ାỚ࿖

2139 Tomi/go/rŇ ን 539/713 ੖ 14/7 ㇢ 237/980


2140 rin/ka/ ai/dana/ no/ mono 㓞 1002/809 ኅ 81/165 ⋧ 66/146 ᐫ 211/168 ߩ⠪ 22/164
2141 O/gawa ዊ 63/27 Ꮉ 111/33
2142 Su/wa ⺪ non reg./non reg.⸰ 538/1181

294
2143 oggi Nagano-ken 㐳㊁⋵), paesino circondato dalle montagne e situato al centro
dello Honshş ᧄᎺ2144, e faremo una rapida rassegna del ciclo di un anno di vita della
sua popolazione.

x GENNAIO: Come in tutti gli altri villaggi, anche a Ogawa ዊᎹ i primi 7 giorni del
nuovo anno rappresentavano la festività (matsuri ⑂2145) più importante durante tutto
l’anno.
 A Capodanno uno augurava il buon anno a tutti gli altri compaesani. In ogni
famiglia si eseguiva il tradizionale rituale shintoista.
 Il 14 era l’inizio dei lavori: si andava a prendere una catasta di legna in quelle
montagne, dette iriaiyama ౉ળጊ2146, dove tutti i compaesani erano usufruttuari per
diritto consuetudinario. Inoltre, si vangava formalmente in segno di dare il via ai lavori
dei campi.
 Durante l’inverno giovani e capifamiglia si potevano rapidamente contare, perché
molto erano assenti, in quanto lavoravano altrove quali emigrati stagionali. La meta
preferita era Edo ᳯᚭ.
x FEBBRAIO: I lavori dei campi prendevano l’avvio, e con ciò gli emigrati
cominciavano a rientrare in paese.
x MARZO e APRILE: Nei semenzai si mettevano a coltura i semi di riso.
Concimazione delle risaie. Tradizionalmente il concime consisteva, come altrove,
maggiormente di erbe e fogliame tenero raccolti sulle montagne iriaiyama ౉ળጊ.
x MAGGIO: Trapianto delle piantine di riso. Inizio della stagione dei lavori intensi
che si sarebbe conclusa soltanto con la raccolta in autunno. Di tanto in tanto venivano
celebrate feste (matsuri ⑂) tradizionali, fra cui quella primaverile per pregare la divinità
ubusunagami (↥࿯␹2147 kami protettore della comunità territoriale ψ§9) un buon
raccolto.
x GIUGNO: Con la partecipazione anche dei bambini si dava la caccia agli insetti
nocivi e si eseguivano atti apotropaici per tenerli lontani. Preghiere per la pioggia in
caso di siccità. Al verificarsi di qualche malattia epidemica, si creava una bambola di
paglia su cui si faceva scendere il kami ␹ delle epidemie, quindi la si portava fin oltre il
confine del paese limitrofo.

2143 Shina/no/ no/ kuni ା 198/157 Ớ 1185/957 ࿖ 8/40


2144 Hon/shş ᧄ 15/25 Ꮊ 542/195
2145 matsuri ⑂ 899/617
2146 iri/ai/yama ౉ 74/52 ળ 12/158 ጊ 60/34
2147 ubu/suna/gami ↥ 142/278 ࿯ 316/24 ␹ 229/310

295
x LUGLIO: Il 7 veniva celebrata la festa (matsuri ⑂) delle stelle chiamata tanabata ৾
ᄕ2148, e nello stesso giorno si dava il via ai preparativi (p.es. pulizie delle tombe degli
antenati) di una grande festività (matsuri ⑂), detta urabon ⋃⯗⋆2149 e popolarmente
obon ߅⋆, paragonabile a quella di Capodanno.
 A Ogawa ዊᎹ l’urabon ⋃⯗⋆ si celebrava per quattro giorni, dal 13 al 16. La
sera del 13, dopo aver acceso un piccolo falò (mukaebi ㄫ߃Ἣ 2150 fuoco per il
benvenuto) davanti alla casa, ci si recava alle tombe degli antenati a prendere i loro
spiriti per poi accompagnarli a casa. Dopo aver trascorso tre giorni insieme con essi, il
16 si accendeva un altro fuoco (okuribi ㅍࠅἫ2151 fuoco per l’arrivederci) e li si
rimandava all’aldilà. Si trattava di un breve periodo di riposo e di ricreazione in mezzo ai
lavori pesanti ed impagnativi della risicoltura.

ٟ La ricorrenza cosiddetta Daimonjiyaki (ᄢᢥሼ὾߈ 2152 lett. il bruciare a


forma del carattere dai ᄢ) celebrata a KyŇto ੩ㇺ la sera del 16 agosto (il 16
luglio secondo il ‘vecchio’ calendario [kyşreki ᣥᥲ2153 ψ§50]) è un esempio
particolare dell’okuribi ㅍࠅἫ. Esso consiste nel fare un gran numero di falò
giganteschi sui pendii di cinque colline attorno a KyŇto ੩ㇺ in modo da rap-
presentare dei kanji ṽሼ e disegni, ad esempio dai ᄢ a grandi dimensioni e
come tali facilmente riconoscibili anche da lontano.

x AGOSTO, SETTEMBRE e OTTOBRE: Dopo diverse feste minori, nel mese di


settembre si celebrava la grande festa patronale d’antunno dedicata all’ubusunagami ↥࿯
␹ con rapprezentazioni del sacro kagura (␹ᭉ2154 combinazione di danza e musica di
antica origine per intrattenere l’ubusunagami ↥࿯␹), banchetti, spettacoli teatrali a cura
dei giovani del paese ecc.
 Durante il periodo a cavallo tra settembre e ottobre si era indaffarati nei lavori di
raccolta del riso e di altri frutti della terra, e in ottobre si concludevano in pratica tutti i
lavori dei campi.
x NOVEMBRE e DICEMBRE: Gli emigrati partivano. Chi rimaneva a Ogawa ዊᎹ
andava a raccogliere legna in vista dell’inverno e di notte si occupava di lavoretti

2148 tanabata ৾ 44/9 ᄕ 627/81


2149 u/ra/bon ⋃ non reg./non reg.⯗ non reg./non reg.⋆ 1873/1099
2150 muka/e/bi ㄫ 726/1055 ߃Ἣ 432/20
2151 oku/ri/bi ㅍ 220/441 ࠅἫ 432/20
2152 Dai/mon/ji/ya/ki ᄢ 7/26 ᢥ 136/111 ሼ 612/110 ὾ 733/920 ߈
2153 kyş/reki ᣥ 808/1216 ᥲ 1793/1534
2154 kagu/ra ␹ 229/310 ᭉ 232/358

296
artigianali. Con l’avvicinarsi del nuovo anno ci si metteva a fare i preparativi per la
festività di Capodanno.

ٟ L’autore di questo libro è nato e cresciuto in una zona prevalentemente


agricola a circa 20km da Suwa ⺪⸰ (ossia Ogawa ዊᎹ). Anche verso la metà
degli anni 1900 il ciclo della vita al suo paese natale non differiva sostanzialmente
da quello sopra descritto.

Si vede che la vita nelle comunità rurali era fondamentalmente regolata delle
esigenze stagionali della risicoltura (inasaku Ⓑ ૞ 2155 ). Si rileva inoltre che essa
consisteva anche nell’alternarsi, con una certa cadenza, di ke no hi (ࠤߩᣣ2156 giorno di
quotidianità) e hare no hi (᥍ࠇߩᣣ 2157 o anche ࡂ࡟ߩᣣ giorno straordinario,
giorno festivo) in modo che la gente potesse ogni tanto ricreare il fisico e lo spirito
onde svolgere in buona forma i lavori dei campi.

FESTE, RICORRENZE Per la gente di campana i hare no hi ᥍ࠇߩᣣ costituivano


E DIVERTIMENTI occasioni di ricrearsi e al tempo stesso di celebrare
ricorrenze (nenchş gyŇji ᐕਛⴕ੐2158 lett. feste e manifestazioni periodiche nell’arco di
un anno).
I hare no hi ᥍ࠇߩᣣ degli abitanti di città, peraltro, non avevano ovviamente nulla
a che vedere con l’attività agricola e come tali erano di una natura piuttosto diversa da
quelli celebrati in campagna. Di seguito si vedranno quali erano le principali funzioni
delle ricorrenze nelle aree urbane e come si divertiva la gente che viveva in città.
Originariamente i chŇnin ↸ੱ erano quelli che agli inizi del kinsei ㄭ਎ forma-
rono comunità, racogliendosi da più parti, in centri abitati, specie in jŇkamachi (ၔਅ↸
lett. città ai piedi di un castello). Visto che provenivano da ogni dove, quindi sradicati
dal proprio ambiente, era del tutto naturale che avessero bisogno di sentirsi uniti l’uno
all’altro dal senso di coesione che regnava tra i compaesani. Così, essi cercarono di
creare tra loro legami spirituali, approfittando anche e soprattutto di feste (matsuri ⑂):
le celebravano con la partecipazione di tutti.
Il Kanda matsuri (␹↰⑂ 2159 festa del santuario di Kanda), atteso con tanta
impazienza in pratica dell’intera città di Edo ᳯᚭ, ne offre un bell’esempio. Si trattava

2155 ina/saku Ⓑ 966/1220 ૞ 99/360


2156 ke/ no/ hi ࠤߩᣣ 1/5
2157 ha/re/ no/ hi ᥍ 739/662 ࠇߩᣣ 1/5
2158 nen/chş/ gyŇ/ji ᐕ 3/45 ਛ 13/28 ⴕ 31/68 ੐ 32/80
2159 Kan/da/ matsuri ␹ 229/310 ↰ 24/35 ⑂ 899/617

297
di una festa (matsuri ⑂) celebrata con una lunga e pomposa processione, non molto
dissimile ai cortei carnevaleschi d’oggi, che andava in giro per le strade gremite di
spettatori e curiosi venuti anche da fuori Edo ᳯᚭ.

ٟ È da mettere in rilievo che originariamente il matsuri ⑂ nella tradizione shin-


toista consisteva nei riti solenni tramite cui i suoi partecipanti e i kami ␹
entravano in comunicazione, quindi come tale ovviamente non aveva nulla a che
fare con i concetti di processione, spettatore, divertimento, atmosfera allegra ed
animata ecc. (ψ§9)

Verso la fine del XVII secolo, ossia nell’era Genroku (Genroku jidai ర⑍ᤨઍ
1688-1704), uscirono in molte città pubblicazioni quali saijiki (䇺ᱦᤨ⸥䇻 2160 lett.
almanacco di ricorrenze), ...meisho zue (䇺ããฬᚲ࿑ળ䇻2161 lett. disegni rappresentanti
i luoghi celebri di...) e tanti altri simili. La presenza di tali ‘guide turistiche’ messe a
disposizione delle masse sta a significare che al più tardi verso l’era Genroku (Genroku
jidai ర⑍ᤨઍ) la gente soleva andare in brevi gite di piacere (monomi yusan ‛⷗ㆆጊ
2162 lett. visita turistica e gita di piacere) in diversi momenti delle quattro stagioni.

Per i chŇnin ↸ੱ un tipico esempio del haren no hi (᥍ࠇߩᣣ giorno di non


quotidianità) poteva essere un giorno di primavera in cui gli inquilini di un nagaya 㐳ደ
e il loro locatore o i dipendenti di un negozio e il loro padrone, tutti vestiti a festa,
andavano in comitiva ad ammirare i fiori di ciliegio e fare baldoria sotto i fiori (hanami
⧎⷗2163 lett. il guardare i fiori di ciliegio). Così, i hare no hi ᥍ࠇߩᣣ, giorni ‘speciali’,
erano da godersi tutti insieme, collettivamente.

ABBIGLIAMENTO E 䇼 ABBIGLIAMENTO ‫ ޤ‬Durante il periodo Edo


TRATTAMENTI ESTETICI (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) c’era un vestito che si potrebbe
definire di base, in quanto portato in pratica da tutti i maschi e da tutte le femmine della
classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖) e della categoria dei chŇnin ↸ੱ. Si tratta del
kosode (ዊⴿ2164 lett. maniche piccole) che nei periodi precedenti l’epoca Sengoku
(Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ2165 1467 ca.-1568 ca.) era stato indossato dai nobili ed altri
come indumento intimo. Anche i vestiti dei contadini avevano sostanzialmente la stessa

2160 sai/ji/ki 䇺ᱦ 550/479 ᤨ 19/42 ⸥ 147/371䇻


2161 ...mei/sho/ zu/e 䇺ããฬ 116/82 ᚲ 107/153 ࿑ 631/339 ળ 12/158䇻
2162 mono/mi/ yu/san ‛ 126/79 ⷗ 48/63 ㆆ 728/1003 ጊ 60/34
2163 hana/mi ⧎ 551/255 ⷗ 48/63
2164 ko/sode ዊ 63/27 ⴿ 1495/non reg.
2165 Sen/goku/ ji/dai ᚢ 88/301 ࿖ 8/40 ᤨ 19/42 ઍ 68/256

298
forma, fatta eccezione per la lunghezza della parte inferiore notevolmente accorciata
per motivi di praticità nei lavori dei campi.
 La società feudale dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenshakai ᓼᎹኽᑪ␠ળ2166) che
imponeva restrizioni in ogni settore della vita pubblica e privata non ammetteva
neanche la libertà di vestirsi a piacimento. Ciò sta a significare che malgrado l’uso
generalizzato del kosode ዊⴿ presso le abitanti in città, tale vestito doveva essere
indossato, secondo la categoria di appartenenza, diversamente combinato con
determinati altri capi di vestiario o differenziato per colori e disegni.
 Riguardo, per esempio, all’abbigliamento della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻
㓏⚖), c’era il cosiddetto kamishimo (ⵛ2167 o anche ਄ਅ lett. indumento superiore e
indumento inferiore), uniforme ufficiale dei bushi ᱞ჻, portata sopra il kosode ዊⴿ.
Assai caratteristico di forma, consisteva in kataginu (⢋⴩2168 qualcosa come gilè dalle
spalle rigide e vistosamente rialzate) e hakama ( ⵑ 2169 una specie di calzoni
estremamente larghi).

ٟ Col tempo anche la gente comune venne autorizzata a indossare il kamishimo


ⵛ in certe occasioni limitate quali cerimonie nuziali, funerali e simili.
Ancora oggi può capitare che gli artisti di certe categorie di intrattenimenti
tradizionali del pubblico (geinŇ ⧓⢻2170) si presentino in kamishimo ⵛ.

Per quanto riguarda l’abbigliamento dei chŇnin ↸ੱ, notiamo un fenomeno che fa
spicco: man mano che miglioravano le tecniche di tintura, specie con l’avvio verso l’era
Genroku (Genroku jidai ర⑍ᤨઍ 1688-1704) della tintura yşzenzome ෹⑎ᨴ2171, il
kosode ዊⴿ da donna diventava sempre più sfarzoso sia come colori che come disegni.
Il crescente accento posto sull’aspetto estetico si notava in particolare nelle sue maniche
che andarono difatti allungandosi vistosamente in senso verticale. Di pari passo la
cintura, detta obi Ꮺ2172, si fece assai larga (circa 30cm) e veniva annodata in forme
anche appariscenti a scopo ornamentale. Così, il kosode ዊⴿ da donna, sotto il nome
di furisode (ᝄⴿ 2173 lett. maniche che dondolano), segnò una netta tendenza ad

2166 Toku/gawa/ hŇ/ken/sha/kai ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኽ 1039/1463 ᑪ 244/892 ␠ 30/308 ળ 12/158


2167 kamishimo ⵛ non reg./non reg.
2168 kata/ginu ⢋ 1041/1264 ⴩ 1019/677
2169 hakama ⵑ non reg./non reg.
2170 gei/nŇ ⧓ 588/435 ⢻ 341/386
2171 yş/zen/zome ෹ 543/264 ⑎ 1551/1540 ᨴ 1161/779
2172 obi Ꮺ 718/963
2173 furi/sode ᝄ 600/954 ⴿ 1495/non reg.

299
arricchirsi di elementi decorativi di un gusto riconducibile alla cultura classica ed
aristocratica.
 D’altra parte, durante la seconda metà del periodo che vide ripetersi più volte
l’uscita dell’ordinanza shogunale sulla parsimonia (ken’yakurei ୿⚂઎2174 ψ§44) sorse
tra i chŇnin ↸ੱ di Edo ᳯᚭ, un nuovo senso estetico, noto come iki ☴2175.

ٟ < Iki > Ideale dei modi di essere ed agire, quindi anche del bello spirituale, dei
chŇnin ↸ੱ di Edo ᳯᚭ nella seconda metà del periodo Tokugawa (Tokugawa
jidai ᓼᎹᤨઍ). Si riferisce a modi piacevoli da esperto o da dandy (definibile
come tale secondo i canoni dei chŇnin ↸ੱ di Edo ᳯᚭ) permeati anche di una
sensualità raffinata. Il concetto contrario è yabo ㊁᥵ 2176 , ossia modi goffi,
impacciati, poco eleganti di chi non ci sa fare. La coscienza di iki ☴ e yabo ㊁᥵
è tuttora viva presso i giapponesi d’oggi.

Per quel che riguarda specificatamente l’abbigliamento, si tratta di un gusto


apparentemente sobrio che preferiva il colore nero, la tinta unita in colori scuri o
semplici designi a righe in colori spenti. Abbiamo detto « apparentemente », perché tale
sobrietà era, in realtà, accompagnata da colori vivi della fodera e da magnifici disegni
delle sottovesti. Così, riguardo alla coscienza estetica dei giapponesi si può constatare,
per l’ennesima volta (ψ§34, §35, §47, §50), la doppia struttura, ossia la presenza di due
elementi di natura opposta tra loro.
‫ޣ‬ESTETICA PERSONALE‫ ޤ‬Molte donne che risiedevano in città si truccavano
e si acconciavano in maniere elaborate, a volte anche con l’uso abbondante di diversi
tipi di accessori, come si nota in particolare nei bijinga (⟤ੱ↹2177 lett. disegni di belle
donne) di ukiyoe (ᶋ਎⛗ ψ§54). Esistevano non soltanto rossetto, cipria ed altri
cosmetici, ma anche persino una pubblicazione specializzata (Miyako fşzoku kewai den
䇺ㇺ㘑ଶൻ♆વ䇻2178 lett. costumi e trucco in voga alla capitale, 1813) che copriva una
vasta gamma di arogomenti sulle cure estetiche: dal trucco del viso al portamento
aggraziato.
Da ultimo, anche se a stretto rigore esuliamo alquanto dall’argomento di cui si tratta,
soggiungiamo che nel periodo in considerazione tutte le donne sposate praticavano

2174 ken’/yaku/rei ୿ 1949/878 ⚂ 137/211 ઎ 668/831


2175 iki ☴ 1537/1708
2176 ya/bo ㊁ 85/236 ᥵ 915/1428
2177 bi/jin/ga ⟤ 289/401 ੱ 9/1 ↹ 150/343
2178 Miyako/ fş/zoku/ ke/wai/ den 䇺ㇺ 92/188 㘑 246/29 ଶ 1498/1126 ൻ 100/254 ♆ 1218/1699 વ
494/434䇻

300
l’ohaguro (߅ᱤ㤥2179 lett. denti neri, annerimento dei denti), ossia il costume sociale di
tingersi i denti di nero.

ٟ < Ohaguro > Ebbe inizio nell’età antica tra le donne di ceti superiori. Dal
periodo dello insei (inseiki 㒮 ᡽ ᦼ 2180 1086-1179/1185) lo praticavano non
soltanto le donne ma anche gli uomini dell’alta società. Successivamente nel
periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ 1338-1568/1573) le ragazze
della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖) si tingevano i denti di nero all’età
di 9 anni e, infine, durante il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867)
tutte le donne sposate seguivano tale costume.

REGIME ALI- ‫ޣ‬CHANOYU E CUCINA KAISEKI ‫ޤ‬La cultura Momoyama


MENTARE (Momoyama bunka ᩶ ጊ ᢥ ൻ 2181 ), con l’affermazione della
cerimonia del tè (chanoyu ⨥ߩḡ2182, sadŇ ⨥㆏, chadŇ ⨥㆏), diede vita ad un nuovo
tipo di cucina: kaiseki (ᙬ⍹2183 detto anche chakaiseki ⨥ᙬ⍹). È un semplice pasto
servito prima del tè in occasione del chanoyu ⨥ߩḡ ed è caratterizzato soprattutto da
uno stretto nesso tra le vivande e la stagione del momento.
 Agli inizi la cucina per il chanoyu ⨥ߩḡ non si differenziava dall’honzen ryŇri (ᧄ⤝
ᢱℂ 2184 ψ§38), il quale però venne semplificato e trasformato in kaiseki ᙬ⍹.
L’artefice fu Sen no Rikyş ජ೑ભ2185, celebre maestro del wabicha (ଌ⨥2186 ψ§47).
Egli si era dedicato alla pratica zen ⑎ nel tempio zenista Daitokuji (ᄢᓼኹ 2187
1319-presente) di KyŇto ੩ㇺ, ed aveva avuto così modo di osservare da vicino la vita
di tutti giorni dei monaci i cui pasti erano (e sono) estremamente semplici.
‫ޣ‬CUCINA NANBAN ‫ޤ‬Tra gli elementi che costituivano la cosiddetta cultura
nanban (nanban bunka ධⱄᢥൻ ψ§47) era la cucina nanban (nanban ryŇri ධⱄᢱℂ
2188).

 La novità di particolare rilievo a questo riguardo fu questa: c’era gente che comin-

2179 o/ha/guro ߅ᱤ 997/478 㤥 317/206


2180 in/sei/ki 㒮 236/614 ᡽ 50/483 ᦼ 119/449
2181 Momo/yama/ bun/ka ᩶ 1642/1567 ጊ 60/34 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
2182 cha/no/yu ⨥ 805/251 ߩḡ 1022/632
2183 kai/seki ᙬ 1736/1408 ⍹ 276/78
2184 hon/zen/ ryŇ/ri ᧄ 15/25 ⤝ non reg./non reg.ᢱ 212/319 ℂ 95/143
2185 Sen/ no/ Ri/kyş ජ 79/15 ೑ 219/329 ભ 583/60
2186 wabi/cha ଌ non reg./non reg.⨥ 805/251
2187 Dai/toku/ji ᄢ 7/26 ᓼ 839/1038 ኹ 687/41
2188 nan/ban/ ryŇ/ri ධ 205/74 ⱄ 1894/1879 ᢱ 212/319 ℂ 95/143

301
ciava a cibarsi della carne di animali d’allevamento dopo un lungo periodo di esclusione
di tale alimento dalla cucina, ripetiamo, sia per effetto del precetto buddhista di ‘non
privare della vita’, che per i divieti imposti degli imperatori Tenmu (Tenmu tennŇ ᄤᱞ
ᄤ⊞) e ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞).
 Malgrado il divieto di professare il cattolicesimo e l’isolamento nazionale (sakoku
㎮࿖2189) sono riscontrabili nell’attuale cucina e nel vernacolo di Nagasaki 㐳ፒ2190
non poche tracce del nanban ryŇri ධⱄᢱℂ.
‫ޣ‬GASTRONOMIA DEL PERIODO EDO ‫ޤ‬Riguardo al regime alimentare e i
suoi annessi e connessi, risulta che il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) si distingueva
dai suoi precedenti per i seguenti due fenomeni: pubblicazione di trattati specializzati in
gastronomia e usanza largamente seguita di consumare pasti fuori casa. Ambedue
stanno a significare che in questo periodo i cibi cominciavano ad essere consumati non
solo a scopo nutritivo, ma anche per il piacere della buona tavola, a conferma
dell’atmosfera edonistica messa in risalto da tutte le pubblicazioni in materia, della
cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ).
 I manuali di culinaria oggi esistenti del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ)
ammontano ad oltre 200 tra manoscritti e testi stampati. Degna di menzione è l’opera
intitolata TŇfu hyakuchin (䇺⼺⣣⊖⃟䇻2191 lett. cento piatti rari di tŇfu [⼺⣣ lett. legumi
marci, ossia cibo ad alto contenuto proteico, ricavato dai semi di soia]). Fu accettata
assai favorevolmente dal pubblico e diede il via alla pubblicazione di una serie di Cento
piatti rari di… (… hyakuchin 䇺ãã⊖⃟䇻).
 Pare che agli inizi del periodo (siamo agli inizi del XVII sec.) i pasti non si
consumassero ancora quasi mai fuori casa. Fu nella seconda metà che si vedeva aprirsi
qua e là un numero sempre maggiore di trattorie, bancarelle e simili, ed uscivano intanto
diverse edizioni di guide gastronomiche nelle quali non di rado noti ristoranti venivano
valutati e classificati in categorie a mo’ della guida Michelin o del Touring Club Italiano.
È assai probabile che certi ristoranti di lusso costituissero una specie di circolo culturale,
in quanto venivano certamente frequentati da letterati, pittori ed altri intellettuali quale
luoghi di ritrovo.

VIAGGI E PEL- Si sa che lo shogunato dei Tokugawa (Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀


LEGRINAGGI ᐭ) nei suoi primissimi anni di governo sistemò, a scopo politico,
una rete stradale che copriva già l’intera area delle tre isole di Honshş ᧄᎺ, Shikoku

2189 sa/koku ㎮ 1605/1819 ࿖ 8/40


2190 Naga/saki 㐳 25/95 ፒ 457/1362
2191 TŇ/fu/ hyaku/chin 䇺⼺ 988/958 ⣣ 1400/1245 ⊖ 73/14 ⃟ 1224/1215䇻

302
྾࿖ e Kyşshş ਻Ꮊ. Da allora tale rete continuò ad essere ulteriormente migliorata
in modo da poter meglio rispondere alle esigenze politiche. Sennonché man mano che
un numero sempre maggiore di gente, specie quella di città, migliorava la propria situa-
zione economica, quindi riusciva ogni tanto a regalarsi un viaggio per motivi di culto o
per svago, le strade costruite originariamente per l’uso della classe dominante (p.es. dai-
myŇ ᄢฬ in occasione del sankin kŇtai ෳൕ੤ઍ2192 ψ§41) andavano via via assom-
mando in sé un ruolo sempre maggiore quale percorsi per pellegrinaggi (jisha sankei ኹ
␠ෳ⹚2193) e viaggi turistici (monomi yusan ‛⷗ㆆጊ2194) da parte delle masse.
A partire da verso la metà del periodo Tokugawa (Tokugawa jidai ᓼᎹᤨઍ) non
era più raro infatti che gli abitanti della regione di Edo ᳯᚭ si recassero a pregare al
santuario di Ise (Ise sangş દ൓ෳች2195, detto anche semplicemente sangş ෳች o Ise
mairi દ൓ෳࠅ pellegrinaggio al santuaio di Ise [Ise jingş દ൓␹ች ψ§9]) ed
andassero con l’occasione a visitare anche KyŇto ੩ㇺ e ņsaka ᄢဈ e i loro dintor-
ni a scopo strettamente turistico, e per contro la gente del Kamigata ਄ᣇ e delle
province ad ovest di KyŇto ੩ㇺ e ņsaka ᄢဈ, quando andavano in pellegrinaggio al
tempio ZenkŇji (ZenkŇji mairi ༀశኹෳࠅ2196) a Nagano (㐳㊁2197 ψcarta 9), facesse
volutamente una deviazione per spingersi fino a Edo ᳯᚭ.
Secondo una fonte, il numero dei pellegrini recatisi al santuario di Ise (Ise jingş દ
൓␹ች) sarebbe stato di ben 3.620.000, cifra che rappresentava quasi il 14% degli
abitanti d’allora (26.000.000) senza contare la popolazione (5.000.000 ca.) delle due
classi samuraica ed aristocratica messe insieme. L’alta percentuale (10.000 visitatori al
giorno!) fa capire quanto fosse intenso il desiderio di volersi portare a detto santuario.

