IL GIAPPONE E
LA SUA CIVILTÀ:
PROFILO STORICO
Testo in italiano
Terminologia in giapponese
Seconda edizione
© 2005 CLUEB
Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna
Takeshita, Toshiaki
Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico / Toshiaki Takeshita – Bologna : CLUEB, 2005
463 p. ; 24 cm.
(Studi e testi orientali / collana diretta da Giorgio Renato Franci ; 8)
ISBN 978-88-491-2487-3
CLUEB
Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna
40126 Bologna - Via Marsala 31
Tel. 051 220736 - Fax 051 237758
www.clueb.com
In copertina: grafica di A. Foresti e R. Pancaldi
INDICE
Capitlo VII Età moderna 2: era Taishō e primo ventennio dell’era Shōwa:
367
§71. Rapporti con l’estero nel periodo dalla prima guerra mondiale alla vigilia
della grande depressione del 1929, 367
§72. Alti e bassi dell’economia giapponese nel periodo dalla prima guerra
mondiale alla vigilia della grande depressione del 1929, 370
§73. Avanzata della ‘democrazia Taishō’ e suo naufragio, 371
§74. Espansione giapponese in Cina, 375
§75. La seconda guerra mondiale e il Giappone, 380
§76. Letteratura moderna (narrativa - 2), 383
§77. Letteratura moderna (poesia - 2), 389
§78. Attività in alcuni campi artistici, 393
§79. Assenza della libertà di ricerca scientifica, di pensiero e di parola, 394
§80. Dall’insegnamento pacifico all’insegnamento al servizio dell’Impero,
della lingua giapponese, 396
§81. Affermazione della cultura di massa, 397
Le novità di questa edizione de Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico sono riassumibili
in quattro punti:
̆̆̆̆̆
Agli inizi del 2004 ho avuto il piacere di ricevere dal Magnifico Rettore una lettera che
dice:
«...l’indagine sulle Opinioni degli studenti sulla didattica per l’anno accade-
mico 2002-2003, condotta dall’Osservatorio Statistico della nostra Università ha
messo in evidenza la maggiore soddisfazione complessiva degli studenti per
l’insegnamento “Lingua e letteratura giapponese II” da Te impartito...».
Sono certo che se il mio insegnamento ha ottenuto il consenso degli studenti, ciò deri-
va da un ‘accorgimento’* su cui si basa una forma particolare di immersion in grado di
unire gli studi giapponesi e lo studio della lingua, quando quest’ultimo è ancora in fase
iniziale. Con questa edizione ampliata e con una didattica più globale il detto ‘accorgi-
mento’ riuscirà a raggiungere meglio il suo scopo.
*
Vedi: ‘Introduction to Japanese studies through elementary level of linguistic competence
— a group of teaching materials for that purpose’. The Preceedings of the 8th Japanese Language
symposium, September 12-14 2003, Bern, Association of Japanese Language Teachers in
Europe.
9
Nota alla prima edizione
Nei trattati in giapponese di storia, letteratura, religioni ecc. relative al Giappone si fa uso di
molti termini che il redattore di un vocabolario giapponese-italiano difficilmente inserirebbe
fra gli esponenti, in quanto non esistono corrispondenti parole in italiano, lingua che veicola
una realtà storico-culturale diversa da quella giapponese.
A mo’ d’esempio prendiamo il termine shŇen, e diciamo subito che nessuna parola italiana
ha un esatto riscontro con esso. Qualora non ci sia motivo di essere molto rigorosi, si trovano
dei vocaboli parzialmente equivalenti come questi: latifondo e corte (quest’ultimo nel senso
presente nell’espressione di « economia curtense »). Difatti, l’idea di « grande proprietà
fondiaria privata » è accomunata dai tre termini in esame (ossia shŇen, latifondo e corte). A
stretto rigore, però, bisogna dire che ciascuno dei tre racchiude un contesto storico diverso, e
quindi non equivale perfettamente agli altri due. Lo shŇen nella storia giapponese non può
essere chiamato diversamente da shŇen. Per afferrare pienamente il suo significato, bisogna
studiare 800 anni di storia del Giappone dall’VIII al XVI secolo.
Per l’autore questo volume costituisce uno dei materiali didattici sperimentali, finalizzati a
unificare l’insegnamento della lingua e le lezioni propedeutiche di studi giapponesi; in
particolare esso si propone di presentare in lingua originale e nel contesto storico-culturale
alcune centinaia di termini specialistici del tipo shŇen, nonché nomi di persona e toponimi di
rilievo, onde iniziare i novizi di nipponistica al giapponese scritto mediante la lettura di
Lineamenti di storia della cultura giapponese ଐஜ૨҄ӪƷƋǒLJƠ(1994, Clueb), altro manuale
sperimentale il cui testo sintetizza in giapponese accessibile quanto è esposto in italiano in
questo nostro volume. Ulteriori informazioni su questi testi gemelli si trovano nel seguente
mio articolo:
Alcuni chiarissimi Colleghi hanno avuto la gentilezza di intervenire in mio aiuto. Il Prof. A.
Tamburello mi ha avanzato innumerevoli proposte di miglioramento scaturite dalla sua alta
competenza in materia. Il Prof. L. Dalsecco, invece, ha prodigato tutto se stesso per
correggere e limare il mio italiano. Ho un debito inoltre verso i Proff. A. Albanese e A. Passi,
i quali in un modo o nell’altro mi hanno dato una mano per la realizzazione di questo volume.
Ringrazio, infine, il Prof. G.R. Franci per aver voluto creare un posto per questo manuale
nella collana Studi e testi orientali, sebbene il suo formato, per motivi tecnici, superi alquanto
le misure standard degli altri volumi della serie.
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Avvertenze
(1) Per la traslitterazione in caratteri latini e la divisione dei termini giapponesi, sono stati
seguiti, in linea di massima, i criteri riportati a pag. XXXIX della Kodansha Encyclopedia
of Japan, vol. 9, (Index), 1983, e più specificamente:
(2) Le date di nascita e morte, di accesso al trono e ritiro di imperatori, di inizio e fine
della carica di shŇgun, ministri ecc. riportate da pubblicazioni in materia, spesso non
coincidono. In questo volume, per quanto riguarda i personaggi giapponesi, tali date
sono state ricavate unicamente dal dizionario biografico Konsaisu jinmei jiten Nihon-hen (a
cura di Ueda, M. et alii), TŇkyŇ, SanseidŇ, 1981.
(3) Per i nomi personali giapponesi è rispettato l’uso giapponese, quello cioè di mettere
prima il cognome seguito dal nome.
(4) Tutti i termini giapponesi sono resi al maschile in italiano. Ad eccezione di toponimi,
nomi personali e cosiddetti nengŇ essi sono scritti in corsivo.
(6) Tutti i termini giapponesi sono stampati anche in kanji ṽሼ ogni volta che si
presentano.
Si tenga presente che i kanji ṽሼ adoperati nei termini specialistici di storia giap-
ponese e nei nomi propri rappresentano con frequenza letture insolite. Ciò è partico-
larmente vero per la terminologia buddhista.
13
Language Proficiency Test’ effettuato annualmente su scala mondiale (l’Italia inclu-
sa), e
• i numeri alla destra di ciascun kanji ṽሼ riportati a piè di pagina corrispondono al
numero progressivo attribuito ai kanji ṽሼ nei seguenti due manuali per stranieri:
N. Kuratani et alii, A New Dictionary of Kanji Usage, TŇkyŇ, Gakken, 1982.
W. Hadamitzky & M. Spahn, Kanji & Kana, Rutland/TŇkyŇ, Charles E. Tuttle
Company, 1997.
Per esempio, ᣥ 808/1216 indica che ᣥ porta il numero 808 su A New Dictionary of
Kanji Usage e il numero 1216 su Kanji & Kana.
L’indicazione non reg. (p.es. ⇰ 1684/non reg.) significa che il kanji di cui si tratta non è
registrato (nel caso dell’esempio citato in Kanji & Kana).
(7) Quanto ai termini ed ai nomi propri cinesi, è data la precedenza, qualora esista, alla
forma latinizzata seguita, di regola, prima dall’espressione cinese (in trascrizione pinyin
ed eventualmente anche Wade-Giles), quindi da quella giapponese.
Per esempio:
forma latinizzata pinyin Wade-Giles
confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ);
pinyin Wade-Giles pinyin Wade-Giles
Chang’an (Ch’ang-an 㐳 giapp. ChŇan; oggi Xi’an, Hsi-an giapp. Seian
[pronuncia effettiva per contrazione] Sēan).
(8) Per la seconda edizione sono state consultate principalmente le seguenti pubblica-
zioni:
Enoki, K. (a cura di), (ShinchŇ Nihon koten shşsei) RyŇjin hishŇ, TŇkyŇ, ShinchŇsha, 1979.
Kitagawa, T. (a cura di), (ShinchŇ Nihon koten shşsei) Kanginshş, SŇan koutashş, TŇkyŇ,
ShinchŇsha, 1982.
Sahara, M. et alii, Nihon rekishi-kan, TŇkyŇ, ShŇgakukan, 1993.
Sahara, M. et alii, Nihon no shoku, Gengo, Vol. 23, No. 1, TŇkyŇ, Taishşkan shoten,
1994.
Sakakura, A. et alii (a cura di), (ShinchŇ Nihon koten shşsei) Konjaku monogatarishş, HonchŇ
sezoku-bu, voll. 1-4, TŇkyŇ, ShinchŇsha, 1978-1984.
Tanabe, Y. et alii, Atarashii shakai - Rekishi, TŇkyŇ, TŇkyŇ tosho k. k., 2002.
14
(9) Di regola le note brevi sono date tra parentesi. Quelle ٟ
relativamente lunghe, invece, sono sistemate a parte e
contradistinte con un segno come questo:
15
Sistema di traslitterazione in caratteri latini adottato nel testo
a i u e o
a i u e o
ka ki ku ke ko ga gi gu ge go kya kyu kyo
ka ki ku ke ko ga (ghi) gu (ghe) go kya kyu kyo
sa shi su se so za ji zu ze zo sha shu sho
(sci) (gi) (scia) (sciu) (scio)
ta chi tsu te to da ji zu de do cha chu cho
ta (ci) (zu) te to da (gi) de do (cia) (ciu) (cio)
na ni nu ne no nya nyu nyo
na ni nu ne no nya nyu nyo
ha hi fu he ho ba bi bu be bo hya hyu hyo
ba bi bu be bo
ma mi mu me mo pa pi pu pe po mya myu myo
ma mi mu me mo pa pi pu pe po mya myu myo
ya yu yo gya gyu gyo
(ia) (iu) (io) (ghia) (ghiu) (ghio)
ra ri ru re ro ja ju jo rya ryu ryo
(gia) (giu) (gio) rya ryu ryo
wa o bya byu byo
(ua) o bya byu byo
Di regola il sistema di traslitterazione qui riportato si basa sullo ‘spelling’ inglese. Gli
italofoni devono prestare attenzione alla lettura di certi suoni, in particolare quelli nei qua-
dretti grigi:
• Taluni suoni quali p.es. shi, chi, tsu, ya, wa sarebbero scritti in italiano come tra parentesi,
ossia rispettivamente sci, ci, zu [‘z’ sorda come in Firenze], ia e ua [‘i’ e ‘a’, ‘u’ e ‘a’
pronunciate in pratica contemporaneamente].
• La s è sempre sorda come in sasso, e la z, invece, sempre sonora come in zaino.
• Le consonanti di ha, hi, fu, he, ho sono scritte con i simboli dell’alfabeto IPA rispettiva-
mente [h], [ç], [ɮ], [h], [h].
[h]: suono di quando si appanna un vetro con il fiato. / [ç]: suono accompagnato da una
frizione meno forte della consonante tedesca ‘ch’ in ich, Terzo Reich. / [ɮ]: suono
prodotto quando si soffia leggermente attraverso l’apertura fra le labbra avvicinate. Si
pronuncia immaginando di spegnere una candala con una leggera soffiata. In giappo-
nese non esiste la consonante rappresentata dalla lettera ‘f ’ (fricativa labiodentale sorda
[f] come in fama, anfora).
17
CAPITOLO I
19
comunque dire che trattandosi ancora dell’epoca glaciale era freddo, la gente cacciava
grandi mammiferi e si spostava in piccoli gruppi alla cerca del cibo senza sedentariz-
zarsi.
CULTURA L’ultima fase dell’età della pietra, ossia la cosiddetta età neolitica (shinsek-
JņMON ki jidai ᣂ⍹ེᤨઍ11 lett. età dei nuovi arnesi di pietra), invece, è già
messa sufficientemente in luce. Si ritiene che in Giappone durasse migliaia d’anni fino al
IV secolo ca. a.C. Ciò che distingue nettamente questo periodo da quello precedente è
la presenza di terrecotte (doki ེ) e strumenti di pietra levigati (masei sekki ⏴⍹
ེ12 lett. arnesi in pietra di fabbricazione per levigatura), e siccome non pochi oggetti
fittili (doki ེ) prodotti in questa fase di evoluzione recano decorazioni a corda dette
jŇmon (✽ᢥ lett. impronta di corda), l’età ritenuta come la fase neolitica giapponese, la
relativa cultura con la sua ceramica (doki ེ) vengono chiamate rispettivamente
periodo jŇmon (jŇmon jidai ✽ ᢥ ᤨ ઍ ), cultura jŇmon (jŇmon bunka ✽ ᢥ ᢥ ൻ ) e
ceramiche jŇmon (jŇmonshiki doki ✽ᢥᑼེ13).
ޣUNA ARRETRATEZZA MARCATAޤBisogna tenere presente, però, che il
periodo jŇmon (jŇmon jidai ✽ᢥᤨઍ) non si identifica perfettamente con l’età neolitica
(shinsekki jidai ᣂ⍹ེᤨઍ) delle grandi civiltà fluviali. Esso presenta, infatti, una
20
carenza economica marcata: a dispetto della presenza di arnesi di pietra politi (masei
sekki ⏴⍹ེ) e vasellame (doki ེ), due elementi che contraddistinguono
fondamentalmente il neolitico (shinsekki jidai ᣂ⍹ེᤨઍ), il jŇmon jidai ✽ᢥᤨઍ era,
peraltro, caratterizzato dall’assenza (per non dire assoluta, ma pressoché totale) di
agricoltura e pastorizia.
Conseguentemente, la vita quotidiana era ancora basata sulla caccia, la pesca e la
raccolta di cibi vegetali che la natura produceva spontaneamente (saishş keizai ណ㓸⚻
ᷣ14 lett. economia di raccolta). Non fu condotta, perciò, una vita collettiva su vasta
scala, né vennero accumulati beni, né si delineò un’organizzazione politica o gerarchica
di amministrazione di un potere. Che i membri d’un villaggio fossero praticamente pari
nello status è testimoniato sia dal fatto che tutti i morti venivano seppelliti
indistintamente in fosse comuni, sia dalle abitazioni scavate nel terreno, dette abitazioni
a fossa (tateana[shiki] jşkyo ┱ⓣ[ᑼ]ዬ15 lett. abitazioni consistenti in una buca
verticale), che avevano tutte pressoché una stessa struttura e dimensione.
ޣCUMULI DI CONCHIGLIEޤFinora sono stati rinvenuti lungo le coste circa
2.500 scarichi, chiamati kaizuka (⽴Ⴆ 16 lett. cumuli di conchiglie), utilizzati dagli
uomini preistorici, specie del periodo jŇmon (jŇmon jidai ✽ᢥᤨઍ), per depositarvi
rifiuti, in particolare gusci di conchiglie. Lì viene ritrovata una gran quantità non solo di
gusci di bivalvi, ma anche di cocci (doki ེ), strumenti di pietra (sekki ⍹ེ) ed altre
cose ancora che offrono informazioni archeologiche assai preziose.
ޣDOGŞ ޤAvviene che nelle zone archeologiche jŇmon vengano ritrovate statuette
di terracotta, dette dogş (17 lett. statue in forma umana di terra), che rappresentano
figure femminili. Si presume che tali opere fossero utilizzate a scopo religioso.
ޣPROTO-GIAPPONESIޤSecondo il parere prevalente degli studiosi, gli uomini
jŇmon sarebbero gli antenati diretti dei giapponesi odierni e sono denominati
proto-giapponesi (gen nihonjin ේᣣᧄੱ18), ma del processo della loro formazione non
si sa ancora molto di sicuro, come pure resta ancora un mistero se la lingua giapponese
sia geneticamente isolata o faccia parte di qualche famiglia.
21
§3. Periodo Yayoi (Età dei metalli)
CULTURA Verso il IV secolo ca. a.C. il Giappone entrò nell’età dei metalli
YAYOI (kinzokuki jidai ㊄ዻེᤨઍ 19 lett. periodo degli arnesi di metallo)
chiamata periodo Yayoi (Yayoi jidai ᒎ↢ᤨઍ20), che durò alcune centinaia di anni fino
al III secolo ca. d.C.. Ciò che ci dice che siamo in presenza di una nuova fase di cultura,
chiamata cultura Yayoi (Yayoi bunka ᒎ↢ᢥൻ), è, ancora una volta, la presenza di
stoviglie di terracotta (doki ེ): diversamente dal vasellame del periodo precedente,
le ceramiche Yayoi (yayoishiki doki ᒎ↢ᑼེ) è di qualità più dura e sottile, quindi
migliore ed hanno decorazioni assai semplici o ne sono addirittura completamente
prive.
22
ٟ Nel 1943 nella località ora chiamata Toro iseki (⊓ํㆮ〔27 sito archeologico
di Toro ψcarta 9) furono scoperte tracce di un villaggio del periodo Yayoi (Yayoi
jidai ᒎ↢ᤨઍ). Con gli scavi effettuati negli anni 1947-1950 è emerso che il
villaggio aveva un totale di oltre 75.000 m2 di risaie. Oggi il Toro iseki ⊓ํㆮ〔
è fra i siti archeologici di maggior interesse di tutto il Giappone.
ٟ Da quando fu introdotta la coltivazione del riso (kome ☨) ai giorni nostri
l’alimentazione dei giapponesi si è sempre basata sul riso (kome ☨) accompagnato
soprattutto da verdure e prodotti del mare. Si tratta di un regime alimentare
essenzialmente vegetariano denominato nihongata shokuseikatsu (ᣣᧄဳ㘩↢ᵴ28
lett. vita dietetica del tipo giapponese) che oggi gode di grande pregio.
ٟ Nel maggio del 2003 il National Museum of Japanese History (Kokuritsu rekishi
minzoku hakubutsukan ࿖┙ᱧผ᳃ଶඳ‛㙚29 lett. Museo nazionale di storia e
folclore giapponesi) ha fatto un annuncio sensazionale confermato successivamen-
te nel dicembre dello stesso anno. Nella parte settentrionale del Kyşshş Ꮊ
l’inizio dello Yayoi jidai ᒎ↢ᤨઍ, (e quindi anche della risicoltura) risalirebbe
intorno al X secolo a.C. Qualora il mondo accademico confermasse questi dati,
l’attuale descrizione del Giappone preistorico e protostorico subirà profonde
modifiche.
ٟ I cinesi ai tempi della dinastia Shang (Shang 30 giapp. ShŇ, 1500 ca.-1100 ca.
a.C.), ossia della dinastia che un tempo i giapponesi chiamavano In (Გ31 cin. Yin,
Yin) dal nome della sua ultima capitale, adoperavano già strumenti in bronzo
(seidŇki 㕍㌃ེ) fusi con tecniche progredite; avevano conosciuto inoltre, molto
tempo prima (intorno al 4000 a.C.), sia l’agricoltura sia la pastorizia, e verso l’VIII
secolo a.C. entravano nell’età del ferro (tekki jidai ㋕ེᤨઍ).
Quando nacque il grande impero unificato della dinastia Han (Han ṽ32
giapp. Kan, 202 a.C.- 220 d.C. [per la precisione, dinastia Han anteriore, 202 a.C.-
8 d.C. e dinastia Han posteriore, 25-220]), ebbero non poca influenza sui popoli
limitrofi con la loro cultura d’alto livello.
La ‘via della seta’ (giapp. Kinunomichi ⛚ߩ33㧘KinukaidŇ ⛚ⴝ34 o anche
Shiruku rŇdo ࠪ࡞ࠢ ࡠ࠼ dall’ingl. Silk Road), antichissima via carovaniera
che collegava la Cina con il Levante, ha la sua origine nell’epoca Han (Han ṽ
giapp. Kan).
23
ޣNASCITA DI TANTI PICCOLI STATI䇽 Il trapianto della risicoltura (inasaku
Ⓑ) trasformò radicalmente la società primitiva giapponese. Una volta appresa la
coltivazione del riso (kome ☨), che richiede sia una gran mole di lavori intensi che
un’ingente quantità d’acqua, le comunità cominciarono a ingrandire, spinte dall’esigenza
della collaborazione di numerosa manodopera. Divenne possibile mettere da parte
prodotti sovrabbondanti. Fu questo il primo passo verso la disgregazione sociale. È
fuor di dubbio che l’uso degli efficienti utensili di metello (tekki ㋕ེ) accelerò tale
processo.
Inoltre, i lavori in collaborazione tra più villaggi per il governo delle acque o per
l’irrigazione, richiedevano una coordinazione, che andò accrescendo man mano autorità
politica fino al punto che chi la esercitava poté definirsi dominatore o signore potente
(gŇzoku ⽕ᣖ35 lett. [capo di] clan influente), di una zona a carattere territoriale. Si
assiste così alla nascita di tanti ‘piccoli stati’ (shŇkoku ዊ࿖36). Siamo intorno al I secolo
a.C..
A partire dagli ultimi secoli a.C. cominciano a parlare del Giappone le fonti cinesi.
Una tra le testimonianze più antiche oggi nota sulle situazioni protostoriche giapponesi
è un breve cenno dello Hanshu (Han shu 䇺ṽᦠ䇻37 giapp. Kanjo, lett. libro della
dinastia Han ṽ). Riferendosi al Giappone intorno al I secolo a.C., il suo autore dice:
« Ho appreso che al largo della Corea abitano i woren (wo-jên ੱ38 giapp.
wajin, giapponesi). Sono organizzati in oltre 100 stati. Vengono periodicamente a
renderci omaggio con tributi ».
ٟ Lo Hanshu (Han shu 䇺ṽᦠ䇻 giapp. Kanjo) viene a volte chiamato anche
Qianhan shu (Ch’ien Han shu 䇺೨ṽᦠ䇻 39 giapp. Zenkanjo, lett. libro della
dinastia Han anteriore [202 a.C.-8 d.C]), perché malgrado il suo titolo non parla
dell’intera storia della dinastia Han, ma soltanto di quella degli Han anteriori,
Zenkan ೨ṽ, per l’appunto.
24
d’altro canto, che all’epoca dei ‘piccoli stati’ (shŇkoku ዊ࿖), c’erano in Giappone due
zone progredite, di cultura però alquanto diversa l’una dall’altra (ψi e j della carta 2).
Fra i reperti in bronzo dell’epoca, figurano armi a forma di spada (dŇken ㌃40
lett. spada di rame e dŇhoko ㌃㋿ o anche ㌃⍦41 lett. lancia di rame) ed oggetti a
forma di campana leggermente schiacciata e ritenuti di uso a scopo religioso (dŇtaku ㌃
㐇42 lett. campana [o sonaglio] di rame). I primi vengono ritrovati principalmente nella
parte settentrionale del Kyşshş (Kita Kyşshş ർᎺ43) e i secondi nella regione
chiamata Kinki (Kinki chihŇ ㄭ⇰ᣇ44 ψcarta 1). Oggi non si sa ancora a quale di
queste due zone si riferisca quella breve descrizione dello Hanshu (Han shu 䇺ṽᦠ䇻),
ossia del Kanjo.
YA M ATA I Più tardi, un altro libro di storia ufficiale cinese compilato nel III secolo
K O K U d.C., il Sanguo zhi (San-kuo chih 䇺ਃ࿖ᔒ䇻45 giapp. Sangokushi, lett.
Storia dei tre Regni), ci fornisce informazioni abbastanza dettagliate sul Giappone.
Dalle sue descrizioni che fanno riferimento al Giappone del III secolo ca., risulta
che c’era uno stato detto Yamatai (Yamatai koku ㇎㚍บ࿖46) e governato da una
regina di nome Himiko (ඬᒎ47 cin. Beimihu, Peimihu) che comandava ad una
trentina di stati. Ma non si sa dove si trovasse lo stato dello Yamatai koku ㇎㚍บ࿖, in
quanto se si seguisse l’itinerario così come segnato, si finirebbe addirittura nell’Oceano
Pacifico. Chi lo localizza nella parte settentrionale del Kyşshş (Kita Kyşshş ർᎺ),
chi nella zona dello Yamato (ᄢ48 oggi prefettura di Nara [Nara-ken ᄹ⦟⋵49] ψ
carta 8). In ogni caso, si può affermare che durante i primi secoli d.C. il Giappone
attraversava una fase di unificazione politica.
ޣVITA SPIRITUALE DEI GIAPPONESI AI TEMPI DELLO YAMATAI
KOKU ޤIl Sanguo zhi (San-kuo chih 䇺ਃ࿖ᔒ䇻 giapp. Sangokushi ) fa riferimento
anche agli usi e costumi dei giapponesi del III secolo ca. d.C.:
25
« [...] Quando muore qualcuno, la bara è trattenuta per oltre dieci giorni senza
essere seppellita. In questo frattempo non si mangia carne; il responsabile del
funerale piange ad alta voce, mentre gli altri cantano, ballano e bevono alcolici.
Inumata la salma, tutta la famiglia si purifica in acqua [...]. Quando vengono in Cina,
proibiscono ad uno di essi di pettinarsi, di ripulirsi dalle cimici, di lavarsi il vestito, di
mangiare carne e di avvicinarsi alle donne come se fosse in lutto. [...] Quando hanno
bisogno di prevedere il futuro, screpolano ossa sul fuoco per interpretare le
fenditure con profezie fauste o infauste, come da noi si ricorre alla divinazione con
gusci di tartaruga. [...] La regina Himiko ඬᒎ è assai abile ad influenzare la sua
gente con i suoi incantesimi medianici fra l’uomo e gli spiriti. [...] ».
Si ritiene che le descrizioni rispecchino la vita religiosa dei giapponesi del III secolo,
la quale in età posteriore prese il nome di shintŇ (50 lett. via delle divinità ψ§9).
Taluni elementi qui descritti quali pratiche purificatoria e sciamanica (ࠪࡖࡑ࠾࠭
ࡓ), sono ancor oggi vivi nella tradizione shintoista.
ٟ L’ultimo dei brani sopra riportati si trova, più precisamente, nel Wei zhi (Wei-
chih 䇺㝵ᔒ䇻51 giapp. Gishi ) che fa parte appunto del Sanguo zhi (San-kuo chih
䇺ਃ࿖ᔒ䇻 giapp. Sangokushi ). L’insieme delle sue descrizioni sul Giappone è noto
ai giapponesi con il nome di Gishi wajinden (㝵ᔒੱવ52 lett. descrizioni sui
giapponesi del Gishi 䇺㝵ᔒ䇻).
26
Tutto considerato, si presume che l’unità a livello quasi nazionale fosse compiuta
prima della metà del IV secolo. Ancora oggi non si sa che cosa fosse accaduto durante il
periodo a cavallo fra il III e il IV secolo, dato che, come detto, le fonti non ne fanno
menzione.
Il periodo Yayoi (Yayoi jidai ᒎ↢ᤨઍ) viene incluso a volte nell’età preistorica
(senshi jidai వผᤨઍ56), ossia fase di sviluppo culturale di cui non esistono documenti
ed altre volte nell’età protostorica (genshi jidai ේผᤨઍ57), fase di cui rimangono
materiali scritti ma quantitativamente scarsi e poco attendibili.
caccia, pesca e raccolta del cibo (saishş keizai ណ㓸⚻ᷣ) risicoltura (inasaku Ⓑ)
ʀ strumenti di pietra ʀ strumenti di pietra levigati ʀ strumenti di bronzo (seidŇki
scheggiati (dasei sekki (masei sekki ⏴⍹ེ) 㕍㌃ེ) e di ferro (tekki ㋕
ᛂ⍹ེ) ʀ ceramiche jŇmon (jŇmonshiki ེ)
ʀ cultura senza va- doki ✽ᢥᑼེ) ʀ dŇken ㌃, dŇtaku ㌃㐇
sellame (mudoki bun-
⽴Ⴆ
ʀ kaizuka ʀ ceramiche Yayoi (yayoishiki
ka ήེᢥൻ)
ʀ dogş doki ᒎ↢ᑼེ)
ʀ Yamatai koku ㇎㚍บ࿖
età paleolitica età neolitica età dei metalli
kyşsekki jidai shinsekki jidai kinzokuki jidai
ᣥ⍹ེᤨઍ ᣂ⍹ེᤨઍ ㊄ዻེᤨઍ
età preistorica età protostorica
senshi jidai genshi jidai
వผᤨઍ ේผᤨઍ
27
CAPITOLO II
29
motivo per cui a questa istituzione socio-politica si dà il nome di sistema shisei (shisei
seido ᳁ᆓᐲ65; nei testi in inglese: uji-kabane system).
ޣORIGINE DELL’IMPERATOREޤAl vertice della coalizione di potere c’era un
capo uji ᳁ che si potrebbe chiamare capo della federazione, ossia capo del gruppo di
quella famiglia chiamata oggi famiglia imperiale (kŇzoku ⊞ᣖ66 ψ§58). In origine,
quindi, anche l’imperatore (tennŇ ᄤ⊞67) era semplicemente capo di uno e un solo uji
᳁.
Per fare riferimento al capo dei capi uji ᳁, ossia al primus inter pares, si usava il
termine Ňkimi (ᄢ₺68 letto anche daiŇ, lett. gran re) che stava ad indicare il primo fra i
detentori del titolo Ň (₺ lett. re) concesso dalla Cina. L’uso del titolo sumeramikoto (ᄤ
⊞ oggi si legge esclusivamente tennŇ ed è reso, per tacito accordo, sempre come
imperatore) iniziò nel VII secolo. (cfr. origine mitologica imperiale ψ§9, §10)
ٟ Nel 1784 nei pressi del luogo dove si trova oggi la città di Fukuoka (ጟ69 ψ
carta 3) nel Kyşshş settentrionale (Kita Kyşshş ർᎺ) fu casualmente trovato
da un agricoltore un sigillo di puro oro massiccio (23mm × 23mm, 109g) che
porta incisi i seguenti cinque kanji: ṽᆔᅛ࿖₺70. Viene letto solitamente ‘Kan
no Wa no Na no kokuŇ’ (lett. re dello stato di Na del Wa [ossia Giappone] degli Han
[ossia Cina]; ᆔ = ). Il Na ᅛ era uno dei ‘piccoli stati’ (shŇkoku ዊ࿖) e si
trovava intorno all’anno uno d.C. appunto là dove si estende oggi la città di
Fukuoka ጟ.
Si sa che i gŇzoku ⽕ᣖ di quei tempi cercavano ottenere dalla Cina il
prestigioso titolo Ň ₺ per valersene a scopo politico. Anche Himiko ඬᒎ
aveva il titolo Ň ₺ concesso dalla Cina dei Wei (㝵 giapp. Gi, 220-265).
ٟ La residenza del tennŇ ᄤ⊞, ossia la corte (kyştei ችᑨ71), se la si considerava
come sede del governo, si chiamava chŇtei ᦺᑨ. Se il primo governo unitario è
detto Yamato chŇtei ᄢᦺᑨ, è perché si trattava del governo con sede presso la
corte sita nello Yamato ᄢ.
A partire dalla riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ72, dal 645 ψ§5) fino
30
a tutto il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ73 1600/1603-1867 ψ§39, §41) la
denominazione rimase, invece, semplicemente chŇtei ᦺᑨ.
PRINCIPE SHņTOKU È di quei tempi (592) l’ascesa al trono di una sovrana Suiko
E IL SUO IDEALE (Suiko tennŇ ផฎᄤ⊞ 81 r. 592-628), affiancata da un
personaggio di rilievo nella storia giapponese: il principe ShŇtoku (ShŇtoku taishi ⡛ᓼ
31
ᄥሶ82 574-622?), reggente (sesshŇ ៨83) dal 593.
Fra i diversi meriti politici, diplomatici e culturali a lui attribuibili figurano:
Il suo ideale politico, che cominciò a vedersi realizzato, tuttavia, soltanto dopo la
sua morte, consisteva, in ultima analisi, nel creare uno Stato centralizzato sotto l’autorità
indiscussa del sovrano (imperatore) invece del regime decentralizzato che lasciava ai
gŇzoku ⽕ᣖ ampie autonomie e la possibilità di sfidare il vertice.
* P.es. « Art. 1 - Date importanza all’armonia e per principio non litigate. [...]. / Art. 2 -
Venerate i Tre Tesori. I Tre Tesori sono Buddha (hotoke 87 ψ§12), il dharma (hŇ
ᴺ88 ψ§12) e la comunità dei monaci. [...]. / Art. 3 - Di fronte agli editti imperiali,
rendetevi ossequiosi. [...] ».
32
RIFORMA ޣCOLPO DI STATO ޤNel 645 il principe Naka no ņe (Naka no ņe
TAIKA no Ňji ਛᄢఱ⊞ሶ89 614?-671) destinato a diventare l’imperatore Tenji
(Tenji tennŇ ᄤᥓᄤ⊞90 r. 668-671), insieme con Nakatomi no Kamatari (ਛ⤿㎨⿷91
614-669), riuscì ad eliminare, in un bagno di sangue, il Sogauji (Sogashi ⯃ᚒ᳁) che
dominava la corte (Yamato chŇtei ᄢᦺᑨ), aprendo, così, la via per una serie di
rinnovamenti istituzionali che nell’insieme prende il nome di riforma Taika (Taika no
kaishin ᄢൻᡷᣂ92 lett. riforma di grande trasformazione) di capitale importanza.
89 Naka/ no/ ņ/e/ no/ Ň/ji ਛ 13/28 ᄢ 7/26 ఱ 1049/406 ⊞ 964/297 ሶ 56/103
90 Ten/ji/ ten/nŇ ᄤ 364/141 ᥓ 1416/2099 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
91 Naka/tomi/ no/ Kama/tari ਛ 13/28 ⤿ 981/835 ㎨ 1277/2257 ⿷ 305/58
92 Tai/ka/ no/ kai/shin ᄢ 7/26 ൻ 100/254 ᡷ 294/514 ᣂ 36/174
93 Mei/ji/ i/shin 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174
94 sen/go/ no/ kai/kaku ᚢ 88/301 ᓟ 45/48 ߩᡷ 294/514 㕟 686/1075
95 nen/gŇ ᐕ 3/45 ภ 368/266
96 Ten/pyŇ ᄤ 364/141 ᐔ 143/202
97 JŇ/kyş ᛚ 861/942 ਭ 591/1210
98 Mei/ji 84/18 ᴦ 181/493
99 JŇ/kyş/ no/ ran ᛚ 861/942 ਭ 591/1210 ߩੂ 734/689
100 Mei/ji/ i/shin 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174
33
vennero cambiati frequentemente in occasione, per esempio, dell’insediamento
d’un nuovo tennŇ ᄤ⊞, di avvenimenti fausti o infausti d’un certo rilievo e per
altri motivi ancora. A partire dal 1868, tuttavia, si è usato un solo nengŇ ᐕภ
durante tutto il regno d’un tennŇ ᄤ⊞. Ad esempio, il 2005 è il XVII anno Heisei
(Heisei Jşshichinen ᐔᚑච৾ᐕ101), e lo Heisei ᐔᚑ durerà fino al decesso o
all’eventuale abdicazione dell’attuale CXXV tennŇ (ovvero kinjŇ tennŇ ᄤ⊞102
lett. attuale tennŇ che sta in alto. Soltanto dopo il suo decesso o l’eventuale
abdicazione si chiamerà Heisei tennŇ ᐔᚑᄤ⊞).
ٟ Il Nakatomiuji (Nakatomishi ਛ⤿᳁ ) si occupava degli affair del culto
shintoista dello Yamato chŇtei ᄢᦺᑨ. Nakatomi no Kamatari ਛ⤿㎨⿷, in
riconoscimento dei suoi meriti per la riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ),
ebbe un nuovo uji ᳁ appunto dall’imperatore Tenji (Tenji tennŇ ᄤᥓᄤ⊞) e si
chiamò Fujiwara no Kamatari ⮮ ේ ㎨ ⿷ 103 , capostipite di quei Fujiwarauji
(Fujiwarashi ⮮ ේ ᳁ ) che nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ ᤨ ઍ 104
794-1185/1192) dominarono a loro volta la vita politica giapponese (ψ§16).
Ԙ Avocazione allo Stato di tutti i terreni e della popolazione che prima erano alle
dirette dipendenze di ogni singolo gŇzoku ⽕ᣖ, principio chiamato kŇchi kŇmin
(᳃106 lett. suolo pubblico e popolazione pubblica).
ԙ Creazione di un apparato burocratico centralizzato e di reti stradali.
Ԛ Introduzione di nuovi regimi, fondiario e tributario, a sostegno della nuova
struttura politica.
< TaihŇ ritsuryŇ > Nel 701 fu portata a termine la redazione del codice detto
TaihŇ ritsuryŇ (ᄢቲᓞ 107 in vigore dal 702; TaihŇ ᄢቲ: nengŇ ᐕภ), legge
fondamentale dello Stato, modellata sulla legislazione cinese della dinastia Tang (T’ang
34
໊108 giapp. TŇ, 618-907 ψ§8). All’inizio dell’VIII secolo il Giappone divenne così
uno stato governato a norma di legge. Il ritsu (ᓞ109 cin. lü, lü) e il ryŇ (110 cin. ling,
ling) corrispondono rispettivamente al codice penale e, grosso modo, all’insieme dei
codici amministrativo e civile. Al centralismo retto dal codice ritsuryŇ ᓞ si fa
riferimento con l’espressione di ritsuryŇ seido (ᓞᐲ111 lett. sistema ritsuryŇ).
108 TŇ ໊ 1668/1697
109 ritsu ᓞ 1048/667
110 ryŇ 668/831
111 ritsu/ryŇ/ sei/do ᓞ 1048/667 668/831 196/427 ᐲ 83/377
112 jin/gi/kan 229/310 non reg./non reg. ቭ 225/326
113 dai/jŇ/kan ᄥ 343/629 50/483 ቭ 225/326
114 dai/jŇ/ dai/jin ᄥ 343/629 50/483 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
115 sa/dai/jin Ꮐ 477/75 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
116 u/dai/jin ฝ 503/76 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
117 dai/na/gon ᄢ 7/26 ⚊ 994/758 ⸒ 279/66
118 shŇ ⋭ 245/145
119 kuni ࿖ 8/40
120 koku/shi ࿖ 8/40 ม 712/842
121 gun 797/193
122 gun/ji 797/193 ม 712/842
35
Alle località chiave furono preposti organi speciali, fra cui il Dazaifu (ᄢቿᐭ123 lett.
governatorato del capo dei funzionari pubblici ψ carta 3) nel Kyşshş settentrionale
(Kita Kyşshş ർᎺ) tra l’altro per esigenze diplomatiche e di difesa nazionale.
䎃 ቭ
REGIMI FONDIA- L’obiettivo di fondo del sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞ
RIO E TRIBUTARIO ᐲ) stava nel concretizzare il principio di ‘suolo e popolo di
dominio pubblico’ (kŇchi kŇmin ᳃ ψ§5).
Difatti, tutti i terreni e tutte le popolazioni, tranne certe categorie di paria, furono
dichiarati soggetti allo Stato; intanto, sull’esempio del sistema fondiario-tributario della
Cina dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ) era varato un meccanismo d’amministrazione del
suolo e delle entrate finanziarie: furono assegnate vita natural durante determinate
porzioni di terreno chiamato kubunden (ญಽ↰124 lett. risaie ripartite per numeri di
36
bocche) a quanti avessero oltre 6 anni d’età (Handen shşju no hŇ ⃰↰ᴺ125 lett.
regolamento di distribuzione ed incameramento dei terreni) con l’obbligo di pagare
un’imposta (in pratica, locale) so ⒅126 in natura (riso) e un’altra chŇ ⺞127 ugualmente
in natura (prodotti regionali quali seta, cotone, fili, tessuti, riso, sale ecc.). Ce n’era poi
una terza, detta yŇ ᐾ128, consistente nelle prestazioni di manodopera per lavori di fatica,
oppure in sostituzione, col controvalore pagabile in natura (tessuti). I terreni dei defunti
venivano incamerati in occasione della prima assegnazione terriera successiva al
decesso.
Il trasporto di chŇ ⺞ e yŇ ᐾ fino alla capitale, da effettuare con spese e vitto a
carico dei contribuenti stessi, costituiva un onere particolarmente gravoso quanto lo
erano le corvée (zŇyŇ 㔀ᓷ129) da prestare per ordine del kokushi ࿖ม, nonché gli
obblighi di leva. Molti contadini-trasportatori, chiamati unkyaku (ㆇ⣉130 lett. gambe
che trasportano), partiti dalla loro casa a fossa (tateana[shiki] jşkyo ┱ⓣ[ᑼ]ዬ ψ§2)
in cui abitavano ancora nelle province, non vi ritornarono più, perché letteralmente
morti di fame, specie affrontando il viaggio di ritorno. Si pensi che un viaggio di andata
e ritorno poteva richiedere 30-40 giorni di cammino con carichi sulle spalle.
37
(shisei seido ᳁ᆓᐲ) si suddivideva al suo interno in cinque categorie chiamate
goshiki no sen (⦡ߩ⾭134 lett. cinque specie di paria). Certe categorie di senmin
⾭᳃ erano soggette a compravendita al pari dei loro avi.
§7. Periodo Nara (710-794) e inizio del crollo del regime fondiario
DAL PERIODO YAMATO Prima dell’VIII secolo la sede della corte (chŇtei ᦺᑨ),
AL PERIODO NARA ossia del governo, si spostava frequentemente quasi
sempre nell’ambito della zona dello Yamato ᄢ.
Nel 710 la corte (chŇtei ᦺᑨ) venne trasferita per l’ennesima volta, ma questa volta
in una città ancora più grandiosa della precedente sede governativa, costruita
sull’esempio della capitale cinese d’allora: Chang’an (Ch’ang-an 㐳136 giapp. ChŇan
ψcarta 11; oggi Xi’an, Hsi-an 137 giapp. Seian). La città prese il nome di HeijŇkyŇ
(ᐔၔ੩138 lett. capitale-cittadella della pace, oggi città di Nara ᄹ⦟139 ψcarta 7).
38
Il periodo che va dalla Piano di HeijŇkyŇ ᐔၔ੩
nascita del governo Yamato Le sue strade ricordano la scacchiera
(Yamato chŇtei ᄢ ᦺ ᑨ ̆̆̆̆̆̆̆̆̆
ψ§3) al 710 è chiamato pe-
żShŇsŇin (Ⱥ§13)
riodo Yamato (Yamato jidai żTŇdaiji (Ⱥ§13)
ᄢᤨઍ o anche Yamato KŇfukuji (Ⱥ§18)
chŇtei jidai ᄢᦺᑨᤨઍ) ż
e i successivi 84 anni perio- ż città odierna di Nara
do Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨ TŇshŇdaiji (Ⱥ§13)
Yakushiji (Ⱥ§13)
ઍ 710-794).
0 2km
Gli studiosi giapponesi
chiamano kodai ( ฎ ઍ 140 città di Yamato kŇriyama
lett. età antica) l’insieme dei
tre periodi di Yamato (Yamato jidai ᄢᤨઍ, metà IV sec.-710), Nara (Nara jidai ᄹ
⦟ᤨઍ 710-794) e successivo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ141 794-1185/1192 ψ
§15).
La storia del Giappone esce dalla fase protostorica (genshi jidai ේผᤨઍ142) verso il
VI-VII secolo. Qui sotto si dà uno specchietto della periodizzazione della storia politica
e con l’occasione anche della storia della cultura, specie delle arti figurative, fino all’VIII
secolo:
E T À A N T I C A ฎ ઍ
Unità naziona- Avvento del Inizio della
l e c o mp iu ta buddhismo riforma Taika
IV sec. 538 645 710 794
ᄢ ᤨ ઍ periodo NARA
s t o r i a periodo YAMATO
periodo Asuka 㘧㠽ᤨઍ ᄹ⦟ᤨઍ
politica
Sistema shisei ᳁ᆓᐲ sistema ritsuryǀ ᓞᐲ
storia del- cultura KOFUN cultura ASUKA c. HAKUHƿ cultura TENPYƿ
la cultura ฎზᢥൻ 㘧㠽ᢥൻ ⊕㡅ᢥൻ ᄤᐔᢥൻ
39
uno dei momenti più gloriosi appunto durante il periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ).
Tuttavia, nonostante la floridezza della sovrastruttura, la base dell’ordinamento
ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞᐲ) cominciò a vacillare a causa degli oneri eccessivi
imposti ai contadini. Già agli inizi del periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) ci furono
casi di abbandono (tŇbŇ ㅏ143 lett. fuga o anche furŇ ᶋᶉ144 lett. vagabondaggio) di
kubunden ญಽ↰, proprio quando, invece, lo Stato aveva bisogno di entrate crescenti.
Inoltre si assisteva ad una crescita demografica. In breve, occorreva più terra coltivata
per arricchire le casse dello Stato.
ޣSANZE ISSHIN NO Hņ ޤPer venire incontro all’esigenza di maggiori entrate
venne emanato l’editto Sanze isshin no hŇ (ਃ৻りᴺ145 lett. regolamento di tre
generazioni o una generazione, 723) che permetteva a chi dissodasse terreni di coltivarli,
naturalmente con l’obbligo di pagare le imposte, per un periodo di una o tre genera-
zioni.
Il provvedimento, tuttavia, si rivelò insufficiente. Ci voleva un incentivo decisa-
mente allettante.
ޣKONDEN EINEN SHIZAI Hņ ޤA questo punto lo Stato, venendo meno al
proprio principio iniziale (ossia kŇchi kŇmin ᳃ lett. suolo pubblico e popo-
lazione pubblica ψ§5), finiva nel 743 per autorizzare quanti dissodassero terreni a
privatizzarli ‘per sempre’ con l’editto Konden einen shizai no hŇ (ნ↰᳗ᐕ⑳⽷ᴺ146 lett.
legge sulla privatizzazione eterna dei terreni dissodati, detto anche Konden eitai shiyş rei
ნ↰᳗ઍ⑳147 lett. ordinanza sulla eterna proprietà privata dei terreni dissodati).
Quest’ultimo provvedimento costituì uno dei momenti decisivi nel corso della storia del
Giappone.
ޣINIZIO DELLA FORMAZIONE DEGLI SHņEN ޤI nobili residenti alla
capitale e i grandi templi buddhisti e shintoisti, categorie principali che disponevano
allora di mezzi necessari, diedero il via alla gara di acquisizione delle terre incolte,
assorbendo manodopera alimentata da non pochi contadini fuggiti dai kubunden ญಽ
↰, perché oberati dalle imposte: fu così l’inizio della formazione di ‘vasti possedimenti
ᴺ 145/123
147 Kon/den/ ei/tai/ shi/yş/ rei ნ 1962/1136 ↰ 24/35 ᳗ 690/1207 ઍ 68/256 ⑳ 221/125 268/265
668/831
40
terrieri privati’, detti shŇen (⨿148 lett. [shŇ ⨿] edificio per l’amministrazione del
terreno e [en ] campo coltivato), che a loro volta determinarono fondamentalmente
l’evoluzione della storia giapponese, per circa 800 lunghi anni, fino al XVI secolo.
EMISSIONE Sempre sull’esempio cinese dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ) fu coniata
DI MONETE per la prima volta nel 708 una moneta d’argento e di rame, chiamata
wadŇ kaihŇ (ห㐿⃠150 letto anche wadŇ kaichin; WadŇ ห: nengŇ ᐕภ. Il significato
di kaihŇ/kaichin è poco chiaro.), e nel periodo che va dal 708 al 958 vennero battuti
dodici tipi di monete (kŇchŇ jşnisen ⊞ᦺචੑ㌛151 lett. dodici monete del governo
imperiale), ma generalmente l’ambito della loro circolazione era limitato alla capitale e
alle zone circostanti. Infatti, per soddisfare le esigenze della vita quotidiana, la gente
ricorreva ancora al baratto. Era soprattutto il riso (kome ☨) a sostituirsi al ruolo delle
monete.
41
Yamato (Yamato chŇtei ᄢᦺᑨ), la Cina aveva già alle spalle una lunga storia di civiltà.
Era naturale che una cultura di così alto livello come quella cinese dovesse estendersi al
Giappone, proprio per motivi geografici, tramite la penisola coreana. A partire dal V
secolo l’introduzione si andò intensificando, specie per merito degli immigrati (toraijin
ᷰ᧪ੱ152 lett. gente proveniente dall’estero, detti a volte anche kikajin Ꮻൻੱ153 lett.
i naturalizzati) cinesi e soprattutto coreani. Essi portarono con sé conoscenze e tecniche
di diversi settori, realizzando un balzo in avanti della cultura, delle tecniche e della
produzione agricola del Giappone.
Particolarmente meritevoli furono i contributi apportati da coloro venuti dallo Stato
coreano di Paekche ([pronuncia: in italiano si scriverebbe Pec’ce] ⊖ᷣ 154 giapp.
Kudara, 350 ca.- 660 ψcarta 11). Al più tardi nel VI secolo vennero introdotti, per il
tramite degli immigrati (toraijin ᷰ᧪ੱ) o da Kudara ⊖ᷣ, anche i caratteri cinesi
(kanji ṽሼ155 ψ§11), il confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ156 giapp. jukyŇ ψ§53)
e il buddhismo (bukkyŇ ᢎ157 ψ§12) tutti destinati ad esercitare grande influenza
sulla storia e cultura giapponese.
I toraiji ᷰ᧪ੱ, cui veniva riconosciuto valore e merito della loro presenza, ebbero
adeguate sistemazioni anche nella struttura governativa.
42
ٟ In Cina alla dinastia Sui (Sui 㓍 giapp. Zui) di breve durata successe la
gloriosa dinastia dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ) che dominava un territorio
sconfinatamente vasto estendentesi ad ovest fin quasi al Mar Caspio (Kasupikai
ࠞࠬࡇᶏ161). Riprese il traffico est-ovest che era stato a lungo inerte dopo la
caduta della dinastia Han (Han ṽ giapp. Kan ψ§3). La capitale Chang’an
(Ch’ang-an 㐳 giapp. ChŇan) con oltre un milione di abitanti era a quei tempi
una fiorente città cosmopolita.
« Il Figlio del cielo del paese dove sorge il sole presenta questa lettera al Figlio
del cielo del paese dove tramonta il sole. Sta bene? [...]»
Visto che i cinesi erano (e sono) consapevoli di essere culturalmente superiori a tutti
gli altri popoli (chşka shisŇ ਛ⪇ᕁᗐ164 visione sino-centrica, sinocentrismo), la frase
citata non poté che provocare l’ira dell’allora imperatore cinese. Difatti avrebbe
comunicato all’addetto agli affari esteri: « È una lettera dei barbari. Manca del dovuto
43
rispetto. Non riferite più le loro parole ». L’episodio ci induce comunque a notare che
nel VII secolo, diversamente dai tempi in cui il titolo Ň (₺ lett. re) era stato concesso
dalla Cina, il consolidamento della base dello Stato aveva fatto nascere in Giappone
aspirazioni tese ad innalzare il prestigio nazionale. (ψ§10)
< Episodio 2: Abe no Nakamaro > Tra gli studenti dell’invio dell’anno 717 ci fu
un giovane di nome Abe no Nakamaro (㒙ખ㤗ํ165 698-770).
La seguente poesia citata in parecchi classici è oggi nota praticamente a tutti i
giapponesi. Si tratta di un cosiddetto waka (166 lett. poesia giapponese ψ§11) che
Nakamaro ખ㤗ํ compose pensando con nostalgia alla capitale Nara ᄹ⦟, quando
gli si offrì nel 753 un’occasione di rimpatriare:
ᄤߩේ167߰ࠅߐߌ168ࠇ߫ᤐᣣ169ߥࠆਃ═170ߩጊ171ߦߢߒ172߆߽
Amanohara / furisake mireba / Kasuga naru / Mikasa no yama ni / ideshi tsuki kamo
[Trad. Guardo su verso il firmamento, quand’ecco vedo quella luna che
avevo visto salita sul monte Mikasa a Kasuga!]
44
giapponesi era circondata da innumerevoli divinità, dette kami 173, di svariata origine
e natura. Mettendole insieme, si parla infatti di ottocento miriadi (ossia ottomilioni) di
kami (yaoyorozu no kami ⊖ਁߩ174).
Costituiva oggetto di culto qualsiasi cosa purché incutesse timore o fosse ritenuta
dotata d’una forza straordinaria e misteriosa, benefica o malefica che fosse. Così, pote-
vano essere venerati come kami volpi, serpenti, spade, pietre lavorate e qualunque
oggetto del mondo naturale quali astri, rocce, montagne, fiumi, alberi, e via dicendo.
Accanto alla credenza primitiva essenzialmente animistica (ࠕ࠾ࡒ ࠭ࡓ lett.
animismo) e sicuramente di origine molto antica, sorse in seguito alla formazione dei
gruppi di famiglie uji (᳁ ψ§4) un altro tipo di kami , ossia divinità protettrici
chiamate ujigami ᳁, che ogni uji ᳁ si assegnava. Tale culto (ujigami shinkŇ ᳁ା
ઔ 175 ) consisteva e consiste nel venerare gli antenati dell’uji ᳁ di appartenenza.
L’ujigami ᳁ poteva essere a volte protettore di tutti i nativi di uno stesso luogo.
45
di purificazione ritenuti necessari per mettersi in comunicazione con i kami , in
quanto ai kami non piaceva (e non piace) lo stato contaminato (kegare ⓚࠇ182
scritto anche ᳪࠇ lett. impurità, sporcizia), specie in senso spirituale e morale.
Con l’avvento nel VI secolo del buddhismo (bukkyŇ ᢎ183), l’insieme di questi
culti e riti, con l’aggiunta di altri elementi folcloristici e locali, venne ad essere distinto
con il nome di shintŇ (184 lett. via dei kami ; it. shintoismo, scintoismo).
ޣRELIGIONE NATURALISTICA E RURALE CARATTERIZZATA DAL-
LA MAGIAޤIn sintesi, per shintŇ , almeno nella sua forma primitiva, s’intende il
complesso di pratiche magiche, usi e costumi sorti intorno alla produzione risicola dei
giapponesi. Originariamente, quindi, non esisteva dottrina, né v’erano libri sacri
paragonabili alla Bibbia o al Corano. Anche oggi il vero contenuto dello shintŇ
consiste nei riti magici per il benessere e la felicità della vita terrena, nonché per
l’allontanamento dei mali di questo mondo.
ޣFAMIGLIA IMPERIALE E AMATERASU ņMIKAMI ޤDurante il periodo
kofun (kofun jidai ฎზᤨઍ185 ψ§13) vennero man mano costruiti santuari (jinja ␠
186 it. santuario shintoista) da consacrare ai kami , animali, oggetti materiali o ujigami
᳁ che fossero. Fra i più noti è l’Ise jingş (દች187 santuario shintoista di Ise)
sito nella città di Ise (દ ψcarta 7) e dedicato alla divinità centrale della mitologia
giapponese ( ψ §10), Amaterasu Ňmikami ( ᄤ ᾖ ᄢ [ ᓮ ] 188 lett. grande divinità
illuminatrice del cielo; tradotta comunemente come dea del sole) da cui l’uji ᳁
dell’Ňkimi ᄢ₺189, ovvero la casa imperiale, pretendeva di discendere.
46
KOJIKI E NI- Con il progressivo consolidarsi della base dello Stato centralizzato, la
HON S HOKI corte (chŇtei ᦺᑨ190) cominciò ad interessarsi dell’attività storiogra-
fica e produsse, agli inizi dell’VIII secolo, due opere sulla storia del Giappone, la quale,
per non poche parti, è inventata o modificata a scopo politico e, per giunta, si identifica
con la storia della famiglia imperiale: Kojiki (䇺ฎ⸥䇻191 lett. cronaca di cose antiche,
it. Cronaca di antichi avvenimenti, 712) e Nihon shoki (䇺ᣣᧄᦠ♿䇻192 it. Annali del Giappone,
720; dapprima chiamato Nihongi 䇺ᣣᧄ♿䇻193 e a partire dal periodo Heian [Heian jidai
ᐔᤨઍ194 794-1185/1192] Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻).
Entrambe iniziano dai tempi mitologici. Il primo arriva fino agli inizi e il secondo
alla fine del VII secolo. Il Kojiki 䇺ฎ⸥䇻 è un’opera in prevalenza letteraria, e perciò,
sotto l’aspetto dell’attendibilità, salvo naturalmente la mitologia, il Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ
♿䇻 le è superiore. Quest’ultimo, inoltre, fu scritto apparentemente con l’intento di
elevare il prestigio nazionale nei confronti dei cinesi.(ψ§8)
Al fine di tenere i gŇzoku ⽕ᣖ sotto controllo la corte (chŇtei ᦺᑨ) introdusse nel
campo politico il sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞᐲ195 ψ§6); nel campo spirituale
unificò intorno agli antenati della casa imperiale miti e leggende che riguardavano gli
ujigami (᳁ ψ§9) d’altri uji ᳁ con il preciso intento di legittimare la supremazia
politica dell’imperatore (tennŇ ᄤ⊞). La mitologia, chiamata kiki no shinwa (⸥♿ߩ
196 lett. mitologia del Kojiki 䇺ฎ⸥䇻 e Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻; kiki ⸥♿ φ
Koji/ki 䇺ฎ⸥䇻 㧗 Nihon sho/ki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻; detta anche Nihon shinwa ᣣᧄ
197 lett. mitologia giapponese), quale oggi si legge nelle suddette due opere
storiografiche, venne così creata intenzionalmente (ψ§79) presso la corte (chŇtei ᦺᑨ).
Data tale forzatura, sono presenti qua e là incoerenze.
Inoltre i primi quattordici sovrani (ovvero tennŇ ᄤ⊞) di cui parlano i due libri di
storia giapponese sono comunemente ritenuti mitici, perciò mai esistiti.
Quando si separarono il cielo e la terra, nel paese celeste di nome Takama ga Hara (㜞ᄤ
47
ේ 198 lett. piano dell’alto cielo) apparvero dopo diverse generazioni due kami , un
maschio e una femmina: l’augusto Izanagi (Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ199; mikoto :
suffisso onorifico) e l’augusta Izanami (Izanami no mikoto દ㇎㇊⟤200).
I due si sposarono e crearono innanzi tutto l’arcipelago giapponese (ņyashima ᄢᵮ
201 lett. molte isole). Generarono poi molti kami fra cui la divinità del fuoco, ma nel
partorirla Izanami no mikoto દ㇎㇊⟤ si ustionò e morì. Rattristatosi per la sua morte,
Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ, la inseguì nel mondo dei morti (Yomi no kuni 㤛ᴰ࿖202 lett.
paese delle sorgenti gialle). La moglie, però, gli fece promettere di non guardarla finché non
avesse ottenuto il permesso di ritornare fra i vivi, ma Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ, venuto
meno alla parola data, la guardò e la trovò in stato di decomposizione. Atterrito, scappò
dall’oltretomba ed andò a lavarsi in acqua per purificarsi (misogi ψ§9).
Quando si lavò l’occhio sinistro, nacque la dea del sole (Amaterasu Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ]
ψ§9). Quando si lavò l’occhio destro, nacque la divinità della luna (Tsukuyomi no mikoto
⺒203) ed infine quando si lavò il naso, nacque la divinità della tempesta (Susanoo no
mikoto 㗇ਯ↵204). Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ ordinò allora a questi tre figli di
governare rispettivamente il Takama ga Hara 㜞 ᄤ ේ , la notte e il mare. Tuttavia,
l’ultimogenito disobbedì, dicendo di voler andare, chissà perché, al paese della madre, cioè al
mondo delle tenebre. Sentendolo dire questo, l’augusto Izanagi (Izanagi no mikoto દ㇎㇊ጘ
) andò in collera e lo mandò in esilio in Izumo (Izumo no kuni 㔕࿖205 provincia di
48
Izumo, oggi la metà orientale della prefettura di Shimane [Shimane-ken ፉᩮ⋵206] ψcarta
5). Lì l’augusto Susanoo (Susanoo no mikoto 㗇ਯ↵) prese moglie e cominciò ad
estendere la sua autorità nel mondo terrestre.
ٟ In questo nostro testo kuni ( ࿖ 207 ingl. province, it. provincia), unità
d’amministarazione locale premoderna, è tradotto quale provincia seguendo la
tradizione accademica italiana, e ken (⋵208 ingl. prefecture, it. prefettura), unità
d’amministrazione locale nell’età moderna e contemporanea o, meglio, versione
moderna del kuni, è reso come prefettura sempre in conformità alla tradizione
accademica italiana, anche se è improprio usare il termine italiano ‘prefettura’ in
senso ‘territoriale’.
La dea del sole, Amaterasu Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ] , d’altro canto, pensando che il
Giappone doveva essere governato da un suo figlio, trattò la donazione della terra di Izumo
㔕 con l’augusto ņkuninushi (ņkuninushi no mikoto ᄢ࿖ਥ209 lett. padrone del
grande paese), discendente di Susanoo no mikoto 㗇ਯ↵.
Riuscita a pattuirla dopo molti anni, Amaterasu Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ] inviò un suo
nipote (Ninigi no mikoto ㆸㆸ⧓210) a governare il Giappone. [A questo punto successe un
grosso disguido.] Il nipote [invece di scendere logicamente in Izumo 㔕] scese [chissà
perché] nel Kyşshş Ꮊ, sul monte Takachihonomine (㜞ජⓄፄ211 ψcarta 3) (discesa
denominata tenson kŇrin ᄤቊ㒠⥃212 lett. discesa del nipote celeste), portando con sé tre
insegne imperiali (Sanshu no jingi ਃ⒳ེ213 lett. tre utensili divini, ossia Spada [Kusanagi
no tsurugi ⨲⭿214], Specchio [Yata no kagami ຎ㏜215] e Gioielli [Yasakani no magatama
ዤ Ⅽ ߩ ᦛ ₹ 216 ]) consegnatigli dalla dea del sole con l’incarico di tramandarli di
generazione in generazione.
Dopo tre generazioni, un uomo destinato a diventare il primo sovrano con il nome di
Jinmu (Jinmu tennŇ ᱞᄤ⊞217 lett. imperatore Jinmu) organizzò una spedizione militare
verso est e salì al trono nel 660 a.C. in Yamato (ᄢ ψ§3).
ޣFUDOKI ޤNel 713, ossia nell’anno successivo alla compilazione del Kojiki 䇺ฎ
⸥䇻, la corte (chŇtei ᦺᑨ) ordinò a ciascuna provincia (kuni ࿖) la compilazione di
un’opera, chiamata fudoki (㘑⸥ 219 lett. note geo-etnografiche), su produzione
49
mineraria, flora, fauna, fertilità del terreno, toponomi, leggende, folclore ecc. Si tratta di
materiali utili ai fini conoscitivi delle situazioni provinciali non rilevabili dalle due opere
del Kojiki 䇺ฎ⸥䇻 e del Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻 incentrate sulla famiglia imperiale.
Purtroppo sono andate quasi tutte disperse e oggi ne restano soltanto cinque, di cui ci è
giunta in forma integrale una sola: Izumo fudoki (䇺㔕㘑⸥䇻 lett. fudoki della
provincia di Izumo, 733).
§11. Letteratura
MAN’YņSHŞ Ad una data non precisata della seconda metà del periodo Nara (Nara
jidai ᄹ⦟ᤨઍ 710-794) risale una delle maggiori opere dell’intera
letteratura giapponese: Man’yŇshş (䇺ਁ⪲㓸䇻220 it. Raccolta di diecimila foglie, seconda
metà VIII sec.), cioè l’antologia più antica tramandataci di circa 4.500 liriche cantate
nell’arco di 400 anni dal IV all’VIII secolo.
Una sua peculiarità che la distingue da tutte le altre opere del genere compilate in
età posteriori è che gli autori delle liriche ivi incluse provenivano da tutti i ceti sociali.
Per non parlare di tennŇ ᄤ⊞, membri della famiglia imperiale e cortigiani, fra gli autori
figurano anche contadini, mendicanti e soldati detti sakimori (㒐ੱ221 lett. difensori)
inviati nel Kyşshş Ꮊ per la difesa nazionale (ψ§6). Ciò sta a dimostrare Ԙ che la
classe dominante, diversamente da quella dell’età successiva, manteneva ancora contatti
diretti con le masse e non viveva in un mondo chiuso e riservato a sé (ψ§20), e ԙ che
anche un contadino, una contadinella o una massaia improvvisavano poesie in qualsiasi
momento della loro vita quotidiana.
Il tono prevalente è la schiettezza d’animo espressa senza artifici (detto man’yŇchŇ
ਁ⪲⺞222 lett. tono del Man’yŇshş), e anche per questo il Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 si
distingue da tutte le altre raccolte di poesie. A questo riguardo è da segnalare che molti
secoli più tardi venne elogiato più volte proprio per questa sua qualità (‘makoto’ no
bungaku 䇸 ߹ ߎ ߣ 䇹 ߩ ᢥ ቇ 223 lett. letteratura della ‘sincerità’) che rispecchia la
spontaneità dell’animo degli antichi.
50
ٟ La letteratura giapponese non ha tradizioni di poesia epica (jojishi ค224).
Tutti i componimenti poetici sono liriche (jojŇshi ᛦᖱ225). Il cosiddetto Man’yŇ
[no] jidai (ਁ⪲[ߩ]ᤨઍ lett. tempi del Man’yŇ, ovvero poco oltre un secolo che
arriva alla metà del periodo Nara) fu l’epoca d’oro delle liriche.
stessa emissione di voce) nei trattati di letteratura giapponese, si chiama a stretto rigore
haku (ᜉ ‘tempo’ nel senso dell’espressione di ‘battere il tempo’).
Così, ciascun kana ฬ quali per esempio
, , ߁, ߫, ߬, ࠎ, ߟ, ߞ (ߟ piccolo)
51
ٟ Dal punto di vista della lingua italiana le due espressioni Nippon ᣣᧄ e
Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 sarebbero sillabate così: Nip/pon (due sillabe), Man/yŇ/shş
(tre sillabe). Si tenga presente che la divisione in sillabe e quella in haku ᜉ fanno
riscontro nella stragrande maggioranza dei casi, ma non sempre.
52
↰ሶߩᶆ237ࠁ߁ߜ238ߢߡࠇ߫⌀⊕239ߦߙን჻240ߩ㜞Ꭸ241ߦ㔐242ߪ㒠243
ࠅߌࠆ
Tagonoura yu / uchiidete mireba / mashiro ni zo / Fuji no takane ni / yuki wa furikeru
[Trad. Attraversato Tagonoura, ecco apparire davanti a me alta in cielo e bianca di
neve la vetta del monte Fuji!]
Autore: Yamabe no Akahito (ጊㇱ⿒ੱ244 VIII sec.)
Risulta che il primo e il secondo verso hanno uno haku ᜉ in eccesso. Si tratta d’un
fenomeno, piuttosto raro, chiamato jiamari (ሼࠅ245 lett. kana ฬ di troppo).
L’autore Yamabe no Akahito ጊㇱ⿒ੱ, insieme con Kakinomoto no Hitomaro (ᩑ
ᧄੱ㤗ํ246 seconda metà VII sec.), fu in pratica poeta di corte (kyştei shijin ችᑨੱ
247). Akahito ⿒ੱ è noto per le sue poesie pittoresche.
ٟ Si segnala con l’occasione che la letteratura giapponese non ha mai avuto una
tradizione di poeti di corte (kyştei shijin ችᑨੱ). In questo senso Hitomaro ੱ
㤗ํ e Akahito ⿒ੱ erano figure eccezionali.
ٟ I lettori sono invitati a constatare che il waka citato al §8 di Abe no
Nakamaro 㒙ખ㤗ํ segue lo schema di 5-7-5-7-7.
53
ᤐ248ㆊ249߉ߡᄐ250᧪251ߚࠆࠄߒ⊕ᩪ252ߩ253ᐓ254ߒߚࠅᄤ255ߩ㚅ౕጊ256
Haru sugite / natsu kitaru rashi / shirotae no / koromo hoshitari / ama no Kaguyama
[Sembra che sia passata la primavera e siamo in estate. Vedo abiti bianchi esposti al
sole sul celeste monte Kagu.]
Autrice: imperatrice regnante JitŇ (JitŇ tennŇ ᜬ⛔ᄤ⊞257 r. 690-697)
ߥ㉛258ߊ⾫259ߒࠄࠍߔߣ㈬260㘶261߹ߧੱ262ࠍࠃߊ263ࠇ߫₎264ߦ߆߽ૃ
265ࠆ
Ana miniku / sakashira wo su to / sake nomanu / hito wo yoku miraba / saru ni ka mo niru
[Ma che brutto! Guardate bene quel tizio che atteggiandosi a saggio, non beve sake.
Quanto somiglia alle scimmie!]
Autore: ņtomo no Tabito (ᄢᣏੱ266 665-731)
Ⓑ267ߟߌ߫⊾268ࠆ߇ᚻ269ࠍߎࠃ߽߭߆Ლ270ߩ⧯ሶ271߇ข272ࠅߡགྷ273߆
54
Ine tsukeba / kakaru a ga te wo / koyoi mo ka / tono no wakugo ga / torite nagekamu
[A forza di battere il riso, ho le mani screpolate. Anche stasera il signorino del
padrone le prenderà nelle sue e mi compiangerà.]
Autrice ignota
㒐ੱ274ߦⴕ275ߊߪ⺕276߇⢛277ߣ278߰ੱࠍࠆ߇⟴279ߒߐ‛ᕁ280߽߭ߖߕ
Sakimori ni / iku wa ta ga se to / tŇ hito wo / miru ga tomoshisa / monoomoi mo sezu
[Chi è la moglie di quel sakimori in partenza? Sono invidiosa di chi fa tale domanda
spensieratamente.]
Autrice ignota
269 te ᚻ 42/57
270 tono Ლ 1194/1130
271 waku/go ⧯ 372/544 ሶ 56/103
272 to/ru ข 190/65 ࠆ (giapp. moderno: id.)
273 nage/ku གྷ 1594/1246 ߊ (giapp. moderno: id.)
274 sakimori 㒐 325/513 ੱ 9/1
275 i/ku ⴕ 31/68 ߊ (giapp. moderno: id.)
276 ta ⺕ 1652/non reg. (giapp. moderno: dare ⺕ 1652/non reg.)
277 se ⢛ 796/1265
278 tŇ 75/162 ߰ (giapp. moderno: tŇ 75/162 ߁)
279 tomo/shi ⟴ non reg./non reg.ߒ (giapp. moderno: uraya/ma/shi/i ⟴ non reg./non reg.߹ߒ)
280 mono/omo/i ‛ 126/79 ᕁ 149/99 ߭ (giapp. moderno: mono/omo/i ‛ 126/79 ᕁ 149/99 )
281 azuma/uta ᧲ 11/71 478/392
282 tŇ/goku ᧲ 11/71 ࿖ 8/40
55
(toraijin ᷰ᧪ੱ ψ§8) e dai loro discendenti operanti in seno al governo Yamato
(Yamato chŇtei ᄢᦺᑨ) come scribi. Sulle prime essi eseguivano lavori di stesura e di
registrazione in lingua cinese e poi man mano cominciarono a tentare di traslitterare il
giapponese in kanji ṽሼ.
L’adattamento dei kanji ṽሼ al giapponese fu laborioso. Comunque, ai tempi della
sovrana Suiko (Suiko tennŇ ផฎᄤ⊞ r. 592-628 ψ§5) anche i giapponesi (quelli colti,
naturalmente) scrivevano in un modo o in un altro il giapponese in caratteri cinesi.
Successivamente, nel periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) li adoperavano ormai con
una notevole scioltezza.
Il metodo di traslitterazione era assai complesso, ma l’idea di fondo consisteva
comunque nell’utilizzare i kanji ṽሼ come segni fonetici, trascurandone l’aspetto
semantico. I kanji ṽሼ usati nell’età antica come fonogrammi si chiamano man’yŇgana
ਁ⪲ฬ283, in quanto il Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 è ricco sia di svariati modi d’impiego di
kanji-fonogrammi che sotto l’aspetto quantitativo.
Ecco come si presenta il testo della citata tanka ⍴ di Akahito ⿒ੱ in una
copia manoscritta del Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻:
↰ాਯᶆᓬᛂ⠰⠪⌀⊕ਇ⋘⢻㜞ᎨῺ㔐ᵄ㔖ኅ⇐
§12. Buddhismo
56
oppure 463?-383? a.C.), principe indiano della stirpe ŒĆkya che popolava la regione
himalayana (zona sud dell’attuale Nepal).䎃
In Giappone, SiddhĆrtha Gotama è meglio noto con i nomi di Butsuda o Budda (
㒚286 trascrizione fonetica del sanscrito Buddha, che significa il risvegliato, l’illuminato;
detto semplicemente anche hotoke 287), Shaka (㉼ㄸ288 abbreviazione di Shakamuni
[㉼ㄸ—ዦ trascrizione fonetica di ŒĆkyamuni, ossia il saggio della stirpe degli ŒĆkya]),
Shakuson (㉼ዅ289 espressione onorifica di Shaka ㉼ㄸ) e infine Seson (ዅ290 sans.
Bhagavat, lett. l’uomo nobile del mondo).
< SiddhĆrtha Gotama diviene Buddha > Da giovane Gotama condusse una vita
agiata e spensierata. Non gli mancava niente. Si sposò ed ebbe anche un figlio. Fuori del
palazzo paterno, intanto, ebbe modo di vedere un anziano sofferente, un ammalato e un
morto, e quando aveva ventinove anni, abbandonò la vita di principe e la sua famiglia e si
sottomise all’ascesi in cerca di liberazione (gedatsu ⸃⣕293 sans. vimok a) dal dolore
esistenziale nell’eterno ciclo di nascita e morte (rinne ベᑫ sans. sa sĆra; detto anche
rinne tenshŇ ベᑫォ↢294) sancito dalla tradizione speculativa indiana. Tuttavia, dopo sei
anni di ogni sforzo trovò tale pratica inutile. Ormai trentacinquenne, si sedette nella
posizione del loto sotto un albero pĩpal (giapp. bodaiju ⪄ឭ᮸ 295 lett. albero di
illuminazione), ottenendo finalmente la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni (rinne ベ
ᑫ) e rivelò quale Buddha (butsuda 㒚) la legge vera ed eterna detta in sanscrito
dharma (giapp. hŇ o nori ᴺ296 lett. legge), parola chiave del bukkyŇ ᢎ. 䎃
57
Il Buddha Gotama morì all’età di ottant’anni dopo quarantacinque anni di predica-
zione.
persona che si ama e il non ottenere ciò che si desidera costituiscono dolore (Issai kaiku.
৻ಾ⊝⧰302 lett. Tutto è dolore.). E questo, perché si è presi dall’attaccamento (shşjaku
ၫ⌕303 sans. t Ć [lett. sete]) alle cose impermanente di questo mondo, tenacemente
radicato nell’animo. 䎃
A dispetto del fatto che per via dell’engi (✼304 l’originarsi interdipendentemente;
sans. pratĩtyasamutpĆda) tutte le cose sono prive di natura propria (shohŇ muga ⻉ᴺή
ᚒ305) e soggette a mutamenti continui (shogyŇ mujŇ ⻉ⴕήᏱ306; shogyŇ ⻉ⴕ tutte le
cose dell’universo; mujŇ ήᏱ impermanenza, sans. anitya), ci si inganna e ci si
aggrappa a quel che è inevitabilmente destinato a subire mutamenti e a venire a mancare.
Ne consegue che per eliminare l’attaccamento (shşjaku ၫ⌕) quale causa del dolore,
bisogna rendersi conto che nulla può rimanere eternamente cos’ com’è (shogyŇ mujŇ ⻉
ⴕήᏱ).
Inversamente, se ci si libera dalla ignoranza (mumyŇ ή307 sans. avidyĆ) della verità
58
(hŇ ᴺ) rendendosi conto dell’engi ✼, ci si renderà liberi dall’attaccamento con
conseguenza di annullare il dolore, di spezzare quindi la catena di reincarnazioni (rinne
ベᑫ) e ci si così troverà in quello stato di perfetta quiete chiamato nirvĆ a (lett.
estinzione del fuoco; giapp. nehan ᶔ᭯308, detto anche in tanti altri modi: jakumetsu
Ṍ309, metsudo Ṍᐲ310, satori no kyŇchi ᖗࠅߩႺ311 ecc.), mèta ultima dei buddhisti.䎃
ޣSVILUPPO E DIFFUSIONE DEL BUDDHISMOޤNel III secolo a.C. sotto
la protezione del re Aœoka (ࠕ࡚ࠪࠞ₺ r. 268?-232? a.C.) il buddhismo (bukkyŇ
ᢎ) si diffuse per tutta l’India. (In seguito, però, verso la fine del XII secolo vi
scomparve, assorbito dall’induismo).
< MahĆyĆna e TheravĆda > Intorno al 200 d.C. il buddhismo acquisì una nuova
dimensione con NĆgĆrjuna (giapp. Ryşju 㦖᮸312 150 ca.-250 ca.), monaco-filosofo
indiano, che teorizzò la concezione dello shohŇ muga ⻉ᴺήᚒ con il termine ‘vuoto’
(kş ⓨ sans. œşnya o anche œşnyatĆ): tutto è vuoto (Issai kaikş. ৻ಾ⊝ⓨ313), ossia tutte
le cose sono prive di natura propria, in quanto esistono condizionate reciprocamente
secondo la legge dell’engi ✼. Di qui deriva la seguente espressione ben nota in Hannya
shingyŇ 䇺⥸⧯ᔃ⚻䇻 314 (sans. PrajñĆpĆramitĆh daya-sştra; sştra [giapp. kyŇten ⚻ౖ 315 ]:
sacra scrittura buddhista):䎃
La citata frase, che esprime in estrema sintesi l’essenza della filosofia buddhista, sta
a significare che la vita di tutti i giorni e il nirvĆ a (giapp. nehan ᶔ᭯317) sono da
59
considerarsi una stessa cosa. Così, darsi alla vita buddhista non significava più cercare di
afferrare il nirvĆ
a (nehan ᶔ᭯) , poiché non c’è niente da afferrare, visto che qualsiasi
persona così com’è è già in nirvĆ a, anche se non se ne rende conto per mancanza della
vera saggezza chiamata hannya (⥸⧯ sans. prajñĆ), un particolare tipo di facoltà
intuitiva che ci consente di vedere le cose così come sono realmente (shinnyo ⌀ᅤ318
realtà assoluta, ossia non contaminata dall’attività mentale dell’uomo, sans. tathatĆ).
Si cominciò intanto a credere in una serie di Buddha (butsuda 㒚) quali AmitĆbha
(Amida butsu 㒙ᒎ㒚319 ψ§23), Bhai ajyaguru (Yakushi nyorai ⮎Ꮷᅤ᧪320) e tanti
altri in aggiunta al Buddha storico (ovvero il Buddha Gotama) e bodhisattva (bosatsu ⪄
⮋321; trascrizione fonetica del sans. bodhisattva), coloro cioè che, seppur in grado di
conseguire l’illuminazione, con compassione (jihi ᘏᖤ322; ji ᘏ sans. maitrĩ; hi ᖤ sans.
karu Ć) avevano fatto voto (hongan ᧄ㗿323) di entrare definitivamente nel nirvĆ a (nehan
ᶔ᭯) soltanto dopo aver salvato tutti gli altri esseri viventi. Si assistette così alla nascita
del buddhismo cosiddetto mahĆyĆna o grande veicolo (daijŇ bukkyŇ ᄢਸ਼ᢎ324), che si
distinse dal buddhismo conservatore, chiamandolo hĩnayĆna o piccolo veicolo (shŇjŇ
bukkyŇ ዊਸ਼ᢎ325). 䎃
Il buddhismo (bukkyŇ ᢎ) trasmesso in Giappone è principalmente il mahĆyĆna
(daijŇ bukkyŇ ᄢਸ਼ᢎ).
60
anziani’).
ٟ Fra tutti i pensieri buddhisti v’erano lo shogyŇ mujŇ ⻉ⴕήᏱ, il kş (ⓨ o,
meglio, il mu ή 330[cin. wu; nulla], termine della filosofia taoista [RŇsŇ shisŇ ⠧⨿
ᕁᗐ331 ψ§33]) e la Terra Pura (jŇdo ᵺ332 ψ§23) i quali ebbero un peso
straordinario sulla cultura giapponese. Di questi tre parleremo a più riprese in
seguito.
330 mu ή 227/93
331 RŇ/sŇ/ shi/sŇ ⠧ 788/543 ⨿ 1208/1327 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
332 jŇ/do ᵺ 1559/664 316/24
333 buk/kyŇ/ kŇ/den 678/583 ᢎ 97/245 122/126 વ 494/434
334 Ten/mu/ ten/nŇ ᄤ 364/141 ᱞ 448/1031 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
335 ritsu/ryŇ/ kok/ka ᓞ 1048/667 668/831 ࿖ 8/40 ኅ 81/165
336 Kon/kŇ/ myŇ/kyŇ 䇺㊄ 59/23 శ 417/138 84/18 ⚻ 135/548䇻
61
ᢎ) protegga lo Stato ci si riferisce con l’espressione di chingo kokka ㎾⼔࿖ኅ337. 䎃
La politica filo-buddhista, che d’altra parte tenne sotto controllo il buddhismo
(bukkyŇ ᢎ) in ogni suo aspetto, raggiunse il suo apice durante il regno dell’im-
peratore ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞ 338 r. 724-749). Nel 741 fu ordinata la
costruzione dei monasteri, detti kokubunji ࿖ಽኹ339 e kokubunniji ࿖ಽዦኹ340, in
ogni provincia e successivamente la costruzione, nella capitale Nara ᄹ⦟, del TŇdaiji
( ᧲ ᄢ ኹ 341 743-a tutt’oggi), monastero di grandi proporzioni, dedicato ad una
gigantesca statua in bronzo del Buddha Birushana (Birushana butsu Ჩ⋝ㆤ㇊342
trascrizione fonetica del sans. Vairocana, 752-presente)
Ebbe inizio nei sette grandi templi (nanto shichidaiji ධㇺ৾ᄢኹ349; nanto ධㇺ lett.
62
capitale a sud, ossia Nara ᄹ⦟), tra cui il TŇdaiji ᧲ᄢኹ, costruiti a Nara ᄹ⦟ lo
studio approfondito della dottrina buddhista. Ce n’erano allora sei scuole filosofiche
(nanto rikushş ධㇺቬ350 letto anche nanto rokushş; lett. sei scuole a Nara) che, però,
come tali miravano all’acquisizione di conoscenze intellettuali, e quindi non avevano in
pratica nulla a che fare con la vita religiosa in senso proprio della popolazione in
generale.
Inoltre, la protezione del buddhismo (bukkyŇ ᢎ) da parte dello Stato permise
che, da un lato, gli shŇen (⨿351 ψ§7) dei grandi templi aumentassero smisuratamente
e, dall’altro, si verificassero casi di ingerenza da parte di monaci negli affari politici dello
Stato. DŇkyŇ (㏜352 ?-772), ad esempio, esercitò un tale ascendente sulla corte (chŇtei
ᦺᑨ) da osare aspirare al trono imperiale.
Stando così le cose, il buddhismo del periodo Nara (Nara bukkyŇ ᄹ⦟ᢎ lett.
buddhismo di Nara) era ancora lontano dallo svolgere la sua vera missione salvifica.
CULTURA Nella storia della cultura la prima fase notevolmente lunga del periodo
KOFUN Yamato (Yamato jidai ᄢᤨઍ353) è chiamata periodo kofun (kofun jidai
ฎზᤨઍ354) e la relativa cultura kofun bunka (ฎზᢥൻ355 lett. cultura kofun), in
quanto i gŇzoku ⽕ᣖ si facevano costruire tumuli sepolcrali mastodontici, detti appun-
to kofun (ฎზ lett. tumuli sepolcrali antichi), che simboleggiavano la loro autorità.
< zenpŇ kŇenfun > I kofun ฎზ hanno diverse forme. I più caratteristici sono a
forma di ‘toppa di serratura’, e tali tumuli sono chiamati zenpŇ kŇenfun (೨ᣇᓟზ356
lett. tumulo sepolcrale quadrilatero nella parte anteriore e rotondo in quella posteriore).
63
Ne è un esempio tipico la tomba chiamata
Daisen kofun (ᄢฎზ358 V sec.) ed ‘attribuita’
all’imperatore Nintoku (Nintoku tennŇ ੳᓼᄤ
⊞359 prima metà V sec.) che occupa un’area
oltre due volte maggiore di quella della piramide
di Cheope. Le salme furono seppellite di solito
nella parte rotonda, cioè posteriore. 486m
< haniwa > Fra i ritrovamenti sono figure di
terracotta, chiamate haniwa (ၨベ360 lett. cilindro Daisen kofun ᄢฎზ, chiamato
di creta), disposte all’intorno dei kofun ฎზ. Nei anche NintokuryŇ kofun ੳᓼ㒺ฎ
sarcofagi o intorno ad essi sono solitamente si- ზ 357 (lett. sepolcro kofun di Nintoku
tennŇ Ⱥcarta7)
stemati, oltre ad oggetti per l’uso religioso, armi,
strumenti agricoli, stoviglie ed altre cose ancora. A volte vengono rinvenuti dipinti
murali.
Ci sono due tipi di haniwa ၨベ: entŇ haniwa (╴ၨベ361 lett. haniwa cilindrico)
letteralmente a forma cilindrica e keishŇ haniwa (ᒻ⽎ၨベ362 lett. haniwa che rappresen-
tano diverse figure [case, animali, barche, persone ecc.]).
nale, in cui risiedeva la corte (chŇtei ᦺᑨ), della conca di Nara ᄹ⦟.
64
Si tratta della cultura rappresentata dal tempio di HŇryşji (ᴺ㓉ኹ365 607-presente),
Nara-ken ᄹ⦟⋵, considerato eretto da ShŇtoku taishi ⡛ᓼᄥሶ e da una serie di
opere (statue, dipinti e oggetti d’artigianato) ivi custodite.
< Architettura: HŇryşji > È il tempio più noto in Giappone. I suoi edifici
originari (chiamati Wakakusagaran ⧯⨲ૄ⮣366 lett. tempio delle erbe giovani) sono
ritenuti distrutti da un incendio nel 670. Benché quelli attuali non risalgano presu-
mibilmente oltre l’inizio dell’VIII secolo, si tratta comunque della costruzione in legno
più antica che oggi esista al mondo. Le colonne presentano la cosiddetta entasi (entashisu
ࠛࡦ࠲ࠪࠬ).
ٟ < Periodo kofun e periodo Asuka nella storia politica > Anche nella storia
politica si parla sia del periodo kofun (kofun jidai ฎზᤨઍ) che del periodo Asuka
(Asuka jidai 㘧㠽ᤨઍ).
Originariamente le espressioni kofun jidai ฎზᤨઍ e Asuka jidai 㘧㠽ᤨઍ
furono usate rispettivamente in archeologia e in storia dell’arte, ed adesso sono
adoperate, per estensione, anche nella storia politica.
Il periodo Asuka (Asuka jidai 㘧㠽ᤨઍ) nella storia politica si riferisce quasi
sempre al regno (592-628) della sovrana Suiko (Suiko tennŇ ផฎᄤ⊞ r. 592-628
ψ§5)
Anche diversi uji ᳁ gareggiavano in tale epoca nel costruirsi un tempio (ujidera ᳁
ኹ p.es. Asukadera 㘧㠽ኹ367 di Sogashi ⯃ᚒ᳁368) che fungesse da simbolo del pro-
prio potere al posto dei giganteschi kofun ฎზ andati ormai fuori moda.
< Scultura > Per quanto riguarda la scultura, è da ricordare innanzitutto la Triade
di ŒĆkyamuni (Shaka sanzonzŇ 䇺㉼ㄸਃዅ䇻369 sans. trikĆya, 623) di Kuratsukuri no
Tori (㕷ᱛ370 ?-?; toraijin ᷰ᧪ੱ371 cinese), conservata nello HŇryşji ᴺ㓉ኹ. I
loro volti abbozzano un ‘arcaico sorriso’ (arukaikku sumairu ࠕ࡞ࠞࠗ࠶ࠢ ࠬࡑࠗ࡞
dall’ingl. archaic smile) al pari delle altre statue di questo periodo.
Sono ben note poi le statue aggraziate, dette hanka shiizŇ (䇺ඨ〉ᕁᗅ䇻372 lett.
65
immagine di meditazione con la gamba destra appoggiata sul ginocchio sinistro) del
Miroku bosasu (ᒎ⪄⮋373 sans. Maitreya, ossia bodhisattva destinato a diventare un
buddha in un lontano avvenire per salvare l’umanità, it. il Buddha futuro), conservate
presso i templi di KŇryşji (ᐢ㓉ኹ374 603?) a KyŇto ੩ㇺ375 e Chşgşji (ਛችኹ376
ricostruito nel XVI sec.) adiacente allo HŇryşji ᴺ㓉ኹ.
< Oggetti d’artigianato > È degno di menzione il Tamamushi no zushi (䇺₹⯻
ሶ䇻377 lett. cassa-custodia di statuette e sştra buddhisti con bupresti, prima metà VII
sec.), opera d’artigianato ricoperta di quasi diecimila elitre iridate di insetti detti bupresti,
tramandata fino ad oggi presso lo HŇryşji ᴺ㓉ኹ. Da ultimo, Tenjukoku shşchŇ 䇺ᄤኼ
࿖❭Ꮽ䇻378, tessuto ricamato conservato nel tempio di Chşgşji ਛችኹ.
< Cultura internazionale > Le opere architettoniche e di belle arti presentano
influenze non soltanto cinesi, ma a volte anche indiane, persiane e greche. Natural-
mente tali influenze furono mediate dalla Cina e dalla Corea.
ޣCULTURA HAKUHņޤLa cultura HakuhŇ (HakuhŇ bunka ⊕㡅ᢥൻ379; Haku-
hŇ: nengŇ ᐕภ non usato effettivamente) può essere definita uno specchio della fiducia
in sé che aveva la classe dominante dello Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ࿖ኅ) in
corso di riassetto ed è piena di forza e vitalità.
In questo periodo si cominciò a costruire templi e a scolpire una statuaria buddhista
anche nelle province. Però le maggiori opere del periodo sono la pittura murale che
ricorda quella di Ajanta (antico centro monastico) in India, dello HŇryşji ᴺ㓉ኹ e la
Pagoda orientale (TŇtŇ ᧲Ⴁ380) dello Yakushiji (⮎Ꮷኹ381 698-presente) a Nara ᄹ
⦟.
Fanno parte di questa cultura anche i dipinti murali dai colori tuttora vividi del
Takamatsuzuka kofun (㜞᧻Ⴆฎზ382 ψcarta 7).
ޣCULTURA TENPYņޤLa cultura del periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) è
373 Mi/roku/ bo/sasu ᒎ 1536/2065 non reg./non reg.⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.
374 KŇ/ryş/ji ᐢ 311/694 㓉 1255/946 ኹ 687/41
375 KyŇ/to ੩ 16/189 ㇺ 92/188
376 Chş/gş/ji ਛ 13/28 ች 419/721 ኹ 687/41
377 Tama/mushi/ no/ zu/shi 䇺₹ 610/295 ⯻ 1073/873 non reg./non reg.ሶ 56/103䇻
378 Ten/ju/koku/ shş/chŇ 䇺ᄤ 364/141 ኼ 1132/1550 ࿖ 8/40 ❭ non reg./non reg.Ꮽ 1181/1107䇻
379 Haku/hŇ/ bun/ka ⊕ 266/205 㡅 non reg./non reg.ᢥ 136/111 ൻ 100/254
380 TŇ/tŇ ᧲ 11/71 Ⴁ 1516/1840
381 Yaku/shi/ji ⮎ 541/359 Ꮷ 490/409 ኹ 687/41
382 Taka/matsu/zuka/ ko/fun 㜞 49/190 ᧻ 215/696 Ⴆ 782/1751 ฎ 373/172 ზ 1901/1662
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chiamata cultura TenpyŇ (TenpyŇ bunka ᄤᐔᢥൻ383; TenpyŇ: nengŇ ᐕภ 729-749),
in quanto si manifestò in modo particolarmente esuberante durante l’era appunto
TenpyŇ ᄤᐔ che coincide praticamente al regno dell’imperatore ShŇmu [ShŇmu tennŇ
⡛ᱞᄤ⊞384 r. 724-749]) e si colloca all’apice delle arti figurative buddhiste giapponesi
sia qualitativamente che quantitativamente. La città di Nara ᄹ⦟ e i suoi dintorni
costituiscono, difatti, una mecca di tutti i cultori di belle arti buddhiste.
< Architettura: TŇdaiji > A Nara ᄹ⦟ vennero eretti, oltre al già citato TŇdaiji
᧲ᄢኹ con i suoi edifici massicci, molti grandi templi (chiamati nel loro insieme nanto
shichidaiji ධㇺ৾ᄢኹ ψ§12) con le loro costruzioni ugualmente poderose dalle
colonne e gronde tinte di vermiglio e con grate-finestre di verde, dando alla capitale un
aspetto imponente simile a quello di una grande e rigogliosa città cinese.
Il seguente tanka (⍴ ossia poesia conforme allo schema 5-7-5-7-7 ψ§11) del
Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 canta appunto tale veduta:
ࠍߦࠃߒ*ᄹ⦟ߩㇺ385ߪດ386ߊ⧎387ߩߦ߶߰߇ߏߣߊ388⋓389ࠅߥࠅ
Awoniyoshi * / Nara no miyako wa / saku hana no / niŇ ga gotoku / ima sakari nari
[Adesso la capitale Nara è all’apice dei suoi splendori come se fossero fiori dai
colori vivi e brillanti].
Autore: Ono no Oyu (ዊ㊁⠧390 ?-737)
* Il termine ‘awoniyoshi ’ è uno dei cosiddetti makurakotoba (ᨉ⹖391 lett. parole da guanciale)
67
usati preposti a una determinata parola (o a un determinato gruppo di parole) a scopo
retorico (per motivi, cioè, di ritmo, tono, risonanza, estetica ecc.). Ecco alcune combinazioni:
• kusamakura ⨲ᨉ394 㧗 tabi (ᣏ395 viaggio), tsuyu (㔺396 rugiada), yş (ᄕ397 sera)
• hisakata no ਭᣇߩ398 㧗 ame (ᄤ399 cielo), ame (㔎 pioggia), hikari (శ400 luce), kumo
(㔕401 nubi), tuki (402 luna) ecc.
< Scultura > La cultura TenpyŇ (TenpyŇ bunka ᄤᐔᢥൻ) si distinse soprattutto
nel campo scultoreo con una serie di opere di rara qualità, tra cui il NikkŇ bosatsuzŇ (䇺ᣣ
శ⪄⮋䇻403 lett. statua del bodhisattva della luce solare, sans. SşryaprabhĆ) e il GakkŇ
bosatsuzŇ (䇺శ⪄⮋䇻 404 lett. statua del bodhisattva del chiaro di luna, sans.
CandraprabhĆ) del TŇdaiji ᧲ᄢኹ. Si tratta di statue pacate e piene di grazia.
Con i citati capolavori ai due lati si innalza al centro un terzo capolavoro: Fukş-
kenjaku kannonzŇ (䇺ਇⓨ⟚⚝ⷰ㖸䇻405 lett. statua del bodhisattva della rete e della
corda, sans. AmoghapĆœa).
Si ricorda poi il ritratto di Jianzhen (giapp. GanjinzŇ 䇺㐓⌀䇻406 lett. immagine di
Ganjin) conservato nel TŇshŇdaiji (໊ឭኹ407 759-presente) da lui stesso eretto.
Jianzhen (Chien Chên 㐓⌀, giapp. Ganjin, 688-763) fu un bonzo cinese. Malgrado
oltre dieci anni di un continuo calvario persistette nei suoi propositi, riuscendo alla fine
a mettere piede in Giappone nel 753. Da lui vennero ufficialmente trasmessi in Giap-
pone i precetti (kairitsu ᚓᓞ408), parte indispensabile del buddhismo (bukkyŇ ᢎ).
< Pittura > È degno di menzione il KichijŇten gazŇ (䇺ศᄤ↹䇻409 lett. disegno
raffigurante KichijŇten; KichijŇten ศᄤ divinità della buona fortuna, sans. Œri-
68
mahĆdevĩ) dello Yakushiji ⮎Ꮷኹ a Nara ᄹ⦟. È un’ottima fonte di informazioni
sull’abbigliamento femminile della classe cristocratica dell’epoca.
< ShŇsŇin: oggetti d’artigianato > Anche se non è di cultura strettamente bud-
dhista, il deposito shŇsŇin (ᱜୖ㒮 410 metà VIII sec.) annesso al TŇdaiji ᧲ᄢኹ
conserva in stato perfetto oltre diecimila oggetti d’artigianato usati giornalmente dal-
l’imperatore ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞ ψ§12).
Si trovano anche oggetti (p.es. strumento musicale che porta un disegno d’un cam-
mello) provenienti, tramite la Cina dei Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ ψ§8), dall’Asia
Centrale, dal Vicino Oriente, dalla Grecia ecc.. Al pari dell’Asuka bunka 㘧㠽ᢥൻ
anche la cultura TenpyŇ (TenpyŇ bunka ᄤᐔᢥൻ) poteva considerarsi di dimensione
internazionale, anche se il traffico era unidirezionale.
69
giorni, Nagaya Ň 㐳ደ₺ disponesse praticamente di tutti i mezzi necessari, manodo-
pera compresa, all’interno delle mura della propria residenza, anche se finanziariamente
dipendeva dai terreni agricoli che possedeva altrove, fuori delle mura.
Si desume inoltre che i suoi redditi annui ammontassero a una cifra astronomica
corrispondente a più di un milione di euro dei nostri tempi.
Da ultimo, si ritiene assai probabile che anche altri nobili d’alto rango del periodo
Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) disponessero più o meno di un’analoga organizzazione che
rendeva la loro vita privata autosufficiente.
ޣޣVITA NELLE COMUNITÀ RURALI ޤLa quasi totalità della popolazione dello
Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ࿖ኅ) era costituita dai contadini. Tuttavia, gli strati
letterati d’allora, in particolare, i nobili, non facero quasi mai nessun riferimento, negli
scritti, alla vita degli agricoltori, il che rende pressoché impossibile ricostruire la loro
70
vita quotidiana; comunque, le seguenti sono tappe principali del corso della loro vita.
Con la nascita erano registrati all’anagrafe chiamata KŇgonenjaku (ᐬඦᐕ☋413 lett.
anagrafe dell’anno di KŇgo, cioè del 670), la prima anagrafe giapponese a livello
nazionale. Il parto avveniva, per usanza, in una piccola costruzione, detta ubuya ↥ደ414,
messa su solitamente ad hoc volta per volta.
Compiuti almeno 6 anni d’età erano soggetti allo Handen shşju no hŇ (⃰↰ᴺ415
ψ§6) con l’obbligo di pagare le imposte.
Secondo le disposizioni del codice ritsuryŇ (TaihŇ ritsuryŇ ᄢቲᓞ416 701, in
vigore dal 702; YŇrŇ ritsuryŇ 㙃⠧ᓞ417 718, in vigore dal 757) gli uomini e le donne
potevano sposarsi rispettivamente a 15 e 13 anni d’età. Visto che la società giapponese
nell’età antica era sessualmente assai libera, i rapporti sessuali precedevano la formalità
(ossia riti nuziali) e dopo il matrimonio il marito che per costume viveva separato dalla
moglie la visitava di notte (tipo di vita coniugale detto tsumadoikon ᆄᇕ418 ψ§22).
Le coppie, piuttosto prolifere, generavano a volte anche 10 figli.
Sembra che le percentuali di divorzio fossero altissime. La mancata visita per un
periodo di circa tre mesi da parte dell’uomo e il rifiuto di aprirsi la porta da parte della
donna nei confronti dell’uomo venivano interpretati quale manifestazione della volontà
di divorziare.
Difficilmente si poteva sperare di vivere fino a sessant’anni, poiché molto
probabilmente cadevano vittime di malattie. Difatti, mietevano la popolazione gravi
malattie infettive quali vaiolo, dissenteria e colera. L’habitat poco affidabile sotto
l’aspetto igienico-sanitario facilitava non solo il manifestarsi frequente delle epidemie,
ma anche le infestazioni parassitarie.
Le salme erano trasferite in una piccola capanna, detta moya ༚ደ419, dove venivano
svolti i riti di stampo confuciano per la rinascita, consistenti nel richiamare indietro lo
spirito che si riteneva si fosse separato dal corpo.
< Hinkyş mondŇ no uta > Per quanto riguarda il tenore di vita della gente di
campagna, abbiamo una testimonianza: si tratta di un chŇka (㐳420 metrica: 5-7-5-7-
71
[...]-5-7-5-7-7) nel Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻, noto con il nome di Hinkyş mondŇ no uta (⽺┆
╵ߩ 421 lett. Domanda e risposta sulla povertà e sull’indigenza, detto anche
Hinkyş mondŇka ⽺┆╵ 731 ca.) di Yamanoue (o anche Yamanoe) no Okura (ጊ
ᙘ⦟422 660-733).
L’autore di nascita presumibilmente poco brillante, ma dotto e promosso al basso
rango nobiliare, andò più volte in province in veste di governatore (kokushi ࿖ม423) ed
ebbe così modo di osservare da vicino la vita stentata dei contadini. Okura ᙘ⦟
stesso dovrebbe peraltro aver condotto, almeno in età avanzata, una vita abbastanza
agiata, quale si confaceva al suo rango.
« Nelle notti di pioggia mista a vento, nelle notti di neve mista a pioggia, fa così
freddo che non so cosa fare, prendo in mano di tanto in tanto un pizzico di sale
grezzo e me lo metto in bocca, succhio la feccia di sake sciolta nell’acqua calda,
continuo a tossire, tiro su col naso, accarezzo la mia barba misera, dico che
all’infuori di me non ci saranno altri esseri umani e me ne sento fiero, ma fa tanto
freddo che mi copro con una tela di canapa, mi metto tutti i miei abiti privi di
maniche, nelle notti così fredde i padri e le madri di gente più povera di me avranno
fame, si intirizziranno, le mogli e i figli piangeranno chiedendo cibi e vestiti, nei
momenti così, tu, come tiri avanti?
Dicono che il cielo e la terra sono vasti, ma per me si sono fatti angusti? Dicono
che il sole e la luna risplendono, ma a me sono avari di dare la loro luce? È così per
tutta la gente o solo per me? Mi è capitato di nascere quale uomo, anch’io sono
fatto come tutti gli altri, porto sulle spalle stracci senza imbottitura di cotone,
paragonabili ad alghe marine, nel tugurio schiacciato e storto mi circondano sulla
paglia messa in diretto contatto con la terra il mio papà e la mia mamma da parte
del mio guanciale e mia moglie e i miei figli verso i miei piedi, gemono e si
lamentano, dal fornello non sale fumo, nell’apparecchio a vapore per il riso ci sono
delle ragnatele, non penso più a cuocere il riso, mi addoloro e gemo, quand’ecco mi
arriva dall’ingresso la voce esigente del capo villaggio con una frusta in mano come
il proverbio che dice, ‘tagliare le estremità a una cosa già corta’, non so proprio dove
sbattere la testa, è così la vita umana? »
421 Hin/kyş/ mon/dŇ/ no/ uta ⽺ 1282/753 ┆ 1821/897 75/162 ╵ 434/160 ߩ 478/392
422 Yama/no/ue/ no/ Oku/ra ጊ 60/34 21/32 ᙘ 1662/381 ⦟ 520/321
423 koku/shi ࿖ 8/40 ม 712/842
72
REGIME ALIMENTARE DEGLI Dal citato chŇka 㐳 di Okura ᙘ⦟ si può
ABITANTI DELLA CAPITALE desumere che la gente di campagna si trovassero
con ogni probabilità vicini a morire per fame o per denutrizione.
Sembra invece che gli abitanti della capitale, specie i nobili-funzionali pubblici
residenti alla capitale, si nutrissero di cibi non molto dissimili da quelli che i giapponesi
d’oggi consumano. Si nota in particolare l’abbondanza di varietà di pesci ed altri
prodotti del mare.
Le carni di animali domestici non venivano consumate o quasi, in quanto il
buddhismo ammonisce di non uccidere alcun essere vivente. Difatti il « non privare
della vita » è il primo dei precetti che i buddhisti sono tenuti ad osservare.
Così, ai tempi dell’imperatore Tenmu (Tenmu tennŇ ᄤᱞᄤ⊞) e per l’esattezza nel
675 fu proibito consumare la carne di certi animali (« È vietato consumare le carni di
bovini, cavalli, cani, scimmie e galline »). In seguito, nel 736 un editto dell’imperatore
ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞) decretava fuorilegge la macellazione. Inoltre, in certe
occasioni, dette hŇjŇe (↢ળ 424 lett. riunione di liberazione degli esseri viventi),
venivano liberati animali in cattività. Si sa che quando il buddhismo (bukkyŇ ᢎ) fu
introdotto in Giappone, il regime alimentare dei giapponesi consisteva già fondamen-
talmente nella combinazione di ‘riso’, ‘verdure’ e ‘prodotti del mare’. Non c’è dubbio
che i sopraccitati provvedimenti produssero l’effetto che tale consuetudine dietetica si
consolidasse ulteriormente.
La gente d’allora conosceva di certo diversi modi di cuocere i cibi. A questo
riguardo è da mettere in particolare rilievo il fatto che si preferiva consumare i cibi
d’accompagnamento possibilmente ‘crudi’. Adesso si sa per certo che la gente mangiava
crudi o quasi non soltanto verdure, ma anche pesci d’acque dolce quali carpe e carassi.
Le verdure venivano consumate volentieri in salamoia, quindi crude. È da dire che la
predilezione dei giaponesi per ortaggi in salamoia (tsukemono ẃ‛425) e fettine di pesce
mangiate crude (sashimi ೝり426), entrambi indispensabili alla cucina giapponese d’oggi,
ha un’origine antica.
Da ultimo, non si usava quasi mai l’olio. Si vede che la tradizione di una cucina poco
oleosa, tanto meno grassa, della cucina giapponese ha anch’essa una lunga storia.
73
CAPITOLO III
75
per oltre mille anni la corte (chŇtei ᦺᑨ) rimase quasi sempre a HeiankyŇ ᐔ੩
/KyŇto ੩ㇺ, e di questo periodo fa parte la prima fase, detta periodo Heian (Heian
jidai ᐔᤨઍ 794-1185/1192), di circa 400 anni, durante il quale il potere effettivo
risiedeva alla corte (chŇtei ᦺᑨ).
ٟ En passant, si segnala che sotto certi aspetti sia HeijŇkyŇ ᐔၔ੩ (lett.
‘capitale-cittadella della pace’) sia HeiankyŇ ᐔ੩ (lett. ‘capitale della pace e
della tranquillità’) lasciavano molto a desiderare. Citeremo due tali esempi:
mancato ordine pubblico e scarsa igiene pubblica.
Si sa che in entrambe le città era assai precaria la sicurezza pubblica. Risulta
che la gente comune, quando usciva di casa, specie dopo il tramonto, doveva
portare con sé una spada o un arco e delle frecce per difendersi. Non venivano
risparmiate neanche le monache: in una canzonetta popolare allora in voga alla
capitale si trova, infatti, un verso come il seguente: ‘Non c’è monaca che non sia
armata di naginata (㐳ಷ432 lett. spada lunga)’ È da dire che a dispetto di come
venivano chiamate si trattava di città ben lontane dall’essere ‘tranquille’ e in ‘pace’.
Inoltre, adesso si sa per certo che si gettavano direttamente nei fossati scavati
ai due lati delle strade le acque di rifiuto e persino quelle dei pozzi neri, nonché le
immondizie. Si può facilmente immaginare come da questi piccoli focolai le
malattie infettive epidemiche si difondessero (ed infatti si diffondevano ripetuta-
mente) in un batter d’occhio su una vasta zona. Si può dire che diversamente da
quanto si immagina spontaneamente dalle opere letterarie ed artistiche d’alto
livello del tempo, igienicamente queste capitali dovrebbero essere state inaccet-
tabili.
Dal punto di vista del regime politico è opportuno suddividere questo periodo in
tre fasi:
E T À A N T I C A ฎ ઍ
1192
794 969 1086 1185
p. NARA periodo H E I A N
ᄹ⦟ᤨઍ ᐔ ᤨ ઍ
dittatura dei Fujiwara insei
sistema ritsuryǀ ᓞᐲ sekkan seiji ៨㑐ᴦ 㒮
c. TENPYƿ c. KƿNIN-JƿGAN cultura NAZIONALE / cultura FUJIWARA
ᄤᐔᢥൻ ᒄੳ⽵ⷰᢥൻ ࿖㘑ᢥൻ / ⮮ේᢥൻ
76
Si è già detto che i tre periodi di Yamato (Yamato jidai ᄢᤨઍ), Nara (Nara jidai
ᄹ⦟ᤨઍ) e Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) costituiscono l’età antica (kodai ฎઍ433).
Sotto l’aspetto delle istituzioni politiche il periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ), difatti,
non andrebbe separato da quello precedente, ma culturalmente ha una sua propria
fisionomia che lo distingue; in particolare, nella storia della letteratura si è soliti tracciare
una linea netta fra i due periodi di Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) e Heian (Heian jidai ᐔ
ᤨઍ): la letteratura anteriore al trasferimento della capitale a HeiankyŇ (Heian sento
ᐔㆫㇺ434 794) viene spesso chiamata jŇdai bungaku (ઍᢥቇ435 lett. letteratura
dell’età superiore) e la letteratura che fa riscontro in pratica con quella del periodo
Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) chşko bungaku (ਛฎᢥቇ436 lett. letteratura dell’antichità
media) o anche ŇchŇ bungaku (₺ᦺᢥቇ437 lett. letteratura di corte del sovrano).
SEKKAN All’inizio del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) vennero varati diversi
S E I J I provvedimenti finalizzati all’aggiustamento e alla rivitalizzazione del
sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞᐲ) in ogni suo settore, ma con scarsi successi,
specie nel settore fondiario. In contrasto con il progressivo rilassamento dello Stato
ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ࿖ኅ), l’ascesa del Fujiwarashi (Fujiwarauji ⮮ේ᳁ψ§5, §7)
procedeva a ritmo accelerato in virtù sia della politica matrimoniale spinta sempre più
energicamente che degli intrighi orditi ai danni dei rivali.
ٟ < Sugawara no Michizane: vittima dei Fujiwara > Fra le vittime delle
macchinazioni dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) si ricorda Sugawara no Michizane
(⩲ේ⌀438 845-903), uno dei massimi studiosi d’allora dell’istituto d’istruzione,
detto daigakuryŇ (ᄢቇኰ439 lett. università; chiamato anche daigaku ᄢቇ), per la
preparazione di funzionari statali.
Fu eccezionalmente promosso a udaijin (ฝᄢ⤿ ψ§6) per controbilanciare i
77
Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁ ), ma nel 901, accusato falsamente da uno dei
Fujiwara di aver complottato contro l’imperatore, fu degradato ed esiliato al
Dazaifu (ᄢቿᐭ440 ψ§6) dove morì due anni dopo. Sono tramandati gli episodi
infausti accaduti dopo la sua morte ed attribuiti al suo spirito vendicativo (onryŇ ᕉ
㔤441 ψ§25). Venne annoverato tra i kami ed a lui furono dedicati i santuari
shintoisti Tenmangş ᄤḩች, fra cui Kitano Tenmangş (ർ㊁ᄤḩች442 detto
anche Kitano jinja ർ㊁␠443 o Kitano Tenjin ർ㊁ᄤ444) di KyŇto ੩ㇺ.
Michizane ⌀, al momento di lasciare KyŇto ੩ㇺ, compose il seguente
waka 445 ben noto, guardando i fiori di ume * ᪢446 (pronuncia: [mme]) del
suo giardino:
ߎߜ็447߆߫ߦ߶߭߅ߎߖࠃ᪢ߩ⧎448ࠆߓߥߒߣߡᤐ449ࠍᔓ450
ࠆߥ
Kochi fukaba / nioi okose yo / ume* no hana /aruji nashitote / haru wo wasuru na
[Voi, fiori di ume*! Quando soffia il vento da est, emanate il vostro profumo.
Rimarrete senza il vostro padrone, ma non dimenticate la primavera.]
* pianta di origine cinese. I suoi fiori sono intensamente profumati e costituiscono
tradizionalmente uno degli argomenti preferiti di poesia waka . I suoi frutti,
chiamati anch’essi ume ᪢, sempre agri anche quando sono maturi ricordano a
prima vista albicocche immature. Molti dizionari bilingui erroneamente
identificano gli ume ᪢ con susine o prugne.
78
451 reggente dell’imperatore minorenne) e kanpaku (㑐⊕452 [in sostanza] reggente
dell’imperatore maggiorenne) per l’esercizio delle funzioni sovrane.
Uno dei meccanismi sfruttati dai Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) per salire e
rimanere al potere consisteva, come abbiamo già accennato a più riprese, nel dare in
sposa le proprie figlie agli imperatori, fare poi salire al trono principi-nipoti (spesso di
soli 6, 7 o 8 anni d’età) e manovrare gli affari dello Stato in qualità di parente materno
(gaiseki ᄖᚘ453) investito del titolo di sesshŇ ៨ o kanpaku 㑐⊕.
Al governo amministrato dalle due cariche di sesshŇ ៨ e kanpaku 㑐⊕ si fa
riferimento con l’espressione di sekkan seiji (៨㑐ᴦ454; sekkan ៨㑐 φ ses/shŇ ៨
㧗 kan/paku 㑐⊕).
ޣFUJIWARA NO MICHINAGAޤIl personaggio che rappresenta il successo
straordinario del Fujiwarashi ⮮ේ᳁ è Fujiwara no Michinaga (⮮ේ㐳455 966-1027).
Dopo aver tenuto l’ufficio di sadaijin Ꮐᄢ⤿, ottenne la carica di sesshŇ ៨. Lo Eiga
monogatari (䇺ᩕ⪇‛⺆䇻456 e anche 䇺ᩕ⧎‛⺆䇻 it. Storia di splendori ψ§22) riporta le
seguenti sue parole che costituiscono una testimonianza eloquente della gloria di
Michinaga 㐳:
79
kanpaku 㑐⊕, e Norimichi ᢎㅢ ministro dell’interno (naidaijin ౝᄢ⤿460 [uno
dei ryŇge no kan ᄖቭ461]). Yorimune 㗬ቬ e Yoshinobu ⢻ା sono nominati
gon-dainagon (ᮭᄢ⚊⸒462; gon ᮭ provvisorio, in soprannumero), e infine Nagaie
㐳ኅ gon-chşnagon (ᮭਛ⚊⸒; chşnagon ਛ⚊⸒ [uno dei ryŇge no kan ᄖቭ]).
A partire dal nostro capostipite nessuno ha avuto una vita così gloriosa come
questa mia. Non credo che potremo ripeterla in avvenire. Perciò, trovandomi ora
sull’orlo della fossa, non ho niente di cui pentirmi ».
ߎߩ464ࠍ߫ᚒ465߇ߣߙᕁ466߰ᦸ467ߩᰳ468ߌߚࠆߎߣ߽ߥߒߣᕁ߳߫
Kono yo woba / waga yo to zo omŇ / mochizuki no / kaketaru koto mo / nashi to omoeba
[Questo mondo, lo considero il mio, perché a me non manca nulla, così come non
manca niente ad una luna piena].
80
discendere dalla linea sesshŇ e kanpaku (sekkanke ៨㑐ኅ470 lett. casa di sesshŇ ៨ e
kanpaku 㑐⊕) dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁), ossia la linea principale, detta hokke
(ർኅ471 lett. casa settentrionale), dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) che aveva il diritto
esclusivo di fornire mogli agli imperatori (tennŇ ᄤ⊞).
Fu questa l’occasione propizia per ripristinare l’autorità imperiale senza alcun timore.
Il suo successore l’imperatore Shirakawa (Shirakawa tennŇ ⊕ᴡᄤ⊞472 r. 1072-1086),
unanime con il Go-SanjŇ tennŇ ᓟ ਃ᧦ ᄤ⊞ , dopo l’abdicazione a favore d’un
giovanissimo figlio, continuò ad occuparsi degli affari dello Stato presso il suo in (㒮473
abitazione dell’imperatore abdicatario [jŇkŇ ⊞474] e di nobildonne d’alto rango),
istituendo una nuova forma di governo detta insei (㒮475 it. governo claustrale,
[intermittentemente] 1086-1840).
Intorno al suo in 㒮 e a quelli dei suoi successori si formò un gruppo di sostenitori
anti-Fujiwara, molti dei quali zuryŇ (ฃ㗔476 ψ§17) arricchiti che simboleggiavano una
nuova emergente forza sorta nei villaggi agricoli; se si considera, inoltre, che lo insei 㒮
era sostenuto anche da un corpo armato, detto hokumen no bushi (ർ㕙ߩᱞ჻477
bushi-guardie del lato settentrionale dello in 㒮 ; bushi ᱞ ჻ ψ §18), alle dirette
dipendenze degli imperatori in ritiro, esso fu, in pratica, un potere transitorio foriero
dell’avvicinarsi d’un radicale mutamento istituzionale. Sotto lo insei 㒮 il potere dei
Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) registrò un netto declino.
ٟ L’arco di circa un secolo che va dal 1086 (inizio dello insei 㒮) al 1179
(soppressione dello insei 㒮 ad opera di Taira no Kiyomori ᐔᷡ⋓478 ψ§18)
o al 1185 (battaglia di Dannoura [Dannoura no tatakai სࡁᶆߩᚢ479] ψ§18)
durante cui gli imperatori abdicatari, in concorrenza con gli imperatori in carica,
rappresentavano la massima autorità politica è chiamato spesso inseiki (㒮ᦼ480
lett. periodo dello insei ).
81
§17. Sviluppo delle proprietà terriere
82
SHņEN FORMATI I nobili d’alto rango della capitale ed i templi non erano gli
PER DONAZIONE unici a possedere shŇen ⨿: a causa della progressiva disfun-
zione dello Handen shşju no hŇ ⃰↰ᴺ, che a lungo andare finiva, per forza di cose,
col permettere la privatizzazione, per così dire, automatica dei kubunden (ญಽ↰490 ψ
§6), i potenti locali (ossia gŇzoku ⽕ᣖ) con in testa i gunji (ม491 ψ§6) e il ceto
superiore dei coltivatori pervennero, anch’essi, ad essere dei proprietari (myŇshu ฬਥ
492) di possedimenti (myŇden ฬ↰493 lett. terre che portano il nome del proprietario) di
83
KOKUSHI PARAGONABILI Da ultimo, riguardo alla terra sotto il diretto controllo
AD ALTI CORTIGIANI dei kokushi ࿖ม, detta kokugaryŇ (࿖ⴟ㗔500 terreni
pubblici di proprietà dello Stato; kokuga ࿖ⴟ ψ§6), la situazione non differiva molto.
In seguito alla nascita dei myŇshu ฬਥ i compiti dei kokushi ࿖ม si ridussero a
uno solo: quello di riscuotere il più alto numero di imposte e versarne al fisco solo una
quantità stabilita; tutto il resto veniva intascato con l’avallo tacito del governo. È quindi
evidente che per i nobili di medio e basso rango, i posti di kokushi ࿖ม istituzional-
mente loro riservati costituivano vere miniere d’oro. L’avidità dei kokushi ࿖ม, insieme
a quella dei jitŇ (㗡501 ψ§27) del periodo successivo, è passata alla storia.
ٟ En passant, ricordiamo che a partire dalla metà del periodo Heian (Heian jidai
ᐔ ᤨ ઍ ) i kokushi ࿖ ม furono chiamati solitamente zuryŇ ( ฃ 㗔 502
[originariamente] subentro al predecessore) e quasi tutte le scrittrici-dame di corte
(ψ§22) della letteratura Heian (Heian bungaku ᐔᢥቇ503, chşko bungaku ਛฎ
ᢥቇ lett. letteratura dell’antichità media, ŇchŇ bungaku ₺ᦺᢥቇ504 it. letteratura
di corte Heian) erano figlie di zuryŇ ฃ㗔.
§18. Nascita ed ascesa della classe dei guerrieri; gli Heishi e i Genji
SITUAZIONI SOCIO- L’allentamento del potere dello Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka
POLITICHE LOCALI ᓞ࿖ኅ) sfociò in un elevato assenteismo nei compiti da
parte dei cortigiani, la cui gestione, poi, degli shŇen ⨿, era ben lungi dall’essere da
loro svolta, personalmente. Molti kokushi ࿖ม, dal canto loro, anziché recarsi ad
occupare le proprie cariche in provincia, non si muovevano dalla capitale (yŇnin ㆝છ505
lett. allontanamento dal compito) e riscuotevano ugualmente le loro spettanze.
Le situazioni socio-politiche locali erano pertanto in stato di abbandono, ed ai più
abili e spregiudicati tutto ciò forniva cospicui vantaggi.
84
NASCITA All’epoca in cui i Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁) godevano del loro
DEI BUSHI secolo d’oro alla capitale, nelle province stava emergendo una nuova
forza, che oggi viene chiamata degli storici giapponesi bushi (ᱞ჻506 guerriero; it.
samurai ଂ507).
Costoro, sia pure di diverse origini, avevano comunque dei terreni agricoli in
proprio all’interno degli shŇen ⨿ o dei kokugaryŇ (࿖ⴟ㗔 ψ§17) e loro stessi li
amministravano direttamente a differenza dei cortigiani che continuarono ad abitare alla
capitale. Col tempo poi dovettero armarsi per difendere i propri interessi di fronte ad
una situazione fattasi di anarchia. Si organizzarono inoltre in gruppi chiamati bushidan
ᱞ჻࿅508 con il rapporto reciproco di « fedeltà – protezione »; in un secondo tempo
più bushidan ᱞ჻࿅ si coalizzarono, sempre mediante vassallaggio, in unità maggiori,
ciascuna sotto il comando di un capo carismatico, detto tŇryŇ 509, del gruppo
nucleare. Così, sorsero qua e là diversi corpi armati di grande organico.
ޣCRESCITA DEI BUSHI E LORO INGRESSO ALLA CAPITALE ޤI bushi
ᱞ჻ si battevano per estendere la propria sfera d’influenza; non solo, ma capitavano
ogni tanto casi di insurrezione di taluni bushi ᱞ჻ e le sollevazioni venivano poi
represse dai bushi ᱞ჻ stessi.
ٟ Del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) sono ben noti i seguenti due casi di
insurrezione:
ڏTaira no Masakado no ran ( ᐔ㐷ߩੂ 510 lett. Ribellione di Taira no
Masakado, prima metà X sec.), tentativo di indipendenza di Taira no Masakado
(ᐔ㐷 ?-940). Si proclamò shinnŇ (ᣂ⊞511 lett. nuovo tennŇ ᄤ⊞).
ڏFujiwara no Sumitomo no ran (⮮ේ⚐ߩੂ512 lett. Ribellione di Fujiwara
no Sumitomo, prima metà X sec.), pirateria di Fujiwara no Sumitomo (⮮ේ⚐
?-941), ex-kokushi ࿖ม fattosi pirata capo.
85
personale. Ciò soprattutto perché in quei tempi (e anche nei secoli successivi) i monaci
armati chiamati sŇhei ( ௯ 513 lett. monaci-soldati) mantenuti dai grandi templi
buddhisti, in particolare dal KŇfukuji ⥝ኹ514 di Nara ᄹ⦟ e dall’Enryakuji (ᑧᥲ
ኹ515 ψ§23), per l’esigenza di difesa dei loro shŇen ⨿ si davano spesso ad atti di
prepotenza anche nei confronti del chŇtei ᦺᑨ con richieste esorbitanti, e per giunta,
non di rado, si scatenavano in combattimenti tra di loro, spargendo disordini per la
capitale.
Fatto sta che i monasteri che erano stati un tempo il baluardo di garanzia della pace
dello Stato ritsuryŇ (ritsuryŇ kokka ᓞ࿖ኅ) erano cresciuti e divenuti una potenza
terrena che sfidava lo Stato.
86
GHI HEISHI Di uji (᳁ ψ§4) militari detti buke (ᱞኅ520 termine contrapposto a
versus I GENJI kuge ኅ521, cioè alla nobiltà di corte) ce n’erano due spiccatamente
influenti: Heishi (ᐔ᳁522 o anche Tairauji ᐔ᳁) e Genji (Ḯ᳁523 o anche Minamotouji
Ḯ᳁).
Ambedue erano discendenti di kokushi ࿖ม di origine imperiale (shinseki kŇka ⤿
☋㒠ਅ524 lett. discesa all’anagrafe di suddito ψ§22) che, senza tornare alla capitale, si
erano stabilizzati in province e si occupavano della gestione agricola. Erano, per così
dire, i sangue blu della nascente classe samuraica, quindi i tŇryŇ 525 più prestigiosi.
87
Lo Heike monogatari ( 䇺 ᐔ ኅ ‛ ⺆ 䇻 528 it. Storia dei Taira ψ §34), opera
sostanzialmente letteraria ma anche fedele ai fatti storici, racconta come gli Heike (ᐔኅ
sinonimo di Heishi ᐔ᳁ e Tairauji ᐔ᳁) dovessero essere annientati dai Genji Ḯ᳁
nella battaglia navale di Dannoura (Dannoura no tatakai სࡁᶆߩᚢ 529 , 1185;
Dannoura სࡁᶆ ψcarta 5) dopo una serie di scontri armati Genji Ḯ᳁ vs Heishi
ᐔ᳁ chiamati, nel loro insieme, genpei gassen (Ḯᐔวᚢ530 lett. battaglie Genji-Heishi,
1180-1185).
Toccò, così, a Minamoto no Yoritomo (Ḯ㗬ᦺ531 ψ§27), capo dei Genji Ḯ᳁
vittoriosi, il compito di aprire una pagina assolutamente nuova della storia giapponese.
88
Nel X secolo sotto il governo sekkan seiji ៨㑐ᴦ533 l’adattamento progressivo
della cultura cinese alla realtà giapponese produsse come risultato una cultura
aristocratica, chiamata letteralmente ‘cultura alla maniera/di carattere nazionale’,
‘cultura tipicamente giapponese’ (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ534 termine contrapposto alla
cultura dei Tang, T’ang ໊ detta tŇfş bunka ໊㘑ᢥൻ535) oppure, specie nel campo
delle belle arti anche cultura Fujiwara (Fujiwara bunka ⮮ේᢥൻ536), e le tradizioni del
kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ continuarono a condizionare lo sviluppo della cultura giap-
ponese per lunghi secoli successivi.
ޣINTERSCAMBI PRIVATI CON LA CINAޤMalgrado la sospensione nell’anno
894 dei rapporti ufficiali con la Cina, dalla metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨ
ઍ) alla metà del periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ537 1185/1192-1333
ψ§27), specie durante il governo di Taira no Kiyomori ᐔᷡ⋓, furono condotti su
base privata scambi commerciali con la Cina della dinastia Song (Sung ቡ538 giapp. SŇ,
960-1279) sorta sulle rovine dell’impero Tang (T’ang ໊ giapp. TŇ, 618-907). Si
vedevano monaci buddhisti recarsi in Cina a studiare tramite questo canale privato.
89
convenzioni (yşsoku kojitsu ⡯ ታ 539 ), e assistere alle funzioni religiose.
Diversamente dai funzionari del periodo del Man’yŇshş (䇺ਁ⪲㓸䇻540 ψ§11), i loro
interessi erano limitati alla capitale HeiankyŇ ᐔ੩, alla natura che la circondava e alla
loro stessa vita chiusa. Tutte le altre cose, quali la natura di altre regioni o la vita
quotidiana delle masse, essi le ignoravano totalmente come se non esistessero.
Quanto stava loro a cuore era darsi agli svaghi, fare una rapida carriera politica,
riuscire nel maggior numero possibile di avventure galanti ed ammirare, in primavera,
fiori di ciliegio, e, in autunno, la luna. È vero che in campo letterario-artistico sono
descritte o dipinte, già raramente però, anche le figure di contadini al lavoro, ma è
impossibile riconoscere in loro, donne o uomini che fossero, una qualsiasi compren-
sione o simpatia verso chi lavorava. Per loro i contadini erano semplicemente degli
oggetti facenti parte degli aspetti stagionali al pari dei fiori di ciliegio, della luna, della
neve, dei venti, delle foschie, dei canti di cuculi e di usignoli (kachŇ fşgetsu ⧎㠽㘑541
lett. fiori, uccelli, venti e luna, ossia paesaggi naturali considerati quali temi di opere
artistiche e letterarie) su cui continuarono a poetare per secoli, chissà perché, senza
avvertirne noia alcuna.
La cultura nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ) era, dunque, anche insana, esagerata-
mente convenzionale e riservata ad una cerchia ristrettissima, sia socialmente che geo-
graficamente.
Agli inizi del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) nacquero due gruppi di
scrittura hiragana ᐔฬ542 e katakana ฬ543 derivati ambedue dai man’yŇgana (ਁ
⪲ฬ544 ψ§11), ovvero dai caratteri cinesi (kanji ṽሼ545) usati come fonogrammi.
Generalmente, nei periodi precedenti per rappresentare graficamente, per esempio,
il suono /ka/, si adoperava qualsiasi kanji ṽሼ che avesse questa pronuncia. Nel
90
Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻 sono usati, ad esempio, oltre 10 kanji ṽሼ diversi per questo
suono. Tuttavia, con l’andar del tempo, per ciascun suono venne ad essere utilizzato un
numero di kanji ṽሼ sempre minore scelti fra i più semplici, e verso la fine del
periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ 710-794) per il suono /ka/ ad esempio, se ne
adoperavano soltanto alcuni: ട, น, 㑄, ⾐ e pochi altri, mentre alla fine del
processo di eliminazione questi pochi kanji ṽሼ rimasti vennero schematizzati o
spezzettati fino a diventare nuovi simboli grafici molto semplici, chiamati oggi hiragana
(ᐔฬ p.es. ߆, ߈, ߊ) e katakana ( ฬ p.es. ࠞ, ࠠ, ࠢ).
HIRAGANA Gli hiragana ᐔฬ rappresentano ciascuno, per così dire, la resa
corsiva di un intero kanji (p.es. ട ψ ߆). Le donne usavano
esclusivamente questa scrittura, ragion per cui furono chiamati scrittura da donna
(onnade ᅚᚻ546 lett. mano della donna). Durante tutto il periodo Heian (Heian jidai ᐔ
ᤨઍ), diversamente dal giapponese scritto odierno, vennero usati solitamente senza
essere mescolati con i kanji ṽሼ.
ࠎ ࠊ ࠄ ߿ ߹ ߪ ߥ ߚ ߐ ߆
ᣡ ⦟ ᧃ ᵄ ᄹ ᄥ Ꮐ ട
ࠋ ࠅ ߺ ߭ ߦ ߜ ߒ ߈
ὑ એ ⟤ Ყ ੳ ⍮ ਯ ᐞ એ
߁ ࠆ ࠁ ߰ ߧ ߟ ߔ ߊ ߁
ቝ ⇐ ↱ ᱞ ਇ ᅛ Ꮉ ኸ ਭ ቝ
ࠌ ࠇ ߃ ߳ ߨ ߡ ߖ ߌ ߃
ᕺ ␞ ᅚ ㇱ ᄤ ⸘
ࠍ ࠈ ࠃ ߽ ߶ ߩ ߣ ߘ ߎ ߅
㆙ ํ ਈ Ძ ਫ ᱛ ᦥ Ꮖ ᣈ
91
ࡦ ࡢ ࡗ ࡑ ࡂ ࠽ ࠲ ࠨ ࠞ ࠕ
ዌ ⦟ ᧃ ᄹ ᄙ ᢔ ട 㒙
ࡣ ࠗ ࡒ ࡅ ࠾ ࠴ ࠪ ࠠ ࠗ
દ ਃ Ყ ࠾ ජ ਯ ᐞ દ
࠙ ࡞ ࡙ ࡓ ࡈ ࠷ ࠬ ࠢ ࠙
ቝ ᵹ ↱ — ਇ ᅛ Ꮊ 㗇 ਭ ቝ
ࡤ ࠛ ࡔ ࡋ ࡀ ࠹ ࠤ ࠛ
ᕺ ␞ ᳯ ᅚ ㇱ ᄤ ᳯ
ࡥ ࡠ ࡛ ࡕ ࡎ ࡁ ࠻ ࠰ ࠦ ࠝ
ํ ਈ Ძ ਫ ᱛ ᦥ Ꮖ ᣈ
92
è impossibile effettuare, in lingua scritta, comunicazioni precise e spedite. È chiaro
perciò che il ruolo svolto dai kana ฬ può dirsi incalcolabilmente prezioso. A
riprova di ciò basti ricordare che tutta la mole di produzione letteraria della cultura
nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ) sarebbe stata certamente ineffettuabile senza l’uso
degli hiragana ᐔฬ.
§22. Letteratura
93
ricorrere ad un interprete, visto che non avevano padronanza del cinese come lingua
straniera in senso vero e proprio.
94
Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ), sotto l’aspetto economico, le donne, specie le contadine
la cui manodopera era preziosa, godevano ancora d’una posizione sociale relativamente
alta.
La classe aristocratica non si occupava di alcuna attività produttiva, e quindi donne
di quel ceto avevano ben poca ragion d’essere oltre che costituire l’oggetto dell’amore
degli uomini. Per questo, pur dicendo che godevano ancora d’uno status relativamente
elevato, sotto l’aspetto affettivo, erano deboli, soprattutto a causa della poliginia e
dell’istituzione tsumadoikon ᆄᇕ.
Si potrebbe schematizzare la vita coniugale dei nobili Heian (Heian kizoku ᐔ⾆
ᣖ558) nel modo che segue: l’uomo ha più mogli, e ogni moglie abita nella casa nativa e
deve aspettare che suo marito la visiti a casa sua. L’uomo, d’altro canto, ha una piena
libertà di frequentare sempre la stessa moglie o di corteggiarne qualcun’altra. Non è
difficile immaginare quanto, in tali condizioni, le donne soffrissero, sia del timore che
un giorno i loro mariti cessassero di colpo di frequentarle, sia per gelosia, venendo a
sapere che i mariti frequentavano altre donne. Si presume che, in ultima analisi, fossero
l’angoscia e la consapevolezza dell’infelicità femminile ad indurre le dame di compagnia
(nyŇbŇ ᅚ ᚱ ) in servizio presso i massimi circoli culturali a rivolgersi all’attività
letteraria.
ٟ Più avanti alla voceޣNIKKI ޤavremo modo di vedere un esempio della vita
infelice di nobildonne Heian.
ٟ Un paio di canzonette popolari cantate sullo sfondo del tsumaidoikon ᆄᇕ:
ڏIl mio amore / l’altro ieri non si è fatto vedere, / ieri non è venuto. / Se oggi
non ci sarà la sua visita, / domani come faccio / a sopportarne la mancanza?
(dal RyŇjin hishŇ 䇺Ⴒ⒁ᛞ䇻559 1170 ca.)
ڏVieni, vieni, vieni da me. / Hai già iniziato a farmi visita / e caso mai non
venissi più, / la gente pettegolerebbe sul mio conto. / Vieni pure, senza
complimenti. (dal Kanginshş 䇺㑄ี㓸䇻560 1518)
95
(kyştei ችᑨ562 residenza dell’imperatore; cfr. chŇtei ᦺᑨ ψ§4), avendo pur sempre di
mira di trarne un vantaggio per la propria carriera politica.
Tre sono i generi che rappresentano la letteratura della cultura nazionale (kokufş
bunka ࿖㘑ᢥൻ): waka 563, nikki (ᣣ⸥564 lett. diario) e monogatari (‛⺆565 lett.
narrativa, racconto).
ޣWAKA ޤSuccessivamente al periodo detto dei ‘tempi bui per il waka ’ (kokufş
ankoku jidai ࿖㘑ᥧ㤥ᤨઍ), nel clima generale della nipponizzazione della cultura
cinese (ψ§19), era ritornato di moda il waka , e agli inizi del X secolo venne
compilato il Kokin [waka]shş (䇺ฎ[]㓸䇻566 it. Raccolta di poesie giapponesi antiche e
moderne, 905; Il termine waka viene frequentemente omessa.), la prima della serie
di 21 raccolte (nijşichidaishş ੑච৻ઍ㓸 567 ) che, sul modello appunto del Kokin
[waka]shş 䇺ฎ[]㓸䇻 ritenuto a lungo l’antologia più autorevole di waka ,
vennero via via compilate per ordine imperiale nell’arco di oltre 500 anni. Contiene
poco più di 1.100 waka (per la precisione tanka ⍴568, poesie cioè che seguono lo
schema di 5-7-5-7-7) di diversi autori, permeate prevalentemente di un tono soave,
idealistico e soggettivo (kokinchŇ ฎ⺞569 lett. tono del Kokin [waka]shş).
Eccone un paio di esempi:
570ߩਛߦߚ߃ߡ᪉571ߩߥ߆ࠅߖ߫ᤐ572ߩᔃ573ߪߩߤߌ߆ࠄ߹ߒ
Yo no naka ni / taete sakura no / nakariseba / haru no kokoro wa /
nodokekaramashi
[Se non ci fosse un solo ciliegio in questo mondo, l’animo in primavera
sarebbe sereno.]
96
Autore: Ariwara no Narihira (ේᬺᐔ574 825-880)
⑺575᧪576ߧߣ⋡577ߦߪߐ߿߆ߦ578߃ߨߤ߽㘑579ߩ߅ߣߦߙ߅ߤࠈ߆ࠇߧ
ࠆ
Aki kinu to / me niwa sayakani / mienedomo / kaze no oto ni zo / odorokarenuru
[Anche se non vedo chiari segni dell’autunno, resto sorpreso ad udire il vento.]
Autore: Fujiwara no Toshiyuki (⮮ේᢅⴕ580 ?-905)
581582ࠇ߫ߜߝߦ߽ߩߎߘᖤ583ߒߌࠇࠊ߇り584߭ߣߟߩ⑺ߦߪࠄߨߤ
Tsuki mireba / chijini mono koso / kanashikere / waga mi hitotsu no / aki niwa aranedo
[La luna, a guardarla, mi spezza il cuore. E pensare che non sono solo io ad essere in
autunno.]
Autore: ņe no Chisato (ᄢᳯජ㉿585 ?-?)
ޣNIKKI ޤLa tradizione letteraria nikki ᣣ⸥ trae origine dal Tosa nikki (䇺ᣣ
⸥䇻586 it. Diario di Tosa, 935 ca.) di Ki no Tsurayuki (♿⽾ਯ587 872?-945?), uno dei
massimi intellettuali di allora e uno dei compilatori del Kokin [waka]shş 䇺ฎ[]
㓸䇻588.
97
< Tosa nikki > Si tratta del diario di 55 giorni tenuto da Tsurayuki ⽾ਯ durante
il viaggio di ritorno alla capitale dalla provincia di Tosa (Tosa no kuni ࿖ ψcarta
6; oggi KŇchi-ken 㜞⍮⋵589) dove teneva l’ufficio di kokushi ࿖ม.
Come si è rilevato, gli uomini, specie i funzionari pubblici, solevano servirsi del
cinese per scrivere. D’altronde tenere un diario è un’attività che rientra nella vita privata;
nel diario uno esprime il proprio mondo interiore. Per dire la verità, la lingua cinese e le
parole di origine cinese poco si addicevano a tale fine (e poco si addicono anche adesso).
Tsurayuki ⽾ਯ (di sesso maschile) preferì, così, tenere il suo diario di viaggio in
giapponese, e quindi si vide costretto a servirsi degli hiragana ᐔฬ considerati allora
scrittura da donna (onnade ᅚᚻ ψ§21), ragion per cui dovette iniziare l’opera con la
seguente dichiarazione ben nota:
« Ho sentito dire che gli uomini tengano diari. Sono una donna, ma anch’io
terrò un diario ».
ٟ Nella lingua giapponese c’è un’opposizione netta fra parole autoctone (yamato
kotoba ᄢ⸒⪲590 chiamate anche wago ⺆591 ) e parole di origine cinese
(kango ṽ⺆592). I giapponesi operano una innata distinzione fra le prime e le
seconde, scegliendo quelle che meglio si addicono per esprimere lo stato d’animo e
per svolgere attività intellettuale.
Le poesie che un tempo gli intellettuali lasciavano (e a volte anche adesso
lasciano) in punto di morte (jisei no uta ㄉߩ593 lett. poesia di chi lascia il
mondo) furono (e sono) uno o due waka composti esclusivamente di yamato
kotoba ᄢ⸒⪲. Le dolci parole d’amore sono tutte yamato kotoba ᄢ⸒⪲;
infatti, una confessione d’amore fatta in kango ṽ⺆ suonerebbe falsa.
Per contro, ad esempio, le pubblicazioni di carattere accademico sono ricolme
di kango ṽ⺆. Qualora fossero redatte in yamato kotoba ᄢ⸒⪲, rischierebbero
di essere giudicate poco scientifiche, poco accademiche indipendentemente dal
contenuto.
98
mani delle dame di corte (nyŇbŇ ᅚᚱ). La prima di una serie di questo filone fu il KagerŇ
nikki.
< KagerŇ nikki > Il KagerŇ nikki (䇺ⱳⰭᣣ⸥䇻594 it. Diario di un’effimera, 974?)
scritto dalla madre di Fujiwara no Michitsuna (Fujiwara no Michitsuna no haha ⮮ේ
✁Უ595 [oggi chiamata così, in quanto il suo nome resta ignoto], 935?-995) ci fornisce
un esempio tipico di mogli infelici.
Nell’opera è denunciato insistentemente il tragico modo di essere della vita
coniugale dell’autrice stessa. Suo marito è Fujiwara no Kaneie (⮮ේኅ596, 929-990),
padre di Fujiwara no Michinaga (⮮ේ㐳 ψ§16), quindi un alto personaggio. Anche
l’autrice è di origine nobiliare, ma di medio rango (zuryŇ ฃ㗔, per l’appunto). Da
questo rapporto sbilanciato scaturiscono inevitabilmente frizioni. Per suo marito, che
sta facendo una carriera brillantissima, essa, figlia d’un piccolo nobile, non è che un
semplice oggetto di svago. Il marito la tradisce in continuazione ed è sempre pronto a
fare la corte ad altre. A dispetto di tutti gli sforzi dell’autrice, la situazione peggiora. Il
marito le si allontana sempre di più. Così, anche l’autrice, suo malgrado, finisce per
essere scontrosa e perversa, e alla fine cerca un ultimo filo di speranza di vita nel suo
unico figlio Michitsuna ✁, non avendo altre alternative, condizionata com’è dai
limiti invalicabili dei suoi tempi. Dice: « Data la precarietà delle cose, mi sento sospesa
fra l’essere e il non essere. Chiamerò, perciò, questo mio il diario di un’effimera ».
< Makura no sŇshi: inizio del genere zuihitsu > Sia pure di natura alquanto
diversa dal nikki ᣣ⸥ si ebbe il Makura no sŇshi (䇺ᨉ⨲ሶ䇻597 it. Appunti del guanciale,
1000 ca.) in cui l’autrice Sei ShŇnagon (ᷡዋ⚊⸒ 598 966?-1021/1027?), dama al
servizio di una consorte (di sangue Fujiwara ⮮ේ) dell’imperatore IchijŇ (IchijŇ tennŇ
৻᧦ᄤ⊞ r. 986-1011), espose in modo vivido le sue impressioni ed opinioni sulla
natura e sulla vita della corte, dando inizio al genere cosiddetto zuihitsu (㓐╩599 lett.
lasciarsi guidare dal pennello; [raccolta di] appunti ed osservazioni occasionali su quanto
avviene nella società e nella vita di tutti i giorni; miscellanea).
L’opera, anche se le osservazioni ivi esposte si rivelano a volte frivole, è considerata
una delle gemme della letteratura Heian.