ٟ Nelle note direttive Keian no o-furegaki (ᘮ቟ᓮ⸅ᦠ2198 ψ§41) del 1649 ema-
nate dal bakufu ᐀ᐭ nei confronti dei contadini si legge: « [...] Divorziate dalla
moglie [...] qualora questa [...] viaggi molto spesso per diporto [...] ». Si vede che già
nel XVII secolo c’erano coloro che viaggiavano così frequentemente da preoc-
cupare il bakufu ᐀ᐭ per eventuali cali delle entrate tributarie.

Di fronte alla voga dei viaggi le case editrice non restavano certo inoperose. Per i

2192 san/kin/ kŇ/tai ෳ 392/710 ൕ 750/559 ੤ 200/114 ઍ 68/256


2193 ji/sha/ san/kei ኹ 687/41 ␠ 30/308 ෳ 392/710 ⹚ non reg./non reg.
2194 mono/mi/ yu/san ‛ 126/79 ⷗ 48/63 ㆆ 728/1003 ጊ 60/34
2195 I/se/ san/gş દ 603/2011 ൓ 365/646 ෳ 392/710 ች 419/721
2196 Zen/kŇ/ji/ mai/ri ༀ 643/1139 శ 417/138 ኹ 687/41 ෳ 392/710 ࠅ
2197 Naga/no 㐳 25/95 ㊁ 85/236
2198 Kei/an/ no/ o/fure/gaki ᘮ 962/1632 ቟ 128/105 ᓮ 620/708 ⸅ 1256/874 ᦠ 130/131

303
gitanti, viaggiatori e pellegrini furono pubblicati innumerevoli namuali e prontuari che
non hanno niente da invidiare alle moderne guide turistiche. È incontestabile che nei
due campi, letterario ed artistico, furono pubblicate molte opere rinomate con tema
incentrato su viaggi rappresentate dalle seguenti due:

x [narrativa] TŇkaidŇchş hizakurige (䇺᧲ᶏ㆏ਛ⤒ᩙᲫ䇻 2199 lett. viaggio a piedi


anziché a cavallo lungo il TŇkaidŇ, it. A cavallo delle gambe lungo il TŇkaidŇ, 1802-1822) di
Jippensha Ikku (ච㄰⥢৻਻ ψ§51)
x [ukiyoe ] TŇkaidŇ gojşsantsugi (䇺᧲ᶏ㆏੖චਃᰴ䇻 it. Le cinquantatré stazioni del
TŇkaidŇ, 1833) di AndŇ Hiroshige (቟⮮ᐢ㊀ ψ§54).

TŇ/kai/dŇ/chş/ hiza/kuri/ge 䇺᧲ 11/71 ᶏ 158/117 ㆏ 129/149 ਛ 13/28 ⤒ non reg./non reg.ᩙ 1571/2111
2199

Ძ 521/287䇻

304
CAPITOLO VI

Età moderna 1: era Meiji

Parte prima: Aspetti politico, sociale ed economico


(Rinnovamento istituzionale ed inizio dell’espansione imperialista)

§56. Periodizzazione della storia del Giappone nelle età moderna e contempora-
nea

Si è già detto che a partire dal 1868 si fa riferimento con un unico nengŇ ᐕภ2200
all’intero regno di un imperatore (tennŇ ᄤ⊞2201). Le età moderna e contemporanea
(kin-gendai ㄭ࡮⃻ઍ2202, o anche kindai-gendai ㄭઍ࡮⃻ઍ) si suddividono pertanto
come segue:

ETÀ M O D ERNA ㄭ ઍ ETÀ CONTEMPORANEA ⃻ ઍ


1868 1912 1926 1945 1989
p. EDO e ra MEIJI e. TAISHƿ e r a S H ƿWA e. HEISEI
ᳯ ᚭ ᣿ ᴦ ᤨ ઍ ᄢᱜᤨઍ ᤘ๺ᤨઍ ᐔᚑᤨઍ
c. cultura moderna cultura contemporanea
KASEI BUNMEI ㄭ ઍ ᢥ ൻ ⃻ ઍ ᢥ ൻ
ൻ᡽ KAIKA
ᢥൻ ᢥ᣿㐿ൻ Cultura di massa ᄢⴐᢥൻ

La descrizione del nostro testo arriverà sino al 1945 (fine del secondo conflitto
mondiale).

2200 nen/gŇ ᐕ 3/45 ภ 368/266


2201 ten/nŇ ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
2202 kin/-/gen/dai ㄭ 127/445࡮⃻ 82/298 ઍ 68/256

305
§57. Il Giappone di fronte all’invasione europea in Asia

A SIA INTORNO ALLA Mentre il Giappone si chiudeva nell’isolamento (sako-


METÀ DEL XIX SECOLO ku ㎮࿖2203 1639-1854), la situazione mondiale subi-
va un netto mutamento; in particolare, in seguito ad una serie di rivoluzioni (p.es.
‘gloriosa rivoluzione’ inglese del 1688, indipendenza degli USA del 1776, rivoluzione
francese del 1789 e soprattutto rivoluzione industriale in Inghilterra a partire dalla metà
del XVIII secolo), nell’Europa occidentale e negli USA nacquero degli Stati moderni ed
era in corso lo sviluppo del capitalismo (shihonshugi ⾗ᧄਥ⟵2204). Anche se l’Europa
non era ancora nella fase di espansione imperialistica, l’invasione dell’Occidente, specie
dell’Inghilterra, in Asia, era già iniziata.

ٟ Nel 1842 Hong Kong (㚅᷼2205 giapp. Honkon) fu ceduta in affitto (soshaku
⒅୫2206) dalla Cina all’Inghilterra in seguito alla guerra dell’oppio (Ahen sensŇ ࠕ
ࡋࡦᚢ੎2207 ψ§45). (È tornata alla sovranità cinese nel 1997).
ٟ Nel 1858 l’India passò alla diretta dipendenza inglese. (Indipendenza dell’India:
1947

 La Russia zarista (teisei Roshia Ꮲ᡽ࡠࠪࠕ2208), poi, arrivata al Mare di Okhotsk


(OhŇtsukukai ࠝࡎ࡯࠷ࠢᶏ2209), spiava l’occasione di scendere verso sud per procu-
rarsi i porti liberi dai ghiacci invernali.
 Gli USA, infine, pressoché stabilizzato l’attuale loro territorio, si dimostravano inte-
ressati al commercio con la Cina ed avevano bisogno di un posto intermedio per farvi
tappa ed è questo il motivo principale che indusse Fillmore a forzare la porta del Giap-
pone.

OBIETTIVO DI FON- In una progressiva sottomissione dell’Oriente all’Occidente,


DO DEL GIAPPONE tutte le forze giapponesi, governative o non, e malgrado le
frizioni ed i contrasti che si susseguirono, erano unanimi nel riconoscere che fra il
Giappone ed i paesi occidentali c’era un enorme dislivello di potenza nazionale; di qui il

2203 sa/koku ㎮ 1605/1819 ࿖ 8/40


2204 shi/hon/shugi ⾗ 230/750 ᧄ 15/25 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2205 Hon/kon 㚅 832/1682 ᷼ 445/669
2206 so/sha/ku ⒅ 1481/1083 ୫ 996/766
2207 A/he/n/ sen/sŇ ࠕࡋࡦᚢ 88/301 ੎ 271/302
2208 tei/sei/ Ro/shi/a Ꮲ 1024/1179 ᡽ 50/483 ࡠࠪࠕ
2209 O/hŇ/tsu/ku/kai ࠝࡎ࡯࠷ࠢᶏ 158/117

306
bisogno di trasformare il paese, mediante la modernizzazione, in uno Stato in grado di
assicurarsi l’indipendenza e l’integrità territoriale.
 A parte la politica religiosa (ψ§64), per modernizzazione s’intendeva occidentaliz-
zazione, ossia introduzione della civiltà e cultura d’Occidente. Il modello da seguire non
era più la Cina, ma bensì l’Europa e gli USA. Così, il Giappone cominciò a muovere i
primi passi verso l’occidentalizzazione, non di rado persino arrivando a passare sopra
alla propria tradizione.

§58. Restaurazione Meiji

RIFORMA DI GRAN- Nel 1868, nel Giuramento in cinque articoli (GokajŇ no


DI PROPORZIONI goseimon ੖▎᧦[ߩ]ᓮ⹿ᢥ2210) pronunziato ai kami ␹,
l’imperatore Meiji (Meiji tennŇ ᣿ᴦᄤ⊞2211 r. 1867-1912) rese pubblica la linea politi-
ca del nuovo governo, dando inizio ad un periodo d’una serie di riforme moderniz-
zatrici di vasta portata, chiamata Meiji ishin (᣿ᴦ⛽ᣂ2212 lett. riforma o rinnovamento
Meiji; it. restaurazione Meiji).

ٟ In riferimento, per esempio, all’imperatore Meiji (Meiji tennŇ ᣿ᴦᄤ⊞) la


storiografia italiana parla a volte anche del ‘tennŇ Mutsuhito’ la cui traduzione
letterale in giapponese sarebbe Mutsuhito tennŇ ⌬ੳᄤ⊞2213, espressione che
non esiste in giapponese.

Successivamente veniva ripristinato il dajŇkan ᄥ᡽ቭ2214 (ψ§6), massimo organo


del governo Meiji (Meiji seifu ᣿ᴦ᡽ᐭ2215) fino al 1885. Il nome della città di Edo ᳯ
ᚭ fu sostituito nel 1868 con TŇkyŇ (᧲੩ lett. capitale orientale ψcarta 10), nuova
capitale (TŇkyŇ sento ᧲੩ㆫㇺ2216 lett. trasferimento della capitale a TŇkyŇ, 1869),
stabilendo, come si è visto qui sopra, che il 1868 sarebbe stato il 1° anno dell’era Meiji

2210 Go/ka/jŇ/ no/ go/sei/mon ੖ 14/7 ▎ 1943/1473 ᧦ 391/564 [ߩ] ᓮ 620/708 ⹿ 1743/1395 ᢥ 136/111
2211 Mei/ji/ ten/nŇ ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
2212 Mei/ji/ i/shin ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174
2213 Mutsu/hito/ ten/nŇ ⌬ 1844/2172 ੳ 1346/1619 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
2214 dajŇ/kan ᄥ 343/629 ᡽ 50/483 ቭ 225/326
2215 Mei/ji/ sei/fu ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᡽ 50/483 ᐭ 156/504
2216 TŇ/kyŇ/ sen/to ᧲ 11/71 ੩ 16/189 ㆫ 1975/921 ㇺ 92/188

307
(Meiji gannen ᣿ᴦరᐕ2217).

ٟ La restituzione del potere da parte del bakufu ᐀ᐭ alla corte (chŇtei ᦺᑨ)
non fu conclusa in modo del tutto pacifico. Vennero combattute battaglie chiama-
te nel loro insieme Boshin sensŇ (ᚍㄖᚢ੎2218 lett. guerra di Boshin, 1868-1869;
Boshin ᚍㄖ: una delle sessanta combinazioni di riferimento di origine cinese,
chiamate nel loro complesso eto ᐓᡰ2219, per date, ore e direzioni) tra le forze
filo-shogunali perdenti e le forze filo-imperiali vittoriose. Queste ultime erano
costituite principalmente dall’alleanza ChŇshş-Satsuma (SatchŇ rengŇ ⮋㐳ㅪว
2220).

ٟ L’espressione Meiji ishin ᣿ᴦ⛽ᣂ è tradotta per tacito accordo sempre


come restaurazione Meiji, con ogni probabilità, dall’espressione inglese ‘Meiji
restoration’ che si riferiva ovviamente alla restaurazione del governo imperiale del
1867 (Ňsei fukko ₺᡽ᓳฎ2221 ψ§45).
La parola ishin ⛽ᣂ in sé significa rinnovamento e non restaurazione. Difatti,
l’espressione Meiji ishin ᣿ᴦ⛽ᣂ fu usato originariamente nel senso di rinnova-
mento totale del sistema politico (ossia soppressione del Tokugawa bakufu ᓼᎹ
᐀ᐭ e ripristino del governo imperiale, e in questo senso si diceva anche goisshin
[ᓮ৻ᣂ2222 lett. un colpo di rinnovamento]), ma adesso è usato in riferimento ad
un certo arco di tempo dell’intero periodo di modernizzazione non soltanto politi-
ca, ma anche economica, sociale e culturale del Giappone.
Il nostro testo segue l’interpretazione più restrittiva in riferimento, cioè, al
periodo che va dal 1868 alla riforma fondiario-tributaria (chiso kaisei ࿾⒅ᡷᱜ
2223) degli anni 1873-1881. L’interpretazione più estensiva copre, invece, il periodo

di mezzo secolo dalla riforma TenpŇ (TenpŇ no kaikaku ᄤ଻ᡷ㕟2224 1841-


1843) all’apertura della Dieta imperiale (Teikoku gikai Ꮲ࿖⼏ળ2225) del 1890.
Sembra inoltre che sia generalmente seguita l’interpretazione che l’inizio della
restaurazione, ossia riforma/rinnovamento Meiji (Meiji ishin ᣿ᴦ⛽ᣂ) coincida

2217 Mei/ji/ gan/nen ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ర 328/137 ᐕ 3/45


2218 Bo/shin/ sen/sŇ ᚍ non reg./non reg.ㄖ 1562/2246 ᚢ 88/301 ੎ 271/302
2219 e/to ᐓ 1179/584 ᡰ 302/318
2220 Sat/chŇ/ ren/gŇ ⮋ non reg./non reg.㐳 25/95 ㅪ 87/440 ว 46/159
2221 Ň/sei/ fuk/ko ₺ 499/294 ᡽ 50/483 ᓳ 585/917 ฎ 373/172
2222 go/is/shin ᓮ 620/708 ৻ 4/2 ᣂ 36/174
2223 chi/so/ kai/sei ࿾ 40/118 ⒅ 1481/1083 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275
2224 Ten/pŇ/ no/ kai/kaku ᄤ 364/141 ଻ 166/489 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
2225 Tei/koku/ gi/kai Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ⼏ 52/292 ળ 12/158
2226 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305
2227 Ni/hon/ kin/gen/dai/shi ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ㄭ 127/445 ⃻ 82/298 ઍ 68/256 ผ 563/332
2228 Tai/ka/ no/ kai/shin ᄢ 7/26 ൻ 100/254 ᡷ 294/514 ᣂ 36/174

308
con l’inizio della storia moderna e contemporanea del Giappone, quindi per coloro
per cui il Meiji ishin ᣿ᴦ⛽ᣂ inizia con la caduta nel 1854 dell’isolazionismo
(sakoku ㎮࿖), la storia movimentata del bakumatsu ᐀ᧃ2226 (ψ§45) faccia parte
della storia moderna e contemporanea del Giappone (Nihon kingendaishi ᣣᧄㄭ
⃻ઍผ2227).
ٟ L’organo collegiale ᄥ᡽ቭ istituito con la riforma Taika (Taika no kaishin ᄢ
ൻᡷᣂ2228) e lo stesso ad opera del governo Meiji (Meiji seifu ᣿ᴦ᡽ᐭ) vengo-
no letti, per consuetudine, come termini, rispettivamente daijŇkan e dajŇkan.

CENTRALIZ- 䇼HANSEKI HņKAN ‫ޤ‬Per ricreare uno stato centralizzato con al


ZAZIONE vertice l’imperatore (tennŇ ᄤ⊞), nel 1869 il governo Meiji (Meiji seifu
᣿ᴦ᡽ᐭ) indusse i daimyŇ ᄢฬ a restituire al tennŇ ᄤ⊞ i territori (han  2229) e le
popolazioni (seki ☋2230 anagrafe, quindi popolazione) su cui avevano esercitato fino ad
allora la loro autorità, operazione chiamata hanseki hŇkan ( ☋ᄺㆶ2231 lett. restitu-
zione di territori e popolazioni).
 ‫ޣ‬HAIHAN CHIKEN ‫ޤ‬Successivamente, nel 1871, sostituì gli han ⮲ (ψ§41) con
le unità d’amministrazione locale, chiamate ken (⋵2232 prefetture ψcarta 13; cfr. kuni
[࿖ provincia] ψ§10), governate dai prefetti (nei primi momenti chiamati kenrei ⋵઎
2233, quindi kenchiji ⋵⍮੐2234) tutti nominati dal governo centrale, e a tale riorganizza-

zione territoriale si fa riferimento con l’espressione haihan chiken (ᑄ⮲⟎⋵2235 lett.


abolizione di han ⮲ e istituzione di ken ⋵). Così, veniva sistemata anzitutto la base di
uno Stato centralizzato.
 ‫ޣ‬GOVERNO DOMINATO DAGLI HANBATSU ‫ޤ‬I posti-chiave del governo
centrale erano subito occupati da personaggi influenti originari degli han di Tosa (Tosa
han ࿯૒⮲2236), di Saga (Saga han ૒⾐⮲2237) e soprattutto di Satsuma (Satsuma han
⮋៺⮲2238) e di ChŇshş (ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲2239) (ψ§44), motivo per cui il governo

2229 han   677/1046


2230 seki ☋ 1463/1198
2231 han/seki/ hŇ/kan   677/1046 ☋ 1463/1198 ᄺ 1106/1541 ㆶ 1139/866
2232 ken ⋵ 195/194
2233 ken/rei ⋵ 195/194 ઎ 668/831
2234 ken/chi/ji ⋵ 195/194 ⍮ 207/214 ੐ 32/80
2235 hai/han/ chi/ken ᑄ 1014/961 ⮲ 1566/1382 ⟎ 322/426 ⋵ 195/194
2236 To/sa/ han ࿯ 316/24 ૒ 285/1744 ⮲ 1566/1382
2237 Sa/ga/ han ૒ 285/1744 ⾐ 778/756 ⮲ 1566/1382
2238 Satsu/ma/ han ⮋ non reg./non reg.៺ 1074/1530 ⮲ 1566/1382
2239 ChŇ/shş/ han 㐳 25/95 Ꮊ 542/195 ⮲ 1566/1382

309
Meiji (Meiji seifu ᣿ᴦ᡽ᐭ) fu definito in età posteriore governo controllato dai pochi
e determinati ex-han (hanbatsu seifu ⮲㑓᡽ᐭ2240 it. governo oligarchico [espressione
forzatamente applicata, quindi poco appropriata]).

ٟ batsu 㑓: gruppo potente, solidale e chiuso all’interno di una organizzazione, di


membri di ‘comune provenienza’. Le provenienze possono essere università presso
cui ci si è laureati (allora si parla di gakubatsu ቇ㑓2241, p.es. TŇdai batsu ᧲ᄢ㑓
batsu dell’università di TŇkyŇ), luoghi di nascita (kyŇdobatsu ㇹ࿯㑓2242), parenti
materni (keibatsu 㑖㑓2243) e simili. I membri di un batsu 㑓, con lo spirito di
cricca, cercano di favorirsi reciprocamente per la carriera personale ai danni degli
altri, quindi anche di dominare l’organizzazione stessa.
Lo hanbatsu ⮲㑓 è una forma particolare del kyŇdobatsu ㇹ࿯㑓, quindi lo
hanbatsu seifu ⮲㑓᡽ᐭ è ben diverso dal ‘governo oligarchico’, espressione con
cui i libri di storia giapponese in lingue occidentali sogliono fare riferimento al
hanbatsu seifu ⮲㑓᡽ᐭ.

 I leaders principali del nuovo governo erano i seguenti, ed essi, come tali, ricorrono
frequentemente nella storia dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ):

Ԙ Satsuma han SaigŇ Takamori (⷏ㇹ㓉⋓ 1827-1877) 42*


⮋៺⮲ ņkubo Toshimichi (ᄢਭ଻೑ㅢ 1830-1878) 39*
Kido Takayoshi (ᧁᚭቁమ 1833-1877) 36*
ԙ ChŇshş han
ItŇ Hirobumi (દ⮮ඳᢥ 1841-1909) 28*
㐳Ꮊ⮲
Yamagata Aritomo (ጊ⋵᦭᦮ 1838-1922) 31*
Ԛ Tosa han
Itagaki Taisuke (᧼၂ㅌഥ 1837-1919) 32*
࿯૒⮲
ԛ Saga han
ņkuma Shigenobu (ᄢ㓊㊀ା 1838-1922) 31*
૒⾐⮲
Ԝ kuge
Iwakura Tomomi (ጤୖౕⷞ 1825-1883) 44*
౏ኅ
* Età nel 1868.

PA R I T À D E L L E La riforma nel campo sociale riguardava la soppressione della


QUATTRO CLASSI divisione in categorie di appartenenza fino ad allora minuta-

2240 han/batsu/ sei/fu ⮲ 1566/1382 㑓 1457/1510 ᡽ 50/483 ᐭ 156/504


2241 gaku/batsu ቇ 33/109 㑓 1457/1510
2242 kyŇ/do/batsu ㇹ 1004/855 ࿯ 316/24 㑓 1457/1510
2243 kei/batsu 㑖 non reg./non reg.㑓 1457/1510

310
mente distinte all’interno di ciascuna categoria e regolate secondo il principio ‘superiore
– inferiore’ (jŇge ਄ਅ ψ§41).
 Così, la vecchia organizzazione di stratificazione venne ad essere sostituita (1869 e
1871) da una nuova, notevolmente semplificata:

Ԙ Famiglia imperiale ψ kŇzoku ⊞ᣖ2244 membri imperiali


ԙ kuge ౏ኅ e daimyŇ ᄢฬ ψ kazoku ⪇ᣖ pari*
Ԛ bushi ᱞ჻ ψ shizoku ჻ᣖ gentiluomini*
contadini, chŇnin ↸ੱ,
ԛ ψ heimin ᐔ᳃ plebei*, gente comune*
eta ⓚᄙ e hinin 㕖ੱ
* Le traduzioni sono tentativi di approssimarsi il più possibile allo spirito dei termini.

 Ad eccezione dei kŇzoku ⪇ᣖ2245, la riorganizzazione fu accompagnata dalla sop-


pressione di privilegi e restrizioni, e siccome l’insieme di shizoku ჻ᣖ2246 e heimin ᐔ
᳃2247 rappresentava oltre il 99% di tutta la popolazione, istituzionalmente quasi tutti si
trovarono collocati pressoché allo stesso livello (shimin byŇdŇ ྾᳃ᐔ╬2248 lett. parità
dei quattro popoli; shimin ྾᳃ ψ§41).
 ‫ޣ‬BURAKUMIN ‫ޤ‬Si continuò, tuttavia, ad operare mentalmente con distinzioni e
discriminazioni. Ciò è stato particolarmente vero nei confronti dell’ex-eta ⓚᄙ2249 e
dell’ex-hinin 㕖ੱ2250 che sono tuttora oggetti di emarginazione sociale, problema cui
si fa riferimento con espressioni come queste: mikaihŇ buraku (ᧂ⸃᡼ㇱ⪭2251 lett.
‘ghetti’ non ancora liberati), buraku mondai (ㇱ⪭໧㗴2252 lett. questione dei ‘ghetti’) o
burakumin (ㇱ⪭᳃2253 lett. gente dei ‘ghetti’). (ψ§73)

RIFORMA FONDIA- Al fine di assicurarsi un’entrata costante che permettesse la


RIO-TRIBUTARIA programmazione dei lavori, nel 1873 il governo metteva

2244 kŇ/zoku ⊞ 964/297 ᣖ 599/221


2245 ka/zoku ⪇ 807/1074 ᣖ 599/221
2246 shi/zoku ჻ 301/572 ᣖ 599/221
2247 hei/min ᐔ 143/202 ᳃ 70/177
2248 shi/min/ byŇ/dŇ ྾ 18/6 ᳃ 70/177 ᐔ 143/202 ╬ 601/569
2249 e/ta ⓚ non reg./non reg.ᄙ 161/229
2250 hi/nin 㕖 491/498 ੱ 9/1
2251 mi/kai/hŇ/ bu/raku ᧂ 801/306 ⸃ 192/474 ᡼ 282/512 ㇱ 37/86 ⪭ 393/839
2252 bu/raku/ mon/dai ㇱ 37/86 ⪭ 393/839 ໧ 75/162 㗴 123/354
2253 bu/raku/min ㇱ 37/86 ⪭ 393/839 ᳃ 70/177

311
mano alla riforma fondiario-tributaria chiamata chiso kaisei (࿾⒅ᡷᱜ2254 lett. riforma
dell’imposta fondiaria, 1873-1881).
Vennero emessi titoli fondiari, detti chiken ࿾೛2255, con cui il governo, da un lato,
riconosceva sia la proprietà privata di dati appezzamenti di terreno che la facoltà della
loro cessione (cfr. Denpata eitai baibai kinshirei ↰⇌᳗ઍᄁ⾈⑌ᱛ઎2256 lett. divieto
eterno di compravendita dei terreni agricoli, 1643 ψ§41) e, dall’altra, fissava il valore
del terreno in termini monetari. L’imposta fondiaria da pagare in denaro era fissata al
3% del valore del terreno.
 Diversamente dall’aspettativa e dalle speranze dei coltivatori, il tributo risultò tanto
gravoso quanto lo era stato durante il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ), con la conse-
guenza di indurre molti contadini a cedere i loro terreni. Si videro, così, moltiplicarsi
campi dati in affitto, arricchirsi ulteriormente, per contro, i proprietari terrieri già ricchi
e perdurare a lungo il rapporto ereditato dal passato di ‘superiorità – inferiorità’ fra
padrone e fittavoli.(ψ§62)

ٟ La questione dei terreni agricoli e i suoi annessi e connessi si protrassero,


difatti, fino alla riforma agraria (nŇchi kaikaku ㄘ࿾ᡷ㕟2257 lett. riforma dei ter-
reni agricoli, 1945-1950) effettuata nel secondo dopoguerra.

§59. Slogan: ‘Arricchire il paese e rafforzare la potenza militare’ (fukoku kyŇhei )

 Tutte le riforme istituzionali e tutti gli sforzi del governo erano finalizzati, in fin dei
conti, all’‘arricchimento del paese e al rafforzamento delle forze armate’ (fukoku kyŇhei
ን࿖ᒝ౓2258 lett. paese ricco, esercito forte). Ciò appunto per creare, come si è già
detto, uno Stato in grado di far fronte alle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ
2259).

INDUSTRIALIZZAZIONE PER 䇼STABILIMENTO DI GESTIONE STATA-


INIZIATIVA GOVERNATIVA LE‫ޤ‬Per ‘arricchire il paese’ (fukoku ን࿖) s’in-

2254 chi/so/ kai/sei ࿾ 40/118 ⒅ 1481/1083 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275


2255 chi/ken ࿾ 40/118 ೛ 584/506
2256 Den/pata(= Ta/hata)/ ei/tai/ bai/bai/ kin/shi/rei ↰ 24/35 ⇌ 1216/36 ᳗ 690/1207 ઍ 68/256

ᄁ 131/239 ⾈ 330/241 ⑌ 853/482 ᱛ 400/477 ઎ 668/831


2257 nŇ/chi/ kai/kaku ㄘ 362/369 ࿾ 40/118 ᡷ 294/514 㕟 686/1075
2258 fu/koku/ kyŇ/hei ን 539/713 ࿖ 8/40 ᒝ 112/217 ౓ 447/784
2259 sei/Ň/ rek/kyŇ ⷏ 167/72 ᰷ 766/1022 ೉ 891/611 ᒝ 112/217

312
tendeva aumentare la produttività, favorendo la nascita e lo sviluppo industriale (shoku-
san kŇgyŇ ᱺ↥⥝ᬺ2260).
A tale scopo il governo, da un lato, introdusse macchinari tecnicamente avanzati sia
dall’Europa che dagli USA e dall’altro invitò in Giappone un gran numero di ingegneri
e tecnici europei ed americani (oyatoi gaikokujin ᓮ㓹ᄖ࿖ੱ2261 lett. stranieri impiegati
ψ§65) per il trapianto del know how di produzione. Fu sempre il governo stesso a
gestire anche arsenali, industria estrattiva, cantieri navali.
Lo stesso avvenne anche con l’industria leggera. Ne furono esempi tipici le aziende
statali, chiamate kan’ei mohan kŇjŇ (ቭ༡ᮨ▸Ꮏ႐2262 lett. stabilimenti modello di ge-
stione statale), nel settore tessile costruite con l’intento che i privati le prendessero a
modello di introduzione del moderno sistema di produzione.