ޣMONOGATARI 䇽 Si tratta del genere che ebbe origine dalla fusione di due filoni
594 Kage/rŇ/ nik/ki 䇺ⱳ non reg./non reg.Ⱝ non reg./non reg.ᣣ 1/5 ⸥ 147/371䇻
595 Fuji/wara/ no/ Michi/tsuna/ no/ haha ⮮ 206/2231 ේ 132/136 129/149 ✁ 1250/1609 Უ 554/112
596 Fuji/wara/ no/ Kane/ie ⮮ 206/2231 ේ 132/136 1042/1081 ኅ 81/165
597 Maku/ra/ no/ sŇ/shi 䇺ᨉ non reg./non reg.⨲ 705/249 ሶ 56/103䇻
598 Sei/ ShŇ/na/gon ᷡ 509/660 ዋ 231/144 ⚊ 994/758 ⸒ 279/66
599 zui/hitsu 㓐 1364/1741 ╩ 940/130
99
di natura diversi rappresentati
x dal Taketori monogatari (䇺┻ข‛⺆䇻600 it. Storia di un tagliabambù, inizi X sec.;
narrativa fantastica familiare ai bambini giapponesi con il titolo di Kaguyahime 䇺߆ߋ߿
ᆢ䇻601, fanciulla meravigliosa venuta dalla luna), e
x dall’Ise monogatari (䇺દ‛⺆䇻602 it. Racconti di Ise, inizi X sec.; raccolta di poesie
waka con note introduttive sulla vita sentimentale di Ariwara no Narihira ේ
ᬺᐔ603 825-880, uomo reputato di bell’aspetto).
< Genji monogatari > Appartiene a questo genere uno dei massimi capolavori (o
il massimo capolavoro secondo non pochi degli studiosi e critici letterari) dell’intera
letteratura giapponese: Genji monogatari (䇺Ḯ᳁‛⺆䇻604 it. Storia di Genji, 1008?-1014?)
di Murasaki Shikibu (⚡ᑼㇱ605 978?-?), dama di corte (nyŇbŇ ᅚᚱ).
Dopo la morte del marito, l’autrice entrò al servizio di una consorte (diversa da
quella servita da Sei ShŇnagon ᷡዋ⚊⸒) dell’imperatore IchijŇ (IchijŇ tennŇ ৻᧦ᄤ
⊞). Giacché la padrona era una figlia di Fujiwara no Michinaga (⮮ේ㐳 ψ§16), il
Genji monogatari 䇺Ḯ᳁‛⺆䇻, insieme con il Makura no sŇshi 䇺ᨉ⨲ሶ䇻, fu un frutto
della gloria dei Fujiwara (Fujiwarashi ⮮ේ᳁).
Romanzo fiume di mole eccezionale, il suo intreccio assai complesso si svolge, sullo
sfondo del pensiero buddhista, intorno a due protagonisti. I personaggi che si
presentano nel romanzo ammontano ad oltre 300, tutti con una propria personalità. Il
pennello dell’autrice penetra in profondità la psicologia umana.
L’opera costituisce, inoltre, una miniera di informazioni sulla vita e sulla società
dell’aristocrazia Heian (Heian kizoku ᐔ⾆ᣖ606).
Eccone un sunto ridotto ad una mera esposizione di principali vicende appena
sufficienti per seguire l’evolversi della storia:
Sotto chissà quale regno, c’era una dama di lignaggio non molto alto, chiamata Kiritsubo
no kŇi (᩿ᄃᦝ607; Kiritsubo ᩿ᄃ lett. Cortile di Paulonia, nome della camera, in cui
100
abitava la dama in parola, dei palazzi imperiali [dairi ౝⵣ]; kŇi ᦝ alto titolo di dame al
servizio in camera da letto del tennŇ ᄤ⊞)
La nobildonna degnata dal sovrano di tutta la sua attenzione diede alla luce una gemma di
principe, ma si ammalò e morì, non sapendo resistere al disprezzo e alle gelosie delle sue
colleghe invidiose della preferenza accordatale dall’imperatore.
607 Kiri/tsubo/ no/ kŇ/i ᩿ 1569/2110 ᄃ non reg./non reg.ᦝ 978/1008 1019/677
608 mi/yasun/dokoro ᓮ 620/708 ᕷ 872/1242 ᚲ 107/153
609 shin/seki/ kŇ/ka ⤿ 981/835 ☋ 1463/1198 㒠 787/947 ਅ 72/31
610 Hikaru/ Gen/ji శ 417/138 Ḯ 827/580 ᳁ 177/566
611 Aoi/ no/ ue ⫓ non reg./non reg. 21/32
612 Fuji/tsubo/ no/ nyŇ/go ⮮ 206/2231 ᄃ non reg./non reg.ᅚ 178/102 ᓮ 620/708
613 Utsu/semi ⓨ 233/140 ⱻ non reg./non reg.
614 Yş/gao ᄕ 627/81 㗻 527/277
615 Murasaki/ no/ ue ⚡ 1489/1389 21/32
616 Rei/zei/tei ಄ 607/832 ᴰ 902/1192 Ꮲ 1024/1179
617 Oboro/zuku/yo/ no/ kimi ᧀ non reg./non reg. 26/17 ᄛ 258/471 ำ 700/793
618 Su/ma 㗇 936/2263 ⏴ 1376/1531
619 Aka/shi 84/18 ⍹ 276/78
620 Aka/shi/ no/ hime/gimi 84/18 ⍹ 276/78 ᆢ 1534/1757 ำ 700/793
621 dai/jŇ/ dai/jin ᄥ 343/629 50/483 ᄢ 7/26 ⤿ 981/835
622 Roku/jŇ/in 20/8 ᧦ 391/564 㒮 236/614
623 jŇ/do ᵺ 1559/664 316/24
624 Uji/jş/jŇ ቝ 757/990 ᴦ 181/493 ච 5/12 Ꮭ non reg./non reg.
625 Kaoru/ dai/shŇ ⮍ 1735/1774 ᄢ 7/26 561/627
626 Onna/ san/ no/ miya ᅚ 178/102 ਃ 10/4 ች 419/721
627 U/ji/gawa ቝ 757/990 ᴦ 181/493 Ꮉ 111/33
628 ņi/ gimi ᄢ 7/26 ำ 700/793
629 Naka/ no/ kimi ਛ 13/28 ำ 700/793
630 NiŇ/ no/ miya ൬ non reg./non reg.ች 419/721
631 Aka/shi/ no/ chş/gş 84/18 ⍹ 276/78 ਛ 13/28 ች 419/721
632 kŇ/gŇ ⊞ 964/297 อ 1759/1119
633 Uki/fune ᶋ 1047/938 ⥱ 1334/1094
634 Yo/kawa/ no/ sŇ/zu ᮮ 297/781 Ꮉ 111/33 ௯ 1423/1366 ㇺ 92/188
635 Gen/shin Ḯ 827/580 ା 198/157
101
ᄤ⊞). Non si possono quindi definire queste ultime quali concubine o amanti
nell’accezione odierna, carica di una certa connotazione. Tutte le dame che
partorivano principi e principesse erano, agli occhi del mondo, ugualmente
consorti dette miyasundokoro (ᓮᕷᚲ608 lett. posto di riposo del tennŇ ᄤ⊞) e
non avevano nulla da temere sotto l’aspetto morale.
Il principe intanto crebbe sano sotto una cura amorevole del padre, il quale, preoccupato
per l’avvenire di questo figlio prediletto che sarebbe rimasto senza sostenitori influenti da
parte materna dopo il suo ritiro dal trono, preferì ridurlo al rango di suddito (shinseki kŇka ⤿
☋㒠ਅ609 lett. discesa all’anagrafe di suddito), creando così per lui un nuovo casato non
imperiale di nome Genji Ḯ᳁. Un po’ per la sua straordinaria bellezza fisica e un po’ per il
suo talento, la gente lo chiamò Hikaru Genji (శḮ᳁610 lett. Genji lo splendente).
102
nyŇgo ⮮ᄃᅚᓮ si tormentano profondamente.
L’ambiente che circanda Genji Ḯ᳁ prende intanto una brutta piega: comincia a farsi
sentire l’autorità del ministro della destra (udaijin ฝᄢ⤿ ψ§6), rivale del suocero di Genji
Ḯ᳁. Per giunta egli combina un grosso guaio; intreccia una relazione con Oborozukuyo no
kimi (ᧀᄛำ617; Oborozukuyo ᧀᄛ lett. notte con la luna velata di nuvole; kimi ำ
suffisso onorifico), figlia del ministro della destra (udaijin ฝᄢ⤿), e la relazione venne
scoperta.
Vistosi costretto ad allontanarsi dalla capitale, si trattiene per un paio d’anni a Suma (㗇
⏴618 ψcarta 7) e Akashi (⍹619 ψcarta 7), dove viene a conoscere Akashi no ue ⍹,
figlia di un ex-kokushi (࿖ม ψ§6) arricchito, la quale darà a Genji Ḯ᳁ una figlia descritta
come Akashi no himegimi (⍹ᆢำ620; himegimi ᆢำ espressione onorifica di figlia d’un
nobile).
A 28 anni Genji Ḯ᳁ fu autorizzato a rientrare alla capitale.
L’anno seguente sale al trono l’imperatore Reizei (Reizei tei ಄ᴰᏢ, ossia figlio di Genji
Ḯ᳁ e Fujitsubo no nyŇgo ⮮ᄃᅚᓮ), ed egli apprende che il suo vero padre è Genji Ḯ᳁.
Prendono ora l’avvio gli anni d’oro del protagonista. Viene promosso a daijŇ daijin (ᄥ
ᄢ⤿621 ψ§6). Genji Ḯ᳁, a 33 anni, non è più quello di prima. È un uomo giudizioso con
una brillante carriera alle spalle. Fa costruire un palazzo quanto mai sontuoso di nome
RokujŇin ᧦㒮622; lì ospita tutte le donne con cui ha avuto a che fare e conduce una vita
piena di gusto di rara squisitezza. Il RokujŇin ᧦㒮, con le sue quattro zone di primavera,
estate, autunno ed inverno, costituisce, per così dire, un paradiso terrestre paragonabile alla
Terra Pura (jŇdo ᵺ623 ψ§23).
Murasaki no ue ⚡ muore a 43 anni. L’anno seguente Hikaru Genji శḮ᳁, ormai di
52 anni, si decide a farsi monaco ed esce di scena.
ܮ
Gli ultimi 10 capitoli (su un totale di 54), comunemente detti nel loro complesso UjijşjŇ (ቝᴦච
Ꮭ624 dieci capitoli di Uji; Uji ቝᴦ ψcarta 7), costituiscono in pratica la parte seconda.
La storia ambientata ad un paesino di Uji ቝᴦ riguarda la vita sentimentale di Kaoru daishŇ (⮍
ᄢ625; daishŇ ᄢ comandante supremo del gendarme), formalmente figlio di Genji Ḯ᳁, ma in
realtà figlio extraconiugale di una donna di sangue imperiale che era una delle sue mogli: Onna san no
miya (ᅚਃች626 lett. principessa terzogenita; miya ች suffisso onorifico posto ai membri imperiali).
Contrariamente a Genji Ḯ᳁ dal temperamento esuberante, Kaoru ⮍, devoto alla pratica religiosa,
ha un carattere introverso e poco deciso.
ܮ
103
secondogenita d’un nobile). Kaoru ⮍ vuole prendere in moglie ņi gimi ᄢำ , che
malgrado la fiducia posta in lui si rifiuta di concedersi, ed agisce invece, per il bene di sua
sorella, in modo che sia quest’ultima ad unirsi con lui. Naka no kimi ਛำ, tuttavia, finisce
con l’essere moglie di NiŇ no miya (൬ች630 lett. principe dal colore smagliante), amico di
Kaoru ⮍, nato dall’imperatore Reizei (Reizei tei ಄ᴰᏢ) e Akashi no chşgş (⍹ਛች631 la
stessa Akashi no himegimi ⍹ᆢำ; chşgş ਛች imperatrice-moglie).
ٟ Durante la prima metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ), al di sopra
del chşgş ਛች, c’era un altro titolo di massimo rango d’imperatrice-moglie: kŇgŇ
⊞อ632. Nella seconda metà i due titoli furono pareggiati.
ņi gimi ᄢำ, visto che sua sorella non è sposata felicemente, si addolora e muore.
Kaoru ⮍ viene poi attratto da una ragazza che ricorda ņi gimi ᄢำ nei lineamenti.
Difatti è sorellastra di lei; è l’ultima eroina di nome Ukifune (ᶋ⥱633 lett. nave galleggiante),
povera ragazza sballottata dalla sorte. Niou no miya ൬ች, erede dell’indole avventuriera di
Genji Ḯ᳁, riesce a sedurla, perché casualmente scambiato per Kaoru ⮍. Ukifune ᶋ⥱,
trovatasi tra due uomini e non sapendo regolarsi, cerca di togliersi la vita, gettandosi nel fiume
Ujigawa ቝᴦᎹ; salvata poi da Yokawa no sŇzu (ᮮᎹ௯ㇺ634 monaco amidista ritenuto
modellato su Genshin Ḯା635 ψ§23; Yokawa ᮮᎹ parte dell’Enryakuji ᑧᥲኹ ψ§23;
sŇzu ௯ㇺ alto titolo ecclesiastico), si fa monaca.
Alla capitale Ukifune ᶋ⥱ era stata data per morta, ma il sŇzu ௯ㇺ, quando vi si recò,
ebbe modo di raccontare l’accaduto. Kaoru ⮍ le inoltrò una lettera affidandola al fratello di
lei, ma Ukifune ᶋ⥱ si rifiutò di riconoscere persino il proprio fratello, e la lettera rimase
senza risposta.
104
influenza incalcolabile non soltanto sull’attività letteraria dei posteri, ma perfino sul
modo di pensare e sui sensi estetici, quindi anche sui comportamenti dei giapponesi
nella loro vita quotidiana. Gli studiosi, specie quelli stranieri di letteratura giapponese
assegnano a quest’opera un posto di prim’ordine nella letteratura mondiale.
LETTERATURA DEL PE- Con il sorgere della classe dei bushi (ᱞ჻ ψ§18) si
RIODO DELLO INSEI andò affermando man mano un nuovo tipo di cultura
ricco di elementi popolari, sconosciuti alla cultura nazionale fondamentalmente
aristocratica (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ), e quando lo sviluppo di quest’ultima giunse a un
punto morto in seguito al mutar dei tempi e per l’inerzia della nobiltà, un altro tipo di
cultura rude, ma sana cominciò a guadagnare terreno.
< Konjaku monogatari[shş] > Nel periodo dello insei (㒮 ψ§16) si ebbe, così,
il Konjaku monogatari[shş] (䇺ᤄ‛⺆[㓸]䇻639 lett. [raccolta di] racconti di « Molti anni
or sono », it. Racconti del tempo che fu, fine XI sec. o inizio XII sec.; shş 㓸: omissibile),
opera che rispecchia chiaramente le mutate situazioni socio-politiche e si colloca
all’apice di una serie di opere chiamate complessivamente setsuwa bungaku (⺑ᢥቇ640
lett. letteratura dei racconti popolari tramandati di generazione in generazione). In essa
sono sistemate oltre 1.000 novelle raggruppate in tre categorie: novelle indiane, novelle
cinesi e novelle giapponesi.
L’ultima categoria dedicata al Giappone è suddivisa ulteriormente in settore
buddhista e settore laico. Se questa raccolta è stimata di grande valore, ciò si deve
principalmente alle novelle dell’ultimo settore laico giapponese.
I loro protagonisti, al pari degli autori di poesie del Man’yŇshş 䇺 ਁ ⪲ 㓸 䇻 ,
provengono da tutte le classi sociali: imperatori (tennŇ ᄤ⊞), nobili (kizoku ⾆ᣖ),
dipendenti pubblici di bass’ordine, monaci, studiosi, divinatori (onmyŇji 㒶㓁Ꮷ641),
commercianti, contadini, pescatori, bushi ᱞ჻. Non mancano, certo, ladri, briganti,
mendicanti e simili. Dal punto di vista dell’argomento sono esposti casi non di rado
anche di assassinio, di stupro, di corruzione.
A totale differenza dal mondo chiuso e morboso e dei sensi estetici estremamente
acuiti della letteratura femminile o effeminata, il mondo del Konjaku monogatari[shş] 䇺
ᤄ‛⺆[㓸]䇻 è poco elegante, non di rado anche rude e volgare, ma è sano, aperto e
soprattutto pieno di vitalità: segni precursori del medioevo (chşsei ਛ642).
105
Ecco due novelle dal Konjaku monogatari[shş] 䇺ᤄ‛⺆[㓸]䇻:
106
dell’alta nobiltà. Essi si sono degnati di strapparmi gli indumenti.
Sentendolo dire questo, il malintenzionato scoppiò a ridere e si allontanò.
Dopodiché, chiamati ad alta voce dal sakan ผ, rispuntarono il fanciullo e gli uomini
del seguito. Fu così che tornò a casa.
Parlò alla moglie dell’accaduto. ‘Hai una tale forza d’animo da far vergogna ai
rapinatori!,’ rispose ella, ridendo.
Difatti, la sua fu un’audacia davvero rara. Una persona ordinaria non troverebbe
il coraggio di denudarsi e di nascondere gli indumenti con l’intenzione di raccontar
frottole ad eventuali rapinatori. La gente ha continuato a dire di generazione in
generazione che se egli si era espresso in quel modo, era perché sapeva parlare
abilmente ».
ٟ * sakan ผ : una delle più basse qualifiche del daijŇkan. / Taikenmon ᓙ⾫㐷 ,
Bifukumon ⟤㐷: due delle porte del quartiere degli uffici governativi. / ņmiyaŇji ᄢ
ችᄢ〝 , NijŇŇji ੑ᧦ᄢ〝 : due delle strade larghe della capitale. / gissha ‐ゞ :
carrozza trainata da un bue, usata un tempo dai nobili quale mezzo di trasporto. / tabi ⿷
ⴼ: calze tradizionali giapponesi. / sudare ☄: avvolgibile a stecche di bambù. Svolgeva la
funzione di porta e di tenda./ shaku ╈: tavola di legno stretta e lunga circa 30 cm, tenuta
nella mano destra. Si usava per appoggiarvi i promemoria letti in occasioni ufficiali. Oggi fa
parte dell’abbigliamento dei sacerdoti shintoisti.
YZ
« Anni e anni or sono c’era a est del tempio Ninnaji ੳኹ653 un fiume di
nome KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ654). Calata la sera, stava in piedi in riva a questo
fiume una fanciulla dalla candida presenza. Ella, quando vedeva qualcuno andare a
cavallo, chiedeva un favore:
‘Per cortesia, fatemi salire in groppa al vostro cavallo e portatemi alla capitale.’
Una volta montata in groppa, andava per quattro o cinque chŇ* ↸655, saltando
107
poi giù di punto in bianco. Qualora inseguita, riassumeva le sembianze d’una volpe
e scappava, emettendo guaiti.
Circolava la voce che il fenomeno si fosse verificato ripetutamente. Una volta,
quando chiacchieravano molti takiguchi* Ṛญ nella loro stazione di servizio (taki-
guchi dokoro Ṛญᚲ656), uno di loro parlò della giovane ragazza-volpe del fiume
KŇya.
‘Scommetto che io la catturerò. Se la volpe riesce a scappare, è perché i cavalieri
non si ingegnano a catturarla,’ disse un giovane takiguchi Ṛญ coraggioso ed anche
giudizioso.
Sentendolo parlare così, le [lacuna] guardie eccitate dissero:
‘Questa è grossa! Non ce la farete.’
‘Vi giuro che domani notte la catturerò e la trascinerò qui,’ replicò il giovane
takiguchi Ṛญ.
‘State scherzando. Non ci riuscirete,’ ribadirono i suoi colleghi.
Seguì un vivace scambio di parole. Non cedette nessuna delle due parti.
La notte seguente la guardia di cui si tratta, senza portare [lacuna], salì sul dorso
d’un magnifico cavallo di razza e andò tutta sola al fiume KŇya. Lo attraversò, ma
non avendo trovato la fanciulla, prese la strada di ritorno e mentre procedeva alla
volta di HeiankyŇ ᐔ੩657, vide una giovane ragazza.
Ella, vedendo il takiguchi Ṛญ passare, disse con un bel sorriso:
‘Vi prego di prendermi in groppa al vostro cavallo.’
Era carina ed affascinante.
‘Montate subito. Dove volete andare?,’ domandò.
‘Devo andare alla capitale. E siccome si è fatta sera, mi piacerebbe andare in
groppa al vostro cavallo.’
Immediatamente il giovane la prese dietro di sé e non appena salita, la legò per
la vita alla sella con delle redini che aveva portato con sé per questo preciso scopo.
‘Ma cosa fate!?,’ domandò la giovane.
‘Vi porto con me e stanotte dormirò con voi tra le mie braccia. Se vi lego, è
perché non voglio perdervi,’ rispose.
Intanto si era fatto completamente buio.
Il takiguchi Ṛ ญ procedette per il viale IchijŇ (IchijŇŇji ৻ ᧦ ᄢ 〝 ) in
direzione est. Quando aveva oltrepassato il viale Nishi ņmiya (Nishi ņmiyaŇji
108
ᄢችᄢ〝658), vide venire da est, illuminato da torce, un lungo corteo di carrozze.
Si sentiva una voce alta che intimava di fare largo.
‘Passano personaggi d’alto lignaggio?,’ si chiese il takiguchi Ṛญ.
Tornò indietro e percorrendo il viale Nishi ņmiya (Nishi ņmiyaŇji ᄢችᄢ
〝), giunse al viale NijŇ (NijŇŇji ੑ᧦ᄢ〝) e lì andò verso est. Passando poi per il
viale ņmiya (ņmiyaŇji ᄢችᄢ〝) della parte orientale di HeiankyŇ ᐔ੩, arrivò
alla porta Tsuchimikado (Tsuchimikado ᓮ㐷659).
Avendo ordinato ai suoi uomini di aspettarlo presso questa porta, domandò:
‘Siete qui?’
‘Sì, signore. Siamo qui,’
Apparve una decina di uomini.
Il takiguchi Ṛญ slegò la fanciulla e la tirò giù dal cavallo, quindi l’afferrò per il
braccio ed entrò per la porta. Con le torce in testa condusse la ragazza alla stazione
delle guardie-takiguchi (takiguchi dokoro Ṛญᚲ).
I suoi colleghi che lo attendevano tutti insieme, quando sentirono la sua voce,
domandarono all’unisono:
‘E allora?’
‘Eccola qui catturata,’ rispose.
‘Ora lasciatemi andare. C'è molta gente che ci guarda,’ disse la fanciulla
addolorata, ma la giovane guardia, invece di liberarla, continuava a tenerla per il
braccio.
Tutti i suoi colleghi uscirono fuori e circondarono i due. Poi attizzando le torce,
dissero:
‘Lasciatela libera qui dentro,’
‘Ma, cosa dite!? Potrebbe scappare. Non la libererò,’ replicò il giovane.
‘Non preoccupatevene. Suvvia, lasciatela. Divertiamoci. Caso mai scappasse, la
colpiremo alla coscia. Siamo in molti. È impossibile che manchiamo il bersaglio.’
Una decina di uomini prendeva la mira, pronta a colpire.
‘D’accordo.’
Il takiguchi Ṛญ mollò la presa. Ed ecco che immediatamente la fanciulla
riprese l’aspetto di una volpe e scappò, emettendo guaiti. Scomparvero anche tutti i
suoi colleghi come se fossero cancellati da un colpo di spugna. E siccome si
spensero anche le fiamme, si fece buio fitto.
Il takiguchi Ṛญ, sconcertato, chiamò i suoi uomini, ma non ve n’era più
109
nessuno. Guardò intorno e si trovò in mezzo a un campo sconosciuto a cielo aperto.
Ebbe un terrore indescrivibile. Si sentì più morto che vivo. Comunque, facendosi
coraggio, guardò di nuovo tutt’intorno, e dall’aspetto delle montagne e del luogo
capì che si trovava nel cimitero di Toribeno* 㠽ㇱ㊁660.
‘Credevo di aver prima preso il viale Nishi ņmiya (Nishi ņmiyaŇji ᄢችᄢ
〝), e poi percorso un bel tratto del perimetro del Daidairi* ᄢౝⵣ661. E invece
…, accidenti! Sono finito in un luogo di questo genere! Anche quel corteo con
fiaccole che ho visto nel viale IchijŇ (IchijŇŇji ৻᧦ᄢ〝) dev’essere stato un
[inganno tramato*] dalla volpe,’ pensò.
Dal momento che non poteva comunque restare lì con le mani in mano, dopo
un po’ di tempo si mise a camminare e arrivò a casa verso mezzanotte. Il giorno
seguente il giovane si sentì male e rimase inchiodato a letto come se fosse morto.
Nel frattempo, visto che il takiguchi Ṛญ atteso non si era fatto vivo quella
notte, i suoi colleghi dissero tra risate:
‘Che fine avrà fatto quel certo Signore che ha dichiarato di farcela a catturare la
volpe del fiume KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ)?’
Lo fecero chiamare.
La sera del terzo giorno il giovane takiguchi Ṛญ si presentò alla stazione delle
guardie (takiguchi dokoro Ṛญᚲ) con l’aria di chi era stato gravemente ammalato.
‘Cosa avete fatto della volpe di quella notte?,’ domandarono i colleghi.
‘Quella notte ho avuto una malattia insopportabile, e quindi non sono potuto
andare. Ci proverò stanotte'.
‘Allora, questa volta ne catturerete due,’ dissero così, prendendosi gioco di lui.
Il takiguchi Ṛญ si allontanò senza replicare parola, ma pensò dentro di sé:
‘Visto che la volpe è stata prima ingannata da me, non credo che stasera si farà
vedere. Comunque, caso mai si presentasse, questa volta non la libererò per nessun
motivo durante tutta la notte. Se non apparirà, non verrò mai più a farmi vedere alla
stazione (takiguchi dokoro Ṛญᚲ) e rimarrò rinchiuso in casa.’
Quella notte andò a cavallo al fiume KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ), accompagnato
da molti suoi uomini muscolosi.
‘Potrei eventualmente finire con il rovinare la mia vita per una stupidaggine di
questo genere.’ pensò. Tuttavia, siccome era stato lui a dichiarare di farcela, non
poteva tornare indietro.
Attraversò il fiume, ma non trovò la fanciulla. Quando tornò indietro, la vide in
110
piedi in riva. Il suo viso non era quello della giovane della sera precedente.
‘Vorrei salire in groppa al vostro cavallo,’ gli fu chiesto come prima.
La fece montare. La legò ben stretta anche questa volta con delle redini.
A HeiankyŇ ᐔ੩ prese il viale IchijŇ (IchijŇŇji ৻᧦ᄢ〝), e siccome era
diventato buio, si fece precedere da uomini con torce e si fece scortare da altri
uomini accanto al cavallo, prendendo altri provvedimenti opportuni. Procedette
intimando di fare largo. Non incontrò nessuno.
Sceso da cavallo alla porta Tsuchimikado (Tsuchimikado ᓮ㐷), afferrò la
giovane per i capelli e si mise a trascinarla. La ragazza, piangendo, oppose resistenza,
ma fu condotta alla stazione delle guardie (takiguchi dokoro Ṛญᚲ).
‘Com’è andata la cosa?,’ chiesero.
‘Eccola,’ rispose il takiguchi Ṛญ.
La fanciulla, legata questa volta assai strettamente, fu messa a sedere. Mantenne
l’aspetto umano per un po’ di tempo, sennonché maltrattata spietatamente in mille
modi diversi, finì col riassumere la figura di una volpe. Il giovane takiguchi Ṛญ la
malmenò con una torcia, bruciandole quasi interamente il pelo. Ogni tanto scoccava
una [freccia sibilante*].
‘Voi, d’ora in poi, non prenderete in giro più nessuno con i vosti scherzi di
cattivo gusto,’ disse e la lasciò andare.
La volpe ridotta al punto di non poter più camminare si allontanò a malapena.
Dopodiché il takiguchi Ṛญ raccontò ai suoi colleghi per filo e per segno la sua
storia, a cominciare dal fatto di essere finito, ingannato, a Toribeno 㠽ㇱ㊁ e altre
esperienze.
Circa dieci giorni più tardi il takiguchi Ṛญ, volendo catturarla un’altra volta,
andò a cavallo al fiume KŇya (KŇyagawa 㜞㓁Ꮉ). Quella stessa fanciulla stava in
piedi in riva con l’aria di chi aveva sofferto di una grave malattia.
‘Cara mia, montate in groppa al cavallo,’ disse.
‘Verrei montare ..., ma non ce la faccio a sopportare le vostre fiamme…’ rispose
e scomparve.
La nostra volpe se la passò male, perché aveva ingannato quell’uomo. È una
faccenda che dev’essere accaduta non molto tempo fa. Poiché si tratta di una storia
rara, la gente l’ha tramandata.
Ora vediamo un po’. Si sa che fin dai tempi antichi le volpi hanno l’abitudine di
tramutarsi in persone. La nostra era talmente abile nell’ingannare gli uomini da
condurli persino a Toribeno 㠽ㇱ㊁. Se era così brava, quando fu catturata per la
seconda volta, come mai non fece apparire carrozze e come mai non gli fece
smarrire il cammino? La gente ha continuato a dire di generazione in generazione
111
che le volpi sembrano agire diversamente a seconda della disposizione d’animo
dell’uomo con cui hanno a che fare ».
ٟ * chŇ ↸: unità di distanza. Un chŇ equivale a circa 109 metri. / takiguchi Ṛญ: bushi
ᱞ჻662 con compito di sorveglianza dei palazzi imperiali. / Toribeno 㠽ㇱ㊁: si scrive
anche 㠽ㄝ㊁ fin dai tempi antichi uno dei cimiteri di KyŇto ੩ㇺ663. / Daidairi ᄢ
ౝⵣ: quartiere in cui si trovavano i palazzi imperiali e quelli governativi, di HeiankyŇ ᐔ
੩ e anche di HeijŇkyŇ ᐔၔ੩ / [inganno tramato], [freccia sibilante]: lacune
facilmente colmabili. C’era la credenza che la freccia sibilante potesse scongiurare gli influssi
malefici.
Nei primi anni del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) vennero introdotte dalla
Cina due nuove scuole buddhiste, una da Kşkai ⓨᶏ667 e l’altra da SaichŇ ᦨẴ668.
112
SCUOLA Nell’806 venne fondata la setta Shingon (Shingonshş ⌀⸒ቬ669; shş ቬ
SHINGON scuola, setta) da Kşkai (ⓨᶏ 774-835), che eresse il KongŇbuji (㊄ፃ
ኹ lett. tempio sulla punta del diamante, 816-a tutt’oggi) sul monte di nome KŇyasan
670
(㜞㊁ጊ671 monte KŇya ψcarta 7; san ጊ montagna) nella provincia di Kii (Kii no
kuni ♿દ࿖672 ψcarta 8; oggi Wakayama-ken ጊ⋵673). Si tratta di una scuola la
cui dottrina altamente metafisica fu quella del buddhismo esoterico (mikkyŇ ኒᢎ674
sans. VajrayĆna [veicolo di diamante], it. tantrismo).
Il mikkyŇ ኒᢎ dello Shingonshş ⌀⸒ቬ fu chiamato tŇmitsu (᧲ኒ675 lett. mikkyŇ
orientale; tŇmitsu ᧲ኒ φ TŇ/ji ᧲ኹ 㧗 mik/kyŇ ኒᢎ), denominazione di deriva-
zione dal TŇji (᧲ኹ lett. tempio orientale, 796-presente) dello Shingonshş ⌀⸒ቬ a
KyŇto ੩ㇺ.
Il buddhismo esoterico è una forma di mahĆyĆna (daijŇ bukkyŇ ᄢਸ਼ᢎ ψ§12)
sorta in India verso il IV secolo (secondo certe pubblicazioni di vecchia data verso il
VII sec.) ed accompagnata da riti mistici. Esso predica che se ci si concentra, pronun-
ciando la formula magica shingon (⌀⸒ lett. vera parola; sans. mantra; cin. zhenyan,
chên-yen) e ponendo le mani in date posizioni, si può diventare buddha con il corpo
fatto di carne e ossa (sokushin jŇbutsu හりᚑ676 lett. Il corpo così com’è diventa
buddha.) e che nello stesso tempo ci si assicura benessere e felicità in questo mondo.
Kşkai ⓨᶏ era assai versatile ed è noto ai giapponesi non soltanto come
fondatore dello Shingonshş ⌀⸒ቬ, ma anche come calligrafo, poeta, studioso e
operatore di servizi sociali, tra cui fondazione a KyŇto ੩ㇺ di un istituto d’istruzione
di nome Shugei shuchiin (⛱⧓⒳ᥓ㒮677, 828), il primo in Giappone per l’istruzione
della gente comune. Fu insignito con il nome postumo di KŇbŇ daishi (ᒄᴺᄢᏧ678,
lett. Grande Maestro-Diffusore del dharma; dharma ψ§12).
113
SCUOLA SaichŇ (ᦨẴ 767-822) studiò sul monte cinese Tiantai (T’ien-t’ai ᄤบ679
TENDAI giapp. Tendai). Al rimpatrio (805) fondò la setta Tendai (Tendaishş ᄤบ
ቬ ) sul monte Hiei (Hieizan Ყซጊ681 detto non di rado semplicemente Eizan ซ
680
ጊ ψcarta 7; zan ጊ montagna) vicino a KyŇto ੩ㇺ. Un piccolo monastero che egli
aveva fondato in quel luogo divenne col tempo una gigantesca comunità religiosa:
l’Enryakuji (ᑧᥲኹ682 788-a tutto’oggi). La sua tradizione di studi era caratterizzata
dall’eclettismo-sincretismo di diverse dottrine, pur privilegiando il MyŇhŇ rengekyŇ (䇺ᅱᴺ
⬒⪇⚻䇻 683 it. Il sştra del loto della buona legge; sans. Saddharmapu arĩka-sştra abbr.
HokkekyŇ o anche HokekyŇ 䇺ᴺ⪇⚻䇻 it. Il sştra del loto) e, dopo la morte di SaichŇ
684
ᦨẴ, da elementi del buddhismo esoterico con il nome di taimitsu (บኒ685 lett. mikkyŇ
del Tendaishş; taimitsu บኒ φ Ten/dai/shş ᄤบቬ 㧗 mik/kyŇ ኒᢎ).
SaichŇ ebbe il nome postumo onorifico di DengyŇ daishi (વᢎᄢᏧ 686 lett.
Grande Maestro-Trasmettitore dell’Insegnamento).
< Enryakuji > L’Enryakuji ᑧᥲኹ, che da una parte manteneva un gran numero
di sŇhei (௯687 ψ§18) ed esercitava un enorme ascendente, costituiva dall’altra anche
la massima sede di studi di molteplici discipline e di cultura, paragonabile ad una
università: furono impartite lezioni non soltanto di diverse forme buddhiste, ma anche
di agraria, ingegneria civile, farmacologia, arte militare, astronomia, waka 688 ,
confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ689 giapp. jukyŇ ψ§53) ecc.
Grazie comunque alla sua flessibilità nel permettere la coesistenza di più dottrine
buddhiste l’Enryakuji ᑧᥲኹ diventò la culla dei movimenti riformatori (ψ§33) del
buddismo giapponese. Insieme con lo HŇryşji (ᴺ㓉ኹ ψ§13) e il TŇdaiji (᧲ᄢኹ ψ
§12) è il monastero più citato nella storia del Giappone.
114
RICAPITOLAZIONE:
Kşkai (KŇbŇ daishi) KŇyasan KongŇbuji Shingonshş tŇmitsu
ⓨᶏ㧔ᒄᴺᄢᏧ㧕 㜞㊁ጊ ㊄ፃኹ ⌀⸒ቬ ᧲ኒ
SaichŇ (DengyŇ daishi) Hieizan Enryakuji Tendaishş taimitsu
ᦨẴ㧔વᢎᄢᏧ㧕 Ყซጊ ᑧᥲኹ ᄤบቬ บኒ
115
(Ma, per dire la verità, il buddhismo della Terra Pura era già stato introdotto dal
continente nel lontano VI secolo.)
ٟ Terra Pura (jingtu, ching-t’u ᵺ giapp. jŇdo): terra priva di dolore e piena di
beatitudine, abitata da buddha e bodhisattva (bosatsu ⪄⮋).
È predicato che esiste un gran numero di jŇdo ᵺ, ma nella tradizione
religiosa dell’Asia orientale il termine jŇdo ᵺ si riferisce in pratica ad « una »
ben specifica: Gokuraku jŇdo (ᭂᭉᵺ695 sans. SukhĆvatĩ, detto anche SaihŇ
gokuraku jŇdo ᣇᭂᭉᵺ696, perché si ritiene che si trovi a ponente).
Uno dei primi a predicare il culto della Terra Pura (jŇdo ᵺ) in Giappone fu Kşya
(ⓨ letto anche KŇya, 903-972), monaco del Tendaishş ᄤบቬ.
Successivamente un altro monaco pure del Tendaishş ᄤบቬ, Genshin (Ḯା697
detto anche EshinsŇzu ᕺᔃ௯ㇺ698 942-1017), nella sua opera ņjŇyŇshş (䇺ᓔ↢ⷐ㓸䇻
699 lett. Essenza sulla rinascita nella Terra Pura, 985) così insegnava: se si presta fede al
Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚700; Amida 㒙ᒎ㒚: trascrizione fonetica del
sanscrito AmitĆbha e AmitĆyus), ovvero Buddha-Salvatore che presiede la sua Terra
Pura (jŇdo ᵺ) situata a ponente (SaihŇ gokuraku jŇdo ᣇᭂᭉᵺ), sia evocando
costantemente la sua immagine e le immagini della sua Terra Pura (pratica detta kansŇ
ⷰᗐ701 lett. visualizzazione mentale), che pronunciando il suo nome (pratica chiamata
shŇmyŇ ⒓ฬ702), si può rinascere, dopo la morte, nel Paradiso di nome Terra Pura
(Gokuraku ŇjŇ ᭂᭉᓔ↢703 lett. andare in Gokuraku jŇdo ᭂᭉᵺ e rinascervi).
Il buddhismo della Terra Pura (jŇdokyŇ ᵺ ᢎ , chiamato alternativamente
buddhismo amidista o amidismo) che prometteva la felicità nella vita ultraterrena, in
netto contrasto con il buddhismo esoterico (mikkyŇ ኒᢎ) volto ad appagare i desideri
terreni, andò via via sostituendo questo ultimo, trovando i suoi fedeli principalmente fra
i nobili.
116
ٟ L’insieme di kansŇ (ⷰᗐ: evocare l’immagine dell’Amida butsu 㒙ᒎ㒚 e le
immagini del suo jŇdo ᵺ) e shŇmyŇ (⒓ฬ: recitare il nome d’Amida, pronun-
ciando « Namu Amida butsu » (ධή㒙ᒎ㒚704 Ho fede nel Buddha Amida) si
chiama nenbutsu (ᔨ705 lett. evocare l’immagine del buddha). Genshin Ḯା
diede importanza al kansŇ ⷰᗐ e allo shŇmyŇ ⒓ฬ un posto marginale. Tale
forma di nenbutsu ᔨ si chiama specificatamente kansŇ nenbutsu ⷰᗐᔨ. Nel
periodo successivo il contenuto dottrinario del nenbutsu ᔨ fu rivoluzionato (ψ
§33).
ٟ La disposizione mentale, rilevabile soprattutto in opere letterarie, di voler
odiare e lasciare questo mondo sporco (onri edo 㔌ⓚ706) e di vagheggiare la
rinascita nella Terra Pura (gongu jŇdo ᰵ᳞ᵺ707) è caratteristica dell’amidismo
per eccellenza.
704 Na/mu/ A/mi/da/ butsu ධ 205/74 ή 227/93 㒙 1515/2258 ᒎ 1536/2065 㒚 non reg./non reg. 678/583
705 nen/butsu ᔨ 469/579 678/583
706 on/ri/ e/do non reg./non reg.㔌 641/1281 ⓚ non reg./non reg. 316/24
707 gon/gu/ jŇ/do ᰵ non reg./non reg.᳞ 332/724 ᵺ 1559/664 316/24
708 map/pŇ/ shi/sŇ ᧃ 528/305 ᴺ 145/123 ᕁ 149/99 ᗐ 352/147
709 bo/satsu ⪄ non reg./non reg.⮋ non reg./non reg.
117
bodhisattva ψ§12).
118
ospitasse una statua del Buddha al posto della Pietà di Michelangelo) o che dei sacerdoti
buddhisti servissero in un tempio shintoista senza che per questo si avvertisse alcunché
di strano.
ٟ < Honji suijaku > Nel sştra del loto (HokekyŇ 䇺ᴺ⪇⚻䇻) il Buddha storico
(ossia Shaka ㉼ㄸ) è considerato quale manifestazione dell’eterna verità assoluta.
Lo honji suijaku ᧄုㅇ fu la naturale conseguenza dell’applicazione di tale
concetto sui rapporti tra buddha e bodhisattva buddhisti (considerati quali honji
ᧄ, cioè esseri supremi) da una parte e kami shintoisti (visti come suijaku
ုㅇ, ossia manifestazione in forme diverse di buddha e bodhisattva) dall’altra.
Il significato di honji suijaku ᧄုㅇ può essere visualizzato, ad esempio,
come segue:
< honji > buddha eterno come < honji > buddha e bodhisattva
quello predicato nel Sştra del Loto
Ȼ Ö Ȼ
< suijaku > Buddha storico < suijaku > kami
ٟ È lecito dire che sin dai tempi antichi i giapponesi erano e sono assai indulgenti
con le religioni in sé. Anche oggi, per una stragrande maggioranza dei giapponesi,
tanto per fare un esempio, matrimonio secondo i riti shintoisti e funerale in
tempio buddhista non sono atti incompatibili fra di loro.
cfr. « [...] non avrai altri dèi all’infuori di me ». « [...] io, il Signore, sono il tuo
Dio, un Dio geloso [...] ». (Esodo).
OPERE D’ARTE DEL Nella storia della cultura, i primi cento anni circa del
PERIODO KņNIN-JņGAN periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) sono distinti
con il nome di periodo KŇnin-JŇgan (KŇnin-JŇgan jidai ᒄੳ⽵ⷰᤨઍ716 810-824 /
859-877; KŇnin, JŇgan: nengŇ ᐕภ).
Si tratta d’un periodo caratterizzato, nel campo letterario, dalla composizione
poetica in cinese (kanshi ṽ ψ§11, §22) e, nel campo delle arti figurative, dalla
produzione di statue, strumenti e dipinti utilizzati per i riti del buddhismo esoterico
119
(mikkyŇ ኒᢎ). Questi ultimi oggetti oggi considerati opere d’arte del buddhismo
esoterico (mikkyŇ bijutsu ኒᢎ⟤ⴚ717) ispirano, per la loro misticità ed inscrutabilità,
uno strano sentimento di soggezione.
Un paio di esempi delle opere del mikkyŇ bijutsu ኒᢎ⟤ⴚ: pittura del KifudŇ (䇺㤛
ਇേ䇻718 838; FudŇ ਇേ sans. Acala) dell’OnjŇji ၔኹ719, città di ņtsu (ᄢᵤ720 ψ
carta 7), statua dello Yakushi nyoraizŇ (䇺⮎Ꮷᅤ᧪䇻721 sans. Bhai ajyaguru) del GangŇji
ర⥝ኹ 722 a Nara ᄹ⦟ e statua del Nyoirin kannonzŇ (䇺ᅤᗧベⷰ㖸䇻 723 sans.
CintĆma icakra, 850 ca.) del Kanshinji ⷰᔃኹ724, prefettura di ņsaka (ņsaka fu ᄢ㒋ᐭ
725 ψcarta 8).䎃
120
OPERE D’ARTE ED ARCHITETTONI- Per quanto riguarda poi la cultura nazio-
CHE DELLA CULTURA FUJIWARA nale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ729), ossia la
cultura tipicamente giapponese, si è già parlato della letteratura. Restano da vedere altri
campi:
ޣSHINDENZUKURI E YAMATOE ޤI nobili Heian (Heian kizoku ᐔ⾆ᣖ)
abitavano una casa di stile chiamato shindenzukuri (ኢᲚㅧ730 lett. stile architettonico di
palazzo da letto). Visto che oggi non ne rimane una, la sua pianta e il suo aspetto si
possono soltanto presumere da materiali scritti e da cosiddetti emakimono (⛗Ꮞ‛731
lett. rotoli di dipinti). Comunque si sa per certo che su un vasto terreno (in media 120m
ca. 120m ca.) c’erano parecchi edifici collegati tra loro da corridoi (watadono ᷰᲚ
732 lett. edifici di passaggio). Si tratta di una abitazione sontuosa, ma il pavimento non
era ancora ricoperto di tatami ⇥733. L’edificio più grande e adibito alla vita pubblica e
privata del padrone si trovava al centro e si chiamava appunto shinden (ኢᲚ lett.
palazzo da letto). Il tutto era
esposto a sud.
shindenzukuri
Uno degli elementi caratte-
ኢᲚㅧ
ristici dello shindenzukuri ኢᲚ watadono
ㅧ stava in un grande giardino shinden
riproducente in ‘miniatura’
scene della natura, con laghet-
yarimizu
to (ike ᳰ 734 ), corsi d’acqua
(yarimizu ㆜ ᳓ 735 ), ponti,
cumuli di terra paragonati a tsuridono
montagne (tukiyama ▽ ጊ 736 ike
lett. montagne costruite) ecc. nakajima
I paraventi (byŇbu ዳ㘑 ) 737
e le altre pareti divisorie (fusuma ⶲ738 porte scorrevoli rivestite di carta o di tessuto)
121
degli ambienti all’interno degli edifici erano ornati dai cosiddetti yamatoe (ᄢ⛗739
pittura [di stile] giapponese) che rappresentavano diverse scene stagionali della natura o
aspetti delle ricorrenze celebrative.
< Yamatoe > Fu chiamato così in contrapposizione a karae (໊⛗740 pittura [di
stile] cinese). Generalmente, si tratta di dipinti o, meglio, disegni non eseguiti dal vero,
ma piuttosto stilizzati, idealizzati e decorativi, quindi privi sia di prospettiva che di
ombra e come tali non rappresentano fedelmente la realtà concreta. Questa sua qualità
costituì il nucleo della pittura giapponese in genere, manifestandosi in pieno nel periodo
Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867).
< Vita umana e natura > È da rilevare con l’occasione che a partire dal periodo
Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) la fusione della vita umana e la natura o, per meglio dire,
un certo atteggiamento dei giapponesi di voler vivere in seno alla natura costituì un
pilastro della cultura giapponese. Il giardino annesso allo shindenzukuri ኢᲚㅧ ne parla
eloquentemente.
ޣCALLIGRAFIA ARTISTICA 2ޤNel processo generale di nipponizzazione della
cultura cinese anche lo stile ideale dello shodŇ ᦠ mutò da quello rigido e vigoroso
imparato dalla Cina in un altro elegante, armonioso e fluido. Questa volta si parla del
sanseki (ਃそ741 lett. tre tracce di pennello), di cui è ben noto Ono no Michikaze (o
anche Ono no TŇfş) (ዊ㊁㘑742 894-966). Nacque così verso la metà del periodo
Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) uno stile definito giapponese (wayŇshofş ᭽ᦠ㘑743
detto anche jŇdaiyŇ ઍ᭽744 lett. stile dell’età antica) e venne preso a modello dai
posteri.
ޣARTE DELL’AMIDISMO < ޤHŇŇdŇ e KonjikidŇ > Con il sorgere del
buddhismo della Terra Pura (jŇdokyŇ ᵺᢎ), poi, molti nobili si costruirono padiglioni
amidisti, detti amidadŇ 㒙ᒎ㒚ၴ745, sia per mettere in pratica il nenbutsu (ᔨ ψ§23),
sia per potersi immergere, già durante la vita terrena, nella beatitudine del Paradiso della
Terra Pura (Gokuraku jŇdo ᭂᭉᵺ). Ne sono esempi magnifici tramandati fino ad
122
oggi lo HŇŇdŇ (㡅ಪၴ746 lett. padiglione hŇŇ, it. Sala [o Aula] della fenice, 1053) del
ByŇdŇin (ᐔ╬㒮747 lett. tempio di uguaglianza) costruito a Uji (ቝᴦ ψcarta 7) da
Fujiwara no Yorimichi (⮮ේ㗬ㅢ 992-1074), figlio di Michinaga 㐳 e il KonjikidŇ
(㊄⦡ၴ748 lett. padiglione del colore oro, 1105) del tempio di Chşsonji ਛዅኹ749 a
Hiraizumi (ᐔᴰ 750 ψcarta 4). Nel periodo dello insei (inseiki 㒮ᦼ 751 1086-
1179/1185) la cultura della capitale cominciò a diffondersi nelle province. La costru-
zione di un padiglione amidista (amidadŇ 㒙ᒎ㒚ၴ) sontuoso come il KonjikidŇ ㊄⦡
ၴ a Hiraizumi ᐔᴰ fu espressione di tale tendenza.
< Amida nyorai zazŇ e Amida raigŇzu > Oltre che dagli amidadŇ 㒙ᒎ㒚ၴ
l’arte del buddhismo amidista (jŇdokyŇ geijutu ᵺᢎ⧓ⴚ752) è rappresentata anche
dalle statue del Buddha Amida (Amida nyorai zazŇ 䇺㒙ᒎ㒚ᅤ᧪ထ䇻753 lett. statua
dell’Amida butsu seduto) come quella (1053) magnifica posta nello HŇŇdŇ 㡅ಪၴ,
opera di JŇchŇ (ቯᦺ754 ?-1057), massimo scultore di arte sacra buddhista dell’epoca, e
dalla pittura detta Amida raigŇzu (㒙ᒎ㒚᧪ㄫ࿑755 lett. disegno raffigurante l’Amida
che viene ad accogliere; a volte detto semplicemente raigŇzu ᧪ㄫ࿑).
Con il diffondersi del buddhismo amidista nacque la credenza che l’Amida butsu 㒙
ᒎ㒚 discendesse, insieme con molti bodhisattva (bosatsu ⪄⮋), a prendere i
morenti per portarli al suo jŇdo ᵺ. Gli Amida raigŇzu 㒙ᒎ㒚᧪ㄫ࿑ rappresen-
tano appunto il momento della sua discesa. Il più noto è il KŇyasan shŇju raigŇzu (䇺㜞㊁
ጊ⡛ⴐ᧪ㄫ࿑䇻756 lett. disegno della discesa del Buddha Amida accompagnato da
bodhisattva, del monte KŇyasan, 1100 ca.; KŇyasan 㜞㊁ጊ ψ§23). Anche all’interno
dello HŇŇdŇ 㡅ಪၴ ce n’è uno dipinto su una porta.
I nobili, che, in questo mondo tenevano in pugno il potere, all’ultimo momento
della loro vita prendevano nello stesso pugno un filo tenuto all’altra estremità dal-
123
l’Amida butsu 㒙ᒎ㒚, nella speranza di essere issati al Paradiso della Terra Pura
(Gokuraku jŇdo ᭂᭉᵺ). Anche per loro l’ultimo sostegno spirituale era quello
religioso.
ޣEMAKIMONO ޤDa ultimo, a partire dal periodo Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ),
specie dalla seconda metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) fino al periodo
Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ ψ§29) venne prodotto un gran numero di
emakimono (⛗Ꮞ‛ 757 lett. rotoli di dipinti), ossia rotoli che portano solitamente
alternati una serie di disegni in stile yamatoe ᄢ⛗ e testi detti kotobagaki ⹖ᦠ758.
Sono reputati una forma artistica di cui è assai difficile trovarne simili in altri paesi.
Tra le opere prodotte nello Heian jidai ᐔᤨઍ sono Genji monogatari emaki (䇺Ḯ
᳁‛⺆⛗Ꮞ䇻759 lett. rotolo illustrato del Genji monogatari, prima metà XII sec.) di
Fujiwara no Takayoshi (⮮ේ㓉⢻760 ?-?), uno dei massimi capolavori di emakimono ⛗
Ꮞ‛, e ChŇjşgiga (䇺㠽ᚨ↹䇻 761 lett. disegni raffiguranti uccelli e bestie che si
divertono, periodo a cavallo tra Heian e Kamakura) attribuito a TobasŇjŇ (㠽⠀௯ᱜ762
1053-1140; sŇjŇ ௯ᱜ massimo rango di bonzo), capolavoro forse meglio noto di
qualsiasi altro per il contenuto peculiare. Originariamente è privo di kotobagaki ⹖ᦠ.
< Hikime kagihana > hikime kagihana (ᒁ⋡㋭㥦763 lett. occhi a linea e naso a
uncino). In certi emakimono ⛗Ꮞ‛, tra cui il Genji monogatari emaki 䇺Ḯ᳁‛⺆⛗Ꮞ䇻,
tutti i nobili (e solo essi) hanno un viso stereotipato degli occhi e dal naso rappresentati
rispettivamente da due linee semplici (hikime ᒁ⋡) e da una linea piegata quasi a
uncino ( ) (kagihana ㋭㥦) con l’effetto di essere resi impersonali, e ciò per facilitare i
nobili-fruitori ad immedesimarsi facilmente nei personaggi che sarebbe loro piaciuto
essere nella vita reale. Le donne della classe aristocratica guardavano i dipinti,
ascoltando i testi letti da una dama di compagnia. Questa modalità di fruizione degli
emakimono ⛗Ꮞ‛ non differiva sostanzialmente dal vedere, nel XXI secolo, la
televisione o il cinema.
726/1055 ࿑ 631/339䇻
757 e/maki/mono ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507 ‛ 126/79
758 kotoba/gaki ⹖ 1624/843 ᦠ 130/131
759 Gen/ji/ mono/gatari/ e/maki 䇺Ḯ 827/580 ᳁ 177/566 ‛ 126/79 ⺆ 274/67 ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507䇻
760 Fuji/wara/ no/ Taka/yoshi ⮮ 206/2231 ේ 132/136 㓉 1255/946 ⢻ 341/386
761 ChŇ/jş/gi/ga 䇺㠽 932/285 1600/1582 ᚨ 1632/1573 ↹ 150/343䇻
762 To/ba/sŇ/jŇ 㠽 932/285 ⠀ 732/590 ௯ 1423/1366 ᱜ 109/275
763 hiki/me/ kagi/hana ᒁ 238/216 ⋡ 65/55 ㋭ non reg./non reg.㥦 1459/813
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§25. Vita quotidiana e varie
125
dallo Stato delle zappe a titolo di emolumenti stagionali (kiroku ቄ766 lett. stipendi
stagionali).
ޣVITA CONDIZIONATA DA MILLE SUPERSTIZIONI E TABÙޤIn ogni
occasione la gente, specie la nobiltà, aveva bisogno di consultare l’oracolo per appurare
se un dato giorno fosse fausto o meno, se una data direzione fosse propizia o no
(kikkyŇ kafuku ศರ767 lett. buona e cattiva sorte); qualora la sorte risultasse
avversa o fosse successa qualche disgrazia a dispetto di tutte le precauzioni divinatorie,
doveva allora fare allontanare i presunti influssi malefici ricorrendo all’esorcismo
(kajikitŇ ടᜬ⑄) eseguito dai monaci del buddhismo esoterico (mikkyŇ ኒᢎ ψ
§23).
Se poi cambiava frequentemente nengŇ ᐕภ è fondamentalmente perché aveva
esigenza di sentirsi sempre assistita dalla buona sorte.
Nell’epoca a cavallo tra i due periodi Nara (Nara jidai ᄹ⦟ᤨઍ) e Heian (Heian
jidai ᐔᤨઍ) si andò sempre più generalizzando la credenza che gli spiriti maligni
(goryŇ ᓮ㔤771, detto anche mononoke ‛ߩᕋ772) dei morti fuoriusciti dal corpo, invece
di andare immediatamente all’aldilà, provocassero guai e incidenti nefasti (goryŇ shinkŇ
ᓮ㔤ାઔ773).
Si temevano soprattutto gli spiriti vendicativi (onryŇ ᕉ㔤774 lett. spirito che serba
rancore) di coloro che erano morti di morte violenta o accusati falsamente. L’onryŇ (ᕉ
126
㔤) più noto sarà forse quello di Sugawara no Michizane (⩲ේ⌀ ψ§16). Anche il
Sandai jitsuroku (䇺ਃઍታ㍳䇻775 lett. registro dei fatti dei tre regni, 901), libro di storia
trentennale (858-887), parla di spiriti onryŇ ᕉ㔤:
127
Tra tutti i goryŇe ᓮ㔤ળ erano ben noti i seguenti due: Tenjin matsuri ᄤ⑂785
per calmare l’onryŇ ᕉ㔤 di Sugawara no Michizana ⩲ේ⌀ e Gion goryŇe (ᓮ
㔤ળ786 oggi Gion matsuri ⑂787, ossia matsuri ⑂ del Yasaka jinja ဈ␠788
lett. santuario Yasaka) rivolto a tutti gli onryŇ ᕉ㔤 . In particolare, quest’ultima
celabrazione perse, col tempo, il suo carattere originario, trasformandosi man mano in
una festa popolare a puro scopo di divertimento.
REGIME ALI- A norma del codice TaihŇ ritsuryŇ ᄢቲᓞ furono istituiti nel
MENTARE 703 a FujiwarakyŇ (⮮ේ੩789 694-710), capitale modellata per la
prima volta su quella cinese, due mercati a gestione governativa: mercato est (higashi no
ichi ᧲Ꮢ790) e mercato ovest (nishi no ichi Ꮢ791). In seguito tali luoghi commerciali
furono aperti sia a HeijŇkyŇ ᐔၔ੩ che a HeiankyŇ ᐔ੩. I mercati di quest’ultima
capitale erano regolati dall’Engishiki ᑧ༑ᑼ. Dall’elenco degli alimentari oggetto di
transazione da esso stabiliti ci si può fare un’idea di quale fosse il regime alimentare
della gente di HeiankyŇ ᐔ੩.
Al mercato est (higashi no ichi ᧲Ꮢ) ad esempio si vendevano i seguenti generi
alimentari: riso, sale, frutti di alberi e di piante erbacee, alghe marine, pesci seccati, pesci
crudi, oli, grano, hiru ( ⫦ 792 spezie quale aglio), hishio ( ㉟ 793 sostanza pastosa
consumata come cibo d’accompagnamento al riso), sakubei (⚝㘿794 una specie di
pasta), kokorobuto (ᔃᄥ795 sostanza gelatinosa fatta di alghe marine e ridotta a forma di
grossi spaghetti), wakame (⧯Ꮣ796 tipo particolare di alghe marine),.
Nel Giappone antico c’era una forte carenza di sapore dolce. Si sa che nel periodo
Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) c’era un dolcificante liquido chiamato amazura (↞⪾797
lett. pianta dolce rampicante/strisciante). Era un alimento assai prezioso, estratto da
128
una pianta omonima. Oggi però non si sa più esattamente di quale pianta si trattasse, in
quanto non era più cercata da quando nel periodo NanbokuchŇ (NanbokuchŇ jidai ධ
ർᦺᤨઍ798 1336-1392) i giaponesi vennero a conoscere lo zucchero. Si immagina,
comunque, che la sua dolcezza non sarebbe molto gradita da noi che siamo abituati al
sapore gradevole dei nostri zuccheri.
Sotto l’influenza del buddhismo (bukkyŇ ᢎ) non si consumavano carni di
animali domestici o di allevamento. Difatti, i maiali entrati in Giappone quasi contem-
poraneamente con la risicoltura non si vedevano più nel periodo Heian (Heian jidai ᐔ
ᤨઍ).
Da ultimo, come nei secoli precedenti si consumavano due pasti, uno al mattino e
l’altro la sera, a base di riso cotto a vapore (kowaii ᒝ㘵799).
ABBIGLIAMEN- L’abbigliamento dei nobili che nel periodo Nara (Nara jidai ᄹ
TO DEI NOBILI ⦟ᤨઍ) era stato di stile cinese prese un aspetto comunemente
giudicato giapponese nel processo di adattamento della cultura cinese alla realtà giap-
ponese.
A questo riguardo si suol parlare dell’abbigliamento da cerimonia delle dame di
corte (nyŇbŇ ᅚᚱ), detto nyŇbŇ shŇzoku (ᅚᚱⵝ᧤800 ufficialmente chiamato karaginumo
shŇzoku ໊ⵝ᧤801 e meglio noto con il nome popolare di jşnihitoe චੑන802 lett.
un capo di kimono ⌕‛803 consistente di dodici vestiti), composto da molti (e non
necessariamente dodici) abiti di seta di diversi colori indossati l’uno sopra l’altro. Le
combinazioni di colori che si vedevano intorno al collo e all’apertura delle maniche
costituivano il punto chiave dell’eleganza e di buon gusto, quindi anche un argomento
preferito di pettegolezzi di solito maliziosi.
L’abbigliamento maschile corrispondente al nyŇbŇ shŇzoku ᅚ ᚱ ⵝ ᧤ era il
cosiddetto sokutai ᧤Ꮺ804.
129
CAPITOLO IV
131
M E D I O E V O ਛ
1192 1338 1477 1573
1185 1333 1336 1392 1467 1568
p e r i o d o M U R O MAC H I
periodo KAMAKURA ቶ ↸ ᤨ ઍ
㎨ ୖ ᤨ ઍ periodo
periodo SENGOKU
NANBOKUCHƿ
ᚢ ࿖ ᤨ ઍ
ධർᦺᤨઍ
cultura KAMAKURA cultura KITAYAMA cultura HIGASHIYAMA
㎨ୖ ᢥൻ ർጊ ᢥൻ ᧲ጊ ᢥൻ
Restaurazione Kenmu (Kenmu no shinsei ᑪᱞᣂ)
ٟ Ci sono degli studiosi che includono nel chşsei ਛ il cosiddetto inseiki (㒮
ᦼ808 lett. periodo dello insei, 1086-1179/1185).
ٟ Come appare dal prospetto, sia il NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ809 che il
Sengoku jidai ᚢ ࿖ ᤨ ઍ 810 sono periodi distinti solitamente all’interno del
Muromachi jidai ቶ ↸ ᤨ ઍ 811 , ma taluni studiosi preferiscono limitare il
Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ ad un arco di tempo compreso tra il 1392 e il 1467
(oppure il 1568/1573).
KAMAKURA La fase iniziale di circa 150 anni del medioevo (chşsei ਛ) viene
BAKUFU chiamata periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ 812 1185/
1192-1333), in quanto il governo del buke ᱞኅ813, ossia della classe militare, detto
bakufu (᐀ᐭ814 lett. sede governativa [al riparo] di tende; originariamente quartiere
generale dell’accampamento), fondato, su consenso della corte (chŇtei ᦺᑨ815), da Mi-
132
namoto no Yoritomo (Ḯ㗬ᦺ816 1147-1199), capo dei Genji Ḯ᳁ (Minamotouji Ḯ
᳁) usciti vittoriosi sugli Heishi ᐔ᳁ a Dannoura (სࡁᶆ817 ψcarta 5), si trovava a
Kamakura (㎨ୖ ψcarta 10) poco distante dalla città odierna di TŇkyŇ ᧲੩818. Il
bakufu ᐀ᐭ istituito a Kamakura ㎨ୖ si chiama Kamakura bakufu (㎨ୖ᐀ᐭ go-
verno samuraico con sede a Kamakura).
ٟ La storia del Giappone ebbe tre bakufu ᐀ᐭ senza che venisse mai soppresso
il chŇtei ᦺᑨ, ossia il governo retto (almeno formalmente) dai tennŇ ᄤ⊞. Il
Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ fu il primo della serie. Ne consegue che da questo
momento fino al 1867 (ψ§45) in Giappone esistevano, parallelamente, quasi
sempre due governi centrali, uno de facto della classe samuraica (ossia bakufu ᐀
ᐭ) e l’altro ideale e nominale della classe nobiliare della corte (ovvero chŇtei ᦺ
ᑨ).
Ԙ Samurai dokoro ଂᚲ821 per il controllo dei vassalli detti gokenin ᓮኅੱ822,
ԙ Mandokoro ᚲ823 (nei primi momenti detto Kumonjo ᢥᚲ824) per gli
affari politici e finanziari, e
Ԛ Monchşjo ᵈᚲ825 con competenza giudiziaria.
< ShŇgun > In origine lo shŇgun ァ fu uno dei ryŇge no kan (ᄖቭ826 ψ§16),
133
e per la precisione il comandante della spedizione militare contro i non assoggettati,
detti ezo (Ⲍᄱ827 letto anche emishi), che abitavano nella parte settentrionale dello
Honshş (ᧄᎺ828 ψcarta 1), e a partire da Yoritomo 㗬ᦺ, che nel 1192 fu nominato
shŇgun ァ dalla corte (chŇtei ᦺᑨ), venne a designare il capo del governo militare,
ossia del bakufu ᐀ᐭ. Ufficialmente fu chiamato seii tai shŇgun (ᓕᄱᄢァ829 lett.
generalissimo assoggettatore dei barbari).
< Gokenin > I gokenin ᓮኅੱ furono quei bushi ᱞ჻ unitisi allo shŇgun ァ
con il rapporto reciproco di ‘beneficio (goon ᓮᕲ830) – prestazioni (hŇkŇ ᄺ831) e
fedeltà (chşsei ᔘ⺈832)’. È vero che non pochi bushi ᱞ჻ preferirono mantenere la
propria autonomia senza assoggettarsi allo shŇgun ァ, ma se il periodo Kamakura
(Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ) si distingue da quello precedente, è appunto per la
presenza, sia pure ancora parziale, di tale vincolo tipicamente feudale.
ޣORGANI LOCALIޤPer quanto riguarda l’amministrazione locale,
Ԙ in ogni kuni (࿖833 it. provincia ψ§6) fu posto un governatore militare detto
shugo (⼔834 lett. difensore, protettore) per gli affari, in specie militari e di
polizia,
ԙ mentre negli shŇen ⨿835 e nei kokugaryŇ (࿖ⴟ㗔836 ψ§17) si installava un
134
amministratore militare detto jitŇ (㗡837 lett. capo terreno) con compiti di
sovrintendenza e di esazione delle imposte nengu (ᐕ⽸838 ψ§17).
Ԛ Furono gokenin ᓮኅੱ ad essere nominati shugo ⼔ e jitŇ 㗡.
FAMIGLIA HņJņ E Morto Yoritomo (㗬ᦺ c[arica di shŇgun] 1192-1199) nel 1199,
SUA DITTATURA il potere del Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ passò nelle mani
della vedova, HŇjŇ Masako (ർ᧦ሶ841 1157-1225) soprannominata amashŇgun (ዦ
ァ842 lett. shŇgun-monaca) e del di lei padre, HŇjŇ Tokimasa (ർ᧦ᤨ843 1138-1215;
un discendente degli Heishi ᐔ᳁, quindi ex-rivali dei Genji Ḯ᳁, ma pur sempre di
origine samuraica). Da quel momento la famiglia HŇjŇ (HŇjŇshi, HŇjŇuji ർ᧦᳁844)
esercitò il potere effettivo, monopolizzando, da una parte, l’ufficio detto shikken (ၫᮭ
845 lett. presa in pugno del potere; in pratica reggente dello shŇgun ァ) e insediando,
dall’altra, degli shŇgun-fantocci prima nelle persone dei figli di Yoritomo 㗬ᦺ e poi di
sangue nobile o imperiale di KyŇto ੩ㇺ846. Il governo così amministrato a nome del
bakufu ᐀ᐭ dalla famiglia HŇjŇ (HŇjŇshi ർ᧦᳁) viene chiamato shikken seiji ၫᮭ
135
ᴦ847.
136
rado finivano col depositare il riso raccolto nei propri magazzini. Casi di dispute si
susseguivano interminabili, ma poi generalmente si addiveniva alla loro soluzione con
cessioni da parte del kuge ኅ. I proprietari ricorrevano persino alla divisione dello
shŇen ⨿ in due parti, dandone una in dono al jitŇ 㗡 in cambio del suo impegno
di non intromettersi più nell’altra (shitaji chşbun ਅਛಽ854 lett. dimezzamento della
terra [di shŇen ⨿]).
137
effetto del sistema di successione ereditaria detta bunkatsu sŇzoku ಽഀ⋧⛯862, i beni
venivano ancora divisi fra moglie, figli e figlie.
TENTATIVI D’INVA- Nel 1271 sorse in Cina una dinastia dei mongoli, di
SIONE DEI MONGOLI nome Yuan (Yüan ర giapp. Gen, 1271-1368).
Khubilai (ᔮᔅὓ giapp. Kubirai ࠢࡆࠗ o anche Fubirai ࡈࡆࠗ 1215-
863
1294, r. 1271-1294), il primo a sedere sul trono cinese, di fronte al rifiuto del potere
HŇjŇ ർ᧦ alle sue reiterate richieste di rendergli omaggio, organizzò due spedizioni
militari di punizione (genkŇ రና864 lett. disastri a causa degli Yüan), la prima nel 1274
con 30.000 uomini e successivamente nel 1281 con un numero schiacciante di 140.000
soldati.
Sia dal punto di vista tattico, che sotto l’aspetto dell’efficienza delle armi, i mongoli
erano superiori, ma per divina provvidenza, in ambedue le battaglie infuriarono i tifoni,
che colarono a picco una buona parte delle navi di Kubilai, salvando così il Giappone e
diffondendo fra i giapponesi la credenza, nota con il nome di shinkoku shisŇ ࿖ᕁᗐ
865, che il Giappone fosse un paese fondato e protetto dai kami shintoisti, credenza
destinata ad esercitare una grande influenza sul pensiero dei periodi successivi.
ޣSUPERIORITÀ SAMURAICA ORMAI AFERMATASIޤIl fatto che malgrado
le lettere di Kubilai presentate al Dazaifu (ᄢቿᐭ866 ψ§6), che era un organo del
potere di KyŇto ੩ㇺ, spettasse al governo di Kamakura (Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀
ᐭ) svolgere azioni diplomatiche, stava a testimoniare che nella seconda metà del XIII
secolo il potere de facto era ormai nelle mani del bakufu ᐀ᐭ e che l’autorità del chŇtei
ᦺᑨ era in netto declino.
ޣCOLLASSO DELLA BASE DELLO SHOGUNATOޤAnche se l’indipendenza
nazionale era stata salvata grazie ai venti divini (kamikaze 㘑867), le tentate invasioni
mongole lasciarono al Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ gravi problemi finanziari: non c’era
138
nessun bottino da distribuire a coloro che lo meritavano. Pretendevano ricompense
persino i sacerdoti, sostenendo che erano state le loro preghiere a fare intervenire i
kamikaze 㘑. Non vedendo alcuna possibilità di essere premiati in modo soddi-
sfacente, la fedeltà dei gokenin ᓮኅੱ868 cominciò a vacillare.
Fra i motivi che li inducevano ad allontanarsi dallo shogunato, ce n’era un altro: a
causa del progressivo spezzettamento terriero dovuto al frazionamento provocato dalle
successioni (bunkatsu sŇzoku ಽഀ⋧⛯) di cui si è parlato poco innanzi, non pochi fra i
gokenin ᓮኅੱ, rivoltisi agli usurai, finivano per rimanere senza terra con la con-
seguenza di non essere più in grado di prestare servizi per sopraggiunte ulteriori
difficoltà economiche. Con le ordinanze come quella nota con il nome di Einin no
tokuseirei (᳗ੳߩᓼ869 lett. decreto benevolo di Einin, 1297; Einin ᳗ੳ: nengŇ
ᐕภ) il bakufu ᐀ᐭ cercò di salvare i gokenin ᓮኅੱ in crisi finanziaria, ordinando,
per esempio, depennamenti dei loro debiti ai danni dei creditori. Ovviamente tali
provvedimenti non fecero altro che gettare la società in disordine. La base del bakufu
᐀ᐭ andò, così, crollando gradualmente.
FINE DELLO SHOGU- Le difficoltà in cui versava il potere degli HŇjŇ (HŇjŇshi,
NATO DI KAMAKURA HŇjŇuji ർ᧦᳁) per conto del bakufu ᐀ᐭ offrirono
al chŇtei ᦺᑨ il destro per tentare ancora una volta il ripristino dell’autorità imperiale. Il
promotore del progetto fu l’imperatore Go-Daigo (Go-Daigo tennŇ ᓟ㉑㉓ᄤ⊞870 r.
1318-1339) sostenuto dai suoi fedeli, tra cui Kusunoki Masashige (ᬮᧁᱜᚑ 871
1294-1336), potente bushi ᱞ჻ locale, elogiato per la sua fedeltà indiscussa al tennŇ ᄤ
⊞.
A differenza di quanto era avvenuto nel tentativo del 1221 (JŇkyş no ran ᛚਭߩੂ
872) questa volta si schierò, alla fin fine, dalla parte dell’imperatore un gran numero di
bushi ᱞ჻, fra cui persino potenti vassalli shogunali (gokenin ᓮኅੱ) quali Ashikaga
Takauji (⿷ዅ᳁873 ψ§29), Nitta Yoshisada (ᣂ↰⟵⽵874 1301-1338) ed altri. Nel
1333 lo shogunato di Kamakura (Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ) fu rovesciato, e si
chiudeva così l’omonimo periodo.
139
§28. Restaurazione Kenmu (1334) e anni turbolenti della scissione dinastica
(1336-1392)
VITA EFFIMERA DELLA Il dominio della corte (chŇtei ᦺᑨ) in seguito alla
RESTAURAZIONE KENMU restaurazione del potere imperiale (Kenmu no shinsei
ᑪᱞᣂ lett. nuovo governo di Kenmu; Kenmu ᑪᱞ: nengŇ ᐕภ) del 1334 fu di
875
breve durata (1334-1336), in quanto, di fronte alla parzialità delle premiazioni, si ribellò
Ashikaga Takauji ⿷ዅ᳁, sia insediando nel 1336 un altro tennŇ ᄤ⊞ a KyŇtŇ ੩
ㇺ, che aprendo nel 1338 un suo bakufu ᐀ᐭ.
ٟ Un tempo, sotto l’influenza del kŇkoku shikan ( ⊞࿖ผⷰ 876 lett. inter-
pretazione della storia [giapponese] nell’ottica di stato governato dal tennŇ ᄤ⊞),
si usava un’altra espressione in riferimento alla restaurazione del potere impariale
del 1334: Kenmu no chşkŇ (ᑪᱞਛ⥝877 lett. restaurazione imperiale Kenmu ᑪ
ᱞ al punto intermedio [tra gli altri due momenti in cui l’imperatore divenne la
figura centrale della vita politica giapponese, ossia riforma Taika [Taika no kaishin
ᄢൻᡷᣂ878] del 645 (ψ§5) e restaurazione del governo imperiale [Ňsei fukko ₺
ᓳฎ879] del 1867 (ψ§45)]).
Il kŇkoku shikan ⊞࿖ผⷰ fu dominante negli anni 1931-’45.
Go-Daigo tennŇ ᓟ㉑㉓ᄤ⊞, fedelissimo alla propria causa, fuggì nel 1336,
accompagnato da pochi kuge ኅ, a sud di KyŇtŇ ੩ㇺ, in una località montuosa di
nome Yoshino (ศ㊁880 ψcarta 7) e fu così l’inizio del periodo durato una sessantina
d’anni, chiamato periodo NanbokuchŇ (NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ881 1336-1392)
durante cui esistevano due corti (NanbokuchŇ ධർᦺ lett. due corti sud e nord): una
al sud (ossia a Yoshino ศ㊁) chiamata NanchŇ (ධᦺ882 lett. corte del sud) e una al
nord (a KyŇto ੩ㇺ) detta HokuchŇ (ർᦺ883 lett. corte del nord).
140
EPOCA NAN- Dopo un susseguirsi di battaglie in ogni parte, l’era NanbokuchŇ
BOKUCHņ (NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ) si concluse nel 1392 formal-
mente con la fusione delle due corti (chŇtei ᦺᑨ), ma sul piano effettivo con la sop-
pressione di quella del sud.
Il fatto più saliente registrato durante il NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ fu che
l’ascesa del buke ᱞኅ e la caduta del kuge ኅ erano divenute ormai irreversibili.
ޣSHUGO DAIMYņ ޤFurono gli shugo ⼔884 a saper abilmente approfittare
della situazione caotica. I proprietari di shŇen ⨿885, afflitti dalle mancate entrate a
causa dell’appropriazione di imposte nengu ᐕ⽸886 operata dai jitŇ 㗡887, iniziarono
ad affidare l’incarico delle esazioni agli shugo (shugouke ⼔⺧888 lett. incarico dato
agli shugo ⼔) nella speranza di potersi assicurare un’entrata sia pure modesta ma
costante. Gli shugo ⼔, tuttavia, si rivelarono non meno avidi e subdoli; fu quindi il
loro turno di immagazzinare il riso-nengu ᐕ⽸ nei propri depositi.
Inoltre, col passar del tempo, gli shugo ⼔, usurpando sia shŇen ⨿ che
kokugaryŇ ࿖ⴟ㗔889, andarono trasformando le province (kuni ࿖), originariamente
unità amministrative locali del sistema ritsuryŇ (ritsuryŇ seido ᓞᐲ890), in domini
quasi a sé stanti e a volte anche ereditari. I jitŇ 㗡 ed altre categorie di bushi ᱞ჻
finirono con l’essere incorporati nella loro struttura feudale. Gli shugo ⼔, saliti nel
potere fino al punto di divenire signori autonomi, si chiamano shugo daimyŇ ⼔ᄢฬ
891.
ٟ < daimyŇ ᄢฬ > È uno dei termini usati frequentemente nella storia
giapponese. La traduzione letterale nel contesto storico sarebbe ‘proprietari di
vasti/molti terreni’, in quanto etimologicamente deriva da daimyŇshu ᄢฬਥ892,
ossia proprietari (myŇshş ฬਥ ψ§17) di una grande quantità (dai ᄢ) di myŇden
(ฬ↰893 terreni privati dei myŇshu). (Se è così, dovrebbe esistere e, infatti, esiste
141
anche il termine shŇmyŇ ዊฬ894, ovvero sempre nel contesto storico proprietari di
piccola/modesta quantità di terreni, anche se esso non si incontra quasi mai in una
trattazione generale di storia giapponese).
1467-1477; ņnin ᔕੳ: nengŇ ᐕภ) per un concorso di molteplici cause attribuibili, in
ultima analisi, allo spirito fazioso e di rivalità generatosi all’interno del bakufu ᐀ᐭ. Per
142
undici anni venne combattuta una continua battaglia sia dentro che intorno alla città di
KyŇto ੩ㇺ, riducendola pressoché alla rovina.
ޣPERIODO SENGOKUޤI disordini si estesero man mano a tutto il territorio
nazionale, sfociando, così, in un secolo di vera e propria anarchia, detto periodo Sen-
goku (Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ902 lett. periodo del paese in guerra, 1467/1477-1568/
1573).
Il Muromachi bakufu ቶ↸᐀ᐭ si ridusse ad una mera esistenza nominale. Si
assisteva a scene pietose di kuge ኅ che, spogliati ormai delle proprietà terriere, e
quindi non sapendo più come sostentarsi, o avendo avuto la casa bruciata, andavano ad
abitare in provincia, contando sull’amicizia delle conoscenze. I contadini, dal canto loro,
iniziarono insurrezioni in massa con le armi in mano.
< GekokujŇ > Fu un secolo crudo e brutale durante cui non vigeva nient’altro che
l’imperativo di ‘uccidere’. Spuntavano e poi sparivano una dopo l’altra nuove figure.
Non furono risparmiati neppure gli shugo daimyŇ ⼔ᄢฬ: quasi tutti scomparvero
dalla scena politica e militare, vinti da rivali o più spesso addirittura rovesciati da un
proprio suddito, a sua volta, messo fuori gioco da un proprio dipendente. Questo
fenomeno, che si potrebbe definire una sorta di intenso metabolismo socio-politico, era
chiamato allora gekokujŇ (ਅ೦903 lett. il basso vince l’alto).
ޣSENGOKU DAIMYņ ޤCol tempo, intanto, cominciarono ad affermarsi qua e là
dei bushŇ (ᱞ904 lett. capo militare, condottiero; capo di un gruppo organizzato di
bushi ᱞ჻), abili nel mantenersi a galla nel caos del gekokujŇ ਅస. Per una buona
parte erano stati vassalli o valvassori di qualcuno. I nuovi padroni saliti al potere
vengono chiamati oggi dagli storici sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ905.
I sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ, tagliati i ponti con la tradizione e ignorando gli shŇgun
ァ, non avevano altro scopo che quello di consolidare la propria autorità ed allargare
il proprio dominio territoriale, chiamato ryŇgoku (㗔࿖906 detto propriamente bunkoku
ಽ࿖907), su cui esercitarla in modo esclusivo (ichien chigyŇ ৻⍮ⴕ908 esercizio pieno
ed esclusivo del potere su un territorio). Ogni dominio era come un piccolo stato
indipendente. Al fine di rafforzare la propria forza militare e favorire lo sviluppo econo-
143
mico nel proprio dominio (ryŇgoku 㗔࿖) essi vararono diversi provvedimenti: emana-
zione di una legge (bunkokuhŇ ಽ࿖ᴺ909 detta anche kahŇ ኅᴺ910) per uno stretto
controllo dei sudditi e degli agricoltori; governo delle acque fluviali e bonifiche; sfrut-
tamento di miniere; sistemazione della rete stradale; costruzione, intorno al proprio
castello, di una città (oggi chiamata jŇkamachi ၔਅ↸911 lett. città ai piedi di un castello,
it. città-castello ψ§30) economicamente fiorente.
È inutile dire che i sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ, signori assoluti, non riconobbero
l’istituzione dello shŇen ⨿912, terreno gravato di diversi diritti esercitati da più per-
sone (ψ§17, §27), preparando, così, la strada al regime feudale (hŇken seido ኽᑪᐲ
913) del periodo successivo.
144
Inoltre, qua e là si ebbero sollevazioni, chiamate ikkŇ ikki ৻ะ৻ឨ919, degli adepti
del JŇdo shinshş (ᵺ⌀ቬ920 ψ§33), scuola buddhista chiamata anche ikkŇshş ৻ะቬ
921. I rivoltosi infersero, così, duri colpi al Muromachi bakufu ቶ↸᐀ᐭ, agli shugo
daimyŇ ⼔ᄢฬ e ai proprietari di shŇen ⨿, anche se con il sorgere dei sengoku
daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ fu tolta loro ogni possibilità di sommossa. Comunque, sta di fatto
che l’istituzione shŇen ⨿ si stava sgretolando anche dal suo interno in seguito al
risveglio dei contadini e di altre categorie di gente oppressa.
145
L’attività finanziaria fu svolta non soltanto dai monti di pietà chiamati allora dosŇ (
ୖ927 lett. magazzino dai muri di terra), ma anche dai produttori di sake ㈬928, detti
sakaya ㈬ደ929. Le tasse che lo shogunato di Muromachi (Muromachi bakufu ቶ↸᐀
ᐭ) imponeva sull’attività finanziaria costituivano una voce importante fra le entrate di
bilancio. Va da sé che anche lo sviluppo di tutte queste attività economiche contribuì al
collasso degli shŇen ⨿ ad economia chiusa.
< Associazioni monopolistiche di mercanti e artigiani > Nel medioevo i
mercanti e gli artigiani costituivano ‘corporazioni professionali’ o ‘gilde’, dette za ᐳ930
sotto la protezione di kuge ኅ o istituti religiosi e godevano il monopolio d’una
determinata attività in una data zona in cambio di prestazioni e contributi finanziari. (ψ
§40)
ٟ Anche adesso teatri e cinema giapponesi portano nomi che terminano di solito
in za ᐳ (p.es. Kabukiza ⥰પᐳ931 , Odeonza ࠝ࠺ࠝࡦᐳ ). Tale za ᐳ
deriva appunto dalle associazioni esclusive che un tempo erano costituite dalla
gente dello spettacolo. Per analogia il Teatro alla Scala, ad esempio, viene chiamato
in giapponese Sukaraza ࠬࠞᐳ.
146
Ԙ jŇkamachi (ၔਅ↸932 lett. città ai piedi di un castello, it. città-castello), città
cioè cresciuta intorno ad un castello che i sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ933 costrui-
vano intorno ai loro castelli, invitando mercanti ed artigiani a venirvi a risiedere
(p.es. Yamaguchi ጊญ934 ψcarta 5; Odawara ዊ↰ේ935 ψcarta 10),
ԙ monzenmachi (㐷೨↸936 lett. città di fronte al cancello degli istituti religiosi)
cresciute intorno ai templi buddhisti e ai santuari shintoisti (p.es. Uji-Yamada
ቝᴦጊ↰937 oggi Ise દ938 ψcarta 7),
Ԛ shukubamachi ኋ႐↸939, ossia villaggi-sosta per viaggiatori,
ԛ minatomachi ᷼↸940, cioè città portuali (p.es. Sakai ႓941 ψcarta 7; Hakata
ඳᄙ942 oggi parte di Fukuoka ጟ943 ψcarta 3).
< Machishş > Riguardo alle ultime due città di cui sopra (Sakai ႓ e Hakata ඳ
ᄙ), è da ricordare che, durante il Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ, esse ebbero una gloriosa
storia di autonomia per mano dei loro abitanti chiamati machishş (↸ⴐ944 letti a volte
anche chŇshu, lett. gente di comunità [di una città]), ossia in pratica mercanti ed artigiani
di città del Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ, organizzatisi in un corpo di autogoverno e di
autodifesa. Tra i più noti sono quelli di KyŇto ੩ㇺ, Sakai ႓ e Hakata ඳᄙ.
La loro tradizione culturale libera dalle convenzioni venne ereditata, nell’età succes-
siva, dai chŇnin (↸ੱ945 lett. gente di comunità [di una città]; mercanti ed artigiani di
città dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ ψ§40, §41) e fiorì sotto il nome di cultura dei chŇnin
147
(chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ946 ψ§48).
COMMERCIO A TAGLIAN- Nello stesso anno del 1368 in cui Ashikaga Yoshimi-
DO DI RISCONTRO tsu (⿷⟵ḩ948 ψ§29) venne nominato shŇgun
ァ, in Cina nacque la dinastia Ming (Ming 949 giapp. Min, 1368-1644). Yoshimitu ⟵
ḩ, accogliendo la richiesta cinese di sopprimere le attività dei wakŇ ና e qualifican-
dosi come suddito dell’imperatore cinese, iniziò in via ufficiale scambi commerciali con
la Cina, e siccome per l’esigenza di distingere le navi regolari da quelle dei wakŇ ና, i
comandanti di quelle autorizzate dovevano esibire in Cina un tagliando di riscontro
chiamato kangŇfu ൊว╓950, ossia parte staccata di una bolletta a madre e figlia, il com-
mercio esercitato per i canali ufficiali con la Cina durante il Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ
si chiama kangŇ bŇeki (ൊว⾏ᤃ951 1404-1547).
148
Parte seconda: Cultura
NUOVI PROTAGONI- Nella parte prima si è visto che nell’arco di 400 anni l’op-
STI DELLA CULTURA posizione dicotomica iniziale fra kuge ኅ e buke ᱞኅ
si andava sciogliendo in seguito ad una stabilizzazione sempre più solida di quest’ultima
categoria nei campi politico e socio-economico. Questi mutamenti ambientali determi-
narono fondamentalmente l’indirizzo evolutivo della cultura del periodo in esame,
operando, cioè, in modo tale che la presenza sia dei bushi ᱞ჻ che dei cittadini
comuni si riflettesse sulla cultura con un peso sempre maggiore.
Tanto per fare un paio di esempi, nel periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨ
ઍ), si assistette, da una parte, all’affermazione del buddhismo amidista (jŇdokyŇ ᵺᢎ
952) e, dall’altra, alla nascita d’un nuovo genere letterario cosiddetto guerresco (gunki
CULTURA DEL KUGE E LA SUA AS- Ciò non significa, tuttavia, che i cortigia-
SIMILAZIONE DA PARTE DEL BUKE ni (kuge ኅ) perdessero di colpo ogni
149
facoltà creativa della loro propria cultura in concomitanza con l’istituzione del primo
bakufu ᐀ᐭ a Kamakura ㎨ୖ. Prima di decadere anche dalla posizione di promotori
culturali per non più risollevarsi, essi produssero, difatti, agli inizi del periodo Kamakura
(Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ), un’ultima opera degna di nota e qualitativamente irripeti-
bile. Per spiegarci con un esempio moderno, essi furono come una lampadina irradiante
un bagliore intenso prima di spegnersi per sempre, fulminata. Subentrarono a loro nella
produzione della cultura monaci buddhisti e bushi ᱞ჻ di alto rango, permettendo,
così, alla tradizione della cultura aristocratica di Heian ᐔ di avere un’eredità.
Agli inizi, tuttavia, i bushi ᱞ჻ non erano all’altezza di qualificarsi come eredi,
tanto meno quindi come promotori culturali. Quasi tutti illetterati e culturalmente
barbari, dovettero genuflettersi davanti ai nobili di KyŇto ੩ㇺ e fare ogni sforzo per
acquisire una cultura aristocratica. E tali sforzi diedero il loro frutto, nel periodo
Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ), sotto gli shŇgun ァ Ashikaga Yoshimitsu
(⿷⟵ḩ ψ§29) e Ashikaga Yoshimasa (⿷⟵ ψ§29). Si tratta di due fasi
culminanti distinte nella storia della cultura con i nomi di cultura Kitayama (Kitayama
bunka ർጊᢥൻ956) e cultura Higashiyama (Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ957).
ޣCULTURA KITAYAMA E CULTURA HIGASHIYAMAޤSi chiamano così
perché si tratta di culture simboleggiate da due edifici concepiti per la villeggiatura e di
alto pregio architettonico: il Padiglione d’oro (Kinkaku ㊄㑑 958 1397-a tutt’oggi;
distrutto dal fuoco nel 1950 e ricostruito nel 1955) e il Padiglione d’argento (Ginkaku
㌁㑑959 1489-presente) costruiti rispettivamente da Yoshimitsu ⟵ḩ a Kitayama ർ
ጊ e da Yoshimasa ⟵ a Higashiyama ᧲ጊ, di KyŇto ੩ㇺ. Tali culture sono
caratterizzate, specie quella di Higashiyama (Higashiyama bunka ᧲ጊᢥൻ), da una
profonda influenza esercitata dal buddhismo zen (zenbukkyŇ ᢎ960 ψ§33) sulla
fusione di elementi culturali di origine popolare con quelli della tradizione culturale
aristocratica.
ٟ Tra tutti gli edifici ora esistenti in Giappone il più noto agli stranieri sarà il
Kinkaku ㊄㑑. Si tratta di una costruzione che fa parte del tempio zen (zendera
ኹ961) di nome Rokuonji 㣮⧞ኹ962 detto popolarmente Kinkakuji ㊄㑑ኹ. È
150
scorretto, quindi, parlare del Kinkakuji ㊄㑑ኹ in riferimento solo al Kinkaku ㊄
㑑 come accade frequentemente.
Alla stessa stregua non è corretto chiamare il Ginkaku ㌁㑑 Ginkakuji ㌁㑑
ኹ. Difatti anche il Ginkaku ㌁㑑 è uno degli edifici che costituiscono un tempio
zen (zendera ኹ): JishŇji ᘏᾖኹ963 chiamato popolarmente Ginkakuji ㌁㑑
ኹ.
§33. Buddhismo
151
RINNOVAMENTO Dapprima si vedranno ulteriori sviluppi della scuola amidista
DEL BUDDHISMO (jŇdokyŇ ᵺᢎ970 ψ§23) e la nascita della scuola Nichiren
(Nichirenshş ᣣ⬒ቬ ). 971
152
emanare nei suoi confronti il divieto (nenbutsu chŇji ᔨᱛ981 lett. soppressione del
nenbutsu), avvenimento detto Ken’ei no hŇnan (ᑪ᳗ߩᴺ㔍982 lett. persecuzione del
buddhismo di Ken’ei; Ken’ei ᑪ᳗: nengŇ ᐕภ), e in quella occasione HŇnen ᴺὼ,
ormai anziano, venne esiliato nello Shikoku (྾࿖ ψcarta 1).
La scuola che ha origine da HŇnen ᴺὼ è chiamata JŇdoshş (ᵺቬ983 lett. scuola
della Terra Pura) con sede centrale (sŇhonzan ✚ᧄጊ984; zan ጊ montagna: un altro
modo di dire tempio buddhista) presso il Chion’in (⍮ᕲ㒮985 1212/1234-presente) a
KyŇto ੩ㇺ.
ٟ cfr. Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. (S. Paolo, Lettera ai
Romani)
153
quella (jiriki ⥄ജ992 ψ§33) di quest’ultimo.
Un altro fatto che caratterizza il buddhismo di Shinran ⷫ㣦 è che per lui fra vita
monastica e vita laica non sussisteva alcuna differenza. Egli stesso prese moglie, crean-
do così un nuovo modello di vita buddhista (zaike bukkyŇ ኅᢎ993 lett. buddhismo
di chi sta a casa, ossia buddhismo praticato a casa senza farsi monaco).
In occasione del nenbutsu chŇji ᔨᱛ del 1207 fu esiliato nella provincia di
Echigo (Echigo no kuni ᓟ࿖994 ψcarta 12; oggi Niigata-ken ᣂẟ⋵995).
La scuola da lui fondata si chiama JŇdo shinshş (ᵺ⌀ቬ996 lett. vera scuola della
Terra Pura), detto popolarmente anche IkkŇshş ৻ะቬ997, in quanto i suoi fedeli si
affidano con slancio (ikkŇ ৻ะ) al Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚).
Tempio principale (sŇhonzan ✚ᧄጊ): Honganji ᧄ㗿ኹ (1272-1602). Dal 1602 ad
oggi ci sono due sŇhonzan ✚ᧄጊ per scisma: Higashi honganji ᧲ᧄ㗿ኹ998 e Nishi
honganji ᧄ㗿ኹ999 ambedue a KyŇto ੩ㇺ.
ޣNICHIRENޤSia Nichiren (ᣣ⬒ 1222-1282), che HŇnen ᴺὼ e Shinran ⷫ㣦
studiarono tutti al monastero di Enryakuji (ᑧᥲኹ1000 ψ§23), ma solo Nichiren ᣣ⬒
scelse di imboccare una via alquanto diversa da quella degli altri due. Egli ereditò dalla
scuola Tendai (Tendaishş ᄤบቬ1001) il MyŇhŇ rengekyŇ (䇺ᅱᴺ⬒⪇⚻䇻1002 ψ§23),
ritenendolo l’unico e supremo sştra (kyŇten ⚻ౖ1003) idoneo a salvare la gente nell’era
mappŇ (ᧃᴺ1004 ψ§23).
Diversamente dall’amidismo (jŇdokyŇ ᵺᢎ) che indirizzava il pensiero della gente
verso la vita ultraterrena, Nichiren ᣣ⬒, profondamente interessato ai problemi del
mondo terreno e alla loro soluzione, quindi tutto preso dalla coscienza ardente della
missione, che riteneva affidatagli, di trasformare questo mondo in quello del Buddha,
esercitò tali pressioni sul Kamakura bakufu ㎨ୖ᐀ᐭ affinché si adottasse detto sştra
154
(kyŇten ⚻ౖ), da finire per essere mandato ben due volte in esilio. Fu anche aggressivo
nei confronti delle altre forme di buddhismo, in particolare verso l’amidismo (jŇdokyŇ
ᵺᢎ), in quanto quest’ultimo era dottrinalmente contrastante con il suo buddhismo
(aldilà vs mondo terreno).
Incitava, del resto, la gente a recitare una formula assai semplice, chiamata daimoku
㗴⋡1005: « Namu MyŇhŇ rengekyŇ » (ධήᅱᴺ⬒⪇⚻1006 Ho fede nel Sştra del loto della
buona legge). Si tratta della pratica chiamata shŇdai ໒㗴1007 (shŇ ໒ recitare + dai 㗴
φdaimoku㗴 㗴⋡)
La scuola Nichiren (Nichirenshş ᣣ⬒ቬ1008 detta anche Hokkeshş ᴺ⪇ቬ1009
lett. setta del Sştra del loto), sua creatura, quindi di nascita giapponese ed erede della sua
personalità, è tradizionalmente faziosa, fanatica ed interessata ai problemi politici dello
Stato.
Tempio principale (sŇhonzan ✚ ᧄጊ): Kuonji ਭ ㆙ኹ 1010 (1281-presente) sul
mon- te Minobu (Minobusan りᑧጊ1011 ψcarta 9).
807/1074 ⚻ 135/548
155
amato da non pochi giapponesi. È noto soprattutto per le controversie con HŇnen
ᴺὼ.
Il seguente suo waka fu riportato da Kawabata Yasunari (Ꮉ┵ᐽᚑ1015
1899-1972 ψ§76), premio Nobel per la letteratura nel 1968, nella sua conferenza
tenuta all’Accademia svedese:
1028 ψ§23; si usa per lo più nel senso del monastero di Enryakuji ᑧᥲኹ 1029 ),
156
Eisai ᩕ è noto anche come diffusore dell’abitudine di bere tè (ψ§36).
Templi principali (chiamati daihonzan ᄢᧄጊ1033) del Rinzaishş ⥃ᷣቬ: Nanzenji
ධኹ 1034 (1291-presente), Tenryşji ᄤ㦖ኹ 1035 (1339-attuale) e parecchi altri a
KyŇto ੩ㇺ, Kamakura ㎨ୖ ecc.
ޣDņGENޤSuccessivamente nel 1227 venne portato anche da Eihei DŇgen (᳗ᐔ
ర1036 1200-1253; è chiamato di solito semplicemente DŇgen ర), che aprì la
scuola SŇtŇ (SŇtŇshş ᦡᵢቬ1037). Fu quest’ultimo a dargli una solida base dottrinale.
Secondo lui il fine ultimo del buddhismo si realizza nell’intimo di ciascuno soltanto
mediante la pratica di continuare a stare seduti in meditazione zenista (shikan taza ด▤
ᛂထ1038 lett. non fare altro che restare seduto in meditazione zenista).
Al contrario dell’amidismo (jŇdokyŇ ᵺᢎ) che esortava all’abbandono totale e
passivo di sé ai voti (hongan ᧄ㗿1039) del Buddha Amida (tariki ઁജ1040 lett. forza
altrui), DŇgen ర insistette sulla necessità di dedicarsi, con le proprie forze (jiriki
⥄ജ1041 lett. forza di sé), alla pratica. Ciò perché, mentre per HŇnen ᴺὼ e Shinran
ⷫ㣦 il buddhismo doveva servire alla salvezza del debole genere umano, totalmente
preso dall’attaccamento (shşjaku ၫ⌕1042 ψ§12), per DŇgen ర il buddhismo non
era altro che la vita reale di tutti i giorni.
Templi principali (daihonzan ᄢᧄጊ) del SŇtŇshş ᦡᵢቬ: Eiheiji (᳗ᐔኹ 1043
1244-attuale) alla omonima cittadina e SŇjiji (✚ᜬኹ1044 1321-presente) a Yokohama
(ᮮᵿ1045 ψcarta 10).
ޣPUNTO DI INCONTRO DELLO ZEN CON LA CULTURAޤUn fatto
curioso del buddhismo zen (zenbukkyŇ ᢎ) giapponese è che lo stesso, oltrepassan-
do i confini della religione, si unì strettamente all’attività artistica.
A questo punto è opportuno distinguere lo zen ( meditazione zen, cin. chan,
157
ch’an, sans. dhyĆna) dal buddhismo zen (zenbukkyŇ ᢎ) o la setta zen (Zenshş
ቬ): lo zen trae origine in India ed è una delle pratiche presenti presso ogni forma
di buddhismo, mentre il buddhismo zen (zenbukkyŇ ᢎ), sorto ed affermatosi in
Cina e come tale colmo di essenze cinesi, si riferisce a un tipo particolare del bud-
dhismo che insegna a mettere in pratica solo lo zen secondo determinate modalità.
L’obiettivo dello zen sta nell’afferrare con immediatezza il vuoto (kş ⓨ1046 ψ
§12), ossia, a dirlo alla cinese, il nulla (wu, wu ή1047 giapp. mu) o, per meglio dire, il
mondo della non-mente (wuxin, wu hsin ήᔃ1048 giapp. mushin), ossia lo stato non
elaborato dall’attività mentale (wuwei ziran, wu wei tzu jan ήὑ⥄ὼ1049 giapp. mui
shizen), pensiero base della filosofia taoista (RŇsŇ shisŇ ⠧⨿ᕁᗐ 1050 ), specie di
Zhuangzi (Chuang-tzu ⨿ሶ giapp. SŇshi).
ٟ Messi insieme i pensieri di Lao-tzu (⠧ሶ giapp. RŇshi, ?-? [IV sec. a.C.]) e di
Zhuangzi (Chuang-tzu ⨿ሶ giapp. SŇshi, 365?-290? a.C.), due grandi pensatori
cinesi, si parla del RŇsŇ shisŇ (⠧⨿ᕁᗐ; RŇsŇ ⠧⨿ φRŇshi ⠧ሶ + SŇshi
⨿ሶ).
< KŞ, MU > Si tratta del mondo in cui si annulla ogni tipo di dualità quali, ad
esempio, bello e brutto, molto e poco, vita e morte, esserci e non esserci, sì e no, dentro
e fuori, più scuro e meno scuro, soggettività ed oggettività e così via, in quanto tali
opposizioni sono semplicemente frutti del giudizio soggettivo ed arbitrario della mente
umana su una stessa medesima cosa. Ogni fenomeno è un prodotto illusorio creato
dall’operazione mentale dell’uomo. Non c’è niente che abbia un suo proprio essere che
possa chiamarsi tale. Nel mondo privo di qualsiasi operazione concettuale discriminante
(wuxin, wu hsin ήᔃ giapp. mushin), per opera della prajñĆ (giapp. hannya ⥸⧯1051 ψ
§12) la totalità apparirà un tutto unico armonioso che trascende sia il tempo che lo
spazio, e di ciò, può rendersi conto soltanto chi abbia fatto un tipo di esperienza
religiosa strettamente personale e diretta chiamata, solitamente in giapponese, satori (ᖗ
158
ࠅ1052 il rendersi conto del dharma).
Chi abbia fatto tale esperienza rappresenterà simbolicamente il nuovo mondo che
gli si è dischiuso. Ciò perché si tratta di un mondo privo di forma concreta, quindi
inesprimibile, né trasmissibile con parole (Furyş monji. KyŇge betsuden. ਇ┙ᢥሼ ᢎᄖ
વ1053 La verità non si trasmette con parole, ma da cuore a cuore.). Ciò che viene
espresso da chi abbia fatto l’esperienza del satori ᖗࠅ non è altro che il mondo della
non-mente (mui shizen ήὑ⥄ὼ) che si estende all’infinito temporalmente, spazial-
mente e anche quantitativamente, ed è qui che lo zen si unisce all’attività artistica.
L’infinito è espresso simbolicamente in forma definita: l’eternità è ridotta ad un mo-
mento; l’estensione illimitata ad un punto; il massimo al minimo.
Un buon esempio della cultura artistica zenista è offerto dai quadri cosiddetti
suibokuga (᳓ა↹1054 chiamati anche sumie ა⛗1055) di origine cinese, ossia quadri
dipinti solo ad inchiostro nero. Essi sono caratterizzati, inoltre, dagli spazi lasciati in
bianco che occupano a volte anche oltre il 50% della superficie. Se li si guarda con la
mente zenista, ossia con gli occhi della mente di cui alla seconda metà della nota
espressione già citata:
« Forma non è altro che vuoto. Vuoto non è altro che forma »
(Shiki soku ze kş. Kş soku ze shiki. ⦡හᤚⓨ ⓨහᤚ⦡1056 ψ§12),
159
l’esserci non sono divisi come due concetti contrastanti, ma formano un tutt’uno.
La mente zenista non è nemmeno quella mente che abbia perso completamente la
sua facoltà: il mondo del nulla zenista (mui shizen ήὑ⥄ὼ) è un mondo dinamico e
generativo; di lì vengono fuori cose infinite così come dallo zero (espressione matema-
tica del kş ⓨ [vuoto], per l’appunto) nascono numeri infiniti. Si osservi la seguente
rappresentazione:
VUOTO, KŞ, MU
ڢ
㧗п ̖ Ⱥ 㧗㧟 Ⱥ 㧗㧞 Ⱥ 㧗㧝 Ⱥ 㧜 Ⱥ 㧙㧝 Ⱥ 㧙㧞 Ⱥ 㧙㧟 Ⱥ ̖ 㧙п
uno (o, uni-, mono-), piccolo (o, poco), povero (o, misero), vecchio (o, brutto,
sporco), senza (o, in-), buio (o, scuro), quieto (o, silenzioso), semplice (o, sobrio,
disadorno), fermo (o, lento), irregolare (o, deforme, asimmetrico).
429/1286
160
kura). A partire dal 1386 al di sopra dei dieci templi ce n’era uno di massimo rango:
Nanzenji ධኹ1060 già citato. Messi insieme tutti gli undici, si parla semplicemente di
gozan (ጊ lett. cinque montagne).
I monaci zenisti di questi templi sotto una particolare protezione shogunale, anziché
essere religiosi, erano piuttosto dei cultori della cultura cinese, specie della filosofia
neo-confuciana di Zhuzi (Chu Hsi ᧇሶ1061 giapp. Shushi ψ§53) e prepararono la
base della fioritura degli studi confuciani (ruxue, juhsüeh ఌቇ1062 giapp. jugaku), in
particolare neo-confuciani (shushigaku ᧇሶቇ) del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ
1063).
§34. Letteratura
161
1066ࠇߡࠁߊᤐ1067ߩߺߥߣߪߒࠄߨߤ߽㔰1068ߦ⪭1069ߟࠆቝᴦ1070ߩᩊ
⥱1071
Kurete yuku / haru no minato wa / shiranedomo / kasumi ni otsuru / Uji no shibabune
[La primavera si va inoltrando; in quale porto andrà a finire? Vedo scivolare giù
nella foschia del fiume Uji una barca carica di ramoscelli.]
Autore: Jakuren hŇshi (⬒ᴺᏧ1072 bonzo Jakuren, ?-1202)
ᕁ1073߭߹ࠅߘߥߚߩⓨ1074ࠍߥ߇ࠇ߫㔰ࠍಽ1075ߌߡᤐ㔎1076ߙ㒠1077
ࠆ
Omoiamari / sonata no sora o / nagamureba / kasumi o wakete / harusame zo furu
[Non potendomi contenere, guardo il cielo su di te, quand’ecco vedo cadere la
pioggia primaverile attraverso la foschia.]
Autore: Fujiwara no Toshinari (⮮ේବᚑ1078 1114-1204)
᩿1079ߩ⪲1080߽〯1081ߺಽߌ߇ߚߊߥࠅߦߌࠅ߆ߥࠄߕੱ1082ࠍᓙ1083ߟߣ
ߥߌࠇߤ
162
Kiri no ha mo / fumiwakegataku / narinikeri / Kanarazu hito o / matsu to nakere do
[Si sono ammucchiate così tante foglie di paulonia da ostacolare il cammino!
Non m’aspetto però la visita di nessuno.]
Autrice: Shikishi naishinnŇ (ᑼሶౝⷫ₺1084 principessa Shikishi, ?-1201)
< Yşgen > A proposito delle poesie dello Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ[]㓸䇻,
si suole parlare d’un ideale estetico permeato da un tono squisitamente medioevale:
yşgen (ᐝ₵ 1085 lett. oscuro, recondito, appena percettibile). La parola yşgen ᐝ₵,
termine di provenienza dalla filosofia taoista (RŇsŇ shisŇ ⠧ ⨿ ᕁ ᗐ 1086 ψ §33),
cominciò ad essere usata nella letteratura saggistica di poesia verso la fine del periodo
Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ). Da allora ne parlarono molti fra cui Kamo no ChŇmei
(㡞㐳1087 ψ§34) nel MumyŇshŇ (䇺ήฬᛞ䇻1088 it. Trattato senza nome, 1211?):
« Quando si sente parlare del cosiddetto yşgen ᐝ₵, non si capisce bene che
cosa significa. Siccome io stesso non ho approfondito molto questo argomento,
non penso di poterlo definire in modo chiaro e netto. Mi risulta, comunque, che gli
intenditori autorevoli in materia si siano riferiti a certi sentimenti non espressi con
parole o ad una certa atmosfera suggerita da una visione poco consistente.
Faccio un esempio: il cielo serale d’autunno non ha colori ed è dominato dal
silenzio. Guardandolo, succede che i nostri occhi si riempiano di lacrime senza
motivo e non possiamo spiegarcene il perché, né sappiamo dire dov’è lo yşgen ᐝ₵.
Chi non se ne intende pensa che in un cielo siffatto non ci sia un bel niente da
gustare, ed ammira soltanto fiori di ciliegio e foglie colorate d’autunno che si
presentano realmente alla vista. [...]
Un altro esempio: quando si guardano montagne autunnali attraverso gli squarci
lasciati dal diradarsi delle nebbie, ciò che si vede è indistinto, ma attraente ed allora
ci si lascia rapire dalle fantasie, domandandoci fin dove si estendano quei colori
autunnali ed ammirando lo splendore di quella veduta immaginata. Le immagini che
la mente si crea in tal modo, possiamo allora dirle superiori al paesaggio reale colto
163
dalla vista in tutta la sua nitidezza ».
1089ࠊߚߖ߫⧎1090߽߽ߺߝ߽ߥ߆ࠅߌࠅᶆ1091ߩߣ߹ደ1092ߩ⑺1093ߩᄕ
1094
Miwataseba / hana mo momiji mo / nakarikeri / ura no tomaya no / aki no yşgure
[A perdita d’occhio non vedo fiori di ciliegio, né foglie colorate d’autunno, ma
soltanto una capanna dal tetto di giunchi vicino all’insenatura nel crepuscolo
autunnale.]
Autore: Fujiwara no Sadaie (⮮ේቯኅ1095 1162-1241)
Uno dei due elementi è il colore grigio scuro della sera e l’altro consiste nei fiori e
nelle foglie dai colori sgargianti che stanno nei ricordi di Sadaie ቯኅ. Egli proietta
questi ultimi nel paesaggio in penombra e li guarda attraverso un vetro colorato quale
semioscurità serale. Che si percepisca o meno uno yşgen ᐝ₵ là dove s’incontrano i
‘due elementi’ di natura opposta fra loro, dipende dalla disposizione e capacità mentale
di chi legge questo waka . È evidente, comunque, che agli inizi del periodo Kama-
kura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ) i pensieri taoisti e zenisti cominciavano ad infiltrarsi
164
nel criterio estetico.
ޣޣRENGA ޤDopo la compilazione dello Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ[]㓸䇻, ci
fu un processo di decadenza del waka , e in sua sostituzione venne in voga la
cosiddetta poesia a catena (renga ㅪ1096 lett. poesie collegate, poesie congiunte) che
aveva origine dai tempi del Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻.
Sotto l’aspetto metrico, dapprima si trattò di una poesia, formalmente identica al
tanka (⍴ 5-7-5-7-7), cantata però non da una ma da due persone in collaborazione:
qualcuno componeva la prima metà (kami no ku ߩฏ1097 5-7-5) e qualcun altro la
seconda (shimo no ku ਅߩฏ1098 7-7) (tanrenga ⍴ㅪ1099 lett. renga breve).
Successe, poi, nel periodo dello insei (inseiki 㒮ᦼ1100 1086-1179/1185), che più
di due persone cominciassero a comporre, sempre in collaborazione, molte strofe
concatenate:
(5-7-5)-(7-7)-(5-7-5)-(7-7)-(5-7-5)-(7-7)- ̖
genere di poesia detto specificamente kusari renga (㎮ㅪ1101 lett. poesia a catena) o
anche chŇrenga (㐳ㅪ1102 lett. renga lungo). La gente si divertiva a vedere sviluppi
veriegati o, meglio, inaspettati sia come significato che come atmosfera poetica. Oggi,
quando si parla semplicemente del renga ㅪ ci si riferisce senz’altro a quest’ultimo
tipo di poesia consistente in tante strofe (44, 50, 100, 1,000, ... strofe) che si susseguono.
Più tardi, nel periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ), soppiantando il
tanka ⍴ tradizionale, il kusari renga ㎮ㅪ, ossia la poesia a catena (renga ㅪ),
andò trovando appassionati cultori anche fra i contadini attraverso, per esempio,
l’organizzazione sŇ (ᗉ1103 ψ§29) da loro stessi amministrata e per merito di Iio SŇgi
(㘵የቬ1104 1421-1502), considerato il massimo maestro nel genere del renga ㅪ.
SŇgi ቬ, nelle sue numerose peregrinazioni, lo trapiantò in una vasta zona del
165
Giappone.
Fu da questo genere poetico che nacque nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ
1600/1603-1867) una nuova forma di poesia brevissima (ψ§50) che oggi, insieme con
il tanka ⍴, è autentica espressione della tradizionale versificazione giapponese.
LETTERATURA Si è già detto che a partire dalla metà del periodo Heian (Heian jidai
GUERRESCA ᐔᤨઍ), specie nel medioevo (chşsei ਛ) venne prodotto un
gruppo di opere narrative chiamato gunki [o anche senki ] monogatari (ァ⸥[ᚢ⸥]‛⺆
1105 lett. racconti guerreschi) o anche gunkimono (ァ⸥‛ lett. opere guerresche). Tale
letteratura, sorta insieme con la nascita della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖),
costituì il filone che rispecchiò meglio di qualsiasi altro i tempi profondamente mutati.
Si tratta di opere che narrano battaglie e gesta eroiche dei bushi ᱞ჻, costituendo in tal
modo un mondo di forza dinamica e virile, estraneo ai monogatari ‛⺆ (p.es. Genji
monogatari Ḯ᳁‛⺆) del periodo precedente, ed è proprio qui che i gunkimono ァ⸥‛
si distinguono nettamente dalle opere aristocratiche, delicate, fragili, effeminate e a volte
anche lugubri della cultura nazionale (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ).
ޣHEIKE MONOGATARI ޤIl massimo capolavoro del genere (e nel contempo
una delle opere che rappresentano la letteratura giapponese di tutti i tempi) è lo Heike
monogatari (䇺ᐔኅ‛⺆䇻1106 it. Storia dei Taira, prima metà XIII sec. ψ§18) che, dopo
aver esposto diversi episodi durante il periodo di gloria effimera dei Taira (Tairauji ᐔ
᳁, Heishi ᐔ᳁; Le tre espressioni di Heike ᐔኅ, Tairauji ᐔ᳁ e Heishi ᐔ᳁ sono
tutte sinonimiche.), passa a raccontare diverse battaglie, ordinandole in modo tale che
ciascuna di esse costituisca una tappa fatale verso la patetica totale disfatta subita nel
1185 a Dannoura (სࡁᶆ1107 ψcarta 5).
Dalla prima frase sino all’ultima, infatti, è fortemente permeato dal pensiero bud-
dhista shogyŇ mujŇ (⻉ⴕήᏱ1108 lett. Ogni cosa terrena è impermanente. ψ§12),
entrato ormai nel profondo dell’animo dei giapponesi con il diffondersi del culto della
Terra Pura (jŇdokyŇ ᵺᢎ1109).
L’intera opera può essere paragonata ad una creazione epica, non soltanto per il
contenuto, ma anche per la ritmicità della lingua chiamata wakan konkŇbun (ṽᷙᶳᢥ
166
1110 lett. frasi composte promiscuamente da parole giapponesi e da [un’alta percentuale
di] parole cinesi).
Ecco alcune righe iniziali e del resto ben note dell’opera:
1110 wa/kan/ kon/kŇ/bun 151/124 ṽ 1394/556 ᷙ 888/799 ᶳ non reg./non reg.ᢥ 136/111
1111 Gion/shŇ/ja non reg./non reg. 412/447 ♖ 672/659 ⥢ 1056/791
1112 kane ㏹ 1425/1821
1113 koe ჿ 467/746
1114 hibi/ki 㗀 647/856 ߈
1115 sha/ra/ sŇ/ju ᴕ non reg./non reg.⟜ 1762/1860 1178/1594 ᮸ 1034/1144
1116 iro ⦡ 326/204
1117 jŇ/ja ⋓ 737/719 ⠪ 22/164
1118 his/sui ᔅ 292/520 1577/1676
1119 kotowari ℂ 95/143
1120 arawa/su 㗼 1682/1170 ߔ (giapp. moderno: id.)
1121 ogo/ru ᅍ non reg./non reg.ࠆ (giapp. moderno: id.)
1122 hisa/shi ਭ 591/1210 ߒ (giapp. moderno: hisa/hi/i ਭ 591/1210 ߒ)
1123 tada ด non reg./non reg.
1124 yo ᄛ 258/471
1125 yume ᄞ 969/811
1126 goto/shi ᅤ 1521/1747 ߒ (giapp. moderno: yŇ/da ࠃ߁ߛ)
1127 take/shi ⁴ 1378/1579 ߒ
1128 mono ⠪ 22/164
1129 tsui/ni ㆀ 1427/1133 ߦ
1130 horo/bu 887/672 ߱ (giapp. moderno: horo/bi/ru Ṍ 1387/1338 ߮ࠆ 887/672 ߮ࠆ)
167
1131ߦ㘑1132ߩ೨ߩႲ1133ߦหߓޕ proprio come lo è la polvere al co-
Hitoeni / kaze no mae no / chiri ni onaji. spetto del vento.
Il testo che descrive, com’è ovvio, scontri armati Genji Ḯ᳁ versus Heishi ᐔ᳁ è
cosparso anche di preziosi episodi a volte commoventi o pietosi ed altre volte
pittoreschi. Di seguito se ne riporta il sommario di un paio:
Taira no Kiyomori (ᐔᷡ⋓ ψ§18) promosso, nel 1167, a daijŇ daijin ᄥᄢ⤿1134 era
gonfio di superbia.
In quei tempi andava in voga alla capitale una danza accompagnata da canti, detta
shirabyŇshi (⊕ᜉሶ1135; si usa anche nel senso di danzatrice-cantante di tale arte), eseguita da
donne travestite da uomo e solitamente di facili costumi. Ce n’era una assai abile nel mestiere,
di nome GiŇ ₺1136, mantenuta nell’abbondanza da Kiyomori ᷡ⋓.
Trascorsi tre anni, venne alla capitale una bella shirabyŇshi ⊕ᜉሶ più giovane di lei,
chiamata Hotoke gozen (ᓮ೨1137; gozen ᓮ೨ suffisso onorifico), che volle esibirsi davanti
a Kiyomori ᷡ⋓. Quando si accorse del disinteresse di questi, poté eseguire il suo numero
per intercessione di GiŇ ₺. Kiyomori ᷡ⋓, infatuatosi immediatamente della nuova
venuta, sostituì GiŇ ₺ con la giovane. « Vattene di qui senza indugio » furono le sue parole.
Le venne tagliato anche ogni mezzo di sostentamento.
Prima di congedarsi dal palazzo di Kiyomori ᷡ⋓, GiŇ ₺ dal cuore straziato lasciò
scritto un waka nella camera in cui abitava:
⪢1138߃1139ߠࠆ߽ᨗ1140ࠆࠆ߽หߓ㊁ㄝ1141ߩ⨲1142ߠࠇ߆⑺*ߦ
168
ߪߢߪߟߴ߈
Moeizuru mo / karuru mo onaji / nobe no kusa / izure ka aki* ni / awade hatsubeki
[Le erbe, fresche o secche, sono ugualmente piante del campo. Entrambe sono
destinate ad andare incontro all’autunno (al disinteresseާda parte dell’uomo䈁)].
YZ
NASU NO YOICHI
169
no tatakai ደፉߩᚢ1146, 1185; Yashima ደፉ ψcarta 6) combattuta poco oltre un mese
prima di quella finale a Dannoura სࡁᶆ.
C’era, a terra, una cavalleria Genji Ḯ᳁ di circa 300 uomini guidata da Minamoto no
Yoshitsune (Ḯ⟵⚻1147 1159-1189, fratellastro di Minamoto no Yoritomo Ḯ㗬ᦺ ψ§27);
in mare, a bordo di imbarcazioni, c’erano gli Heishi ᐔ᳁. Scendeva la sera senza che nessuna
parte risultasse vittoriosa, quand’ecco che si vide una nave addobbata accostarsi a terra. A
bordo si vedeva una giovane donna elegantemente vestita. Ella, tirato fuori un ventaglio rosso
con al centro un disco d’oro, lo innestò all’estremità di un’asta, piantandola quindi alla prua.
Fece poi cenno con la mano.
« Cosa vorrebbe dire? » Yoshitsune ⟵⚻ si consultò con un tale erudito.
« Gli Heishi ᐔ᳁ vorrebbero invitarci a colpire il ventaglio con una frecciata. Può darsi,
però, che abbiano teso qualche tranello. Sarà comunque il caso di abbatterlo al più presto ».
« Abbiamo un arciere all’altezza del compito? »
« Sì, mio Signore. Ne abbiamo uno che si chiama Nasu no Yoichi (㇊㗇ਈ৻1148 ?-?). È
un giovane basso di statura, ma è un tiratore sicuro »
« Ne hai qualche prova da addurre? »
« Riesce a colpire due uccelli su tre in volo, mio Signore ».
« Chiamalo subito ».
[...]
« Yoichi ਈ৻, dimostra davanti a tutti la tua maestria ».
L’ordine di Yoshitsune ⟵⚻ fu perentorio. Yoichi ਈ৻, a dorso di cavallo, si spinse fin
oltre la battigia, in mezzo ad un gran numero di spettatori che seguiva ogni sua mossa. Se ci
riusciva, bene; in caso contrario sarebbe stato un disonore dei Genji Ḯ᳁ per generazioni.
Yoichi ਈ৻ era pronto ad uccidersi sul posto. Il bersaglio era lontano alcune decine di
metri, e il mare era mosso per una tramontana che si era alzata da poco. Gli sembrava
impossibile riuscirci. Ad occhi chiusi Yoichi ਈ৻ pregò tutti i kami ( ψ§9). La preghiera
fu esaudita; il vento calò. Fu il momento da non perdere.
Scoccata una prima freccia, il ventaglio, colpito a tre centimetri dal perno, volò all’insù,
svolazzò per un attimo al vento e finì giù in mare, ridotto in tre pezzi. A vederli andare su e
giù in balia delle onde e luccicare al sole del tramonto, si alzò tutt’intorno un’acclamazione.
Vinto forse da una forte emozione, un uomo sui cinquant’anni degli Heike ᐔኅ eseguì,
cantando, una danza mai ⥰1149 con in mano una naginata (㐳ಷ1150 lett. spada lunga; Si
immagini una spada con una manica lunga quanto un’asta di una lancia. it. alabarda [forse
dall’ingl. halbert]).
ܮ
170
Lo Heike monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻 ha una novantina di versioni alquanto diverse tra loro.
In certi testi l’episodio si conclude diversamente:
ܮ
La giovane donna che aveva fatto cenno d’invito ai Genji Ḯ᳁ era una Heike selezionata
tra mille dame. Di fronte allo spettacolo che ricordava fiori di ciliegio e foglie colorate
d’autunno improvvisò un waka :
ߣ߈ߥࠄߧ⧎߿߽ߺߓࠍߺߟࠆ߆ߥ⧐㊁*ೋἑ**ߩ߽߰ߣߥࠄߨߤ
Tokinaranu / hana ya momiji o / mitsuru kana / Yoshino Hatsuse no / fumoto naranedo
[Ho avuto modo di ammirare fiori di ciliegio e foglie rosse di aceri, cose che
non m’aspettavo di vedere. E pensare che non siamo a Yoshino, né a Hatsuse].
della parola) che declamavano, accompagnandosi con uno strumento a corda detto biwa
ℚℛ.
Essi, affidandosi ad un solo bastone e con un biwa ℚℛ sulla schiena, andavano in
giro di villaggio in villaggio e recitavano passi di romanzi guerreschi (gunkimono ァ⸥
‛) a volte in palazzi di nobili e bushi ᱞ჻ ed altre volte per strada davanti a contadini,
artigiani, pescatori, giovani e vecchi. Si capisce che a differenza del Genji monogatari (Ḯ
᳁‛⺆ ψ§22) che secondo l’autrice del Sarashina nikki (䇺ᦝ⚖ᣣ⸥䇻1152 [opera della
cultura Fujiwara] it. Diario di Sarashina, 1060 ca.), lei stessa avrebbe letto dietro un
paravento, avvicinando a sé una lampada ad olio, la letteratura guerresca (gunki
monogatari ァ⸥‛⺆) penetrò, per opera dei biwa hŇshi ℚℛᴺᏧ ed altre categorie di
narratori, in tutti i ceti sociali, illetterati compresi. Così, anche sotto l’aspetto sia della
modalità di fruizione che delle categorie di appartenenza dei fruitori, la letteratura
1151 bi/wa/ hŇ/shi ℚ non reg./non reg.ℛ non reg./non reg.ᴺ 145/123 Ꮷ 490/409
1152 Sara/shina/ nik/ki 䇺ᦝ 978/1008 ⚖ 505/568 ᣣ 1/5 ⸥ 147/371䇻
171
guerresca (gunki monogatari ァ⸥‛⺆) del medioevo (chşsei ਛ) e quella femminile
ed aristocratica (nyŇbŇ bungaku ᅚᚱᢥቇ1153 lett. letteratura di dame di corte) del
periodo precedente appartenevano a due mondi diversi.
Lo Heike monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻 narrato dai biwa hŇshi ℚℛᴺᏧ fu chiamato in
particolare heikyoku (ᐔᦛ 1154 φ Hei/ke monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻 㧗 kyoku ᦛ
melodia) o anche heikebiwa ᐔኅℚℛ1155 e risultò sempre un genere strappalacrime.
< Etica dei bushi > Come si può constatare da un episodio, riportato poco
innanzi, dello Heike monogatari 䇺ᐔኅ‛⺆䇻, dalla letteratura guerresca (gunkimono ァ⸥
‛) trapela il mondo dello spirito dei bushi ᱞ჻ che in età posteriore fu codificato
sotto l’etichetta di bushidŇ (ᱞ჻1156 ψ§53), ma che nel medioevo (chşsei ਛ) era
chiamato con diverse espressioni, fra cui kyşba no michi (ᑿ㚍ߩ1157 lett. via dell’arte
del tiro con l’arco e dell’equitazione). Potrebbe essere definito come cavalleria dei bushi
ᱞ჻ ed era caratterizzato principalmente dalla pronta rinuncia alla vita pur di difen-
dere il proprio onore, dall’osservanza della lealtà, dell’autocontrollo e della frugalità.
Pare che diversamente dalla cavalleria occidentale la cortesia verso le donne non
entrasse in tali regole di vita.
ٟ In quei tempi i bushi ᱞ჻ erano intenti a esercitarsi nell’arte del tiro con
l’arco dal dorso di un cavallo al galoppo. Secondo i bersagli l’esercitazione veniva
chiamata diversamente: se il bersaglio consisteva in una serie di tavole quadrate da
colpire, una dopo l’altra, con frecce fornite di una palla sibilante (dette kaburaya ㏒
⍫1158), si chiamava yabusame (ᵹ㏒㚍1159 lett. lasciare andare kaburaya dal cavallo).
Se si colpivano cani in corsa, inuŇmono (›ㅊ‛1160 lett. esercitazione di caccia al
cane). Qualora il bersaglio fosse un oggetto a forma di cappello, kasagake (═ 1161
lett. cappello di falasco appeso).
172
pubblico: Taiheiki (䇺ᄥᐔ⸥䇻1162 it. Cronaca della grande pace, seconda metà XIV sec.) che
narra il susseguirsi di disordini durante l’epoca NanbokuchŇ (NanbokuchŇ jidai ධർ
ᦺᤨઍ1163) e il ristabilimento dell’ordine. Anche di quest’opera veniva data una lettura
ritmica da professionisti, che in età posteriore vennero chiamati taiheiki yomi (ᄥᐔ⸥⺒
ߺ1164 lett. lettori/recitatori del Taiheiki).
ޣLETTERATURA D’EREMITIޤQuasi tutti i gunki monogatari ァ⸥‛⺆, data la
loro origine recitativa, sono anonimi e senza data, ma si ritiene che gli autori
appartenessero alla categoria degli eremiti. L’insieme delle opere dovute al loro pennello
viene chiamato a volte letteratura d’eremiti (inja bungaku 㓝⠪ᢥቇ1165) o letteratura di
romitaggio (sŇan bungaku ⨲ᐻᢥቇ1166).
173
giapponese. Copre una vasta gamma di argomenti quali religione e filosofia, vita umana,
usi e costumi, etica, società, natura, waka , politica, la casa ecc. Al pari dello HŇjŇki
䇺 ᣇ ਂ ⸥ 䇻 poggia fondamentalmente sulla concezione buddhista della caducità,
impermanenza di tutte le cose (shogyŇ mujŇ ⻉ⴕήᏱ), ma il tono è meno pessimista e
parla anche delle gioie che può dare la vita terrena.
§35. Teatro
174
strumentale (hayashi ྭ ሶ 1180 ). Nella storia della cultura giapponese merita
un’attenzione particolare, e ciò non tanto perché si trattò della prima forma teatrale
d’arte, quanto perché sorse con la piena partecipazione di tutti i fenomeni culturali
manifestatisi nel medioevo (chşsei ਛ), e precisamente:
175
(⢻ chiamato inizialmente sarugaku no nŇ ₎ᭉ⢻ 1185 ). Prima di incontrare il suo
mecenate, Kan’ami ⷰ㒙ᒎ aveva mirato a creare un teatro artistico, perfeziondo la
mimica realistica, ma al nuovo ambiente in cui doveva ora esibirsi, il suo sarugaku ₎ᭉ,
teatro fino ad allora a ispirazione ‘realistica’, risultò poco confacente, non essendo in
grado di soddisfare pienamente il gusto aristocratico. Ciò perché il buke ᱞኅ aveva
ormai assimilato (ψ§32) appieno la cultura del kuge ኅ dando pregio così allo yşgen
(ᐝ₵1186 ψ§34), e soltanto quando il figlio subentrò al padre, si vide nascere il nŇ ⢻
dal raffinato simbolismo.
< Yşgen del nŇ > L’ulteriore tocco dato dal figlio Zeami 㒙ᒎ al sarugaku ₎
ᭉ, una volta innalzato già a livello d’arte dal padre Kan’ami ⷰ㒙ᒎ, consisteva nel
porre l’eleganza e la soavità della danza in primo piano, ossia di fronte alla mimica
realistica; o, sarà forse meglio dire che egli cercò di ‘adombrare, con la danza, la mimica
realistica’ che stava tanto a cuore a suo padre.
Si noti che lo yşgen ᐝ₵, concetto-chiave del teatro di Zeami 㒙ᒎ, è a doppia
struttura, come pure lo è presso il waka (ψ§34) dello Shin kokin [waka]shş 䇺ᣂฎ
[]㓸䇻. Se il nŇ ⢻ viene solitamente definito teatro di simbolismo, lo si deve
appunto a questa doppia struttura.
< Due modi diversi di manifestazione dello yşgen > È da notare in particolare
che lo yşgen ᐝ₵ del waka si presenta con una certa atmosfera oscura e
sentimentale, ma nel teatro nŇ ⢻, invece, si riferisce ad una bellezza semplicemente
graziosa come Zeami 㒙ᒎ stesso dice: « La vera essenza dello yşgen ᐝ₵ è la
bellezza e la soavità ». « Ciò che è sfarzoso non è altro che lo yşgen ᐝ₵ ». Risulta
perciò che sono diametralmente opposte le manifestazioni rappresentate dalla stessa
parola yşgen ᐝ₵, ma quanto al meccanismo per cui, di due elementi, uno serve a
nascondere e negare l’altro, non c’è nessuna differenza.
ޣPALCOSCENICO E MASCHERAޤSi è visto che per l’estetica yşgen ᐝ₵ del
nŇ ⢻ c’è di mezzo lo zen . Lo stesso dicasi anche sia per il palcoscenico assai sobrio,
sia per le maschere che sembrano a prima vista senza espressione. Dire, con la mente
razionale, che il palcoscenico del nŇ ⢻ è pressoché privo di arredo e le sue maschere
non hanno espressione è uguale a dire, nell’ottica zenista, che il palcoscenico è arredato
a puntino e le maschere assumono qualsiasi espressione.
ޣNņ E AMIDISMOޤPer la trama, invece, è il buddhismo della Terra Pura (jŇdokyŇ
ᵺ ᢎ ) che ne costituisce lo sfondo: molte pièce di Zeami 㒙 ᒎ sono
comunemente caratterizzate dall’apparizione di un fantasma, anima non ancora
176
rassegnata d’un defunto. La sua salvezza viene attuata mediante le preghiere rivolte alla
compassione (jihi ᘏᖤ1187) dell’Amida butsu 㒙ᒎ㒚.
KYņGEN Con l’affermazione del nŇ ⢻ come teatro serio e classico, gli elementi
comici che originariamente facevano parte del sarugaku ₎ᭉ assunsero
una diversa forma di spettacolo a sé stante, detta kyŇgen (⁅⸒1188 lett. parole pazze),
qualcosa di simile alla farsa realistica e satirica. Sia linguisticamente che sotto l’aspetto
dei temi trattati, è un teatro degno di essere definito di gusto popolare.
I kyŇgen ⁅⸒ vengono rappresentati intercalati fra un nŇ ⢻ e l’altro in modo da
alternare la tensione al rilassamento.
Mettendo insieme nŇ ⢻ e kyŇgen ⁅⸒, si parla spesso del nŇgaku ⢻ᭉ1189.
177
Unkei) e Kaikei (ᔟᘮ1195 ?-?, discepolo del padre di Unkei).
Ecco un paio di capolavori statuari:
Una coppia di guardiani, detti KongŇ rikishizŇ (䇺㊄ജ჻䇻 1196 lett. statue
dell’uomo invincibile dotato di forza, chiamato anche NiŇzŇ 䇺ੳ₺䇻1197 lett. statue
del re benevolo, 1203, sans. Vajradhara) del tempio del TŇdaiji ᧲ᄢኹ. Le opere alte
oltre 8 m circa furono scolpite in soli 70 giorni da Unkei ㆇᘮ e Kaikei ᔟᘮ in
collaborazione.
MuchakuzŇ (䇺ή⪺䇻1198 lett. ritratto di Muchaku, 1208 ca; Muchaku ή⪺sans.
Asa ga, monaco indiano del IV-V sec.) e SeshinzŇ (䇺ⷫ䇻1199 lett. statua di Seshin,
1208 ca.; Seshin ⷫ sans. Vasubandhu, monaco e fratello di Asa ga) di Unkei ㆇᘮ,
presso il KŇfukuji ⥝ኹ1200 a Nara ᄹ⦟. Ambedue le opere sono particolarmente
realistiche. 䎃
Kşya shŇninzŇ (䇺ⓨੱ䇻1201 lett. statua del reverendo bonzo Kşya (ⓨ o
anche KŇya ψ§23) di KŇshŇ (ᐽൎ1202 ?-?, quartogenito di Unkei), Rokuharamitsuji
ᵄ ⟜ Ᵽኹ 1203 a KyŇto ੩ ㇺ . È nota soprattutto per il modo ingegnoso di
rappresentare il nenbutsu ᔨ1204 (« Namu Amida butsu » (ධή㒙ᒎ㒚1205 Ho fede
nel Buddha Amida ψ§23) recitato da Kşya ⓨ. Il nenbutsu ᔨ è letteralmente
‘scolpito’ ed esce dalla bocca di Kşya ⓨ㧍
ޣPITTURAޤLa produzione di emakimono ⛗Ꮞ‛1206 toccò l’apice soprattutto
sotto l’aspetto quantitativo: p.es. Kitano Tenjin engiemaki (䇺ർ㊁ᄤ✼⛗Ꮞ䇻1207 lett.
emakimono raffigurante l’origine del Kitano Tenjin; Kitano Tenjin ർ㊁ᄤ ψ§16,
1219) di Fujiwara no Nobusane (⮮ේାታ1208 1177-1265?).
⛗ 976/345 Ꮞ 636/507䇻
1208 Fuji/wara/ no/ Nobu/sane ⮮ 206/2231 ේ 132/136 ା 198/157 ታ 89/203
178
Lo spirito del realismo imperante portava, d’altra parte, alla produzione di molti
ritratti detti nisee (ૃ⛗ 1209 lett. pittura somigliante). Il più noto è il Minamoto no
YoritomozŇ (䇺Ḯ㗬ᦺ䇻1210 lett. ritratto di Minamoto no Yoritomo; c’è una voce che
dice che si tratta del ritratto di un’altra persona) di Fujiwara no Takanobu (⮮ේ㓉ା1211
1142-1205).
ޣARCHITETTURA ޤIn questo periodo furono trasmessi dalla Cina dei Song
(Sung ቡ1212 giapp. SŇ, 960-1279) due stili architettonici: tenjikuyŇ (ᄤ┼᭽1213 lett. stile
indiano [ma per la verità l’India non ha nulla a che fare], detto anche daibutsuyŇ ᄢ᭽
1214 lett. stile grande buddha), stile grandioso e karayŇ (໊᭽1215 lett. stile T’ang, ossia
TŇ, detto anche zenshşyŇ ቬ᭽1216 stile scuola zen), stile semplice e disadorno.
Il tenjikuyŇ ᄤ┼᭽ fu adottato per la ricostruzione del TŇdaiji nandaimon (᧲ᄢኹ
ධᄢ㐷 1217 lett. grande portale meridionale del TŇdaiji ᧲ᄢኹ ψ§12, 1199). La
coppia del KongŇ rikishizŇ 䇺㊄ജ჻䇻 di cui abbiamo parlato poco innanzi è posta
all’interno di questo portale, uno di fronte all’altro.
Il karayŇ ໊᭽, invece, venne utilizzato di solito per templi zen (zendera ኹ). Un
buon esempio è offerto dallo Shariden (⥢Ლ 1218 lett. edificio per le reliquie,
Muromachi jidai [1338-1568]) del tempio di Enkakuji (ⷡኹ1219 1282-presente) a
Kamakura ㎨ୖ.
In contrapposizione ai sopraccitati due stili esogeni lo stile preesistente, quindi
tradizionale giapponese, si chiama wayŇ (᭽ 1220 lett. stile giapponese). Ne è un
esempio il tempio a forma assai oblunga, chiamato popolarmente SanjşsangendŇ (ਃච
ਃ㑆ၴ1221 lett. padiglione delle trentatré campate, 1164, 1266-presente) a KyŇto ੩ㇺ.
Nella penombra del suo interno sono disposte ordinatamente, per oltre cento metri,
179
mille e una statua del senju kannon (ජᚻⷰ㖸1222 lett. bodhisattva dalle mille mani). La
loro vista a colpo d’occhio è spettacolare.
Passiamo al mondo dei laici. I bushi ᱞ჻ abitavano una casa di stile detto
bukezukuri (ᱞኅㅧ1223 lett. stile architettonico dei guerrieri). Dall’Ippen shŇnin eden (䇺৻
ㆉੱ⛗વ䇻1224 lett. disegni biografici del reverendo Ippen, 1299) sul conto del noto
monaco amidista Ippen (৻ㆉ 1239-1289), fondatore della scuola Jishş ᤨቬ1225, risulta
che la casa dei bushi ᱞ჻ era costruita nel bel mezzo di risaie e campi coltivati ed era
circondata da fossato. Sopra il cencello erano disposti, pronto per l’uso, archi, frecce e
scudi. All’interno del recinto c’era una stalla ed era tenuto anche un falco per la caccia.
ޣARMATURAޤUna descrizione a parte spetta all’armatura. Il tipo detto Ňyoroi (ᄢ
㎸1226 lett. grande armatura) destinato all’uso per combattimenti a cavallo assunse
forme definitive. Assai ricco di decorazioni sfarzose, pesava mediamente ben trenta chili.
Le battaglie dette genpei gassen (Ḯᐔวᚢ1227 1180-1185 ψ§18) costituirono ‘momenti
d’oro’ per lo Ňyoroi ᄢ㎸. Tuttavia, sia per la scarsa praticità, che per il mutamento
dell’arte militare cadde man mano in disuso.
180
paesaggistica [40cm × 15m ca.], 1486). È ben nota anche una coppia di queste
altre opere: ShştŇ sansuizu (䇺⑺౻ጊ᳓࿑䇻1231 lett. paesaggi in autunno e in
inverno, ?).
Un altro esemplare frequentemente citato del suibokuga ᳓ა↹ è lo HyŇ-
nenzu (ⅺ㞜࿑1232 lett. disegno di zucca vuota e pesce gatto) di Josetsu (ᅤ᜕
1233 inizi del Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ). Nella parte superiore ci sono frasi
(san ⼝1234 o anche san ⾥) scritte da una trentina di monaci zen (zensŇ ௯
1235). Nell’area culturale cinese i dipinti sono accompagnati non di rado da
Ԛ < cerimonia del tè (sadŇ ⨥1236 letto anche chadŇ) > meglio nota agli
stranieri quale chanoyu ⨥ߩḡ1237.
La tradizione del sadŇ ⨥ risale al monaco zen, Eisai (ᩕ ψ§33) e tre
secoli dopo ad opera di Murata JukŇ (↰⃨శ1238 1422-1502) il ‘bere tè’ ebbe
la sua forma artistica con il nome di wabicha (ଌ⨥1239; wabi ଌ ψ§47). Nella
stanza detta chashitsu ⨥ቶ1240, di stile sukiyazukuri ᢙነደㅧ1241 estremamente
piccola e disadorna destinata a tale cerimonia, regnava (e regna) un profondo
silenzio. Lo wabicha ଌ⨥ fu poi trasmesso prima a Takeno JŇŇ (ᱞ㊁⚫㣁1242
1502-1555) che lo elaborò ulteriormente, quindi da JŇŇ ⚫㣁 a Sen no Rikyş
(ජભ1243 1522-1591 ψ§47) che gli diede la forma definitiva.
181
ԛ < arte di disporre fiori, composizione floreale (kadŇ ⪇1244 scritto a
volte anche ⧎) > conosciuta agli stranieri con il nome di ikebana ↢ߌ⧎1245,
termine entrato ormai anche nel lessico italiano.
L’origine del kadŇ ⪇ sta nell’antica abitudine di offrire fiori all’anima dei
defunti. Molti secoli dopo, nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ sorse ad opera di
IkenobŇ Senkei (ᳰဌኾᘮ1246 ?-?) la scuola IkenobŇ (IkenobŇryş kadŇ ᳰဌᵹ
⪇1247) che oggi raccoglie il numero magiore di seguaci.
Ԝ < karesansui teien (ᨗጊ᳓ᐸ1248 it. giardino di paesaggio asciutto) >,
ovvero giardini zenisti d’alto simbolismo nati nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ.
Rappresentano la natura solo con pietre, sabbia bianca e a volte anche con
arbusti, ma non vi è mai usata l’acqua. Nati sotto l’influenza del sansuiga (ጊ᳓
↹ pittura paesaggistica), l’effetto sulla visione mentale è identico a quello di
tale stile di pittura.
Uno degli esemplari più noti ed anche il più austero è quello comunemente
detto sekitei (⍹ᐸ1249 lett. giardino di pietre, 1499) presso il RyŇanji (㦖ኹ
1250 o anche ┥ኹ 1450-tuttora) di KyŇto ੩ㇺ. Si tratta di un giardino
182
㒮 nel TŇgudŇ ᧲᳞ၴ è noto con il nome di DŇjinsai หੱᢪ1255.
183
§38. Vita quotidiana e varie
VITA DEL- ޣVITA DEGLI BUSHI IN UN JņKAMACHI ޤIn una stretta valle
LA GENTE non molto lontana dall’Eiheiji (᳗ᐔኹ1265 1244-a tutt’oggi), celebre
complesso di templi zen (zendera ኹ1266) fondato da DŇgen (ర ψ§33), nella
provincia di Echizen (Echizen no kuni ೨࿖1267 ψcarta 12; oggi Fukui-ken ⋵
1268), c’era un centro abitato di nome IchijŇdani (৻ਸ਼⼱1269 1471-1573). Si tratta di un
184
(ryŇgoku 㗔࿖1277 o anche bunkoku ಽ࿖).
Nel 1536 a IchijŇdani ৻ਸ਼⼱ fu pubblicato da un medico un libro di medicina. Si
tratta di un testo altamente specialisico redatto sotto l’influenza della medicina cinese
dei Ming (Ming 1278 giapp. Min, 1368-1644), e inoltre laddove esisteva la casa di un
altro medico, è stata rinvenuta parte di una copia a mano di un testo in cinese di
farmacologia. Questi reperti ed altri indizi ci insegnano che anche a IchijŇdani ৻ਸ਼⼱,
malgrado si trattasse di una cittadina provinciale in montagna, erano condotti studi
d’alto livello in diversi campi e possiamo anche presumere che gli intellettuali, quali
sacerdoti, bushi ᱞ჻ di categorie superiori, medici ecc. fossero assetati di sempre
maggior sapere.
Si sa che la famiglia Asakura (Asakurashi ᦺୖ᳁) possedeva servizi da tè di grande
valore artisico, ma il piacere della cosiddetta cerimonia del tè (sadŇ ⨥1279 o anche
chanoyu ⨥ߩḡ1280) non era monopolio del padrone. Rusulta che tale cerimonia era
appassionatamente seguita anche dai suoi sudditi. Difatti, in quasi tutte le zone di
IchijŇdani ৻ਸ਼⼱ è stato portato alla luce un gran numero di utensili per il chanoyu ⨥
ߩḡ: tazze da tè, macinini in pietra, recipienti per tè polverizzato, vasi di porcellana per
tè ed altri oggetti ancora.
Le stanze erano ornate sia da incensieri che da fiori posti in vasi a volte dai disegni
originali. Si può immaginare che in tale ambiente di gusto fine ed anche artistico i bushi
ᱞ჻ si divertivano a giocare a shŇgi (ᫎ1281 scacchi giapponesi) nei momenti di pace.