ٟ L’esempio più noto e tuttora esistente dei kan’ei mohan kŇjŇ ቭ༡ᮨ▸Ꮏ႐ è
Tomioka seishijŇ (ንጟ⵾♻႐2263 lett. Filanda di Tomioka, 1872-presente; Tomio-
ka ንጟ ψ carta 10)

 ‫ޣ‬OPERATORI ECONOMICI FAVORITI DAL GOVERNO‫ޤ‬D’altra parte,


incoraggiati e protetti dal governo, erano assai attivi gli operatori economici quali la
famiglia Mitsui (ਃ੗2264 ψ§43) dei settori bancario e commerciale, e Iwasaki YatarŇ
(ጤፒᒎᄥ㇢2265 1834-1885), fondatore del Mitsubishi ਃ⪉2266, originariamente so-
cietà di trasporto marittimo. Questi privilegiati furono chiamati seishŇ (᡽໡2267 opera-
tori economici favoriti dal governo).
 Così, sotto ogni aspetto si trattò di una industrializzazione portata avanti per inizia-
tiva e sotto la protezione governative.

COSCRIZIONE Per realizzare la seconda metà dello slogan, ossia ‘rafforzamento


OBBLIGATORIA delle forze armate’ (kyŇhei ᒝ౓), venne istituzionalizzata la co-

2260 shoku/san/ kŇ/gyŇ ᱺ 1647/1506 ↥ 142/278 ⥝ 695/368 ᬺ 54/279


2261 o/yatoi/ gai/koku/jin ᓮ 620/708 㓹 1419/1553 ᄖ 120/83 ࿖ 8/40 ੱ 9/1
2262 kan’/ei/ mo/han/ kŇ/jŇ ቭ 225/326 ༡ 348/722 ᮨ 691/1425 ▸ 1126/1092 Ꮏ 169/139 ႐ 34/154
2263 Tomi/oka/ sei/shi/jŇ ን 539/713 ጟ 370/non reg.⵾ 318/428 ♻ 699/242 ႐ 34/154
2264 Mitsu/i ਃ 10/4 ੗ 252/1193
2265 Iwa/saki/ Ya/ta/rŇ ጤ 744/1345 ፒ 457/1362 ᒎ 1536/2065 ᄥ 343/629 ㇢ 237/980
2266 Mitsu/bishi ਃ 10/4 ⪉ 980/non reg.
2267 sei/shŇ ᡽ 50/483 ໡ 353/412

313
scrizione obbligatoria con l’emanazione dell’ordinanza di coscrizione (chŇheirei ᓽ౓઎
2268 1873). Nacquero così le forze armate (esercito e marina) equipaggiate ed organizza-

te perfettamente all’occidentale sotto ogni punto di vista. Difatti, furono i militari i


primi a vestirsi all’occidentale per motivi di funzionalità.
 ‫ޣ‬RESCRITTO IMPERIALE AI SOLDATI E AI MARINAI‫ޤ‬Successivamente
nel 1882 il governo emetteva, in forma di rescritto, un codice di etica militare noto con
il nome di Gunjin chokuyu (ァੱ഼⻀2269 Rescritto imperiale ai soldati e ai marinai,
1882) al fine di stabilire una volta per sempre le dirette dipendenze delle forze armate
dall’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) onde assicurare la loro lealtà (chş ᔘ) assoluta al sovrano
quale comandante supremo.
 Il testo in 2.500 parole fu obbligatoriamente imparato a memoria da tutti i militari e
attraverso i congedati fu trasmesso ai civili, diffondendo così, insieme con il Rescritto
imperiale sull’educazione (KyŇiku chokugo ᢎ⢒഼⺆2270, 1890 ψ§65), l’ideologia nazio-
nale d’allora in ogni parte del Giappone.

§60. In cammino verso il governo costituzionale

MOVIMENTO PER LA LIBERTÀ Si è già visto che il governo Meiji (Meiji seifu
E PER I DIRITTI DEL POPOLO ᣿ᴦ᡽ᐭ2271) era controllato dai pochi e de-
terminati ex-han (hanbatsu ⮲㑓 2272 ψ§58) malgrado il Giuramento in cinque articoli
(GokajŇ no goseimon ੖▎᧦[ߩ]ᓮ⹿ᢥ2273 ψ§58) di cui il primo dichiarava il rispetto
delle opinioni pubbliche. Stava crescendo il malcontento generale.
 Nel 1874 Itagaki Taisuke ᧼၂ㅌഥ2274 (ψ§58) ed altri che si erano dimessi dai
loro uffici governativi per una controversia sull’opportunità o meno di costringere a
viva forza la Corea in isolamento ad aprire la sua porta (seikanron ᓕ㖧⺰ 2275 ),
sottoposero al governo il loro parere circa la creazione di un organo collegiale pubblico,

2268 chŇ/hei/rei ᓽ 1026/1420 ౓ 447/784 ઎ 668/831


2269 Gun/jin/ choku/yu ァ 193/438 ੱ 9/1 ഼ p.412/1886 ⻀ 1545/1599
2270 KyŇ/iku/ choku/go ᢎ 97/245 ⢒ 250/246 ഼ p.412/1886 ⺆ 274/67
2271 Mei/ji/ sei/fu ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᡽ 50/483 ᐭ 156/504
2272 han/batsu ⮲ 1566/1382 㑓 1457/1510
2273 Go/ka/jŇ/ no/ go/sei/mon ੖ 14/7 ▎ 1943/1473 ᧦ 391/564[ߩ]ᓮ 620/708 ⹿ 1743/1395 ᢥ 136/111
2274 Ita/gaki/ Tai/suke ᧼ 709/1047 ၂ 1272/1276 ㅌ 613/846 ഥ 407/623
2275 sei/kan/ron ᓕ 1492/1114 㖧 685/non reg.⺰ 267/293

314
e ne diedero al tempo stesso divulgazione a mezzo stampa; fu l’inizio del movimento
noto come Jiyş minken undŇ (⥄↱᳃ᮭㆇേ2276 it. Movimento per la libertà e per i
diritti del popolo, 1874-1889), che verso il 1880, era divenuto un movimento a livello
nazionale.
Anche all’interno del governo, ņkuma Shigenobu (ᄢ㓊㊀ା2277 ψ§58) insisteva
sulla necessità di costituire immediatamente tale organo. Il governo, mentre lo destituiva,
prendeva pubblicamente l’impegno che la Dieta (assemblea parlamantare) sarebbe stata
riunita nel 1890, e con l’occasione si affermava la leadership politica del gruppo ex-
Satsuma han ⮋៺⮲ ed ex-ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲ raccoltosi intorno a ItŇ Hirobumi
(દ⮮ඳᢥ2278 ψ§58).
 Fissata la data, furono formati i partiti politici, fra cui il JiyştŇ (⥄↱ౄ2279 Partito
Liberale, 1881-1884, 1890-1898) di Itagaki ᧼၂ e il Rikken kaishintŇ (┙ᙗᡷㅴౄ2280
Partito Riformatore Costituzionale, 1882-1896) del suddetto ņkuma ᄢ㓊, ma fra
l’escalation dell’attivismo, specie del JiyştŇ ⥄↱ౄ, e le repressioni da parte della forza
pubblica, il movimento di Jiyş minken undŇ ⥄↱᳃ᮭㆇേ andò diminuendo d’inten-
sità.
 ‫ޣ‬SOSTANZA DEL MOVIMENTO‫ޤ‬La sostanza del Jiyş minken undŇ ⥄↱᳃ᮭ
ㆇേ non stava nei conflitti fra le forze pro e contro l’istituzione della Dieta, ma riguar-
dava tempi e modi (cioè, se procedere immediatamente o per gradi) della sua creazione,
in quanto ancora prima che sorgesse tale movimento, in pratica tutti i leaders governati-
vi erano consci della necessità di istituire, presto o tardi, un’assemblea di tipo parlamen-
tare.

PROMULGAZIONE DELLA Nel 1882, in vista dell’apertura della Dieta, ItŇ Hi-
COSTITUZIONE IMPERIALE robumi દ⮮ඳᢥ e il suo seguito partirono per
l’Europa per studiare le Costituzioni di diversi paesi. Di lì ad alcuni anni un disegno di
Costituzione venne redatto, segretamente nel palazzo imperiale, seguendo il modello
prussiano (ossia tedesco).
 L’11 febbraio 1889 la Costituzione dell’impero del Giappone (Dai Nihon teikoku
kenpŇ ᄢᣣᧄᏢ࿖ᙗᴺ2281), detto comunemente Costituzione Meiji (Meiji kenpŇ ᣿ᴦ

2276 Ji/yş/ min/ken/ un/dŇ ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ᳃ 70/177 ᮭ 260/335 ㆇ 179/439 േ 86/231
2277 ņ/kuma/ Shige/nobu ᄢ 7/26 㓊 non reg./non reg.㊀ 155/227 ା 198/157
2278 I/tŇ/ Hiro/bumi દ 603/2011 ⮮ 206/2231 ඳ 802/601 ᢥ 136/111
2279 Ji/yş/tŇ ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ౄ 106/495
2280 Rik/ken/ kai/shin/tŇ ┙ 61/121 ᙗ 943/521 ᡷ 294/514 ㅴ 125/437 ౄ 106/495
2281 Dai/ Ni/hon/ tei/koku/ ken/pŇ ᄢ 7/26 ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ᙗ 943/521 ᴺ 145/123

315
ᙗᴺ2282), fu proclamata quale forma di concessione al popolo da parte dell’imperatore
(tennŇ ᄤ⊞). È vero che i poteri del tennŇ ᄤ⊞ erano fin troppo eccessivi, ma bisogna
tenere conto che si trattava della prima costituzione in Asia, e la sua proclamazione
stava a significare che rispetto ad appena venti anni prima era stato compiuto un grande
passo avanti verso la democrazia.

ٟ cfr. Concessione dello Statuto albertino: 4 marzo 1848.

 ‫ޣ‬ISTITUZIONE IE ‫ޤ‬Entrarono in vigore anche diversi codici fra cui il codice


civile (minpŇ ᳃ᴺ2283 1898) che ereditò e codificò sostanzialmente le istituzioni fami-
liari (ψ§41) del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ). L’organizzazione familiare di tipo
patriarcale giuridicamente stabilizzata dal codice civile (minpŇ ᳃ᴺ) in materia di
rapporti familiari e di successione ereditaria viene chiamata ie (ኅ2284 lett. famiglia) o ie
no seido (ኅߩ೙ᐲ2285 lett. istituzione ie) e continuò ad ignorare e comprimere la dignità
individuale e la parità dei due sessi fino alla disfatta nel secondo conflitto mondiale (Dai
niji sekai taisen ╙ੑᰴ਎⇇ᄢᚢ2286 1939-1945).
 Ecco un paio di articoli dal codice civile del 1898 (Meiji minpŇ ᣿ᴦ᳃ᴺ):

x Art. 14. Per gli atti qui di seguito elencati la moglie necèssita di consenso
del marito: [...]
x Art.749. Contro la volontà del capofamiglia i familiari non hanno facoltà di
eleggere il domicilio.
[...]
x Art.772. Per contrarre matrimonio i figli necessitano del consenso dei
genitori [...].

INIZIO DEI LAVORI AL- La Dieta imperiale (Teikoku gikai Ꮲ࿖⼏ળ2287) si arti-
LA DIETA IMPERIALE colava in Camera dei Pari (Kizokuin ⾆ᣖ㒮2288) e Ca-

2282 Mei/ji/ ken/pŇ ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᙗ 943/521 ᴺ 145/123


2283 min/pŇ ᳃ 70/177 ᴺ 145/123
2284 ie ኅ 81/165
2285 ie/ no/ sei/do ኅ 81/165 ߩ೙ 196/427 ᐲ 83/377
2286 Dai/ ni/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ੑ 6/3 ᰴ 235/384 ਎ 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
2287 Tei/koku/ gi/kai Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ⼏ 52/292 ળ 12/158
2288 Ki/zoku/in ⾆ 1119/1171 ᣖ 599/221 㒮 236/614

316
mera dei Rappresentanti (Shşgiin ⴐ⼏㒮2289).
I seggi della Camera dei Pari (Kizokuin ⾆ᣖ㒮) furono riservati ai kŇzoku (⊞ᣖ
membri della famiglia imperiale), a quasi tutti i kazoku (⪇ᣖ, ossia ex-kuge ౏ኅ ed
ex-daimyŇ ᄢฬ) e a coloro nominati direttamente dall’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) nell’am-
bito di talune categorie ristrette.
Per la Camera dei Rappresentanti (Shşgiin ⴐ⼏㒮) vennero indette le prime
elezioni nel 1890. L’elettorato attivo fu dato soltanto all’1,1% dei cittadini, in quanto
limitato ai maschi al di sopra dei 25 anni d’età a condizione che fossero contribuenti
oltre una certa somma di imposte dirette.
 Nel novembre dello stesso anno delle elezioni veniva convocata la sessione inaugu-
rale.

§61. Rapporti internazionali e diplomazia

 L’obiettivo della politica estera stava, innanzi tutto, nella revisione dei trattati ine-
guali (fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂2290) firmati dal Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ2291 con i
paesi occidentali e, in un secondo tempo, nell’assicurare la propria presenza in Corea da
dove poi espandersi sul continente asiatico all’insegna di ‘invece di restare solidale con
gli altri popoli asiatici di fronte alla politica colonialistica europea, agire nei loro riguardi
come se fosse una potenza occidentale’, politica chiamata datsua nyşŇ (⣕੝౉᰷2292 lett.
evadere dall’Asia ed entrare in Europa).

DIFFICOLTOSE TRATTATIVE PER LA Non appena terminata la fondazione


REVISIONE DEI TRATTATI INEGUALI di uno Stato centralizzato, nel 1871 in
occasione dell’invio di una missione negli USA e in Europa (Iwakura kengai shisetsudan
ጤୖ㆜ᄖ૶▵࿅ 2293 lett. missione Iwakura ጤୖ inviata all’estero, 1971-1973), il
Giappone iniziò i primi sforzi per la revisione dei trattati ineguali (jŇyaku kaisei ᧦⚂ᡷ

2289 Shş/gi/in ⴐ 570/792 ⼏ 52/292 㒮 236/614


2290 fu/byŇ/dŇ/ jŇ/yaku ਇ 134/94 ᐔ 143/202 ╬ 601/569 ᧦ 391/564 ⚂ 137/211
2291 Toku/gawa/ baku/fu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᐀ 836/1432 ᐭ 156/504
2292 datsu/a/ nyş/Ň ⣕ 843/1370 ੝ 1331/1616 ౉ 74/52 ᰷ 766/1022
2293 Iwa/kura/ ken/gai/ shi/setsu/dan ጤ 744/1345 ୖ 708/1307 ㆜ 1180/1173 ᄖ 120/83 ૶ 226/331 ▵
731/464 ࿅ 172/491

317
ᱜ2294 lett. revisione dei trattati), ma invano, perché esso non veniva riconosciuto dalle
potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ) su un piano di parità.
Il cammino per la revisione fu oltremodo spinoso, pietoso e persino umiliante. Lo
sforzo finalizzato ad accattivarsi le simpatie delle potenze e a dimostrare a che punto il
Paese si trovasse con la modernizzazione-occidentalizzazione, fu spinto fino all’iniziati-
va di costruire appositamente un palazzo in stile occidentale (Rokumeikan 㣮㡆㙚2295
lett. palazzo del daino che bramisce, 1883-1945; opera di J. J. Conder ࠦࡦ࠼࡞, archi-
tetto inglese ψ§70) nel quale intrattenere i corpi diplomatici con feste da ballo e con-
certi, da organizzarsi come esigeva la tradizione europea.

ٟ L’arco di alcuni anni a partire dal 1883 in cui la politica di occidentalizzazione


pedissequa ed esagerata (Ňka seisaku ᰷ൻ᡽╷2296 lett. politica di occidentaliz-
zazione) fu portata avanti intensamente dal ministro degli esteri Inoue Kaoru (੗
਄㚌2297 1835-1915) è distinto con l’espressione di Rokumeikan jidai (㣮㡆㙚ᤨ
ઍ2298 lett. periodo del Rokumeikan).
ٟ Contro tale politica adulatoria di occidentalizzazione (Ňka seisaku ᰷ൻ᡽╷)
spinta all’estremo sorse una specie di nazionalismo, ma ben aperto verso i paesi
stranieri, e come tale non esclusivista (kokusuishugi ࿖☴ਥ⟵2299 lett. essenza na-
zionale + -ismo; ideologia che dà importanza alla conservazione dell’essenza
nazionale.). Il kokusuishugi ࿖☴ਥ⟵, tuttavia, utilizzato da diverse organizzazioni
di estrema destra, andò acquistando caratteri sciovinistici.
ٟ Nel 1886 al largo della prefettura di Wakayama (Wakayama-ken ๺᱌ጊ⋵2300
ψcarta 8) andò a picco la nave mercantile inglese Normanton (NorumantongŇ ࡁ
࡞ࡑࡦ࠻ࡦภ2301). Si salvarono il capitano inglese e tutti i 26 membri ugual-
mente inglesi dell’equipaggio. Morirono abbandonati invece tutti i 23 passeggeri
giapponesi. Il capitano, giudicato presso il consolato inglese per questione di
competenza giurisdizionale (chigai hŇken ᴦᄖᴺᮭ2302 ψ§45), fu dichiarato inno-
cente e anche dopo la protesta del governo giapponese se la cavò con una pena
lievissima. Non furono pagati risarcimenti. (NorumantongŇ jiken ࡁ࡞ࡑࡦ࠻ࡦ

2294 jŇ/yaku/ kai/sei ᧦ 391/564 ⚂ 137/211 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275


2295 Roku/mei/kan 㣮 1141/2279 㡆 1186/925 㙚 319/327
2296 Ň/ka/ sei/saku ᰷ 766/1022 ൻ 100/254 ᡽ 50/483 ╷
2297 I/no/ue/ Kaoru ੗ 252/1193 ਄ 21/32 㚌 non reg./non reg.
2298 Roku/mei/kan/ ji/dai 㣮 1141/2279 㡆 1186/925 㙚 319/327 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
2299 koku/sui/shu/gi ࿖ 8/40 ☴ 1537/1708 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2300 Wa/ka/yama/ ken ๺ 151/124 ᱌ 478/392 ጊ 60/34 ⋵ 195/194
2301 No/ru/ma/n/to/n/gŇ ࡁ࡞ࡑࡦ࠻ࡦภ 368/266
2302 chi/gai/ hŇ/ken ᴦ 181/493 ᄖ 120/83 ᴺ 145/123 ᮭ 260/335
2303 No/ru/ma/n/to/n/gŇ/ ji/ken ࡁ࡞ࡑࡦ࠻ࡦภ 368/266 ੐ 32/80 ઙ 290/732

318
ภ੐ઙ 2303 lett. caso della Normanton) Un numero crescente di giapponesi
indignatosi di fronte all’ingiustizia, cominciò a chiedere ad alta voce la revisione dei
trattati ineguali (fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂).

EXTRATERRITO- Col tempo, incoraggiato sia dalla promulgazione della Co-


RIALITÀ RIMOSSA stituzione che dallo sviluppo industriale in pieno corso, il
governo portò avanti energicamente il suo sforzo nelle trattative con l’Inghilterra che si
avvicinava al Giappone per bloccare l’espansione verso sud della Russia, e quando il
ministero degli affari esteri si trovò guidato da Mutsu Munemitsu (㒽ᅏቬశ2304 1844-
1897), riuscì finalmente a concludere un nuovo accordo con l’Inghilterra (Nichiei tsşshŇ
kŇkai jŇyaku ᣣ⧷ㅢ໡⥶ᶏ᧦⚂2305 it. Trattato commerciale anglo-giapponese, 1894)
poco prima dello scoppio della guerra sino-giapponese del 1894-1895 (Nisshin sensŇ ᣣ
ᷡᚢ੎2306 lett. guerra Giappone-Cina della dinastia Qing [Ch’ing ᷡ giapp. Shin,
1644-1912]).
Seguirono analoghi accordi con gli altri paesi. L’extraterritorialità (chigai hŇken ᴦᄖ
ᴺᮭ2307) veniva così rimossa, ma rimaneva ancora aperta la questione dei dazi doganali.

GUERRA SINO-GIAP- Arrogante con i paesi asiatici al pari delle potenze occi-
P O N E S E 18 9 4 - 1 8 9 5 dentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ2308) verso l’Asia, nel 1876 il
Giappone aveva imposto alla Corea in isolamento, forzando le sue porte, un accordo
ineguale (NitchŇ shşkŇ jŇki ᣣᦺୃᅢ᧦ⷙ2309 lett. Articoli d’amicizia nippo-coreana)
simile a quelli che aveva subìto dalle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ), e da
quel momento cercò di affermarsi in Corea per fronteggiare l’invesione occidentale in
Asia.
 Naturalmente ciò non piaceva affatto alla Cina che aveva tradizionalmente consi-
derato la Corea un paese soggetto alla propria autorità. L’esito fu la guerra già citata:
Nisshin sensŇ (ᣣᷡᚢ੎ 1894-1895).
Uscitone vittorioso, il Giappone fece riconoscere, con il Trattato di Shimonoseki
(Shimonoseki jŇyaku ਅ㑐᧦⚂2310, 1895; Shimonoseki ਅ㑐 ψcarta 5), l’indipendenza

2304 Mutsu/ Mune/mitsu 㒽 651/647 ᅏ 878/476 ቬ 1023/616 శ 417/138


2305 Nichi/ei/ tsş/shŇ/ kŇ/kai/ jŇ/yaku ᣣ 1/5 ⧷ 449/353 ㅢ 71/150 ໡ 353/412 ⥶ 497/823 ᶏ 158/117
᧦ 391/564 ⚂ 137/211
2306 Nis/shin/ sen/sŇ ᣣ 1/5 ᷡ 509/660 ᚢ 88/301 ੎ 271/302
2307 chi/gai/ hŇ/ken ᴦ 181/493 ᄖ 120/83 ᴺ 145/123 ᮭ 260/335
2308 sei/Ň/ rek/kyŇ ⷏ 167/72 ᰷ 766/1022 ೉ 891/611 ᒝ 112/217
2309 Nit/chŇ/ shş/kŇ/ jŇ/ki ᣣ 1/5 ᦺ 257/469 ୃ 644/945 ᅢ 308/104 ᧦ 391/564 ⷙ 488/607
2310 Shimo/no/seki/ jŇ/yaku ਅ 72/31 㑐 104/398 ᧦ 391/564 ⚂ 137/211

319
della Corea, ossia la rinuncia da parte cinese ad ogni pretesa sulla Corea. Ottenne,
inoltre, la penisola del Liaodong (Liaodong bandao, Liaotung pan-tao ㆯ᧲ඨፉ2311
giapp. RyŇtŇ hantŇ ψcarta 11), Taiwan (T’aiwan บḧ2312 giapp. Taiwan ψcarta 11)
ed altre isole minori, nonché una forte indennità corrispondente ad oltre tre annualità di
entrate dello Stato giapponese d’allora. Una buona parte del bottino in denaro fu
impiegato per ulteriori potenziamenti delle forze armate con la conseguenza di accele-
rare l’industrializzazione.
 ‫ޣ‬INTERVENTO TRIPARTITO‫ޤ‬La Russia, tuttavia, che mirava ad espandersi
verso sud, non tollerò la presenza del Giappone sul continente, e insieme con Francia e
Germania esigette dal Giappone la restituzione della penisola del Liaodong (Liaotung
ㆯ᧲ඨፉ giapp. RyŇtŇ hantŇ) alla Cina, atto chiamato Intervento tripartito (Sangoku
kanshŇ ਃ࿖ᐓᷤ2313 lett. Ingerenza dei tre Stati, 1895). Il giovane impero, non ancora
considerato un loro pari a pieno titolo, si vide costretto a piegarsi.

GUERRA RUSSO- D’altra parte, emersa agli occhi delle potenze occidentali (seiŇ
GIAPPONESE rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ) la debolezza della Cina dei Qing (Ch’ing ᷡ
giapp. Shin) in seguito alla perdita della guerra, tale Paese che fino allora era stato
temuto quale ‘leonessa dormiente’ (nemureru shishi ⌁ࠇࠆₑሶ2314) si ridusse ad essere
considerato ‘oggetto di spartizione’. Fatto sta che era in pieno corso l’imperialismo
(teikokushugi Ꮲ࿖ਥ⟵2315) delle potenze.
La Manciuria (ψcarta 11) fu invasa massicciamente dai russi che si proponevano di
avanzare dalla Manciuria in Corea, contrariamente al Giappone che mirava ad assicurar-
si prima la Corea e da lì espandersi in Manciuria per avere mercato e fonti di materie
prime.
Gli inglesi, poi, si sentirono minacciati dalla pressione russa proveniente da nord e
pensarono di utilizzare la forza bellica giapponese per bloccare l’espansione dei russi.
Così, su una comune base anti-russa fu firmata l’Alleanza anglo-giapponese (Nichiei
dŇmei ᣣ⧷ห⋖2316 1902-1921).
Un’azione ostile da parte del Giappone a Port Arthur (Lushun, Lushun ᣏ㗅2317,

2311 RyŇ/tŇ/ han/tŇ ㆯ non reg./non reg.᧲ 11/71 ඨ 224/88 ፉ 173/286


2312 Tai/wan บ 216/492 ḧ 1028/670
2313 San/goku/ kan/shŇ ਃ 10/4 ࿖ 8/40 ᐓ 1179/584 ᷤ
2314 nemu/re/ru/ shi/shi ⌁ 1298/849 ࠇࠆₑ non reg./non reg.ሶ 56/103
2315 tei/koku/shu/gi Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2316 Nichi/ei/ dŇ/mei ᣣ 1/5 ⧷ 449/353 ห 23/198 ⋖ 775/717
2317 Ryo/jun ᣏ 566/222 㗅 813/769

320
giapp. Ryojun), porto cinese ma affittato (soshaku ⒅୫2318) dai russi in seguito all’In-
tervento tripartito (Sangoku kanshŇ ਃ࿖ᐓᷤ), fu l’inizio della guerra russo-giapponese
(Nichiro sensŇ ᣣ㔺ᚢ੎2319 1904-1905). Ma, passato un anno, malgrado l’avanzata
vittoriosa, il Giappone era già all’estremo delle forze. Anche la Russia, dal canto suo,
non era in condizione di poter continuare la guerra per l’insorgere in casa propria dei
moti rivoluzionari.
In occasione della vittoria schiacciante dei giapponesi sulla flotta baltica zarista
(Baruchikku kantai ࡃ࡞࠴࠶ࠢ⦘㓌2320) ritenuta la più potente del mondo d’allora
(Nihonkai kaisen ᣣᧄᶏᶏᚢ2321 lett. battaglia navale nel Mar del Giappone, 1905) fu
negoziata la pace a Portsmouth, USA, tramite i buoni uffici interposti dal presidente
americano T. Roosevelt (࡞࡯࠭ࡌ࡞࠻ 1858-1919).
Con il Trattato di Portsmouth (PŇtsumasu jŇyaku ࡐ࡯࠷ࡑࠬ᧦⚂2322 1905) la
Russia cedeva al Giappone i diritti di cui essa fruiva nella penisola cinese del Liaodong
(Liaodong bandao, Liaotung pan-tao ㆯ᧲ඨፉ giapp. RyŇtŇ hantŇ), la parte meridio-
nale della ferrovia mancese (Minami Manshş tetsudŇ ධḩᎺ㋕㆏2323 di solito chiamato
in abbreviazione Mantetsu ḩ㋕) insieme con i diritti di sfruttamento delle miniere nella
zona da essa attraversata, la metà meridionale dell’isola di Sakhalin (giapp. Karafuto ᮹
ᄥ2324) ecc. Inoltre, la Russia rinunciava ad ogni mira sulla Corea, riconoscendovi la su-
premazia del Giappone. Fu segnata così la fine dell’espansione russa nell’Asia orientale.
 ‫ޣ‬ALLIEVO FEDELE DELL’IMPERIALISMO EUROPEO‫ޤ‬I leaders dei mo-
vimenti nazionalistici asiatici considerarono la vittoria giapponese sulla Russia come
l’equivalente di una vittoria dell’Asia sull’Europa o, meglio, un trionfo della razza di
colore su quella bianca, in quanto il colonialismo europeo era spinto non soltanto dalla
necessità di materie prime e mercato, ma anche dal razzismo. Essi videro nel Giappone
l’incoraggiatore e liberatore, ma il Giappone non seppe più fare altro che comportarsi
come discepolo fedelissimo dell’imperialismo europeo (datsua nyşŇ ⣕੝౉᰷2325 lett.
evadere dall’Asia ed entrare in Europa).
D’altro canto, i giapponesi, che soffrivano di un complesso d’inferiorità nei con-

2318 so/shaku ⒅ 1481/1083 ୫ 996/766


2319 Nichi/ro/ sen/sŇ ᣣ 1/5 㔺 1144/951 ᚢ 88/301 ੎ 271/302
2320 Ba/ru/chi/k/ku/ kan/tai ࡃ࡞࠴࠶ࠢ⦘ 1299/1665 㓌 470/795
2321 Ni/hon/kai/ kai/sen ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ᶏ 158/117 ᶏ 158/117 ᚢ 88/301
2322 PŇ/tsu/ma/su/ jŇ/yaku ࡐ࡯࠷ࡑࠬ᧦ 391/564 ⚂ 137/211
2323 Minami/ Man/shş/ tetsu/dŇ ධ 205/74 ḩ 579/201 Ꮊ 542/195 ㋕ 327/312 ㆏ 129/149
2324 Kara/futo ᮹ non reg./non reg.ᄥ 343/629
2325 datsu/a/ nyş/Ň ⣕ 843/1370 ੝ 1331/1616 ౉ 74/52 ᰷ 766/1022

321
fronti degli occidentali, si sentivano ormai superiori agli altri popoli asiatici in seguito ai
successi militari e la crescita economica.