Sembra proprio che la loro vita quotidiana fosse più pacata ed anche più squisita di
quanto non si creda.
185
che si danno spensieratamente a molteplici giochi.
Che i bambini solessero divertirsi a giocare molto è testimoniato anche da una nota
canzonetta del già citato RyŇjin hishŇ (䇺Ⴒ⒁ᛞ䇻1284 1170 ca.), raccolta di canzonette
popolari (chiamate specificamente imayŇ ᭽1285 lett. moda corrente, costume attuale)
in voga dalla metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨઍ) agli inizi del periodo
Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ). Si tratta di un imayŇ ᭽ che ci dà la
sensazione di udire le voci allegre di bambini del tutto presi dai giochi:
È vero che in emakimono ⛗Ꮞ‛1296 non mancano figure di ragazzini che eseguono
certi compiti a loro affidati come quello di accompagnare bushi ᱞ჻ o monaci; nelle
processioni di nobili, poi, sono sempre disegnati fanciulli, ma malgrado tutto sembra
lecito dire che rispetto ai bambini e ai fanciulli dei nostri giorni i warawa ┬ del
medioevo fossero associati più strettamente all’idea ludica.
1284 RyŇ/jin/ hi/shŇ 䇺 non reg./non reg.Ⴒ non reg./non reg.⒁ 865/807 ᛞ 1970/1153䇻
1285 ima/yŇ 146/51 ᭽ 472/403
1286 aso/bi ㆆ 728/1003 ߮
1287 u/ma/ru ↢ 29/44 ߹ࠆ (giapp. moderno: u/ma/re/ru ↢ 29/44 ߹ࠇࠆ)
1288 tawabu/re ᚨ 1632/1573 ࠇ (lettura alternativa: tawamu/re ᚨ 1632/1573 ࠇ)
1289 aso/bu ㆆ 728/1003 ߱
1290 ko/domo ሶ 56/103 ଏ 456/197
1291 koe ჿ 467/746
1292 ki/ku ⡞ 262/64 ߊ
1293 wa/ga ᚒ 1392/1302 ߇
1294 mi り 331/59
1295 yu/ru/gu േ 86/231 ࠆߋ (giapp. moderno: yu/ru/gu ំࠆߋ)
1296 e/maki/mono ⛗ 976/345 Ꮞ 636/507 ‛ 126/79
186
Gli anziani, d’altro canto, come trascorrevano le loro giornate? Dagli emakimono ⛗
Ꮞ‛ sono rilevabili solo alcuni compiti a loro congeniali: prendersi cura dei bambini,
lavori di filatura, sorveglianza dei campi coltivati ecc., e delle loro condizioni di vita non
trapela nessuna informazione. Era praticata loro la virtù kŇ (ቁ1297 cin. xiao, hsiao, it.
pietà filiale) confuciana?
1297 kŇ ቁ 1249/542
1298 shŇ/jin/ ryŇ/ri ♖ 672/659 ㅴ 125/437 ᢱ 212/319 ℂ 95/143
1299 hon/zen/ ryŇ/ri ᧄ 15/25 ⤝ non reg./non reg.ᢱ 212/319 ℂ 95/143
187
successivo diede origine al chakaiseki (⨥ᙬ⍹1300 o semplicemente anche kaiseki ᙬ⍹)
sotto l’influenza esercitata dallo shŇjin ryŇri ♖ㅴᢱℂ. Si può perciò certamente dire
che, così come molte altre forme artistiche oggi definite squisitamente giapponese
traggono origine nel Muronachi jidai ቶ↸ᤨઍ, anche la base della cucina giapponese
venne preparata appunto in questo periodo.
Abbiamo già detto che i giapponesi vennero a conoscere lo zucchero nel
NanbokuchŇ jidai ධർᦺᤨઍ. Difatti, a partire dal XIV secolo vennero effettuate
importazioni di notevole quantità di tale alimento, ma è chiaro che esso era ancora
prezioso. Per vederlo prodotto in Giappone si doveva attendere il periodo Edo (Edo
jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867 ψ§41).
188
del cotone come fibra tessile devono essere state una piccola, ma piacevole rivoluzione
nella vita di tutti i giorni. Difatti, per le sue proprietà positive già agli inizi dell’Edo jidai
ᳯᚭᤨઍ il cotone, al pari degli asa 㤗, era comunemente usato anche per gli indu-
menti dei contadini.
VIAGGI E PEL- Nel medioevo (chşsei ਛ), soprattutto nella seconda metà, un
LEGRINAGGI numero sempre maggiore di gente intraprendeva viaggi per varie
esigenze malgrado un alto rischio di restare vittime di briganti. I venditori ambulanti in
particolare percorrevano in lungo e in largo quasi tutto il territorio nazionale in seguito
al cospicuo sviluppo avvenuto in ogni campo dell’attività produttiva. C’erano poi
trasportatori di mestiere, bashaku (㚍୫1305 ψ§30), che viaggiavano per conto di terzi
con carichi a dorso di cavallo. Si vedevano inoltre artisti di strada andare in giro non di
rado con i loro animali addestrati. Non erano pochi infine quei pellegrini che si
recavano a templi buddhisti (tera ኹ) e santuari shintoisti (jinja ␠1306) siti in luoghi
anche lontani e di non facile accesso.
Riguardo a quanto sopra, degni di menzione sono i cosiddetti Kumano mŇde (ᾢ㊁
⹚ 1307 lett. pellegrinaggi a Kumano).
189
stazioni del Buddha Amida (Amida butsu 㒙ᒎ㒚 1309 ψ§23), del Buddha
Yakushi (Yakushi nyorai ⮎Ꮷᅤ᧪1310, sans. Bhai ajyaguru) e del Kannon bosatsu
(ⷰ㖸⪄⮋1311, sans. Avalokiteœvara).䎃
Successivamente, nella seconda metà del periodo Heian (Heian jidai ᐔᤨ
ઍ), con il diffondersi del buddhismo amidista (jŇdokyŇ ᵺᢎ) Kumano ᾢ㊁
venne paragonato alla Terra Pura a Ponente (SaihŇ gokuraku jŇdo ᣇᭂᭉᵺ
1312 ). Nella speranza di potersi assicurare la rinascita nel paradiso presieduto
Nel medioevo, specie dopo il JŇkyş no ran (ᛚਭߩੂ1316 1221), con il declino
politico della corte (chŇtei ᦺᑨ) si vedevano raramente imperatori in ritiro partire per
Kumano ᾢ㊁, mentre presso bushi ᱞ჻, monaci e soprattutto gente comune, i
Kumano mŇde ᾢ㊁⹚ andarono sempre più di moda, arrivando al punto massimo di
affluenza nella seconda metà del XVI secolo. In riferimento alle visite incessanti di
fedeli nel medioevo (chşsei ਛ) è stata tramandata fino ad oggi un’espressione come
questa: una lunga coda di formiche in pellegrinaggio ai santuari di Kumano (ari no
Kumano mŇde Ⳟߩᾢ㊁⹚1317).
Una della peculiarità che caratterizzavano i pellegrinaggi Kumano (Kumano mŇde
ᾢ㊁⹚) stava nel numero elevato di donne che vi partecipava, in quanto diversamente
dai celebri monasteri, quali l’Enryakuji ᑧᥲኹ 1318 , il KongŇbuji ㊄ፃኹ 1319 , il
TŇdaiji ᧲ᄢኹ1320 e da altri, che vietavano l’accesso alle donne (nyonin kinzei ᅚੱ
1321, lett. divieto alle donne), a Kumano ᾢ㊁ potevano recarsi liberamente anche
loro.
ٟAl 2004 si attiene al nyonin kinzei ᅚੱ solo il monte ņminesan (ᄢፄጊ
1322 ψcarta 7), uno dei maggiori centri di pratica del cosiddetto shugendŇ ୃ㛎
190
1323 nato dal sincretismo tra il mikkyŇ ኒᢎ e il culto tradizionale giapponese
delle montagne (sangaku shinkŇ ጊጪାઔ1324).
ISTRU- Si è già rilevato che agli inizi del Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ il buke ᱞኅ,
ZIONE militarmente brillante ma culturalmente barbaro, dovette genuflettersi
davanti al kuge ኅ e fare ogni sforzo per trapiantare la cultura aristocratica di KyŇto
੩ㇺ nella parte orientale (tŇgoku ᧲࿖1325 lett. province orientali) del Giappone.
Faceva parte di tali sforzi la creazione nella provincia di Musashi (Musashi no kuni
ᱞ⬿࿖1326 ψcarta 12) di una ricca biblioteca, chiamata Kanesawa bunko (㊄ᴛᢥᐶ1327
letto anche Kanazawa bunko: lett. biblioteca Kanesawa, verso la metà del Kamakura
jidai), dotata di oltre ventimila titoli fra sştra (kyŇten ⚻ౖ1328) e libri cinesi e giapponesi.
Lì furono impartite anche lezioni.
Nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ, poi, venne aperto nella provincia di Shimotsuke
(Shimotsuke no kuni ਅ㊁࿖1329 ψcarta 12) un istituto d’istruzione di nome Ashikaga
gakkŇ (⿷ቇᩞ1330 lett. scuola Ashikaga) per bushi ᱞ჻ e bonzi. Nel XVI secolo fu
chiamato dai gesuiti (ψ§40, §47) bantŇ no daigaku (ဈ᧲ߩᄢቇ1331 lett. università delle
province orientali: bantŇ ဈ᧲ sinonimo di tŇgoku ᧲࿖ lett. province orientali). Difatti,
insieme con il Kanesawa bunko ㊄ᴛᢥᐶ, costituiva uno dei maggiori centri di studi
d’alto livello nel Giappone medioevale.
Da ultimo, fu ugualmente nel Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ che i figli dei bushi ᱞ჻
e dei mercanti iniziarono ad imparare a leggere e a scrivere nei templi buddhisti (tera
ኹ).
191
Un giorno ņta DŇkan (ᄥ↰ἠ1332 1432-1486), fondatore di una modesta
città castello (jŇkamachi ၔਅ↸1333) destinato a diventare l’odierna città di TŇkyŇ
᧲੩, fu sorpreso da un acquazzone durante una caccia, ma ebbe la fortuna di
trovare nei pressi una casupola. Alla contadinella venuta al suo appello chiese in
prestito qualcosa per ripararsi dalla pioggia. Ella tuttavia gli porse in silenzio un
ramo munito di fiori dello yamabuki ( ጊ็ 1334 arbusto delle rosacee diffuso
nell’Asia orientale. In primavera porta fiori di colore giallo, raccolti a capolino, che
non danno frutti). Sul momento DŇkan ἠ non riuscì a capire il significato del
gesto e solo più tardì venne a sapere che in quel momento la ragazza aveva in
mente il seguente waka antico:
L’espressione ‘mi no hitotsu dani naki zo’ (non c’è un solo frutto) può essere
interpretata anche nel senso di ‘mino䋨⬉1338䋩 hitotsu dani naki zo’ (non c’è un solo
impermeabile di paglia di riso). La contadinella, cioè, servendosi addirittura della
tecnica retorica kakekotoba (ដ⹖1339 ψ§34), volle rispondergli in questo senso:
‘Gli yamabuki fioriscono con infiorescenza a capolino senza dare un solo frutto, e
noi non abbiamo un solo impermeabile di paglia. Mi dispiace di non poter
soddisfare la Sua richiesta.’
Secondo l’episodio, DŇkan ἠ, vergognatosi profondamente della propria
ignoranza, si sarebbe messo d’impegno a coltivare l’arte di comporre waka .
Se è vero che i bushi ᱞ჻, inizialmente quasi tutti illetterati, fecero ogni
sforzo per la propria preparazione culturale, è altrettanto vero che tra la gente
comune c’erano non pochi contadini che sapevano leggere e scrivere.
192
CAPITOLO V
L’arco di 300 anni successivo al medioevo (chşsei ਛ1340) si chiama kinsei (ㄭ
1341 lett. epoca vicina; trad. ingl. ‘early modern age’).
K I N S E I ㄭ
1573 1603
1568 1600 1651 1716 1843 1867
p. A-M
p e r i o d o E D O o anche p e r i o d o T O K U G A W A
ᳯ ᚭ ᤨ ઍ / ᓼ Ꮉ ᤨ ઍ
᩶ጊᤨઍ
Consolidamento Stabilità del Crisi dello Stato bakuhan Crollo
Ristabilimen- del sistema ba- sistema baku- • riforma KyŇhŇ (1716-1745) dello
to dell’ordine • riforma Kansei (1787-1793) Stato
kuha ᐀⮲ han ᐀⮲ • riforma TenpŇ (1841-1943) bakuhan
cultura
c u l t u r a GENROKU c u l t u r a KASE I
MOMOYAMA
ర ᢥ ൻ ൻ ᢥ ൻ
᩶ጊᢥൻ
193
del feudalesimo (hŇken seido ኽᑪᐲ1342), malgrado la presenza di molti fenomeni ed
elementi difficilmente interpretabili del periodo feudale (hŇken jidai ኽᑪᤨઍ1343) nel
senso occidentale dell’espressione.
Si suole dividere il kinsei ㄭ in più fasi come appare dal prospetto. Di seguito ne
vedremo una per una.
ٟ La seguente poesia faceta (zareuta ᚨ1349) tramandata fino ad oggi dice che
Ieyasu ኅᐽ riuscì a diventare padrone del Giappone senza fatica, entrando
abilmente in possesso dei frutti degli sforzi dei suoi predecessori: Nobunaga ା㐳
e Hideyoshi ⑲ศ.
194
❱↰߇ߟ߈⠀ᩊ*߇ߎߨߒᄤਅ1350㘿**ߔࠊࠅߒ߹߹ߦ㘩1351߁ߪᓼ
Ꮉ
Oda ga tsuki / Hashiba* ga koneshi / tenka mochi** / suwarishi mamani / kş wa Toku-
gawa.
[Il mochi** detto territorio nazionale, pestato da Oda e impastato da Hashiba*,
lo mangia Tokugawa comodamente seduto]
ODA NO- Nobunaga ା㐳, in origine un modesto sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ nella
BUNAGA provincia di Owari (Owari no kuni የᒛ࿖ ψcarta 12), intraprese
l’impresa di unificazione nazionale verso il 1560, eliminando nel 1573 anche il
Muromachi bakufu ቶ↸᐀ᐭ che esisteva ormai solo nominalmente. Tuttavia, ancora
prima di aver potuto ristabilire l’ordine su tutto il territorio nazionale fu tradito da un
proprio suddito, Akechi Mitsuhide (ᥓశ⑲1356 1526-1582) e si vide costretto a
suicidarsi al tempio HonnŇji ᧄ⢻ኹ1357 a KyŇto ੩ㇺ, avenimento detto HonnŇji no
195
hen (ᧄ⢻ኹߩᄌ1358 Incidente all’HonnŇji, 1582).
Era stato Nobunaga ା㐳 a sopprimere definitivamente il potere dei templi
buddhisti che ostacolavano l’opera di unificazione politica: per esempio, distruzione
dell’Enryakuji mediante fuoco e massacro di oltre 1,600 bonzi (Enryakuji yakiuchi ᑧᥲ
ኹᛂߜ1359 1571), una lunga serie di battaglie (1570-1580) con l’Ishiyama Honganji
(⍹ጊᧄ㗿ኹ1360 1496-1580), tempio che con sede ad ņsaka (ᄢဈ; dall’era Meiji ᄢ
㒋) costituiva allora il quartiere generale degli ikkŇ ikki (৻ะ৻ឨ1361 ψ§29).
Tra tutte le azioni ed imprese anche megalomani (p.es. i falliti tentativi di conquista
della Corea e della Cina, 1592-1596 e 1597-1598) di Hideyoshi ⑲ศ, rivestono una
importanza particolare i seguenti due provvedimenti, in quanto i loro esiti, ereditati da
196
Ieyasu ኅᐽ, fecero parte della base della società feudale dei Tokugawa (Tokugawa
hŇkenshakai ᓼᎹኽᑪ␠ળ1367).
Ԙ < Sistemazione catastale dei terreni > Al fine di assicurarsi uno stretto
controllo a livello nazionale dei terreni e dei contadini, a partire dal 1582
effettuò una verifica fondiaria (kenchi ᬌ1368), chiamata in particolare TaikŇ
kenchi ᄥ㑒ᬌ1369, consistente nel misurare ogni appezzamento di terreno,
determinare la sua area, valutarne la capacità produttiva espressa in koku (⍹1370;
un koku = 180 litri ca. [150kg ca.]) di riso ed iscrivere il relativo coltivatore nel
registro catastale, detto kenchichŇ ᬌᏭ1371.
La conseguenza logica fu che da questo momento per contadini s’intesero
coloro iscritti nel registro, e sempre in base al registro essi vennero sottoposti ad
una imposta nengu ᐕ ⽸ 1372 ed obbligati a risiedere inchiodati su di un
determinato terreno.
Inoltre, il TaikŇ kenchi ᄥ㑒ᬌ fece piazza pulita degli ultimi, sia pure
pochissimi, avanzi di shŇen ⨿1373; dopo questa operazione non rimase più
niente del regime dell’età antica (kodai ฎઍ1374).
ԙ < Disarmo dei civili > L’altro provvedimento fu costituito dal privare delle
armi tutti coloro che non si identificavano in uno status samuraico, operazione
chiamata katanagari (ಷ⁚1375 lett. caccia alle spade, 1588). Ai contadini fu così
tolta la possibilità di insurrezioni armate (doikki o anche tsuchi ikki ৻ឨ1376
ψ§29).
197
fra bushi ᱞ჻ ed agricoltori (nŇmin ㄘ᳃1377); si tratta della separazione chiamata heinŇ
bunri (ㄘಽ㔌1378 lett. separazione di bushi e agricoltori; hei 㧩 bushi ᱞ჻㧧 nŇ
ㄘ φnŇ/min ㄘ᳃).
Inoltre, non soltanto i bushi ᱞ჻, ma anche artigiani e commercianti vennero
radunati, non di rado forzatamente, in zone urbanizzate, specie in jŇkamachi (ၔਅ↸1379
lett. città ai piedi di un castello ψ§30). Venne loro proibito di cambiare mestiere. Fu
così che i contadini vennero separati anche dai cosiddetti chŇnin (↸ੱ1380 l’insieme di
artigiani e commercianti che conducevano una vita comunitaria in città ψ§41).
Fu preparata in questo modo la via a quel sistema di classi stratificate (ovvero bushi
ᱞ჻ - contadini [nŇmin ㄘ᳃] - chŇnin ↸ੱ) che caratterizzò l’ordinamento feudale
dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenseido ᓼᎹኽᑪᐲ1381).
ޣޣPOLITICA ECONOMICA DI NOBUNAGA E HIDEYOSHI ޤGli za (ᐳ1382
ψ§30) monopolistici vennero sciolti dai sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ affinché venissero
liberalizzate ed incoraggiate le attività dei commercianti e degli artigiani, politica detta
rakuichi-rakuza ᭉᏒᭉᐳ1383. A questo riguardo è particolarmente nota la politica
varata da Nobunaga ା㐳 nel 1577 ad Azuchi , suo jŇkamachi ၔਅ↸.
Sotto Hideyoshi ⑲ ศ , inoltre, si procedette nel 1588 ad una ripresa della
coniazione di monete dopo una lunga interruzione di tale attività (ψ§7, §30). Come si
vedrà più avanti, fra i fattori che determinarono il crollo del regime feudale (hŇken seido
ኽᑪᐲ) ci fu un fiorente commercio accompagnato da un’economia monetaria
sviluppata. Ne furono gettati i primi semi già in questo periodo.
198
ed esploratori europei, il XVI secolo vide portoghesi e spagnoli espandersi oltremare. I
due popoli, in particolare i portoghesi, conducevano allora intense attività commerciali
in Asia, servendosi come base dei loro possedimenti in India (Goa, portoghesi), sulla
penisola di Malacca (Malacca, portoghesi), in Cina (Macao ψcarta 11, portoghesi) e
nelle Filippine (Manila, spagnoli). La loro venuta in Giappone era in ogni caso scontata.
Nel 1543, nel bel mezzo del caos del periodo Sengoku (Sengoku jidai ᚢ࿖ᤨઍ
1385) approdò accidentalmente all’isola di nome Tanegashima (⒳ሶፉ1386 ψcarta 3), a
sud del Kyşshş Ꮊ1387, una nave mercantile straniera che era diretta in Cina. A bordo
c’era un certo numero di portoghesi. I giapponesi ebbero, così, il primo contatto diretto
con gli europei e vennero a conoscere con l’occasione il fucile (per l’esattezza hinawajş
Ἣ✽㌂1388 archibugio a miccia), avvenimento chiamato teppŇ denrai (㋕⎔વ᧪1389 lett.
avvento del fucile).
199
kai ࠗࠛ࠭ࠬળ1393 detto anche Yasokai ⡍⯃ળ1394). I giapponesi d’allora usavano il
termine kirishitan (ࠠࠪ࠲ࡦ dal portogh. christão) per riferirsi sia alla religione
cattolica che ai cattolici. I missionari vennero chiamati bateren (ࡃ࠹ࡦ, ᄤㅪ1395
dal portogh. padre).
ޣNANBAN ޤNel 1584 giunsero anche i primi mercanti spagnoli. I portoghesi e gli
spagnoli, fra i quali gli italiani sia pure poco numerosi, furono chiamati nanbanjin (ධⱄ
ੱ1396 barbari del sud) sull’esempio dei cinesi che li chiamavano appunto barbari del
sud, sia perché i cinesi avevano (e anche adesso hanno) una forte visione sino-centrica
(chşka shisŇ ਛ⪇ᕁᗐ1397 ψ§8), sia perché questi europei venivano via mare appunto
dal sud.
ٟ In passato i cinesi chiamavano barbari tutti i popoli che abitavano intorno alla
Cina. Gli abitanti (p.es. vietnamiti) della penisola oggi detta indocinese erano
chiamati nanban (ධⱄ barbari del sud), in quanto vivevano a sud della Cina. Per
analogia, popoli quali tibetani e turchi seijş (ᚐ1398 barbari dell’ovest), i popoli
delle steppe hokuteki (ർ⁇1399 barbari del nord) e infine coreani e giapponesi tŇi
(᧲ᄱ1400 barbari dell’est).
Si rileva con l’occasione che in generale qualsiasi cosa che avesse a che fare con i
nanbanjin ධⱄੱ prese nei relativi vocaboli l’espressione nanban ධⱄ: nanbanji ධⱄ
ኹ1401 tempio dei barbari del sud, ossia chiesa cattolica; nanbansen ධⱄ⦁ nave dei
barbari del sud; nanban fşzoku ධⱄ㘑ଶ usi e costumi dei barbari del sud; nanban bŇeki
ධⱄ⾏ᤃ commercio con i barbari del sud, e via dicendo.
ޣSCAMBI COMMERCIALIޤIl commercio con gli europei venne condotto
principalmente nei porti di Hirado (ᐔᚭ1402 ψcarta 3), Nagasaki (㐳ፒ1403 ψcarta 3)
200
e Funai (ᐭౝ1404 oggi ņita ᄢಽ1405 ψcarta 3), tutti localizzati nel Kyşshş Ꮊ,
sotto la protezione dei daimyŇ ᄢฬ delle rispettive zone.
C’erano, d’altra parte, delle navi mercantili giapponesi che si spingevano fino nella
penisola indocinese, in Indonesia e in India (ψ§42).
ޣRELIGIONE CATTOLICAޤCon l’evangelizzazione impegnativa di molti mis-
sionari venuti poco più di due anni dopo Francesco Saverio ࡈࡦࠪࠬࠦ = ࠩࡆ
ࠛ࡞, la chiesa cattolica annoverò numerosi fedeli, specie nel Kyşshş Ꮊ: a livello
nazionale, 100 mila nel 1579, 150 mila nel 1582 e 200 mila nel 1587. Per la preparazione
di sacerdoti e per dare istruzione a ragazzi giapponesi furono fondati rispettivamente
korejio (ࠦࠫࠝ dal portogh. collegio) e seminariyo (ࡒ࠽࡛ dal portogh. semi-
nario).
Sia nel Kyşshş Ꮊ che nel Kinki ㄭ⇰1406 abbracciò la fede cristiana anche una
ventina di daimyŇ (kirishitan daimyŇ ࠠࠪ࠲ࡦᄢฬ1407) fra cui ņmura Sumitada (ᄢ
⚐ᔘ1408 1533-1587), ņtomo SŇrin (ᄢቬ㤅1409 1530-1587), Arima Harunobu (
㚍᥍ା1410 1567-1612) e Takayama Ukon (㜞ጊฝㄭ1411 ?-1615).
ޣPOLITICA DI NOBUNAGA E HIDEYOSHI NEI CONFRONTI DEL
CATTOLICESIMOޤNobunaga ା㐳 protesse la religione cattolica per tenere sotto
controllo i templi buddhisti e si dimostrò favorevole agli scambi commerciali con i
nanbanjin ධⱄੱ, mentre Hideyoshi ⑲ศ, che agli inizi dava il suo tacito avallo
all’evangelizzazione, nel 1587 mise al bando il cattolicesimo (kinkyŇrei ᢎ1412 lett.
ordinanza di divieto del cristianesimo; ordinanza detta specificamente bateren tsuihŇrei
ࡃ࠹ࡦㅊ lett. ordine di espulsione dei bateren) in ultima analisi per timore che
la solidarietà dei convertiti costituisse un ostacolo alla sua politica interna.
Il bando, però, non produsse che scarsi effetti, in quanto era egli stesso a promuo-
vere attivamente gli scambi commerciali ai quali l’attività dei missionari era strettamente
legata. Sta di fatto, comunque, che il cambiamento del suo atteggiamento verso il
cristianesimo segnò l’inizio della politica anti-cattolica giapponese. Nel 1597 si ebbero i
201
primi 26 martiri (Nijşroku seijin junkyŇ ੑච⡛ੱᱵᢎ1413 lett. martirio dei 26 santi;
tutti santificati nel 1862).
Morto Hideyoshi ⑲ศ nel 1598, sorse un contrasto fra Tokugawa Ieyasu (ᓼᎹኅ
ᐽ1414 1542-1616) e Ishida Mitsunari (⍹↰ਃᚑ1415 1560-1600), entrambi ex-potenti
sudditi di Hideyoshi ⑲ศ.
Il disaccordo sfociò nel 1600 nella cosiddetta battaglia di Sekigahara (Sekigahara no
tatakai 㑐ࡩේߩᚢ1416; Sekigahara 㑐ࡩේ ψcarta 9), la quale fu l’ultimo degli
innumerevoli scontri ‘eliminatori’ occorsi sin dal periodo Sengoku (Sengoku jidai ᚢ࿖
ᤨઍ). Fu Ieyasu ኅᐽ a uscirne vittorioso. Nel 1603, nominato shŇgun ァ1417, aprì il
suo bakufu ᐀ᐭ1418 a Edo (ᳯᚭ oggi TŇkyŇ ᧲੩ ψcarta 10).
SHņGUNATO DEI TOKUGAWA, I 265 anni da allora (1603) oppure dalla bat-
HAN E SISTEMA BAKUHAN taglia di Sekigahara (Sekigahara no tatakai 㑐
ࡩේߩᚢ, 1600) fino alla restaurazione del governo imperiale (Ňsei fukko ₺ᓳฎ
1419 1867 ψ§45) costituiscono il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ1420 detto anche
1413 Ni/jş/roku/ sei/jin/ jun/kyŇ ੑ 6/3 ච 5/12 20/8 ⡛ 1306/674 ੱ 9/1 ᱵ 1885/1799 ᢎ 97/245
1414 Toku/gawa/ Ie/yasu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ኅ 81/165 ᐽ 783/894
1415 Ishi/da/ Mitsu/nari ⍹ 276/78 ↰ 24/35 ਃ 10/4 ᚑ 115/261
1416 Seki/ga/hara/ no/ tataka/i 㑐 104/398 ࡩේ 132/136 ߩᚢ 88/301
1417 shŇ/gun 561/627 ァ 193/438
1418 baku/fu ᐀ 836/1432 ᐭ 156/504
1419 Ň/sei/ fuk/ko ₺ 499/294 50/483 ᓳ 585/917 ฎ 373/172
1420 E/do/ ji/dai ᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1421 Toku/gawa/ ji/dai ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᤨ 19/42 ઍ 68/256
1422 Toku/gawa/ baku/fu ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᐀ 836/1432 ᐭ 156/504
1423 Toku/gawa/ Hide/tada ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ⑲ 859/1683 ᔘ 1040/1348
202
1651) le sue istituzioni politiche, chiamate dagli storici giapponesi sistema bakuhan
(bakuhan taisei ᐀⮲1425; bakuhan ᐀⮲ φ baku/fu ᐀ᐭ 㧗 han ⮲).
203
ޣORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA BAKUHAN ޤLa seguente rappre-
sentazione grafica dimostra schematicamente l’organizzazione del sistema bakuhan
(bakuhan taisei ᐀⮲):
Ļ Ȼ Ȼ
istituti JIKISAN ⋥ෳ1433 DAIMYņ ᄢฬ
religiosi (vassalli dello shŇgun con meno di 10 mila koku ⍹1434 di (vassalli dello shŇgun con
riso. Ce n’erano due categorie: hatamoto e gokenin) oltre 10 mila koku di
ኹ␠1432 riso)
HATAMOTO ᣛᧄ1435 GOKENIN * ᓮኅੱ1436
(jikisan autorizzati a (jikisan non autorizzati a Ȼ
presentarsi davanti allo presentarsi davanti allo vassalli di daimyŇ
shŇgun) shŇgun)
Ļ Ȼ
Vassalli valvassori
Ļ Ļ
Contadini contadini
artigiani artigiani
commercianti commercianti
204
Il sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲) aveva due centri di governo, uno
centrale e gli altri locali. Quello centrale era il bakufu ᐀ᐭ con al vertice lo shŇgun
ァ e gli altri locali erano i cosiddetti han (⮲ 1437 [grosso modo] domini feudali)
governati dai daimyŇ ᄢฬ.
Lo han ⮲ era il feudo (chigyŇchi ⍮ⴕ1438) di un daimyŇ ᄢฬ su cui gli era
riconosciuto dallo shŇgun ァ l’esercizio (chigyŇ ⍮ⴕ) dei poteri tributario, esecutivo e
giudiziario, e retto dal proprio ordinamento amministrativo. A prescindere dalla pre-
senza dello shogunato dei Tokugawa (Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ), lo han ⮲ di un
daimyŇ ᄢฬ era proprio come se fosse il dominio (ryŇgoku 㗔࿖1439 ψ§29) di un
sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ. In altre parole, salvo certi doveri e prestazioni gli han ⮲,
notevolmente autonomi, non dovevano, ad esempio, alcun tributo periodico al bakufu
᐀ᐭ, né il bakufu ᐀ᐭ nessun aiuto finanziario agli han ⮲. Inoltre, a parte le
restrizioni imposte dallo shŇgun ァ, un daimyŇ ᄢฬ era libero di governare il suo han
⮲ come meglio credeva.
Il sistema bakuhan ᐀⮲ (bakuhan taisei ᐀⮲) accomunava in sé, quindi, due
aspetti: quello centralizzato e quello decentralizzato.
Nell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ per daimyŇ ᄢฬ s’intendevano i bushi ᱞ჻ a cui veniva
concesso dallo shŇgun ァ un feudo (chigyŇchi ⍮ⴕ) con oltre 10 mila koku ⍹ di
riso. Ce n’erano agli inizi circa 200 e nella seconda metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ circa
270.
205
ORGANIGRAMMA SCHEMATICO DEL TOKUGAWA BAKUFU ᓼᎹ᐀ᐭ
SHņGUN ァ
TAIRņ ᄢ⠧1440
(organo non permanente, 1 posto)
daikan gundai
ઍቭ1452 ઍ1453
tenryŇ tenryŇ
piccolo grande
206
MECCANISMI 䇼NEI CONFRONTI DEI BUSHI ޤA seconda dei rapporti
DI CONTROLLO di « intimità – estraneità » con la famiglia Tokugawa (Tokugawa-
shi, Tokugawauji ᓼᎹ᳁) i daimyŇ ᄢฬ vennero classificati in tre categorie:
207
dell’insediamento di un nuovo shŇgun ァ ne venne data lettura davanti a tutti i daimyŇ
ᄢฬ convocoti.
< Residenze alternate nel servizio > Fra tutti i provvedimenti di controllo nei
confronti dei daimyŇ ᄢฬ il più geniale fu l’istituzione detta sankin kŇtai (ෳൕઍ1464
1635-1864) consistente nel far risiedere ad anni alterni a Edo ᳯᚭ e al proprio han ⮲,
ideata al preciso scopo di far sostenere enormi spese sia per i soggiorni a Edo ᳯᚭ
che per questi viaggi periodici accompagnati da centinaia di sudditi. La moglie e i figli
dovevano invece rimanere sempre a Edo ᳯᚭ come ostaggi.
ޣNEI CONFRONTI DEGLI AGRICOLTORIޤAnche di coltivatori, ce n’erano
diverse categorie di cui i principali erano honbyakushŇ (ᧄ⊖ᆓ1465 lett. contadini veri e
propri; [approssimativamente] coltivatori diretti), ossia contadini iscritti nel registro
catastale (ψ§40), e mizunomi byakushŇ (᳓๘⊖ᆓ1466 lett. contadini che bevono acqua),
ossia fittavoli e simili.
< Pilastro delle entrate dello stato > Oltre all’imposta principale detta honto
mononari ( ᧄ ㅜ ‛ ᚑ 1467 lett. frutti della terra censita), da pagare in riso, che
rappresentava per lo più il 40% (shikŇ rokumin ྾᳃1468 imposta 40%, percentuale
spettante al contadino 60%) e a volte anche il 50% (gokŇ gomin ᳃1469 imposta
50%, quota che spetta al contadino 50%) sul raccolto, i coltivatori erano sottoposti a
più tributi di diverso titolo, detti complessivamente nengu (ᐕ⽸1470 ψ§17).
L’atteggiamento dei bushi ᱞ჻ in materia di riscossione del nengu ᐕ⽸ era
questo: « Quanto più si strizzano i contadini e gli stracci bagnati, tanto più ne esce ».
« Bisogna fare sì che i contadini non muoiano, ma non possano neppur campare ». Per
assicurarsi la regolare esazione tributaria il bakufu ᐀ᐭ prese diversi provvedimenti fra
cui il cosiddetto divieto eterno di compravendita dei terreni agricoli (Denpata [o anche
Tahata] eitai baibai kinshirei ↰⇌᳗ઍᄁ⾈ᱛ 1471 1643-1872) e l’accollamento
obbligatorio di un eventuale mancato pagamento di taluno, da parte degli altri membri
208
del suo gruppo di appartenenza, detto goningumi (ੱ⚵1472 lett. gruppo di cinque
persone), ossia gruppo di cinque o sei famiglie corresponsabilizzate nella vita sociale).
La vita quotidiana dei contadini era regolata fin nei minimi particolari affinché non
diminuissero le entrate tributarie. Le istruzioni note con il nome di Keian no o-furegaki
(ᘮᓮ⸅ᦠ1473 lett. direttive di Keian, 1649; Keian ᘮ: nengŇ ᐕภ) parlano, ad
esempio, in questi sensi:
209
immobili (jinushi ਥ1478 proprietari di terreni; iemochi ኅᜬ1479 proprietari di case).
Gli affittuari (jigari ୫ 1480 affittuari di un terreno; tanagari ᐫ୫ 1481 detti anche
tanako ᐫሶ1482 affittuari di una casa, inquilino), in uno stato di seminterdizione, non
erano chŇnin ↸ੱ a pieno titolo, quindi non potevano partecipare all’organo di
autogoverno del chŇ ↸ di appartenenza, né avavano autonomia giuridica.
I chŇnin ↸ੱ veri e propri e gli affittuari di immobili delle città corrispondevano
rispettivamente agli honbyakushŇ ᧄ⊖ᆓ e ai mizunomi byakushŇ ᳓๘⊖ᆓ dei villaggi
agricoli.
Anche i chŇnin ↸ੱ dovevano versare le tasse (dette unjŇ [ㆇ1483 lett. consegna
delle cose trasportate ai superiori] e myŇgakin [ട㊄1484 lett. denaro di riconoscenza
per la protezione]), ma tali imposte erano, agli occhi del bakufu ᐀ᐭ, di importanza
secondaria, quindi non erano così gravose come i nengu ᐕ⽸ imposti ai contadini. Si
può dire che pure essendo anch’essi sotto il torchio delle restrizioni, beneficiavano di
una relativa libertà. Queste condizioni permisero loro di acquisire una forza economica
a volte perfino superiore a quella dei daimyŇ ᄢฬ, e riuscirono ben presto a farsi
promotori di cultura.
ޣNEI CONFRONTI DELLA CORTE E DEGLI ISTITUTI RELIGIOSIޤ
Formalmente il bakufu ᐀ᐭ dimostrava rispetto per la famiglia imperiale e il kuge
ኅ. Sul piano effettivo, invece, controllava rigorosamente ogni loro mossa mediante il
KyŇto shoshidai (੩ㇺᚲมઍ1485 ψ§41 [organigramma: Struttura dello shogunato dei
Tokugawa]).
Nei confronti sia della corte (chŇtei ᦺᑨ1486) che degli istituti religiosi il bakufu ᐀
ᐭ aveva imposto sue norme di divieto: Kinchş narabini kuge shohatto (ਛਗኅ⻉ᴺ
ᐲ1487 lett. norme di divieto nei confronti della famiglia imperiale e del kuge, 1615) e
210
Shoshş jiin hatto (⻉ቬኹ㒮ᴺᐲ1488 lett. norme di divieto nei confronti dei templi
buddhisti di tutte le sette, 1601). Il chŇtei ᦺᑨ era ormai un’istituzione solo formale.
1488 Sho/shş/ ji/in/ hat/to ⻉ 602/861 ቬ 1023/616 ኹ 687/41 㒮 236/614 ᴺ 145/123 ᐲ 83/377
1489 Toku/gawa/ shi/hai/tai/sei ᓼ 839/1038 Ꮉ 111/33 ᡰ 302/318 ㈩ 304/515 110/61 196/427
1490 ken/chi ᬌ 351/531 40/118
1491 katana/gari ಷ 1494/37 ⁚ 1650/1581
1492 mi/bun り 331/59 ಽ 35/38
1493 shi ჻ 301/572
1494 nŇ ㄘ 362/369
1495 kŇ Ꮏ 169/139
1496 shŇ 353/412
1497 shi/min ྾ 18/6 ᳃ 70/177
211
Il sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀ ⮲ 1498 ) era fondamentalmente un
meccanismo per lo sfruttamento dei contadini da parte dei bushi ᱞ჻. La classe dei
chŇnin ↸ੱ era considerata qualcosa di accessorio. Era naturale, quindi, che i contadini
fossero collocati idealmente al secondo posto per il ruolo loro assegnato, ma sul piano
effettivo essi venivano dopo i chŇnin ↸ੱ, sia perché dovevano sostenere praticamente
tutti gli oneri della società che per le gravose restrizioni loro imposte.
Per stornare il malcontento dei chŇnin ↸ੱ, il Tokugawashi ᓼᎹ᳁ istituzio-
nalizzò, al di sotto degli shimin ྾᳃, due gruppi di paria: eta (ⓚᄙ1499 [kanji utilizzati
foneticamente per scrivere eta, mattatore ] lett. molta impurità) e hinin (㕖ੱ1500 lett.
non persona), soggetti a restrizioni particolarmente dure sia come mestieri a cui
potevano accedere (conciatura, esecuzione della pena capitale, elemosinare ecc.), sia
come zone di abitazione in cui venivano isolati (burakumin ㇱ⪭᳃1501 lett. gente dei
‘ghetti’ ψ§58).
Il kuge ኅ e i sacerdoti costituivano entrambi una classe a sé.
I bushi ᱞ჻ che si erano collocati al massimo vertice gerarchico godevano di
diversi privilegi, come quello di portare la spada o di praticare il kirisute gomen (ಾᝥᓮ
1502 lett. Mi permetto di ucciderti con un colpo di spada.) che li autorizzava ad
uccidere chŇnin ↸ੱ e contadini sul posto, qualora ne avessero ricevuto offesa.
Contrarre matrimonio e allacciare rapporti di amicizia tra gente di categorie diverse
venivano poi ad essere resi estremamente difficili.
< Principio di organizzazione sociale > Il rapporto fra una categoria e un’altra
era regolato secondo il principio di ‘superiore > inferiore / nobile > umile’ (jŇge sonpi
ਅዅඬ1503). Inoltre una stessa categoria fu suddivisa ulteriormente in più strati, ed il
principio di gerarchia regolava anche il rapporto fra individuo e individuo di una stessa
categoria.
212
x uomo > donna,
x shŇgun ァ > daimyŇ ᄢฬhatamoto ᣛᧄgokenin ᓮኅੱ > bushi ᱞ჻ di
medio rango > bushi ᱞ჻ di categorie inferiori,
x honbyakushŇ ᧄ⊖ᆓ > mizunomi byakushŇ ᳓๘⊖ᆓ,
x chŇnin ↸ੱ a pieno titolo (jinushi ਥiemochi ኅᜬ) > jigari ୫tanagari ᐫ
୫,
x datore di lavoro (shujin ਥੱ1504) > impiegati (hŇkŇnin ᄺੱ1505). Quest’ultima
classe impiegatizia aveva al suo interno tre sottoclassi: bantŇ (⇟㗡1506 manager) >
tedai (ᚻઍ1507 dipendenti ordinari) > detchi (ৼ⒩1508 garzone-apprendista).
Così pure anche nella famiglia ormai organizzata in modo patriarcale:
x marito > moglie,
x genitori > figli,
x primogenito > secondogenito > ̖ > primogenita > secondogenita ̖.
In una parola, la società del periodo Tokugawa (Tokugawa jidai ᓼᎹᤨઍ) era
strutturata in modo da assumere, mediante concatenazione di innumerevoli rapporti di
‘alto – basso’ (jŇge ਅ), l’aspetto di una gigantesca piramide con al vertice lo shŇgun
ァ. Lì ad ogni individuo era assegnato un posto preciso, a scarsa mobilità.
Se i Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁), ereditando da Hideyoshi ⑲ศ la sua
politica di separazione heinŇ bunri (ㄘಽ㔌1509 ψ§40), creò e stabilizzò il sistema di
classi così minutamente stratificate, è perché avevano bisogno di tenere la società scissa
appunto in mille categorie per impedire che gli assoggettati, compresi i bushi ᱞ჻
subalterni, si sollevassero solidalmente.
Per giustificare e mantenere tale ordinamento socio-politico il Tokugawa bakufu ᓼ
Ꮉ᐀ᐭ adottò la dottrina confuciana o, meglio, neo-confuciana (ψ§53).
ޣISTITUZIONI FAMILIARIޤLo status della donna che era stato svilito sin dal
periodo Kamakura (Kamakura jidai ㎨ୖᤨઍ), toccò il fondo con l’istituzione del
regime dei Tokugawa (Tokugawa shihaitaisei ᓼᎹᡰ㈩1510).
213
Sotto l’istituzione matrimoniale yomeirikon (ᇾᇕ1511 ψ§27) ormai generalizzata e
a seconda dell’insegnamento confuciano, la giovane sposa, invece di essere la moglie del
marito, era in realtà la sposa della famiglia del marito, era costretta a servire
incondizionatamente il suocero e la suocera con cui coabitava e che rappresentavano la
casa del marito, ed infine era utilizzata come strumento di procreazione per non far
estinguere la famiglia, unità base della piramide dei Tokugawa. Pur di assicurare a tutti i
costi la continuazione del lignaggio familiare, veniva incoraggiata la poliginia, mentre
l’adulterio della moglie, invece, era punito con la pena capitale.
Il diritto di divorzio spettava solo al marito. Bastava che il marito desse alla moglie
un foglio (chiamato mikudarihan ਃⴕඨ lett. tre righe e mezzo) recante scritta
appunto in tre righe e mezzo la sua volontà di divorziare espressa sostanzialmente con
queste parole: ‘Divorzio da te. Sei libera di risposarti.’ Tutto qui.
D’altra parte, le mogli che non ne potevano più non avevano altra scelta che
condurre, per ottenere il divorzio, tre anni di vita monacale presso uno di un paio di
determinati templi buddhisti chiamati popolarmente enkiridera (✼ಾኹ1512 lett. tempio
che taglia il vincolo, detto anche kakekomidera 㚟ㄟኹ1513 lett. tempio in cui rifugiarsi).
Quanto alla successione ereditaria, specie nella classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻
㓏⚖1518), era il primogenito ad essere il solo a subentrare al padre (tandoku sŇzoku න⁛
⋧⛯1519). Per non parlare delle figlie, tutti gli altri figli erano considerati di infimo grado.
La dignità del singolo era l’utopia delle utopie.
In breve, la società organizzata dai Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁) fu una società
214
a ordinamento esageratamente gerarchico, dal maschilismo (danson johi ↵ዅᅚඬ1520
lett. pregiare gli uomini e svilire le donne) spinto all’estremo, e da un tipo di collettività
di fronte alla quale la volontà del singolo individuo non contava alcunché.
215
periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867) avevano una mentalità aperta
verso l’estero ed erano curiosi di cose esotiche.
POLITICA ISOLAZIONI- Visti gli introiti che gli venivano dal commercio estero,
STA E ANTICATTOLICA agli inizi Ieyasu ኅᐽ chiudeva un occhio sul diffon-
dersi del cristianesimo (kirishitan ࠠࠪ࠲ࡦ, in termine moderno kirisutokyŇ ࠠࠬ
࠻ᢎ1529). Il numero dei convertiti, intanto, che nel 1587 erano 200 mila (ψ§40)
arrivava nel 1605 a qualcosa come 750 mila. Geograficamente il cattolicesimo era ormai
presente anche nella regione del TŇhoku (TŇhoku chihŇ ᧲ർᣇ1530 ψcarta 1).
La sua dottrina (ossia, l’uguaglianza di tutti davanti a Dio), tuttavia, non era
compatibile con le istituzioni feudali dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenseido ᓼᎹኽᑪ
ᐲ1531 ψ§40). Il bakufu ᐀ᐭ ebbe un primo sospetto dell’eventualità che i giapponesi
cattolicizzati potessero mettersi solidalmente contro il regime. Inoltre, non piaceva
affatto al bakufu ᐀ᐭ che i daimyŇ ᄢฬ degli han ⮲ meridionali si arricchissero
grazie al commercio con gli stranieri.
Diversamente dai portoghesi e dagli spagnoli, i nuovi arrivati, ovvero olandesi ed
inglesi, invece, non ne volevano sapere di questioni religiose. Per monopolizzare il
commercio con il Giappone fecero pervenire all’orecchio del bakufu ᐀ᐭ la voce che i
due paesi iberici avrebbero progettato di colonizzare terre straniere servendosi
dell’evangelizzazione e provocarono così un inasprimento della politica anticattolica
shogunale cui si accompagnò ben presto una progressiva restrizione sulle transazioni
commerciali:
216
⨲ ψcarta 3; a volte detta anche Shimabara no ran ፉේߩੂ1533 lett. rivolta a
Shimabara) scoppiata nel 1637 nel Kyşshş Ꮊ.
x Nel 1641 viene trasferita la casa commerciale olandese (Oranda shŇkan ࠝࡦ
࠳㙚1534 1609-1858) da Hirado ᐔᚭ all’isoletta artificiale (13.000 m2) di
nome Dejima (ፉ1535 it. [quasi sempre] Deshima) creata nel 1634, origina-
riamente per confinarvi portoghesi, nel porto di Nagasaki 㐳ፒ1536.
Gli inglesi, vinti dagli olandesi in questa gara commerciale, si erano ritirati
volontariamente dal Giappone sin dal 1623.
ޣISOLAMENTO NAZIONALE (SAKOKU )ޤIl 1639 (taluni studiosi preferi-
scono l’anno 1641) fu il primo anno dell’isolamento nazionale, chiamato sakoku (㎮࿖
1541 lett. chiusura del paese, paese chiuso, 1639/1641-1854), istituzione che, insieme
217
ٟ Oltre che a Nagasaki 㐳ፒ il Giappone, malgrado il regime del sakoku ㎮࿖,
mantenne contatti con l’estero tramite due han ⮲: Tsushima han (ኻ㚍⮲1543 ψ
carta 3) e Satsuma han (⮋⮲1544 ψcarta 3) rispettivamente con la Corea e con
le isole Ryşkyş (℄1545 oggi Okinawa-ken ᴒ✽⋵1546 ψcarta 13)
A partire dal 1644 (secondo certe fonti, dal 1641) il bakufu ᐀ᐭ pretese dagli
olandesi la presentazione di un notiziaio annuale detto Oranda fşsetsugaki (䇺⯗㘑⺑
ᦠ䇻 1547 ; ⯗ trascrizione fonetica di Olanda; fşsetsugaki 㘑⺑ᦠ lett. appunti di
dicerie) mediante il quale poteva continuare ad informarsi sulla situazione mondiale.
En passant, si segnala che c’era un gruppo di studiosi che, affascinati dalle scienze
europee, non lasciavano nulla di intentato pur di apprenderle attraverso la piccola
apertura di Nagasaki 㐳ፒ. (ψ§52)
ޣPERSECUZIONE DEI CATTOLICIޤContemporaneanente a quanto sopra
all’interno del paese cominciò ad infuriare la persecuzione dei cristiani.
x Nel 1612 v’è il divieto di professare la fede cattolica (kinkyŇrei ᢎ1548 lett.
Ordinanza di divieto del cristianesimo) nelle zone alle dirette dipendenze
shogunali (tenryŇ ᄤ㗔1549 ψ§41).
x Nel 1614 vi furono 148 kirishitan ࠠࠪ࠲ࡦ, fra cui Takayama Ukon (㜞ጊฝ
ㄭ1550 ψ§40), esiliati all’estero.
x Risale poi con tutta probabilità al 1629 la prima messa in atto del cosiddetto
fumie (〯⛗1551 lett. premere la pittura col piede), operazione per scoprire i
kirishitan ࠠࠪ࠲ࡦ, consistente nel far calpestare immagini sacre cristiane.
La pratica si protrasse fino al 1858. Molti caddero martiri.
218
< Templi buddhisti al servizio del bakufu > Per assicurarsi il totale sradicamen-
to della fede cattolica il Tokugawashi ᓼᎹ᳁ utilizzò il buddhismo (bukkyŇ ᢎ1552) a
scopo politico.
A tutti i cittadini venne richiesto di iscriversi presso un tempio buddhista che a sua
volta doveva attestare l’adesione di maschi e di femmine al buddhismo (bukkyŇ ᢎ).
Si tratta della politica religiosa del Tokugawashi ᓼᎹ᳁ chiamata terauke seido (ኹ⺧
ᐲ1553 a partire dal 1640 ca.). Senza il certificato, che fungeva da carta d’identità,
rilasciato dal tempio di iscrizione era ormai impossibile celebrare funerali, sposarsi,
impiegarsi, mettersi in viaggio ecc. I templi buddhisti finirono così per essere in pratica
anagrafi del bakufu ᐀ᐭ.
< Kirishitan entrati nella clandestinità > Malgrado le severe persecuzioni,
tuttavia, una parte dei kirishitan ࠠࠪ࠲ࡦ sopravvisse clandestinamente fino alla
loro scoperta nel 1865 (ψ§64).
219
l’apice con il suo intervento è chiamato in particolare ShŇtoku no chi (ᱜᓼߩᴦ1558 lett.
governo/amministrazione secondo la retta virtù, 1709-1716; ShŇtoku ᱜᓼ: nengŇ ᐕ
ภ).
CRESCITA DELL’ECO- Fin dai tempi antichi e sin verso il 1600 l’incremento
NOMIA E DELLE CITTÀ demografico giapponese era appena percettibile, ma poi
durante tutta la prima metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ continuò a registrare un forte
attivo. Dal primo censimento a livello nazionale del 1721 risulta che il Giappone era
allora abitato da oltre 31 milioni di persone, ossia dal doppio della popolazione stimata
ai tempi di Nobunaga ା㐳 e Hideyoshi ⑲ศ. Tale aumento presuppone che ci fosse
stato, ed infatti c’era stato, un intenso sviluppo economico, ed in particolare durante il
periodo del bunchi seiji ᢥᴦᴦ si assistette ad una piena espansione sia dell’e-
conomia che delle città.
ޣSVILUPPO DI DIVERSE INDUSTRIEޤFu l’attività agricola a sostenere
l’intera struttura del sistema bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲), perciò sia lo shogunato
(bakufu ᐀ᐭ) che gli han ⮲ fecero ogni sforzo per la bonifica e il dissodamento di
terreni incolti allo scopo di realizzare maggiori raccolti e quindi maggiori entrate.
Rispetto all’epoca di Hideyoshi ⑲ศ, agli inizi del XVIII secolo la terra coltivata era
aumentata di due volte per estensione. Vennero apportate, inoltre, notevoli migliorie
agli utensili agricoli. Intorno alle grandi città ebbe inizio la coltivazione di ortaggi
destinati alla vendita.
Al pari dell’agricoltura, anche le altre industrie (artigianale, tessile, estrattiva, fore-
stale, ittica, salifera, del sake ㈬1559 ecc.) fecero un notevole passo avanti. Una stra-
grande maggioranza di prodotti, oggi detti tipici regionali, ha origine in questa epoca.
ޣINFRASTRUTTURE <ޤRete stradale > In seguito all’istituzione del sankin
kŇtai (ෳൕઍ1560 residenze alternate nel servizio ψ§41) venne sistemata la rete
stradale, a cominciare dalle cinque arterie chiamate gokaidŇ ⴝ1561, fra cui TŇkaidŇ
(᧲ᶏ1562 ψcarta 2) che collegava Edo ᳯᚭ e KyŇto ੩ㇺ con 53 tappe dette
shukuba (ኋ႐1563 lett. luoghi di alberghi, ossia stazione di sosta ψ§30) e NakasendŇ
220
(ਛጊ1564 o anche ਛ ψcarta 2) che da Edo ᳯᚭ si allungava fin vicino a
KyŇto ੩ㇺ in 67 shukuba ኋ႐. Benché il bakufu ᐀ᐭ avesse proibito, da una parte,
la costruzione di ponti sui fiumi strategicamente importanti e istituito, dall’altra, posti di
blocco detti sekisho 㑐ᚲ1565, fra cui quello al passo di Hakone (Hakone no seki ▫ᩮ㑐
1566; Hakone ▫ᩮ ψcarta 2, carta 9), il traffico ne risultò, comunque, assai facilitato.
< Linee di navigazione > Malgrado la sistemazione della rete stradale, non si
verificarono progressi degni di nota nei veicoli a ruote. In seguito all’apertura di linee
costiere e fluviali i trasporti di carichi pesanti e di gran mole continuavano ad essere
effettuati di solito per via d’acqua. È detto che giornalmente un totale di 2.000 natanti
entrassero ed uscissero dal porto di ņsaka (ᄢဈ ψcarta 7).
I trasporti marittimi ņsaka-Edo (ᄢဈ㨪ᳯᚭ) erano particolarmente intensi ed
avvenivano a bordo di navi dette higakikaisen (⪉၂ᑫ⦁1569 lett. navi ‘losanghe’ di
trasporto marittimo) e tarukaisen (ᮻᑫ⦁1570 lett. navi ‘botti’ di trasporto marittimo) in
concorrenza.
< Servizio postale > C’era il servizio postale detto hikyaku (㘧⣉1571 lett. gambe
volanti [perché i corrieri andavano di corsa a mo’ di maratona]) che collegava, ad
221
esempio, Edo ᳯᚭ e ņsaka ᄢဈ via KyŇto ੩ㇺ — 550km — tre volte al mese in
5-9 giorni per andata e ritorno.
ޣECONOMIA MONETARIA E ATTIVITÀ BANCARIAޤIl bakufu ᐀ᐭ che
aveva ereditato la politica monetaria di Hideyoshi ⑲ศ continuò a coniare monete e le
fece circolare in ogni angolo del paese. Sorsero in grandi città agenzie di cambio, dette
ryŇgaeshŇ ਔᦧ1572, che svolgevano praticamente gli stessi servizi di quelli offerti dalle
banche d’oggi, compresa l’emissione di titoli di credito simili agli assegni odierni. Tra le
maggiori erano Mitsui ਃ di Edo ᳯᚭ e KŇnoike 㡨ᳰ di ņsaka ᄢဈ.
< Monete > Avevano corso legale monete d’oro, d’argento e di metalli comuni. Le
monete d’oro si distinguevano in Ňban (ᄢ್1573 lett. formato grande) e koban (ዊ್1574
lett. formato piccolo); quelle d’argento in chŇgin (ৼ㌁1575 lett. pezzo d’argento) e
mameitagin (⼺᧼㌁ 1576 lett. piccola piastra d’argento). Quanto infine a monete di
metalli comuni erano in larga circolazione Kan’ei tsşhŇ (ኡ᳗ㅢቲ1577; Kan’ei ኡ᳗
nengŇ; tsşhŇ ㅢቲ lett. tesori che vanno in giro). I cambi dei tre tipi di monete erano
estremamente complessi, motivo per cui la presenza dei ryŇgaeshŇ ਔᦧ era in-
dispensabile.
ޣCITTÀ RIGOGLIOSE ޤLe città di diversa origine dei periodi precedenti
(jŇkamachi ၔਅ↸1578, monzenmachi 㐷೨↸1579, shukubamachi ኋ႐↸1580, minatomachi
᷼↸1581 ψ§30) si ingrandirono ulteriormente. La crescita, specie di Edo ᳯᚭ, fu
sbalorditiva: nella prima metà del XVIII secolo, e per la precisione nel 1721, essa
vantava un milione di abitanti. ņsaka ᄢဈ, con i suoi 380 mila abitanti, era il centro
del commercio. (cfr. Nel 1801 Londra aveva 850 mila abitanti).
222
inservienti (hŇkŇnin ᄺੱ1583). Se un’alta percentuale (50%) degli abitanti di Edo
ᳯᚭ era rappresentata da bushi ᱞ჻ e loro familiari, è perché ogni han ⮲
adibiva un notevole numero di persone al servizio a Edo (edozume ᳯᚭ1584 o
anche edoban ᳯᚭ⇟1585) per venire incontro a diverse esigenze, tra sui quella di
amministrare residenze, magazzini ed altri edifici di sua proprietà costruiti a Edo
(nel loro complesso chiamati edoyashiki ᳯᚭደᢝ1586 lett. case a Edo) per il
sankin kŇtai ෳൕઍ1587. Il numero del personale edozume ᳯᚭ di uno han
⮲ poteva ammontare a volte anche a 3.000-5.000.
ٟ < Un aspetto urbanistico dei jŇkamachi > Nei jŇkamachi ၔਅ↸, la gente
abitava in zone differenziate secondo la distinzione di shi-nŇ-kŇ-shŇ (჻ㄘᎿ1588
ψ §41). Le zone immediatamente circostanti il castello erano riservate alle
abitazioni dei bushi ᱞ჻ chiamate bukeyashiki (ᱞኅደᢝ1589, dette anche samurai
yashiki ଂደᢝ1590). Al di fuori delle zone residenziali samuraiche abitavano i
chŇnin ↸ੱ. I quartieri dei chŇnin ↸ੱ erano a loro volta ulteriormente suddivisi
per mestieri: rione dei pescivendoli, rione degli erbivendoli, rione dei falegnami,
rione dei tintori ecc. Gli eta ⓚᄙ 1591 e hinin 㕖ੱ 1592 vivevano isolati alle
periferie.
In origine anche Edo ᳯᚭ fu un jŇkamachi ၔਅ↸. Così, anche oggi riman-
gono toponomi quali KajichŇ (㎊ಃ↸1593 rione dei fabbri), Kon’yachŇ (⚬ደ↸1594
rione dei tintori), DaikuchŇ (ᄢᎿ↸1595 rione dei falegnami), BakurŇchŇ (㚍༟↸
1596 rione dei commercianti di cavalli) ecc.
La voga dei pellegrinaggi (jisha sankei ኹ␠ෳ⹚1597) e dei viaggi di piacere (monomi
223
yusan ‛ㆆጊ1598) intrapresi da un numero crescente di gente (ψ§55) concorse a
rendere fiorenti le città ‘sante’ (monzenmachi 㐷೨↸ ψ§30) e le città di sosta (shukuba-
machi ኋ႐↸).
224
Ad ņsaka ᄢဈ ogni han ⮲ disponeva di magazzini, detti kurayashiki ⬿ደᢝ1605,
in cui depositare riso ed altri prodotti del proprio han ⮲ destinati alla vendita. Per il
ruolo chiave che spettava ad ņsaka ᄢဈ nell’economia del paese essa fu a volte
chiamata tenka no daidokoro (ᄤਅߩบᚲ 1606 lett. cucina dell’intera nazione). La
quotazione di mercato fissata ad ņsaka ᄢဈ venne presa in ogni parte del paese quale
prezzo cui conformarsi.
ٟ Anche oggi ņsaka ᄢ㒋, insieme con TŇkyŇ ᧲੩, costituisce uno dei due
centri dell’economia del Giappone.
225
status, o chiedevano ai chŇnin ↸ੱ lavori a domicilio. Verso la fine del secolo non era
già più raro che i bushi ᱞ჻, vendendo lo status samuraico a commercianti benestanti,
adottassero loro figli, con doti naturalmente.
La distinzione che era regnata fra le categorie sociali iniziò così a venir meno.
VILLAGGI AGRI- A dire il vero, tuttavia, furono i cambiamenti nei villaggi agricoli
COLI MUTATI quelli che infersero i colpi più seri al sistema bakuhan (bakuhan
taisei ᐀⮲1610). L’economia monetaria andava distruggendo la loro economia
chiusa ed iniziò così la disgregazione della classe agraria.
La vita degli strati inferiori era in condizioni di estrema indigenza: chi, malgrado il
divieto (Denpata eitai baibai kinshirei ↰⇌᳗ઍᄁ⾈ᱛ1611 ψ§41), vendeva terreni
e forniva manodopera a chi li comprava o si dava al vagabondaggio; chi, per pagare le
imposte, vendeva le proprie figlie ai quartieri di piacere (yşri ㆆ㉿1612 ψ§48); chi
uccideva neonati, non trovandosi economicamente in grado di allevarli, infanticidio
detto mabiki (㑆ᒁ1613 lett. sfoltimento).
Di fronte alle difficili condizioni di vita, l’incremento demografico subì un arresto.
Non erano più rispettati i divieti shogunali. La base del regime feudale (hŇken seido ኽᑪ
ᐲ1614) cominciava così a cedere.
ޣSOMMOSSE DEI CONTADINI E DI ALTRE CATEGORIE DI GENTEޤ
In concomitanza col deteriorarsi delle condizioni di vita, a partire dalla metà del
XVIII secolo, si moltiplicarono, ad un ritmo crescente, i tumulti dei contadini, chiamati
hyakushŇ ikki (⊖ᆓ৻ឨ1615 lett. solidarietà dei contadini). Inoltre, sopraggiungevano
spesso carestie. Si dice che una di esse, che durò parecchi anni verso la fine del XVIII
secolo (Tenmei no kikin ᄤߩ㘫㙰1616 lett. carestia di Tenmei; Tenmei ᄤ nengŇ
ᐕภ 1781-1789), mietesse centinaia di migliaia di vittime. In città, poi, gli indigenti e i
vagabondi spesso insorgevano in massa, devastando case e magazzini dei commercianti,
specie di riso, agitazioni chiamate uchikowashi (ᛂᲛߒ1617 lett. distruzione per colpi).
226
Indignatosi per le pietose condizioni di vita delle masse, nel 1837 si sollevò ņshio
HeihachirŇ (ᄢႮᐔ㇢1618 1793-1837), studioso di yŇmeigaku (㓁ቇ1619 ψ§53) ed
ex-agente di pubblica sicurezza del bakufu ᐀ᐭ, in testa ad una moltitudine di rivoltosi,
fra cui anche agenti in servizio all’interno dello shogunato (bakufu ᐀ ᐭ ). La
sollevazione (ņshio HeihachirŇ no ran ᄢႮᐔ㇢ߩੂ1620 1837), anche se repressa
immediatamente, fu un duro colpo morale per la classe dominante del regime dei
Tokugawa (Tokugawa shihaitaisei ᓼᎹᡰ㈩1621).
RIFORME FI- ޣBAKUFU ޤNel XVIII e nella prima metà del XIX secolo, il pro-
NANZIARIE gressivo aumento delle difficoltà fece sì che il bakufu ᐀ᐭ effet-
tuasse tre riforme finalizzate al riassetto finanziario:
227
ᓮኅੱ1630 in crisi economica, l’ordinanza di depennamento forzoso (kienrei ᫈
1631 lett. ordinanza di abbandono, 1789 e 1843) dei debiti da loro contratti, senza poter
228
ԙ han di ChŇshş (ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲1640 ψcarta 5; oggi Yamaguchi-ken ጊญ
⋵1641)
Ԛ han di Tosa (Tosa han ⮲1642 ψcarta 6; oggi KŇchi-ken 㜞⍮⋵1643)
ԛ han di Saga (Saga han ⾐⮲1644 detto anche Hizen han ⢈೨⮲1645 ψcarta
3; territorio dell’odierne Saga-ken ⾐⋵ e del Nagasaki-ken 㐳ፒ⋵1646)
GERMOGLI DELL’IN- Agli inizi del XIX secolo, ossia ancora in pieno sistema
DUSTRIA MODERNA feudale (hŇken seido ኽᑪᐲ1647), nel campo dell’industria
esisteva già una forma embrionale (kŇjŇsei shukŇgyŇ Ꮏ ႐ ᚻ Ꮏ ᬺ 1648 industria
artigianale caratterizzata dalla divisione del lavoro in un labotorio) del moderno sistema
di produzione. Tale organizzazione abbracciava la fabbricazione di prodotti tessili, sake
㈬1649, olio di semi, ghisa e salsa di soia detta shŇyu ㉟ᴤ1650.
229
kusen uchiharairei ⇣࿖⦁ᛂᛄ1652 lett. ordinanza di scacciare le navi stranieri con
cannonate, 1825-1842), ma quando nel 1853 entrarono nel porto di Uraga (ᶆ⾐1653
oggi parte di Yokosuka ᮮ㗇⾐1654 ψcarta 10) quattro navi da guerra americane
comandate dal Commodoro M.C. Perry (Perĩ ࡍ), latore di una lettera del presi-
dente statunitense Fillmore, la situazione internazionale nell’Asia orientale era giunta ad
un punto tale che il Giappone non avrebbe più potuto restare chiuso in se stesso.
Infatti, l’anno successivo (1854) il bakufu ᐀ᐭ non ebbe altra scelta che firmare il
Trattato d’amicizia nippo-statunitense (Nichibei washin jŇyaku ᣣ☨ⷫ᧦⚂1657 1854)
per evitare che il Giappone seguisse la stessa miserabile sorte subita dalla Cina in
seguito alla guerra dell’oppio (Ahen sensŇ ࠕࡋࡦᚢ1658 o anche 㒙 ᚢ 1840-
1842; guerra oggi definita d’invasione inglese in Cina; ahen ࠕࡋࡦ dall’ingl. opium).
Era la fine dell’isolamento (kaikoku 㐿 ࿖ 1659 lett. apertura del paese, 1854). Il
Giappone si apriva così anche all’Inghilterra, alla Russia e all’Olanda con analoghi
trattati.
ޣTRATTATI INEGUALI ޤSuccessivamente, nel 1858 (5° anno Ansei 1660)
su pressioni del console generale statunitense in Giappone T. Harris (Harisu ࡂࠬ)
venne concluso il Trattato commerciale nippo-statunitense (Nichibei shşkŇ tsşshŇ jŇyaku
ᣣ☨ୃᅢㅢ᧦⚂1661, 1858), a cui seguirono anche questa volta analoghi trattati con
Inghilterra, Russia, Olanda e Francia.
᧦ 391/564 ⚂ 137/211
230
Per il Giappone i trattati del 1858, detti Ansei no gokakoku jŇyaku (ߩ߆࿖᧦
⚂1662 lett. trattati di Ansei con cinque paesi), furono penalizzanti, perché ineguali
(fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂1663 trattati ineguali) particolarmente sotto due aspetti, di
cui uno era di natura giurisdizionale: gli stranieri dei paesi contraenti che avessero
commesso reati in Giappone avrebbero goduto del diritto di non essere soggetti alla
giurisdizione giapponese (chigai hŇken ᴦᄖᴺᮭ1664 extraterritorialità). L’altro riguar-
dava le tariffe doganali: al Giappone fu negato il diritto di stabilire autonome tariffe
doganali (kanzei jishuken 㑐⒢⥄ਥᮭ1665 autonomia tariffaria).
I trattati ineguali (fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂) stavano a significare pertanto che le
potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ᰷ᒝ), con chissà quale autorità, non ricono-
scevano il Giappone quale stato sovrano a pieno titolo, ossia lo consideravano semi-
coloniale, e costituirono perciò un gravoso lavorio diplomatico di revisione (jŇyaku kaisei
᧦⚂ᡷᱜ1666) per il successivo governo Meiji. (Meiji seifu ᴦᐭ1667 ψ§61)
FINE DELLO SHOGU- L’ultima fase di una quindicina d’anni (1853 ca.-1867)
NATO DEI TOKUGAWA del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) viene chiamata
1662 An/sei/ no/ go/ka/koku/ jŇ/yaku 128/105 50/483 ߩ 14/7 ߆࿖ 8/40 ᧦ 391/564 ⚂ 137/211
1663 fu/byŇ/dŇ/ jŇ/yaku ਇ 134/94 ᐔ 143/202 ╬ 601/569 ᧦ 391/564 ⚂ 137/211
1664 chi/gai/ hŇ/ken ᴦ 181/493 ᄖ 120/83 ᴺ 145/123 ᮭ 260/335
1665 kan/zei/ ji/shu/ken 㑐 104/398 ⒢ 383/399 ⥄ 53/62 ਥ 91/155 ᮭ 260/335
1666 jŇ/yaku/ kai/sei ᧦ 391/564 ⚂ 137/211 ᡷ 294/514 ᱜ 109/275
1667 Mei/ji/ sei/fu 84/18 ᴦ 181/493 50/483 ᐭ 156/504
1668 tai/rŇ ᄢ 7/26 ⠧ 788/543
1669 I/i/ Nao/suke 252/1193 દ 603/2011 ⋥ 329/423 ᒠ non reg./non reg.
1670 An/sei/ no/ tai/goku 128/105 50/483 ߩᄢ 7/26 ₐ 1644/884
1671 Sakura/da/mon/ gai/ no/ hen ᪉ 1121/928 ↰ 24/35 㐷 385/161 ᄖ 120/83 ߩᄌ 324/257
231
bakumatsu (᐀ᧃ1672 lett. fase finale del Tokugawa bakufu; φ Tokugawa baku/fu ᓼ
Ꮉ᐀ᐭ 㧗 matsu ᧃ fine, termine; espressione che si usa frequentemente parlando
della storia di questo periodo) e fu caratterizzata dall’andamento quanto mai movi-
mentato e burrascoso della situazione interna, creata da una serie di scontri tra le
quattro forze del bakufu ᐀ᐭ, del chŇtei ᦺᑨ, di alcuni han ⮲ non sempre concordi
fra loro e infine delle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ᰷ᒝ), la cui politica nei
confronti del Giappone a sua volta conobbe scissioni. E, per giunta, non mancarono
sommosse popolari.
A causa della forte inflazione acuitasi in seguito alla ripresa degli scambi commer-
ciali con l’Occidente, si verificò una escalation del movimento politico detto sonnŇ jŇi
undŇ (ዅ₺ᡠᄱㆇേ1673 o anche ዅ⊞ᡠᄱㆇേ) che portava avanti sia la ‘riverenza
verso l’imperatore’ (sonnŇ ዅ₺, ዅ⊞) che la ‘xenofobia’ (jŇi ᡠᄱ lett. espulsione dei
barbari). Ne erano alfieri bushi-patrioti di medio-basso rango dalla mente aperta.
Chiamati shishi (ᔒ჻1674 lett. uomini con ideali, ovvero uomini di azione dediti alla
causa nobile anche a rischio della propria vita), erano originari principalmente dello han
di ChŇshş (ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲1675) e degli altri yşhan (㓶⮲1676 ψ§44). Tuttavia,
convintisi poi dell’assurdità ed impossibilità di competere con le forze occidentali,
nettamente superiori dal punto di vista della forza militare, detto movimento si
trasformò in un altro, mirante ad abbattere lo shogunato dei Tokugawa (tŇbaku undŇ ⸛
᐀ㆇേ1677 lett. movimento di abbattimento del bakufu ᐀ᐭ) e venne promosso dagli
shishi ᔒ჻ degli han di ChŇshş (ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲) e di Satsuma (Satsuma han ⮋
⮲ 1678 ) unitisi in una coalizione (SatchŇ rengŇ ⮋ 㐳 ㅪ ว 1679 lett. alleanza
ChŇshş-Satsuma; SatchŇ ⮋㐳 φ Satsuma ⮋ 㧗 ChŇshş 㐳Ꮊ).
Nel 1867 anche il bakufu ᐀ᐭ nella persona del XV e ultimo shŇgun ァ Toku-
gawa Yoshinobu (ᓼᎹᘮ༑1680 c. 1866-1967), rendendosi conto della impossibilità di
232
resistere, restituì il potere all’imperatore (taisei hŇkan ᄢᄺㆶ1681 lett. restituzione del
potere politico), con ciò sia segnando la propria fine, che chiudendo definitivamente la
lunga storia di circa 700 anni del governo del buke ᱞኅ.
In seguito, nello stesso anno del 1867, con la proclamazione della restaurazione del
governo imperiale (Ňsei fukko ₺ᓳฎ1682), aveva inizio la storia dell’età moderna e
contemporanea del Giappone.
233
fino al punto in cui la maggioranza dei suoi promotori-fruitori fu costituita da chŇnin ↸
ੱ. Non erano poi rari quei bushi (ᱞ჻ e più precisamente rŇnin ᶉੱ1688, ossia bushi
ᱞ჻ senza signore ψ§41), specie agli inizi del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ),
che, avendo perso la protezione di un daimyŇ ᄢฬ, e quindi lo stipendio (hŇroku
1689), cercavano di guadagnarsi da vivere come scrittori o studiosi-insegnanti.
Un altro aspetto rilevabile era, salvo pochi casi d’eccezione, la presenza d’una forte
dose di realismo, e anche questo si andò accentuando col passare del tempo.
Da ultimo, malgrado oltre un secolo e mezzo di distanza rimangono tuttora,
esplicitamente o implicitamente, nella vita quotidiana dei giapponesi delle tracce della
realtà giornalmente vissuta dalla gente del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ).
La cultura Momoyama (Momoyama bunka ᩶ጊᢥൻ seconda metà del XVI sec. e
una quindicina d’anni iniziali del periodo Edo) espresse più orientamenti, tutti
inconciliabilmente disparati, ma in ultima analisi l’aspetto dominante fu quello della sua
imponente, rigogliosa vitalità. Si trattava cioè della manifestazione sia di uno spirito
d’iniziativa dei sengoku daimyŇ ᚢ࿖ᄢฬ1690, uomini fattisi da sé, che non badavano alle
convenzioni, sia di un’energia talmente esuberante da estendersi fino all’Asia
sudorientale (TŇnan Ajia ᧲ධࠕࠫࠕ1691) (ψ§42).
Due erano i settori che rappresentavano questa cultura: anzitutto l’architettura,
specie i castelli (jŇkaku kenchiku ၔㇳᑪ▽1692 lett. architettura di castello e di mura)
che si ergevano al centro dei jŇkamachi ၔਅ↸ e poi le gigantesche pitture eseguite
all’interno delle costruzioni imponenti.
234
militari, erano anche palazzi nei quali i daimyŇ ᄢ ฬ , molti dei quali parvenus,
ostentavano il loro potere e la loro ricchezza.
Fra tutti i castelli oggi rimasti, il meglio conservato e più noto è il castello di Himeji
(HimejijŇ ᆢ〝ၔ1693 1608, Himeji ψcarta 7) detto anche castello dell’airone bianco
(ShirasagijŇ ⊕㣕ၔ1694), in quanto ha i muri dipinti interamente in bianco.
ޣPITTURA GRANDIOSA DELLA SCUOLA KANņޤPer arredare gli interni
dei castelli (p.es. AzuchijŇ [ၔ 1576-1582] di Nobunaga, FushimijŇ [ફၔ1695
1594-1623] e ņsakajŇ [ᄢဈၔ 1583, distrutto due volte dal fuoco; ricostruito in
cemento armato nel 1931] di Hideyoshi) e delle altre costruzioni gigantesche (p.es.
Jurakudai ⡝ᭉ╙1696 1587-1595; abitazione di Hideyoshi ⑲ศ a KyŇto ੩ㇺ) con
pitture intonate all’imponenza dell’ambiente, vennero chiamati artisti di prim’ordine,
specie della scuola KanŇ (KanŇha ⁚㊁ᵷ1697 dalla metà del periodo Muromachi
all’era Meiji), filone che emergeva sugli altri per le pitture audaci, di grandi dimensioni e
dai colori vividi e forti. Su commissione dei supremi signori quali Nobunaga ା㐳 e
Hideyoshi ⑲ศ i suoi artisti rappresentati da KanŇ Eitoku (⁚㊁᳗ᓼ1698 1543-1590)
decorarono in squadra porte scorrevoli (fusuma ⶲ1699) e paraventi (byŇbu ዳ㘑1700)
pieghevoli dei loro castelli con pitture sfarzose e piene di forza, dette shŇhekiga (㓚ო↹
1701 lett. pitture su divisori e muri), specie con damie (Ớ⛗1702 [tipo particolare di
shŇhekiga 㓚ო↹] lett. pitture a colori intensi con l’uso anche di materiali quali oro,
argento, verderame ecc.), fino allora sconosciute nella tradizione pittorica giapponese.
ٟ Non è detto che l’interno di tutti i castelli fosse sontuoso. I castelli di semplici
daimyŇ ᄢฬ avevano interni solitamente sobri e disadorni.
< Pittori e opere > Ecco un paio di massimi pittori dell’epoca e loro opere citate
frequentemente: KanŇ Eitoku (⁚㊁᳗ᓼ 1543-1590), Karajishizu byŇbu (䇺໊ₑሶ࿑ዳ
235
㘑䇻1703 lett. paravento recante un disegno di leoni cinesi, ?) di proprietà della casa
imperiale, Rakuchş Rakugaizu byŇbu 䇺ᵡਛᵡᄖ࿑ዳ㘑䇻1704 lett. paravento di vedute
interne ed esterne di KyŇto; Hasegawa TŇhaku ( 㐳 ⼱ Ꮉ ╬ ષ 1705 1539-1610),
Chichakuin fusumae (ᥓⓍ㒮ⶲ⛗1706 lett. dipinti eseguiti su paraventi del tempio di
Chichakuin, 1592?) a KyŇto ੩ㇺ; KaihŇ YşshŇ (ᶏർ᧻1707 1533-1615), Sansuizu
byŇbu (䇺ጊ᳓࿑ዳ㘑䇻1708 lett. paravento di paesaggi, 1602).
1703 Kara/jishi/zu/ byŇ/bu 䇺໊ 1668/1697 ₑ non reg./non reg.ሶ 56/103 ࿑ 631/339 ዳ non reg./non reg.㘑
246/29䇻
1704 Raku/chş/ Raku/gai/zu/ byŇ/bu 䇺ᵡ non reg./non reg.ਛ 13/28 ᵡ non reg./non reg.ᄖ 120/83 ࿑
631/339 ዳ non reg./non reg.㘑 246/29䇻
-byŇ/bu ~ዳ non reg./non reg.㘑 246/29, -jin ~ੱ 9/1, -ji ~ኹ 687/41, -sen ~⦁ 313/376, -bŇ/eki ~⾏
1037/760 ᤃ 810/759㧕
236
Inoltre, vennero stampate pubblicazioni dette kirishitanban ࠠࠪ࠲ࡦ 1712
grazie agli attrezzi da stampa a caratteri mobili portati da Alessandro Valignano
(BarinyĆno ࡃ࠾ࡖࡁ, 1538-1606; detto a volte anche Valignani ࡃ࠾ࡖ࠾),
visitatore della Compagnia di Gesù (Iezusukai ࠗࠛ࠭ࠬળ1713, Yasokai ⡍⯃ળ1714),
originario di Chieti.
< Prestiti linguistici > Oggetti materiali che non esistevano nel Giappone d’allora
entrarono insieme con le parole che li designavano, e siccome i portoghesi precedettero
gli spagnoli di circa 40 anni, quasi tutti i prestiti linguistici (gairaigo ᄖ᧪⺆1716 lett.
parole venute dall’estero) d’allora furono dal portoghese: pan (ࡄࡦ portogh. pão:
pane), tabako (ߚ߫ߎ portogh. tabaco: tabacco), botan (ࡏ࠲ࡦ portogh. botão: bot-
tone), karuta (ࠞ࡞࠲ portogh. carta: carte da gioco giapponesi), birŇdo (ࡆࡠ࠼
portogh. veludo, sp. velludo: velluto), tenpura (ߡࠎ߲ࠄ portogh. temporas: fritti di
verdura e di pesce), kanaria (ࠞ࠽ࠕ sp. canaria: canarino) ed altri.
237
La moda del wabicha ଌ⨥ era però in netto contrasto con il fenomeno culturale dei
castelli grandiosi, quindi sfarzosi e dei loro annessi e connessi ugualmente appariscenti.
Il wabicha ଌ⨥ consiste, è vero, in ultima analisi, nel bere tè, ma se lo si distingue
dal bere caffè o Coca Cola, è perché si tratta di un atto spirituale caratterizzato da una
certa coscienza estetica detta wabi ଌ. In altre parole, il wabicha ଌ⨥ non è un atto per
soddisfare né il palato, né la sete, ma una pratica quasi rituale per nobilitare l’animo alla
zenista, e la sua essenza sta nella parola wabi ଌ.
< Wabi > Diciamo subito che il wabi ଌ è una forma sviluppata dello yşgen ᐝ₵
1723. Al pari di quest’ultimo, quindi, anche il wabi ଌ è l’effetto di una doppia struttura.
I due si differenziano tuttavia in un solo punto: mentre nello yşgen ᐝ₵ uno dei due
elementi si intravede attraverso l’altro (per esempio, ‘montagne autunnali’ che, come
abbiamo già detto, si presentano allo sguardo tramite squarci di ‘nebbia diradata’ ψ
§34), nel wabi ଌ un elemento, ossia l’elemento negatore, copre totalmente l’altro
ovvero l’elemento negato, con conseguenza che l’elemento negato non può più essere
colto visivamente, ma soltanto percepito dalla mente. Che uno dei due elementi venga
negato per intero dall’altro, ma che il negato rimanga ugualmente percepibile trova
riscontro rispettivamente con la prima e la seconda metà del detto già citato più volte:
« Forma è vuoto. Vuoto è forma » (ψ§12, §33).
Lo stesso fu espresso da JukŇ ⃨శ e Rikyş ભ con queste parole: « Sarebbe
buona cosa tenere uno splendido cavallo in una stalla dal tetto di paglia ». (JukŇ ⃨శ).
« Per fare un buon cucchiaino da tè, bisogna tagliare il bambù, ma in modo che non
appaia bello. Il contenitore del tè va fatto rozzo. Il suo fondo va tagliato in modo che
non risulti lavorato accuratamente ». (Rikyş ભ).
Qualsiasi oggetto occorrente per il wabicha ଌ⨥, compresa la stanza chashitsu (⨥ቶ
1724 ψ§36), può apparire agli occhi dei non iniziati piccolo, misero, brutto e quindi di
238
dentro tutto appare di valore negativo (stanza angusta, muri nerastri ecc.) agli occhi dei
non-iniziati.
Nell’ottica della storia della cultura, il mutamento dello yşgen ᐝ₵ in wabi ଌ è da
considerare fenomeno parallelo all’indirizzo fondamentale di evoluzione della cultura
giapponese (ψ§46): il wabi ଌ era sorto laddove la cultura popolare era divenuta
dominante su quella tradizionale dell’aristocrazia di Heian (kokufş bunka ࿖㘑ᢥൻ).
GRANDI CITTÀ < ChŇnin bunka > La cultura del periodo Edo (Edo jidai ᳯ
E CHņNIN ᚭᤨઍ) poté realizzarsi grazie alla piena partecipazione della
classe arricchita, quella cioè dei chŇnin ↸ੱ. Per questo è denominata cultura dei chŇnin
(chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ). È una cultura sorta nelle grandi città.
Sugli aspetti animati e dinamici della vita dei chŇnin ↸ੱ di ņsaka ᄢဈ, KyŇto
੩ㇺ e Edo ᳯᚭ intorno alla fine del XVII secolo, ossia dell’era Genroku (Genroku
jidai ర ᤨઍ 1728 1688-1704; Genroku ర : nengŇ ᐕภ ), Engelbert Kämpfer
(1651-1716), medico tedesco venuto al Dejima ፉ 1729 nel 1690, scrisse quanto
segue:
239
giochi di prestigio ed esibizioni acrobatiche. Ad ņsaka ᄢဈ c’è, così, tutta una
serie di mezzi di divertimento e si può trascorrere piacevolmente il tempo libero. È
naturale perciò che un gran numero di gente facoltosa di altre regioni e molti
viaggiatori si raccolgano qui e vi si trattengano ».
« Questa città (KyŇto ੩ㇺ, n.d.a.) è un centro di varie attività artistiche, di
produzione e di commercio. Fondono rame e coniano monete. Stampano libri.
Producono tessuti dai disegni meravigliosi a colori d’oro e d’argento. Non c’è quasi
nessuna casa che non venda o produca oggetti di prima qualità quali coloranti,
statuette finemente lavorate, strumenti musicali, scatole laccate d’artigianato, quadri
ecc. ».
« (Ad Edo ᳯᚭ) la prima vista che mi si presentò fu quella d’un mercato del
pesce. Lì si vendevano in abbondanza alghe marine, molluschi e pesci. Nelle strade
c’era più viavai di quanto non avessi mai immaginato. Passavano processioni di
daimyŇ ᄢฬ e di sudditi dello shŇgun ァ. C’erano anche andirivieni, a piedi o in
portantina, di donne elegantemente vestite. Lungo le strade c’erano, uno accanto
all’altro, negozi di abbigliamento, spezie, altari buddhisti, libri, ceramiche, medicinali
ed altre cose. C’era chi vendeva in piedi davanti all’ingresso, o anche in negozio, ma
tutti ugualmente rivolgendosi ad alta voce ai passanti. Nelle strade poi erano poste
grandi bancarelle ». (History of Japan 1727, traduzione da testi originali in tedesco e
latino; titolo della versione in giapponese: Nihonshi 䇺ᣣᧄ䇻1730)
Si vede che nelle grandi città c’erano intense attività commerciali e produttive, inviti
ai consumi e una forte inclinazione alla vita godereccia. L’insieme di tali fattori
socio-economici e mentali costituiva appunto la forza motrice della cultura dei chŇnin
(chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ).
240
QUARTIERI DI PIACERE E Fra i fenomeni sociali che caratterizzarono il periodo
LA CULTURA BORGHESE Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) fu un rigoglio dei quartieri
di piacere, in particolare, di quei quartieri ufficialmente autorizzati, detti yşri (ㆆ㉿1731
denominazioni alternative: yşkaku ㆆ ㇳ , kuruwa ㇳ , irozato ⦡ ㉿ , akusho ᖡ ᚲ ,
hanamachi ⧎ ↸ , keiseimachi ၔ ↸ ; abolito nel 1957), delle case di tolleranza
(notevolmente diverse di quelle in senso occidentale: erano quacosa come ‘ristorante di
lusso, teatro di varietà e bordello’ messi insieme). Per non parlare di ņsaka ᄢဈ,
KyŇto ੩ㇺ ed Edo ᳯᚭ, ce n’erano pure nelle città portuali (minato machi ᷼↸) e
nelle città con al centro un castello (jŇkamachi ၔਅ↸). Questi quartieri, yşri ㆆ㉿,
erano zone libere dalla distinzione delle categorie di appartenenza. Denominatore
comune: il denaro. Tali quartieri costituivano, per così dire, nel deserto feudale dei
Tokugawa (Tokugawashi ᓼ Ꮉ ᳁ ) oasi di libertà dove chi poteva permetterselo
comprava momenti di libertà e godimento, spendendo con noncuranza somme
cospicue.
Per i chŇnin ↸ੱ la vita ideale era mettere da parte più denaro possibile, sia
lavorando sodo che limitando le spese quando si era ancora giovani e, dopo essersi
ritirati dal lavoro intorno ai 45 anni d’età, darsi a godere la vita, andando a teatro e in
pellegrinaggio, mangiando ciò che piaceva, eseguendo la cerimonia del tè (sadŇ, chadŇ ⨥
1735, chanoyu ⨥ߩḡ) e soprattutto frequentando quartieri di piacere (yşri ㆆ㉿);
tutte cose di cui, chi ci riusciva, andava poi orgoglioso. Erano appunto tali località che
alimentavano, insieme con il teatro (ψ§52), la cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥ
ൻ).
1731 yş/ri ㆆ 728/1003 ㉿ 1077/142, yş/kaku ㆆ 728/1003 ㇳ 1770/1673, kuruwa ㇳ 1770/1673, iro/zato
⦡ 326/204 ㉿ 1077/142, aku/sho ᖡ 504/304 ᚲ 107/153, hana/machi ⧎ 551/255 ↸ 114/182, kei/sei/ machi
913/1441 ၔ 638/720 ↸ 114/182
1732 Shima/bara ፉ 173/286 ේ 132/136
1733 Shin/machi ᣂ 36/174 ↸ 114/182
1734 Yoshi/wara ศ 464/1141 ේ 132/136
1735 sa/dŇ, cha/dŇ ⨥ 805/251 129/149, cha/no/yu ⨥ 805/251 ߩḡ 1022/632
241
§49. Cultura Genroku e cultura Kasei
242
Kamigata (Kamigata bunka ᣇᢥൻ).
ޣATTIVITÀ EDITORIALEޤSi rileva con l’occasione che alla fioritura della
cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ), specie della sua letteratura, concorsero
positivamente due fattori: da una parte iniziativa editoriale resa possibile dallo sviluppo
dell’arte della stampa che si avvaleva di matrici incise nel legno e dall’altra diffusione
dell’istruzione (ψ§53).
Con il sorgere di case editrici gestite a base commerciale si ebbe nel XVII secolo un
improvviso aumento di pubblicazioni. Senza bisogno di parlare di opere su
confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ1742 giapp. jukyŇ), buddhismo (bukkyŇ ᢎ1743),
medicina e classici, furono oggetto di pubblicazione anche gli scritti dei contemporanei
sugli argomenti più disparati. Vennero stampati persino manuali di culinaria (ψ§55),
guide turistiche (ψ§55), sull’arte di disporre fiori (kadŇ ⪇1744, ⧎ ikebana ↢ߌ
⧎ ψ§36) ecc. Risulta che nel 1698 (11° anno Genroku, Genroku jşichinen ర 11 ᐕ
1745) c’erano almeno 400 editori, quasi tutti operanti a KyŇto ੩ㇺ.
243
ԙ decadentismo sempre più marcato,
Ԛ innalzamento dei livelli culturali locali.
244
Il KŇshoku ichidaiotoko 䇺ᅢ⦡৻ઍ↵䇻, specchio della vita ideale dei chŇnin ↸ੱ, è
la prima opera letteraria, degna di tale nome, scritta e letta dalla classe borghese stessa e
che diede origine ad un nuovo genere chiamato ukiyozŇshi (ᶋ⨲ሶ1758; zŇshi ⨲ሶ
fascicolo) caratterizzato dal realismo con cui sono descritti gli aspetti edonistici e gli usi
e costumi dei chŇnin ↸ੱ.
< Ukiyo > Il termine ukiyo (ᶋ lett. mondo a galla, it. mondo fluttuante) di uso
frequente quando si parla della cultura dei chŇnin ↸ੱ, significa qualcosa come vita e
costumi goderecci, e non di rado anche licenziosi, del mondo corrente dei chŇnin ↸ੱ.
La parola yo ( lett. questo mondo) citata poco innanzi è usata da Saikaku 㢬
proprio in tale senso. Ukiyo ᶋ e yo sono, infatti, sinonimici.
Yonosuke ਯ 1759 , figlio nato da una nota intrattenitrice (yşjo ㆆ ᅚ 1760 it.
[solitamente] prostituta) d’un quartiere di piacere e da un ricco commerciante del Kamigata
ᣇ, sa che cos’è l’amore già a soli 7 anni e in una notte d’estate amoreggia con una donna
di servizio di casa sua.
A 8 anni, innamoratosi di una cugina di ben 10 anni maggiore di lui, le manda una lettera
d’amore fatta scrivere dal maestro di scrittura. Man mano che cresce, allarga la sua sfera
d’azione; allaccia rapporti con intrattenitrici, serventi di bagno pubblico, vedove e così via.
A 19 anni, nominato direttore della filiale di Edo ᳯᚭ, va in quella città, ma a causa della
vita troppo sfrenata viene ripudiato dal padre. Comincia così per lui un lungo periodo di
vagabondaggio, durante il quale conosce la necessità di guadagnarsi da vivere, ma non
dimentica mai il suo dongiovannismo (kŇshoku ᅢ⦡). Persino quando finisce in carcere,
instaura approcci con una detenuta nella cella accanto.
Dopo avere vagabondato per 15 anni fino all’età di 33, Yonosuke ਯ è ora un uomo
mirabilmente navigato (sui ☴1761 ψ§50) in fatto d’amore.
A 34 anni apprende che il padre è morto e gli ha lasciato in eredità una somma tanto
ingente da non poter essere spesa neanche in una lunga vita. Inizia allora una vita esemplare
da esperto del sui ☴ con le intrattenitrici di prim’ordine delle tre città di Edo ᳯᚭ, KyŇto
੩ㇺ e ņsaka ᄢဈ.
A 60 anni Yonosuke ਯ ha ormai visitato tutti i quartieri di piacere dell’intero
Giappone. Fino a quel momento ha avuto a che fare con 3.742 donne. Nasconde in una
località di KyŇto ੩ㇺ una forte somma rimastagli e con alcuni amici fa costruire una nave
cui dà il nome di affari libertini. Salpa diretto ad un’isola che si dice essere abitata da sole
donne, poi, da quel momento, non si sa più nulla di lui.
245
< Sui > A proposito dell’ukiyozŇshi ᶋ⨲ሶ, specie del KŇshoku ichidaiotoko 䇺ᅢ
⦡৻ઍ↵䇻, si parla del sui ☴.
Si tratta d’un senso estetico spirituale ritenuto indispensabile per i divertimenti
piacevoli con le intrattenitrici (yşjo ㆆᅚ). Per sui ☴ s’intendevano, cioè, certi compor-
tamenti ed atteggiamenti comprensivi di chi aveva non soltanto una buona cultura ed
educazione, ma anche una buona conoscenza degli usi e costumi dei quartieri yşri ㆆ㉿,
tale da permettere di trovarvisi sempre in consonanza. Erano fattori contrari al sui ☴
la riluttanza a spendere, il lasciarsi trasportare sfrenatamente, il cercare di monopoliz-
zare una determinata intrattenitrice ecc. Il sui ☴ possiede un che di comune con il
mono no aware (‛ߩຟࠇ1762 ψ§22, §53).
246
no renga େ⺽ߩㅪ) ad un livello artistico.
BashŇ ⧊⭈ visse una vita di viaggi, lasciandone diversi diari considerati capolavori,
fra cui Oku no hosomichi (䇺ᅏߩ⚦䇻1770 it. Lo stretto sentiero verso il profondo nord, opera
postuma del 1702) che racconta il suo lungo viaggio del 1689 per le regioni oggi
chiamate TŇhoku (TŇhoku chihŇ ᧲ർᣇ1771 ψcarta 1) e Hokuriku (Hokuriku chihŇ
ർ㒽ᣇ1772 ψcarta 1; Hokuriku ർ㒽). È detto che durante questo viaggio giun-
gesse alla convinzione che i suoi predecessori (ossia, SaigyŇ ⴕ1773 poeta errante del
waka 1774, 1118-1190; SŇghi ቬ1775 ψ§34; Sesshş 㔐⥱1776 ψ§36; Rikyş
ભ1777 ψ§47), ciascuno di un campo artistico diverso da quelli degli altri, avevano
cercato una sola cosa comune a tutte le attività artistiche, e che questa sola cosa doveva
apparire in veste nuova a seconda dei tempi, pensiero denominato fueki ryşkŇ (ਇᤃᵹ
ⴕ1778; fueki ਇᤃ non mutamento, immutabalità; ryşkŇ ᵹⴕ moda corrente, voga)
che costituì la base dell’attività artistica di BashŇ ⧊⭈.
BashŇ ⧊⭈ prese l’indirizzo opposto alla forte tendenza realistica ed edonistica
della cultura del tempo e si avvicinò al mondo spirituale squisitamente medievale.
247
dissertazioni scientifiche, è decisamente meglio usare la parola haiku େฏ.
Occorre un’altra precisazione: la frase « si affermò un nuovo genere poetico di
soli 17 haku ᜉ » non significa che nell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ la prima strofa di tre
versi (5-7-5) dello haikai (no renga) େ⺽䋨ߩㅪ䋩 avesse cominciato ad essere
composta sempre indipendentemente da tutto il resto. Anzi, il più delle volte essa
fu letteralmente la strofa iniziale (hokku ⊒ฏ). In altre parole lo schema di 5-7-5
non era ancora del tutto indipendente. Per la sua perfetta autonomia si doveva
attendere Masaoka Shiki ᱜጟሶⷙ1780.
ฎᳰ1781߿ⰶ1782㘧1783߮ߎ᳓1784ߩ㖸1785 ⧊⭈
Furuike ya / kawazu tobikomu / mizu no oto BashŇ
[Vecchio stagno... È saltata dentro una rana. Rumor d’acqua.]
Nell’età moderna e contemporanea sono sorte diverse correnti haikiste, non di rado
incompatibili fra di loro (ψ§68, §77), ma per la stragrande maggioranza dei giapponesi
d’oggi uno haiku େฏ, per essere tale, deve soddisfare i seguenti requisiti:
248
ԙ In uno haiku େฏ c’è sempre una (e una sola) parola che designa una delle
quattro stagioni. Tali parole si chiamano kigo (ቄ⺆1786 lett. parola stagionale) o
anche kidai (ቄ㗴 lett. tema stagionale).
Nella citata poesia di BashŇ ⧊⭈ il kigo ቄ⺆ è kawazu (ⰶ rana) che si
riferisce alla primavera. Oltre alle parole ed espressioni quali harukaze (ᤐ㘑1787
vento primaverile), yuku haru (ⴕߊᤐ primavera che se ne va) e simili che, per
motivi chiari di per sé, sono kigo ቄ⺆ della primavera, lo sono anche quelle
parole che designano
(a) cose che in primavera si notano nel mondo della natura quali sakura (᪉
1788 fiori di ciliegio), chŇ (Ⲕ1789 farfalle), tubame (ῆ1790 rondini), kasumi (㔰1791
249
condariamente anche di quello del sole; detto anche kyşreki [ᣥᥲ lett. vecchio
calendario]).
Con l’occasione si segnala che in Giappone il 3 dicembre 1872 (5° anno Meiji
[Meiji gonen ᴦᐕ 1798 ] ψ§56) il calendario lunare (inreki 㒶ᥲ ) venne
sostituito con il calendario solare (taiyŇreki ᄥ㓁ᥲ1799 detto anche shinreki ᣂᥲ
lett. nuovo calendario) in modo che detta data del vecchio sistema coincidesse con
il 1° gennaio 1873 secondo il calendario gregoriano. Tra i due sistemi di datazione
c’è quindi una discordanza di circa un mese.
250
sinonimi. L’unica differenza sta nel fatto che in letteratura si usa il termine sabi e a
proposito del wabicha ଌ⨥1803 wabi ଌ. Di conseguenza quanto abbiamo già detto
circa il wabi ଌ vale per il sabi .
In breve, il sabi si riferisce al valore positivo di ciò che appare di valore negativo.
A dirlo con le parole di BashŇ ⧊⭈, ‘bisogna nobilitare il proprio animo e tornare a
poetare su cose della vita quotidiana, servendosi di parole di tutti i giorni’. Significa che
ciò che viene espresso nello haikai େ⺽ ha bisogno di essere l’espressione di un animo
nobile, però gli argomenti devono essere dell’ambito della vita di tutti i giorni di
qualsiasi persona e le parole da usare devono essere quelle facili e familiari che si usano
ugualmente nella vita di tutti i giorni; in altri termini lo haikai େ⺽ deve imperniarsi
sulla vita quotidiana e le parole da utilizzare non devono essere né ricercate né di
categorie speciali (= negazione, ossia prevalenza dell’elemento popolare), ma gli
argomenti banali e le parole semplici e disadorne d’uso giornaliero devono racchiudere
o adombrare ispirazioni di un animo elevato (= elemento negato che risorge appunto
per negazione).
251
NARRATIVA Ad eccezione delle opere facenti parte del filone ukiyozŇshi ᶋ⨲ሶ
dell’era Genroku (Genroku jidai రᤨઍ1808), in generale la
1807
narrativa della letteratura kinsei (kinsei bungaku ㄭᢥቇ), detta nel suo insieme gesaku
(ᚨ1809 lett. opere per passatempo), fu priva di originalità ed inoltre caratterizzata da
una tale grottesca decadenza da incorrere nella censura severa del bakufu ᐀ᐭ. Così, la
cultura Kasei (Kasei bunka ൻᢥൻ), malgrado una produzione tanto fertile, non
diede opere letterarie che non temessero confronto con il Genji monogatari (䇺Ḯ᳁‛⺆䇻
1810 ψ§22), lo Heike monogatari (䇺ᐔኅ‛⺆䇻 1811 ψ§34) o la letteratura realistica
GESAKU ᚨ
yomihon
⺒ᧄ
252
ޣPANORAMA DELLE EVOLUZIONI DEL GESAKU ޤLe ramificazioni del
gesaku ᚨ sono assai complesse. Qualora si affrontino opere che trattano diffusa-
mente la letteratura kinsei (kinsei bungaku ㄭᢥቇ), la rappresentazione delle relative
diramazioni riportata alla pagina precedente potrà essere di aiuto per capirne meglio
l’evoluzione.
ޣGLI SCRITTORI (DETTI SPECIFICAMENTE GESAKUSHA ᚨ⠪1812)
PRINCIPALI DELLA LETTERATURA GESAKU ޤ
Si presume che verso la fine del XVIII secolo fra Edo ᳯᚭ e ņsaka ᄢဈ esi-
stessero 800-900 biblioteche a pagamento su un totale di circa un milione e mezzo di
abitanti. Inoltre, vennero alla ribalta nuovi scrittori che riuscivano a guadagnarsi da
253
vivere solo con la penna. È da dire che l’amore dei giapponesi per la lettura era molto
alto, (come lo è, del resto, a tutt’oggi).
GENERI ޣWAKA E HAIKAI ޤAl pari della narrativa anche i versi erano
POETICI qualitativamente in declino a dispetto dell’aumento numerico di coloro che
poetavano.
Nel campo dello haikai େ⺽, tuttavia, sono degni di menzione due nomi: Yosa
Buson ( ਈ ⻢ ⭢ 1825 1716-1783), haikista-pittore, che compose haikai େ ⺽
pittoreschi e Kobayashi Issa (ዊᨋ৻⨥1826 1763-1827) che espresse sentimenti uma-
nitari.
⩿1827ߩ⧎߿1828ߪ᧲1829ߦᣣ1830ߪ1831ߦ ⭢
Nanohana ya / tsuki wa higashi ni / hi wa nishi ni Buson
[Fiori di colza. La luna a est, il sole a ovest.]
(kidai ቄ㗴: nanohana ⩿ߩ⧎ fiori di colza: primavera)
∳1832ⰶ1833߹ߌࠆߥ৻⨥ᤚ1834ߦ1835ࠅ ৻⨥
Yasegaeru / Makeruna Issa / kore ni ari Issa
[Rana magra ! Non ti lasciare vincere. Issa è qui, dalla parte tua !]
(kidai ቄ㗴: kaeru ⰶ rana: primavera)
254
ᚒ1836ߣ᧪1837ߡㆆ1838ߴ߿ⷫ1839ߩߥ㓴1840 ৻⨥
Ware to kite / asobe ya oya no / nai suzume Issa
[Vieni a giocare con me, o passero orfano!]
(kidai ቄ㗴: suzume 㓴 passero: primavera)
ޣSENRYŞ ޤDi poesia della cultura Kasei (Kasei bunka ൻᢥൻ), ce n’era un
genere formalmente identico allo haikai (େ⺽ ossia, 5-7-5), ma da distinguere da
questo sia dal punto di vista dell’origine che sotto l’aspetto del contenuto. Chiamato
senryş Ꮉᩉ1841, andava assai in voga fra la gente comune.
In origine era un esercizio di composizione poetica consistente nell’anteporre una
strofa ( 5-7-5) davanti a un’altra ( 7-7) precedentemente assegnata in modo da costituire
una poesia a forma di waka ( 5-7-5-7-7). La strofa da anteporre e quella
precedentemente data si chiamavano rispettivamente tsukeku (ઃฏ1842 lett. strofa in
aggiunta) e maeku (೨ฏ1843 lett. strofa precedente, strofa di prima).
Per esempio, si assegna come maeku ೨ฏ:
ᢾ1844ࠅߚߊ߽ࠅᢾࠅߚߊ߽ߥߒ
Kiritaku mo ari / kiritaku mo nashi ( 7-7)
[Non so se sia il caso di ucciderlo o no con un colpo di spada].
ߧߔੱࠍߣࠄ߳ߡߺࠇ߫ࠊ߇ሶ1845ߥࠅ
Nusubito o / toraete mireba / waga ko nari ( 5-7-5)
255
[Ho catturato un ladro e ho saputo che si tratta di mio figlio].
In riferimento alla differenza di caratteri dei tre eroi del kinsei ㄭ , cioè
l’impazienza di Nobunaga ା㐳, la volontà ferrea e lo sforzo di Hideyoshi ⑲ศ, e la
pazienza e l’abilità da vecchio volpone di Ieyasu ኅᐽ ci sono stati tramandati i
seguenti senryş Ꮉᩉ, eventualmente tsukeku ઃฏ o comunque versi faceti (zareuta ᚨ
1848):
256
x 㡆߆ߧߥࠄ㡆߆ߒߡߺߖ߁߶ߣߣ߉ߔ (In riferimento a Hideyoshi ⑲ศ)
Nakanu nara / nakashite miseyŇ / hototogisu
[I cuculi, se non cantano, li faccio cantare].
߆ߊ߫߆ࠅߢߚߊ1853ࠁࠆ1854ߩਛࠍ߁ࠄ߿߹ߒߊ߿ߩߙߊᓇ1855
Kaku bakari / medetaku miyuru / yononaka o / urayamashiku ya nozoku / tsukikage
[La luna spia questo mondo che appare così splendido. Ne sarà invidiosa?]
Autore: ņta Nanpo (ᄢ↰ධ⇔1856 1749-1823)
ߟߺߡ߽ߐߡ߅⧯1857ߣญޘ1858ߦ߶ߘ߿ߐࠆࠆᐕ1859ߙߊ߿ߒ߈
Itsu mitemo / sate owakai to / kuchiguchini / homesoyasaruru /toshi zo kuyashiki
[Mi complimenta la gente, dicendo, ‘Sei sempre giovane, eh!’. Ciò significa che ho già
una certa età. Povero me!]
Autore: Akera KankŇ (ᧇᭉ▤ᳯ1860 1738-11798)
257
ٟ La letteratura della seconda metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ è comunemente
giudicata di scarso valore letterario, ma ciò non significa che il ruolo da essa svolto
nell’evoluzione della cultura giapponese sia stato di poco conto. La questione della
sua valutazione fuori del puro ambito letterario-estetico e nell’ottica della storia
della cultura sembra ancora sostanzialmente aperta.
CHIKAMATSU E Accanto al teatro nŇ (⢻1861 ψ§35) che nel periodo Edo (Edo
NINGYņ JņRURI jidai ᳯᚭᤨઍ) fu adibito a teatro da cerimonia shogunale, e
come tale non segnò più ulteriori sviluppi, si affermarono due nuove forme di
spettacolo popolare: kabuki ⥰પ 1862 e ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ 1863 . Oggi que-
st’ultimo è meglio noto con il nome di bunraku ᢥᭉ1864 di derivazione dal Bunrakuza
(ᢥᭉᐳ1865 1872-1963; za ᐳ ψ §30), nome di un teatro a ņsaka ᄢဈ e relativa
compagnia del ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ.
Su tutti i drammaturghi non solo dell’epoca Genroku (Genroku jidai రᤨઍ),
ma dell’intero periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) faceva spicco la figura di Chikamatsu
Monzaemon (ㄭ᧻㐷Ꮐⴡ㐷1866 1653-1724). Egli scrisse per ambedue i generi, e
soprattutto per il ningyŇ jŇruri ੱᒻᵺℲⅇ, combinazione di burattini (ayaturi ningyŇ ᠲ
ࠅੱᒻ1867), storia declamata e musica. La storia declamata al suono dello shamisen ਃ
✢ si chiamava appunto jŇruri ᵺℲⅇ e il nome di Takemoto Gidayş (┻ᧄ⟵ᄥᄦ
1868 1651-1714) è noto per il brillante stile di declamazione detto gidayşbushi (⟵ᄥᄦ▵
1869 lett. melodia di Gidayş).
258
chi, in quella società feudale dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenshakai ᓼᎹኽᑪ␠ળ1870),
istituzionalmente inumana e dalle mille restrizioni, aveva obbedito fino in fondo al
comando del proprio cuore (ninjŇ ੱᖱ1871 lett. sentimenti umani). Il suo nome è par-
ticolarmente legato ai jŇruri ᵺℲⅇ in cui il protagonista fedele ai dettami del ninjŇ ੱ
ᖱ, trovatosi in un vicolo cieco per via dei doveri socio-morali (giri ⟵ℂ1872) a cui non
poteva sottrarsi, non vide altra soluzione che suicidarsi insieme alla sua innamorata: tipo
di suicidio chiamato shinjş (ᔃਛ1873 lett. l’interno del cuore, ossia reciproca dimo-
strazione d’affetto degli innamorati, it. doppio suicidio).
ٟ A proposito dello shinjş ᔃਛ si tenga presente che ciò che costituisce il suo
sfondo è l’ideologia di ‘odiare e lasciare questo mondo sporco’ (onri edo 㔌ⓚ
1874) e di ‘vagheggiare la rinascita nella Terra Pura’ (gongu jŇdo ᰵ᳞ᵺ1875) (ψ
§23) dell’amidismo (jŇdokyŇ ᵺᢎ1876), per cui, diversamente dalla tradizione
cristiana, il suicidio non viene affatto biasimato moralmente.
259
SOMMARIO DEL SONEZAKI SHINJŞ
Tokubē ᓼⴡ1881 è impiegato (tedai ᚻઍ1882 ψ§41) del negozio Hiranoya ᐔ㊁ደ
1883 a ņsaka ᄢဈ. Il suo proprietario è lo zio che, per tramandare (ψ§41) il nome del
negozio, ha intenzione di adottare Tokubē ᓼⴡ e fargli sposare una cugina di parte della
moglie. La matrigna di Tokubē ᓼⴡ, d’accordo, accetta dal padrone di Hiranoya ᐔ㊁ደ
una somma di denaro a titolo di dote. Tokubē ᓼⴡ, tuttavia, respinge questo matrimonio,
in quanto ha già una ragazza di nome o-Hatsu ߅ೋ1884, intrattenitrice (yşjo ㆆᅚ1885) d’un
quartiere di piacere (yşri ㆆ㉿1886). Ora egli deve restituire il denaro-dote allo zio-padrone,
ma il destino vuole che prima di restituirglielo, lo presti ad un amico. Costui, non solo non
glielo restituisce, ma lo offende pubblicamente, accusandolo di aver creato una falsa prova di
debito. A questo punto, a Tokubē ᓼⴡ, non più in grado né di restituire il denaro al
padrone-zio, né di riscattarsi dal disonore, non resta che uccidersi con o-Hatsu ߅ೋ che
vuole essergli compagna anche nella morte. I due si tolgono la vita nel bosco di Sonezaki ᦥ
ᩮፒ.
ޣGIRI vs NINJņ ޤNelle pubblicazioni che parlano della letteratura kinsei (kinsei
bungaku ㄭᢥቇ) e, in generale, della cultura giapponese ci si imbatte quasi sempre in
espressioni come questa: giri to ninjŇ no itabasami (⟵ℂߣੱᖱߩ᧼ߺ1887 trovarsi tra
giri e ninjŇ, detto anche giri to ninjŇ no kattŇ ⟵ℂߣੱᖱߩ⪾⮮ lett. conflitti tra giri e
ninjŇ). È un’espressione che presuppone la presenza di una frizione fra i due concetti:
uno (ossia giri ⟵ℂ) che ha a che fare con la società e l’altro (ninjŇ ੱᖱ) strettamente
personale. Li esamineremo un po’ più da civino.
Il giri (⟵ℂ doveri socio-morali) si riferisce alle norme di condotta socialmente
sancite e da seguire nei confronti della gente con cui si ha a che fare. In altri termini,
usanze o norme consuetudinarie, quindi non codificate, da rispettare nei rapporti
interpersonali, e come tali esistenti in ogni tempo e in ogni società. Ovviamente il suo
contenuto varia a seconda di quanto variano le norme di comportamento in una data
società.
D’altra parte per ninjŇ (ੱᖱ lett. sentimento umano) s’intende ogni sentimento che
260
nasce spontaneamente nell’animo umano (p.es. amore, pietà, gratitudine, rimorso, odio,
tristezza).
Non è detto che il giri ⟵ℂ entri necessariamente in conflitto con il ninjŇ ੱᖱ,
ma se viene usato in contrapposizione al ninjŇ ੱᖱ, si riferisce ai doveri od obblighi
etico-sociali i quali, pur con tutta l’onerosità, ne esigono ugualmente l’adempimento
sotto pena di una sanzione sociale.
Nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) la volontà dell’individuo era di solito
compressa sia per via dell’ideologia confuciana, che per la prospettiva d’una sicura e
severissima sanzione, consistente in una emarginazione detta murahachibu (ಽ1888
esclusione dalla vita della collettività salvo occasioni di funerale e incendio). Difatti tale
emarginazione sociale quasi integrale rendeva estremamente difficile l’esistenza per via
della scarsa possibilità di cambiamento del luogo di residenza.
Ispirato dalla cronaca, Chikamatsu ㄭ ᧻ andò controcorrente. Malgrado la
definizione consueta di tragedia, il Sonezaki shinjş 䇺ᦥᩮፒᔃਛ䇻 ed altri jŇruri ᵺℲ
ⅇ del genere sewamono ‛ sono opere in cui fu esaltata la vittoria del ninjŇ ੱᖱ
sul giri ⟵ℂ.
KABUKI In origine (siamo agli inizi del periodo Edo, quindi intorno al 1600) il
kabuki ⥰પ1889 fu un tipo di danza eseguita da donne vestite in modo
bizzarro e solitamente di facili costumi. A partire dalla metà del XVIII secolo, ossia
sotto la cultura Kasei (Kesei bunka ൻᢥൻ), il kabuki ⥰પ sviluppatosi ormai in
una forma particolare di rappresentazione teatrale, superò in popolarità il ningyŇ jŇruri
ੱᒻᵺℲⅇ e cominciò ad avere grande affluenza di pubblico ad Edo ᳯᚭ.
Per avere una prima idea di cosa fosse (e sia tuttora) il kabuki ⥰પ, di solito
definito come teatro, sarebbe forse opportuno considerarlo qualcosa come musical,
revue o spettacolo di varietà, in quanto gli elementi centrali non sono mai stati vere e
proprie trame, ma piuttosto azioni esageratamente stilizzate degli attori chiamati yakusha
261
ᓎ⠪1890. La gente andava (e va) a vedere innanzitutto gli yakusha ᓎ⠪ preferiti e poi
le loro performances. Oggi rimangono a testimoniarlo molti fascicoli, chiamati Yakusha
hyŇbanki 䇺ᓎ⠪⹏್⸥䇻1891, di commenti sulla loro immagine e la loro bravura. Non
per nulla i pittori di ukiyoe (ᶋ⛗1892 ψ§54) li dipingevano e tali opere, chiamate
yakushae ᓎ⠪⛗1893, andavano a ruba.
Si può dire che la popolarità personale degli attori (yakusha ᓎ⠪) — il divismo —
si perpetuò dalle origini, cioè fin da quando lo spettacolo era rappresentato da donne
leggere (onna kabuki ᅚ⥰પ1894) che come tali attiravano gli uomini; ma anche dopo
l’allontanamento (1629) di tali donne (e le donne in generale) dalle scene, il carattere
originario contro il buoncostume non andò perduto. Prima continuarono ad alimentarlo
i giovinetti del wakashu kabuki (⧯ⴐ⥰પ1895 kabuki eseguito principalmente dai
giovinetti, vietato nel 1652; wakashu ⧯ⴐ giovane maschio), poi gli onnagata o oyama
(ᅚᒻ1896 attori travestiti da donna) dello yarŇ kabuki (㊁㇢⥰પ1897 kabuki eseguito
solo dai maschi; yarŇ ㊁㇢ uomo adulto). Fu appunto per questo divismo che il kabuki
⥰પ riscosse una vasta popolarità, ed esso, insieme con gli yşri (ㆆ㉿ ψ§48),
costituì un fulcro della cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ).
Il kabuki ⥰પ raggiunse la piena maturità verso la fine dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ.
Difatti, l’opera da ritenersi più nota di tutti i tempi è appunto di quell’epoca: TŇkaidŇ
Yotsuya kaidan (䇺᧲ᶏ྾⼱ᕋ⺣䇻1898 lett. storia dell’orrore a Yotsuya del TŇkaidŇ;
solitamente detto semplicemente Yotsuya kaidan (䇺྾⼱ᕋ⺣䇻; prima rappresentazione:
1825) di Tsuruya Nanboku (㢬ደධർ1899 1755-1829).
Si ricordano quali yakusha ᓎ⠪ i seguenti nomi: Sakata TŇjşrŇ I (ဈ↰⮮ච㇢1900
[shodai ೋઍ 1901 primo di una serie] 1647-1709) di Kamigata ᣇ 1902 , Ichikawa
⺣ 303/593䇻
1899 Tsuru/ya/ Nan/boku 㢬 1120/2277 ደ 270/167 ධ 205/74 ർ 103/73
1900 Saka/ta/ TŇ/jş/rŇ ဈ 595/443 ↰ 24/35 ⮮ 206/2231 ච 5/12 ㇢ 237/980
1901 sho/dai ೋ 261/679 ઍ 68/256
262
DanjşrŇ I (ᏒᎹ࿅ච㇢ 1903 [shodai ೋઍ] 1660-1704) di Edo ᳯᚭ e Yoshizawa
Ayame I (⧐ᴛ߿1904 [shodai ೋઍ] 1673-1729), onnagata ᅚᒻ.
263
Le prime tre scuole sono di studi (neo-)confuciani, la quarta di storiografia e di
pensiero sincretistico confuciano-shintoista, la quinta di filologia giapponese e di idea-
lizzazione della vita nel Giappone antico. La sesta si occupa essenzialmente degli studi
del sapere tecnico-scientifico dell’Europa centrosettentrionale, e la settima e ultima di
un insegnamento moralizzatore delle masse.
264
< Confucianesimo > Per confucianesimo (rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ; a
volte anche ruxue [juhsüeh ఌቇ1913 giapp. jugaku, lett. studi confuciani]) s’intende
pertanto il complesso delle dottrine etico-politiche predicate appunto da Confucio
(Kongzi, K’ung-tzu ሹ ሶ giapp. KŇshi) e sviluppate principalmente da Mencio
(Mengzi, Mêng-tzu ቃሶ1914 giapp. MŇshi, 372?-289? a.C.) e Xunzi (Hsü-tzu ⨬ሶ1915
giapp. Junshi, 298?-235? a.C.).
L’ideale di Confucio (ሹሶ giapp. KŇshi) stava nell’instaurare e mantenere un nuo-
vo ordine socio-politico mediante la massima osservanza delle norme di condotta socia-
le, dette nel loro insieme li (li ␞1916 giapp. rei ), nelle stesse forme che Confucio
(Kongzi, K’ung-tzu ሹሶ giapp. KŇshi) credeva vigessero agli inizi del periodo Zhou
(Chou giapp. Shş).
Nella tradizione confuciana la virtù-chiave per un buon ordine ad ogni livello è il
dovere filiale (cin. xiao, hsiao ቁ1917 giapp. kŇ, [in senso stretto] devozione ed obbe-
dienza al padre; it. pietà filiale) che riguarda il rapporto padre-figlio, uno dei cinque
rapporti umani, cioè sovrano-suddito, padre-figlio, marito-moglie, fratello maggiore-
fratello minore, amico-amico. A partire dal periodo dei Regni Combattenti, venne
esaltata anche la lealtà (cin. zhong, chung ᔘ1918 giapp. chş ) del suddito verso il
padrone, ma il dovere filiale (cin. xiao, hsiao ቁ giapp. kŇ ) rimase ugualmente di
importanza fondamentale, in quanto indissolubile, e perciò permanente, diversamente
dal dovere di lealtà (cin. zhong, chung ᔘ giapp. chş ) che poteva essere sciolto
mediante il ritiro dal servizio.
Come emerge dagli insegnamenti sul dovere filiale (cin. xiao, hsiao ቁ giapp. kŇ ) e
di lealtà (cin. zhong, chung ᔘ giapp. chş ), lo schema fondamentale della legge morale
confuciana per il mantenimento di un buon ordine socio-politico consiste nell’ob-
bedienza ai superiori da parte degli inferiori. Ciò perché tutti i rapporti interpersonali
sono presi nell’ottica di ‘alto – basso’, ‘nobile – umile’ e tale ordine è considerato
l’essenza dei rapporti umani. Il li (li ␞ giapp. rei ) citato sopra si riferisce, in parole
povere, all’insieme di regole di comportamento richieste appunto da tale ordine.
Ma la sottomissione dei subordinati non è tutto quel che c’è nel confucianesimo
(rujiao, juchiao ఌᢎ giapp. jukyŇ ). I confuciani predicavano ai sovrani come governare
265
il popolo. A loro dire, spettava al governante non soltanto stabilire il li (li ␞ giapp. rei ),
ma persino tenere sotto controllo l’intero universo con i suoi atti virtuosi in piena
conformità col li (li ␞ giapp. rei ) a lui confacente. La felicità o meno del popolo
dipendeva unicamente dalla virtù del sovrano. Gli fu richiesto perciò di esercitare il
potere per il benessere del popolo con la benevolenza (cin. ren, jen ੳ1919 giapp. jin )
paragonabile all’amore paterno. Fu sostenuto che il sovrano privo della benevolenza
venisse bandito e la sua dinastia fosse sostituita con un’altra virtuosa (cin. yixing geming,
ihsing kêming ᤃᆓ㕟1920 giapp. ekisei kakumei). Così, tutto sommato, il confu-
cianesimo (jukyŇ ఌᢎ), mentre denotava certamente una tendenza conservatrice, era
anche pervaso di spirito umanitaristico.
Quanto sopra esposto per sommi capi costituiva la base dell’insegnamento confu-
ciano in ogni epoca. Sotto la dinastia Han (Han ṽ1921 giapp. Kan, 202 a.C.-220 d.C.
ψ§3) il confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ) fu designato scuola ufficiale di studi dell’impero e
da allora fino agli inizi del XX secolo svolse il ruolo di guida della classe dirigente cinese.
Tuttavia, dopo la caduta dell’impero Han (Han ṽ giapp. Kan), rimase confinato al
ruolo di studi esegetici-commentari (⚻ቇ1922 giapp. keigaku, studi dei libri canonici
confuciani [keiten ⚻ౖ1923]) e come tale non segnò ulteriori sviluppi sotto l’aspetto
speculativo.
< Neo-confucianesimo > Si doveva attendere fino alla dinastia dei Song (Sung
ቡ 1924 giapp. SŇ, 960-1279) per vederlo rifiorire sotto la denominazione di neo-
confucianesimo (tradotto in giapponese letteralmente quale shinjugaku ᣂఌቇ1925; per
l’esattezza Songxue, Sung-hsüeh ቡቇ1926 giapp. sŇgaku, scuola dei Song) caratterizzato
dagli interessi metafisici e cosmologici sotto l’influenza esercitata dal buddhismo
266
(bukkyŇ ᢎ) e dalla filosofia taoista (giapp. RŇsŇ shisŇ ⠧⨿ᕁᗐ1927).
L’elaborazione del neo-confucianesimo (shinjugaku ᣂఌቇ, sŇgaku ቡቇ) si deve
soprattutto a Zhu Xi (Chu Hsi ᧇ1928 giapp. Shuki, 1130-1200; meglio noto sia in
Cina che in Giappone come Zhuzi, Chu-tzu ᧇሶ1929 giapp. Shushi, da cui shushigaku
[ᧇሶቇ 1930 scuola di Zhuzi], termine in pratica sinonimico giapponese di neo-
confucianesimo).
In breve la sua è dottrina che correla la natura umana, l’ordine sociale e il principio
cosmologico chiamato li (li ℂ1931 giapp. ri ). Sostiene che sia la natura umana sia
l’ordine sociale sono soggetti al medesimo principio celeste, quindi la pratica della
coltivazione morale di ciascuno porta automaticamente alla sistemazione ideale
dell’ordine sociale ad opera appunto del principio cosmologico. È caratterizzata dalla
soppressione dei desideri e da uno sforzo morale rigoroso, ritenuti entrambi indi-
spensabili per riportare la natura umana ordinaria e torbida a quella originaria, pura e
buona.
Alla scuola di Zhuzi (shushigaku ᧇሶቇ) si oppose quella di Lu Xiangshan (Lu
Hsiang-shan 㒽 ⽎ ጊ 1932 giapp. Riku ShŇzan, 1139-1192) che dava importanza
primaria al sentimento. Molto più tardi quest’ultimo ebbe un erede in Wang Yangming
(Wang Yangming ₺ 㓁 1933 giapp. ņ YŇmei, 1472-1528) il quale diede corpo
definitivo al Xinxue (Hsin-hsüeh ᔃቇ1934 giapp. shingaku, lett. studio dell’animus; in
Giappone chiamato yŇmeigaku 㓁ቇ1935 lett. studio di Yangming).
La dottrina di Wang Yangming (₺㓁 giapp. ņ YŇmei) consiste nell’affermare
che originariamente l’animo umano è dotato di senso morale, quindi la norma
fondamentale di condotta sta nel seguire quanto comanda spontaneamente il cuore,
arrivando così alla conclusione quasi diametralmente opposta a quella di Zhuzi (Chu
Hsi ᧇሶ giapp. Shushi). Rimase ortodossa, tuttavia, la corrente che seguì Zhuzi (ᧇሶ
Shushi).
267
ٟ Per interpretare il kŇ (cin. xiao, hsiao ቁ), uno dei concetti fondamentali del
confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ), si suole prendere in considerazione solo il rapporto
di padre-figlio e per estensione tutt’al più genitori-figlio. A questo riguardo, un
autorevole studioso di storia della filosofia cinese ammonisce, dicendo: « [...] si ha
la tendenza ad interpretare riduttivamente il kŇ ቁ nel senso di pietà filiale,
devozione cioè verso i genitori da parte dei figli, ma tale interpretazione è sba-
gliata. Il kŇ ቁ racchiude anche altri due aspetti: da una parte esecuzione dei riti
religiosi dedicati a tutti gli antenati e dall’altra procreazione dei figli. [...] il kŇ ቁ
consiste nell’insieme di questi tre aspetti ». (Kaji Nobuyuki ടિⴕ 䇺ఌᢎߣ
ߪ߆䇻[Che cosa è il confucianesimo? ], 1990)
In parole povere, il kŇ ቁ di cui parla Kaji ട è il kŇ ቁ religioso che
sottostà alle dottrine etico-politiche confuciane, ovvero una ‘trovata’ della mente
cinese per assicurare la continuità della vita dal suo primordio al presente e dal
presente all’eternità.
Se Kaji ട ha ragione, bisognerà dire che l’espressione italiana di ‘pietà
filiale’ (traduzione letterale dell’ingl. ‘filial pity’?) copre solo parzialmente il campo
semantico di kŇ ቁ.
268
monaco in uno dei Cinque templi zen di KyŇto (KyŇto gozan ੩ㇺጊ1938 ψ§33) e
successivamente studioso neo-confuciano, che su invito di Ieyasu ኅᐽ gli tenne
lezioni.
In seguito Hayashi Razan (ᨋ⟜ጊ1939 1583-1657), discepolo di Seika ᗗ┃ e
studioso strettamente chuhsista, venne assunto alle dipendenze shogunali, e da quel
momento di generazione in generazione la famiglia Hayashi (Rinke ᨋኅ1940) rimase
responsabile del settore d’istruzione del Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ.
Ma la famiglia Hayashi (Rinke ᨋኅ) non diede personalità brillanti, quando invece
fuori degli ambienti del bakufu ᐀ᐭ, come si vedrà di seguito, erano attivi eccellenti
studiosi d’altre scuole, i quali non potevano non esercitare un’influenza sugli studi
shogunali; motivo per cui, in occasione della riforma Kansei (Kansei no kaikaku ኡ
ᡷ 㕟 1941 1787-1793 ψ §44), venne proibito di insegnare dottrine non chuhsiste
all’istituto d’istruzione shogunale della famiglia Hayashi (Rinke ᨋኅ), divieto chiamato
Kansei igaku no kin (ኡ⇣ቇߩ1942 lett. divieto di studi eterodossi di Kansei, 1790),
sebbene ciò non implicasse una proibizione generale di coltivare studi non chuhsisti. È
in quel momento che lo shushigaku ᧇሶቇ ottenne lo status di studi shogunali ufficiali a
pieno titolo.
Nel 1797 l’istituto che era stato piuttosto la scuola privata degli Hayashi (Rinke ᨋ
ኅ) fu incorporato nella struttura shogunale quale scuola d’istruzione del bakufu ᐀ᐭ
con il nome di ShŇheizaka gakumonjo (ᐔဈቇᚲ1943 lett. Istituto degli Studi di
ShŇheizaka [ShŇheizaka ᐔဈ: ShŇhei ᐔ cin. Changping, Ch’ang-p’ing, nome
del luogo di nascita di Confucio; zaka ဈ terreno in pendenza], 1797-1871; chiamato
anche ShŇheikŇ ᐔ㤟1944), cui vennero ammessi i figli di hatamoto ᣛᧄ1945 e gokenin
(ᓮኅੱ1946 ψ§41).
Nei circoli chuhsisti non shogunali spiccavano due nomi: Kinoshita Jun’an (ᧁਅ㗅
ᐻ1947 1621-1698), maestro rinomato, e Yamazaki Ansai (ጊፒ㑧ᢪ1948 1618-1682),
269
chuhsista severo con i suoi allievi. Entrambi ebbero molti discepoli di valore. Arai
Hakuseki (ᣂ⊕⍹1949 ψ§43) fu allievo di Jun’an 㗅ᐻ. Ansai 㑧ᢪ è noto anche
per il suo sincretismo confuciano-shintoista (suika shintŇ ုട1950).
< Istituti d’istruzione degli han > Anche negli han ⮲ i daimyŇ ᄢฬ fondarono
istituti d’istruzione, detti hankŇ ⮲ᩞ1951, per istruire i figli dei propri sudditi. In tutto il
Giappone ce n’erano oltre trecento. Gli insegnanti erano, per una buona parte, chuhsisti,
ma nel bakumatsu (᐀ᧃ1952, ossia una quindicina d’anni finale del Tokugawa bakufu ᓼ
Ꮉ᐀ᐭ ψ§45) non pochi han ⮲ accolsero cultori di studi occidentali (yŇgakusha ᵗ
ቇ⠪1953 ψ§53) nel corpo docente.
Fu aperto inoltre un numero considerevole di scuole, dette gŇgaku ㇹቇ1954, per
dare istruzione anche alla gente comune. Di queste ultime, ce n’erano oltre cinquecento
in tutto il Giappone agli inizi dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ1955 1868-1912).
< YŇmeigaku > In Giappone il Xinxue (Hsin-hsüeh ᔃቇ1956 giapp. shingaku) di
Wang Yangming (₺㓁 giapp. ņ YŇmei) trovò un erede nella persona di Nakae TŇju
(ਛᳯ⮮᮸1957 1608-1648) che lo chiamò, come si è già visto, yŇmeigaku 㓁ቇ1958.
< Kogaku > Ad eccezione di pochi, in generale i chuhsisti giapponesi si limitavano
a ricalcare quanto avevano appreso dai libri neo-confuciani di autori cinesi, senza cioè
svilupparne la critica; come tali a rigore non erano studiosi-pensatori veri e propri, ma
piuttosto trasmettitori-divulgatori del pensiero neo-confuciano cinese.
Contro tale atteggiamento passivo sorse un gruppo di studiosi che si propose di
chiarire la vera essenza del confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ) originario tramite la lettura
puntuale e l’indagine filologica dei testi canonici confuciani (keiten ⚻ౖ1959) prodotti
nella Cina antica. Essi affrontarono materiali di prima mano e pensarono con la propria
mente. Il complesso di tale orientamento di studi, caratterizzato soprattutto dalla meto-
270
dologia positivistica di ricerca, è chiamato kogaku (ฎቇ1960 lett. studi antichi) e l’in-
sieme delle correnti di studi a ciò ispirantisi Kogakuha (ฎቇᵷ1961 lett. scuola di studi
antichi). In Giappone fu appunto questo filone accademico a conseguire il livello più
alto negli studi confuciani (jugaku ఌቇ).
Due furono i massimi esponenti di questa scuola: ItŇ Jinsai (દ⮮ੳᢪ1962 1627-
1705) e Ogyş Sorai (⩆↢ᓖᓭ1963 1666-1728), entrambi, con migliaia di discepoli
sparsi per tutto il Giappone. Oggi il loro atteggiamento razionale, anzi scientifico, in
particolare di Sorai ᓖᓭ, è valutato assai positivamente per la nascita di studi ugual-
mente positivistici in altri campi (p.es. filologia giapponese, studi olandesi), preparando
in tal modo un buon terreno di trapianto del sapere scientifico occidentale nell’età
moderna e contemporanea. Anche dopo il divieto di studi eterodossi di Kansei (Kansei
igaku no kin ኡ⇣ቇߩ 1964 ) che, ripetiamo, escludeva dall’istituto d’istruzione
shogunale tutte le dottrine non chuhsiste, la scuola di studi antichi (Kogakuha ฎቇᵷ)
non segnò regresso.
I frutti della ricerca che i diversi filoni del kogaku ฎቇ avevano in comune, stavano,
in ultima analisi, nella loro conclusione umana ed indulgente grazie alla quale i sen-
timenti spontanei venivano svincolati dal rigorismo formale chuhsista; atteggiamento
che trovava riscontro nell’atmosfera realistica della cultura Genroku (Genroku bunka
రᢥൻ).
ޣBUSHIDņ ޤNel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) l’etica dei bushi ᱞ჻, già
chiamata nel medioevo kyşba no michi (ᑿ㚍ߩ1965 ψ§34), venne codificata con il
nome di bushidŇ ᱞ჻1966, principalmente da Yamaga SokŇ (ጊ㣮⚛ⴕ1967 1622-
1685), confuciano (jusha ఌ⠪1968) della scuola di studi antichi (Kogakuha ฎቇᵷ).
I bushi ᱞ჻, nel periodo in cui regnava una pace duratura in assenza di battaglie
vere e proprie (l’ultima fu la rivolta a Shimabara-Amakusa [Shimabara-Amakusa no ikki
ፉේᄤ⨲৻ឨ 1637-1638] ψ§42) non erano più guerrieri come lo erano stati prima,
ma piuttosto burocrati sia presso il bakufu ᐀ᐭ che negli han ⮲. A loro veniva
271
richiesto innanzi tutto di rendersi esatto conto del ruolo e della responsabilità della
classe dirigente che essi stessi avevano costituito. In altre parole, il loro compito
maggiore consisteva nell’esemplificare nei confronti delle masse la vita virtuosa con-
fuciana tramite la loro lealtà (chş ᔘ) nei confronti del signore, una stretta autodisciplina
quali comportamenti sempre dignitosi anche nelle avversità, e ulteriore sublimazione
delle proprie virtù sia attraverso gli studi confuciani (jugaku ఌቇ) che le arti marziali.
Il bushidŇ ᱞ჻, mentre da un lato svolgeva certamente un ruolo positivo
nell’elevare il senso di responsabilità sociale nella classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏
⚖), permise dall’altro ai Tokugawa (Tokugawashi ᓼᎹ᳁) il mantenimento dello status
quo, esigendo dai loro sudditi obbedienza e pazienza in pratica illimitate.
< Storia dei 47 rŇnin (rŇnin ψ§41) > Nell’era Genroku (Genroku jidai రᤨ
ઍ) si verificò un caso, chiamato nel campo storiografico AkŇ jiken (⿒Ⓞઙ1969 caso
AkŇ) e in quello letterario Chşshingura (䇺ᔘ⤿⬿䇻1970 lett. magazzino dei sudditi leali),
di osservanza esemplare dei dettami del bushidŇ ᱞ჻. In Occidente lo stesso è noto
come la ‘Storia dei 47 rŇnin’ (corrispondenti espressioni fisse piu vicine giapponesi: AkŇ
shijşshichishi [⿒Ⓞ྾ච৾჻1971 lett. quarantasette bushi di AkŇ], AkŇ gishi [⿒Ⓞ⟵჻
1972 lett. sudditi fedeli di AkŇ], AkŇ rŇshi [⿒Ⓞᶉ჻1973 lett. rŇnin di AkŇ]). La vicenda
Nel marzo del 1701 (14° anno di Genroku [Genroku jşyonen ర 14 ᐕ]), nel castello di
Edo (EdojŇ ᳯᚭၔ1974, oggi kŇkyo ⊞ዬ1975 residenza del tennŇ ᄤ⊞), sede shogunale,
Asano Naganori (ᵻ㊁㐳⍱1976 1667-1701), daimyŇ ᄢฬ dello han di AkŇ (AkŇ han ⿒Ⓞ
272
⮲ ψcarta 8), ferì con un colpo di spada Kira Yoshinaka (ศ⦟⟵ᄩ1977 1641-1702), alto
dignitario responsabile del cerimoniale shogunale. Si sa che fra i due c’era stato qualche
contrasto, e su di esso sono avanzate diverse ipotesi. La vera causa dell’incidente rimane
tuttora avvolta nel buio.
Asano ᵻ㊁ fu immediatamente condannato a morte mediante seppuku (ಾ⣻1978 it.
harakiri ⣻ಾ1979, a volte anche karakiri [forma erronea di harakiri ], tipo di pena capitale
ritenuto onorevole, consistente nell’essere decapitato al momento di squarciarsi il ventre),
mentre Kira ศ⦟ se la cavò senza incorrere in nessuna pena. La sentenza era iniqua di
fronte al codice samuraico che stabiliva che in caso di contesa a viva forza dovevano essere
punite entrambe le parti.
Alla famiglia Asano (Asanoke ᵻ㊁ኅ1980) fu ritirato (kaieki ᡷᤃ1981 ψ§41) anche il
feudo (chigyŇchi ⍮ⴕ1982), il che significava annullamento dello han di AkŇ (AkŇ han ⿒Ⓞ
⮲), quindi estinzione della famiglia Asano (Asanoke ᵻ㊁ኅ). Da quel momento tutti i
sudditi si trovarono senza signore (rŇnin ᶉੱ1983). Fallì ogni sforzo di ņishi Yoshio (ᄢ⍹⦟
㓶1984 1659-1703), capo vassallo (karŇ ኅ⠧1985), che non lasciò nulla di intentato sia per
restaurare la casa Asano (Asanoke ᵻ㊁ኅ) che per chiedere che anche Kira ศ⦟ venisse
punito. Venne elaborato, così, in tutta segretezza un piano di vendetta da 47 rŇnin (shijşshichishi
྾ච৾჻) fedeli raccoltisi intorno a ņishi ᄢ⍹, e a distanza di un anno e nove mesi, nel
dicembre 1702, i 47 fecero irruzione nell’abitazione di Kira ศ⦟, riuscendo a decapitarlo. Il
loro sforzo e la loro pazienza in quel frattempo di fronte a mille difficoltà furono davvero
sovrumani.
La mattina seguente i 46 (uno scomparve dopo l’irruzione) fecero rapporto davanti alla
tomba dell’ex signore ed attesero il provvedimento shogunale nei loro riguardi.
Ma intanto si formavano due netti partiti; gli uni che sostenevano la loro colpevolezza e
gli altri l’assoluta innocenza, esaltandola quale specchio del bushidŇ ᱞ჻. Si susseguirono
discussioni incandescenti. Il verdetto finale (febbraio 1703) formulato in base all’opinione di
Ogyş Sorai ⩆↢ᓖᓭ1986 (che avrebbe detto: ‘Capisco assai bene il loro stato d’animo, ma
la legge non va falsata.’) fu comunque questo: ‘Tutti a morte. È permesso, tuttavia, di
compiere il seppuku ಾ⣻’. Il più giovane fu figlio di ņishi Yoshio ᄢ⍹⦟㓶 di 15 anni.
273
Se la lealtà (chş ᔘ) del suddito verso il padrone si poteva concretare con una
siffatta drammaticità anche dopo la morte di quest’ultimo, ovvero quando non c’era più
nessun rapporto formale d’impiego, è perché diversamente dalla tradizione confuciana
in Cina, in Giappone il rapporto ‘signore – suddito’ (e per analogia anche il rapporto
‘datore di lavoro – impiegato’) era regolato alla stessa stregua di quello di ‘padre – figlio’
preso quale prototipo, quindi consapevolizzato come vincolo indissolubile e persino
ereditario. Inoltre, il mutamento di natura del rapporto ‘signore – suddito’ rispetto al
modello cinese non finiva qui: la lealtà (chş ᔘ) verso il signore aveva persino la priorità
sulla devozione ed obbedienza filiare (kŇ ቁ). Appunto per questo ed altri aspetti
ancora il confucianesimo (jukyŇ ఌᢎ) giapponese non può essere identificato con
quello della Cina, sua terra d’origine.
Le tombe di Asano ᵻ㊁ e i suoi fedeli si trovano ancora oggi nel tempio
buddhista Sengakuji ᴰጪኹ1987 di TŇkyŇ ᧲੩. La vicenda ha continuato ad essere
sceneggiata e romanzata ripetutamente ed oggi ne esistono parecchie versioni. Anche
adesso il Chşshingura 䇺ᔘ⤿⬿䇻 ha qualcosa che tocca la sensibilità dei giapponesi,
tanta fu l’influenza esercitata sul loro animo.
shintoista e sviluppatasi nello han di Mito (Mito han ᳓ᚭ⮲1990 parte della odierna
prefettura di Ibaraki [Ibaraki-ken ⨙ၔ⋵1991] con il capoluogo alla città di Mito ψ
carta 10), uno dei tre shinpan (ⷫ⮲1992 ψ§41) di rango particolarmente elevato (gosanke
274
ᓮਃኅ1993 lett. onorevoli tre famiglie ψ§41 [Successione (1603-1867) degli shŇgun]).
L’idea di indirizzare il chş ᔘ all’imperatore (sonnŇron ዅ₺⺰1994) costituì, nel bakuma-
tsu ᐀ᧃ1995, la base ideologica di sostegno del movimento sonnŇ jŇi undŇ (ዅ₺ᡠᄱㆇ
േ1996 ψ§45).
Si è già visto che nel XIX secolo il regime bakuhan (bakuhan taisei ᐀⮲1997)
ormai scricchiolava sia per i problemi accumulatisi all’interno del paese che sotto la
pressione straniera (naiyş gaikan ౝᘷᄖᖚ 1998 ψ§45). In mezzo a tale difficoltà
l’indirizzare il chş ᔘ all’imperatore, ossia la riverenza verso l’imperatore (sonnŇ ዅ₺),
della scuola di Mito minava la base del potere Tokugawa. Che una tale ideologia fosse
preparata appunto da uno dei tre shinpan ⷫ⮲ investiti di una dignità particolare fu
invero una ironia della storia.
275
vamente, ad opera di Kada no Azumamaro (⩄↰ᤐḩ2005 1669-1736) e Kamo no
Mabuchi ( ⾐ ⨃ ⌀ ᷗ 2006 1697-1769), entrambi figli di sacerdoti shintoisti, andò
mostrando una tendenza sempre più marcata a liberare i classici dall’interpretazione
secondo gli schemi confuciani e buddhisti, consuetudinaria in quei tempi, e nel
contempo ad idealizzare il ritorno alla vita spirituale pura e originaria dei giapponesi,
dando con Motoori Norinaga (ᧄዬት㐳2007 1730-1801) i frutti maggiori sia sotto
l’aspetto della metodologia di ricerca che nell’ottica ideologica.