ANNESSIONE DELLA Tenutasi in pugno la Corea, il Giappone iniziò, infatti, ad


COREA AL GIAPPONE esercitare il dominio sulla Corea e sulla parte meridio-
nale della Manciuria.
Nel 1910 la Corea, colonizzata, venne annessa al Giappone (Kankoku heigŇ 㖧࿖૬
ว2326 Annessione della Corea, 1910-1945).
 In seguito all’espansione sul continente, l’esercito e la marina cominciarono via via a
far sentire la loro presenza nel campo politico.

PARITÀ NEGLI SCAM- L’ascesa dello status giapponese facilitò i negoziati di


BI COMMERCIALI revisione dei Trattati (jŇyaku kaisei ᧦⚂ᡷᱜ2327).
Nel 1911 Komura JutarŇ (ዊ᧛ኼᄥ㇢2328 1855-1911), ministro degli affari esteri,
riuscì a concludere positivamente la questione delle tariffe doganali (kanzei jishuken 㑐
⒢⥄ਥᮭ2329 autonomia tariffaria), realizzando gli scopi verso cui aveva teso inizial-
mente la diplomazia Meiji.

§62. Sviluppo del capitalismo, problemi sociali e movimento socialista

SVILUPPO DELL’IN- Verso il 1880 il governo iniziò la cessione, a prezzo


DUSTRIA LEGGERA irrisorio, di molte aziende a gestione statale ai seishŇ (᡽໡
2330 operatori economici favoriti dal governo ψ§59), specie a Mitsui ਃ੗ 2331 e

Mitsubishi ਃ ⪉ 2332 (kan’ei jigyŇ haraisage ቭ ༡ ੐ ᬺ ᛄ ਅ ߍ 2333 lett. cessione di


aziende statali), operazione che diede impulso alla crescita dell’industria leggera, specie
nel settore tessile, condotta dai privati.

2326 Kan/koku/ hei/gŇ 㖧 685/non reg.࿖ 8/40 ૬ 961/1162 ว 46/159


2327 jŇ/yaku/ kai/sei ᧦ 391/564 ⚂ 137/211 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275
2328 Ko/mura/ Ju/ta/rŇ ዊ 63/27 ᧛ 210/191 ኼ 1132/1550 ᄥ 343/629 ㇢ 237/980
2329 kan/zei/ ji/shu/ken 㑐 104/398 ⒢ 383/399 ⥄ 53/62 ਥ 91/155 ᮭ 260/335
2330 sei/shŇ ᡽ 50/483 ໡ 353/412
2331 Mitsu/i ਃ 10/4 ੗ 252/1193
2332 Mitsu/bishi ਃ 10/4 ⪉ 980/non reg.
2333 kan’/ei/ ji/gyŇ/ harai/sa/ge ቭ 225/326 ༡ 348/722 ੐ 32/80 ᬺ 54/279 ᛄ 664/582 ਅ 72/31 ߍ

322
Furono introdotte man mano anche macchine a vapore. Coincide così, intorno ai
tempi della guerra sino-giapponese del 1894-1895 (Nisshin sensŇ ᣣᷡᚢ੎2334) quella
che può chiamarsi una rivoluzione industriale di primo livello (dai ichiji sangyŇ kakumei
╙৻ᰴ↥ᬺ㕟๮2335).
 Dopo tale guerra, utilizzando parte dell’indennità di guerra, il governo costruì uno
stabilimento siderurgico, lo Yawata seitetsujo (౎ᐈ⵾㋕ᚲ2336 lett. azienda siderurgica
Yawata, 1901; Yawata ౎ᐈ oggi parte di Kita Kyşshşshi ർ਻ᎺᏒ2337 ψcarta 3),
facendo così sviluppare soprattutto un’industria pesante mirata a scopi bellici.
 ‫ޣ‬INQUINAMENTO INDUSTRIALE‫ޤ‬Con l’industrializzazione portata avanti
energicamente sin da quest’epoca si era affacciato il problema dell’inquinamento indu-
striale.
Alla vigilia del XX secolo l’attività estrattiva alla miniera di rame Ashio (AshiodŇzan
⿷የ㌃ጊ2338㧧Ashio ⿷የ ψcarta 10) nella prefettura di Tochigi (Tochigi-ken ᩔᧁ⋵
2339 ψcarta 10) causava un grave inquinamento ai danni di agricoltori e pescatori, ren-

dendo perfino inabitabile un villaggio, ma con tutto questo la voce delle vittime non fu
sufficientemente ascoltata né dal proprietario della miniera, né dal governo (AshiodŇzan
kŇdoku jiken ⿷የ㌃ጊ㋶Ქ੐ઙ2340).

SVILUPPO DELL’IN- Dopo la guerra russo-giapponese (Nichiro sensŇ ᣣ㔺ᚢ੎


DUSTRIA PESANTE 2341 1904-1905) l’industria, in particolare quella pesante e

bellica, segnò ulteriori sviluppi (dai niji sangyŇ kakumei ╙ੑᰴ↥ᬺ㕟๮ 2342 lett.
rivoluzione industriale di secondo livello). I motori a vapore furono soppiantati da quel-
li elettrici.
L’esito positivo raggiunto nel 1911 nella revisione totale dei trattati ineguali (jŇyaku

2334 Nis/shin/ sen/sŇ ᣣ 1/5 ᷡ 509/660 ᚢ 88/301 ੎ 271/302


2335 dai/ ichi/ji/ san/gyŇ/ kaku/mei ╙ 76/404 ৻ 4/2 ᰴ 235/384 ↥ 142/278 ᬺ 54/279 㕟 686/1075 ๮
388/578

2336 Ya/wata/ sei/tetsu/jo ౎ 41/10 ᐈ 1159/non reg.⵾ 318/428 ㋕ 327/312 ᚲ 107/153


2337 Kita/ Kyş/shş/shi ർ 103/73 ਻ 58/11 Ꮊ 542/195 Ꮢ 78/181
2338 Ashi/o/dŇ/zan ⿷ 305/58 የ 675/1868 ㌃ 1437/1605 ጊ 60/34
2339 Tochi/gi/ ken ᩔ 1209/non reg.ᧁ 148/22 ⋵ 195/194
2340 Ashi/o/dŇ/zan/ kŇ/doku/ ji/ken ⿷ 305/58 የ 675/1868 ㌃ 1437/1605 ጊ 60/34 ㋶ 1029/1604 Ქ
1165/522 ੐ 32/80 ઙ 290/732

2341 Nichi/ro/ sen/sŇ ᣣ 1/5 㔺 1144/951 ᚢ 88/301 ੎ 271/302


2342 dai/ ni/ji/ san/gyŇ/ kaku/mei ╙ 76/404 ੑ 6/3 ᰴ 235/384 ↥ 142/278 ᬺ 54/279 㕟 686/1075 ๮
388/578

323
kaisei ᧦⚂ᡷᱜ2343) produceva intanto una crescita del volume d’affari con l’estero.

CAPITALISMO Lo sviluppo generale delle industrie fu accompagnato da un


MONOPOLISTICO fenomeno degno di nota: i capitali cominciarono a concen-
trarsi nelle mani di pochi capitalisti quali Mitsui ਃ੗, Mitsubishi ਃ⪉ e Sumitomo
૑෹2344. Ciascuno di essi, cioè, andò creando intorno a sé un gruppo, chiamato zaibatsu
(⽷㑓2345; batsu 㑓 ψ§58), d’un gran numero di imprese industriali operanti nei settori
più disparati.
Inoltre, col tempo i gruppi aziendali zaibatsu ⽷㑓 controllati da un pugno di
capitalisti cominciarono a dominare l’intera economia giapponese, e nel contempo
ebbero voce in capitolo anche negli affari dello Stato. Così, il capitalismo (shihonshugi ⾗
ᧄਥ⟵2346) giapponese cresciuto sotto la protezione e l’incoraggiamento dello Stato
raggiunse in poco tempo la fase monopolistica senza conoscere alcun periodo di con-
correnza.

V ILLAGGI AGRICOLI Diversamente dalle industrie manifatturiere e minerarie


RIMASTI DIMENTICATI che realizzavano rapidi incrementi di produttività, l’agri-
coltura rimase abbandonata a se stessa. I coltivatori usavano ancora strumenti agricoli
del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ). Né la modernizzazione, né la rivoluzione
industriale influivano sulla vita dei villaggi agricoli.
 In seguito alla disgregazione (ψ§58) dei ceti contadini, c’erano, da una parte,
proprietari terrieri ultraricchi che vivevano di rendita, chiamati kisei jinushi (ነ↢࿾ਥ
2347 lett. proprietario terriero parassita), e, dall’altra, coloro che, alla ricerca di mezzi di

sussistenza, si offrivano di lavorare in fabbrica.

CONDIZIONI DI LA- Ma le condizioni di lavoro che li attendevano erano pessi-


VORO IN FABBRICA me: le retribuzioni erano ad un livello bassissimo, mentre
gli orari di lavoro erano esageratamente lunghi.
 La stragrande maggioranza della manodopera nell’industria tessile veniva fornita da
giovane donne (jokŇ ᅚᎿ2348 lett. operaie). Le stesse condizioni di lavoro non le rispar-

2343 jŇ/yaku/ kai/sei ᧦ 391/564 ⚂ 137/211 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275


2344 Sumi/tomo ૑ 248/156 ෹ 543/264
2345 zai/batsu ⽷ 569/553 㑓 1457/1510
2346 shi/hon/shu/gi ⾗ 230/750 ᧄ 15/25 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2347 ki/sei/ ji/nushi ነ 545/1361 ↢ 29/44 ࿾ 40/118 ਥ 91/155
2348 jo/kŇ ᅚ 178/102 Ꮏ 169/139

324
miavano: dovevano lavorare per oltre 12 ore, e a volte anche 15-16 ore al giorno, sotto
condizioni paragonabili a quelle delle detenute. Come alloggi, usufruivano di reclusori
privi delle più elementari risorse igieniche e sanitarie. La vittoria nelle due guerre e
l’esistenza grama dei veri protagonisti che a tale vittoria avevano operato erano in netto
contrasto, ma è altrettanto vero che non c’era alternativa possibile se non si voleva che
l’intero paese si riducesse alla mercé di uno spietato Occidente che imponeva la legge
della giungla (jakuniku kyŇshoku no okite ᒙ⡺ᒝ㘩ߩឌ2349 lett. legge secondo cui i
deboli sono le carni che i forti mangiano) con il suo imperialismo (teikokushugi Ꮲ࿖ਥ
⟵2350).

MOVIMENTO SOCIALISTA NELLA Fu intorno ai tempi della guerra sino-


SUA FASE INIZIALE E REPRESSIONI giapponese del 1894-1895 (Nisshin sensŇ
ᣣᷡᚢ੎) che vennero a galla conflitti fra capitale e lavoro (rŇdŇsŇgi ഭ௛੎⼏2351 lett.
controversie in materia di lavoro, ossia rivendicazioni dei lavoratori).
Anche i fittavoli si levarono collettivamente contro i proprietari terrieri (kosaku sŇgi
ዊ૞੎⼏2352 lett. vertenze dei fittavoli), chiedendo riduzioni dei canoni da pagare in
natura, equivalenti al 50% dei raccolti.
Il movimento socialista conobbe però la repressione fin dal primo momento. Il
Partito Socialdemocratico (Shakai minshutŇ ␠ળ᳃ਥౄ2353 1901), il primo a ispirazio-
ne socialista, venne sciolto il giorno stesso della sua costituzione, e dopo un Incidente
classificato di alto tradimento (Taigyaku [oppure anche Daigyaku] jiken ᄢㅒ੐ઙ2354
1910), la vita del movimento socialista divenne impossibile fin oltre il primo conflitto
mondiale (Dai ichiji sekai taisen ╙৻ᰴ਎⇇ᄢᚢ2355 1914-1918), causa l’inasprimento
della repressione.
 ‫ ޣ‬TAIGYAKU JIKEN ‫ ޤ‬Nel 1910 vennero arrestati centinaia di fautori del
socialismo con l’accusa di aver complottato contro la vita dell’imperatore Meiji (Meiji
tennŇ ᣿ᴦᄤ⊞2356). Processati a porte chiuse, l’anno successivo ne furono impiccati

2349 jaku/niku/ kyŇ/shoku/ no/ okite ᒙ 819/218 ⡺ 779/223 ᒝ 112/217 㘩 269/322 ߩឌ non reg./non reg.
2350 tei/koku/shu/gi Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2351 rŇ/dŇ/sŇ/gi ഭ 309/233 ௛ 444/232 ੎ 271/302 ⼏ 52/292
2352 ko/saku/ sŇ/gi ዊ 63/27 ૞ 99/360 ੎ 271/302 ⼏ 52/292
2353 Sha/kai/ min/shu/tŇ ␠ 30/308 ળ 12/158 ᳃ 70/177 ਥ 91/155 ౄ 106/495
2354 Tai/gyaku/ ji/ken ᄢ 7/26 ㅒ 857/444 ੐ 32/80 ઙ 290/732
2355 Dai/ ichi/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ৻ 4/2 ᰴ 235/384 ਎ 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
2356 Mei/ji/ ten/nŇ ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297

325
dodici, tra cui KŇtoku Shşsui (ᐘᓼ⑺᳓2357 1871-1911), uno dei fondatori del Partito
Socialdemocratico (Shakai minshutŇ ␠ળ᳃ਥౄ). Si dice che a progettare l’attentato
fossero solo alcuni, mentre tutti gli altri, fra i quali Shşsui ⑺᳓, non ne sarebbero stati
in alcun modo implicati.
 < TokkŇ > Il Taigyaku jiken ᄢㅒ੐ઙ provocò ripercussioni in più campi sotto
molteplici forme, fra cui l’istituzione (1911) di una polizia speciale detta Tokubetsu kŇtŇ
keisatsu (․೎㜞╬⼊ኤ2358 lett. Polizia d’alto livello speciale) con compito di controllo
dei movimenti socialisti e dell’ideologia politica. La sigla TokkŇ ․㜞 con cui era per
brevità chiamata, faceva rabbrividire solo a sentirla nominare.

 Il 30 luglio 1912 moriva l’imperatore Meiji (Meiji tennŇ ᣿ᴦᄤ⊞), chiudendo una
fase che era stata la più movimentata, e nel contempo la più spettacolare e gloriosa di
tutta la storia giapponese. Gli subentrava l’imperatore TaishŇ (TaishŇ tennŇ ᄢᱜᄤ⊞
2359 r. 1912-1926).

Parte seconda: Cultura

§63. Bunmei kaika

OCCIDENTALIZZAZIONE DEI Per effetto della politica modernizzatrice


COSTUMI DI VITA QUOTIDIANA promossa dal governo, anche la vita quoti-
diana veniva almeno in apparenza notevolmente occidentalizzata in un breve giro del
tempo.
 Agli inizi dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-1912) la gente usava l’espres-
sione bunmei kaika (ᢥ᣿㐿ൻ2360 lett. il civilizzarsi) per riferirsi ad ogni novità della vita

2357 KŇ/toku/ Shş/sui ᐘ 683/684 ᓼ 839/1038 ⑺ 540/462 ᳓ 144/21


2358 Toku/betsu/ kŇ/tŇ/ kei/satsu ․ 153/282 ೎ 255/267 㜞 49/190 ╬ 601/569 ⼊ 410/706 ኤ 671/619
2359 Tai/shŇ/ ten/nŇ ᄢ 7/26 ᱜ 109/275 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
2360 bun/mei/ kai/ka ᢥ 136/111 ᣿ 84/18 㐿 80/396 ൻ 100/254

326
di tutti i giorni. Di fronte a qualsiasi cosa, purché provenisse dall’Europa o dall’America
si esaltava, dicendo: ‘Ecco, un altro passo di civilizzazione’.
 Costruire con mattoni palazzi in stile europeo (dal 1871), illuminare la strada con
lampade a gas (1872), adottare il calendario gregoriano (1872), costruire ferrovie (1872)
e via dicendo, potevano essere legittimamente considerati ciascuno un passo avanti
verso il modello occidentale, ma per la gente d’allora rappresentavano ugualmente un
incivilimento anche cose come queste: pettinarsi all’occidentale (1870) anziché portare il
chonmage ߜࠂࠎ߹ߍ (ciuffo di capelli che gli uomini portavano sulla testa nell’Edo
jidai ᳯ ᚭ ᤨ ઍ ), usare l’ombrello (kŇmorigasa ߎ ߁ ߽ ࠅ ஺ 2361 1870) invece del
karakasa ໊஺ (ombrello di bambù e di carta oleata), vestirsi a mo’ degli europei
(1870), mangiare pane e vitello e bere latte (1867-1872).
Alla stessa stregua era un simbolo del bunmei kaika ᢥ᣿㐿ൻ andare in jinrikisha
(ੱജゞ2362 it. risciò), carrozzino, a dire il vero, di invenzione giapponese. Una buona
parte della fenomenologia del bunmei kaika ᢥ᣿㐿ൻ consisteva infatti nell’imitare
pedissequamente usi e costumi occidentali. Sta di fatto che coloro che si conformavano
volentieri alle usanze europee si ritenevano ed erano ritenuti dagli altri superiori a quelli
che stentavano ad accettare le novità.
 La mentalità di portare alle stelle qualsiasi cosa occidentale aveva il rovescio della
medaglia: la cultura e la civiltà giapponesi tramandate dagli antenati erano giudicate
prive di valore. Qua e là si verificarono atti di distruzione di patrimonio culturale di gran
pregio o svendita a prezzi irrisori di antiche opere d’arte.

ATTIVITÀ ILLU- A dispetto della moda occidentalizzante piuttosto frivola, già


MINISTICHE poco tempo dopo si videro dei divulgatori (chiamati però keimŇ
shisŇka ໪⫥ᕁᗐኅ 2363 lett. illuministi) di moderni pensieri occidentali impegnarsi
seriamente nella costruzione d’un nuovo Giappone. Quasi tutti erano occidentalisti
(yŇgakusha ᵗቇ⠪2364 ψ§53) associatisi nel 1873 (6° anno Meiji [Meiji rokunen ᣿ᴦ
౐ᐕ2365]) ad una società di nome Meirokusha (᣿౐␠2366 lett. Associazione del 6°
anno Meiji ᣿ᴦ), ed essi svolsero una intensa attività illuministica tramite sia la loro

2361 kŇ/mo/ri/gasa ߎ߁߽ࠅ஺ 1856/790


2362 jin/riki/sha ੱ 9/1 ജ 69/100 ゞ 162/133
2363 kei/mŇ/ shi/sŇ/ka ໪ 1452/1398 ⫥ non reg./non reg.ᕁ 149/99 ᗐ 352/147 ኅ 81/165
2364 yŇ/gaku/sha ᵗ 366/289 ቇ 33/109 ⠪ 22/164
2365 Mei/ji/ roku/nen ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ౐ 20/8 ᐕ 3/45
2366 Mei/roku/sha ᣿ 84/18 ౐ 20/8 ␠ 30/308

327
rivista Meiroku zasshi (䇺᣿౐㔀⹹䇻2367 lett. rivista del 6° anno Meiji [Meiji rokunen ᣿ᴦ
౐ᐕ] 1874-1875) che una serie di conferenze.
Gli argomenti trattati spaziavano praticamente su tutti i campi della vita umana,
dalla politica, economia e giurisprudenza all’istruzione, usi e costumi, lingua.
 ‫ޣ‬FUKUZAWA YUKICHI‫ޤ‬Fu Fukuzawa Yukichi (⑔ᴛ⻀ศ2368 1835-1901), socio
del Meirokusha ᣿౐␠, a respingere recisamente le idee antiquate ed a continuare a
scuotere la gente dal torpore.
Nell’opera ben nota Gakumon no Il Gakumon no susume 䇺ቇ໧ࡁࠬࠬࡔ䇻
susume (䇺ቇ໧ 2371 ࡁࠬࠬࡔ䇻 lett. inizia con le seguenti frasi ben note a tutti i
incoraggiamento agli studi, it. Inco- giapponesi:
raggiamento al sapere, in 17 fascicoli,
Ten wa hito no ue ni hito o tsukura zu. Hito no
1872-1876) che rappresenta le sue
shita ni hito o tsukura zu... (ᄤ2369䊊ੱ䊉਄䊆ੱ
pubblicazioni, egli esaltò la libertà e
䊭ㅧ2370䊤䉵ੱ䊉ਅ䊆ੱ䊭ㅧ䊤䉵㵺)
l’uguaglianza dell’uomo nonché la Il cielo non crea uomini al di sopra degli
parità dello Stato. Parlando della uomini. Non crea uomini al di sotto degli
necessità di apprendimento, definì uomini ...
gli studi condotti in Occidente nei termini di scienze immediatamente utilizzabili a
scopo pratico (jitsugaku ታቇ2372 p.es. giurisprudenza, scienze economiche, medicina,
ingegneria, in due parole scienze non umanistiche) ed esortò i connazionali a compiere
questi stessi studi. Diede, inoltre, un appoggio morale allo sviluppo dell’economia di
mercato, sostenendo che la forza nazionale poteva crescere soltanto tramite la
concorrenza e le libere transazioni tra cittadini di pari diritto.
 L’opera andò a ruba. Si dice che assommasse a qualcosa come 3.400.000 copie
vendute fra i 17 fascicoli con effetti inestimabili sul grande esercito di addormen-
tati-ignoranti.

§64. Politica religiosa del governo Meiji

2367 Mei/roku/ zas/shi 䇺᣿ 84/18 ౐ 20/8 㔀 812/575 ⹹ 950/574䇻


2368 Fuku/zawa/ Yu/kichi ⑔ 450/1379 ᴛ 403/994 ⻀ 1545/1599 ศ 464/1141
2369 ten ᄤ 364/141
2370 tsuku/ru ㅧ 460/691 䉎 (giapp. moderno: id.)
2371 gaku/mon ቇ 33/109 ໧ 75/162
2372 jitsu/gaku ታ 89/203 ቇ 33/109

328
SHINTņ E NA- 䇼SHINTņ DI STATO‫ޤ‬Ciò che caratterizzava il mondo religioso
ZIONALISMO durante l’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-1912), e di seguito
fino alla sconfitta (1945) nella seconda guerra mondiale (Dai niji sekai taisen ╙ੑᰴ਎
⇇ᄢᚢ2373 1939-1945), fu il fatto che lo shintŇ ␹㆏ venne protetto e utilizzato dallo
Stato al fine di unire spiritualmente intorno all’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) il popolo che
era stato a lungo diviso in molti han ⮲. Tale forma di shintŇ ␹㆏ si chiama kokka
shintŇ (࿖ኅ␹㆏2374 lett. shintŇ di Stato) e consisteva sia nella deificazione del tennŇ ᄤ
⊞ che nel paragonare lo Stato ad una famiglia (kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ2375 lett. Stato
come famiglia).
 ‫ޣ‬IMPERATORE QUALE KAMI PERSONIFICATO E STATO-FAMIGLIA‫ޤ‬
La deificazione del tennŇ ᄤ⊞, ossia la sua identificazione con kami ␹ in forma
umana, non è monopolio dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ), ma risale all’età antica.
Difatti, nel Man’yŇshş (䇺ਁ⪲㓸䇻2376 ψ§11) si leggono poesie che iniziano con questa
espressione: « Giacché l’imperatore è kami, [...] » (ņkimi wa / kami ni shimase ba / [...],
ᄢำ2377ߪ␹ߦߒ߹ߖ߫ [̖]).
 Poi, l’espressione kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ, significa, più precisamente, che lo Stato
giapponese è come una famiglia governata dal capofamiglia nella persona del tennŇ ᄤ
⊞. Si tratta di un’idea creatasi secondo il seguente concetto: Tutto il popolo giapponese
discende dal progenitore dei kami ␹ celesti. Visto che il tennŇ ᄤ⊞ ne è discendente
in linea diretta, egli è capofamiglia del popolo giapponese, e quindi è lui, kami ␹
personificato (arahitogami ⃻ੱ␹2378 detto a volte anche aramikami ⃻ᓮ␹2379 ), a
governare lo Stato-famiglia (kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ) giapponese in base al mandato di
cui parlano il Kojiki 䇺ฎ੐⸥䇻2380 e il Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻2381. (cfr. kiki no shinwa
⸥♿ߩ␹⹤ 2382 ψ§10; mitogaku ᳓ᚭቇ 2383 ψ§53; fukko shintŇ ᓳฎ␹㆏ 2384 ψ
§53).