ޣVIA DEGLI ANTICHI DI NORINAGAޤIl Kojikiden (䇺ฎ⸥વ䇻2008 it.
Commento al Kojiki, 48 voll., 1764-1798) di Norinaga ት㐳, commentario monumentale
al Kojiki 䇺ฎ⸥䇻 e frutto di una metodologia di studio rigorosamente positivistica,
sta a testimoniare che Norinaga ት㐳 aveva respinto il modo di vedere e pensare alla
cinese da lui chiamato karagokoro (ṽᗧ2009 lett. mentalità cinese). Egli trovava nel Kojiki
䇺ฎ⸥䇻 la ‘via degli antichi’ (inishie no michi ฎߩ2010 [in termine moderno kodŇ
ฎ2011], in pratica identificabile con lo shintŇ primitivo [koshintŇ ฎ2012 lett. shintŇ
antico], ovvero shintŇ di quei tempi in cui non portava ancora tale nome) e la
vagheggiò quale sublime modello di vita.
A suo dire, la via degli antichi si trova nel vero cuore (magokoro ⌀ᔃ2013), ossia nel
candido cuore innato (umaretsukitaru mama no kokoro ↢߹ࠇߟ߈ߚࠆ߹߹ߩᔃ2014)
ed è modo spontaneo di vivere, in quanto è tale vita quella conforme al volere dei kami
. Con questa idea di fondo Norinaga ት㐳 aveva rigettato confucianesimo (jukyŇ ఌ
ᢎ) e buddhismo (bukkyŇ ᢎ), definendoli frutti dell’attività vanagloriosa dell’intel-
letto umano. A costituire il nucleo del pensiero di Norinaga ት㐳 fu appunto il
rispetto verso quanto voleva l’animo innato, ivi compresi anche desideri terreni. Per lui
tale modo di vivere dei giapponesi nell’età mitologica si accordava con la volontà dei
kami .
276
Parlando del Genji monogatari 䇺Ḯ᳁‛⺆䇻2015, si è citata la seguente espressione di
Norinaga ት㐳: mono no aware (‛ߩຟ[ࠇ]2016 ψ§22). Si tratta di parole uscite come
conseguenza naturale del suo atteggiamento di fondo, che fu quello di rispettare lo stato
d’animo spontaneo.
Va aggiunto infine che malgrado la dichiarazione in senso contrario di Norinaga ት
㐳, i ricercatori interessati dei nostri tempi sono unanimi nel segnalare molte analogie
dello studio di Norinaga ት㐳 con quello di Ogyş Sorai ⩆↢ᓖᓭ nel senso che
Norinaga ት㐳 è debitore verso quest’ultimo.
ޣFUKKO SHINTņ DI ATSUTANEޤDopo la morte di Norinaga ት㐳 i suoi
studi filologici e linguistici (Bunkengakuha ᢥ₂ቇᵷ lett. scuola filologica) da una parte
e ideologici (KodŇha ฎᵷ lett. scuola del kodŇ) dall’altra vennero ereditati separa-
tamente.
Fu Hirata Atsutane (ᐔ↰◊⢬2017 1776-1843) a risultare il maggior erede del lato
ideologico. L’atteggiamento contro il pensiero straniero e il sogno di ritorno all’antichità,
entrambi già rilevabili presso Norinaga ት㐳 e tutti gli altri predecessori, vennero spin-
ti all’estremo da Atsutane ◊⢬, con la conseguenza che l’idea fino allora accarezzata
della via degli antichi si tramutasse in un ismo di nome fukko shintŇ (ᓳฎ2018 lett.
ripristino dello shintŇ , shintŇ da ripristinare), la cui ideologia imperniata
sulla mitologia del kiki (kiki no shinwa ⸥♿ߩ 2019 ψ§10) quale canone più
importante, insieme con quella della scuola di Mito (mitogaku ᳓ᚭቇ), costituì nel
bakumatsu ᐀ᧃ la forza motrice del movimento sonnŇ jŇi undŇ ዅ₺ᡠᄱㆇേ2020 ed
esercitò una grande influenza, tramite la politica religiosa (ψ§64) del governo Meiji
(Meiji seifu ᴦᐭ2021), anche sulla storia del Giappone nell’età moderna.
RANGAKU Uno dei fattori carenti, per non dire totalmente assenti, per un lungo
periodo di tempo, nella cultura tradizionale giapponese, fu senza dubbio
lo spirito scientifico e razionale.
Fu soltanto durante il periodo Tokugawa (Tokugawa jidai ᓼᎹᤨઍ) che nacque
una certa tendenza positivistica in alcuni campi di studio, come si è già visto, a
277
cominciare dalla scuola confuciana di nome Kogakuha ฎቇᵷ2022, e su questa base
metodologicamente indispensabile si vide sorgere un filone di studi chiamati a lungo dai
cultori stessi rangaku (⯗ቇ2023 lett. studi olandesi). Essi, però, sapevano che i loro studi
erano in sostanza qualcosa come studi occidentali (yŇgaku ᵗቇ2024), ossia studi sul
sapere tecnico-scientifico dell’Europa centrosettentrionale (Germania, Inghilterra,
Olanda). Se li chiamavano rangaku ⯗ቇ è perché venivano mediati dall’Olanda che,
come si ricorderà, era presente al Dejima ፉ2025 nel porto di Nagasaki 㐳ፒ2026.
Fu Arai Hakuseki (ᣂ⊕⍹2027 ψ§43) ad essere il primo a riconoscere espli-
citamente la netta superiorità delle scienze occidentali per la loro immediata utilizza-
bilità a fini pratici. Successivamente, durante la riforma KyŇhŇ (KyŇhŇ no kaikaku ੨
ᡷ㕟2028 1716-1745) promossa dall’VIII shŇgun ァ Tokugawa Yoshimune (ᓼᎹ
ศቬ2029 c. 1716-1745) per salvare le difficoltà finanziarie, venne varata una politica
culturale consistente nell’incoraggiamento degli studi delle scienze occidentali, limitan-
doli però a quelli utili e mirati a miglioramenti tecnici per aumentare la produttività.
ޣKAITAI SHINSHO E INIZIO DEGLI STUDI OLANDESIޤUna data
memorabile per gli studi olandesi (rangaku ⯗ቇ) fu il 1774, l’anno in cui venne
pubblicato il Kaitai shinsho (䇺⸃ᣂᦠ䇻2030 it. Nuovo testo di anatomia), traduzione ad
opera di Maeno RyŇtaku (೨㊁⦟ᴛ2031 1723-1803), Sugita Genpaku (᧖↰₵⊕2032
1733-1817) ed altri di un libro di anatomia, il quale era stato tradotto a sua volta in
olandese da un testo originale tedesco. La riuscita in questa vera impresa stava a
significare che l’olandese fino allora utilizzato dagli interpreti (oranda tsşji ࠝࡦ࠳ㅢ
⹖2033 o anche ࠝࡦ࠳ㅢ) solo come mezzo di comunicazione orale al Dejima
ፉ serviva ormai per aprire, tramite i libri, la via verso una conoscenza notevolmente
sistematica delle scienze tecniche e naturali d’Europa attraverso il varco, sia pure
278
strettissimo, rimasto aperto a Nagasaki 㐳ፒ.
Di lì a soli 14 anni, nel 1788, venne pubblicato il primo manuale di lingua olandese
e successivamente, nel 1796, il primo vocabolario olandese-giapponese di ben 64.000
lemmi, moltiplicando traduzioni in molti campi tecnico-scientifici (p.es. medicina,
astronomia, geografia, fisica, chimica, biologia ecc.).
ޣSTUDI OCCIDENTALI DEL BAKUMATSU ޤNel XIX secolo, da quando si
presentò la questione della pressione esercitata da alcune potenze straniere (ψ§45), gli
studi occidentali si trasformarono prevalentemente in scienze militari per obbedire
all’esigenza di una difesa costiera.
In seguito, tuttavia, cresciuto l’interesse verso le società moderne europee che
avevano reso possibile un enorme progresso delle scienze e delle tecniche, nel baku-
matsu ᐀ᧃ si ebbe inizio dell’apprendimento anche dell’inglese e di altre lingue
europee ed il campo degli studi fu esteso alle discipline umanistiche e sociali. A questo
riguardo, a dire il vero, il diffondersi delle conoscenze anche se solo nel campo delle
scienze tecniche e naturali aveva avuto col tempo inevitabilmente una sua influenza nel
settore dell’ideologia, ma il pensiero illuministico dei cultori di studi olandesi (rangakusha
⯗ቇ⠪2034) o, meglio, degli occidentalisti (yŇgakusha ᵗቇ⠪2035) aveva finito per restare
schiacciato sotto le repressioni shogunali (p.es. Bansha no goku ⱄ ␠ ߩ ₐ lett.
carcerazione dell’associazione barbara, 1839).
Ciò che venne effettivamente studiato ed accettato con il nome di rangaku ⯗ቇ e
yŇgaku ᵗቇ furono le tecniche e le conoscenze scientifiche occidentali nei loro svilup-
pi pratici (jitsugaku ታቇ lett. scienze immediatamente utilizzabili a scopo pratico). Se
alcuni han ⮲ riuscirono a sanare le loro situazioni finanziarie (ψ§44), ciò fu dovuto in
buona parte all’applicazione positiva degli studi occidentali (yŇgaku ᵗቇ) sulla produ-
zione.
In breve, l’introduzione della civiltà occidentale nel bakumatsu ᐀ᧃ fu un tentativo
di trapiantare nella società tradizionale del Giappone le scienze naturali e le moderne
tecniche, specie quelle militari, europee e nordamericane. Le seguenti parole ben note di
Sakuma ShŇzan (ਭ㑆⽎ጊ 2036 1811-1864), cultore di studi sia confuciani che
occidentali e precursore della formazione del Giappone moderno, lo testimoniano
eloquentemente: « TŇyŇ no dŇtoku. SeiyŇ no geijutsu ». (᧲ᵗᓼ ᵗ⧓ⴚ2037 lett.
279
etica orientale, arti occidentali), parole con cui ShŇzan ⽎ጊ incoraggiava a unire lo
spirito orientale e le tecniche occidentali.
ޣVALUTAZIONE GENERALMENTE ACCETTATA ޤLe scienze e la
tecnologia del Giappone d’oggi, tuttavia, non possono dirsi frutto della tradizione del
rangaku ⯗ቇ e yŇgaku ᵗቇ del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ), in quanto a
partire dall’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ 1868-1912) le scienze ad altissimo livello
vennero importate ex-novo direttamente dall’Occidente (ψ§65). Si deve riconoscere,
comunque, che se il Giappone nell’età moderna e contemporanea ha avuto un buon
successo in questa operazione di trapianto, lo deve anche alla buona preparazione del
terreno effettuata durante il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) dai cultori della
materia.
280
scuola (privata), e come tale non è detto che anche nell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ avessero a
che fare con i tera ኹ . Difatti, la stragrande maggioranza (circa l’80%) dei
maestri-gestori di terakoya ኹሶደ erano rŇnin (ᶉੱ2041 bushi senza signore, quindi
senza stipendi ψ§41), medici, sacerdoti shintoisti e soprattutto chŇnin ↸ੱ2042.
Si dice che verso la fine dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ ci fossero a livello nazionale ben
oltre diecimila terakoya ኹሶደ e che sempre intorno alla metà del XIX secolo il tasso
di ‘scolarizzazione’ avesse raggiunto il 40% per i ragazzi e il 10% per le ragazze.
Da ultimo, nell’età successiva sia i terakoya ኹሶደ che i gŇgaku ㇹቇ vennero
riorganizzati e incorporati nel moderno sistema scolastico insieme con tutti gli altri tipi
di istituti d’istruzione. (ψ§65)
ܱᛖƁƔ 䎮䎸䎱䎧䎲䎮䎸 ᛠ Ɣ 䎮䎤䎮䎬䎮䎸䎧䎤䎶䎫䎬䎥䎸䎱 ƖɦƠ૨
䎭䎬䎷䎶䎸䎪䎲䎮䎼䒎ƀܱ
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ੱ ⢈ ਇ ⾆
ࠠࠟ
contributo inestimabile alla diffusione dello spirito confuciano. Inizia con le quattro
࠾
ࠞ
Yama takaki ga yue ni tŇtokarazu. Ki aru o motte tŇtoshi to nasu. (kundoku ⸠⺒)
એ ᥓ ὑ ⾆
એ ᮸ ὑ ⾆
ԟ Ԟ ԝ ԡ Ԡ
ጊ㜞߈߇ߦ⾆߆ࠄߕޕ᮸ࠆࠍએߞߡ⾆ߒߣὑߔޕ
䏓࠹
䏓࠹
(kakikudashibun ᦠ߈ਅߒᢥ)
࡞ࡥ
࡞ࡥ
Se le montagne sono nobili, non è perché sono alte, ma perché hanno gli alberi.
ࠬ
ࠪ࠻
ੱ⢈ࠁࠆ߇ߦ⾆߆ࠄߕޕᥓࠆࠍએߞߡ⾆ߒߣὑߔޕ
Se le persone sono nobili, non è perché ingrassano, ma perché hanno intelletto.
281
nella mente dell’autore il terakoya sia scritto ኹዊደ2043 (lett. modesta costruzione
facente parte di o annessa a un tempio buddista), errore che può essere constatato
anche presso non pochi giapponesi.
282
masse, motivo per cui diversamente da quanto era accaduto sia in Cina che in Corea,
dove il jukyŇ ఌᢎ rimaneva confinato alla classe dirigente, nel Giappone Tokugawa
esso era praticato a livello di tutto il popolo nella vita di tutti i giorni.
d’una vasta popolarità grazie alla produzione in serie a minor costo resa possibile
dall’introduzione della tecnica silografica ad opera di Hishikawa Moronobu (⪉ᎹᏧት
2059 1618-1694). La vendita a prezzo contenuto realizzata grazie alla stampa fu un
283
anche tale connotazione.)
L’ukiyoe ᶋ⛗ arrivò alla massima fioritura sotto la cultura Kasei (Kasei bunka
ൻᢥൻ2062). Uscirono le prime stampe multicolori, dette specificamente nishikie ㍪
⛗2063, per merito di Suzuki Harunobu (㋈ᧁᤐା2064 1725-1770), creatore di figure
muliebri che sembrano uscire dal mondo delle fiabe o, con un esempio dei nostri tempi,
dai cartoni animati di Walt Disney, e, dopo Kitagawa Utamaro (༑ᄙᎹ㤚2065 1753-
1806) ben noto anche fra gli stranieri, in particolare per le opere (dette bijinga ⟤ੱ↹
2066 lett. disegni di belle donne) che raffigurano donne solitamente lascive, si ebbero
due grandi ukiyoeshi (ᶋ⛗Ꮷ2067 lett. maestri di ukiyoe) brillanti soprattutto quali
paesaggisti: Katsushika Hokusai (⪾㘼ർᢪ2068 1760-1849) e AndŇ Hiroshige (⮮ᐢ
㊀2069 1797-1858; chiamato anche Utagawa Hiroshige Ꮉᐢ㊀2070; Utagawa Ꮉ:
cognome del suo maestro). Fra le opere che costoro ci hanno lasciato, si segnalano le
note serie, rispettivamente di Fugaku sanjşrokkei (䇺ንᎪਃච᥊䇻2071 it. Le trentasei
vedute del monte Fuji, 1828) e TŇkaidŇ gojşsantsugi (䇺᧲ᶏචਃᰴ䇻 2072 it. Le
cinquantatré stazioni del TŇkaidŇ, 1833 ψ§43).
< Ukiyoe e pittura francese > Nella seconda metà del XIX secolo dopo la fine
dell’isolamento nazionale (sakoku ㎮࿖2073), una gran mole di ukiyoe ᶋ⛗ venne
portata in Europa e negli USA. È noto che esercitarono influenza sugli impressionisti
francesi: uno dei casi di contributo offerto in passato dalle arti giapponesi a quelle
occidentali unitamente a quelli delle porcellane e delle lacche (shikki ṭེ2074).
ޣPITTURA DECORATIVA DEL RINPA ޤC’era poi una corrente, detta Rinpa
(℘ᵷ2075 lett. scuola Rin, it. scuola Rinpa), che ebbe inizio con Tawaraya SŇtatsu (ୈደ
284
ቬ㆐2076 ?-1643), culminando nel Genroku jidai (రᤨઍ2077 1688-1704) con Ogata
KŇrin (የᒻశ℘2078 1658-1716). Si tratta di un filone le cui opere furono elaborate
stilisticamente e come tali altamente decorative, motivo per cui vengono chiamate
sŇshokuga (ⵝ㘼↹2079 lett. pittura decorativa). Si suol dire che la proprietà decorativa
considerata la vera essenza della pittura giapponese sin dallo yamatoe (ᄢ⛗ ψ§24) si
manifestò appieno con Ogata KŇrin የᒻశ℘.
Le opere della scuola Rinpa ℘ᵷ sono rappresentate delle seguenti due di KŇrin
శ℘: KŇhakubaizu byŇbu (䇺⚃⊕᪢࿑ዳ㘑䇻2080 lett. paravento recante disegni di fiori di
ume [᪢2081 ψ§16] rossi e bianchi, inizi XVIII sec.) e Kakitsubatazu byŇbu (䇺ῆሶ⧎࿑ዳ
㘑䇻2082 lett. paravento con disegni di iris, ?).
ޣATMOSFERA POETICA DELLA PITTURA DEI LETTERATIޤNella
seconda metà dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ sorse il cosiddetto bunjinga (ᢥੱ↹2083 lett.
pittura dei letterati), disegni cioè eseguiti dai letterati quale seconda attività o per diporto,
e siccome le opere di questo filone seguono stilisticamente la tradizione meridionale
cinese, vengono chiamate anche nanga (ධ↹2084 lett. pittura del sud) e sono permeate
di una atmosfera soave e poetica.
La massima opera frequentemente citata è il ChŇbenzu (䇺㊒ଢ࿑䇻2085 lett. disegno
sulla comodità di pescare) di Ike no Taiga (ᳰᄢ㓷2086 1723-1776), uno di una serie di
disegni chiamata JşbenjşgijŇ (䇺චଢචቱᏝ䇻2087 lett. quaderno di dieci comodità e dieci
agi, 1771), dipinta in collaborazione da Ike no Taiga ᳰᄢ㓷 e Yosa Buson (ਈ⻢⭢
2088 1716-1783 ψ§51).
285
ጊᔕ2089 1733-1795) con il suo SesshŇzu byŇbu (䇺㔐᧻࿑ዳ㘑䇻2090 lett. paravento
con disegni di pini sotto la neve, 1765) e Shaseizukan (䇺౮↢࿑Ꮞ䇻2091 lett. rotolo di
illustrazioni disegnati dal vero). La sua scuola, chiamata Maruyamaha (ਣጊᵷ2092 lett.
scuola Maruyama), ebbe molti seguaci soprattutto a KyŇto ੩ㇺ.
PRODOTTI DEL- Si è già detto che nel periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) sorsero
L’ARTIGIANATO o si affermarono qua e là prodotti tipici regionali (ψ§43). Tanto
per citare solo alcuni degli oggetti più pregiati di produzione artigianale c’erano
porcellane di Arita (Aritayaki ↰2093; Arita ψcarta 3), tessuti di seta chiamati
nishijin’ori 㒯❱2094 di KyŇto ੩ㇺ, tinture yşzenzome ᨴ2095 pure di KyŇto
੩ㇺ, lacche (shikki ṭེ2096) di Wajima (Wajimanuri ベፉႣ2097; Wajima ψcarta 9).
Un paio di esempi frequentemente citati di oggetti singoli: scatola-custodia del-
l’occorrente per scrivere, chiamata suzuribako ⎮▫2098, di cui sono celebri gli esemplari
di Hon’ami KŇetsu (ᧄ㒙ᒎశᖝ2099 1558-1637), artista assai versatile e di Ogata
KŇrin (የᒻశ℘ 1658-1716), personaggio centrale della scuola pittorica Rinpa ℘ᵷ.
Altri esempi sono vasi-contenitori per le foglie del tè in porcellana, chiamati chatsubo ⨥
ᄃ2100, di Nonomura Ninsei (㊁ޘੳᷡ2101 ?-?), ceramista.
286
᧦ችᥓੳⷫ₺2104 chiamato anche Katsura no miya ᩵ች2105 1597-1629). In una
perfetta armonia con un vasto giardino di tipo chisen kaiyşshiki teien (ᳰᴰ࿁ㆆᑼᐸ
2106 lett. giardino con laghetti e sorgenti intorno a cui andare a zonzo), è l’ultimo
2104 Ha/chi/jŇ/ no/ miya/ Toshi/hito/ shin/nŇ 41/10 ᧦ 391/564 ች 419/721 ᥓ 1416/2099 ੳ
1346/1619 ⷫ 381/175 ₺ 499/294
2105 Katsura/ no/ miya ᩵ 1158/2109 ች 419/721
2106 chi/sen/ kai/yş/shiki/ tei/en ᳰ 548/119 ᴰ 902/1192 ࿁ 64/90 ㆆ 728/1003 ᑼ 185/525 ᐸ 560/1112
412/447
2107 Higashi/yama/ bun/ka ᧲ 11/71 ጊ 60/34 ᢥ 136/111 ൻ 100/254
2108 Nik/kŇ/ TŇ/shŇ/gş ᣣ 1/5 శ 417/138 ᧲ 11/71 ᾖ 1072/998 ች 419/721
2109 uki/yo ᶋ 1047/938 152/252
2110 dozŇ/zukuri 316/24 ⬿ 429/1286 ㅧ 460/691
2111 En/kş 2/13 ⓨ 233/140
287
§55. Vita quotidiana e varie
288
la sua quantità giornalmente consumata a Edo ᳯᚭ che vantava, come abbiamo detto
più volte, oltre un milione di abitanti.
Il riso proveniente dagli han ⮲ circostanti non era però sufficiente a sfamare la sua
popolazione. Occorreva dipendere anche da quel riso che affluiva ad ņsaka ᄢဈ da
ogni parte del Giappone per essere poi venduto sul mercato di quella città (ψ§43). È
da dire che per quanto riguarda l’alimento base, diversamente dalle risorse idriche,
l’approvigionamento di Edo ᳯᚭ era alquanto precario.
Quanto agli altri generi alimentari (verdure e prodotti del mare) ed ai combustibili
(legna e carbone vegetale) di consumo giornaliero, ebbe inizio, intorno a Edo ᳯᚭ, la
loro produzione a scopo di commercializzazione. Della loro distribuzione poi, se ne
occuparono organizzazioni appositamente create.
289
inaccettabili, la città di Edo ᳯᚭ dotata di un ottimo ecosistema riuscì così a man-
tenersi senza dubbio pulita e igienica.
VITA DEL- ޣVITA DEI BUSHI ޤFacciamo prima lo schizzo di come i daimyŇ
LA GENTE ᄢฬ passavano mediamente tutta la loro vita dalla nascita alla morte.
Esaminiamo poi più da vicino un anno della loro vita, e specificatamente di quella di
Ikeda Mitsumasa (ᳰ↰శ2119 1609-1682), capo (hanshu ⮲ਥ2120 lett. capo di uno
han, in sostanza sinonimo di daimyŇ ᄢฬ) dello han ⮲ di Okayama (Okayama han ጟ
ጊ⮲2121 ψcarta 5) e stimato promotore di un governo illuministico-umanitario (bunchi
2116 Ka/ji/ to/ ken/ka/ wa/ E/do/ no/ hana Ἣ 432/20 32/80 ߣ༗ non reg./non reg.ན non reg./non
reg. ߪᳯ 517/821 ᚭ 342/152 ߩ⪇ 807/1074
2117 Mei/reki/ no/ tai/ka 84/18 ᥲ 1793/1534 ߩᄢ 7/26 Ἣ 432/20
2118 i/ro/ha/gumi/ machi/bi/keshi ࠈߪ⚵ 189/418 ↸ 114/182 Ἣ 432/20 ᶖ 336/845
2119 Ike/da/ Mitsu/masa ᳰ 548/119 ↰ 24/35 శ 417/138 50/483
2120 han/shu ⮲ 1566/1382 ਥ 91/155
2121 Oka/yama/ han ጟ 370/non reg.ጊ 60/34 ⮲ 1566/1382
290
seiji ᢥᴦᴦ2122) secondo lo spirito confuciano, e infine vediamo la vita di un bushi
ᱞ჻ subalterno.
< daimyŇ > Il corso della vita dalla nascita alla morte di un daimyŇ ᄢฬ può
essere illustrato rapidamente attraverso le seguenti tappe principali: all’età di circa dieci
anni veniva presentato allo shŇgun ァ. Compiuti quindici anni circa, lo si festeggiava
per aver raggiunto la maggior età. Quasi contemporaneamente gli veniva regalato dalla
corte (chŇtei ᦺᑨ) di solito il quinto rango (goi 2123) che come tale l’annoverava nel
rango dell’aristocrazia, seppure di bass’ordine. Quando aveva poi all’incirca ventun anni,
subentrava al padre e dopo aver trascorso poco più di trentacinque anni in veste di
daimyŇ/hanshu (ᄢฬ/⮲ਥ) la sua vita si concludeva in media all’età di poco oltre
sessant’anni.
In obbedienza all’istituzione del sankin kŇtai (ෳൕઍ2124 residenze alternate ψ
§41) Mitsumasa శ partiva da Okayama ጟጊ verso il 10 marzo, arrivando a Edo
ᳯᚭ dopo circa 20 giorni di viaggio. L’anno seguente lasciava Edo ᳯᚭ di regola in
aprile e faceva ritorno ad Okayama ጟጊ il mese successivo.
Durante l’anno in cui gli toccava risiedere a Edo ᳯᚭ il ciclo della sua vita si
svolgeva press’a poco nel modo che segue: a Capodanno riceveva i suoi sudditi al
servizio Edozume (ᳯᚭ2125 servizio da prestare a Edo) che gli presentavano gli
auguri di buon anno. Il 2 gennaio si recava al castello di Edo (EdojŇ ᳯᚭၔ2126, oggi
kŇkyo ⊞ዬ2127 residenza del tennŇ ᄤ⊞), sede shogunale, a presentare a sua volta gli
auguri di buon anno allo shŇgun ァ. Successivamente andava in visita tra alcune
decine di alti dignitari del bakufu ᐀ᐭ a rendere loro osseguio.
Oltre ai primi giorni del nuovo anno, anche il 1°, il 15 e il 28 di ogni mese, nonché
in occasione di certe festività, per un totale di una cinquantina di volte l’anno, si
presentava al castello di Edo (EdojŇ ᳯᚭၔ) per essere ricevuto in udienza dallo shŇgun
ァ. Inoltre, gli capitava ogni tanto di accompagnare lo shŇgun ァ quando questi si
recava, per le funzioni, a certi istituti religiosi, tra cui il TŇshŇgş ᧲ᾖች2128, santuario
shintoista dedicato a Ieyasu ኅᐽ, capostipite della famiglia Tokugawa (Tokugawashi,
291
Tokugawauji ᓼᎹ᳁). Agli affari relativi al suo proprio han ⮲ doveva sì riservare
notevole numero di ore, ma una maggiore percentuale del suo tempo era dedicato a
diverse prestazioni, come quelle sopraccitate, nei confronti dello shŇgun ァ in quanto
suo suddito.
In maggio, non appena tornato allo han ⮲ di Okayama (Okayama han ጟጊ⮲),
riceveva tutti i suoi sudditi. Gli affari ordinari di cui doveva occuparsi non erano pochi:
autorizzazione o meno di successioni, di ritiri dal servizio, di adozioni di figli e di altre
cose simili sempre riguardanti i propri sudditi; aumenti e decurtazioni delle retribuzioni;
nuove nomine, promozioni e ritiri di mandato nell’apparato amministrativo dello han
⮲; premiazioni dei meritevoli per la pratica della virtù confuciana kŇ ቁ2129 o atti di
onestà; appelli presentati non solo dai bushi ᱞ჻ ma anche da qualsiasi abitante del
suo han ⮲; riscossioni delle imposte (nengu ᐕ⽸2130 lett. tributi annuali) e così via.
A Capodanno, per ricevere oltre ottocento suoi sudditi impiegava tutta la mattinata.
Il giorno seguente si recava al santuario TŇshŇgş ᧲ᾖች di Okayama ጟጊ, e nello
stesso giorno del 2 e il giorno successivo 3 concedeva a tutti i suoi sudditi samuraici una
fatta di carne delle gru che gli erano state regalate dallo shŇgun ァ a fine anno. In
occasione di festività e a fine anno riceveva in udienza i suoi sudditi, come egli stesso
era ricevuto dallo shŇgun ァ durante la permanenza a Edo ᳯᚭ.
Ovviamente la sua vita nel proprio han ⮲ era di gran lunga più libera e lo faceva
sentire a proprio agio. Di tanto in tanto si concedeva anche svaghi come caccia e gite di
piacere.
Mitsumasa శ era un appassionato seguace del confucianesimo (rujiao, juchiao
ఌ ᢎ giapp. jukyŇ), quindi certamente dedicava notevole ore della sua giornata
all’approfondimento di tale dottrina sia a Okayama ጟጊ che a Edo ᳯᚭ. Si sa che
persino durante il viaggio di sankin kŇtai ෳൕઍ studiava sui commentari dei testi
canonici confuciani (keiten ⚻ౖ).
< Bushi subalterno > Quanto ai bushi ᱞ჻ di gradi inferiori e alle loro giornate,
prenderemo come esempio un subalterno (di nome Asahi Bunzaemon ᦺᣣᢥᏀⴡ㐷
2131) alle dipendenze del capo vassallo dello han ⮲ di Owari (Owari han የᒛ⮲ ψ
carta 9). Quando era ancora giovane, il suo maggior compito consisteva nel montare di
guardia al castello di Nagoya (NagoyajŇ ฬฎደၔ2132; Nagoya ψcarta 9). Di norma
2129 kŇ ቁ 1249/542
2130 nen/gu ᐕ 3/45 ⽸ 1572/1719
2131 Asa/hi/ Bun/za/e/mon ᦺ 257/469 ᣣ 1/5 ᢥ 136/111 Ꮐ 477/75 ⴡ 394/815 㐷 385/161
2132 Na/go/ya/jŇ ฬ 116/82 ฎ 373/172 ደ 270/167 ၔ 638/720
292
una volta ogni nove giorni prestava detto servizio 24 ore su 24. Faceva parte delle sue
mansioni anche intervenire in aiuto in caso di emergenza (p.es. incendio). Inoltre, tre
volte al mese (il 1°, il 15 e il 26) andava dal suo diretto superiore a rendergli omaggio.
Dopo che venne promosso al rango di burocrate con il titolo di otatami bugyŇ (ᓮ⇥ᄺⴕ
2133 addetto a quanto riguardava i tatami ⇥ per la pavimentazione del castello) si
recava quasi tutti i giorni al suo ufficio, ma l’orario di lavoro terminava in mattinata.
C’erano inoltre alcune riunioni mensili a cui partecipava.
ޣVITA DEI CHņNIN ޤSi esamina la vita di un paio di chŇnin ↸ੱ che abitava
a Edo ᳯᚭ nella prima metà del XIX secolo. Il termine chŇnin ↸ੱ aveva ormai
perso il suo significato originario (ψ§41) ed era usato in quei tempi semplicemente nel
senso di abitanti non samuraici delle città.
Secondo la statistica dell’ultimo anno (1867) del periodo Tokugawa (Tokugawa jidai
ᓼᎹᤨઍ) relativa a una unità comunitaria (chŇ ↸2134) del quartire Shibuya (ᷦ⼱ oggi
uno dei quartieri più frequentati di TŇkyŇ ᧲੩) una stragrande maggioranza di chŇnin
↸ੱ (ossia 126 famiglie su un totale di 172) abitava in monolocali presi in affitto, e più
specificamente, in cosiddetto nagaya (㐳ደ2135 lett. casa lunga), ossia fabbricato assai
modesto di forma oblunga diviso in cinque-dieci minuscoli monolocali (2,7m 3,6m
o poco oltre), eretto solitamente dietro grandi negozi dall’aspetto decoroso di stile
dozŇzukuri (⬿ㅧ2136 ψ§54) costruiti lungo le strade. Risulta che gli inquilini si
occupavano dei più svariati mestieri: dalle attività commerciali o artigianali ai lavori di
fatica, servizi al bagno pubblico, pratica di massaggi o agopuntura, lavori occasionali di
qualunque genere ecc.
La statistica, in quanto tale, non parla della realtà quotidiana di questa gente.
Abbiamo peraltro un fascicolo intitolato ChşkŇshi (䇺ᔘቁ䇻2137 lett. registro degli atti
di chş ᔘ e kŇ ቁ) da cui emergono certi aspetti della loro vita. Ne citeremo un paio di
esempi. Entrambi riguardano inquilini di nagaya 㐳ደ in pieno centro di Edo ᳯᚭ.
293
gnava già piccoli compensi facendo lavoretti per i vicini di casa. All’età di 17 anni si
decise a fare il falegname. Imparò il mestiere in alcuni anni di apprendistato. Riuscì a
guadagnarsi anche clienti fissi. Bruciata la casa più volte per l’estendersi di incendi,
dovette continuamente cambiare dimora insieme con i genitori a suo carico. Senza
ammogliarsi prendeva cura dei genitori ormai vecchi. Sin dalle prime ore del mattino
era al lavoro in cantiere.
x Toyo ߣࠃ, figlia di TomigorŇ ን㇢2139. Quasi cieco il padre e malaticcia la
madre, toccava a Toyo mantenere la famiglia con lavori a cottimo (pulizie, lavori di
cucito, bucati ecc.). Prese marito, ma l’unione, poco felice, finì in divorzio. Perse l’unico
figlio. Malgrado le disgrazie che l’avevano colpita una dopo l’altra continuò a praticare
la virtù kŇ ቁ senza far mancare vitto e vestiario ai suoi genitori.
Si tratta delle pratiche esemplari del kŇ ቁ predicato dai confuciani del Giappone
Tokugawa. Ci dovrebbero peraltro essere stati anche soggetti poco raccomandabili non
registrati, in quanto tali, nel ChşkŇshi 䇺ᔘቁ䇻. Comunque sia, si vede che come si
può facilmente immaginare, una buona parte dei chŇnin-inquilini di nagaya 㐳ደ viveva
alla giornata, sempre incalzata dal bisogno di guadagnare pur di sbarcare il lunario.
294
2143 oggi Nagano-ken 㐳㊁⋵), paesino circondato dalle montagne e situato al centro
dello Honshş ᧄᎺ2144, e faremo una rapida rassegna del ciclo di un anno di vita della
sua popolazione.
x GENNAIO: Come in tutti gli altri villaggi, anche a Ogawa ዊᎹ i primi 7 giorni del
nuovo anno rappresentavano la festività (matsuri ⑂2145) più importante durante tutto
l’anno.
A Capodanno uno augurava il buon anno a tutti gli altri compaesani. In ogni
famiglia si eseguiva il tradizionale rituale shintoista.
Il 14 era l’inizio dei lavori: si andava a prendere una catasta di legna in quelle
montagne, dette iriaiyama ળጊ2146, dove tutti i compaesani erano usufruttuari per
diritto consuetudinario. Inoltre, si vangava formalmente in segno di dare il via ai lavori
dei campi.
Durante l’inverno giovani e capifamiglia si potevano rapidamente contare, perché
molto erano assenti, in quanto lavoravano altrove quali emigrati stagionali. La meta
preferita era Edo ᳯᚭ.
x FEBBRAIO: I lavori dei campi prendevano l’avvio, e con ciò gli emigrati
cominciavano a rientrare in paese.
x MARZO e APRILE: Nei semenzai si mettevano a coltura i semi di riso.
Concimazione delle risaie. Tradizionalmente il concime consisteva, come altrove,
maggiormente di erbe e fogliame tenero raccolti sulle montagne iriaiyama ળጊ.
x MAGGIO: Trapianto delle piantine di riso. Inizio della stagione dei lavori intensi
che si sarebbe conclusa soltanto con la raccolta in autunno. Di tanto in tanto venivano
celebrate feste (matsuri ⑂) tradizionali, fra cui quella primaverile per pregare la divinità
ubusunagami (↥2147 kami protettore della comunità territoriale ψ§9) un buon
raccolto.
x GIUGNO: Con la partecipazione anche dei bambini si dava la caccia agli insetti
nocivi e si eseguivano atti apotropaici per tenerli lontani. Preghiere per la pioggia in
caso di siccità. Al verificarsi di qualche malattia epidemica, si creava una bambola di
paglia su cui si faceva scendere il kami delle epidemie, quindi la si portava fin oltre il
confine del paese limitrofo.
295
x LUGLIO: Il 7 veniva celebrata la festa (matsuri ⑂) delle stelle chiamata tanabata ৾
ᄕ2148, e nello stesso giorno si dava il via ai preparativi (p.es. pulizie delle tombe degli
antenati) di una grande festività (matsuri ⑂), detta urabon ⋃⯗⋆2149 e popolarmente
obon ߅⋆, paragonabile a quella di Capodanno.
A Ogawa ዊᎹ l’urabon ⋃⯗⋆ si celebrava per quattro giorni, dal 13 al 16. La
sera del 13, dopo aver acceso un piccolo falò (mukaebi ㄫ߃Ἣ 2150 fuoco per il
benvenuto) davanti alla casa, ci si recava alle tombe degli antenati a prendere i loro
spiriti per poi accompagnarli a casa. Dopo aver trascorso tre giorni insieme con essi, il
16 si accendeva un altro fuoco (okuribi ㅍࠅἫ2151 fuoco per l’arrivederci) e li si
rimandava all’aldilà. Si trattava di un breve periodo di riposo e di ricreazione in mezzo ai
lavori pesanti ed impagnativi della risicoltura.
296
artigianali. Con l’avvicinarsi del nuovo anno ci si metteva a fare i preparativi per la
festività di Capodanno.
Si vede che la vita nelle comunità rurali era fondamentalmente regolata delle
esigenze stagionali della risicoltura (inasaku Ⓑ 2155 ). Si rileva inoltre che essa
consisteva anche nell’alternarsi, con una certa cadenza, di ke no hi (ࠤߩᣣ2156 giorno di
quotidianità) e hare no hi (᥍ࠇߩᣣ 2157 o anche ࡂߩᣣ giorno straordinario,
giorno festivo) in modo che la gente potesse ogni tanto ricreare il fisico e lo spirito
onde svolgere in buona forma i lavori dei campi.
297
di una festa (matsuri ⑂) celebrata con una lunga e pomposa processione, non molto
dissimile ai cortei carnevaleschi d’oggi, che andava in giro per le strade gremite di
spettatori e curiosi venuti anche da fuori Edo ᳯᚭ.
Verso la fine del XVII secolo, ossia nell’era Genroku (Genroku jidai రᤨઍ
1688-1704), uscirono in molte città pubblicazioni quali saijiki (䇺ᱦᤨ⸥䇻 2160 lett.
almanacco di ricorrenze), ...meisho zue (䇺ããฬᚲ࿑ળ䇻2161 lett. disegni rappresentanti
i luoghi celebri di...) e tanti altri simili. La presenza di tali ‘guide turistiche’ messe a
disposizione delle masse sta a significare che al più tardi verso l’era Genroku (Genroku
jidai రᤨઍ) la gente soleva andare in brevi gite di piacere (monomi yusan ‛ㆆጊ
2162 lett. visita turistica e gita di piacere) in diversi momenti delle quattro stagioni.
298
forma, fatta eccezione per la lunghezza della parte inferiore notevolmente accorciata
per motivi di praticità nei lavori dei campi.
La società feudale dei Tokugawa (Tokugawa hŇkenshakai ᓼᎹኽᑪ␠ળ2166) che
imponeva restrizioni in ogni settore della vita pubblica e privata non ammetteva
neanche la libertà di vestirsi a piacimento. Ciò sta a significare che malgrado l’uso
generalizzato del kosode ዊⴿ presso le abitanti in città, tale vestito doveva essere
indossato, secondo la categoria di appartenenza, diversamente combinato con
determinati altri capi di vestiario o differenziato per colori e disegni.
Riguardo, per esempio, all’abbigliamento della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻
㓏⚖), c’era il cosiddetto kamishimo (ⵛ2167 o anche ਅ lett. indumento superiore e
indumento inferiore), uniforme ufficiale dei bushi ᱞ჻, portata sopra il kosode ዊⴿ.
Assai caratteristico di forma, consisteva in kataginu (⢋2168 qualcosa come gilè dalle
spalle rigide e vistosamente rialzate) e hakama ( ⵑ 2169 una specie di calzoni
estremamente larghi).
Per quanto riguarda l’abbigliamento dei chŇnin ↸ੱ, notiamo un fenomeno che fa
spicco: man mano che miglioravano le tecniche di tintura, specie con l’avvio verso l’era
Genroku (Genroku jidai రᤨઍ 1688-1704) della tintura yşzenzome ᨴ2171, il
kosode ዊⴿ da donna diventava sempre più sfarzoso sia come colori che come disegni.
Il crescente accento posto sull’aspetto estetico si notava in particolare nelle sue maniche
che andarono difatti allungandosi vistosamente in senso verticale. Di pari passo la
cintura, detta obi Ꮺ2172, si fece assai larga (circa 30cm) e veniva annodata in forme
anche appariscenti a scopo ornamentale. Così, il kosode ዊⴿ da donna, sotto il nome
di furisode (ᝄⴿ 2173 lett. maniche che dondolano), segnò una netta tendenza ad
299
arricchirsi di elementi decorativi di un gusto riconducibile alla cultura classica ed
aristocratica.
D’altra parte, durante la seconda metà del periodo che vide ripetersi più volte
l’uscita dell’ordinanza shogunale sulla parsimonia (ken’yakurei ⚂2174 ψ§44) sorse
tra i chŇnin ↸ੱ di Edo ᳯᚭ, un nuovo senso estetico, noto come iki ☴2175.
ٟ < Iki > Ideale dei modi di essere ed agire, quindi anche del bello spirituale, dei
chŇnin ↸ੱ di Edo ᳯᚭ nella seconda metà del periodo Tokugawa (Tokugawa
jidai ᓼᎹᤨઍ). Si riferisce a modi piacevoli da esperto o da dandy (definibile
come tale secondo i canoni dei chŇnin ↸ੱ di Edo ᳯᚭ) permeati anche di una
sensualità raffinata. Il concetto contrario è yabo ㊁ 2176 , ossia modi goffi,
impacciati, poco eleganti di chi non ci sa fare. La coscienza di iki ☴ e yabo ㊁
è tuttora viva presso i giapponesi d’oggi.
300
l’ohaguro (߅ᱤ㤥2179 lett. denti neri, annerimento dei denti), ossia il costume sociale di
tingersi i denti di nero.
ٟ < Ohaguro > Ebbe inizio nell’età antica tra le donne di ceti superiori. Dal
periodo dello insei (inseiki 㒮 ᦼ 2180 1086-1179/1185) lo praticavano non
soltanto le donne ma anche gli uomini dell’alta società. Successivamente nel
periodo Muromachi (Muromachi jidai ቶ↸ᤨઍ 1338-1568/1573) le ragazze
della classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ჻㓏⚖) si tingevano i denti di nero all’età
di 9 anni e, infine, durante il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ 1600/1603-1867)
tutte le donne sposate seguivano tale costume.
La novità di particolare rilievo a questo riguardo fu questa: c’era gente che comin-
301
ciava a cibarsi della carne di animali d’allevamento dopo un lungo periodo di esclusione
di tale alimento dalla cucina, ripetiamo, sia per effetto del precetto buddhista di ‘non
privare della vita’, che per i divieti imposti degli imperatori Tenmu (Tenmu tennŇ ᄤᱞ
ᄤ⊞) e ShŇmu (ShŇmu tennŇ ⡛ᱞᄤ⊞).
Malgrado il divieto di professare il cattolicesimo e l’isolamento nazionale (sakoku
㎮࿖2189) sono riscontrabili nell’attuale cucina e nel vernacolo di Nagasaki 㐳ፒ2190
non poche tracce del nanban ryŇri ධⱄᢱℂ.
ޣGASTRONOMIA DEL PERIODO EDO ޤRiguardo al regime alimentare e i
suoi annessi e connessi, risulta che il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) si distingueva
dai suoi precedenti per i seguenti due fenomeni: pubblicazione di trattati specializzati in
gastronomia e usanza largamente seguita di consumare pasti fuori casa. Ambedue
stanno a significare che in questo periodo i cibi cominciavano ad essere consumati non
solo a scopo nutritivo, ma anche per il piacere della buona tavola, a conferma
dell’atmosfera edonistica messa in risalto da tutte le pubblicazioni in materia, della
cultura dei chŇnin (chŇnin bunka ↸ੱᢥൻ).
I manuali di culinaria oggi esistenti del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ)
ammontano ad oltre 200 tra manoscritti e testi stampati. Degna di menzione è l’opera
intitolata TŇfu hyakuchin (䇺⼺⣣⊖⃟䇻2191 lett. cento piatti rari di tŇfu [⼺⣣ lett. legumi
marci, ossia cibo ad alto contenuto proteico, ricavato dai semi di soia]). Fu accettata
assai favorevolmente dal pubblico e diede il via alla pubblicazione di una serie di Cento
piatti rari di… (… hyakuchin 䇺ãã⊖⃟䇻).
Pare che agli inizi del periodo (siamo agli inizi del XVII sec.) i pasti non si
consumassero ancora quasi mai fuori casa. Fu nella seconda metà che si vedeva aprirsi
qua e là un numero sempre maggiore di trattorie, bancarelle e simili, ed uscivano intanto
diverse edizioni di guide gastronomiche nelle quali non di rado noti ristoranti venivano
valutati e classificati in categorie a mo’ della guida Michelin o del Touring Club Italiano.
È assai probabile che certi ristoranti di lusso costituissero una specie di circolo culturale,
in quanto venivano certamente frequentati da letterati, pittori ed altri intellettuali quale
luoghi di ritrovo.
302
྾࿖ e Kyşshş Ꮊ. Da allora tale rete continuò ad essere ulteriormente migliorata
in modo da poter meglio rispondere alle esigenze politiche. Sennonché man mano che
un numero sempre maggiore di gente, specie quella di città, migliorava la propria situa-
zione economica, quindi riusciva ogni tanto a regalarsi un viaggio per motivi di culto o
per svago, le strade costruite originariamente per l’uso della classe dominante (p.es. dai-
myŇ ᄢฬ in occasione del sankin kŇtai ෳൕઍ2192 ψ§41) andavano via via assom-
mando in sé un ruolo sempre maggiore quale percorsi per pellegrinaggi (jisha sankei ኹ
␠ෳ⹚2193) e viaggi turistici (monomi yusan ‛ㆆጊ2194) da parte delle masse.
A partire da verso la metà del periodo Tokugawa (Tokugawa jidai ᓼᎹᤨઍ) non
era più raro infatti che gli abitanti della regione di Edo ᳯᚭ si recassero a pregare al
santuario di Ise (Ise sangş દෳች2195, detto anche semplicemente sangş ෳች o Ise
mairi દෳࠅ pellegrinaggio al santuaio di Ise [Ise jingş દች ψ§9]) ed
andassero con l’occasione a visitare anche KyŇto ੩ㇺ e ņsaka ᄢဈ e i loro dintor-
ni a scopo strettamente turistico, e per contro la gente del Kamigata ᣇ e delle
province ad ovest di KyŇto ੩ㇺ e ņsaka ᄢဈ, quando andavano in pellegrinaggio al
tempio ZenkŇji (ZenkŇji mairi ༀశኹෳࠅ2196) a Nagano (㐳㊁2197 ψcarta 9), facesse
volutamente una deviazione per spingersi fino a Edo ᳯᚭ.
Secondo una fonte, il numero dei pellegrini recatisi al santuario di Ise (Ise jingş દ
ች) sarebbe stato di ben 3.620.000, cifra che rappresentava quasi il 14% degli
abitanti d’allora (26.000.000) senza contare la popolazione (5.000.000 ca.) delle due
classi samuraica ed aristocratica messe insieme. L’alta percentuale (10.000 visitatori al
giorno!) fa capire quanto fosse intenso il desiderio di volersi portare a detto santuario.
ٟ Nelle note direttive Keian no o-furegaki (ᘮᓮ⸅ᦠ2198 ψ§41) del 1649 ema-
nate dal bakufu ᐀ᐭ nei confronti dei contadini si legge: « [...] Divorziate dalla
moglie [...] qualora questa [...] viaggi molto spesso per diporto [...] ». Si vede che già
nel XVII secolo c’erano coloro che viaggiavano così frequentemente da preoc-
cupare il bakufu ᐀ᐭ per eventuali cali delle entrate tributarie.
Di fronte alla voga dei viaggi le case editrice non restavano certo inoperose. Per i
303
gitanti, viaggiatori e pellegrini furono pubblicati innumerevoli namuali e prontuari che
non hanno niente da invidiare alle moderne guide turistiche. È incontestabile che nei
due campi, letterario ed artistico, furono pubblicate molte opere rinomate con tema
incentrato su viaggi rappresentate dalle seguenti due:
TŇ/kai/dŇ/chş/ hiza/kuri/ge 䇺᧲ 11/71 ᶏ 158/117 129/149 ਛ 13/28 ⤒ non reg./non reg.ᩙ 1571/2111
2199
Ძ 521/287䇻
304
CAPITOLO VI
§56. Periodizzazione della storia del Giappone nelle età moderna e contempora-
nea
Si è già detto che a partire dal 1868 si fa riferimento con un unico nengŇ ᐕภ2200
all’intero regno di un imperatore (tennŇ ᄤ⊞2201). Le età moderna e contemporanea
(kin-gendai ㄭઍ2202, o anche kindai-gendai ㄭઍઍ) si suddividono pertanto
come segue:
La descrizione del nostro testo arriverà sino al 1945 (fine del secondo conflitto
mondiale).
305
§57. Il Giappone di fronte all’invasione europea in Asia
ٟ Nel 1842 Hong Kong (㚅᷼2205 giapp. Honkon) fu ceduta in affitto (soshaku
⒅୫2206) dalla Cina all’Inghilterra in seguito alla guerra dell’oppio (Ahen sensŇ ࠕ
ࡋࡦᚢ2207 ψ§45). (È tornata alla sovranità cinese nel 1997).
ٟ Nel 1858 l’India passò alla diretta dipendenza inglese. (Indipendenza dell’India:
1947
306
bisogno di trasformare il paese, mediante la modernizzazione, in uno Stato in grado di
assicurarsi l’indipendenza e l’integrità territoriale.
A parte la politica religiosa (ψ§64), per modernizzazione s’intendeva occidentaliz-
zazione, ossia introduzione della civiltà e cultura d’Occidente. Il modello da seguire non
era più la Cina, ma bensì l’Europa e gli USA. Così, il Giappone cominciò a muovere i
primi passi verso l’occidentalizzazione, non di rado persino arrivando a passare sopra
alla propria tradizione.
2210 Go/ka/jŇ/ no/ go/sei/mon 14/7 ▎ 1943/1473 ᧦ 391/564 [ߩ] ᓮ 620/708 1743/1395 ᢥ 136/111
2211 Mei/ji/ ten/nŇ 84/18 ᴦ 181/493 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
2212 Mei/ji/ i/shin 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174
2213 Mutsu/hito/ ten/nŇ ⌬ 1844/2172 ੳ 1346/1619 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
2214 dajŇ/kan ᄥ 343/629 50/483 ቭ 225/326
2215 Mei/ji/ sei/fu 84/18 ᴦ 181/493 50/483 ᐭ 156/504
2216 TŇ/kyŇ/ sen/to ᧲ 11/71 ੩ 16/189 ㆫ 1975/921 ㇺ 92/188
307
(Meiji gannen ᴦరᐕ2217).
ٟ La restituzione del potere da parte del bakufu ᐀ᐭ alla corte (chŇtei ᦺᑨ)
non fu conclusa in modo del tutto pacifico. Vennero combattute battaglie chiama-
te nel loro insieme Boshin sensŇ (ᚍㄖᚢ2218 lett. guerra di Boshin, 1868-1869;
Boshin ᚍㄖ: una delle sessanta combinazioni di riferimento di origine cinese,
chiamate nel loro complesso eto ᐓᡰ2219, per date, ore e direzioni) tra le forze
filo-shogunali perdenti e le forze filo-imperiali vittoriose. Queste ultime erano
costituite principalmente dall’alleanza ChŇshş-Satsuma (SatchŇ rengŇ ⮋㐳ㅪว
2220).
308
con l’inizio della storia moderna e contemporanea del Giappone, quindi per coloro
per cui il Meiji ishin ᴦ⛽ᣂ inizia con la caduta nel 1854 dell’isolazionismo
(sakoku ㎮࿖), la storia movimentata del bakumatsu ᐀ᧃ2226 (ψ§45) faccia parte
della storia moderna e contemporanea del Giappone (Nihon kingendaishi ᣣᧄㄭ
ઍผ2227).
ٟ L’organo collegiale ᄥቭ istituito con la riforma Taika (Taika no kaishin ᄢ
ൻᡷᣂ2228) e lo stesso ad opera del governo Meiji (Meiji seifu ᴦᐭ) vengo-
no letti, per consuetudine, come termini, rispettivamente daijŇkan e dajŇkan.
309
Meiji (Meiji seifu ᴦᐭ) fu definito in età posteriore governo controllato dai pochi
e determinati ex-han (hanbatsu seifu ⮲㑓ᐭ2240 it. governo oligarchico [espressione
forzatamente applicata, quindi poco appropriata]).
I leaders principali del nuovo governo erano i seguenti, ed essi, come tali, ricorrono
frequentemente nella storia dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ):
310
mente distinte all’interno di ciascuna categoria e regolate secondo il principio ‘superiore
– inferiore’ (jŇge ਅ ψ§41).
Così, la vecchia organizzazione di stratificazione venne ad essere sostituita (1869 e
1871) da una nuova, notevolmente semplificata:
311
mano alla riforma fondiario-tributaria chiamata chiso kaisei (⒅ᡷᱜ2254 lett. riforma
dell’imposta fondiaria, 1873-1881).
Vennero emessi titoli fondiari, detti chiken 2255, con cui il governo, da un lato,
riconosceva sia la proprietà privata di dati appezzamenti di terreno che la facoltà della
loro cessione (cfr. Denpata eitai baibai kinshirei ↰⇌᳗ઍᄁ⾈ᱛ2256 lett. divieto
eterno di compravendita dei terreni agricoli, 1643 ψ§41) e, dall’altra, fissava il valore
del terreno in termini monetari. L’imposta fondiaria da pagare in denaro era fissata al
3% del valore del terreno.
Diversamente dall’aspettativa e dalle speranze dei coltivatori, il tributo risultò tanto
gravoso quanto lo era stato durante il periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ), con la conse-
guenza di indurre molti contadini a cedere i loro terreni. Si videro, così, moltiplicarsi
campi dati in affitto, arricchirsi ulteriormente, per contro, i proprietari terrieri già ricchi
e perdurare a lungo il rapporto ereditato dal passato di ‘superiorità – inferiorità’ fra
padrone e fittavoli.(ψ§62)
Tutte le riforme istituzionali e tutti gli sforzi del governo erano finalizzati, in fin dei
conti, all’‘arricchimento del paese e al rafforzamento delle forze armate’ (fukoku kyŇhei
ን࿖ᒝ2258 lett. paese ricco, esercito forte). Ciò appunto per creare, come si è già
detto, uno Stato in grado di far fronte alle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ᰷ᒝ
2259).
312
tendeva aumentare la produttività, favorendo la nascita e lo sviluppo industriale (shoku-
san kŇgyŇ ᱺ↥⥝ᬺ2260).
A tale scopo il governo, da un lato, introdusse macchinari tecnicamente avanzati sia
dall’Europa che dagli USA e dall’altro invitò in Giappone un gran numero di ingegneri
e tecnici europei ed americani (oyatoi gaikokujin ᓮ㓹ᄖ࿖ੱ2261 lett. stranieri impiegati
ψ§65) per il trapianto del know how di produzione. Fu sempre il governo stesso a
gestire anche arsenali, industria estrattiva, cantieri navali.
Lo stesso avvenne anche con l’industria leggera. Ne furono esempi tipici le aziende
statali, chiamate kan’ei mohan kŇjŇ (ቭ༡ᮨ▸Ꮏ႐2262 lett. stabilimenti modello di ge-
stione statale), nel settore tessile costruite con l’intento che i privati le prendessero a
modello di introduzione del moderno sistema di produzione.
ٟ L’esempio più noto e tuttora esistente dei kan’ei mohan kŇjŇ ቭ༡ᮨ▸Ꮏ႐ è
Tomioka seishijŇ (ንጟ♻႐2263 lett. Filanda di Tomioka, 1872-presente; Tomio-
ka ንጟ ψ carta 10)
313
scrizione obbligatoria con l’emanazione dell’ordinanza di coscrizione (chŇheirei ᓽ
2268 1873). Nacquero così le forze armate (esercito e marina) equipaggiate ed organizza-
MOVIMENTO PER LA LIBERTÀ Si è già visto che il governo Meiji (Meiji seifu
E PER I DIRITTI DEL POPOLO ᴦᐭ2271) era controllato dai pochi e de-
terminati ex-han (hanbatsu ⮲㑓 2272 ψ§58) malgrado il Giuramento in cinque articoli
(GokajŇ no goseimon ▎᧦[ߩ]ᓮᢥ2273 ψ§58) di cui il primo dichiarava il rispetto
delle opinioni pubbliche. Stava crescendo il malcontento generale.
Nel 1874 Itagaki Taisuke ᧼၂ㅌഥ2274 (ψ§58) ed altri che si erano dimessi dai
loro uffici governativi per una controversia sull’opportunità o meno di costringere a
viva forza la Corea in isolamento ad aprire la sua porta (seikanron ᓕ㖧⺰ 2275 ),
sottoposero al governo il loro parere circa la creazione di un organo collegiale pubblico,
314
e ne diedero al tempo stesso divulgazione a mezzo stampa; fu l’inizio del movimento
noto come Jiyş minken undŇ (⥄↱᳃ᮭㆇേ2276 it. Movimento per la libertà e per i
diritti del popolo, 1874-1889), che verso il 1880, era divenuto un movimento a livello
nazionale.
Anche all’interno del governo, ņkuma Shigenobu (ᄢ㓊㊀ା2277 ψ§58) insisteva
sulla necessità di costituire immediatamente tale organo. Il governo, mentre lo destituiva,
prendeva pubblicamente l’impegno che la Dieta (assemblea parlamantare) sarebbe stata
riunita nel 1890, e con l’occasione si affermava la leadership politica del gruppo ex-
Satsuma han ⮋⮲ ed ex-ChŇshş han 㐳Ꮊ⮲ raccoltosi intorno a ItŇ Hirobumi
(દ⮮ඳᢥ2278 ψ§58).
Fissata la data, furono formati i partiti politici, fra cui il JiyştŇ (⥄↱ౄ2279 Partito
Liberale, 1881-1884, 1890-1898) di Itagaki ᧼၂ e il Rikken kaishintŇ (┙ᙗᡷㅴౄ2280
Partito Riformatore Costituzionale, 1882-1896) del suddetto ņkuma ᄢ㓊, ma fra
l’escalation dell’attivismo, specie del JiyştŇ ⥄↱ౄ, e le repressioni da parte della forza
pubblica, il movimento di Jiyş minken undŇ ⥄↱᳃ᮭㆇേ andò diminuendo d’inten-
sità.
ޣSOSTANZA DEL MOVIMENTOޤLa sostanza del Jiyş minken undŇ ⥄↱᳃ᮭ
ㆇേ non stava nei conflitti fra le forze pro e contro l’istituzione della Dieta, ma riguar-
dava tempi e modi (cioè, se procedere immediatamente o per gradi) della sua creazione,
in quanto ancora prima che sorgesse tale movimento, in pratica tutti i leaders governati-
vi erano consci della necessità di istituire, presto o tardi, un’assemblea di tipo parlamen-
tare.
PROMULGAZIONE DELLA Nel 1882, in vista dell’apertura della Dieta, ItŇ Hi-
COSTITUZIONE IMPERIALE robumi દ⮮ඳᢥ e il suo seguito partirono per
l’Europa per studiare le Costituzioni di diversi paesi. Di lì ad alcuni anni un disegno di
Costituzione venne redatto, segretamente nel palazzo imperiale, seguendo il modello
prussiano (ossia tedesco).
L’11 febbraio 1889 la Costituzione dell’impero del Giappone (Dai Nihon teikoku
kenpŇ ᄢᣣᧄᏢ࿖ᙗᴺ2281), detto comunemente Costituzione Meiji (Meiji kenpŇ ᴦ
2276 Ji/yş/ min/ken/ un/dŇ ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ᳃ 70/177 ᮭ 260/335 ㆇ 179/439 േ 86/231
2277 ņ/kuma/ Shige/nobu ᄢ 7/26 㓊 non reg./non reg.㊀ 155/227 ା 198/157
2278 I/tŇ/ Hiro/bumi દ 603/2011 ⮮ 206/2231 ඳ 802/601 ᢥ 136/111
2279 Ji/yş/tŇ ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ౄ 106/495
2280 Rik/ken/ kai/shin/tŇ ┙ 61/121 ᙗ 943/521 ᡷ 294/514 ㅴ 125/437 ౄ 106/495
2281 Dai/ Ni/hon/ tei/koku/ ken/pŇ ᄢ 7/26 ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ᙗ 943/521 ᴺ 145/123
315
ᙗᴺ2282), fu proclamata quale forma di concessione al popolo da parte dell’imperatore
(tennŇ ᄤ⊞). È vero che i poteri del tennŇ ᄤ⊞ erano fin troppo eccessivi, ma bisogna
tenere conto che si trattava della prima costituzione in Asia, e la sua proclamazione
stava a significare che rispetto ad appena venti anni prima era stato compiuto un grande
passo avanti verso la democrazia.
x Art. 14. Per gli atti qui di seguito elencati la moglie necèssita di consenso
del marito: [...]
x Art.749. Contro la volontà del capofamiglia i familiari non hanno facoltà di
eleggere il domicilio.
[...]
x Art.772. Per contrarre matrimonio i figli necessitano del consenso dei
genitori [...].
INIZIO DEI LAVORI AL- La Dieta imperiale (Teikoku gikai Ꮲ࿖⼏ળ2287) si arti-
LA DIETA IMPERIALE colava in Camera dei Pari (Kizokuin ⾆ᣖ㒮2288) e Ca-
316
mera dei Rappresentanti (Shşgiin ⴐ⼏㒮2289).
I seggi della Camera dei Pari (Kizokuin ⾆ᣖ㒮) furono riservati ai kŇzoku (⊞ᣖ
membri della famiglia imperiale), a quasi tutti i kazoku (⪇ᣖ, ossia ex-kuge ኅ ed
ex-daimyŇ ᄢฬ) e a coloro nominati direttamente dall’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) nell’am-
bito di talune categorie ristrette.
Per la Camera dei Rappresentanti (Shşgiin ⴐ⼏㒮) vennero indette le prime
elezioni nel 1890. L’elettorato attivo fu dato soltanto all’1,1% dei cittadini, in quanto
limitato ai maschi al di sopra dei 25 anni d’età a condizione che fossero contribuenti
oltre una certa somma di imposte dirette.
Nel novembre dello stesso anno delle elezioni veniva convocata la sessione inaugu-
rale.
L’obiettivo della politica estera stava, innanzi tutto, nella revisione dei trattati ine-
guali (fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂2290) firmati dal Tokugawa bakufu ᓼᎹ᐀ᐭ2291 con i
paesi occidentali e, in un secondo tempo, nell’assicurare la propria presenza in Corea da
dove poi espandersi sul continente asiatico all’insegna di ‘invece di restare solidale con
gli altri popoli asiatici di fronte alla politica colonialistica europea, agire nei loro riguardi
come se fosse una potenza occidentale’, politica chiamata datsua nyşŇ (⣕᰷2292 lett.
evadere dall’Asia ed entrare in Europa).
317
ᱜ2294 lett. revisione dei trattati), ma invano, perché esso non veniva riconosciuto dalle
potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ᰷ᒝ) su un piano di parità.
Il cammino per la revisione fu oltremodo spinoso, pietoso e persino umiliante. Lo
sforzo finalizzato ad accattivarsi le simpatie delle potenze e a dimostrare a che punto il
Paese si trovasse con la modernizzazione-occidentalizzazione, fu spinto fino all’iniziati-
va di costruire appositamente un palazzo in stile occidentale (Rokumeikan 㣮㡆㙚2295
lett. palazzo del daino che bramisce, 1883-1945; opera di J. J. Conder ࠦࡦ࠼࡞, archi-
tetto inglese ψ§70) nel quale intrattenere i corpi diplomatici con feste da ballo e con-
certi, da organizzarsi come esigeva la tradizione europea.
318
ภઙ 2303 lett. caso della Normanton) Un numero crescente di giapponesi
indignatosi di fronte all’ingiustizia, cominciò a chiedere ad alta voce la revisione dei
trattati ineguali (fubyŇdŇ jŇyaku ਇᐔ╬᧦⚂).
GUERRA SINO-GIAP- Arrogante con i paesi asiatici al pari delle potenze occi-
P O N E S E 18 9 4 - 1 8 9 5 dentali (seiŇ rekkyŇ ᰷ᒝ2308) verso l’Asia, nel 1876 il
Giappone aveva imposto alla Corea in isolamento, forzando le sue porte, un accordo
ineguale (NitchŇ shşkŇ jŇki ᣣᦺୃᅢ᧦ⷙ2309 lett. Articoli d’amicizia nippo-coreana)
simile a quelli che aveva subìto dalle potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ᰷ᒝ), e da
quel momento cercò di affermarsi in Corea per fronteggiare l’invesione occidentale in
Asia.
Naturalmente ciò non piaceva affatto alla Cina che aveva tradizionalmente consi-
derato la Corea un paese soggetto alla propria autorità. L’esito fu la guerra già citata:
Nisshin sensŇ (ᣣᷡᚢ 1894-1895).
Uscitone vittorioso, il Giappone fece riconoscere, con il Trattato di Shimonoseki
(Shimonoseki jŇyaku ਅ㑐᧦⚂2310, 1895; Shimonoseki ਅ㑐 ψcarta 5), l’indipendenza
319
della Corea, ossia la rinuncia da parte cinese ad ogni pretesa sulla Corea. Ottenne,
inoltre, la penisola del Liaodong (Liaodong bandao, Liaotung pan-tao ㆯ᧲ඨፉ2311
giapp. RyŇtŇ hantŇ ψcarta 11), Taiwan (T’aiwan บḧ2312 giapp. Taiwan ψcarta 11)
ed altre isole minori, nonché una forte indennità corrispondente ad oltre tre annualità di
entrate dello Stato giapponese d’allora. Una buona parte del bottino in denaro fu
impiegato per ulteriori potenziamenti delle forze armate con la conseguenza di accele-
rare l’industrializzazione.
ޣINTERVENTO TRIPARTITOޤLa Russia, tuttavia, che mirava ad espandersi
verso sud, non tollerò la presenza del Giappone sul continente, e insieme con Francia e
Germania esigette dal Giappone la restituzione della penisola del Liaodong (Liaotung
ㆯ᧲ඨፉ giapp. RyŇtŇ hantŇ) alla Cina, atto chiamato Intervento tripartito (Sangoku
kanshŇ ਃ࿖ᐓᷤ2313 lett. Ingerenza dei tre Stati, 1895). Il giovane impero, non ancora
considerato un loro pari a pieno titolo, si vide costretto a piegarsi.
GUERRA RUSSO- D’altra parte, emersa agli occhi delle potenze occidentali (seiŇ
GIAPPONESE rekkyŇ ᰷ᒝ) la debolezza della Cina dei Qing (Ch’ing ᷡ
giapp. Shin) in seguito alla perdita della guerra, tale Paese che fino allora era stato
temuto quale ‘leonessa dormiente’ (nemureru shishi ⌁ࠇࠆₑሶ2314) si ridusse ad essere
considerato ‘oggetto di spartizione’. Fatto sta che era in pieno corso l’imperialismo
(teikokushugi Ꮲ࿖ਥ⟵2315) delle potenze.
La Manciuria (ψcarta 11) fu invasa massicciamente dai russi che si proponevano di
avanzare dalla Manciuria in Corea, contrariamente al Giappone che mirava ad assicurar-
si prima la Corea e da lì espandersi in Manciuria per avere mercato e fonti di materie
prime.
Gli inglesi, poi, si sentirono minacciati dalla pressione russa proveniente da nord e
pensarono di utilizzare la forza bellica giapponese per bloccare l’espansione dei russi.
Così, su una comune base anti-russa fu firmata l’Alleanza anglo-giapponese (Nichiei
dŇmei ᣣ⧷ห⋖2316 1902-1921).
Un’azione ostile da parte del Giappone a Port Arthur (Lushun, Lushun ᣏ㗅2317,
320
giapp. Ryojun), porto cinese ma affittato (soshaku ⒅୫2318) dai russi in seguito all’In-
tervento tripartito (Sangoku kanshŇ ਃ࿖ᐓᷤ), fu l’inizio della guerra russo-giapponese
(Nichiro sensŇ ᣣ㔺ᚢ2319 1904-1905). Ma, passato un anno, malgrado l’avanzata
vittoriosa, il Giappone era già all’estremo delle forze. Anche la Russia, dal canto suo,
non era in condizione di poter continuare la guerra per l’insorgere in casa propria dei
moti rivoluzionari.
In occasione della vittoria schiacciante dei giapponesi sulla flotta baltica zarista
(Baruchikku kantai ࡃ࡞࠴࠶ࠢ⦘㓌2320) ritenuta la più potente del mondo d’allora
(Nihonkai kaisen ᣣᧄᶏᶏᚢ2321 lett. battaglia navale nel Mar del Giappone, 1905) fu
negoziata la pace a Portsmouth, USA, tramite i buoni uffici interposti dal presidente
americano T. Roosevelt (࡞࠭ࡌ࡞࠻ 1858-1919).
Con il Trattato di Portsmouth (PŇtsumasu jŇyaku ࡐ࠷ࡑࠬ᧦⚂2322 1905) la
Russia cedeva al Giappone i diritti di cui essa fruiva nella penisola cinese del Liaodong
(Liaodong bandao, Liaotung pan-tao ㆯ᧲ඨፉ giapp. RyŇtŇ hantŇ), la parte meridio-
nale della ferrovia mancese (Minami Manshş tetsudŇ ධḩᎺ㋕2323 di solito chiamato
in abbreviazione Mantetsu ḩ㋕) insieme con i diritti di sfruttamento delle miniere nella
zona da essa attraversata, la metà meridionale dell’isola di Sakhalin (giapp. Karafuto ᮹
ᄥ2324) ecc. Inoltre, la Russia rinunciava ad ogni mira sulla Corea, riconoscendovi la su-
premazia del Giappone. Fu segnata così la fine dell’espansione russa nell’Asia orientale.
ޣALLIEVO FEDELE DELL’IMPERIALISMO EUROPEOޤI leaders dei mo-
vimenti nazionalistici asiatici considerarono la vittoria giapponese sulla Russia come
l’equivalente di una vittoria dell’Asia sull’Europa o, meglio, un trionfo della razza di
colore su quella bianca, in quanto il colonialismo europeo era spinto non soltanto dalla
necessità di materie prime e mercato, ma anche dal razzismo. Essi videro nel Giappone
l’incoraggiatore e liberatore, ma il Giappone non seppe più fare altro che comportarsi
come discepolo fedelissimo dell’imperialismo europeo (datsua nyşŇ ⣕᰷2325 lett.
evadere dall’Asia ed entrare in Europa).
D’altro canto, i giapponesi, che soffrivano di un complesso d’inferiorità nei con-
321
fronti degli occidentali, si sentivano ormai superiori agli altri popoli asiatici in seguito ai
successi militari e la crescita economica.
322
Furono introdotte man mano anche macchine a vapore. Coincide così, intorno ai
tempi della guerra sino-giapponese del 1894-1895 (Nisshin sensŇ ᣣᷡᚢ2334) quella
che può chiamarsi una rivoluzione industriale di primo livello (dai ichiji sangyŇ kakumei
╙৻ᰴ↥ᬺ㕟2335).
Dopo tale guerra, utilizzando parte dell’indennità di guerra, il governo costruì uno
stabilimento siderurgico, lo Yawata seitetsujo (ᐈ㋕ᚲ2336 lett. azienda siderurgica
Yawata, 1901; Yawata ᐈ oggi parte di Kita Kyşshşshi ർᎺᏒ2337 ψcarta 3),
facendo così sviluppare soprattutto un’industria pesante mirata a scopi bellici.
ޣINQUINAMENTO INDUSTRIALEޤCon l’industrializzazione portata avanti
energicamente sin da quest’epoca si era affacciato il problema dell’inquinamento indu-
striale.
Alla vigilia del XX secolo l’attività estrattiva alla miniera di rame Ashio (AshiodŇzan
⿷የ㌃ጊ2338㧧Ashio ⿷የ ψcarta 10) nella prefettura di Tochigi (Tochigi-ken ᩔᧁ⋵
2339 ψcarta 10) causava un grave inquinamento ai danni di agricoltori e pescatori, ren-
dendo perfino inabitabile un villaggio, ma con tutto questo la voce delle vittime non fu
sufficientemente ascoltata né dal proprietario della miniera, né dal governo (AshiodŇzan
kŇdoku jiken ⿷የ㌃ጊ㋶Ქઙ2340).
bellica, segnò ulteriori sviluppi (dai niji sangyŇ kakumei ╙ੑᰴ↥ᬺ㕟 2342 lett.
rivoluzione industriale di secondo livello). I motori a vapore furono soppiantati da quel-
li elettrici.
L’esito positivo raggiunto nel 1911 nella revisione totale dei trattati ineguali (jŇyaku
323
kaisei ᧦⚂ᡷᱜ2343) produceva intanto una crescita del volume d’affari con l’estero.
324
miavano: dovevano lavorare per oltre 12 ore, e a volte anche 15-16 ore al giorno, sotto
condizioni paragonabili a quelle delle detenute. Come alloggi, usufruivano di reclusori
privi delle più elementari risorse igieniche e sanitarie. La vittoria nelle due guerre e
l’esistenza grama dei veri protagonisti che a tale vittoria avevano operato erano in netto
contrasto, ma è altrettanto vero che non c’era alternativa possibile se non si voleva che
l’intero paese si riducesse alla mercé di uno spietato Occidente che imponeva la legge
della giungla (jakuniku kyŇshoku no okite ᒙ⡺ᒝ㘩ߩឌ2349 lett. legge secondo cui i
deboli sono le carni che i forti mangiano) con il suo imperialismo (teikokushugi Ꮲ࿖ਥ
⟵2350).
2349 jaku/niku/ kyŇ/shoku/ no/ okite ᒙ 819/218 ⡺ 779/223 ᒝ 112/217 㘩 269/322 ߩឌ non reg./non reg.
2350 tei/koku/shu/gi Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ਥ 91/155 ⟵ 287/291
2351 rŇ/dŇ/sŇ/gi ഭ 309/233 444/232 271/302 ⼏ 52/292
2352 ko/saku/ sŇ/gi ዊ 63/27 99/360 271/302 ⼏ 52/292
2353 Sha/kai/ min/shu/tŇ ␠ 30/308 ળ 12/158 ᳃ 70/177 ਥ 91/155 ౄ 106/495
2354 Tai/gyaku/ ji/ken ᄢ 7/26 ㅒ 857/444 32/80 ઙ 290/732
2355 Dai/ ichi/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ৻ 4/2 ᰴ 235/384 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
2356 Mei/ji/ ten/nŇ 84/18 ᴦ 181/493 ᄤ 364/141 ⊞ 964/297
325
dodici, tra cui KŇtoku Shşsui (ᐘᓼ⑺᳓2357 1871-1911), uno dei fondatori del Partito
Socialdemocratico (Shakai minshutŇ ␠ળ᳃ਥౄ). Si dice che a progettare l’attentato
fossero solo alcuni, mentre tutti gli altri, fra i quali Shşsui ⑺᳓, non ne sarebbero stati
in alcun modo implicati.
< TokkŇ > Il Taigyaku jiken ᄢㅒઙ provocò ripercussioni in più campi sotto
molteplici forme, fra cui l’istituzione (1911) di una polizia speciale detta Tokubetsu kŇtŇ
keisatsu (․㜞╬⼊ኤ2358 lett. Polizia d’alto livello speciale) con compito di controllo
dei movimenti socialisti e dell’ideologia politica. La sigla TokkŇ ․㜞 con cui era per
brevità chiamata, faceva rabbrividire solo a sentirla nominare.
Il 30 luglio 1912 moriva l’imperatore Meiji (Meiji tennŇ ᴦᄤ⊞), chiudendo una
fase che era stata la più movimentata, e nel contempo la più spettacolare e gloriosa di
tutta la storia giapponese. Gli subentrava l’imperatore TaishŇ (TaishŇ tennŇ ᄢᱜᄤ⊞
2359 r. 1912-1926).
326
di tutti i giorni. Di fronte a qualsiasi cosa, purché provenisse dall’Europa o dall’America
si esaltava, dicendo: ‘Ecco, un altro passo di civilizzazione’.
Costruire con mattoni palazzi in stile europeo (dal 1871), illuminare la strada con
lampade a gas (1872), adottare il calendario gregoriano (1872), costruire ferrovie (1872)
e via dicendo, potevano essere legittimamente considerati ciascuno un passo avanti
verso il modello occidentale, ma per la gente d’allora rappresentavano ugualmente un
incivilimento anche cose come queste: pettinarsi all’occidentale (1870) anziché portare il
chonmage ߜࠂࠎ߹ߍ (ciuffo di capelli che gli uomini portavano sulla testa nell’Edo
jidai ᳯ ᚭ ᤨ ઍ ), usare l’ombrello (kŇmorigasa ߎ ߁ ߽ ࠅ 2361 1870) invece del
karakasa ໊ (ombrello di bambù e di carta oleata), vestirsi a mo’ degli europei
(1870), mangiare pane e vitello e bere latte (1867-1872).
Alla stessa stregua era un simbolo del bunmei kaika ᢥ㐿ൻ andare in jinrikisha
(ੱജゞ2362 it. risciò), carrozzino, a dire il vero, di invenzione giapponese. Una buona
parte della fenomenologia del bunmei kaika ᢥ㐿ൻ consisteva infatti nell’imitare
pedissequamente usi e costumi occidentali. Sta di fatto che coloro che si conformavano
volentieri alle usanze europee si ritenevano ed erano ritenuti dagli altri superiori a quelli
che stentavano ad accettare le novità.
La mentalità di portare alle stelle qualsiasi cosa occidentale aveva il rovescio della
medaglia: la cultura e la civiltà giapponesi tramandate dagli antenati erano giudicate
prive di valore. Qua e là si verificarono atti di distruzione di patrimonio culturale di gran
pregio o svendita a prezzi irrisori di antiche opere d’arte.
327
rivista Meiroku zasshi (䇺㔀䇻2367 lett. rivista del 6° anno Meiji [Meiji rokunen ᴦ
ᐕ] 1874-1875) che una serie di conferenze.
Gli argomenti trattati spaziavano praticamente su tutti i campi della vita umana,
dalla politica, economia e giurisprudenza all’istruzione, usi e costumi, lingua.
ޣFUKUZAWA YUKICHIޤFu Fukuzawa Yukichi (ᴛ⻀ศ2368 1835-1901), socio
del Meirokusha ␠, a respingere recisamente le idee antiquate ed a continuare a
scuotere la gente dal torpore.
Nell’opera ben nota Gakumon no Il Gakumon no susume 䇺ቇࡁࠬࠬࡔ䇻
susume (䇺ቇ 2371 ࡁࠬࠬࡔ䇻 lett. inizia con le seguenti frasi ben note a tutti i
incoraggiamento agli studi, it. Inco- giapponesi:
raggiamento al sapere, in 17 fascicoli,
Ten wa hito no ue ni hito o tsukura zu. Hito no
1872-1876) che rappresenta le sue
shita ni hito o tsukura zu... (ᄤ2369䊊ੱ䊉䊆ੱ
pubblicazioni, egli esaltò la libertà e
䊭ㅧ2370䊤䉵ੱ䊉ਅ䊆ੱ䊭ㅧ䊤䉵㵺)
l’uguaglianza dell’uomo nonché la Il cielo non crea uomini al di sopra degli
parità dello Stato. Parlando della uomini. Non crea uomini al di sotto degli
necessità di apprendimento, definì uomini ...
gli studi condotti in Occidente nei termini di scienze immediatamente utilizzabili a
scopo pratico (jitsugaku ታቇ2372 p.es. giurisprudenza, scienze economiche, medicina,
ingegneria, in due parole scienze non umanistiche) ed esortò i connazionali a compiere
questi stessi studi. Diede, inoltre, un appoggio morale allo sviluppo dell’economia di
mercato, sostenendo che la forza nazionale poteva crescere soltanto tramite la
concorrenza e le libere transazioni tra cittadini di pari diritto.
L’opera andò a ruba. Si dice che assommasse a qualcosa come 3.400.000 copie
vendute fra i 17 fascicoli con effetti inestimabili sul grande esercito di addormen-
tati-ignoranti.
328
SHINTņ E NA- 䇼SHINTņ DI STATOޤCiò che caratterizzava il mondo religioso
ZIONALISMO durante l’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ 1868-1912), e di seguito
fino alla sconfitta (1945) nella seconda guerra mondiale (Dai niji sekai taisen ╙ੑᰴ
⇇ᄢᚢ2373 1939-1945), fu il fatto che lo shintŇ venne protetto e utilizzato dallo
Stato al fine di unire spiritualmente intorno all’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) il popolo che
era stato a lungo diviso in molti han ⮲. Tale forma di shintŇ si chiama kokka
shintŇ (࿖ኅ2374 lett. shintŇ di Stato) e consisteva sia nella deificazione del tennŇ ᄤ
⊞ che nel paragonare lo Stato ad una famiglia (kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ2375 lett. Stato
come famiglia).
ޣIMPERATORE QUALE KAMI PERSONIFICATO E STATO-FAMIGLIAޤ
La deificazione del tennŇ ᄤ⊞, ossia la sua identificazione con kami in forma
umana, non è monopolio dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ), ma risale all’età antica.
Difatti, nel Man’yŇshş (䇺ਁ⪲㓸䇻2376 ψ§11) si leggono poesie che iniziano con questa
espressione: « Giacché l’imperatore è kami, [...] » (ņkimi wa / kami ni shimase ba / [...],
ᄢำ2377ߪߦߒ߹ߖ߫ [̖]).
Poi, l’espressione kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ, significa, più precisamente, che lo Stato
giapponese è come una famiglia governata dal capofamiglia nella persona del tennŇ ᄤ
⊞. Si tratta di un’idea creatasi secondo il seguente concetto: Tutto il popolo giapponese
discende dal progenitore dei kami celesti. Visto che il tennŇ ᄤ⊞ ne è discendente
in linea diretta, egli è capofamiglia del popolo giapponese, e quindi è lui, kami
personificato (arahitogami ੱ2378 detto a volte anche aramikami ᓮ2379 ), a
governare lo Stato-famiglia (kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ) giapponese in base al mandato di
cui parlano il Kojiki 䇺ฎ⸥䇻2380 e il Nihon shoki 䇺ᣣᧄᦠ♿䇻2381. (cfr. kiki no shinwa
⸥♿ߩ 2382 ψ§10; mitogaku ᳓ᚭቇ 2383 ψ§53; fukko shintŇ ᓳฎ 2384 ψ
§53).
2373 Dai/ ni/ji/ se/kai/ tai/sen ╙ 76/404 ੑ 6/3 ᰴ 235/384 152/252 ⇇ 170/454 ᄢ 7/26 ᚢ 88/301
2374 kok/ka/ shin/tŇ ࿖ 8/40 ኅ 81/165 229/310 129/149
2375 ka/zoku/ kok/ka ኅ 81/165 ᣖ 599/221 ࿖ 8/40 ኅ 81/165
2376 Man’/yŇ/shş 䇺ਁ 96/16 ⪲ 405/253 㓸 168/436䇻
2377 Ň/kimi ᄢ 7/26 ำ 700/793
2378 ara/hito/gami 82/298 ੱ 9/1 229/310
2379 ara/mi/kami 82/298 ᓮ 620/708 229/310
2380 Ko/ji/ki 䇺ฎ 373/172 32/80 ⸥ 147/371䇻
2381 Ni/hon/ sho/ki 䇺ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 ᦠ 130/131 ♿ 930/372䇻
2382 ki/ki/ no/ shin/wa ⸥ 147/371 ♿ 930/372 ߩ 229/310 133/238
2383 mi/to/gaku ᳓ 144/21 ᚭ 342/152 ቇ 33/109
329
Tutti i jinja ␠2385, ossia i santuari shintoisti, vennero organizzati gerarchicamente.
Al punto più alto c’era l’Ise jingş (દች2386 ψ§9) dedicato alla divinità Amaterasu
Ňmikami ᄤᾖᄢ[ᓮ]2387. I sacerdoti venivano nominati dal governo. I cittadini erano
tenuti ad iscriversi ai loro jinja ␠ locali e ad assistere ai riti celebrati in tali santuari.
Lo shintŇ di Stato (kokka shintŇ ࿖ኅ) creato a scopo politico, quindi, a stretto
rigore, non più da classificare come religione, diede l’appoggio ideologico alle azioni dei
nazionalisti giapponesi destinate a segnare una sempre più vistosa ascesa nel contesto
internazionale (ψ§61, §71, §74, §75).
330
loro intrinseco valore artistico.
CRISTIA- Anche dopo l’apertura del paese (kaikoku 㐿 ࿖ 2393 ) del 1854, il
NESIMO cristianesimo continuò ad essere ugualmente bandito per una ventina
d’anni; difatti, quando furono scoperti nel 1865 nei pressi di Nagasaki 㐳ፒ2394 oltre
tremila cattolici clandestini (kakure kirishitan 㓝 2395 ࠇࠠࠪ࠲ࡦ lett. kirishitan
nascosti ψ §42), costoro vennero immediatamente sottoposti ad una stretta
sorveglianza e subirono forti pressioni perché abbandonassero la fede cristiana,
malgrado il fatto che in seguito ad una fusione avvenuta con altre religioni la loro fede
non poteva più considerarsi, a rigore, cattolica.
Il perdurare del bando al cristianesimo non fu certo visto di buon occhio dai paesi
occidentali. Il governo Meiji (Meiji seifu ᴦᐭ), da parte sua, per timore di
eventuali ripercussioni negative sui negoziati di revisione dei trattati ineguali (jŇyaku
kaisei ᧦⚂ᡷᱜ2396) si decideva nel 1873 a dare il suo tacito avallo alla evangelizzazione.
Fu in quella occasione che i missionari ripresero le loro attività, ma essi, diversamente
da quelli del secolo cristiano (kirishitan no seiki ࠠࠪ࠲ࡦߩ♿2397 metà XVI sec.-
metà XVII sec.), erano per la maggioranza protestanti.
I missionari, mentre svolgevano l’evangelizzazione, si dedicarono anche a diverse
attività che spaziavano dalla fondazione di istituti d’istruzione e dalle opere di
beneficienza e di assistenza sociale ai movimenti contro la prostituzione legalizzata (ψ
§48).
331
inglese (Waei gorinshşsei 䇺⧷⺆ᨋ㓸ᚑ䇻2400 A Japanese and English Dictionary
with an English and Japanese Index, prima edizione 1867). Il metodo di traslitterazione
in alfabeto latino del giapponese, adottato nella terza edizione (1886) del suo
dizionario si chiama comunemente hebonshiki rŇmaji (ࡋࡏࡦᑼࡠࡑሼ2401 lett.
traslitterazione in caratteri romani a mo’ di Hepburn) ed è seguito anche oggi
internazionalmente, anche se poco soddisfacente nell’ottica della fonologia giap-
ponese. Non fu lui solo ad elaborarlo, ma se viene chiamato dal suo nome, è
perché il suo vocabolario godette di ampia diffusione.
ORDINAMENTO SCOLA- È nel 1872 che venne mosso il primo passo per la
STICO E SUO SVILUPPO creazione di un moderno sistema scolastico « affinché
non ci fosse alcuna famiglia analfabeta in alcun villaggio, né alcun membro analfabeto
in alcuna famiglia ».
Con l’intento di unificare, a livello nazionale, diversi tipi di scuole esistenti fin
dall’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ (p.es. terakoya ኹሶደ2402, hankŇ ⮲ᩞ2403 ψ§53) il governo
introdusse nel 1872, sul modello francese, un’organizzazione delle circoscrizioni
scolastiche chiamata gakusei (ቇ2404 lett. sistema scolastico). Tale piano, ambizioso ed
anche ben ordinato, tuttavia, andava al di là delle possibilità del Giappone d’allora per
insufficienza di risorse sia materiali (edifici scolastici e materiali didattici adeguati) sia
umane (insegnanti all’altezza del compito) e finì col non essere messo in atto così come
era stato programmato.
È per iniziativa del ministro dell’educazione, Mori Arinori ( ␞ 2405 c.
1885-1889) che venne sistemata la struttura base d’istruzione per i periodi successivi,
dall’istruzione elementare fino al livello universitario. L’istruzione obbligatoria (varata
nel 1872 ma abbandonata) fu stabilita nel 1886 per i primi quattro anni delle elementari,
e successivamente nel 1907 venne portata a sei anni.
Agli inizi, il tasso di scolarizzazione risultava assai modesto (28,1% nel 1873), in
parte perché l’istruzione non era gratuita e in parte perché il contenuto dei materiali
didattici, importati dall’Occidente, non rispondeva alle reali esigenze della gente, ma a
332
distanza di quarant’anni, verso la fine dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ 1868-1912),
raggiunse la soglia del 100% (per l’esattezza 98,1% nel 1910).
Aumentò anche il numero di coloro che, terminata l’istruzione elementare,
continuavano a studiare presso una scuola di grado superiore. In un quarto di secolo dal
1885 al 1910, ad esempio, si moltiplicarono per ben 12 volte le iscrizioni alle diverse
scuole di istruzione secondaria esistenti tra la scuola elementare e l’università.
333
( ర ↰ ᳗ ሾ 2412 chiamato anche Motoda Eifu, 1818-1891), precettore confuciano
dell’imperatore Meiji (Meiji tennŇ ᴦᄤ⊞), venne resa pubblica, combinato con lo
shintŇ di Stato (kokka shintŇ ࿖ኅ), una serie di virtù confuciane che il popolo era
tenuto a praticare.
L’essenza del Rescritto consiste-
La settima unità d’un testo (1893) di shşshin
va, in ultima analisi, nell’esaltare la ୃり ad uso della scuola elementare iniziava
lealtà all’imperatore e il patriottismo con questa frase:
(chşkun aikoku ᔘ ำ ᗲ ࿖ 2413 ),
nonché nel ribadire la identità di chş Asa ban ni wa chichi haha no kigen o ukagau
(ᔘ lealtà al sovrano ψ§53) e kŇ beshi. (ߐ ߫ࠎ ߦ ߪࠒߪࠒߜ ޔ
ߩ ߈ߍࠎ ࠍ)ߒߴ ߰ࠓ߆߁ ޔ
(ቁ2414 devozione al padre ψ§53)
La mattina e la sera devi rendere ossequio a
(chşkŇ ippon ᔘቁ৻ᧄ2415). tuo padre e a tua madre.
Quest’ultima espressione (ossia
chşkŇ ippon ᔘቁ৻ᧄ) è un modo Il salutare rispettosamente i genitori da pic-
di esprimere, alla confuciana, l’idea coli costituiva il primo passo verso la devo-
zione per il tennŇ ᄤ⊞.
dello Stato paragonato ad una fami-
glia (kazoku kokka ኅᣖ࿖ኅ ψ §64). Significa cioè che siccome il Giappone è una
famiglia governata dal capofamiglia (ossia tennŇ ᄤ⊞), il chş ᔘ nei confronti del tennŇ
ᄤ⊞ e il kŇ ቁ verso il proprio padre sono originariamente la stessa cosa.
ޣMAESTRI SPECIALIZZATI NELL’EDUCAZIONE MORALEޤI posti da
insegnanti di ruolo delle elementari erano rigorosamente riservati ai diplomati delle
scuole normali (shihan gakkŇ Ꮷ▸ቇᩞ2416 dal 1886), sede specializzata nella pre-
parazione di maestri per l’educazione morale. Il loro compito maggiore consisteva non
tanto nell’insegnare ‘2 + 3 = 5’, ‘l’acqua bolle a 100 gradi’ o ‘il sole sorge ad est’ quanto
nel dare una ‘buona’ educazione morale in conformità del Rescritto imperiale sull’e-
ducazione (KyŇiku chokugo ᢎ⢒഼⺆).
Venivano imposti anche agli scolari atti come la lettura orale del Rescritto e l’in-
chino davanti ai ritratti fotografici appositamente esposti dell’imperatore (tennŇ ᄤ⊞) e
dell’imperatrice (kŇgŇ ⊞อ 2417 ). A tale proposito, va ricordato un episodio citato
334
frequentemente: Uchimura KanzŇ (ౝ㐓ਃ 2418 1861-1930), cristiano convinto e
docente di una scuola liceale, per essersi rifiutato di inchinarsi al Rescritto imperiale
sull’educazione (KyŇiku chokugo ᢎ⢒഼⺆), fu licenziato (Uchimura KanzŇ fukei jiken ౝ
㐓ਃਇᢘઙ2419 lett. Incidente di mancato rispetto a carico di Uchimura KanzŇ,
1891).
ޣTESTI SCOLASTICI SOTTOPOSTI A CONTROLLOޤFin dal 1886 i libri di
testo costituivano (e costituiscono tuttora) oggetto di censura da parte del ministero
dell’educazione (kyŇkasho kentei seido ᢎ⑼ᦠᬌቯᐲ2420) e successivamente, a partire
dal 1904, venne proibito ai docenti delle elementari l’uso di testi diversi da quelli curati
dal ministero stesso (kokutei kyŇkasho ࿖ቯᢎ⑼ᦠ2421 lett. libri di testo designati dallo
Stato, 1903-1948). Questi ultimi testi descrivevano la storia del Giappone iniziandola
con la mitologia del kiki (kiki no shinwa ⸥♿ߩ2422). Va da sé che era sottolineato
in modo particolare l’insegnamento confuciano di chş ᔘ e kŇ ቁ.
ޣKIMIGAYO ޤRiguardo all’educazione morale c’è un’ultima cosa cui accennare: il
Kimigayo (䇺ำ߇ઍ䇻2423 lett. il regno di sua maestà l’imperatore; grammaticalmente: kimi
ga yo), a lungo mai elevato ufficialmente al rango di inno nazionale, ma accettato come
tale de facto dai giapponesi. Si tratta della versione leggermente modificata di un waka
d’amore del Kokin [waka]shş (䇺ฎ[]㓸䇻2424 ψ§22).
Eccone le parole:
ำ߇ઍߪජઍ2425ߦජઍ2426ߦߐߑࠇ⍹2427ߩᎯ2428ߣߥࠅߡ⧡2429ߩߔ
߹ߢ
Kimigaya wa / chiyo ni yachiyo ni / sazareishi no / iwao to narite / koke no musumade
[Che il Regno di Sua Maestà possa durare a lungo fino a quando un ciottolo si
335
tramuterà in una roccia e vi crescano muschi].
ٟ Nel 1977 il ministero della pubblica istruzione ha parlato del Kimigayo 䇺ำ߇
ઍ䇻, definendolo per la prima volta quale inno nazionale. Successivamente nel
1999 il governo gli ha consacrato tale status per vie legali (Kokki kokka hŇ ࿖ᣛ࿖
ᴺ2430 lett. legge sulla bandiera nazionale e sull’inno nazionale, 1999).
Nel Giappone contemporaneo non pochi intellettuali non approvano, per
questioni ideologiche, che gli scolari cantino in coro il Kimigayo 䇺ำ߇ઍ䇻 in
occasione delle festività scolastiche.
ٟ Il waka d’amore da cui deriva il Kimigayo 䇺ำ߇ઍ䇻:
336
dello Stato’.
ޣUNIVERSITÀ IMPERIALE DI TņKYņޤFurono le università imperiali a
costituire quel nucleo di istituti d’istruzione cui venne affidato tale compito.
L’Università imperiale di TŇkyŇ (TŇkyŇ teikoku daigaku ᧲੩Ꮲ࿖ᄢቇ2432 1897 φ
Università imperiale [Teikoku daigaku Ꮲ࿖ᄢቇ], 1886 φ Università di TŇkyŇ [TŇkyŇ
daigaku ᧲੩ᄢቇ]), 1877; oggi di nuovo Università di TŇkyŇ [TŇkyŇ daigaku ᧲੩ᄢቇ])
in particolare, diede un contributo incalcolabile non soltanto come istituto di ricerca
scientifica, ma anche e soprattutto come istituto per la preparazione di burocrati di alta
dirigenza.
Per fare una brillante carriera statale non importava quale fosse l’estrazione sociale.
Anche per uno nato in una povera famiglia contadina, se riusciva a laurearsi all’Uni-
versità imperiale di TŇkyŇ (TŇkyŇ teikoku daigaku ᧲੩Ꮲ࿖ᄢቇ) per merito dei propri
sforzi, non era mai un sogno vedersi un giorno ad un posto di massima dirigenza statale.
Questo meccanismo funzionò mirabilmente in modo tale da permettere allo Stato di
assorbire nei propri organici i migliori elementi di tutti i ceti sociali.
ٟ Fino agli anni ’80 del XX secolo tra tutti gli enti giapponesi erano gli organi
esecutivi del governo centrale ad avere la parte migliore delle risorse umane.
Difatti, per un lungo periodo di circa cento anni i laureati più brillanti delle
università prestigiose, specie dell’Università di TŇkyŇ (TŇkyŇ daigaku ᧲੩ᄢቇ),
solevano cercare impiego presso i ministeri, e i ministeri non solo avevano
un’efficiente funzionalità, ma nel loro insieme costituivano persino qualcosa come
un gigantesco think tank.
Sul finire del XX secolo, tuttavia, cominciò a venire a galla una serie
interminabile di scandali attribuibili al degrado morale di alti burocrati. Per questo
agli inizi del XXI secolo è in corso una riforma ministeriale e più in generale un
rinnovamento istituzionale di ampio respiro. Tale riforma con ogni probabilità sarà
paragonato dai futuri storici alle seguenti tre grandi riforme nella storia del
Giappone: riforma Taika (Taika no kaishin ᄢൻᡷᣂ2433 VII sec.), restaurazione
Meiji (Meiji ishin ᴦ⛽ᣂ2434 lett. riforma Meiji, XIX sec.) e alla riforma del
secondo dopoguerra (sengo no kaikaku ᚢᓟߩᡷ㕟2435 XX sec.).
2432 TŇ/kyŇ/ tei/koku/ dai/gaku ᧲ 11/71 ੩ 16/189 Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ᄢ 7/26 ቇ 33/109
2433 Tai/ka/ no/ kai/shin ᄢ 7/26 ൻ 100/254 ᡷ 294/514 ᣂ 36/174
2434 Mei/ji/ i/shin 84/18 ᴦ 181/493 ⛽ 926/1231 ᣂ 36/174
2435 sen/go/ no/ kai/kaku ᚢ 88/301 ᓟ 45/48 ߩᡷ 294/514 㕟 686/1075
337
gijuku (ᘮᔕ⟵Ⴖ, 1868; oggi KeiŇ gijuku daigaku ᘮᔕ⟵Ⴖᄢቇ2436 Università KeiŇ
Gijuku) di Fukuzawa Yukichi (ᴛ⻀ศ ψ§63) e TŇkyŇ senmon gakkŇ (᧲੩ኾ㐷ቇᩞ
2437, 1882; oggi Waseda daigaku ᣧⒷ↰ᄢቇ2438 Università Waseda) fondata da ņkuma
2436 Kei/Ň/ gi/juku/ dai/gaku ᘮ 962/1632 ᔕ 413/827 ⟵ 287/291 Ⴖ 1727/1674 ᄢ 7/26 ቇ 33/109
2437 TŇ/kyŇ/ sen/mon/ gak/kŇ ᧲ 11/71 ੩ 16/189 ኾ 526/600 㐷 385/161 ቇ 33/109 ᩞ 176/115
2438 Wa/se/da/ dai/gaku ᣧ 259/248 Ⓑ 966/1220 ↰ 24/35 ᄢ 7/26 ቇ 33/109
2439 o/yatoi/ gai/koku/jin ᓮ 620/708 㓹 1419/1553 ᄖ 120/83 ࿖ 8/40 ੱ 9/1
338
Durante il primo ventennio dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ 1868-1912) il
Giappone era all’estremo suo sforzo solo per assorbire la scienza e la tecnologia
dell’Occidente. È ovvio che i giapponesi non erano ancora in grado di condurre
ricerche scientifiche originali.
È solo verso la fine del XIX secolo che il Giappone giungeva all’altezza di offrire,
nel campo delle scienze naturali, alla comunità internazionale i frutti delle sue proprie
ricerche originali.
I primi contributi di rilievo riguardavano già parecchi campi: medicina, farmacologia,
sismologia, fisica e astronomia. In generale il progresso delle scienze naturali e del-
l’ingegneria in Giappone fu dovuto, al pari dell’industrializzazione del paese, alla
protezione e incentivazione da parte dello Stato.
Nel campo delle scienze umane nei primi momenti vennero introdotti maggior-
mente studi di tradizione anglosassone, e successivamente, in occasione della stesura
della Costituzione Meiji (Meiji kenpŇ ᴦᙗᴺ2440), cominciò a prendere un netto
sopravvento la tradizione accademica tedesca.
Da ultimo, quanto agli studi tradizionali quali storia del Giappone, storia della
letteratura giapponese, studi buddhisti e confuciani, sinologia ecc. essi furono metodo-
logicamente rinnovati secondo il magistero occidentale, ma gli studi di scienze umane in
generale tendevano ad essere soggette a restrizioni, in quanto non c’era garanzia con-
tituzionale di libertà nella ricerca scientifica. (ψ§79)
Il cammino della narrativa moderna è ricco di complesse evoluzioni. Circa l’era Me-
iji (Meiji jidai ᴦᤨઍ) se ne riporta un prospetto schematico alla pagina successiva.
UNA VENTINA D’ANNI Agli inizi dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ 1868-
INIZIALI DELL’ERA MEIJI 1912), al pari del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ),
furono prodotte e fruite opere del filone gesaku (ᚨ2441 ψ§51), ma data la circostan-
za storica in cui veniva importata dall’Occidente qualsiasi cosa per essere presa a model-
lo, è evidente che entrarono e poi furono tradotte anche opere letterarie. Le versioni in
giapponese, tuttavia, non furono lette per il piacere letterario in sé, ma per acquisire
339
informazioni sugli usi e costumi occidentali. È vero che, in un secondo tempo, sorse,
accanto al gesaku ᚨ, una letteratura di natura diversa, ma siccome la sua produzione
era strettamente legata al Movimento per la libertà e per i diritti del popolo (Jiyş minken
undŇ ⥄↱᳃ᮭㆇേ2442 ψ§60), tale attività letteraria mirava a dare opere orientate
politicamente (seiji shŇsetsu ᴦዊ⺑2443 lett. narrativa a scopo politico), ossia per
diffondere idee politiche e dare impulso a detto movimento. Così, i primi vent’anni
vengono definiti da molti studiosi di storia della letteratura giapponese fondamental-
mente come periodo di continuazione della letteratura gesaku ᚨ.
e r a M E I J I ᴦᤨઍ e.TAISHƿ
1868 1877 1887 1897 1907 1912
1 Meiji 10 20 30 40 45
Jiynj minken undǀ ż Costit. Meiji guerra russo-giapp. Taigyaku jiken
ż ż ż ż
letteratura GESAKU diversi tentativi e nascita matu-
ᚨ della letteratura moderna rità
gesaku ᚨ
Ken’ynjsha ⎮␠
Ukigumo ᶋ㔕 Ŷ
naturalismo ⥄ὼਥ⟵
shishǀsetsu ⑳ዊ⺑
Tanbiha ⡓⟤ᵷ
Shirakabaha ⊕᮹ᵷ
2442 Ji/yş/ min/ken/ un/dŇ ⥄ 53/62 ↱ 376/363 ᳃ 70/177 ᮭ 260/335 ㆇ 179/439 േ 86/231
2443 sei/ji/ shŇ/setsu 50/483 ᴦ 181/493 ዊ 63/27 ⺑ 307/400
340
ᢥቇ2444)?
ޣMOTIVI RITARDANTI DELL’AVVIO DELLA LETTERATURA MO-
DERNAޤA questo punto bisogna prendere in esame quali erano e come si evolsero gli
ambienti storici in cui vivevano gli intellettuali cui spettava produrre opere letterarie.
Come si è già detto, l’introduzione della civiltà e cultura occidentale fu portata
avanti allo scopo preciso di creare uno Stato moderno in grado di competere con le
potenze occidentali (seiŇ rekkyŇ ᰷ᒝ2445). Sta di fatto però che pur dicendo
introduzione della civiltà e cultura d’Occidente, venne data la priorità assoluta all’acqui-
sizione delle conoscenze immediatamente utilizzabili (jitsugaku ታቇ2446 p.es. giurispru-
denza, scienze economiche, medicina, ingegneria, in due parole scienze non umani-
stiche) al fine della costruzione di un nuovo Stato moderno e potente. È chiaro quindi
che almeno agli inizi non si dava importanza ai settori letterario ed artistico. A riprova
di ciò basta citare Fukuzawa Yukichi (ᴛ⻀ศ2447 ψ§63) che, pur avendo idee
illuministiche degne di ogni rispetto, non si interessava minimamente alla letteratura,
alle arti figurative e alla religione. Così, visto che il sapere pratico di tipo jitsugaku ታቇ
aveva la precedenza su qualsiasi altra conoscenza, l’introduzione della civiltà e cultura
occidentale nei primi anni Meiji ᴦ era in sostanza la continuazione degli studi
occidentali (yŇgaku ᵗቇ2448 ψ§53) del bakumatsu ᐀ᧃ2449
Di conseguenza la professione (anzi il mestiere) di scrittore era considerata persino
troppo umile per essere esercitata da un laureato. I giovani intellettuali non ne volevano
sapere di letteratura; si davano a quegli studi che andavano incontro ai « bisogni dello
Stato » (ψ§65) per poi fare una brillante carriera di funzionario statale nell’alta
dirigenza. Fondamentalmente fu per tale motivo che ritardò il decollo della letteratura
moderna. (Più avanti si vedrà un esempio tipico, descritto nel romanzo Maihime 䇺⥰
ᆢ䇻 2450 di Mori ņgai 㣁ᄖ 2451 , della mentalità e aspirazione degli intellettuali
promettenti d’allora.)
ޣMUTAMENTO DEGLI AMBIENTIޤPassata una ventina d’anni iniziali, tut-
tavia, tali ambienti cominciavano a manifestare sensibili mutamenti: si verificò, da una
341
parte, un aumento quantitativo della intellighenzia in virtù della sistemazione (1886)
dell’ordinamento di istruzione; la proclamazione (1889) della Costituzione imperiale
(Dai Nihon teikoku kenpŇ ᄢᣣᧄᏢ࿖ᙗᴺ2452) significava, dall’altra, che si era ormai
consolidato il regime politico. A questo punto gli intellettuali, una volta portabandiera
della ‘civilizzazione’ (bunmei kaika ᢥ㐿ൻ2453) secondo il modello occidentale e
come tali, quindi, anche leaders del tempo, si videro declassati ad una posizione di
tecnici specializzati al servizio del potere. Ormai le conoscenze scientifico-pratiche
rispondenti ai bisogni dello Stato o il discutere di politica non offrivano più necessaria-
mente la garanzia di una carriera prestigiosa.
PERIODO INTERMEDIO: INIZIO All’epoca in cui per gli intellettuali erano sorte
DELLA NARRATIVA NODERNA le nuove condizioni di cui abbiamo appena
parlato, usciva un saggio letterario destinato a restare scritto in neretto nella storia della
letteratura giapponese: ShŇsetsu shinzui (䇺ዊ⺑㜑䇻2454 it. L’essenza del romanzo, 1885-
1886) di Tsubouchi ShŇyŇ (ဝౝㅖ㆝2455 1859-1935), buon conoscitore della lettera-
tura di Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ), nonché di quella shakespeariana.
Ecco il succo dell’opera:
2452 Dai/ Ni/hon/ tei/koku/ ken/pŇ ᄢ 7/26 ᣣ 1/5 ᧄ 15/25 Ꮲ 1024/1179 ࿖ 8/40 ᙗ 943/521 ᴺ 145/123
2453 bun/mei/ kai/ka ᢥ 136/111 84/18 㐿 80/396 ൻ 100/254
2454 ShŇ/setsu/ shin/zui 䇺ዊ 63/27 ⺑ 307/400 229/310 㜑 1833/1740䇻
2455 Tsubo/uchi/ ShŇ/yŇ ဝ 1354/1896 ౝ 51/84 ㅖ non reg./non reg.㆝ non reg./non reg.
342
giapponese fu Ukigumo ( 䇺 ᶋ 㔕 䇻 2456 lett. nubi galleggianti, it. Nuvole fluttuanti,
1887-1889) di Futabatei Shimei (ੑ⪲੪྾ㅅ2457 1864-1909) che aveva studiato lingua
e letteratura russa e che mise in atto quanto sostenuto da ShŇyŇ ㅖ㆝, ossia il realismo
(shajitsushugi ౮ታਥ⟵2458).
Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻, romanzo a puntate, tuttavia, finì incompleto, in quanto non
venne accolto favorevolmente da un pubblico che non era ancora in grado di valoriz-
zarlo. È assai banale la sua trama sul conto di Utsumi BunzŇ ౝᶏᢥਃ 2459 , di
estrazione dell’ex-classe samuraica (bushi kaikyş ᱞ ჻ 㓏 ⚖ 2460 ), che nel periodo
precedente avrebbe potuto anche condurre una vita senza grossi problemi, ma che
sotto le mutate condizioni Meiji ᴦ non riesce più a conformarsi alla realtà che lo
circonda.
Perché si dice che la letteratura moderna giapponese si apre con Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻?
Come si è già detto a più riprese, il Giappone Meiji ᴦ, pressato dalle circostanze
internazionali, promosse la politica di far prevalere in modo assoluto gli interessi e le
esigenze dello Stato (kokkashugi ࿖ኅਥ⟵2461 lett. Stato + -ismo) su quelli individuali.
Gli intellettuali erano consapevoli che detta politica faceva scaturire seri problemi di
frizione tra Stato, società e individuo. Se ad Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻 spetta la prima pagina
nella storia della narrativa moderna giapponese, è perché esso fu appunto il primo a
trattare tali problemi, e cioè, diversamente dalle opere gesaku ᚨ2462, Ukigumo 䇺ᶋ
㔕䇻 ha il suo protagonista collocato nel contesto sociale e descrive che il suo io
svegliato ha un impatto con la società reale che lo circonda.
ٟ In generale, in riferimento alla tendenza a far prevalere lo Stato su tutti gli altri
ideali si usa il termine kokkashugi (࿖ኅਥ⟵ lett. Stato + -ismo). Si tratta di una
espressione usata frequentemente, quando si parla della storia del Giappone nel-
l’età moderna.
Shimei ྾ㅅ è ben noto non soltanto quale autore di Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻, ma anche
come ottimo traduttore-presentatore della letteratura russa, nonché quale pioniere del
343
movimento dell’unificazione delle lingue parlata e scritta (genbun’itchi ⸒ᢥ৻⥌2463 ψ
§69).
ޣMAIHIME DI MORI ņGAIޤUn’altra opera che, insieme con Ukigumo 䇺ᶋ㔕䇻
di Shimei ྾ㅅ, annunciò il decollo della letteratura moderna fu Maihime (䇺⥰ᆢ䇻 it.
La ballerina, 1890) di Mori ņgai (㣁ᄖ 1862-1922), medico militare che, inviato in
Germania per studi igienistici, acquisì una buona conoscenza della letteratura tedesca
durante i quattro anni di soggiorno in quel paese.
Maihime 䇺⥰ᆢ䇻 con il suo romanticismo ed esotismo fece presa sull’animo di
tantissimi giovani. (Di ņgai 㣁ᄖ, si tornerà a parlarne più diffusamente in seguito.)
SOMMARIO DI MAIHIME
344
ᭉᄙᢥᐶ2467 lett. biblioteca di cui mi diverto tanto, 1885-1889) e capeggiato da Ozaki
KŇyŇ (የፒ⚃⪲2468 1867-1903), autore di Konjiki yasha (䇺㊄⦡ᄛ䇻2469 it. Il demone
dell’oro, 1897-1903). Si tratta di un gruppo che, prendendo come punto di partenza
quanto era stato sostenuto da ShŇyŇ ㅖ㆝ quale incitamento alla rivalutazione e
all’aggiornamento della letteratura di Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ), si propose di
produrre in veste moderna opere del filone gesaku ᚨ. Questa corrente dominò il
mondo della narrativa per oltre dieci anni.
Poi ci furono i collaboratori alla rivista Bungakukai (䇺ᢥቇ⇇䇻2470 lett. mondo
letterario, 1893-1898) fondata da Kitamura TŇkoku (ർㅘ⼱2471 1868-1894) ed altri.
Essi promossero il movimento del romanticismo (romanshugi ࡠࡑࡦਥ⟵2472 trascritto
foneticamente anche in kanji: ᶉẂਥ⟵), che mentre diede tutta una serie di capo-
lavori nel campo della poesia (shiika 2473 ψ§68), nel settore narrativo non riuscì
invece a creare una corrente importante. Il massimo esponente nel campo della prosa fu
Izumi KyŇka (ᴰ㏜⧎2474 1873-1939), autore di KŇya hijiri (䇺㜞㊁⡛䇻2475 lett. bonzo
itinerante del monte KŇya, it. Il monaco del monte KŇya, 1900).
Proprio a metà dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ 1868-1912) si ebbe una scrittrice
molto dotata di talento letterario, ma scomparsa giovanissima e poverissima: Higuchi
IchiyŇ (ᮘญ৻⪲2476 1872-1896). È degna di menzione anche in una storia della
letteratura giapponese di poche pagine. Durante gli ultimi quattro anni della sua
esistenza breve e stentata lasciò alcune gemme in cui narra la vita triste delle donne
Meiji ᴦ in una atmosfera permeata di lirismo e di malinconia. Le sue opere, sia
pure scritte in lingua classica, appartengono, per contenuto, alla letteratura moderna. E’
comunemente detto che Takekurabe (䇺ߚߌߊࠄߴ䇻2477 lett. Altezze a confronto, it.
Gara d’altezza, 1895-1896), suo capolavoro, è una delle opere che rappresentano la
345
letteratura Meiji (Meiji bungaku ᴦᢥቇ2478).
In conclusione gli anni 20°- 40° Meiji ᴦ (ossia gli anni 1887-1907) costituirono
la fase sperimentale. Per vedere la letteratura moderna affermarsi si doveva attendere fin
quasi la fine dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ 1868-1912).
346
to fu, così, costretto ad esaurirsi ben presto, già nel 1910, lasciando però di sé un’in-
fluenza assai profonda.
I naturalisti (shizenshugi sakka ⥄ὼਥ⟵ኅ) erano di solito originari dei villaggi
agricoli rimasti arretrati (ψ§62) durante la corsa frenetica alla modernizzazione.
Due sono le opere memorabili di questo movimento:
(1) < Hakai di Shimazaki TŇson > Hakai (䇺⎕ᚓ䇻2487 lett. precetto infranto, it.
La promessa infranta, 1906) pubblicato a proprie spese da Shimazaki TŇson (ፉፒ⮮
2488 1872-1943) fu una protesta contro l’emarginazione sociale di una categoria di gente
creata e rimasta come tale sul piano effettivo anche nell’età moderna (buraku mondai ㇱ
⪭㗴2489 ψ§58). L’opera diede il via al movimento naturalista (shizenshugi bungaku
undŇ ⥄ὼਥ⟵ᢥቇㆇേ) vero e proprio.
TŇson ⮮ iniziò la sua carriera letteraria quale poeta romantico (ψ§68), e suc-
cessivamente passò dai versi alla prosa all’età di circa 35 anni, lasciando una grande
orma in entrambi i settori.
(2) < Futon di Tayama Katai > Se Futon (䇺⫱࿅䇻2490 lett. materasso e trapunta, it.
Il materasso, 1907) di Tayama Katai (↰ጊ⧎ⴼ2491 1871-1930) rimane scritto in neretto
nella storia della letteratura giapponese, è perchè l’autore Katai ⧎ⴼ si attenne con
tale rigore al principio di rappresentare la realtà nuda e cruda da mettere se stesso al
posto del protagonista dell’opera e da confessare le proprie esperienze, creando così un
nuovo filone peculiare di opere dette shishŇsetsu (⑳ዊ⺑2492 lettura alternativamente
possibile: watakushi shŇsetsu; lett. romanzo dell’io).
ㆇ 179/439 േ 86/231
2487 Ha/kai 䇺⎕ 634/665 ᚓ 1191/876䇻
2488 Shima/zaki/ TŇ/son ፉ 173/286 ፒ 457/1362 ⮮ 206/2231 210/191
2489 bu/raku/ mon/dai ㇱ 37/86 ⪭ 393/839 75/162 㗴 123/354
2490 Fu/ton 䇺⫱ 1598/non reg.࿅ 172/491䇻
2491 Ta/yama/ Ka/tai ↰ 24/35 ጊ 60/34 ⧎ 551/255 ⴼ 703/1329
2492 shi/shŇ/setsu ⑳ 221/125 ዊ 63/27 ⺑ 307/400
2493 nik/ki ᣣ 1/5 ⸥ 147/371
347
㓐╩2494 dei secoli passati. (ψ§22).
ޣCORRENTI ANTI-NATURALISTEޤQuando il movimento naturalista (shizen-
shugi bungaku undŇ ⥄ὼਥ⟵ᢥቇㆇേ) era ancora nei suoi anni d’oro, sorsero un paio
di correnti con un ismo diverso. Svariate che fossero nella tendenza, accomunavano
l’atteggiamento di opporsi alla letteratura dominante, pessimistica, troppo seria, arida,
senza fantasie, né ideali. Mettendo insieme questi nuovi indirizzi antagonisti, si suol
parlare di anti-naturalismo (hanshizenshugi ⥄ὼਥ⟵2495). Si trattava di due gruppi e
di altrettante figure solitarie che facevano spicco: corrente dell’estetismo-decadentismo
(Tanbiha ⡓⟤ᵷ2496 lett. scuola dell’mmersione nel bello, chiamato anche Yuibiha ໑
⟤ᵷ 2497 lett. scuola per cui il bello è tutto), scuola dell’idealismo-umanitarismo
(Shirakabaha ⊕᮹ᵷ2498 lett. scuola della betulla bianca), Mori ņgai 㣁ᄖ2499 già
citato e infine Natsume SŇseki ᄐ⋡ẇ⍹2500.
Diversamente dai letterati nati in provincia, quasi tutti gli scrittori originari di TŇkyŇ
᧲੩ diventarono anti-naturalisti.
< Tanbiha > Il Tanbiha ⡓⟤ᵷ è una corrente per la quale il compito della
letteratura non stava tanto nel rappresentare fedelmente la realtà quanto nel creare un
mondo di fantasia e di bellezza. I maggiori esponenti furono Nagai Kafş (᳗⩄㘑2501
1879-1959) e Tanizaki Jun’ichirŇ (⼱ፒẢ৻㇢2502 1886-1965).
Quest’ultimo in particolare, da quando debuttò con Shisei ( 䇺 ೝ 㕍 䇻 2503 lett.
tatuaggio, 1910), opera che aveva svelato pienamente la tendenza di fondo della sua
letteratura, spinse la penna all’estremo di un mondo di estasi altamente sensuale.
Nell’era ShŇwa (ShŇwa jidai ᤘᤨઍ 2504 1926-1989) descrisse anche la bellezza
tradizionale giapponese, ad esempio, in Sasame yuki ( 䇺 ⚦ 㔐 䇻 2505 it. Neve sottile,
348
1943-1948). Inoltre, rese in giapponese moderno il Genji monogatari Ḯ᳁‛⺆ 2506 .
Molte delle sue opere sono state tradotte in lingue straniere ed oggi è fra gli scrittori
moderni giapponesi più noti agli stranieri.
< Shirakabaha > È durante l’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ2507 1912-1926)
che la scuola Shirakabaha ⊕᮹ᵷ fece sentire maggiormente la sua presenza. Se ne
parlerà quindi più avanti.(ψ§76).
< Mori ņgai > Dopo aver reso pubblico un paio di opere romantiche quanto
Maihime 䇺⥰ᆢ䇻2508, ņgai 㣁ᄖ si allontanò per lungo tempo dall’attività di roman-
ziere, dedicandosi alla traduzione-presentazione di opere occidentali, ed è soltanto verso
la fine dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ) che riprese la penna creativa, rivelandosi
assai prolifico.
A giudizio comune, fu uno scrittore che dimostrò il proprio talento letterario so-
prattutto nelle opere a tema storico (rekishi shŇsetsu ᱧผዊ⺑2509) quali Takasebune (䇺㜞
ἑ⥱䇻2510 lett. barca del fiume Takase, 1916), Shibue Chşsai (䇺Ằᳯᢪ䇻 2511it. Shibue
Chşsai, 1916), romanzo sul conto di un medico-confuciano dell’Edo jidai ᳯᚭᤨઍ, ed
altri. Il SokkyŇ shijin ( 䇺 හ ⥝ ੱ 䇻 2512 1892-1901; it. L’improvvisatore), versione
giapponese a traduzione piuttosto libera dell’Improvisatoren (1835) di Hans Christian
Andersen (1805-1875), è stimato migliore dell’originale.
Per tutta la sua vita riuscì ad accomunare in sé due attività: quella del letterato e
quella dell’ufficiale medico al servizio dell’esercito.
< Natsume SŇseki > Natsume SŇseki (ᄐ⋡ẇ⍹ 1867-1916), studioso di
letteratura inglese, intraprese la carriera di scrittore dopo il ritorno dall’Inghilterra ove si
era recato a scopo di studio per ordine del ministero dell’educazione. Mentre faceva
ancora l’insegnante di inglese, scriveva opere di carattere umoristico e popolare, ma da
quando aveva abbandonato l’insegnamento per impegnarsi a fondo nella produzione
letteraria, aveva continuato a scavare il ‘filone’ (ossia l’indirizzo da seguire) da lui
scoperto durante il suo soggiorno in Inghilterra.
Al contrario dei paesi occidentali, la cui modernizzazione venne attuata più
autonomamente dalle forze giunte a maturità al loro interno, in Giappone invece, come
349
abbiamo già visto diverse volte, la modernizzazione venne effettuata in modo forzoso e
nel giro di poco tempo, sotto le pressioni provenienti dall’esterno. SŇseki ẇ⍹ studiò
a fondo diversi problemi sull’io, che erano nati sotto tali condizioni, e come scrittore
approfondì la tematica affrontata per la prima volta da Shimei ྾ㅅ, giungendo negli
ultimi anni della sua vita alla conclusione tipicamente dell’Asia orientale da lui stesso
espressa con questi termini: sokuten kyoshi (ೣᄤ⑳2513 lett. seguire il cielo e lasciare
l’io).
È impossibile ignorarlo per uno studio approfondito sia della letteratura che dei
pensieri giapponesi nell’età moderna e contemporanea (kin-gendai ㄭઍ2514).
Ecco alcune delle sue opere: Wagahai wa neko de aru (䇺ᚒヘߪ₀ߢࠆ䇻2515 it. Io
sono un gatto, 1905-1906), Sorekara (䇺ߘࠇ߆ࠄ䇻 it. E dopo, 1909), Mon (䇺㐷䇻2516 it. Il
portale, 1910), KŇjin (䇺ⴕੱ䇻2517 it. Il viandante, 1912-1913), Kokoro (䇺ߎߎࠈ䇻 lett.
Anima, it. Kokoro, 1914).
ٟ Al contrario dei settori artistici e culturali diversi dalla narrativa (ossia poesia,
teatro, arti figurative, musica, religione, architettura, abbigliamento, cucina, arti
minori ecc.), presso i quali oggi coesistono pacificamente la tradizione giapponese
e quanto è stato appreso dall’Occidente, la narrativa si allontanò dalla tradizione
delle opere della letteratura di Edo (Edo bungaku ᳯᚭᢥቇ), assorbì ex-novo gli
elementi della letteratura occidentale e si ripresentò tramutata. In altri termini la
narrativa sola presenta discontinuità con il passato, ed è, questo, un fenomeno
peculiare nella storia della cultura giapponese.
Si è già visto che la poesia tradizionale giapponese è rappresentata dai due generi,
tanka ( ⍴ 2518 5-7-5-7-7 ψ §11) e haiku ( େ ฏ 2519 5-7-5 ψ §50), caratterizzati
ambedue dalla loro brevità eccezionale. Nell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ2520 1868-
350
1912) vennero ad aggiungersi poesie lunghe composte su modello occidentale. Oggi
queste ultime sono chiamate kindaishi (ㄭઍ2521 [lett. poesie moderne] o semplice-
mente shi ; da non confondere con shi nel senso di kanshi [ṽ2522 poesie cine-
si ψ§11]).
ٟ Per fare riferimento all’insieme di tutti i diversi generi poetici nella tradizione
letteraria giapponese si usa il termine shiika [e non shika] 2523; ka [= uta]
ψ§11).
Di seguito diamo per sommi capi una rappresentazione circa l’evoluzione dei tre
generi poetici (shi sorto ex novo, haiku େฏ e tanka ⍴), e la estendiamo fino
al 1945 per offrire una visione panoramica la più completa possibile:
romanticismo ࡠࡑࡦਥ⟵
SHI
simbolismo ⽎ᓽ
c Hototogisuha ࡎ࠻࠻ࠡࠬᵷ
HAIKU
େฏ haiku libero ⥄↱ᓞେฏ nuovo haiku
351
SHI La storia del kindaishi ㄭઍ ebbe inizio nel 1882 con i cosiddetti shintaishi
(ᣂ2524 lett. poesie del nuovo stile), in parte traduzioni e in parte opere
verseggiate sull’esempio delle poesie occidentali. Successivamente, verso la metà dell’era
Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ), vennero innalzati a livello artistico quali kindaishi ㄭઍ
a pieno titolo grazie al genio di Shimazaki TŇson (ፉፒ⮮2525 ψ§67).
ޣTņSON E LA POESIA ROMANTICAޤSi è già rilevato che TŇson ⮮,
grande scrittore naturalista (shizenshugi sakka ⥄ ὼ ਥ ⟵ ኅ 2526 ), aveva iniziato
l’attività letteraria come poeta (shijin ੱ2527) romantico. Tra il 1897 e il 1901 raccolse
le sue opere in quattro volumi (p.es. Wakanashş 䇺⧯⩿㓸䇻2528 lett. raccolta di erbe
giovani, 1897).
La seguente inclusa nella raccolta del 1901 e composta in lingua classica al ritmo
tradizionale di 5 e 7 haku ᜉ2529 alternati è un esemplare del kindaishi ㄭઍ a
schema fisso in lingua classica (bungo teikeishi ᢥ⺆ቯဳ2530). In seguito fu musicata.
Con ogni probabilità non c’è un solo giapponese che non l’abbia mai cantata durante le
lezioni di educazione musicale alla scuola elementare o comunque sentita cantare in
qualche coro di ragazzi.
352
Nagareyoru / yashi no mi hitotsu.
ㇹ2539ߩጯ2540ࠍ㔌2541ࠇߡ
Da quando hai lasciato la riva del
Furusato no / kishi o hanarete,
tuo paese, per quanti lunghi mesi
᳭2542ߪߘ߽ᵄ2543ߦᐞ2544 sei rimasta in balia delle onde?
Nare wa somo / nami ni iku tsuki?
⥟2545ߩ᮸2546ߪ↢2547߭߿⨃2548ࠇࠆ
Il cocco da cui sei caduto sarà in
Moto no ki wa / oi ya shigereru?
rigoglio? Il ramo sarà tuttora
ᨑ2549ߪߥ߶ᓇ2550ࠍ߿ߥߖࠆ tanto frondoso da fare ombra?
Eda wa nao / kage o ya naseru?
ࠊࠇ߽߹ߚᷪ2551ࠍᨉ2552
Anch’io sto vagando solo soletto,
Ware mo mata / nagisa o makura,
riposando giorno dopo giorno
ቅり2553ߩᶋኢ2554ߩᣏ2555ߙ vicino al mare.
Hitorimi no / ukine no tabi zo.
353
ኪࠍߣࠅߡ⢷2556ߦߟࠇ߫
Quando prendo la noce e la
Mi o torite / mune ni atsureba,
stringo al petto, mi si rinnova la
ᣂ2557ߥࠅᵹ㔌2558ߩᘷ2559 nostalgia del paese natio.
Arata nari / ryşri no urei.
ᕁ2568߭߿ࠆ㊀2569ߩ᳤ޘ2570
Volo con la mente sulla grande di-
Omoiyaru / yae no shiojio,
stesa del mare. Un giorno o l’altro
ߠࠇߩᣣߦ߆2571ߦᏫ2572ࠄ rivedremo il paese di provenienza.
Izure no hi ni ka / kuni ni kaeramu.
354
2573)sotto l’influenza del simbolismo francese, nacque la poesia in lingua colloquiale e
libera dal vincolo dello schema fisso, chiamata di solito kŇgo jiyşshi (ญ⺆⥄↱2574 lett.
poesia libera in lingua colloquiale). Il movimento fu portato avanti, da una parte, perché
spinto dallo spirito del naturalismo (shizenshugi ⥄ὼਥ⟵ 2575 ), e, dall’altra, perché
favorito dall’affermarsi dell’unificazione delle lingue parlata e scritta (genbun’itchi ⸒ᢥ
৻⥌2576 ψ§69), ma è soltanto nell’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ2577 1912-1926)
che riuscì a creare la corrente che doveva rivelarsi dominante nel campo della poesia shi
. (Continua al §77.)
HAIKU Verso la fine del periodo Edo (Edo jidai ᳯᚭᤨઍ) la produzione dello
haikai େ⺽2578 era in condizioni mediocri con opere stereotipate. La stessa
situazione si protraeva a lungo nell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ). Ma è chiaro che il
rinnovamento Meiji (Meiji ishin ᴦ⛽ᣂ it. restaurazione Meiji) che non risparmiava
nessun campo, non permise certo al mondo dello haikai େ⺽ di continuare a dormire
nel torpore.
A mettere mano all’opera del suo aggiornamento fu Masaoka Shiki (ᱜጟሶⷙ2579
1867-1902), figura d’un rilievo eccezionale nella storia dello shiika 2580. La storia
dello haiku େฏ2581 inizia, a rigor di termini, con Shiki ሶⷙ.
ޣSHIKI E LA RIFORMA DELLO HAIKAI ޤShiki ሶⷙ diede una piena
autonomia allo hokku (⊒ฏ 2582 ψ§50), che non si era reso ancora pienamente
indipendente, e lo chiamò haiku େฏ per l’appunto. Il termine haiku େฏ, quindi, ha
in sé una connotazione che lo rende diverso dallo hokku ⊒ฏ del renku (ㅪฏ2583 ψ
§50), e ciò avvenne grazie all’innovazione apportata al contenuto delle tre stanze di
5-7-5.
Prendendo spunto dalla teoria sulla pittura ad olio trasmessa da Antonio Fontanesi
355
(Antonio Fontanēji ࠕࡦ࠻࠾ࠝ = ࡈࠜࡦ࠲ࡀࠫ 1818-1882; oyatoi gaikokujin [ᓮ
㓹ᄖ࿖ੱ2584 lett. straniero impiegato ψ§65] per due anni 1876-1878) di Reggio
Emilia, Shiki ሶⷙ avanzò la proposta di utilizzare la tecnica pittorica di shasei (౮↢
2585 lett. copiare dal vero, ispirarsi alla realtà esterna). Sostenne, cioè, che gli autori di
haiku (haijin େੱ2586) non dovessero poetare sul proprio stato d’animo, ma rappresen-
tare gli oggetti su cui poetare così come i loro sensi li percepivano. Shiki ሶⷙ esaltò
Buson (⭢2587 ψ§51), haikista-pittore, e ciò non senza motivi.
Ecco un paio di haiku େฏ esemplari di Shiki ሶⷙ:
ᩑ2588ߊ߳߫㏹2589߇㡆2590ࠆߥࠅᴺ㓉ኹ2591
Kaki kueba / kane ga naru nari / HŇryşji
[Mentre mangio cachi, sento suonare la campana dell’HŇryşji].
(kigo ቄ⺆2592: kaki ᩑ cachi: autunno)
᧻2593ߩ㔐2594ഀ2595ࠇߡ⪭2596ߜߌࠅ᳓2597ߩਛ2598
Matsu no yuki / warete ochikeri / mizu no naka
[Una massa di neve sul ramo di pino, spaccatasi, è caduta nell’acqua].
(kigo ቄ⺆: yuki 㔐 neve: inverno)
356
< Shiki e il suo contributo linguistico > Con la teoria dello shasei ౮↢, Shiki
ሶⷙ contribuì anche al movimento di unificazione delle lingue parlata e scritta
(genbun’itchi ⸒ᢥ৻⥌), dando esempi di uno stile sobrio ed oggettivo della lingua
scritta (shaseibun ౮↢ᢥ2599; bun ᢥ frase, scritto).
ޣDOPO SHIKIޤDei suoi discepoli haikisti (haijin େੱ) Shiki ሶⷙ prediligeva
due: Takahama Kyoshi (㜞ᵿ⯯ሶ2600 1874-1959) e Kawahigashi HekigodŇ (ᴡ᧲⏉᪷
᩿2601 1873-1937).
Dopo la morte di Shiki ሶⷙ era sorto un netto contrasto di orientamento fra i
due. HekigodŇ ⏉᪷᩿ abbandonò lo schema tradizionale di 5-7-5, dando inizio al
cosiddetto haiku libero (jiyşritsu haiku ⥄↱ᓞେฏ2602 lett. haiku libero dalla metrica).
Nel gruppo formatosi in torno a HekigodŇ ⏉᪷᩿ c’erano coloro che abbandona-
rono anche il kidai ቄ㗴2603.
In linea di massima si può dire che nel periodo a cavallo fra Meiji ᴦ e TaishŇ
ᄢᱜ la tendenza innovatrice-progressista era dominante.
Kyoshi ⯯ሶ, che si dava nel frattempo alla produzione narrativa, tornò all’inizio
dell’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ) ai circoli haikisti (haidan େს2604) col preciso
intento di contrastare il movimento di nuova tendenza secondo lui fuorviante. (Con-
tinua al §77.)
TANKA Il tanka ⍴2605 dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ) iniziò nel 1893 con
la formazione di un’associazione di poeti di tanka (kajin ੱ2606). Succes-
sivamente, con la pubblicazione della rivista letteraria MyŇjŇ (䇺ᤊ䇻2607 lett. Venere,
1900-1908, 1921-1927), si videro acclamati da un largo pubblico i tanka ⍴ di
ispirazione romantica. Si chiama MyŇjŇha (ᤊᵷ2608 scuola MyŇjŇ) il gruppo di poeti
di tanka ⍴ radunatisi intorno a questa rivista.
357
ٟ A partire dall’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ) si usa di nuovo il termine tanka
⍴ in riferimento alla poesia tradizionale di 5-7-5-7-7.
ṟ ⎷⎢Ꮋ⎡⍵⎗⎀ᘉກ⎞⎨⎿⎵ᙸ⎚⎈⎦⎊⍾⎼⎍⎷ᢊ⏅ᛟ⎂ӽ
Ĭ ⎝⎞⎛⎝⎂ӽ⎞ࢳ⎒⎾⎾⎆⎆⎔⎊⎙Ј⎚⎊ᑶ⎡ٲஉ⎝⍾ٸ
ᴾ
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Nani to naku / kimi ni mataruru / kokochi shite / ideshi
hanano no / yşzukiyo kana
[Colta da un sentore improvviso di essere attesa da te,
sono uscita per venirti incontro. Ed ecco che mi si
presenta agli occhi la luna di sera sul campo di fiori].
ℳ ↳↞Ꮋ↝ⅱ↓ⅼᘉກ↚↤↻↱ᙸ↖
ↄ↢ↆⅺ↸↉↳ᢊ⇁ᛟⅾӽ
Yawahada no / atsuki chishio ni / fure mo mide /
sabishikarazu ya / michi o toku kimi
[Senza neppur toccarmi la pelle vellutata dal sangue
caldo tu parli della strada che vuoi fare. Ma non ti
senti solo?]
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ޣޣTENTATIVO DI RINNOVAMENTO AD OPERA DI SHIKIޤMasaoka Shiki
ᱜጟሶⷙ che da anni si era dato all’attività di aggiornamento dello haiku େฏ mise
mano anche al settore del tanka ⍴ con quella stessa teoria dello shasei ౮↢ che
era stata positivamente collaudata con lo haiku େฏ, ma il momento della sua iniziativa
coincise con i tempi d’oro del MyŇjŇha ᤊᵷ e la sua proposta non ottenne molti
consensi.
Shiki ሶⷙ che nel campo dello haiku େฏ aveva apprezzato molto Buson ⭢,
per il tanka ⍴ esaltò il Man’yŇshş 䇺ਁ⪲㓸䇻2611 le cui poesie sono caratterizzate dal
tono schietto e diretto (ψ§11).
ޣTANKA A ISPIRAZIONE NATURALISTA ޤIl movimento naturalista
(shizenshugi bungaku undŇ ⥄ὼਥ⟵ᢥቇㆇേ2612) diede anche poeti naturalisti di tanka
⍴, fra cui Ishikawa Takuboku (⍹Ꮉໟᧁ2613 1886-1912), morto giovane e povero.
Poetò sulla vita. I suoi tanka ⍴ sono scritti divisi in tre righe:
⎢⎒⎼⎄⎜྅⏂⍿ဃಏ⎞⎝⎼⎉⎽
⎢⎒⎼⎄⎜
⎕⎖
⎛⏅ᙸ⎾
ߪߚࠄߌߤ
Hatarakedo /
[Lavoro e
ߪߚࠄߌߤ₈ࠊ߇↢ᵴᭉߦߥࠄߑࠅ
hatarakedo nao / waga kurashi / rakuni narazari /
ancora lavoro, ma vivo tuttora in miseria.
ߝߞߣᚻࠍࠆ
Jitto te o miru
A lungo fisso lo sguardo sulle mie mani.]
359
pubblicata la rivista Araragi (䇺ࠕࠡ䇻2614 1908-1997) dai suoi discepoli di tanka ⍴
. Essi, chiamati Araragiha (ࠕࠡᵷ lett. scuola Araragi), eredi dello shasei ౮↢
del maestro, cominciavano a guadagnare terreno. (Continua al §77.)
DIVARIO DELLE LINGUE PARLATA E SCRIT- È dato quasi per certo che
TA E PLURALITÀ DELLA LINGUA SCRITTÀ durante il periodo Heian
(Heian jidai ᐔᤨઍ2615, 794-1185) tra la lingua orale della classe aristocratica, specie
delle nobildonne e la lingua scritta quale, per esempio, quella che si legge nei generi
nikki ᣣ⸥2616 e monogatari ‛⺆2617, non vi fossero che minime differenze. In altre
parole, almeno nell’alta società si parlava in pratica la stessa lingua di quella in cui è
scritto, per esempio, il Genji monogatari Ḯ᳁‛⺆2618.
A partire dal periodo cosiddetto inseiki (㒮ᦼ 2619 lett. periodo dello insei,
1086-1179/1185), tuttavia, la divergenza inziale ancora piccola tra parlata e scritta andò
crescendo col tempo, e nel bakumatsu (᐀ᧃ2620 1853 ca.-1867) presentava enormi
discrepanze. Per giunta, nell’ambito della lingua scritta, coesisteva promiscuamente tutta
una serie di varietà: lingua classica dei secoli precedenti, lingua che codificava quella
orale d’allora, lingua cinese del passato (kanbun ṽᢥ2621 ψ§21), lingua in stile di
traduzione dal cinese secondo il metodo kundoku (⸠⺒2622 ψ§22), lingua epistolare in
stile classicheggiante, chiamata sŇrŇbun (ᢥ2623 frase onorifica in cui viene usata
frequentemente la parola sŇrŇ ߰2624 con valore di masu ߹ߔ, aru ࠆ o iru
ࠆ) e via dicendo. Ovviamente tale situazione ostacolava la comunicazione precisa e
360
spedita per iscritto con conseguenti ripercussioni negative sulla modernizzazione del
paese.
361
numero sempre maggiore di brani scritti in stile colloquiale kŇgotai ญ⺆, contribuen-
do a diffondere la lingua di TŇkyŇ (TŇkyŇgo ᧲੩⺆2635), ossia la lingua oggi definita
quale il giapponese comune (kyŇtsşgo ㅢ⺆2636).
ٟ < Stile colloquiale post-Meiji > Con l’occasione si fa riferimento ai fatti più
rilevanti verificatisi dall’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨઍ 1912-1926) in poi.
I quotidiani ad alta tiratura, fra i quali in particolare il giornale Asahi (Asahi
shimbun ᦺᣣᣂ⡞ 2637 1879-tuttora), ritenuto un tempo il più autorevole, si
rifiutavano ostinatamente a tutta prima di scrivere i loro articoli di fondo in stile
colloquiale per una questione di solennità stilistica, ma finirono con l’abbandonare
la loro politica conservatrice prima della fine dell’era TaishŇ (TaishŇ jidai ᄢᱜᤨ
ઍ). Da quel momento rimase acquisito che, per scrivere, ci si doveva servire della
lingua colloquiale (kŇgobun ญ⺆ᢥ2638 lett. frase in stile colloquiale), qualunque
fosse l’argomento da trattare, con l’unica eccezione dei documenti burocratici e
degli articoli di legge. Per l’adeguamento di queste ultime due categorie si doveva
attendere fin oltre la fine della seconda guerra mondiale (Dai niji sekai taisen ╙ੑ
ᰴ⇇ᄢᚢ2639 1939-1945).
ٟ Rispetto alla lingua italiana nelle sue forme parlata e scritta, la distanza che
separa il giapponese scritto da quello parlato è tuttora di gran lunga maggiore.
Si è già detto che i primi anni Meiji ᴦ furono caratterizzati dallo sforzo di ap-
prendere il know how di utilizzabilità immediata (jitsugaku ታቇ2640) per la produzione
industriale e per la vita di tutti i giorni. Si è rilevato anche che si verificavano persino
casi di distruzione del patrimonio culturale (haibutsu kishaku ᑄᲛ㉼ 2641 ) e di
svendità di opere d’arte. (ψ§63) Così, nella prima metà dell’era Meiji (Meiji jidai ᴦ
ᤨઍ 1868-1912), al pari della produzione letteraria, anche l’attività artistica in genere
non riuscì a dare che scarsi segni di ripresa.
362
ARTI FIGU- Il nome da citare per primo è quello di Okakura Tenshin (ጟୖᄤᔃ
RATIVE 2642 1862-1913) conosciuto soprattutto quale autore di un noto libro
scritto originariamente in inglese, The Book of Tea (1906; titolo della versione
giapponese: Cha no Hon 䇺⨥ߩᧄ䇻2643 it. Il Libro del Tè), in cui Tenshin ᄤᔃ invitava
gli occidentali a volersi avvicinare alla cultura orientale, avvertendoli che la cultura e
civiltà occidentale non era l’unica in senso assoluto.
Quanto poi alla pittura occidentale (yŇga ᵗ↹2649 o letteralmente anche seiyŇga
ᵗ↹2650), essa era stata oggetto di studio già sin dal bakumatsu ᐀ᧃ2651 , perché
diversamente dallo yamatoe (ᄢ⛗2652 ψ§24) l’arte occidentale era stata sostenuta
dallo spirito del realismo (ossia shasei ౮↢2653 lett. dipingere dal vero), quindi si era
rivelata utile per le sue funzioni tecniche.
363
occidentale, nihonga ᣣᧄ↹ o hŇga ㇌↹ e in contrapposizione alla pittura cine-
se dell’età premoderna yamatoe ᄢ⛗.
Nell’era Meiji (Meiji jidai ᴦᤨઍ), poi, sotto la guida di Fontanesi (Fontanēji ࡈ
ࠜࡦ࠲ࡀࠫ ψ§68) si ebbero i primi artisti che si dedicarono alla pittura quale arte
fine a se stessa. Verso la fine del XIX secolo cominciarono a tornare da un soggiorno di
studio in Francia pittori come Kuroda Seiki (㤥↰ᷡノ2654 1866-1924).
Nel campo della scultura operarono attivamente Takamura KŇun (㜞శ㔕2655
1852-1934) ed altri.