2373 Dai/ ni/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ੑ 6/3 ᰴ 235/384 ਎ 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
2374 kok/ka/ shin/tŇ ࿖ 8/40 ኅ 81/165 ␹ 229/310 ㆏ 129/149
2375 ka/zoku/ kok/ka ኅ 81/165 ᣖ 599/221 ࿖ 8/40 ኅ 81/165
2376 Man’/yŇ/shş 䇺ਁ 96/16 ⪲ 405/253 㓸 168/436䇻
2377 Ň/kimi ᄢ 7/26 ำ 700/793
2378 ara/hito/gami ⃻ 82/298 ੱ 9/1 ␹ 229/310
2379 ara/mi/kami ⃻ 82/298 ᓮ 620/708 ␹ 229/310
2380 Ko/ji/ki 䇺ฎ 373/172 ੐ 32/80 ⸥ 147/371䇻
2381 Ni/hon/ sho/ki 䇺ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ᦠ 130/131 ♿ 930/372䇻
2382 ki/ki/ no/ shin/wa ⸥ 147/371 ♿ 930/372 ߩ␹ 229/310 ⹤ 133/238
2383 mi/to/gaku ᳓ 144/21 ᚭ 342/152 ቇ 33/109

329
 Tutti i jinja ␹␠2385, ossia i santuari shintoisti, vennero organizzati gerarchicamente.
Al punto più alto c’era l’Ise jingş (દ൓␹ች2386 ψ§9) dedicato alla divinità Amaterasu
Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ]␹2387. I sacerdoti venivano nominati dal governo. I cittadini erano
tenuti ad iscriversi ai loro jinja ␹␠ locali e ad assistere ai riti celebrati in tali santuari.
 Lo shintŇ di Stato (kokka shintŇ ࿖ኅ␹㆏) creato a scopo politico, quindi, a stretto
rigore, non più da classificare come religione, diede l’appoggio ideologico alle azioni dei
nazionalisti giapponesi destinate a segnare una sempre più vistosa ascesa nel contesto
internazionale (ψ§61, §71, §74, §75).

BUDDHISMO E LA Sin dal periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) lo shintoismo


SUA DECADENZA (shintŇ ␹㆏) e il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) coesistevano in
stato promiscuo (shinbutsu shşgŇ ␹੽⠌ว2388 ψ§23), ma poi nell’era Meiji (Meiji jidai
᣿ᴦᤨઍ) per effetto della politica religiosa dianzi accennata, nel 1868 lo shintŇ ␹㆏
fu separato dal bukkyŇ ੽ᢎ (shinbutsu bunri ␹੽ಽ㔌2389 lett. separazione di shintŇ
␹㆏ e bukkyŇ ੽ᢎ), e questo fatto, incrementato dalla febbre dell’occidentalizzazione
(bunmei kaika ᢥ᣿㐿ൻ2390 ψ§63), provocò la distruzione di tutto quel che aveva a
che fare con il bukkyŇ ੽ᢎ (p.es. templi, statue, arredi sacri), fenomeno sociale
chiamato haibutsu kishaku ( ᑄ ੽ Მ ㉼ 2391 lett. eliminare il Buddha e distruggere
ŒĆkyamuni).
 Malgrado il fatto che in taluni ambienti buddhisti c’erano anche coloro che in quei
frangenti intrapresero opere di riforma per mantenere il buddhismo (bukkyŇ ੽ᢎ) al
passo con i tempi, ma ciò servì a poco e, generalmente, il bukkyŇ ੽ᢎ rimase
fossilizzato per inerzia dei bonzi. Per una buona parte dei giapponesi, specie agli occhi
degli intellettuali, esso ormai non rappresentava (e non rappresenta tuttora) altro che
una religione adatta ai riti funebri ed era (ed è) chiamato ironicamente sŇshiki bukkyŇ ⫋
ᑼ੽ᢎ2392.
Anche le statue buddhiste si ridussero a trovare la loro ragion d’essere soltanto nel

2384 fuk/ko/ shin/tŇ ᓳ 585/917 ฎ 373/172 ␹ 229/310 ㆏ 129/149


2385 jin/ja ␹ 229/310 ␠ 30/308
2386 I/se/ jin/gş દ 603/2011 ൓ 365/646 ␹ 229/310 ች 419/721
2387 Ama/terasu/ Ň/mi/kami ᄤ 364/141 ᾖ 1072/998 ᄢ 7/26[ᓮ 620/708]␹ 229/310
2388 shin/butsu/ shş/gŇ ␹ 229/310 ੽ 678/583 ⠌ 665/591 ว 46/159
2389 shin/butsu bun/ri ␹ 229/310 ੽ 678/583 ಽ 35/38 㔌 641/1281
2390 bun/mei/ kai/ka ᢥ 136/111 ᣿ 84/18 㐿 80/396 ൻ 100/254
2391 hai/butsu/ ki/shaku ᑄ 1014/961 ੽ 678/583 Მ non reg./non reg.㉼ 1214/595
2392 sŇ/shiki/ buk/kyŇ ⫋ 1436/812 ᑼ 185/525 ੽ 678/583 ᢎ 97/245

330
loro intrinseco valore artistico.

CRISTIA- Anche dopo l’apertura del paese (kaikoku 㐿 ࿖ 2393 ) del 1854, il
NESIMO cristianesimo continuò ad essere ugualmente bandito per una ventina
d’anni; difatti, quando furono scoperti nel 1865 nei pressi di Nagasaki 㐳ፒ2394 oltre
tremila cattolici clandestini (kakure kirishitan 㓝 2395 ࠇࠠ࡝ࠪ࠲ࡦ lett. kirishitan
nascosti ψ §42), costoro vennero immediatamente sottoposti ad una stretta
sorveglianza e subirono forti pressioni perché abbandonassero la fede cristiana,
malgrado il fatto che in seguito ad una fusione avvenuta con altre religioni la loro fede
non poteva più considerarsi, a rigore, cattolica.
 Il perdurare del bando al cristianesimo non fu certo visto di buon occhio dai paesi
occidentali. Il governo Meiji (Meiji seifu ᣿ᴦ᡽ᐭ), da parte sua, per timore di
eventuali ripercussioni negative sui negoziati di revisione dei trattati ineguali (jŇyaku
kaisei ᧦⚂ᡷᱜ2396) si decideva nel 1873 a dare il suo tacito avallo alla evangelizzazione.
Fu in quella occasione che i missionari ripresero le loro attività, ma essi, diversamente
da quelli del secolo cristiano (kirishitan no seiki ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦߩ਎♿2397 metà XVI sec.-
metà XVII sec.), erano per la maggioranza protestanti.
 I missionari, mentre svolgevano l’evangelizzazione, si dedicarono anche a diverse
attività che spaziavano dalla fondazione di istituti d’istruzione e dalle opere di
beneficienza e di assistenza sociale ai movimenti contro la prostituzione legalizzata (ψ
§48).

ٟ Ad opera dei missionari, diplomatici e studiosi europei ed americani recatisi in


Giappone a partire dal bakumatsu ᐀ᧃ2398 venne creata in Occidente la base degli
studi giapponesi (nihongaku ᣣᧄቇ2399 it. nipponistica) detti allora yamatologia
(φ Yamato ᄢ๺ 㧗 -logia).
Tra di essi fu J. C. Hepburn (Hebon ࡋࡏࡦ 1815-1911, soggiorno in Giappo-
ne: 1859-1892), missionario presbiteriano e autore di un vocabolario giapponese-

2393 kai/koku 㐿 80/396 ࿖ 8/40


2394 Naga/saki 㐳 25/95 ፒ 457/1362
2395 kaku/re 㓝 1511/868 ࠇ (φkaku/re/ru 㓝 1511/868 ࠇࠆ nascondersi)
2396 jŇ/yaku/ kai/sei ᧦ 391/564 ⚂ 137/211 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275
2397 ki/ri/shi/tan/ no/ sei/ki ࠠ࡝ࠪ࠲ࡦߩ਎ 152/252 ♿ 930/372
2398 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305
2399 ni/hon/gaku ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ቇ 33/109
2400 Wa/ei/ go/rin/shş/sei 䇺๺ 151/124 ⧷ 449/353 ⺆ 274/67 ᨋ 420/127 㓸 168/436 ᚑ 115/261䇻
2401 he/bo/n/shi/ki/ rŇ/ma/ji ࡋࡏࡦᑼ 185/525 ࡠ࡯ࡑሼ 612/110

331
inglese (Waei gorinshşsei 䇺๺⧷⺆ᨋ㓸ᚑ䇻2400 A Japanese and English Dictionary
with an English and Japanese Index, prima edizione 1867). Il metodo di traslitterazione
in alfabeto latino del giapponese, adottato nella terza edizione (1886) del suo
dizionario si chiama comunemente hebonshiki rŇmaji (ࡋࡏࡦᑼࡠ࡯ࡑሼ2401 lett.
traslitterazione in caratteri romani a mo’ di Hepburn) ed è seguito anche oggi
internazionalmente, anche se poco soddisfacente nell’ottica della fonologia giap-
ponese. Non fu lui solo ad elaborarlo, ma se viene chiamato dal suo nome, è
perché il suo vocabolario godette di ampia diffusione.

§65. Ordinamento scolastico e politica d’istruzione

ORDINAMENTO SCOLA- È nel 1872 che venne mosso il primo passo per la
STICO E SUO SVILUPPO creazione di un moderno sistema scolastico « affinché
non ci fosse alcuna famiglia analfabeta in alcun villaggio, né alcun membro analfabeto
in alcuna famiglia ».
Con l’intento di unificare, a livello nazionale, diversi tipi di scuole esistenti fin
dall’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ (p.es. terakoya ኹሶደ2402, hankŇ ⮲ᩞ2403 ψ§53) il governo
introdusse nel 1872, sul modello francese, un’organizzazione delle circoscrizioni
scolastiche chiamata gakusei (ቇ೙2404 lett. sistema scolastico). Tale piano, ambizioso ed
anche ben ordinato, tuttavia, andava al di là delle possibilità del Giappone d’allora per
insufficienza di risorse sia materiali (edifici scolastici e materiali didattici adeguati) sia
umane (insegnanti all’altezza del compito) e finì col non essere messo in atto così come
era stato programmato.
 È per iniziativa del ministro dell’educazione, Mori Arinori ( ᫪ ᦭ ␞ 2405 c.
1885-1889) che venne sistemata la struttura base d’istruzione per i periodi successivi,
dall’istruzione elementare fino al livello universitario. L’istruzione obbligatoria (varata
nel 1872 ma abbandonata) fu stabilita nel 1886 per i primi quattro anni delle elementari,
e successivamente nel 1907 venne portata a sei anni.
 Agli inizi, il tasso di scolarizzazione risultava assai modesto (28,1% nel 1873), in
parte perché l’istruzione non era gratuita e in parte perché il contenuto dei materiali
didattici, importati dall’Occidente, non rispondeva alle reali esigenze della gente, ma a

2402 tera/ko/ya ኹ 687/41 ሶ 56/103 ደ 270/167


2403 han/kŇ ⮲ 1566/1382 ᩞ 176/115
2404 gaku/sei ቇ 33/109 ೙ 196/427
2405 Mori/ Ari/nori ᫪ 532/128 ᦭ 268/265 ␞ 983/620

332
distanza di quarant’anni, verso la fine dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-1912),
raggiunse la soglia del 100% (per l’esattezza 98,1% nel 1910).
 Aumentò anche il numero di coloro che, terminata l’istruzione elementare,
continuavano a studiare presso una scuola di grado superiore. In un quarto di secolo dal
1885 al 1910, ad esempio, si moltiplicarono per ben 12 volte le iscrizioni alle diverse
scuole di istruzione secondaria esistenti tra la scuola elementare e l’università.

DUE PRINCIPI È da mettere subito in evidenza il fatto che la generalizzazione


D’ISTRUZIONE progressiva dell’istruzione fu accompagnata dal controllo sempre
più accentuato da parte dello Stato, e ciò per la convinzione che di fronte alla politica di
forza delle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ2406) bisognava portare avanti, su
iniziativa dello Stato, l’istruzione del popolo, ritenuta un fattore determinante per un
buon successo dello slogan: ‘Arricchire il paese e rafforzare la potenza militare’ (fukoku
kyŇhei ን࿖ᒝ౓2407 ψ§59).
 In seguito al compromesso tra la forza conservatrice e quella illuminista ai tempi di
Mori Arinori ᫪᦭␞ alla guida del dicastero dell’educazione, questa motivazione di
fondo si concretizzò in due linee politiche nettamente distinte e destinate a restare tali
fino alla perdita (1945) della seconda guerra mondiale (Dai niji sekai taisen ╙ੑᰴ਎⇇
ᄢᚢ2408), e cioè, educazione morale e preparazione dell’élite, due principi contrastanti
ma abilmente fatti conciliare.

EDUCAZIONE Per educazione morale s’intende la materia di studio delle


M O R A L E elementari ed è nota ai giapponesi al di sopra di certe età con il
nome di shşshin (ୃり 2409 lett. il governare/moralizzare se stesso). Si trattò della
disciplina impartita con il preciso scopo di unificare spiritualmente l’intero popolo
intorno all’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) e di assicurare nel contempo la sua lealtà (chş ᔘ
2410) verso quest’ultimo.

 ‫ޣ‬RESCRITTO IMPERIALE SULL’EDUCAZIONE‫ޤ‬Nel ben noto Rescritto


comunemente conosciuto con il nome abbreviato di Rescritto imperiale sull’educazione
(KyŇiku chokugo ᢎ⢒഼⺆2411, 1890) steso sotto la forte influenza di Motoda Nagazane

2406 sei/Ň/ rek/kyŇ ⷏ 167/72 ᰷ 766/1022 ೉ 891/611 ᒝ 112/217


2407 fu/koku/ kyŇ/hei ን 539/713 ࿖ 8/40 ᒝ 112/217 ౓ 447/784
2408 Dai/ ni/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ੑ 6/3 ᰴ 235/384 ਎ 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
2409 shş/shin ୃ 644/945 り 331/59
2410 chş ᔘ 1040/1348
2411 KyŇ/iku/ choku/go ᢎ 97/245 ⢒ 250/246 ഼ p.412/1886 ⺆ 274/67

333
( ర ↰ ᳗ ሾ 2412 chiamato anche Motoda Eifu, 1818-1891), precettore confuciano
dell’imperatore Meiji (Meiji tennŇ ᣿ᴦᄤ⊞), venne resa pubblica, combinato con lo
shintŇ di Stato (kokka shintŇ ࿖ኅ␹㆏), una serie di virtù confuciane che il popolo era
tenuto a praticare.
 L’essenza del Rescritto consiste-
La settima unità d’un testo (1893) di shşshin
va, in ultima analisi, nell’esaltare la ୃり ad uso della scuola elementare iniziava
lealtà all’imperatore e il patriottismo con questa frase:
(chşkun aikoku ᔘ ำ ᗲ ࿖ 2413 ),
nonché nel ribadire la identità di chş Asa ban ni wa chichi haha no kigen o ukagau
(ᔘ lealtà al sovrano ψ§53) e kŇ beshi. (޽ߐ ߫ࠎ ߦ ߪ‫ࠒߪࠒߜ ޔ‬
ߩ ߈ߍࠎ ࠍ‫)ߒߴ ߰ࠓ߆߁ ޔ‬
(ቁ2414 devozione al padre ψ§53)
La mattina e la sera devi rendere ossequio a
(chşkŇ ippon ᔘቁ৻ᧄ2415). tuo padre e a tua madre.
 Quest’ultima espressione (ossia
chşkŇ ippon ᔘቁ৻ᧄ) è un modo Il salutare rispettosamente i genitori da pic-
di esprimere, alla confuciana, l’idea coli costituiva il primo passo verso la devo-
zione per il tennŇ ᄤ⊞.
dello Stato paragonato ad una fami-
glia (kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ ψ §64). Significa cioè che siccome il Giappone è una
famiglia governata dal capofamiglia (ossia tennŇ ᄤ⊞), il chş ᔘ nei confronti del tennŇ
ᄤ⊞ e il kŇ ቁ verso il proprio padre sono originariamente la stessa cosa.
 ‫ޣ‬MAESTRI SPECIALIZZATI NELL’EDUCAZIONE MORALE‫ޤ‬I posti da
insegnanti di ruolo delle elementari erano rigorosamente riservati ai diplomati delle
scuole normali (shihan gakkŇ Ꮷ▸ቇᩞ2416 dal 1886), sede specializzata nella pre-
parazione di maestri per l’educazione morale. Il loro compito maggiore consisteva non
tanto nell’insegnare ‘2 + 3 = 5’, ‘l’acqua bolle a 100 gradi’ o ‘il sole sorge ad est’ quanto
nel dare una ‘buona’ educazione morale in conformità del Rescritto imperiale sull’e-
ducazione (KyŇiku chokugo ᢎ⢒഼⺆).
 Venivano imposti anche agli scolari atti come la lettura orale del Rescritto e l’in-
chino davanti ai ritratti fotografici appositamente esposti dell’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) e
dell’imperatrice (kŇgŇ ⊞อ 2417 ). A tale proposito, va ricordato un episodio citato

2412 Moto/da/ Naga/zane ర 328/137 ↰ 24/35 ᳗ 690/1207 ሾ non reg./non reg.


2413 chş/kun/ ai/koku ᔘ 1040/1348 ำ 700/793 ᗲ 436/259 ࿖ 8/40
2414 kŇ ቁ 1249/542
2415 chş/kŇ/ ip/pon ᔘ 1040/1348 ቁ 1249/542 ৻ 4/2 ᧄ 15/25
2416 shi/han/ gak/kŇ Ꮷ 490/409 ▸ 1126/1092 ቇ 33/109 ᩞ 176/115
2417 kŇ/gŇ ⊞ 964/297 อ 1759/1119

334
frequentemente: Uchimura KanzŇ (ౝ᧛㐓ਃ 2418 1861-1930), cristiano convinto e
docente di una scuola liceale, per essersi rifiutato di inchinarsi al Rescritto imperiale
sull’educazione (KyŇiku chokugo ᢎ⢒഼⺆), fu licenziato (Uchimura KanzŇ fukei jiken ౝ
᧛㐓ਃਇᢘ੐ઙ2419 lett. Incidente di mancato rispetto a carico di Uchimura KanzŇ,
1891).
 ‫ޣ‬TESTI SCOLASTICI SOTTOPOSTI A CONTROLLO‫ޤ‬Fin dal 1886 i libri di
testo costituivano (e costituiscono tuttora) oggetto di censura da parte del ministero
dell’educazione (kyŇkasho kentei seido ᢎ⑼ᦠᬌቯ೙ᐲ2420) e successivamente, a partire
dal 1904, venne proibito ai docenti delle elementari l’uso di testi diversi da quelli curati
dal ministero stesso (kokutei kyŇkasho ࿖ቯᢎ⑼ᦠ2421 lett. libri di testo designati dallo
Stato, 1903-1948). Questi ultimi testi descrivevano la storia del Giappone iniziandola
con la mitologia del kiki (kiki no shinwa ⸥♿ߩ␹⹤2422). Va da sé che era sottolineato
in modo particolare l’insegnamento confuciano di chş ᔘ e kŇ ቁ.
 ‫ޣ‬KIMIGAYO ‫ޤ‬Riguardo all’educazione morale c’è un’ultima cosa cui accennare: il
Kimigayo (䇺ำ߇ઍ䇻2423 lett. il regno di sua maestà l’imperatore; grammaticalmente: kimi
ga yo), a lungo mai elevato ufficialmente al rango di inno nazionale, ma accettato come
tale de facto dai giapponesi. Si tratta della versione leggermente modificata di un waka
๺᱌ d’amore del Kokin [waka]shş (䇺ฎ੹[๺᱌]㓸䇻2424 ψ§22).
 Eccone le parole:

ำ߇ઍߪජઍ2425ߦ౎ජઍ2426ߦߐߑࠇ⍹2427ߩᎯ2428ߣߥࠅߡ⧡2429ߩ߻ߔ
߹ߢ
Kimigaya wa / chiyo ni yachiyo ni / sazareishi no / iwao to narite / koke no musumade
[Che il Regno di Sua Maestà possa durare a lungo fino a quando un ciottolo si

2418 Uchi/mura/ Kan/zŇ ౝ 51/84 ᧛ 210/191 㐓 1171/1664 ਃ 10/4


2419 Uchi/mura/ Kan/zŇ fu/kei/ ji/ken ౝ 51/84 ᧛ 210/191 㐓 1171/1664 ਃ 10/4 ਇ 134/94 ᢘ 1247/705
੐ 32/80 ઙ 290/732
2420 kyŇ/ka/sho/ ken/tei/ sei/do ᢎ 97/245 ⑼ 350/320 ᦠ 130/131 ᬌ 351/531 ቯ 62/355 ೙ 196/427 ᐲ 83/377
2421 koku/tei/ kyŇ/ka/sho ࿖ 8/40 ቯ 62/355 ᢎ 97/245 ⑼ 350/320 ᦠ 130/131
2422 ki/ki/ no/ shin/wa ⸥ 147/371 ♿ 930/372 ߩ␹ 229/310 ⹤ 133/238
2423 Kimi/ga/yo 䇺ำ 700/793 ߇ઍ 68/256䇻
2424 Ko/kin/ [wa/ka]/shş 䇺ฎ 373/172 ੹ 146/51[๺ 151/124 ᱌ 478/392]㓸 168/436䇻
2425 chi/yo ජ 79/15 ઍ 68/256
2426 ya/chi/yo ౎ 41/10 ජ 79/15 ઍ 68/256
2427 ishi ⍹ 276/78
2428 iwao Ꭿ non reg./non reg.

335
tramuterà in una roccia e vi crescano muschi].

 Nel 1893 il Kimigayo 䇺ำ߇ઍ䇻 venne designato dal ministero dell’educazione


quale inno da cerimonia scolastica, e da allora fu cantato in coro da tutti gli scolari in
occasione delle festività nazionali e scolastiche. Anche questo inno mirava ad esaltare lo
stesso spirito di quello del Rescritto imperiale sull’educazione (KyŇiku chokugo ᢎ⢒഼
⺆).

ٟ Nel 1977 il ministero della pubblica istruzione ha parlato del Kimigayo 䇺ำ߇
ઍ䇻, definendolo per la prima volta quale inno nazionale. Successivamente nel
1999 il governo gli ha consacrato tale status per vie legali (Kokki kokka hŇ ࿖ᣛ࿖
᱌ᴺ2430 lett. legge sulla bandiera nazionale e sull’inno nazionale, 1999).
Nel Giappone contemporaneo non pochi intellettuali non approvano, per
questioni ideologiche, che gli scolari cantino in coro il Kimigayo 䇺ำ߇ઍ䇻 in
occasione delle festività scolastiche.
ٟ Il waka ๺᱌ d’amore da cui deriva il Kimigayo 䇺ำ߇ઍ䇻:

Waga kimi wa / chiyo ni yachiyo ni / sazareishi no / iwao to narite / koke no musumade


[Che voi, mio amore, possiate vivere a lungo fino a quando un ciottolo si
tramuterà in una roccia e vi crescano muschi]

 ‫ޣ‬EDUCAZIONE MORALE BEN RIUSCITA‫ޤ‬Da una parte, aiutata da un tasso


altissimo di scolarizzazione e, dall’altra, tramite il lavaggio del cervello cui gli ex-militari
erano stati sottoposti durante il servizio di leva, l’educazione-istruzione, finalizzata a
livellare e costringere lo spirito dei giapponesi come in un unico stampo, ebbe un pieno
successo.

PREPARAZIONE Naturalmente i governanti sapevano bene che la formazione


DELL’ÉLITE dello spirito, diciamo ‘irrazionale’, non bastava per realizzare
quanto si proponeva lo slogan: fukoku kyŇhei (ን࿖ᒝ౓2431 lett. paese ricco, esercito
forte / arricchire il paese e rafforzare la potenza militare).
Erano ben consci che occorreva anche e soprattutto dotare la classe dirigente del
sapere scientifico e tecnologico dell’Occidente. Così, un altro pilastro della politica
d’istruzione consisteva nel dare un’istruzione scientifica e razionale agli studenti iscritti
agli istituti di grado superiore e preparare dirigenti all’altezza di rispondere ai ‘bisogni

2429 koke ⧡ non reg./non reg.


2430 Kok/ki/ kok/ka/ hŇ ࿖ 8/40 ᣛ 1174/1006 ࿖ 8/40 ᱌ 478/392 ᴺ 145/123
2431 fu/koku/ kyŇ/hei ን 539/713 ࿖ 8/40 ᒝ 112/217 ౓ 447/784

336
dello Stato’.
 ‫ޣ‬UNIVERSITÀ IMPERIALE DI TņKYņ‫ޤ‬Furono le università imperiali a
costituire quel nucleo di istituti d’istruzione cui venne affidato tale compito.
L’Università imperiale di TŇkyŇ (TŇkyŇ teikoku daigaku ᧲੩Ꮲ࿖ᄢቇ2432 1897 φ
Università imperiale [Teikoku daigaku Ꮲ࿖ᄢቇ], 1886 φ Università di TŇkyŇ [TŇkyŇ
daigaku ᧲੩ᄢቇ]), 1877; oggi di nuovo Università di TŇkyŇ [TŇkyŇ daigaku ᧲੩ᄢቇ])
in particolare, diede un contributo incalcolabile non soltanto come istituto di ricerca
scientifica, ma anche e soprattutto come istituto per la preparazione di burocrati di alta
dirigenza.
 Per fare una brillante carriera statale non importava quale fosse l’estrazione sociale.
Anche per uno nato in una povera famiglia contadina, se riusciva a laurearsi all’Uni-
versità imperiale di TŇkyŇ (TŇkyŇ teikoku daigaku ᧲੩Ꮲ࿖ᄢቇ) per merito dei propri
sforzi, non era mai un sogno vedersi un giorno ad un posto di massima dirigenza statale.
Questo meccanismo funzionò mirabilmente in modo tale da permettere allo Stato di
assorbire nei propri organici i migliori elementi di tutti i ceti sociali.

ٟ Fino agli anni ’80 del XX secolo tra tutti gli enti giapponesi erano gli organi
esecutivi del governo centrale ad avere la parte migliore delle risorse umane.
Difatti, per un lungo periodo di circa cento anni i laureati più brillanti delle
università prestigiose, specie dell’Università di TŇkyŇ (TŇkyŇ daigaku ᧲੩ᄢቇ),
solevano cercare impiego presso i ministeri, e i ministeri non solo avevano
un’efficiente funzionalità, ma nel loro insieme costituivano persino qualcosa come
un gigantesco think tank.
Sul finire del XX secolo, tuttavia, cominciò a venire a galla una serie
interminabile di scandali attribuibili al degrado morale di alti burocrati. Per questo
agli inizi del XXI secolo è in corso una riforma ministeriale e più in generale un
rinnovamento istituzionale di ampio respiro. Tale riforma con ogni probabilità sarà
paragonato dai futuri storici alle seguenti tre grandi riforme nella storia del
Giappone: riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ2433 VII sec.), restaurazione
Meiji (Meiji ishin ᣿ᴦ⛽ᣂ2434 lett. riforma Meiji, XIX sec.) e alla riforma del
secondo dopoguerra (sengo no kaikaku ᚢᓟߩᡷ㕟2435 XX sec.).

‫ޣ‬ISTITUTI D’ISTRUZIONE PRIVATI‫ޤ‬Accanto agli istituti d’istruzione statali


vennero aperte per iniziativa privata e, come si è già visto, anche da missionari, non
poche scuole superiori, di cui sono degne di menzione almeno le seguenti due: KeiŇ

2432 TŇ/kyŇ/ tei/koku/ dai/gaku ᧲ 11/71 ੩ 16/189 Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ᄢ 7/26 ቇ 33/109
2433 Tai/ka/ no/ kai/shin ᄢ 7/26 ൻ 100/254 ᡷ 294/514 ᣂ 36/174
2434 Mei/ji/ i/shin ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174
2435 sen/go/ no/ kai/kaku ᚢ 88/301 ᓟ 45/48 ߩᡷ 294/514 㕟 686/1075

337
gijuku (ᘮᔕ⟵Ⴖ, 1868; oggi KeiŇ gijuku daigaku ᘮᔕ⟵Ⴖᄢቇ2436 Università KeiŇ
Gijuku) di Fukuzawa Yukichi (⑔ᴛ⻀ศ ψ§63) e TŇkyŇ senmon gakkŇ (᧲੩ኾ㐷ቇᩞ
2437, 1882; oggi Waseda daigaku ᣧⒷ↰ᄢቇ2438 Università Waseda) fondata da ņkuma

Shigenobu (ᄢ㓊㊀ା ψ§58).


Le scuole e le università private fornirono i leaders ai diversi campi del mondo del
lavoro.
 ‫ޣ‬GIAPPONESI INVIATI ALL’ESTERO E STRANIERI IMPIEGATI‫ޤ‬Da
ultimo, c’era una iniziativa a cui il Giappone Meiji ᣿ᴦ diede molta importanza:
mentre da una parte inviava ai paesi occidentali numerosi giovani prescelti per far loro
assimilare e riportare in patria le scienze occidentali, dall’altra invitava ugualmente un
gran numero di specialisti inglesi, americani, tedeschi e francesi, a volte con stipendi
equiparati a quello del primo ministro, per l’istruzione dei giapponesi iscritti agli istituti
d’istruzione superiore o dei dipendenti di diversi enti pubblici e privati.
L’Italia contribuì nel campo delle arti figurative con Antonio Fontanesi (Fontanēji
ࡈࠜࡦ࠲ࡀ࡯ࠫ 1818-1882, in Giapp. 1876-1878), Edoardo Chiossone (KiossŇne
ࠠࠝ࠶࠰࡯ࡀ 1832-1898, in Giapp. 1875-1898), Vincenzo Ragusa (Ragşza ࡜ࠣ࡯
ࠩ 1841-1927, in Giapp. 1876-1882) ed altri.
Durante i 20 anni dal 1867 al 1887, ad esempio, solo nell’ambito della categoria di
insegnanti il loro numero assommava ad oltre 200. Se prendiamo in considerazione
tutte le categorie professionali, nel 1874 per esempio, più di 500 stranieri prestarono la
loro opera alle dipendenze del governo Meiji (Meiji seifu ᣿ᴦ᡽ᐭ). Chiamati oyatoi
gaikokujin (ᓮ㓹ᄖ࿖ੱ2439 lett. stranieri impiegati), essi contribuirono fattivamente sia
alla modernizzazione che all’industrializzazione del Giappone.
 < Un commento > Parlando dei motivi del buon successo nella modernizzazione
riportato in poco tempo dal Giappone, non pochi ricercatori mettono in rilievo i
seguenti due fattori: istruzione mediamente alta e percentuale eccezionalmente bassa di
analfabeti.

§66. Studi e ricerche scientifiche

2436 Kei/Ň/ gi/juku/ dai/gaku ᘮ 962/1632 ᔕ 413/827 ⟵ 287/291 Ⴖ 1727/1674 ᄢ 7/26 ቇ 33/109
2437 TŇ/kyŇ/ sen/mon/ gak/kŇ ᧲ 11/71 ੩ 16/189 ኾ 526/600 㐷 385/161 ቇ 33/109 ᩞ 176/115
2438 Wa/se/da/ dai/gaku ᣧ 259/248 Ⓑ 966/1220 ↰ 24/35 ᄢ 7/26 ቇ 33/109
2439 o/yatoi/ gai/koku/jin ᓮ 620/708 㓹 1419/1553 ᄖ 120/83 ࿖ 8/40 ੱ 9/1

338
 Durante il primo ventennio dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-1912) il
Giappone era all’estremo suo sforzo solo per assorbire la scienza e la tecnologia
dell’Occidente. È ovvio che i giapponesi non erano ancora in grado di condurre
ricerche scientifiche originali.
 È solo verso la fine del XIX secolo che il Giappone giungeva all’altezza di offrire,
nel campo delle scienze naturali, alla comunità internazionale i frutti delle sue proprie
ricerche originali.
I primi contributi di rilievo riguardavano già parecchi campi: medicina, farmacologia,
sismologia, fisica e astronomia. In generale il progresso delle scienze naturali e del-
l’ingegneria in Giappone fu dovuto, al pari dell’industrializzazione del paese, alla
protezione e incentivazione da parte dello Stato.
 Nel campo delle scienze umane nei primi momenti vennero introdotti maggior-
mente studi di tradizione anglosassone, e successivamente, in occasione della stesura
della Costituzione Meiji (Meiji kenpŇ ᣿ᴦᙗᴺ2440), cominciò a prendere un netto
sopravvento la tradizione accademica tedesca.
 Da ultimo, quanto agli studi tradizionali quali storia del Giappone, storia della
letteratura giapponese, studi buddhisti e confuciani, sinologia ecc. essi furono metodo-
logicamente rinnovati secondo il magistero occidentale, ma gli studi di scienze umane in
generale tendevano ad essere soggette a restrizioni, in quanto non c’era garanzia con-
tituzionale di libertà nella ricerca scientifica. (ψ§79)

§67. Letteratura moderna (narrativa - 1)

 Il cammino della narrativa moderna è ricco di complesse evoluzioni. Circa l’era Me-
iji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ) se ne riporta un prospetto schematico alla pagina successiva.

UNA VENTINA D’ANNI Agli inizi dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-
INIZIALI DELL’ERA MEIJI 1912), al pari del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ),
furono prodotte e fruite opere del filone gesaku (ᚨ૞2441 ψ§51), ma data la circostan-
za storica in cui veniva importata dall’Occidente qualsiasi cosa per essere presa a model-
lo, è evidente che entrarono e poi furono tradotte anche opere letterarie. Le versioni in
giapponese, tuttavia, non furono lette per il piacere letterario in sé, ma per acquisire

2440 Mei/ji/ ken/pŇ ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᙗ 943/521 ᴺ 145/123


2441 ge/saku ᚨ 1632/1573 ૞ 99/360

339
informazioni sugli usi e costumi occidentali. È vero che, in un secondo tempo, sorse,
accanto al gesaku ᚨ૞, una letteratura di natura diversa, ma siccome la sua produzione
era strettamente legata al Movimento per la libertà e per i diritti del popolo (Jiyş minken
undŇ ⥄↱᳃ᮭㆇേ2442 ψ§60), tale attività letteraria mirava a dare opere orientate
politicamente (seiji shŇsetsu ᡽ᴦዊ⺑2443 lett. narrativa a scopo politico), ossia per
diffondere idee politiche e dare impulso a detto movimento. Così, i primi vent’anni
vengono definiti da molti studiosi di storia della letteratura giapponese fondamental-
mente come periodo di continuazione della letteratura gesaku ᚨ૞.

e r a M E I J I ᣿ᴦᤨઍ e.TAISHƿ
1868 1877 1887 1897 1907 1912
1 Meiji 10 20 30 40 45
Jiynj minken undǀ ż Costit. Meiji guerra russo-giapp. Taigyaku jiken
ż ż ż ż
letteratura GESAKU diversi tentativi e nascita matu-
ᚨ ૞ della letteratura moderna rità

gesaku ᚨ૞

trad. opere occiden. / opere a scopo politico

Ken’ynjsha ⎮෹␠

Shǀsetsu shinzui ዊ⺑␹㜑 Ŷ

Ukigumo ᶋ㔕 Ŷ

Maihime ⥰ᆢ Ŷ romanticismo ࡠࡑࡦਥ⟵ Mori ƿgai ᫪㣁ᄖ

Natsume Sǀseki ᄐ⋡ẇ⍹

naturalismo ⥄ὼਥ⟵

shishǀsetsu ⑳ዊ⺑

Tanbiha ⡓⟤ᵷ

Shirakabaha ⊕᮹ᵷ

letteratura per l’infanzia ఽ┬ᢥቇ

 Perché si protrasse a lungo la tradizione della letteratura di Edo (Edo bungaku ᳯᚭ

2442 Ji/yş/ min/ken/ un/dŇ ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ᳃ 70/177 ᮭ 260/335 ㆇ 179/439 േ 86/231
2443 sei/ji/ shŇ/setsu ᡽ 50/483 ᴦ 181/493 ዊ 63/27 ⺑ 307/400

340
ᢥቇ2444)?
‫ޣ‬MOTIVI RITARDANTI DELL’AVVIO DELLA LETTERATURA MO-
DERNA‫ޤ‬A questo punto bisogna prendere in esame quali erano e come si evolsero gli
ambienti storici in cui vivevano gli intellettuali cui spettava produrre opere letterarie.
 Come si è già detto, l’introduzione della civiltà e cultura occidentale fu portata
avanti allo scopo preciso di creare uno Stato moderno in grado di competere con le
potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ⷏᰷೉ᒝ2445). Sta di fatto però che pur dicendo
introduzione della civiltà e cultura d’Occidente, venne data la priorità assoluta all’acqui-
sizione delle conoscenze immediatamente utilizzabili (jitsugaku ታቇ2446 p.es. giurispru-
denza, scienze economiche, medicina, ingegneria, in due parole scienze non umani-
stiche) al fine della costruzione di un nuovo Stato moderno e potente. È chiaro quindi
che almeno agli inizi non si dava importanza ai settori letterario ed artistico. A riprova
di ciò basta citare Fukuzawa Yukichi (⑔ᴛ⻀ศ2447 ψ§63) che, pur avendo idee
illuministiche degne di ogni rispetto, non si interessava minimamente alla letteratura,
alle arti figurative e alla religione. Così, visto che il sapere pratico di tipo jitsugaku ታቇ
aveva la precedenza su qualsiasi altra conoscenza, l’introduzione della civiltà e cultura
occidentale nei primi anni Meiji ᣿ᴦ era in sostanza la continuazione degli studi
occidentali (yŇgaku ᵗቇ2448 ψ§53) del bakumatsu ᐀ᧃ2449
 Di conseguenza la professione (anzi il mestiere) di scrittore era considerata persino
troppo umile per essere esercitata da un laureato. I giovani intellettuali non ne volevano
sapere di letteratura; si davano a quegli studi che andavano incontro ai « bisogni dello
Stato » (ψ§65) per poi fare una brillante carriera di funzionario statale nell’alta
dirigenza. Fondamentalmente fu per tale motivo che ritardò il decollo della letteratura
moderna. (Più avanti si vedrà un esempio tipico, descritto nel romanzo Maihime 䇺⥰
ᆢ䇻 2450 di Mori ņgai ᫪㣁ᄖ 2451 , della mentalità e aspirazione degli intellettuali
promettenti d’allora.)
 ‫ޣ‬MUTAMENTO DEGLI AMBIENTI‫ޤ‬Passata una ventina d’anni iniziali, tut-
tavia, tali ambienti cominciavano a manifestare sensibili mutamenti: si verificò, da una

2444 E/do/ bun/gaku ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ᢥ 136/111 ቇ 33/109


2445 sei/Ň/ rek/kyŇ ⷏ 167/72 ᰷ 766/1022 ೉ 891/611 ᒝ 112/217
2446 jitsu/gaku ታ 89/203 ቇ 33/109
2447 Fuku/zawa/ Yu/kichi ⑔ 450/1379 ᴛ 403/994 ⻀ 1545/1599 ศ 464/1141
2448 yŇ/gaku ᵗ 366/289 ቇ 33/109
2449 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305
2450 Mai/hime 䇺⥰ 746/810 ᆢ 1534/1757䇻
2451 Mori/ ņ/gai ᫪ 532/128 㣁 non reg./non reg.ᄖ 120/83

341
parte, un aumento quantitativo della intellighenzia in virtù della sistemazione (1886)
dell’ordinamento di istruzione; la proclamazione (1889) della Costituzione imperiale
(Dai Nihon teikoku kenpŇ ᄢᣣᧄᏢ࿖ᙗᴺ2452) significava, dall’altra, che si era ormai
consolidato il regime politico. A questo punto gli intellettuali, una volta portabandiera
della ‘civilizzazione’ (bunmei kaika ᢥ᣿㐿ൻ2453) secondo il modello occidentale e
come tali, quindi, anche leaders del tempo, si videro declassati ad una posizione di
tecnici specializzati al servizio del potere. Ormai le conoscenze scientifico-pratiche
rispondenti ai bisogni dello Stato o il discutere di politica non offrivano più necessaria-
mente la garanzia di una carriera prestigiosa.

PERIODO INTERMEDIO: INIZIO All’epoca in cui per gli intellettuali erano sorte
DELLA NARRATIVA NODERNA le nuove condizioni di cui abbiamo appena
parlato, usciva un saggio letterario destinato a restare scritto in neretto nella storia della
letteratura giapponese: ShŇsetsu shinzui (䇺ዊ⺑␹㜑䇻2454 it. L’essenza del romanzo, 1885-
1886) di Tsubouchi ShŇyŇ (ဝౝㅖ㆝2455 1859-1935), buon conoscitore della lettera-
tura di Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ), nonché di quella shakespeariana.
Ecco il succo dell’opera:

Nei paesi civili d’Occidente il romanzo, essendo riconosciuto come un genere


artistico indipendente dallo scopo utilitario e politico, ha un valore a sé stante. I
romanzieri sono rispettati da tutti. Il disprezzo e i pregiudizi dei giapponesi nei
confronti degli scrittori vanno abbattuti. I romanzi, d’altronde, per essere opere
artistiche, devono rappresentare la realtà così com’è effettivamente; ossia, in breve,
devono essere realistici.

 Il saggio di ShŇyŇ ㅖ㆝ diede il via alla narrativa moderna giapponese, in quanto


svegliò molti giovani d’allora che, presi dalle scienze pratiche (jitsugaku ታቇ) o dalla
politica, erano rimasti confinati nella concezione restrittiva che scrivere romanzi fosse
un’attività di basso rango.
 ‫ޣ‬FUTABATEI SHIMEI E UKIGUMO ‫ޤ‬Il primo romanzo moderno giapponese
ora ricordato unanimemente come tale da tutti gli autori di storia della letteratura

2452 Dai/ Ni/hon/ tei/koku/ ken/pŇ ᄢ 7/26 ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ᙗ 943/521 ᴺ 145/123
2453 bun/mei/ kai/ka ᢥ 136/111 ᣿ 84/18 㐿 80/396 ൻ 100/254
2454 ShŇ/setsu/ shin/zui 䇺ዊ 63/27 ⺑ 307/400 ␹ 229/310 㜑 1833/1740䇻
2455 Tsubo/uchi/ ShŇ/yŇ ဝ 1354/1896 ౝ 51/84 ㅖ non reg./non reg.㆝ non reg./non reg.

342
giapponese fu Ukigumo ( 䇺 ᶋ 㔕 䇻 2456 lett. nubi galleggianti, it. Nuvole fluttuanti,
1887-1889) di Futabatei Shimei (ੑ⪲੪྾ㅅ2457 1864-1909) che aveva studiato lingua
e letteratura russa e che mise in atto quanto sostenuto da ShŇyŇ ㅖ㆝, ossia il realismo
(shajitsushugi ౮ታਥ⟵2458).
 Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻, romanzo a puntate, tuttavia, finì incompleto, in quanto non
venne accolto favorevolmente da un pubblico che non era ancora in grado di valoriz-
zarlo. È assai banale la sua trama sul conto di Utsumi BunzŇ ౝᶏᢥਃ 2459 , di
estrazione dell’ex-classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ ჻ 㓏 ⚖ 2460 ), che nel periodo
precedente avrebbe potuto anche condurre una vita senza grossi problemi, ma che
sotto le mutate condizioni Meiji ᣿ᴦ non riesce più a conformarsi alla realtà che lo
circonda.
 Perché si dice che la letteratura moderna giapponese si apre con Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻?
 Come si è già detto a più riprese, il Giappone Meiji ᣿ᴦ, pressato dalle circostanze
internazionali, promosse la politica di far prevalere in modo assoluto gli interessi e le
esigenze dello Stato (kokkashugi ࿖ኅਥ⟵2461 lett. Stato + -ismo) su quelli individuali.
Gli intellettuali erano consapevoli che detta politica faceva scaturire seri problemi di
frizione tra Stato, società e individuo. Se ad Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻 spetta la prima pagina
nella storia della narrativa moderna giapponese, è perché esso fu appunto il primo a
trattare tali problemi, e cioè, diversamente dalle opere gesaku ᚨ૞2462, Ukigumo 䇺ᶋ
㔕䇻 ha il suo protagonista collocato nel contesto sociale e descrive che il suo io
svegliato ha un impatto con la società reale che lo circonda.

ٟ In generale, in riferimento alla tendenza a far prevalere lo Stato su tutti gli altri
ideali si usa il termine kokkashugi (࿖ኅਥ⟵ lett. Stato + -ismo). Si tratta di una
espressione usata frequentemente, quando si parla della storia del Giappone nel-
l’età moderna.

 Shimei ྾ㅅ è ben noto non soltanto quale autore di Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻, ma anche
come ottimo traduttore-presentatore della letteratura russa, nonché quale pioniere del

2456 Uki/gumo 䇺ᶋ 1047/938 㔕 1124/636䇻


2457 Futa/ba/tei/ Shi/mei ੑ 6/3 ⪲ 405/253 ੪ 1496/1184 ྾ 18/6 ㅅ 1251/967
2458 sha/jitsushugi ౮ 489/540 ታ 89/203 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2459 Utsu/mi/ Bun/zŇ ౝ 51/84 ᶏ 158/117 ᢥ 136/111 ਃ 10/4
2460 bu/shi/ kai/kyş ᱞ 448/1031 ჻ 301/572 㓏 253/588 ⚖ 505/568
2461 kok/ka/shu/gi ࿖ 8/40 ኅ 81/165 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2462 ge/saku ᚨ 1632/1573 ૞ 99/360

343
movimento dell’unificazione delle lingue parlata e scritta (genbun’itchi ⸒ᢥ৻⥌2463 ψ
§69).
 ‫ޣ‬MAIHIME DI MORI ņGAI‫ޤ‬Un’altra opera che, insieme con Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻
di Shimei ྾ㅅ, annunciò il decollo della letteratura moderna fu Maihime (䇺⥰ᆢ䇻 it.
La ballerina, 1890) di Mori ņgai (᫪㣁ᄖ 1862-1922), medico militare che, inviato in
Germania per studi igienistici, acquisì una buona conoscenza della letteratura tedesca
durante i quattro anni di soggiorno in quel paese.
 Maihime 䇺⥰ᆢ䇻 con il suo romanticismo ed esotismo fece presa sull’animo di
tantissimi giovani. (Di ņgai 㣁ᄖ, si tornerà a parlarne più diffusamente in seguito.)

SOMMARIO DI MAIHIME

ņta ToyotarŇ ᄥ↰⼾ᄥ㇢2464, laureato all’Università di TŇkyŇ (TŇkyŇ daigaku ᧲੩ᄢ


ቇ), funzionario statale promettente, viene inviato dal ministero in Germania per ulteriori
studi. A Berlino una sera ToyotarŇ vede piangere sommessamente una ragazza, una ballerina
di nome Ellis ࠛ࡝ࠬ, che dice di essere disperata per questione di denaro in vista del
funerale del padre. Impietositosi, ToyotarŇ le regala qualche soldo e l’orologio che aveva al
polso. I due cominciano a vedersi, ma il caso viene all’orecchio del governo giapponese, a cui
non piace affatto che Ellis faccia la ballerina. ToyotarŇ viene licenziato in tronco. Di lì a poco
giunge in Germania il ministro con un seguito, fra cui Aizawa ⋧ᴛ2465, suo amico. Consiglia
a ToyotarŇ di riguadagnarsi la fiducia del ministro e di rompere con Ellis. Fra lei e la ripresa
della carriera statale ToyotarŇ finisce, alla fine, con l’optare per la seconda. Lasciando Ellis che
piange col viso premuto sui vestitini che aveva preparato, egli si mette sulla via del ritorno in
Giappone.
(La storia finisce con questa frase:) ‘Sarebbe difficile trovare un altro vero amico come
Aizawa, ma in un angolo del mio cuore è rimasta una certa antipatia per lui’.

 ‫ޣ‬DIVERSI TENTATIVI‫ޤ‬Nel periodo intermedio dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦ


ᤨઍ 1868-1912) vennero messi in atto diversi tentativi per creare una nuova letteratura
da parte di molti altri, fra cui i soci del circolo letterario Ken’yşsha (⎮෹␠2466 lett.
associazione degli amici del suzuri [⎮: lastra di pietra nera su cui stemperare l’inchiostro
di china solidificato con la colla forte], 1885-1903) con la sua rivista Garakuta bunko (ᚒ

2463 gen/bun/ it/chi ⸒ 279/66 ᢥ 136/111 ৻ 4/2 ⥌ 916/903


2464 ņ/ta/ Toyo/ta/rŇ ᄥ 343/629 ↰ 24/35 ⼾ 642/959 ᄥ 343/629 ㇢ 237/980
2465 Ai/zawa ⋧ 66/146 ᴛ 403/994
2466 Ken’/yş/sha ⎮ non reg./non reg.෹ 543/264 ␠ 30/308

344
ᭉᄙᢥᐶ2467 lett. biblioteca di cui mi diverto tanto, 1885-1889) e capeggiato da Ozaki
KŇyŇ (የፒ⚃⪲2468 1867-1903), autore di Konjiki yasha (䇺㊄⦡ᄛ෷䇻2469 it. Il demone
dell’oro, 1897-1903). Si tratta di un gruppo che, prendendo come punto di partenza
quanto era stato sostenuto da ShŇyŇ ㅖ㆝ quale incitamento alla rivalutazione e
all’aggiornamento della letteratura di Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ), si propose di
produrre in veste moderna opere del filone gesaku ᚨ૞. Questa corrente dominò il
mondo della narrativa per oltre dieci anni.
 Poi ci furono i collaboratori alla rivista Bungakukai (䇺ᢥቇ⇇䇻2470 lett. mondo
letterario, 1893-1898) fondata da Kitamura TŇkoku (ർ᧛ㅘ⼱2471 1868-1894) ed altri.
Essi promossero il movimento del romanticismo (romanshugi ࡠࡑࡦਥ⟵2472 trascritto
foneticamente anche in kanji: ᶉẂਥ⟵), che mentre diede tutta una serie di capo-
lavori nel campo della poesia (shiika ⹞᱌2473 ψ§68), nel settore narrativo non riuscì
invece a creare una corrente importante. Il massimo esponente nel campo della prosa fu
Izumi KyŇka (ᴰ㏜⧎2474 1873-1939), autore di KŇya hijiri (䇺㜞㊁⡛䇻2475 lett. bonzo
itinerante del monte KŇya, it. Il monaco del monte KŇya, 1900).
 Proprio a metà dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-1912) si ebbe una scrittrice
molto dotata di talento letterario, ma scomparsa giovanissima e poverissima: Higuchi
IchiyŇ (ᮘญ৻⪲2476 1872-1896). È degna di menzione anche in una storia della
letteratura giapponese di poche pagine. Durante gli ultimi quattro anni della sua
esistenza breve e stentata lasciò alcune gemme in cui narra la vita triste delle donne
Meiji ᣿ᴦ in una atmosfera permeata di lirismo e di malinconia. Le sue opere, sia
pure scritte in lingua classica, appartengono, per contenuto, alla letteratura moderna. E’
comunemente detto che Takekurabe (䇺ߚߌߊࠄߴ䇻2477 lett. Altezze a confronto, it.
Gara d’altezza, 1895-1896), suo capolavoro, è una delle opere che rappresentano la

2467 Ga/raku/ta/ bun/ko ᚒ 1392/1302 ᭉ 232/358 ᄙ 161/229 ᢥ 136/111 ᐶ 656/825


2468 O/zaki/ KŇ/yŇ የ 675/1868 ፒ 457/1362 ⚃ 927/820 ⪲ 405/253
2469 Kon/jiki/ ya/sha 䇺㊄ 59/23 ⦡ 326/204 ᄛ 258/471 ෷䇻
2470 Bun/gaku/kai 䇺ᢥ 136/111 ቇ 33/109 ⇇ 170/454䇻
2471 Kita/mura/ TŇ/koku ർ 103/73 ᧛ 210/191 ㅘ 1592/1685 ⼱ 249/653
2472 ro/ma/n/shu/gi ࡠࡑࡦਥ 91/155 ⟵ 287/291 (ᶉ 1445/1753 Ẃ 1350/1411 trascrizione fonetica)
2473 shiika ⹞ 1094/570 ᱌ 478/392
2474 Izumi/ KyŇ/ka ᴰ 902/1192 ㏜ 1358/863 ⧎ 551/255
2475 KŇ/ya/ hijiri 䇺㜞 49/190 ㊁ 85/236 ⡛ 1306/674䇻
2476 Hi/guchi/ Ichi/yŇ ᮘ non reg./non reg.ญ 213/54 ৻ 4/2 ⪲ 405/253
2477 Ta/ke/ku/ra/be 䇺ߚߌߊࠄߴ䇻

345
letteratura Meiji (Meiji bungaku ᣿ᴦᢥቇ2478).

 In conclusione gli anni 20°- 40° Meiji ᣿ᴦ (ossia gli anni 1887-1907) costituirono
la fase sperimentale. Per vedere la letteratura moderna affermarsi si doveva attendere fin
quasi la fine dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ 1868-1912).

ULTIMI ANNI MEIJI: LETTERATURA 䇼NATURALISMO‫ޤ‬Fu soltanto dopo


MODERNA GIUNTA A MATURITÀ la guerra russo-giapponese (Nichiro sansŇ
ᣣ㔺ᚢ੎2479 1904-1905) che venne condiviso da una buona parte degli intellettuali
quanto era stato sostenuto da ShŇyŇ ㅖ㆝ e messo in pratica da Shimei ྾ㅅ.
 Sotto l’influenza del naturalismo (shizenshugi ⥄ὼਥ⟵2480) francese venne fatto
ogni sforzo per descrivere fedelmente la mera realtà, escludendo qualunque sia pure
piccola finzione, e così nacque la letteratura naturalistica (shizenshugi bungaku ⥄ὼਥ⟵
ᢥቇ) con 30-40 anni di ritardo rispetto alla Francia, paese d’origine del naturalismo
(shizenshugi ⥄ὼਥ⟵). In Giappone si trattò di una corrente del realismo (shajitsushugi
౮ታਥ⟵2481) all’insegna dell’abbattimento di tutte le istituzioni, usi, costumi e norme
morali ereditati dal passato. I temi preferiti erano i conflitti tra individuo da una parte e
società ed istituzione familiare ie (ኅ2482 ψ§60) dall’altra, od i rapporti sentimentali
uomo-donna.
 A partire dai primi anni del XX secolo, in sostituzione della letteratura del Ken’yş-
sha ⎮෹␠2483, il naturalismo (shizenshugi ⥄ὼਥ⟵) divenne un gigantesco movimen-
to degno di essere chiamato il portabandiera della letteratura moderna, ma la sua vita
non durò a lungo, in quanto dopo il Taigyaku jiken (ᄢㅒ੐ઙ2484 1910 ψ§62) la mano
repressiva prese di mira non soltanto anarchici e socialisti, ma anche gli scrittori natura-
listi (shizenshugi sakka ⥄ὼਥ⟵૞ኅ2485) considerati elementi ugualmente pericolosi.
Venivano infatti tenuti d’occhio e a volte anche letteralmente pedinati dalla polizia. Il
movimento naturalista (shizenshugi bungaku undŇ ⥄ὼਥ⟵ᢥቇㆇേ2486) in senso stret-

2478 Mei/ji/ bun/gaku ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᢥ 136/111 ቇ 33/109


2479 Nichi/ro/ san/sŇ ᣣ 1/5 㔺 1144/951 ᚢ 88/301 ੎ 271/302
2480 shi/zen/shu/gi ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2481 sha/jitsu/shu/gi ౮ 489/540 ታ 89/203 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2482 ie ኅ 81/165
2483 Ken’/yş/sha ⎮ non reg./non reg.෹ 543/264 ␠ 30/308
2484 Tai/gyaku/ ji/ken ᄢ 7/26 ㅒ 857/444 ੐ 32/80 ઙ 290/732
2485 shi/zen/shu/gi/ sak/ka ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291 ૞ 99/360 ኅ 81/165
2486 shi/zen/shu/gi/ bun/gaku/ un/dŇ ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291 ᢥ 136/111 ቇ 33/109

346
to fu, così, costretto ad esaurirsi ben presto, già nel 1910, lasciando però di sé un’in-
fluenza assai profonda.
 I naturalisti (shizenshugi sakka ⥄ὼਥ⟵૞ኅ) erano di solito originari dei villaggi
agricoli rimasti arretrati (ψ§62) durante la corsa frenetica alla modernizzazione.
 Due sono le opere memorabili di questo movimento:

(1) < Hakai di Shimazaki TŇson > Hakai (䇺⎕ᚓ䇻2487 lett. precetto infranto, it.
La promessa infranta, 1906) pubblicato a proprie spese da Shimazaki TŇson (ፉፒ⮮᧛
2488 1872-1943) fu una protesta contro l’emarginazione sociale di una categoria di gente

creata e rimasta come tale sul piano effettivo anche nell’età moderna (buraku mondai ㇱ
⪭໧㗴2489 ψ§58). L’opera diede il via al movimento naturalista (shizenshugi bungaku
undŇ ⥄ὼਥ⟵ᢥቇㆇേ) vero e proprio.
TŇson ⮮᧛ iniziò la sua carriera letteraria quale poeta romantico (ψ§68), e suc-
cessivamente passò dai versi alla prosa all’età di circa 35 anni, lasciando una grande
orma in entrambi i settori.
(2) < Futon di Tayama Katai > Se Futon (䇺⫱࿅䇻2490 lett. materasso e trapunta, it.
Il materasso, 1907) di Tayama Katai (↰ጊ⧎ⴼ2491 1871-1930) rimane scritto in neretto
nella storia della letteratura giapponese, è perchè l’autore Katai ⧎ⴼ si attenne con
tale rigore al principio di rappresentare la realtà nuda e cruda da mettere se stesso al
posto del protagonista dell’opera e da confessare le proprie esperienze, creando così un
nuovo filone peculiare di opere dette shishŇsetsu (⑳ዊ⺑2492 lettura alternativamente
possibile: watakushi shŇsetsu; lett. romanzo dell’io).

 Dopo il Taigyaku jiken ᄢㅒ੐ઙ i naturalisti (shizenshugi sakka ⥄ὼਥ⟵૞ኅ)


scrissero shishŇsetsu ⑳ዊ⺑ per sottrarsi al potere poliziesco dello Stato. Visto che i
protagonisti sono gli autori stessi che raccontano nelle opere la loro vita privata di tutti i
giorni, gli shishŇsetsu ⑳ዊ⺑ sono qualcosa come diari scritti per essere pubblicati e
trovano i loro corrispondenti nei generi nikki ᣣ⸥2493, diari per l’appunto, e zuihitsu

ㆇ 179/439 േ 86/231
2487 Ha/kai 䇺⎕ 634/665 ᚓ 1191/876䇻
2488 Shima/zaki/ TŇ/son ፉ 173/286 ፒ 457/1362 ⮮ 206/2231 ᧛ 210/191
2489 bu/raku/ mon/dai ㇱ 37/86 ⪭ 393/839 ໧ 75/162 㗴 123/354
2490 Fu/ton 䇺⫱ 1598/non reg.࿅ 172/491䇻
2491 Ta/yama/ Ka/tai ↰ 24/35 ጊ 60/34 ⧎ 551/255 ⴼ 703/1329
2492 shi/shŇ/setsu ⑳ 221/125 ዊ 63/27 ⺑ 307/400
2493 nik/ki ᣣ 1/5 ⸥ 147/371

347
㓐╩2494 dei secoli passati. (ψ§22).
 ‫ޣ‬CORRENTI ANTI-NATURALISTE‫ޤ‬Quando il movimento naturalista (shizen-
shugi bungaku undŇ ⥄ὼਥ⟵ᢥቇㆇേ) era ancora nei suoi anni d’oro, sorsero un paio
di correnti con un ismo diverso. Svariate che fossero nella tendenza, accomunavano
l’atteggiamento di opporsi alla letteratura dominante, pessimistica, troppo seria, arida,
senza fantasie, né ideali. Mettendo insieme questi nuovi indirizzi antagonisti, si suol
parlare di anti-naturalismo (hanshizenshugi ෻⥄ὼਥ⟵2495). Si trattava di due gruppi e
di altrettante figure solitarie che facevano spicco: corrente dell’estetismo-decadentismo
(Tanbiha ⡓⟤ᵷ2496 lett. scuola dell’mmersione nel bello, chiamato anche Yuibiha ໑
⟤ᵷ 2497 lett. scuola per cui il bello è tutto), scuola dell’idealismo-umanitarismo
(Shirakabaha ⊕᮹ᵷ2498 lett. scuola della betulla bianca), Mori ņgai ᫪㣁ᄖ2499 già
citato e infine Natsume SŇseki ᄐ⋡ẇ⍹2500.
 Diversamente dai letterati nati in provincia, quasi tutti gli scrittori originari di TŇkyŇ
᧲੩ diventarono anti-naturalisti.
 < Tanbiha > Il Tanbiha ⡓⟤ᵷ è una corrente per la quale il compito della
letteratura non stava tanto nel rappresentare fedelmente la realtà quanto nel creare un
mondo di fantasia e di bellezza. I maggiori esponenti furono Nagai Kafş (᳗੗⩄㘑2501
1879-1959) e Tanizaki Jun’ichirŇ (⼱ፒẢ৻㇢2502 1886-1965).
 Quest’ultimo in particolare, da quando debuttò con Shisei ( 䇺 ೝ 㕍 䇻 2503 lett.
tatuaggio, 1910), opera che aveva svelato pienamente la tendenza di fondo della sua
letteratura, spinse la penna all’estremo di un mondo di estasi altamente sensuale.
Nell’era ShŇwa (ShŇwa jidai ᤘ๺ᤨઍ 2504 1926-1989) descrisse anche la bellezza
tradizionale giapponese, ad esempio, in Sasame yuki ( 䇺 ⚦ 㔐 䇻 2505 it. Neve sottile,

2494 zui/hitsu 㓐 1364/1741 ╩ 940/130


2495 han/shi/zen/shu/gi ෻ 183/324 ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2496 Tan/bi/ha ⡓ non reg./non reg.⟤ 289/401 ᵷ 293/912
2497 Yui/bi/ha ໑ 1401/1234 ⟤ 289/401 ᵷ 293/912
2498 Shira/kaba/ha ⊕ 266/205 ᮹ non reg./non reg.ᵷ 293/912
2499 Mori/ ņgai ᫪ 532/128 㣁 non reg./non reg.ᄖ 120/83
2500 Natsu/me/ SŇ/seki ᄐ 580/461 ⋡ 65/55 ẇ non reg./non reg.⍹ 276/78
2501 Naga/i/ Ka/fş ᳗ 690/1207 ੗ 252/1193 ⩄ 1020/391 㘑 246/29
2502 Tani/zaki/ Jun’/ichi/rŇ ⼱ 249/653 ፒ 457/1362 Ả 1597/1202 ৻ 4/2 ㇢ 237/980
2503 Shi/sei 䇺ೝ 954/881 㕍 390/208䇻
2504 ShŇ/wa/ ji/dai ᤘ 549/997 ๺ 151/124 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
2505 Sasame/ yuki 䇺⚦ 721/695 㔐 907/949䇻

348
1943-1948). Inoltre, rese in giapponese moderno il Genji monogatari Ḯ᳁‛⺆ 2506 .
Molte delle sue opere sono state tradotte in lingue straniere ed oggi è fra gli scrittori
moderni giapponesi più noti agli stranieri.
 < Shirakabaha > È durante l’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ2507 1912-1926)
che la scuola Shirakabaha ⊕᮹ᵷ fece sentire maggiormente la sua presenza. Se ne
parlerà quindi più avanti.(ψ§76).
 < Mori ņgai > Dopo aver reso pubblico un paio di opere romantiche quanto
Maihime 䇺⥰ᆢ䇻2508, ņgai 㣁ᄖ si allontanò per lungo tempo dall’attività di roman-
ziere, dedicandosi alla traduzione-presentazione di opere occidentali, ed è soltanto verso
la fine dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ) che riprese la penna creativa, rivelandosi
assai prolifico.
A giudizio comune, fu uno scrittore che dimostrò il proprio talento letterario so-
prattutto nelle opere a tema storico (rekishi shŇsetsu ᱧผዊ⺑2509) quali Takasebune (䇺㜞
ἑ⥱䇻2510 lett. barca del fiume Takase, 1916), Shibue Chşsai (䇺Ằᳯ᛽ᢪ䇻 2511it. Shibue
Chşsai, 1916), romanzo sul conto di un medico-confuciano dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ, ed
altri. Il SokkyŇ shijin ( 䇺 හ ⥝ ⹞ ੱ 䇻 2512 1892-1901; it. L’improvvisatore), versione
giapponese a traduzione piuttosto libera dell’Improvisatoren (1835) di Hans Christian
Andersen (1805-1875), è stimato migliore dell’originale.
Per tutta la sua vita riuscì ad accomunare in sé due attività: quella del letterato e
quella dell’ufficiale medico al servizio dell’esercito.
 < Natsume SŇseki > Natsume SŇseki (ᄐ⋡ẇ⍹ 1867-1916), studioso di
letteratura inglese, intraprese la carriera di scrittore dopo il ritorno dall’Inghilterra ove si
era recato a scopo di studio per ordine del ministero dell’educazione. Mentre faceva
ancora l’insegnante di inglese, scriveva opere di carattere umoristico e popolare, ma da
quando aveva abbandonato l’insegnamento per impegnarsi a fondo nella produzione
letteraria, aveva continuato a scavare il ‘filone’ (ossia l’indirizzo da seguire) da lui
scoperto durante il suo soggiorno in Inghilterra.
 Al contrario dei paesi occidentali, la cui modernizzazione venne attuata più
autonomamente dalle forze giunte a maturità al loro interno, in Giappone invece, come

2506 Gen/ji/ mono/gatari Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67


2507 Tai/shŇ/ ji/dai ᄢ 7/26 ᱜ 109/275 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
2508 Mai/hime 䇺⥰ 746/810 ᆢ 1534/1757䇻
2509 reki/shi/ shŇ/setsu ᱧ 692/480 ผ 563/332 ዊ 63/27 ⺑ 307/400
2510 Taka/se/bune 䇺㜞 49/190 ἑ 947/1513 ⥱ 1334/1094䇻
2511 Shibu/e/ Chş/sai 䇺Ằ non reg./non reg.ᳯ 517/821 ᛽ 1238/987 ᢪ 1363/1478䇻
2512 Sok/kyŇ/ shi/jin 䇺හ 1052/463 ⥝ 695/368 ⹞ 1094/570 ੱ 9/1䇻

349
abbiamo già visto diverse volte, la modernizzazione venne effettuata in modo forzoso e
nel giro di poco tempo, sotto le pressioni provenienti dall’esterno. SŇseki ẇ⍹ studiò
a fondo diversi problemi sull’io, che erano nati sotto tali condizioni, e come scrittore
approfondì la tematica affrontata per la prima volta da Shimei ྾ㅅ, giungendo negli
ultimi anni della sua vita alla conclusione tipicamente dell’Asia orientale da lui stesso
espressa con questi termini: sokuten kyoshi (ೣᄤ෰⑳2513 lett. seguire il cielo e lasciare
l’io).
 È impossibile ignorarlo per uno studio approfondito sia della letteratura che dei
pensieri giapponesi nell’età moderna e contemporanea (kin-gendai ㄭ࡮⃻ઍ2514).
 Ecco alcune delle sue opere: Wagahai wa neko de aru (䇺ᚒヘߪ₀ߢ޽ࠆ䇻2515 it. Io
sono un gatto, 1905-1906), Sorekara (䇺ߘࠇ߆ࠄ䇻 it. E dopo, 1909), Mon (䇺㐷䇻2516 it. Il
portale, 1910), KŇjin (䇺ⴕੱ䇻2517 it. Il viandante, 1912-1913), Kokoro (䇺ߎߎࠈ䇻 lett.
Anima, it. Kokoro, 1914).

ٟ Al contrario dei settori artistici e culturali diversi dalla narrativa (ossia poesia,
teatro, arti figurative, musica, religione, architettura, abbigliamento, cucina, arti
minori ecc.), presso i quali oggi coesistono pacificamente la tradizione giapponese
e quanto è stato appreso dall’Occidente, la narrativa si allontanò dalla tradizione
delle opere della letteratura di Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ), assorbì ex-novo gli
elementi della letteratura occidentale e si ripresentò tramutata. In altri termini la
narrativa sola presenta discontinuità con il passato, ed è, questo, un fenomeno
peculiare nella storia della cultura giapponese.

§68. Letteratura moderna (poesia - 1)

 Si è già visto che la poesia tradizionale giapponese è rappresentata dai due generi,
tanka ( ⍴ ᱌ 2518 5-7-5-7-7 ψ §11) e haiku ( େ ฏ 2519 5-7-5 ψ §50), caratterizzati
ambedue dalla loro brevità eccezionale. Nell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ2520 1868-

2513 soku/ten/ kyo/shi ೣ 855/608 ᄤ 364/141 ෰ 618/414 ⑳ 221/125


2514 kin/-/gen/dai ㄭ 127/445࡮⃻ 82/298 ઍ 68/256
2515 Waga/hai/ wa/ neko/ de/ aru 䇺ᚒ 1392/1302 ヘߪ₀ 1763/1470 ߢ޽ࠆ䇻
2516 Mon 䇺㐷 385/161䇻
2517 KŇ/jin 䇺ⴕ 31/68 ੱ 9/1䇻
2518 tan/ka ⍴ 789/215 ᱌ 478/392
2519 hai/ku େ 1280/1035 ฏ 1258/337
2520 Mei/ji/ ji/dai ᣿ 84/18 ᴦ 181/493 ᤨ 19/42 ઍ 68/256

350
1912) vennero ad aggiungersi poesie lunghe composte su modello occidentale. Oggi
queste ultime sono chiamate kindaishi (ㄭઍ⹞2521 [lett. poesie moderne] o semplice-
mente shi ⹞; da non confondere con shi ⹞ nel senso di kanshi [ṽ⹞2522 poesie cine-
si ψ§11]).

ٟ Per fare riferimento all’insieme di tutti i diversi generi poetici nella tradizione
letteraria giapponese si usa il termine shiika [e non shika] ⹞᱌2523; ka [= uta] ᱌
ψ§11).

 Di seguito diamo per sommi capi una rappresentazione circa l’evoluzione dei tre
generi poetici (shi ⹞ sorto ex novo, haiku େฏ e tanka ⍴᱌), e la estendiamo fino
al 1945 per offrire una visione panoramica la più completa possibile:

era MEIJI era TAISHƿ era SHƿWA


᣿ᴦᤨઍ ᄢᱜᤨઍ ᤘ ๺ ᤨ ઍ
1977 1887 1897 1907 1912 1921 1926 1945
10 20 30 40 1 10 1 20

poesie del nuovo stile ᣂ૕⹞

romanticismo ࡠࡑࡦਥ⟵
SHI
⹞ simbolismo ⽎ᓽ⹞

poesie libere in lingua parlata ญ⺆⥄↱⹞

c Hototogisuha ࡎ࠻࠻ࠡࠬᵷ
HAIKU
େฏ haiku libero ⥄↱ᓞେฏ nuovo haiku

d Myǀjǀha ᣿ᤊᵷ romanticismo


TANKA
e Araragiha ࠕ࡜࡜ࠡᵷ
⍴᱌
naturalismo ⥄ὼਥ⟵

c Rivista Hototogisu (1897); d Rivista Myǀjǀ (1900); e Rivista Araragi (1908)

2521 kin/dai/shi ㄭ 127/445 ઍ 68/256 ⹞ 1094/570


2522 kan/shi ṽ 1394/556 ⹞ 1094/570
2523 shiika ⹞ 1094/570 ᱌ 478/392

351
SHI La storia del kindaishi ㄭઍ⹞ ebbe inizio nel 1882 con i cosiddetti shintaishi
(ᣂ૕⹞2524 lett. poesie del nuovo stile), in parte traduzioni e in parte opere
verseggiate sull’esempio delle poesie occidentali. Successivamente, verso la metà dell’era
Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ), vennero innalzati a livello artistico quali kindaishi ㄭઍ⹞
a pieno titolo grazie al genio di Shimazaki TŇson (ፉፒ⮮᧛2525 ψ§67).
 ‫ޣ‬TņSON E LA POESIA ROMANTICA‫ޤ‬Si è già rilevato che TŇson ⮮᧛,
grande scrittore naturalista (shizenshugi sakka ⥄ ὼ ਥ ⟵ ૞ ኅ 2526 ), aveva iniziato
l’attività letteraria come poeta (shijin ⹞ੱ2527) romantico. Tra il 1897 e il 1901 raccolse
le sue opere in quattro volumi (p.es. Wakanashş 䇺⧯⩿㓸䇻2528 lett. raccolta di erbe
giovani, 1897).
La seguente inclusa nella raccolta del 1901 e composta in lingua classica al ritmo
tradizionale di 5 e 7 haku ᜉ2529 alternati è un esemplare del kindaishi ㄭઍ⹞ a
schema fisso in lingua classica (bungo teikeishi ᢥ⺆ቯဳ⹞2530). In seguito fu musicata.
Con ogni probabilità non c’è un solo giapponese che non l’abbia mai cantata durante le
lezioni di educazione musicale alla scuola elementare o comunque sentita cantare in
qualche coro di ragazzi.

ᬔሶ2531ߩኪ2532 UNA NOCE


Yashi no mi DI COCCO

ฬ2533߽⍮2534ࠄߧ㆙2535߈ፉ2536ࠃࠅ Da un’isola il cui nome ignoro è


Na mo shiranu / tŇki shima yori giunta una noce di cocco, portata
ᵹ2537ࠇነ2538ࠆᬔሶߩኪ৻ߟ dalle correnti.

2524 shin/tai/shi ᣂ 36/174 ૕ 110/61 ⹞ 1094/5701094/570


2525 Shima/zaki/ TŇ/son ፉ 173/286 ፒ 457/1362 ⮮ 206/2231 ᧛ 210/191
2526 shi/zen/shu/gi/ sak/ka ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291 ૞ 99/360 ኅ 81/165
2527 shi/jin ⹞ 1094/570 ੱ 9/1
2528 Waka/na/shş 䇺⧯ 372/544 ⩿ 1108/931 㓸 168/436䇻
2529 haku ᜉ 1529/1178
2530 bun/go/ tei/kei/shi ᢥ 136/111 ⺆ 274/67 ቯ 62/355 ဳ 423/888 ⹞ 1094/570
2531 ya/shi ᬔ non reg./non reg.ሶ 56/103
2532 mi ታ 89/203 (giapp. moderno: ታ 89/203)
2533 na ฬ 116/82
2534 shi/ru ⍮ 207/214 ࠆ (giapp. moderno: id.)
2535 tŇ/shi ㆙ 803/446 ߒ (giapp. moderno: tŇ/i ㆙ 803/446 ޿)
2536 shima ፉ 173/286

352
Nagareyoru / yashi no mi hitotsu.

᡿ㇹ2539ߩጯ2540ࠍ㔌2541ࠇߡ
Da quando hai lasciato la riva del
Furusato no / kishi o hanarete,
tuo paese, per quanti lunghi mesi
᳭2542ߪߘ߽ᵄ2543ߦᐞ᦬2544 sei rimasta in balia delle onde?
Nare wa somo / nami ni iku tsuki?

⥟2545ߩ᮸2546ߪ↢2547߭߿⨃2548ࠇࠆ
Il cocco da cui sei caduto sarà in
Moto no ki wa / oi ya shigereru?
rigoglio? Il ramo sarà tuttora
ᨑ2549ߪߥ߶ᓇ2550ࠍ߿ߥߖࠆ tanto frondoso da fare ombra?
Eda wa nao / kage o ya naseru?

ࠊࠇ߽߹ߚᷪ2551ࠍᨉ2552
Anch’io sto vagando solo soletto,
Ware mo mata / nagisa o makura,
riposando giorno dopo giorno
ቅり2553ߩᶋኢ2554ߩᣏ2555ߙ vicino al mare.
Hitorimi no / ukine no tabi zo.

2537 naga/ru ᵹ 296/247 ࠆ (giapp. moderno: naga/re/ru ᵹ 296/247 ࠇࠆ)


2538 yo/ru ነ 545/1361 ࠆ (giapp. moderno: id.)
2539 furusato ᡿ 455/173 ㇹ 1004/855 (giapp. moderno: furu/sato ฎ 373/172 ㉿ 1077/142, ko/kyŇ ᡿
455/173 ㇹ 1004/855)

2540 kishi ጯ 847/586


2541 hana/ru 㔌 641/1281 ࠆ (giapp. moderno: hana/re/ru 㔌 641/1281 ࠇࠆ)
2542 nare ᳭ non reg./non reg. (giapp. moderno: omae ߅೨ 38/47, kimi ำ 700/793)
2543 nami ᵄ 606/666
2544 iku/ tsuki ᐞ 1646/877 ᦬ 26/17
2545 moto ⥟(= ᣥ 808/1216) (giapp. moderno: moto ᣥ 808/1216)
2546 ki ᮸ 1034/1144 (giapp. moderno: ki ᧁ 148/22)
2547 Ň ↢ 29/44 ߰ (giapp. moderno: sei/chŇ/su/ru ᚑ 115/261 㐳 25/95 ߔࠆ)
2548 shige/ru ⨃ 1166/1467 ࠆ (giapp. moderno: id.)
2549 eda ᨑ 1154/870
2550 kage ᓇ 630/854
2551 nagisa ᷪ non reg./non reg.
2552 makura ᨉ non reg./non reg.
2553 hitori/mi ቅ 1440/1480 り 331/59 (giapp. moderno: hito/ri/mi ⁛ 479/219 ࠅり 331/59)
2554 uki/ne ᶋ 1047/938 ኢ 1079/1079
2555 tabi ᣏ 566/222

353
ኪࠍߣࠅߡ⢷2556ߦ޽ߟࠇ߫
Quando prendo la noce e la
Mi o torite / mune ni atsureba,
stringo al petto, mi si rinnova la
ᣂ2557ߥࠅᵹ㔌2558ߩᘷ2559 nostalgia del paese natio.
Arata nari / ryşri no urei.

ᶏ2560ߩᣣ2561ߩᴉ2562߻ࠍ⷗2563ࠇ߫ Quando vedo tramontare il sole


Umi no hi no / shizumu o mireba, sotto il mare, mi rigano impetuo-
ỗ2564ࠅ⪭2565ߟ⇣ㇹ2566ߩᶡ2567 samente il viso le lacrime della
Tagiriotsu / ikyŇ no namida. terra straniera.

ᕁ2568߭߿ࠆ౎㊀2569ߩ᳤‫ޘ‬2570
Volo con la mente sulla grande di-
Omoiyaru / yae no shiojio,
stesa del mare. Un giorno o l’altro
޿ߠࠇߩᣣߦ߆࿡2571ߦᏫ2572ࠄ߻ rivedremo il paese di provenienza.
Izure no hi ni ka / kuni ni kaeramu.

 ‫ ޣ‬NASCITA DELLA POESIA LIBERA IN LINGUA PARLATA ‫ ޤ‬Quasi


contemporaneamente al sorgere della poesia a ispirazione simbolista (shŇchŇshi ⽎ᓽ⹞

2556 nume ⢷ 1085/1283


2557 arata/nari ᣂ 36/174 ߥࠅ (giapp. moderno: ara/ta/da ᣂ 36/174 ߚߛ)
2558 yş/ri ᵹ 296/247 㔌 641/1281
2559 urei ᘷ 1627/1032
2560 umi ᶏ 158/117
2561 hi ᣣ 1/5
2562 shizu/mu ᴉ 1319/936 ߻ (giapp. moderno: id.)
2563 mi/ru ⷗ 48/63 ࠆ (giapp. moderno: id.)
2564 tagi/ru ỗ 596/1017 ࠆ (giapp. moderno: ta/gi/ru ߚ߉ࠆ)
2565 o/tsu ⪭ 393/839 ߟ (giapp. moderno: o/chi/ru ⪭ 393/839 ߜࠆ)
2566 i/kyŇ ⇣ 707/1061 ㇹ 1004/855
2567 namida ᶡ 1360/1239
2568 omŇ ᕁ 149/99 ߰ (giapp. moderno: omŇ ᕁ 149/99 ߁)
2569 ya/e ౎ 41/10 ㊀ 155/227
2570 shio/jio ᳤ non reg./non reg.䇱174/p.58
2571 kuni ࿖ 8/40
2572 kae/ru Ꮻ 454/317 ࠆ (giapp. moderno: id.)

354
2573)sotto l’influenza del simbolismo francese, nacque la poesia in lingua colloquiale e
libera dal vincolo dello schema fisso, chiamata di solito kŇgo jiyşshi (ญ⺆⥄↱⹞2574 lett.
poesia libera in lingua colloquiale). Il movimento fu portato avanti, da una parte, perché
spinto dallo spirito del naturalismo (shizenshugi ⥄ὼਥ⟵ 2575 ), e, dall’altra, perché
favorito dall’affermarsi dell’unificazione delle lingue parlata e scritta (genbun’itchi ⸒ᢥ
৻⥌2576 ψ§69), ma è soltanto nell’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ2577 1912-1926)
che riuscì a creare la corrente che doveva rivelarsi dominante nel campo della poesia shi
⹞. (Continua al §77.)

HAIKU Verso la fine del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) la produzione dello
haikai େ⺽2578 era in condizioni mediocri con opere stereotipate. La stessa
situazione si protraeva a lungo nell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ). Ma è chiaro che il
rinnovamento Meiji (Meiji ishin ᣿ᴦ⛽ᣂ it. restaurazione Meiji) che non risparmiava
nessun campo, non permise certo al mondo dello haikai େ⺽ di continuare a dormire
nel torpore.
A mettere mano all’opera del suo aggiornamento fu Masaoka Shiki (ᱜጟሶⷙ2579
1867-1902), figura d’un rilievo eccezionale nella storia dello shiika ⹞᱌2580. La storia
dello haiku େฏ2581 inizia, a rigor di termini, con Shiki ሶⷙ.
 ‫ޣ‬SHIKI E LA RIFORMA DELLO HAIKAI ‫ޤ‬Shiki ሶⷙ diede una piena
autonomia allo hokku (⊒ฏ 2582 ψ§50), che non si era reso ancora pienamente
indipendente, e lo chiamò haiku େฏ per l’appunto. Il termine haiku େฏ, quindi, ha
in sé una connotazione che lo rende diverso dallo hokku ⊒ฏ del renku (ㅪฏ2583 ψ
§50), e ciò avvenne grazie all’innovazione apportata al contenuto delle tre stanze di
5-7-5.
 Prendendo spunto dalla teoria sulla pittura ad olio trasmessa da Antonio Fontanesi

2573 shŇ/chŇ/shi ⽎ 575/739 ᓽ 1026/1420 ⹞ 1094/570


2574 kŇ/go/ ji/yş/shi ญ 213/54 ⺆ 274/67 ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ⹞ 1094/570
2575 shi/zen/shu/gi ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2576 gen/bun/ it/chi/tai ⸒ 279/66 ᢥ 136/111 ৻ 4/2 ⥌ 916/903
2577 Tai/shŇ/ ji/dai ᄢ 7/26 ᱜ 109/275 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
2578 hai/kai େ 1280/1035 ⺽ non reg./non reg.
2579 Masa/oka/ Shi/ki ᱜ 109/275 ጟ 370/non reg.ሶ 56/103 ⷙ 488/607
2580 shiika ⹞ 1094/570 ᱌ 478/392
2581 hai/ku େ 1280/1035 ฏ 1258/337
2582 hok/ku ⊒ 43/96 ฏ 1258/337
2583 ren/ku ㅪ 87/440 ฏ 1258/337

355
(Antonio Fontanēji ࠕࡦ࠻࠾ࠝ = ࡈࠜࡦ࠲ࡀ࡯ࠫ 1818-1882; oyatoi gaikokujin [ᓮ
㓹ᄖ࿖ੱ2584 lett. straniero impiegato ψ§65] per due anni 1876-1878) di Reggio
Emilia, Shiki ሶⷙ avanzò la proposta di utilizzare la tecnica pittorica di shasei (౮↢
2585 lett. copiare dal vero, ispirarsi alla realtà esterna). Sostenne, cioè, che gli autori di

haiku (haijin େੱ2586) non dovessero poetare sul proprio stato d’animo, ma rappresen-
tare gli oggetti su cui poetare così come i loro sensi li percepivano. Shiki ሶⷙ esaltò
Buson (⭢᧛2587 ψ§51), haikista-pittore, e ciò non senza motivi.
 Ecco un paio di haiku େฏ esemplari di Shiki ሶⷙ:

ᩑ2588ߊ߳߫㏹2589߇㡆2590ࠆߥࠅᴺ㓉ኹ2591
Kaki kueba / kane ga naru nari / HŇryşji
[Mentre mangio cachi, sento suonare la campana dell’HŇryşji].
(kigo ቄ⺆2592: kaki ᩑ cachi: autunno)

᧻2593ߩ㔐2594ഀ2595ࠇߡ⪭2596ߜߌࠅ᳓2597ߩਛ2598
Matsu no yuki / warete ochikeri / mizu no naka
[Una massa di neve sul ramo di pino, spaccatasi, è caduta nell’acqua].
(kigo ቄ⺆: yuki 㔐 neve: inverno)

2584 o/yatoi/ gai/koku/jin ᓮ 620/708 㓹 1419/1553 ᄖ 120/83 ࿖ 8/40 ੱ 9/1


2585 sha/sei ౮ 489/540 ↢ 29/44
2586 hai/jin େ 1280/1035 ੱ 9/1
2587 Bu/son ⭢ non reg./non reg.᧛ 210/191
2588 kaki ᩑ 1568/non reg.
2589 kane ㏹ 1425/1821
2590 na/ru 㡆 1186/925 ࠆ (giapp. moderno: id.)
2591 HŇ/ryş/ji ᴺ 145/123 㓉 1255/946 ኹ 687/41
2592 ki/go ቄ 871/465 ⺆ 274/67
2593 matsu ᧻ 215/696
2594 yuki 㔐 907/949
2595 wa/ru ഀ 357/519 ࠆ (giapp. moderno: wa/re/ru ഀ 357/519 ࠇࠆ)
2596 o/tsu ⪭ 393/839 ߟ (giapp. moderno: o/chi/ru ⪭ 393/839 ߜࠆ)
2597 mizu ᳓ 144/21
2598 naka ਛ 13/28

356
 < Shiki e il suo contributo linguistico > Con la teoria dello shasei ౮↢, Shiki
ሶⷙ contribuì anche al movimento di unificazione delle lingue parlata e scritta
(genbun’itchi ⸒ᢥ৻⥌), dando esempi di uno stile sobrio ed oggettivo della lingua
scritta (shaseibun ౮↢ᢥ2599; bun ᢥ frase, scritto).
 ‫ޣ‬DOPO SHIKI‫ޤ‬Dei suoi discepoli haikisti (haijin େੱ) Shiki ሶⷙ prediligeva
due: Takahama Kyoshi (㜞ᵿ⯯ሶ2600 1874-1959) e Kawahigashi HekigodŇ (ᴡ᧲⏉᪷
᩿2601 1873-1937).
 Dopo la morte di Shiki ሶⷙ era sorto un netto contrasto di orientamento fra i
due. HekigodŇ ⏉᪷᩿ abbandonò lo schema tradizionale di 5-7-5, dando inizio al
cosiddetto haiku libero (jiyşritsu haiku ⥄↱ᓞେฏ2602 lett. haiku libero dalla metrica).
Nel gruppo formatosi in torno a HekigodŇ ⏉᪷᩿ c’erano coloro che abbandona-
rono anche il kidai ቄ㗴2603.
In linea di massima si può dire che nel periodo a cavallo fra Meiji ᣿ᴦ e TaishŇ
ᄢᱜ la tendenza innovatrice-progressista era dominante.
 Kyoshi ⯯ሶ, che si dava nel frattempo alla produzione narrativa, tornò all’inizio
dell’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ) ai circoli haikisti (haidan େს2604) col preciso
intento di contrastare il movimento di nuova tendenza secondo lui fuorviante. (Con-
tinua al §77.)

TANKA Il tanka ⍴᱌2605 dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ) iniziò nel 1893 con
la formazione di un’associazione di poeti di tanka (kajin ᱌ੱ2606). Succes-
sivamente, con la pubblicazione della rivista letteraria MyŇjŇ (䇺᣿ᤊ䇻2607 lett. Venere,
1900-1908, 1921-1927), si videro acclamati da un largo pubblico i tanka ⍴᱌ di
ispirazione romantica. Si chiama MyŇjŇha (᣿ᤊᵷ2608 scuola MyŇjŇ) il gruppo di poeti
di tanka ⍴᱌ radunatisi intorno a questa rivista.

2599 sha/sei/bun ౮ 489/540 ↢ 29/44 ᢥ 136/111


2600 Taka/hama/ Kyo/shi 㜞 49/190 ᵿ 418/785 ⯯ 1588/1572 ሶ 56/103
2601 Kawa/higashi/ Heki/go/dŇ ᴡ 698/389 ᧲ 11/71 ⏉ non reg./non reg.᪷ non reg./non reg.᩿ 1569/2110
2602 ji/yş/ritsu/ hai/ku ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ᓞ 1048/667 େ 1280/1035 ฏ 1258/337
2603 ki/dai ቄ 871/465 㗴 123/354
2604 hai/dan େ 1280/1035 ს 1384/1839
2605 tan/ka ⍴ 789/215 ᱌ 478/392
2606 ka/jin ᱌ 478/392 ੱ 9/1
2607 MyŇ/jŇ 䇺᣿ 84/18 ᤊ 877/730䇻
2608 MyŇ/jŇ/ha ᣿ 84/18 ᤊ 877/730 ᵷ 293/912

357
ٟ A partire dall’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ) si usa di nuovo il termine tanka
⍴᱌ in riferimento alla poesia tradizionale di 5-7-5-7-7.

‫ޣ‬YOSANO AKIKO ED IL TANKA ROMANTICO‫ޤ‬Fu la poetessa Yosano


Akiko (ਈ⻢㊁᥏ሶ2609 1878-1942) a svolgere non solo l’attività più strepitosa, ma
anche il ruolo trainante del gruppo MyŇjŇha ᣿ᤊᵷ con i suoi tanka ⍴᱌ focosi dal
contenuto libero da ogni convenzione e, secondo il senso comune di quei tempi,
pervaso di una sensualità persino provocante. Per la gente d’allora costituivano una
sorpresa.
 Da Midaregami (䇺ߺߛࠇ㜬䇻2610 lett. capelli arruffati, 1901), una delle sue raccolte
di tanka ⍴᱌, rimasta memorabile nella storia della letteratura giapponese si riportano
due opere. (Questa volta li scriviamo col pennello e, in conformità alla tradizione, anche
verticalmente da destra verso sinistra)

ṟ ⎷⎢Ꮋ⎡⍵⎗⎀ᘉກ⎞⎨⎿⎵ᙸ⎚⎈⎦⎊⍾⎼⎍⎷ᢊ⏅ᛟ⎂ӽ

Ĭ ⎝⎞⎛⎝⎂ӽ⎞ࢳ⎒⎾⎾⎆⎆⎔⎊⎙Ј⎚⎊ᑶ᣼⎡‫ٲ‬உ‫⎝⍾ٸ‬

ᴾ 

Ⅎ ↙↚↗↙ⅾӽ↚ࢳ↎↺↺ↂↂ←ↆ↕
Ј↖ↆᑶ᣼↝‫ٲ‬உ‫ٸ‬ⅺ↙
Nani to naku / kimi ni mataruru / kokochi shite / ideshi
hanano no / yşzukiyo kana
[Colta da un sentore improvviso di essere attesa da te,
sono uscita per venirti incontro. Ed ecco che mi si
presenta agli occhi la luna di sera sul campo di fiori].

ℳ ↳↞Ꮋ↝ⅱ↓ⅼᘉກ↚↤↻↱ᙸ↖
ↄ↢ↆⅺ↸↉↳ᢊ⇁ᛟⅾӽ
Yawahada no / atsuki chishio ni / fure mo mide /
sabishikarazu ya / michi o toku kimi
[Senza neppur toccarmi la pelle vellutata dal sangue
caldo tu parli della strada che vuoi fare. Ma non ti
senti solo?]

2609 Yo/sa/no/ Aki/ko ਈ 485/539 ⻢ 1162/901 ㊁ 85/236 ᥏ 1698/1645 ሶ 56/103


2610 Mi/da/re/gami 䇺ߺߛࠇ㜬 1344/1148䇻

358
‫ޣ‬‫ޣ‬TENTATIVO DI RINNOVAMENTO AD OPERA DI SHIKI‫ޤ‬Masaoka Shiki
ᱜጟሶⷙ che da anni si era dato all’attività di aggiornamento dello haiku େฏ mise
mano anche al settore del tanka ⍴᱌ con quella stessa teoria dello shasei ౮↢ che
era stata positivamente collaudata con lo haiku େฏ, ma il momento della sua iniziativa
coincise con i tempi d’oro del MyŇjŇha ᣿ᤊᵷ e la sua proposta non ottenne molti
consensi.
 Shiki ሶⷙ che nel campo dello haiku େฏ aveva apprezzato molto Buson ⭢᧛,
per il tanka ⍴᱌ esaltò il Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻2611 le cui poesie sono caratterizzate dal
tono schietto e diretto (ψ§11).
 ‫ ޣ‬TANKA A ISPIRAZIONE NATURALISTA ‫ ޤ‬Il movimento naturalista
(shizenshugi bungaku undŇ ⥄ὼਥ⟵ᢥቇㆇേ2612) diede anche poeti naturalisti di tanka
⍴᱌, fra cui Ishikawa Takuboku (⍹Ꮉໟᧁ2613 1886-1912), morto giovane e povero.
Poetò sulla vita. I suoi tanka ⍴᱌ sono scritti divisi in tre righe:

⎢⎒⎼⎄⎜྅⏂⍿ဃ෇ಏ⎞⎝⎼⎉⎽

⎢⎒⎼⎄⎜
⎕⎖
⎛৖⏅ᙸ⎾
ߪߚࠄߌߤ
 Hatarakedo /
 [Lavoro e

 ߪߚࠄߌߤ₈ࠊ߇↢ᵴᭉߦߥࠄߑࠅ
 hatarakedo nao / waga kurashi / rakuni narazari /
 ancora lavoro, ma vivo tuttora in miseria.

 ߝߞߣᚻࠍ⷗ࠆ
 Jitto te o miru
 A lungo fisso lo sguardo sulle mie mani.]

 ‫ޣ‬ASCESA DELLA SCUOLA ARARAGI ‫ޤ‬Dopo la morte di Shiki ሶⷙ fu

2611 Man’/yŇ/shş 䇺ਁ 96/16 ⪲ 405/253 㓸 168/436䇻


2612 shi/zen/shu/gi/ bun/gaku/ un/dŇ ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291 ᢥ 136/111 ቇ 33/109
ㆇ 179/439 േ 86/231
2613 Ishi/kawa/ Taku/boku ⍹ 276/78 Ꮉ 111/33 ໟ non reg./non reg.ᧁ 148/22

359
pubblicata la rivista Araragi (䇺ࠕ࡜࡜ࠡ䇻2614 1908-1997) dai suoi discepoli di tanka ⍴
᱌. Essi, chiamati Araragiha (ࠕ࡜࡜ࠡᵷ lett. scuola Araragi), eredi dello shasei ౮↢
del maestro, cominciavano a guadagnare terreno. (Continua al §77.)

§69. Movimento di unificazione delle lingue parlata e scritta

DIVARIO DELLE LINGUE PARLATA E SCRIT- È dato quasi per certo che
TA E PLURALITÀ DELLA LINGUA SCRITTÀ durante il periodo Heian
(Heian jidai ᐔ቟ᤨઍ2615, 794-1185) tra la lingua orale della classe aristocratica, specie
delle nobildonne e la lingua scritta quale, per esempio, quella che si legge nei generi
nikki ᣣ⸥2616 e monogatari ‛⺆2617, non vi fossero che minime differenze. In altre
parole, almeno nell’alta società si parlava in pratica la stessa lingua di quella in cui è
scritto, per esempio, il Genji monogatari Ḯ᳁‛⺆2618.
 A partire dal periodo cosiddetto inseiki (㒮᡽ᦼ 2619 lett. periodo dello insei,
1086-1179/1185), tuttavia, la divergenza inziale ancora piccola tra parlata e scritta andò
crescendo col tempo, e nel bakumatsu (᐀ᧃ2620 1853 ca.-1867) presentava enormi
discrepanze. Per giunta, nell’ambito della lingua scritta, coesisteva promiscuamente tutta
una serie di varietà: lingua classica dei secoli precedenti, lingua che codificava quella
orale d’allora, lingua cinese del passato (kanbun ṽᢥ2621 ψ§21), lingua in stile di
traduzione dal cinese secondo il metodo kundoku (⸠⺒2622 ψ§22), lingua epistolare in
stile classicheggiante, chiamata sŇrŇbun (୥ᢥ2623 frase onorifica in cui viene usata
frequentemente la parola sŇrŇ ୥߰2624 con valore di masu ߹ߔ, aru ޽ࠆ o iru ޿
ࠆ) e via dicendo. Ovviamente tale situazione ostacolava la comunicazione precisa e

2614 A/ra/ra/gi 䇺ࠕ࡜࡜ࠡ䇻


2615 Hei/an/ ji/dai ᐔ 143/202 ቟ 128/105 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
2616 nik/ki ᣣ 1/5 ⸥ 147/371
2617 mono/gatari ‛ 126/79 ⺆ 274/67
2618 Gen/ji/ mono/gatari Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67
2619 in/sei/ki 㒮 236/614 ᡽ 50/483 ᦼ 119/449
2620 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305
2621 kan/bun ṽ 1394/556 ᢥ 136/111
2622 kun/doku ⸠ 1059/771 ⺒ 484/244
2623 sŇrŇ/bun ୥ 817/944 ᢥ 136/111
2624 sŇrŇ ୥ 817/944 ߰

360
spedita per iscritto con conseguenti ripercussioni negative sulla modernizzazione del
paese.

MOVIMENTO DI UNIFICAZIONE A cavallo del periodo Edo (Edo jidai ᳯ


DELLE LINGUE PARLATA E SCRITTA ᚭᤨઍ) e l’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨ
ઍ) la necessità di razionalizzare la vita linguistica venne sostenuta, a fine pratico, da
alcuni cultori di studi occidentali (yŇgakusha ᵗቇ⠪2625), ma, in parte per disorien-
tamento degli interessati stessi e in parte per mancanza d’interesse da parte delle masse,
la razionalizzazione della lingua scritta stentò a procedere.
 Perché i tempi fossero maturi, si doveva attendere la nascita (intorno al 1887 [20°
anno Meiji ᣿ᴦੑචᐕ]) della letteratura moderna. Furono infatti gli scrittori a tentare
la creazione di uno stile di lingua scritta, denominato posteriormente kŇgotai (ญ⺆૕2626
lett. stile colloquiale), su elaborazione della lingua che si parlava allora a TŇkyŇ ᧲੩,
città ormai divenuta il centro del Giappone sotto ogni aspetto.
Per fare riferimento ad uno stile ideale da creare di lingua scritta si usava, in quei
tempi, l’espressione genbun itchitai (⸒ᢥ৻⥌૕ 2627 lett. stile unificato delle lingue
parlata [gen ⸒] e scritta [bun ᢥ]). Fu Yamada BimyŇ (ጊ↰⟤ᅱ2628 1868-1910) del
Ken’yşsha (⎮෹␠2629 ψ§67) a svolgere, nella fase intermedia del Meiji ᣿ᴦ, l’attività
più intensa in proposito, ma il posto d’onore per la migliore riuscita spettò a Futabatei
Shimei ੑ⪲੪྾ㅅ2630 in Ukigumo (䇺ᶋ㔕䇻2631 1887-1889) ed in particolare nelle sue
traduzioni dal russo. In seguito, favorito anche dal contributo di Masaoka Shiki ᱜጟሶ
ⷙ2632 e dei suoi discepoli con i loro shaseibun (౮↢ᢥ2633 ψ§68), lo stile colloquiale
kŇgotai ญ ⺆ ૕ si stabilizzò definitivamente per merito degli scrittori naturalisti
(shizenshugi sakka ⥄ὼਥ⟵૞ኅ2634).
 ‫ޣ‬DIFFUSIONE DELLA LINGUA SCRITTA IN STILE COLLOQUIALE‫ޤ‬
 I libri di testo per l’uso dell’istruzione obbligatoria intanto iniziavano ad adottare un

2625 yŇ/gaku/sha ᵗ 366/289 ቇ 33/109 ⠪ 22/164


2626 kŇ/go/tai ญ 213/54 ⺆ 274/67 ૕ 110/61
2627 gen/bun/ it/chi/tai ⸒ 279/66 ᢥ 136/111 ৻ 4/2 ⥌ 916/903 ૕ 110/61
2628 Yama/da/ Bi/myŇ ጊ 60/34 ↰ 24/35 ⟤ 289/401 ᅱ 1045/1154
2629 Ken’/yş/sha ⎮ non reg./non reg.෹ 543/264 ␠ 30/308
2630 Futa/ba/tei/ Shi/mei ੑ 6/3 ⪲ 405/253 ੪ 1496/1184 ྾ 18/6 ㅅ 1251/967
2631 Uki/gumo 䇺ᶋ 1047/938 㔕 1124/636䇻
2632 Masa/oka/ Shi/ki ᱜ 109/275 ጟ 370/non reg.ሶ 56/103 ⷙ 488/607
2633 sha/sei/bun ౮ 489/540 ↢ 29/44 ᢥ 136/111
2634 shi/zen/shu/gi/ sak/ka ⥄ 53/62 ὼ 375/651 ਥ 91/155 ⟵ 287/291 ૞ 99/360 ኅ 81/165

361
numero sempre maggiore di brani scritti in stile colloquiale kŇgotai ญ⺆૕, contribuen-
do a diffondere la lingua di TŇkyŇ (TŇkyŇgo ᧲੩⺆2635), ossia la lingua oggi definita
quale il giapponese comune (kyŇtsşgo ౒ㅢ⺆2636).

ٟ < Stile colloquiale post-Meiji > Con l’occasione si fa riferimento ai fatti più
rilevanti verificatisi dall’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ 1912-1926) in poi.
I quotidiani ad alta tiratura, fra i quali in particolare il giornale Asahi (Asahi
shimbun ᦺᣣᣂ⡞ 2637 1879-tuttora), ritenuto un tempo il più autorevole, si
rifiutavano ostinatamente a tutta prima di scrivere i loro articoli di fondo in stile
colloquiale per una questione di solennità stilistica, ma finirono con l’abbandonare
la loro politica conservatrice prima della fine dell’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨ
ઍ). Da quel momento rimase acquisito che, per scrivere, ci si doveva servire della
lingua colloquiale (kŇgobun ญ⺆ᢥ2638 lett. frase in stile colloquiale), qualunque
fosse l’argomento da trattare, con l’unica eccezione dei documenti burocratici e
degli articoli di legge. Per l’adeguamento di queste ultime due categorie si doveva
attendere fin oltre la fine della seconda guerra mondiale (Dai niji sekai taisen ╙ੑ
ᰴ਎⇇ᄢᚢ2639 1939-1945).
ٟ Rispetto alla lingua italiana nelle sue forme parlata e scritta, la distanza che
separa il giapponese scritto da quello parlato è tuttora di gran lunga maggiore.

§70. Attività in alcuni campi artistici

Si è già detto che i primi anni Meiji ᣿ᴦ furono caratterizzati dallo sforzo di ap-
prendere il know how di utilizzabilità immediata (jitsugaku ታቇ2640) per la produzione
industriale e per la vita di tutti i giorni. Si è rilevato anche che si verificavano persino
casi di distruzione del patrimonio culturale (haibutsu kishaku ᑄ੽Მ㉼ 2641 ) e di
svendità di opere d’arte. (ψ§63) Così, nella prima metà dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦ
ᤨઍ 1868-1912), al pari della produzione letteraria, anche l’attività artistica in genere
non riuscì a dare che scarsi segni di ripresa.

2635 TŇ/kyŇ/go ᧲ 11/71 ੩ 16/189 ⺆ 274/67


2636 kyŇ/tsş/go ౒ 159/196 ㅢ 71/150 ⺆ 274/67
2637 Asa/hi/ shim/bun ᦺ 257/469 ᣣ 1/5 ᣂ 36/174 ⡞ 262/64
2638 kŇ/go/bun ญ 213/54 ⺆ 274/67 ᢥ 136/111
2639 Dai/ ni/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ੑ 6/3 ᰴ 235/384 ਎ 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
2640 jitsu/gaku ታ 89/203 ቇ 33/109
2641 hai/butsu/ ki/shaku ᑄ 1014/961 ੽ 678/583 Მ non reg./non reg.㉼ 1214/595

362
ARTI FIGU- Il nome da citare per primo è quello di Okakura Tenshin (ጟୖᄤᔃ
RATIVE 2642 1862-1913) conosciuto soprattutto quale autore di un noto libro

scritto originariamente in inglese, The Book of Tea (1906; titolo della versione
giapponese: Cha no Hon 䇺⨥ߩᧄ䇻2643 it. Il Libro del Tè), in cui Tenshin ᄤᔃ invitava
gli occidentali a volersi avvicinare alla cultura orientale, avvertendoli che la cultura e
civiltà occidentale non era l’unica in senso assoluto.

ٟ In Occidente Tenshin ᄤᔃ è noto quale KakuzŇ ⷡਃ2644, suo vero nome,


ma in Giappone è conosciuto con lo pseudonimo di Tenshin ᄤᔃ.

Egli non era artista, ma un critico d’arte e un pensatore.


Ai suoi tempi c’erano diverse tendenze di pensiero, fra cui il cosiddetto kokusuishugi
(࿖☴ਥ⟵2645 ψ§61), nazionalismo ‘aperto’. Tenshin ᄤᔃ fu uno dei pensatori di
tale tendenza, e insieme con E. F. Fenollosa (Fenorosa ࡈࠚࡁࡠࠨ 1853-1908, in
Giapp. 1878-1890), oyatoi gaikokujin ᓮ㓹ᄖ࿖ੱ2646 statunitense, riscoprì il valore delle
opere d’arte tradizionali ed incoraggiò l’attività creativa, nella quale emersero suoi
numerosi seguaci quali artisti di pittura di stile tradizionale giapponese (nihonga ᣣᧄ↹
2647 o anche hŇga ㇌↹2648 ψ§78).

 Quanto poi alla pittura occidentale (yŇga ᵗ↹2649 o letteralmente anche seiyŇga ⷏
ᵗ↹2650), essa era stata oggetto di studio già sin dal bakumatsu ᐀ᧃ2651 , perché
diversamente dallo yamatoe (ᄢ๺⛗2652 ψ§24) l’arte occidentale era stata sostenuta
dallo spirito del realismo (ossia shasei ౮↢2653 lett. dipingere dal vero), quindi si era
rivelata utile per le sue funzioni tecniche.

ٟ La pittura di stile tradizionale giapponese si chiama, nei confronti della pittura

2642 Oka/kura/ Ten/shin ጟ 370/non reg.ୖ 708/1307 ᄤ 364/141 ᔃ 139/97


2643 Cha/ no/ Hon 䇺⨥ 805/251 ߩᧄ 15/25䇻
2644 Kaku/zŇ ⷡ 896/605 ਃ 10/4
2645 koku/sui/shugi ࿖ 8/40 ☴ 1537/1708 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2646 o/yatoi/ gai/koku/jin ᓮ 620/708 㓹 1419/1553 ᄖ 120/83 ࿖ 8/40 ੱ 9/1
2647 ni/hon/ga ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ↹ 150/343
2648 hŇ/ga ㇌ 1001/808 ↹ 150/343
2649 yŇ/ga ᵗ 366/289 ↹ 150/343
2650 sei/yŇ/ga ⷏ 167/72 ᵗ 366/289 ↹ 150/343
2651 baku/matsu ᐀ 836/1432 ᧃ 528/305
2652 yamato/e ᄢ 7/26 ๺ 151/124 ⛗ 976/345
2653 sha/sei ౮ 489/540 ↢ 29/44

363
occidentale, nihonga ᣣᧄ↹ o hŇga ㇌↹ e in contrapposizione alla pittura cine-
se dell’età premoderna yamatoe ᄢ๺⛗.

 Nell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ᴦᤨઍ), poi, sotto la guida di Fontanesi (Fontanēji ࡈ
ࠜࡦ࠲ࡀ࡯ࠫ ψ§68) si ebbero i primi artisti che si dedicarono alla pittura quale arte
fine a se stessa. Verso la fine del XIX secolo cominciarono a tornare da un soggiorno di
studio in Francia pittori come Kuroda Seiki (㤥↰ᷡノ2654 1866-1924).
Nel campo della scultura operarono attivamente Takamura KŇun (㜞᧛శ㔕2655
1852-1934) ed altri.

TEATRO Nella seconda metà dell’era Meiji (Meiji jidai ᣿ ᴦᤨ ઍ 1868-1912)


sorsero più espressioni teatrali di diverse tendenze, ma più popolare rimase
il kabuki ᱌⥰પ2656. Ci furono, è vero, tentativi di aggiornamento, ma con risultati di
scarso rilievo.
Il nŇ ⢻2657, il kyŇgen ⁅⸒2658 e il ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ2659, erano ormai dive-
nuti generi fossilizzati, per non dire morti.

MUSICA Accanto alla musica tradizionale detta complessivamente hŇgaku (㇌ᭉ2660


musica tradizionale giapponese) fece la sua apparizione anche la musica
occidentale (yŇgaku ᵗᭉ2661) con Taki RentarŇ (Ṛᑇᄥ㇢2662 1879-1903), composi-
tore e pianista. Si cantano anche adesso sue opere quali il KŇjŇ no tsuki (䇺⨹ၔߩ᦬䇻2663
lett. luna del castello in rovina) e lo Hana (䇺⧎䇻2664 lett. fiori). Era un musicista promet-
tente, ma a causa di una grave malattia fu costretto a rimpatriare dalla Germania ove era
stato inviato a studiare dal ministero dell’educazione. Morì giovanissimo.
 Nel 1879 la musica occidentale (yŇgaku ᵗᭉ) era stata inserita fra le materie d’inse-
gnamento scolastiche, determinando sin da quel momento una netta inclinazione del-

2654 Kuro/da/ Sei/ki 㤥 317/206 ↰ 24/35 ᷡ 509/660 ノ


2655 Taka/mura/ KŇ/un 㜞 49/190 ᧛ 210/191 శ 417/138 㔕 1124/636
2656 ka/bu/ki ᱌ 478/392 ⥰ 746/810 પ non reg./non reg.